MANUALE DI
PROCEDURA PENALE Undicesima edizione
PAOLO TONINI Professore ordinario nell'Università di Firenze
MANUALE DI
PROCEDURA PENALE Undicesima edizione
GIUFFRÈ EDITORE
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ISBN 88- 14-15461-9
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INDICE-SOMMARIO
Premessa . . . . . . . . . . Avvertenze e abbreviazioni.
XXI
XXVII
Parte Prima EVOLUZIONE STORICA DEL PROCESSO PENALE - LE FONTI
CAPITOLO I
SISTEMA INQUISITORIO, ACCUSATORIO E MISTO l. 2. 3. 4.
5. 6.
7. 8.
9. 10. 11. 12. 13.
Diritto penale e diritto processuale penale . La protezione della società e la difesa dell'imputato Sistema inquisitorio e sistema accusatorio. Sistema inquisitorio e principio di autorità . Sistema accusatorio e principio dialettico . Sistema processuale e regime politico . Sistema processuale e d efficacia . Cenni storici sul processo penale . a. Considerazioni introduttive . Il diritto romano b. c. Il periodo medioevale. Il processo penale nello Stato assoluto Il processo penale inglese . L a Rivoluzione francese e l'evoluzione del processo penale. Il sistema misto nel Code d'instruction criminelle . I codici italiani di procedura penale
l 2 4
5 8 11 12 13 13 14 15 16 18 20 22 24
CAPITOLO II
IL PROCESSO PENALE DALLA COSTITUZIONE AL CODICE VIGENTE l. 2. 3. 4.
5. 6.
I princìpi del processo penale nella Costituzione del 1948 . Le riforme parziali al codice del 1930 . . . . . . . . . . . I lavori preparatori del nuovo codice di procedura penale . L e linee generali del nuovo processo penale . . . . . . . . a. La separazione delle funzioni e delle fasi del procedimento b. Le indagini preliminari . . Il dibattimento . . . . . . c. d. I procedimenti semplificati L e modifiche successive a l 1989. La costituzionalizzazione dei princìpi del "giusto processo" Considerazioni preliminari . . . . . a. I princìpi attinenti ad ogni processo . . . . . . . . b. .
28 30 32 33 33 34 36 36 38 40 40 41
Manuale di procedura penale
VIII
7. 8. 9. lO.
I princìpi inerenti al processo penale . . . . . . . . . c. L'attuazione dei nuovi princìpi costituzionali . . . Cenni sulla successione delle norme processuali nel tempo . Le fonti internazionali del diritto processuale penale . . . . Effetti delle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo
44 48 49 52 58
Parte Seconda PROFILI GENERALI DEL PROCEDIMENTO PENALE
CAPITOLO I I SOGGETTI DEL PROCEDIMENTO PENALE l.
Procedimento e processo . . . . . . . . li processo penale sul fatto, sull'autore e sulle conseguenze b. L'azione penale . . . I soggetti e le parti . . c. Il giudice . . Giudici ordinari e speciali. a. Giurisdizione e "giusto processo" . b. c. La competenza per materia . . d. La competenza per territorio . . . La competenza per connessione - Riunione e separazione dei procedimenti . e. Il principio del giudice naturale . . . . l I conflitti di giurisdizione e di competenza . . . . . . g. La dichiarazione di incompetenza. . h. 1. L'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale . . . . . . .. l. Le sezioni distaccate del tribunale . . m. La capacità del giudice . . . . . n. L'imparzialità del giudice - Incompatibilità, astensione e ricusazione La rimessione del processo . . . . . . . . . . . o. Le questioni pregiudiziali alla decisione penale . p. Il pubblico ministero . . . . . . . . a. Le funzioni . . . . . . . I rapporti con il potere politico . b. I rapporti all'interno dell'ufficio. c. d. I rapporti tra gli uffici . . . .. e. L'astensione . . . . . . . . . . . Le procure distrettuali e la procura nazionale antimafia l La polizia giudiziaria . . . . . . . Polizia giudiziaria e di sicurezza . . a. La dipendenza dall'autorità giudiziaria b. Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. c. L'imputato . . . . . . . . . La distinzione tra imputato e indagato a. L'interrogatorio . . . . . . . . . . . . b. c. La distinzione tra l'indagato e la persona informata (possibile testimone) d. La verifica della identità fisica e anagrafica dell'indagato . . . . . . . . . e. La sospensione del procedimento per incapacità processuale dell'imputato Il difensore . . . . . . . . . . . a. La rappresentanza tecnica. . . . . . . . . Difensore di fiducia e difensore d'ufficio . b. Il difensore della persona offesa . . . . . c. Il difensore delle parti private diverse dall'imputato (es. parte civile) d. a.
2.
.
3.
4.
.
.
5.
6.
63 63 64 66 68 68 70 71 77 79 82 84 84 86 89 90 91 97 100 104 104 105 107 109 1 12 1 14 117 117 119 122 123 123 125 128 130 131 133 133 136 139 140
Indice-Sommario TI patrocinio per i non abbienti . . . . L'incompatibilità del difensore . . . . L'abbandono ed il rifiuto della difesa . g. Le garanzie per il libero esercizio dell'attività difensiva . h. La persona offesa dal reato e la parte civile. a. La persona offesa dal reato . . . . b. La parte civile. . . . . . Offeso e danneggiato nel codice del 1988 c. Altri soggetti del procedimento penale . . . . . Gli enti rappresentativi di interessi lesi dal reato . a. TI responsabile civile. . . . . . . . . . . . . b. c. La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria Gli enti responsabili in via amministrativa per i reati commessi da loro rappresentanti o d. dirigenti . . . . . . . . . . e.
l 7.
8.
IX
141 142 144 144 147 147 150 156 158 158 159 160 161
CAPITOLO II GLI ATII l.
Gli atti del procedimento penale Considerazioni generali . Gli atti del giudice . . . . c. Gli atti delle parti . . . . . d. TI procedimento in camera di consiglio . e. La documentazione degli atti . . . . La notificazione . . . . . . . . . . l La traduzione degli atti: l'interprete. g. Le cause di invalidità degli atti a. Considerazioni generali . TI principio di tassatività b. c. L'inammissibilità . . . . La decadenza; la restituzione nel termine . d. La nullità . . . . . . . . . . . . . e. L'inutilizzabilità . l L'atto inesistente; l'atto abnorme . g.
a. b.
2.
163 163 167 172 172 174 175 181 1 84 184 185 186 187 192 200 208
CAPITOLO III PRINCÌPI GENERALI SULLA PROVA l.
2. 3. 4.
5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
Sistema processuale e norme sulla prova . Il ragionamento del giudice: la sentenza Il ragionamento inferenziale: prova e indizio . TI procedimento proba torio e il diritto alla prova . La ricerca della prova . a. La ammissione della prova b. La assunzione della prova . c. La valutazione della prova d. L'onere della prova . Il quantum della prova (c.d. standard probatorio) . L'ambito di applicabilità delle norme sulla prova . Oralità , immediatezza e contraddittorio. Questioni pregiudiziali e limiti probatori . TI giudice, lo storico e lo scienziato . L'evoluzione del concetto di scienza
2 10 211 2 14 226 227 228 230 232 233 238 240 241 244 245 250
Manuale di procedura penale
x
12. 13.
La formulazione di una ipotesi . . . . . . . . . U n aspetto applicativo: l a prova del rapporto di causalità tra condotta e d evento .
254 255
CAPITOLO IV
I MEZZI DI PROVA l.
2.
3.
4.
5.
6.
Mezzi di prova tipici ed atipici . La testimonianza . . . a. Considerazioni preliminari La deposizione: oggetto e forma b. La testimonianza indiretta. c. d. L'incompatibilità a testimoniare . n privilegio contro l'autoincriminazione e. Il testimone prossimo congiunto dell'imputato . l La violazione degli obblighi del testimone . g. n segreto professionale . . . . . . . . . . h. Il segreto d'ufficio e di Stato; gli informatori di polizia . i. L'esame delle parti . . . . . Considerazioni generali . . . . . . . . a. b. L'esame dell'imputato . . . . . . . . . Le parti private diverse dall'imputato . c. Il contributo probatorio dell'imputato tra il diritto al silenzio e il diritto a confrontarsi con d. l'accusatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'esame di persone imputate in procedimenti connessi . . . . . . . . . e. n riscontro delle dichiarazioni rese dall'imputato connesso o collegato. l La testimonianza assistita . . . . . . . . . . . . . . . . g. h. Considerazioni sulla disciplina della prova dichiarativa . Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali a. Considerazioni preliminari Il confronto . . . . . . . b. c. La ricognizione . . . . . d. L'esperimento giudiziale La prova scientifica . a. Considerazioni preliminari: prova scientifica e contraddittorio . b. La perizia . . . . . . . . . . . . . . n consulente tecnico di parte . . . . . . . . c. d. n consulente tecnico del pubblico ministero La prova documentale . . . . . . Documento e "documentazione" . . . . . . a. La definizione di documento . . . . . . . . b. n valore probatorio del documento contenente dichiarazioni. c. Il documento anonimo . . . . . . d. La disciplina di determinati documenti . e. L'uso di atti di altri procedimenti . l I documenti illegali . . g.
263 266 266 268 270 276 279 282 283 284 287 290 290 291 293 294 295 300 303 311 3 16 3 16 3 16 3 18 320 321 321 327 341 346 347 347 348 352 353 356 357 360
CAPITOLO v I MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA
l.
2. 3. 4.
Profili generali. . Le ispezioni . . . Le perquisizioni . n sequestro probatorio
366 368 370 373
Indice-Sommario 5.
Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni La nozione di intercettazione . . . . . I requisiti per disporre le intercettazioni . . . b. n procedimento. . . . . . . . . . . . . . . . c. I nuovi strumenti della tecnica: i tabulati telefonici . Le videoriprese .
a.
6. 7.
XI
378 378 380 382 386 388
CAPITOLO VI
LE MISURE CAUTELAR! l.
Considerazioni introduttive . La definizione di provvedimento cautelare b. I tipi di misure cautelari Misure cautelari personali e sistema processuale . . c. Le disposizioni generali sulle misure cautelari personali La riserva di legge e di giurisdizione . a. Le condizioni generali di applicabilità b. Le esigenze cautelari c. I criteri di scelta delle misure . d. L'applicazione delle misure cautelari personali . Le scelte fondamentali a. La richiesta del pubblico ministero e la decisione del giudice b. . . L'interrogatorio di garanzia . c. Le vicende successive . La revoca e la sostituzione delle misure cautelari personali . a. Le cause di estinzione delle misure cautelari personali . b. I termini di durata massima delle misure cautelari personali . c. La sospensione del decorso dei termini . d. Le impugnazioni contro le misure cautelari personali. Considerazioni preliminari a. Il riesame . b. L'appello c. n ricorso per cassazione. d. n giudicato cautelare . . e. La riparazione per l'ingiusta custodia cautelare . l Le misure cautelari reali. Considerazioni generali . a. n sequestro conservativo b. n sequestro preventivo . . c. a.
2.
3.
4.
5.
6.
391 391 3 95 400 402 402 404 410 411 4 18 418 420 423 426 426 428 429 435 437 437 438 442 444 444 446 450 450 450 452
Parte Terza IL PROCEDIMENTO ORDINARIO
CAPITOLO I
LE INDAGINI PRELIMINARI l.
Le disposizioni generali sulle indagini. Considerazioni preliminari Le finalità delle indagini preliminari b. Il giudice per le indagini preliminari c. La notizia di reato. a.
2.
457 457 458 45 9 460
Manuale di procedura penale
XII
Considerazioni generali . La denuncia . . . . . . . n referto. . . . . . . . . c. L'obbligo di informare il pubblico ministero . d. Le condizioni di procedibilità . . . . . . . . . . . n segreto investigativo ed il divieto di pubblicazione . Considerazioni preliminari . . . a. Gli atti conoscibili dall'indagato b. c. Gli atti segreti . n divieto di pubblicazione . . . d. L'attività di iniziativa della polizia giudiziaria . La regolamentazione dell'attività di iniziativa . a. Le sommarie informazioni dall'indagato b. Le sommarie informazioni dal possibile testimone c. L'identifìcazione. . . d. I rilievi e gli accertamenti urgenti: il sopralluogo . e. Altri atti di iniziativa della polizia giudiziaria . . . l L'attività di iniziativa del pubblico ministero . Il registro delle notizie di reato. L'informazione di garanzia a. Gli atti compiuti personalmente o su delega b. Le informazioni assunte dal possibile testimone . . . . . . c. L'interrogatorio dell'indagato. L'invito a presentarsi . . . . d. L'interrogatorio di una persona imputata in un procedimento connesso o collegato . e. L'accertamento tecnico operato dal consulente del pubblico ministero. l Accertamenti idonei ad incidere sulla libertà personale . . g. L'individuazione di persone e di cose. Altre attività di indagine . . . . h. n controllo sulla legittimazione del pubblico ministero . . . . . . . . . l. l. L'avviso di conclusione delle indagini come condizione per la richiesta di rinvio a giudizio . . . . . . . . . . L'arresto in flagranza ed il fermo . a. Considerazioni preliminari L'arresto. . . . . . . . . . . b. c. n fermo . . . . . . . . . . d. La convalida dell'arresto e del fermo . L'incidente probatorio . . . . . . . Considerazioni preliminari . . . . a. I casi di incidente probatorio . b. c. n contraddittorio sull'ammissibilità dell'incidente. d. n diritto ad effettuare le contestazioni probatorie e. Lo svolgimento dell'udienza. La Banca dati nazionale del DNA . . . . . Considerazioni introduttive . . . . . . a. I canali di approvvigionamento della Banca dati nazionale . b. c. I princìpi che regolano la Banca dati nazionale del DNA . I profili genetici che sono messi a confronto con quelli archiviati nella Banca dati d. nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . a.
b.
3. 4.
5.
6.
7.
8.
9.
460 461 463 464 465 468 468 468 470 473 475 475 478 479 481 483 487 489 489 494 496 498 499 501 503 506 5 10 511 5 13 5 13 514 516 5 17 520 520 521 523 525 526 529 529 530 533 535
CAPITOLO II LA CONCLUSIONE DELLE INDAGINI PRELIMINARI l.
n termine per le indagini preliminari . Considerazioni introduttive . n termine nel procedimento contro un indagato b. La proroga del termine per le indagini . . c. d. n termine nel procedimento contro ignoti . . .
a.
537 537 537 539 540
Indice-Sommario 2.
3.
e. La non prorogabilità dei termini massimi . L'azione penale . . . . . . . . . . . . a. La nozione di azione penale . . . b. L'obbligatorietà dell'azione penale c. n monopolio dell'azione penale . d. La procedibilità d'ufficio . . . . . e. L'irretrattabilità dell'azione penale L'archiviazione . . . . . . . . . . a. Considerazioni preliminari b. La richiesta di archiviazione nei confronti di un indagato La richiesta di archiviazione perché il reato è stato commesso da persone ignote c. La riapertura delle indagini a seguito dell'archiviazione . . . . . . . . . . . d.
XIII
542 542 542 543 545 545 546 547 547 550 554 555
CAPITOLO III
L'UDIENZA PRELIMINARE
l.
2.
3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
Considerazioni generali . . . . . . . . . . . La fase introduttiva dell'udienza preliminare . . a. Gli adempimenti che precedono l'udienza La presenza dell'imputato e del difensore. b. La contumacia. . . . . . c. Lo svolgimento ordinario dell'udienza . . . . . L e indagini s u iniziativa del giudice . . . . . . . L a attività di integrazione probatoria del giudice. La modifica dell'imputazione . . . . La sentenza di non luogo a procedere . . . . . . n decreto che dispone il giudizio . . . . . . . . n fascicolo per il dibattimento ed il fascicolo del pubblico ministero L'impugnazione contro la sentenza di non luogo a procedere La revoca della sentenza di non luogo a procedere .
557 558 558 560 562 563 565 566 568 569 572 574 576 578
CAPITOLO IV
L'INVESTIGAZIONE DIFENSIVA
SEZ. I - SISTEMA PROCESSUALE E INVESTIGAZIONE DIFENSIVA
l.
2. 3.
SEz . II
4. 5. 6. 7. 8.
579 580 581
n diritto di difendersi mediante prove . n fondamento costituzionale delle indagini difensive . L'interesse privato che connota le indagini difensive .
-
CASI E MODI DELL'INVESTIGAZIONE DIFENSIVA
I soggetti dell'investigazione difensiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'intervista difensiva . . . . . L'audizione della persona che si è avvalsa della facoltà di La presentazione della documentazione difensiva . Le altre attività di investigazione difensiva . . . . . . . .
. . . . . . . . non rispondere . . . . . . . .
584 588 5 93 5 97 598
Manuale di procedura penale
XIV
9. 10. 11. 12.
La consulenza tecnica privata fuori dei casi di perizia . Rilievi e accertamenti tecnici compiuti dal difensore . Gli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dal difensore Le modalità di utilizzazione degli atti di investigazione difensiva .
SEz.
13. 14. 15.
III
-
600 602 604 606
L'INVESTIGAZIONE DIFENSIVA E LA LEGGE SULLA PRIVACY
n codice i n materia d i protezione dei dati personali . . . . Le investigazioni difensive su dati personali "non sensibili" Le investigazioni difensive su dati personali "sensibili" . . .
CAPITOLO
607 609 610
v
IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO
SEZ.
l.
2. 3. 4. 5.
8. 9. 10. 11.
II
-
III - Gu
619 620 620 620 621 624 625 625 627
Arn INTRODUTI1VI AL DIBATTIMENTO
La costituzione delle parti e l'assenza dell'imputato La contumacia . . . . . . Le questioni preliminari. . . . . . . . . . . . . . .
SEZ.
15. 16. 17. 18. 1 9.
612 614 615 617 618
LE DISPOSIZJONI GENERALI SUL DIBATTIMENTO
I poteri del presidente e dell'organo giudicante. L'udienza . L a pubblicità delle udienze . . . Il concetto di "pubblicità" a. La pubblicità immediata . b. Le riprese televisive del dibattimento. c. n principio del contraddittorio . n principio di oralità . . . . . . n principio di immediatezza . . n principio della concentrazione
SEZ.
12. 13. 14.
ATTI PRELIMINARI AL DIBATTIMENTO
Considerazioni generali . . . . . . . . . _ . . _ . . . . . . . . _ Gli atti preliminari al dibattimento . . . . . . . . . . . . . . . L a lista dei testimoni, consulenti tecnici, periti e imputati connessi Le funzioni eventuali della fase degli atti preliminari al dibattimento . . . . . . . . . . . . . . . . . Le indagini integrative .
SEZ.
6. 7.
I - Gu
IV
-
629 63 1 632
IL DffiATilMENTO
L'apertura del dibattimento e le richieste di prova L'istruzione dibattimentale. L'ordine dei "casi" . . L'ordine delle prove all'interno del singolo "caso" I preliminari all'esame incrociato . L'esame incrociato . . . . . . . . . . . _ . . . .
. . .
.
633 637 63 9 640 64 1
Indice-Sommario 20.
Le dichiarazioni rese prima del dibattimento e la loro utilizzabilità Dal codice del 1988 alla riforma costituzionale . L'art. 111 Cost. ed il principio del contraddittorio . . . b. n principio generale della inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni c. La consultazione di documenti in aiuto alla memoria. d. e. La contestazione probatoria . . . n testimone che rifiuta l'esame di una delle parti . l g. La contestazione di qualsiasi altra risultanza . h. La lettura degli atti . . . . . . . . . . . . . Principio dispositivo e poteri di iniziativa probatoria esercitabili dal giudice . Considerazioni preliminari . . . . . . . . . . a. I poteri di iniziativa probatoria in dibattimento . b. L'inerzia del pubblico ministero ed i poteri di iniziativa del giudice . c. La rinuncia alla prova . . . . . . . . . . . . . . . . . d. La partecipazione e l'esame "a distanza" . . . . . . . . . . . Le nuove contestazioni. La correlazione tra imputazione e sentenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La discussione finale a.
21.
22. 23. 24.
SEZ. V
25. 26. 27. 28. 29. 30. 3 1. 32. 33. 34.
-
Gu ATTI
SUCCESSIVI
647 647 648 652 654 655 663 665 666 671 671 672 674 677 679 682 688
AL DlliATilMENTO. LA S ENTEN ZA
Considerazioni generali . Tempi e modi della deliberazione. Pubblicazione e deposito della sentenza I requisiti della sentenza. La motivazione . . . . . . . . . . . . . . La sentenza di non doversi procedere . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sentenza di non doversi procedere e interesse dell'imputato all'assoluzione La sentenza di assoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . La mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova di reità. Le disposizioni eventuali della sentenza di proscioglimento L a sentenza penale d i condanna . Le statuizioni sulle questioni civili . . . . . . . . . . . . .
689 689 692 696 698 699 701 702 702 704
Parte Quarta I PROCEDIMENTI PENALI DIFFERENZIATI E SPECIALI
CAPITOLO I
I PROCEDIMENTI SPECIALI l.
2. 3.
Procedimenti penali differenziati e speciali. n sistema accusatorio e la semplificazione del processo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La "specialità" dei procedimenti alternativi a quello ordinario . . . . . . . . n giudizio abbreviato . . . Considerazioni generali . . . . . . . a. b. n giudizio abbreviato su richiesta non condizionata c. n giudizio abbreviato su richiesta condizionata . . . Vicende del giudizio abbreviato a seguito di nuove contestazioni d. n ruolo della parte civile . . . . . e. I giudizi abbreviati atipici . l Investigazioni difensive e giudizio abbreviato . g. I limiti all'appello nel giudizio abbreviato. . . h.
707 709 710 710 7 12 713 716 7 17 718 720 722
XVI
4.
5.
6.
7. 8.
Manuale di procedura penale L'applicazione della pena su richiesta delle parti . . . . . . . . . . . . . . a. Considerazioni generali. La duplice configurazione del rito. Il patteggiamento "tradizionale" : l'aspetto preponderante dei benefici . b. c. Il patteggiamento "allargato" . . . . . . . . . . . d. La disciplina comune . . . . . . . . . . . . . . Natura ed effetti della sentenza di patteggiamento e. Il diritto di difendersi "negoziando": il controllo sulla ragionevolezza del rigetto della f richiesta di pena. . . . . . . Il giudizio immediato . . . . . . . . a. Considerazioni introduttive . . . . b. Il giudizio immediato chiesto dall'imputato . Il giudizio immediato chiesto dal pubblico ministero . c. Il giudizio direttissimo . . . . . . . . . . . . . . . . Il giudizio direttissimo previsto dal codice . . . a. b. Il giudizio direttissimo previsto da leggi speciali Il procedimento per decreto L'ablazione . . . . . . . . . . .
725 725 726 728 730 733 739 7 42 7 42 743 7 44 7 48 7 48 750 751 754
CAPITOLO II IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE MONOCRATICO l.
2. 3. 4.
Considerazioni introduttive . . . . . . . . . . . . . . . Il procedimento monocratico con udienza preliminare . I l procedimento monocratico con citazione diretta . I riti speciali nel procedimento monocratico . . . . . .
757 758 759 762
CAPITOLO III
IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE l.
2. 3. 4. 5. 6. 7.
Considerazioni introduttive . . . . . . . . Le indagini preliminari . . . . . . . . . . L a conclusione delle indagini preliminari . La citazione a giudizio su ricorso della persona offesa I l giudizio: l e definizioni alternative del procedimento Il dibattimento davanti al giudice di pace. Le impugnazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
765 769 771 774 778 781 783
CAPITOLO IV IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE PER I MINORENNI l.
2. 3.
4. 5. 6.
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . Gli organi della giustizia penale minorile . I princìpi guida del sistema . . . . . . . . La finalità rieducativa . . . . . . . a. b. La minima offensività del processo. Le misure cautelari c. La tutela della personalità e della riservatezza del minorenne La distinzione tra norme sull'imputabilità e norme di adattamento. d. Le indagini sull'età e sulla personalità . . . . . . . . . . La definizione del procedimento in udienza preliminare . . . . . . . L'intervento penale senza la condanna . . . . . . . . . . . . . . . a. La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto .
785 787 789 789 790 792 793 794 796 7 97 7 97
Indice-Sommario Il perdono giudiziale . . . . . . La sospensione del processo con messa alla prova L e attenuazioni del sistema sanzionatorio i n caso d i condanna . a. Gli interventi al momento della pronuncia della sentenza Gli interventi durante l'esecuzione della pena . . b.
b.
c.
7.
XVII
798 799 800 800 801
CAPITOLO V
IL PROCEDIMENTO NEI CONFRONTI DEGLI ENTI PER ILLECITI AMMINISTRATIVI DIPENDENTI DA REATO l.
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
Qualificazione e struttura dell'illecito dell'ente . Le sanzioni applicabili . . . . . . . . . . . . L'accertamento della responsabilità dell'ente . Il regime delle prove . . . . . . . . . . . . Le misure cautelari . . . . . . . . . . . Indagini preliminari e udienza preliminare . I procedimenti speciali Il giudizio . . Le impugnazioni L'esecuzione . .
803 906 807 808 809 813 814 815 816 817
Parte Quinta LE IMPUGNAZIONI
CAPITOLO I
I PRINCÌPI GENERALI SULLE IMPUGNAZIONI PENALI l.
2.
3. 4.
5.
Impugnazioni ordinarie e straordinarie . L e disposizioni generali sulle impugnazioni. Il principio di tassatività a. L'effetto sospensivo . b. c. L'effetto estensivo . L'effetto devolutivo dell'impugnazione: capi e punti della sentenza d. I soggetti legittimati a d impugnare . Regole generali sulle impugnazioni . Dichiarazione di impugnazione . a. Termini per impugnare . b. c. I motivi nuovi . Il giudice competente a conoscere l'impugnazione . d. e. La rinuncia all'impugnazione . L'inammissibilità dell'impugnazione
819 820 820 82 1 822 823 825 829 829 830 83 1 83 1 832 832
CAPITOLO II
L'APPELLO l.
2. 3. 4. 5.
Considerazioni preliminari . . . . Appello principale ed incidentale . Casi di appello . . . . . . . . . La cognizione del giudice di appello Il predibattimento in appello . . . .
834 835 83 7 844 845
XVIII
6. 7. 8. 9. 10.
Manuale di procedura penale Provvedimenti in ordine all'esecuzione delle condanne civili . Lo svolgimento del giudizio di appello. L'udienza pubblica . . L'udienza in camera di consiglio . . . . . . . . . . . . . Questioni di nullità e natura della giurisdizione d'appello La sentenza del giudice di appello . . . .
846 847 849 850 852
CAPITOLO III
IL RICORSO PER CASSAZIONE l.
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
La corte di cassazione come supremo organo giurisdizionale . I motivi del ricorso per cassazione . . L a inammissibilità del ricorso per cassazione . . . . Cognizione e ragionamento giuridico della corte d i cassazione . n procedimento in cassazione . . . . . . . La tipologia delle sentenze della suprema corte. n giudizio di rinvio . Il provvedimento abnorme . . . . . . . . . . .
853 856 860 862 862 865 869 870
CAPITOLO IV
LE IMPUGNAZIONI STRAORDINARIE l.
2. 3. 4. 5. 6. 7.
Considerazioni preliminari . Errore di fatto ed errore di diritto I casi di revisione . . . . . . . Il procedimento. La fase di delibazione . Il giudizio di revisione . . . La riparazione dell'errore giudiziario . . Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto
874 875 876 879 880 882 883
Parte Sesta IL GIUDICATO E L'ESECUZIONE PENALE
CAPITOLO I
GLI EFFETTI DEL GIUDICATO PENALE l.
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 1 1.
L'irrevocabilità L'esecutività . . D ��� . . I limiti dell'efficacia preclusiva della sentenza irrevocabile D giudicato penale i n relazione a d altri processi penali . . La sentenza penale irrevocabile ed il processo per il risarcimento del danno cagionato dal . . . . . . . . . reato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'esercizio tempestivo dell'azione di danno e la separazione delle giurisdizioni . Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno . Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno. Efficacia della sentenza penale di assoluzione o di condanna nel giudizio disciplinare davanti alle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pubbliche autorità. . . . . . . . . . . . . Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi . .
887 888 �
890 895 897 899 90 l 903 906 908
Indice-Sommario
XIX
CAPITOLO II L'ESECUZIONE PENALE
l.
L'oggetto dell'esecuzione .
2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
I soggetti dell'esecuzione .
91 1 912 915 916 924 924 935 938 940
L'attività esecutiva.... L'e�ecuzione delle pene detentive. L'esecuzione delle pene pecuniarie . La giurisdizione esecutiva . La magistratura di sorveglianza .
n casellario giudiziale . Le spese ..
Parte Settima I RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITÀ STRANIERE
CAPITOLO I L'ESTRADIZIONE
l.
Considerazioni generali ...
2.
L'estradizione ........
a.
L'estradizione per l'estero (o passiva).
b.
L'estradizione suppletiva, la riestradizione e l'estradizione in transito
c.
I provvedimenti cautelari .
d.
L'estradizione dall'estero (o attiva) ................. .
941 943 945 949 950 952
CAPITOLO II GLI ALTRI STRUMENTI DI COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE
l.
2. 3. 4. 5. 6.
Le rogatorie internazionali .
.. . .... . ..
a.
Le rogatorie internazionali dall'estero (o passive).
b.
Le rogatorie internazionali all'estero (o attive) ..
L'inutilizzabilità degli atti raccolti tramite rogatoria internazionale . La partecipazione e l'esame "a distanza" ...... . .. .
.
n riconoscimento degli effetti delle sentenze penali straniere . . . . L'esecuzione all'estero di sentenze penali italiane .. . .. . L'efficacia preclusiva della sentenza penale straniera.n
.
. . . ne bis in idem internazionale
954 954 957 959 960 961 965 966
CAPITOLO III LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE NELL'AMBITO DEL CONSIGLIO D'EUROPA E DELL'UNIONE EUROPEA
l.
Considerazioni generali
2. 3.
Le Convenzioni del Consiglio d'Europa
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La cooperazione giudiziaria nell'ambito dell'Unione europea.
a.
L'Accordo di Schengen e la sua integrazione nell'Unione
b.
n Sistema di informazione Schengen . . . . . .
c.
La Convenzione Europol: l'ufficio europeo di polizia.
d. e.
I magistrati di collegamento. .
f
. . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . La Rete giudiziaria europea . L'istituzione di Eurojust per rafforzare la lotta contro le gravi forme di criminalità
97 O 97 1 971 972 973 976 977 977 978
Manuale di procedura penale
xx
4.
Il mandato di arresto europeo . .
a. b. c. d.
Considerazioni generali . .
.
. . . . . . . . . . . . . .
L'ambito di applicazione del mandato di arresto europeo La procedura di esecuzione passiva . La procedura di esecuzione attiva. . . . . . . . .
. . . .
981 981 983 985 989
APPENDICE CONSIDERAZIONI SULLA PSICOLOGIA DELLA TESTIMONIANZA
l.
Le Scuole penalistiche e le teorie sulla testimonianza.
2.
I momenti della testimonianza
3.
La sensazione .
a. b. c. d. e.
La rielaborazione
l
L'espressione
La percezione . La memoria . La rievocazione .
La testimonianza dei minorenni.
Indice analitico .
991 993 993 993 994 995 996 998 999
1005
PREMESSA
Con il nuovo codice di procedura penale, promulgato il 24 ottobre 1988 ed entrato in vigore un anno dopo, si è attuato in Italia il passaggio dal sistema misto a quello accusatorio. Il legislatore ha voluto configurare tale passaggio non per gradz; bensì in modo netto e deciso; ciò ha comportato vari problemi di assesta mento. Dal punto di vista teorico, il legislatore ha creduto che le garanzie processuali potessero essere assicurate limitandosi ad affermare il principio di oralità immediatezza, e cioè rendendo in buona parte non utilizzabili le dichiarazioni rese prima del dibattimento. La fase delle indagini preliminari è stata sguarnita della garanzia del contraddittorio e, soprattutto, in essa si è impedito l'esercizio del diritto alla prova sul presupposto che i risultati, raccolti in tale fase, non sarebbero stati utilizzabili per la decisione finale. In definitiva, si è accolta una visione distorta del sistema accusatorio, che viceversa è basato sulla separazione delle funzioni processuali e sulla presenza di controlli anche nelle fasi anteriori al dibattimento. Dal punto di vista "operativo", il legislatore ha voluto che la mancata predisposizione di strutture idonee non ritardasse l'entrata in vigore del codice. Di conseguenza, fin dall'inizio la carenza di personale, di uffici e di mezzi ha condizionato negativamente l'avvio della rz/orma. Anche nella materia del pro cesso penale si è manz/estato il vecchio vizio idealista di non preoccuparsi di rapportare i fini ai mezzi. Infine, dal punto di vista psicologico si sono manz/estati problemi di adatta mento degli operatori ad una logica processuale che è completamente diversa da quella accolta dal precedente codice e che è basata sul principio dialettico. Ne sono derivate /orti reazioni nei confronti dei nuovi principi. Basti un esempio per tutti: nel codice attuale non si a/ferma più che il verbale è fide/acente fino a querela di falso. Pertanto la normale valutazione di credibilità e di attendibilità riguarda anche la dichiarazione resa dall'ufficiale di polizia giudiziaria verbalizzante. Viceversa tale soggetto, nel codice previgente, si limitava di regola a "confermare" in dibattimento la precedente dichiarazione, che gli veniva letta. Con la prima edizione del presente Manuale (ottobre 1999) ci siamo proposti di dare una valutazione del codice a dieci anni dalla sua entrata in vigore. Abbiamo preso le mosse da alcuni dati difatto che non potevano essere trascurati. Più di ottanta sentenze della Corte costituzionale avevano dichiarato l'illegittimità
XXII
Manuale di procedura penale
di disposizioni non marginali del testo originario del 1988. Oltre trenta leggi avevano inciso profondamente sulla struttura dei nuovi istituti. Le linee di tendenza che il Parlamento aveva seguito erano state molteplici e, a volte, contraddittorie. Avevamo ritenuto di intravedere, nel fenomeno che si era verifi cato, una similitudine con quello che è avvenuto nel 1791 quando il legislatore rivoluzionario ha voluto introdurre, all'interno dell'ordinamento francese, il processo penale inglese di allora senza operare un passaggio graduale. In quella occasione il sistema accusatorio si è scontrato con la mentalità degli operatorz; abituati ad altri schemi culturalt;- le modifiche normative al processo penale si sono succedute frenetiche per quasi un ventennio fino all'avvento della codificazione napoleonica del 1808. Per tali motivi non ci siamo sorpresi dei cambiamenti intervenuti in Italia dal 1989. Né ci siamo scandalizzati del fatto che si fosse persa l'originaria coerenza di alcuni istituti appartenenti al sistema accusatorio. Nella seconda edizione del Manuale (marzo 2000) abbiamo iniziato ad ap profondire le problematiche poste dai principi del giusto processo, introdotti dai nuovi commi dell'art. 111 della Costituzione. Abbiamo anche tenuto conto della rz/orma apportata dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (c. d. legge Carottz). Le due modifiche normative hanno dato un segnale chiaro della linea di tendenza che si è manz/estata negli ultimi tempi da parte del legislatore; hanno dimostrato, ci pare, che si è abbandonato lo scontro tra opposti massimalismi per arrivare, sia pure faticosamente ed in modo irregolare, ad una stagione nella quale si è cominciato ad operare un bilanciamento tra contrastanti esigenze. Il travaglio dell'esperienza ha indotto il Parlamento a ritenere necessario un contempera mento più ragionevole tra opposte istanze per strutturare un meccanismo che permetta di accertare i fatti e rendere Giustizia. A dieci anni dall'entrata in vigore del nuovo codice si è posto il problema di ricostruire dalle fondamenta i principi del giusto processo, sulla base degli enunciati contenuti nel nuovo art. 111 della Costituzione. Da un lato, non è "giusto" quel processo che impedisce all'imputato di confrontarsi davanti ad un giudice con colui che lo ha accusato e, quindz; di costringerlo a deporre secondo verità, facendogli assumere le responsabilità deri vanti da una falsa dichiarazione. Da un altro lato, non è "giusto" quel processo che non riconosca uno "statuto" dei diritti del testimone e della persona offesa. Ma si potrebbero menzionare altre situazioni che sono ritenute non più accettabili dalla società civile e che impongono un cambiamento di mentalità. Già allora notavamo che il continuo mutare delle disposizioni di legge aveva reso molto difficile il lavoro sia dello studioso, che deve ricostruire il sistema, sia dell'operatore pratico, che non dispone di strumenti collaudati e che vive in una situazione di sperimentazione perenne. La terza edizione (settembre 2001) ha preso occasione dall'ampia manovra di rz/orma che è stata operata dal Parlamento nello scorcio della tredicesima legisla-
Premessa
XXIII
tura, tra il giugno 2000 ed il marzo 2001. Il legislatore ha seguito almeno due linee di intervento: ha cercato di dare una maggiore efficienza all'amministrazione della Giustizia e ha voluto attuare alcuni tra i prindpi del giusto processo. La legge n. 63 del 2001 ha segnato profondamente il tema della prova dichiarativa con modifiche di inedita complicazione. La quarta edizione (settembre 2002) ha dato conto delle novità che si sono manz/estate in seguito ai/atti dell'11 settembre 2001. Il legislatore ha adeguato il processo penale all'esigenza di accertare i reati di terrorismo; ha ampliato i casi di rimessione del processo; ha regolato alcuni aspetti dei rapporti giurisdizionali con le autorità straniere; infine, ha predisposto normative processuali che denotano una spiccata funzione servente rispetto a rz/orme attuate nel diritto penale sostanziale. La quinta edizione (2003) è uscita in un momento nel quale si/aceva sempre più pressante l'esigenza di assicurare al processo penale una durata ragionevole. Interpreti di questa esigenza erano statz; ciascuno per la sua parte, la Corte costituzionale ed il legislatore. La prima aveva sancito il sindacato sull'ordinanza con cui il giudice dell'udienza preliminare rigetta la richiesta di giudizio abbreviato condizionata all'assunzione di prove (sentenza n. 169 del 2003). Il secondo aveva introdotto un nuovo tipo di patteggiamento che permette di concordare una pena detentiva da due anni e un giorno fino a cinque anni (legge n. 134 del 2003). A fianco della legge menzionata se ne collocavano altre che, tutte, denotavano una comune caratteristica, e cioè quella della frammentarietà. Il legislatore mostrava di non avere una visione sistematica di intervento nella materia del processo penale. La sesta edizione (2005) ha tenuto conto dell'opera interpretativa della giurisprudenza, che per la prima volta ha superato per importanza le rz/orme legislative, intervenute con estrema parsimonia e su istituti di dettaglio. L'aggior namento giurisprudenziale ha costituito altresì occasione propizia per la rielabo razione e l'integrazione di varie parti e l'approfondimento di alcuni temi quali la cooperazione giudiziaria europea e la prova del rapporto di causalità. La settima edizione (2006) è uscita in un momento di enfasi normativa, che si è manz/estata con il finire della quattordicesima legislatura. Ricordiamo, in particolare, le disposizioni sulla restituzione nel termine per impugnare le sentenze contumacialz; sul mandato d'arresto europeo e sulla inappellabilità delle sentenze di proscioglimento. In comune con la linea di tendenza che ha caratterizzato gli ultimi annz; la produzione legislativa ha conservato la frammentarietà che ave vamo rilevato in precedenza: il Parlamento si è dimostrato incapace di proporre una strategia coordinata di intervento sul processo penale. Vi è stato un sorpren dente mutamento di ruoli: ha continuato ad essere molto attiva la giurisprudenza, che ha portato avanti l'opera di rzòrdinazione sistematica della normativa proces suale.
XXIV
Manuale di procedura penale
La ottava edizione (2007) è venuta alla luce in un momento nel quale la produzione legislativa del Parlamento sembrava essersi arrestata, se si eccettua l'intervento sullo spionaggio e dossieraggio illegali. Il Governo aveva nominato, con ampio risalto, una Commissione per la rz/orma del codice di procedura penale, presieduta dal Pro/ Giuseppe Riccio, che il 20 febbraio 2008 ha presentato il testo di una nuova legge delega. Ormai si è diffusa la consapevolezza che i pur rilevanti interventi normativi, sedimentatisi dal 1988, devono essere ricomposti in un sistema armonico e funzionale. La nona edizione ha segnalato l'entrata in vigore della legge 18 marzo 2008, n. 48 (ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità infor matica, /atta a Budapest il 23 novembre 2001), del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 « Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica », convertito in legge 24 luglio 2008, n. 125, del d. lgs. 30 maggio 2008, n. 109, di attuazione della direttiva 2006/24/CE (c.d. Frattinz) riguardante la conservazione dei dati generati o trattati nell'ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettro nzca. La decima edizione (2009) ha tenuto conto del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in legge n. 38 « Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori »; della legge 30 giugno 2009, n. 85, recante l'adesione della Repubblica italiana al Trattato di Priim e l'istituzione della Banca dati nazionale del DNA; della legge 15 luglio 2009, n. 94 « Disposizioni in materia di sicurezza pubblica ». A venti anni dall'entrata in vigore del codice. Occorre segnalare che il 24
ottobre 2009 sono stati celebrati i venti anni da quando è entrato in vigore il codice del 1988. Chi abbia l'occasione di leggere la versione originaria del codice e la metta a confronto con il testo oggi vigente, deve registrare che i cambiamenti intervenuti sono stati molti e su punti non secondari. A noi preme rilevare non tanto la quantità e qualità delle modifiche, peraltro imponenti anche sotto un profilo di struttura, quanto piuttosto un altro fenomeno, che riteniamo più importante. Quello che sta mutando, grazie al nuovo codice, è il modo di approcciarsi di coloro che di volta in volta hanno ispirato le modifiche e che stanno indicando le prospettive di rz/orma. Nel momento in cui sono state pensate le linee direttrici del codice del 1988 e negli anni immediatamente successivi alla sua entrata in vigore, la calibratura dei singoli istituti aveva provocato qualcosa di simile alle vecchie dispute medioevali così bene rievocate nel libro "Il nome della rosa". Lo scontro interno alle categorie dei docenti universitarz; dei magistrati e degli avvocati si caricava di significati ideologici al punto che sembrava evocare una forma di lotta tra coloro che dz/endevano fino all'ultimo dogmi nei quali credevano e coloro che non demor devano dal voler attuare nuovi prindpi progressisti in modo assoluto.
--
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Premessa
xxv
Nel tempo, si è compreso che non si poteva continuare ad utilizzare una cultura fatta di massimalismo, nella quale il principio doveva sempre prevalere sulla realtà. È accaduto che la realtà si è ribellata rispetto alla statica prigione delle norme elaborate con occhiali teoretici. Gli strumentz; anche quelli giuridicz; dovevano essere valutati in modo laico, nella loro funzionalità in concreto: occorreva essere pronti ad abbandonarli o a modificarli se le esigenze della pratica lo suggerivano. Il passaggio di venti anni nella esperienza di adattamento del nuovo codice, riteniamo, ha avuto il pregio di innescare un cambiamento soprat tutto di mentalità nei giuristi italiani. In questo possiamo valutare l'effettiva validità del meccanismo rz/ormatore che è stato messo in atto nel 1988. Se volgiamo lo sguardo indietro nella Storia, abbiamo difficoltà nel trovare in altri Paesi qualcosa di analogo alla esperienza di questi venti anni. Invero, in esordio abbiamo creduto di poter ravvisare una qualche somiglianza con quello che è avvenuto nel corso della Rivoluzione francese dal 1791 al 1811, quando da un modello inquisitorio si è passati ad uno accusatorio e poi si è costruito poco per volta quello che è stato definito il sistema "misto" per eccellenza. Una delle differenze sta nel fatto che in Italia si è cercato di passare da quel sistema misto ad uno che aveva molti tratti riconducibili a quello accusatorio puro. L'operazione ha rischiato di fallire perché ha rinfocolato le rimostranze di coloro che, essendosi adattati in gioventù al sistema misto, culturalmente erano i meno adatti ad apprezzare la validità delle innovazioni. A questo punto, la necessità di salvare la rz/orma ha indotto i "progressisti" a meglio calibrarla, addirittura n'modulando i fondamenti costituzionali: il contraddittorio è stato salvato perché accanto a tale principio, meglio scandito in senso oggettivo e soggettivo, sono state collocate eccezioni significative rispetto alla totale inutiliz zabilità delle prove raccolte in modo unilaterale: occorreva tenere conto dell'esi genza che la giustizia doveva pure essere amministrata. Parallelamente, al posto di un principio dispositivo assoluto, se ne è accolta una versione attenuata, che salva l'esigenza cognitiva ricavabile dalla Costituzione: una equilibrata iniziativa pro batoria del giudice ha permesso di tutelare l'accertamento dei fatti e la persona umana. Il principio dialettico ha dovuto coordinarsi con il principio personalistico che ispira l'ordinamento costituzionale italiano. Questo riteniamo sia il significato della evoluzione dei primi venti anni del nuovo codice e la dimostrazione della vitalità delle scelte effettuate nel 1988. La presente edizione tiene conto del decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10 « Disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale », conv. nella legge 6 aprile 2010, n. 52, e della legge 7 aprile 2010, n. 51 « Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza ». Anche nella elaborazione della attuale edizione sono stati determinanti i contributi e le valutazioni critiche di Lorenzo Algerz; Gian Marco Baccari, Maria
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XXVI
Manuale di procedura penale
Elisabetta Cataldo, Sofia Cavin� Serena Chimichz; Carlotta Contz; Anna Fabbri catore, Paola Felicionz; Valentina Gorz; Michele Nigra, Paolo Peretolz; Giovanni Sicigliano ed Enrico Zurli. A loro va il ringraziamento sentito dell'Autore. Firenze, 29 luglio 2010
AVVERTENZE E ABBREVIAZIONI
l. Gli articoli citati senza alcuna ulteriore indicazione appartengono, di regola, al codice di procedura penale; tuttavia nel capitolo sul procedimento davanti al giudice di pace gli articoli citati senza ulteriore indicazione appartengono al d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274. 2 . Con il termine "tav." seguito dal numero, si fa riferimento alle tavole sinottiche collocate nel volume Guida allo studio del processo penale, del medesimo Autore, ed. Giuffrè. 3 . Con il termine " atto " seguito dal numero, si fa riferimento all'esempio di atto processuale contenuto nel testo appena citato. 4. La conversione in euro delle sanzioni pecuniarie avviene in base all'art. 5 1 comma 3 d.lgs. 24 giugno 1998 n. 2 1 3 : « se l'operazione di conversione ( . . . ) produce un risultato espresso anche con decimali, la cifra è arrotondata eliminando i decimali ».
Abbreviazioni att. Mae
legge 22 aprile 2005 n. 69 « Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri » C.A.A.S. convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, 1 9 giugno 1 990 c.p. codice penale c.p.p. codice di procedura penale c.p. p.m. d.p.r. 22 sett. 1 988 n. 448: disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni C.E.D.U. Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali disp. att. norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale: d.lgs. 28 luglio 1989 n. 27 1 d.p.r. decreto del Presidente della Repubblica d.lgs. decreto legislativo DQ Decisione-quadro del Consiglio del 13 giugno 2002 relativa al mandato di arresto europeo ed alle procedure di consegna tra Stati membri (2002/584/GAI) g.d.p. procedimento penale davanti al giudice di pace: d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 l. r. Budapest legge 18 marzo 2008, n. 48, recante la « Ratifica ed esecuzione della
XXVIII
m. ord. giud. ord. pen. r. d.l. T.U.E. T.F.U.E. T.U.L.S. T.U.L.P.S. T.U.S.G T.U.C.G.
Manuale di procedura penale Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 200 1 , e norme di adeguamento dell'ordina mento interno ». disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni: d.p.r. 22 settembre 1 988 n. 448 ordinamento giudiziario: r.d. 30 gennaio 194 1 n. 12 ordinamento penitenziario: legge 26 luglio 1975 n. 354 regio decreto legge Trattato sull'Unione europea Trattato sul funzionamento dell'Unione europea testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti: d.p.r. 9 ottobre 1 990 n. 3 09 testo unico delle leggi di pubblica sicurezza: r.d. 1 8 giugno 1 93 1 n. 773 testo unico delle spese di giustizia: d.p.r. 30 maggio 2002 n. 1 15 testo unico in materia di casellario giudiziale: d.p.r. 14 novembre 2002 n. 3 13
Parte Prima EVOLUZIONE STORICA DEL PROCESSO PENALE - LE FONTI
CAPITOLO I SISTEMA INQUISITORIO, ACCUSATORIO E MISTO
- �L\IARIO: l . Diritto penale e diritto processuale penale. - 2. La protezione della società e la
difesa dell'imputato. - 3. Sistema inquisitorio e sistema accusatorio.
-
4 . Sistema inqui
sitorio e principio di autorità. - 5. Sistema accusatorio e principio dialettico. - 6. Sistema processuale e regime politico. - 7. Sistema processuale ed efficacia. - 8. Cenni storici sul processo penale. - 9. n processo penale dello Stato assoluto. - 1 0. n processo penale inglese. - 1 1 . La Rivoluzione francese e l'evoluzione del processo penale. - 12. Il sistema misto nel Code d'instruction criminelle. - 1 3 . I codici italiani di procedura penale.
l.
Diritto penale e diritto processuale penale.
La legge penale definisce i "tipi di fatto" che costituiscono reato e le sanzioni previste per coloro che li commettono. La legge processuale penale regola il procedimento mediante il quale si accerta se è stato commesso un fatto di reato, se l'imputato ne è l'autore e, in caso positivo, quale pena debba essergli applicata. Una volta che è stato commesso un reato, occorre accertare le modalità del fatto, scoprirne il responsabile (o i responsabili) e applicare le sanzioni. Questo compito in una società ordinata spetta allo Stato in base al diritto; non si può lasciare che i cittadini, le persone offese o i loro familiari si facciano Giustizia da soli. L'uso della coercizione e della forza deve restare monopolio dello Stato. n compito di accertare se un imputato è responsabile di un reato è demandato al giudice. Le modalità di svolgimento del processo penale non devono essere lasciate alla discrezione di quest'ultimo, bensì devono essere regolate dalla legge. n diritto processuale penale è il complesso delle norme di legge che disciplinano le attività dirette all'attuazione del diritto penale nel caso concreto. In questo senso comunemente si afferma che il diritto processuale ha una funzione strumentale rispetto al diritto penale sostanziale. n giudice accerta se il fatto commesso dall'imputato rientra nella fattispecie (tipo di fatto) prevista
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Evoluzione storica del processo penale
1.1.2
dalla legge penale incriminatrice; in caso positivo, l'imputato deve essere condannato. La caratteristica di " strumentalità" non è una diminuzione per il diritto processuale penale ( 1 ) . Senza un processo regolato dalla legge e rispettoso dei diritti delle parti, l'applicazione della norma penale si trasformerebbe in un " diritto di polizia" ; non vi sarebbe accertamento dei fatti operato da un soggetto imparziale, che valuti gli argomenti prospettati dall'accusa e dalla difesa. Qualche precisazione è necessaria. Le due branche del diritto hanno per oggetto norme giuridiche; tuttavia sono differenti le attività che vengono regolamentate. Il diritto penale sostanziale vieta determinati fatti mediante la minaccia di una pena; i suoi precetti si rivolgono a tutti i cittadini. Il diritto processuale penale regola l'accertamento di una responsabilità penale e, quindi, prescrive i comportamenti processuali da tenere; i suoi precetti si rivolgono specificamente al giudice, al pubblico ministero e agli altri soggetti del proce dimento. Soltanto alcune fra le norme processuali si rivolgono genericamente ai cittadini; ciò avviene, ad esempio, per quelle relative al denunciante ed al testimone. Occorre aggiungere che la legge penale sostanziale ha la finalità di regolare le azioni delle persone, e non di accertarle; l'accertamento dei fatti spetta al processo. La legge processuale penale ha una duplice finalità: da un lato, regola l'attività del giudice e delle parti; da un altro lato, predispone gli strumenti logici mediante i quali il giudice, con il contributo dialettico delle parti, accerta i fatti di reato e la personalità di coloro che li hanno commessi. A causa di questa duplice finalità, nello studio della legge processuale si deve, in misura ancor maggiore che nel diritto penale sostanziale, tenere conto della funzione che deve essere svolta dalle norme.
2.
La protezione della società e la difesa dell'imputato.
L'esigenza di scoprire i reati e di applicare le sanzioni è dettata dalla necessità di proteggere la società contro il pericolo della delinquenza. Nel perseguire tale compito, occorre al tempo stesso predisporre gli strumenti che permettano di accertare se il fatto di reato è stato commesso dall'imputato; ciò è imposto dall'esigenza di difendere l'imputato innocente dal pericolo di una condanna ingiusta. Ma anche nell'ipotesi in cui l'accusato fosse colpevole, il processo dovrebbe difenderlo dal pericolo costituito dall'applicazione di san zioni più gravi di quelle che conseguono ai fatti che vengono accertati. In (l)
A. MAL!NVERNI, Principi del processo penale, Torino, 1 972, 16. Considerazioni sulla inversione del
rapporto di strumentalità tra diritto penale sostanziale e processuale sono svolte, pur ad altro proposito, da T. PADOVANI, La disintegrazione del sistema sanzionatorio e le prospettive di riforma: il problema della comminatoria edittale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1 992, 436.
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Sistema inquisitorio, accusatorio e misto
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definitiva il processo penale, nell'applicare la legge sostanziale, deve perseguire contemporaneamente la funzione di tutelare la società contro la delinquenza e di difendere l'accusato dal pericolo di una condanna ingiusta (2). Le due esigenze hanno pari importanza. Non deve indurre in errore la considerazione secondo cui l'esigenza di tutela della società contro il delin quente riguarda tutti i cittadini e, perciò, costituisce un interesse pubblico, mentre la difesa dell'accusato è oggetto di un interesse privato. Da ciò non si può dedurre che la difesa della società debba prevalere sulla difesa dell'impu tato. È evidente che tutti i cittadini sono indirettamente interessati a che l'imputato abbia gli strumenti processuali che gli permettano di ottenere l'accertamento dei fatti in suo favore; infatti a ogni cittadino potrebbe accadere di essere accusato, pur essendo innocente o avendo commesso un fatto meno grave di quello prospettato da colui che lo accusa. Pertanto l'interesse indivi duale spettante ad un determinato imputato diventa un interesse pubblico riferibile alla generalità dei cittadini. Le norme processuali devono assicurare insieme la protezione della società e la difesa dell'imputato. Sta di fatto che la protezione della società è realizzata con mezzi che impediscono o ostacolano la difesa dell'imputato; ad esempio, il segreto inve stigativo tende ad impedire che l'imputato, o la banda criminale a cui appar tiene, possano inquinare le prove o eliminare i testimoni. Ma il medesimo segreto investigativo può impedire all'imputato di dimostrare che le prove raccolte dall'accusa sono inattendibili o che le fonti non sono credibili. li limitare le possibilità di difesa può ridurre il pericolo di assolvere il colpevole, ma aumenta il rischio di condannare l'innocente o di irrogare pene spropor zionate. Viceversa, l'ampliamento dei diritti di difesa aggrava il pericolo che siano assolti i colpevoli. La difficoltà di coordinare le due esigenze contrapposte sta anche nel fatto che, prima della sentenza irrevocabile, non è possibile stabilire se l'imputato è innocente o colpevole. Il legislatore si trova costretto a inventare soluzioni che, nella ricerca di un coordinamento difficile, inevitabilmente possono sacrificare o la difesa della società, o la difesa dell'imputato. In definitiva, si tratta di scegliere se è più accettabile condannare un innocente o assolvere un colpevole. Il quesito su quale sistema processuale sia il più idoneo ad accertare i fatti di reato deve essere esaminato prima di tutto in chiave storica. Uno dei meriti degli studiosi illuministi è stato quello di riflettere sui "corsi e ricorsi della storia" al fine di individuare le caratteristiche ricorrenti dei regimi politici di tipo garantista e di tipo totalitario. Contemporaneamente gli studiosi hanno rilevato che esiste una stretta correlazione tra regime politico e sistema proces suale: ad un regime totalitario corrisponde un processo penale nel quale la (2)
A. MALINVERNI, Prindpi, cit., 19.
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Evoluzione storica del processo penale
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difesa della società prevale su quella dell'imputato e, viceversa, ad un regime garantista corrisponde un sistema processuale che dà all'imputato una tutela prevalente rispetto alla difesa della società. La distinzione tra sistema processuale inquisitorio ed accusatorio ha as sunto il nuovo significato di " criterio" di scelta politica per valutare l'accetta bilità delle norme che devono regolare il processo penale. La formulazione di tali norme non è soltanto un problema di tecnica giuridica, ma è soprattutto una questione di scelte politiche. Per valutare se un ordinamento, che afferma di essere garantista, lo sia nei fatti, è sufficiente esaminare quale modello proces suale penale accolga. 3.
Sistema inquisitorio e sistema accusatorio.
Già nel periodo medioevale era denominato inqulSltorio quel sistema processuale che attribuiva al giudice il potere di attivarsi d'ufficio per ricercare i reati ed acquisirne le prove. Tale nomenclatura derivava dall'organo che prendeva l'iniziativa in quel tipo di processo, e cioè il giudice inquisitore. Sempre nello stesso periodo storico era denominato accusatorio quel tipo di processo nel quale il giudice non esercitava alcun potere d'ufficio, poiché erano le parti ad avere l'iniziativa. L'avvio del processo, il suo svolgimento e la ricerca delle prove erano lasciati ad una parte, e cioè all'accusatore (ad es., la persona offesa o un suo parente) . Al giudice era attribuito soltanto il potere di prendere decisioni su richiesta di parte. Al potere di iniziativa e di richiesta dell'accusa tore corrispondevano analoghi poteri esercitabili dall'accusato personalmente o mediante un difensore. Oggi con i termini accusatorio e inquisitorio ci si riferisce a " tipi" di processo penale, ai quali sono attribuite determinate caratteristiche. Poiché si tratta di elaborazioni operate in piena libertà dagli studiosi, non vi è uniformità sulle caratteristiche indefettibili di ciascuno dei due sistemi. Tuttavia si può notare che nelle loro ricostruzioni ricorrono caratteristiche simili. In linea di massima, si afferma che il sistema inquisitorio si basa sul segreto e sulla scrittura, mentre quello accusatorio si fonda sul contraddittorio e sull' oralità. Quanto abbiamo appena osservato serve a sottolineare che la contrappo sizione ha un valore meramente astratto, mentre in concreto nella storia sono stati adottati ordinamenti che presentavano caratteristiche tipiche, di volta in volta, sia del sistema inquisitorio, sia di quello accusatorio. I tipi ideali di processo si sono combinati in concreto secondo modalità differenti nelle varie epoche, di modo che solo raramente si è verificato che un determinato ordina mento abbia quasi tutte le caratteristiche del sistema inquisitorio o, viceversa, di quello accusatorio. La maggior parte degli ordinamenti sono di tipo misto;
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l'appartenenza all'uno o all'altro modello dipende da quali caratteri sono considerati essenziali dal singolo studioso al fine di operare la qualificazione. Tutto ciò conferma che i due sistemi sono niente altro che " modelli" : essi vengono ricavati mediante astrazione a partire da alcuni caratteri reali che sono riscontrabili in un determinato ordinamento. Di più: si tratta di due modelli che si possono ricostruire seguendo una contrapposizione ideale delle rispettive caratteristiche. Ad esempio, alla segretezza del sistema inquisitorio viene oppo sto il contraddittorio, che denota il sistema accusatorio. Come si è accennato poc' anzi, nel momento in cui occorre giudicare se un determinato ordinamento appartenga prevalentemente all'uno o all'altro si stema, conta molto quali caratteristiche lo studioso ritenga essenziali al fine di distinguerli. La maggior parte degli studiosi italiani contemporanei ritiene che tali caratteristiche debbano essere individuate nella contrapposizione tra oralità e scrittura. In base a tale opinione, sarebbe prevalentemente inquisitorio quel processo che permette al giudice di decidere su prove scritte, e cioè limitandosi a leggere i verbali di atti compiuti in un momento anteriore da parte di altri soggetti. Viceversa, sarebbe prevalentemente accusatorio quel processo che impone al giudice di decidere soltanto in base a prove che siano assunte oralmente davanti a lui; le prove assunte in precedenza non possono essere utilizzate dal giudice per accertare la reità dell'imputato. Se si desse valore prevalente alle contrapposte caratteristiche appena illustrate, ne deriverebbe che per attuare un sistema accusatorio sarebbe sufficiente limitarsi ad assicurare l' oralità; le altre caratteristiche sarebbero svalutate perché irrilevanti. Purtroppo l'esperienza storica, anche recente, dimostra che non è suffi ciente attuare l' oralità se si vuole predisporre un processo accusatorio. È pericoloso disinteressarsi di tutta quella fase che precede il giudizio; occorre preoccuparsi che anche in tale contesto siano presenti garanzie. Una simile necessità si è manifestata nei primi anni di applicazione del codice italiano del
1 988. n problema è complesso e richiede l'approfondimento di ulteriori variabili.
Per esigenze dovute alle dimensioni e alle finalità del presente studio, ci limitiamo ad esporre le nostre conclusioni. 4.
Sistema inquisitorio e principio di autorità.
All'origine logica della distinzione tra sistema inquisitorio ed accusatorio sta la fondamentale contrapposizione tra principio di autorità e principio dialettico. Da tale impostazione derivano tutte le altre caratteristiche. Il sistema inquisitorio si basa sul principio di autorità, secondo il quale la verità è tanto meglio accertata quanto più potere è dato al soggetto inquirente. In lui si cumulano tutte le funzioni processuali: egli opera al tempo stesso come giudice,
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Evoluzione storica del processo penale
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come accusatore e come difensore dell'imputato. Accolto questo postulato, ne deriva che ad un unico soggetto devono essere concessi pieni poteri in ordine sia all'iniziativa del processo, sia alla formazione della prova. Tale soggetto nella storia assume varie denominazioni, delle quali la più nota è quella accennata di "giudice inquisitore" . Non importa se si tratta di un giudice singolo o collegiale (anche se è un organo eletto democraticamente); quello che conta è il "tipo" di potere che gli è concesso. Si pensa che, se l'autorità facilita l'accertamento del vero e del giusto, tanto maggiore sarà quella, tanto migliore sarà questo. In definitiva, si crede nel "cumulo" delle funzioni processuali in un unico organo. Correlativamente, si tende a non riconoscere alcun potere alle parti; l'offeso e l'imputato sono meri " oggetti" del giudizio, poiché tutti i poteri risiedono nel giudice. In questo sistema non occorre che il giudice sia indipendente; al contrario, si ritiene che quanto più stretto è il suo legame col potere politico (il re, il dittatore, il partito unico, la maggioranza al governo) tanto meglio egli potrà svolgere la sua opera e tanto più aderente al vero sarà la sua decisione. Dal principio del cumulo dei poteri processuali derivano le principali caratteristiche del sistema inquisitorio (v. tav. 1 . 1 . 1 ) . a ) Iniziativa d'ufficio. L'iniziativa del processo penale deve spettare al giudice. Poiché è il depositario del vero e del giusto, egli non deve essere ostacolato dalla inattività delle parti. Non è necessario che il suo intervento sia richiesto da un soggetto che accusa un imputato: il giudice deve poter iniziare il processo d'ufficio anche se nessuna persona è uscita allo scoperto per costituirsi come parte che accusa. È sufficiente una denuncia anonima a mettere in funzione il giudice inquisitore. Non serve un organo pubblico o privato di accusa, né la polizia: il sistema inquisitorio può farne a meno, pur ottenendo alti livelli di efficienza, come la storia purtroppo dimostra. b) Iniziativa probatoria d'ufficio. La ricerca delle prove non deve spettare alle parti, bensì al giudice stesso, perché egli ha più poteri e, quindi, meglio può conoscere il vero e il giusto. Non è necessario che un organo di accusa abbia poteri nel processo, né che pari poteri abbia l'imputato attraverso il suo difensore. n giudice è in grado di ricercare le prove con pieni poteri coercitivi, e cioè arrestando imputati e testimoni e compiendo perquisizioni. Nessuna barriera deve essere frapposta alla sua autorità. c) Segreto. L'inquisitore è una persona (o un organo) che ricerca la verità senza utilizzare la contrapposizione dialettica tra le parti. Assume le deposizioni in segreto e non ha necessità di confrontare la sua ricostruzione della verità con le posizioni dell'accusa e della difesa dell'imputato. Costoro, limitando i suoi poteri, potrebbero soltanto ostacolare la ricerca del vero. d) Scrittura. Delle deposizioni raccolte dall'inquisitore è redatto un verbale. Questo riporta l'interpretazione che l'inquisitore dà alle frasi pronunciate. Si ritiene accettabile che non vengano riportate le parole effettive, bensì la versione
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Sistema inquisitorio, accusatorio e misto
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data dall'inquirente, perché soltanto lui è in grado di comprenderne il vero significato. n materiale sul quale è basata la decisione consiste nell'insieme degli atti scritti, e cioè dei verbali redatti. Si usa dire in modo incisivo che quod non est in actis, non est in hoc mundo: la verità è contenuta nelle carte del fascicolo predisposto dall'inquisitore. Non si pone il problema della opportunità che l'organo decidente (singolo o collegiale, a volte distinto dall'inquirente) possa sentire a voce il dichiarante. La attendibilità di questi è già stata valutata nel modo migliore dall'inquisitore, che è dotato di ampi poteri: egli sa "scrutare" il testimone e comprendere se ha detto il vero. e) Nessun limite all'ammissibilità delle prove. Quello che conta è il risultato da raggiungere, e cioè la verità, e non il metodo con cui la si persegue. Pertanto ogni modalità di ricerca è ammessa; anche la tortura dell'imputato. E se l'inquisitore ritiene che il testimone dica il falso, anche quest'ultimo può essere sottoposto a tortura. Nel corso della storia il " sonno della ragione" ha generato ogni sorta di mostri. Si è passati dalle torture fisiche (della ruota, del fuoco, ecc.) alle torture morali, più raffinate ma non meno dolorose. Lo scopo era quello di ottenere la confessione dell'imputato, considerata la "regina delle prove" . La confessione, oltretutto, è ben vista da quel tipo di regime totalitario, che si propone lo scopo di "redimere" il reo o, più modernamente, la finalità altrettanto terribile di "educare le masse" . f) La presunzione di reità. È sufficiente aver raccolto alcuni indizi contro un imputato, o anche soltanto una denuncia anonima, perché questi sia chiamato a "discolparsi" . In questo sistema deve essere l'imputato a dimostrare la sua innocenza mediante prove; se fallisce in tale compito, deve essere condannato. g) Carcerazione preventiva. Poiché l'imputato è presunto colpevole, in mancanza di prove di innocenza può essere sottoposto a custodia preventiva in carcere. n sistema inquisitorio fa ampio uso di tale strumento; è denominato carcerazione "preventiva" perché costituisce l'anticipazione di quella sanzione, che poi viene irrogata a seguito della decisione. In attesa di questa, l'imputato languisce in carcere senza che gli siano rese note né l'accusa formulata, né le prove raccolte. n processo narrato nel libro di Kafka illustra nel modo più realistico tale situazione angosciosa. h) Molteplicità delle impugnazioni. n regime totalitario dà ampi poteri al giudice inquisitore; nel momento in cui egli li esercita, non può essere control lato dalle parti, pena la sconfessione del postulato che fonda il sistema. Una volta che è stata pronunciata la sentenza, il sistema si ricorda che anche il giudice è un uomo e può sbagliare. Ed allora il regime permette che le parti (il difensore dell'imputato e l'avvocato del re) possano presentare impugnazione, sulla quale deve decidere un giudice superiore che è dotato dei medesimi poteri inquisitori che sono concessi al primo giudice. La diffidenza nei confronti dei giudici-funzionari dello Stato porta il regime totalitario ad abbondare nelle
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impugnazioni. Tra l'altro, esse hanno il "vantaggio" di avvicinare il processo all'organo che è titolare del potere politico (il sovrano, il dittatore o il partito unico) . Infatti la sentenza pronunciata dal giudice di appello può, a sua volta, essere impugnata presso il consiglio del re o altro analogo organo al vertice, che è facilmente influenzabile dal titolare del potere politico. In ultima istanza, si ritiene che il re (o organo analogo) possa concedere la grazia, poiché in lui si cumulano tutti i poteri. In definitiva, il processo inquisitorio permette di accertare quella che può essere definita la "verità di Stato" . 5.
Sistema accusatorio e principio dialettico.
n sistema accusatorio è costruito come modello contrapposto a quello inquisitorio. Esso si basa su di un principio opposto a quello di autorità, e cioè sul principio dialettico. Si prende atto dei limiti della natura umana e si ritiene che nessuna persona sia depositaria del vero e del giusto; la verità si può accertare tanto meglio quanto più le funzioni processuali sono ripartite tra soggetti che hanno interessi antagonisti. Al giudice, che deve essere indipen dente ed imparziale, spetta di decidere sulla base di prove ricercate dall'accusa e dalla difesa. La scelta operata dal giudice tra le diverse ricostruzioni del fatto storico è stimolata dalla dialettica che si svolge tra soggetti spinti da interessi contrapposti. Lo scontro tra le tesi sostenute da ciascun interlocutore è una tecnica che consente di valutare la fondatezza degli argomenti che le sorreggono e costituisce il metodo meno imperfetto per avvicinarsi alla verità. Accettato tale principio, occorre che nel processo penale i poteri di un soggetto siano bilanciati da quelli riconosciuti ad un altro soggetto. È necessario che un giudice imparziale sia in grado di dirimere i momenti di contrasto inevitabile tra i due antagonisti del processo penale, restando in una posizione di assoluta neutralità psichica. Il sistema delineato, che può essere definito " separazione delle funzioni processuali" , adempie alla medesima finalità che è svolta dal principio della separazione dei poteri dello Stato; si tende ad evitare che l'uso di un potere degeneri in abuso. Sul punto è sempre attuale l'insegnamento di Montesquieu: « è una esperienza eterna che qualunque uomo, che ha un determinato potere, è portato ad abusarne ( . .. ) . Perché non si possa abusare di un potere, bisogna che, per la disposizione delle cose, il potere arresti il potere » (3 ). Dal principio di separazione delle funzioni processuali derivano l e caratte ristiche essenziali del sistema accusatorio, che vengono a delinearsi in contrap posizione logica con quelle che connotano il sistema inquisitorio (v. tav. 1 . 1 . 1) . a ) Iniziativa diparte. Il giudice non può procedere d'ufficio nel determinare
(3)
MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, Ginevra, 1748, libro I, cap. IV, trad. it., Milano, 1989.
1.1.5
Sistema inquisitorio, accusatorio e misto
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l'oggetto della controversia, perché altrimenti si dimostrerebbe parziale. L'ini ziativa del processo penale deve spettare soltanto alle parti. Dalla presenza di un " accusatore" prende nome questo sistema processuale. In origine il potere di azione (e cioè di chiedere una decisione al giudice) spettava ad un accusatore privato, e cioè alla persona offesa dal reato o a qualunque cittadino. Successi vamente il potere è stato esercitato da un organo pubblico designato in base ad elezioni o in un apposito procedimento giurisdizionale. Né il potere esecutivo, né quello legislativo devono poter inibire il potere di azione, pena l'abbandono di un sistema di tipo garantista. b) Iniziativa probatoria di parte. Una volta che sia accolto il principio dialettico, ne derivano alcune conseguenze in tema di prova. I poteri di ricerca, ammissione e valutazione della prova non possono essere attribuiti ad un unico soggetto (né al giudice, né all'accusatore), bensì devono essere divisi e ripartiti tra il giudice, l'accusa e la difesa in modo che nessuno di essi possa abusarne. In questo sistema è indispensabile una dettagliata regolamentazione della prova. Colui che accusa ha l'onere di ricercare le prove e di convincere il giudice della reità dell'imputato. La difesa deve avere il potere di ricercare le prove in base alle quali possa convincere il giudice che l'imputato non è colpevole, o che le modalità di svolgimento del fatto addebitato devono essere ricostruite in modo diverso da quanto ha fatto l'accusa. Il giudice deve soltanto decidere se ammettere, o meno, il mezzo di prova che viene richiesto; nel corso dell'esame deve di regola limitarsi a valutare l'ammissibilità delle domande formulate da una parte. L'istituto che esprime nel modo più limpido la filosofia del sistema accusatorio è l'esame in crociato, nel quale sono distribuiti in modo dettagliato i poteri di iniziativa spet tanti alle parti ed i poteri di controllo attribuiti al giudice. c) Contraddittorio. La separazione delle funzioni processuali si attua me diante il principio del contraddittorio. Questo assicura che, prima della deci sione, il giudice permetta alla parte interessata di sostenere le proprie ragioni (audiatur et altera pars); riferito alla materia della prova, il principio tende a far sì che ciascuna delle parti possa contribuire alla formazione della prova ponendo le domande al testimone (o altro dichiarante) . Il contraddittorio adempie a due funzioni essenziali: tutela i diritti di ciascuna parte e costituisce una tecnica di accertamento dei fatti. Quanto maggiore è il contraddittorio, tanto meglio potrà essere accertata la verità. Ad ogni parte deve essere data la possibilità di mettere in dubbio l'esistenza del fatto che è affermato dalla controparte. Ciò comporta che non può essere utilizzata per la decisione la dichiarazione di una persona citata da una parte, se alla controparte non è permesso di interrogarla in sede di controesame. d) Oralità. Si ha oralità in senso pieno soltanto quando coloro che ascoltano possono porre domande ed ottenere risposte da colui che ha reso una dichia razione. L'oralità permette di valutare in modo pieno la credibilità e l'attendi bilità di un testimone (o di altro dichiarante) . Da ciò deriva la regola di
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I.I.5
esclusione secondo cui, in linea di principio, ai fini della decisione non sono utilizzabili le dichiarazioni scritte. e) Limiti di ammissibilità delle prove. Nel sistema accusatorio si ritiene che sia molto importante il metodo attraverso il quale si giunge a formare una prova; soltanto se questo è rispettato, la prova può essere attendibile e, quindi, utile allo scopo di ricostruire l'esistenza di un fatto storico. Non si vuole pervenire all'accertamento di una qualsiasi "verità di Stato" , che faccia piacere a colui che detiene il potere politico. Si vuole un metodo che permetta al giudice di valutare se l'ipotesi formulata dall'accusa è attendibile o meno. Ad esempio, si ritiene che una prova non sia attendibile se è raccolta con tecniche che influiscono sulla libertà morale di una persona. Una confessione estorta con la violenza o la minaccia non è utilizzabile. Spetta al giudice il controllo sulla ammissibilità dei mezzi di prova richiesti dalla parte. f) Presunzione di innocenza. Chiunque accusa una persona deve convincere il giudice, mediante prove, che costei è colpevole; fino a che il giudice non ha accertato la reità mediante un processo regolato dalla legge e rispettoso del diritto di difesa, l'imputato è presunto innocente. Non gli può essere chiesto di " discolparsi" , bensì spetta a colui che accusa portare prove che dimostrino la reità. n giudice può condannare l'imputato soltanto quando l'accusa ha provato la reità "al di là di ogni ragionevole dubbio " . n punto merita di essere approfondito. Oggetto di prova, nel processo di tipo accusatorio, è non l'innocenza dell'imputato, bensì la sua colpevolezza in relazione a quel fatto che è descritto nell'imputazione. Se l'accusa non riesce a convincere il giudice della reità dell'imputato "al di là di ogni ragi.onevole dubbio " , questi deve essere semplicemente dichiarato "non colpevole" . Non occorre che l'imputato sia " assolto" perché egli è presunto innocente fin dall'inizio del processo. g) Limiti alla custodia cautelare. Se l'imputato è presunto innocente fino alla condanna definitiva, non può essere trattato come un colpevole; pertanto la sanzione penale non può essere anticipata in via provvisoria. Quella che può essere applicata è soltanto una misura cautelare se ed in quanto vi siano prove che dimostrino che in concreto esistono esigenze cautelari. Pertanto, l'accusa deve dimostrare che vi è il pericolo che l'imputato inquini le prove, fugga o commetta gravi reati; ma soprattutto deve convincere il giudice, sia pure " allo stato degli atti" (e cioè sulla base di indagini non complete) , che vi sono prove o gravi indizi che dimostrano la reità dell'imputato. La presunzione di inno cenza impone che il quantum di prova sia considerevole e sia proporzionato alla gravità delle restrizioni poste alla libertà personale. Nel sistema accusatorio la custodia in carcere prima della sentenza è strutturata come la extrema ratio. L'ordinamento deve prevedere altre misure che possano essere applicate se ed in quanto siano idonee a fare fronte a esigenze cautelari meno intense. Se il pericolo di inquinamento della prova o il
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Sistema inquisitorio, accusatorio e misto
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pericolo di fuga possono essere evitati imponendo una cauzione, l'imputato ha diritto che il giudice determini la stessa tenendo conto delle sue capacità economiche. La custodia in carcere deve essere utilizzata quando tutte le altre misure ipotizzabili non siano in grado di scongiurare il pericolo di inquina mento delle prove, di fuga o di commissione di gravi reati. h) Limiti alle impugnazioni. Nel sistema accusatorio i controlli funzionano nel momento stesso in cui si forma la prova davanti al giudice nell'esame incrociato che sfrutta "l'effetto sorpresa " ; se l'esame viene compiuto una seconda volta sulle medesime domande, ha scarse possibilità di essere utile. Le impugnazioni, che pure esistono nel sistema accusatorio, hanno soprattutto lo scopo di controllare se in primo grado sono stati rispettati i diritti delle parti e, segnatamente, il diritto alla prova; ove si accerti una violazione, il dibattimento deve essere svolto nuovamente davanti ad un altro giudice. Ma soprattutto il giudice che decide sull'impugnazione deve essere indi pendente ed imparziale alla pari del giudice di primo grado. Occorre evitare che sia influenzabile da qualsiasi potere, sia esso politico, economico, sindacale o dei
mass media. 6.
Sistema processuale e regime politico.
n regime politico totalitario trova nel sistema processuale inquisitorio lo
strumento di potere più efficace. Attraverso giudici parziali il potere politico può far iniziare, o anche fermare, il processo penale; può far assumere o meno le prove; può favorire o meno gli appartenenti alla propria fazione. La mancanza del contraddittorio è uno strumento efficace per realizzare ogni arbitrio e per creare una "verità di Stato" . In un regime totalitario il processo penale funziona come strumento di controllo sociale, e cioè come mezzo per indottrinare le masse. Il messaggio che si trasmette è molto forte, perché è accompagnato dalla condanna ad una sanzione penale, che può essere anche la pena di morte. Il processo penale è usato come strumento di lotta politica. Al limite, non interessa informare sullo svolgimento del processo. L'importante è il messaggio che viene diffuso. Il processo penale serve ad inculcare una ideologia. La pubblicità data allo svolgersi del rito ed effettuata attraverso mezzi vecchi (la berlina) o nuovi (la televisione) serve a dare risonanza al messaggio, esplicito o anche implicito, che si vuole lanciare mediante il processo. La persona dell'im putato è oggetto di ogni curiosità; la sua dignità è annientata ancor prima che il giudice decida se è colpevole. Viceversa, un processo di tipo accusatorio è connaturale ad un regime politico garantista. Solo al potere esecutivo spetta di indicare quale è l'interesse pubblico da perseguire. n giudice non deve porsi questo problema; deve soltanto accertare se l'accusa ha dimostrato che l'imputato è colpevole al di
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1.1.7
fuori di ogni ragionevole dubbio. Se il giudice si dimostra parziale, le parti devono avere il potere di ricusarlo; anzi, deve essere consentito di dimostrare che il singolo magistrato o giudice popolare non è in condizioni tali da " apparire" imparziale. Per evitare che un giudice commetta errori, deve essere agevolato l'inter vento di parti con interessi contrapposti. Gli strumenti, che tendono a ridurre gli arbitrii (nei limiti del possibile), sono la separazione delle funzioni proces suali di accusa, difesa e giudizio; la distinzione tra il potere di direzione del dibattimento e il potere di decidere sull'accusa; la parità tra i poteri delle parti in tema di prova. Nel sistema accusatorio la pubblicità svolge la funzione di permettere all'opinione pubblica di verificare se la Giustizia è amministrata in modo corretto e se i diritti della persona umana sono rispettati; non deve mai essere uno strumento di indottrinamento e di controllo sociale. Quello che conta è accertare se l'accusa è fondata, non quali conseguenze politiche possano derivare da una condanna o da un'assoluzione. n processo penale deve svolgersi nelle aule di udienza e non sui mezzi di divulgazione di massa, nei quali non è tutelato il diritto di difesa. Non è consentito offendere la reputazione di un imputato nel momento in cui si svolge il processo penale. n diritto di critica è funzionale al controllo sul corretto svolgimento della amministrazione della Giustizia e non può diventare una aggressione al giudice o alle parti. n giudice deve poter accertare l'esistenza di un fatto, anche se ciò è "sgradito" al potere politico o all'opinione pubblica. La storia offre esempi chiarissimi della stretta correlazione tra regime politico e sistema processuale. I modelli elaborati possono essere utili al fine di valutare quanto un ordinamento politico sia coerente con l'immagine che pretende di diffondere. La storia contemporanea vede molti Stati che sosten gono di essere garantisti e poi, di fatto, utilizzano ordinamenti processuali nei quali prevalgono le caratteristiche del sistema inquisitorio. I modelli teorici, che sono stati formulati dagli studiosi del processo penale, consentono di dare una valutazione non " di facciata " , bensì sulla reale natura di un determinato ordinamento processuale e, di riflesso, del regime politico che lo ha adottato. 7.
Sistema processuale ed efficacia.
Si potrebbe discutere a lungo su quale sistema processuale abbia maggiore efficacia. Se con detto termine si intende il grado di raggiungimento dell' ob biettivo, e questo si identifica con la difesa della società dal crimine, il problema ha una soluzione abbastanza semplice. n sistema inquisitorio utilizza una sorta di "terrorismo di Stato" che è capace di debellare le più agguerrite bande criminali. L'inconveniente sta nel fatto che tale sistema non garantisce a sufficienza contro il rischio che sia condannato un innocente; ma soprattutto
I.l.8.a
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permette a l potere politico di utilizzare il processo penale come "strumento" per limitare la libertà dei cittadini e indottrinare le masse. Se viceversa, come riteniamo preferibile, l'obiettivo si identifica nella predisposizione di una regolamentazione idonea a tutelare la libertà politica ed i diritti della persona umana, il sistema accusatorio è più rispettoso dei diritti fondamentali, ma soprattutto rende più difficile al potere politico manipolare i fatti e costruire verità di Stato. Occorre comunque avere presenti anche gli svantaggi che possono derivare dal sistema accusatorio. Ad esso si addebita una eccessiva combattività che, se non regolata opportunamente, rischia di giungere fino al linciaggio del testi mone. Gli ampi poteri, di cui gode l'accusa pubblica (polizia e pubblico ministero) , impediscono al giudice di effettuare un efficace controllo soprattutto nei momenti anteriori al dibattimento. Le regole che escludono le prove raccolte fuori dal dibattimento tutelano i diritti di libertà del cittadino, ma tendono ad ostacolare l'accertamento del fatto di reato. Già da queste prime osservazioni si può ricavare come sia necessario porre temperamenti rispetto ad un recepì mento intransigente delle caratteristiche esaminate fin qui. D'altronde, nonostante molti studiosi ritengano che esista un unico modello di sistema accusatorio, occorre tenere presente che quello esposto sinora è in realtà il modello c.d. puro, che è stato ricavato per antitesi rispetto al modello inquisitorio e che costituisce il frutto di una elaborazione messa in opera fin dal 1 700. In realtà, esistono anche altre versioni del sistema accusatorio, che ne attenuano alcuni aspetti. Ed anzi, contingenze storiche ed esigenze pratiche hanno quasi sempre imposto di prevedere temperamenti in relazione a quegli aspetti del modello di tipo puro che potevano configurarsi come ostacoli al buon funzionamento della giustizia. All'evoluzione appena prospettata non è estraneo il nostro ordinamento che, dopo aver accolto nel 1 988 un modello accusatorio di tipo quasi puro, ha dovuto apportare a più riprese modifiche che hanno posto rimedio ai profili che apparivano non soddisfacenti. 8.
Cenni storici sul processo penale.
a.
Considerazioni introduttive.
La storia del processo penale è, in ampia parte, un susseguirsi di esempi di sistemi inquisitori. Lo stesso fenomeno si verifica per le istituzioni politiche: la storia degli ordinamenti costituzionali è piena di esempi di regimi totalitari nelle versioni più disparate, da quelli in cui prevale il potere esecutivo a quelli in cui prevale il potere legislativo o quello giudiziario. L'effetto è sempre una ditta tura, a prescindere dall'organo che la esercita.
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1.1.8.b
Evoluzione storica del processo penale
Nel corso dei secoli gli uomini hanno dovuto lottare duramente per ottenere garanzie sia nell'ordinamento costituzionale, sia nel processo penale. I risultati raggiunti non sono stati definitivi e, spesso, le garanzie si sono perse. b.
n diritto romano.
Nell'antico diritto romano il re disponeva, in materia di repressione criminale, di un incondizionato potere di coercizione e di giurisdizione per la repressione dei reati più gravi che mettevano in pericolo la vita della civitas e l'istituto mo narchico. Egli stesso procedeva a far arrestare l'autore del crimine, a stabilire la sanzione (la sacertas, una sorta di bando) e a far eseguire la pena di morte. Trasformatosi il regime da monarchico a repubblicano, la repressione dei reati era affidata al popolo riunito nelle assemblee comiziali. n potere di coercitio dei magistrati superiori (in particolare, dei consoli) veniva in qualche modo temperato dall'istituto della provocatio ad populum, che attribuiva al perseguito la facoltà di ricorrere all'assemblea. Il processo popolare venne progressivamente cedendo il posto a tribunali stabili (quaestiones perpetuae) istituiti per legge e presieduti da un magistrato, che in un primo tempo limitarono e, successivamente, assorbirono l'antico processo davanti ai comizi per diventare, infine, l'organo ordinario della repressione criminale dell'ultima età repubblicana e dei primi tempi dell'impero (4) . n processo davanti alle quaestiones perpetuae era tipicamente accusatorio: l'iniziativa spettava a qualunque privato cittadino, quale rappresentante dell'in teresse pubblico. Se i postulanti per il medesimo fatto criminoso erano più di uno, si svolgeva una procedura preliminare (divinatio) diretta alla scelta del l' accusatore da preferire. La giuria decideva a quale cittadino doveva essere conferito il potere di accusa. I giurati erano estratti a sorte nella classe dei senatori e dei cavalieri; l'accusatore ed il difensore dell'imputato avevano il potere di ricusare i singoli giurati, finché si perveniva ad un collegio su cui concordavano. L'accusatore prescelto formulava l'imputazione (nominis delatio) ; il magistrato la raccoglieva in un processo verbale. Quindi autorizzava l'accusatore a procedere alla raccolta delle prove con poteri coercitivi (imperium) e fissava la data del dibattimento. In udienza prendevano la parola per primo l'accusatore e poi il difensore dell'imputato. Successivamente si procedeva all'escussione dei testimoni. Essi prestavano giuramento davanti al magistrato, che dirigeva il dibattimento, venivano interrogati dalla parte che li aveva chiamati a deporre e, successiva mente, dall'avversario. Seguivano le orationes dell'accusa e della difesa. Dopo diché il magistrato invitava i giurati a ritirarsi per deliberare in segreto. La (4)
B.SANTALUCIA,
Diritto e processo penale nell'antica Roma, 2• ed., Milano, 1998, 165
s.
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decisione di condanna non indicava la pena, perché questa era stabilita dalla legge. Contro la decisione non era ammesso appello. Da quanto esposto, appare chiaro che il sistema delle quaestiones perpetuae poteva funzionare soltanto per il concorrere di determinate circostanze favore voli. Lo svolgimento di funzioni pubbliche era demandato all'iniziativa dei cittadini. Il compito di accusa richiedeva al singolo di contribuire a tutelare l'interesse pubblico. L 'organizzazione delle giurie esigeva la partecipazione diretta dei cittadini migliori. Finché la tensione morale fu alta, il sistema poté funzionare. Quando prevalse il disinteresse, la giuria subì un declino. Il sistema delle quaestiones perpetuae fin dai primi anni del principato iniziò a subire la concorrenza di un nuovo tipo di processo più coerente con il nuovo assetto costituzionale dello Stato. La questione era affidata ad un delegato del l'imperatore, che cumulava il potere di accusare, di raccogliere le prove e di giudicare. L'imperatore si riservava il potere di decidere sull'impugnazione pre sentata dal cittadino romano, che si " appellava a Cesare " . Tale procedimen to, definito cognitio extra ordinem, venne poi a sostituirsi alle quaestiones perpe
tuae. c.
n periodo medioevale.
Nei primitivi regimi barbarici il processo penale era considerato un feno meno irrazionale, nel quale si manifestavano credenze magiche. Si riteneva che la divinità fosse presente nel processo e che non potesse lasciare soccombere l'innocente. Il giudizio era basato sull'ordalìa, che era una prova fisica subita dall'accusato; dal suo risultato si pretendeva di ricavare la prova dell'innocenza, perché la divinità sarebbe dovuta intervenire; ciò comportava una sorta di onere della prova a carico dell'imputato. Nel comune parlare ancora oggi si dice "metterei la mano sul fuoco " . Ciò costituisce il retaggio della "ordalìa del fuoco" : l'accusato doveva afferrare con la mano un ferro rovente e doveva fare qualche passo senza !asciarlo cadere. Poi si applicava sulla ferita una medicazione e la si sigillava. Quando si toglieva il medicamento, l'aspetto della ferita provava la reità o l'innocenza dell'accusato. Con il ritorno della civiltà, l'ordinamento barbarico recepì gli insegnamenti del diritto romano. Nel diritto penale, in relazione ai delitti pubblici, ciò comportò il ripristino del sistema della cognitio extra ordinem che, da quel periodo, venne denominata inquisizione. A tale sistema si orientò, fin dalle Decretali del Papa Innocenza III ( 1204- 1 212) , il diritto canonico nel perseguire le eresie sorte nel popolo e le malefatte dei vescovi-conti. Il sistema inquisitorio fu accolto anche dai Comuni trasformatisi in Prin cipati e dai vari Stati assoluti che si vennero formando nell'Europa continen tale.
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1.1.9
TI processo penale nello Stato assoluto.
Fra i vari ordinamenti accolti dagli Stati assoluti nel '600, merita esaminare quello che era in vigore in Francia all'inizio della Rivoluzione nel 1789. Molteplici sono i motivi che inducono ad approfondire la trattazione di quell'ordinamento. In primo luogo, vi è un motivo teorico, poiché tale ordinamento ha quasi tutte le caratteristiche del sistema inquisitorio. In secondo luogo, vi sono ragioni storiche, poiché il medesimo è stato oggetto di critica da parte dei filosofi illuministi ed è stato sostituito, all'inizio della Rivoluzione, con un ordinamento ispirato al processo penale inglese del tempo, caratterizzato dal sistema accu satorio. Le leggi rivoluzionarie successive hanno introdotto correzioni e modi fiche che contemperavano i due sistemi, fino a che con il codice napoleonico del 1 808 è stato elaborato un sistema "misto " . Il codice è stato preso a modello dal pensiero liberale ed è stato introdotto in Italia ed in quasi tutti gli altri Stati dell'Europa continentale nel corso dell'800. In Italia il sistema misto è rimasto in vigore fino al 24 ottobre 1 989. Lo studio dell'evoluzione legislativa nel periodo che abbiamo indicato non costituisce una civetteria accademica né ha finalità di mera conoscenza storica. In realtà, l'indagine ha una importanza fondamentale per spiegare i meccanismi processuali che sono stati accolti in Italia fin dall'unificazione ( 1 865) e, soprat tutto, per comprendere le ragioni che hanno imposto il cambiamento, operato dal codice di procedura penale del 1 988, che ha recepito un sistema prevalen temente accusatorio. Al tempo stesso, l'esame dell'evoluzione legislativa ci permette di comprendere meglio il funzionamento degli ordinamenti degli altri Stati dell'Unione europea che ancora oggi accolgono sistemi processuali di tipo misto, che derivano dal codice napoleonico. Le finalità del nostro studio ci impongono di adottare alcune semplifica zioni. Nell'esame dell'evoluzione storica della legislazione terremo conto uni camente del processo penale che riguarda i più gravi delitti (denominati " crimini ") perché proprio in relazione al loro accertamento le scelte processuali sono significative: l'errore giudiziario ha conseguenze più gravi e, pertanto, è necessaria la predisposizione del massimo delle garanzie. La Ordonnance criminelle del 1 670, promulgata in Francia nel periodo di maggiore potenza dello Stato assoluto, costituisce uno snodo fondamentale della storia del processo penale (5 ) . Fino ad allora agli organi giudicanti era riconosciuto il potere di determinare le regole del proprio operare. La norma tiva processuale si era venuta completando nel tempo sulla base della prassi creata dai giudici e dagli avvocati, con l'aiuto della dottrina. Il re Luigi XIV (5) Se ne veda la ristampa anastatica Code Louis, T. II, Ordonnance criminelle, 1 670, collana Testi e documenti per la storia del processo, a cura di N. PICARDI e A. GIULIANI, Milano, 1 996.
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volle innovare anche in questo campo e, mentre affermava di voler soltanto razionalizzare la procedura penale allora vigente, in realtà si impossessava del potere di legiferare in via esclusiva in materia processuale. L'effetto fu quello di rafforzare i tratti del sistema inquisitorio. In base alla Ordonnance il processo penale si metteva in moto a seguito di una denuncia di un privato, di una querela della persona offesa oppure su iniziativa del procuratore del re o del giudice d'ufficio. Seguiva una procedura preparatoria deno minata in/ormation, che aveva la funzione di raccogliere elementi e di individuare le fonti di prova. In seguito i testimoni erano sentiti dal giudice, che provvedeva ad arrestare l'imputato e ad interrogarlo senza la presenza del difensore. L'imputato doveva prestare giuramento di rispondere secondo verità. Conclusa l'informazione, il giudice comunicava gli atti al procuratore del re, che poteva chiedere la liberazione dell'arrestato e la prosecuzione del processo secondo il rito civile (se il reato era passibile di sola pena pecuniaria), oppure la prosecuzione col rito penale. Se il giudice decideva di procedere col rito penale, iniziava l'istruzione definitiva. In segreto davanti al giudice inquisitore il singolo testimone doveva ascoltare la lettura del verbale delle dichiarazioni che aveva reso in precedenza; gli era chiesto se le confer mava; scopo dell'atto era quello di evitare ritrattazioni (ne varietur) . Quindi il testimone era messo al cospetto dell'imputato; erano lette le dichiarazioni che egli aveva reso in precedenza e gli veniva chiesto, davanti all'imputato, se persisteva; se il testimone "non persisteva" , doveva essere punito. Conclusi i " confronti" con l'imputato, il procuratore del re e la parte civile presentavano le conclusioni definitive. L'imputato poteva rispondere con una " do manda di attenuazione" , tendente a dimostrare la falsità delle allegazioni. Di fronte al collegio giudicante l'inquisitore svolgeva la sua relazione sul processo. Veniva quindi effettuato l'interrogatorio dell'imputato; se i fatti da lui allegati erano ritenuti "gravi e seri " , il collegio ordinava di sentire il testimone. L'imputato poteva essere sottoposto alla tortura preparatoria a condizione che il delitto comportasse la pena di morte e vi fosse una prova considerevole contro l'accusato. In seguito alla condanna poteva essere fatta la " tortura preliminare" allo scopo di far rivelare il nome dei complici. La sentenza di assoluzione non poteva mai dar luogo al giudicato: l'imputato era prosciolto allo stato degli atti ( '' quanto al presente" ) . Contro la condanna l'imputato poteva fare appello; successivamente poteva presentare impugnazione al consiglio del re.
Netto era il giudizio negativo dato dai filosofi illuministi su questa proce dura. L'arbitrio del giudice era illimitato; l'imputato era lasciato a se stesso, era martoriato prima ancora che potesse difendersi; era posto davanti all'alternativa tra confessare (e allora la condanna era sicura) o negare la reità (e, di conse guenza, i tormenti si allungavano) . I testimoni si limitavano a "confermare" le precedenti dichiarazioni e non fornivano al giudice elementi sufficienti per una valutazione sulla propria attendibilità. La decisione era fondata sulla
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legale" , e cioè s u d i un meccanismo predeterminato di vincoli aritmetici in base al quale il risultato consacrato nel verbale non poteva essere liberamente valutato dal giudice stesso. In definitiva, il sistema non tutelava né gli interessi della Giustizia, né il diritto di difesa dell'imputato. Alcuni clamorosi errori giudiziari, denunciati da Voltaire (6) e poi ricono sciuti dopo anni quando l'imputato era già stato giustiziato, avevano commosso l'opinione pubblica e screditato il regime. Il processo inquisitorio era criticato da Cesare Beccaria nel suo volumetto intitolato « Dei delitti e delle pene » che fu pubblicato a Livorno nel 1764 ed ebbe ampia risonanza in tutta Europa. Beccaria sosteneva che le denunce e le accuse non dovevano essere segrete; che si doveva vietare che l'imputato fosse sottoposto al giuramento e, ancor più, alla tortura. Egli proponeva che il processo penale si svolgesse in pubblico, che vi fosse un severo controllo sull'uso della custodia preventiva e che si abbando nasse il sistema della prova legale in favore del libero convincimento del giudice. Allo scoppiare della Rivoluzione francese nel 17 89 la maggior parte dei cahiers de doléance avevano ad oggetto i guasti del processo inquisitorio. Ciò spiega perché, fin dall'inizio, l'Assemblea nazionale si propose di modificare il processo penale. Bastava attraversare il canale della Manica per trovare un sistema ispirato a princìpi assolutamente opposti. 10. n processo penale inglese.
Gli storici sono concordi nel riconoscere all'ordinamento inglese del '600 il merito di aver fondato i più importanti princìpi garantistici sia dello Stato costituzionale, sia del processo accusatorio. In Inghilterra per vari motivi il potere del re non fu mai assoluto; esso fu controllato dapprima dai baroni, che nel 12 15 ottennero la Magna Charta libertatum; successivamente dal parla mento. In base alla Magna Charta « nessun uomo libero (poteva essere) arre stato o messo in prigione se non a seguito di un giudizio dei suoi pari, reso nella forma legale secondo il diritto del paese » (art. 39). Il processo penale inglese era basato su due istituti di importanza fonda mentale: la giuria ed i testimoni. Esso seguiva le cadenze del processo romano del periodo della repubblica. Una prima giuria (Grand jury) decideva se l'imputato doveva essere rinviato a giudizio. Una seconda giuria assisteva al pubblico dibattimento e decideva, con un verdetto non motivato, se l'imputato era colpevole. Nel caso in cui fosse accertata la reità dell'imputato, il giudice togato stabiliva la pena. Il procedimento cui abbiamo sommariamente accennato è il risultato di una lenta evoluzione; le garanzie in favore dell'imputato sono state strappate al (6)
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sovrano dal parlamento in buona parte dopo l a rivoluzione di Cromwell. Ancora all'inizio del 1 600 per i crimini più gravi il processo aveva caratteristiche inquisitorie, che si accentuavano presso le giurisdizioni ecclesiastiche e, soprat tutto, presso la corte del Re (denominata Star Chamber) , alla quale era deman dato di giudicare sui reati di alto tradimento. n primo riconoscimento del privilegio contro l'autoincriminazione e del di ritto a " confrontarsi" con l'accusatore si è avuto negli anni immediatamente pre cedenti alla rivoluzione di Cromwell. Si tratta di un'epoca nella quale sono state elaborate le garanzie fondamentali del costituzionalismo moderno. I due princìpi trovano la loro matrice filosofica nell'affermazione del " diritto naturale" , brandito come arma ideologica nei confronti dello Stato. Occasione per la loro afferma zione sono stati due casi giudiziari che hanno avuto ampia risonanza e nei quali i predetti princìpi erano stati palesemente disconosciuti (7) . Dal punto d i vista cronologico, il primo a d essere affermato come garanzia fondamentale non è stato il diritto al silenzio, bensì il diritto dell'imputato a confrontarsi con l'accusatore. Sir Walter Raleigh, inquisito su ordine del Re presso la Star Chamber, chiese invano nel 1603 di essere messo a confronto col suo accusatore, Lord Cobham, che aveva deposto in segreto e le cui dichiara zioni erano state prodotte per scritto nel processo (8). La Star Chamber respinse la richiesta e condannò a morte Walter Raleigh; soltanto dopo il processo si seppe che l'accusatore aveva reso le sue dichiarazioni sotto tortura e, successi vamente, le aveva ritrattate. La notizia sollevò una forte reazione perché il condannato era molto conosciuto per la sua attività di navigatore e scopritore di nuove terre e per il suo animo coraggioso e leale. Da quel momento il right o/ con/rontation ha iniziato ad affermarsi, sia pure con difficoltà (9) . L'affermazione del diritto al silenzio è di poco posteriore. Nel 1634 l'imputato Lilburn sostenne di avere i l diritto di non rispondere a domande autoincriminanti. Anche in questo caso la richiesta venne respinta; ma il Parlamento nel 1 64 1 dichiarò illegale tale provvedimento e, poco tempo dopo, eliminò l'organo giurisdizionale che aveva negato il diritto (Star Chamber) ( 1 0) . Quanto abbiamo ricordato è avvenuto in coincidenza con l e tappe fonda mentali della rivoluzione. Come è noto, il Re Carlo I Stuart sciolse il parlamento, (7) Sul punto, v. C. VEITORI, Diritto dell'imputato a confrontarsi con colui che lo accusa e diritto al silenzio: l'ordinamento inglese, in AA.Vv., Le nuove leggi penali, Collana di studi sui Problemi attuali della Giustizia penale, diretta da A. GIARDA, G . SPANGHER, P. ToN!NI, Padova, 1998, 273. (8) "Proof o/ the Common Law is by witness and jury; !et Cobham be h ere, !et him speak it. Cal! my accuser be/ore my /ace. . . . (9) Negli Stati Uniti il right o/ con/rontation è stato inserito nel Sesto Emendamento alla Costituzione "
( 1791) nei seguenti termini: << in ogni processo penale, l'accusato avrà diritto (. ... ) di essere informato della natura e del motivo dell'accusa, di essere messo a confronto con i testimoni a lui contrari, di far comparire i testimoni a suo favore e di farsi assistere da un avvocato per la sua difesa >>. ( lO) li Quinto Emendamento alla Costituzione ha cristallizzato così il privilege against self incrimina tion: « nessuno (. .... ) potrà essere obbligato, in qualsiasi causa penale, a deporre contro se stesso >>.
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non lo convocò per vari anni ed arrestò i parlamentari. Nel 1642 scoppiò la guerra civile che mobilitò contro il re la nobiltà di campagna, la borghesia urbana ed il popolo di Londra. Il sovrano fu processato, condannato e decapitato. La nuova monarchia dovette venire a patti col parlamento ed accettò quelle che da allora furono ritenute le garanzie fondamentali del sistema costituzionale. Nel 1679 fu approvato dal Parlamento l'Habeas Corpus Act, che dava al giudice il potere di valutare la legittimità dello stato di detenzione di qualsiasi persona. Nel 1 689 fu approvato il Bill o/ Rights, che contiene l'elenco dei diritti fondamentali, come quello, spettante all'imputato, di essere lasciato libero dietro il pagamento di una cauzione, che non doveva essere "eccessiva" . D a allora l a prassi giudiziaria poco alla volta h a perfezionato quel formi dabile meccanismo processuale che è conosciuto come " esame incrociato" . 1 1 . La Rivoluzione francese e l'evoluzione del processo penale.
Nello spazio di circa venti anni, tra il 1789 e il 1808, la Rivoluzione francese ha sperimentato i più diversi sistemi politici, da quelli nei quali prevaleva il potere legislativo a quelli in cui l'esecutivo dominava sugli altri organi costitu zionali. È un periodo storico molto interessante per lo studioso del diritto costituzionale, perché permette di osservare le prime versioni dei vari tipi di regime democratico (assembleare, totalitario, garantista) che poi si manifeste ranno nel corso dei secoli diciannovesimo e ventesimo. Ma ha una importanza ancora maggiore per lo studioso del processo penale, perché permette di comprendere come dall'incontro tra il sistema inquisitorio ed il sistema accu satorio sia sorto quel sistema che poi è stato definito "misto" per eccellenza e che poi tanta influenza ha avuto nell'Europa continentale nel corso dei due secoli successivi ( 1 1 ) . L e leggi del 1 7 9 1 e delle fasi del Terrore, del Direttorio, del Consolato e dell'Impero, hanno permesso di elaborare istituti fondamentali, che da allora costituiscono punti di riferimento per gli ordinamenti processuali. Mai come in questo periodo si è potuto osservare che al variare del regime politico è corrisposto il modificarsi del sistema processuale. Nella prima fase della Rivoluzione, l'Assemblea nazionale non ha voluto adottare il modello costituzionale inglese del "bilanciamento dei poteri" , né quello statunitense della netta separazione degli stessi. Il legislatore francese ha voluto perseguire l'unico
( 1 1 ) Si vedano, per maggiori dettagli, P. FERRuA, Riforme processuali con aspirazioni accusatorie e pericoli di degenerazione inquisitoria, in Riv. it. dir. proc. pen., 1977, 889 s.; P. ToNINI, Polizia giudiziaria e magistratura. Profili storici e sistematici, Milano, 1979, 22 s. , ora in www.giuffre.it/il diritto di tutti/archivio/ catalogo storico.
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scopo di contrapporre, al re e ai suoi ministri, organi che derivassero il loro potere da un'investitura popolare. Poiché la sovranità spettava al popolo, esso sceglieva alcuni "grandi elettori" , che nominavano sia i deputati al parlamento e alle amministrazioni locali, sia i giudici. Pertanto la separazione dei poteri, teorizzata da Montesquieu, non venne attuata. Per quanto riguarda il processo penale le cose sono andate diversamente. Gli studi dei pubblicisti francesi avevano circondato il processo penale inglese di un'aura di fascino così forte che il legislatore ne fu influenzato. È stato accolto un ordinamento che ricalcava pedissequamente il processo penale allora vigente in Inghilterra. li decreto dell'Assemblea nazionale del 16-29 settembre 1 7 9 1 ha introdotto un sistema in preva lenza accusatorio. Mantenendo fermo il criterio secondo cui è esaminata soltanto la normativa attinente ai delitti più gravi, ricordiamo che il processo penale risultava diviso in tre fasi: un'informazione segreta condotta dal giudice di pace; un'udienza segreta davanti aljury d'accusa; un'udienza pubblica davanti al jury del giudizio (v. tav. 1 . 1 .3 ) .
Nella prima fase del processo, il giudice di pace agiva d'ufficio o su denuncia di un cittadino. Accertato il compimento di un grave reato, egli sentiva i testimoni, interrogava l'imputato e poteva arrestarlo. Quindi trasmetteva gli elementi raccolti al direttore del jury d'accusa. Nella seconda fase del procedimento, il direttore del jury (che era un giudice eletto dai "grandi elettori" ) sentiva nuovamente i testimoni e, di fatto, finiva per svolgere una vera e propria istruzione. A lui spettava (pur essendo un giudice) il potere di predisporre l'atto di accusa e di convocare il jury; se egli decideva di non redigere l'atto d'accusa, questo poteva essere predisposto dal denunciante o dalla persona offesa. Davanti aljury d'accusa si svolgeva un'udienza segreta, ma orale. Quest'or gano aveva la funzione, garantita dalla Costituzione del 179 1, di controllare la necessità del rinvio a giudizio. n direttore del jury istruiva i giurati, faceva dare lettura dei verbali, chiamava i testimoni a deporre oralmente. Non era presente l'imputato né il suo difensore; né era presente il pubblico ministero. Gli otto giurati popolari decidevano a maggioranza se l'imputato doveva essere rinviato a dibattimento o se doveva pronunciarsi il non luogo a procedere. La terza fase consisteva in un dibattimento pubblico di fronte ad una giuria composta da dodici cittadini estratti a sorte, che decidevano se l'imputato era colpevole. La direzione del dibattimento spettava ad un organo (il tribuna! crimine/) composto da tre giudici elettivi; se l'imputato era riconosciuto colpe vole, essi decidevano la quantità della pena. In dibattimento era presente l'accusatore pubblico, che chiamava a deporre i testimoni a carico e chiedeva la condanna; tale organo era anch'esso elettivo e svolgeva le sue funzioni soltanto dopo che l'atto d'accusa era stato ammesso dalla prima giuria. La legge regolava minuziosamente la formazione del jury. I dodici giurati
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erano estratti a sorte d a un elenco di quattrocento cittadini. L'accusatore pubblico e l'imputato potev�o ricusarne venti senza addurre motivi; potevano ricusarne altri, ma fornendo una motivazione, sulla quale decidevano i giudici
(tribuna! crimine[). Il dibattimento si svolgeva in pubblico ed era basato sul principio di oralità: non erano utilizzabili i verbali di atti raccolti in precedenza. Il presidente del tribuna! crimine! aveva la funzione di dirigere l'udienza e di ammettere i testimoni. Per primo l'accusatore pubblico esponeva l'imputazione e chiamava a deporre i testimoni a carico; quindi si sentivano quelli a discarico. L'accusato e il suo difensore avevano la parola per ultimi. Il presidente riassumeva le argomentazioni delle parti e poneva per scritto le domande ai giurati. Costoro si riunivano in camera di consiglio alla presenza di un giudice e rispondevano alle domande. La decisione era fondata sulla "intima convinzione" dei giurati; accorrevano almeno dieci voti su dodici per condannare l'imputato. Accertata la reità, i giudici elettivi in pubblica udienza irrogavano la pena prevista dalla legge. Il sistema nel suo insieme era sufficientemente garantista; ad una istruzione segreta seguiva un dibattimento in contraddittorio. Il principale difetto di quel meccanismo processuale stava nell'ordinamento del pubblico ministero. In particolare, l'accusatore pubblico . elettivo era un organo locale carente di coordinamento. Mancava un organo centralizzato che assumesse le iniziative di accusa e ne sostenesse la responsabilità in dibattimento. Con il passaggio dal Direttorio al Consolato ( 1 799) l'accusatore pubblico elettivo venne eliminato e fu sostituito da un "rappresentante del potere esecutivo presso il potere giudiziario" . Tale era la funzione svolta dal pubblico ministero, che era un magistrato posto sotto la direzione del procuratore generale presso la corte d'appello e, per il suo tramite, del ministro della Giustizia. L'avvento del Consolato ( 1799) comportò altresì la reintroduzione di alcuni istituti tipici del sistema inquisitorio. In ogni caso, le leggi promulgate nel precedente periodo del Direttorio permisero di sperimentare nuovi meccanismi di separazione delle funzioni nel processo penale. Il direttore deljury diventò un vero e proprio giudice istruttore che ricercava le prove d'ufficio, in seguito ad una iniziale richiesta formulata dal pubblico ministero.
12. D
sistema mis_to nel Code d'instruction criminelle.
Quando nel 1 804 il Consiglio di Stato iniziò i lavori per la redazione del codice di procedura penale poteva contare su di una esperienza molto ricca. La capacità tecnica dei componenti consentì di giungere alla formulazione di quello che, da allora, fu definito il sistema processuale "misto" per eccellenza, in quanto venne ritenuto la migliore combinazione tra il sistema inquisitorio e
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quello accusatorio; esso permetteva di contemperare le esigenze di difesa della società e le esigenze di garanzia in favore dell'imputato. Nel Code d'instruction criminelle, promulgato nel l 808 ma entrato in vigore nel l 8 1 1 , il sistema misto era così congegnato. La fase anteriore al dibattimento, denominata istruzione, era prevalentemente inquisitoria, ma era temperata in aspetti fondamentali da istituti del sistema accusatorio. La fase del dibattimento era prevalentemente accusatoria, salvo alcuni temperamenti in senso inquisito rio. n sistema misto era caratterizzato dalla "separazione di funzioni" tra accusa e giudizio (v. tav. 1 . 1 .4 ) . L'istruzione era segreta e veniva svolta dal giudice istruttore. Non s i trattava della inquisizione dell'Ancien Régime perché vi erano i seguenti temperamenti: l ) l'istruzione iniziava dopo che il pubblico ministero aveva fatto formale richiesta al giudice istruttore; 2 ) essa terminava dopo che il pubblico ministero medesimo aveva chiesto il rinvio a giudizio o il proscioglimento; 3 ) il giudice non poteva rifiutarsi di compiere l'istruzione; 4) era garantito all'imputato il controllo giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a giudizio; tale controllo era svolto da una sezione della corte d'appello composta da giudici togati (Chambre
d'accusation). Nella fase istruttoria il sistema misto si caratterizzava per il fatto che l'assunzione delle prove era affidata al giudice, e cioè ad un organo comunque separato dal potere esecutivo; tale organo era sotto il controllo della corte d'appello, dalla quale ricavava al tempo stesso la "forza" di opporsi all'ufficio del pubblico ministero. A quest'ultimo, poiché dipendeva dal potere esecutivo, non si volevano attribuire poteri coercitivi. Soltanto in presenza di flagranza di reato il principio veniva meno: sia il pubblico ministero, sia la polizia potevano arrestare l'imputato e potevano disporre la perquisizione. A sua volta, la fase del dibattimento era prevalentemente accusatoria; tuttavia essa era temperata dai seguenti princìpi: l) le domande ai testimoni erano rivolte dal presidente del collegio giudicante; 2) gli atti compiuti prima del dibattimento potevano essere letti e su di essi il giudice poteva fondare la sua decisione (v. tav. 1 . 1 .2) . n sistema misto "inventato" dal codice del 1808 mirava a fondere in un'unica struttura processuale i caratteri del sistema inquisitorio e di quello accusatorio, cercando (almeno nei propositi) di sommarne gli aspetti positivi e, al tempo stesso, di contemperare la difesa della società e la tutela dell'imputato. L'istruzione era una " assunzione" della prova, mentre il dibattimento costituiva una "critica " ed un " controllo" sulla medesima. Sono note le obiezioni che sono state formulate in tempi recenti. La distinzione tra istruzione e dibattimento è artificiosa perché va contro la realtà delle cose: non si può assumere una prova senza, nel medesimo tempo, valutaria. A sua volta, la decisione non è un atto staccato dalla formazione della prova: mentre si sente un testimone, se ne valuta la credibilità. n sistema misto
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Evoluzione storica del processo penale
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è stato criticato in quanto le prove sono raccolte in segreto senza che la difesa possa svolgere un controllo: colui che rende dichiarazioni può subire "pres sioni" dall'inquirente. Soltanto in dibattimento l'imputato è autorizzato a " demolire" le prove, già assunte. In definitiva, il difetto del sistema misto napoleonico sta nel non aver assicurato il principio di separazione delle fasi. L'attuazione sostanziale di tale canone, infatti, richiede che il giudice del dibattimento possa decidere, di regola, soltanto sulla base delle prove assunte in contraddittorio. Queste sono le obiezioni dovute a ciò che possiamo definire "il senno di poi ". Nel momento in cui è sorto, il sistema misto è stato salutato come una conquista di civiltà; esportato in tutti gli Stati dell'Europa continentale dalle armate napoleoniche, esso ha sostituito il processo inquisitorio. Dopo il 1 8 15 negli Stati europei tornarono al potere i sovrani assoluti, i quali immediatamente ripristinarono il processo inquisitorio con tutte le carat teristiche che ormai ben conosciamo. Con fatica il movimento liberale nel corso dell'800 riuscì a imporre negli Stati dell'Europa continentale il ripristino del sistema misto napoleonico. Visto con gli occhi di allora, era un notevole passo avanti in senso garantista. In effetti, il sistema misto è accettabile a patto che funzionino i controlli politici, che sono tipici della separazione dei poteri. Attraverso il pubblico ministero, il potere esecutivo è responsabile dell'iniziativa nella repressione dei reati e ne risponde davanti al parlamento e all'opinione pubblica. 13. I codici italiani di procedura penale.
n 1848 costituì un anno fondamentale della storia italiana per quanto
concerne sia l'ordinamento costituzionale, sia il processo penale. Nello Stato del Piemonte fu promulgato lo Statuto, che poi doveva diventare la Carta fonda mentale del Regno d'Italia, quando nel 1 865 avvenne l'unificazione. Sempre in Piemonte il 1 maggio 1 848 entrò in vigore il nuovo codice di procedura penale, che accoglieva il modello napoleonico. Anche se era voluto dal movimento liberale, esso (come del resto lo Statuto) era una legge "concessa" dalla grazia del sovrano. Nel 1 859 venne promulgato un nuovo codice basato sempre sul sistema misto; tale codice con alcune modifiche fu esteso nel 1 865 al Regno d'Italia. Dal 1866 iniziarono gli studi tendenti a riformare il processo penale; ma soltanto nel 1 892 una commissione fu incaricata di redigere il progetto di un nuovo codice. Nel frattempo il parlamento era stato assorbito dalla riforma del diritto penale, che si era conclusa con l'approvazione del codice liberale del 1889. n primo codice di procedura penale italiano vide la luce nel 1 9 1 3 . Pur conservando il sistema misto, esso innovava rispetto al modello napoleonico, in quanto riconosceva ampi diritti all'accusato già nel corso della fase istruttoria. o
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Sistema inquisitorio, accusatorio e misto
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Il difensore dell'imputato aveva il diritto di assistere con preawiso alle perizie, agli esperimenti giudiziali ed alle ricognizioni; poteva assistere senza preavviso alle perquisizioni domiciliari. Inoltre il difensore aveva il diritto di prendere visione dei verbali degli atti predetti, oltre che dei sequestri, delle perquisizioni personali, delle ispezioni e dell'interrogatorio dell'imputato (al quale, però, non poteva assistere) . In definitiva, nel corso dell'istruzione, restavano segrete soltanto le testimonianze. Nel dibattimento (per i reati più gravi, e cioè per i crimini) fu introdotta la giuria popolare; essa decideva sul fatto, mentre i giudici togati determinavano la quantità della pena, ove fosse stata pronunciata condanna. La giuria deliberava in udienza mediante schede segrete, su quesiti formulati dal presidente; erano presenti il pubblico ministero ed il difensore. Nel complesso, il codice del 1913 continuava ad appartenere al sistema misto, ma con una considerevole presenza di istituti ricollegabili al processo accusatorio. Al termine della prima guerra mondiale i disordini sociali ed il fermento rivoluzionario determinarono una profonda aspirazione all'ordine. Musso lini se ne rese interprete ed iniziò la soppressione del sistema liberale. Con un decreto legge del 1923 attribuì al governo il potere di nominare tutti i membri del consiglio superiore della magistratura, che fino ad allora erano eletti dai magistrati. Con un tratto di penna fu travolto il frutto di più di venti anni di riforme in favore dell'indipendenza della magistratura. Analoga sorte subì qualche anno dopo il potere legislativo: la separazione dei poteri fu cancellata. In coerenza col nuovo regime, si procedette alla riforma dei codici; quello di procedura penale fu promulgato nel 1 930 insieme al nuovo codice penale; essi entrarono in vigore nel 1 93 1 . Nella Relazione al codice di procedura penale il ministro della Giustizia Alfredo Rocco dichiarava di proporsi un « giusto equilibrio » tra gli interessi dello Stato e quelli dell'imputato. Però il diritto di difesa fu eliminato nella fase istruttoria, che tornò ad essere totalmente segreta; il pubblico ministero, dipendente dal potere esecutivo, ottenne i medesimi poteri coercitivi che erano esercitati dal giudice istruttore. Infatti, il pubblico ministero conduceva una sua istruzione, denominata sommaria, nella quale poteva, tra l'altro, limitare la libertà personale dell'impu tato. Inoltre, poteva assumere le prove e decidere di rinviare l'imputato a giudizio, come se fosse stato un giudice. Dal canto suo, il giudice istruttore nella cosiddetta istruzione formale procedeva d'ufficio alla ricerca delle prove, che assumeva in segreto, e decideva se rinviare l'imputato a giudizio. Infine, il giudice del dibattimento nella decisione poteva utilizzare tutti i verbali degli atti raccolti nelle fasi anteriori (v. tav. 1 . 1 .5 ) . Il codice era riuscito ad attuare un duplice " cumulo di funzioni" : da un lato, il giudice istruttore cumulava i poteri dell' accu�a; da un altro lato, il pubblico
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ministero, pur essendo parte, cumulava i poteri del giudice. Al tempo stesso anche la separazione delle fasi processuali era di fatto vanificata dalla utilizza bilità dibattimentale degli atti raccolti nell'istruttoria. Le conseguenze sistematiche furono disastrose. Si abbandonava per la prima volta il principio della separazione delle funzioni processuali, che costi tuiva una conquista del codice napoleonico. Il sistema appariva formalmente misto, ma nella sostanza prevalevano le caratteristiche del sistema inquisitorio. Altre modifiche meritano di essere ricordate. Il pubblico ministero, dipen dente dal ministro della Giustizia, poteva archiviare direttamente le denunce senza chiedere più l'autorizzazione al giudice (a differenza di quanto avveniva col codice del 1913). Tale novità, unita al monopolio dell'azione penale in favore del pubblico ministero, permetteva al governo di bloccare fin dall'inizio il processo penale nei confronti degli "amici" del partito al potere. Erano aumentati i casi di cattura obbligatoria; scompariva l'istituto della scarcerazione automatica dell'imputato per decorrenza dei termini massimi; era abolita la giuria popolare. Al suo posto si introdusse la corte d'assise, composta da due giudici togati e da cinque cittadini; la corte d'assise deliberava sia sul fatto, sia sulle questioni giuridiche. Riepilogo. n sistema inqu1s1torio è quel modello di procedimento penale che è caratterizzato da due princìpi: dal principio di autorità, secondo cui la verità è meglio accertata quanti più poteri sono attribuiti al giudice, e dal principio del cumulo delle funzioni processuali di accusa, di difesa e di giudizio in un unico soggetto, il giudice. Le caratteristiche del sistema inquisitorio sono le seguenti: il giudice inizia il processo d'ufficio (e cioè senza la richiesta di una parte); parimenti, ricerca le prove d'ufficio; il processo si svolge in segreto e per scritto, nel senso che il giudice decide sulla base di dichiarazioni verbalizzate; non vi è alcun limite all'ammissibilità delle prove; l'imputato è presunto colpevole; la regola è la carcerazione preventiva. n sistema accusatorio è quel modello di procedimento penale che si basa sul principio dialettico, in base al quale la verità è tanto meglio accertata quanto più spazio è dato allo scontro tra le parti animate da interessi contrapposti. Il processo accusatorio è çaratterizzato dal principio di separazione delle funzioni processuali (accusa, difesa e giudizio) e dal principio del contraddittorio nella formazione della prova, che si rispecchia principalmente nell'istituto dell'esame incrociato dei testimoni. Le caratteristiche del sistema accusatorio sono le seguenti: il giudice inizia il processo soltanto su iniziativa di parte; le parti, e non il giudice, ricercano la prova; il processo è orale nel senso che di regola il giudice decide sulla base di dichiarazioni rese oralmente e nel contraddittorio tra le parti; l'imputato è
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presunto innocente; sono previsti limiti alla ammissione delle prove; la carce razione prima della sentenza è una eccezione. n sistema misto. Occorre premettere che quasi tutte le forme di processo penale, che si sono manifestate nel corso della storia, sono di carattere misto, e cioè accolgono elementi del sistema inquisitorio e di quello accusatorio. Tutta via, da parte di molti studiosi si denomina "sistema misto" quello che ispira il codice francese del 1 808. Esso tende a contemperare le esigenze che ispirano i due sistemi: da un lato, la tutela della società dal crimine; da un altro lato, la difesa dell'imputato. Nel sistema misto del codice del 1808 l'istruzione è prevalentemente inquisitoria, perché è segreta e condotta da un giudice, anche se accoglie alcuni caratteri del sistema accusatorio; il dibattimento è prevalentemente accusatorio perché è fondato sul contraddittorio tra le parti, ma accoglie alcuni caratteri del sistema inquisitorio. In particolare, l'istruzione è svolta dal "giudice istruttore " ; è diversa dall'inquisizione in quanto sono presenti i seguenti temperamenti: l'istruzione inizia dopo che il pubblico ministero ha fatto formale richiesta al giudice istruttore; l'istruzione termina dopo che il pubblico ministero ha chiesto il proscioglimento o il rinvio a giudizio; è garantito all'imputato il controllo giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a giudizio. La fase del dibattimento è prevalentemente accusatoria, ma è temperata dai seguenti principi: le domande ai testimoni sono rivolte dal presidente della corte; gli atti compiuti in segreto prima del dibattimento possono, sia pure eccezionalmente, essere letti e su di essi può essere fondata la decisione.
CAPITOLO II IL PROCESSO PENALE DALLA COSTITUZIONE AL CODICE VIGENTE
SOMMARIO: l . I princìpi del processo penale nella Costituzione del 1 948. - 2. Le riforme parziali
al codice del 1930. - 3 . I lavori preparatori del nuovo codice di procedura penale. - 4 . Le linee generali del nuovo processo penale. - 5. Le modifiche successive al 1989. - 6. La costituzionalizzazione dei princìpi del "giusto processo " . - 7. L'attuazione dei nuovi princìpi costituzionali. - 8. Cenni sulla successione delle norme processuali nel tempo. 9. Le fonti internazionali del diritto processuale penale. - 1 0 . Effetti delle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
1.
I princìpi del processo penale nella Costituzione del 1 948.
n ritorno al regime di libertà politica ha provocato ripercussioni sul
processo penale e sull'ordinamento giudiziario. Le conseguenze immediate sono dovute alla legislazione intervenuta tra la data dell'armistizio (8 settembre 1 943 ) e la data di entrata in vigore della Costituzione ( 1 ° gennaio 1 948) . Quelle riflesse vanno individuate nei nuovi princìpi consacrati nella Costituzione medesima. Per quanto riguarda la produzione legislativa, non appena fu liberata una parte del territorio nazionale il Governo Badoglio limitò i poteri della polizia in tema di fermo e sottrasse al pubblico ministero il potere di archiviare le denunce in modo insindacabile (r.d.l. 20 gennaio 1 944, n. 45) . Ma la più importante modifica di rilievo costituzionale interessò l'ordinamento giudiziario. Il r.d.l. 3 1 maggio 1946, n. 5 1 1 , sulle "guarentigie della magistratura" restituì l'inamovi bilità ai giudici e riconobbe alla magistratura nel suo complesso quella indipen denza dal governo alla quale era pervenuta faticosamente al termine del periodo liberale: tutti i membri del consiglio superiore della magistratura erano eletti dai magistrati. Per quanto riguarda la Costituzione, notevoli furono le novità rispetto allo Statuto albertino, che trascurava quasi completamente i princìpi attinenti al processo penale. L'Assemblea costituente ha voluto intervenire in questa ma teria seguendo una precisa strategia. A causa del tempo limitato a loro dispo sizione, i costituenti hanno posto soltanto le garanzie fondamentali che riguar davano i punti nevralgici del processo penale. Nel fare ciò, hanno dato per scontato che alcuni princìpi fondamentali (quali, ad esempio, la pubblicità del
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dibattimento penale) costituissero ormai una conquista consolidata e, pertanto, non necessitassero di espressa previsione nella Costituzione. È importante porre una premessa ulteriore. Nella Costituzione troviamo, accanto a norme che toccano direttamente il processo penale, altre norme che lo influenzano indirettamente. Vi sono, infatti, princìpi generali che manifestano la loro portata anche in relazione al processo penale. Poiché non ha senso in questa sede una trattazione di diritto costituzionale, preferiamo !imitarci a ricordare quali sono i differenti orientamenti ideologici che hanno contribuito ad elaborare la Carta fondamentale e quali sono i princìpi che sono stati ispirati da tali orientamenti. Infatti, nel corso dei lavori preparatori della Assemblea costituente ( 1 946- 1 947) hanno portato un contributo sinergico partiti di matrice ideologica profondamente differente. All'orientamento liberale si devono le norme costituzionali che introducono la separazione dei poteri dello Stato, riaffermata con particolare enfasi a garanzia dell'ordine giudiziario: fra tutte le norme della Costituzione, le meglio congegnate sono state quelle del titolo IV della parte II (sulla magistratura; v. in/ra, parte II, cap. l , § 2) . Al medesimo orientamento si possono ricondurre quelle disposizioni che stabiliscono la separazione delle funzioni nel processo penale: il diritto di difesa, proclamato « inviolabile in ogni stato e grado del procedimento » (art. 24, comma 2 ; v. in/ra, parte II, cap. l , § 6); l'azione penale spettante al pubblico ministero (art. 1 12 ; v. in/ra, parte III, cap. 2, § 2 ) ; il principio del "giudice naturale" precostituito per legge (art. 25 , comma l ; v. in/ra, parte II, cap. l , § 2 , /) . L'insieme di queste norme dimostra in modo netto che il costituente ha ritenuto che le attività relative al processo penale dovessero spettare ad organi distinti. All'orientamento personalistico si ricollegano le norme che riconoscono i diritti inviolabili della persona umana (art. 2 ) . L'elenco è dettagliato anche nelle garanzie di riserva di legge e di giurisdizione, che vengono precisate in singoli articoli a tutela della libertà personale (art. 1 3 ; v. in/ra, parte II, cap. 5 , § 5 ) , della libertà di domicilio (art. 1 4 ) , di corrispondenza (art. 1 5 ) e di circolazione (art. 16). Il quadro è completato dalla presunzione di innocenza, affermata nell'art. 27, comma 2, sia pure con una formula non limpida, che voleva salvare la legittimità della custodia cautelare applicabile in pendenza del processo penale (art. 1 3 , comma 2 ) . Infine, l'orientamento solidaristico trova l a sua consacrazione negli articoli 2 e 3 della Costituzione. A tale orientamento si possono ricondurre tutte le norme che tendono a rimuovere gli ostacoli di carattere economico che impediscono l'eguaglianza sostanziale: l'art. 24, comma 3 (« sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giuri sdizione ») ; l'art. 24, comma 4 (« la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari »); l'art. 1 12 , che nel porre come " obbli gatoria" l'azione penale vuole garantire che l'iniziativa del processo prescinda
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dalle condizioni economiche svantaggiate della persona offesa dal reato. Sempre all'orientamento solidaristico fanno capo quegli obblighi che la legge proces suale impone al testimone, al denunciante ed al cittadino chiamato a svolgere le funzioni di giudice popolare; sotto quest'ultimo profilo, l'art. 102 , comma 3 dispone che « la legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della Giustizia ». Abbiamo deliberatamente sottolineato le norme che toccano il processo penale per un motivo di attualità. Una corrente di opinione ha sostenuto che la Costituzione non avrebbe fatto una scelta tra i sistemi processuali; in partico lare, non recherebbe alcuna indicazione in favore del sistema accusatorio. Pertanto dalla Carta fondamentale non deriverebbe alcun vincolo che imponga al legislatore di attuare il principio del contraddittorio. Può essere vero che dalla Costituzione non sia ricavabile la scelta in favore del sistema accusatorio puro, almeno nelle forme in cui si è manifestato storicamente negli ordinamenti anglosassoni. Basti pensare che in tali ordina menti l'azione penale è regolata dal principio di opportunità, mentre la Costi tuzione impone l'obbligatorietà (art. 1 12 ) . Tuttavia, se consideriamo nel loro complesso l e norme costituzionali, si possono individuare quelle fondamentali garanzie che appartengono al sistema accusatorio, quali sono, ad esempio, la presunzione di innocenza ed il principio della separazione delle funzioni di accusa, di difesa e di giudizio. Tanto è vero che, da quando nel 1 956 la Corte costituzionale ha iniziato ad esaminare il codice di procedura penale del 1930, sono intervenute più di novanta declara torie di illegittimità di norme ricollegate al sistema inquisitorio. Le sentenze di accoglimento, che hanno applicato le norme della Costituzione, sono state chiaramente orientate in favore dei prindpi ricollegabili al sistema accusato rio ( 1 ) . Pertanto l'interpretazione, secondo cui la Costituzione sarebbe stata " indifferente" alla scelta tra sistema inquisitorio ed accusatorio, non appare fondata. La questione può ritenersi risolta in seguito all'inserimento in Costi tuzione dei princìpi del " giusto processo" , operato dalla legge costituzionale 23 novembre 1 999, n. 2 (v. in/ra § 6). Oggi si ritiene che siano costituzionalizzati alcuni tra i princìpi fondamentali del sistema accusatorio, quale il contraddit torio nella formazione della prova; mentre non appare recepito nella Carta fondamentale il principio di oralità nella sua concezione più estrema.
2.
Le riforme parziali al codice del 1930.
Negli anni successivi alla entrata in funzione della Corte costituzionale hanno preso corpo due iniziative differenti. Da un lato, si sono effettuate ( l)
A. MALINVERNI, Prindpi, cit., 54.
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modifiche parziali al codice del 1 930, che era orientato prevalentemente in senso inquisitorio. Da un altro lato, si è pensato ad un nuovo processo pe nale. Il primo orientamento è prevalso almeno fino al 1 968. L'inizio dell'attività della Corte costituzionale, previsto per il 1 956, ha imposto al legislatore di adeguare ai princìpi costituzionali le norme che più direttamente si ispiravano alle scelte inquisitorie. La legge 18 giugno 1 955, n. 5 17 ha modificato oltre centotrenta articoli del codice del 1 93 0 seguendo una precisa strategia. Poiché non vi era il tempo per discutere nuovi istituti, si è pensato di reintrodurre le garanzie già sperimentate nel codice liberale del 1 9 1 3 . È stata ripristinata la partecipazione del difensore nell'istruzione; è stata migliorata la disciplina delle notificazioni; è stata riproposta la categoria delle nullità insanabili; sono stati limitati i casi di obbligatorietà del mandato di cattura; è stato disciplinato il fermo di polizia giudiziaria e si è reintrodotto l'istituto della scarcerazione automatica per decorrenza dei termini. Altre modifiche al codice del 1 93 0 sono state apportate da numerose leggi: ad esempio, la legge n. 287 del 1 95 1 sulla riforma della corte d'assise e la legge n. 504 del 1 960 sulla riparazione dell'errore giudiziario. Le innovazioni più incisive, però, sono derivate dalle sentenze della Corte costituzionale, che hanno dichiarato l'illegittimità delle norme poste dal codice del 193 0 a cardine del sistema misto prevalentemente inquisitorio. Si tratta, come abbiamo accennato, di oltre cento disposizioni dichiarate incostituzionali, che hanno sortito un effetto benefico. Esse hanno costretto il potere politico, alquanto riluttante, ad introdurre nuove leggi allo scopo di colmare i vuoti e le lacune provocate dalle sentenze della Corte costituzionale. L'effetto complessivo è stato quello di pervenire ad un sistema misto di tipo prevalentemente accusatorio. Le garanzie si manifestavano nella partecipazione della difesa a quasi tutti gli atti precedenti al dibattimento, ad eccezione delle deposizioni testimoniali. L'unico aspetto che non è stato toccato è stata la struttura "mista" del processo e, di conseguenza, il principio del cumulo delle funzioni processuali. Da un lato, il giudice istruttore procedeva d'ufficio alla ricerca delle prove; da un altro lato, il pubblico ministero poteva condurre una sua istruzione, denominata sommaria, nella quale esercitava i medesimi poteri coercitivi ed istruttori che spettavano al giudice. Infine, il giudice del dibatti mento nella decisione definitiva poteva utilizzare tutti i verbali degli atti raccolti nelle fasi anteriori (2) .
(2) La situazione è stata efficacemente rappresentata con l'espressione << garantismo inquisitorio >> da E. AMomo, Il ripudio del giudice investigatore ereditato dal sistema francese ( 1 9 8 1 ) , in Processo penale, diritto europeo e common law, Milano, 2003 , 1 16.
32 3.
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I.II.3
I lavori preparatori del nuovo codice di procedura penale.
Il secondo orientamento, tendente ad operare una riforma della struttura del processo penale, cominciò a manifestarsi nel 1 962. Il Ministro della Giu stizia insediò una commissione per la riforma, presieduta da Francesco Carne lutti. Detta commissione non pervenne a conclusioni unanimi; Carnelutti nel 1 963 presentò a titolo personale una "Bozza di uno schema del codice di procedura penale" accompagnata da una relazione. Si prevedeva un sistema di tipo accusatorio puro, basato sull'oralità e sulla netta separazione tra le fasi processuali (v. tav. 1 .2 . 1 ) . Era una riforma radicale che, appunto per tale motivo, incontrò forti opposizioni. Sempre nel 1 963 il Governo presieduto da Giovanni Leone, ritenuto im possibile affidare al Parlamento l'elaborazione di una legge complessa, quale era un codice, formulò un disegno di legge delega che prevedeva, tra l'altro, la riforma del codice di procedura penale. T aie disegno di legge fu presentato in Parlamento, ma non fu posto in discussione. Soltanto nel 1 966 la Commissione Giustizia della Camera dei deputati iniziò ad esaminare un disegno di legge delega, proposto dal Ministro Oronzo Reale. Nella quinta legislatura fu presentato un nuovo disegno di legge che fu ampiamente discusso; nella sesta legislatura il Parlamento approvò in via definitiva un ulteriore disegno di legge. La relativa legge delega fu pro mulgata il 3 aprile 1 974 con il numero 1 08. Una Commissione istituita dal Ministro della Giustizia e presieduta dal Prof. Gian Domenico Pisapia iniziò i suoi lavori nell'ottobre del 1 974 e presentò il testo del Progetto preliminare nel marzo del 1 978 (v. tav. 1 .2.2). Il difetto fondamentale della legge delega del 1 97 4 stava nel contrasto tra il proposito di attuare il sistema accusatorio e il mantenimento degli istituti tipici del sistema misto. La legge delega imponeva un termine di trenta giorni alle indagini del pubblico ministero; dopodiché spettava al giudice istruttore il compimento di atti di istruzione. Di conseguenza, era conservata l'ibrida figura di un giudice che cumulava i poteri dell'accusa nel ricercare le prove. Un altro difetto consisteva nell'accoglimento del principio della "centralità del dibattimento" . Tutti i processi sarebbero dovuti pervenire in quella sede anche nelle ipotesi nelle quali un rito più semplificato, con un epilogo anteriore al dibattimento, sarebbe apparso egualmente adeguato. La confluenza di tutti i procedimenti nella fase del dibattimento avrebbe comportato, nella pratica, la non gestibilità del sistema. Ma il motivo determinante, che indusse il Governo ad interrompere l'iter della delega, va individuato nel momento storico-politico. Nel marzo del 1 978, qualche giorno dopo la presentazione ufficiale del Progetto preliminare, le Brigate rosse rapirono Aldo Moro. Era in atto la fase più acuta della lotta armata contro lo Stato; in una situazione del genere l'introduzione di un processo più garantista non è apparsa ragionevole. Da quel momento il Parlamento iniziò ad
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approvare leggi di emergenza a difesa dell'ordinamento democratico contro il terrorismo. Nel 1980, dopo che il pentimento di centinaia di terroristi aveva consentito di debellare le più agguerrite bande criminali ed i fiancheggiatori delle stesse, il Guardasigilli presentò alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati un complesso di quaranta emendamenti, che di fatto venivano a configurarsi come una "nuova delega" . Fu nominato un comitato ristretto, al quale si deve la svolta fondamentale. n comitato ristretto configurò una nuova struttura processuale, che si basava sui princìpi del sistema accusatorio. La prova si sarebbe dovuta formare soltanto in dibattimento nel contraddittorio delle parti. Prima di tale momento non si sarebbe dovuta svolgere un'istruzione, bensì una fase di indagini preli minari, nella quale il pubblico ministero doveva compiere investigazioni. Era eliminata la figura del giudice istruttore; al suo posto si prevedeva l'intervento, a fini di garanzia, di un giudice senza poteri di iniziativa probatoria. Il disegno generale del processo penale era completato con la predisposizione di riti alternativi a quello ordinario, che avevano lo scopo di evitare la complessità del dibattimento. Su queste basi riprendeva presso il Parlamento un dibattito che doveva poi concludersi con l'approvazione della seconda (e definitiva) legge delega 16 febbraio 1 987, n. 8 1 . Una Commissione nominata dal Ministro della Giustizia Giuliano Vassalli e presieduta dal Prof. Gian Domenico Pisapia ha redatto il progetto prelimi nare. Questo ha avuto il parere favorevole di una Commissione parlamentare. Il 22 settembre 1988 il Governo ha approvato il testo del nuovo codice, che è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 24 ottobre 1988 ed è entrato in vigore il 24 ottobre 1 989. 4.
Le linee generali del nuovo processo penale. a.
La separazione delle funzioni e delle fasi del procedimento.
Il nuovo processo penale è fondato su tre princìpi fondamentali: l ) il principio della separazione delle funzioni; 2) il principio della netta ripartizione delle fasi processuali; 3 ) il principio della semplificazione del procedimento. Il principio della separazione delle funzioni processuali svolge un ruolo di garanzia simile a quello svolto dalla separazione dei poteri dello Stato; esso impone che il giudice abbia soltanto il compito di dirigere l'assunzione delle prove e di decidere senza cumulare in sé l'ulteriore potere di svolgere indagini. Stabilisce inoltre che il pubblico ministero si limiti a ricercare le prove e non cumuli in sé il potere di assumerle. In tal modo viene assicurata una maggiore dialettica tra accusa e difesa, che espongono le proprie ragioni in una situazione
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di tendenziale equilibrio sotto il controllo del giudice. Questi è in una posizione di imparzialità perché il suo compito non è quello di indagare, bensì di decidere sulla base delle richieste formulate dalle parti. In base al principio della netta ripartizione in fasi, il procedimento penale vede susseguirsi le indagini preliminari svolte dal pubblico ministero, l'udienza preliminare ed il dibattimento. Questa struttura, che costituisce lo svolgimento ordinario del procedimento, vuole tutelare alcuni valori che sono propri del sistema accusatorio (v. tav. 1 .2.4). In primo luogo, si vuole che la prova utilizzabile nella decisione in dibattimento sia quella che viene assunta nel pieno contraddittorio delle parti, e cioè davanti al giudice ed alla presenza del pubblico ministero e del difensore dell'imputato. Pertanto, almeno come regola, la prova assunta prima del dibattimento è inutilizzabile. In secondo luogo, si vuole tutelare il diritto dell'imputato a che un giudice controlli la necessità del rinvio a giudizio e, quindi, la fondatezza dell'accusa formulata dal pubblico ministero. Infatti, il rinvio a giudizio, già in forza della pubblicità che caratterizza tale fase, costituisce una sofferenza per l'imputato innocente ed è per lui fonte di spese processuali; pertanto costituisce un danno da evitare. A tal fine è predisposta una udienza preliminare, nella quale il giudice esamina gli atti raccolti dal pubblico ministero e decide se rinviare a dibattimento l'imputato o pronunciare una sentenza di non luogo a procedere (v. tav. 1 .2.3 ) . b.
Le indagini preliminari.
Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero svolge funzioni investigative, che consistono nella ricerca di elementi di prova e nella identifi cazione del colpevole. Può disporre perquisizioni, sequestri e accertamenti tecnici ed ha il potere di ordinare il fermo di un soggetto gravemente indiziato quando vi è pericolo di fuga (v. tav. 3 . 1 . 17 ) . Tutte le altre misure coercitive nei confronti dell'imputato (custodia in carcere, arresto domiciliare, misure obbli gatorie o interdittive) possono essere disposte soltanto dal giudice, su richiesta del pubblico ministero. Nella fase in esame le funzioni di garanzia sono svolte da un nuovo organo, denominato "giudice per le indagini preliminari" ; questi differisce dal giudice istruttore del codice del 193 0 in quanto non ha poteri di iniziativa probatoria, e cioè non ha il compito di "investigare" , bensì soltanto di decidere sulle richieste delle parti. Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero non ha, di regola, il potere di assumere prove direttamente utilizzabili per la decisione finale. Se occorre assumere subito prove non rinviabili al dibattimento, il pubblico ministero o l'indagato possono farne domanda al giudice. Se questi la accoglie, le prove sono assunte dinanzi a lui in una udienza denominata " incidente
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probatorio" e possono essere successivamente utilizzate .ai fini della decisione. L'incidente probatorio è ammesso, ad esempio, quando è necessario per raccogliere la deposizione di un testimone che è sottoposto a minaccia o che si trova in gravi condizioni di salute. La richiesta di archiviazione. Quando sono concluse le indagini, il pubblico ministero deve scegliere entro un termine prefissato se chiedere al giudice per le indagini preliminari il rinvio a giudizio o l'archiviazione. Egli chiede l'archi viazione se la notizia di reato è infondata. Occorre sottolineare che il pubblico ministero non può decidere di archiviare il caso di propria iniziativa; deve necessariamente rivolgere al giudice una richiesta. Ciò costituisce un'applica zione del principio costituzionale (art. 1 12 ) in base al quale l'azione penale è obbligatoria. Ne consegue che il pubblico ministero è tenuto a valutare se « gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari » sono « idonei a sostenere l'accusa in giudizio » (art. 125 disp. att.); se non li ritiene idonei, deve chiedere l'archiviazione al giudice per le indagini preliminari. Quest'ultimo, quando accoglie la richiesta del pubblico ministero, dispone l'archiviazione. Nel caso contrario, e cioè quando il giudice non accoglie la richiesta di archiviazione (o quando la persona offesa ha presentato opposizione ammissi bile), deve svolgersi una udienza in camera di consiglio alla quale possono partecipare il pubblico ministero ed i difensori della persona offesa e dell'in dagato. Il giudice svolge una penetrante funzione di controllo, all'esito della quale può adottare tre diversi provvedimenti (art. 409): se ritiene che la notizia sia infondata, dispone l'archiviazione. Altrimenti, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica al pubblico ministero, fissando il termine per il compimento di esse. Infine, qualora ritenga che gli elementi raccolti siano già idonei a sostenere l'accusa in giudizio, ordina al pubblico ministero di formulare l'im putazione e fissa la data dell'udienza preliminare (c.d. imputazione coatta). È chiaro che, nelle ultime due ipotesi appena ricordate, il potere del giudice è molto penetrante e può arrivare addirittura ad incidere sull'esercizio dell'azione penale. La richiesta di rinvio a giudizio. Nel caso in cui il pubblico ministero, terminate le indagini, intenda chiedere il rinvio a giudizio, egli è obbligato a depositare il fascicolo e a notificare all'indagato e al suo difensore un « avviso di conclusione delle indagini » (art. 4 1 5-bis, introdotto nel 1999). Tale atto contiene la descrizione del reato addebitato e l'invito all'indagato ad esercitare determinati diritti. Quindi il pubblico ministero, se non intende chiedere l'archiviazione, presenta richiesta di rinvio a giudizio e formula l'imputazione. L'udienza preliminare. Il giudice fissa la data dell'udienza preliminare, che si svolge in contraddittorio, ma senza la presenza del pubblico. Al giudice spetta di verificare se esistono elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio; ove tali elementi non sussistano, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a proce dere. Viceversa, se esistono elementi idonei a sostenere l'accusa in dibattimento,
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il giudice emana il decreto che dispone il giudizio e suddivide l'originario fascicolo delle indagini in due distinti fascicoli. Si tratta di un punto che caratterizza il codice del 1988. Nel dibattimento si segue la regola secondo cui l'organo giudicante deve decidere sulla base delle prove assunte nel contraddittorio tra le parti e non deve essere influenzato dalle prove raccolte in segreto. La formazione di due distinti fascicoli è prevista per rendere effettivo il principio appena enunciato. Un primo fascicolo « per il dibattimento » contiene i verbali degli atti assunti in contraddittorio (ad esempio, nell'incidente probatorio) ed i verbali degli atti non ripetibili assunti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria. Detti verbali sono conosciuti dal giudice e possono essere letti in dibattimento ed utilizzati ai fini della decisione. L'altro fascicolo, denominato « del pubblico ministero », ha un contenuto residuale: in esso sono ricompresi i verbali degli atti assunti dal pubblico ministero, dalla polizia giudiziaria e dal difensore. n fascicolo è conosciuto soltanto dalle parti e non dal giudice; gli atti in esso contenuti, di regola, non sono utilizzabili per la decisione dibattimentale. In casi eccezionali, i verbali sono utilizzabili come prova del /atto rappresentato. c.
n dibattimento.
Nel dibattimento il principio del contraddittorio è attuato attraverso quel l'istituto di origine anglosassone che è l'esame incrociato. Le domande sono poste direttamente dal pubblico ministero e dai difensori; il presidente del collegio giudicante ha il potere di ammetterle o meno. n presidente ha poteri più ampi di quelli che esercita nel processo anglo americano; può intervenire per assicurare "la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni" ; può rivolgere direttamente domande e perfino indicare "temi di prova nuovi o più ampi" che siano utili alla completezza dell'esame. Quando è terminata l'assunzione delle prove richieste dalle parti, il giudice può ordinare anche d'ufficio che siano assunti nuovi mezzi di prova. In definitiva, il codice del 1 988 respinge quella concezione meramente " agonistica" del pro cesso, che domina il modello angloamericano (3 ) . d.
I procedimenti semplificati.
n terzo principio, che sta alla base del nuovo codice, consiste nella semplificazione del procedimento. Lo svolgimento ordinario del processo pe nale impone ampie garanzie e richiede tempi lunghi, specialmente nella fase
(3) Sul ruolo passivo del giudice in tali ordinamenti, v. M.R. DAMASKA, Il diritto delle prove alla deriva, trad., Bologna, 2003, 140.
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dibattimentale. Non è pensabile che si possano avere uomini, mezzi e risorse così abbondanti da far svolgere tutti i processi per tutti i reati secondo lo schema ordinario appena delineato. Ed infatti è noto che gli ordinamenti, che adottano un sistema processuale accusatorio, prevedono altresì meccanismi di semplifi cazione che riservano la procedura più garantita soltanto ai casi veramente controversi o ai reati gravi. n nuovo codice ha previsto sei riti semplificati dei quali si tratterà nel capitolo ad essi appositamente dedicato (v. tav. 4 . 1 . 1 ) . l ) L'imputato si può accordare con il pubblico ministero sulla specie e sulla misura di pena da applicare (c.d. patteggiamento); l'accordo tiene conto della possibilità, prevista dalla legge, di ridurre la pena fino ad un terzo. n massimo di sanzione, che poteva essere patteggiata in base al testo originario del codice, era la detenzione fino a due anni. Con la legge n. 134 del 2003 il massimo di pena patteggiabile è stato portato a cinque anni; non vi è alcun limite per la pena pecuniaria. n giudice ha il potere di controllare la correttezza della qualifica zione giuridica del fatto e la congruità della pena. 2) L'imputato può chiedere che il processo sia definito nell'udienza preli minare sulla base degli atti raccolti nel fascicolo delle indagini (giudizio abbreviato). Nell'udienza preliminare il giudice può pronunciare una sentenza di proscioglimento o di condanna. In quest'ultimo caso vi è un incentivo per l'imputato: la pena è ridotta di un terzo. 3 ) Se la prova è evidente e l'imputato è stato invitato a rendere interroga torio, il pubblico ministero può chiedere al giudice per le indagini preliminari il rinvio a giudizio senza udienza preliminare (giudizio immediato) . n giudice, se respinge la richiesta, restituisce gli atti al pubblico ministero; se la accoglie, ordina il rinvio a giudizio. Entro quindici giorni dalla notificazione della citazione, l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento. Se l'imputato non presenta richiesta, ha luogo il dibattimento. 4) Dopo che il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio, l'imputato può chiedere al giudice di essere rinviato a dibattimento senza udienza preli minare (giudizio immediato) . In tal caso il giudice è obbligato a pronunciare il decreto che dispone il giudizio. 5) Quando una persona è arrestata in flagranza o quando l'indagato ha confessato nel corso dell'interrogatorio, il pubblico ministero può condurlo direttamente davanti al giudice in dibattimento (giudizio direttissimo). 6) Per i reati meno gravi il pubblico ministero può presentare al giudice per le indagini preliminari richiesta motivata di emissione di un decreto penale di condanna ad una pena pecuniaria (procedimento per decreto). Il pubblico ministero chiede l'applicazione di una pena diminuita fino alla metà rispetto al minimo edittale. Il giudice può accogliere la richiesta o respingerla, restituendo gli atti alla pubblica accusa.
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L'imputato, al quale è notificato il decreto penale di condanna a pena pecuniaria, può proporre opposizione chiedendo lo svolgimento del dibatti mento o, in alternativa, il patteggiamento o il giudizio abbreviato. L'incentivo a non proporre l'opposizione è forte: l'imputato potrebbe perdere la diminuzione della pena e gli altri benefici collegati al decreto. 5.
L e modifiche successive al 1 989.
Con il nuovo codice di procedura penale, promulgato il 24 ottobre 1988 ed entrato in vigore un anno dopo, si è attuato in Italia il passaggio dal sistema misto a quello accusatorio. il legislatore ha voluto configurare tale passaggio non per gradi, bensì in modo netto e reciso; ciò ha comportato vari problemi di assestamento. Dal punto di vista teorico, il legislatore ha creduto che le garanzie processuali potessero essere assicurate limitandosi ad affermare il principio di oralità immediatezza, e cioè rendendo in buona parte non utilizzabili le dichiarazioni rese prima del dibattimento. La fase delle indagini preliminari è stata sguarnita della garanzia del contraddittorio e, soprattutto, in essa si è impedito l'esercizio del diritto alla prova sul presupposto che i risultati, raccolti in tale fase, non sarebbero stati utilizzabili per la decisione finale. In definitiva, si è accolta una visione distorta del sistema accusatorio, che viceversa è basato sulla separazione delle funzioni processuali e sulla presenza di controlli anche nelle fasi anteriori al dibattimento. Dal punto di vista "operativo" , il legislatore ha voluto che la mancata predisposizione di strutture idonee non ritardasse l'entrata in vigore del codice. Di conseguenza, fin dall'inizio la carenza di personale, di uffici e di mezzi ha condizionato negativamente l'avvio della riforma. Anche nella materia del processo penale si è manifestato il vecchio vizio idealista di non preoccuparsi di rapportare i fini ai mezzi. Infine, dal punto di vista psicologico si sono manifestati problemi di adat tamento degli operatori ad una logica processuale che è completamente diversa da quella accolta dal precedente codice e che è basata sul principio dialettico. Ne sono derivate forti reazioni nei confronti dei nuovi princìpi. Basti un esempio per tutti: nel codice attuale non si afferma più che il verbale è fidefacente fino a querela di falso. Pertanto la normale valutazione di credibilità e di attendibilità riguarda anche la dichiarazione resa dall'ufficiale di polizia giudiziaria redigente. Viceversa nel codice previgente tale soggetto si limitava di regola a "confermare" in dibat timento la precedente dichiarazione, che gli veniva letta. Occorre tenere presente che l'articolo 7 della legge 16 febbraio 1 987, n. 8 1 aveva conferito al Governo l'ulteriore delega a d emanare, entro tre anni dall'en trata in vigore del codice, disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei criteri direttivi fissati e su conforme parere di una commissione parlamentare. Il Governo ha utilizzato tale strumento in modo eccessivamente cauto, nonostante
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da più parti e dalla stessa Commissione ministeriale, presieduta dal Prof. Pisapia, si fosse segnalata la necessità di introdurre sostanziose modifiche. Le esigenze pratiche, che il codice lasciava insoddisfatte e che il Governo trascurava, venivano percepite dagli operatori; in particolar modo quelle che erano ricollegate ai pro cessi per delitti di criminalità mafiosa. La situazione è diventata esplosiva tra il 1991 ed i primi mesi del 1992 , a causa del forte incremento dei delitti di mafia. La carenza di iniziativa del Governo e l'inerzia del Parlamento sono state superate dalla Corte costituzionale che ha iniziato a dichiarare illegittime, perché contrarie al principio di ragionevolezza, alcune disposizioni del codice ed i relativi criteri direttivi contenuti nella legge delega (n. 18, 3 1 e 76). Le declaratorie di incostituzionalità, insieme alla situazione di emergenza provocata dagli omicidi dei magistrati Livatino ( 1 99 1 ) , Falcone e Borsellino ( 1 992) , hanno indotto il Governo a modificare alcuni punti fondamentali della disciplina del processo penale (decreto legge n. 3 06 dell'8 giugno 1992) . n testo originario del codice limitava in modo eccessivo l a possibilità di uti lizzare, ai fini della decisione, i verbali delle dichiarazioni rese in segreto prima del dibattimento. Il legislatore con la legge di conversione n. 356 del 1992 ha ecceduto nel senso opposto, estendendone soverchiamente l'utilizzabilità. Lo stesso orientamento era stato fatto proprio dalla Corte costituzionale con le sen tenze n. 254 e 255 del 1992 . Di conseguenza, è risultato leso il principio del contraddittorio, che costituisce il fulcro del sistema accusatorio. Le modifiche operate nel 1 992 hanno innescato un vivace dibattito culturale che auspicava il recupero delle garanzie. Un parziale ritorno alla tutela del con traddittorio si è avuto, per la fase anteriore al dibattimento, con la legge 8 agosto 1995 , n. 332 e, per quella dibattimentale, con la legge 7 agosto 1 997 , n. 267 . I n particolare, l a legge n. 332 del 1995 h a teso a ripristinare alcuni aspetti della separazione delle funzioni prima del dibattimento: si tratta di uno dei settori in cui il codice del 1988 si è dimostrato più gravemente carente. La legge, da un lato, ha aumentato i poteri di controllo spettanti al giudice per le indagini preliminari sugli atti che devono essere valutati al fine di applicare le più gravi misure cautelari; da un altro lato, ha riconosciuto espressamente la legittimità delle indagini svolte dal difensore (dell 'indagato o dell'offeso) ed ha sancito che la relativa documen tazione può essere presentata al giudice per le indagini preliminari. La manovra legislativa è stata completata con la legge n. 267 del 1 997 , che si è occupata dell'ipotesi delicata nella quale un imputato nel corso delle indagini renda dichiarazioni contro un altro imputato. Il legislatore ha limitato l'utilizza bilità di tali dichiarazioni ai fini della decisione sulla reità dell'imputato accusato. In base alla disciplina introdotta con la legge n. 267, quando in dibattimento l'accusatore si avvaleva della facoltà di non rispondere invocando il diritto al silenzio, che gli spettava in quanto imputato, le precedenti dichiarazioni non erano utilizzabili contro l'accusato. Dette dichiarazioni erano utilizzabili in dibattimento soltanto: a) se raccolte fin dall'origine nel rispetto del contraddittorio (incidente
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probatorio) ; b) se l'accusatore si presentava in dibattimento e rispondeva nel corso dell'esame incrociato permettendo all'accusato di controesaminarlo; c) se diven tavano non ripetibili per cause sopravvenute non prevedibili al momento in cui le stesse erano state rese (es. morte dell'accusatore). Le reazioni provenienti da alcuni esponenti della magistratura (4) hanno indotto la Corte costituzionale a ridimensionare il contraddittorio introdotto con la legge n. 267 del 1 997. Invocando nuovamente il principio di ragionevo lezza, la Corte con la sentenza n. 3 6 1 del 1 998 ha ritenuto che la situazione dell'imputato accusatore, chiamato a deporre su di un "fatto altrui" , fosse simile a quella del testimone. Di conseguenza ha esteso a tale ipotesi le norme che permettevano di utilizzare le precedenti dichiarazioni del testimone che fosse rimasto silenzioso. L'imputato accusatore doveva essere portato coattivamente in dibattimento ed era costretto a subire le contestazioni; in caso di silenzio, le sue precedenti dichiarazioni erano utilizzabili in presenza di riscontri che ne confermavano l'attendibilità (art. 5 00, commi 2-bis e 4 ) . L a Corte costituzionale aveva ritenuto di aver tutelato così il diritto dell'imputato a confrontarsi con l'accusatore; ma all'evidenza si trattava di un contraddittorio fittizio, perché l'accusato non poteva costringere l'accusatore a rendere dichiarazioni. Inoltre, non si era considerato che la "somiglianza" col testimone è soltanto formale e non sostanziale. Infatti, se il testimone tace, commette un delitto; di modo che il suo silenzio si configura come una situazione eccezionale. Viceversa, il silenzio dell'imputato costituisce l'esercizio di una facoltà riconosciuta dalla legge. Più in generale, la Corte aveva dato del principio del contraddittorio un'interpretazione riduttiva, limitata alla "critica" di una prova già formata in segreto. 6.
La costituzionalizzazione dei princìpi del "giusto processo". a.
Considerazioni preliminari.
Palese era la frizione tra l'interpretazione prospettata dalla Corte costitu zionale e quella fornita dalla legge n. 267 del 1997 , secondo la quale doveva essere assicurato il contraddittorio "nella formazione" della prova. La sentenza n. 3 6 1 del 1998 ha suscitato la reazione del Parlamento, che ha addebitato alla Corte di aver legiferato in una materia riservata alla competenza del potere legislativo; soprattutto, di averlo fatto fornendo un'interpretazione distorta dei princìpi costituzionali (5 ) . li Parlamento h a preso nuovamente in esame quella parte del progetto della (4) Si è giunti perfino ad affermare che il Parlamento con tale legge avrebbe "abrogato" la mafia. (5) Gli avvocati penalisti italiani hanno lamentato la lesione del contraddittorio, chiedendo il ripristino della normativa del 1997. La protesta ha assunto toni marcati e si è concretata nell'astensione dalle udienze.
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Commissione bicamerale (art. 130) che aveva cercato di rendere effettive le orme della Convenzione europea sui diritti dell'uomo (6). Poiché la nostra - "urisprudenza si rifiutava di riconoscere valore costituzionale a tali norme, la icamerale aveva proposto di inserire direttamente nella Carta fondamentale il ucleo centrale delle garanzie, e cioè i princìpi del " giusto processo" . Il Parlamento ha elaborato un disegno di legge che s i proponeva di introdurre espressamente nella Costituzione detti princìpi; in particolare, ha ·oluto affermare una concezione "forte" del contraddittorio, da attuarsi "nella :ormazione della prova" . Il 10 novembre 1 999 è stata definitivamente approvata la legge di revisione costituzionale dell'art. 1 1 1 con una maggioranza superiore ai due terzi (7 ) ; ciò ha impedito di sottoporre a referendum la riforma. Così inquadrato dal punto di vista delle " origini" , il nuovo testo dell'art. 1 1 1 mostra la sua vera natura di interpretazione "autentica" della Costituzione: ono stati resi espliciti quei princìpi che, a giudizio di molti studiosi, erano già ricavabili dalla Carta fondamentale. b.
I princìpi attinenti ad ogni processo.
Il legislatore costituzionale ha introdotto nell'art. 1 1 1 Cast. cinque nuovi
commi che consacrano i princìpi cardine ai quali deve informarsi ogni processo ed, in particolare, quello penale (8). Si tratta dei princìpi che sono incisivamente intetizzati nell'espressione "giusto processo" e che consistono, tra l'altro, nella riserva di legge in materia processuale, nella imparzialità del giudice, nella parità delle parti e nella ragionevole durata dei processi. La riserva di legge. Il primo comma dell'art. 1 1 1 sancisce che « la giuri sdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge ». Anzitutto occorre sottolineare che la disposizione prevede una riserva di legge: soltanto il legislatore può regolare lo svolgimento del processo; tale compito non può essere svolto da organi amministrativi né giurisdizionali (9) . n "giusto processo". Viene da chiedersi a che cosa alluda l'espressione "giusto processo" . Alcuni ritengono che la locuzione sintetizzi i princìpi sanciti (6) Sul punto, si veda M. CECCHETTI, Il principio del "giusto processo" nel nuovo art. 1 1 1 della Costituzione. Origini e contenuti normativi generali, in AA.Vv., Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, Padova, 200 1 . ( 7 ) S i tratta della legge cost. 2 3 novembre 1999, n. 2, recante ]"'inserimento dei principi del giusto processo nell'art. 1 1 1 della Costituzione" , pubblicata in G.U. 23 dicembre 1999, n. 300. (8) Per una analisi delle origini composite della riforma costituzionale, M. CEcCHETIT, Il principio del "giusto processo" nel nuovo art. 1 1 1 della Costituzione. Origini e contenuti normativi generali, in AA.Vv., Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, a cura di P. Tonini, Padova, 200 1 , p. 49; E. MARZADURI, La riforma dell'art. 1 1 1 Cast., tra spinte contingenti e ricerca di un modello costituzionale del processo penale, in Leg. pen., 2000, p. 758; P. ToNINT, "Giusto processo": riemerge l'iniziativa del Parlamento, in Dir. pen. proc., 2000, p. 137. (9) Per il rilievo che si tratta di una riserva di legge rinforzata, Fors, Il modello costituzionale di giusto processo, in Rass. parlam., 2000, 575; FERRUA, Il "giusto processo", Bologna, 2005, 44-45.
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nei commi successivi ( 10). A nostro avviso, il " giusto processo" si riferisce ad un concetto ideale di Giustizia, che preesiste rispetto alla legge e che è direttamente collegato a quei diritti inviolabili di tutte le persone coinvolte nel processo, che lo Stato, in base all'art. 2 Cost., si impegna a riconoscere ( 1 1 ) . n contenuto dei diritti può essere ricavato dai patti internazionali ai quali l'Italia ha aderito (A. GIARDA) . n contraddittorio "debole". Nel secondo comma sono enunciati princìpi che si riferiscono a tutti i tipi di processo, e quindi anche al processo penale. In particolare viene menzionato il principio del contraddittorio nella sua accezione classica, comportante la necessità che la decisione del giudice sia emanata audita altera parte ( 12) . Si tratta di quel significato " debole" del principio secondo cui il soggetto, che subirà gli effetti di un provvedimento giurisdizionale, deve essere messo in grado di esporre le sue difese prima che il provvedimento stesso sia emanato. Ciò avviene quando il medesimo soggetto conosce i presupposti di fatto e di diritto sui quali il giudice baserà la decisione ( 1 3 ) . n contraddittorio è menzionato anche dal comma 4 della norma in esame, del quale tratteremo tra poco; si tratta in tal caso del significato "forte" del principio in oggetto, inteso come contraddittorio nella formazione della prova. La parità delle parti. Successivamente, il comma 2 dell'art. 1 1 1 Cost. sancisce quel canone di " parità tra le parti" che, ovviamente, ha una potenzialità diversa nel processo civile e in quello penale. Nel processo civile, infatti, è possibile attuare la piena parità delle armi tra attore e convenuto. Nel processo penale, viceversa, parità significa non identità, bensì equilibrio di poteri ( 14 ) . La Corte costituzionale ha affermato che il principio di ragionevolezza può giusti( lO) Secondo P. FERRUA, Il "giusto processo", cit., 32, si tratta di una formula di incerto significato giuridico in quanto i connotati del "giusto" processo sono definiti nei commi successivi. A giudizio di G. SPANGHER, Il "giusto processo" penale, in Studium Iuris, 2000, 256, siamo dinanzi ad un concetto limite, funzionale ad orientare nella scelta delle diverse soluzioni processualmente possibili. Per N. TROCKER, Il valore costituzionale del "giusto processo", in AA.Vv., Il nuovo articolo 1 1 1 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di CrVININI e VERARDI, Milano, 2001, 45 il termine indica gli stessi princìpi successivamente enunciati, visti nel loro dinamico combinarsi in una dimensione concreta e fattuale. ( 1 1 ) C. CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova, 2003, 94; E. MARzAouru, La rz/orma dell'art. 1 1 1 Cast., tra spinte contingenti e ricerca di un modello costituzionale del processo penale, in Leg. pen., 2000, 765. ( 12 ) L'espressione << audiatur et altera pars >> è stata formulata da Seneca ed era contenuta in quell'opera che era intitolata "Andromaca" e che è andata perduta. La frase è ripresa da Giovenale ed in tal modo è diventata patrimonio dei giuristi. ( 13 ) P. FERRUA, Il "giusto processo" in Costituzione, in Dir. giust. , 2000, l, 5. Di " contraddittorio argomentativo" parla M. CHIAVARlO, voce Giusto processo (processo penale), in Enc. dir., Agg. X, Roma, 200 1 , 6 . Occorre tenere presente che i l contraddittorio sancito nel comma 2 non concerne soltanto le decisioni sul merito dell'imputazione, bensì, più in generale, qualsiasi provvedimento, anche di natura incidentale, possa essere emesso nel corso del procedimento penale: C. CoNTI, L'imputato, cit., 98. ( 14) G. SPANGHER, Il "giusto processo", cit., 256. In altre parole, in base al principio di adeguatezza, il concetto di parità deve adattarsi al tipo di processo (civile o penale) ed alla natura dell'interesse (pubblico o privato) che la singola parte persegue.
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fìcare una qualche asimmetria tra le parti quando questa è dovuta alla posizione istituzionale del pubblico ministero e alle esigenze di una corretta amministra zione della giustizia ( 15 ) . n giudice imparziale. Ancora, il processo deve svolgersi « davanti a giudice terzo e imparziale ». Non si tratta di un'espressione sovrabbondante: « l'impar zialità concerne la funzione esercitata nel processo ed impone che non vi siano legami tra il giudice e le parti. La terzietà concerne lo status ossia il piano ordinamentale » ( 16). Si vuole, cioè, che il giudice non cumuli altre funzioni processuali. In definitiva, la Carta fondamentale accoglie il principio della separazione delle funzioni processuali tra giudice, accusa e difesa. La Corte costituzionale, in passato, era pervenuta ad attribuire al concetto di imparzialità il significato di " non pregiudicatezza" rispetto all'oggetto del giudizio ( 17). In base al criterio della imparzialità oggettiva occorre che il giudice (persona fisica) non abbia legami né con le parti (attuali o potenziali; ad esempio la parte civile) né con l'oggetto del procedimento (ad esempio, non deve avere un interesse all'esito dello stesso, come avverrebbe per quel magi strato che abitasse accanto ad una fabbrica della quale egli dovesse accertare la capacità di inquinare l'ambiente) . Infine, occorre sottolineare che il principio di terzietà del giudice è affian cato a quello del contraddittorio. Si tratta di un accostamento ricco di signifi cato: la piena attuazione del contraddittorio postula un determinato assetto della giurisdizione ( 18). La ragionevole durata. L'ultimo principio sancito al comma 2 è quello della ( 1 5 ) Sentenza n. 26 del 2007. Nella successiva sentenza n. 184 del 2009 la Corte ha ritenuto giustificata una diseguaglianza in favore dell'imputato << avuto riguardo alle disparità di segno opposto riscontrabili >> durante la fase delle indagini. ( 1 6) P. FERRUA, Il "giusto processo" in Costituzione, in Dir. Giust. , 2000, l, 78. Ad avviso di G. Fruco, Cosz' le scelte sulla valutazione delle prove vani/icano le conquiste sul giusto processo, in Guida dir. , 1999, 48, 16, il concetto di "terzietà" impone la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. ( 17 ) La Corte ha dichiarato illegittimo l'art. 34, comma 2 c.p.p. << nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato >>. Operando un radicale mutamento rispetto agli orientamenti espressi in precedenza, la Corte ha specificato in motivazione come la decisione di applicare una misura cautelare personale presupponga << un giudizio non di mera legittimità, ma di merito (sia pure prognostico e allo stato degli atti) sulla colpevolezza dell'imputato >>. ( 1 8) A tal proposito, si sottolinea che le recenti modifiche dell'ordinamento giudiziario hanno accolto, sia pure in parte, il principio della separazione delle funzioni processuali. In passato il magistrato del pubblico ministero, trasferitosi alla funzione giudicante, poteva restare nel medesimo distretto e trovarsi a valutare le richieste di coloro, che fino a pochi giorni prima erano stati suoi colleghi. Parimenti, un giudicante si poteva trovare a svolgere funzioni requirenti di fronte ad ex colleghi. Viceversa, in base agli artt. 13 ss. d.lgs. n. 160 del 2006, mod. dalla legge n. 1 1 1 del 2007, è stato stabilito che, nei casi appena menzionati, il cambiamento di funzioni comporta il mutamento di distretto e può verificarsi al massimo quattro volte nell'arco dell'intera carriera. Inoltre, in passato il cambiamento di funzioni avveniva sulla base della sola valutazione del CSM; oggi è necessario, per il magistrato, superare una vera e propria procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale e subordi natamente ad un giudizio di idoneità espresso dal CSM, su parere del consiglio giudiziario.
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« ragionevole durata » del processo, la cui attuazione è rimessa al legislatore. Si tratta, è noto, del recepimento di un precetto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il cui mancato rispetto in Italia ha comportato molteplici condanne del nostro Paese da parte della Corte europea. Non sfugge come un principio del genere sia perfettamente consentaneo al sistema processuale accusatorio, che richiede la concentrazione e la continuità nella trattazione dei processi. Va pe raltro ribadito che quello dell'efficienza processuale è un valore, che non può in alcun modo compromettere le garanzie dell'imputato e la qualità dell'accerta mento processuale. Del resto, il bilanciamento tra le due opposte istanze è già implicito nel termine « ragionevole », che si riferisce alla durata del processo ( 1 9) . Vi è una notevole differenza tra l a formulazione della Convenzione europea (« ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole ») ed il comma 2 dell'art. 1 1 1 , in base al quale « la legge ( . . . ) assicura la ragionevole durata (del processo) ». Mentre la Convenzione attribu isce un vero e proprio diritto soggettivo immediatamente azionabile, la Costi tuzione pone un vincolo alla legge ordinaria (20). c.
I princìpi inerenti al processo penale.
I diritti dell'accusato. I commi successivi enunciano princìpi che si riferi scono esclusivamente al processo penale. n comma 3 è dichiaratamente model lato sull'art. 6, comma 3 , lett. d della Convenzione europea e contiene il catalogo dei diritti spettanti « nel processo penale » alla « persona accusata di un reato ». Occorre premettere un rilievo di natura metodologica. Da un lato, la parola "accusato" non ha un preciso significato tecnico e sembra potersi riferire sia alla persona sottoposta alle indagini, sia all'imputato. Da un altro lato, e per contro, ( 1 9) È ormai pacifico che l'attuazione del canone del délai raisonnable non può in alcun modo compromettere le garanzie dell'imputato e la qualità dell'accertamento processuale. Così P. FERRUA, Il "giusto processo" in Costituzione, cit., 7; A. NAPPI, La ragionevole durata del giusto processo, in Cass. pen., 2002, 1542. Tale rilievo è stato ribadito dalla sentenza della C. cost., 4 dicembre 2009, n. 3 17, che ha affermato che il principio della ragionevole durata non può portare a ledere né il diritto di difesa, né il giusto processo. Sul punto non può esserci un bilanciamento perché il principio della ragionevole durata non può imporre un sacrificio puro e semplice né del diritto al contraddittorio sancito dall'art. 1 1 1 Cost. , né del diritto di difesa, riconosciuto dall'art. 24, comma 2 Cost.; si tratta di << diritti garantiti da norme costituzionali che entrambe risentono dell'effetto espansivo dell'art. 6 CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo ». Occorre tenere presente che mentre la Convenzione europea inserisce la ragionevole durata nel catalogo dei diritti soggettivi immediatamente azionabili, riconosciuti all'imputato, la Costituzione si limita ad una previsione di tipo oggettivo, che tuttavia non esclude, ma assorbe la componente soggettiva. Così P. FERRUA, Il "giusto processo", cit., 56. Contra, E. AMaDIO, Ragionevole durata del processo, abuse of process, e nuove esigenze di tutela dell'imputato, in Dir. pen. proc., 2003 , 797. Si veda, inoltre, P. GAETA Durata ragionevole del processo e giurisprudenza della Corte costituzionale, in Quest. giust., 2003, 1 137. (20) Come è stato osservato, << la scelta è conseguente al tipo di controllo svolto dalla Corte costituzionale (italiana, che) non può sindacare la durata del singolo processo, ma esclusivamente le disposizioni che prevedono tempi lunghi, inutili passaggi di atti da un organo all'altro, formalità superflue, non giustificate né da esigenze repressive, né da garanzie difensive >> (P. FERRUA, Il "giusto processo", cit. , 56).
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la parola "processo" , se intesa in senso stretto, sembra non ricomprendere la fase delle indagini preliminari. Una interpretazione razionale, a nostro avviso, deve attribuire di volta in volta ai due termini il significato che li rende coerenti con il tipo di diritto che viene riconosciuto (2 1 ) . Passiamo adesso all 'esame analitico dei singoli diritti. Anzitutto l a persona sottoposta alle indagini deve essere « informata riservatamente della natura e dei motivi » dell'accusa « nel più breve tempo possibile ». Una disposizione del genere, all'evidenza, si colloca nel punto di frizione tra il diritto di difesa dell'accusato e l'esigenza di segretezza delle indagini (22 ) . Da una parte vi è l'indagato che ha interesse a conoscere quanto prima l'esistenza di procedimenti nei suoi confronti per poter raccogliere elementi a discarico che successiva mente potrebbero disperdersi. Dall'altra parte vi è il pubblico ministero che, per svolgere indagini efficaci, deve poter compiere atti a sorpresa (perquisizioni, intercettazioni ecc.). Il bilanciamento tra le due opposte istanze, a nostro avviso, è attuato dall'espressione « nel più breve tempo possibile », che non ha un significato meramente fattuale, bensì una più pregnante accezione norma tiva (23 ). In altre parole, la predetta espressione non significa "immediata mente" , bensì "non appena l'avviso all'indagato è compatibile con l'esigenza di genuinità e di efficacia delle indagini" . Merita infine ricordare come l'art. 1 1 1 imponga che l'accusato sia informato « riservatamente ». La precisazione è funzionale a prevenire inammissibili divul gazioni di notizie che possano aprire processi paralleli in televisione o sui giornali. La norma prosegue riconoscendo all'accusato il diritto di disporre « del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa ». Una siffatta disposizione sembra dare impulso alle indagini difensive ed agli istituti del patrocinio per i non abbienti e dei termini a difesa dell'imputato (24) . n diritto a confrontarsi con l'accusatore. Veniamo finalmente all'enunciato più importante della norma in esame. L'imputato ha il diritto, « davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico ». Siamo dinanzi all'espresso riconoscimento costituzionale del diritto a confrontarsi con l'accusatore (25 ) . Il disposto è modellato sulla Convenzione europea, salvo due aspetti puntuali. Anzitutto si prevede che il diritto a con frontarsi debba trovare attuazione « davanti al giudice »: la precisazione costi tuisce una importante garanzia per l'imputato. In secondo luogo, la norma parla (2 1 ) C. CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso, cit., 104. (22) A. CoNFALONIERI, Diritto ad essere informati riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa, in Dir. pen. proc. , 2000, 1007; C. CoNTI, L'imputato, cit., 105; P. FERRUA, Il "giusto processo", cit., 85. (23) E. MARZADURI, Sul diritto al silenzio degli imputati il giusto processo vive di contraddiziom; in Guida dir. , 2000, 43, 40. (24) C. CoNTI, voce Giusto processo (dir. proc. pen.), in Enc. dir. , Agg. V, Milano, 200 1 , 632. (25) Si vedano le sentenze della Corte cost. n 361 del 1998 e n. 440 del 2000, in Dir. pen. proc. , 200 1 , 345.
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di « persone » che rendono accuse a carico e non di testimoni, come fa la Con venzione. La variazione terminologica è stata necessaria per ricomprendere anche quel dichiarante che ha la qualità di imputato connesso o collegato. Infine è opportuno sottolineare che la norma utilizza la locuzione « far interrogare », senza precisare chi sia il soggetto che, in tal caso, svolge l'esame. Così formulata, la disposizione è idonea a ricomprendere anche le ipotesi in cui l'esame sia condotto dal giudice, a mezzo del quale le parti possono porre domande al dichiarante. Proseguendo nell'esegesi del comma 3 , all'imputato è riconosciuto altresì il diritto di « ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore ». La prima parte della disposizione riconosce nitidamente il diritto alla prova in capo all'imputato (26) . Per quanto concerne la locuzione che si riferisce all'acquisizione di « ogni altro mezzo di prova » a discarico, la formu lazione letterale della norma potrebbe indurre a ritenere che sia escluso qualsiasi filtro operato dal giudice sull'ammissibilità delle richieste di prova formulate. Ma è chiaro, tuttavia, che una interpretazione ispirata al principio di ragione volezza e di parità delle parti deve indurre a ritenere che anche le prove richieste dall'imputato debbano superare il vaglio giudiziale di ammissibilità (27) . L'ultima facoltà attribuita all'accusato consiste nel farsi assistere d a un interprete « se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo ». A differenza di quanto previsto dalla Convenzione europea, la norma non reca l'espressione « gratuitamente » (28); inoltre, la parola « processo », se stretta mente interpretata, sembrerebbe negare, nella fase delle indagini, riconosci mento costituzionale all'assistenza dell'indagato che non conosce l'italiano. Anche in questo caso la norma deve essere intesa come se si riferisse generica mente al " procedimento " . n principio del contraddittorio. Nei commi 3 e 4 dell'art. 1 1 1 Cost. è affermato il principio del contraddittorio in senso /orte, e cioè in relazione alla materia della prova. Il principio è utilizzato non in uno, bensì in due significati differenti. La norma costituzionale ne coglie a volte l'aspetto oggettivo, altre volte l'aspetto soggettivo (29) . (26) Sottolinea M. CHIAVARlO, voce Giusto processo, cit., 14 che si tratta di una esplicitazione del principio di eguaglianza delle armi. (27) M. BARGIS, Prime osservazioni sulla modifica dell'art. 1 1 1 Cast., in EAD., Studi di diritto processuale penale. "Giusto processo" italiano e Corpus juris europeo, Torino, 2002, 45; M. CHIAVARlO, voce Giusto processo, ci t., 15. Probabilmente, l'ambiguità del testo deriva dalla volontà di riconoscere lo ius probandi anche in relazione alle prove diverse da quelle dichiarative, in merito alle quali esso è espressamente menzionato nella prima parte della disposizione. Così, C. CoNTI, L'imputato, cit., 109. (28) M. CHIAVARlO, voce Giusto processo, cit., 14, ritiene che si tratti di una scelta consapevole del legislatore a fronte della crescita esponenziale dei processi a carico di imputati stranieri e dei relativi oneri. In argomento, D. CURTOTII NAPPI, Il problema delle lingue nel processo penale, Milano, 2002, 235. (29) Sulla disciplina del contraddittorio nel nuovo art. 1 1 1 , E. AMODIO, Dal rito inquisitorio al "giusto
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n contraddittorio in senso oggettivo. n contraddittorio in senso "oggettivo"
è sancito all'inizio del comma 4 . Si tratta del contraddittorio « nella formazione della prova ». È un'espressione lapidaria ma completa nella sua semplicità, che consacra il contraddittorio come metodo di conoscenza. Una prova che sia attendibile non si ottiene in segreto con pressioni unilaterali, bensì in modo dialettico; lo strumento al quale si fa implicito riferimento è l'esame incro ciato (30). La novità, rispetto al passato, è che il principio non è affermato in maniera assoluta, al contrario di quello che aveva fatto la Commissione bica merale, quando nell'art. 130 del Progetto ( 1 998) aveva accolto l'oralità, l'im mediatezza ed il contraddittorio senza alcuna eccezione. Differente è il testo dell'art. 1 1 1 . n contraddittorio in senso oggettivo soffre di eccezioni, poiché viene bilanciato con altre esigenze ritenute prevalenti in determinati casi. Non c'è più massimalismo, ma un modo di pensare diverso, che tiene conto della necessità di contemperare interessi contrapposti. Infatti nel comma 5 si afferma: « la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato, per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita ».
processo", in Il giusto processo, 2002, n. 4, p. 1 03 ; E. AMomo, Giusto processo, diritto al silenzio e obblighi di verità dell'imputato sul fatto altrui, in Cass. pen . , 200 1 , p. 3589; C. CoNTI , Le due "anime" del contraddittorio nel nuovo art. 1 1 1 Cast. , in Dir. pen. proc. , 2000, p. 197; M. DANIELE, Primi contrasti sull'applicazione dell'art. 1 1 1 Cast. e sul principio del contraddittorio, in Cass. pen., 2000, p. 245 1 ; G. DI CHIARA, La "nuova" istruttoria dibattimentale: attuazione del "giusto processo", metodo del contraddittorio e prova rappresentativa, in Foro it., 200 1 , V, p. 291; P. FERRUA, La Corte costituzionale promuove la "regola d'oro" del processo accusatorio, in Dir. pen. proc. , 2002, p. 403; L. FIL!PPI, A proposito di "giusto processo": l'imputato diventa attore della cross examination? in Dir. pen. proc., 2000, p. 1235; G. GIOSTRA, voce Contraddittorio (principio del) dir. proc. pen., in Enc. giur. Treccani, Agg. X, Roma, 200 1 , 4; V. GREVI, Dichiarazioni dell'imputato sul/atto altruz; diritto al silenzio e garanzia del contraddittorio (dagli insegnamenti della Corte costituzionale al progettato nuovo modello di "giusto processo"), in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 844; A. NAPPI, Il contraddittorio dimenticato, in Dir. giust., 2000, 26, 5 ; D. SIRACUSANO, Il contraddittorio tra Costituzione e legge ordinaria, in Dir. pen. proc. , 2000, p. 1425; D. SIRACUSANO, Lunga marcia del contraddittorio fra Costituzione e legge ordinaria, in Dir. giust., 2000, 45, p. 8; P. ToNINI, Il contraddittorio: diritto individuale e metodo di accertamento, in Dir. pen. proc. , 2000, p. 1388; G. UBERTIS, Giusto processo e contraddittorio in ambito penale, in Cass. pen., 2003 , p. 2096; ID., voce Giusto processo (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Annali, II, t. l, Milano, 2008, 489. (30) La distinzione tra profilo oggettivo e soggettivo del contraddittorio è stata recepita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 440 del 2000. In successive occasioni la Corte ha rawisato nel principio del contraddittorio nella formazione della prova anche un profilo di garanzia per l'imputato. Ad awiso del giudice delle leggi, il contraddittorio costituisce comunque un aspetto del diritto di difesa. Ciò si ricava dalla circostanza che il successivo quinto comma, << nell'ammettere la deroga al principio, fa riferimento anzitutto al consenso dell'imputato >> (così C. cost. , n. 1 17 del 2007 ) . Una lettura unilaterale di tale principio come garanzia esclusivamente oggettiva risulterebbe fuorviante. Infatti, il contraddittorio vale sia a proteggere l'efficienza del sistema e le posizioni della parte pubblica, sia soprattutto, a garantire l'imputato (C. cost. , n. 184 del 2009). Il comma 5 nella parte in cui prevede una deroga basata sul << consenso dell'imputato » (e non già sul << consenso delle parti >> o della << parte controinteressata >>) , ponendola per giunta al vertice della tema di ipotesi derogatorie ivi contemplate, rivela chiaramente che il principio del contraddittorio nella formazione della prova rappresenta precipuamente - nella volontà del legislatore costituente - uno strumento di salvaguardia << del rispetto delle prerogative dell'imputato >> (C. cost., n. 29 del 2009) .
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L'art. 1 1 1 opera un bilanciamento tra princìpi, sul quale torneremo in prosie guo (3 1 ) . n contraddittorio in senso soggettivo. Altri enunciati, viceversa, accolgono un concetto differente di contraddittorio, nella sua accezione "soggettiva" . Come abbiamo accennato, il terzo comma, nella parte centrale, garantisce all'imputato il diritto di « interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico ». Si tratta del riconoscimento a livello costituzionale del diritto dell'imputato a confrontarsi con l'accusatore, diritto che, come si è detto, deve trovare attuazione dinanzi al « giudice ». Un'altra norma, nella quale è recepito il contraddittorio in senso soggettivo, è l'art. 1 1 1 , comma 4, secondo periodo, a mente del quale « la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore ». La clausola appena ricordata, nel collega mento con il comma 3 , effettua un bilanciamento tra due diritti di difesa: il diritto dell'accusatore e quello dell'accusato. A una determinata situazione (sottrazione al contraddittorio da parte dell'accusatore) corrisponde una deter minata conseguenza (inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni rese in se greto). n diritto a confrontarsi trova la sua sanzione attraverso l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi ha eluso il contraddittorio. A tale disposizione faremo comunque cenno nel capitolo sul dibattimento a proposito della utiliz zabilità delle precedenti dichiarazioni (32 ) . 7.
L'attuazione dei nuovi princìpi costituzionali.
L'entrata in vigore dei princìpi del " giusto processo" ha imposto al legislatore ordinario di predisporre in tempi brevi una modifica del sistema probatorio. Infatti, come si desume dalle considerazioni svolte nelle pagine che precedono, la disciplina previgente recava profili di frizione con i nuovi canoni costituzionali. (3 1 ) Sulle eccezioni al principio del contraddittorio, oltre alla letteratura indicata sul tema del giusto processo in generale, C. CESARI, "Giusto processo", contraddittorio ed irripetibilità degli atti d'indagine, in Riv. it. dir. proc. pen., 200 1 , 75; G. GIOSTRA, Analisi e prospettive di un modello probatorio incompiuto, in Quest. giust., 200 1 , 1 130; A. MAMBRIANI, Giusto processo e non dispersione delle prove. I diversi equilibri del processo penale tra scopo conoscitivo e metodo dialettico, Piacenza, 2002; S. RucGERI, "Accertata impossibilità di natura oggettiva" ed irripetibilità degli atti: qualche spunto per una ricostruzione verfassungskonform, in Giur. it., 2002, 1770. (32) Con la sentenza n. 184 del 2009, la Corte costituzionale ha precisato che nelle previsioni dell'art. 1 1 1 Cost. è stata delineata una protezione costituzionale specifica per l'imputato, particolarmente in tema di prove: « insieme al suo diritto (storico connotato della difesa dell'accusato) di confrontarsi con le fonti di prova a carico e di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa (terzo comma), insieme altresì al divieto di provare la sua colpevolezza sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte sua o del suo difensore (quarto comma, secondo periodo), si è infine riconosciuta la sua facoltà di rinunciare unilateralmente all'assunzione delle prove in contraddittorio (quinto comma) ».
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Con la legge n. 63 del 200 1 il legislatore ha cercato di dare attuazione all'art. 1 1 1 Cost. operando essenzialmente su due fronti. Per un verso, è intervenuto sulla disciplina delle qualifiche dei dichiaranti ed ha previsto una riduzione dell'area del diritto al silenzio. Per un altro verso, ha modificato la normativa in materia di dichiarazioni raccolte unilateralmente nel corso delle indagini ed ha affermato che esse sono di regola inutilizzabili in dibattimento come prova dei fatti in esse affermati. Il nuovo assetto del sistema probatorio sarà oggetto di dettagliato esame nei capitoli sui mezzi di prova e sulla utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni. In ogni caso è possibile anticipare fin da ora che la riforma non pare in piena sintonia con l'art. 1 1 1 Cost. Infatti sul fronte della riduzione del diritto al silenzio, a nostro avviso, il legislatore è stato soverchiamente timido. Vi è ancora una sorta di "zona franca" abitata da dichiaranti che possono continuare a tacere ed a mentire davanti al giudice anche sul fatto altrui, vanificando il diritto dell'imputato a confrontarsi con l'accusatore. All'opposto, sul versante relativo alla inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni, la legge n. 63 ha accolto una soluzione radicale, che in alcune ipotesi può compromettere il fine del processo penale, consistente nell'accertamento dei fatti. Il tratto comune delle nuove norme introdotte dal legislatore sta nella estrema complessità delle soluzioni che in molti casi rende ardua la comprensione degli istituti già a livello teorico. Questi rilievi, che avremo modo di approfondire nella sede opportuna, ci inducono ad affermare che la riforma del sistema probatorio, apportata con la legge n. 63 del 200 1 , appare soltanto una tappa intermedia nel percorso che conduce verso una piena attuazione del "giusto processo " . I nuovi princìpi costituzionali sono pregni di potenzialità applicative che ancora attendono una concretizzazione a livello di legge ordinaria. Dunque, la normativa costituzio nale deve restare al centro dell'attenzione dell'interprete. Soltanto in tal modo sarà possibile pervenire ad una soluzione legislativa che possa dirsi equilibrata nel bilanciamento dei princìpi e lineare nella calibratura degli istituti. 8.
Cenni sulla successione delle norme processuali nel tempo.
Considerazioni preliminari. Come emerge dalle considerazioni svolte fino a questo momento, in più occasioni il Parlamento è intervenuto con nuove leggi apportando modifiche alle norme del codice di procedura penale. In tutte queste situazioni si pone il problema inerente alla disciplina da applicare ai procedimenti pendenti nel momento in cui si verifica la successione tra norme. All'evidenza, il principio di certezza del diritto richiede che gli operatori (giudici, avvocati e pubblici ministeri) conoscano quale è la norma che debbono osservare nella situazione concreta. Pur dando atto che la problematica è assai complessa e oggetto di un vivace dibattito in dottrina, nella presente sede ci proponiamo di tratteggiare i cenni indispensabili per avere un quadro generale della materia.
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Anzitutto è opportuno chiarire che, in caso di successione nel tempo di norme processuali penali, possono darsi due situazioni differenti. Può accadere che la nuova legge rechi una disciplina apposita. Ma può altresì accadere che la nuova legge taccia in proposito, e allora occorrerà fare riferimento ai princìpi generali. Norme transitorie e norme intertemporali. Nell'ipotesi meno problematica che la legge predisponga una apposita disciplina per i rapporti giuridici pendenti al momento della sua entrata in vigore, è possibile prospettare una ulteriore distinzione (33 ) . La nuova legge può dettare norme intertemporali o norme transitorie. Le norme intertemporali hanno una natura strumentale. Esse non regolano direttamente la materia interessata dalle norme che si sono succedute, bensì in dicano il criterio in base al quale si individua la disciplina per il caso concreto. Detto altrimenti, si tratta di norme che disciplinano l'applicazione di altre norme. Una norma intertemporale si limita ad individuare, nell'ambito dei rapporti pen denti, quali tra di essi saranno regolati dalla nuova disciplina e quali, invece, resteranno sotto il regime della disciplina previgente (34 ) . Viceversa, l e disposizioni transitorie sono « norme materiali d i diretta ap plicazione » che regolano le situazioni giuridiche coinvolte nella successione di leggi e recano una disciplina speciale per il caso concreto, di solito intermedia tra quella contenuta nella nuova legge e quella dettata dalla normativa abrogata (35 ) . Un esempio può chiarire l a distinzione tra norme transitorie e norme intertemporali. Si faccia il caso di una successione di leggi in materia di inutilizzabilità. Se una disposizione stabilisce che la nuova disciplina si applichi soltanto a quei procedimenti nei quali, ad una determinata data, sia stato dichiarato aperto il dibattimento, siamo dinanzi ad una norma intertemporale. Se, viceversa, una disposizione stabilisce che ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge si applichi una disciplina intermedia tra quella abrogata e quella nuova, si tratta di una norma transitoria. n principio tempus regit actum. Più delicata è la diversa situazione nella quale la nuova legge non rechi alcuna previsione circa i rapporti giuridici pendenti al momento della sua entrata in vigore. Ebbene, in tali ipotesi non è dato riscontrare una lacuna del diritto, poiché vale il principio di irretroattività (33) Cfr. O.MAzZA, La norma processuale penale nel tempo, Milano, 1999, 1 0 1 . (34) L a giurisprudenza ritiene che in tale "selezione" il legislatore non incontri alcun limite, salvo che si trovi a prevedere una disciplina manifestamente arbitraria. Secondo Cass., sez. I, 15 novembre 1990, De Tommasi, in Riv. pen., 1 99 1 , 950: « stabilire il momento a partire dal quale una norma deve produrre i suoi effetti ed il trattamento differenziato applicato alle stesse categorie di soggetti - ma in momenti diversi non contrasta con il principio di eguaglianza, perché lo stesso fluire del tempo costituisce di per sé elemento diversificatore >>; si tratta di un principio che è stato confermato anche dalla Corte costituzionale in più occasioni: v., tra la altre, sent. 27 settembre 1990, n. 4 19, in Giur. cost., 1990, 2529-2530. (35) L'espressione tra virgolette è di O.MAzZA, La norma processuale, cit., 1 0 1 . È intuitivo che la nuova legge può recare contemporaneamente sia una disciplina transitoria, sia una disciplina intertemporale.
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sancito dall'art. 1 1 disp. prel. c.c., che viene considerato uno dei princìpi generali, validi in tutte le branche dell'ordinamento giuridico (36). Ai sensi dell'art. 1 1 disp. prel. c.c. « la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo » . Si tratta di una disposizione di tipo intertem porale, alla luce della partizione sopra prospettata. Essa può essere letta sotto due profili simmetrici: da un lato, sancisce l'efficacia immediata della nuova disciplina; da un altro lato, ne prevede la irretroattività. La norma appena esposta, riportata alla materia processuale, è condensata nel brocardo latino tempus regit actum. Tuttavia, si tratta di una formula eccessivamente sintetica, che è stata da sempre oggetto di accese discussioni circa la corretta definizione dei concetti di tempus e di actus. A nostro avviso, con actus può forse correttamente intendersi ciascun atto o fatto processuale, nonché i relativi effetti (3 7 ) . Per tempus, conseguentemente, dovrà intendersi il momento nel quale l'atto si è perfezionato (3 8). Pertanto, adottando come parametro il momento di entrata in vigore della nuova disciplina, dovrà ritenersi che gli atti, i cui effetti si siano ormai esauriti, saranno regolati dalla disciplina previgente; gli atti ancora da compiere saranno regolati dalla nuova disciplina; gli atti complessi, non ancora perfezionati, ricadranno sotto la nuova disciplina (39).
(36) I n tal senso R . GuASTINI, Principi di diritto, in AA.Vv., Glossario, (Trattato d i diritto privato a cura di G. IuDICA e P. ZArn), Milano, 1994, 346. Invero, una parte minoritaria della dottrina in passato aveva prospettato, con varie modulazioni, la possibilità di applicare anche nel processo penale l'art. 2, comma 3 c.p., che sancisce il principio di irretroattività della legge più sfavorevole: << se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo >>. Per le critiche rivolte a tale tesi, si veda O.MAzZA, La norma processuale, cit., 172 ss. (37) Così G. Lozzr, Favor rei e processo penale, Milano, 1968, 160. Anche la Corte costituzionale pare aver accolto una siffatta accezione: « tempus regi! actum vuoi dire che la validità degli atti è e rimane regolata dalla legge vigente al momento della loro formazione e perciò, !ungi dall'escludere, postula al contrario che a tale legge gli operatori giuridici debbano fare riferimento quando siano da valutare atti anteriormente compiuti >> (C. cost., sent. n. 49 del 1970). (38) Si veda, ancora, O. MAzzA, La norma processuale, cit. , 129: << il canone tempus regi! actum postula [ . . . ] che tutti gli effetti, compresi quelli futuri, rimangano sempre assoggettati alla disciplina vigente al momento della perfezione dell'atto >>. (39) Nel passato il principio tempus regit actum era stato ritenuto operante dalla Cassazione nel caso della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma processuale penale (sez. un., 24 gennaio 1966, Tarantini, in Giur. cost., 1966, 5 3 1 ). L'asserto era basato sul convincimento, poi superato, che la declaratoria di illegittimità costituzionale potesse essere equiparata al fenomeno della "abrogazione", che è prodotto dal sopravvenire di nuove norme (C. cost. 2 aprile 1970, n. 49, in Giur. cost. , 1970, 555 ). Come è noto, la successione di leggi crea due distinte sfere di efficacia: quella della norma abrogata limitata al passato e quella della nuova norma rivolta al futuro (0. MAZZA, La norma processuale penale nel tempo, Milano, 1999, 3 1 9-320). Viceversa, dalle sentenze di accoglimento della corte costituzionale deriva un effetto di annullamento, e non quello dell'abrogazione. Infatti, il vizio di illegittimità costituzionale connota la norma fin dalla sua entrata in vigore e, quindi, anche se viene accertato in un momento successivo, provoca la totale perdita di efficacia della norma, come se questa non fosse mai esistita. Pertanto, la dichiarazione di illegittimità costituzionale è un fenomeno completamente differente dal fenomeno abrogativo, con la conseguenza che il
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Una volta effettuate queste precisazioni sul piano generale, un discorso a parte deve svolgersi in merito al procedimento probatorio. In passato, la giurisprudenza riteneva che la valutazione della prova dovesse essere disciplinata dalle norme vigenti al momento della assunzione della stessa. In altre parole, riteneva che in materia proba toria l'actus fosse l'intero procedimento probatorio. Le sezioni unite della Cassazione, viceversa, hanno messo in evidenza l'equivoco nel quale le precedenti pronunce erano cadute ed hanno sottolineato che il procedi mento probatorio è plurifasico e, pertanto, si compone di una pluralità di atti (ricerca, ammissione, assunzione e valutazione) tra di loro autonomi quanto ad efficacia. Pertanto, il giudice in camera di consiglio dovrà applicare la disciplina vigente al momento della valutazione della prova, anche se tale disciplina è diversa da quella che vigeva al momento della assunzione (40). Così, potrà accadere che il giudice debba applicare un divieto probatorio di nuovo conio e non possa utilizzare elementi che, pure, erano stati legittimamente acquisiti al momento dell'assunzione (4 1 ) .
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Le fonti internazionali del diritto processuale penale.
Tra le fonti del diritto processuale penale, il diritto internazionale ha sempre assunto una particolare rilevanza per vari motivi. In primo luogo, per una ragione di carattere storico, perché al momento della redazione del codice il Parlamento ha vincolato il Governo ad adeguarsi alle « norme delle convenprincipio tempus regit actum non può essere utilizzato per far salvi gli atti compiuti prima della pubblicazione della pronuncia costituzionale, in base ad una norma poi dichiarata illegittima. La Cassazione ha, infatti, precisato che: « una dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma processuale penale determina l'obbligo assoluto per il giudice di non applicare la norma dichiarata incostituzionale sia nel processo a qua, sia in ogni altro giudizio in cui la norma stessa debba essere assunta quale canone di valutazione di qualsivoglia atto o rapporto indipendentemente dal momento in cui esso è sorto >> (Cass., sez. un., 7 luglio 1984, Galante, in Cass. pen., 1984, 2386). L'unico limite a tale efficacia della sentenza di incostituzionalità è costituito dai c.d. rapporti esauriti, cioè " chiusi in maniera ormai irretratta· bile", che non possono più essere portati sub iudice (es. passaggio in giudicato di una sentenza, decadenza, prescrizione). (40) La Suprema corte ha ritenuto che le nuove norme in tema di utilizzabilità trovino immediata applicazione nei giudizi in cassazione, sul rilievo che << il principio tempus regit actum deve essere riferito al momento della decisione e non a quello dell'acquisizione della prova, atteso che il divieto di uso, colpendo proprio l'idoneità di questa a produrre risultati conoscitivi valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento, interviene allorché il procedimento probatorio non ha trovato ancora esaurimento, di modo che il divieto inibisce che i dati probatori, pur se acquisiti con l'osservanza delle forme previste dalle norme previgenti, possano avere un qualsiasi peso nel giudizio >>: così Cass., sez. un., 25 febbraio 1998, Gerina, in Cass. pen., 1998, 1 95 1 ; nello stesso senso Cass., sez. un., 13 luglio 1998, Citaristi, in Cass. pen., 1999, 1 12. Alla luce di siffatti princìpi, la Suprema corte ha concluso che la nuova disciplina della inutilizzabilità di un elemento di prova poteva trovare applicazione anche in sede di giudizio in cassazione. (41) L'indirizzo affermato dalle Sezioni Unite è stato, tuttavia, successivamente contraddetto da Cass., sez. VI, 1 1 maggio 2000, Francica, in Dir. pen. proc. , 2000, 870, nota di P. FERRuA, Un salutare ripensamento sul tempus regit actum, ivi, secondo cui << l'applicazione delle norme sull'acquisizione probatoria si esaurisce nelle fasi di merito e (. . . ) in sede di legittimità si deve accertare solo il pregresso corretto governo di tali norme >>. Per una ampia disamina del diritto transitorio nel quadro delle numerose modifiche apportate negli ultimi anni al diritto processuale penale, si veda P. MAGGIO, Problemi di diritto transitorio ed intertemporale e "crisi" della legalità processuale, in Dir. pen. proc. , 200 1 , 1549 ss.
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zioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale » (art. 2 legge-delega n. 8 1 del 1987 ) . I n secondo luogo, l a rilevanza h a un riscontro diretto nel diritto positivo, perché nella materia dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere (es. estradizione) il codice sancisce il principio della prevalenza delle Convenzioni e del diritto internazionale generale sulle norme previste dal libro undicesimo (art. 696 c.p.p . ) . Nonostante questi due indizi di notevole peso sul valore delle fonti sovra nazionali, fino al 2007 è restata aperta la questione, di carattere generale, della collocazione che deve essere attribuita al diritto internazionale pattizio nel sistema delle fonti. Soltanto di recente la problematica ha trovato un punto fermo nella soluzione che è stata offerta dalle sentenze costituzionali nn. 348 e 349 (42 ) . Si tratta di sentenze che, sebbene abbiano avuto ad oggetto la tematica dell'esproprio per pubblica utilità, assumono tuttavia una valenza generale che tocca direttamente il processo penale. Dalle motivazioni esposte in queste sentenze traiamo le nostre considerazioni al fine di tracciare un quadro sintetico dell'efficacia del diritto internazionale sulla disciplina del processo penale (v. tav. 1 .2 .5 ) . fl diritto internazionale consuetudinario. L'art. 1 0 , comma l Cast. sancisce che « l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto inter nazionale generalmente riconosciute ». Tale disposizione è denominata "trasfor matore permanente" poiché ha la funzione di adattare automaticamente il diritto interno al diritto internazionale consuetudinario, ad esempio, in materia di immunità degli agenti diplomatici. Da ciò deriva che dal suo ambito di applicazione sono escluse le Convenzioni tra gli Stati; sono ricomprese soltanto quelle che si limitano a codificare consuetudini internazionali (43 ) . Le organizzazioni che tendono al mantenimento della pace e della giustizia tra gli Stati. Ad una parte del diritto internazionale pattizio si applica l'art. 1 1 Cast., secondo cui « l'Italia consente ( . . . ) alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni ». Questa disposizione offre una apprezzabile garanzia ai Trattati internazionali che istituiscono organizzazioni volte al mantenimento della pace e della giustizia tra gli Stati (es. ONU) , facendo sì che una legge interna che si ponga in conflitto (42) Si veda il commento di G. GAJA, Il ltmite costituzionale del rt5petto degli « obbltghi internazio nali »: un parametro definito solo parzialmente, in Riv. dir. internaz. , 2008, 136; B. PIATIOLI, Diritto giurt5prudenziale CEDU, garanzie europee e prospettive nazionali, in Dir. pen. proc. , 2008, 262. (43) Possiamo citare, tra le altre, la Convenzione di Vienna, 1 8 aprile 1961, sulle relazioni diploma tiche e la Convenzione di Vienna, 24 aprile 1963, sulle relazioni consolari, ratificate con legge 9 agosto 1967, n. 804; inoltre, la Convenzione di Vienna, 23 maggio 1969, sul diritto dei trattati, ratificata con legge 12 febbraio 1974, n. 1 12. Come è noto, la Corte cost. può sindacare la legittimità del diritto internazionale consuetudinario in relazione ai princìpi supremi del nostro ordinamento e ai diritti inviolabili.
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con tale tipo di convenzione sia passibile di una dichiarazione di incostituzio nalità. In particolare, il diritto comunitario. L'art. 1 1 Cost. ha provocato l'effetto che le norme comunitarie hanno efficacia obbligatoria nel nostro ordinamento (Corte cost. n. 284 del 2007 ; n. 170 del 1984) (44) . Da ciò deriva che il giudice italiano applica direttamente i Regolamenti e le Direttive selfexecuting e valuta se la legge nazionale è compatibile con la norma comunitaria (45 ) ; il giudice disapplica quella legge interna che è "non compatibile" con la norma comuni taria (46). La Corte costituzionale ha precisato che l'Italia ha ceduto una parte della propria sovranità, ma con il limite dei princìpi e diritti fondamentali che sono garantiti dalla nostra Costituzione e sui quali è competente il Giudice delle leggi; si tratta dei princìpi supremi del nostro ordinamento e dei diritti inviolabili (Corte cost. n. 348 e 349 del 2007 ) . A questo proposito, vengono in rilievo l e Decisioni quadro, adottate per ravvicinare le legislazioni degli Stati membri in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria nel settore penale. Tali atti sono molto simili alle Direttive, poiché vincolano gli Stati quanto al " risultato" da ottenere e non in punto di "forme e mezzi" . Le Decisioni quadro non hanno efficacia diretta; tuttavia la Corte di giustizia, con la pronuncia nel caso Pupino, ha affermato che il giudice nazionale è obbligato ad interpretare le norme interne in modo conforme alla Decisione quadro, anche se a questa non è stata data attuazione dal potere legislativo dello Stato membro (47 ) . L'interpretazione deve comunque rispet tare i princìpi fondamentali dell'ordinamento dello Stato membro. (44) È utile ricordare che la materia penale è in via generale esclusa dalla competenza legislativa comunitaria, anche se il Trattato dell'Unione europea prevede il rawicinamento delle normative degli Stati membri. Tuttavia, la Corte di giustizia delle Comunità europee, 13 settembre 2005, in Cass. pen., 2005, 4072, ha affermato il potere dell'Unione di intervenire in materia penale quando tale intervento è reso necessario per tutelare beni riservati alla competenza comunitaria (nel caso, l'ambiente). (45) TI giudice italiano, che non accoglie quella interpretazione della norma comunitaria che è stata affermata dalla Corte di giustizia delle comunità europee, deve sollevare questione pregiudiziale sulla interpretazione della norma comunitaria. (46) Nel caso di Direttiva non se/fexecuting e non attuata, l'Italia ha l'obbligo di risarcire il danno provocato alla persona danneggiata. Si veda Trib. Torino, sez. IV civile, 3 maggio 2010, n. 3 145, in Guida dir., 2010, 28, 16: « sussiste la responsabilità dello Stato italiano per non avere dato piena e completa attuazione alla direttiva comunitaria n. 2004/80/Ce avente a oggetto l'istituzione di un sistema risarcitorio owero di indennizzo per tutti i reati violenti intenzionali e in particolare per i reati di violenza sessuale. Non è condivisibile l'assunto secondo il quale rientra nel potere discrezionale dei singoli Stati membri selezionare le tipologie di reati violenti e circoscrivere la gamma dei reati interessati dalla possibilità di adire lo Stato ai fini indennitari. L'inadempimento dello Stato italiano il quale, nella fattispecie, non abbia dunque previsto un sistema di indennizzo per le vittime di reati violenti intenzionali commessi sul proprio territorio, determina il diritto della vittima al ristoro del danno verso lo Stato stesso, dovendosi riconoscere al danneggiato un credito alla riparazione del pregiudizio subito per effetto del cosiddetto fatto illecito del legislatore, di natura indennitaria >>. (47) CGCE, 16 giugno 2005, Pupino, in Dir. pen. proc. , 2005, 1 178, con nota di A. FABBRICATORE, ivi, 2006, 640, e con osservazioni di A. C!AMPI, L'ordinamento italiano e le Decisioni quadro quale strumento di
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Le norme internazionali pattizie comuni. Al di fuori delle materie contem plate dagli artt. 10 e 1 1 Cost. , vale la regola generale secondo la quale il rango delle norme dei Trattati introdotte nel nostro ordinamento è quello proprio della legge contenente l'ordine di esecuzione del Trattato stesso (48). Tuttavia, anche in questa materia la modifica della nostra Costituzione, attuata con la legge costituzionale n. 13 1 del 2003 , ha introdotto alcune novità. Infatti, l'art. 1 17 , comma l Cost. impone al legislatore italiano il « rispetto ( . . . ) dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali » . Da ciò, ad avviso della Corte costituzionale (n. 349 del 2007 ) , deriva che le norme contenute nei Trattati assumono la denominazione e la natura di "norme interposte" , con un rango inferiore alla Costituzione e superiore al livello della legge ordinaria (49) . Le norme contenute nei Trattati non sono automaticamente recepite nella Costi tuzione, ed anzi occorre verificare che esse siano conformi alla Carta fonda mentale sotto ogni profilo. Tale è la situazione che concerne, ad esempio, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo con la legge 25 ottobre 1977, n. 88 1 , che è stato oggetto di ulteriori protocolli e che contiene importanti disposizioni sulle garanzie nel processo penale. D'altra parte, il dovere incombente sul legislatore italiano di rispettare i « vincoli derivanti dagli obblighi internazionali » comporta varie conseguenze. In primo luogo, il giudice italiano deve interpretare la legge nazionale in modo conforme alla norma internazionale nel limite massimo consentito dal testo della legge nazionale (Corte cost. n. 348 e 349 del 2007 ) . In secondo luogo, se la legge nazionale contrasta con la norma internazionale, il giudice italiano non può disapplicare la legge interna, bensì deve investire della questione la Corte cost., invocando come parametro l'art. 1 17 , comma l Cost. A questo punto, la Consulta deve valutare la compatibilità della legge nazionale con il Trattato (norma interposta) e, successivamente, deve verificare la compatibilità del Trattato stesso con la nostra Carta fondamentale (Corte cost. n. 348 e 349 del 2007) (50) . La Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Esiste, tuttavia, una norma pattizia che, in virtù del suo particolare contenuto e della peculiarità dei meccanismi di tutela da essa istituiti, assume una posizione speciale nel nostro cooperazione di polizia e giudiziaria, in Equo processo: normativa italiana ed europea a confronto, a cura di L. FILIPPI, Padova, 2006, 89. Sulla problematica, A. GAITO, Procedura penale e garanzie europee, Torino, 2006, 5
ss.; E. APRILE, Diritto processuale penale europeo e internazionale, Padova, 2007, 1 16. (48) Si veda T. TREVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, Milano, 2005, 691 . (49) U n esempio di norma interposta è l a legge-delega, della quale tratta l'art. 7 6 della Carta fondamentale; come è noto, la Corte costituzionale è competente a dichiarare l'illegittimità del decreto delegato che non rispetti i princìpi direttivi della legge delega. (50) Con le seguenti possibilità: a) se la norma internazionale risulta in contrasto con Costituzione, la Consulta provvede ad espungerla dall'ordinamento giuridico italiano, dichiarando illegittima la legge di esecuzione in parte qua; b) se la legge nazionale viola il Trattato, la Consulta dichiara illegittima la norma nazionale.
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sistema. È il caso della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (d'ora in avanti denominata sintetica mente CEDU ) , la quale non si limita a stabilire obblighi tra gli Stati contraenti, come avviene per gli altri Trattati internazionali di tipo classico, bensì si rende responsabile della costruzione di un vero e proprio "ordine pubblico europeo " , in cui gli obblighi hanno natura oggettiva e i diritti sono tutelati da una garanzia collettiva (5 1 ) . Si tratta di un punto sul quale conviene soffermarci. L a protezione dei diritti umani, all'interno di ciascuno Stato membro, non è riflessa, bensì " diretta" , visto che la Convenzione riconosce formalmente la loro titolarità in capo alle singole persone (52) e attribuisce alle medesime la legittimazione attiva al ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, una volta esaurite le vie di ricorso interno (art. 13 CEDU). Questa è la caratteristica che differenzia notevolmente la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (integrata da vari Protocolli di attuazione) rispetto ad altre Convenzioni, che si limitano a regolare i rapporti tra gli Stati (53 ) . Al tempo stesso, l a Corte europea h a competenza sulle questioni concer nenti l'interpretazione e applicazione della Convenzione (art. 32 comma l ) al fine di garantire una interpretazione uniforme negli Stati membri. Di ciò è importante tenere conto al momento di ricostruire il sistema delle fonti, così come hanno fatto le sentenze n. 348 e 349 pronunciate dalla Corte Costituzio nale nel 2007 . In entrambe le sentenze si precisa, infatti, che la caratteristica peculiare della Convenzione europea deriva proprio dalla istituzione di un organo giurisdizionale, la Corte europea, al quale è affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa. La naturale conseguenza dell'art. 32, comma l , della Convenzione è che tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la ratifica della CEDU « vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione » (sent. 348) (54 ) . (5 1 ) Rinviamo a V . ZAGREBELSKY, Corte costituzionale, Convenzione europea dei diritti dell'uomo e sistema europeo di protezione dei diritti fondamentali, in Foro it., 2006, 3 . (52) Art. l CEDU: << le Alte Parti Contraenti riconoscono a d ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti al titolo primo della presente Convenzione >>. (53) Si veda, sul punto, Corte cost. n. lO del 1993: << le disposizioni della CEDU e quelle del Patto sui diritti civili (. . . ) non sono suscettibili di abrogazione o modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria >>. (54) Tale affermazione è stata successivamente ribadita da C. cost., n. 3 1 1 e n. 3 17 del 2009. Sul punto si veda P. FERRUA, Il contraddittorio nella formazione della prova a dieci anni dalla sua costituzionalizzazione: il progressivo assestamento della regola e le insidie della giurisprudenza della Corte europea, in Arch. pen., 2008, n. 3 , p. 27 ss. L'Autore fa notare che la Corte europea non è, per sua natura, giudice delle leggi, ma giudice del caso concreto: si limita, infatti, ad accertare se in una determinata vicenda vi sia stata o meno violazione dei diritti tutelati dalla Convenzione. Per l'Autore << la lettura della Convenzione operata dai giudici europei è inevitabilmente funzionale alle
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Giudice italiano e Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Da tutto quello che abbiamo accennato deriva il seguente quadro generale. Il giudice italiano deve interpretare la norma nazionale in modo conforme alla CEDU (così come interpretata dalla Corte europea) nel limite del "testo " della norma nazionale. Se, nonostante tale attività ermeneutica, la norma nazionale contrasta con la CEDU, il giudice italiano non può disapplicarla, bensì deve investire della questione la nostra Corte costituzionale, che ha un duplice compito (Corte. cost. n. 348 e 349 del 2007 ) . D a un lato, l a Consulta deve valutare l a compatibilità della legge nazionale con la CEDU (norma interposta) come interpretata dalla Corte europea. Con l'effetto che la legge nazionale, che sia in contrasto con la norma CEDU, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima con riferimento all'art. 1 17 , comma l della Carta fondamentale, purché ovviamente l a norma CEDU sia compatibile con quest'ultima. Da un altro lato, la Consulta deve valutare se le norme CEDU, interpretate dalla Corte europea, siano compatibili con la Costituzione italiana, nel senso che il bilanciamento tra princìpi è operato dalla Corte costituzionale (55) . Con la conseguenza che, ove la norma CEDU risulti in contrasto con la nostra Carta fondamentale, la Corte costituzionale provvede « ad espungerla dall'ordina mento giuridico italiano » (56). L'aspetto positivo della soluzione prospettata dalle sentenze nn. 348 e 349 pare evidente: il riferimento al giudizio di costituzionalità assicura il vantaggio dell'uniformità di interpretazione delle norme, che in se stesso è un valore essenziale in un ordinamento democratico (57 ) . peculiarità della fattispecie >> per cui « è estremamente rischioso proiettarla fuori dal contesto, convertendola di fatto in una formula legislativa >>. Le interpretazioni della Corte europea rappresentano certamente << un autorevole precedente sulla cui base si può facilmente pronosticare la sorte di analoghi casi >> ma << assumere come vincolante l'interpretazione della norma convenzionale in un ambito diverso da quello relativo alla controversia decisa >> è << una forzatura dei principi generali in tema di legge, giurisdizione e giudicato >>. L'Autore auspica, pertanto, che << le interpretazioni della Corte europea, destinate a fungere da parametro nel giudizio di legittimità costituzionale, siano formalizzate con la massima chiarezza in uno specifico dispositivo >> poiché << non è pensabile che effetti di tale rilevanza siano collegabili ad ogni spunto "interpretativo" contenuto nella motivazione, obiter dieta inclusi >> . (55) Si veda C. cost., 4 dicembre 2009, n. 3 17: la Corte costituzionale << può valutare come ed in qual misura il prodotto dell'interpretazione della Corte europea si inserisca nell'ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il comma l dell'art. 1 17 Cost. , da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che segue, in termini di interpretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni >> attribuite alla competenza del giudice delle leggi. (56) Corte cost. n. 348 del 2007: << si deve peraltro escludere che le pronunce della Corte di Strasburgo siano incondizionatamente vincolanti ai fini del controllo di costituzionalità delle leggi nazionali. Taie controllo deve sempre ispirarsi al ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi interna zionali, quale imposto dall'art. 1 17 , primo comma, Cost., e la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della Costituzione >>. Sul tema, si veda G.GAJA, Il limite costituzionale del rispetto degli « obblighi internazionali »: un parametro definito solo parzialmente, in Riv. dir. internaz., 2008, 138. (57) La compenetrazione tra le garanzie riconosciute dalla Carta fondamentale e quelle sancite dalla Convenzione europea è stata ulteriormente precisata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 3 17 del
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Con la successiva sentenza n. 3 17 del 2009 la Corte ha ulteriormente precisato in quale rapporto si pongano i diritti riconosciuti nella CEDU rispetto a quelli tutelati in Costituzione. li Giudice delle leggi ha affermato quello che potremmo definire il "principio di massima espansione" delle garanzie. Ad avviso della Consulta, laddove possibile le norme CEDU hanno la funzione di ampliare l'area di protezione che la Costituzione riconosce ai diritti fondamen tali. In sostanza, « il confronto tra tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti fondamentali », effettuato attraverso il ricorso all'art. 1 17, comma l Cost., deve mirare « alla massima espansione delle garanzie, anche attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle norme costituzionali che hanno ad oggetto i medesimi diritti » (5 8). n trattato di Lisbona. Dal l o dicembre 2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona (ratificato dall'Italia con la legge 2 agosto 2008, n. 130), con il quale l'Unione europea ha aderito alla CEDU (59). Vi è anche stato un esplicito riconoscimento dei princìpi affermati dalla Carta dei diritti fondamentali del l'Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, che ha acquisito « lo stesso valore giuridico dei Trattati » (art. 6, comma l TUE), divenendo vinco lante per le Istituzioni europee e per gli Stati membri. 10. Effetti delle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
Per quanto concerne gli effetti nell'ordinamento italiano delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la norma 2009. Anzitutto, la Corte ha ribadito che la valutazione finale circa la consistenza effettiva di un diritto fondamentale in singole fattispecie è frutto di una « combinazione virtuosa >> tra i seguenti elementi: a) l'obbligo che incombe sul legislatore nazionale di adeguarsi ai princìpi posti dalla Convenzione europea, così come interpretata dalla relativa Corte; b) l'obbligo, che grava sui giudici comuni, di dare alle norme interne una interpretazione conforme ai precetti convenzionali; c) l'obbligo che incombe sulla Corte costiruzionale, di espungere dall'ordinamento quelle norme che assicurino una tutela insufficiente rispetto a tali parametri. (58) Naturalmente, la Corte costituzionale, richiamando quanto già affermato nelle sentenze n. 348 e 349 del 2007, ha sottolineato che l'espansione non può andare a discapito di altri diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti. Pertanto, in presenza di un conflitto tra differenti garanzie costituzionali, si impone la necessità di effettuare un bilanciamento ragionevole. In tale quadro, la sentenza n. 3 17 del 2009 ha fatto riferimento al concetto di << margine di apprezzamento >> elaborato dalla Corte di Strasburgo come temperamento alla rigidità ed alla natura talora casistica dei princìpi formulati in sede europea. Taie margine di apprezzamento trova la sua primaria concretizzazione nella funzione legislativa del Parlamento, ma deve essere sempre presente nelle valutazioni della Corte costituzionale. Quest'ultima deve curare che la tutela dei diritti fondamentali risulti sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro >>. (59) Infatti, ai sensi dell'art. 6, comma 2 TUE << L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati >>. In base al successivo comma 3 << I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costiruzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali >>.
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a cui far riferimento è l'art. 46, par. l CEDU, il quale afferma: « le Alte parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono Parti ». La disposizione in parola è stata interpre tata, nella giurisprudenza della Corte europea, come una norma costitutiva di due obblighi gravanti su quegli Stati che si sono resi responsabili di una violazione accertata dal Giudice di Strasburgo. n primo obbligo è quello di adottare tutte le misure necessarie a cancellare le conseguenze dannose del comportamento non conforme alla Convenzione. n secondo obbligo è quello di adoperarsi, nel miglior modo possibile, al fine di evitare il ripetersi della violazione in futuro. La restitutio in integrum. Sotto il primo profilo, lo Stato ha il dovere di adottare misure a carattere individuale che assicurino, ave possibile, la restitutio in integrum nei confronti del soggetto leso (60). Le misure idonee a far cessare la situazione lesiva dei diritti dell'uomo. Come abbiamo accennato, lo Stato ha l'ulteriore dovere di adottare quelle misure, a portata generale, che siano idonee a far cessare la situazione lesiva dei diritti dell'uomo, impedendone la reiterazione. La scelta di tali misure deve avvenire sotto il diretto controllo del Comitato dei Ministri, organo esecutivo del Consiglio d'Europa. Un esempio di applicazione di tale massima nell'ordinamento italiano si è avuto in tempi recenti in relazione all'istituto denominato processo in absentia. La giurisprudenza della Corte europea ha elaborato i seguenti princìpi (61 ) : a ) dall'art. 6 par. l CEDU deriva indirettamente il diritto dell'imputato di partecipare al processo penale a suo carico; b) tale diritto non è assoluto, ma suscettibile di rinuncia, espressa o tacita, da parte del suo titolare, purché tale rinuncia sia inequivoca; c) il processo in absentia non è di per sé incompatibile con il sistema della CEDU, ma qualora un soggetto sia condannato senza aver rinunciato in modo inequivoco al diritto a comparire, deve poter ottenere che una giuri sdizione statuisca di nuovo sul merito delle accuse nei suoi confronti. In base ai predetti princìpi, lo Stato italiano aveva il dovere di adottare ogni misura che garantisse a colui, che fosse stato condannato in contumacia in violazione dei princìpi della CEDU, la celebrazione di un nuovo processo o la riapertura della procedura quale forma di restitutio in integrum più adeguata. (60) In tal senso è stato interpretato dalla Corte europea l'art. 46 par. 2 CEDU: nella fondamentale sentenza Scozzari e Giunta contro Italia, 13 luglio 2000, la Corte ha chiarito il contenuto dell'obbligo in parola, precisando che lo Stato che ha causato l'illecito deve, innanzitutto, far cessare la violazione e ripristinare la situazione antecedente a questa. Soltanto laddove la restitutio in integrum sia totalmente o parzialmente impossibile, subentra l'obbligo sussidiario di corrispondere un'equa soddisfazione monetaria all'individuo vittima (art. 4 1 CEDU). (61) V. sent. Corte eur. Colozza c. Italia, 12 febbraio 1985; T. c. Italia, 28 agosto 1 99 1 ; F. C. B. c. Italia, 2 ottobre 1992; Somogyi c. Italia, 18 maggio 2004; Sejdovic c. Italia, 10 novembre 2004.
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Evoluzione storica del processo penale
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n caso Sejdovic. In particolare, nella sentenza del 1 0 novembre 2004, relativa al caso Se;dovic c. Italia, la Corte europea ha affermato che il mancato rispetto, da parte dello Stato italiano, dei princìpi sul giudizio in absentia non era stato causato da un incidente isolato, bensì era il frutto di un difetto strutturale presente nella legislazione. Il Giudice di Strasburgo, nel condannare l'Italia, ha altresì invitato il nostro Stato a modificare il proprio ordinamento interno in modo tale da garantire, in via generale, che un condannato in absentia (con violazione delle garanzie dell'art. 6 CEDU) ottenga sempre una nuova pronuncia sul merito delle imputazioni. Il nostro Paese ha cercato di ottemperare ai propri obblighi attraverso la promulgazione della legge n. 60 del 2005, che ha modificato l'istituto della restituzione nel termine (art. 175 , commi 2 e 3 c.p.p. ) (si veda, in/ra, Parte II, Cap. 2, § 2, lett. d). Nonostante tale riforma, il rimedio processuale appare ancora insufficiente ad attuare in concreto i princìpi sopra menzionati. Infatti, lo Stato italiano concede al contumace soltanto il diritto di proporre appello contro la sentenza di condanna. Tale impugnazione ha natura quasi esclusiva mente cartolare, e cioè non permette la rinnovazione dell'istruzione dibattimen tale se non quando il contumace dimostri di non essere potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore o, in sintesi, provi di non essersi sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento (art. 603 , com ma 4 ) . I n tema d i giudizio contumaciale, quindi, il Legislatore risulta ancora parzialmente inadempiente all'obbligo di conformarsi alle sentenze del Giudice di Strasburgo, sancito dall'art. 46 della Convenzione europea. n caso Somogyi. Peraltro, sempre nella medesima materia, si sono registrati segnali positivi nella direzione di un effettivo adempimento dei princìpi affer mati dalla Corte europea, e ciò è avvenuto ad opera della giurisprudenza della Cassazione, che in tempi recenti sembra essere conscia del dovere di attuare i giudicati europei. Nella sentenza n. 32678, del 12 luglio - 3 ottobre 2006, relativa al caso Somogyi c. Italia, la Corte di cassazione ha affermato che l'obbligo giuridico di conformarsi alle pronunce del Giudice dei diritti dell'uomo non può arrestarsi di fronte alle situazioni interne definite con il giudicato (62 ) . Nel caso di specie, in seguito alla sentenza della Corte europea che aveva dichiarato la non equità del processo celebrato in absentia contro Somogyi, la Corte Suprema ha restituito l'imputato nel termine per proporre appello avverso la decisione di condanna pronunciata dal tribunale italiano. n caso Dorigo. Altro caso in cui la Corte di Cassazione si è uniformata alla giurisprudenza della Corte europea è la sentenza n. 2800 del 1 o dicembre 2006, (62) V. Cass., sez. l, n. 32678, 12 luglio 2007, 1 002.
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3 ottobre 2006, in Dir. giust., 2006, 38, 5 1 , e in Cass. pen.,
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Il processo penale dalla Costituzione al codice vigente
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relativa al caso Dorigo c. Italia. In tale pronuncia l a Cassazione h a affermato che l'ordinamento italiano ha l'obbligo di dare esecuzione alle sentenze del Giudice dei diritti umani, la cui forza vincolante prevale anche sull'autorità di un pregresso giudicato interno. Di conseguenza, ha affermato che in presenza di una sentenza della Corte europea, che abbia accertato che la condanna è stata pronunciata senza le garanzie del giusto processo (63 ) e abbia riconosciuto il diritto del condannato ad un nuovo giudizio, il giudice dell'esecuzione deve dichiarare (ai sensi dell'art. 670 c.p.p.) l'ineseguibilità del giudicato, anche se nell'ordinamento interno non è stato ancora introdotto lo strumento legislativo idoneo ad instaurare un nuovo procedimento (64 ) . È chiaro, comunque, che quelli appena menzionati sono rimedi eccezionali escogitati dalla giurisprudenza. Al fine di conformare il sistema italiano a quello della Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, non sono sufficienti interventi particolari di tal genere, bensì sono necessarie misure a carattere generale, che rendano concreto il diritto della persona, condannata in violazione delle garanzie dell'equo processo, ad essere giudicata nuovamente sul merito delle accuse a proprio carico. Con la declaratoria di infondatezza n. 129 del 2008, la Corte cast. ha affermato che l'istituto della revisione (art. 629 c.p.p.) è sorto per porre rimedio a eventuali errori di giudizio alla luce di fatti sopravvenuti e non può diventare uno strumento per controllare la sentenza di condanna in tutti i casi in cui si sia realizzata nel processo una invalidità in rito, che ne abbia contaminato l"' equità" .
(63) Nel caso di specie, Dorigo era stato condannato senza che fosse rispettato il suo diritto a confrontarsi con i propri accusatori, sancito dall'art. 6 CEDU. (64) V. Cass, sez. I, 1° dicembre 2006 - 25 gennaio 2007, n . 2800, in Cass. pen., 2007, 144 1 .
Parte Seconda PROFILI GENERALI DEL PROCEDIMENTO PENALE
CAPITOLO I I SOGGETTI DEL PROCEDIMENTO PENALE
So.IMMRJD: l.
Proee&rnemo e processo_
polizia giudiziaria. la parte civile.
l.
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2_ JJ giudice. - 3 . Il pubblico ministero.
5. L'imputato. - 6. Il difensore.
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4. La
7. La persona offesa dal reato e
8. Altri soggetti del procedimento penale.
Procedimento e processo. a.
n processo penale sul fatto, sull'autore e sulle conseguenze.
n processo penale ha lo scopo di accertare: a) se una determinata persona ha commesso un reato; b) quale è la personalità dell'autore del reato; c) quali sono le sanzioni che devono essergli applicate. n processo penale ha una funzione " strumentale" rispetto al diritto penale sostanziale, nel senso che è veicolo necessario per applicare la legge penale. Quest'ultima indica i fatti che costituiscono reato e le sanzioni previste per coloro che li commettono. Il processo penale si propone il fine di accertare i fatti storici che costituiscono il reato, di identificarne gli autori e di conoscere la personalità di questi ultimi. a) n processo penale non ha lo scopo meramente teorico di ricostruire la verità su di un fatto commesso, bensì un fine più limitato, che consiste nell'accertare se tale fatto costituisce reato e, nel caso positivo, nell'applicare una sanzione a chi lo ha commesso. L'accertamento del fatto e l'individuazione del suo autore non perseguono finalità astratte o "storiche" , ma servono soltanto per valutare se e quali sanzioni penali devono essere irrogate. b) L 'accertamento della personalità dell'autore del reato è reso necessa rio dalla caratteristica che distingue la sanzione "penale" . Questa si differenzia da quella civile e da quella amministrativa per il fatto di essere proporzionata alla "personalità" dell'autore del fatto illecito. Viceversa la sanzione civile è proporzionata al danno che deve essere risarcito; la sanzione amministrativa è
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Profili generali del procedimento penale
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proporzionata all'interesse pubblico che è stato leso. Soltanto la sanzione penale è proporzionata, oltre che alla gravità del bene offeso, anche alla personalità dell'autore del fatto (art. 133 c.p. ) . c) S e la sanzione penale h a unicamente una funzione " retributiva" , l'esecuzione della stessa può essere affidata alla pubblica amministrazione; il processo si disinteressa di questo momento. Viceversa, se la pena ha, fra le sue molteplici funzioni, anche quella " rieducativa" (tendente a favorire il reinseri mento sociale del condannato) , è indispensabile che un giudice accerti l'evolu zione della personalità del reo in sede esecutiva. Tale accertamento serve al fine di valutare se e quali misure alternative alla sanzione detentiva siano applicabili; più in generale, ha lo scopo di modificare il contenuto della pena in relazione al grado di risocializzazione manifestato dal condannato. b.
L'azione penale.
"Procedimento" e " processo" non sono sinonimi; nel codice di procedura penale ciascuno dei due termini assume un preciso significato (v. tav. 2 . 1 .5 ) . n procedimento penale. Con l'espressione "procedimento penale" s i indica una serie cronologicamente ordinata di atti diretti alla pronuncia di una decisione penale, ciascuno dei quali, in quanto validamente compiuto, fa sorgere il dovere di porre in essere il successivo ed, al contempo, è esso stesso realizzato in adempimento di un dovere posto dal suo antecedente ( 1 ) . Dalla definizione riportata si ricava che nel concetto di procedimento penale sono ricompresi almeno tre elementi fondamentali. In primo luogo, la legge prevede una " serie cronologicamente ordinata" di atti, nel senso che gli atti stessi devono essere compiuti rispettando una determinata sequenza tempo rale. In secondo luogo, tutti gli atti del procedimento hanno la finalità di accertare l'esistenza di un fatto penalmente illecito e la sua attribuibilità ad una persona (2) . In terzo luogo, il compimento di un atto del procedimento fa sorgere in un altro soggetto il " dovere" di compiere un atto successivo, fino alla decisione definitiva. Quest'ultima potrà essere una sentenza di condanna o di prosciogli mento, se viene percorsa l'estensione massima del procedimento; oppure, sarà un decreto (o un'ordinanza) di archiviazione, se il procedimento si arresta prima che venga formulata una imputazione (3 ) . (l) (2)
G . CoNso, I fatti giuridici processuali penali, Milano, 1955, 1 3 2 s. In tal senso, l'oggetto del procedimento è anche definito, con un termine latino, "regiudicanda". (3) Quanto esposto nel testo concerne il procedimento principale, nel corso del quale, tuttavia, può iniziare un procedimento incidentale. Il procedimento incidentale è non uno sviluppo necessitato della serie progressiva di atti, bensì una diramazione collaterale del procedimento principale giustificata da specifiche
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I soggetti del procedimento penale
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n procedimento penale ordinario è diviso in tre fasi: le indagini preliminari, l'udienza preliminare ed il giudizio. n processo penale. L'espressione "processo penale" indica una porzione del procedimento penale. Fanno parte del "processo" le fasi dell'udienza preliminare e del giudizio. Il momento iniziale del processo corrisponde all'esercizio dell'azione penale; il momento finale si ha quando la sentenza diventa irrevocabile, e cioè, in sintesi, non più impugnabile perché nessuna parte ha presentato ricorso nei termini o perché tutte le impugnazioni ordinarie sono state esperite. Occorre far attenzione nella lettura del codice, perché i due termini sono usati, di regola, nel loro significato tecnico. Con l'espressione " in ogni stato e grado del processo" si intende escludere un periodo meramente procedimen tale, e cioè la fase delle indagini preliminari. Con l'espressione "in ogni stato e grado del procedimento" si intende ricomprendere sia le indagini sia il pro cesso. Col termine "grado" si vuole indicare se il giudice prende cognizione dell'oggetto, sul quale deve decidere, in primo esame ovvero in appello o, infine, in sede di ricorso per cassazione. Col termine " stato " si vuole indicare una fase del procedimento; nel procedimento ordinario si susseguono nell'ordine le seguenti fasi: indagini preliminari, udienza preliminare, giudizio (v. tav. 2 . 1 . 1 ) . L'azione penale. L a nozione d i " azione penale" è correlata a quella di processo penale. Come abbiamo visto, con l'espressione "processo penale" si fa riferimento a quella serie cronologicamente ordinata e necessitata di atti che ha come atto iniziale l'azione penale. Ciò premesso, possiamo dare una definizione di azione penale. Essa è la richiesta, diretta al giudice, di decidere sull'imputa zwne. Il codice precisa con quali atti si esercita l'azione penale. Ai sensi dell'art. 405 , comma l c.p.p., nel procedimento ordinario il pubblico ministero esercita l'azione penale quando chiede il rinvio a giudizio dell'imputato. La richiesta è rivolta al giudice e contiene la formulazione dell'imputazione. Nei procedimenti speciali, che eliminano l'udienza preliminare, l'azione penale è esercitata quando il pubblico ministero formula l'imputazione nell'atto che instaura il singolo procedimento: ad esempio, nel giudizio direttissimo il pubblico mini stero contesta l'imputazione all'imputato che sia stato condotto direttamente in udienza (art. 45 1 , comma 4 ) . L'imputazione. L'imputazione consiste nell'addebitare ad un determinato soggetto un fatto di reato. Elementi dell'imputazione sono: l ) l'enunciazione del fatto storico di reato addebitato ad una persona; 2) l'indicazione degli articoli di circostanze; ad esempio, è un procedimento incidentale quello che applica una misura cautelare coercitiva (si veda in/ra, Parte II, cap. 6, § 3 , lett. a).
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Profili generali del procedimento penale
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legge che si ritiene siano stati violati; 3 ) le generalità della persona alla quale è addebitato il reato (art. 4 17 , comma 1 ) . L'esercizio dell'azione penale determina due effetti. In primo luogo, pone al giudice l'obbligo di decidere su di un determinato fatto storico. In secondo luogo, fissa in modo tendenzialmente immutabile l'oggetto del processo, e cioè impone al giudice il divieto di decidere su di un fatto storico differente da quello precisato nell'imputazione (salve le eccezioni descritte negli artt. 5 16-52 1 ) . Possiamo riepilogare quanto abbiamo esposto. Nel processo ordinario, l'azione penale è esercitata quando il giudice è chiamato a decidere nell'udienza preliminare sulla richiesta di rinvio a giudizio. Nei procedimenti speciali che omettono l'udienza preliminare, l'azione penale è esercitata con quell'atto introduttivo del singolo procedimento, con il quale è precisata l'imputazione. Non ha la natura di imputazione l'addebito provvisorio che è formulato dal pubblico ministero nel corso delle indagini; ad esempio, quando nell'interro gatorio il pubblico ministero contesta all'indagato il fatto che gli viene addebi tato (art. 65 , comma 1 ) . La contestazione operata dal pubblico ministero ha unicamente la funzione di mettere in grado l'indagato di esercitare il diritto di difesa. c.
I soggetti e le parti.
n libro primo del codice ricomprende tra i soggetti del procedimento
penale il giudice, il pubblico ministero, la polizia giudiziaria, l'imputato, la parte civile, il responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, la persona offesa ed il difensore (v. tav. 2 . 1 .2 ) . n codice è molto generoso nell'attribuire la qualifica di " soggetto " , anche se della stessa non offre né direttamente né indirettamente una definizione. I soggetti. Si ritiene che possano essere definiti "soggetti " coloro che sono titolari di poteri di iniziativa nel procedimento (M. CHIAVARlO) . Il compimento di un atto del procedimento da parte di un soggetto fa sorgere in altri soggetti il dovere di compiere un atto successivo. Dall'elenco contenuto nel libro primo del codice si può ricavare che non sono considerati " soggetti" , ad esempio, i testimoni ed i periti, probabilmente perché costoro non hanno poteri di iniziativa in relazione al procedimento. Essi rientrano nella più ampia categoria delle "persone" che partecipano al proce dimento (menzionate, ad esempio, dall'art. 45 in tema di rimessione) . Occorre sottolineare che i " soggetti" vengono definiti in relazione alla nozione di "procedimento penale" , e cioè in relazione anche alla fase delle indagini preliminari, quando ancora non è stata esercitata l'azione penale (v. tav. 2 . 1 .4 ) . Le parti. Diverso è il concetto di "parte" , che tradizionalmente è correlato a quello di " azione " . Ne consegue che sono parti il soggetto attivo e quello passivo dell'azione penale che consiste, ricordiamo, nella formulazione dell'im-
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putazione unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio o al compimento di un altro atto che instaura un procedimento speciale. Pertanto, si può definire parte colui che ha chiesto al giudice una decisione in relazione all'imputazione e colui contro il quale tale decisione è chiesta (4) . Con riferimento all'esercizio del l'azione penale, sono parti necessarie il pubblico ministero e l'imputato (5) . L'azione civile di danno. n quadro è reso più complesso dal fatto che entro il processo penale il danneggiato dal reato può esercitare l'azione civile tendente ad ottenere la condanna dell'imputato al risarcimento del danno derivante dal reato (art. 1 85 c.p .; art. 76 c.p.p.) . n danneggiato esercita l'azione civile costituendosi parte civile in un momento successivo a quello in cui il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale (art. 79). L'esercizio dell'azione civile in sede penale è eventuale, in quanto risulta subordinato ad una scelta facoltativa del danneggiato. In tal senso la parte civile è una "parte" poiché chiede al giudice una decisione in relazione all'imputazione; ed è una parte " eventuale" perché la sua esistenza deriva da una scelta facoltativa del danneggiato: in sua assenza il processo ha comunque giuridica esistenza (v. tav. 2 . 1 .3 ) . A sua volta, la parte civile può chiedere il risarcimento dei danni, oltre che contro l'imputato, anche contro il responsabile civile. Costui è il soggetto re sponsabile civilmente per il fatto dell'imputato (art. 185 c.p. ) ; ad esempio, il datore di lavoro è responsabile civilmente per il danno che è stato arrecato dal proprio dipendente "nell'esercizio delle incombenze " a cui quest'ultimo è adibito (art. 2049 c.c.) . Qualora il responsabile civile sia citato o intervenga nel processo pe nale, costui diventa parte. Anche in questo caso si tratta di una parte eventuale. Come conseguenza della riforma dovuta al decreto legislativo n. 23 1 del 200 l , il processo penale può avere come oggetto, oltre alla responsabilità civile per i danni derivanti dal reato, anche quella responsabilità amministrativa d�ll'ente giuridico che deriva dagli illeciti penali commessi dai rappresentanti e dai dirigenti dell'ente mede simo. n procedimento per l'illecito amministrativo è riunito, di regola, al procedimento penale instaurato nei confronti dell'autore di quel reato da cui l'illecito amministrativo
(4) In tal modo abbiamo aggiornato quella definizione che era stata formulata dalla dottrina formatasi nel previgente codice 1930. Cfr. G. LEONE, Trattato di diritto processuale penale, I, Napoli, 1961, 248: parte << è colui che tende ad una decisione giudiziale di fronte ad un altro soggetto, ed è colui di fronte a cui tale decisione viene chiesta ». Si veda anche G. BELLAVISTA, Lezioni di diritto processuale penale, 5" ed., a cura di G. Tranchina, Milano, 1979, 1 8 1 . (5) Sempre in relazione all'esercizio dell'azione penale può essere parte, anche s e eventuale, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Si tratta della persona che è tenuta al pagamento della pena pecuniaria in caso di insolvibilità dell'imputato. Ai sensi dell'art. 197 c.p. è civilmente obbligato l'ente giuridico (es. società per azioni) qualora venga condannato colui che ne ha l'amministrazione (es. ammini stratore delegato) se nel compiere il reato quest'ultimo ha violato gli obblighi inerenti alla sua qualità. Qualora il condannato risulti insolvibile, l'ente è obbligato al pagamento della pena pecuniaria. Il civilmente obbligato è citato a richiesta del pubblico ministero o dell'imputato (art. 89 c.p.p . ) . In tal caso diventa parte nel processo penale: si tratta di una parte "eventuale"; in sua mancanza il processo penale ha ugualmente giuridica esistenza.
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dell'ente dipende (art. 38 decreto legislativo n. 23 1 ) . n pubblico ministero cita l'ente, che così acquista la qualità di parte.
2.
n a.
giudice.
Giudici ordinari e speciali.
n termine "giurisdizione" può avere un duplice significato; può riferirsi alla
funzione ovvero all'organo che la svolge. Nel primo senso può essere definita "giurisdizione" quella funzione dello Stato che consiste nell'applicare la legge al caso concreto con forza cogente da parte di un giudice terzo. Nel secondo senso "giurisdizione" è quel potere dello Stato che è impersonato da organi che hanno la caratteristica della indipendenza e della imparzialità. La giurisdizione non è impersonata da un organo unitario; al contrario, il potere giurisdizionale è " diffuso" e cioè è frazionato in più organi ciascuno dei quali ha una competenza limitata. La competenza. Si può definire " competenza" quella parte della funzione giurisdizionale che è svolta dal singolo organo. Essa è individuata per appros simazioni successive che tengono conto della materia (il titolo di reato), del territorio (il luogo in cui si è compiuto il reato) , della funzione che deve essere svolta in una determinata fase o grado del procedimento e della eventuale connessione con altri procedimenti. La prima distinzione da tracciare è quella tra giudici ordinari e speciali. Sono organi giudiziari "ordinari " quelli che hanno una competenza gene rale a giudicare tutte le persone e che, inoltre, sono composti da magistrati ordinari. Questi ultimi sono magistrati che fanno parte dell'ordinamento giu diziario ed ai quali la Costituzione garantisce l'indipendenza e l'autonomia (art. 104 ) ; costoro godono delle garanzie di inamovibilità assicurate dalla Carta fondamentale (art. 1 07 ) . Sono organi giudiziari "speciali" quelli che sono competenti a giudicare soltanto alcune persone e che inoltre sono composti da magistrati speciali, cioè non appartenenti all'ordinamento giudiziario. Ad esempio, sono giudici speciali i tribunali militari in tempo di pace. Le garanzie di indipendenza dei giudici speciali non sono previste direttamente dalla Costituzione, che rinvia la rego lamentazione della materia alla legge ordinaria (art. 1 08, comma 2 ) . I giudici penali ordinari. Sono giudici penali ordinari d i primo grado il tribunale in composizione collegiale (tre magistrati di carriera, c.d. togati) o monocratica (un magistrato togato), la corte di assise (due magistrati togati e sei giudici popolari) , il giudice di pace (un magistrato non togato) ed il tribunale per i minorenni (due magistrati togati e due esperti); in particolare, il tribunale per i minorenni è un giudice ordinario specializzato con competenza sui reati commessi dai minori degli anni diciotto (v. tav. 2 . 1 .6).
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Giudici ordinari d'appello sono la corte d'appello (tre magistrati togati) , la corte d'assise d'appello (due magistrati togati e sei giudici popolari) e la sezione della corte d'appello per i minorenni (tre magistrati togati e due esperti) (6) . Vi è poi la corte di cassazione. Essa ha sede in Roma, è unica per tutto il territorio nazionale e davanti ad essa possono essere impugnate tutte le sentenze per motivi di legittimità. Il suo giudizio ha, di regola, un oggetto limitato: la corte può controllare se vi è stata inosservanza della legge e se il giudice inferiore ha motivato in modo corretto (art. 606) . Viceversa non può condurre un esame di merito, e cioè ad esempio non può valutare l'attendibilità delle dichiarazioni di un testimone. I giudici penali speciali. Giudici penali speciali sono i giudici militari e la corte costituzionale. I tribunali militari in tempo di pace sono competenti soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate. Sono reati militari quelli previsti esclusivamente dalla legge militare e quelli previsti dalla legge comune, ma richiamati dal codice penale militare in quanto tutelano l'ordinamento giuridico delle forze armate. La legge 7 maggio 198 1 , n. 180 ha esteso ai magistrati militari alcune delle garanzie di indipendenza delle quali godono i magistrati ordinari. In grado di appello sulle decisioni dei tribunali militari è competente la corte d'appello militare. Per il giudizio di legittimità è competente un giudice ordinario, cioè la corte di cassazione. La corte costituzionale, in seguito alla modifica operata dalla legge cast. 16 gennaio 1989, n. l , è competente a giudicare i delitti d i alto tradimento e di attentato alla Costituzione commessi dal presidente della repubblica (art. 90 Cast. ) . In tal caso, la composizione ordinaria della corte, di quindici giudici, è integrata con altri sedici (c.d. giudici aggregati) estratti a sorte da un elenco formato dal parlamento ogni nove anni (art. 135, comma 7 Cast.) . Giurisdizione. I l termine " giurisdizione" può essere utilizzato anche con un ulteriore significato, oltre a quello precisato all'inizio di questo paragrafo. " Giuri sdizione" può indicare l'insieme delle regole che permettono di distinguere i procedimenti di competenza della magistratura ordinaria dai procedimenti di competenza della magistratura speciale; in tal senso, ad esempio, l'art. 28, lett. a, tratta del conflitto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice speciale. Autorità giudiziaria; magistrato. È indispensabile una ulteriore precisa zione terminologica. Quando la Costituzione o la legge ordinaria utilizzano l'espressione " autorità giudiziaria" si riferiscono insieme sia al giudice, sia al pubblico ministero come organi. La stessa dizione " ordinamento giudiziario" è utilizzata per quel corpus normativa che regola sia il giudice, sia il pubblico ministero dal punto di vista organico. (6)
Il tribunale monocratico è giudice di appello per le sentenze pronunciate dal giudice di pace.
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Profili generali del procedimento penale
11.1.2.b
Parimenti, a livello di persone fisiche, il termine "magistrato" è utilizzato per indicare indifferentemente il magistrato giudicante o quello requirente o en trambi. Poi la singola disposizione, se e quando vuole essere precisa, usa l' espres sione "magistrato giudicante" o quella "magistrato del pubblico ministero" . b.
Giurisdizione e "giusto processo".
La Costituzione nell'art. 1 04 comma l utilizza il termine " ordine" e non "potere" giudiziario riferendolo alla magistratura, della quale è garantita l'in dipendenza. La Carta fondamentale vuole far comprendere che la magistratura non partecipa alla funzione di indirizzo politico, che caratterizza il potere legislativo e quello esecutivo. Ed infatti l'attività della magistratura ha una prevalente funzione di garanzia. Resta il fatto che la Costituzione, quando afferma che la magistratura è autonoma e indipendente « da ogni altro potere », riconosce implicitamente che la stessa è un "potere" dello Stato. Infatti è pacifico che possano sorgere conflitti tra un organo giurisdizionale ed uno dei poteri dello Stato, esecutivo o legislativo. Tali conflitti sono risolti dalla corte costituzionale ai sensi dell'art. 134 della Carta fondamentale. In questa sede usiamo l'espressione "potere giudiziario" nel senso appena menzionato e per soli fini di sintesi. Le caratteristiche della indipendenza e della imparzialità distinguono il potere giudiziario dagli altri poteri dello Stato. Il potere legislativo (camera dei deputati e senato) ha, quale funzione prin cipale, quella di emanare le leggi, e cioè norme di carattere generale ed astratto. Non è un organo indipendente perché è eletto dai cittadini ed ha, quindi, una responsabilità politica (artt. 55-56 Cost.) : il singolo deputato o senatore rende conto del suo operato al momento delle successive elezioni. Il potere legislativo non è ovviamente un organo imparziale in quanto compie scelte politiche, e cioè esprime un indirizzo politico nell'approvare le leggi; infine il "prodotto" del po tere legislativo, e cioè la legge, può essere sottoposto al controllo di legittimità costituzionale. Il controllo è svolto dalla corte costituzionale che esamina se la legge osserva i princìpi ed i limiti previsti dalla Costituzione (art. 134 Cost.) . Il potere esecutivo (governo) ha l a funzione d i emanare atti amministrativi e regolamenti. Nel fare ciò applica la legge perseguendo finalità discrezionali. Il potere esecutivo non è un organo indipendente perché deve avere la fiducia del parlamento, che può revocarla in ogni momento (art. 94 Cost. ) . Non è un organo imparziale perché esegue l'indirizzo politico formulato dal parlamento stesso (art. 95 Cost . ) . Infine l'atto amministrativo è sottoposto al controllo del giudice amministrativo e del giudice ordinario (art. 1 13 Cost. ) . L'indipendenza e l'imparzialità. I l potere giudiziario h a l a funzione di emanare sentenze, e cioè di applicare la legge al caso concreto. In base alla
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Costituzione (art. 1 0 1 , comma 2 ) il giudice è soggetto soltanto alla legge e non ad altra fonte (es. atto amministrativo) . L'indipendenza del giudice (sia come potere giudiziario, sia come persona fisica) è garantita dalla Costituzione attraverso un apposito organo, e cioè il consiglio superiore della magistratura (art. 104 Cast.). Questo è eletto per due terzi dai magistrati ordinari e per un terzo dal parlamento in seduta comune tra cittadini aventi una precisa competenza giuridica (7 ) . L'imparzialità del giudice è stabilita dal nuovo comma 2 dell'art. 1 1 1 Cast., in base al quale « ogni processo si svolge ( . . . ) davanti a giudice terzo e impar ziale » (8). In determinate situazioni nelle quali il giudice è (o può apparire) "parziale" , egli ha il dovere di astenersi; se non lo fa, le parti possono ricusarlo (artt. 3 6 e 37 c.p.p.). Quando una grave situazione locale può pregiudicare la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo o l'impar zialità dell'intero ufficio giudicante territorialmente competente, il processo stesso è rimesso ad un altro ufficio giudicante predeterminato dalla legge (art. 45) . Non esistono controlli esterni a l potere giurisdizionale per l'ovvio motivo che, altrimenti, questo non sarebbe più indipendente. I controlli sono previsti all'interno dello stesso potere giurisdizionale: vi sono giudici che esaminano il processo in primo grado, in secondo grado e, infine, vi è un unico organo (corte di cassazione) che svolge un controllo di legittimità (art. 1 1 1 , comma 7 Cast.). Giusto processo. Nel testo della Costituzione, così come è stato modificato dalla legge n. 2 del 1999, le norme sulla "giurisdizione" contengono al loro interno quelle sul "giusto processo " : ciò ha un profondo significato. Si impone la con clusione che non può esservi giurisdizione senza "giusto processo" . Non è suf ficiente che la Costituzione garantisca un giudice indipendente da altri poteri dello Stato. Occorre anche che sia garantito lo svolgimento della sua funzione. Come abbiamo già accennato nel capitolo sulla storia del processo penale, elementi indefettibili del "giusto processo" sono il contraddittorio (nel senso di audiatur et altera pars) , la parità delle parti, l'imparzialità del giudice e la ragionevole durata (art. 1 1 1 Cast.) . Il "giusto processo" è un metodo oggettivo di esercizio della funzione giurisdizionale. Tale funzione non consiste nel ricercare ed accertare in segreto la verità; l'accertamento del fatto necessita degli apporti delle parti. Senza un processo giusto non vi può essere giurisdizione così come la intende la Costituzione. c.
La competenza per materia.
In generale, col termine " competenza" si intende l'insieme delle regole che (7) La legge 28 marzo 2002 n. 44 ha modificato il sistema elettivo del consiglio superiore della magistratura. (8) Ricordiamo che la legge costituzionale n. 2 del 1999 ha introdotto cinque nuovi commi nell'art. 1 1 1 Cost.
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consentono di distribuire i procedimenti all'interno della giurisdizione ordinaria (o anche all'interno delle giurisdizioni speciali, quale quella penale militare). Con il medesimo termine è altresì definita quella parte della funzione giurisdizionale, che è svolta da un determinato organo giudiziario. In tal senso, la competenza è distribuita in base ai criteri della materia, del territorio e della connessione. La competenza per materia è, a sua volta, ripartita in base a due criteri: uno qualitativo (con riferimento al tipo di reato) , l'altro quantitativo (relativo alla pena edittale) . Quando la legge utilizza quest'ultimo criterio, occorre tenere presenti le regole generali dettate dall'art. 4 . In base ad esse, per determinare la competenza si ha riguardo alla pena massima stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato. Non si tiene conto della continuazione e della recidiva. Non si tiene conto delle circostanze, fatta eccezione delle aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato (ad es. ergastolo rispetto a reclusione) e di quelle circostanze che il codice penale denomina " ad effetto speciale" (art. 63 c.p.) in quanto comportano un aumento della pena superiore ad un terzo. La competenza per materia si ripartisce tra la corte d'assise, il tribunale per i minorenni, il giudice di pace ed il tribunale (v. tav. 2 . 1 . 1 1 ) . n tribunale per i minorenni (composto d a due giudici togati e d a due esperti in psicologia, pedagogia e materie analoghe, nominati con decreto del capo dello Stato su proposta del ministro della Giustizia, previa deliberazione del consiglio superiore della magistratura) è competente per i reati commessi dai minori degli anni diciotto (art. 3 d.p.r. 22 settembre 1 988, n. 448). Per stabilire la competenza del tribunale per i minorenni si deve prendere in considerazione l'età che aveva l'imputato all'epoca dei fatti contestati. Questa competenza è " esclusiva" : la co gnizione resta attribuita al tribunale per i minorenni anche se il minore ha com messo un reato che sarebbe di competenza della corte d'assise, del tribunale o del giudice di pace. Inoltre, se il minore ha commesso un reato insieme ad adulti, per lui la competenza resta radicata nel tribunale per i minorenni. Per quanto concerne i reati commessi da persone adulte, la competenza per materia è ripartita, in prima battuta, tra la corte di assise ed il giudice di pace; il tribunale ha una competenza, di regola, residua/e, salvo determinati reati espressamente indicati dalla legge. Alla corte d'assise (giudice collegiale composto da due giudici di carriera e sei giudici popolari) è attribuita, in estrema sintesi, la competenza a giudicare i più gravi fatti di sangue e i più gravi delitti politici. Come linea di tendenza, il legislatore ha evitato di far giudicare dalla corte d'assise quei delitti che richiedono conoscenze tecnico-giuridiche, che i giudici popolari non hanno. Al contempo, il legislatore ha attribuito alla corte d'assise quelle materie in relazione alle quali ha ritenuto che si possa esprimere al meglio la valutazione di un cittadino, che non sia un giudice di carriera. Di recente, la competenza per materia della corte d'assise è stata lievemente ampliata dal decreto-legge 12
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febbraio 2010, n. 10, convertito nella legge 6 aprile 2010, n. 52, della quale teniamo conto nella esposizione dell'art. 5 del codice. a) La corte d'assise è competente per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione di ventiquattro anni o più, nel massimo edittale (ad es., omicidio volontario e strage: artt. 575 e 422 c.p. ) . Sono poste alcune eccezioni: non è competente la corte d'assise, bensì il tribunale, per i delittz; comunque aggravatz; di tentato omicidio, di rapina, di estorsione e di associazioni di tipo mafioso anche straniere, e per i delittz; comunque aggravatz; previsti dal T. U. sugli stupefacenti (d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309). Merita sottolineare che, per effetto della riforma del 2010, il sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 63 0), punito con la reclusione da venticinque a trenta anni, rientra nella competenza per materia della corte d'assise in virtù del criterio quantitativo. h) La corte d'assise è competente per i delitti consumati di omicidio del consenziente, di istigazione al suicidio e di omicidio preterintenzionale (artt. 579, 580, 584 c.p. ) . c) La corte d'assise è competente per ogni delitto doloso s e dal fatto è derivata la morte di una o più persone (es., abbandono di minore o di incapace seguito da morte; art. 5 9 1 , comma 3 c.p. ) , escluse le seguenti fattispecie, di competenza del tribunale: morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, rissa, omissione di soccorso (artt. 586, 588, 593 c.p.). cl) La corte d'assise è competente per i delitti di ricostituzione del partito fascista (legge n. 645 del 1 952); delitti di genocidio (legge n. 962 del 1 967) ; per i delitti che concernono la personalità dello Stato (titolo primo del libro secondo del c.p . ) , sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni. d-bis) La corte d'assise è diventata competente (in base alla riforma del 2010) per i seguenti delitti: - delitti consumati o tentati di associazione per delinquere non mafiosa, finalizzata a commettere i delitti di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), tratta di persone (art. 601 c.p . ) , acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p. ) , di favo reggiamento pluriaggravato dell'immigrazione clandestina (articolo 12, comma 3 -bis del testo unico in materia di immigrazione) (art. 4 16, comma 6 c.p.) ; - delitti consumati o tentati di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) , d i tratta di persone (art. 60 1 c.p . ) , di acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.); - delitti con finalità di terrorismo, sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni. n giudice di pace è un giudice non professionale, nominato a tempo determinato: per accedere all'ufficio di giudice di pace non occorre aver vinto il concorso in magistratura. È sufficiente, in sintesi, avere conseguito la laurea in giurisprudenza e aver superato l'esame di abilitazione alla professione forense. La legge prevede inoltre una serie di presupposti alternativi alla abilitazione
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predetta, quali l'aver esercitato funzioni notarili o l'aver insegnato materie giuridiche nelle università (legge n. 468 del 1999). Il giudice di pace è competente a conoscere una serie di fattispecie attribuite qualitativamente. Come conferma la Relazione ministeriale, si tratta, per la maggior parte, di reati che costituiscono espressione di situazioni di microconflittualità individuale. In generale, il criterio per la determinazione della competenza di tale organo è costituito dalla tenuità della sanzione e dalla semplicità dell'accertamento. È opportuno dar conto delle fattispecie attribuite alla competenza del giudice di pace distinguendo tra i reati procedibili a querela e quelli procedibili d'ufficio. La partizione, infatti, come vedremo in/ra, ha notevoli ripercussioni in ordine all'iniziativa ed alla struttura del procedimento dinanzi al predetto giudice. Tra i reati procedibili a querela attribuiti al giudice di pace, merita ricordare le percosse (art. 581 c. p . ) ; le lesioni volontarie pro cedibili a querela, che consistono nell'aver cagionato una malattia di durata non superiore a venti giorni (art. 582 c.p.); le lesioni colpose, salvo che, in ipotesi di colpa professionale o di violazione di norme antinfortunistiche, sia stata cagionata una malattia di durata superiore a venti giorni e salvo che si tratti di lesioni personali colpose gravi o gravissime (art. 590, comma 3 c.p.) che siano state commesse in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale quando il responsabile guidava in stato di ebbrezza alcolica con un tasso alcolemico nel sangue superiore a 1 ,5 gr/l oppure sotto l'effetto di stupefacenti; l'ingiuria (art. 594 c.p.) ; la diffamazione (art. 595 c.p.); la minaccia semplice (art. 612, comma l c.p. ) ; i furti lievi (art. 626 c.p. ) ; il danneggiamento semplice (art. 635 , comma 1 ) . Tra i reati procedibili d'ufficio è opportuno menzionare alcune fattispecie contravvenzionali previste dal codice penale: la somministrazione di bevande alcoliche a minori o infermi di mente (art. 689 c.p . ) ; la determinazione in altri dello stato di ubriachezza (art. 690 c.p. ) ; gli atti contrari alla pubblica decenza (art. 726, comma l c.p.) ; l'inosservanza dell'obbligo di istruzione elementare dei minorenni (art. 73 1 c.p.). Vi è poi una serie di contravvenzioni, di regola procedibili d'ufficio, previste dalla legislazione speciale in materia di pubblica sicurezza, di navigazione, di medicinali ecc. Di recente, è stato attribuito alla competenza del giudice di pace il nuovo reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato (art. lO-bis d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 introdotto dall'art. 16 legge 15 luglio 2009, n. 94 ) . Il tribunale è competente a giudicare i reati che non appartengono alla competenza della corte d'assise (art. 6, comma 1 ) , del tribunale per i minorenni e del giudice di pace. Oltre a questa competenza, che si può definire "resi duale" , il tribunale ha una competenza qualitativa a giudicare reati che sono previsti in modo specifico da singole norme di legge e che presuppongono che il magistrato giudicante conosca materie tecniche o di una qualche complessità.
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Quale esempio di competenza qualitativa del tribunale, si può citare l'art. 2 1 della legge n . 4 del 1929, che concerne i reati finanziari. Inoltre varie leggi speciali attribuiscono al tribunale la competenza a giudicare i reati commessi a mezzo cinema, stampa, radio e televisione. A seguito della legge n. 479 del 1 999 e di alcuni adeguamenti apportati con la legge n. 144 del 2000, le attribuzioni del tribunale in composizione collegiale e monocratica risultano ripartite nel modo seguente (v. tav. 2 . 1 . 12 ) . n tribunale in composizione collegiale (e cioè, formato d a tre giudici) conosce i reati puniti, anche nelle ipotesi di tentativo (9), con una pena detentiva superiore nel massimo a dieci anni, ma inferiori a ventiquattro anni, purché non siano di competenza della corte d'assise (criterio quantitativo; art. 3 3 -bis, comma 2 ) ; inoltre conosce una serie di fattispecie nominativamente indicate all'art. 33 -bis, comma l (criterio qualitativo) . In applicazione di detti criteri, appartengono alla cognizione del tribunale collegiale quasi tutti i reati riconducibili all'associazione per delinquere (sia comune, con l'unica eccezione dell'art. 4 1 6 comma 6, sia di stampo mafioso di cui all'art. 4 16-bis c.p.), lo scambio elettorale politico mafioso (art. 4 16-ter c.p.), i delitti concernenti le armi (art. 407 , comma 2 , lett. a, n. 5 c.p.p . ) , i reati in materia di aborto (legge n. 194 del 1 978) e l'usura (art. 644 c.p. ) ( 1 0) . Sono attribuiti al tribunale collegiale, di regola, anche i reati commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, contenuti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale ( 1 1 ) : si sono forse volute assicurare maggiori garanzie agli amministratori pubblici resisi colpevoli di delitti come il peculato (art. 3 14 c.p.), la concussione (art. 3 17 c.p. ) o la corruzione (art. 3 1 9 c.p.). n tribunale in composizione collegiale conosce altresì di tutti i reati previsti dal codice civile in materia di società e di consorzi (titolo XI del libro V c.c., mod. dal d.lgs. 1 1 aprile 2002, n. 6 1 ) . Tra l e attribuzioni del collegio rientrano poi i reati d i violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) e prostituzione minorile (artt. 600-bis ss. c.p.). Inoltre, il collegio è competente a giudicare i reati commessi dai ministri nell'eser cizio delle loro funzioni, in seguito ad una procedura speciale prevista dalla legge costituzionale 1 6 gennaio 1 989, n. l e dalla legge ordinaria 5 giugno 1 989, n. 2 1 9.
(9) Occorre sottolineare che, in deroga ai criteri dell'art. 4, il tentativo di delitto è parificato alla consumazione; di conseguenza, in presenza di un tentativo, ciò che rileva è la pena stabilita per il reato consumato. Così dispone l'art. 3 3 -bis comma 2, mod. dalla legge n. 144 del 2000. ( lO) La legge 19 marzo 200 1 , n. 92, ha attribuito al tribunale in composizione collegiale anche la co gnizione dei delitti in materia di contrabbando di tabacchi lavorati (art. 291-quater, d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43). ( 1 1) Con la sola esclusione di quelli indicati nel codice penale agli artt. 329 (ritardo di obbedienza compiuto da un agente della forza pubblica), 3 3 1 , comma l (interruzione di un servizio pubblico), 334 (sottrazione di cose sottoposte a sequestro) e 335 (violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro).
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Infine, il tribunale giudica in composizione collegiale nei casi previsti disposizioni di legge » (art. 3 3 -ter, comma 2) ( 1 2 ) .
«
da altre
Al tribunale i n composizione monocratica (e cioè al tribunale composto da un solo giudice) è attribuita la cognizione dei delitti di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti, previsti dall'art. 73 d.p.r. n. 309 del 1 990, salvo che siano contestate le aggravanti disciplinate dall'art. 80 del medesimo d.p.r. (art. 33 -ter, comma 1 ) . Inoltre il tribunale in composizione monocratica giudica dei reati puniti con pena detentiva fino a dieci anni nel massimo (art. 33 -ter, comma 2 ) , purché non siano di competenza del giudice di pace. È chiaro come al giudice monocratico siano attribuiti molti reati che presentano un notevole tasso di pericolosità sociale. Si pensi ad esempio a varie ipotesi di delitti contro l'incolumità pubblica, alla rimozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.) e all'adulterazione o contraffazione di cose in danno della salute pubblica (art. 441 c.p.) . Ma vi sono molti altri reati per i quali la pena nel massimo si avvicina ai dieci anni. La perdita della garanzia della collegialità. La legge n. 479 del 1999 ha aumentato la competenza del giudice singolo, in sintesi, da quattro a dieci anni di pena edittale nel massimo; la scelta non è senza conseguenze. Vi è il pericolo che il giudice singolo, non adiuvato dai colleghi, non approfondisca i punti posti in discussione e finisca per " appiattirsi" sulla tesi sostenuta dalla parte più "forte" . Inoltre, il giudice singolo ha una esposizione sociale molto elevata; proprio nei casi più gravi, nei quali è chiamato a prendere una decisione impopolare perché ritiene che l'accusa non abbia eliminato il ragionevoledub bio (art. 533 ) , l'essere solo nel decidere può includo ad assecondare la piazza. Viceversa, un collegio ripartisce l'esposizione sociale tra più magistrati ed è maggiormente idoneo, di regola, a resistere alle sollecitazioni "forcaiole" del l' opinione pubblica: il processo penale non si deve fare nelle piazze né in televisione, bensì nel contraddittorio delle parti sulla base di una valutazione serena dell'attendibilità delle prove raccolte. Una osservazione conclusiva. La particolarità della disciplina della riparti zione degli affari tra giudice singolo e giudice collegiale sta nel fatto che tale materia non attiene alla "competenza" bensì alla " cognizione" o, come alcuni dicono, al "rito " . Le conseguenze si apprezzeranno quando tratteremo della inosservanza di tali regole ( § i) e della capacità del giudice (§ m) . La competenza funzionale. In dottrina si usa distinguere l'ulteriore nozione di competenza funzionale, che è la competenza a svolgere determinati proce dimenti o particolari fasi o gradi di un procedimento o a compiere determinati (12) Merita precisare che, ai sensi del nuovo art. 48 dell'ordinamento giudiziario, modificato dal decreto legislativo n. 5 1 del 1998, << in materia civile e penale il tribunale giudica in composizione monocratica e, nei casi previsti dalla legge, in composizione collegiale >>.
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atti. Ad esempio, nei procedimenti per reati di competenza della corte d'assise o del tribunale, gli atti giurisdizionali, che devono essere compiuti nella fase delle indagini preliminari, sono attribuiti alla competenza funzionale del giudice per le indagini preliminari incardinato presso il tribunale. E ancora, la competenza a giudicare sull'appello, proposto contro le sentenze pronunciate in primo grado dalla corte d'assise e dal tribunale (collegiale o monocratico), spetta rispettivamente alla corte d'assise di appello e alla corte di appello. d.
La competenza per territorio.
La competenza per territorio è determinata dal luogo nel quale il reato è stato consumato (art. 8, comma 1 ) . La giustificazione della norma sta nel fatto che in tale luogo le prove sono raccolte con maggiore facilità e rapidità. Sono previste alcune eccezioni, che tuttavia sono ispirate dalla medesima giustificazione. Se si tratta di un fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione (art. 8, comma 2 ) . Se si tratta di un reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone (art. 8, comma 3 ) . Se si tratta di un delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto " diretto " a commettere il delitto (art. 8, comma 4 ) . Le regole suppletive. L'art. 9 prevede alcune regole suppletive nei casi nei quali la competenza non può essere determinata in base alle regole generali menzionate ( 1 3 ) . Inoltre, singole leggi speciali prevedono criteri di determina zione della competenza per territorio diversi dal luogo nel quale è commesso il reato (ad es., art. 3 0 legge n. 223 del 1990 in tema di diffamazione mediante trasmissione radiotelevisiva) . n procedimento nei confronti di un magistrato. Una importante deroga alle norme ordinarie sulla competenza territoriale è prevista nei procedimenti in cui un magistrato (giudice o pubblico ministero) assume la qualità di imputato, indagato, persona offesa o danneggiata dal reato, quando in base alle regole ordinarie tali procedimenti sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d'appello nel quale il magistrato
( 1 3 ) Art. 9 - Regole suppletive. << l. Se la competenza non può essere determinata a norma dell'art. 8, è competente il giudice dell'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione. 2. Se non è noto il luogo indicato nel comma l, la competenza appartiene successivamente al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell'imputato. 3. Se nemmeno in tale modo è possibile determinare la competenza, questa appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335 >>.
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esercita l e sue funzioni, owero l e esercitava al momento del fatto. I n base all'art. 1 1 , la competenza è attribuita al giudice competente per materia e che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello individuato dalla tabella A annessa alla legge 2 dicembre 1998, n. 420 (art. l disp. att.) . Tale regola vale anche in caso di procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di imputato, indagato, persona offesa o danneggiata dal reato (art. 1 1 , comma 3 c.p.p.). Nei casi menzionati lo spostamento di competenza per territorio ha lo scopo di assicurare l'imparzialità dell'organo giudicante ( 14 ) . A d esempio, il procedimento penale contro un magistrato che svolge l e sue funzioni nel distretto di corte d'appello di Firenze non può essere di compe tenza di un giudice all'interno di questo distretto, bensì del giudice che ha sede in Genova. Al tempo stesso, il procedimento contro un magistrato che svolge le sue funzioni nel distretto di corte d'appello di Genova non può essere di competenza di un giudice all'interno di quel distretto, bensì del giudice che ha sede in Torino. La legge di riforma introduce un identico meccanismo di spostamento della competenza anche per i procedimenti in materia di responsabilità civile dei magistrati e per le cause civili nelle quali un magistrato sia parte. Tabella A (art. l disp. att.) dal distretto di
al distretto di
Roma Perugia Firenze Genova Torino Milano Brescia Venezia Trento Trieste Bologna Ancona L'Aquila Campobasso Bari Lecce Potenza Cagliari Palermo
Perugia Firenze Genova Torino Milano Brescia Venezia Trento Trieste Bologna Ancona L'Aquila Campobasso Bari Lecce Potenza Catanzaro Roma Caltanissetta
( 14) In tal senso v. Cass., sez. un. , 15 dicembre 2004, in Sole 24 Ore, 20 dicembre 2004, 26, che ha ritenuto applicabile l'art. 1 1 c.p.p. anche ai magistrati onorari. Secondo l'ordinanza di rirnessione (Cass., sez. V, 29 ottobre 2004, n. 42.385, in dirittoegiustiziaonline, 1 1 novembre 2004) appare << preferibile, nonostante il carattere eccezionale della norma derogatoria, una applicazione "estensiva" della norma a motivo della sua pacifica ratio, che pur la rende " eccezionale" , confermata e rafforzata dalla consacrazione >> costituzionale del principio di terzietà e imparzialità del giudice.
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I soggetti del procedimento penale
dal distretto di
al distretto di
Caltanissetta Catania Messina Reggio Calabria Catanzaro Salerno Napoli
Catania Messina Reggio Calabria Catanzaro Salerno Napoli Roma
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La competenza per connessione - Riunione e separazione dei proce dimenti.
La connessione di procedimenti. La connessione è un criterio attributivo della competenza del giudice; essa non comporta necessariamente la riunione dei procedimenti. Vi è connessione di procedimenti di competenza del tribu nale e della corte di assise in tre casi (art. 12) ( 1 5 ) . a) I n primo luogo, quando i l reato per cui s i procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione tra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento (ad esempio, morte di una persona attribuita alternativamente o cumulativamente al feritore ed al medico che ha errato nel curarla) . b) In secondo luogo, quando una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale di reati) ovvero con più azioni od omissioni esecutive del medesimo disegno criminoso (reato continuato) ( 16) . c) In terzo luogo, quando si procede per più reati, se gli uni sono stati commessi per eseguire od occultare gli altri (ad es. falso commesso per occultare un reato di peculato) (v. tav. 2 . 1 . 14 ) . Quando vi è connessione, u n solo giudice è competente a giudicare tutti i reati connessi; eli regola i procedimenti saranno riuniti (art. 17), ma potranno anche svolgersi separatamente (art. 18) ( 1 7 ) . I l giudice competente in caso di connessione viene individuato in base ai seguenti criteri. Fra i giudici competenti per materia, la corte d'assise prevale sul tribunale (art. 15). Applicata questa regola, se più giudici sono egualmente competenti per materia ed hanno, quindi, una diversa competenza per territo rio, prevale il giudice competente per il reato più grave, sulla base degli indici
( 15 ) Una normativa a parte è prevista per la connessione di procedimenti di competenza del giudice di pace. Sull'argomento, si veda infra nel capitolo sul procedimento penale di fronte al giudice di pace. ( 16) In giurisprudenza si è affermato che la continuazione è idonea a spostare la competenza per con· nessione ai sensi dell'art. 12 lett. b, soltanto se l'episodio in continuazione riguarda lo stesso o gli stessi imputati, poiché l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria di fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato in uno di questi fatti a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza: Cass., sez. IV, 2 1 agosto 1996, Acampora, in Riv. it. dir. proc. pen. , 1997, 638. ( 17 ) Sugli istituti della riunione e della separazione torneremo al termine del presente paragrafo.
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elencati nell'art. 16, comma 3 ; in caso di pari gravità, prevale il giudice competente per il reato commesso per primo (art. 16, comma l ) ( 1 8). Una regola di attribuzione riguarda i casi in cui alcuni procedimenti connessi appartengono al tribunale collegiale ed altri al tribunale in composi zione monocratica. Ove esista un legame di connessione, i procedimenti sono tutti attribuiti alla cognizione del tribunale collegiale (art. 33 -quater) ( 1 9) . Le deroghe alla connessione. Esiste una importante deroga alla connes sione in presenza di procedimenti contro imputati minorenni. Costoro devono essere sempre e comunque giudicati dal tribunale per i minorenni, e cioè da un giudice specializzato che deve tenere presente il fine primario della rieduca zione. In base all'art. 14, la connessione non opera fra procedimenti relativi a imputati che al momento del fatto erano minorenni e procedimenti relativi a imputati maggiorenni. Infine, vi sono regole particolari per la connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali (20) e per la connessione di procedi menti appartenenti alla competenza del giudice di pace (2 1 ) . La riunione dei procedimenti. Quando i procedimenti sono connessi, essi possono essere riuniti. È evidente che la finalità naturale, alla quale è preordi nata la connessione, è quella di permettere la riunione di più procedimenti in uno unico (simultaneus processus); se ciò avviene, si consente una economia di atti processuali poiché, ad esempio, un testimone che riferisce su più imputati è sottoposto ad un unico esame. Al tempo stesso, il processo riunito può permettere di ricostruire con maggiore chiarezza e completezza il quadro probatorio ed i rapporti tra i vari fatti di reato. ( 1 8 ) Cass., sez. un., 1 6 luglio-20 ottobre 2009, Orlandelli, in CED, n. 244330, ha affermato il seguente principio innovativo: nel caso in cui non sia possibile individuare, a norma degli artt. 8 e 9, comma l c.p.p., il luogo di commissione del reato connesso più grave, « la competenza per territorio spetta al giudice del luogo nel quale risulta commesso, in via gradata, il reato successivamente più grave fra gli altri reati; quando risulti impossibile individuare il luogo di commissione per tutti i reati connessi, la competenza spetta al giudice competente per il reato più grave, individuato secondo i criteri suppletivi indicati dall'art. 9, commi 2 e 3 , c.p.p. "· ( 1 9) Inoltre ai sensi dell'art. 55 1 , quando sussiste connessione tra reati per i quali deve procedersi con citazione diretta e reati per i quali è prevista l'udienza preliminare, il pubblico ministero procede per tutti nelle forme ordinarie, chiedendo il rinvio a giudizio. (20) Art. 13 - Connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali. << l. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza di un giudice ordinario e altri a quella della Corte costituzionale, è competente per tutti quest'ultima. 2. Fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti opera soltanto quando il reato comune è più grave di quello militare, avuto riguardo ai criteri previsti dall'art. 16, comma 3. In tale caso, la competenza per tutti i reati è del giudice ordinario >>. (2 1 ) La materia sarà esaminata dettagliatamente in/ra nel capitolo sul procedimento penale dinanzi al giudice di pace. In particolare, merita fin da ora precisare che la connessione tra procedimenti di competenza di giudici ordinari e di giudici di pace è limitata ai casi di fatto inscindibile (concorso formale di reati) e determina l'attrazione dei procedimenti nella competenza del giudice superiore. Si veda l'art. 6 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.
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Perché si possa disporre l a riunione (22 ) sono necessari i seguenti requisiti (art. 17): l ) che i procedimenti siano pendenti nella stessa fase e nello stesso grado; 2 ) che i procedimenti siano di competenza del medesimo giudice; 3 ) che i procedimenti siano connessi oppure vi sia comunque tra gli stessi una di quelle ipotesi di collegamento probatorio che sono previste dall'art. 3 7 1 , comma 2 , lett. b (23 ) ; 4 ) che la riunione non determini u n ritardo nella definizione dei procedi menti (24). La separazione dei procedimenti. L'esigenza d i riunire i procedimenti si scontra con un'altra di segno opposto, che tende a tenerli separati. È un'esi genza ricollegabile al sistema accusatorio, che tende ad assicurare un solo imputato in un singolo procedimento. La finalità è chiara: si ritiene che in tal modo sia possibile garantire la migliore difesa dell'imputato stesso. Il limite di tale operazione è evidente: può accadere che la riunione sia indispensabile per ampliare il panorama probatorio del giudice ed accertare i fatti. Tale eventualità è prevista anche dal codice: il giudice deve valutare se la riunione dei procedi menti sia « assolutamente necessaria » per giungere all'accertamento dei fatti di reato (art. 18 comma 1 ) . L a normativa prevista dal codice risente di questo contrasto di esigenze. Dato che vi è una naturale tendenza del giudice a riunire i procedimenti connessi utilizzando il potere discrezionale concessogli dall'art. 17, il codice pone un dovere di separazione, che scatta in presenza di determinate ipotesi previste dall'art. 1 8. In ogni caso, sia l a riunione, sia l a separazione dei "processi" (espressione che indica il momento successivo all'esercizio dell'azione penale) sono disposte con ordinanza dal giudice anche d'ufficio, ma con il limite che devono essere "sentite le parti" (art. 19).
(22) E ciò sia nell'udienza preliminare o i n dibattimento d a parte del giudice, sia durante l e indagini preliminari da parte del pubblico ministero. (23) Occorre sottolineare che il collegamento è un istituto che ha rilevanza ai fini delle indagini e che concerne, quindi, l'attività del pubblico ministero (v. in/ra nel § 3, lett. /1. Infatti, il collegamento non ha alcuna incidenza sulla competenza del giudice. Vi è un collegamento rilevante ai fini di determinare la riunione dei procedimenti nei casi seguenti (art. 3 7 1 , comma 2, lett. b): se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza. (24) Vi è una normativa singolare quando i procedimenti, che sono riuniti, sono attribuiti alcuni al tribunale collegiale ed altri a quello monocratico. Ai sensi del comma l -bis dell'art. 17, se alcuni dei processi pendono davanti al tribunale collegiale ed altri davanti al tribunale monocratico, la riunione è disposta davanti al tribunale in composizione collegiale. Tale composizione resta ferma anche nel caso di successiva separazione dei processi.
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Le ipotesi di separazione obbligatoria. La separazione deve essere disposta dal giudice nei seguenti casi (art. 1 8, comma 1 ) : a ) quando nel corso dell'udienza preliminare è possibile decidere subito la posizione di un imputato (ad esempio, in caso di giudizio abbreviato o patteggiamento) ; b) quando per un imputato si debba sospendere il procedimento; c) quando un imputato non è comparso in dibattimento ed occorra rinnovare la citazione nei suoi confronti; d) quando uno o più difensori di imputati non sono comparsi in dibattimento per motivi legittimi; e) quando per un imputato l'istruzione dibattimentale è già stata con clusa, mentre per altri deve continuare con tempi lunghi; e-bis) quando stiano per scadere i termini di custodia cautelare in relazione a taluno dei delitti elencati nell'art. 407, comma 2 , lett. a (reati di criminalità organizzata e ipotesi assimilate) ed occorra definire con urgenza la fase o il grado per evitare la scarcerazione automatica. La separazione facoltativa. La separazione può essere disposta, sull' ac cordo delle parti, quando il giudice la ritenga utile ai fini della speditezza del processo. Il congiunto operare delle regole sopra richiamate consente di tracciare un quadro sintetico. Durante la fase delle indagini la tendenza del legislatore è quella di assicurare la trattazione unitaria dei procedimenti connessi; viceversa, dopo l'esercizio dell'azione penale il codice oscilla tra l'esigenza efficientista di riunire i procedimenti e quella garantista di separarli. Ma quando in concreto la separazione adempie anche ad esigenze di efficienza (poiché assicura la spedi tezza del procedimento) , allora il giudice è tenuto a disporla; l'unico limite è la "necessità" di accertare congiuntamente più reati, che rende impossibile la separazione (art. 18, comma 1 ) . f.
n principio del giudice naturale.
Le norme sulla competenza, che abbiamo finora descritto, servono ad individuare il soggetto investito del potere giurisdizionale sul fatto di reato e, pertanto, attuano il principio del "giudice naturale" . In base all'art. 25 , comma l della Costituzione « nessuno può essere distolto dal giudice naturale preco stituito per legge ». Dalla norma si ricava, in primo luogo, il principio della riserva assoluta di legge in materia di competenza. Ciò significa che la compe tenza del giudice può essere determinata soltanto dalla legge, e non da fonti secondarie (regolamenti o atti amministrativi). In secondo luogo, si desume quale contenuto debbano avere le disposizioni di legge, che sono destinate a regolare la competenza. Le norme non devono conferire un potere di scelta discrezionale.
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In terzo luogo, dalla necessaria "precostituzione" del giudice si ricava il divieto di applicazione retroattiva delle norme concernenti la competenza; queste sono applicabili ai fatti di reato che siano stati commessi dopo la loro entrata in vigore (25) . n principio del giudice naturale, in definitiva, impedisce che un organo legislativo, amministrativo o giurisdizionale possa sottrarre discrezionalmente un procedimento ad un determinato giudice (26). Ne risulta ulteriormente tutelata la garanzia di indipendenza dell'organo giudicante. Infine, il termine « naturale » fa riferimento ad una caratteristica che preesiste rispetto alla legge e che quest'ultima è chiamata a tutelare. A nostro avviso " giudice naturale" è quello che l'ordinamento considera il più idoneo ad accertare il fatto di reato nel rispetto della legge e dei diritti dell'imputato. n legislatore assicura il giudice naturale attraverso le norme sulla competenza che ripartiscono i procedimenti tra gli organi giurisdizionali. Occorre dare atto che tradizionalmente si ritiene che il termine « naturale » faccia riferimento alle norme relative alla competenza per territorio e, in parti colare, al criterio generale che lo radica nel luogo nel quale è stato compiuto il reato (focus commissi delicti) . Vi è un interesse, che è costituzionalmente tutelato, a che il processo si svolga in quella determinata sede davanti al " suo" pubblico, ma che può cedere di fronte ad interessi superiori (secondo criteri legalmente prestabiliti); ad esempio di fronte al principio di imparzialità del giudice (art. 1 1 1 , comma 2 Cost.). È il caso che si verifica quando nella sede "naturale" l'intero ufficio giudiziario appaia comunque parziale o sia esposto a pressioni ambientali (25) Per effetto del principio costituzionale di precostituzione, la competenza del giudice dovrebbe rimanere cristallizzata sulla base delle norme vigenti al momento in cui è stato commesso il fatto di reato oggetto di imputazione. Tuttavia, secondo un orientamento ormai consolidato (cfr., tra le tante, Cass., sez. I, 6 luglio 1992, Santangelo, in Cass. pen., 1993, p. 3 3 1 ) , le norme in tema di competenza del giudice hanno carattere processuale e sono di immediata applicazione in virtù del principio tempus regit actum: di conseguenza, le norme mod.ifìcative della competenza sono applicabili anche ai reati commessi in epoca precedente alla loro entrata in vigore, salvo che la competenza si sia già radicata al momento dell'entrata in vigore della legge di modifica (c.d. perpetuatio competentiae). In giurisprudenza prevale la tesi secondo la quale la competenza si radica quando il pubblico ministero esercita l'azione penale (Cass., sez. I, 26 maggio 1993, Calderone, in Cass. pen., 1995, p. 88); spesso, però, il legislatore ha adottato un criterio ancora più restrittivo, prevedendo espressamente la cristallizzazione della competenza soltanto nei processi in cui sia stato dichiarato aperto il dibattimento (es. art. 2 d.l. n. 10 del 2010 con riferimento ai processi pendenti dinanzi alla corte d'assise per i delitti di associazione mafiosa aggravata). (26) Con sentenza 6 dicembre 2006, n. 40249, in Guida dir. , 49, 62, la Sezione VI della Corte di cassazione ha precisato che, ai fini dell'individuazione della competenza, il giudice è tenuto a considerare non soltanto quanto emerge dall'imputazione, ma tutti gli atti disponibili che siano utili a specificare espressioni sintetiche o generiche contenute nell'imputazione stessa. Se così non fosse, l'individuazione del foro competente sarebbe rimessa al variabile modo dell'accusa di specificare il capo di imputazione, in violazione della necessaria oggettività dei criteri determinativi della competenza. Sulla base di questo principio, la Cassazione ha ritenuto competente per il così detto processo SME il Tribunale di Perugia, in applicazione della prima regola suppletiva indicata nell'art. 9 c.p.p. (luogo in cui è awenuta una parte della condotta rilevante) e dell'art. 1 1 c.p.p. (competenza per territorio nei procedimenti riguardanti magistrati).
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(in tal caso opera l'istituto della rimessione: art. 45 c. p. p .) ; oppure quando l'organo giudicante debba decidere su di un magistrato che svolga le sue funzioni nel distretto e che sia imputato, o persona offesa o danneggiato dal reato (art. 1 1 c.p.p.). g.
I conflitti di giurisdizione e di competenza.
Dato il carattere diffuso della funzione giurisdizionale e posto che ogni organo giudicante è giudice anche della propria competenza, ne deriva la possibilità che sorgano conflitti tra detti organi. I conflitti di giurisdizio ne intervengono tra un giudice ordinario ed un giudice speciale (o tra più giudici speciali); i conflitti eli competenza intervengono tra giudici ordinari. Si ha conflitto positivo quando due (o più) giudici contemporaneamente prendono cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona. Si ha conflitto negativo quando due (o più) giudici contemporaneamente rifiutano eli prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona, ritenendo la propria incompetenza. Il conflitto può insorgere in ogni stato e grado del processo (art. 28, comma 1 ) . Esso può essere denunciato dal pubblico ministero presso uno dei giudici in conflitto o dalle parti private (art. 30, comma 2 ) ; ma può anche essere rilevato d'ufficio da uno dei giudici (art. 3 0, comma 1 ) . L'ordinanza che rileva l'esistenza del conflitto è trasmessa alla corte eli cassazione con la copia degli atti necessari alla decisione. Occorre ricordare che né la denuncia, né l'ordinanza hanno effetto sospensivo sui procedimenti in corso (art. 30, comma 3 ) (27) . L a corte eli cassazione decide in camera di consiglio (art. 127) con sentenza e indica quale è il giudice competente a procedere (art. 3 2 ) . La decisione della corte è vincolante, salvo che risultino nuovi fatti che determinino la competenza di un giudice superiore (art. 25) . h.
La dichiarazione di incompetenza.
Considerazioni generali. L'inosservanza delle disposizioni che regolano la competenza comporta che il giudice dichiari la propria incompetenza. Diffe renti sono i termini entro i quali il giudice può rilevare tale difetto; ad un maggior rigore nei confronti dell'incompetenza per materia corrisponde un regime più blando negli altri casi (v. tav. 2 . 1 . 16). Identica è, invece, la normativa sull'efficacia degli atti che siano stati compiuti dal giudice incompetente. Di regola le prove acquisite restano efficaci (art. 26) , mentre le " dichiarazioni" , se ancora ripetibili, diventano utilizzabili in (27) n difetto di giurisdizione è rilevabile in ogni stato e grado del procedimento mentre quello di competenza è rilevabile entro termini perentori.
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giudizio soltanto col meccanismo delle contestazioni probatorie (artt. 500 e 503 ) . Le misure cautelati già disposte conservano un'efficacia provvisoria limitata a venti giorni dalla ordinanza che dichiara l'incompetenza e che trasmette gli atti; entro tale termine il giudice competente deve disporre, se lo ritiene necessario, una nuova misura cautelare (art. 27). L'incompetenza per materia. In tema di competenza per materia, le norme sono più rigorose quando è eccepita o rilevata un'incompetenza "per difetto" , e cioè quando sta procedendo un giudice "inferiore" il quale, per definizione, è meno idoneo a giudicare rispetto ad un giudice "superiore" . Così avviene che, se un tribunale procede per un reato di competenza della corte d'assise, l'incompetenza è rilevabile fino a quando non si è pervenuti ad una sentenza irrevocabile (art. 2 1 , comma l ) (28). Meno rigoroso è il regime giuridico quando un giudice superiore stia procedendo per un reato di competenza di un giudice inferiore (art. 23 , comma 2 ) . Pertanto, se la corte d'assise sta procedendo per un reato di competenza del tribunale, l'incompetenza "per eccesso" può essere rilevata anche d'ufficio, ma non oltre le questioni preliminari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 4 9 1 , comma 1 ) . Inoltre, se il giudice di primo grado, errando, avesse ritenuto di essere competente, la corte d'appello, che accerti un'incom petenza "per eccesso" , deve decidere nel merito (art. 24, comma 2 ) . L'incompetenza per territorio. Un regime simile vale per l a declaratoria dell'incompetenza per territorio, che è eccepibile dalle parti, ed è rilevabile dal giudice, fino alla chiusura della discussione finale nell'udienza preliminare. Quando l'udienza medesima non ha luogo, l'incompetenza per territorio deve essere eccepita o rilevata nel corso delle questioni preliminari in dibattimento (art. 2 1 , comma 2) (29) . La declaratoria di incompetenza. La pronuncia del giudice, che dichiara l'incompetenza, presenta alcune particolarità. Nel corso delle indagini prelimi nari il giudice dichiara l'incompetenza con ordinanza e si limita a restituire gli atti al pubblico ministero che in quel momento sta conducendo le indagini. L'ordinanza produce effetti limitatamente al provvedimento richiesto (art. 22, comma 2 ) e non impedisce al pubblico ministero di svolgere le indagini; vi è ancora la possibilità che nuovi elementi di prova dimostrino la fondatezza della sua asserzione circa la competenza del giudice. Dopo la chiusura delle indagini il giudice dichiara l'incompetenza con (28) Se l'eccezione di incompetenza è rilevata nei termini e riproposta in appello, la corte d'ap pello che ritiene fondata tale eccezione rinvia gli atti al giudice di primo grado competente (art. 24, com ma 1 ) . (29) S e l'eccezione è respinta in udienza, può essere ripresentata nelle questioni preliminari; s e è respinta in tale sede, deve costituire oggetto di uno specifico motivo di impugnazione; altrimenti la questione è preclusa (art. 24, comma 1 ) .
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sentenza e trasmette gli atti al pubblico ministero presso il giudice competente (art. 22, comma 3 ) (30). La decisione della corte di cassazione di regola è vincolante nel corso del processo. La questione può essere riproposta successivamente soltanto nel caso in cui risultino " nuovi fatti" dai quali emerga un'incompetenza per materia "per difetto " , di modo che sarebbe competente un giudice superiore (art. 25 ) . L'incompetenza per connessione. Nel caso di procedimenti connessi la competenza è determinata secondo le regole stabilite dagli articoli 15 e 16. L'inosservanza di tali regole determina l'incompetenza per connessione: essa deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro gli stessi termini previsti per l'incompetenza per territorio (art. 2 1 , comma 3 : prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa non abbia luogo, nel corso delle questioni preliminari al dibattimento) . È importante sottolineare che questo regime trova applicazione anche quando la connessione incida sulla competenza per materia (art. 15 ) . Ciò avviene, ad esempio, quando in pendenza di due procedimenti connessi, uno di competenza del tribunale e l'altro della corte di assise, la competenza per connessione sia erroneamente devoluta al tribunale, anziché alla corte di assise (3 1 ) . t.
L'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o mo nocratica del tribunale.
Abbiamo avuto modo di osservare come il profilo centrale della riforma istitutiva del giudice unico sia rappresentato dal rapporto tra le due articolazioni (30) Nel corso del dibattimento di primo grado il giudice dichiara la propria incompetenza con sentenza e trasmette gli atti al giudice competente (art. 23). Nell'ipotesi in cui anche detto giudice ritenga insussistente la propria incompetenza, troveranno applicazione le disposizioni sopra illustrate inerenti le modalità di risoluzione dei conflitti di competenza (v. il precedente paragrafo g). (3 1 ) Cass., sez. VI, 1 7 ottobre 1994, Armanini, in Cass. pen ., 1996, 1 130: << il legislatore ha tenuto ben distinto il regime della competenza per connessione dal regime della competenza per materia. Ciò anche quando la connessione incida su quest'ultimo tipo di competenza per essere i procedimenti connessi attribuiti alla cognizione di giudici diversi ratione materiae. Invero mentre il primo comma dell'art. 2 1 prescrive la rilevabilità, anche d'ufficio, della incompetenza per materia in ogni stato e grado del processo, il terzo comma dello stesso articolo, assimilando il regime della incompetenza per connessione (anche quando comporti una diversa attribuzione di competenza per materia) al regime della competenza per territorio, stabilisce che essa può essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti. E, proprio utilizzando le regole che conducono a differenziare la competenza per materia dalla competenza per connessione, quest'ultima ( ... ) pur accomunata nella identica ratio del rispetto del principio del giudice naturale precostituito per legge, resta ancora la risultante dell'introduzione di un criterio attributivo della competenza dettato da prevalenti ragioni di economia processuale >>; Cass. , sez. I, 24 gennaio 1995, Selvallegra, in Cass. pen., 1996, 1850: << L'art. 21 prevede che l'incompetenza per materia può essere rilevata anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo. Peraltro, alla regola dell'indiscriminata rilevabilità il legislatore ha posto due eccezioni: l'ipotesi in cui l'incompetenza sia determinata dalla connessione e quella prevista dal secondo comma dell'art. 23, in cui il reato appartiene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore (cosiddetta incompetenza per eccesso o per ipercapacità) >>.
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del tribunale. Tale ufficio, a seconda dell'oggetto della sua cognizione, siede infatti nelle due distinte composizioni monocratica o collegiale. Il punto di partenza delle nostre considerazioni sta nella constatazione che il legislatore ha escluso che le eventuali violazioni delle norme sulla corretta composizione del tribunale possano incidere sulla capacità dell'organo giudi cante (art. 3 3 , comma 3 ) . È evidente che si sono voluti configurare i rapporti tra le due articolazioni del tribunale alla stregua di un modulo organizzativo interno all'ufficio giudiziario. Il legislatore vuole che il problema non sia considerato una questione di " competenza"; esso deve attenere alla "cognizione" del giudice, e cioè ad una semplice questione di forma o di rito. Procedimenti con e senza udienza preliminare. La normativa che ci accingiamo ad analizzare è stata definita come una sorta di "microsistema", modellato per certi versi sulle categorie della competenza per materia e, per altri, sulle categorie della competenza per territorio. La regolamentazione è contenuta nel nuovo capo VI -bis del codice, che è stato introdotto dall'art. 170 del decreto legislativo n. 5 1 del 1998 e successivamente modificato dalla legge n. 479 del 1 999. Quest'ultima legge ha introdotto due modelli procedurali dinanzi al tribu nale in composizione monocratica. Vi è un primo rito, relativo ai reati più gravi, che prevede l'udienza preliminare: in tale udienza il giudice controlla la fondatezza dell'accusa formulata dal pubblico ministero. Il secondo rito è stato predisposto in relazione ai reati meno gravi e non prevede l'udienza prelimi nare: il pubblico ministero esercita l'azione penale con citazione diretta in giudizio senza alcun controllo giurisdizionale. n microsistema delle inosservanze. A seguito dell'intervento legislativo in oggetto, il regime delle inosservanze risulta assai complesso, perché si riferisce a due ordini di violazioni. Da un lato, vi sono le violazioni relative ai rapporti tra le attribuzioni del tribunale in composizione collegiale e in composizione monocratica; da un altro lato, vi sono le ipotesi in cui si sia erroneamente omessa l'udienza preliminare in relazione a reati per i quali, viceversa, detta udienza sia prevista (v. tav. 2 . 1 . 17 ) . I l termine, entro il quale s i può eccepire o rilevare anche d'ufficio l'inos servanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale e delle disposizioni processuali collegate, è simile a quello che vale per l'incompetenza per territorio (art. 33 -quinquies) (32 ) . (32) A nostro avviso, l'espressione "disposizioni processuali collegate" è idonea a ricomprendere nell'ambito applicativo del termine per eccepire o rilevare l'inosservanza anche le disposizioni relative ai due riti monocratici (con citazione diretta o con udienza preliminare) . Di conseguenza, sia le inosservanze relative alla composizione, sia quelle relative al procedimento sono sottoposte ad un identico regime di rilevabilità. Se si accoglie la tesi, da noi prospettata, l'art. 550, comma 3 risulta una norma inutile. In base a quest'ultima disposizione, la omissione dell'udienza preliminare, in relazione a reati per i quali è prevista, è rilevabile soltanto su eccezione di parte e non di ufficio.
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Cercheremo di esporre il complesso sistema mediante una summa divisio tra inosservanze " per eccesso" (che hanno comportato garanzie maggiori di quelle richieste dalla legge in relazione al reato) e inosservanze "per difetto" (che, viceversa, hanno comportato una diminuzione di garanzie) . Le inosservanze per eccesso. Nell'ambito delle inosservanze per eccesso possono verificarsi due ipotesi. Anzitutto può accadere che, nell'udienza preli minare, il giudice rilevi (d'ufficio o su eccezione di parte) che per il reato doveva procedersi con citazione diretta in giudizio, senza udienza preliminare. In tal caso il giudice deve trasmettere gli atti al pubblico ministero perché questi emetta il decreto di citazione a giudizio (art. 3 3 -sexies) (33 ). L a seconda ipotesi è quella i n cui il giudice collegiale in dibattimento rilevi che il procedimento spetti al tribunale monocratico. In tal caso non si ha regressione del procedimento: il collegio deve trasmettere gli atti al giudice competente per il dibattimento (art. 33 -septies, comma 1 ) . Le inosservanze per difetto. Veniamo adesso alle ipotesi di inosservanza per difetto. In primo luogo può verificarsi la situazione, inversa a quella che abbiamo appena descritto, e regolamentata in maniera identica. Se il giudice monocratico in dibattimento ritiene che il procedimento spetti al tribunale collegiale deve trasmettere gli atti al giudice competente per il dibattimento (art. 33 -septies, comma 1 ) . L'altra ipotesi, che si può verificare, è che il giudice monocratico, nel dibattimento instaurato a seguito di citazione diretta, rilevi che si tratti di un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare. In tal caso, vi è una regressione del procedimento: il giudice trasmette gli atti al pubblico ministero sia ave ritenga che il reato spetti al tribunale collegiale (art. 3 3 -septies, comma l-bis) , sia ave ritenga che il reato sia attribuito al tribunale monocratico (art. 550, comma 3 ). Il pubblico ministero eserciterà nuovamente l'azione pe nale (34). Nonostante l'eccezione di parte, può darsi che il giudice ritenga corretta la propria cognizione: in tal caso, spetterà ad una delle parti proporre appello, con gli effetti precisati dall'art. 3 3 -octies, che stiamo per illustrare. Se la corte d'appello ritiene che la cognizione era del giudice collegiale, annulla la sentenza del giudice monocratico e trasmette gli atti al pubblico ministero presso il (33) È chiaro come una simile disciplina vada in senso opposto rispetto alle esigenze di economia processuale. Ben avrebbe infatti potuto prevedersi che fosse lo stesso giudice dell'udienza preliminare ad emettere direttamente il decreto. (34) Merita precisare che la disciplina appena esposta non dà alcun rilievo al caso che l'inosservanza sia eccepita o rilevata nell'udienza preliminare, fatta salva l'ipotesi nella quale l'udienza stessa non doveva avere luogo (v. art. 33 -sexies) . Occorre peraltro tenere conto del fatto che il giudice dell'udienza preliminare è il medesimo, sia che il procedimento spetti al giudice monocratico, sia che il procedimento spetti al giudice collegiale. Sarà poi lo stesso giudice dell'udienza preliminare ad indicare quello competente per il dibatti mento nel decreto che dispone il giudizio (art. 429, comma l, lett. e).
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tribunale. Nel caso opposto, se ritiene che la cognizione spettava al giudice monocratico, la corte d'appello decide direttamente nel merito; si tratta di una soluzione simile a quella prevista per l'incompetenza per materia " in eccesso" (art. 24, comma 2 ) . Una norma d i chiusura stabilisce che l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non determina l'invalidità degli atti del procedimento né l'inutilizzabilità delle prove già acquisite (art. 33-nonies) (35 ) . l.
Le sezioni distaccate del tribunale.
Le regole che determinano la competenza per territorio trovano applicazione anche per l'individuazione della sezione distaccata a cui spetta la trattazione di un determinato procedimento. Le sezioni distaccate di tribunale, che hanno sostituito le soppresse sezioni distaccate di pretura, sono uffici collocati all'interno del circondario del tribunale per rendere più agevole ai cittadini l'accesso agli organi che amministrano la Giustizia. La loro ristrutturazione costituisce uno degli aspetti fondamentali, sotto il profilo organiz zativo, del decreto legislativo n. 5 1 del 1998. In primo luogo, occorre sottolineare che questi apparati non rappresentano piccoli tribunali autonomi: nella Relazione governa tiva allo schema di decreto istitutivo del giudice unico, il legislatore ha voluto, infatti, precisare che lo stesso termine "sezione" è funzionale a fugare ogni dubbio sulla natura puramente amministrativa di dette articolazioni. Riguardo alle materie che possono essere trattate nella singola sezione distaccata, l'art. 48-quater dell'ordinamento giudiziario le circoscrive agli affari penali sui quali il tribunale giudica in composizione monocratica, quando il luogo in ragione del quale è determinata la competenza per territorio rientra nella circoscrizione della sezione medesima. Viceversa, nella sede principale del tribunale sono svolte, in via esclusiva, le funzioni di giudice per le indagini preliminari e dell'udienza preliminare. L'art. 1 63 -bis delle norme di attuazione dispone in ordine alle modalità con cui può essere eccepita o rilevata l'inosservanza delle regole che presiedono al riparto degli affari tra la sede principale del tribunale e la sezione distaccata. La questione può essere sollevata fino al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. n giudice monocratico, se la ritiene manifestamente infondata, decide con ordinanza. Viceversa, se ritiene la questione "non manifestamente infondata" , deve soltanto trasmettere gli atti al presidente del tribunale, il quale decide con decreto non impugnabile.
(35) La perentorietà della previsione non ha convinto una parte della dottrina, secondo cui nell'ipotesi in esame occorre rispettare il principio di immediatezza, in base al quale alla deliberazione debbono concorrere, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento (art. 525 comma 2 ) . Da tale principio si è soliti desumere la necessità di rinnovare l'assunzione delle prove dinanzi al nuovo giudice, quando l'escussione è ancora possibile e una parte ne fa richiesta. Si tratta di una soluzione analoga a quella che la giurisprudenza accoglie in caso di mutamento della composizione del collegio o della persona fisica del giudice monocratico nel corso del dibattimento. In argomento, si veda Cass., sez. un., 17 febbraio 1999, Iannasso, in Dir. pen. proc. , 1999, 480, e in/ra nel capitolo sul giudizio.
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La norma è stata evidentemente costruita in modo da evitare che una eventuale non corretta applicazione delle regole di riparto degli affari tra sezione distaccata e sede principale potesse considerarsi attinente alla competenza per territorio. n carattere puramente ordinamentale di queste disposizioni esclude qualsiasi effetto qualificabile in termini di nullità processuale. Tale conclusione trova conferma nell'art. 3 3 , comma 2 , ove è stabilito che non s i considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni riguardanti l'assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici. m.
La capacità del giudice.
Quando si parla di " capacità del giudice" si fa riferimento al complesso dei requisiti indispensabili per un legittimo esercizio della funzione giudicante. Tuttavia nel codice di procedura penale non troviamo una vera e propria definizione di questa nozione. In base al primo comma dell'art. 3 3 , sono « condizioni di capacità del giudice » quelle che appaiono « stabilit(e) dalle leggi di ordinamento giudiziario ». In proposito la dottrina distingue la capacità "di acquisto" dalla capacità "di esercizio" della funzione giurisdizionale. La capacità di acquisto della funzione concerne il possesso di tutti i requisiti necessari all'assunzione della qualità di giudice (cittadinanza, età, titolo di studio, ecc.); la capacità di esercizio della funzione riguarda l'esistenza delle condizioni richieste per il valido esercizio del potere giurisdizionale, come ad esempio il decreto ministe riale di nomina al ruolo di uditore giudiziario (attualmente denominato "ma gistrato tirocinante" ) . Capacità generica e specifica. Al contempo, occorre precisare che non tutte le disposizioni finalizzate a regolare l'attribuzione e lo svolgimento della fun zione giurisdizionale sono previste a pena di nullità. Si ritiene infatti che la sanzione della nullità assoluta sia messa a presidio della sola capacità generica (che si ottiene con la nomina e l'ammissione nel ruolo; artt. 178 lett. a ; 179) e non anche dell'idoneità specifica, che presuppone la regolare costituzione del giudice nell'ambito di un determinato processo. Infatti, l'art. 3 3 , comma 2 stabilisce che non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni riguardanti la destinazione del magistrato giudicante agli uffici giudiziari ed alle sezioni (3 6). Evidentemente il legislatore ha voluto evitare che la violazione delle regole concernenti il funzionamento interno degli uffici giudiziari potesse dare luogo a nullità processuali (3 7 ) . (36) Rileva l a Corte cost. (sentenza n . 4 1 9 del 1998) che << i criteri di assegnazione degli affari nell'ambito (degli organi titolari della funzione giurisdizionale) esulano dalla nozione generale della loro capacità che, riguardando la titolarità della funzione, non comprende quanto attiene all'esercizio della funzione stessa, in relazione alla organizzazione interna all'organo che ne è titolare >>. (3 7) Secondo la sentenza da ultimo citata << questo non significa che la violazione dei criteri di assegnazione degli affari sia priva di rilievo e che non vi siano, o che non debbano essere prefigurati, appropriati rimedi dei quali le parti possano avvalersi >>.
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Ripartizione tra tribunale collegiale e monocratico. Inoltre, il terzo comma dell'art. 33 (introdotto dal decreto legislativo n. 5 1 del 1998, istitutivo del giudice unico di primo grado) esclude che l'attribuzione degli affari penali al tribunale collegiale o monocratico attenga alla capacità del giudice o al numero dei giudici necessario per costituire l'organo giudicante. La violazione delle norme sul riparto della cognizione tra le due articolazioni del tribunale e l'inosservanza delle disposizioni ordinamentali concernenti l'assegnazione dei magistrati a sezioni o collegi non danno luogo a nullità processuali (3 8). Da quanto abbiamo esposto, si può ricavare che il codice di procedura penale attribuisce una limitata rilevanza alla garanzia costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.) in quanto circoscrive tale garanzia alla mera individuazione dell'organo giudiziario nel suo complesso. n.
L'imparzialità del giudice - Incompatibilità, astensione e ricusazione.
L'imparzialità del giudice-persona fisica non è una qualità innata o cari smatica della quale egli è dotato in virtù del fatto che ha vinto un concorso pubblico e svolge un determinato ufficio. La storia ci insegna che l'imparzialità, perché sia " effettiva" , deve essere fondata sui seguenti princìpi: l ) la soggezione del giudice alla legge; 2) la separazione delle funzioni processuali; 3 ) la presenza di garanzie procedimentali che consentano di estromettere il giudice che sia (o appaia) parziale. l ) Soltanto la presenza di leggi, che indichino con precisione quali fatti sono reato e quali poteri processuali possano (o debbano) essere esercitati, impedisce che il giudice sia influenzato dall'esterno (dal potere politico, economico, sindacale) o dall'interno (soggettivismi caratteriali ed ideologismi del singolo magistrato). Non è sufficiente garantire il cittadino contro l'arbitrio del potere esecutivo e del potere legislativo; occorre altresì garantirlo contro l'arbitrio del giudice. Per fare ciò, sono necessarie leggi precise, certe, che non lascino al giudice quelle scelte discrezionali che devono essere compiute dal potere legislativo. 2 ) L'imparzialità è fondata sulla separazione delle principali funzioni processuali in soggetti distinti, e cioè l'accusa, la difesa ed il giudice. Se il giudice cumula i poteri di una parte (ad esempio i poteri dell'accusa), si rischia che la sua funzione giudicante sia sviata, anche inconsciamente, dagli ulteriori poteri che è chiamato ad esercitare. Parimenti, se la pubblica accusa esercita i poteri del giudice, inevitabilmente diminuisce l'imparzialità della funzione giudicante, poiché questa è svolta da un soggetto che non è super partes. (38) La materia dell'assegnazione dei procedimenti al singolo magistrato è regolata dal sistema tabellare. Si veda l'art. 7-bis ord. giud. inserito dall'art. 3 d.p.r. 22 settembre 1988 n. 449.
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3 ) Occorrono garanzie procedimentali che permettano di assicurare l'im parzialità del giudice sia come persona fisica (il singolo magistrato) , sia come organo giudicante nel suo complesso (che può essere collegiale o monocratico). Per assicurare la garanzia nei confronti del giudice come persona fisica sono stati predisposti gli istituti della astensione e della ricusazione; nei confronti dell'ufficio giudicante nel suo complesso è previsto l'istituto della rimessione (che esamineremo più avanti). Il codice del 1 988 nel suo testo originario era alquanto carente nella tutela dell'imparzialità del giudice quale persona fisica. Maggiori garanzie sono state introdotte da varie sentenze della Corte costituzionale; ciò ha indotto il legisla tore a perfezionare la normativa ed a recepire espressamente a livello costitu zionale il valore della terzietà e dell'imparzialità del giudice (art. 1 1 1 , comma 2 ) . N e è derivato un sistema che appare complesso e che può essere dominato soltanto facendo riferimento ai princìpi che lo regolano. L'imparzialità del giudice. Dal punto di vista teorico la garanzia della imparzialità può essere definita soltanto in senso negativo (non parzialità) sulla base di due fondamentali criteri, che possono essere così espressi: a) vi è imparzialità in senso oggettivo quando è assente qualsiasi legame tra il giudice ed una delle parti, o tra il giudice e la questione da decidere; b) vi è imparzialità in senso soggettivo quando il giudice appare in una situazione di impregiudi catezza rispetto alla questione da decidere. Quest'ultimo requisito viene meno quando il giudice ha già emesso una decisione sul medesimo oggetto. Il principio di imparzialità impone che il giudice debba non soltanto essere, ma anche " apparire" all'esterno come neutrale (v. tav. 2 . 1.8) . L a distinzione appena prospettata s i ricava, tra l'altro, dall'insegnamento della Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 432 del 1995 (39). In base al criterio della imparzialità oggettiva occorre che il giudice (persona fisica) non abbia legami né con le parti (attuali o potenziali; ad esempio la parte civile) né con l'oggetto del procedimento (ad esempio, non deve avere un interesse all'esito dello stesso, come avverrebbe per quel magistrato che abitasse accanto ad una fabbrica della quale egli dovesse accertare la capacità di inquinare l'ambiente) . L'aspetto soggettivo dell'imparzialità ( e cioè l a situazione di impregiudicatezza) è stata definita dalla Corte costituzionale come "assenza di un pre-giudizio rispetto all'oggetto del procedimento" (la cosiddetta res iudicanda e, cioè, la responsabilità dell'imputato) . Il fondamento teorico di tale asserto è stato individuato nella "forza della prevenzione" che, ad avviso del Giudice delle leggi, consiste nella naturale
(39) La Corte ha dichiarato illegittimo l'art. 34 comma 2 c.p.p. << nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato >>. Operando un radicale mutamento rispetto agli orientamenti espressi in precedenza, la Corte ha specificato in motivazione come la decisione di applicare una misura cautelare personale presupponga << un giudizio non di mera legittimità, ma di merito (sia pure prognostico e allo stato degli atti) sulla colpevolezza dell'imputato >>.
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tendenza di ogni persona a mantenere fermo un giudizio già espresso (40). Detto fenomeno è tanto più forte quanto più potere riveste la persona che deve decidere: si ritiene che essa difficilmente possa ammettere di essersi sbagliata.
L'incompatibilità. La incompatibilità può essere definita come una incapacità a svolgere una determinata funzione in relazione ad un determinato procedi mento. Le situazioni di " pre-giudizio " , che sono previste dal codice come causa di incompatibilità, possono essere ricomprese in tre grandi categorie. In primo luogo, la situazione "pregiudicante" può consistere nel fatto che un magistrato abbia svolto nel medesimo procedimento una qualche funzione che deve restare distinta da quella di giudice (situazione pregiudicata) . L'art. 34, comma 3 enumera, tra le altre, le funzioni del pubblico ministero, della polizia giudiziaria, del difensore, del testimone, del perito, del consulente tecnico, del denunciante e del querelante. Da ciò si può dedurre l'esistenza del principio della separazione delle funzioni processuali, che abbiamo ritenuto essere una delle caratteristiche del sistema accusatorio. In secondo luogo, la situazione " pregiudicante" può consistere nel fatto che un parente o un affine (fino al secondo grado) del magistrato, che è stato designato a giudicare, abbia già esercitato nel medesimo procedimento sia la funzione di giudice, sia altre funzioni " separate o diverse" (art. 3 5 ) . Inoltre, ulteriori situazioni di incompatibilità sono previste dall'ordinamento giudiziario (artt. 18 e 1 9, r.d. 3 0 gennaio 194 1 , n. 12) e dalla legge sulla corte d'assise (art. 12, legge 10 aprile 195 1 , n. 287) (4 1 ) . In terzo luogo, la situazione "pregiudicante" può consistere nel fatto che un magistrato abbia già svolto la funzione di giudice nel medesimo procedimento penale (art. 34). Le situazioni di pre-giudizio sul merito della responsabilità. In particolare, costituisce situazione di incompatibilità ai sensi dell'art. 34 commi l , 2: a) l'aver pronunciato la sentenza in un precedente grado del procedimento; b) l'aver emesso il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare; c) l'aver emesso il decreto penale di condanna; d) l'aver disposto il giudizio immediato; e) l'aver deciso sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere. (40) li primo a denunciare la fallibilità dell'intelletto umano in relazione al fenomeno in esame sembra essere stato FRANCESCO BACONE, The new organon and related writings, 1620, trad. it. in Scritti filoso/ici, a cura di P. Rossi, Torino, 1975, 563: « l'intelletto umano, una volta soddisfatto di una determinata concezione (o perché ricevuta e creduta o perché da essa soddisfatto) cerca di portare tutto il resto a suffragarla e ad accordarsi con essa. Anche se la forza e il numero delle istanze contrarie è maggiore, non ne fa conto o le sdegna o le rimuove e le respinge a forza di distinzioni, non senza pericoloso pregiudizio, pur di mantenere inviolata l'autorità delle sue prime concezioni >>. (4 1 ) << Non possono assumere l'ufficio di giudice popolare: a) i magistrati e, in genere, i funzionari in attività di servizio appartenenti o addetti all'ordine giudiziario; b) gli appartenenti alle forze armate dello Stato ed a qualsiasi organo di polizia, anche se non dipende dallo Stato, in attività di servizio; c) i ministri di qualsiasi culto e i religiosi di ogni ordine e congregazione >>.
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Inoltre, il giudice che nel medesimo procedimento ha esercitato le funzioni di giudice per le indagini preliminari non può emettere il decreto penale di condanna, né tenere l'udienza preliminare, né partecipare al giudizio (comma 2-bis), a meno che si sia limitato a svolgere funzioni di tipo non decisorio indicate nei commi 2-ter e 2-quater (42) , quale è l'aver provveduto all'assun zione dell'incidente probatorio. Infatti, il giudice che si è limitato ad assistere all'assunzione della prova in incidente probatorio, lungi dall'essere "prevenuto" nei confronti dell'indagato, è un soggetto idoneo a pronunciarsi sul rinvio a giudizio (in udienza preliminare) o sulla colpevolezza (in dibattimento) . In seguito agli interventi della Consulta (43 ) e del Legislatore, la materia dell'incompatibilità è diventata alquanto complessa. D'altra parte, l'esigenza di garantire l'imparzialità del giudice imponeva di assicurare che la impregiudica tezza non soltanto fosse esistente, ma anche apparisse tale all'opinione pubblica. (42) Ai sensi dell'art. 34 comma 2-ter, il giudice per le indagini preliminari resta compatibile quando ha emanato uno dei seguenti provvedimenti, che non comportano un "pre-giudizio" : a) le autorizzazioni sanitarie previste dall'ordinamento penitenziario (art. 1 1 legge 1975 n. 354); b) i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla corrispondenza (artt. 1 8 e 1 8-ter legge cit.) ; c) i provvedimenti relativi ai permessi previsti (art. 30 legge cit.); d) il provvedimento di restituzione nel termine di cui all'articolo 175; e) il provvedimento che dichiara la latitanza a norma dell'articolo 296. li successivo comma 2 -quater dell'art. 34 aggiunge a tale catalogo di eccezioni una ulteriore ipotesi e stabilisce che è compatibile con l'esercizio delle funzioni di giudice dell'udienza preliminare e del dibatti mento quel giudice per le indagini preliminari « che abbia provveduto all'assunzione dell'incidente probatorio >> o abbia comunque emesso uno dei provvedimenti previsti dalla legge in relazione a tale istituto (es. ordinanza che dispone il differimento dell'incidente). (43) Rispetto alla funzione di giudice del dibattimento, la Corte costituzionale ha affermato le seguenti situazioni di incompatibilità: l'aver il giudice rigettato la richiesta di patteggiamento prima dell'apertura del dibattimento (n. 186 e 399 del 1992); l'aver il giudice (in un precedente dibattimento per il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato) già disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero per aver accertato che il fatto è diverso da quello contestato ai sensi dell'art. 52 1 , comma 2 (n. 455 del 1994 ) ; l'aver il giudice rigettato la domanda di ablazione ritenendo diverso il fatto (n. 453 del 1994); l'essersi il magistrato pronunciato, quale componente del tribunale della libertà, sul merito di ordinanze relative a misure cautelari personali (n. 13 1 del 1996); l'aver il giudice già valutato la posizione dell'imputato, in ordine alla sua responsabilità, nel pronunciare sentenza nei confronti di altri soggetti (n. 3 7 1 del 1996); l'aver il giudice pronunciato sentenza nei confronti dello stesso imputato per il medesimo fatto realizzato in concorso formale con quello da giudicare successivamente (n. 241 del 1999). Inoltre, non può decidere sulla richiesta di giudizio abbreviato o di patteggiamento quel magistrato che abbia svolto nel medesimo procedimento le funzioni di membro del tribunale della libertà pronunciandosi sul merito dell'applicazione di una misura cautelare personale (n. 155 del 1996). E ancora, il giudice, che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza, poi annullata, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto, è incompatibile con la funzione di giudice dell'udienza preliminare (n. 224 del 200 1 ) . Lo stesso vale nella situazione in cui il giudice abbia emesso il decreto di rinvio a giudizio quando tale decreto sia stato annullato (n. 335 del 2002). In effetti, l'esigenza di garantire l'imparzialità del giudice impone di assicurare che la impregiudicatezza non soltanto sia esistente, ma anche appaia tale all'opinione pubblica. Occorre mettere in evidenza che, secondo la Corte costituzionale, non sussiste incompatibilità quando il giudice, nella medesima fase processuale (ad esempio, nel giudizio di primo grado) compia valutazioni preliminari anche di merito destinate a sfociare in quella conclusiva; ad esempio, applichi una misura cautelare nel corso del dibattimento. Così la sentenza n. 448 del 1995 e le ordinanze n. 24 del 1996 e 232 del 1999.
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In effetti una persona, che in una precedente fase del medesimo procedimento ha emesso una valutazione sulla responsabilità dell'imputato (affermandola od escludendola), non appare nella condizione psichica di poterlo giudicare nuo vamente senza subire il peso della decisione già presa. Se mai, si può addebitare al Parlamento di essersi accorto con ritardo che i princìpi della separazione delle funzioni e dell'imparzialità del giudice sono indispensabili al fine di assicurare quello che il nuovo comma l dell'art. 1 1 1 Cost. definisce "giusto processo" (44). Motivi comuni all'astensione ed alla ricusazione. Come abbiamo accen nato, il giudice ha l'obbligo di astenersi (e le parti possono ricusarlo) in presenza di determinate situazioni che lo fanno apparire parziale. Si tratta di casi nei quali appare probabile che alcune vicende personali (legame con le parti o con l'oggetto da giudicare) possano avere il sopravvento sul dovere di imparzialità. Non è detto che in tali situazioni il giudice sia, in concreto, parziale; ma appare "poco credibile" che un magistrato possa mantenersi imparziale, perché non sempre potrebbe riuscire a dominare i propri istinti o pulsioni inconsce. Ed allora la legge lo obbliga a rendere immediatamente la dichiarazione di asten sione. Numerosi motivi sono comuni ai due istituti dell'astensione e della ricusazione. In primo luogo il giudice deve astenersi (art. 3 6) e può essere ricusato (art. 3 7) se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35 del codice (che abbiamo esposto in precedenza in questo paragrafo) o previste dalle leggi sull'ordinamento giudiziario (v. tav. 2 . 1 .9). In secondo luogo, integrano motivi comuni all'astensione e alla ricusazione tutte quelle situazioni, nelle quali il giudice abbia legami con le parti o con l'oggetto del procedimento. Il giudice ha l'obbligo di astenersi (art. 36) e può essere ricusato (art. 3 7 ) : a ) s e h a interesse nel procedimento o s e alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli. L'interesse non deve essere meramente teorico, ma tale che il giudice sia coinvolto nella vicenda processuale in modo da renderla obiettivamente suscettibile di procurargli un vantaggio economico o morale (45 ) ; b ) se è tutore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge; (44) Ricordiamo quanto era stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 3 1 del 1996: nell'assumere la sua decisione, questa Corte è pienamente consapevole delle difficoltà di ordine pratico che, come conseguenza della propria giurisprudenza, possono derivare alla formazione concreta degli organi giudicanti. Ciò tuttavia non la esime dalla propria essenziale funzione di garanzia, quando se ne richieda l'intervento in presenza di norme costituzionalmente illegittime. Alle anzidette difficoltà, con appropriati interventi e riforme di ordine normativa e organizzativo, devono porre rimedio altre istanze costituzionali alle quali appartengono i relativi doveri e le relative responsabilità >>. (45) Così, Cass. sez. VI, 19 gennaio 2000, Previti, in Arch. n. proc. pen., 2000, 277. <<
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c) se ha dato consigli o ha manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie; d) se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private; e) se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata; /) se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero. L'astensione. La dichiarazione di astensione è valutata da un altro giudice; di regola, è valutata dal presidente dell'organo giudicante al quale appartiene il magistrato (art. 36, comma 3 ) . Non può essere accolta automaticamente perché l'astensione è un istituto che fa eccezione alla regola secondo cui il giudice, una volta investito di un procedimento, ha il dovere di decidere. La dichiarazione di astensione è accolta se si accerta che in concreto esistono le situazioni che mettono in pericolo l'imparzialità. Il codice fa un elenco minuzioso dei motivi che obbligano il giudice ad astenersi (art. 3 6) . Dopodiché gli impone di astenersi anche in presenza di una situazione indicata con una clausola aperta, e cioè quando vi siano « gravi ragioni di convenienza » (art. 36, comma l , lett. h) (46) . La ragione è "grave" quando incide sulla libertà di determinazione del giudice. La necessità di attuare la garanzia costituzionale dell'imparzialità supera l'esigenza di imporre al giudice l'obbligo di decidere. La ricusazione. Le parti possono ricusare il giudice in base ai medesimi motivi previsti per l'astensione, con due precisazioni. Non è possibile ricusare per "gravi ragioni di convenienza " ; viceversa è possibile ricusare il giudice che, nell'esercizio delle sue funzioni, abbia « manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione » (art. 37, comma l , lett. b) . Ciò comporta che le parti possono ricusare il giudice soltanto in presenza di situazioni tassative previste dalla legge (47 ) . La limitazione si pone in tensione con l'esigenza di assicurare comunque la garanzia dell'imparzialità, oggi sancita nel nuovo comma 2 dell'art. 1 1 1 Cost. (48). (46) Possiamo menzionare, come esempio, i l caso in cui una delle parti sia l'amante del giudice. (47) Nelle sentenze n. 306, 307 e 308 del 1 997 la Corte costituzionale aveva segnalato che, ove il pregiudizio per l'imparzialità del giudice non fosse riconducibile ad alcuna delle ipotesi di ricusazione già previste dall'ordinamento, la tutela del giusto processo avrebbe potuto essere assicurata chiedendo alla Corte medesima un intervento volto ad ampliare l'ambito applicativo dell'istituto. Così è avvenuto con la sentenza n. 283 del 2000, che ha inserito una nuova causa di ricusazione nell'art. 37 c.p.p. La Corte ha dichiarato << l'illegittimità costituzionale dell'art. 37, comma l , del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto >>. Nel caso di specie il giudice aveva in precedenza applicato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. (48) La normativa sopra esposta appare essere il retaggio della scelta totalitaria di voler imporre
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Sulla ricusazione di un giudice del tribunale, della corte di assise o della corte di assise di appello decide la corte di appello; su quella di un giudice della corte di appello decide una sezione della corte stessa, diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato. Sulla ricusazione di un giudice della corte di cassazione decide una sezione della corte, diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato (art. 40) . n procedimento è giurisdizionale; una volta accertata la situazione pregiudizievole, viene designato un altro magistrato in base alle norme sull'ordinamento giudiziario (art. 43 ) . Nel frattempo, il giudice ricusato non deve sospendere la sua attività, ma non può pronunciare una sentenza (art. 3 7 , comma 2) (49) . Occorre ricordare che, nel caso in cui concorrano una dichiarazione di ricusazione ed una dichiarazione di astensione, l'accoglimento dell'astensione fa considerare come non proposta la ricusazione (art. 39) . o.
La rimessione del processo.
Considerazioni generali. Vi possono essere casi nei quali è pregiudicata l'imparzialità dell'intero ufficio giudicante territorialmente competente a pre scindere da situazioni che riguardino il singolo magistrato che lo compone (v. tav. 2 . 1 .9). In questi casi il codice prevede lo spostamento della competenza per territorio ad un altro organo giurisdizionale (con la medesima competenza per materia) situato presso quel capoluogo del distretto di corte d'appello che è individuato in base all'art. 1 1 (caso in cui un magistrato sia imputato, persona offesa o danneggiato; vedi supra). Lo spostamento è deciso dalla corte di cassazione se ed in quanto tale organo accerti l'esistenza di almeno uno dei requisiti della rimessione (art. 45 ). La richiesta motivata di rimessione può essere presentata soltanto dall'imputato, dal pubblico ministero presso il giu dice che procede e dal procuratore generale presso la corte d'appello. La normativa è stata modificata dalla legge 7 novembre 2002 n. 248. I casi di rimessione. Nei tre casi nei quali è prevista la rimessione devono essere presenti « gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili ». La situazione deve essere "grave " , e cioè occorre che sia presente una obiettiva situazione di fatto che lasci fondatamente presagire un esito non imparziale e non sereno del giudizio. Deve essere "locale" , e cioè non diffusa sull'intero territorio nazionale. Deve essere comunque la fiducia dei cittadini nella imparzialità della magistratura, anche se il singolo magistrato non ha tale qualità. La soluzione poteva essere coerente con le opinioni accolte nel 1 930, al tempo della promulga zione del codice previgente: permettere che si potesse dubitare in concreto della imparzialità di un singolo giudice avrebbe messo in pericolo il prestigio della magistratura. Si trattava, beninteso, di un prestigio meramente formale, che oggi non è più degno di tutela nella nuova Carta fondamentale. (49) Con la sentenza 9 gennaio 1997, n. 10, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 37, comma 2. Di conseguenza, quando è proposta una dichiarazione di ricusazione fondata sui medesimi motivi di una precedente, il giudice può pronunciare o concorrere a pronunciare sentenza anche prima che sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione.
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"esterna" rispetto al processo, e cioè non deve consistere in un fenomeno connesso alla dialettica processuale. Infine, deve essere "non eliminabile" con gli strumenti a disposizione del potere esecutivo. l ) Il primo caso di rimessione si ha quando sono pregiudicate la sicurezza e l'incolumità pubblica. Quale esempio si può citare lo stato di guerriglia urbana che si è manifestato in alcune città italiane tra il 1 970 ed il 1 980. 2) Il secondo caso di rimessione sussiste quando è pregiudicata la libera determinazione delle persone che partecipano al processo. Può essere la situa zione in cui i giudici popolari o i testimoni sono intimiditi da associazioni mafiose. Occorre che siano presenti fenomeni di vera e propria coartazione fisica o psichica di persone che possono anche essere diverse dal giudice. A ben vedere, la norma tutela direttamente il regolare svolgimento del processo e solo indirettamente l'imparzialità del giudice. Quella fino a qui descritta era la situazione normativa esistente al momento della riforma del 2002 . 3 ) Il terzo caso di rimessione consiste in gravi situazioni locali che « deter minano motivi di legittimo sospetto ». Questa ipotesi è stata aggiunta dalla legge n. 248 del 2002 e fa riferimento ad una « grave e oggettiva situazione locale, idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice », inteso questo come l'intero ufficio giudicante della sede in cui si svolge il processo (50) . Oggetto di tutela non è una imparzialità presunta o di facciata, imposta da un prestigio meramente "formale " riferito della magistratura. Al contrario, occorre che sia assicurata una imparzialità sostanziale, che può essere messa in pericolo quando la pressione dell'ambiente sui giudici appare, ad un osservatore esterno, idonea a compromettere la serenità della decisione. Tale serenità è indispensabile perché la valutazione della prova non è una attività meccanica, bensì richiede un atteggiamento interiore di assoluta libertà psichica e di terzietà in capo al giudice quando questi costruisce ed elabora le massime di esperienza e quando applica le regole della scienza e della logica; ma soprattutto quando il giudice deve valutare se l'accusa ha eliminato ogni ragionevole dubbio (art. 533 ) (5 1 ) . (50) Così Cass., sez. un., 2 7 gennaio - 2 6 marzo 2003, in Foro it. , 2003 , II, 239; in Dir. pen. proc. , 2003 , 560; in Cass. pen., 2003, 2 163 . Si veda anche Cass., sez. VI, 17 novembre 2003, n. 47805, in Dir. giust., 2004, l, 18: << il preteso accanimento del p.m. nei confronti dell'imputato non è, di per sé, causa legittima di rimessione del processo ( . . . ) a meno che non si deduca e dimostri che tale accanimento, in concorso con altre gravissime ed eccezionali circostanze locali, abbia seriamente posto in pericolo l'imparzialità del giudice >>. (5 1 ) n "legittimo sospetto" di parzialità del giudice è nato come strumento di garanzia per rimediare alle esperienze della democrazia assembleare sperimentata durante la Rivoluzione francese. Accadeva allora che i tribunali si trovavano a giudicare davanti ad una folla urlante che chiedeva di passare subito alla ghigliottina. Talora la folla invocava il Terrore " rosso", talaltra il Terrore "bianco " ; ma si trattava sempre di utilizzare la Giustizia come strumento di lotta politica. Al momento di scrivere il Code d'instruction criminelle, che è stato poi promulgato nel 1808 e che è considerato l'emblema del sistema liberale in quel secolo, i giuristi sopravvissuti agli eccessi della Rivoluzione cercarono uno strumento di garanzia che assicurasse una sede giudiziaria imparziale. Inventarono così la norma sul "legittimo sospetto" di parzialità dell'intero ufficio
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La corte di cassazione, investita dalla richiesta presentata dall'imputato o dal pubblico ministero, verifica l'esistenza di una delle situazioni che impon gono la rimessione (52) . Ove accolga la richiesta, trasferisce il processo ad un altro giudice che abbia la medesima competenza per materia e che abbia sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello individuato in base all'art. 1 1 c.p.p. Pertanto, la richiesta di rimessione, se accolta, determina l'attribuzione del processo ad un altro giudice precostituito per legge. Decisione sulla richiesta. La cassazione decide in camera di consiglio ai sensi dell'art. 127, dopo aver assunto, se necessario, le opportune informazioni. L'ordinanza che accoglie la richiesta di rimessione è comunicata senza ritardo al giudice che procede e a quello designato. n giudice designato provvede alla rinnovazione degli atti compiuti anteriormente alla rimessione quando ne è richiesto da una delle parti e non si tratta di atti di cui è diventata impossibile la ripetizione (art. 48, comma 3 ) . L a normativa cerca di assicurare un bilanciamento tra i l principio di imparzialità del giudice ed il principio del giudice naturale (sul quale si veda supra). Tra i due princìpi prevale quello di imparzialità, anche se il principio del giudice naturale impone la tassatività-determinatezza delle ipotesi di rimessione. Il criterio del "legittimo sospetto" collegato alle "gravi situazioni locali" pare avere una determinatezza sufficiente in relazione al rilievo del contrapposto interesse dell'imparzialità del giudice. Del resto, in alcuni casi, perfino nel diritto penale sostanziale si è riconosciuto che l'esigenza di determinatezza può in qualche modo essere attenuata, sia pure entro limiti che non giungano a snaturarla (53 ) . Ciò può accadere allorché sia necessario tutelare beni giuridici di importanza fondamentale (54) .
giudicante. In tale situazione sia l'accusa, sia l'imputato potevano chiedere alla corte di cassazione di trasferire la competenza per territorio ad un altro giudice. n "legittimo sospetto" è così entrato nei codici dell'Europa continentale e, quindi, in quelli italiani fin dal l865 ed è rimasto in vigore fino al codice del l988, che viceversa ne ha ridotto la portata sostituendolo con un'altra clausola. (52) La richiesta di rimessione (presentata, come si è detto, dal pubblico ministero, dal procuratore generale presso la corte d'appello o dall'imputato) deve essere depositata nella cancelleria del giudice che procede e deve essere notificata alle altre parti a pena di inammissibilità (art. 46). Il giudice trasmette l'istanza alla corte di cassazione e può sospendere il procedimento in attesa della decisione della suprema corte (art. 47, conuna 1 ) . n presidente della corte di cassazione, se rileva una causa di inammissibilità, assegna la richiesta alla apposita sezione filtro prevista dall'art. 610, comma l (art. 48, comma 2 ) . In caso contrario, trasmette la richiesta alle sezioni unite o ad altra sezione, dandone immediata comunicazione al giudice che procede (art. 48, comma 3 ) : questi deve sospendere il processo prima dello svolgimento delle conclusioni e non può pronunciare sentenza (né emettere il decreto che dispone il giudizio). Il provvedimento, che ordina la sospensione, non impedisce il compimento di atti urgenti; ha effetto fino a che la cassazione non si sia pronunciata sulla richiesta di rimessione (art. 47, comma 3 ) e comporta la sospensione della prascrizione del reato e dei termini di custodia cautelare (art. 47, comma 2 ) . La sospensione del processo non è disposta quando la richiesta sia fondata su elementi identici rispetto a quelli di altra istanza già rigettata o dichiarata inammissibile (art. 47, comma 2). La suprema corte può sempre disporre con ordinanza la sospensione del processo (art. 47, comma 1 ) . (53 ) Afferma l a sentenza della Corte cost. n. 1 9 1 del l970 a proposito della norma incriminatrice degli
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Le questioni pregiudiziali alla decisione penale.
fl principio di autosufficienza della giurisdizione penale. Nel momento in cui si deve accertare la responsabilità dell'imputato, il giudice penale può avere la necessità di risolvere una questione pregiudiziale; in senso lato è pregiudiziale una questione che si pone come antecedente logico-giuridico per pervenire alla decisione. Esemplificando: per decidere sull'imputazione di furto occorre ac certare la altruità della cosa (art. 624 c.p. ) . In senso stretto, una questione può dirsi pregiudiziale quando l'iter logico per approdare alla decisione sull'imputazione presuppone la risoluzione di una controversia non appartenente alla diretta cognizione del giudice procedente. Ad esempio, per dichiarare la responsabilità dell'imputato per il delitto di ricettazione occorre accertare che la cosa acquistata è stata oggetto di un furto; ma la cognizione di tale reato potrebbe essere in concreto di competenza di un giudice diverso da colui che procede. Il codice accoglie la regola secondo la quale il giudice penale ha il potere di risolvere ogni questione da cui dipenda la sua decisione, salvo che una norma di legge disponga diversamente. Ciò costituisce espressione del principio di autosufficienza della giurisdizione penale (SPANGHER; BACCARI) e, al tempo stesso, attua la massima semplificazione delle forme e la ragionevole durata del processo. La risoluzione della questione in via incidentale. Esamineremo successi vamente le eccezioni al principio di autosufficienza. Per il momento ci preme rimarcare che il giudice penale si limita a " risolvere" la questione in via incidentale: egli conosce della questione soltanto in quanto presupposto del l'accertamento della responsabilità dell'imputato. Ed infatti, l'art. 2 comma 2 c.p.p. precisa che la pronuncia del giudice penale, che risolve incidentalmente una questione civile, amministrativa o penale, non ha efficacia vincolante in nessun altro processo. Nell'esempio fatto da ultimo, per dichiarare la respon sabilità dell'imputato per il delitto di ricettazione occorre accertare che la cosa acquistata è stata oggetto di un furto; detta questione è risolta ai soli fini dell'esistenza della ricettazione e non vincola il giudice competente a decidere sull'imputazione di furto. atti osceni: << quando la legge penale prevede la tutela di beni immateriali (come il decoro, l'onore, la reputazione, il prestigio, la decenza) il ricorso a nozioni proprie del linguaggio e dell'intelligenza comuni è inevitabile >>. (54) Argomenta in modo differente Cass., sez. un. 27 gennaio-26 marzo 2003, cit., in Dir. pen. proc., 2003, 560, che tuttavia riconosce la legittimità costituzionale del criterio. Esso impedisce che lo spostamento della competenza per territorio sia affidato alla mera discrezionalità della corte di cassazione. La S.C. ritiene che l'istituto abbia un carattere eccezionale poiché implica una deroga al principio del giudice naturale; da ciò fa discendere una interpretazione restrittiva delle disposizioni che regolano la rimessione. La grave situazione locale di legittimo sospetto dovrebbe essere caratterizzata da abnormità e eccezionalità.
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Le regole probatorie. Restando al livello delle regole generali vigenti in materia e lasciando ad un momento successivo l'illustrazione delle eccezioni, occorre ricordare che, nel risolvere la questione pregiudiziale, il giudice penale di regola non è vincolato ai limiti di prova stabiliti dalle leggi civili (es. il limite alla prova testimoniale per determinati contratti: artt. 272 1 e 2722 c.c.). Ciò significa che le esigenze di speditezza del processo penale possono portare ad un eventuale contrasto con le decisioni di altri giudici penali, civili o amministrativi. Il codice accetta questa possibilità al fine di contenere la durata del procedi mento penale; quale "valvola di sicurezza" prevede in casi tassativi la possibilità di revisione della sentenza penale di condanna (art. 63 0 c.p.p. ) . Soltanto in due casi il giudice penale deve seguire l e regole probatorie speciali vigenti per la specifica materia. Si tratta delle questioni pregiudiziali sullo stato di famiglia e di cittadinanza, in presenza delle quali il giudice penale deve osservare i « limiti di prova » stabiliti dalle leggi civili (art. 1 93 c.p.p. ) . In questo caso prevale il principio della certezza dei rapporti giuridici, che sono regolati in modo esclusivo dalle leggi civili e vincolano il giudice penale (si veda in/ra nel capitolo sui princìpi generali della prova) . A conferma di ciò, l'art. 3 comma 4 c.p.p. dispone che la sentenza irrevocabile del giudice civile sullo stato di famiglia e di cittadinanza ha efficacia di giudicato nel processo penale. L'autosufficienza totale: le questioni pregiudiziali "penali". n giudice penale gode di una totale autosufficienza nell'accertare le questioni pregiudiziali penali. Quale esempio si può citare nuovamente il caso in cui nel decidere sull'esistenza della ricettazione si debba risolvere il problema se la cosa "pro viene" da un qualsiasi delitto (art. 648 c.p. ) . Il rapporto tra questione penale pregiudicante e pregiudicata è regolato dal codice nel modo seguente. La eventuale sentenza irrevocabile sulla esistenza del furto non ha efficacia di giudicato nel processo per ricettazione; se mai può essere utilizzata come prova documentale in presenza di riscontri e salvo prova contraria (art. 23 8-bis c.p.p.). A sua volta, la risoluzione della questione pregiudiziale sulla qualità di " cosa rubata" , quale antecedente logico della esistenza della ricettazione, non vincola altro giudice penale che debba accertare l'esistenza del furto (55 ) . L'autosufficienza parziale: le questioni pregiudiziali sullo stato di famiglia o di cittadinanza. n particolare rilievo delle questioni sullo stato di famiglia o di cittadinanza si manifesta sotto un ulteriore profilo, oltre all'aspetto del giudi cato. n sorgere di una pregiudiziale di tale natura può comportare la sospen sione del processo penale. Beninteso, il giudice penale non ha l'obbligo di (55) Per evitare decisioni contrastanti i due procedimenti possono essere riuniti, ove siano presenti i requisiti della riunione. Come si può notare, la materia richiede collegamenti con il tema della riunione dei procedimenti, con il tema del giudicato e con il tema della prova.
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sospendere sempre il processo in attesa che il giudice civile abbia deciso su tale questione. n giudice penale ha soltanto il potere-dovere di valutare la necessità della sospensione, che può avvenire unicamente in presenza dei rigorosi requi siti previsti dall'art. 3 comma l c.p.p. I requisiti devono essere interpretati in modo tassativo perché comportano una eccezione alla cognizione incidentale attribuita al giudice penale dall'art. 2 comma l c.p.p. Facciamo l'esempio che il giudice sia chiamato ad accertare se un cittadino abbia portato armi contro lo Stato italiano (art. 242 c.p.) (56) . Nel merito può essere controverso se l'imputato abbia effettivamente la qualifica di "cittadino" . n giudice penale in base all'art. 3 comma l c.p.p. può sospendere il processo soltanto quando la questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza abbia due requisiti concorrenti, e cioè: l ) la questione deve essere « seria »; 2) l'azione a norma delle leggi civili deve essere già in corso. Al giudice penale è attribuito il potere-dovere di non concedere la sospensione quando la questione non è seria o il processo civile non è in corso: le esigenze di durata ragionevole del processo penale devono prevalere (57) . L'autosufficienza quasi totale: le controversie civili ed amministrative diverse dallo stato di famiglia e di cittadinanza. In casi limitatissimi il codice consente al giudice penale di sospendere il processo per devolvere la decisione di una questione pregiudiziale civile o amministrativa " diversa" da quelle sullo stato di famiglia o di cittadinanza. Si tratta di ipotesi da considerare "di scuola", viste le condizioni rigorosissime previste dall'art. 479 c.p.p. In particolare, è posto come condizione che il giudice civile o amministrativo pronunci una sentenza irrevocabile entro un anno dal momento della sospensione del pro cesso penale. È evidente che il principio della ragionevole durata del processo costituisce oggi un ostacolo nei confronti della ipotesi di sospensione in parola (58). (56) Altro esempio può essere fatto i n relazione al furto: costituisce causa d i non punibilità il fatto che l'imputato si trovi in un determinato rapporto di parentela o affinità con la persona offesa (es. coniuge non legalmente separato; ascendente o discendente; fratello o sorella se conviventi; art. 649 c.p.). (57) Ove la sospensione sia concessa, questa opera << fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce la questione >> (comma 1 ) . La sentenza irrevocabile ha efficacia di giudicato nel processo penale (comma 4). La sospensione del processo non impedisce il compimento di atti urgenti (comma 3 ) . L'ordinanza che dispone la sospensione è immediatamente esecutiva anche se è soggetta al ricorso per cassazione (comma 2). (58) Benché l'ambito di applicazione della norma sia assai limitato, può essere interessante menzionare i requisiti che il codice pone a questo tipo di sospensione. Si faccia l'esempio del giudice che deve accertare il reato di inosservanza del provvedimento legalmente dato da una autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene (art. 650 c.p . ) . Questione pregiudiziale è la legittimità amministrativa dell'ordine. Ebbene, l'art. 479 permette la sospensione in presenza dei seguenti requisiti, che devono concorrere simultaneamente: l) la questione pregiudiziale deve condizionare la « esistenza >> del reato e non, ad es., di una sua circostanza; 2) il processo penale deve essere pendente nella fase del « dibattimento >>; 3 ) la questione deve essere « particolarmente complessa >>; 4) il processo extrapenale deve essere già « in corso >> davanti al giudice competente; 5) e non deve prevedere limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa; 6) e ancora, deve concludersi entro un anno con una sentenza « passata in giudicato >>.
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Le altre questioni pregiudiziali. Occorre accennare ad altre questioni pregiudiziali che possono sorgere nel corso del processo penale. Quanto alle controversie attinenti alla proprietà dei beni sequestrati o confiscati, il codice ne affida la risoluzione al giudice civile (artt. 263 comma 3 ; 324 comma 8; 676 comma 2 ) . Sulle questioni relative alla conformità delle leggi ( o di atti aventi forza di legge) alla Costituzione, il giudice penale deve provocare l'intervento della Corte costituzionale se la questione è "rilevante" e "non manifestamente infondata" (c.d. pregiudiziale di costituzionalità; art. 23 comma 2 legge 1 1 marzo 1 953 , n. 87) (59). Ed ancora, il giudice penale ha la facoltà di rivolgersi alla Corte di giustizia delle Comunità europee, quando ritenga necessario risolvere una questione relativa all'interpretazione del diritto comunitario per definire il processo (c.d "pregiudiziale comunitaria" ; art. 234, comma 2 del Trattato istitutivo della Comunità europea; art. 3 legge 13 marzo 1 958, n. 204 ) . Tuttavia, il giudice nazionale ha l'obbligo di adire la Corte di giustizia, qualora la questione sorga dinanzi ad un organo giurisdizionale di ultima istanza (art. 234, comma 3 T.C.E) oppure verta sulla validità di un atto delle istituzioni comunitarie. Il rinvio della questione al giudice comunitario determina la sospensione automatica del processo penale. Ciò in quanto la pronuncia della Corte ha efficacia vincolante per il giudice a qua; peraltro, sembra da condividere l'opinione secondo la quale qualsiasi giudice dei Paesi membri è tenuto ad Qualora il giudizio civile o amministrativo non si sia concluso nel termine di un anno, il giudice, anche di ufficio, può revocare l'ordinanza di sospensione. Un esempio di questione pregiudiziale civile è la qualità di fallito ai fini del reato di bancarotta. Infatti, tale reato sussiste soltanto se l'autore della condotta tipica è un imprenditore che sia stato dichiarato fallito. Nella prassi giudiziaria accade di frequente che l'imprenditore, una volta dichiarato fallito, presenti opposi zione alla dichiarazione di fallimento dinanzi al giudice civile. In tale eventualità il giudice penale può sospendere il processo per bancarotta se ricorrono tutti quei requisiti previsti dall'art. 479 e che abbiamo elencato poco sopra. (59) Dal momento nel quale è stato accolto un incidente di legittimità costituzionale da parte del giudice penale, il processo a qua deve essere obbligatoriamente sospeso in attesa della decisione della corte costituzionale (art. 23, comma 2, legge n. 87 del 1953 ) . li corso della prescrizione del reato rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del processo è imposta da una particolare disposizione di legge (art. 159 c.p.): nel caso del giudizio di legittimità costituzionale, la sospensione del processo penale è obbligatoria ed è imposta dall'art. 23, comma 2, legge n. 87 cit.; pertanto, anche il corso della prescrizione deve ritenersi sospeso in attesa della decisione della corte costituzionale. Per quanto riguarda le conseguenze di una dichiarazione di incostituzionalità quando essa ha ad oggetto norme processuali penali, nonostante numerose dispute giurisprudenziali, oggi è pacificamente ammesso che tale declaratoria comporta l'invalidità di tutti quegli atti che sono stati compiuti in base alla norma dichiarata in costituzionale, indipendentemente dal momento in cui sono gli stessi stati compiuti, e cioè anche se anteriori rispetto alla pubblicazione della pronuncia costituzionale, purché il processo penale sia ancora in corso. Si veda Cass. , sez. un., 7 luglio 1984, Galante, in Cass. pen., 1984, 2388, in cui si precisa che " l'obbligo di immediata operatività della dichiarazione di incostituzionalità nei giudizi non ancora definiti" comporta che "il giudice deve assumere come canone di valutazione esclusivamente la disciplina risultante dall'innovazione apportata dalla decisione della corte costituzionale" (v. supra, Parte I, cap. 2, § 8).
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uniformarsi all'interpretazione del giudice comunitario, fermo restando il po tere di sollecitare una nuova pronuncia della Corte di giustizia sulla medesima questione. 3.
n pubblico ministero. a.
Le funzioni.
Il pubblico ministero è quel complesso di uffici pubblici che rappresentano nel procedimento penale l'interesse generale dello Stato alla repressione dei reati. li pubblico ministero non è un organo unitario, bensì è frazionato in tanti uffici ciascuno dei quali svolge le sue funzioni, di regola, soltanto davanti all'organo giudiziario presso cui è costituito (art. 5 1 , comma 3 ) . Uffici del pubblico ministero davanti al giudice ordinario. Le funzioni del pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono svolte, presso il tribunale monocratico e collegiale, da un ufficio unitario denominato " procura della repubblica presso il tribunale" . Tale ufficio svolge altresì le funzioni di pubblico ministero per i reati di competenza della corte d'assise e del giudice di pace. Presso il tribunale per i minorenni vi è un apposito ufficio di procura della repubblica (v. tav. 2 . 1 . 18). Per i giudizi d'appello vi è una procura generale presso la corte d'appello. Presso la corte di cassazione vi è un ufficio di procura generale. Uffici del pubblico ministero davanti al giudice speciale. Presso il giudice speciale militare vi sono la procura militare presso il tribunale e la procura generale militare presso la corte d'appello. Presso la corte di cassazione vi è un apposito ufficio denominato "procura generale militare" . Per i delitti commessi dal presidente della repubblica (art. 9 0 Cost.) le funzioni di pubblico ministero sono svolte da uno o più " commissari" eletti dal parlamento in seduta comune dopo che quest'ultimo ha deliberato l'atto d'accusa (art. 13 legge cost. 1 1 marzo 1 953 , n. 1 ) . Le funzioni del pubblico ministero. Le funzioni svolte dal pubblico mini stero sono indicate nell'ordinamento giudiziario. In particolare il pubblico ministero: l ) « veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci » (art. 73 ord. giud. ) . 2) « promuove l a repressione dei reati » (art. 7 3 ord. giud.) e cioè svolge le indagini necessarie per valutare se deve chiedere il rinvio a giudizio o l'archi VIazwne. 3 ) « esercita l'azione penale » in ogni caso in cui non debba richiedere l'archiviazione, e cioè quando dalle indagini sono emersi elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio (art. 50, comma l c.p.p.).
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4) « fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice, nei casi stabiliti dalla legge » (art. 73 ord. giud. ) . n pubblico ministero svolge nel procedimento penale l a funzione di parte pubblica. Egli rappresenta l'interesse generale dello Stato-comunità, e cioè l'interesse della società che è stata lesa dal reato. Ben distinta è la situazione soggettiva dello Stato-persona, che è rappre sentato dall'avvocatura dello Stato. Infatti, qualora il reato abbia cagionato un danno ad un bene dello Stato, il ministro competente può decidere di chiedere il risarcimento nel processo penale. In tal caso il ministro, che si costituisce parte civile, è rappresentato dall'avvocatura dello Stato (60). Status del pubblico ministero. n magistrato che fa parte dell'ufficio del pubblico ministero ha una piena indipendenza di status (art. 105 Cost.) ; è inamovibile nel grado e nella sede (art. 1 07 Cost.); è nominato a seguito di pubblico concorso (art. 1 06, comma l Cost. ) ; i provvedimenti disciplinari e le promozioni che lo riguardano sono deliberati dal consiglio superiore della magistratura (art. 1 05 Cost.) ( 6 1 ) . Per quanto attiene alle funzioni, l a Costituzione impone al pubblico ministero l'obbligo di esercitare l'azione penale (art. 1 12 ) ; da ciò si fa comune mente derivare la soggezione del pubblico ministero alla legge. La principale differenza rispetto al giudice sta nel fatto che l'ufficio del pubblico ministero ha alcune caratteristiche della organizzazione gerarchica; quest'ultima, viceversa, è assente all'interno degli uffici del giudice. b.
I rapporti con il potere politico.
La scelta compiuta a questo proposito dalla Costituzione va vista nel quadro generale delle soluzioni sperimentate da altri sistemi politici. Occorre fare una prima e fondamentale distinzione tra sistemi totalitari e garantisti (v. tav. 2 . 1 . 19). I sistemi totalitari non accettano la separazione dei poteri dello Stato se non a fini meramente burocratici. In essi il pubblico ministero è diretta espressione del " potere politico" , che può essere imperso(60) La legittimazione a far valere la pretesa risarcitoria, per effetto della l. 25 marzo 1958 n. 260, spetta al ministro competente, organo di vertice dell'amministrazione che è parte del giudizio. A norma dell'art. l comma 4, l. 3 gennaio 1991 n. 3, tuttavia, la costituzione di parte civile dello Stato deve essere autorizzata dal presidente del consiglio dei ministri; l'ordinamento, dunque, << demanda alla determinazione della presidenza del consiglio se ed in quali procedimenti penali e per quali interessi da tutelare l'ammini strazione debba costituirsi parte civile >>. Così Corte conti, Sez. riun., 17 febbraio 1992, n. 752/A, Gozzo, in Foro amm. , 1992, p. 2407, con motivazione. (61 ) Degno di considerazione è quanto affermato dalla sentenza della Corte cost. 3 febbraio 2000 n. 37: << la Costituzione, pur considerando la magistratura come un unico "ordine" , soggetto ai poteri dell'unico Consiglio superiore (articolo 104), non contiene alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti, o che impedisca di limitare o di condizionare più o meno severamente il passaggio dello stesso magistrato, nel corso della sua carriera, dalle une alle altre funzioni >>.
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nato dal re, dal dittatore, dal partito unico, dal potere esecutivo o, in altre situazioni, dal potere legislativo o da quello giudiziario che esercitano una dittatura sul Paese. I sistemi garantisti sono fondati sull'opposto principio della separazione dei poteri dello Stato, nel senso che vi è un controllo reciproco fra gli stessi. Il pubblico ministero può essere configurato in tre distinti modi: l) come rappre sentante della società; 2) come rappresentante del potere esecutivo; 3 ) come rappresentante della legge. La prima soluzione, secondo la quale il pubblico ministero è il "rappresen tante della società" , deriva dal periodo iniziale della Rivoluzione francese, che ha introdotto la figura dell'accusatore pubblico elettivo. Costui era eletto con modalità simili a quelle dei membri del parlamento. Una configurazione del genere è presente nella maggior parte degli ordinamenti degli Stati Uniti d'America ed è colà accettata in quanto la società americana non ha i profondi contrasti ideologici che sono tipici dell'Europa continentale. La seconda soluzione, che vede il pubblico ministero come "rappresentante del potere esecutivo presso il potere giudiziario " , è stata accolta in Francia ai tempi del Consolato e dell'Impero. Più che essere un magistrato, il pubblico ministero rischia di diventare un funzionario la cui carriera dipende più o meno direttamente dal potere esecutivo. Tale configurazione è stata accolta in Italia ai tempi sia dello stato liberale, sia del regime fascista e ha dato cattiva prova. La soluzione del pubblico ministero quale "rappresentante della legge" tende a tenere il pubblico ministero fuori dalla dipendenza politica, e cioè a svincolarlo dal controllo operato dal potere esecutivo o dal potere legislativo. Il pubblico ministero è vincolato alla "legge" , e cioè al prodotto del potere legislativo. Questa soluzione è accolta dai Paesi che, dopo aver sperimentato un regime di tipo dittatoriale, sono riusciti a liberarsene e nei quali vi è ancora un profondo contrasto ideologico; è la situazione dell'Italia del secondo dopoguerra e, attualmente, del Brasile e del Portogallo. Questa soluzione tende a collocare il pubblico ministero fuori dalla mischia "politica" e, soprattutto, fuori dal controllo dei partiti. Nell'ordinamento italiano il pubblico ministero è stato configuratù fin dall'Assemblea costituente come un magistrato con garanzie di indipendenza simili a quelle dei giudici (62 ) . La soluzione è apparsa adeguata al nostro (62) La soluzione è stata proposta e difesa in tale sede da PIERO CALAMANDREI, che ne ha dato il seguente quadro in L'elogio dei giudici scritto da un avvocato, Firenze, 1949, p. 40: << Fra tutti gli uffici giudiziari, il più arduo mi sembra quello del pubblico accusatore: il quale, come sostenitore dell'accusa, dovrebb'essere parziale al pari di un awocato; e, come custode della legge, dovrebb'essere imparziale al pari di un giudice. Awocato senza passione, giudice senza imparzialità: questo è l'assurdo psicologico nel quale il pubblico ministero, se non ha squisito senso dell'equilibrio, rischia ad ogni istante di perdere per amor di serenità la generosa combattività del difensore, o per amor di polemica la spassionata oggettività del magistrato >>.
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sistema, nel quale manca un'effettiva separazione tra potere legislativo e potere esecutivo e, quindi, un efficace controllo del primo sul secondo. Inoltre, la soluzione è parsa coerente con il lacerante ed irrimediabile contrasto ideologico che divide la società italiana. c.
I rapporti all'interno dell'ufficio.
I rapporti di dipendenza gerarchica, che esistono all'interno dell'ufficio del pubblico ministero, assumono una configurazione tutta particolare perché devono contemperare due esigenze contrapposte. La prima irrinunciabile esi genza, imposta dalla Costituzione, è quella di garantire la posizione di indipen denza del singolo magistrato del pubblico ministero, che ha l'obbligo di far osservare la legge. La seconda esigenza, parimenti irrinunciabile, tende ad assicurare la buona organizzazione dell'ufficio della pubblica accusa, che non ha funzioni meta mente decisorie, bensì ha oneri di iniziativa e di impulso del procedimento penale. Vi è la necessità di coordinare indagini condotte da più magistrati per evitare intralci reciproci (ad es., la diffusione di notizie riservate di un proce dimento può danneggiare un altro) . Inoltre, occorre che le direttive impartite alla polizia giudiziaria siano unitarie (art. 9 disp. att.) (63 ) . Evoluzione legislativa. L a materia h a cambiato l a configurazione che aveva nel 1988; il cambiamento è dovuto alla legge-delega n. 150 del 2005 sulla riforma dell'ordinamento giudiziario, alla quale è seguito il d.lgs. n. l 06 del 2006 e la legge 24 ottobre 2006 n. 269 che hanno introdotto ulteriori modifiche. La normativa vigente risulta configurata nel modo che veniamo ad esporre. In estrema sintesi, si è passati da un sistema classificabile come "personalizzazione delle funzioni" ad un altro che possiamo definire "gerarchia attenuata" (v. tav. 2 . 1 . 15 ) . In base al principio di " personalizzazione delle funzioni" il titolare dell'uf ficio designava il magistrato in modo automatico in base al sistema tabellare che vige per i giudici e che il CSM con varie circolari aveva esteso all'ufficio della pubblica accusa (64 ) . Esisteva un rapporto di sovraordinazione; ma il magistrato designato conservava una vera e propria autonomia operativa. n titolare poteva dare soltanto direttive di carattere generale, e non particolare, per l'organizza(63) In modo sintetico, si è affermato che il pubblico ministero è caratterizzato dall'unità, dalla indivisibilità e dall'impersonalità dell'ufficio (Cass., sez. un. civ., 23 ottobre 1992, Cordova, in Cass. pen., 1993, 530). Per unità si intende che << tutti i magistrati addetti all'ufficio sono vincolati, quali membri di uno stesso corpo, ad un'unica direzione disimpegnando le stesse funzioni sotto la medesima responsabilità »; indivisz� bilità significa tradizionalmente che nell'azione individuale del singolo magistrato si esprime l'azione dell'intero ufficio; la impersonalità è interpretata comunemente nel senso che il comportamento del singolo magistrato non vincola il comportamento di un altro che successivamente subentra nella conduzione dell'affare né impegna il titolare dell'ufficio (per un'applicazione, si veda l'art. 570 c.p.p.). (64) Per inciso, la circolare del CSM è stata ritenuta illegittima in parte qua dal Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2005, n. 1 144, in Foro amm. CDS, 2005, f. 3 , 755.
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zione dell'ufficio. La revoca della designazione era consentita soltanto in casi tassativi: e cioè quando il magistrato intendeva formulare richieste in contrasto con le direttive di carattere generale, o quando le richieste erano insostenibili sul piano tecnico. L'assegnazione di un caso al magistrato del pubblico ministero. In base alle norme vigenti, i criteri automatici non costituiscono più l'unica modalità di attribuzione di un caso; l'assegnazione da parte del procuratore della repubblica può essere nominativa; in materia il CSM non ha poteri di ingerenza. Il principio generale sta nella titolarità esclusiva spettante al procuratore della repubblica, che esercita l'azione penale « personalmente o mediante assegna zione ad uno o più magistrati addetti all'ufficio ». La novità sta nel fatto che non si tratta più di quella " designazione" , che era prevista nel testo del 1 988 e che lasciava ampia autonomia operativa al sostituto. La legge n. 269 del 24 ottobre 2006 ha introdotto un nuovo istituto: la "assegnazione" , la cui natura giuridica consiste nel conferire poteri operativi con limitata autonomia funzionale, come afferma la Relazione ministeriale. In base alla disposizione modificata « il procuratore della repubblica, quale titolare esclusivo dell'azione penale, la esercita personalmente o mediante assegnazione ad uno o più magistrati dell'ufficio » (art. 2 comma 1 ) . Con l'atto di assegna zione il procuratore può stabilire i criteri (generali o particolari per il singolo procedimento) ai quali il magistrato deve attenersi nell'esercizio della relativa attività (comma 2 ) . La revoca dell'assegnazione. Quando i criteri generali o particolari sono violati, o comunque quando si verifica un contrasto con il titolare dell'ufficio, questi può revocare l'assegnazione con provvedimento motivato (comma 3 ) . Entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presen tare osservazioni scritte al procuratore della repubblica. Ne consegue che il titolare ed il magistrato possono segnalare il provvedimento al CSM. Un caso particolare di direttiva è quella che concerne l'impiego della polizia giudiziaria. Il procuratore della repubblica determina i criteri generali ai quali i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'impiego della polizia giudi ziaria, nell'uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l'ufficio può disporre (art. 4 ) . La piena autonomia in udienza. Il potere direttivo del titolare s i attenua quando il magistrato si trova in udienza. In tal caso, il magistrato del pubblico ministero esercita le sue funzioni con "piena" autonomia (art. 53 , comma 1 ) . Il capo dell'ufficio provvede alla sostituzione soltanto su consenso dell'interessato ovvero, se il consenso manca, nel caso di grave impedimento o di rilevanti esigenze di servizio. Inoltre, vi è l'obbligo di provvedere alla sostituzione se il magistrato ha un interesse " privato" nel procedimento (art. 53 , comma 2 ) . Quando ciò avviene, il titolare dell'ufficio deve trasmettere al consiglio superiore della magistratura copia del provvedimento motivato con cui ha
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disposto la sostituzione del magistrato (art. 70 comma 4 ord. giud. ) . Se il capo dell'ufficio non provvede alla sostituzione, il procuratore generale presso la corte di appello deve disporre l'avocazione ai sensi dell'art. 53 , comma 3 . Nelle medesime ipotesi il procuratore generale deve disporre l'avocazione al di fuori dell'udienza (es. durante le indagini preliminari; art. 372, comma l , lett. b ) o anche quando, in conseguenza dell'astensione o dell'incompatibilità del magistrato designato, non è possibile provvedere alla sua tempestiva sosti tuzione (art. 372, comma l , lett. a) . Le misure cautelati. Un ulteriore aspetto di gerarchia ha per oggetto le misure cautelari. n magistrato del pubblico ministero, quando intende chiedere al giudice una misura cautelare personale (es. custodia in carcere) o reale (es . sequestro preventivo) , deve ottenere l'assenso scritto dal procuratore della repubblica (comma 2 ) . Analogo assenso è necessario per disporre il fermo di persona indiziata di un delitto (comma 1 ) . L'assenso non è necessario quando la richiesta è formulata in occasione della convalida dell'arresto o del fermo (art. 3 90 c.p.p.) o in occasione della convalida del sequestro preventivo operato d'urgenza (art. 3 2 1 comma 3 -bis c.p.p.) (comma 4). I rapporti con gli organi di informazione. Un aspetto d i gerarchia concerne anche i rapporti con gli organi di informazione. Ai sensi dell'art. 5 , il procura tore della repubblica mantiene personalmente i rapporti con gli organi di informazione (comma 1 ) . Ogni informazione inerente alle attività della procura della repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all'uf ficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento (comma 2 ) . È fatto divieto ai magistrati della procura della repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l'attività giudiziaria dell'ufficio (comma 3 ) . n procuratore della repubblica ha l'obbligo di segnalare al consiglio giudiziario, per l'esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell'azione disciplinare, le condotte dei magistrati del suo ufficio che siano in contrasto col divieto fissato dalla legge (comma 4 ) . d.
I rapporti tra gli uffici.
In base alla regola esposta nell'art. 5 1 , comma 3 , ogni ufficio del pubblico ministero è competente a svolgere le sue funzioni esclusivamente presso l'or gano giudiziario davanti al quale è costituito. A tale regola sono poste alcune eccezioni che danno vita a singole ipotesi di rapporti di tipo gerarchico. Occorre sottolineare che non vi è un generale potere di sovraordinazione tra ufficio superiore ed ufficio inferiore; al contrario, l'ufficio superiore ha in via eccezionale singoli e limitati poteri di sorveglianza riguardanti la disciplina e l'organizzazione (v. tav. 2 . 1 .20). n procuratore generale presso la corte di cassazione svolge una funzione di sorveglianza, nel senso che ha il potere di iniziare l'azione disciplinare contro un
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qualsiasi magistrato requirente o giudicante (65 ) ; la decisione spetterà poi al consiglio superiore della magistratura. Lo stesso procuratore generale può essere chiamato a risolvere un contrasto negativo o positivo tra uffici del pubblico ministero appartenenti a diversi distretti di corte d'appello (artt. 54 e 54-bis). La nozione di contrasto tra uffici. Si h a contrasto negativo tra pubblici ministeri (art. 54) quando due uffici, durante le indagini preliminari in relazione ad un determinato reato, negano la competenza per materia o per territorio del giudice presso il quale ciascuno di essi esercita le funzioni, ritenendo la competenza di un altro giudice (66). Si ha contrasto positivo tra uffici del pubblico ministero (art. 54-bis) quando due uffici stanno svolgendo indagini a carico della stessa persona ed in relazione al medesimo fatto e ciascuno di essi ritenga la propria competenza esclusiva (67 ) . n procuratore generale presso la corte d'appello svolge, in relazione agli uffici sottordinati, una funzione di sorveglianza che si manifesta nei seguenti aspetti: a) nel potere di dirimere i contrasti tra due uffici del pubblico ministero del medesimo distretto di corte d'appello, i quali ritengano contemporanea mente di affermare (o, viceversa, negare) la propria competenza in un singolo caso;
(65) 2 Cost.). (66)
n potere di iniziare l'azione disciplinare spetta altresì al ministro della Giustizia (art. 107, comma
n pubblico ministero che ritenga l'incompetenza del giudice presso il quale esercita le funzioni deve trasmettere gli atti all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente (art. 54, comma 1 ) . Se l'ufficio che ha ricevuto gli atti va di contrario avviso e ritiene la competenza di quello che li ha trasmessi, si
verifica un contrasto negativo. Si instaura in tal caso un procedimento incidentale, che ha la funzione di evitare uno stallo nel corso delle indagini preliminari. n pubblico ministero che ha ricevuto gli atti deve informare il procuratore generale (art. 54, comma 2) trasmettendogli immediatamente gli atti del procedimento (art. 4 disp. att.). n procuratore generale è quello presso la corte d'appello se i pubblici ministeri appartengono al medesimo distretto; è quello presso la corte di cassazione se essi appartengono a distretti diversi. n procuratore generale, sulla base degli atti, determina l'ufficio che deve procedere e comunica la sua decisione agli uffici interessati. La decisione è vincolante per gli uffici ma non è irrevocabile e può essere modificata a fronte dell'emergere di situazioni nuove nel corso delle indagini. Ai sensi dell'articolo 54, comma 3-bis, la medesima procedura si applica in ogni altro caso di contrasto negativo tra pubblici ministeri (cosiddetti contrasti atipici). (67) In tal caso, il pubblico ministero che riceva notizia del fatto che presso un altro ufficio sono in corso indagini in relazione allo stesso oggetto, deve informarlo senza ritardo e chiedere la trasmissione degli atti. Ove il pubblico ministero richiesto non ritenga di aderire deve informare il procuratore generale, individuato secondo le regole che abbiamo visto precedentemente. n procuratore, "assunte le necessarie informazioni", determina con decreto motivato l'ufficio che deve procedere, in base alle regole sulla competenza del giudice, dandone comunicazione agli uffici interessati. La decisione ha la stessa natura di quella che risolve i contrasti negativi. L'ufficio presso il giudice incompetente deve immediatamente trasmettere gli atti all'ufficio designato. Ai sensi dell'articolo 54-bis, comma 5, la medesima procedura si applica ad ogni altro caso di contrasto positivo (cosiddetti contrasti atipici). n codice detta una disciplina analoga per gli atti compiuti prima della soluzione dei contrasti negativi o positivi. Gli atti restano utilizzabili secondo le regole ordinarie (artt. 54, comma 3 e 54-bis, comma 4).
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b) nel potere di avocare un singolo affare in casi tassativamente previsti dalla legge. Nelle due ipotesi menzionate non viene attivato un vero e proprio potere gerarchico sull'ufficio inferiore, poiché l'ufficio superiore non può dare direttive vincolanti in relazione alla trattazione di un singolo caso. Anche i rapporti tra gli uffici del pubblico ministero sono stati modificati in seguito all'entrata in vigore (il 18 giugno 2006) del d.lgs. n. 106 del 2006, che attua la legge-delega n. 150 del 2005 sulla riforma dell'ordinamento giudiziario. Ai sensi dell'art. 6 del d.lgs., il procuratore generale presso la corte d'appello, al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo, nonché il puntuale esercizio da parte dei procuratori della repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizza zione degli uffici ai quali sono preposti, ha il potere di acquisire dati e notizie dalle procure della repubblica del distretto ed il potere di inviare al procuratore generale presso la corte di cassazione una relazione almeno annuale. n potere di avocazione. In base al diritto amministrativo, l'avocazione è il potere dell'organo superiore di sostituirsi all'organo inferiore nello svolgimento di una determinata attività. n codice attribuisce tale potere al procuratore generale presso la corte d'appello nei confronti del procuratore della repubblica presso il tribunale in presenza di situazioni espressamente previste dalla legge (v. tav. 2 . 1 .2 1 ) ; ciò avviene quando il titolare, o un magistrato dell'ufficio inferiore, hanno omesso un'attività doverosa o quando comunque il procedi mento penale rischia una stasi per l'inerzia del magistrato del pubblico mini stero. n potere di avocazione mira a conciliare i princìpi di indipendenza del magistrato della pubblica accusa (art. 107, comma 4 Cost. ) con quelli di buona amministrazione dell'ufficio e di ragionevole durata del processo (art. 1 1 1 , comma 2 Cost.). In concreto, in base al provvedimento di avocazione un sostituto del procuratore generale sostituisce il singolo magistrato del pubblico ministero nel compimento di quella attività che quest'ultimo sta svolgendo (es. indagini preliminari o presenza in udienza) . L'ordinamento giudiziario prevede alcune garanzie. Ai sensi dell'art. 70, comma 6, il provvedimento di avocazione deve essere motivato e deve essere trasmesso al CSM e ai procuratori della repubblica " avocati" . n magistrato interessato può proporre reclamo al procuratore generale presso la corte di cassaziOne. Sono previsti casi nei quali l'avocazione è obbligatoria (68) ed altri nei quali (68) Le ipotesi di avocazione obbligatoria sono le seguenti: a) se vi è stata inerzia del magistrato del pubblico ministero che non ha proweduto nei termini ad esercitare l'azione penale o a chiedere l'archivia· zione (art. 4 12 , comma l ) ; b) se è impossibile sostituire il magistrato della pubblica accusa perché questi è incompatibile o si è astenuto (art. 372, lett. a); c) se il capo dell'ufficio inferiore ha omesso di sostituire il
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è discrezionale (69). Di essi tratteremo volta per volta nell'illustrare i soggetti e lo svolgimento del procedimento penale. e.
L'astensione.
Prima di tracciare il quadro complessivo della figura del pubblico mini stero, occorre ricordare la normativa prevista dal codice in relazione all'asten sione. Qui si manifesta ancora una volta la differenza tra il magistrato giudicante ed il magistrato requirente. Infatti il giudice ha l'obbligo di astenersi ove sia presente una situazione che lo faccia apparire "parziale " (art. 36) ; per gli stessi motivi il giudice può essere ricusato. Viceversa, il magistrato del pubblico ministero non può essere ricusato, perché è una parte. L'astensione. Tuttavia la funzione svolta dal pubblico ministero è quella di una parte pubblica, che rappresenta, cioè, l'interesse generale dello Stato alla repressione penale. Ed allora il magistrato del pubblico ministero ha, dal punto di vista disciplinare, l'obbligo di astenersi quando esistono gravi ragioni di convenienza (art. 52). Ciò avviene quando egli ha un interesse privato in un determinato procedimento; mentre la sua funzione vuole che sia mosso soltanto da un interesse pubblico. Invero, l'art. 52 riconosce in capo al magistrato del pubblico ministero la « facoltà » di astenersi quando esistono gravi ragioni di convenienza. Il termine « facoltà » non è utilizzato correttamente: se il magistrato del pubblico mini stero non si astiene quando ha un interesse privato, tale comportamento è sanzionato dal consiglio superiore della magistratura come illecito disciplinare. Pertanto, l'astensione è una facoltà solo dal punto di vista prqcessuale; vice versa, è un dovere nell'ordinamento disciplinare (70) . La sostituzione. La presente interpretazione trova una conferma nell'art. 53 , comma 2, nel quale il codice pone al capo dell'ufficio l'obbligo di sostituire il magistrato del pubblico ministero che abbia un interesse privato nel proce dimento, e ciò nonostante che il magistrato sia stato designato per una udienza penale nella quale, in base al medesimo articolo, « esercita le sue funzioni con piena autonomia ». I casi di sostituzione sono quelli indicati nell'art. 36, comma l, lettere a, b, magistrato nei casi in cui era obbligatoria la sostituzione (art. 3 72, lett. b); d) se, in caso di delitti di criminalità organizzata politica o terroristica, è mancato il coordinamento delle indagini collegate e non hanno avuto esito positivo le riunioni indette dal procuratore generale (art. 372, comma l -bis). (69) Le ipotesi di avocazione discrezionale sono le seguenti: a) se il giudice per le indagini preliminari non ha accolto la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero (art. 4 12 , comma 2) o l'offeso si è opposto alla richiesta stessa (art. 409, comma 3 ); b) quando il giudice dell'udienza preliminare ha ritenuto incomplete le indagini e ha indicato al pubblico ministero ulteriori indagini da compiere (421 -bis, comma 2 ) . (70) Tale dovere s i configura come u n principio generale del sistema che prevale s u quanto stabilito da singole norme speciali. In questo senso si veda Cass., sez. VI, 19 ottobre 2004, n. 7992, in Guida dir. , 2005, 18, 74.
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d, e; essi possono così essere sintetizzati: l ) se il magistrato ha interesse nel procedimento come parte anche soltanto potenziale ovvero se è creditore o debitore di una delle parti private; 2 ) se il magistrato è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se uno di costoro è prossimo congiunto di lui o del coniuge; 3 ) se vi era già in precedenza una inimicizia grave tra il magistrato e una delle parti private; 4) se un prossimo congiunto del magistrato è offeso o danneggiato o parte privata. li codice in questi casi impone un obbligo di sostituzione che comporta implicitamente l'obbligo di astenersi; si vuole che il pubblico ministero non abbia nel procedimento un interesse privato che possa influenzare l'obbligo di perseguire l'interesse pubblico alla repressione dei reati. Inoltre, se il capo dell'ufficio omette di provvedere alla sostituzione, il procuratore generale presso la corte d'appello designa per l'udienza un magistrato appartenente al suo ufficio (art. 53 , comma 3 ) . Si tratta di un caso di avocazione obbligato ria (7 1 ) . Dovere di lealtà processuale. In conclusione, il pubblico ministero è un magistrato indipendente che svolge la funzione di una parte pubblica. Nella sua qualità di "magistrato indipendente" egli si distingue dal giudice per il fatto di essere collocato in un ufficio che dipende da un capo, sia pure soltanto per gli aspetti organizzativi della sua attività. Per la sua qualità di "parte pubblica" egli si distingue dalle parti private che perseguono un loro personale interesse. L'interesse pubblico impone al pubblico ministero l'obbligo di lealtà proces suale. Quest'ultimo obbligo merita un'ulteriore precisazione. La parte privata (imputato, persona offesa, ecc.) ricerca soltanto le prove a sé favorevoli e non ha l'obbligo di far conoscere alle altre parti le prove che giovano a queste ultime. Diversa è la situazione del pubblico ministero. Egli non deve limitarsi a ricercare le prove favorevoli all'accusa; in base all'art. 358 c.p.p. deve svolgere anche « accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini ». Pertanto, non può rifìutarsi di compiere investigazioni, se queste portano ad accertare fatti che giovano all'indagato. Inoltre, tutti i risultati delle indagini (anche quelli favorevoli all'indagato) devono essere depositati dal pubblico ministero nei tempi previsti (art. 366) e comunque contestualmente alla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini (art. 415 -bis) . In definitiva, sul pubblico ministero incombe un obbligo di "lealtà processuale" al quale non sono tenute, nella stessa misura, le altre parti private. È questo l'aspetto che connota la funzione di parte " pubblica" che è svolta dal pubblico ministero. (7 1 ) Una parte può segnalare al procuratore generale che il magistrato del pubblico ministero ha un interesse privato. Tale segnalazione è l'unico rimedio attivabile giacché, come si è detto, non è possibile ricusare il pubblico ministero.
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Le procure distrettuali e la procura nazionale antimafìa.
Dopo l'entrata in vigore del codice di procedura penale (24 ottobre 1 989) è apparso evidente che la struttura tradizionale degli uffici del pubblico ministero provocava difficoltà agli inquirenti che conducevano indagini sui delitti di criminalità organizzata mafiosa. Il codice "auspicava" che vi fosse un coordinamento tra gli uffici del pubblico ministero impegnati in indagini collegate (art. 3 7 1 ) , senza però rendere tale coordinamento controllabile e coercibile. A sua volta, la mancanza di coordinamento impediva di selezionare le notizie di reato e di valutare le informazioni raccolte; in definitiva, impediva di impostare le investigazioni in modo efficace. In verità già negli anni '70, nel momento in cui imperversava il terrorismo nero e rosso, vi erano state parimenti difficoltà di coordinamento; ma allora i magistrati inquirenti si erano collegati "spontaneamente" tra di loro riunendosi e scambiandosi i risultati delle indagini, anche se nessuna norma di legge lo imponeva; e le investigazioni ne avevano tratto giovamento. In tempi più recenti, di fronte all'incalzare della delinquenza mafiosa, lo "sponta neismo" dei magistrati non ha dato risultati apprezzabili per varie cause. In primo luogo, le organizzazioni criminali hanno acquisito mezzi economici così consistenti da arrivare a controllare intere regioni. In secondo luogo, tali organizzazioni non si sono poste (a differenza dei gruppi terroristici) in antagonismo con lo Stato, bensì hanno teso ad impadronirsene dal suo interno, sfruttando a loro favore la connivenza degli apparati centrali e locali. Sta di fatto che in relazione alla criminalità organizzata di tipo mafioso il coordi namento spontaneo tra gli uffici del pubblico ministero non vi è stato; anzi, si sono avuti casi nei quali determinati uffici sono stati stranamente molto "gelosi" delle "proprie" indagini e delle "proprie" fonti di prova. Né ha funzionato il coordinamento all'interno dell'ufficio del pubblico ministero: ogni capo dell'ufficio decideva a proprio arbitrio se costituire o meno un pool di magistrati che si dedicassero a tempo pieno alle investi gazioni sulla criminalità più pericolosa. n collegamento tra le indagini. L 'art. 3 7 1 , comma 2 elenca i casi nei quali le indagini si considerano collegate. Si tratta delle ipotesi in cui: a) i procedi menti sono connessi a norma dell'art. 12 (e non sono stati riuniti) ; b) se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza; c) se la prova di più reati deriva anche in parte dalla stessa fonte. In presenza di tali situazioni, il codice pone ai diversi uffici del pubblico ministero, al fine di ottenere speditezza, economia ed efficacia delle indagini, l'obbligo di coordinarsi. Ciò vuol dire che gli uffici devono scambiarsi gli atti e le informazioni e devono comunicarsi reciproca-
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mente le direttive impartite alla polizia giudiziaria. n codice infine "invita" gli uffici a procedere al compimento congiunto di specifici atti (art. 3 7 1 , comma 1 ) . Soltanto con l e leggi n . 356 del 1991 e n . 8 del 1992 il legislatore ha sanzionato mediante l'istituto dell'avocazione la violazione dell'obbligo di coordinamento nelle ipotesi di indagini per delitti di criminalità organizzata mafiosa e non mafiosa (rispettivamente art. 372, comma l -bis e art. 3 7 1 -bis, comma 3 , lett. h ) . In quegli anni i magistrati più preparati avevano indicato come dovevano essere condotte le indagini sulla criminalità organizzata. Si era detto che le investigazioni devono essere fatte ad ampio spettro e devono puntare a rico struire il quadro generale dei collegamenti criminali. Soltanto in questo modo un singolo fatto o un singolo elemento, di per sé insignificante, può acquisire dignità di elemento di prova. Se l'oggetto dell'indagine è un'organizzazione segreta, abile e senza scrupoli, occorre quanto meno che gli uffici del pubblico ministero siano strettamente coordinati tra di loro. Il problema era di difficile soluzione perché occorreva mantenere integra la scelta fondamentale, fatta dall'ordinamento italiano, di un pubblico ministero indipendente dal potere politico. Accolta tale scelta, era esclusa la possibilità di creare una gerarchia tra gli uffici del pubblico ministero poiché questa avrebbe imposto, in un sistema di democrazia garantista, un qualche controllo politico sul vertice. Ed allora non è rimasta altra possibilità se non quella di creare uno stretto coordinamento tra uffici indipendenti, rendendolo tuttavia coercibile. La soluzione, proposta da Giovanni Falcone e poi approvata dal Parla mento in seguito ad un serrato dibattito e dopo che sono state apportate significative modifiche, è stata quella di istituire le procure distrettuali e di porle sotto il controllo e lo stimolo del procuratore nazionale antimafia (decreto legge 20 novembre 199 1 , n. 3 67 , convertito con modificazioni nella legge 20 gennaio 1 992, n. 8) (v. tav. 2 . 1 .20). La procura distrettuale antimafia. La procura distrettuale non è un nuovo ufficio del pubblico ministero, bensì è l'ufficio della procura della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello « nel cui ambito ha sede il giudice competente ». A tale ufficio sono attribuite le funzioni del pubblico ministero in primo grado in relazione ai delitti di criminalità organizzata mafiosa e assimilati (art. 5 1 , comma 3 -bis) (72 ) , ai delitti « consu mati o tentati con finalità di terrorismo » (art. 5 1 , comma 3 -quater, introdotto dalla legge n. 438 del 200 1 ) e ai delitti consumati o tentati in materia di (72) Nel suo testo originario, introdotto dal decreto legge n. 367 del 1 99 1 , convertito nella legge n. 8 del 1992, il comma 3 -bis dell'art. 5 1 prevedeva i seguenti reati: associazione di stampo mafioso e delitti commessi avvalendosi di tale associazione (art. 4 1 6-bis c.p.); sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p. ) ; associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 testo unico n. 309 del 1990). La legge 19 marzo 2001, n. 92 ha aggiunto il delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, previsto dall'art. 291 -quater, legge 23 gennaio 1973, n. 43. La legge n. 228 del 2003 ha aggiunto i delitti di tratta di persone.
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pedopornografia, di reati informatici, di intercettazione abusiva (art. 5 1 , comma 3 -quinquies, introdotto dalla legge n. 48 del 2008). Per tali delitti la procura distrettuale svolge le indagini preliminari ed esercita le funzioni di accusa pubblica nell'udienza preliminare e nel dibattimento entro l'ambito territoriale del distretto di corte d'appello (73 ) . Di conseguenza, tutte le attività investiga tive della polizia giudiziaria sono coordinate da questo ufficio all'interno del medesimo distretto. Merita precisare che per i reati sopra menzionati anche le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell'udienza preli minare debbono essere esercitate da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello nel quale ha sede il giudice competente (art. 328, commi l -bis e 1 -quater) (74). All'interno della procura distrettuale è costituita una "direzione distrettuale antimafia" (D.D.A.) che non è altro se non il gruppo (pool) di magistrati che hanno chiesto di dedicarsi esclusivamente ai procedimenti attinenti alla crimi nalità organizzata mafiosa (art. 70-bis, comma l ord. giud. ) . I magistrati predetti hanno l'obbligo di coordinarsi in modo stretto sia tra di loro, sia col procuratore capo (art. 70-bis, comma 2 ord. giud. ) ; inoltre, possono essere applicati tem poraneamente presso altre procure distrettuali (art. 1 10-bis ord. giud. ) . L a nuova organizzazione fa s ì che l e indagini sulla criminalità mafiosa siano attribuite alle ventisei procure distrettuali (ovviamente in base agli ordinari criteri di competenza) e non alle oltre centosessanta procure della Repubblica presso i tribunali. Il numero ridotto di uffici competenti ad indagare permette che vi sia un coordinamento tra gli stessi. Al contempo, in ogni ufficio vi deve essere necessariamente un pool di magistrati specializzati. La procura nazionale antimafia. La direzione nazionale antimafia è un ufficio con sede in Roma; capo dell'ufficio è il procuratore nazionale antimafia, che è sottoposto alla sorveglianza del procuratore generale presso la corte di cassazione (art. 76-ter ord. giud. ) . Il procuratore nazionale è nominato dal consiglio superiore della magistratura in seguito ad un accordo (definito "con certo " ) col ministro della Giustizia (art. 76-bis, comma 3 ord. giud. ) . La direzione nazionale è composta da venti magistrati del pubblico ministero nominati dal consiglio superiore della magistratura, sentito il procuratore nazionale. (73 ) Ai sensi dell'art. 51 comma 3 -ter, per tutti i delitti sopra menzionati il procuratore distrettuale può chiedere al procuratore generale presso la corte d'appello che le funzioni di pubblico ministero per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal procuratore della repubblica presso il giudice competente. (74) Nei procedimenti relativi ai reati, consumati o tentati, riferiti alla gestione dei rifiuti ed ai reati in materia ambientale nella regione Campania, le funzioni del pubblico ministero sono attribuite al procuratore della repubblica presso il tribunale di Napoli (art. 3, decreto-legge n. 90 del 2008, conv. in legge n. 123 del 2008); le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice per l'udienza preliminare sono svolte da magistrati presso il tribunale di Napoli. La competenza per il giudizio resta quella ordinaria del locus commissi delicti.
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Funzioni. li procuratore nazionale antimafia ha poteri di coordinamento che non toccano l'indipendenza dei singoli uffici del pubblico ministero. In sintesi, il procuratore nazionale ha compiti di controllo che gli permettono di verificare se sia effettivo il coordinamento tra i singoli uffici del pubblico ministero che stanno compiendo indagini per i delitti indicati nell'art. 5 1 comma 3 -bis (art. 3 7 1 -bis c.p.p.); si noti che sono esclusi i delitti di terrorismo e di criminalità informatica contemplati nel comma 3 -quater e 3 -quinquies dell'art. 5 1 . Inoltre, il procuratore nazionale ha poteri sia di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali, sia di controllo sull'attività degli organi centralizzati di polizia giudiziaria. Della sua attività il procuratore nazionale non risponde ad organi del potere politico; egli è sotto la mera " sorveglianza" del procuratore generale presso la corte di cassazione ed, ovviamente, del consiglio superiore della magistratura. Le sue funzioni risultano più chiare se si precisa quello che il procuratore generale non può fare. Non può dare direttive vincolanti nel merito alle procure distrettuali; al massimo, può riunire i capi degli uffici per accertare se questi si sono coordinati tra di loro. Non può compiere direttamente indagini, ma può avocare le indagini condotte da quella procura distrettuale che abbia dimostrato una "grave inerzia" o che non abbia voluto coordinarsi con gli altri uffici (art. 37 1 -bis, comma 3 , lettera h ) . I n sintesi, è escluso che il procuratore nazionale abbia u n potere gerarchico sui ventisei procuratori distrettuali; viceversa, il procuratore nazionale può esercitare un controllo penetrante, che può giungere sino alla avocazione delle indagini nei confronti di quella procura distrettuale che abbia violato il dovere di coordinamento (75) . 4.
L a polizia giudiziaria. a.
Polizia giudiziaria e di sicurezza.
Lo Stato tutela l'ordine e la legalità servendosi delle forze di polizia. Polizia giudiziaria e polizia amministrativa costituiscono le due fondamentali funzioni svolte da tali forze. La polizia amministrativa e di sicurezza. La polizia amministrativa si occupa dell'osservanza della legge e dei regolamenti amministrativi, in esecu zione delle funzioni proprie del potere esecutivo. La polizia amministrativa si distingue a sua volta in molte specializzazioni, quali ad esempio la polizia (75) il d.l. n. 92 del 2008, conv. in legge 24 luglio 2008 n. 125 (sicurezza pubblica) , ha assegnato alle procure distrettuali un ruolo importante nell'applicazione delle misure di prevenzione con particolare riguardo a quelle patrimoniali; la procura nazionale antimafia è chiamata a svolgere funzioni di controllo e di raccordo sull'applicazione delle medesime.
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tributaria, la polizia sanitaria, la polizia stradale e, importantissima, la polizia di sicurezza. Ebbene, la polizia di sicurezza ha come compito la tutela della collettività contro i pericoli e le turbative a interessi essenziali per la vita di una società civile quali sono l'ordine pubblico (inteso come assenza di reati) e la sicurezza delle persone. In definitiva, la polizia di sicurezza è quella funzione che tende a prevenire il compimento di reati; essa è descritta nell'art. l del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (r.d. n. 773 del 193 1 e sue successive modifìcazioni) (76) . La polizia giudiziaria. La funzione di polizia giudiziaria trova la sua definizione nell'art. 55 del codice di procedura penale. La polizia giudiziaria « deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale ». Da ciò deriva che la differenza tra polizia di sicurezza e giudiziaria si basa sulla contrapposizione tra "prevenzione dei reati" e "repressione di un reato" ; con quest'ultima espressione si vuole indicare l a raccolta di tutti gli elementi necessari per accertare il reato e per rendere possibile lo svolgersi del processo penale. La distinzione tra polizia giudiziaria e di sicurezza. La distinzione tra le due funzioni ha finalità prettamente garantistiche. Quando svolge la funzione amministrativa o di sicurezza, la polizia di regola (salvo rarissime eccezioni) non gode di poteri coercitivi, e cioè non può direttamente limitare le libertà fondamentali. Viceversa, non appena giunge la notizia che è stato commesso un reato, viene esercitata la funzione di polizia giudiziaria con l'uso dei poteri coercitivi. In situazioni di necessità ed urgenza la polizia giudiziaria procede all'arresto in flagranza o al fermo di una persona gravemente indiziata (artt. 3 80-384); inoltre, in caso di flagranza può perquisire persone o luoghi (art. 352 ) . L'esercizio di poteri coercitivi avviene in relazione al successivo svolgersi di un procedimento penale, con la garanzia del diritto di difesa e sotto il controllo del pubblico ministero e del giudice (77 ) . Un esempio può chiarire il concetto. L a pattuglia di polizia, che percorre in auto le strade, svolge una funzione di polizia di sicurezza, e cioè tende a prevenire il compimento di reati. Quando scorge uno scippatore in azione (o quando le perviene la notizia di un qualsiasi reato) da quel momento opera in funzione di polizia giudiziaria: può compiere un arresto in flagranza e una (76) « L'autorità di pubblica sicurezza veglia al mantenimento dell'ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà; cura l'osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle province e dei comuni, nonché delle ordinanze delle autorità; presta soccorso nel caso di pubblici e privati infortuni ». (77) Per ulteriori considerazioni, si veda P. ToNINI, Polizia giudiziaria e magistratura. Profili storici e sistematici, Milano, 1979, 252, ora in www.giuffre. it/il diritto di tutti/archivio/catalogo storico.
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perquisizione; deve individuare le fonti di prova e raccogliere gli elementi utili in modo che questi non si disperdano. Le funzioni di polizia di sicurezza e quella di polizia giudiziaria sono poste sotto una differente dipendenza (v. tav. 2 . 1 .22). La funzione di polizia di sicurezza è diretta da un organo unitario, e cioè il ministro dell'interno; in sede locale la direzione spetta al prefetto e al questore (artt. 13 e 14, legge l o aprile 198 1 , n. 1 2 1 ) . La dipendenza funzionale della polizia giudiziaria. L a funzione di polizia giudiziaria è svolta sotto la direzione del pubblico ministero (art. 56 c.p.p.) e sotto la sorveglianza del procuratore generale presso la corte d'appello, che può dare inizio al procedimento disciplinare contro l'ufficiale o l'agente (art. 17 disp. att.). Pertanto la sorveglianza sul corretto esercizio della funzione di polizia giudiziaria spetta ai ventisei procuratori generali presso le corti d'appello. Per quanto riguarda la lotta alla criminalità organizzata, la funzione di polizia giudiziaria è svolta da un organo centrale chiamato "direzione investigativa antimafia" (D.I.A.) , che è posto sotto la direzione e la sorveglianza del procu ratore nazionale antimafia. A prescindere dalla funzione che svolge, la polizia resta sotto la dipendenza "organica" del potere esecutivo; e cioè, per le promozioni e la carriera il singolo ufficiale (o agente) dipende dal corpo di appartenenza e, per il tramite di questo, dal ministro presso cui è incardinato il corpo medesimo. In definitiva, colui che svolge funzioni di polizia giudiziaria dipende funzionalmente dal pubblico ministero e organicamente dal potere esecutivo. Per tale motivo vi è il pericolo che le direttive dell'autorità giudiziaria siano ostacolate da direttive in senso contrario provenienti dagli organi del potere esecutivo. In concreto, vi è il rischio che non siano ricercate le fonti di prova di determinati reati e che non siano eseguite con la dovuta solerzia le direttive dell'autorità giudiziaria. b.
La dipendenza dall'autorità giudiziaria.
Per evitare tali pericoli, sono previsti vari strumenti che rafforzano la direzione funzionale spettante all'autorità giudiziaria; la finalità è quella di attuare il principio costituzionale secondo cui « l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria » (art. 109). n codice distingue tre strutture che svolgono funzioni di polizia giudiziaria, pur restando i singoli ufficiali ed agenti sotto la dipendenza "organica" del corpo di appartenenza. Le strutture si caratterizzano per il diverso grado di dipendenza funzionale dall'autorità giudiziaria (v. tav. 2 . 1 .23 ). Le sezioni di polizia giudiziaria. I l maggior grado di dipendenza è riscon trabile nelle sezioni. Si tratta di organi costituiti presso gli uffici del pubblico ministero di primo grado e composti, di regola, da ufficiali e agenti della polizia di Stato, dei carabinieri e della guardia di finanza; inoltre possono esservi applicati
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ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria appartenenti ad altre amministrazioni quando vi sono particolari esigenze di specializzazione (art. 5 disp. att.). Le sezioni svolgono esclusivamente funzioni di polizia giudiziaria (art. 1 0, comma 3 disp. att.) sotto la dipendenza del capo del singolo ufficio del pubblico ministero, che dirige e coordina le attività (art. 9 disp. att.) . Nel quadro di tali direttive, il singolo magistrato del pubblico ministero dispone direttamente del personale della sezione (art. 58, comma l c.p.p.), e cioè incarica delle indagini nominativamente un ufficiale di polizia giudiziaria. Il potere direttivo dell'au torità giudiziaria è rafforzato mediante strumenti che incidono sulla carriera, sulla mobilità e sulle promozioni del personale appartenente alle sezioni (art. 59, comma 3 c.p.p.; artt. 10, comma 2 e 15, comma l, disp. att.) . I servizi di polizia giudiziaria. U n minor grado di dipendenza funzionale è riscontrabile nei servizi di polizia giudiziaria. Questi sono costituiti presso i corpi di appartenenza (questure, comandi dei carabinieri e della guardia di finanza) ; a prescindere dalla loro denominazione, si considerano servizi « tutti gli uffici e le unità ai quali è affidato dalle rispettive amministrazioni ( . . . ) il compito di svolgere in via prioritaria e continuativa le funzioni » di polizia giudiziaria (art. 12 disp. att.). Il dirigente del servizio è responsabile dell'operato proprio e delle persone che da lui dipendono; tale responsabilità si esplica nei confronti del procuratore della repubblica presso il tribunale (o del procuratore generale presso la corte d'appello a seconda che l'ambito territoriale di com petenza del servizio coincida con il circondario del tribunale o lo superi; artt. 12 e 1 3 disp. att . ) . Il minor grado di dipendenza funzionale consiste nel fatto che il magistrato del pubblico ministero, che dirige le indagini preliminari, dà un incarico non personalmente ad un ufficiale di polizia giudiziaria, bensì imper sonalmente all'ufficio; sarà il responsabile di questo a scegliere l'ufficiale che condurrà le investigazioni. Il potere direttivo spettante all'ufficio del pubblico ministero è rafforzato da strumenti che incidono sulla mobilità e sulle promo zioni del dirigente del servizio (artt. 14 e 15 disp. att . ) . Gli altri uffici di polizia giudiziaria. Gli organi d i polizia giudiziaria che non sono ricompresi nelle sezioni o nei servizi restano, comunque, sotto la dipen denza "funzionale" della magistratura. In base all'art. 59, comma 3 c.p.p. « gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a eseguire i compiti a essi affidati » dall'autorità giudiziaria. Per quanto riguarda più specificamente il giudice, l'art. 58 stabilisce che l'autorità giudiziaria può ordinare singoli atti o alla sezione istituita presso la corrispondente procura della repubblica, ovvero ad ogni servizio od altro organo di polizia giudiziaria. Il potere disciplinare spettante alla magistratura è azionabile dal procura tore generale presso la corte d'appello; la decisione spetta ad un organo composto da due giudici e da un ufficiale di polizia giudiziaria. Soggetta alla
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giurisdizione disciplinare è , oltre al personale delle sezioni e dei servizi, qualsiasi altra persona che abbia la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria (artt. 16-19 disp. att.). Oggetto del potere disciplinare sono tutti gli illeciti che riguardano l'espletamento dei compiti di polizia giudiziaria. La giurisdizione disciplinare della magistratura è, in tal caso, esclusiva; per gli illeciti che non attengono alle funzioni di polizia giudiziaria, gli ufficiali ed agenti rimangono soggetti alle sanzioni che sono stabilite dai corpi di appartenenza. n potenziamento delle attività investigative. Il decreto-legge antiterrorismo n. 144 del 2005, conv. nella legge n. 155 , ha disposto una complessa manovra normativa che ha per oggetto l'attività della polizia giudiziaria. Da un lato, ha teso a potenziarne le capacità investigative che costituiscono il compito primario della attività di intelligence contro i delitti più gravi; da un altro lato, ha mirato a ridurre quei compiti che impropriamente il legislatore in passato ha addossato alla polizia in sostituzione di attività che la pubblica amministrazione non è capace di svolgere. Rientrano nel potenziamento della capacità investigativa varie norme, tra le quali segnaliamo l'art. 5 del decreto-legge citato: per le esigenze connesse a indagini antiterrorismo il ministro dell'interno deve costituire apposite unità investigative interforze, formate da esperti ufficiali e agenti delle varie forze di polizia. Di queste unità il pubblico ministero è tenuto ad avvalersi nelle indagini sul terrorismo. La norma, che approviamo, è tuttavia carente sotto il profilo dell'art. 109 Cost., spesso dimenticato dal legislatore. Come avviene per le unità antimafia (si veda il precedente sottoparagrafo: art. 3 7 1 -bis comma 1 ) , sarebbe stato necessario stabilire un potere di coordinamento in capo ad un organo centralizzato del pubblico ministero; nel caso citato, il coordinamento è operato dal procuratore nazionale antimafia. Alla manovra, che tende a liberare la polizia giudiziaria dai compiti impropri di sostituzione di carenze riscontrabili in altri organi amministrativi o giudiziari, si riconducono sia quelle norme che hanno sottratto agli ufficiali di polizia giu diziaria le funzioni di pubblico ministero delegato per i dibattimenti presso il tribunale monocratico e presso il giudice di pace, sia le norme che limitano le ipotesi nelle quali la polizia giudiziaria è chiamata a svolgere le notifiche di atti del processo in sostituzione dell'ufficiale giudiziario (si veda in/ra) . A comple tamento della manovra sta la modifica dell'art. 59 comma 3 , che mira ad escludere che tra i doveri di subordinazione della polizia giudiziaria alla autorità giudiziaria rientri lo svolgimento delle notificazioni di atti giudiziari. Il nuovo comma 3 dell'art. 59 limita la subordinazione, imposta tra l'altro dalla Costituzione all'art. 109, a quelle tradizionali funzioni di polizia giudiziaria che sono menzionate nell'art. 55 c.p.p., tra le quali spiccano quelle investigative. In tal modo la polizia giudiziaria potrà, in parte, essere liberata da compiti impropri, che le impediscono di svolgere la funzione originaria per cui è stata costituita.
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Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria.
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono avere una competenza generale per tutti i reati, ovvero una competenza limitata all'accertamento di determinati reati. Polizia giudiziaria con competenza generale. Sono ufficiali di polizia giudiziaria con competenza generale i soggetti previsti nell'art. 57 comma l . Si tratta delle persone alle quali l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità; ed inoltre gli ufficiali superiori e inferiori (non i generali) ed i sottufficiali dei carabinieri (v. tav. 2 . 1 .25 ) , della guardia di finanza, del corpo di polizia penitenziaria e del corpo forestale dello Stato; ed infine in via residuale, il sindaco nelle ipotesi previste dall'art. 57 comma l . Tale articolo prevede inoltre, al secondo comma, gli agenti di polizia giudiziaria con competenza generale (78). Polizia giudiziaria con competenza limitata. Sono ufficiali e agenti di polizia giudiziaria con competenza limitata a determinati reati i soggetti previsti nel comma 3 dell'art. 57: « sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall'art. 55 », e cioè le funzioni di polizia giudiziaria. Per godere di tale qualifica è sufficiente che una legge o un regolamento attribuisca le funzioni di polizia giudiziaria ad una determinata persona. Detta persona svolge, di regola, compiti di polizia amministrativa, nella quale è compresa la prevenzione di determinati reati; se nel compimento di tale funzione perviene una notizia di uno di quei reati, che deve prevenire, scatta la funzione di polizia giudiziaria (79) . L'attri buzione della qualifica opera « nei limiti del servizio cui (tali persone) sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni ». Ciò vuol significare che la qualità di ufficiale o agente di polizia giudiziaria è determinata dalla qualifica svolta nel rispettivo ordinamento (80) . Una situazione singolare si è venuta a creare riguardo a coloro che l'art. 57, comma 2 denomina « guardie dei comuni » e che più correttamente la legge quadro 7 marzo 1986, n. 65 definisce « addetti al servizio di polizia municipale » (art. 3 ) . Tali soggetti hanno la qualifica di agente di polizia giudiziaria sia con com(78) Ai sensi dell'art. 57, comma 2, << sono agenti di polizia giudiziaria: a) il personale della polizia di Stato al quale l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità; b) i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di custodia, le guardie forestali e, nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in servizio ». (79) Ricordiamo che se la notizia concerne un reato differente dai predetti, resta comunque l'obbligo di denuncia poiché la persona in questione ha la qualifica di incaricato di pubblico servizio e, a volte, quella di pubblico ufficiale; si veda parte III, cap. l, par. 2, b. (80) Per l'elenco delle leggi in materia (assai numerose) rinviamo alla lettura di un codice di procedura penale, nel quale di regola esse sono riportate in nota.
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petenza limitata, sia con competenza generale. La competenza "limitata " di polizia giudiziaria riguarda le materie attinenti alla polizia municipale ed alla polizia stra dale (art. 57, comma 3 c.p.p.). La qualifica "generale" permette alla polizia mu nicipale di svolgere le funzioni di agente di polizia giudiziaria per tutti gli altri reati (art. 57, comma 2 c.p.p . ) , ma solo durante l'orario di servizio ed esclusivamente nel territorio dell'ente di appartenenza (con l'eccezione del caso di flagranza). 5.
L'imputato. a.
La distinzione tra imputato e indagato.
All'inizio del procedimento penale le indagini possono svolgersi contro "ignoti" oppure contro un " indagato " . La maggior parte delle denunce sono presentate contro ignoti nel senso che lo stesso denunciante molto spesso non è in grado di indicare colui che ritiene responsabile del reato. La polizia giudiziaria trasmette la denuncia al pubblico ministero e questi ordina alla segreteria di iscriverla nell'apposito registro, denominato « registro delle notizie di reato » (art. 3 3 5 ) . Svolte l e indagini, può darsi che gli elementi raccolti consentano di adde bitare il reato alla responsabilità di una determinata persona. Allora il pubblico ministero ordina alla segreteria di iscrivere nel registro, accanto all'indicazione della denuncia, il nome del soggetto al quale il reato « è attribuito ». Costui è il soggetto che il codice denomina « persona sottoposta alle indagini prelimi nari » e che la prassi con un sostantivo poco elegante chiama "indagato" . Soltanto in relazione al momento conclusivo delle indagini il codice usa il termine "imputato" e lo fa con un preciso significato. L'imputato è la persona alla quale è attribuito il reato nell'imputazione formulata con la richiesta di rinvio a giudizio o con l'atto omologo nell'ambito del singolo procedimento speciale. L'imputazione è composta dalla enunciazione in forma chiara e precisa del fatto storico di reato e dalla indicazione delle norme di legge violate e della persona alla quale il reato è addebitato (art. 4 1 7 ) . L'assunzione della qualità di imputato. L'art. 60, comma l precisa in dettaglio il momento dell'acquisto e della perdita della qualità di imputato. Come abbiamo visto, nel procedimento ordinario l'assunzione di tale qualifica avviene con la richiesta di rinvio a giudizio. Viceversa, nei procedimenti speciali la qualifica di imputato si acquista nel momento in cui si instaura il singolo rito; e cioè con la richiesta di giudizio immediato (art. 453 ); con la richiesta di applicazione della pena ad iniziativa congiunta delle parti (art. 444, comma l); con l'atto introduttivo del giudizio direttissimo, consistente nella contestazione dell'imputazione in udienza (art. 45 1 , comma 4) o nella citazione a comparire (art. 450) . Nel procedimento davanti al tribunale monocratico la qualifica si
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assume nel momento in cui è emanato il decreto di citazione a giudizio (art. 552) ( 8 1 ) . L a qualità d i imputato s i conserva, a i sensi dell'art. 60, comma 2 , i n ogni stato e grado del processo sino a che non sia più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna, o sia diventato esecutivo il decreto penale di condanna. Infine, il comma 3 della disposizione in esame prevede che la qualità di imputato si riassuma in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere (art. 434) o qualora la corte d'appello disponga la revisione del processo (art. 628). La qualità di indagato. Occorre evidenziare i motivi in base ai quali il codice pone la fondamentale distinzione tra imputato e indagato. In primo luogo, il legislatore vuole che il pubblico ministero prenda una posizione definitiva sull'addebito soltanto quando, terminate le indagini preliminari, chiede il rinvio a giudizio. Infatti, l'imputazione deve essere sorretta da una consistente base probatoria. Ciò si desume dall'art. 125 disp. att. , in collegamento con l'art. 405 del codice. Occorre che gli elementi, raccolti nelle indagini preliminari, siano « idonei a sostenere l'accusa in giudizio »; e cioè devono essere tali che, se confermati in dibattimento, possano permettere al pubblico ministero di chie dere la condanna dell'imputato. Pertanto, almeno nel procedimento ordinario, è imputato colui contro il quale il pubblico ministero ha formulato la richiesta di rinvio a giudizio, ritenendo di aver raccolto elementi idonei a chiederne la condanna nel successivo dibattimento. In secondo luogo, prima che sia stata formulata una imputazione, il codice tende ad usare un termine il più possibile "neutro" e "non pregiudizievole" . Ecco allora i l riferimento alla « persona sottoposta alle indagini preliminari » (art. 6 1 , comma 1 ) , denominata nella prassi " indagato" . È ben vero che il pubblico ministero nel corso delle indagini può formulare un "addebito prov visorio" nei confronti dell'indagato; ma ciò avviene soltanto a fini di garanzia, perché mette in grado quest'ultimo di esercitare il diritto di difesa. L'addebito provvisorio non deve essere confuso con l'imputazione, che potrà essere formulata al termine delle indagini. In conclusione, il codice distingue " indagato" e " imputato" a fini preva lentemente garantistici. A riprova di ciò, è possibile constatare che, quando si tratta di enunciare i diritti di difesa, il codice opera un'ampia equiparazione: ai sensi dell'art. 6 1 , comma l , « i diritti e le garanzie dell'imputato si estendono (8 1 ) L'elencazione del codice non è esaustiva; come ulteriore esempio, merita ricordare che la qualità di imputato si acquista altresì al momento in cui vi è formulazione coatta dell'imputazione ai sensi dell'art. 409, comma 5 .
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alla persona sottoposta alle indagini preliminari ». Ovviamente l'equiparazione non è totale, perché risente del fatto che la fase delle indagini preliminari è di regola segreta, mentre le successive fasi dell'udienza preliminare e del giudizio si svolgono in contraddittorio. Come esempio, possiamo citare l'art. 3 09: il diritto a presentare richiesta di riesame contro una misura coercitiva è attribuito all'imputato; nelle indagini preliminari tale diritto deve intendersi esteso all'in dagato. Occorre segnalare che l'equiparazione opera anche negli aspetti pregiudi zievoli. In base all'art. 6 1 , comma 2 , all'indagato « si estende ogni altra disposizione relativa all'imputato, salvo che sia diversamente stabilito ». Per tanto le misure cautelati, previste per l'imputato, possono essere applicate all'indagato purché naturalmente, siano presenti i requisiti necessari per ema nare il relativo provvedimento. b.
L'interrogatorio.
n codice contiene una minuziosa regolamentazione dell'interrogatorio del l'indagato (artt. 64 e 65) . È opportuno esaminare subito tale atto perché attraverso di esso si possono esporre i principali diritti che spettano all'indagato e che fanno parte di quello che è comunemente definito "diritto di autodifesa " . I l codice prevede che l'interrogatorio possa essere svolto d a vari soggetti (ad esempio, anche dal giudice nell'udienza preliminare) . Per comodità di esposi zione, facciamo l'ipotesi che l'interrogatorio sia svolto dal pubblico ministero nelle indagini preliminari. Le regole generali dell'interrogatorio sono precisate nell'art. 64. Da tale disposizione si ricava un primo dato: dall'interrogatorio si potranno ottenere dichiarazioni soltanto se e nei limiti in cui l'indagato decida liberamente di renderle. La norma si propone, infatti, di rispettare la libera scelta di tale soggetto. Il secondo comma dell'art. 64 fa divieto di utilizzare, anche se vi fosse il consenso dell'indagato, metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. Con tale prescrizione il codice vuole sancire la indisponibilità della libertà di scelta dell'indagato. Gli avvisi. In base al terzo comma, che è stato interamente modificato dalla legge n. 63 del 200 1 , l'indagato riceve una serie di avvisi prima che abbia inizio l'interrogatorio: a) È avvertito che « le sue dichiarazioni potranno sempre essere utiliz zate nei suoi confronti » (art. 64, comma 3 , lett. a). Come vedremo nel prosieguo dell'analisi, infatti, le dichiarazioni rilasciate dall'indagato sono uti lizzabili nei suoi confronti sia durante le indagini, sia nel corso del dibattimento anche se il medesimo non si presenta o tace. Pertanto, l'ordinamento si
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comporta lealmente nei confronti dell'indagato, perché lo avvisa del fatto che quanto egli dirà potrà essere utilizzato sia contro di lui, sia in suo favore. Se l'autorità inquirente omette di rivolgere il predetto avviso, ovvero lo rivolge in modo incompleto, il codice stabilisce che le dichiarazioni rese dall'interrogato sono inutilizzabili (art. 64, comma 3-bis) . Dalla gravità della sanzione processuale si desume l'importanza dell'adempimento, che è posto a tutela del diritto di difesa. b) L'indagato deve essere avvertito che ha la facoltà di non rispondere « ad alcuna domanda »; egli è avvertito altresì che ha l'obbligo di rispondere secondo verità sulla sua identità personale (art. 66, comma l c.p.p.; artt. 495 e 65 1 c.p.) . n codice riconosce all'indagato il "diritto di restare silenzioso" su tutte le domande o su alcune fra di esse. L'indagato è altresì avvisato che, se anche non risponde, « comunque il procedimento seguirà il suo corso » (art. 64 , comma 3, lett. b). Anche in questo caso, l'omissione o l'irritualità dell'avviso è sanzionata con l'inutilizzabilità (art. 64, comma 3 -bis). c) Infine la legge n. 63 del 2001 ha introdotto un avvertimento piuttosto complesso, che potrà essere compreso appieno soltanto nel prosieguo dell'ana lisi. L'indagato è avvertito che « se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testi mone » (82 ) . Il legislatore per un dovere di lealtà vuole che l'indagato sia informato che "prima o poi" diventerà testimone se coinvolge la responsabilità di un'altra persona. L'omissione dell'avviso comporta una duplice conseguenza. In primo luogo, le dichiarazioni eventualmente rese dall'indagato su fatti che concernono la responsabilità di altri non sono utilizzabili nei loro confronti. In secondo luogo, l'indagato non potrà assumere la qualità di testimone sulle dichiarazioni rese in assenza di un rituale avvertimento; il tutto finché la sentenza a suo carico non sarà divenuta irrevocabile (art. 64, comma 3 -bis, secondo periodo) (83 ) .
(82) Occorre precisare che tutti gli indagati sono avvertiti che, se rendono dichiarazioni su fatti altrui, diventeranno testimoni limitatamente a tali fatti, sempre che non rientrino nel novero dei soggetti radica!· mente incompatibili con la qualifìca di teste. Infatti dall'art. 1 97 , comma l, lett. a, si ricava che sono sempre incompatibili gli imputati in procedimenti per reati commessi in concorso di persone (art. 12, lett. a). Tali soggetti restano incompatibili finché il loro procedimento è pendente anche ove abbiano reso dichiarazioni sul fatto altrui; essi possono essere sentiti come imputati connessi ai sensi dell'art. 2 1 0. Pertanto quegli imputati, che hanno reso dichiarazioni sul fatto altrui, potranno deporre come testimoni assistiti soltanto in procedimenti connessi teleologicamente o collegati al procedimento pendente nei loro confronti (artt. 12, lett. c e 3 7 1 , comma 2, lett. b). L'art. 64 impone che tutti gli indagati siano avvertiti, perché la natura del legame che intercorre tra il loro procedimento e quello a carico di altri dovrà essere verificata di volta in volta in concreto. L'autorità procedente dovrà accertare se sussiste un'ipotesi di connessione in senso stretto (art. 12, lett. a), di connessione teleologica (art. 12, lett. c) o di collegamento probatorio (art. 3 7 1 , comma 2 , lett. b). (83) Infatti, ai sensi dell'art. 1 97 , lett. a e b, quando nei confronti dell'imputato sarà stata emessa
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Le regole dell'interrogatorio sul "merito". Tali regole sono contenute nel l'art. 65 . Il pubblico ministero, prima di rivolgere domande all'indagato, deve rendergli noto « in forma chiara e precisa » il fatto che gli è attribuito; quindi deve indicargli gli « elementi di prova » esistenti contro di lui; infine deve comunicargli le fonti di prova (ad esempio, il nome del testimone) , salvo che ciò comporti un pregiudizio per le indagini. Pertanto, se vi è pericolo di inquinamento delle prove, il pubblico ministero non rende note le fonti di prova. Soltanto a questo punto il pubblico ministero invita l'indagato a rispondere alle domande. Tre sono le possibilità che si presentano a quest'ultimo. Prima di tutto l'indagato può rifiutare di rispondere a tutte le domande o ad alcune soltanto di esse. In tal caso, il pubblico ministero dà atto nel verbale che l'indagato si è avvalso della facoltà di non rispondere. In secondo luogo, l'indagato può rispondere. Se i fatti, che egli ammette, sono a lui sfavorevoli, si ha una " confessione" . Occorre segnalare che l'indagato non ha un obbligo, penalmente sanzionato, di dire la verità. Tuttavia, i difensori in genere consigliano che è meglio tacere, piuttosto che rendere dichiarazioni false; perché se poi la falsità viene accertata, l'indagato dimostra di non essere attendibile e rischia di non essere più creduto. La possibilità di mentire. In terzo luogo, l'indagato può rispondere dicendo il falso. Da un lato, egli non commette il delitto di falsa testimonianza (art. 372 c.p .), né di false informazioni al pubblico ministero (art. 3 7 1 -bis c.p.) , giacché non è sentito come testimone, né come possibile testimone. Da un altro lato, in relazione ad ulteriori reati che possa integrare rendendo dichiarazioni mendaci, egli è protetto dalla causa di non punibilità prevista dall'art. 384, comma l c.p. Tale norma stabilisce una scusante in favore di colui che ha commesso deter minati delitti contro l'amministrazione della Giustizia per esservi stato costretto dalla necessità di salvarsi da un grave e inevitabile pregiudizio nella libertà o nell'onore. L'imputato deve però stare attento, perché egli è coperto dalla causa di non punibilità prevista dall'art. 3 84, comma l c.p. soltanto in relazione a determinati fatti di reato. I limiti alla possibilità di mentire. Per comodità di esposizione indichiamo subito in quali casi l'indagato commette un reato. a) L'indagato è punibile quando compie "simulazione di reato " , e cioè afferma falsamente che è avvenuto un reato, che nessuno ha commesso (art. 3 67 c.p . ) ; b ) L'indagato è punibile altresì quando " calunnia" un'altra persona, e cioè incolpa di un reato taluno che egli sa essere innocente (art. 368 c.p.) (84). sentenza irrevocabile d i condanna, proscioglimento o patteggiamento, egli potrà essere sentito come testi mone anche a prescindere dal meccanismo delineato all'art. 64. (84) Per il delitto" di calunnia si pone l'ulteriore problema, e cioè il contemperamento tra tale incriminazione e la necessità di esercitare il diritto costituzionale di difesa. In base a giurisprudenza pacifica
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Dalle predette ipotesi si può ricavare un principio comune. L'indagato (o l'imputato), per difendersi, può dire il falso, ma non può arrivare fino al punto di sviare la Giustizia penale; lo sviamento della Giustizia non è scriminato quando avviene abusando del diritto di difesa. Al di fuori delle predette ipotesi, l'indagato non è punibile se dice il falso in quanto è costretto a salvare se stesso da un grave pregiudizio nella libertà o nell'onore, quale sarebbe una condanna penale (85 ) . c.
La distinzione tra l'indagato e la persona informata (possibile testi mone).
Occorre segnalare che il testimone si trova in una situazione diversa rispetto all'imputato e all'indagato. Infatti, mentre questi ultimi hanno il diritto al silenzio e non sono punibili se mentono, il testimone ha l'obbligo di dire la verità. Ma occorre introdurre una ulteriore distinzione. fl testimone e la persona informata. La persona che ha conoscenza di fatti, che devono essere accertati nel procedimento penale, è qualificata « testimone » quando depone davanti al giudice (art. 194); viceversa, quando è esaminata dal pubblico ministero (art. 362 ) , è qualificata « persona che può riferire circo stanze utili ai fini delle indagini ». Costei è denominata nella prassi "persona informata " ; viene ammonita dall'inquirente circa l'obbligo di « rispondere secondo verità » alle domande che le sono rivolte (art. 198). Ciò premesso, se il "testimone" di fronte al giudice dice il falso o tace ciò che sa, commette falsa testimonianza (art. 372 c.p.); se la " persona informata" di fronte al pubblico ministero tiene la medesima condotta, commette il delitto di « false informa zioni » (art. 37 1 -bis c.p.) . Appare chiaro che la "persona informata" ha una posizione sostanzialmente analoga a quella del testimone; essa può essere definita un " possibile testimone" (future witness nella terminologia angloame ricana) . Ebbene, se ci fermiamo alla lettera della legge, anche l'indagato può conoscere fatti « utili ai fini delle indagini »; ma il codice pone una incompati bilità tra la qualifica di persona informata e la qualifica di indagato. Infatti l'art. 362 estende alla persona informata quella incompatibilità a testimoniare che è è scriminata dall'esercizio del diritto di difesa la condotta calunniosa dell'imputato quando questi rivolge ai suoi accusatori rilievi non determinati e circostanziati e comunque non esorbitanti dall'economia difensiva, vale a dire strettamente correlati all'esigenza di difendersi dall'imputazione ». Così, Cass., sez. VI, 8 febbraio 2001 (dep. 2 aprile 2001) n. 233 , Errichiello, in Cass. pen., 200 1 , 3028. (85) Dalla causa di non punibilità prevista dall'art. 384 sono esclusi altresì i seguenti reati: l) la "subornazione" , che consiste nell'offrire al testimone una qualsiasi utilità (denaro o altro) per indurlo a dire il falso o ad essere reticente (art. 377 c.p. mod. dall'art. 14 legge n. 146 del 2006, che ha variato la rubrica in << Intralcio alla giustizia >>); 2) il "favoreggiamento reale", che consiste nell'aiutare taluno ad assicurare il profitto o il prezzo di altro reato (art. 379 c.p.); 3 ) l'indurre una persona, che << ha facoltà di non rispondere >>, a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria (art. 377-bis c.p.). «
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prevista in relazione all'imputato dall'art. 1 97 . Ecco perché riteniamo che l'espressione "possibile testimone" sia più corretta rispetto a quella di "persona informata" . Le dichiarazioni autoindizianti. n codice prevede una disciplina apposita in relazione ad una ipotesi particolarmente delicata. Può accadere che nel corso della deposizione il testimone (o il possibile testimone) renda, più o meno consapevolmente, « dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico » (cd. dichiarazioni autoindizianti) . In tal caso l'art. 63 comma l stabilisce una serie di obblighi per l'autorità procedente e la sorte processuale delle dichiarazioni rese. A seguito delle dichiarazioni indizianti l'autorità procedente deve: l ) interrompere l'esame; 2) avvertire la persona che a seguito delle dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti; 3 ) invitarla a nominare un difensore. Le dichiarazioni rilasciate fino a quel momento « non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese »; viceversa possono essere utilizzate a suo favore (ad esempio, come prova della legittima difesa) o contro altre persone. La disciplina appena esposta si propone lo scopo di tutelare il testimone che si sia "messo nei guai" nell'adempiere al dovere di verità e fornisce una duplice tutela. Per un verso, in via preventiva, mira ad impedire che il testimone continui a parlare peggiorando la situazione e impone all'autorità procedente di bloccare la deposizione attivando le garanzie difen sive. Per un altro verso, in via successiva, neutralizza le dichiarazioni già rese nella loro efficacia pregiudizievole per colui che le ha rilasciate. L'elusione della qualità di indagato. L'art. 63 comma 2 disciplina una ulteriore situazione, anch'essa di particolare delicatezza. n codice si preoccupa che le norme garantiste sull'interrogatorio possano essere eluse da un inquirente (pubblico ministero o polizia giudiziaria) che interroghi un indagato senza riconoscergli tale qualità e, quindi, senza rispettare il suo diritto di non rispondere. Ai sensi del ricordato comma 2, se una persona ascoltata come testimone o persona informata (possibile testimone) « doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate ». La disciplina appena esposta è finalizzata ad evitare abusi da parte dell'autorità inquirente. Quest'ultima potrebbe essere tentata di ignorare gli indizi di reità a carico di una persona al fine di ascoltarla illegittimamente in qualità di persona informata (possibile testimone) per ottenere dichiarazioni sulla responsabilità di altre persone. La sanzione della inutilizzabilità che colpisce le dichiarazioni rilasciate in tale situazione vanifica eventuali manovre in tal senso (86). (86) La norma in oggetto commina l'inutilizzabilità senza alcuna distinzione in merito ai soggetti coinvolti dalle dichiarazioni. Tuttavia la Suprema Corte, risolvendo un contrasto giurisprudenziale in proposito, ha affermato che l'inutilizzabilità assoluta << in tanto può intervenire in quanto le dichiarazioni provengano da persona a carico della quale sussistevano indizi in ordine allo stesso reato o a reato connesso
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La verifica della identità fisica e anagrafica dell'indagato.
I l procedimento penale è finalizzato a d accertare u n fatto d i reato: occorre stabilire se qualcuno ha posto in essere una condotta penalmente rilevante. Può accadere che nel corso delle indagini ci si trovi di fronte ad una persona fisica e non si sappia con certezza se si tratta davvero del soggetto al quale l'inquirente attribuisce il reato. Occorre dunque procedere a verificare l'identità di tale persona. La verifica della identità dell'imputato (o dell'indagato: non ripetiamo questo particolare perché l'art. 61 opera una completa assimilazione) comporta due accertamenti che è opportuno esaminare separatamente a causa delle loro differenze. In particolare distinguiamo: l ) l'accertamento della identità fisica; 2 ) l'accertamento della identità anagrafica. S u detti punti hanno inciso l e modifiche delle norme di diritto penale sostanziale e processuale operate dal decreto-legge antiterrorismo 27 luglio 2005 n. 144, convertito nella legge 3 1 luglio 2005 n. 155. l ) Accertamento della identità fisica dell'indagato. Si tratta di stabilire se la persona, che di fatto si trova di fronte agli inquirenti, coincide con quella contro la quale si sta procedendo. A tale accertamento si può pervenire se si prova che le impronte digitali o il DNA sono identici o se la persona offesa o un testimone oculare riconosce l'indagato. L'accertamento dell'identità fisica può rendersi necessario anche quando il medesimo soggetto in vari tempi abbia fornito differenti generalità (ha dichiarato di chiamarsi A, poi B, poi C, ecc.), oppure in quei procedimenti che in origine si svolgono contro ignoti e poi si orientano contro un determinato soggetto (es. rapina, violenza sessuale) . È bene chiarire che non esiste un diritto dell'indagato a non essere identificato; se mai, egli può scegliere di non collaborare con l'inquirente nella raccolta delle prove che comportano la propria identificazione. In tale sede l'indagato è non " soggetto" , bensì "oggetto " di prova e deve sopportare il compimento di accertamenti quali, ad esempio, la ricognizione personale, purché questi non siano lesivi della propria integrità personale o contrari alla dignità umana (si veda in/ra, parte II, cap. 4, par. 5, lett. a) (87 ) . In base al nuovo comma 2 -bis dell'art. 349, l'indagato può essere costretto a subire il prelievo di materiale biologico, e cioè dei capelli e della saliva (si veda in/ra, parte III, cap. l , par. 5 , lett. d) . o collegato attribuito al terzo >> (Cass. , sez. un., 13 febbraio 1997, Carpanelli e altri, in Dir. pen. proc., 1997, 600). In altre parole, l'inutilizzabilità comminata dall'art. 63 , comma 2, ad avviso delle Sezioni Unite non si estende a quelle dichiarazioni che coinvolgano imputati di reati che non abbiano alcun legame processuale con quelli per i quali si procede e si trovino in posizione di totale estraneità e indifferenza. La Suprema Corte ha rilevato che, rispetto a tali reati, il dichiarante avrebbe comunque rivestito la qualifica di testimone o possibile testimone. Pertanto, in relazione a tali dichiarazioni non vi è stato alcun difetto di garanzie. La medesima sentenza ha inoltre precisato che l'inutilizzabilità, in quanto ispirata alla tutela del diritto di difesa, non colpisce le dichiarazioni favorevoli a colui che le ha rese o ad altre persone. (87) In argomento v. P. FELICIONI, Le ispezioni e le perquisizioni, Milano, 2004, 97 ss.
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Una volta operato l'accertamento della identità fisica dell'indagato, il processo nei suoi confronti può svolgersi anche se resta incerta la sua identità anagrafica. Infatti, in base all'art. 66 comma 2 « l'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell'autorità procedente, quando sia certa l'identità fisica della per sona ». Soltanto se risulta un errore sulla identità fisica dell'imputato (art. 68), il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell'art. 129. Può verificarsi anche una ulteriore evenienza, che oggi è regolata dal nuovo art. 66-bis, inserito dalla legge antiterrorismo n. 155 citata. In ogni stato e grado del procedimento, quando risulta che l'imputato (o l'indagato) « è stato segna lato, anche sotto diverso nome, all'autorità giudiziaria quale autore di un reato commesso antecedentemente o successivamente a quello per il quale si procede, sono eseguite le comunicazioni all'autorità giudiziaria competente ai fini del l' applicazione della legge penale ». La norma è finalizzata ad agevolare il coordinamento delle indagini (art. 3 7 1 ) e a permettere l'inizio di procedimenti penali per false dichiarazioni di identità personale. 2) Accertamento della identità anagrafica dell'indagato. Si tratta di attri buire un nome ad un volto. Il principale strumento per accertare l'identità anagrafica dell'imputato (o dell'indagato) è l'interrogatorio (o atto analogo: art. 350); sulla propria identità personale egli deve rispondere secondo verità. Fin dall'inizio del procedimento il pubblico ministero (art. 66) e la polizia giudi ziaria (art. 349) procedono alla identificazione dell'indagato, che viene invitato a dichiarare le proprie generalità e viene ammonito « circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false » (art. 66 comma 1 ) . È sanzionato penalmente il rifiuto di dare indicazioni sulla propria identità personale (art. 65 1 c.p.) e il dichiarare una falsa identità (art. 495 c.p. ) . Tali reati sono puniti se compiuti da qualsiasi persona; se commessi da un imputato o da un indagato sono aggravati (art. 495 comma 3 n. 2 mod. dalla legge antiterro rismo n. 155 citata) . Inoltre l'impossibilità di identificare un indagato è un elemento che deve essere valutato ai fini del fermo; l'uso di falsi documenti di identità consente l'arresto facoltativo in flagranza (artt. 3 84 e 3 8 1 mod. dalla legge antiterrorismo n. 155 citata) . e.
La sospensione del procedimento per incapacità processuale dell'im putato.
Considerazioni preliminari. In presenza di determinati presupposti il giu dice deve valutare se l'imputato (o l'indagato) è « in grado di partecipare coscientemente » al procedimento penale (art. 70 comma 1 ) , e cioè se è capace di esercitare consapevolmente quel diritto di autodifesa che spetta a lui perso nalmente e che non può essere svolto da altre persone al suo posto. Infatti nel processo penale il diritto di autodifesa non può essere esercitato dall'eventuale
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tutore o curatore che sia stato nominato per rappresentare l'incapace di intendere e di volere. Rispetto al testo originario del codice del 1988 la materia ha subìto una modifica ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 340 del 1 992. In seguito alla dichiarazione di illegittimità parziale dell'art. 70 comma l , si è determinata una situazione complessa che deve essere illustrata operando una opportuna sintesi. Presupposti dell'accertamento dell'incapacità processuale dell'imputato. Il giudice deve accertare la mancanza di capacità processuale dell'imputato, con conseguente sospensione del procedimento penale, soltanto se non può pro nunciare una sentenza di proscioglimento (in giudizio) o di non luogo a procedere (in udienza preliminare) . Ciò significa che, quando il giudice deve prosciogliere l'imputato perché vi è una situazione di improcedibilità (es., manca la querela o l'autorizzazione a procedere) o perché l'imputato è inno cente o perché mancava totalmente la capacità di intendere e di volere al momento del fatto di reato, il giudice stesso non deve sospendere il procedi mento penale: la sentenza che enuncia una delle formule sopra menzionate deve essere pronunciata, anche se l'imputato è incapace processualmente in quel momento. Diverso è il caso in cui, in base allo stato degli atti, il giudice si trovi nella condizione di dover accertare la responsabilità penale e, di conseguenza, è probabile una condanna perché l'imputato era imputabile o semi-imputabile al momento del fatto. In tale situazione il giudice deve valutare se l'imputato, a causa di una infermità mentale esistente al momento, non è in grado di partecipare coscientemente al procedimento penale. Ove sia accertata la inca pacità, il giudice deve sospendere il procedimento penale. Decisione sulla sospensione del procedimento. Il giudice, accertata l'in fermità mentale dell'imputato (art. 70 comma 1 ) , sospende il procedimento penale con ordinanza ricorribile per cassazione (art. 7 1 comma 3 ) e contestual mente nomina un curatore speciale, preferibilmente il rappresentante legale dell'imputato (art. 7 1 comma 2 ) ; inoltre, allo scopo di ridurre il fenomeno degli eterni giudicabili, il giudice ogni sei mesi dispone perizia per accertare lo stato psichico dell'imputato (art. 72 comma 1 ) . L'ordinanza di sospensione del procedimento penale ex art. 7 1 non determina la totale paralisi delle attività processuali, bensì consente il compimento degli atti tassa tivamente previsti dalla legge. n giudice assume, a richiesta del difensore o del curatore speciale, le prove che possono condurre al proscioglimento dell'imputato (art. 7 1 comma 4 ) ; quando vi sia pericolo nel ritardo, il giudice assume ogni altra prova a richiesta delle parti (art. 7 1 comma 4 ) . Se la sospensione è intervenuta durante le indagini preliminari, sono consentiti i soli atti che non richiedono la cosciente parteci pazione della persona sottoposta alle indagini e, nel rispetto di quest'ultimo requisito, l'assunzione delle prove nelle forme dell'incidente probatorio quando vi è pericolo nel
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ritardo. Restano sospesi i termini delle indagini preliminari fin dal momento in cui il giudice dispone perizia per accertare la capacità dell'imputato (art. 70 comma 3 ) . L'ordinanza di sospensione è revocata qualora l'imputato risulti in grado di partecipare coscientemente al procedimento penale oppure se, durante la sospensione, sono assunte prove che legittimano una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere (art. 72 comma 2 ) . Per quanto riguarda il trattamento terapeutico dell'imputato infermo d i mente, il legislatore del 1 988 ha sottratto tendenzialmente ogni competenza all'autorità giudizia ria, alla quale invece spetta il compito di informare con il mezzo più rapido l'autorità competente (il sindaco ex legge n. 833 del 1 978); soltanto in caso di pericolo nel ritardo, al giudice è consentito di ordinare un provvisorio ricovero in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero; il provvedimento è destinato a caducarsi non appena interviene il provvedimento amministrativo. Quando deve essere disposta la custodia cautelare dell'imputato, il giudice ordina il ricovero in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero adottando la misure necessarie a prevenire il pericolo di fuga (art. 286). In tal caso, il tempo trascorso in custodia in luogo di cura sarà computato ai fini dell'eventuale condanna e decoreranno i termini massimi di custodia cautelare.
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n difensore. a.
La rappresentanza tecnica.
Afferma la Costituzione che « la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento » (art. 24, comma 2 ) . In generale, si può definire "difesa" la tutela contro un attacco che venga mosso ai diritti di un soggetto con qualsiasi procedura giudiziaria. In particolare, la "difesa penale" è quella forma di tutela che permette all'imputato di ottenere il riconoscimento della piena innocenza o comunque di essere condannato ad una sanzione non più grave di quella applicabile secondo la legge. La difesa è un " diritto " , e cioè consiste nel potere di esigere da altri soggetti un comportamento conforme alla legge. Sono titolari del diritto di difesa le parti ed alcuni fra i soggetti del procedimento penale. Per quanto riguarda le modalità di esercizio, tale diritto può essere eserci tato sia personalmente (autodifesa) , sia per mezzo del difensore (difesa tecnica) . Esempio di autodifesa è il diritto, spettante all'indagato, di ricevere personal mente notizia del procedimento penale in corso attraverso l'informazione di garanzia, che deve essere inviata quando il pubblico ministero deve compiere un « atto al quale il difensore ha diritto di assistere » (art. 369). Esempio di difesa tecnica è il potere del difensore di condurre l'esame incrociato (art. 498). n difensore è una persona che ha particolare competenza tecnico-giuridica e che ha determinate qualifiche di tipo penalistico, privatistico e processuale. La
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qualifica penalistica è quella di esercente un servizio di pubblica necessità, poiché alla funzione di avvocato si accede mediante una speciale abilitazione dello Stato e, al tempo stesso, dell'opera del difensore i privati sono per legge obbligati a valersi (art. 359 c.p.). La qualifica privatistica si individua nel rapporto di prestazione di opera intellettuale che lega il difensore al cliente (art. 2230 c.c. ) . La qualifica processualistica è quella di rappresentante tecnico della parte. La rappresentanza tecnica è il potere, conferito al difensore, di compiere atti processuali "per conto" (cioè nell'interesse) del cliente. La rappresentanza tecnica attribuisce al difensore non il potere di disporre del diritto in contesa, bensì più semplicemente il potere di compiere per conto del cliente tutti quegli atti che il codice riferisce a quella parte, a condizione che i medesimi non siano personali, e cioè che non siano dalla legge espressamente riservati alla parte (artt. 99 comma l e 1 00 comma 4 ) . Perché il difensore possa disporre di un diritto " in nome" del cliente, deve essergli attribuita una rappresentanza volontaria, e cioè il potere di compiere un atto i cui effetti ricadono sul cliente (es. rappresentanza volontaria al fine di stipulare una transazione sull'ammon tare del danno da risarcire) . L a rappresentanza tecnica è conferita dal cliente al difensore mediante una procura ad litem. L'imputato e l'indagato conferiscono tale rappresentanza mediante la nomina che è contenuta in una dichiarazione (art. 96 comma 2) che può essere resa oralmente davanti alla autorità procedente (che ne redige verbale) o può essere effettuata per atto scritto (senza necessità di autentica della firma) . In tal caso, la dichiarazione scritta deve essere consegnata alla autorità procedente dal difensore o deve essere trasmessa dall'interessato con raccomandata alla autorità procedente (es., all'ufficio di segreteria del pubblico ministero) . La persona offesa conferisce la rappresentanza tecnica con le medesime forme semplificate che sono previste per l'imputato e che sono state appena illustrate (art. 101 comma 1 ) . Le altre parti (parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria) attribuiscono al difensore la rappresentanza tecnica mediante una procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata: sul tema torneremo in un successivo paragrafo (art. 1 00 comma 1 ) . La rappresentanza volontaria per gli atti personali. Quando si deve compiere nel procedimento un atto "personale" e non può essere presente la parte assistita, non è sufficiente la rappresentanza tecnica del difensore. È necessario che la parte conferisca una rappresentanza volontaria al difensore o ad altra persona di sua fiducia, e ciò può fare soltanto con la procura speciale a compiere un determinato atto (art. 122 c.p.p . ) . La procura speciale è neces saria, ad esempio, per l'istanza di rimessione del processo (art. 46, comma 2 ) ; per l'accettazione della remissione d i querela (art. 340) ; è necessaria, altresì, per
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gli atti di disposizione di un diritto, come avviene per la transazione che abbia ad oggetto il risarcimento del danno derivante dal reato. La rappresentanza volontaria permette di compiere un atto processuale "in nome e per conto" della parte. La procura speciale deve, a pena di inammis sibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve contenere la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce (art. 122) . Se la procura è rilasciata per scrittura privata al difensore, la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo (88). Atti personalissimi. Ci sono atti "personalissimi" per i quali, ovviamente, non vi può essere rappresentanza volontaria; ad esempio, rendere l'interroga torio o l'esame incrociato. Rapporti difensore-imputato. Tra l'imputato ed il proprio difensore esiste una rappresentanza tecnica che assume la forma della " assistenza" nel senso che l'imputato può sempre compiere personalmente gli atti che non siano per legge riservati al difensore. Ciò signifìca che la difesa tecnica non può escludere quel tipo di autodifesa che spetta all'imputato: questi può compiere un atto processuale anche senza dover necessariamente essere rappresentato dal difensore. "Assi stenza" può essere definita, appunto, come quella particolare forma di rappre sentanza tecnica che non esclude l'autodifesa del soggetto assistito. Infatti, di regola l'imputato ha diritto di partecipare personalmente agli atti del procedi mento affiancato dal proprio difensore che si limita ad assisterlo (v. tav. 2 . 1 . 3 1 ) . In definitiva, l'assistenza del difensore è una forma di rappresentanza, che non impedisce al soggetto tutelato di essere presente agli atti più importanti del pro cedimento (ad esempio, nel corso del dibattimento e dell'incidente probatorio) . n diritto di autodifesa dell'imputato prevale sul diritto alla difesa tecnica, in considerazione del fatto che nel procedimento penale è in questione un diritto di libertà. In base all'art. 99, comma 2 « l'imputato può togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all'atto compiuto dal difensore prima che, in relazione all'atto stesso, sia intervenuto un provvedimento del giudice ». La ripartizione delle attività che possono essere compiute dal difensore e dalla parte assistita è precisata nell'art. 99 comma l , secondo cui « al difensore competono le facoltà ed i diritti che la legge riconosce all'imputato a meno che essi siano riservati personalmente a quest'ultimo ». D rapporto tra il cliente ed il difensore ha natura fiduciaria. Da ciò derivano le seguenti conseguenze. Prima dell'accettazione del mandato, il difensore può rifiutare la nomina; è sufficiente che lo comunichi immediatamente a colui che l'ha effettuata ed all'autorità che procede. La non accettazione ha effetto dal momento in cui è comunicata a quest'ultima (art. 1 07, commi l e 2 ) . Dopo che h a accettato il mandato, il difensore può rinunciare allo stesso. La (88) L'art. 3 7 disp. att. precisa che « la procura speciale può essere rilasciata anche preventivamente, per l'eventualità in cui si verifichino i presupposti per il compimento dell'atto al quale la procura si riferisce >>.
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rinuncia deve parimenti essere comunicata a colui che ha effettuato la nomina ed all'autorità procedente, ma non ha effetto finché la parte non risulti assistita da un nuovo difensore e non sia decorso il termine a difesa, non inferiore a sette giorni, che sia stato concesso a quest'ultimo (artt. 1 07, comma 3 e 108); fino a tale momento la parte è rappresentata dal difensore rinunciante (89) . Lo stesso avviene quando il cliente revoca il mandato al difensore (art. 1 07 , comma 4). Deontologia. I n u n sistema politico totalitario al difensore è imposto l'obbligo di " collaborare" con la Giustizia anche contro l'interesse dell'assistito. In un sistema garantista, invece, il difensore contribuisce all'amministrazione della Giustizia assicurando la dialettica processuale; tuttavia non si identifica con la parte in quanto ha l'obbligo di comportarsi con lealtà e probità (art. 1 05 , comma 4 c.p.p . ) . n difensore d i una parte privata h a doveri deontologici differenti rispetto a quelli del pubblico ministero. n difensore, in un sistema di separazione delle funzioni, non è il " giudice" del proprio cliente; egli ha un dovere di correttezza, ma non ha l'obbligo di ricercare e introdurre nel processo gli elementi sfavo revoli alla parte assistita. La differenza fondamentale rispetto al pubblico ministero sta nel fatto che il difensore collabora all'accertamento dei fatti limitandosi a presentare gli elementi a favore del cliente: non ha l'obbligo di ricercare la verità contro il cliente. Egli persegue un interesse privato e non pubblico; pertanto resta libero di valutare se un elemento di prova è "favorevole" rispetto alla richiesta che intende rivolgere al giudice. In base al codice deontologico degli avvocati il difensore non deve introdurre nel procedimento penale prove che egli sa essere false; ma tale divieto non gli impedisce di argomentare sulla base di prove da altri introdotte, anche se ritiene che siano false (90). b.
Difensore di fiducia e difensore d'ufficio.
L'imputato ha il diritto di farsi assistere da non più di due difensori di sua scelta (denominati " difensori di fiducia" ; art. 96, comma 1 ) . Come abbiamo (89) Occorre altresì ricordare che l'art. 108 c.p.p., così come modificato dalla legge n. 60 del 200 1 , stabilisce che i l termine per l a difesa, concesso i n caso d i revoca del difensore o ipotesi assimilate, può essere inferiore agli ordinari sette giorni « se vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell'imputato >>. In ogni caso il termine non può essere inferiore a ventiquattro ore. (90) Riportiamo il testo dell'art. 14 del codice deontologico forense: << Dovere di verità >> << Le dichiarazioni in giudizio relative alla esistenza o inesistenza di fatti obiettivi, che siano presupposto specifico per un prowedimento del magistrato, e di cui l'awocato abbia diretta conoscenza, devono essere vere e comunque tali da non indurre il giudice in errore. I - L'awocato non può introdurre intenzionalmente al processo prove false. In particolare, il difensore non può assumere a verbale né introdurre dichiarazioni di persone informate sui fatti, che sappia essere false. II - L'awocato è tenuto a menzionare i prowedimenti già ottenuti, o il rigetto dei prowedimenti richiesti, nella presentazione di istanze o richieste sul presupposto della medesima situazione di fatto >>.
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accennato, il codice all'articolo 96 comma 2 prevede agili modalità di nomina del difensore di fiducia. La nomina è un atto a forma libera e può essere effettuata in tre modi: l ) con dichiarazione, scritta o orale, resa dall'indagato all'autorità procedente; 2) con dichiarazione scritta consegnata all'autorità procedente dal difensore; 3 ) con dichiarazione scritta trasmessa all'autorità procedente con raccomandata (v. atto 2 . 1 .29). Non occorre alcuna autentica della sottoscrizione dell'indagato, neppure se la nomina è inviata tramite raccomandata (9 1 ) . Ove l'indagato si trovi in stato di fermo, arresto o custodia cautelare, la nomina può essere fatta, con le stesse forme, da un prossimo congiunto, finché l'indagato stesso non vi provveda. Quando l'indagato non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia rimasto privo, il codice prevede (solo per tale soggetto) l'istituto della difesa d'ufficio (art. 97) . Da tale norma si ricava il principio della necessità della difesa tecnica in favore dell'imputato: il legislatore vuole che comunque sia presente nel procedimento un soggetto tecnicamente idoneo a difendere l'imputato e non coinvolto emotivamente. Detto in altro modo, l'imputato non potrebbe esercitare una autodifesa esclusiva neanche se, per ipotesi, avesse la qualità di avvocato (92 ) . All'imputato resta sia il potere d i togliere effetto all'atto compiuto dal difensore (art. 99, comma 2 ) , sia il potere di scegliere un altro difensore (art. 97, comma 6). La designazione del difensore d'ufficio. Occorre precisare i meccanismi attraverso i quali avviene la designazione del difensore d'ufficio. La materia è stata oggetto di una modifica ad opera della legge 6 marzo 200 1 , n. 60. La designazione del difensore d'ufficio spetta al consiglio dell'ordine degli avvocati di ciascun distretto di corte d'appello, che predispone gli elenchi dei difensori idonei sulla base di turni di reperibilità (art. 97 , comma 2) (93 ) . Quando il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria devono compiere un atto per il quale è prevista l'assistenza del difensore e l'imputato (o l'indagato) ne sia privo, essi devono chiedere il nominativo del difensore d'ufficio al consiglio dell'ordine del distretto (art. 97 , comma 3 ) . All'uopo, presso l'ordine degli avvocati di ciascun capoluogo del distretto di corte d'appello è istituito un sistema informatizzato che fornisce telefonicamente i nominativi dei difensori d'ufficio a richiesta dell'autorità giudiziaria o della ( 9 1 ) Cass., sez. III, 10 dicembre 1992, Della Bona; Cass., sez. V, 19 giugno 1995, Anselmi . (92) Cfr. Corte cost. n. 498 del 1989: il difensore è l'unico soggetto in grado di assicurare, per l'imputato, << quella serenità che gli consent(e) di valutare adeguatamente le situazioni di causa >>. (93) Per l'iscrizione nell'elenco il difensore deve aver conseguito una attestazione di idoneità rilasciata dall'ordine forense al termine della frequenza di corsi di aggiornamento organizzati dallo stesso ordine. In alternativa è richiesto che il difensore dimostri di avere esercitato la professione in sede penale per almeno due anni (art. 29, comma 1 -bù disp. att . ) .
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polizia giudiziaria (art. 29, comma 2 disp. att.). Tale organo centralizzato gestisce separatamente gli elenchi dei difensori d'ufficio di ciascun ordine forense esistente nel distretto di corte d'appello (art. 29, comma 3 disp. att.). In tal modo è possibile assicurare l'effettività della difesa designando difensori che esercitino il patrocinio nella sede giudiziaria presso la quale essi sono chiamati come difensori d'ufficio (94 ) . n magistrato o l'ufficiale di polizia danno avviso dell'atto al difensore così individuato (art. 97 , comma 3 ) (95 ) . Ai sensi dell'art. 29, comma 6 disp. att., il presidente del consiglio dell'ordine, o un componente da lui delegato, « vigila sul rispetto dei criteri per l'individuazione e la designa zione del difensore d'ufficio ». La funzione della difesa d'ufficio. La difesa d'ufficio non ha una funzione di " assistenza sociale" , bensì unicamente quella di attuare il contraddittorio in un processo basato sul principio dialettico. n suo unico scopo è quello di attuare un minimo di "eguaglianza delle armi" in situazioni nelle quali l'imputato si disinteressa di nominare un difensore o ne rimane privo o, persino, quando nessun difensore accetti la nomina di fiducia. Sotto questo profilo, l'inviolabilità garantita dall'art. 24, comma 2 della Costituzione comporta per l'imputato la irrinunciabilità della difesa tecnica (96) . Ciò è accettabile, in sintesi, per i seguenti motivi: se il migliore metodo per accertare il fatto storico è ritenuto essere il contraddittorio, l'imputato non può rinunciare alle sue armi dialettiche. Tanto equivarrebbe a disporre della propria libertà personale; viceversa, quest'ultima è riconosciuta come diritto indisponi bile dalla Costituzione (art. 13 ) . Ovviamente l'imputato assistito d a un difensore d'ufficio h a piena libertà di scelta della linea difensiva: egli può togliere effetto all'atto compiuto dal difensore (art. 99, comma 2) e può nominarne uno di fiducia, revocando così automaticamente il difensore d'ufficio (art. 97, comma 6). A sua volta, il difensore d'ufficio, poiché non svolge una funzione di assistenza sociale, ha diritto ad essere retribuito. Tra l'altro, il codice afferma la stabilità dell'incarico (art. 97, comma 5) e sanziona l'abbandono della difesa (art. 105 ) . Di conseguenza, le norme di attuazione affermano il diritto alla retribuzione (artt. 3 1 , 32) (97 ) . (94) Infatti, ai sensi dell'art. 29, comma 4 , il sistema informatizzato, per assicurare l'effettività della difesa, deve garantire che l'indicazione dei nominativi rispetti un criterio di rotazione automatico tra gli iscritti negli elenchi; che sia evitata l'attribuzione contestuale di nomine, ad un unico difensore, per procedimenti pendenti innanzi ad autorità giudiziarie e di polizia distanti tra di loro e, comunque, dislocate in modo da non permettere l'effettività della difesa; che sia istituito un turno differenziato per gli indagati e gli imputati detenuti che assicuri, attraverso un criterio di rotazione giornaliera dei nominativi, la reperibilità di un numero di difensori d'ufficio corrispondente alle esigenze. (95) Merita precisare che non si può ricorrere al sistema informatizzato se il procedimento concerne materie che riguardano competenze specifiche (art. 29, comma 2 disp. att.). (96) Così Corte cost. n. 125 del 1979. (97) La legge n. 60 del 2001 ha previsto garanzie a presidio della effettività della retribuzione del
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n sostituto del difensore. n difensore, qualunque sia la parte che lo abbia designato, ha il potere di nominare un sostituto. Questi « esercita i diritti e assume i doveri del difensore medesimo » (art. 1 02 , comma 2) (98). La nomina del sostituto non è condizionata al caso di impedimento del titolare e può avvenire per qualsiasi motivo.
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n difensore della persona offesa.
L'offeso può nominare il difensore nelle medesime forme semplificate che sono previste per il difensore dell'imputato (artt. 96, comma 2 e 1 0 1 ) . n difensore della persona offesa dal reato svolge un'attività che si può inquadrare nella "rappresentanza", ma che ha anche alcune tra le caratteristiche della "assistenza". Da un lato, l'offeso, che pure può nominare un difensore per essere da lui rappresentato, ha tuttavia il potere di esercitare quei « diritti e facoltà » che sono a lui espressamente riconosciuti dalla legge (art. 90, comma 1 ) . In tali casi, peraltro limitati, l'offeso può agire anche personalmente nel procedimento; ad esempio, può presentare memorie ed indicare elementi di prova. In relazione a questi atti l'offeso non è costretto ad agire "col ministero di un difensore" , a differenza di quanto è previsto per le parti private diverse dall'imputato (es. parte civile) . Poiché la persona offesa può non essere un giurista, nella pratica ha la necessità di compiere atti processuali mediante un difensore. Da un altro lato, l'offeso non può (a differenza dell'imputato) togliere effetto ad un atto del proprio difensore; l'unico modo che ha per evitare una difensore. In primo luogo, le procedure intraprese per il recupero dei crediti professionali del difensore d'ufficio << sono esenti da bolli, imposte e spese >> (art. 32, comma 1 ) . In secondo luogo, e soprattutto, lo Stato si preoccupa di garantire la retribuzione anche quando l'assistito risulti inadempiente. Infatti, quando il difensore di ufficio dimostri di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali, egli è retribuito dallo Stato con le modalità stabilite dalla legge (art. 1 16 T.U.S.G.). Il compenso è liquidato dal giudice tenuto conto della natura dell'impegno professionale in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa (art. 82 T.U.S.G. mod. dalla legge finanziaria n. 3 1 1 del 3 0 dicembre 2004 ) . In ogni caso il compenso non può risultare superiore ai valori medi delle tariffe professionali. Merita ricordare, infine, che il difensore d'ufficio della persona irreperibile è retribuito direttamente dallo Stato, con le modalità appena esposte. Se successivamente l'imputato si rende reperibile, lo Stato potrà rivalersi nei suoi confronti (art. 1 17 T.U.S.G.). (98) Il potere di sostituzione del difensore incontra limitazioni tutte le volte in cui debbano essere compiuti atti per i quali è necessaria la procura speciale. In particolare con riferimento alla richiesta di patteggiamento, è nullo l'accordo concluso tra il pubblico ministero ed il sostituto processuale che è stato nominato da quel difensore a cui è stata conferita la procura speciale per la scelta del rito. I poteri che derivano da tale procura, infatti, si caratterizzano per l' intuitus personae ed esulano da quelli tipici inerenti il mandato difensivo; conseguentemente tali poteri non possono essere ricompresi tra quelli esercitabili dal sostituto del difensore ai sensi del secondo comma dell'art. 102 c.p.p., né possono essere sub-delegati (Cass. pen., sez. V, 8 febbraio 1997, Malandra ed altri, in CED, n. 207 1 17). Come pure, al sostituto del difensore della persona offesa non spetta quel potere di costituirsi parte civile, che la persona offesa può delegare al difensore con apposita procura speciale (Cass. pen., sez. IV, 16 giugno 2005, Fiorenzano, in CED, n. 23 1793 ) .
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difesa tecnica "non gradita" è quello di revocare la nomina del difensore e nominarne un altro (v. tav. 2 . 1 .28). d.
n difensore delle parti private diverse dall'imputato (es. parte civile).
Ai sensi dell'articolo 100, la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria « stanno in giudizio col ministero di un difensore ». Siamo dinanzi ad un'ipotesi di "rappresentanza tecnica" in senso stretto. Le parti private che abbiamo indicato non possono stare perso nalmente in giudizio. Le parti private diverse dall'imputato nominano il proprio difensore me diante il conferimento di una procura speciale. È la cosiddetta "procura ad litem" , con l a quale tra l a parte ed il difensore si instaura il rapporto di rappresentanza tecnica (v. tav. 2 . 1 .28). La procura deve essere conferita « con atto pubblico o scrittura privata autenticata (art. 100, comma 1 ) . La sottoscrizione della procura è autenticata da una persona a ciò abilitata (es. notaio) ; può essere autenticata anche dal difensore che sia stato nominato per quel processo (art. 1 00 comma 2 ) . Quando l a procura speciale è apposta i n calce o a margine dell'atto d i costituzione (o di intervento) effettuato dalla parte, la autografia della sottoscrizione può essere certificata soltanto dal difensore (art. 1 00 comma 2 ) . Quando non è apposta in calce o a margine, la procura deve essere depositata in cancelleria o presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione di parte civile (disposizioni analoghe valgono per il responsabile civile e per il civilmente obbligato per la pena pecuniaria; artt. 78, comma 3 , 84, comma 3 e 89, comma 2 ) . L a procura ad litem s i presume conferita soltanto per u n determinato grado del processo, salvo che sia espressa una volontà diversa (art. 100, comma 3 ) . In forza di tale atto, il difensore può compiere e ricevere per conto (e cioè nell'interesse) della parte rappresentata « tutti gli atti del procedimento che dalla legge non sono a essa espressamente riservati ». Il domicilio delle parti private diverse dall'imputato per ogni effetto processuale si intende eletto presso il difensore (art. 100, comma 5 ) . Dal concetto d i rappresentanza tecnica s i ricava i l principio secondo cui il difensore non può compiere atti che comportino una disposizione del diritto in contesa, salvo che ne abbia ricevuto espressamente il potere (art. 100, comma 4). A tal fine, infatti, occorre che il difensore sia munito della procura speciale indicata nell'art. 122 , con la quale la parte rappresentata, nei casi consentiti dalla legge, può nominarlo proprio procuratore speciale per il compimento di determinati atti. In forza di tale rappresentanza volontaria il difensore può compiere atti che incidono sulla situazione giuridica sostanziale della parte rappresentata, in nome e per conto della stessa. La procura speciale deve contenere la determinazione dell'oggetto per cui è rilasciata e dei fatti ai quali
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s i riferisce e deve essere conferita, a pena d i inammissibilità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata; « se la procura è rilasciata per scrittura privata al difensore, la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo » ( art. 122, comma l , mod. dalla legge n. 479 del 1999). e.
Il patrocinio per i non abbienti.
La legge 3 0 luglio 1990, n. 2 17 (sostituita dal Testo unico spese di giustizia - d.p.r. 30 maggio 2002 , n. 1 15 ) ha istituito il patrocinio a spese dello Stato in favore delle persone che hanno un reddito annuo (calcolato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e aggiornato con d.m. 20 gennaio 2009) non superiore a euro 1 0.628,16. n patrocinio è concesso su istanza ai soggetti che sono (o possono diventare) parti private, e cioè all'imputato, all'indagato, al condannato, all'offeso, al danneggiato che intenda costituirsi parte civile, al responsabile civile ed al civilmente obbligato per la pena pecuniaria (art. 7 4 T.U.S.G.) (99). Il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 1 1 , ha considerato espres samente i delitti di violenza sessuale individuale e di gruppo ed il delitto di atti sessuali con minorenne: la persona offesa da tali reati è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato anche in deroga ai limiti di reddito sopra menzionati (art. 76, comma 4-ter T.U. S.G.). Il patrocinio a spese dello Stato assicura la difesa tecnica nel procedimento penale per reati (sia delitti, sia contravvenzioni) non di tipo tributario ( 1 00); assicura altresì la difesa tecnica in relazione all'azione risarcitoria che eventual mente sia esercitata davanti al giudice civile per i danni derivanti dai medesimi delitti. La legge rispetta il principio della libera scelta del difensore. n non abbiente nomina un difensore che sia ricompreso nell'apposito elenco di cui agli artt. 80 e 8 1 T.U.S.G. n. 1 15 del 2002, mod. dalla legge n. 25 del 2005 . L'istanza di ammissione al patrocinio è sottoscritta dal non abbiente; il difensore ne autentica la firma e può presentare l'istanza stessa. Prima di provvedere in ordine alla medesima, il giudice può trasmetterla alla guardia di finanza se vi è motivo di ritenere che l'interessato non possieda i requisiti per l'ammissione al patrocinio. A tal fine il giudice tiene conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari e delle attività economiche eventualmente svolte ( 10 1 ) . Le false dichiarazioni (99) La giurisprudenza afferma che rilevano anche redditi da attività illecite che non siano stati sottoposti a tassazione: così, Cass., sez. IV, 1 1 aprile 2007, Salvemini, CED 237008. ( 1 00) Sono, cioè, esclusi dal patrocinio a spese dello Stato l'indagato, l'imputato ed il condannato di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (art. 9 1 , comma l, lett. a, d.p.r. n. 1 15 del 2002 ) . ( 1 0 1 ) I l nuovo comma 4-bis, inserito nell'articolo 76 d.p.r. 1 15/2002 dal d.l. n. 9 2 del 2008, conv. in legge n. 125 del 2008, ha introdotto una presunzione di insussistenza delle condizioni reddituali a carico di colui che sia stato già condannato con sentenza divenuta irrevocabile per uno dei seguenti reati: associazioni di tipo mafioso anche straniere (articolo 4 16-bis del codice penale); associazione per delinquere finalizzata al
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sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 3 09,87 a 1549,37. L'ammissione al patrocinio a spese dello Stato è deliberata dal magistrato davanti al quale pende il processo o da quello che ha emesso il provvedimento impugnato, se procede la cassazione; nel corso delle indagini è deliberata dal giudice per le indagini preliminari ( 1 02 ) . Fra gli effetti dell'ammissione ricor diamo i seguenti: sono rilasciate gratuitamente le copie « necessarie » degli atti del procedimento; sono anticipate dallo Stato le spese per l'audizione dei testimoni e gli onorari del difensore, dell'eventuale consulente tecnico di parte, del sostituto e dell'investigatore privato (art. 1 0 1 T.U.S.G.). Al difensore il giudice applica le tariffe professionali in modo che non siano superati i « valori medi » (art. 82 T.U.S.G.). La legge consente che la persona, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nomini un consulente tecnico anche fuori dei casi di perizia. Inoltre, il difen sore, può nominare un sostituto o un investigatore privato autorizzato al fine di svolgere l'attività di investigazione difensiva ( l 03 ) . f.
L'incompatibilità del difensore.
L'art. 1 06, comma l prevede la possibilità che la difesa di più imputati sia assunta da un difensore comune « purché le diverse posizioni non siano tra loro incompatibili » ( 104) .
contrabbando di tabacchi lavorati esteri (articolo 291 -quater d.p.r. 2 3 gennaio 1973, n . 43 ); associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (articolo 74, comma l, d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309); traffico di sostanze stupefacenti (articolo 73 d.p.r. da ultimo citato) limitatamente alle ipotesi aggravate di cui all'articolo 80; reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 4 16-bZ:S ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo. Con la sentenza n. 139 del l6 aprile 2010 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 76, comma 4-bis, nella parte in cui non ammette la prova contraria. A giudizio della Consulta, può configurarsi soltanto una presunzione relativa, che però non può essere superata da una semplice auto-certificazione dell'interessato; sarà viceversa necessario provare concreti elementi di fatto, dai quali possa desumersi in modo chiaro e univoco l'effettiva situazione economico-patrimoniale dell'imputato. ( 102) È utile segnalare che l'art. 12-ter, lettere b e c, del decreto-legge sulla sicurezza pubblica (n. 92 del 2008, conv. in legge n. 125) è intervenuto sull'art. 96 d.p.r. n. 1 15 del 2002 e ha soppresso la possibilità per il difensore di presentare direttamente in udienza l'istanza di ammissione al patrocinio per i non abbienti. Inoltre, ha eliminato l'obbligo del giudice di provvedere sull'istanza << immediatamente a pena di nullità assoluta >>. Pertanto, la richiesta di patrocinio statale potrà essere presentata (o inviata a mezzo raccomandata) << all'ufficio del magistrato davanti al quale pende il processo >> (art. 93 , comma l, d.p.r. n. 1 15 cit.); il magistrato deve provvedere entro l'ordinario termine di << dieci giorni successivi a quello in cui è stata presentata o è pervenuta l'istanza di ammissione >>. ( 1 03 ) TI sostituto, l'investigatore privato ed il consulente tecnico possono essere scelti anche al di fuori del distretto di corte di appello dove ha sede il magistrato competente per il fatto per cui si procede, ma in tale caso non sono dovute le spese e le indennità di trasferta previste dalle tariffe professionali; così gli artt. 101 e 102 T.U.S.G. n. 1 15 del 2002, mod. dalla legge n. 25 del 2005 . ( 1 04) Se il patrocinatore presta contemporaneamente il suo patrocinio a favore di parti contrarie commette il reato di cui all'art. 381 c.p.
II.I.6j
I soggetti del procedimento penale
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L'incompatibilità non deriva dalla semplice diversità tra le affermazioni di diversi imputati o tra le loro posizioni processuali. Deve sussistere in concreto un nesso di interdipendenza in base al quale un imputato abbia effettivamente interesse a sostenere una tesi difensiva sfavorevole ad un altro imputato. Una situazione del genere rende impossibile una difesa comune. In caso contrario, uno dei due imputati verrebbe penalizzato ( 105) . Quando l'autorità giudiziaria rileva l a sussistenza di una situazione di incompatibilità, deve indicarla, esporne i motivi e fissare un termine per rimuoverla (art. 106, comma 2 ) . L'incompatibilità può essere eliminata in due modi: mediante la rinuncia del difensore a sostenere una o più difese (art. 1 07, comma l); mediante l a revoca della nomina d a parte dell'imputato (art. 1 07, comma 4 ) . Nel caso in cui l'incompatibilità non venga rimossa entro i l termine fissato, il giudice la dichiara e provvede a sostituire il difensore incompatibile con un difensore d'ufficio (artt. 1 06, comma 3 e 97 ) . S e l'incompatibilità è rilevata nel corso delle indagini preliminari, il prov vedimento di sostituzione è adottato dal giudice su richiesta del pubblico ministero o di taluna delle parti private, sentite le parti interessate (art. 106, comma 4, mod. dalla legge n. 45 del 200 1 ) . Con l a medesima legge il Parlamento h a introdotto nell'art. 1 06 un nuovo comma 4-bis, in base al quale un difensore non può assistere « più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento » o in un procedimento connesso (art. 12) o collegato (art. 3 7 1 , comma 2 , lett. b). La norma è finalizzata ad evitare che il difensore si renda veicolo di uno scambio di informazioni tra imputati che hanno reso dichiarazioni sul fatto altrui e in tal modo possa indurii a conformare le rispettive affermazioni ( 1 06) .
( 105) La dottrina ha analizzato l'effetto che deriva da una situazione di incompatibilità: essa costituisce una violazione del diritto di difesa, in quanto comporta che uno degli imputati rimanga comunque privo di assistenza. La tesi trova conferma nell'art. 178, comma l, lettera c che elenca, tra le cause di nullità generali, l'inosservanza delle disposizioni relative all'assistenza dell'imputato. ( 1 06) La Corte costituzionale con l'ordinanza n. 2 1 4 del 2002, nel confermare la legittimità della norma, ha precisato che essa opera sia qualora le dichiarazioni rese dall'imputato tendano ad accusare altri, sia qualora esse tendano ad escluderne la responsabilità (in senso conforme, C. Cost. , ord. n. 55 del 2003 ) . Secondo Cass. , sez. un., 2 2 febbraio - 5 giugno 2007, n. 2 1 834, Dike, in www. dirittoegiustizia. it, 8 giugno 2007, l'inosservanza dell'art. 106, comma 4-bis non costituisce causa di nullità, né di inutilizzabilità delle prove. Taie norma, per un verso, non costituisce una ipotesi di incompatibilità del difensore; per un altro verso, non stabilisce un divieto probatorio, sanzionabile ai sensi dell'art. 1 9 1 . Ad avviso della Suprema Corte, la violazione dell'art. 106, comma 4-bis può incidere soltanto sull'indipendenza delle dichiarazioni dei collaboranti e, pertanto, richiede una verifica particolarmente incisiva in punto di attendibilità. Resta ferma, in ogni caso, l'eventuale responsabilità disciplinare del difensore, alla stregua delle previsioni del codice deontologico forense, anche a seguito della segnalazione effettuata dal giudice al consiglio dell'ordine ai sensi dell'art. 105, comma 4 c.p.p.
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Profili generali del procedimento penale g.
II.I.6.h
L'abbandono ed il rifiuto della difesa.
L'art. 1 05 , comma l riconosce al consiglio dell'ordine forense la compe tenza esclusiva per le sanzioni disciplinari relative ai casi di abbandono della dz/esa o di rifiuto della dz/esa di ufficio. A tal fine, l'autorità giudiziaria « riferisce al consiglio dell'ordine i casi di abbandono della difesa, di rifiuto della difesa di ufficio » e i casi nei quali il difensore abbia violato i doveri di lealtà e probità; infine, riferisce se il difensore ha assunto la difesa di più imputati in una situazione di incompatibilità presunta dalla legge (artt. 105 , comma 4 e 106, comma 4-bis, mod. dalla legge n. 45 del 200 1 ) . Per individuare i singoli comportamenti che integrano i menzionati illeciti disciplinari, di regola, è necessario fare una valutazione caso per caso. La giurisprudenza ha più volte affermato che non si può, comunque, prescindere dall'elemento soggettivo: si deve trattare di un comportamento intenzionale da parte del difensore, con la consapevolezza di arrecare un danno alla parte. L'articolo 105 , comma 3 dispone che se l'abbandono o il rifiuto sono motivati da violazioni del diritto di difesa (che l'avvocato addebita all'autorità giudiziaria) e il consiglio dell'ordine ritiene giustificato il comportamento del difensore, la sanzione non si applica, anche se il giudice ha escluso la sussistenza della violazione del diritto di difesa. Si tratta di una norma importante, poiché conferma l'indipendenza dell'ordine forense rispetto all'ordine giudiziario. h.
Le garanzie per il libero esercizio dell'attività difensiva.
La scelta del legislatore è stata quella di assicurare al difensore la possibilità di svolgere la propria attività di patrocinio e consulenza in favore del cliente senza subire alcun condizionamento. Le garanzie di carattere generale consi stono nella forte tutela del segreto professionale assicurata dall'art. 200 c.p.p. agli avvocati, che « non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero ». Le garanzie di carattere speciale riguardano la tutela dell'ufficio e dei colloqui con i clienti e sono finalizzate ad assicurare la libertà di predisposizione delle strategie difensive in un processo di tipo accusatorio. Occorre che la raccolta di elementi di prova da contrapporre alle altre parti in condizioni di parità avvenga in modo riservato e immune da interferenze ad opera dell'auto rità inquirente. Libero dispiegamento dell'attività difensiva e segreto professionale trovano diretto supporto nell'art. 24 della Costituzione ( 107 ) . L'ufficio del difensore. L o studio legale nel quale opera il difensore h a le seguenti garanzie. ( 1 07 )
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Cass., sez. VI, 27 ottobre 1992, Genna, in Cass. pen., 1993 , 2020.
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II.I.6.h
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a) Non è consentita l'intercettazione relativa a conversazioni o comuni cazioni dei difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite (art. 103 , comma 5 ) . b ) le ispezioni, le perquisizioni ed i sequestri di regola sono vietati; sono ammessi in casi tassativi previsti dalla legge; inoltre, essi devono essere effettuati con determinate modalità da osservarsi a pena di inutilizzabilità dei risultati, modalità che indichiamo di seguito (art. 1 03 , commi l e 2 ) . c) L e ispezioni e le perquisizioni sono ammesse quando i difensori ( o le altre « persone che svolgono stabilmente attività nel medesimo ufficio ») risul tano essere « imputati »; tali atti devono essere disposti « limitatamente ai fini dell'accertamento del reato loro attribuito » (art. 103 comma l lett. a). In questo caso il difensore (o altra persona) viene in considerazione come imputato; non viene in questione l'attività difensiva svolta dal medesimo. d) Le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse anche « per rilevare le tracce o altri effetti materiali del reato » (art. 1 03 comma l lett. b) . Si tratta di accertare con quali modalità è stata commessa, ad esempio, la rapina in uno studio di un avvocato. e) E ancora, le ispezioni e le perquisizioni sono ammesse « per ricercare cose o persone specificamente predeterminate », che siano nascoste nell'ufficio di un avvocato (art. 103 comma l lett. b). Ad esempio, si ricerca un latitante che si sa essere presente nello studio legale; oppure, si ricerca una cambiale falsa che risulta essere depositata nel medesimo ufficio. /) n sequestro di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa è vietato nell'ufficio del difensore e dei suoi ausiliari « incaricati in relazione al procedimento » (investigatore privato autorizzato e consulente tecnico) . n sequestro è ammesso soltanto in relazione ad oggetti « che costituiscano corpo del reato » (art. 1 03 comma 2 ) . Non delegabilità degli atti di ricerca. Gli atti sopra ricordati, nei casi in cui sono ammessi, devono essere compiuti di regola da un giudice personal mente. Nel corso delle indagini possono essere compiuti personalmente dal pubblico ministero purché autorizzato dal giudice con decreto motivato (art. 103 comma 4). Preavviso al presidente del consiglio dell'ordine. n magistrato sopra menzionato (giudice o pubblico ministero autorizzato) , quando si accinge a compiere una perquisizione, una ispezione o un sequestro nell'ufficio del difensore, deve preavvisare, a pena di nullità, il presidente del consiglio dell'ordine perché questi (o un consigliere da lui delegato) possano « assistere alle operazioni » (art. l 03 comma 3 ) . Quella che è tutelata è la funzione difensiva; pertanto non è necessario il preavviso al consiglio dell'ordine quando il difensore è egli stesso imputato del reato per cui si procede ( 1 08). ( 1 08)
Cass., sez. II, 2 dicembre 1998, Benini, i n CED 201270.
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Profili generali del procedimento penale
II.I.6.h
I colloqui per esigenze difensive. È anche previsto il divieto di intercettare le conversazioni o comunicazioni che intercorrono tra i difensori, gli investiga tori privati, i consulenti tecnici ed i loro ausiliari « in relazione al procedi mento », ed anche le conversazioni tra i predetti ed i loro assistiti (art. 1 03 comma 5 ) ( 109). Parimenti, è previsto il divieto di sequestrare la corrispondenza tra l'imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni (v. art. 35 disp. att.) , salvo che la corrispondenza stessa costituisca corpo del reato. Le predette modalità e divieti devono essere osservati a pena di inutilizzabilità dei risultati degli atti compiuti (comma 7 ) . Qualora la intercet tazione delle comunicazioni o conversazioni tra il cliente ed il professionista si sia comunque verificata ed abbia ad oggetto un tema difensivo, il risultato è in utilizzabile ai sensi e nei limiti dell'art. 27 1 comma 2 . I colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare. n codice vuole assicurare all'indagato la possibilità di entrare immediatamente in con tatto con l'avvocato al fine di concordare le strategie difensive e, più in generale, di esercitare il proprio diritto di difesa in funzione dell'interrogatorio e prima di esso. La possibilità di conferire con il difensore viene garantita anche in favore dell'imputato che sia sottoposto all'arresto, al fermo o alla custodia cautelare e deve potersi esercitare fin dall'inizio dell'esecuzione della misura (art. 1 04 comma l e 2 ) . A tal fine l'indagato è avvisato della facoltà di nominare un difensore di fiducia (artt. 293 comma l e 386 comma l ) ; questi ed il difensore d'ufficio devono essere immediatamente informati dell'avvenuta esecuzione della misura (artt. 293 comma l e 3 86 comma l e 2 ) ; quindi il difensore ha diritto ad accedere al luogo di custodia senza alcuna autorizzazione (art. 36 disp. att.) e ciò al fine di conferire con l'indagato arrestato. Sul difensore incombe l'onere di dimostrare la sua qualità, se la stessa non risulta da altra fonte, nei modi indicati nell'art. 27 disp. att. (es. copia dell'avviso o certificazione della nomina). Nel corso delle indagini preliminari il diritto a conferire con il difensore può essere dilazionato, per un tempo non superiore a cinque giorni, con un decreto motivato emanato dal giudice su richiesta del pubblico ministero (art. 1 04 comma 3 ) . n giudice deve accertare che esistano « specifiche ed eccezionali ragioni di cautela »: le esigenze cautelari sono quelle previste dall'art. 274, ma devono essere fuori del comune (eccezionali) e specifiche, e cioè individuabili in base a dati storici. In definitiva, vi deve essere il pericolo che le indagini siano pregiudicate dal colloquio tra l'arrestato ed il difensore in caso di gravi fatti addebitati a più indagati. In caso di arresto o fermo, analogo provvedimento può essere disposto dal pubblico ministero fino al momento in cui l'arrestato è ( 1 09) li divieto opera in relazione a quel professionista che abbia assunto la difesa degli assistiti anche al di fuori del procedimento in cui la ricerca viene compiuta; così Cass., sez. un . , 12 novembre 1993, Grollino, in Cass. pen . , 1994, 910.
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I soggetti del procedimento penale
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posto a disposizione del giudice, e cioè fino a quarantotto ore dall'esecuzione della misura (art. 1 04 comma 4). 7.
La persona offesa dal reato e la parte civile. a.
La persona offesa dal reato.
Prima di illustrare quale ruolo svolgano, all'interno del procedimento penale, la parte civile e la persona offesa dal reato, occorre ricordare in estrema sintesi alcune nozioni di diritto penale sostanziale. n diritto penale tutela la società proteggendo i fondamentali beni giuridici. Ogni fatto di reato procura un'offesa ad un bene giuridico, e cioè una lesione o un pericolo per un interesse tutelato dalla legge. L'ordinamento giuridico risponde all'offesa con la sanzione penale. All'interno del procedimento penale l'interesse ad ottenere la condanna alla sanzione penale è tutelato dal pubblico ministero: questo soggetto rappresenta l'interesse generale alla repressione del reato. La persona offesa dal reato è il titolare dell'interesse giuridico protetto, anche in modo non prevalente ( 1 10), da quella norma incriminatrice che si assume sia stata violata dal reato ( 1 1 1 ). n codice attribuisce alla persona offesa la qualifica di " soggetto" del procedimento; la qualifica di "parte" le viene riconosciuta soltanto se, nella veste di danneggiato dal reato, la persona offesa ha esercitato l'azione risarcitoria costituendosi parte civile ( 1 12).
( 1 10) Nel reato d i calunnia il bene giuridico tutelato i n modo prevalente è l'amministrazione della Giustizia. Tuttavia, la giurisprudenza ritiene che il calunniato debba considerarsi persona offesa; infatti, anche l'interesse di tale soggetto è tutelato dalla fattispecie incriminatrice, seppure in modo non prevalente. In tal senso si è espressa Cass., sez. VI, 15 maggio 1998, De Lucia, in Cass. pen., 1999, 1477. La Suprema Corte ha rilevato che il delitto di calunnia è un reato plurioffensivo nel quale persona offesa dal reato non è solo lo Stato, per il pericolo che l'amministrazione della Giustizia sia tratta in inganno e fuorviata, ma anche il privato, per la lesione all'onore derivante dalla falsa incolpazione. Di conseguenza, al calunniato, che ne abbia fatto istanza, deve essere notificata la richiesta di archiviazione ai sensi dell'art. 408 comma 2 c.p.p., perché egli sia messo in grado di esercitare la facoltà di proporre opposizione ai sensi dell'art. 4 10. La giurisprudenza ritiene plurioffensivi, tra gli altri, i delitti contro la fede pubblica, i delitti di calunnia, falsa perizia, concussione, omissione di atti d'ufficio e abuso d'ufficio se finalizzato ad arrecare ad altri un danno ingiusto. In senso analogo, relativamente al delitto di omissione di atti d'ufficio (art. 328 c.p.), si veda Cass., sez. VI, 12 novembre 2002-4 febbraio 2003 , n. 5376, Cuffaro, in www.dirittoegiustizia.it, 2 1 maggio 2003. ( 1 1 1 ) Per individuare la persona offesa occorre, dunque, fare riferimento alla norma penale sostan ziale, accertare l'interesse che è oggetto della tutela e, quindi, procedere alla identificazione del soggetto o dei soggetti titolari di tale interesse. Ad esempio, nel delitto di sottrazione consensuale di minorenne che abbia compiuto gli anni quattordici (art. 573 c.p.), il minorenne consenziente è soltanto l'oggetto materiale della condotta, mentre la persona offesa è il genitore al quale è stato sottratto il minorenne. ( 1 12) In modo atecnico alcune recenti leggi di modifica del codice hanno utilizzato il termine « parte offesa >> per riferirsi alla persona offesa; ciò è awenuto negli artt. 282-quater, co. l, e 472, co. 3 -bis c.p.p . .
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Profili generali del procedimento penale
II.I.7.a
n codice di procedura penale prevede almeno un caso di persona offesa di " creazione legislativa" . Ai sensi dell'art. 90, comma 3 , qualora una persona sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti dalla legge in favore della persona offesa sono esercitati dai "prossimi congiunti" ( 1 13 ) , prescindendo dai diritti di natura civilistica derivanti dalla successione; pertanto la qualifica di offeso è attribuita anche a chi ha rinunciato alla eredità. Occorre anche ricordare che alcune disposizioni del codice usano il termine "vittima" quando intendono riferirsi all'individuo che ha subito la condotta illecita sulla propria persona ( 1 14). I poteri sollecitatori. L a persona offesa dal reato, nella sua qualità di soggetto del procedimento, può esercitare i diritti e le facoltà ad essa espressa mente riconosciuti dalla legge (art. 90 comma l ) ( 1 15 ) . Tra i poteri che può esercitare, possiamo menzionare quelli meramente " sollecitatori" dell'attività dell'autorità inquirente, come il presentare memorie o l'indicare elementi di prova nel corso del procedimento, escluso il giudizio di cassazione (art. 90 comma l) ( 1 16). I diritti di informativa. L'offeso gode anche di poteri di carattere "infor mativo" ; egli riceve l'informazione di garanzia (art. 3 69). L'informazione di garanzia è inviata dal pubblico ministero quando questi sta per compiere un atto garantito nei confronti di un indagato; se mancano queste condizioni (atto garantito ed indagato di reato) , l'informazione di garanzia non deve essere spedita alla persona offesa, che pertanto non riceve alcuna comunicazione "ufficiale" dell'esistenza di un procedimento in corso e dunque non è messa in grado di esercitare il diritto di difesa ( 1 17) . Occorre tuttavia notare che, a l pari dell'indagato, l a persona offesa ha un ( 1 13 ) Ai sensi dell'art. 307, comma 4 c.p. << agli effetti della legge penale, si intendono per "prossimi congiunti" gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole >>. ( 1 14 ) Art. 4 98, comma 4·ter c.p.p., in base al quale l'esame della << vittima >> del reato << viene effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l'uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico >>. Nella Decisione quadro 20011220 GAI, in Guida dir., 200 1 , 30, 98, è definita vittima la << persona fisica che ha subito un pregiudizio anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti od omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale >> (art. l, lett. a). ( 1 15) Le "facoltà" consistono in quei poteri, l'esercizio dei quali non fa sorgere alcun dovere nel pubblico ministero o nel giudice; i "diritti" sono quelle situazioni soggettive che fanno sorgere a carico dei predetti organi l'obbligo di emettere un provvedimento. ( 1 16) Tale potere attribuisce all'offeso una mera facoltà, poiché al suo esercizio non corrisponde un obbligo per il giudice di pronunciarsi, diversamente da quanto accade per le richieste presentate dalle << parti >> e dai loro difensori, in relazione alle quali il giudice deve provvedere << senza ritardo >> (art. 1 2 1 comma 2 c.p.p.); v. in/ra nel capitolo sugli atti. ( 1 1 7 ) Poiché nella prassi il pubblico ministero si limita ad inviare all'indagato l'invito a presentarsi contenente i requisiti dell'informazione di garanzia e del diritto di difesa (an. 375), l'invio di una autonoma informazione di garanzia alla persona offesa è atto desueto. Tra l'altro, non è imposto a pena di nullità.
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I soggetti del procedimento penale
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potere di accesso al registro delle notizie di reato, mediante apposita richiesta al pubblico ministero (art. 335, comma 3 ) . Un altro diritto di "informativa" spetta alla persona offesa nei casi nei quali il pubblico ministero proceda al compi mento di un accertamento tecnico non ripetibile. Il pubblico ministero avvisa l'offeso, l'indagato e i difensori del giorno, del luogo e dell'ora del conferimento dell'incarico, informandoli altresì che hanno la facoltà di nominare un consu lente tecnico di parte (art. 360). La persona offesa ha ulteriori diritti di informativa: deve essere avvisata della data e del luogo nel quale si svolgerà l'udienza preliminare (art. 4 19, comma l); inoltre deve esserle notificato il decreto che dispone il giudizio (art. 429, comma 4 ) . Detti avvisi servono a mettere l'offeso in grado di valutare se gli convenga costituirsi parte civile, qualora cumuli la qualifica di danneggiato. A ben vedere, i diritti di "informativa" possono svolgere nel modo più pieno la loro funzione se l'offeso ha nominato un difensore, perché soltanto quest'ultimo è tecnicamente in grado di consigliare al suo assistito come muoversi ed attivarsi in relazione ai singoli atti del procedimento. Purtroppo, la legge non prevede strutture pubbliche di assistenza alla persona offesa dal reato né si preoccupa di imporre che le singole "informative" , che gli devono essere rivolte, spieghino con chiarezza a tale soggetto i poteri che gli spettano ed, in particolare, il diritto di nominare un difensore. La partecipazione al procedimento. Passiamo adesso all'esame dei poteri di "partecipazione al procedimento" , che possono essere esercitati dalla persona offesa che abbia nominato un difensore. Quest'ultimo può limitarsi ad assistere ai pochi atti di indagine per i quali è ammessa la sua presenza (e che si riducono, in definitiva, all'accertamento tecnico non ripetibile, art. 360) ; oppure, può attivarsi fino a svolgere le cosiddette "investigazioni difensive" previste dall'art. 327 -bis c.p.p. Si tratta di indagini che sono compiute dal difensore personal mente o per mezzo di un sostituto, di un consulente tecnico di parte o di un investigatore privato autorizzato. Scopo di tali investigazioni è quello di per mettere al difensore di ricercare e individuare elementi di prova e di intervistare le "persone che possano dare informazioni " . L'art. 3 9 1 -octies prevede che tali documenti possano essere presentati al pubblico ministero o anche direttamente al giudice (si veda, in/ra, parte III, cap. 4). Sempre fra i poteri di tipo "partecipativo" si può ricordare che l a persona offesa (personalmente o per mezzo del difensore) può chiedere per scritto al pubblico ministero di promuovere un incidente probatorio, nel quale venga assunta una prova non rinviabile al dibattimento. In ogni caso, se l'incidente si svolge (sia a seguito di tale sollecitazione, sia su autonoma richiesta del pubblico ministero o dell'indagato) , il difensore della persona offesa sarà preavvisato, potrà parteciparvi e chiedere al giudice di rivolgere domande alle persone sottoposte ad esame (art. 4 0 1 , comma 5 ) . Per inciso, ricordiamo che la persona offesa può essere sentita come
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Profili generali del procedimento penale
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testimone in dibattimento e come possibile testimone durante le indagini preliminari. I poteri di controllo sulla eventuale inattività del pubblico mmtstero. Infine, alla persona offesa sono riconosciuti poteri di tipo prettamente "pena listico" , che cioè tendono a tutelare il suo interesse ad ottenere il rinvio a giudizio dell'imputato. All'offeso non è attribuita una vera e propria " azione penale" , e cioè il potere di chiedere al giudice il rinvio a giudizio dell'indagato. Viceversa, gli sono attribuiti poteri di controllo sulla eventuale inattività del pubblico ministero; essi consentono all'offeso di mettersi in contatto con il giudice per le indagini preliminari e presentargli le proprie conclusioni in due delicate ipotesi, e cioè quando il pubblico ministero abbia chiesto al giudice la proroga delle indagini (art. 406, comma 3 ) o l'archiviazione (art. 408, comma 2 ) . Nei due casi l'iniziativa del pubblico ministero deve essere resa nota soltanto alla persona offesa che, in precedenza, abbia formalmente chiesto al medesimo di esserne informata. Per ulteriori dettagli, rinviamo a quanto contenuto nella parte III, cap. 2 , § l e 3 . Dalla normativa, che abbiamo esposto in estrema sintesi, si può trarre la conferma che la persona offesa di regola non ha poteri di azione penale, bensì soltanto il potere di attivare il controllo del giudice in due casi, nei quali si palesa l'inerzia del pubblico ministero ( 1 18). b.
La parte civile.
n reato, oltre a costituire un'offesa ad un bene giuridico, può aver provo cato in concreto un danno. In tal caso colui che ha commesso il reato è obbligato a risarcire il danno e, se del caso, a restituire la cosa sottratta (art. 185 c.p . ) . L'illecito penale e l'illecito civile derivano dal medesimo titolo, e cioè dal fatto di reato. n danno risarcibile può manifestarsi nelle forme del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale. Ad esempio, nel reato di lesioni personali (art. 582 c.p . ) l'offesa consiste nella lesione dell'integrità fisica di una persona; il danno risarcibile consiste nelle perdite patrimoniali, nelle sofferenze e nel pregiudizio alla salute subiti dalla medesima persona (v. tav. 2 . 1 .32). l ) n danno patrimoniale consiste nella privazione o diminuzione del patrimonio nelle forme del danno emergente (es. le spese sostenute per curare ( 1 18) Il principio del monopolio dell'azione penale in capo al pubblico ministero può dirsi esistente oggi soltanto per i reati rientranti nella competenza del giudice professionale. Infatti, la riforma, che ha attribuito competenze penali al giudice di pace, ha infranto per la prima volta nel nostro sistema processuale il predetto monopolio limitatamente ai reati procedibili a querela. La legge delega n. 468 del 1999 e il successivo decreto legislativo n. 274 del 28 agosto 2000 hanno attribuito alla persona offesa la facoltà di chiedere con ricorso diretto al giudice di pace la citazione a giudizio del responsabile del reato. Sul punto, si veda ampiamente la trattazione svolta in/ra nel capitolo sul giudice di pace.
11.1.7.b
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le ferite) e del lucro cessante (es. la persona offesa ha avuto un'invalidità temporanea o permanente che le impedisce di lavorare e, quindi, di guada gnare) . n danno patrimoniale viene quantifìcato "per equivalente pecuniario" nel senso che si deve ripristinare quella situazione economica e patrimoniale del danneggiato che era preesistente e che avrebbe dovuto proseguire, se non fosse stato commesso il reato. 2) Il danno non patrimoniale (denominato comunemente " danno morale" ) consiste nelle sofferenze fisiche e psichiche patite a causa del reato (art. 205 9 c.c.). S i tratta di un danno che non può essere quantifìcato "per equivalente" poiché non è possibile ripristinare la situazione anteriore al reato; il danno non patrimoniale viene calcolato con modalità di tipo " satisfattivo" . Il giudice in via equitativa determina una cifra di denaro che possa dare una soddisfazione tale da compensare, se così si può dire, le sofferenze patite. Secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., il danno non patrimoniale è risarcibile in due ordini di casi: in primo luogo, quando la risarcibilità è prevista in modo espresso dalla legge (es. art. 185 c.p.); in secondo luogo, quando, pur in assenza di una previsione normativa, il danno non patrimoniale deriva dalla lesione di diritti inviolabili della persona ricono sciuti dalla Costituzione ( 1 19). Una tipologia di danno non patrimoniale di particolare rilevanza è costituita dal danno biologico, che consiste nella menomazione della integrità fìsico psichica del soggetto, che viene leso nel suo " diritto alla salute" riconosciuto dalla Costituzione quale « fondamentale diritto dell'individuo » (art. 32) ( 120). Il danno biologico è valutato in proporzione all'invalidità provocata ed è determinato in base a tabelle che tengono conto sia del tipo di invalidità, sia dell'età della persona lesa. Occorre sottolineare che, in questo caso, non entra
( 1 1 9 ) Con la sentenza Cass., sez. un., 1 1 novembre 2008, n. 26972, in Guida dir. , 2008, 47, 16, la S.C. non solo ha superato l'orientamento che concepiva il danno non patrimoniale come composto dalle sottoca tegorie del danno morale soggettivo, biologico ed esistenziale ma ha anche, più in generale, riesaminato ap profonditamente i presupposti ed il contenuto della nozione di danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. La predetta decisione ha stabilito, in particolare, che il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia e onnicomprensiva, all'interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non in via pu ramente descrittiva. Pertanto non è ammissibile nel nostro ordinamento la liquidazione di una pluralità di voci di danno, cumulando, ad esempio il danno biologico con il danno esistenziale. li concetto di danno esistenziale, inteso come perdita del " fare a-reddituale" della persona, non può sussistere come danno ulteriore. Una simile perdita, ove causata da un illecito lesivo di un diritto della persona costituzionalmente garantito (ad es., diritti inviolabili della famiglia artt. 2, 29 e 30 Cost.), costituisce un ordinario danno non patrimoniale, di per sé risarcibile ex art. 2059 c.c. , e che non può essere liquidato separatamente. ( 120) La definizione normativa di danno biologico è stabilita nell'art. 138 del Codice delle assicura zioni private d.lgs. n. 209 del 2005: << per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell'integrità psico-fìsica della persona, suscettibile di valutazione medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipenden temente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito >>.
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in gioco la valutazione della capacità di reddito dell'individuo, che viene già considerata nel determinare il lucro cessante. La persona danneggiata dal reato. Con queste nozioni, sia pur sintetiche, riteniamo conclusa la parentesi di diritto sostanziale. Ebbene, il soggetto, che ha subìto uno dei tipi di danno sopra precisati in conseguenza del reato, è definito "danneggiato dal reato " ; egli ha diritto ad ottenere che il responsabile del reato sia condannato a risarcire il danno. L'azione tendente a conseguire l'accerta mento della ,responsabilità e la condanna al risarcimento può essere esercitata, in alternativa, davanti al giudice civile in un autonomo procedimento, oppure davanti al giudice penale ma soltanto dopo che il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale. In quest'ultimo caso, il danneggiato esercita l'azione civile costituendosi parte civile nel processo penale (art. 76 c.p.p.) . Dalle considerazioni sinora svolte si può dedurre che molto spesso la medesima persona riveste sia la qualifica di persona offesa dal reato, sia la qualifica di persona danneggiata dal reato. Rari sono i casi nei quali un individuo ha soltanto una delle due qualifiche; su di essi ci soffermeremo più avanti. La distinzione tra persona offesa e danneggiato dal reato è importante perché ad essa è ricollegato l'esercizio di differenti poteri spettanti all'una o all'altra qualifica. Le regole per l'esercizio dell'azione civile nel processo penale. L'esercizio dell'azione civile nel processo penale è fondato su due regole non espresse, ma che si ricavano dalla normativa del codice. In primo luogo l'azione civile resta "ospite" nel processo penale; in secondo luogo l'azione civile subisce la regolamentazione di quest'ultimo. La prima regola comporta che l'azione civile mantenga la sua natura e le sue caratteristiche civilistiche. L'azione resta facoltativa e disponibile, nel senso che il danneggiato in ogni momento del processo penale può revocare la costitu zione di parte civile (art. 82) : ciò avviene, ad esempio, quando la parte civile stipula con l'imputato una transazione sul risarcimento dovuto. Inoltre, il giudice penale, nell'accertare i danni e nel condannare al risarcimento l'impu tato colpevole, non può andare oltre i limiti della domanda, e cioè della quantità del risarcimento richiesto dalla parte civile. La seconda regola, della prevalenza della normativa del processo penale, comporta che al di fuori di quanto attiene alla natura "civilistica" dell'azione, i poteri ed il comportamento processuale della parte civile sono disciplinati dal codice di procedura penale. Pertanto, l'esercizio dell'azione civile nel processo penale subisce, nei suoi aspetti "procedimentali" , varie deroghe rispetto alla regolamentazione che vige nel processo civile. Ad esempio, le prove dell'illecito penale e dei danni cagionati (negli aspetti quantitativi che servono alla precisazione dell'eventuale sanzione penale ai sensi dell'art. 133 c.p.) sono ricercate d'ufficio dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, che restano segrete (di regola) fino al loro termine.
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Naturalmente, la parte civile ha un autonomo diritto di ricerca e di ammissione della prova; tuttavia può affidarsi all'iniziativa del pubblico ministero. Rispetto al processo civile, ciò costituisce un vantaggio per il danneggiato, che non deve anticipare le spese necessarie allo svolgimento del processo penale. I doveri della parte civile. Un altro esempio della prevalenza del processo penale si trova nella norma che impone alla parte civile di deporre con l'obbligo, penalmente sanzionato, di dire la verità, quando sia citata come testimone. Vi ceversa, nel processo civile le parti non possono essere chiamate a deporre come testimoni con l'obbligo, penalmente sanzionato, di dire la verità (art. 246 c.p.c.) . Una conferma della natura civilistica dell'azione sta invece nel fatto che la parte civile può chiedere al giudice penale di condannare l'imputato a pagare una provvisionale. Il giudice deve disporre la provvisionale nei limiti in cui sia già acquisita la prova del danno (art. 539 c.p.p.); tale condanna è immediata mente esecutiva in primo grado (art. 540 c.p.p.). L'istituto è simile a quello previsto nell'art. 278 c.p.c. In definitiva il danneggiato, che eserciti l'azione civile nel processo penale, incontra, in prevalenza, vantaggi: non anticipa le spese del procedimento e non deve affannarsi a ricercare le prove; ed inoltre gode dei tempi più ristretti della Giustizia penale rispetto a quella civile. Di contro, si trova in un procedimento nel quale l'iniziativa e le scelte fondamentali spettano al pubblico ministero. Un altro svantaggio consiste nell'effetto di giudicato di quella sentenza di assolu zione che, se afferma l'innocenza dell'imputato con le formule ampie previste dall'art. 652 , impedisce al giudice civile di condannare al risarcimento del danno (si veda in/ra, parte VI, cap. l, § 9). La dichiarazione di costituzione di parte civile. La costituzione di parte civile deve essere fatta mediante una apposita dichiarazione resa per scritto ai sensi dell'art. 78 c.p.p.; la dichiarazione deve essere sottoscritta dal difensore della parte civile, perché il danneggiato sta in giudizio non personalmente ma mediante il difensore munito di procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata (art. 1 00 comma 1 ) . La dichiarazione svolge la funzione dell'atto di citazione in un processo civile (anche se è meno complessa di un atto di citazione); essa deve contenere a pena di inammissibilità i seguenti elementi (v. atto 2 . 1 .3 3 ) : a) l e generalità della persona fisica ( o l a denominaziòne dell'associazione o ente che si costituisce parte civile e le generalità del suo legale rappresentante); b) le generalità dell'imputato nei cui confronti viene esercitata l'azione civile (o le altre indicazioni personali che valgono ad identificarlo) ; c) il nome e il cognome del difensore e l a indicazione della procura a questi rilasciata; d) la esposizione delle « ragioni » che giustificano la « domanda ». Que st'ultima consiste, ricordiamolo, nella richiesta al giudice di pronunciare la condanna dell'imputato al risarcimento del danno (ed è indicata con il termine
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latino petitum). Le « ragioni » consistono nei motivi per i quali si asserisce che il reato ha provocato un danno patrimoniale o non patrimoniale (e sono indicati con l'espressione causa petendi) . I motivi consentono al giudice di valutare se il richiedente è legittimato a costituirsi parte civile. In questo momento sono indispensabili a pena di inammissibilità i motivi e la richiesta di condanna al risarcimento (causa petendi e petitum); viceversa, non è necessaria (anche se è possibile) quella parte del petitum che consiste nella precisazione del quantum dell'ammontare del risarcimento; la indicazione del quantum richiesto sarà invece indispensabile al momento della presentazione delle conclusioni scritte al termine del dibattimento (art. 523 comma 2 ) ; e) l a sottoscrizione del difensore. La procura speciale al difensore è apposta in calce o a margine della dichiarazione di parte civile ed il difensore certifica la autografia della sotto scrizione del danneggiato (artt. 78 comma 3 e 100 comma 2 ) ; se la procura è conferita con atto separato ( art. 1 00 comma 1 ) , tale atto è depositato nella cancelleria del giudice o è presentato in udienza unitamente alla dichiarazione di costituzione (art. 78 comma 3 ) . I termini per la costituzione di parte civile. Vi sono due termini per costituirsi parte civile. n primo scatta all'inizio dell'udienza preliminare (art. 79, comma l) nel momento in cui il giudice accerta la regolare costituzione delle parti. n limite "finale" per costituirsi parte civile è il momento in cui il giudice accerta la regolare costituzione delle parti prima dell'inizio del dibattimento (art. 484). Dopo tale momento la dichiarazione di costituzione di parte civile è inammissibile. Infatti, il relativo termine è stabilito a pena di decadenza (art. 79, comma 2 ) . L a dichiarazione può essere presentata nell'udienza (preliminare o dibatti mentale) all'ausiliario del giudice; prima dell'udienza, può essere depositata nella cancelleria del giudice (art. 78, comma 1 ) . In quest'ultimo caso essa deve essere notificata, a cura della parte civile, alle altre parti, e cioè al pubblico ministero e all'imputato (art. 78, comma 2 ) . La dichiarazione produce effetto per ciascuna parte dal giorno nel quale è eseguita la notificazione. Può essere utile sottolineare che la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo (c.d. principio di immanenza della costituzione di parte civile; art. 76, comma 2 ) . Ciò comporta che la parte civile non ha la necessità di rinnovare la costituzione nelle successive fasi o nei successivi gradi del processo, finché la sentenza non sia diventata irrevocabile. Esclusione della parte civile. Se non esistono i presupposti sostanziali o i requisiti formali per la costituzione di parte civile, il giudice, con ordinanza, ne dispone l'esclusione su richiesta motivata del pubblico ministero, dell'imputato o del responsabile civile (art. 80) ovvero d'ufficio (art. 8 1 ) . L'ordinanza di esclusione della parte civile non è impugnabile.
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Revoca della parte civile. La presenza della parte civile viene meno anche nelle ipotesi di revoca espressa o tacita. È espressa la revoca effettuata con dichiarazione resa in udienza dalla parte civile personalmente o da un suo procuratore speciale o con atto scritto depositato in cancelleria e notificato alle altre parti (art. 82, comma 1 ) . Si ha invece revoca tacita qualora la parte civile non presenti le proprie conclusioni scritte in dibattimento al momento della discussione finale (art. 523 ) o qualora ave essa promuova l'azione civile davanti al giudice civile (art. 82, comma 2 ) . L'azione risarcitoria davanti al giudice civile. n codice di procedura penale prevede che il danneggiato dal reato possa compiere altre due scelte in alternativa a quella di costituirsi parte civile (v. tav. 2 . 1 .34). Da un lato, può esercitare l'azione di danno davanti al giudice civile; da un altro lato, può restare inerte, e cioè non esercitare l'azione risarcitoria né in sede penale, né in sede civile. A tali scelte sono ricollegate alcune conseguenze giuridiche. Se il danneggiato resta inerte, corre il rischio che il giudice penale assolva l'imputato con una formula ampia, che acquista la forza del giudicato. Infatti, quando il danneggiato è stato messo in grado di partecipare al processo penale e non ha voluto difendersi, la sentenza di assoluzione con formula ampia ha efficacia vincolante in relazione al fatto che sia stato accertato (art. 652 ; si veda in/ra, parte VI, cap. l , § 9). Nell'altro caso, e cioè qualora il danneggiato eserciti l'azione risarcitoria davanti al giudice civile in modo " tempestivo" (e cioè prima che il giudice penale abbia pronunciato una decisione in primo grado), l'azione civile può svilupparsi senza subire sospensioni, parallelamente allo svolgersi del processo penale (art. 75, comma 2 ) . Vi è un ulteriore vantaggio: una eventuale assolu zione dell'imputato nel processo penale non ha la forza del giudicato, e cioè non vincola il giudice civile né gli impedisce, eventualmente, di condannare l'imputato-convenuto al risarcimento del danno, ave siano raccolte le prove della responsabilità di quest'ultimo. Dal quadro che abbiamo tracciato, e che si propone di dare una sintetica descrizione delle scelte operate dal codice, si può ricavare la seguente conside razione. n legislatore in materia di risarcimento del danno derivante dal reato detta orientamenti tra loro contrastanti. Vi è un orientamento "prevalente" , che vuole che il processo penale ed il processo civile, in tema di danno derivante da reato, si svolgano separatamente; che si tratti dell'orientamento prevalente lo dimostra il fatto che il danneggiato non subisce gli effetti del giudicato penale se inizia tempestivamente l'azione risarcitoria in sede civile. L'orientamento " non prevalente" è quello che permette al danneggiato di esercitare l'azione civile entro il processo penale; con ciò, si accoglie il principio dell'unione dei due processi, che può comportare una situazione di vantaggio nell'esercitare l'azione civile nel processo penale.
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Offeso e danneggiato nel codice del 1 988.
n codice del 1988 ha fatto una scelta singolare, che ha abbandonato la tradizione italiana ed anche il modello "francese" da cui deriva. Alla persona offesa il codice ha riconosciuto un ruolo meramente "penalistico" , e cioè un interesse ad ottenere soltanto la persecuzione penale del colpevole del reato; viceversa, al danneggiato che si sia costituito parte civile il codice ha voluto riconoscere un ruolo meramente " civilistico " , e cioè ha inteso tutelarne soltanto l'interesse ad ottenere il risarcimento del danno derivante dal reato. Quanto questo risultato sia ottenibile nella realtà delle cose non è dato di sapere, perché nella prassi la parte civile si comporta come un'accusa penale privata e, viceversa, la persona offesa è presente nel procedimento, il più delle volte, al fine di stimolare l'accusa nella ricerca di quegli elementi di fatto sui quali, successivamente, la medesima persona offesa valuterà se fondare la richiesta di risarcimento del danno. La scelta del codice ha un primo riflesso sulla "struttura" del procedimento penale. Nelle indagini preliminari è tutelata soltanto la persona offesa dal reato nel suo interesse "penalistico" ad ottenere il rinvio a giudizio dell'imputato. Viceversa, non viene in nessun modo tutelata la situazione soggettiva di " danneggiato" dal reato; e, si badi bene, neanche nel suo interesse ad ottenere, quale premessa di un futuro effettivo risarcimento del danno, un provvedi mento di sequestro conservativo sui beni del presunto autore del reato. Dopo la formulazione dell'imputazione i ruoli appaiono capovolti. La persona offesa (in quanto tale, e cioè se non si costituisce parte civile in qualità di danneggiata dal reato) può solo presentare memorie ed indicare elementi di prova, ma non ha la possibilità di partecipare attivamente all'udienza prelimi nare né al dibattimento; viceversa, soltanto la parte civile può parteciparvi. In definitiva, la persona offesa, dal momento in cui il pubblico ministero formula l'imputazione, si vede riconosciuti poteri processuali soltanto se cumula la veste di danneggiato e se esercita l'azione civile entro il processo penale. Ci possiamo chiedere perché il codice abbia voluto distinguere le due qualità e i due diritti di difesa spettanti alla persona offesa ed alla parte civile. Dalla Relazione al progetto preliminare si ricava che il legislatore ha voluto premere perché il danneggiato esercitasse l'azione civile nel processo civile. La scelta del legislatore ha la seguente motivazione. Si vuole che i due processi, penale e civile, si svolgano separatamente; e ciò, sia per evitare che il problema del risarcimento del danno condizioni l'accertamento della respon sabilità penale, sia per non alterare l'equilibrio delle parti nel processo, ove il ruolo dell'accusa è già assunto dal pubblico ministero. n legislatore preferisce che i due procedimenti si svolgano separatamente, anche se il titolo da cui derivano la responsabilità penale e civile è unico, e cioè il compimento di un reato. Evidentemente il legislatore pensa che l'impedire al danneggiato di
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costituirsi parte civile durante le indagini preliminari induca tale persona ad esercitare l'azione civile nel processo civile. Questo è il meccanismo di " inge gneria processuale" che si è messo in atto e da questo derivano tutte le complessità che stiamo esaminando ( 12 1 ) . Una volta eliminata l a parte civile dalla fase delle indagini preliminari, si è dovuto creare uno strumento sostitutivo che tutelasse almeno la persona offesa dal reato. Ciò è stato possibile perché di regola le due qualifiche di offeso e di danneggiato coesistono nel medesimo soggetto ( 122). Ecco allora che alla persona offesa è stata riconosciuta la qualifica di "soggetto" del procedimento e le sono stati attribuiti poteri processuali ricollegati esclusivamente al possesso di tale qualifica ( 123 ).
( 12 1 ) Nella sentenza 19 marzo 2001 n. 7 5 l a Corte costituzionale h a dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 83 c.p.p. nella parte in cui non prevede la possibilità per l'imputato, nel caso di costituzione di parte civile, di chiamare, o chiedere l'autorizzazione a chiamare nel processo, quale responsabile civile, l'esercente l'aeromobile a norma dell'art. 878 del codice della navigazione. Il Giudice delle leggi ha affermato che se si estendesse il novero dei responsabili civili nel processo penale « si presupporrebbe l'esistenza di una obbligatoria "omologazione" tra processo civile e processo penale che, al contrario, il sistema ha ( . . . ) , mostrato di ripudiare: e ciò, d'altra parte, in perfetta sintonia con le specifiche esigenze che - ora anche al lume delle indicazioni previste dall'art. 1 1 1 Cost. - devono caratterizzare quest'ultimo processo >>. ( 122) A soli fini di chiarezza, ripetiamo gli .esempi fatti in precedenza. Il soggetto che ha subìto una lesione personale è al tempo stesso persona offesa e danneggiata. Parimenti, nel delitto di calunnia (art. 368 c.p.) il soggetto, al quale è stato ingiustamente attribuito il reato, è al tempo stesso offeso e danneggiato, perché ha subìto quanto meno un danno morale. Possiamo fare un esempio di reato nel quale offeso e danneggiato non coincidono. Nel corso di una rapina è danneggiata un'auto parcheggiata nelle vicinanze. Il proprietario dell'auto è il danneggiato, mentre la persona aggredita è insieme offesa e danneggiata. ( 123) La scelta del legislatore potrebbe, in ipotesi, essere accettabile se il reato fosse espressione di un fatto occasionale compiuto da un soggetto non pericoloso, come può avvenire, ad esempio, nell'ingiuria; non è accettabile quando il reato è un fatto intenzionale compiuto da soggetti pericolosi o comunque legati alla criminalità organizzata. Di fatto in questi casi non si ha una situazione di tendenziale eguaglianza fra le parti, e cioè manca il presupposto che è richiesto perché il processo civile possa svolgersi con le sue regole comuni. Nei casi nei quali una parte è debole, già il processo civile è stato modificato in modo da poterla tutelare: si pensi al processo in materia di lavoro e a tutti quei procedimenti speciali nei quali è permesso al giudice di ricercare le prove anche fuori dalla iniziativa di parte. Ebbene, di fronte ad un omicidio compiuto da un appartenente alla criminalità organizzata, il codice fa comprendere la sua preferenza che l'azione civile tendente ad ottenere il risarcimento del danno sia esperita in un normale processo civile che dovrebbe vedere l'imputato nella veste di " convenuto" . Una visione del genere è perfetta dal punto di vista di un giurista, che ritenga che il diritto viva in un mondo isolato dalla realtà. Viceversa, come diceva Piero Calamandrei, il diritto non serve per gli studiosi, bensì per regolamentare la realtà e deve misurarsi con la funzione che è chiamato a svolgere. L'esperienza della vita concreta ci mostra che l'autore di un reato tende tanto più a nascondersi, quanto più grave è l'offesa provocata e quanto più pesanti sono le sanzioni che la legge prevede. L'illecito penale si distingue dal mero illecito civile proprio perché è gravemente offensivo dei beni fondamentali per la società civile. L'autore di un grave reato tenderà a nascondere le prove, ad intimidire o perfino sopprimere i testimoni e, fra di essi, la persona offesa dal reato. I suoi complici, come i "bravi" nel romanzo del Manzoni, faranno comprendere che il processo penale "non si ha da fare"; ed ovviamente non si ha da fare il processo civile. Pensare che la persona danneggiata dal reato provveda ad instaurare un processo civile contro l'imputato di un reato di criminalità organizzata per ottenere il risarcimento del danno, quando già deve cercare di
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Gli enti rappresentativi di interessi lesi dal reato.
Il codice prevede che possano essere presenti nel procedimento altri soggetti oltre alla persona offesa dal reato ed alla parte civile. Tali ulteriori soggetti sono l'ente rappresentativo di interessi lesi dal reato (art. 9 1 ) , il responsabile civile (art. 83 ) , la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (art. 89) e gli enti responsabili in via amministrativa per i reati commessi da loro rappresentanti o dirigenti. Sono soggetti la cui presenza è rara nella maggior parte dei processi penali; tuttavia, può essere interessante fare ad essi qualche cenno. In primo luogo, è opportuno ricordare un soggetto che si può qualificare come "persona offesa di creazione politica" . Si tratta dell'ente o associazione rappresentativa di un interesse leso dal reato. Di tale soggetto il codice prevede in via generale la possibilità di intervento nel procedimento penale, rinviando a successive leggi che autorizzano singoli enti (art. 9 1 ) . Dopo l'entrata in vigore del codice vi sono state varie leggi che hanno previsto l'intervento di enti rappre sentativi di interessi lesi: ai sensi dell'art. 1 87 del decreto legislativo 24 febbraio 1 998, n. 58, nei procedimenti per i reati relativi all'uso di informazioni riservate nelle operazioni in valori mobiliari (insider trading) , la Commissione nazionale per le società e la borsa (CoNsoB) può esercitare i diritti e le facoltà riconosciute dal codice agli enti rappresentativi di interessi lesi dal reato; in base all'art. 7 della legge 20 luglio 2004 n. 189 analoghe facoltà sono riconosciute alle associazioni che tutelano gli animali e che sono individuate con decreto ministeriale Una volta fatti i riferimenti concreti, è possibile tracciare la figura dell'ente rappresentativo: questo ha poteri processuali simili a quelli esercitabili dalla persona offesa dal reato. Il punto di partenza è dato dall'art. 9 1 del codice, secondo cui l'ente può « esercitare in ogni stato e grado del procedimento i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato ». Da ciò si ricava che l'ente è un "soggetto" del procedimento e non una "parte" . Il difensore che rappresenta l'ente può partecipare all'udienza preliminare e al dibattimento; in tale sede può chiedere al presidente di rivolgere domande alle persone sottoposte ad esame incrociato e può altresì chiedere l'ammissione di nuovi mezzi di prova (art. 505 ) . I n definitiva, l'ente rappresentativo dell'interesse leso dal reato è soltanto un "soggetto" che si colloca come accusatore a fianco del pubblico ministero, senza poter esercitare né l'azione penale, né l'azione civile di danno ( 124) . difendersi per salvarsi l a vita, è ragionare fuori dalla realtà. Per le considerazioni svolte, riteniamo estrema mente utile la presenza della parte civile nel processo penale. ( 124) Altre leggi hanno, invece, attribuito ad enti rappresentativi di interessi lesi dal reato la legittimazione a costituirsi parte civile. Si vedano gli artt. 1 1 , cornma 5, legge 9 1uglio 1990, n. 188 (Tutela della ceramica artistica e tradizionale e della ceramica italiana di qualità) ; 36, comma 2, legge 5 febbraio 1992, n.
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Il codice lascia aperta la strada alla possibilità che, in base a future leggi, enti esponenziali di interessi lesi intervengano nel procedimento penale; tutta via, permette l'intervento di questi ultimi ancorandolo a rigidi requisiti che hanno (o dovrebbero avere) la funzione di evitare che venga snaturata la parità delle parti nel processo penale. Quale primo requisito si richiede che l'ente collettivo sia riconosciuto in forza di legge e che tale riconoscimento sia intervenuto anteriormente alla commissione del reato. Quale secondo requisito si impone che l'ente sia " rappresentativo" , e cioè abbia come finalità la tutela dell'interesse (collettivo o diffuso) leso dal reato; è necessario anche che l'ente non abbia scopo di lucro. Infine, si richiede un terzo requisito, e cioè il consenso della persona offesa dal reato (art. 92) , ovviamente se tale persona è identificabile. Quest'ultima può prestare il proprio consenso a non più di un ente e può revocare il consenso col limite che, in caso di revoca, non può più prestarlo né allo stesso, né ad altri enti. L'ente che adempia ai predetti requisiti può presentare all'autorità proce dente un atto di intervento. In tal modo può esercitare nel procedimento penale, per mezzo di un difensore, i diritti e le facoltà che il codice attribuisce alla persona offesa dal reato. L'ente non è una parte, bensì è una persona offesa di creazione politica; in questa sua qualità può svolgere la funzione di accusa, senza essere titolare dell'azione penale. b.
n responsabile civile.
n responsabile civile è il soggetto obbligato a risarcire il danno causato dall'autore del reato. Può essere citato nel processo penale a richiesta della parte civile (art. 83 ) o può intervenire volontariamente quando vi è stata costituzione di parte civile (art. 85 ) . n codice di procedura penale fa riferimento ad un istituto civilistico, cioè al responsabile civile per un fatto altrui. Il responsabile civile è un soggetto che 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate); 2, comma 5 , legge 29 dicembre 1993 , n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura); 10, legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura); 39, comma l, d.p.c.m. 7 marzo 1997, n. 1 10 (Nuovo statuto della Croce rossa italiana); 4, comma 3, legge 3 agosto 1999, n. 265 (Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142). Si veda inoltre, per il suo carattere generale, la l. 7 dicembre 2000, n. 383 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale) in base alla quale le associazioni di promozione sociale, definite all'art. 2 della medesima legge, sono legittimate « ad intervenire in giudizi civili e penali per il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione di interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall'associazione >> (art. 27 comma l lettera b). E ancora, ai sensi dell'art. 6 1 , comma 2 , d.lgs. n. 8 1 del 2008, analoghe facoltà sono riconosciute alle organizzazioni sindacali ed alle associazioni dei familiari delle vittime di infortuni sul lavoro con riferimento ai reati << commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale ».
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non ha partecipato al compimento dell'illecito penale, ma è chiamato a risarcire il danno provocato dalla persona che ha commesso tale fatto illecito. Il codice civile prevede singole ipotesi di responsabilità "per fatto altrui" ; in tali casi il responsabile civile è obbligato in solido con l'imputato al risarcimento del danno. Si può citare l'art. 2049 c.c., secondo cui i « padroni e i committenti » sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito compiuto dai loro " dipendenti" nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. Qualora nel l' esercizio delle incombenze venga commesso un illecito penale, questo obbliga al risarcimento non soltanto il colpevole, ma anche le persone che a norma delle leggi civili debbono rispondere per il fatto di lui (art. 185 c.p.) . Merita segnalare che si può citare come responsabile civile la compagnia assicurativa per la responsabilità da circolazione stradale ( 125). In questa ipotesi, come nelle altre previste nel codice civile, scatta una responsabilità civile per fatto altrui. Ebbene, se il danneggiato esercita, nel processo penale, l'azione civile risarcitoria contro l'imputato, può anche sce gliere, se crede, di chiedere la condanna del responsabile civile (v. tav. 2 . 1 .3 ) . Come pure, il responsabile civile può intervenire volontariamente nel processo penale per chiedere l'ammissione di prove che lo liberino da responsabilità o che dimostrino l'innocenza dell'imputato. Pertanto il responsabile civile è "parte" fin dal momento in cui è stato citato o è intervenuto volontariamente; ma è una parte "eventuale" del processo penale perché la sua presenza richiede che, in primo luogo, il danneggiato si sia costituito parte civile e, in secondo luogo, che il responsabile civile sia stato citato o sia intervenuto volontaria mente. Soltanto a queste condizioni il giudice penale nella sentenza deciderà sulla responsabilità civile per fatto altrui. c.
La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria.
La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria è una "parte eventuale" del processo penale: essa è citata a richiesta del pubblico ministero o dell'imputato (art. 89) . La natura giuridica dell'istituto trae la sua origine da una particolare forma di responsabilità verso lo Stato a carico di un soggetto diverso dall'autore del reato. La responsabilità si attiva quando l'autore del reato, che sia stato condannato e sottoposto ad esecuzione per una pena pecuniaria (multa o ammenda) , sia insolvibile. In tal caso, l'obbligo di pagare la multa o l'ammenda è posto a carico della persona fisica o giuridica indicata dagli artt. 196 e 1 97 del
( 125 ) Con sentenza n. 1 12 del 1998, la Corte costituzionale ha affermato che in caso di responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria prevista dalla legge n. 990 del 1969, il responsabile civile (e cioè la compagnia assicuratrice) può essere citato nel processo penale a richiesta dell'imputato.
II I 8 d .
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.
I soggetti del procedimento penale
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codice penale. Costei è condannata nel processo penale a pagare l e somme di denaro nel caso in cui l'autore del reato si dimostri insolvibile. In base all'art. 196 i soggetti civilmente obbligati al pagamento della pena pecuniaria sono individuati nelle persone che sono rivestite di autorità, dire zione o vigilanza sull'autore del reato, se si tratta di violazioni di disposizioni che le predette persone erano tenute a far osservare. In base al successivo art. 1 97 altri soggetti civilmente obbligati sono individuati negli enti forniti di persona lità giuridica, qualora sia pronunciata condanna contro chi ne abbia la rappre sentanza o l'amministrazione o ne sia dipendente, quando si tratta di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole ovvero sia commesso nell'interesse della persona giuridica. In definitiva, si tratta di una responsabilità civile sussidiaria ed eventuale per il caso dell'insolvibilità del condannato in relazione al pagamento della multa o dell'ammenda. La responsabilità è civile (e cioè attiene al pagamento di una somma) , ma la fonte è la condanna penale alla multa o all'ammenda. Pertanto la persona civilmente obbligata è una "parte eventuale" del processo in relazione all'azione penale esercitata dal pubblico ministero. Soltanto dopo che la persona civilmente obbligata è stata citata su richiesta del pubblico ministero o dell'imputato, questa diventa "parte" del processo penale ed il giudice deciderà in sentenza sui suoi obblighi (v. tav. 2 . 1 .3 ) . d.
Gli enti responsabili in via amministrativa per i reati commessi da loro rappresentanti o dirigenti.
Merita precisare che il decreto legislativo 8 giugno 200 1 , n. 23 1 ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo tipo di responsabilità amministra tiva dipendente dal compimento di determinati reati. Tale responsabilità è attribuita alle persone giuridiche ed alle società e associazioni in relazione ai reati commessi, nell'interesse o a vantaggio dell'ente, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell'ente medesimo o che ne assumono, anche di fatto, la gestione e il controllo; o ancora, da persone in posizione subordinata in caso di omesso controllo da parte dei soggetti in posizione apicale ( 126). Si tratta di una responsabilità limitata a reati espressa mente elencati dalla legge, dei quali tratteremo nella parte IV, cap. 5 . Al momento, ricordiamo i delitti di concussione e corruzione (art. 25 ) , nonché i delitti di indebita percezione di erogazioni, di truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, di frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (art. 24) . Agli enti è ( 126) Ai sensi dell'art. l , comma 3, le disposizioni del predetto decreto legislativo « non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale >>.
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11.1.8.d
addebitata una responsabilità di tipo amministrativo, anche se questa è accertata all'interno di un procedimento penale; nei confronti degli enti sono applicabili sanzioni pecuniarie ed interdittive (ad es. interdizione dall'esercizio dell'attività; sospensione o revoca di autorizzazioni; divieto di contrattare con la pubblica amministrazione; esclusione di agevolazioni) . Nei procedimenti per i reati menzionati il pubblico ministero cita l'ente in qualità di parte. L'ente che intende partecipare attivamente al procedimento penale si costituisce con una dichiarazione scritta che deve contenere, a pena di inammissibilità, la propria denominazione e le generalità del legale rappresen tante, il nome e il cognome del difensore, l'indicazione della procura, la sottoscrizione del difensore e l'elezione di domicilio (art. 39). Se l'ente sceglie di non partecipare al procedimento e, pertanto, non si costituisce, nella fase processuale viene dichiarato contumace (art. 4 1 ) . Come conseguenza della riforma dovuta al decreto legislativo n . 23 1 del 200 1 , il processo penale può avere come oggetto eventuale, oltre alla respon sabilità civile per i danni derivanti dal reato, anche quella responsabilità amministrativa dell'ente giuridico che deriva dagli illeciti penali commessi dai rappresentanti e dai dirigenti dell'ente medesimo. Il decreto legislativo n. 23 1 prevede apposite norme processuali. Il procedimento per l'illecito amministra tivo è riunito, di regola, al procedimento penale instaurato nei confronti dell'autore del reato da cui l'illecito dipende (art. 38 d.lgs. n. 23 1 ) . Per ulteriori dettagli, rinviamo alla parte quarta, cap. quinto.
CAPITOLO II GLI ATTI
SoMMARIO: l . Gli atti del procedimento penale.
l.
-
2. Le cause di invalidità degli atti.
Gli atti del procedimento penale. a.
Considerazioni generali.
Viene tradizionalmente definito " atto del procedimento penale" quell'atto che è compiuto da uno dei soggetti (giudice, pubblico ministero, polizia giudiziaria, parti private, ecc.) e che è finalizzato alla pronuncia di un provve dimento penale (sia esso una sentenza, una ordinanza o un decreto) . In base a tale definizione rientrano nel concetto di "atto" sia gli atti delle indagini preliminari (che, ricordiamo, sono compiuti in una fase preprocessuale) , sia gli atti dell'udienza preliminare e del giudizio (che fanno parte del processo penale) . Pertanto, richiamando anche quanto abbiamo anticipato nel prece dente capitolo ( § l . b), il primo atto del procedimento penale è quello che segue la ricezione della notizia di reato da parte della polizia giudiziaria o del pubblico ministero (art. 330). Occorre precisare che con il termine " atto" si designa quella " attività" che è compiuta da un soggetto. Tuttavia, nella prassi il termine "atto" individua anche il risultato permanente della attività che è stata compiuta. In quest'ultimo significato "atto" sta ad indicare sia il verbale che documenta l'attività compiuta, sia il testo del provvedimento pronunciato (sentenza, ordinanza, decreto) (v. tav. 2.2 . 1 ) . Atti a forma vincolata. Proseguendo in queste premesse di carattere generale, dobbiamo ricordare che gli atti più importanti del procedimento penale hanno una forma vincolata. n libro secondo del codice di procedura penale prevede i "modelli legali" che sono prefissati in via generale per gli atti del procedimento. Nei libri successivi vi sono "modelli legali" speciali che sono previsti per singoli tipi di atti. n rispetto delle forme legali è una delle garanzie poste a tutela dei soggetti che sono implicati nel procedimento penale. Un esempio di norma, che prevede atti a forma vincolata, è l'art. 125 , comma l , secondo cui « la legge stabilisce i casi nei quali il provvedimento del giudice assume la forma della sentenza, dell'ordinanza o del decreto ».
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Atti a forma libera. Quando il codice non impone una forma vincolata, l'atto ha una forma libera. Proseguendo l'esempio appena fatto, ai sensi dell'art. 125 , comma 6, tutti gli altri provvedimenti del giudice (diversi da sentenza, ordinanza e decreto) sono adottati senza formalità e, quando non è stabilito altrimenti, anche oralmente. Ad esempio « sono dati oralmente e senza forma lità » i provvedimenti relativi all'accesso del pubblico all'udienza dibattimentale (art. 47 1 , comma 6). La lingua degli atti. Ai sensi dell'art. 109 comma l gli atti del procedimento sono compiuti in lingua italiana. Particolari disposizioni valgono per il cittadino italiano che appartiene ad una minoranza linguistica riconosciuta e che si trovi davanti ad una autorità giudiziaria di primo o di secondo grado avente giurisdizione sul territorio ove la predetta minoranza è insediata ( 1 ) . n predetto cittadino è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella madre-lingua e il relativo verbale è redatto anche in tale lingua (comma 2 ) . Inoltre, nella medesima lingua sono tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta (2) . Le predette garanzie valgono per le parti private, i testimoni, i periti ed i consulenti tecnici e sono assistite dalla previsione di una nullità speciale (comma 3 ) . Sottoscrizione degli atti. L'art. 1 10 contiene disposizioni di carattere generale che si giustificano a causa delle invalidità che possono derivare dalla omissione della sottoscrizione. Così, si prescrive che la sottoscrizione avvenga « di propria mano, in fine dell'atto » (comma l ) ; « non è valida la sottoscrizione apposta con mezzi meccanici o con segni diversi dalla scrittura » (comma 2 ) . E ancora, « se chi deve firmare non è in grado di scrivere, il pubblico ufficiale, al quale è presentato l'atto scritto o che riceve l'atto orale, accertata l'identità della persona, ne fa annotazione in fine dell'atto medesimo » (comma 3 ) (3 ) . Data e luogo di formazione degli atti. I n base all'art. 1 1 1 comma l c.p.p. « quando la legge richiede la data di un atto, sono indicati il giorno, il mese, l'anno e il luogo in cui l'atto è compiuto. L'indicazione dell'ora è necessaria solo se espressamente prescritta ». Ai sensi del comma 2 « se l'indicazione della data di un atto è prescritta a pena di nullità, questa sussiste soltanto nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza in base ad elementi contenuti nell'atto medesimo o in atti a questo connessi » (4) . ( l ) Debbono includersi tra le lingue minoritarie riconosciute la lingua francese nella Valle d'Aosta, la tedesca e la ladina nel Trentina Alto Adige. (2) Restano salvi gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da Convenzioni internazionali. (3) Ai sensi dell'art. 39 disp. att. << fermo quanto prescritto da speciali disposizioni, l'autenticazione della sottoscrizione di atti per i quali il codice prevede tale formalità può essere effettuata, oltre che dal funzionario di cancelleria, dal notaio, dal difensore, dal sindaco, da un funzionario delegato dal sindaco, dal segretario comunale, dal giudice di pace, dal presidente del consiglio dell'ordine forense o da un consigliere da lui delegato ». (4) L'art. 1 12 prevede la << surrogazione di copie agli originali mancanti >> e l'art. 1 13 la << ricostituzione di atti ».
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Gli atti
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Divieto di pubblicazione di atti del procedimento (rinvio). Il codice colloca nel libro secondo alcune disposizioni che riguardano materie attinenti prevalentemente (anche se non esclusivamente) agli atti di indagine preliminare. Si tratta, in particolare, del divieto di pubblicazione di atti del procedimento (art. 1 14 ) . Poiché la trattazione in questa sede non pare opportuna, esamine remo la materia in oggetto nel capitolo sulle indagini preliminari. Copie, estratti e certificati. L'art. 1 1 6 comma l prevede che « durante il procedimento e dopo la sua definizione chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti ». Il rilascio avviene su autorizzazione salvo che la legge riconosca espressamente al richiedente il diritto al rilascio (art. 43 disp. att.) . L'autorizzazione è disposta dal pubblico ministero o dal giudice che procede al momento della presenta zione della domanda o, dopo la definizione del procedimento, dal presidente del collegio o dal giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione o la sentenza (comma 2 ) . Dalla interpretazione coordinata degli artt. 1 16 e 3 2 9 s i ricava che i casi nei quali l'interessato non può ottenere il rilascio riguardano gli atti coperti dal segreto investigativo (si veda in/ra, parte III, cap. l , § 4 ) . Poiché il deposito dell'atto in favore del difensore fa cadere il segreto investigativo, sta prevalendo l'interpretazione secondo cui non è necessaria una apposita autorizzazione in favore del difensore che chieda di estrarre copia degli atti depositati in suo favore (5) . Diverso dal segreto investigativo è il divieto di pubblicazione (si veda in/ra, parte III, cap. l , § 4, lett. d) ; pertanto il comma 3 dell'art. 1 16 dispone che « il rilascio non fa venire meno il divieto di pubbli cazione stabilito dall'art. 1 14 ». Ai sensi dell'art. 1 16 comma 3 -bis, introdotto dalla legge n. 3 97 del 2000, « quando il difensore, anche a mezzo di sostituti, presenta all'autorità giudizia ria atti o documenti, ha diritto al rilascio di attestazione dell'avvenuto deposito anche in calce ad una copia ». Richiesta di copie di atti da parte del pubblico ministero. Ai sensi dell'art. 1 17, il pubblico ministero titolare di un procedimento può chiedere personal mente (non mediante delega) alla autorità giudiziaria competente (pubblico ministero o giudice dell'udienza preliminare o della fase del giudizio) copie di atti relativi ad altri procedimenti penali e informazioni scritte sul loro conte nuto. Il potere è funzionale alla necessità di " svolgere indagini" ed opera nelle situazioni nelle quali non scatta quel più forte regime di coordinamento tra gli uffici del pubblico ministero che è previsto in caso di indagini collegate (art. 3 7 1 ) . L'autorità giudiziaria richiesta provvede senza ritardo e, se rigetta la domanda, deve farlo con decreto motivato (art. 1 17 , comma 2 ) , contro il quale (5 ) 1 997.
Così in relazione all'art. 293 comma 3 si è pronunciata la Corte cost. con la sentenza n. 1 92 del
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non è previsto rimedio processuale. n rigetto può essere motivato dall'esigenza di conservare il segreto investigativo nel caso concreto. Al procuratore nazionale antimafia, in relazione alle funzioni di coordina mento previste dall'art. 37 1 -bis, spetta il potere di accedere al registro delle notizie di reato e alle banche dati istituite presso le direzioni distrettuali antimafia. Richiesta di copie di atti da parte del ministro dell'interno. Anche il ministro dell'interno gode del potere di chiedere atti ed informazioni attinenti ad un procedimento penale; il ministro può procedervi sia direttamente, sia a mezzo di un ufficiale di polizia giudiziaria o del personale della direzione investigativa antimafia (art. 1 1 8) . La finalità è differente da quella prevista dall'art. 1 17: il ministro opera in qualità di responsabile dell'ordine pubblico e della pubblica sicurezza; il potere è concesso al fine di "prevenire" i delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza. L'autorità giudiziaria richiesta provvede senza ritardo e, se rigetta la domanda, deve farlo con decreto motivato ( 1 1 8 comma 2 ) . Sempre in modo simile al caso precedente, se gli atti sono relativi ad una indagine preliminare, la trasmissione avviene in deroga al segreto investigativo; gli atti sono coperti da segreto d'ufficio (art. 1 1 8 comma 3 ) . Per le medesime finalità di prevenzione la autorità giudiziaria può autoriz zare i soggetti delegati dal ministro dell'interno (e appartenenti alla polizia giudiziaria o alla direzione investigativa antimafia) ad accedere direttamente al registro delle notizie di reato (art. 1 1 8 comma l -bis) . Infine, il presidente del consiglio dei ministri può chiedere all'autorità giudiziaria copie di atti del procedimento penale che sono indispensabili per il sistema di informazioni per la sicurezza (art. 1 18-bis, inserito dalla legge sui servizi segreti n. 124 del 2007 ) ; l'autorità richiesta provvede come sopra descritto (art. 1 18, commi 2 e 3 ) . Partecipazione del sordo, muto e sordomuto a d atti del procedimento penale. Ai sensi dell'art. 1 1 9 comma l quando un sordo, un muto o un sordomuto vuole o deve fare dichiarazioni, al sordo si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde oralmente; al muto si fanno oralmente le domande (ecc.) ed egli risponde per iscritto; al sordomuto si presentano per iscritto le domande (ecc.) ed egli risponde per iscritto. In dette ipotesi, indipendentemente dalla circostanza che la persona non sappia leggere o scrivere, l'autorità procedente provvede a nominargli uno o più interpreti scelti di preferenza tra le persone abituate a trattare con lui (6). Testimoni ad atti del procedimento (art. 120) . n codice prevede in varie disposizioni che determinate persone possano assistere ad atti del procedimento penale. Queste intervengono nel processo penale non in quanto sono a cono scenza di fatti oggetto di prova (in tal caso si tratterebbe di testimoni in senso (6)
In tal senso,
v.
Corte cost. n. 3 4 1 del l999 che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 1 1 9 c.p.p.
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proprio: artt. 187 e 194 ) , bensì perché sono persone di fiducia di uno dei soggetti interessati allo svolgimento del relativo atto, del quale garantiscono la regolarità e sul quale possono essere chiamate a testimoniare. Ciò avviene per la ispezione personale (art. 245 comma 1 ) , per la perquisizione personale (art. 249 comma l ) e locale (art. 250 comma 1 ) . Il codice definisce tali persone « testi moni ad atti del procedimento » e detta espressamente per loro nell'art. 120 alcune cause di incapacità che pongono i seguenti divieti. Non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento: a) i minori degli anni quattordici e le persone palesemente affette da infermità di mente o in stato di manifesta ubriachezza o di intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope (la loro capacità si presume fino a prova contraria) ; b) le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione (7) . Obbligo di osservanza delle norme processuali (art. 124 ) . L a Costituzione, prevedendo il giusto processo regolato dalla legge (art. 1 1 1 comma 1 ) , detta un principio generale di legalità processuale. Tale principio è attuato dalle norme sulle invalidità degli atti processuali, delle quali tratteremo nel prossimo para grafo. A chiusura del sistema, l'art. 124 del codice di procedura penale impone di « osservare le norme di questo codice anche quando l'inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale » . L'obbligo è diretto ai magistrati, ai cancellieri, agli altri ausiliari del giudice, agli ufficiali giudiziari e agli agenti di polizia giudiziaria (comma 1 ) . La disposizione si traduce inevitabilmente in un obbligo deontologico assistito da sanzioni disciplinari; ed infatti il comma 2 stabilisce che « i dirigenti degli uffici vigilano sull'osservanza delle norme anche ai fini della responsabilità disciplinare ». b.
Gli atti del giudice.
Gli atti del giudice sono la sentenza, l'ordinanza ed il decreto. La sentenza è l'atto con cui il giudice adempie al dovere di decidere, che gli è posto a seguito dell'esercizio dell'azione penale. La sentenza esaurisce una fase o un grado del processo; con essa il giudice si spoglia del caso. Se una parte impugna la sentenza, un altro giudice esaminerà successivamente il caso, e questo fino a che sarà pronunciata una sentenza irrevocabile (art. 648) . Dal punto di vista della forma, la sentenza deve essere sempre motivata, e cioè deve dare conto del percorso logico seguito dal giudice per giungere alla decisione. L'obbligo della motivazione è posto direttamente dalla Costituzione (7) Varie sono le conseguenze della inosservanza delle norme sull'intervento dei testimoni ad atti del procedimento. Se l'intervento di costoro è in funzione di atti compiuti nei confronti dell'imputato o di una delle parti private, si configura una nullità a regime intermedio perché l 'inosservanza incide sull'intervento di dette parti (art. 1 80); altrimenti, se l'intervento è in funzione dell'assistenza di persone diverse da quelle menzionate, vi è una semplice irregolarità (v. in/ra il paragrafo sulle invalidità) .
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(art. 1 1 1 , comma 6) e ripetuto dal codice che prevede la sanzione della nullità (relativa) per l'eventuale inosservanza (art. 125, comma 3 ) . L'ordinanza è il provvedimento con cui il giudice risolve singole questioni senza definire il procedimento. Ad esempio, con ordinanza il giudice accoglie o respinge la domanda di ammissione di un mezzo di prova (art. 1 90, comma 1 ) . L'ordinanza deve essere sempre motivata a pena di nullità (art. 125 , comma 3 ) e , di regola, è revocabile dal giudice. n decreto è un " ordine" dato dal giudice; deve essere motivato soltanto se la legge lo precisa espressamente (art. 125, comma 3 ) . Singole norme del codice prescrivono quando il provvedimento del giudice assume la forma dell'ordinanza o del decreto (8). È difficile enunciare un criterio generale di distinzione, poiché anche il decreto, come l'ordinanza, risolve singole questioni senza chiudere in modo definitivo un procedimento. In linea di massima, si può tracciare il seguente criterio distintivo. L'ordi nanza è emessa dopo che si è svolto il contraddittorio fra le parti; il decreto è pronunciato in assenza del medesimo. Si veda, ad esempio, il decreto di archiviazione, che viene emesso senza contraddittorio (art. 409, comma l ) e l'ordinanza di archiviazione, che è pronunciata in seguito ad un'udienza in camera di consiglio (art. 409, comma 6). Occorre segnalare che il decreto è un tipo di atto che può essere emesso, oltre che dal giudice, anche dal pubblico ministero nei casi previsti dal codice. Ad esempio, il pubblico ministero dispone con decreto il sequestro del corpo del reato (art. 25 3 ) . La immediata declaratoria di determinate cause di non punihilità (art. 129). L'accoglimento di un sistema prevalentemente accusatorio pone, di principio, al giudice l'obbligo di decidere soltanto su richiesta di parte. Indi cativo di tale soluzione è il processo civile che prevede il principio della domanda di parte e, in materia probatoria, l'onere di allegare l'esistenza del fatto che fonda la pretesa; quando il processo civile è chiamato ad accertare l'esistenza di diritti indisponibili o spettanti ad una parte " debole" , il sistema introduce correzioni che consistono in poteri esercitabili d'ufficio dal giudice o che consistono nella presenza del pubblico ministero. Poiché il processo penale coinvolge diritti di libertà che sono indisponibili per espresso enunciato costituzionale (art. 13 comma 1 ) , era inevitabile che la materia non potesse essere lasciata alla esclusiva iniziativa di parte. Di conse guenza l'art. 129 comma l pone la regola secondo cui il giudice ha l'obbligo di dichiarare immediatamente d'ufficio determinate cause di non punibilità. Si tratta di quelle che concernono la assenza di responsabilità dell'imputato, l'estinzione del reato e la mancanza di una condizione di procedibilità. Più (8) Come esempio, possiamo citare il decreto che dispone il giudizio (art. 429); questo atto è emanato dal giudice al termine dell'udienza preliminare e costituisce un atto di impulso al proseguimento del processo.
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precisamente, il codice enumera espressamente le seguenti formule terminative che comportano la declaratoria immediata: il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato e il fatto non è previsto dalla legge come reato (9). Nella dichiarazione di estinzione del reato rientra, ad esempio, l'intervenuta prescrizione del medesimo; nella mancanza di condizione di procedibilità devono intendersi ricomprese la mancanza di una condizione di proseguibilità e la improcedibilità di cui all'art. 649. La immediata declaratoria in ogni stato e grado del processo. La pronuncia del giudice deve intervenire immediatamente in ogni stato e grado del processo, e cioè in momenti successivi all'esercizio dell'azione penale. L'obbligo deve intendersi limitato da norme speciali che regolano la fase o il grado. Ad esempio, il giudice deve essere stato investito della piena cognizione del fatto; ciò non avviene nel caso di procedimenti incidentali. Come pure, determinate fasi sono regolate da norme che non consentono al giudice di pronunciare tutte le formule previste nell'art. 129 comma l ; ad esempio, negli atti preliminari al dibattimento sono ammesse soltanto le formule relative alla non procedibilità dell'azione e all'estinzione del reato, sempre che per accertarne l'esistenza non sia necessario procedere al dibattimento e il pubblico ministero e l'imputato, previamente sentiti, non si oppongano (art. 469; in caso contrario, la fase del giudizio prosegue) . Nella fase delle indagini preliminari il giudice non può attivarsi d'ufficio per il semplice motivo che prima dell'esercizio dell'azione penale non vi è "pro cesso" e, quindi, non si può applicare l'art. 129. « Così, il giudice per le indagini preliminari che, nell'ambito di un intervento incidentale nel procedimento, riconosca l'esistenza di una delle situazioni contemplate dall'art. 129 c.p.p., non dispone degli strumenti decisori idonei alla declaratoria immediata della causa di non punibilità » ( 10). La gerarchia tra le formule di proscioglimento. l i comma 2 dell'art. 129 pone una gerarchia tra l e formule che il giudice è tenuto ad emettere: quando esiste una causa di estinzione del reato (ad esempio, la prescrizione) e risulta evidente dagli atti la "non responsabilità penale" dell'imputato, il giudice deve dare la preferenza a questo tipo di pronuncia, che assume la forma della sentenza di assoluzione (se pronunciata in giudizio) o della sentenza di non luogo a procedere (se emessa nell'udienza preliminare) . Ove non sia stata già acquisita agli atti la prova evidente circa la mancanza di responsabilità dell'im putato, il giudice è tenuto a pronunciare immediatamente l'estinzione del reato; ma è stato riconosciuto che l'imputato ha diritto a rinunciare all'amnistia (9) L'omessa menzione delle ipotesi di non punibilità (ad esempio, per mancanza di imputabilità) trova giustificazione nel fatto che le relative formule richiedono l'accertamento della responsabilità dell'im putato secondo le normali cadenze del processo. ( lO) E.M. CATALANO, L'abuso del processo, Milano, 2004, 201.
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sopravvenuta (Corte cost. n. 175 del 197 1 ) e alla prescrizione del reato maturata nel frattempo (Corte cost. n. 275 del 1990; si veda l'art. 157 comma 7 c.p.) , rendendo inoperante l'obbligo di immediata declaratoria delle relative cause di estinzione. La correzione di errori materiali. L'art. 130 prevede la procedura di correzione degli errori materiali. L 'istituto richiede almeno quattro requisiti. In primo luogo sono oggetto di correzione degli errori materiali soltanto gli atti del giudice riferibili al modello delle sentenze, delle ordinanze e del decreto. In secondo luogo l'errore non deve essere causa di nullità dell'atto. In terzo luogo l'errore deve essere materiale, e cioè consistere in una difformità tra il pensiero del giudice (contenuto dell'ordinanza) e la formulazione esteriore di tale pensiero; ma può essere errore materiale anche una omissione relativa ad un comando che dipende in maniera automatica dalla legge. In quarto luogo la eliminazione dell'errore non deve comportare una modifica essenziale dell'atto; pertanto si devono escludere quelle correzioni che incidono sul dispositivo. Il procedimento di correzione dell'errore si svolge in camera di consiglio secondo le forme dell'art. 127 (art. 130 comma 2 ) . La competenza spetta al giudice " autore" dell'atto; nel corso delle impugnazioni spetta al giudice ad quem. L'iniziativa spetta al giudice, che provvede anche su richiesta del pubblico ministero o della parte interessata. L'ordinanza recante la correzione deve essere annotata sull'originale dell'atto. Alla procedura di correzione dell'errore materiale fanno rinvio varie dispo sizioni. L'art. 66 comma 3 sulla erronea attribuzione delle generalità dell'im putato; l'art. 535 comma 4 sulla omessa condanna alle spese processuali; l'art. 547 sulla correzione della sentenza; l'art. 668 sulla condanna di una persona in luogo di un'altra per errore di nome. Altre disposizioni, come ad esempio l'art. 624 comma 3 , prevedono una procedura in camera di consiglio senza l' osser vanza dell'art. 127. I poteri coercitivi del giudice. Al giudice spettano poteri coercitivi nel l' esercizio delle sue funzioni, e cioè al fine del « sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede » (art. 13 1 ) . Il potere coercitivo comporta la possi bilità di ottenere comportamenti anche contro la volontà dei singoli interessati; si tratta di poteri di "polizia processuale" per l'esercizio dei quali la legge non impone l'osservanza di particolari formalità: l'ordine può essere anche soltanto orale ed è riprodotto nel verbale di udienza. Spetta al giudice il potere di chiedere l'intervento della polizia giudiziaria; se necessario, anche l'intervento della forza pubblica. L'accompagnamento coattivo dell'imputato e di altre persone. Tra gli atti che costituiscono espressione del potere coercitivo si può collocare l'accompa gnamento coattivo (artt. 132 e 133 ) . L 'istituto consiste in una restrizione della libertà personale poiché l'accompagnamento può essere eseguito con la forza (art. 46 disp. att.). Si tratta di una limitazione della libertà che si distingue
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nettamente dalle misure coercitive personali che possono essere disposte nei confronti dell'imputato o dell'indagato (artt. 272-286) e che trovano la loro giustificazione nelle esigenze cautelari (pericolo di inquinamento probatorio, pericolo di fuga e di reiterazione del reato) . L'accompagnamento coattivo ha una finalità limitata che è quella di condurre una persona davanti al giudice per rendere possibile la acquisizione di un contributo probatorio. Vi è poi un ulteriore limite, indicato nell'art. 132 (« nei casi previsti dalla legge »); pertanto è necessario che la legge preveda espressamente l'intervento di una determinata persona per il compimento di uno specifico atto. I destinatari dell'accompagnamento. Tra i destinatari del provvedimento di accompagnamento coattivo vi sono sia l'imputato (o indagato) (art. 132), sia le altre persone indicate nell'art. 133 : il testimone, il perito, il consulente tecnico, l'interprete ed il custode di cose sequestrate ( 1 1 ) . n potere del giudice (e, vedremo, anche del pubblico ministero con alcune differenze) è molto ampio perché concerne i procedimenti per qualsiasi reato (delitto e contravvenzione) anche di minima entità; pertanto, può essere disposto anche in relazione a reati per i quali non è ammessa alcuna misura cautelare (art. 280) . Visti i limiti funzionali sopra menzionati, l'accompagnamento non deve diventare una misura cautelare camuffata; a tal fine l'art. 132 comma 2 afferma che la persona sottoposta ad accompagnamento coattivo non può essere tenuta a disposizione « oltre il compimento dell'atto previsto e quelli consequenziali per i quali perduri la necessità della sua presenza ». Gli atti successivi devono essere legati a quello precedente con un vincolo logico-funzionale. Vi è poi una norma di chiusura, secondo la quale « in ogni caso la persona non può essere trattenuta oltre le ventiquattro ore ». Il rinvio operato dall'art. 132 comma l ai « casi previsti dalla legge » fa sì che l'accompagnamento diventi una misura strumentale all'esercizio di quei poteri che il codice in disposizioni specifiche attribuisce al giudice (e, vedremo, al pubblico ministero) . Per quanto riguarda l'imputato e l'indagato, l'accom pagnamento di regola deve essere preceduto da un invito a presentarsi (art. 375) o da una citazione (artt. 3 99 e 490) rimaste senza effetto. L'art. 133 detta una apposita norma per le persone diverse dall'imputato (e cioè i testimoni, i periti ecc.) che, regolarmente citate, omettono di comparire senza addurre un legittimo impedimento: il giudice, oltre a disporre l' accom pagnamento, può condannarle al pagamento di una somma di denaro e alle spese processuali alle quali la mancata comparizione ha dato causa. La relativa ( 1 1 ) La legge n. 85 del 2009 ha aggiunto, quale destinatario dell'accompagnamento coattivo, anche la persona sottoposta all'esame del perito diversa dall'imputato >>. La disposizione permette al giudice di far eseguire la perizia coattiva che comporta atti idonei ad incidere sulla libertà personale, come il prelievo di capellz; di peli o di mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo del DNA (art. 224-bis). <<
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ordinanza è revocata se il giudice successivamente ritiene fondata la giustifica zione addotta dall'interessato (art. 47 disp. att. ) . c.
Gli atti delle parti.
Nel libro secondo il codice si limita ad enunciare due soli "modelli generali" di atti delle parti; si tratta delle richieste e delle memorie. Nella parte dinamica (e cioè dal libro quinto in avanti) il codice prevede molti altri tipi di atti, che non hanno un rilievo inferiore a quelli menzionati. Si pensi alle conclusioni, che devono essere presentate al termine del dibattimento (art. 523 ) . In altri casi il codice prevede il consenso (artt. 423 , comma 2 ; 444; 446; 449, comma 2; 5 1 8, comma 2; 566, comma 5 ) , l'accettazione (art. 340), la rinuncia (artt. 4 1 9, comma 5 ; 495 , comma 4-bis; 569, comma 2 ; 589) o la revoca (art. 82) . Infine, è atto delle parti l a impugnazione, che è regolamentata nell'art. 5 8 1 . La richiesta. Per quanto riguarda i modelli generali, iniziamo a considerare la richiesta. Assume tale forma ogni tipo di domanda che le parti (sia quella pubblica, sia quelle private) rivolgono al giudice al fine di ottenere una decisione. Ricordiamo, come esempi, la richiesta di procedere ad incidente probatorio (art. 392 ) ; la richiesta della parte civile di ottenere la provvisoria esecuzione della condanna al risarcimento del danno (art. 540, comma 1 ) . Sulle richieste ritualmente formulate dalle parti il giudice deve provvedere senza ritardo e comunque entro quindici giorni, salvo specifiche disposizioni di legge (art. 12 1 , comma 2 ) . Se non adempie a tale obbligo, la parte può presentargli formale istanza ai sensi dell'art. 3 della legge n. 1 17 del 1 988 sulla responsabilità dei magistrati. A questo punto il giudice deve decidere entro trenta giorni; se non lo fa, vi possono essere gli estremi del " diniego di Giustizia " , che è fonte di responsabilità civile. In ogni caso l'inosservanza delle norme del codice può dar luogo ad una responsabilità disciplinare ai sensi dell'art. 124. La memoria. L'altro modello generale è la memoria, che ha un contenuto meramente argomentativo teso ad illustrare questioni in fatto o in diritto. Nel codice troviamo, come esempio, le memorie che la persona offesa può presen tare in ogni stato e grado del procedimento (art. 90). d.
n procedimento in camera di consiglio.
Il codice utilizza l'espressione « camera di consiglio » per indicare due situazioni ben diverse. In base all'art. 125 , comma 4 , il giudice delibera in segreto i propri provvedimenti in camera di consiglio. In questo caso tale espressione indica il luogo in cui il giudice si ritira per formare il proprio convincimento sulla singola questione da decidere. L'art. 127 disciplina il modello generale di « procedimento in camera di consiglio ». Per camera di consiglio qui si intende la modalità di svolgimento di
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un'attività giurisdizionale, alla quale le parti e le altre persone interessate (es. l'offeso) hanno il diritto di partecipare (v. tav. 2 .2.2). n procedimento i n camera di consiglio presenta due caratteristiche: l ' as senza del pubblico (art. 127, comma 6) e la non necessaria partecipazione delle parti, delle persone interessate e dei loro difensori (art. 127, comma 3 ) . S i tratta di una procedura " semplificata" che il codice impone tutte le volte in cui occorre adottare una decisione in tempi rapidi e vi è la necessità di attivare un contraddittorio eventuale. Le parti ed i difensori ricevono un avviso, ma non vi è l'obbligo di intervenire all'udienza. n modello ordinario. Nel modello ordinario di procedimento in camera di consiglio, l'atto iniziale è il decreto di fissazione dell'udienza. Alle parti, agli altri interessati ed ai loro difensori è dato avviso della data fissata per l'udienza almeno dieci giorni prima dell'udienza stessa. L 'osservanza di questo adempimento è richiesta a pena di nullità (art. 127, comma 5 ) . Fino a cinque giorni prima del l'udienza gli interessati possono presentare memorie presso la cancelleria del giudice. n contraddittorio eventuale. All'udienza il contraddittorio è soltanto even tuale, perché la partecipazione delle parti, degli interessati e dei loro difensori è facoltativa. n giudice (o il presidente del collegio) ha comunque l'obbligo di ascoltare, a pena di nullità, tutti coloro che intervengono all'udienza. L'impu tato e il condannato in stato di detenzione hanno diritto di essere sentiti, se ne fanno richiesta e purché siano detenuti nello stesso luogo ave ha sede il giudice: in caso di loro legittimo impedimento, l'udienza deve essere rinviata a pena di nullità (art. 127, commi 4 e 5 ) . Se invece l'imputato o il condannato sono detenuti in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice, alla loro audizione deve procedere a pena di nullità il magistrato di sorveglianza prima che abbia luogo l'udienza in camera di consiglio (art. 127, comma 3 ) . La Corte costitu zionale ha precisato, però, che il giudice ha il potere di disporre anche d'ufficio la traduzione in udienza del detenuto (sent. n. 45 del 1 99 1 ) . I l provvedimento conclusivo della procedura camerale assume, d i regola, la forma dell'ordinanza, che è impugnabile mediante ricorso per cassazione (art. 127, comma 7). Alle forme del procedimento in camera di consiglio fanno rinvio numerose disposizioni del codice. A volte si tratta di un rinvio integrale (es. art. 4 1 , comma 3 , ricusazione del giudice) . Altre volte si rinvia al modello generale apportandovi tuttavia dei correttivi che tendono a rafforzare il contraddittorio: così, ad esempio, l'udienza preliminare viene celebrata in camera di consiglio, ma alla presenza necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'imputato (art. 420) . La procedura in camera di consiglio non viene osservata quando il giudice emette un provvedimento senza formalità, ossia de plano (es. art. 409, comma 1 : decreto di archiviazione).
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La documentazione degli atti.
Gli atti del procedimento penale devono essere documentati perché se ne possa conservare traccia. n codice prevede che a tale documentazione si provveda « mediante verbale », che viene redatto dall'ausiliario che assiste il giudice o il pubblico ministero (artt. 135, 373 e 480) . L'art. 136, comma l , indica in modo analitico il contenuto del verbale: « il verbale contiene la menzione del luogo, dell'anno, del mese, del giorno e, quando occorre, dell'ora in cui è cominciato e chiuso, le generalità delle persone intervenute ( ... ), la descrizione di quanto l'ausiliario ha fatto o ha constatato o di quanto è avvenuto in sua presenza nonché le dichiarazioni ricevute da lui o da altro pubblico ufficiale che egli assiste ». n verbale deve riprodurre sia la domanda, sia la risposta (art. 136, comma 2 ) . Mediante il verbale l'ausiliario s i limita ad attestare quello che è avvenuto in sua presenza e le dichiarazioni ricevute; spetterà poi al giudice apprezzare il significato probatorio del contenuto del verbale, e cioè valutare se le dichiara zioni rese sono vere o false. Occorre sottolineare questo punto, messo in chiaro dalla Relazione al progetto preliminare, p. 5 1 : « il verbale deve bensì documen tare gli atti, ma non è esso stesso fonte di prova, di modo che è implicita la libera valutazione di quanto è in esso racchiuso ». n valore probatorio. Quanto al valore probatorio del verbale, è necessario un chiarimento utile a prevenire eventuali equivoci. Nel codice previgente il verbale di un atto del procedimento penale era "fìdefacente" , e cioè faceva « fede fino ad impugnazione di falso di quanto il pubblico ufficiale attesta(va) di avere fatto o essere avvenuto in sua presenza » (art. 158 c.p.p. 1930). In base a tale disposizione si poteva attribuire al verbale di un atto del procedimento un valore più forte rispetto ad un qualsiasi altro documento: il fatto che era riferito nel verbale entrava a far parte delle conoscenze " ufficiali" del procedimento penale. Una conclusione del genere non è più sostenibile oggi. Il codice del 1988 ha eliminato il valore fìdefacente del verbale e non ha riprodotto l'istituto dell'in cidente di falso (art. 2 15 c.p.p. 1930). Ciò comporta che il verbale di un atto del procedimento può essere sottoposto ad una verifica da parte del giudice quanto alla correttezza e veridicità della descrizione di ciò che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuto in sua presenza ( 12 ) . ( 1 2 ) In tal senso, F . CoRDERO, Procedura penale, 6 " ed., 200 1 , 342: << adesso il giudice l o valuta come qualsivoglia documento: e così ignora i dati attribuibili a difetto percettivo, mnemonico o letterario >>; G.P. VOENA, Atti, in CoNso-GREVJ, Compendio di procedura penale, 2" ed., Padova, 2003, 205; K. MAMBRUCCHI, sub art. 136 c.p.p., in Codice di procedura penale ipertestuale, Torino, 200 1 , a cura di A. GAJTo, 47 1 ; Cass., sez. V, 10 gennaio 1994, Capuzzi, in Cass. pen., 1995, 1 12 . Contra, Cass., sez. III, 9 luglio 1996, Rizzo, in Cass. pen., 1997, 9 1 .
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Nel libro secondo del codice è dettata la disciplina generale della documen tazione; in altre disposizioni si prevede una normativa specifica che integra quella generale nelle fasi delle indagini preliminari (art. 373 ) , dell'udienza preliminare ( art. 420, comma 4 ) e del dibattimento (artt. 480, 481 e 5 1 0) (v. tav. 2 .2 . 3 ) . La documentazione può essere effettuata con almeno tre modalità diffe renti. n verbale in forma integrale. In dibattimento di regola deve essere redatto il verbale in forma integrale con la stenotipia o altro strumento meccanico ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a tali mezzi, con la scrittura manuale ( art. 134, comma 2 ) . n verbale in forma riassuntiva con riproduzione fonografica. Una seconda modalità di documentazione è il verbale « in forma riassuntiva » (art. 134, comma 3 ) . In tal caso spetta al giudice vigilare che sia riprodotta « nell'originaria genuina espressione, la parte essenziale delle dichiarazioni » (art. 140, comma 2 ) ; da ciò si evince che " riassuntivo" non significa riassunto del concetto delle dichiarazioni, ma solo sommaria esposizione degli elementi extra-dichiarativi. Quando il verbale è redatto in forma riassuntiva deve essere effettuata anche la riproduzione fonografica (art. 134 comma 3 ) . n verbale in forma riassuntiva senza riproduzione fonografica. Infine, vi è una terza modalità di documentazione che si effettua quando vi sia una « contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici » o anche quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza ( art. 140, comma 1 ) . Si tratta della verbalizzaiione in forma riassuntiva senza riproduzione fonografica. L'art. 1 4 1 -bù prevede che l'interrogatorio reso, al di fuori dell'udienza, da una persona detenuta, sia documentato integralmente a pena di inutilizzabilità con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Si vuole in tal modo garantire al massimo l'assenza di qualsiasi condizionamento, data la particolare situazione in cui si trova la persona interrogata. f.
La notificazione.
Considerazioni preliminari. Nel corso del procedimento penale sorge più volte l'esigenza di fornire conoscenza di atti (o di attività) a determinate persone, perché queste possano esercitare i propri diritti (ad esempio, di difesa) o adempiere ai propri doveri (ad esempio, di presentarsi a testimoniare). La notificazione è lo strumento previsto dalla legge per rendere noto al destinatario un atto (o una attività) del procedimento; di regola essa è eseguita mediante la consegna, al destinatario, della copia dell'atto stesso. Questo può essere un atto del procedimento (ad esempio, la richiesta di archiviazione; art. 408, comma 2 ) , o l'avviso di una attività già compiuta o d a compiere (ad esempio, l'avviso che
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è depositato in segreteria il verbale di un atto di indagine, art. 366; o l'avviso che sarà compiuto un atto garantito, art. 3 64 ) . L'organo che esegue l a notificazione è , d i regola, l'ufficiale giudiziario o chi ne esercita le funzioni (art. 148); l'ufficiale giudiziario è un ausiliario del giudice. In casi eccezionali, che esamineremo, le notificazioni possono essere svolte dalla polizia penitenziaria o dalla polizia giudiziaria (artt. 148 comma 2 e 1 5 1 comma l , mod. dalla legge antiterrorismo n. 155 del 2005 ) . Conoscenza effettiva e presuntiva. l i codice h a voluto contemperare due esigenze fondamentali, ma contrastanti. Da un lato, quella di portare alla conoscenza effettiva del destinatario l'atto da notificare. Da un altro lato, l'esigenza di accertare il reato e assicurare la celerità degli adempimenti formali, in modo da non ritardare il corso del procedimento penale. Le due esigenze sono state conciliate mediante una disciplina minuziosa e dettagliata, finalizzata a rendere minimo lo scarto tra conoscenza effettiva e conoscenza legale dell'atto da notificare. Le formalità prescritte dalla legge sono finalizzate ad assicurare l'effettiva conoscibilità dell'atto da parte dell'interessato; una volta che esse sono state adempiute, scatta la presunzione legale di avvenuta conoscenza. Il codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196) ha voluto tutelare la riservatezza della persona destinataria della notifica. Infatti, quando la notifica non può essere eseguita in mani proprie del destina tario, l'atto è consegnato in busta sigillata, ad esempio, al portiere (art. 148 comma 3 mod.). Questa formalità non è prevista nel caso di notifica al difensore o al domiciliatario. La relazione di notiiìcazione. Della consegna dell'atto è redatto un verbale, che viene chiamato « relazione di notificazione » e che ha il contenuto indicato nell'art. 168, comma l del codice: l'ufficiale giudiziario (o altro soggetto legittimato) « scrive, in calce all'originale e alla copia notificata, la relazione in cui indica l'autorità o la parte privata richiedente, le ricerche effettuate, le generalità della persona alla quale è stata consegnata la copia, i suoi rapporti con il destinatario, le funzioni o le mansioni da essa svolte, il luogo e la data della consegna della copia, apponendo la propria sottoscrizione ». La relazione di notificazione è il verbale di una attività compiuta; come tale, è destinata a far prova di quanto il pubblico ufficiale ha compiuto e dei fatti da lui constatati (v. atto 2 .2.4). La notificazione produce effetto per ciascun destinatario dal giorno della sua esecuzione (art. 168, comma 3 ) ; pertanto, da tale momento l'atto si presume conosciuto dal destinatario. I soggetti legittimati a disporre le notiiìcazioni. Notiiìcazioni disposte dal giudice. Di regola, l'atto è notificato per intero mediante consegna al destinatario da parte dell'ufficiale giudiziario (art. 148 comma 1). Nei procedimenti con detenuti ed in quelli davanti al tribunale del riesame il giudice può disporre che, in caso di urgenza, le notificazioni siano
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eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti (art. 148 comma 2 , mod. dalla legge antiterrorismo n. 155 del 2005) ( 13 ) . Esistono forme equipollenti alla notifica quali l a consegna di copia dell'atto all'interessato da parte della cancelleria (art. 148, comma 4), la lettura dei provvedimenti e gli avvisi dati verbalmente dal giudice agli interessati che siano presenti (art. 148, comma 5 ) ( 14 ) . Notificazioni disposte dal pubblico ministero. L e notificazioni di atti del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari sono eseguite dall'uffi ciale giudiziario, ovvero dalla polizia giudiziaria nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la stessa è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire (art. 15 1 comma l, mod. dalla legge antiterrorismo n. 155 del 2005 ) . Gli esempi rispettivamente sono i seguenti: la notifica dell'invito a presentarsi (art. 375) per compiere l'interrogatorio delegato alla polizia giudiziaria; la notifica di un decreto di sequestro che la polizia giudiziaria è delegata ad eseguire (art. 253 ) ( 15 ) . Anche per le notificazioni da parte del pubblico ministero sono previste due forme equipollenti alle modalità ordinarie. È possibile la consegna di copia dell'atto da parte della segreteria (art. 15 1 comma 2) e la lettura di provvedimenti e avvisi in presenza degli interessati (art. 1 5 1 comma 3 ) . Notificazioni chieste dalle parti private. L e parti private possono effettuare le notificazioni di loro interesse secondo le regole ordinarie (richiesta all'ufficiale giudiziario) oppure valersi di una modalità semplificata. Si tratta dell'invio di copia dell'atto da parte del difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento (art. 152). I destinatari delle notificazioni. Notificazioni al pubblico ministero. Le notificazioni al pubblico ministero sono eseguite nel modo ordinario o anche direttamente dalle parti mediante consegna di copia dell'atto alla segreteria. Allo stesso modo vengono notificati gli atti ed i provvedimenti del giudice, a cura della cancelleria. li pubblico ufficiale addetto annota sull'originale la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta (art. 153 ). ( 13 ) I n base all'art. 17 comma 6 del decreto-legge citato, per i procedimenti relativi a i delitti d i cui all'art. 407, comma 2, lett. a. n. l, 3, 4 c.p.p.,« rimane ferma, la disciplina previgente, che consente al giudice di ordinare che le notificazioni siano eseguite dalla polizia giudiziaria nei procedimenti con detenuti. ( 14) In casi di urgenza il giudice può disporre, anche d'ufficio, che le notificazioni alle persone diverse dall'imputato siano effettuate a mezzo del telefono. Tale modalità si perfeziona soltanto se la comunicazione telefonica è immediatamente confermata al destinatario mediante telegramma (art. 149). n codice prevede altresì la possibilità che siano disposte forme atipiche di notificazione alle persone diverse dall'imputato (art. 150). Si tratta di una clausola aperta, che consente un adattamento automatico al progresso tecnologico. In tale ipotesi occorre un decreto motivato del giudice, che dia atto dell'adeguatezza dei mezzi impiegati. ( 15) In base all'art. 17 comma 6 del decreto-legge citato, per i procedimenti relativi ai delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a, n. l, 3, 4 c.p.p., <
> la disciplina previgente, che consente al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari di ordinare che le notificazioni siano eseguite dalla polizia giudiziaria.
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Notificazioni al difensore. Anche le notificazioni al difensore, possono
essere eseguite nel modo ordinario. Tuttavia una forma semplificata di notifi cazione può essere disposta sia dal giudice, sia dal pubblico ministero. Ai sensi del comma 2-bis dell'art. 148 c.p.p., introdotto dalla legge n. 43 8 del 200 1 , « l'autorità giudiziaria può disporre che le notificazioni o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei ». In ogni caso, l'ufficio che invia l'atto deve attestare in calce ad esso di avere trasmesso il testo originale ( 16). Notificazioni all'imputato detenuto. Le notificazioni all'imputato detenuto sono eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona (art. 156 comma 1 ) . Se questa si rifiuta di ricevere l'atto, se ne fa menzione nella relazione di notificazione e la copia rifiutata è consegnata al direttore dell'isti tuto o a chi ne fa le veci ( 17). La dichiarazione e l'elezione di domicilio da parte dell'imputato. Allo scopo di rendere più celere ed agevole l'attività di notificazione all'imputato (o all'indagato) non detenuto, il codice disciplina la dichiarazione o l'elezione di domicilio. Nel primo atto compiuto con l'intervento dell'imputato o dell'inda gato, l'autorità procedente lo invita a dichiarare o eleggere il proprio domicilio (art. 1 6 1 , comma 1 ) . Dichiarare il domicilio significa indicare quel luogo, ove l'imputato abita o lavora, nel quale gli atti saranno a lui notificati. Eleggere il domicilio (dal latino "eligere" , scegliere) comporta la indicazione di un domi ciliatario, e cioè di una persona differente dall'imputato, che viene da lui scelta per ricevere copia dell'atto da notificare ( 18): una volta consegnata la copia al domiciliatario, l'atto si considera legalmente conosciuto dall'imputato ( 19). L'imputato medesimo è avvertito che, ove egli si rifiuti di ottemperare alla dichiarazione o elezione o successivamente ometta di comunicare un eventuale mutamento del domicilio dichiarato o eletto, le notificazioni saranno eseguite mediante consegna al difensore (art. 161, comma 4). Della dichiarazione o della elezione di domicilio, o del rifiuto di compierla, è fatta menzione nel verbale. Prima notificazione all'imputato non detenuto. Nel caso in cui non sia stato possibile invitare l'imputato a dichiarare o eleggere il domicilio, scatta una ul( 16)
Nei casi di urgenza l'art.
149 prevede che il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, che
le persone diverse dall'imputato siano avvisate o convocate a mezzo del telefono a cura della cancelleria. Tale comunicazione telefonica ha valore di notificazione con effetto dal momento in cui è avvenuta sempre che della stessa sia data immediata conferma al destinatario mediante telegramma.
( 17)
In caso di impossibilità dovuta a legittima assenza dell'interessato il direttore lo informa 156 comma 2). ( 18) Secondo l a giurisprudenza d i legittimità l a dichiarazione d i domicilio implica l a effettiva esistenza di una relazione fisica tra l'imputato ed il luogo dichiarato (Cass., sez. IV, 9 maggio 2000, in Arch. n. proc. pen., 2000, 409); viceversa, la elezione di domicilio presuppone l'esistenza di un rapporto fiduciario tra il immediatamente col mezzo più celere (art.
dichiarante ed un domiciliatario, il quale assume l'onere di ricevere e custodire la copia dell'atto notificato e di consegnarla al destinatario (Cass., sez.
( 19)
III, 26 marzo 2003 , in Carr. pen., 2005, 147).
La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida in ogni stato e grado del procedi
mento, salvo quanto è previsto dagli artt.
156 e 613 comma 2 (art. 164).
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teriore normativa. n codice distingue tra la prima e le successive notificazioni all'imputato non detenuto. Di regola la prima notificazione è eseguita mediante consegna di copia alla persona (c.d. a mani proprie) ; ciò può avvenire sia nel domicilio, sia altrove (artt. 1 6 1 e 1 62 fatti salvi dall'art. 157 comma 1 ) . Se non è possibile la consegna a mani proprie, la notificazione avviene nel luogo in cui l'imputato è reperibile, e cioè nella casa di abitazione o nel luogo di lavoro, se conosciuti; se tali luoghi non sono conosciuti, avviene ove l'imputato ha tempo ranea dimora o recapito (art. 157 comma 2 ) . Nei predetti luoghi la notifica è eseguita mediante consegna di copia dell'atto ad una persona che conviva anche temporaneamente con l'imputato (20) o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci (2 1 ) . S e non è possibile consegnare la copia alle predette persone, si procede a nuova ricerca (art. 157 comma 7) e, in caso di esito negativo, la notificazione è effettuata mediante deposito dell'atto nella casa comunale di abituale residenza o lavoro, con affissione dell'avviso di deposito alla porta della casa di abitazione o del luogo di lavoro (art. 157 comma 8). L'avvenuto deposito è altresì comunicato all'indagato mediante lettera raccomandata con avviso di ricevi mento. Gli effetti della notificazione decorrono dalla ricezione di quest'ultima. n decreto di irreperibilità. n codice considera anche l'ipotesi nella quale, malgrado l'attivazione delle modalità previste dall'art. 157 (prima notificazione all'imputato non detenuto) non sia comunque possibile effettuare la notifica zione all'imputato perché questi non è reperibile. In tal caso, il giudice o il pubblico ministero devono disporre nuove ricerche nel luogo di nascita, in quello di ultima residenza anagrafica o di dimora e negli altri luoghi indicati dall'art. 159 comma l. Qualora le ricerche diano esito negativo, il giudice o il pubblico ministero emettono un decreto di irreperibilità. Con tale provvedimento viene designato un difensore all'imputato che ne sia privo e viene ordinato che le notificazioni siano eseguite mediante consegna di copia al difensore, che rappresenta l'irre peribile (22). n codice si preoccupa di assicurare la conoscibilità del procedimento da parte dell'irreperibile; in particolare, considera necessaria una verifica costante dell'attualità di tale situazione. n decreto di irreperibilità cessa di avere efficacia, (20) La copia non può essere consegnata a persona minore di quattordici anni o in stato di manifesta incapacità di intendere o di volere (art. 157 comma 4). L'autorità giudiziaria dispone la rinnovazione della notificazione quando la copia è stata consegnata alla persona offesa dal reato e risulta o appare probabile che l'imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'atto notificato (art. 157 comma 5 ) . (2 1 ) l i portiere sottoscrive l'originale dell'atto notificato e l'ufficiale giudiziario d à notizia all'imputato dell'avvenuta consegna mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Gli effetti della notificazione decorrono dalla ricezione di quest'ultima (art. 157 comma 3 ) . (22) La stessa disciplina (consegna di copia al difensore) si applica per le notificazioni all'imputato latitante o evaso, senza che siano necessarie precedenti ricerche (art. 165).
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in sintesi, al termine della fase o del grado di merito (23 ) . Ogni volta che il decreto cessa di avere efficacia, debbono essere disposte nuove ricerche e, in caso di esito negativo, l'autorità giudiziaria emette un nuovo decreto di irrepe ribilità (art. 1 60 comma 4 ) . Successive notiiìcazioni all'imputato non detenuto. li codice regola in modo apposito le successive notificazioni che siano effettuate all'imputato non detenuto. Queste sono eseguite in relazione all'esito della prima notificazione, è cioè ri spettivamente nel domicilio eletto; o presso il difensore, se l'imputato è stato dichiarato irreperibile; o nel luogo in cui è stata effettuata la prima notificazione. La legge n. 60 del 2005 ha introdotto una ulteriore modalità di notificazione in aggiunta a quelle ordinarie (art. 157 comma 8-bis) . Quando l'imputato ha nominato un difensore di fiducia, le notificazioni successive sono eseguite tramite consegna al difensore, che può dichiarare immediatamente all'autorità, che procede, di non accettare la notificazione; questa sarà eseguita con le modalità ordinarie (art. 148, comma 2-bis). Viceversa, se il difensore non rende immediata dichiarazione, la notifica è corretta (24). Notiiìcazioni all'imputato all'estero. Se è nota la residenza o dimora estera dell'indagato o dell'imputato, il giudice o il pubblico ministero inviano una raccomandata con l'indicazione dell'autorità procedente, del titolo del reato e della data e del luogo del fatto, invitando il soggetto a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato entro il termine di trenta giorni. In mancanza di elezione di domicilio, le successive notificazioni devono essere effettuate mediante consegna al difensore (art. 1 69) (25 ) . Se non è nota la residenza o la dimora dell'imputato, debbono effettuarsi ricerche nei limiti stabiliti dalle convenzioni internazionali e in caso di esito negativo deve essere emesso decreto di irreperibilità (art. 169, comma 4 ) . Notifìcazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile, al civilmente obbligato per la pena pecuniaria e ad altri soggetti. La notificazione
alla persona offesa e ad altri soggetti, diversi dalle parti private (es. testimoni, consulenti tecnici ecc.), nonché la prima citazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria sono eseguite con le modalità della prima notificazione all'imputato non detenuto (artt. 154, commi l e 2 ; 1 67 ) . In caso di pluralità di persone offese, se per il numero dei destinatari (23) TI decreto emesso nel corso delle indagini preliminari cessa di avere efficacia con la pronuncia del prowedimento che conclude l'udienza preliminare (art. 160, comma l); il decreto emesso per la notificazione del decreto che dispone il giudizio cessa di avere efficacia con la pronuncia della sentenza di primo grado (art. 160, comma 2); il decreto emesso dal giudice di secondo grado cessa di avere efficacia con la pronuncia della sentenza (art. 160, comma 3 ) . (24) Tuttavia, nel caso i n cui l'imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per l e notifiche a i sensi dell'art. 1 6 1 , la notifica presso il difensore di fiducia ex art. 157, comma 8-bis, non può essere effettuata e, se lo fosse, sarebbe nulla; così si è espressa Cass., sez. un., 27 marzo - 15 maggio 2008, Micciullo. (25)
L'invito è redatto in lingua conosciuta dall'imputato (art. 169, comma 3 ).
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o per l'impossibilità di identificarne alcuni l a notificazione nelle forme ordinarie risulta difficile, il pubblico ministero o il giudice possono disporre con decreto che la notificazione sia eseguita mediante pubblici annunzi (art. 155) . Le notificazioni alla parte civile, al responsabile civile ed al civilmente obbligato, già costituiti in giudizio, sono eseguite presso i difensori (art. 154, comma 4). Le notificazioni all'imputato interdetto o infermo di mente sono eseguite con le modalità ordinarie, ma sono effettuate anche presso il tutore o il curatore (art. 1 66) . Le notificazioni a soggetti diversi da quelli indicati espressamente negli artt. 148- 1 65 (es. consulenti tecnici) sono eseguite con alcune delle modalità previste per la prima notificazione all'imputato non detenuto (artt. 1 67; 157 commi 1 -4 e 8), salvi i casi di urgenza previsti dall'art. 149. Nullità delle notilìcazioni. Il codice prevede una serie di nullità speciali re lative alle notificazioni (26) . Si tratta in sintesi di tutte quelle ipotesi nelle quali non sono state osservate determinate formalità prescritte dalla legge. Una disci plina così minuziosa è funzionale ad assicurare il rispetto delle norme che tendono a ridurre il più possibile lo scarto tra conoscenza legale e conoscenza reale. g.
La traduzione degli atti: l'interprete.
In un sistema prevalentemente inquisitorio (es. , il codice italiano del 1 930) l'interprete ha la funzione di tradurre per il giudice gli atti processuali; il suo ruolo è esclusivamente quello di un ausiliario del giudice inquisitore. Viceversa, nel sistema accusatorio il principio della separazione delle funzioni impone una modifica del ruolo dell'interprete; alla funzione tradizionale si aggiunge quella innovativa, consistente nel rendere comprensibili per le parti, e soprattutto per l'imputato, lo svolgersi del procedimento penale. La normativa sovranazionale. La materia è regolamentata dalla Conven zione europea dei diritti dell'uomo, che pone tre garanzie in favore dell'accusato che non comprende la lingua del processo: l ) il diritto, di carattere generale, di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui compren sibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo (26)
Ai sensi dell'art. 1 7 1 , la notificazione è nulla: «a) se l'atto è notificato in modo incompleto, fuori
dei casi nei quali la legge consente la notificazione per estratto; b) se vi è incertezza assoluta sull'autorità o sulla parte privata richiedente ovvero sul destinatario; c) se nella relazione della copia notificata manca la sottoscrizione di chi l'ha eseguita; d) se sono violate le disposizioni circa la persona a cui deve essere consegnata la copia; e) se non è stato dato l'avvertimento nei casi previsti dall'art. 161 commi l, 2 e 3 e la notificazione è stata eseguita mediante consegna di copia al difensore; j) se è stata omessa l'affissione o non
è stata data la comunicazione prescritta dall'art. 157 comma 8; g) se sull'originale dell'atto notificato manca la sottoscrizione della persona indicata nell'art. 157 comma 3 ; h) se non sono state osservate le modalità prescritte dal giudice nel decreto previsto dall'art. 150 e l'atto non è giunto a conoscenza del destinatario>>. Merita ricordare che alcune di queste nullità speciali possono rientrare tra le ipotesi di nullità generali disciplinate dall'art. 178; v. la disciplina nel prossimo paragrafo 2 lett. e.
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carico (art. 6, par. 3, lett. a); 2 ) il diritto sempre di carattere generale e spettante ad ogni persona che non comprenda o non parli la lingua impiegata in udienza, di farsi assistere gratuitamente da un interprete (art. 6, par. 3 , lett. e) ; 3 ) il diritto, spettante specificamente all'arrestato, eli essere informato dei motivi dell'arresto (art. 5 , par. 2). La giurisprudenza della Corte europea ha chiarito che il diritto all'interprete concerne non soltanto l'udienza, bensì anche gli atti scritti compiuti in fasi anteriori al dibattimento. Le clausole della Convenzione sono state recepite nell'art. 1 1 1 , comma 3 Cost., con l'enunciato generale secondo cui l'accusato deve essere assistito « da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo ». L'effetto finale della consacrazione del principio nella Convenzione e nella Costituzione comporta l'obbligo di dare una interpretazione estensiva a quelle disposizioni del codice eli procedura penale che prevedono la funzione difensiva della traduzione degli atti. Le norme del codice. A sua volta, il codice prevede le due funzioni dell'istituto. La funzione tradizionale è accolta dall'art. 143 , comma 2 , che impone la nomina dell'interprete quando occorre tradurre per l'autorità pro cedente un documento scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intelligibile o quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. Sotto questo profilo, occorre evidenziare che la persona offesa, la parte civile e le altre parti processuali beneficiano soltanto della funzione tradizionale dell'interprete; non hanno un diritto paragonabile a quello spettante all'imputato. La funzione innovativa. La funzione innovativa dell'istituto è accolta dall'art. 143 , comma l , che riconosce il diritto dell'imputato (e dell'indagato), che non conosce la lingua italiana, di farsi assistere dall'interprete sotto due profili: l ) al fine di comprendere l'accusa contro di lui formulata; 2) al fine di seguire il compimento degli atti ai quali partecipa. Pertanto, sotto il primo profilo gli atti che devono essere tradotti nella lingua conosciuta dall'imputato sono gli atti scritti che costituiscono veicolo dell'addebito; e cioè, tra gli altri, il decreto di citazione a giudizio (27) , l'avviso eli conclusione delle indagini preliminari (28) e l'ordinanza che dispone una misura cautelare personale (29) . (27) Corte cost., 19 gennaio 1993 , n. IO: l'imputato ha diritto a che venga tradotto il decreto di citazione a giudizio davanti al tribunale collegiale e monocratico; la traduzione deve comprendere gli elementi costitutivi della citazione ivi compresa la precisazione del termine entro cui chiedere il rito abbreviato. (28) Sul punto, v. Cass., sez. un., 28 novembre 2006, Cieslinsky, in www.dirittoegiustizia.it, 29 novembre 2006: l'obbligo di traduzione in lingua nota all'imputato straniero dell'avvzso di conclusione delle indagini preliminari e della richiesta di rinvio a giudizio consegue, da un lato, alla precisazione contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. IO del 1993, secondo cui l'art. 143 si riferisce sia agli atti orali che a quelli scritti e, dall'altro, alla circostanza che il termine<< accusa>> , di cui all'art. 143 comma l, va interpretato anche alla luce del disposto dei testi sovranazionali (art. 6 Convenzione Europea) e dell'articolo ll1 Cost.,
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Sotto il secondo profilo, deve essere assicurato l'interprete per quegli atti orali ai quali l'imputato partecipa (ad es. , gli interrogatori e le udienze, in ogni stato e grado del procedimento) . È sufficiente la traduzione in una lingua a maggior diffusione internazionale, come l'inglese, il francese e lo spagnolo, purché l'imputato la conosca (30). Pare utile segnalare che Corte cast. con sentenza n. 254 del 2007 ha dichiarato illegittimo l'art. 102 T.U.S.G. (n. 1 15 del 2002) ed ha creato una nuova figura di interprete. Infatti, la Corte ha riconosciuto all'imputato stra niero, che non conosce la lingua italiana e che è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, il diritto di «nominare un proprio interprete », anche se la Corte medesima ha invitato il legislatore a «compiutamente disciplinare la materia inerente a questa nuova figura ». La necessità dell'interprete. Il codice prevede espressamente un'altra ipo tesi nella quale è necessaria l'opera dell'interprete. L'art. 1 19 si riferisce al sordo, al muto e al sordomuto quando costoro non sappiano leggere o scrivere. In queste ipotesi eccezionalmente la qualità di interprete può essere assunta da un prossimo congiunto della persona interessata (art. 144 comma l lett. d). Ove sia prevista dalla legge, la nomina dell'interprete si impone come obbligatoria (es., T.U. sull'immigrazione, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, modifi cato dalla legge 12 novembre 2004 n. 27 1 ) . Il codice precisa che essa è necessaria anche quando il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria hanno personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare (art. 143 comma 3 ) . Con il provvedimento di nomina è disposta la notificazione all'interprete del relativo decreto di citazione; nei casi urgenti l'interprete può essere citato anche oralmente per mezzo dell'ufficiale giudiziario o della polizia giudiziaria (art. 52 disp. att.). Il conferimento dell'incarico impone all'interprete l'obbligo di verità e quello di conservare il segreto su tutti gli atti che si compiano per suo mezzo o in sua presenza (art. 146 comma 2 ) . Per le scritture che richiedano un lavoro di lunga durata l'autorità procedente fissa all'interprete un termine che può essere prorogato per giusta causa una sola volta (art. 147 comma 1). Le situazioni di incompatibilità. In relazione all'interprete sono previste alcune situazioni di incompatibilità. Anzitutto, non può svolgere il ruolo di come comprensivo di tutti gli atti nei quali l'indicazione di elementi a carico dell'indagato o dell'imputato fa sorgere una necessità di dt/esa. (29) Cass., sez. un. 9 febbraio 2004, Zalagaitis, in Guida Dir., 2004, n. 1 1 , 93 , ha affermato la necessità di tradurre l'ordinanza che dispone una misura cautelare custodia/e. Secondo le sez. un., se dopo l'esecuzione di una misura cautelare risulta che l'imputato ignora la lingua italiana, la relativa ordinanza deve essere tradotta nel corso dell'interrogatorio di garanzia. (30) In assenza di una espressa previsione, l'omessa traduzione di un atto (scritto od orale) determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, per inosservanza delle disposizioni concernenti l'assistenza dell'imputato (ex artt. 178, lett. c, e 180). Così, Cass., sez. un., 24 settembre 2003 - 9 febb. 2004, n. 5052.
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interprete colui che è incompatibile come teste (art. 144 comma l , lett. d). La legge vuole evitare che si cumulino in capo all'interprete distinte funzioni processuali quali quella di imputato, di giudice, di pubblico ministero, di ausiliario del giudice o del pubblico ministero e, infine, di difensore che ha svolto le investigazioni private. La medesima disposizione stabilisce che l'inter prete sia incompatibile anche con il testimone, il perito, il consulente tecnico e, più in generale, con tutte quelle persone che hanno la facoltà di astenersi dal testimoniare, quali sono il prossimo congiunto dell'imputato (art. 1 99) ed il titolare di un segreto professionale (art. 200) . Una volta chiarito che il ruolo dell'interprete è distinto da quello svolto dalle altre funzioni processuali e, semmai, si avvicina a quello del perito, notiamo che l'ordinamento impone all'interprete un obbligo di verità identico a quello attribuito a quest'ultimo soggetto (art. 373 c.p . , falsa perizia o inter pretazione) . La prestazione dell'ufficio è obbligatoria (art. 143 comma 4 ) ; in caso di mancata presentazione può essere disposto l'accompagnamento coattivo dell'interprete (art. 133) (3 1 ) . 2.
Le cause di invalidità degli atti. a.
Considerazioni generali.
n codice prevede dettagliatamente i requisiti formali che devono avere i singoli atti del procedimento penale. Tali requisiti danno luogo al "modello legale" del singolo atto; essi rispondono alla fondamentale esigenza che in concreto l'atto possa svolgere la funzione che è ad esso assegnata all'interno del procedimento. L'atto perfetto è quello che è conforme al modello descritto dalla norma processuale; esso è valido e produce gli effetti giuridici previsti dalla legge, primo fra tutti quello di essere utilizzato dal giudice nella decisione. Ovvia mente, il suo valore probatorio è valutato liberamente dal giudice, che potrà ritenerlo attendibile o meno. L'atto che non è conforme al modello legale può essere invalido o meta mente irregolare (v. tav. 2.2.5 ) . È invalido quando la singola difformità rientra in uno dei quattro casi di invalidità previsti dal codice; e cioè quando la singola inosservanza di legge è prevista come causa di decadenza, di inammissibilità, di nullità o di inutilizzabilità. (3 1 ) Sono anche previste situazioni di incapacità ad assumere la funzione di interprete in relazione a qualsiasi procedimento. Per gli stessi motivi l'interprete può essere ricusato (art. 145 ss.). Così, ai sensi dell'art. 144 comma l non può prestare l'ufficio di interprete a pena di nullità: a) il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato e chi è affetto da infermità di mente; b) chi è interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici owero è interdetto o sospeso dall'esercizio di una professione o di un'arte; c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione.
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L'atto irregolare. L'atto è irregolare se la difformità dal modello legale non rientra in una delle cause di invalidità che sono previste dalla legge e che abbiamo appena menzionato. Certamente vi è stata una inosservanza di legge nel compiere l'atto; ma tale inosservanza non è prevista a pena di invalidità. Pertanto l'atto irregolare è valido: il giudice potrà tenerne conto ai fini della decisione, anche se è libero di apprezzarne il valore probatorio (e cioè potrà ritenerne attendibile o meno il contenuto) . Se mai l'inosservanza della legge nel compiere l'atto processuale potrà essere valutata dal punto di vista disciplinare e potrà dar luogo all'applicazione di una sanzione del genere a carico della persona colpevole: ciò è ricavabile dall'art. 124, comma l , secondo cui i soggetti del procedimento « sono tenuti a osservare le norme (del) codice anche quando l'inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale ». L'atto invalido. Come abbiamo appena accennato, le cause di invalidità previste dal codice sono quattro; di esse diamo le nozioni essenziali, prima di passare ad esaminarle singolarmente. L'inammissibilità impedisce al giudice di esaminare nel merito una richiesta presentata da una parte (effettiva o potenziale) quando la richiesta stessa non ha i requisiti previsti dalla legge. La decadenza comporta l'invalidità dell'atto che sia stato eventualmente compiuto dopo che è scaduto un termine perentorio (art. 173 ) . L a nullità è un vizio che colpisce l'atto del procedimento che sia stato compiuto senza l'osservanza di determinate disposizioni stabilite espressamente dalla legge appunto a pena di nullità (art. 177) . L'inutilizzabilità è una invalidità che colpisce direttamente il valore pro batorio di un atto: il giudice non può basarsi su di esso per emettere una decisione. b.
n principio di tassatività.
Nella materia in esame vige uno stretto principio di tassatività; ciò significa che l'inosservanza della legge processuale è causa di invalidità soltanto quando una norma espressamente vi ricollega una delle invalidità appena citate. Ad esem pio, l'incompetenza per territorio deve essere eccepita (dalle parti) o rilevata (dal giudice) a pena di " decadenza" prima della conclusione dell'udienza preliminare (art. 2 1 , comma 2 ) . Viceversa, se l'inosservanza non rientra in una previsione generica o specifica di invalidità, l'atto è meramente irregolare. n principio di tassatività è dettato specificamente per la nullità (art. 177) e per la decadenza (art. 173 ) ; tuttavia esso è desumibile dall'intero sistema delle cause di invalidità. Esso è ricavabile, altresì, dalla legge-delega n. 8 1 del 1 987, che ha stabilito la « previsione espressa sia delle cause di invalidità degli atti che delle conseguenti sanzioni processuali, fino alla nullità insanabile » (criterio direttivo n. 7 ) . Nel far ciò, il legislatore ha tenuto conto della circostanza che gli
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effetti derivanti dalla invalidità sono particolarmente pesanti, perché impedi scono al giudice di ricavare dall'atto risultati utili per la decisione; ciò compro mette l'accertamento del fatto storico, quando l'atto viziato non è rinnovabile. Per tali motivi il legislatore ha fatto prevalere le esigenze di certezza nell'indi viduare le inosservanze che danno luogo alla invalidità, in modo che si sappia con sicurezza se un atto è valido o meno. Semmai, occorre rilevare che l'espressione "sanzione processuale" , conte nuta sia nella legge delega, sia nell'art. 124 del codice di procedura penale, non pare corretta. Infatti, la "sanzione" è una conseguenza che si aggiunge come reazione ad un comportamento valutato sfavorevolmente dall'ordinamento giuridico. Pertanto il termine " sanzione" può essere usato soltanto nel diritto sostanziale. Ad esempio, la commissione di un atto illecito può dar luogo alla applicazione di una "sanzione" penale, civile o disciplinare. Tuttavia, occorre prendere atto che sia la prassi forense, sia lo stesso legislatore usano comune mente l'espressione " sanzione processuale" al posto di "causa di invalidità" . c.
L'inammissibilità.
Questa causa di invalidità impedisce al giudice di esaminare nel merito una richiesta avanzata da una parte effettiva o potenziale del procedimento, quando la richiesta non ha i requisiti stabiliti dalla legge a pena di inammissibilità (32 ) . Il requisito può riguardare il tempo entro il quale deve essere compiuto l'atto (ad esempio, art. 5 9 1 , comma l , lett. c, per l'impugnazione); oppure può concernere il contenuto dell'atto (ad esempio, art. 78, comma l , per la dichia razione di costituzione di parte civile) ; o può toccare un aspetto formale (ad esempio, art. 122, comma l , sulla forma della procura speciale) ; o ancora può riguardare la legittimazione al compimento dell'atto (ad esempio, l'art. 4 1 , in base al quale è inammissibile la ricusazione presentata da un soggetto che non ne ha il diritto). fl regime giuridico. L'inammissibilità è rilevata dal giudice su eccezione di parte o anche d'ufficio; quando la rileva, il giudice dichiara l'inammissibilità della domanda (con ordinanza o con sentenza) e non decide sul merito della stessa. Il codice non stabilisce in via generale un termine entro il quale la domanda deve essere dichiarata, se ne è il caso, inammissibile. Perciò di regola il giudice può rilevare anche d'ufficio tale invalidità fino a che la sentenza sia divenuta irrevocabile, salvo che non sia previsto espressamente un termine anteriore (ad esempio, art. 8 1 , comma l, per la dichiarazione di inammissibilità della costi tuzione di parte civile) . (32) La inammissibilità è prevista anche per atti del giudice che si fa parte quando, ad es., solleva un conflitto di competenza (art. 30).
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La decadenza; la restituzione nel termine.
l) La decadenza. La decadenza denota la perdita del potere di porre in essere un atto a causa del mancato compimento dello stesso entro un termine perentorio. L'atto eventualmente compiuto oltre il termine perentorio è giuridicamente invalido. Sono indispensabili alcune premesse di carattere generale. Lo svolgersi del procedimento penale comporta una successione di atti; la successione deve avvenire in un ordine prestabilito. Gli strumenti che impongono una determi nata cadenza al procedimento sono denominati termini; essi indicano il mo mento in cui un atto può o deve essere compiuto (art. 172 ) . Avuto riguardo alle conseguenze che l a legge collega alla loro inosservanza, i termini sono definiti perentori o ordinatori. Sono denominati termini perentori quelli che prescrivono il compimento di un atto entro e non oltre un determinato periodo di tempo; se tale periodo è superato, il soggetto decade dal potere di compierlo validamente. Data la gravità delle conseguenze connesse allo scadere di un termine perentorio, il legislatore ha sancito che « i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge » (art. 173 , comma 1 ) . Esempi di termini perentori sono contenuti negli artt. 79, comma 2 ; 1 82 , comma 3 ; 458, comma l ; 585 , comma 5 . n codice prescrive che i termini perentori non possono essere prorogati, salvo che la legge disponga altrimenti (art. 173, comma 2). Sono denominati termini ordinatori quelli che fissano il periodo di tempo entro il quale un determinato atto deve essere compiuto; tuttavia, a differenza dei termini perentori, dal superamento della scadenza non deriva alcuna conseguenza di tipo "processuale" : l'atto è validamente compiuto anche se realizzato dopo il decorso del termine. Semmai il soggetto, che lo ha compiuto oltre il termine ordinatorio, può subire conseguenze di tipo disciplinare ove il superamento della scadenza non abbia una valida giustificazione (art. 124). Avuto riguardo all'effetto che imprimono sullo svolgersi del procedimento, i termini processuali sono definiti dilatori o acceleratori. Sono denominati termini dilatori quelli con i quali si prescrive che un atto non può essere compiuto prima del loro decorso; la prassi li definisce "termini liberi" . La finalità è quella di garantire che uno (o più) dei soggetti processuali abbia il tempo necessario per prepararsi al compimento di un determinato atto. Ad esempio, l'art. 429, comma 3 afferma che tra la data del decreto che dispone il giudizio e la data fissata per il giudizio medesimo deve decorrere un termine non inferiore a venti giorni (33 ) . Un altro esempio è dato dall'art. 364, comma 3 : al difensore dell'indagato deve essere dato avviso almeno ventiquattro ore (33) li termine dilatorio può anche essere definito "libero". In base al comma 5 dell'art. 172, << quando è stabilito soltanto il momento finale, le unità di tempo stabilite per il termine si computano intere e libere >>.
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prima del compimento degli atti " garantiti" ai quali il difensore stesso ha diritto di assistere. Attraverso questo tipo di termini l'ordinamento dà alle parti la garanzia di disporre del tempo necessario per organizzare la propria difesa (v. art. 1 1 1 , comma 3 Cost. ) (34). I termini sono definiti acceleratori quando la legge prevede il limite temporale entro il quale un determinato atto deve essere compiuto; la finalità è quella di ottenere che il procedimento si svolga in modo celere al fine di assicurarne la ragionevole durata, come è imposto dall'art. 1 1 1 , comma 2 Cost. (35 ) . Ad esempio, sono acceleratori i termini, entro i quali le parti devono impugnare il provvedimento del giudice (art. 5 85 ) (36) . n regime giuridico della decadenza. Come abbiamo accennato, l'atto eventualmente compiuto oltre il termine perentorio è giuridicamente invalido. Occorre chiedersi quale sia il tipo di invalidità che colpisce tale atto. n codice, di regola, stabilisce che gli atti compiuti da una parte oltre un termine perentorio sono inammissibili. Come esempio, si può ricordare l'impugnazione proposta oltre i termini stabiliti dall'art. 5 85 , comma 5 (art. 5 9 1 , comma l , lett. c). Da ciò si desume che al decorso di un termine perentorio sono ricollegate due sanzioni processuali. Dal punto di vista soggettivo, relativo alla estinzione del potere di compiere l'atto, si fa riferimento al concetto di decadenza. Dal punto di vista oggettivo, relativo al regime dell'atto compiuto oltre il termine, il codice prevede la sanzione della inammissibilità. Merita completare l'esame dell'impostazione recepita dal codice. Si è già precisato che il termine è "perentorio" quando è stabilito a pena di decadenza. L'art. 173 , comma l pone in materia un espresso principio di tassatività: i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge. Ove la legge non preveda la decadenza, né l'inammissibilità, l'atto compiuto oltre il termine è valido. n termine stesso, in tal caso, deve ritenersi di tipo "ordinatorio" . 2) La restituzione nel termine. Natura dell'istituto. La restituzione nel termine è un rimedio di carattere eccezionale, destinato a riassegnare alle parti la possibilità di esercitare un potere che si era estinto per l'inutile decorso di un termine processuale previsto Si ricorda che i termini liberi, a differenza dei termini normali, si computano senza considerare né il dies a quo (giorno iniziale), né il dies ad quem (giorno finale). (34) Si veda Cass., sez. II, 30 aprile 1996, Desimone, in CED 205379, secondo cui la violazione del termine dilatorio<< dà luogo ad una nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178, lett. c c.p.p., attenendo alla rappresentanza e alla difesa ( . . . ); è pertanto suscettibile di sanatoria >>. (35) M. SCAPARONE, Procedura penale, vol. I, Torino, 2008, 304.
(36) Ripetiamo: il termine è definito acceleratorio perché una parre ha l'onere di rispettarlo nel proporre una richiesta. Un altro esempio di termine acceleratorio è offerto dall'art. 408, comma 3: la persona offesa deve presentare opposizione motivata entro dieci giorni da quando le è stata notificata la richiesta di archiviazione.
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a pena di decadenza. La esigenza di equità prevale su quella di certezza a determinate condizioni, e cioè in presenza dei requisiti previsti dall'art. 175 . Il codice prevede tre differenti istituti, uno di carattere generico e due di carattere specifico. Quello di carattere generico permette la restituzione in un termine processuale previsto a pena di decadenza, quando la parte prova di non averlo potuto osservare per caso fortuito o forza maggiore ( 175 comma 1 ) . Istituti specifici sono previsti nei confronti della sentenza contumaciale e del decreto penale di condanna, sul comune presupposto che l'imputato può aver avuto conoscenza soltanto presuntiva, e non effettiva, del procedimento o del prov vedimento ( 175 comma 2). D rimedio generico. La restituzione in termini di tipo generico ( 175 co. l ) concerne tutti i termini a pena di decadenza che non sono stati osservati per caso fortuito o forza maggiore, cioè per situazioni di impossibilità oggettiva non imputabile alla parte (v. tavola 2 . 2 . 12 ) . Si tratta di eventi naturali (es. catastrofi, alluvioni) o fatti umani che concretano un impedimento non vincibile (es. scioperi, blocchi stradali, violenza fisica o· morale esercitata da terzi, errori di operatori giudiziari). Non ha tali caratteristiche un errore o una omissione addebitabile all'interessato. Sono legittimati a chiedere la restituzione in termini « il pubblico ministero, le parti private e i difensori ». All'imputato è equiparato l'indagato in forza dell'art. 6 1 . Si ritiene che sia legittimata anche la persona offesa per tutti quei poteri che alla medesima sono conferiti espressamente dall'art. 90 e da altre disposizioni processuali. La restituzione generica è concessa quando l'interes sato « prova » di non aver potuto rispettare il termine per caso fortuito o forza maggiore. L'onere della prova incombe, pertanto, su colui che chiede il beneficio. La decisione. Il codice pone alcune norme procedurali che sono comuni al rimedio generico, che abbiamo già trattato, ed al rimedio specifico, sul quale ci soffermeremo tra breve. Di regola decide sulla richiesta di restituzione quel giudice che procede al tempo della presentazione della stessa; ad esempio, il giudice del dibattimento se la richiesta è presentata in tale momento. Queste le eccezioni: prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari; dopo che sono stati pronunciati sentenza o decreto di condanna, decide il giudice che sarebbe competente sulla impugnazione o sulla oppos1z10ne. La richiesta di restituzione generica deve essere presentata al giudice competente entro dieci giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore ( 175 comma l); come vedremo, il termine è di trenta giorni per le restituzioni specifiche. I termini appena esposti sono previsti a pena di decadenza. La restituzione (sia generica, sia specifica) non può essere concessa più di una volta per ciascuna parte in ciascun grado del procedimento (art. 175 comma
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3 ) . La legge non indica le forme che devono essere osservate né opera alcun richiamo al procedimento in camera di consiglio (art. 127). ll problema è stato risolto dalle Sezioni unite: di regola il giudice provvede de plano (e cioè senza contraddittorio) a meno che il relativo procedimento incidentale si inserisca in un procedimento principale in corso di svolgimento con il rito camerale, nel qual caso recepisce le forme del procedimento principale (37) . Contenuto dell'ordinanza. L'ordinanza che concede la restituzione nel termine deve essere motivata (art. 125); essa può essere impugnata non auto nomamente bensì soltanto con la sentenza che decide sulla impugnazione o sulla opposizione (art. 175 comma 5 ) . Nella medesima ordinanza, che accoglie la richiesta di restituzione, il giudice, se occorre, ordina la scarcerazione dell'im putato detenuto e adotta tutti i provvedimenti necessari per far cessare gli effetti determinati dalla scadenza del termine (art. 175 comma 7 ) . L'ordinanza che respinge l a richiesta di restituzione nel termine è autono mamente impugnabile: contro di essa può essere proposto ricorso per cassa zione (art. 175 comma 6). La restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale.
Ricordiamo che il giudice dichiara la contumacia (art. 420-quater) quando l'imputato non compare all'udienza preliminare o dibattimentale (artt. 420 comma 2; 420-bù) e la sua assenza non risulta dovuta ad assoluta impossibilità di comparire né a legittimo impedimento (art. 420-ter comma l e 2). Per quanto concerne i presupposti di tipo oggettivo, la sentenza contuma ciale, aggredibile con la restituzione nel termine, deve avere il carattere della irrevocabilità (art. 648). Non vi è sentenza irrevocabile se il titolo esecutivo non si è formato validamente; ad esempio, è stata omessa o è invalida la notificazione dell'estratto della sentenza contumaciale; in tal caso, l'imputato può proporre impugnazione tardiva e, se del caso, instaurare l'incidente di esecuzione (art. 670; si veda il capitolo sulla esecuzione). Dal punto di vista soggettivo, la richiesta può essere presentata soltanto dall'imputato. La richiesta. Come si è accennato, la richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale deve essere presentata al giudice competente entro trenta giorni da quello in cui l'imputato ha avuto conoscenza effettiva del provvedimento; il termine è a pena di decadenza (v. tavola 2 .2 . 13 ) . In caso di estradizione dall'estero, il termine per l a presentazione della richiesta decorre dalla consegna del condannato (art. 175 comma 2-bis) . La particolarità del rimedio contro la sentenza contumaciale sta nell'inversione dell'onere della (37) Cass., sez. un., 1 1 aprile - 28 aprile 2006, n. 1499 1 : « Ne consegue che, allorché si tratti di richiesta di restituzione nel termine per proporre impugnazione, sull'ammissibilità della impugnazione il giudice prowede con ordinanza inaudita altera parte, in quanto la valutazione della richiesta di restituzione in termine precede il procedimento di impugnazione e il prowedimento de plano è legittimato non dall'art. 591 c.p.p., ma dalla mancata previsione generale del procedimento in camera di consiglio >>.
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prova; cw costituisce la noVIta della legge n. 60 del 2005 . Una volta che l'imputato ha presentato richiesta di restituzione nel termine, il rimedio deve essergli concesso, salvo che sia accertata una delle seguenti situazioni: l ) che l'imputato abbia avuto conoscenza effettiva del procedimento (38) e, al con tempo, abbia rinunciato a comparire; 2) che l'imputato abbia avuto conoscenza effettiva del provvedimento (es. estratto della sentenza) e, al tempo stesso, abbia rinunciato volontariamente a proporre impugnazione (39) . Se è accertata una delle due situazioni, il giudice respinge la richiesta; contro l'ordinanza, come si è detto trattando delle norme comuni, l'imputato può proporre ricorso per cassazione (art. 175 comma 6 ) . M a s e nessuna delle situazioni di conoscenza effettiva viene accertata ( o rimane il dubbio), il giudice deve accogliere l a richiesta con ordinanza. L a singolarità del rimedio specifico contro l a sentenza contumaciale sta nel dovere dell'autorità giudiziaria di « compiere ogni necessaria verifica » (art. 175 comma 2). Ciò che l'imputato ottiene dalla decisione, che concede la restituzione, è la possibilità di presentare una impugnazione contro la sentenza contumaciale; pertanto, egli ha l'onere di proporre appello e, in tale sede, di esercitare i propri diritti. La sentenza non è annullata, bensì ne viene eliminato il carattere di irrevocabilità. Pertanto, la sentenza è sottoposta all'effetto sospensivo della esecuzione ai sensi dell'art. 588. Occorre precisare che l'imputato ha diritto di ottenere la restituzione nel termine anche qualora l'impugnazione sia stata già presentata dal proprio difensore; infatti, la Corte cast. con la sentenza n. 3 17 del 2009 ha dichiarato la illegittimità dell'art. 175 , comma 2 , nel senso che ha consentito all'imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, la (38) App. Venezia, ord. 30 maggio 2005, in Giur. merito, 2005, n. 9, 1879, ha ritenuto che << si possa parlare di "effettiva conoscenza del procedimento" soltanto quando vi sia prova positiva che il condannato abbia avuto effettiva conoscenza o dell'esercizio dell'azione penale ( . . . ) o di un atto precedente l'esercizio dell'azione penale (ad esempio una ordinanza di custodia cautelare) ( . . . ) sempre che in tale atto sia contenuta la contestazione di un fatto di reato coincidente in modo sostanziale e tendenziale con quello poi ritenuto in sentenza. Deve trattarsi, in buona sostanza, di un atto del procedimento che informi esplicitamente l'imputato in modo dettagliato della natura e dei motivi dell'accusa formulata a suo carico e che sia funzionale a sollecitare una condotta difensiva sull'addebito così determinato e specificato, ponendolo in condizioni di "farsi sentire", di esporre le proprie ragioni contestando quelle a suo carico>> . (39) La Corte europea dei diritti dell'uomo ha interpretato l'art. 6 CEDU con una serie di pronunce (Colazza c. Italia, 12 febbraio 1985; F.C.B. c. Italia, 28 agosto 1 99 1 ; T. c. Italia, 12 ottobre 1 992; Somogyi c. Italia, 18 maggio 2004; Sejdovic c. Italia, 10 novembre 2004 e Idem, Grande Camera, 1° marzo 2006), nelle quali ha dedotto dalla disposizione citata della Convenzione - in particolare dal comma 3 - un gruppo di regole di garanzia processuale in materia di contumacia: a) l'imputato ha il diritto di esser presente al processo svolto a suo carico; b) lo stesso può rinunciare volontariamente all'esercizio di tale diritto; c) l'imputato deve essere consapevole dell'esistenza di un processo nei suoi confronti; d) devono esistere strumenti preventivi o ripristinatori, per evitare processi a carico di contumaci inconsapevoli, o per assicurare in un nuovo giudizio, anche mediante la produzione di nuove prove, il diritto di difesa che non è stato possibile esercitare personalmente nel processo contumaciale già concluso.
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restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, anche quando analoga impugnazione sia stata già proposta dal difensore (40). La restituzione nel termine per proporre opposizione al decreto penale di condanna. Lo specifico rimedio contro il decreto penale di condanna è costruito
dal legislatore sul modello di quello predisposto per la sentenza contumaciale con i necessari adattamenti (art. 175 commi 2 e 2-bis). Identici sono i termini per la richiesta (trenta giorni) ed il regime probatorio in favore dell'imputato; ottenuta la restituzione, l'imputato può proporre opposizione. Al giudice per le indagini preliminari spetta la competenza sulla richiesta di restituzione nel termine, in quanto a lui tocca la decisione sulla ammissibilità o meno della opposizione. Una particolarità sta in quella disposizione specifica (art. 462) secondo la quale la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria può proporre richiesta di restituzione nel termine ai sensi dell'art. 175 comma l , e cioè con il rimedio generico che va incontro all'onere di provare il caso fortuito o la forza maggiore. e.
La nullità.
Questa causa d'invalidità colpisce un atto del procedimento che è stato compiuto senza l'osservanza di quelle disposizioni che sono imposte dalla legge appunto a pena di "nullità" . Il principio di tassatività è previsto espressamente dall'art. 177 del codice: « l'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge ». La norma espnme una scelta di tipo formalistico, dalla quale derivano varie conseguenze. (40) In precedenza, le Sezioni unite avevano ritenuto che l'impugnazione del difensore avesse l'effetto di precludere la restituzione nel termine per impugnare in favore dell'imputato. Ad avviso del Supremo collegio una simile conclusione era imposta dal principio di unicità del diritto di impugnazione e da quello della ragionevole durata del processo (così Cass., Sez. un., 3 1 gennaio - 7 febbraio 2008, n. 6026, Huzuneanu, in Cass. pen., 2008, 2358, e in Guida dir. , 2008, 15, 86). La Corte costituzionale, nella sentenza 4 dicembre 2009, n. 3 17, ha utilizzato come parametri gli artt. 24 , 1 1 1 , comma l, e 1 17 , comma l Cost. In particolare quest'ultima norma è stata posta in relazione all'art. 6 CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo. li Giudice delle leggi ha messo in rilievo << la compenetrazione delle tutele offerte da queste tre norme, ai fini di un adeguato esercizio del diritto di difesa ». Ad avviso della Corte il confronto tra tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie, anche attraverso lo sviluppo delle poten zialità insite nelle norme costituzionali che hanno ad oggetto i medesimi diritti, nel bilanciamento con gli altri interessi costituzionali contrapposti. In tale ottica, deve essere escluso che il diritto di difesa possa entrare in comparazione con il principio di ragionevole durata del processo, giacché un processo non << giusto >>, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. In conclusione << l'esercizio di un diritto fondamentale non può essere sottratto al suo titolare, che può essere sostituito solo nei limiti strettamente necessari a sopperire alla sua impossibilità di esercitarlo
>>;
il titolare del
diritto << non deve trovarsi di fronte all'effetto irreparabile di una scelta altrui, non voluta e non concordata, potenzialmente dannosa per la sua persona ».
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In primo luogo, non è possibile applicare la nullità per analogia: se anche il caso, non previsto espressamente, appare "simile" ad una ipotesi sanzionata con la nullità, quest'ultima non può regolare il caso non previsto. In secondo luogo, una volta accertata una nullità, non è possibile valutare se vi sia stato un pregiudizio concreto per l'interesse protetto o se comunque l'atto nullo abbia raggiunto l'effetto (salvo le ipotesi previste espressamente dall'art. 1 83 lett. b) . Si tratta di una scelta formalistica che si pone in tensione con l'esigenza di assicurare una durata ragionevole al processo penale (art. 1 1 1 comma 2 Cost.). Non danno luogo a nullità gli errores in iudicando, che trovano il loro rimedio nelle impugnazioni (ad es., il giudice ritiene il testimone non attendibile e, poi, basa la sentenza su tale deposizione) . L e modalità di previsione. Sulla base della modalità di previsione dell'inos servanza, si distingue tra nullità speciali e generali. Le nullità speciali sono quelle previste per una determinata inosservanza precisata nella species (ad esempio, art. 109, comma 3 : inosservanze relative alla lingua degli atti del procedimento) . Le nullità generali sono previste per ampie categorie di inos servanze e sono indicate nell'art. 178 (es., disposizioni sull'intervento dell'im putato). Ciò non contrasta con il principio di tassatività ed evita che il legislatore dimentichi singole ipotesi che hanno una notevole importanza. In particolare, tra le nullità generali vi sono inosservanze che toccano i soggetti principali del processo, quali il giudice, il pubblico ministero, l'imputato e le altre parti private in aspetti particolarmente rilevanti (4 1 ) . n regime giuridico. Per quanto riguarda il regime giuridico, le nullità si distinguono in tre tipi: assolute, intermedie e relative. Sono colpite da nullità assoluta le inosservanze più gravi che sono previste dall'art. 179 e che riguardano i soggetti necessari del procedimento penale. Le nullità assolute sono rilevabili anche d'ufficio in ogni stato e grado del proce dimento e sono insanabili; infatti, si possono ritenere sanate soltanto dalla irrevocabilità della sentenza (42). Sono colpite da nullità intermedia le inosservanze di media gravità che sono disciplinate nell'art. 180 e che riguardano una sfera più ampia di soggetti. Le nullità intermedie sono rilevabili anche d'ufficio, ma entro determinati limiti di tempo; inoltre sono sanabili (art. 183 ) . (4 1)
Per comodità del lettore, riportiamo il contenuto del comma l dell'art. 178:
<<
È sempre prescritta
a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni concernenti: a) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario; b) l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale e la sua partecipazione al procedimento; c) l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante >>.
(42) Per il concetto di irrevocabilità si veda l'art. 648 (in/ra, parte VI, cap. l, § 1) . Ai sensi dell'art. 627 comma 4 non sono rilevabili nel giudizio di rinvio dopo l'annullamento in cassazione quelle nullità assolute che si sono verificate nei precedenti giudizi o nelle indagini preliminari.
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Le nullità relative sono quelle nullità speciali che non rientrano tra quelle assolute e quelle intermedie (art. 1 8 1 ) ; sono dichiarate su eccezione di parte ed entro brevi limiti di tempo; inoltre sono sanabili. Ciò premesso, possiamo esaminare il contenuto delle singole categorie di nullità (v. tav. 2.2.6). Nullità assolute. L'art. 179 indica quali, fra le nullità di ordine generale elencate dall'art. 17 8, sono assolute. - Rientrano in questa categoria (art. 179 comma l) le violazioni delle disposizioni concernenti «le condizioni di capacità del giudice », intese nel senso di capacità generica all'esercizio della funzione giurisdizionale; tale è, ad esempio, la mancanza della laurea in giurisprudenza. Questa interpretazione si impone a causa dell'art. 3 3 , comma 2, secondo cui «non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi, e giudici » (43 ) . Inoltre, rientra nelle nullità assolute generali (art. 1 7 9 comma l ) la viola zione delle disposizioni concernenti «il numero dei giudici necessario per costituire i collegi » stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario ( 44) . - E ancora: è prevista come nullità assoluta generale (art. 1 7 9 comma l ) l a violazione delle disposizioni concernenti «l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale ». In tale nozione rientrano i vizi che si risol vono nel mancato promovimento dell'azione penale (ad es. , è stato omesso uno degli atti previsti dall'art. 405, come la richiesta di rinvio a giudizio nel procedimento ordinario o l'atto che dà inizio ad un procedimento speciale); ma può essere ricompreso anche l'invalido promovimento dell'azione penale eser citata in modo non conforme al modello legale (es., richiesta di rinvio a giudizio sottoscritta dal segretario) . - Inoltre, rientra tra le nullità assolute l a «omessa citazione dell'impu tato » (art. 179 comma 1 ) . L a " citazione" costituisce lo strumento di vocatio in iudicium in primo e secondo grado e ricomprende: a) il decreto di citazione a giudizio; b) la sua comunicazione all'imputato mediante notificazione. a) n decreto di citazione a giudizio è previsto per il dibattimento in primo e secondo grado dagli artt. 429 comma 4, 553 e 601 comma l ; la omissione nei confronti dell'imputato dà luogo a nullità assoluta mentre, come vedremo, nei confronti delle altre parti private dà luogo a nullità intermedia. (43)
Secondo la giurisprudenza le situazioni di incompatibilità non privano il giudice della capacità
generica di giudicare e, pertanto, costituiscono unicamente motivi di astensione e di ricusazione. (44) Una espressa deroga a questa previsione è contenuta nel comma 3 dell'art. 33, secondo cui non si considerano attinenti alla capacità del giudice né al numero dei giudici necessario per costituire l'organo giudicante, le disposizioni sull'attribuzione degli affari penali al tribunale collegiale o monocratico.
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b) È prevista come nullità assoluta la omissione della notificazione (e non qualsiasi vizio della stessa) (45 ) ; non comporta nullità assoluta l'erronea valu tazione del giudice sulla "probabilità" che l'imputato non abbia avuto effettiva conoscenza del decreto. - La presenza del difensore dell'imputato è imposta a pena di nullità assoluta dell'art. 179, comma l , nei casi in cui essa è prevista come « obbliga toria ». Ricordiamo che la presenza del difensore è obbligatoria nelle udienze dibattimentali (in primo e secondo grado: artt. 484 commi 2 e 2-bis; 598) ed inoltre nelle altre occasioni nelle quali è prescritta espressamente (ad es., nell'udienza preliminare, art. 420 comma l; nell'interrogatorio di garanzia, art. 494 comma 2; nell'udienza di convalida dell'arresto in flagranza e del fermo, art. 391 comma l; nelle sommarie informazioni di polizia giudiziaria, art. 350 comma l; nell'incidente probatorio, art. 401 comma 1 ) . Ciò premesso, è causa di nullità assoluta l'assenza del difensore dell'imputato nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza. Occorre segnalare che vi possono essere delle nullità speciali che prevedono espressamente il regime giuridico della nullità assoluta (art. 179, comma 2): ad es. l'art. 525 impone che alla deliberazione della sentenza concorrano « a pena di nullità assoluta » gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Nullità a regime intermedio. Le nullità intermedie sono quelle nullità generali (art. 178) che non sono comprese dall'art. 179 fra quelle assolute: esse sono indicate dall'art. 1 80 con l'espressione « altre nullità ». Sono definite dalla dottrina "intermedie" perché hanno un trattamento che è simile in parte a quelle assolute (sono rilevate anche d'ufficio dal giudice) e in parte a quelle relative (sono sanabili). Hanno un termine per poter essere dedotte (dalle parti) e rilevate (dal giudice). Se verifìcatesi prima del giudizio, devono essere dedotte dalle parti entro la chiusura del dibattimento e devono essere rilevate dal giudice al momento della deliberazione della sentenza di primo grado. Se verificatesi nel giudizio, non possono essere dedotte né rilevate dopo la sentenza del grado successivo (art. 180) . Vediamo il contenuto della categoria delle nullità intermedie. Fra queste rientrano le inosservanze delle disposizioni attinenti alla « partecipazione » del pubblico ministero al procedimento (quindi anche prima del processo) : si può ricordare la lesione del contraddittorio nei suoi confronti (ad esempio, il mancato avviso della data fissata per l'udienza preliminare); il non aver richiesto (45)
Cass. , sez. un., 27 ottobre 2004 - 7 gennaio 2005, n. 1 19, Palumbo, in Cass. pen., 2005, 1 148: « la
notificazione dell'atto di citazione a giudizio eseguita presso il domicilio reale del destinatario a mani di familiare convivente e non presso il domicilio eletto è affetta da nullità generale di tipo intermedio di cui all'articolo 178, lettera c, c.p.p., rilevabile e deducibile nei termini di cui all'articolo 182 dello stesso codice, derivando essa dalla violazione di disposizioni concernenti l'intervento dell'imputato, sempre che non risulti la sua inidoneità in concreto a determinare l'effettiva conoscenza dell'atto in capo al destinatario >>. In termini analoghi, Cass., sez. un. , 18 dicembre 2006, Clemenzi, in www.dirittoegiustizia.it, 19 dicembre 2006.
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il suo parere quando è necessario (ad esempio, ai fini della sostituzione o della revoca delle misure cautelari, art. 299). Costituiscono nullità intermedie le inosservanze concernenti « l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante ». Nel concetto di "intervento" è ricompresa la difesa personale: pertanto dà luogo a nullità intermedia l'aver omesso la informazione di garanzia (art. 3 69) nei confronti dell'indagato (equiparato all'imputato ai sensi dell'art. 6 1 ) . L'as sistenza e la rappresentanza si riferiscono al potere spettante al difensore delle parti private, ad esempio, di essere preavvisato del compimento di un atto al quale egli ha diritto di assistere. Quindi è affetto da tale vizio il compimento dell'interrogatorio dell'indagato senza previo avviso al difensore del medesimo, ove l'avviso sia imposto dalla legge (art. 364 , comma 3 ). Dà luogo a nullità intermedia la omessa citazione per il dibattimento nei confronti delle parti private diverse dall'imputato (parte civile, responsabile civile, ecc.). La stessa invalidità è prevista espressamente per la mancata citazione a giudizio dell'of feso e del querelante, che in senso tecnico non sono "parti" del procedimento quando non siano costituite come parti civili. La differenza che si verifica rispetto all'imputato, la cui mancata citazione dà luogo a nullità assoluta (art. 179), è stata ritenuta ragionevole a suo tempo dalla Corte cost. (n. 172 del 1 975 ) . Nullità relative. In questa categoria rientrano, ai sensi dell'art. 1 8 1 , le nullità che non sono previste tra quelle assolute ed intermedie. Se vogliamo definire con più precisione la categoria, possiamo dire che sono nullità relative quelle inosservanze della legge che costituiscono nullità speciale e che, al tempo stesso, non rientrano tra le nullità assolute o intermedie. Regime delle nullità relative. li regime delle nullità relative è indicato nell'art. 1 8 1 . Si tratta di nullità che sono dichiarabili dal giudice su eccezione di parte e, più precisamente, soltanto della parte interessata (art. 182 comma 1 ) . Al giudice è precluso il potere di rilevare d'ufficio le nullità relative (46) . Sempre per quanto concerne il regime delle nullità relative, occorre evi denziare che i termini per eccepirle sono più brevi di quelli previsti in relazione alle nullità intermedie; si fa riferimento soltanto alla eccezione di parte, proprio perché il giudice di regola non può dichiarare d'ufficio le nullità relative (47) . (46) Questo come regola; poi singole disposizioni del codice prevedono la rilevabilità d'ufficio di determinate nullità speciali, come quelle attinenti alla esigenza cautelare di evitare l'inquinamento della prova (art. 274, comma l , lett. a) e quelle attinenti l'obbligo di motivare i provvedimenti cautelari personali (art. 292 comma 2). (47) Ai sensi dell'art. 1 8 1 comma 2, le nullità concernenti gli atti delle indagini preliminari e quelli compiuti nell'incidente probatorio e le nullità concernenti gli atti dell'udienza preliminare devono essere eccepite prima che sia pronunciato il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare stessa (art. 424). Quando manchi l'udienza preliminare (ad esempio, nel rito direttissimo o davanti al giudice monocratico) le nullità relative devono essere eccepite subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti in giudizio (art. 491 comma l ) ; pertanto, sono oggetto di una questione preliminare.
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Una volta eccepite dalla parte interessata, le nullità relative sono dichiarate dal giudice; ove per qualsiasi motivo il giudice non vi provveda prima del giudizio (art. 181 comma 3 ; ad es. nell'udienza preliminare) , le parti devono riproporre l'eccezione tra le questioni preliminari (art. 491). Se non sono dichiarate dal giudice del giudizio, le nullità relative devono essere eccepite con l'impugnazione della sentenza (arg. ex art. 181 comma 4 ) . Le nullità relative verificatesi nella fase del giudizio e non dichiarate dal giudice devono essere eccepite con l'impugnazione della relativa sentenza (art. 181 comma 4 ) . Qualificazione delle nullità. È questa l'operazione che il giurista è chiamato ad effettuare quando è in presenza di una nullità speciale, quale è, ad esempio, quella prevista dall'art. 4 19 comma 7 . In base a tale disposizione, le norme sulla notificazione dell'avviso della data dell'udienza preliminare sono previste a pena di nullità. In caso di omissione della notifica dell'avviso, occorre procedere con un meccanismo di esclusione progressiva al fine di conoscere quale è il tipo di nullità che viene in rilievo. La omissione della notifica al dz/ensore dell'imputato è ricompresa nella nullità assoluta in quanto determina l'assenza del difensore dell'imputato in uno dei « casi in cui ne è obbligatoria la presenza » (art. 179, comma 1 ) . La omessa notificazione (sempre dell'avviso della data dell'udienza preliminare) all'impu tato integra il concetto di « omessa citazione » di questi e dà luogo ad una nullità assoluta (art. 179, comma l ) (48). La omessa comunicazione al pubblico ministero è ricompresa nel concetto di "partecipazione" di tale soggetto, garantita a pena di nullità intermedia (art. 1 80). La omessa notifica alla persona o/fesa (che non è una parte) non rientra in alcuna nullità assoluta né intermedia; pertanto, poiché è prevista come nullità speciale dall'art. 419, comma 7 , essa dà luogo ad una nullità relativa (art. 1 8 1 ) . I limiti di deducibilità. Il codice pone una distinzione tra « limiti di deducibilità » e « sanatorie generali » (v. tav. 2.2.7). Si tratta di differenti istituti, che hanno il medesimo ambito di applicabilità, e cioè le nullità intermedie e relative. Il limite di deducibilità dà luogo ad un difetto di legittimazione della parte, di modo che quest'ultima trova un ostacolo ad eccepire la nullità; l'effetto pratico è identico a quello della sanatoria. In particolare, le nullità intermedie e quelle relative non possono essere eccepite da colui che « vi ha dato o ha concorso a darvi causa »; né possono (48) Come sarà esposto nella Parte III, cap. 3, § 2, lett. a, dobbiamo dare atto che le Sezioni unite della cassazione hanno affermato che l'omessa notifica all'imputato dell'awiso per l'udienza preliminare comporta una nullità assoluta, rilevabile d'ufficio e deducibile in ogni stato e grado del procedimento (Cass. , sez. un., 9 luglio 2003 , Ferrara, in Cass. pen., 2003 , 3702). Tale pronuncia si fonda sulla considerazione che l'awiso menzionato nell'art. 4 1 9 c.p.p. ha la natura « sostanziale e contenutistica >> di una citazione; pertanto, anche in caso di omesso awiso all'imputato dell'udienza preliminare opera la nullità prevista dall'art. 179 comma l c.p.p.
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essere eccepite da colui che « non ha interesse all'osservanza della disposizione violata » (art. 1 82, comma 1 ) . Ad esempio, nella prima ipotesi, il difensore non può eccepire l'omessa notificazione dell'avviso dell'udienza di riesame quando non ha adempiuto all'obbligo di apprestare nello studio i mezzi idonei a ricevere gli avvisi urgenti; nella seconda ipotesi, l'imputato non ha interesse ad eccepire la nullità del decreto di citazione della persona offesa. Inoltre, quando la parte assiste ad un atto, la nullità dello stesso deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se non è possibile, immediatamente dopo (art. 1 82 , comma 2). Quando la parte non assiste al compimento dell'atto, valgono gli ordinari limiti temporali per eccepire e rilevare le nullità intermedie e relative; detti termini sono stabiliti a pena di decadenza (art. 182 comma 3 ) (49). Le sanatorie. La sanatoria è quel/atto giuridico ulteriore e successivo rispetto all'atto viziato, che affiancato a quest'ultimo lo rende equivalente all'atto valido; a causa della sanatoria l'atto viziato produce gli stessi effetti dell'atto conforme al modello legale. La sanatoria, se si verifica, impedisce a qualsiasi parte di eccepire (ed al giudice di rilevare) la nullità dell'atto. L'istituto è ispirato al principio di conservazione degli atti. Il codice distingue tra sanatorie generali (art. 183 ) e speciali (art. 1 84 ) . Le sanatorie generali s i applicano alle nullità di tipo intermedio o relativo; non si applicano alle nullità assolute per espressa disposizione dell'art. 179 comma l. Ai sensi dell'art. 183 , la nullità è sanata se la parte interessata ha rinunciato espressamente ad eccepirla ovvero ha accettato gli effetti dell'atto anche tacitamente (lett. a). Si tratta di forme di acquiescenza tipizzata, che si possono verificare, ad esempio, quando al difensore dell'imputato non viene dato avviso di un accertamento tecnico non ripetibile (art. 3 60 comma l) ma il difensore stesso utilizza i risultati di tale accertamento per chiedere al giudice un provvedimento. Altra causa di sanatoria generale si ha quando la parte si è avvalsa della facoltà, al cui esercizio l'atto omesso o nullo è preordinato (art. 1 83 lett. b). Nell'esempio appena fatto, il difensore, non avvisato, nomina un consulente di parte, il quale partecipa all'atto. Si tratta di una forma di sanatoria per raggiungimento dello scopo che, però, è limitata ad una ipotesi tipizzata. Resta fuori il caso in cui l'atto abbia comunque raggiunto lo scopo (es., avvisare il difensore dell'imputato) , ma non sia stato seguito dall'effettivo esercizio della facoltà ad esso preordinata. Il sistema dimostra di essere irragionevolmente (49) Viceversa, le nullità assolute non hanno limiti di deducibilità e (come vedremo) non sono sottoposte a sanatorie generali (art. 179); ma non possono essere rilevate dopo che la sentenza è diventata irrevocabile. Ricordiamo ancora che ai sensi dell'art. 627 comma 4 non sono rilevabili nel giudizio di rinvio dopo l'annullamento in cassazione quelle nullità assolute che si sono verificate nei precedenti giudizi o nelle indagini preliminari.
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formalistico e di porsi in contrasto con la ragionevole durata del processo (art. 1 1 1 comma 2 Cast.). La sanatoria speciale delle nullità delle citazioni, avvisi e notificazioni.
L'art. 1 84 prevede una causa speciale di sanatoria che costituisce una ipotesi di raggiungimento dello scopo tipizzata. Ai sensi del primo comma, la nullità di una citazione o di un avviso ovvero delle relative comunicazioni o notificazioni è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire. La sanatoria è applicabile al pubblico ministero, alle parti private, all'offeso dal reato e ai loro difensori che siano comparsi o abbiano rinunciato a comparire. La comparizione deve essere personale e volontaria, ma non occorre che sia accompagnata dalla consapevolezza del vizio che si è verificato. La parte, la quale dichiari che la comparizione è determinata dal solo intento di far rilevare l'irregolarità, ha diritto ad un termine a difesa non inferiore a cinque giorni (comma 2). Quando la nullità riguarda la citazione a comparire a dibattimento (comma 3 ) , il termine non può essere inferiore a venti giorni (art. 429). La dichiarazione di nullità. ll giudice dichiara la nullità di un atto quando, nel caso concreto, non vi sono limiti di deducibilità né si sono verificate sanatorie applicabili a quel tipo di nullità. Si pongono a questo punto due problemi: quello attinente all'estensione della nullità e quello attinente alla rinnovazione dell'atto nullo. Estensione della nullità. L'effetto, e cioè la invalidità, colpisce l'atto non conforme al modello legale; ma ai sensi del comma l dell'art. 1 85 « la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo ». L'estensione della nullità tocca soltanto gli atti che, oltre ad essere successivi ( « consecutivi »), siano anche « dipendenti » dall'atto viziato (in senso logico e giuridico) . Occorre che l'atto nullo sia una condizione necessaria del valido compimento dell'atto successivo. Ad esempio, l'omissione dell'infor mazione di garanzia all'indagato causa la nullità del singolo atto garantito per il quale l'informazione doveva essere inviata e non degli atti successivi non garantiti. La nullità della udienza di convalida del fermo o dell'arresto in flagranza non si estende alla misura cautelare che il giudice dispone in tale sede. L'estensione della nullità produce effetti gravi allorché il vizio colpisca un atto propulsivo del procedimento. Per atti propulsivi si intendono quegli atti di impulso che devono necessariamente essere compiuti perché il procedimento possa validamente proseguire. Come esempio, possiamo ricordare il decreto che dispone il giudizio. Ove tale atto sia dichiarato nullo, ne risultano travolti tutti quelli compiuti successivamente. Rinnovazione dell'atto nullo. Ai sensi del comma 2 dell'art. 185 il giudice, che dichiara la nullità di un atto, ne dispone la rinnovazione, qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità
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per dolo o colpa grave (v. tav. 2 .2.8). La rinnovazione non è possibile quando l'atto è all'origine non ripetibile o lo è diventato successivamente. n codice pone una distinzione quando la nullità è dichiarata in uno stato (cioè fase) o grado del processo diverso da quello in cui la stessa si è verificata. Se si tratta di una prova, il medesimo giudice provvede alla rinnovazione se necessaria e possibile (art. 185 , comma 4). Se non si tratta di una prova, bensì ad esempio di un atto propulsivo, la dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito (art. 1 85 , comma 3 ; es. art. 604). f.
L'inutilizzabilità.
n termine "inutilizzabilità" descrive due aspetti del medesimo fenomeno. Da un lato, esso indica il "vizio" da cui può essere affetto un atto o un documento; da un altro lato, esso illustra il " regime giuridico" al quale l'atto viziato è sottoposto, e cioè il non poter essere messo a fondamento di una decisione del giudice oppure di un atto del pubblico ministero o della polizia giudiziaria (v. tav. 2.2. 10). L'inutilizzabilità è un tipo di invalidità che ha la caratteristica di colpire non l'atto in sé, bensì il suo "valore probatorio" . L'atto, pur valido dal punto di vista formale (ad esempio, non è affetto da nullità) , è colpito nel suo aspetto sostanziale, poiché l'inutilizzabilità impedisce ad esso di produrre il suo effetto principale, che è quello di essere posto a base di una decisione. Inutilizzabilità assoluta e relativa. L'inutilizzabilità dell'atto è assoluta quando il giudice non può basarsi su di esso per emettere un qualsiasi provve dimento; è relativa, quando la legge indica le persone nei confronti delle quali non può essere utilizzato un determinato atto (es., art. 63 , comma l ) o la categoria di provvedimenti che non possono basarsi su tale atto (es., l'art. 360, comma 5 pre vede una inutilizzabilità nel dibattimento, mentre l'atto è utilizzabile nei proce dimenti speciali quali sono il rito abbreviato ed il patteggiamento) (50) . Inutilizzabilità speciale e generale. Si ha inutilizzabilità speciale (discipli nata nella species) ogniqualvolta una norma del codice commini espressamente tale sanzione per il mancato rispetto delle condizioni previste per l'acquisizione di una determinata prova (es., in base all'art. 27 1 sono inutilizzabili le intercet tazioni che siano state « eseguite fuori dei casi consentiti ») . L'inutilizzabilità generale si riferisce a categorie di inosservanze delineate nel genere (art. 1 9 1 , del quale tratteremo in modo approfondito: « le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate » ) . (50) 1992, 170
Per questa distinzione v. N. GALANTINI, L'inutilizzabilità della prova nel processo penale, Padova, e
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Inutilizzabilità patologica e fisiologica. Occorre tracciare una fondamentale
distinzione tra due forme di inutilizzabilità (5 1 ) . La inutilizzabilità patologica consegue ad alcuni tra i vizi più gravi del procedimento probatorio (ammissione, assunzione e valutazione della prova) . La inutilizzabilità fisiologica è una conse guenza del principio della separazione delle fasi del procedimento ed è posta a tutela del principio del contraddittorio: essa tende ad evitare che siano utilizzate per la decisione prove raccolte nel corso delle indagini preliminari. In tale fase, infatti, di regola non viene garantito il principio del contraddittorio nella for mazione della prova, salvo l'ipotesi dell'incidente probatorio (si veda in/ra, Parte III, cap. 5, § 20). I due tipi di inutilizzabilità differiscono nel fondamento nor mativa e nella regolamentazione; pertanto vanno esaminati separatamente. L'inutilizzabilità patologica. L'inutilizzabilità patologica di tipo generale è disciplinata dall'art. 1 9 1 , comma l , in base al quale: « le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate ». La norma, a causa della sua formulazione troppo generica, ha provocato problemi di interpretazione, dei quali è necessario dare conto. n divieto idoneo a provocare l'inutilizzabilità patologica è soltanto quello che è previsto da una norma processuale. Ciò è chiarito dalla rubrica dell'articolo 1 9 1 , che si riferisce alle « prove illegittimamente acquisite »; ed è confermato dalla Relazione al progetto preliminare (p. 6 1 ) , che richiede la violazione di un « divieto probatorio ». Se il divieto avesse avuto ad oggetto la violazione di una legge penale sostanziale, si sarebbe utilizzata l'espressione "prove illecitamente acquisite" . Viceversa, la rubrica dell'art. 191 fa riferimento alle prove « illegit timamente acquisite ». Pertanto le prove raccolte violando una norma della legge penale sostanziale (c.d. prove illecite) sono, di regola, utilizzabili (52); diventano inutilizzabili se è stata violata una specifica norma processuale che (5 1 ) La distinzione è di E. AMomo, Fascicolo processuale e inutilizzabilità degli atti, in AA.Vv., Lezioni sul nuovo processo penale, Milano, 1989, 172.
f: possibile, altresì, distinguere tra inutilizzabilità oggettiva e soggettiva. Da un lato, vi sono limiti probatori dovuti alla inattendibilità dello strumento di conoscenza (es. divieto di deporre sulle voci correnti nel pubblico); da un altro lato, vi sono i limiti dovuti alla necessità di rispettare i diritti dell'individuo (es. divieti probatori in materia di intercettazioni) . l divieti posti a tutela dell'accertamento hanno una natura oggettiva, mentre i divieti a presidio dei diritti fondamentali dell'individuo hanno una natura soggettiva. Questi ultimi, infatti, prescindono dall'attendibilità dell'elemento di prova e costituiscono i limiti "etici" che l'ordinamento pone a se stesso nel perseguire il proprio fine accertativo. Componente oggettiva e soggettiva possono anche concorrere nel de terminare la esclusione di uno strumento di prova. Vi sono infatti divieti probatori di natura "mista", che escludono una prova sia per la sua intrinseca inidoneità euristica, sia per la sua natura lesiva dei diritti individuali (es. divieto di utilizzare la tortura per ottenere dichiarazioni dal teste). Per queste considerazioni, C. CoNTI, voce Inuttlizzabilità (dir. proc. pen.), in Enciclopedia giuridica Treccani, Agg. XIII, 2005, 1 -2. (52) In tal senso, F. CoRDERO, Prove illecite, in In., Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963, 63 e 149. Ad avviso dell'Autore, il termine "acquisizione" (che oggi appare nell'art. 1 9 1 , comma l c.p.p. 1988) è impiegato in senso tecnico ed indica il compimento di un atto attraverso il quale è possibile far entrare nel processo un elemento di prova. La « acquisizione >>, pertanto, non è idonea a ricomprendere la mera raccolta (o scoperta) illecita di un elemento al di fuori di un atto del procedimento. Quanto appena esposto trova conferma nel decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259, con v. in legge 20 novembre 2006, n. 281 . li legislatore
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disponga in tal senso (es., art. 240, comma 2 , che prevede l'inutilizzabilità di una prova acquisita in modo penalmente illecito). D divieto probatorio. In base all'art. 1 9 1 l'inutilizzabilità è la conseguenza che deriva dall'aver acquisito una prova violando un " divieto" probatorio. n vizio, che viene in considerazione, consiste nel fatto che il giudice ha esercitato nella acquisizione di una prova un "potere" che la legge processuale vietava (divieto relativo all'an). Ad esempio, può accadere che il giudice violi il divieto di acquisire documenti che contengono « informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo » (art. 234, comma 3 ) ; altro esempio è l'art. 220 comma 2 , in base al quale nel processo di cognizione « non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche » (53 ) . Quando è stata violata una semplice "modalità" di assunzione di una prova (divieto relativo al quòmodo), questa di regola è utilizzabile (54) . La prova
ha voluto dettare una disciplina espressa al fine di estromettere radicalmente dal processo le prove acquisite in violazione delle norme penali poste a tutela della sfera più intima ed inviolabile dell'individuo. n nuovo comma 2 dell'art. 240 stabilisce che i documenti, i supporti e gli atti concernenti conversazioni e comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico « illegalmente formati o acquisiti >> sono inutilizzabili e debbono essere distrutti. Tale categoria, che possiamo denominare « spionaggio illegale », ricomprende le interferenze illecite nella vita privata e le intercettazioni abusive, sanzionate dagli artt. 615-bis ss. c.p. La medesima sanzione della inutilizzabilità rafforzata colpisce « i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni ». Si tratta del c.d. « dossieraggio illecito », che comporta il trattamento illecito di dati personali e che è punito dall'art. 167 del codice sulla privacy (d.lgs. n. 196 del 2003; la materia sarà oggetto di apposita trattazione in/ra, cap. V, par. 6). In relazione alla prova illecita, si registrano, tuttavia, almeno due sentenze delle Sezioni unite che propendono per la tesi della inutilizzabilità. In verità, una di esse reca soltanto affermazioni incidentali (Cass., sez. un. , 24 settembre 2003 , Torcasio, in Cass. pen., 2004, 30). L'altra, tuttavia, si pronuncia sul tema specifico con rilievi inequivocabili. n caso concerneva un giudice che, chiamato a deporre come testimone in un processo penale, aveva rivelato il segreto della camera di consiglio. L'art. 201 c.p.p. vieta al pubblico ufficiale di rivelare il segreto d'ufficio; la norma, peraltro, non impedisce al giudice o al pubblico ministero di acquisire la dichiarazione, pur penalmente illecita. Eppure, le Sezioni unite hanno affermato che la rivelazione di segreto d'ufficio costituisce illecito penale e, per questo motivo, la prova non è utilizzabile nel processo (Cass., sez. un., 20 ottobre 2002, Carnevale, in CED 224182). (53) Soltanto se dalla norma processuale è ricavabile con certezza un vero e proprio divieto probatorio, è possibile applicare l'art. 191 c.p.p.; ma per poter superare l'ostacolo del principio di tassatività, occorre che in base ad una determinata disposizione sia sottratto in modo assoluto al giudice il potere di ammettere, assumere o valutare quella prova. Quali esempi di "veri e propri" divieti probatori possiamo citare, ancora, la incompatibilità a testimoniare (art. 197) e il divieto di esame sul sentito dire da persona vincolata al segreto professionale (art. 195, comma 6). (54) Un esempio può essere quanto prescritto dall'art. 499, comma 2: << Nel corso dell'esame (incrociato) sono vietate le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte ». È palese che siamo di fronte ad un divieto probatorio, ma questo attiene alle modalità di svolgimento dell'esame incrociato; la prassi giudiziaria conferma che non viene rilevata la inutilizzabilità. Per una soluzione peculiare, si veda, ruttavia, Cass., sez. l, 3 1 maggio 2005, Bega, in Cass. pen., 2006, 2868. La Suprema Corte, sia pure ravvisando nella violazione del divieto una ipotesi di inutilizzabilità, ne ha
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diventa inutilizzabile se tale sanzione è prevista espressamente dalla legge come conseguenza della violazione di quella modalità di assunzione. Ci riferiamo ai casi di inutilizzabilità speciale (es., art. 141 -bis; 27 1 ; 391 -bis, comma 6). Viceversa, le modalità di assunzione non espressamente poste a pena di inutilizzabilità non sono idonee a far scattare tale sanzione processuale, ove siano violate. Ad esempio, la deposizione testimoniale deve essere resa in seguito a « domande su fatti specifici » (art. 499, comma 1 ) . Ma se al testimone viene chiesto dalla parte, che lo interroga, di narrare spontaneamente ciò che sa sul fatto al quale ha assistito, la deposizione è utilizzabile. Un esempio, nel quale è previsto un divieto che concerne le modalità di assunzione e la cui inosservanza, peraltro, è comunemente considerata causa di inutilizzabilità, è offerto dall'art. 188: « non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti ». Non occorre che tali metodi abbiano di fatto influito sulla libertà morale della persona; la prova è inutilizzabile anche quando essi erano semplicemente "idonei" a limitare la libera scelta del dichiarante. Un diverso fenomeno si verifica, come abbiamo visto, con riguardo alla "nullità" (artt. 177 e seguenti) . L'atto nullo è formato violando norme che, di regola, concernono determinate modalità di assunzione previste a pena di nullità (55 ) . Non è vietato che un determinato soggetto compia quel tipo di atto, ma che lo compia violando quelle modalità di assunzione (quomodo). Pertanto, l'atto nullo è stato formato nell'esercizio di un potere legittimo. Ad esempio, è nulla la ricognizione che sia effettuata senza osservare le modalità stabilite dall'art. 2 1 3 , commi l e 2 (art. 2 13 , comma 3 ) . Occorre che, prima del compimento dell'atto, il giudice inviti il dichiarante a descrivere la persona da riconoscere indicando tutti i particolari che ricorda; a riferire se è già stato chiamato ad eseguire il riconoscimento; ad indicare se ha già visto una foto della persona da riconoscere. Ove tali modalità di assunzione non siano osservate, la ricognizione è colpita da nullità relativa. Tuttavia, la nullità può essere sanata nei casi previsti dal codice (art. 1 83 ) e, in tale ipotesi, l'atto resta valido ed utilizzabile. Ovviamente, non è detto che il giudice ritenga attendibile l'elemento di prova che si ricava dall'atto.
subordinato la rilevazione alla tempestiva eccezione delle parti. Qualora queste ultime non abbiano prospet tato la questione direttamente davanti al giudice di fronte al quale la prova si è formata, ad avviso della Suprema corte, è da escludersi la possibilità di eccepire la inutilizzabilità per la prima volta con i motivi di impugnazione. (55) La giurisprudenza distingue nettamente tra nullità ed inutilizzabilità. Cfr. Cass., sez. un., 27 marzo 1996, Sala, in Giust. pen., 1997, III, 245: << le categorie della nullità e dell'inutilizzabilità, pur operando nell'area della patologia della prova, restano distinte e autonome, siccome correlate a diversi presupposti: la prima attenendo sempre e soltanto all'inosservanza di alcune formalità di assunzione della prova - vizio che non pone il procedimento formativo o acquisitivo completamente al di fuori del parametro normativa di riferimento, ma questo non rispetta in alcuni dei suoi peculiari presupposti - la seconda presupponendo, invece, la presenza di una prova "vietata" per la sua intrinseca illegittimità oggettiva, ovvero per effetto del procedimento acquisitivo, la cui manifesta illegittimità lo pone certamente al di fuori del sistema processuale >>. • • .
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n regime giuridico della inutilizzabilità. Come abbiamo anticipato, l'inu tilizzabilità colpisce non l'atto in se stesso, bensì il suo valore probatorio. Il giudice d'ufficio, o su richiesta di parte, dichiara che l'atto è inutilizzabile. L'art. 1 9 1 , comma 2 , pone la regola secondo cui l'inutilizzabilità deve essere rilevata anche d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento, e cioè dalle indagini preliminari alle impugnazioni (56) . Sempre in base all'art. 1 9 1 , comma 2 , l'inutilizzabilità non può essere sanata (a differenza della nullità) , e ciò perché l'atto è stato compiuto esercitando un potere vietato dalla legge processuale. Inoltre, per la stessa struttura logica del vizio, che consiste nella violazione di un divieto probatorio, non è possibile procedere alla rinnovazione dell'atto: di regola il divieto impedisce che una determinata prova entri nel processo (57) . L'inutilizzabilità è u n tipo di invalidità che s i traduce direttamente in un limite al libero convincimento del giudice. I divieti probatori, per opera dell'art. 1 9 1 , costituiscono una sorta di "prova legale negativa" nel senso che il legisla tore esclude alcuni elementi di prova dal materiale che è utilizzabile dal giudice per prendere una decisione e motivarla. Principio di tassatività e divieti probatori. Abbiamo già visto come il criterio direttivo n. 7 della legge delega n. 8 1 del 1 987 abbia imposto la « previsione espressa sia delle cause di invalidità degli atti che delle conseguenti sanzioni processuali ». Il legislatore delegato non ha tradotto in una determinata disposizione tale principio né per l'inammissibilità, né per l'inutilizzabilità. Eppure, per l'inammissibilità si è sempre ritenuto vigente il principio di tassatività come risultato dell'interpretazione delle singole norme che preve dono tale vizio. A conclusioni analoghe dovrebbe pervenirsi per l'altra sanzione processuale che è l'inutilizzabilità. Sul punto, tuttavia, occorre essere cauti. Se è pacifico che le ipotesi di inutilizzabilità speciale debbono ritenersi tassative, maggiori pro blemi crea l'applicazione della clausola generale prevista dall'art. 1 9 1 . Come si è detto, tale norma commina l'inutilizzabilità se è violato un divieto probatorio. La complicazione sta nel fatto che l'individuazione dei divieti probatori è rimessa all'interprete. Anche la Relazione al progetto preliminare (p. 6 1 ) invita alla prudenza; essa precisa che l'inutilizzabilità colpisce le prove acquisite violando « uno specifico divieto » ed aggiunge che deve trattarsi di « veri e propri divieti probatori ». Soltanto se dalla norma processuale è ricavabile con certezza un vero e (56) In giurisprudenza si afferma con frequenza che l'inutilizzabilità riguarda « non soltanto la fase del dibattimento, istituzionalmente destinata alla formazione della prova, ma "qualsiasi stato e grado del procedimento" e dunque anche le fasi ad essa anteriori (o diverse, come nel caso del giudizio abbreviato), senza che per queste la sua operatività sia limitata alle prove acquisite con incidente probatorio >>: così Cass., sez. V, 12 gennaio 1994, Vetrallini, in Cass. pen., 1994, 2757. (57) C. CoNTI, voce Inutilizzabilità (dir. proc. pen.), in Enciclopedia giurzdica Treccani, Agg. XIII, 2005, 5.
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proprio divieto probatorio, è possibile applicare l'art. 191 c.p.p. ; ma per poter superare l'ostacolo del principio di tassatività, occorre che in base ad una determinata disposizione sia sottratto in modo assoluto al giudice il potere di ammettere, assumere o valutare quella prova. Quali esempi di "veri e propri" divieti probatori possiamo citare la incompatibilità a testimoniare (art. 197 ) e il divieto di esame sul sentito dire da persona vincolata al segreto professionale (art. 1 95 , comma 6). I divieti probatori impliciti. In dottrina ci si è chiesti se siano configurabili divieti probatori impliciti. Si tratta, cioè, di divieti che non sono direttamente ricavabili dalla norma che disciplina una determinata prova, bensì discendono dai princìpi generali del sistema. Alla conclusione positiva si perviene se si tiene presente che, in alcuni casi, la rigida applicazione del principio di tassatività nella individuazione dei divieti potrebbe creare pericolosi vuoti di tutela (58). Ben possono esistere ipotesi nelle quali il legislatore non ha sancito un divieto probatorio espresso o comunque ricavabile dal linguaggio legislativo e tuttavia appare necessario sanzionare con l'inutilizzabilità l'ac quisizione di determinati elementi (59) . In tali casi la individuazione di divieti probatori impliciti potrebbe essere idonea ad assicurare la tutela di un bene giuridico di importanza fondamentale. La prova incostituzionale. Al tema dei divieti probatori impliciti si collega la questione relativa alla configurabilità della c.d. prova incostituzionale. Con tale espres sione dottrina e giurisprudenza sono solite indicare quegli elementi di prova che vengono acquisiti con modalità non disciplinate dal codice di rito e lesive dei diritti fondamentali dell'individuo costituzionalmente tutelati. Tradizionalmente si fa dipen dere la configurabilità di tale categoria dal tipo di interpretazione che si prospetta in relazione all'espressione « divieti stabiliti dalla legge » prevista dall'art. 1 9 1 , comma l . Una parte della dottrina ritiene che l e prove assunte in violazione dei diritti fondamen tali siano inutilizzabili sul rilievo che nel concetto di "legge" , inteso estensivamente, rientra anche la Carta fondamentale. Nel momento in cui riconosce come inviolabili alcuni diritti fondamentali dell'individuo, stabilendo che eventuali limitazioni sono consentite nei soli " casi e modi" stabiliti dal legislatore ordinario, la Costituzione fissa altrettanti divieti probatori. La violazione dei predetti "divieti probatori costituzionali" rinviene la propria sanzione e la propria disciplina nell'art. 1 9 1 . Altri studiosi ritengono, viceversa, che l'inutilizzabilità consegua soltanto alla violazione di divieti probatori (58) In tal senso, N. GALANTINI, voce Inutilizzabilità (dir. proc. pen.), in Enc. dir. , Agg. I, Milano, 1997, 698. In giurisprudenza, si veda Cass., sez. l, 27 maggio 1994, Mazzuoccolo, in Arch. n. proc. pen., 1994, 504: « l 'inutilizzabilità, ai sensi dell'art. 1 9 1 , comma l c.p.p., può derivare soltanto dalla violazione di un divieto di acquisizione che, quando non sia esplicito, può riconoscersi come implicito soltanto in relazione alla natura o all'oggetto della prova e non invece in relazione alle modalità della sua assunzione >>. (59) Si veda C. cost., n. 229 del 1998: il sequestro di scritti formati dall'imputato come appunti per facilitare la difesa nell'interrogatorio << si risolve in una palese violazione dei diritti inviolabili della persona prima ancora che del diritto all'autodifesa >>. T ali documenti non sono idonei « ad identificarsi in uno schema legale >>. « I documenti sequestrati sarebbero comunque risultati inutilizzabili per la parte concernente la tutela del diritto alla difesa personale . . . (art. 1 9 1 c.p.p.) >>.
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espressamente stabiliti nel codice e, pertanto, respingono la categoria della prova incostituzionale. n Giudice delle leggi si è cimentato più volte con la problematica ed ha avuto atteggiamenti ondivaghi. Le soluzioni prospettate sono dipese dalla singola questione sottoposta all'attenzione dei giudici costituzionali e dagli orientamenti del diritto vivente, che la Corte nel caso concreto intendeva confermare o arrestare (60). L 'inutilizzabilità derivata. Ci si chiede se sia configurabile la c.d. inutilizzabilità derivata e cioè se la illegittimità di una prova si estenda ad un'altra prova il cui reperimento sia stato determinato dalla prima. n caso tipico è quello della perquisizione illegittima seguita da sequestro, ma si può pensare anche ad una intercettazione inutilizzabile dalla quale si è tratta una informazione determinante per un successivo atto investigativo. In base ad un primo orientamento, l'inutilizzabilità derivata non esiste, perché in materia di inutilizzabilità non vi è una norma espressa che la commina. Mentre, ai sensi dell'art. 1 85 comma l , la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo, nulla di analogo è previsto in materia di inutilizzabilità (61). Pertanto, l'inutilizzabilità dell'atto antecedente non si estende all'atto successivo (cd. teoria del male captum bene retentum) (62 ) . In base ad un differente indirizzo, il nesso funzionale di dipendenza tra perquisizione e sequestro comporta l'estensione della inutilizzabilità alla prova successivamente reperita (63 ) . Si
(60) In alcune pronunce il Giudice delle leggi ha optato per l'esistenza della categoria ed ha ritenuto direttamente operativi i divieti costituzionali (sent. 6 aprile 1973 n. 34, in Giur. cast. , 1973, in tema di intercettazioni, con la quale, per la prima volta, la Corte ha affermato che << attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito >>; sent. 1 1 marzo 1993, n. 81, in Giur. cast. , 1993, 7 3 1 , in materia di sequestro dei tabulati; sent. 1 8 giugno 1998, n. 229, in Cass. pen., 1998, 2847, in relazione al sequestro degli appunti predisposti dall'indagato in vista dell'interrogatorio. V. anche, nella giurisprudenza di legitùmità, Cass., sez. un., 23 febbraio 2000, D'Amuri, in Cass. pen., 2000, 2595 e Cass. pen., sez. un., 13 luglio 1998, Gallieri, in Cass. pen., 1999, 465 entrambe in tema di acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico; Cass., sez. un., 16 maggio 1996, Sala, in Cass. pen., 1996, 3268, in merito al sequestro del corpo del reato a seguito di perquisizione illegittima) . In un'altra sentenza, informata ad una impostazione teorica opposta, la Corte costituzionale ha ritenuto che, in assenza di una norma interposta, l'acquisizione lesiva dei diritti fondamentali fosse consentita e ha dichiarato incostituzionale la disposizione del codice che permetteva l'ingresso del dato (sent. 9 luglio 1996, n. 238, in Dir. pen. e processo, 1996, 109 1 , i n materia d i prelievi ematici "coattivi "). In altre pronunce, il Giudice delle leggi ha invocato un intervento risolutivo del legislatore (ord. 1 9 luglio 2000, n. 304, i n Giur. cast. , 2000, 23 15, n. 304, sulle modalità esecutive delle intercettazioni ambientali e sent. 24 aprile 2002, n. 135, in Giur. cast., 2002, 2 1 76, sulle riprese audiovisive nel domicilio non finalizzate alla captazione di suoni ma di mere immagini). Sulla problematica v. amplius C. CoNTI, voce Inutilizzabilità (dir. proc. pen.), cit., 8-10 e ivi indicazioni bibliografiche. (61) Cass. pen., sez. I, 26 maggio 1994, Scaduto, in Cass. pen. , 1995, 2627; Cass., sez. III, 8 giugno 2004, Ganci. V. anche Corte cost., ord. 27 settembre 2001, n. 332, in Giur. cast. , 200 1 , 282 1 . In precedenza, tuttavia, la Corte costituzionale aveva affermato che non è possibile considerare utilizzabili gli elementi di conoscenza ricavati attraverso la violazione del segreto di Stato. Tale divieto coinvolge anche l'eventuale attività di indagine susseguentemente svolta awalendosi di quelle conoscenze (C. cost., sent. 10 aprile 1998, n. 1 1 0 e 16 dicembre 1998, n. 4 1 0 del 1998). (62) Formulata da F. CoRDERO, Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963, 159. (63 ) Cass., sez. V, 13 marzo 1992, Casini, in Riv. it. dir. proc. pen. , 1994, 1 127.
II.II.2./
Gli atti
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tratta della teoria dei "frutti dell'albero avvelenato " , accolta dalla giurisprudenza nordamericana fin dagli anni venti dello scorso secolo (64 ) .
L'inutilizzabilità fisiologica. Come si è accennato, alcune norme del codice
prevedono l'inutilizzabilità di determinate categorie di atti non perché questi siano stati compiuti in violazione di un " divieto probatorio" , ma soltanto perché sono stati acquisiti "prima" del dibattimento. Si tratta di un uso improprio della nozione di "inutilizzabilità" in situazioni che sono non "patologiche" (inosservanza di un divieto probatorio), bensì sono "fisiologi che" : l'atto è stato compiuto regolarmente, ma prima del dibattimento. Infatti, il codice pone la regola (salvo eccezioni) in base alla quale il giudice può utilizzare ai fini della deliberazione soltanto le prove legittimamente acquisite nel dibattimento (art. 526) . In base a tale disposizione, una eventuale inosservanza dei divieti di lettura degli atti compiuti prima del dibattimento (art. 5 14) comporta l'inutilizzabilità degli stessi ai fini della decisione. La violazione di un divieto di lettura fa sì che la relativa prova sia " diversa" da quella legittimamente acquisita nel dibatti mento e, pertanto, sia inutilizzabile ai sensi dell'art. 526 (65). A ben vedere, in questi casi l'inutilizzabilità diventa una sorta di "griglia selettiva" degli elementi di prova che possono essere posti a base della decisione dibattimentale. Con questo strumento si munisce di una sanzione processuale il principio del contraddittorio. Le prove che siano state raccolte durante le indagini preliminari, ma che non siano state legittimamente acquisite in dibat timento nelle specifiche ipotesi nelle quali è ammessa la lettura (artt. 5 1 1 -5 14), non sono utilizzabili nella decisione poiché non hanno subìto il vaglio del contraddittorio (66) . (64)
Chiamate a pronunciarsi sul rapporto tra perquisizione e sequestro, le sezioni unite non hanno
risolto il problema. Dal punto di vista dei princìpi i giudici di legittimità hanno accolto la teoria della inutilizzabilità derivata con riguardo al rapporto tra perquisizione illegittima e sequestro, facendo discendere tale conseguenza dalla necessità di rispettare i diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti. Tuttavia, il Supremo collegio ha contestualmente ridotto la portata dell'affermazione, sostenendo che ove il risultato della perquisizione sia il rinvenimento ed il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, è lo stesso ordinamento a considerare irrilevante il modo con il quale si sia pervenuti al sequestro. Infatti, quest'ultimo rappresenta un << atto dovuto » la cui omissione esporrebbe gli autori di essa a specifiche
Cass. pen., 1996, 3268). § 20.
responsabilità penali (Cass. pen., sez. un., 16 maggio 1996, Sala, in
(65) (66)
Sul punto, si veda più ampiamente Parte III, Cap. 5,
La scelta fatta dal codice è stata quella di accogliere il principio del "relativismo probatorio" (M.
NOBILI). Taie espressione è stata utilizzata per indicare quel fenomeno in base al quale un elemento di prova può valere soltanto per una fase processuale e non per un'altra, oppure nei confronti di una determinata parte e non di un'altra. Nel primo caso si fa l'esempio della documentazione degli atti di indagine, che è utilizzata nell'udienza preliminare per decidere sul rinvio a giudizio (art. 42 1 ) ma che, di regola, non è utilizzabile per la decisione emessa nel corso del dibattimento (artt. 5 14 e 526). Nel secondo caso si ricorda comunemente che le prove raccolte nell'incidente probatorio sono utilizzabili in dibattimento soltanto nei confronti di quell'imputato il cui difensore abbia partecipato all'incidente stesso (art. 403 ). Alla base del principio del "relativismo probatorio" sta il convincimento che il "metodo" di assunzione della prova influisce sul
208
Profili generali del procedimento penale g.
II.II.2 .g
L'atto inesistente; l'atto abnorme.
L'atto inesistente. Si tratta di una causa di invalidità che è stata elaborata
dalla dottrina e dalla giurisprudenza, non essendo essa prevista espressamente nel codice. Una volta preso atto che in materia di invalidità esiste il principio di tassatività, si è ritenuto iniquo lasciare senza tutela quelle imperfezioni dell'atto che sono più gravi delle nullità assolute insanabili. In effetti, sarebbe profon damente ingiusto che il formarsi del giudicato impedisse al giudice di accertare quelle clamorose violazioni della legge processuale che non sono state espres samente previste dal legislatore proprio a causa della loro eccezionalità. Ed allora la dottrina e la giurisprudenza hanno "creato" una ulteriore causa di invalidità, denominata "inesistenza" . In particolare, la inesistenza di una sentenza impedisce che si formi il giudicato, di modo che l'invalidità può essere rilevata dal giudice anche dopo che la sentenza stessa sia diventata irrevocabile, e cioè non più impugnabile. Fra i casi di inesistenza, comunemente riconosciuti, possiamo ricordare i seguenti: l) la carenza di potere giurisdizionale del giudice, come avviene nell'ipotesi di sentenza penale emessa da un organo della pubblica amministra zione; 2) la sentenza pronunciata contro un imputato totalmente incapace perché coperto dall'immunità (es . , un agente diplomatico). ln tali casi l'atto non esiste in senso giuridico; l'eventuale irrevocabilità della sentenza non impedisce al giudice di rilevare e dichiarare l'inesistenza. In definitiva, la inesistenza è una deroga al principio di tassatività delle invalidità. L'atto abnorme. Segnaliamo che la giurisprudenza ha creato la ulteriore diversa categoria del provvedimento abnorme, che può essere sottoposto a ricorso per cassazione prima della irrevocabilità della sentenza. n principio di tassatività dei mezzi di impugnazione avrebbe precluso la possibilità di impu gnare quei provvedimenti affetti da anomalie così gravi da renderli del tutto eccentrici rispetto al sistema del codice. Proprio per introdurre un correttivo a tale situazione, la giurisprudenza ha escogitato la categoria della abnormità e la ha considerata come un vizio non tipizzato che giustifica il ricorso immediato per cassazione (applicando direttamente l'art. 1 1 1 comma 7 Cost.). È abnorme sia il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, (abnormità strut turale) , sia il provvedimento che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite, quando l'atto determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (abnormità funzionale) . "risultato" della stessa. Soltanto se determinati soggetti sono stati messi in grado di partecipare alla formazione della prova esercitando il diritto al contraddittorio, quest'ultima avrà subìto un controllo accettabile e potrà essere utilizzata per accertare nei confronti di tali soggetti un fatto controverso.
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.
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Gli atti
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L'impugnabilità per cassazione del provvedimento abnorme dipende non dalla sua conoscenza legale (la quale può mancare) ma dalla sua conoscenza concreta. Ovviamente, il termine per ricorrere, pur partendo dalla conoscenza concreta, è quello ordinario. Sul punto, rinviamo al capitolo sul ricorso per cassazione (67). Riepilogo. In definitiva, il vizio della inesistenza della sentenza fa eccezione sia al principio di tassatività delle invalidità, sia alla regola del giudicato. Viceversa, il vizio di abnormità fa eccezione soltanto al principio di tassatività e non alla regola del giudicato; infatti, l' abnormità dell'atto deve essere fatta valere nei termini del ricorso per cassazione, con decorrenza dalla conoscenza concreta dell'atto.
(67) Segnaliamo che l'adozione di un prowedimento abnorme potrebbe avere rilevanza per i magistrati sotto un profilo disciplinare. Infatti ai sensi dell'art. 2 comma l, lett. m, d.lgs. n. 109 del 2006, mod. dalla legge n. 269 del 2006, << costituiscono illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni ( . . . ) l'adozione di provvedimenti adottati nei casi non consentiti dalla legge, per negligenza grave e inescusabile, che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali >>.
CAPITOLO III PRINCÌPI GENERALI SULLA PROVA
SoMMARIO: l . Sistema processuale e norme sulla prova.
-
2. Il ragionamento del giudice: la
sentenza. - 3 . Il ragionamento inferenziale: prova e indizio. - 4 . Il procedimento probatorio e il diritto alla prova. - 5. L'onere della prova. - 6. Il quan tum della prova (c.d.
standard probatorio) . -
7. L 'ambito di applicabilità delle norme sulla prova. - 8. Oralità,
immediatezza e contraddittorio. - 9. Questioni pregiudiziali e limiti probatori. - 1 0 . Il giudice, lo storico e lo scienziato. - 1 1 . L'evoluzione del concetto di scienza. - 12. La formulazione di una ipotesi. - 1 3 . Un aspetto applicativo: la prova del rapporto di causalità tra condotta ed evento.
l.
Sistema processuale e norme sulla prova.
La normativa che ha per oggetto la prova penale risente della scelta che può essere operata tra i due fondamentali sistemi processuali. Nel sistema inquisi torio la materia della prova è scarsamente regolamentata; viceversa nel sistema accusatorio la prova è oggetto di un'attenta e penetrante regolamentazione. La differenza dipende dai postulati sui quali si fondano i due opposti sistemi. Il sistema inquisitorio si basa sul principio di autorità, secondo il quale la verità è tanto meglio accertata quanto più potere è dato al soggetto inquirente. Su di lui si cumulano tutte le funzioni processuali: egli opera al tempo stesso come giudice, come accusatore e come difensore dell'imputato. Più ampi sono i poteri anche coercitivi che gli sono attribuiti, tanto meglio può essere accertata la verità. Accolto questo postulato, ne deriva che ad un unico soggetto sono concessi pieni poteri nella ricerca, ammissione, assunzione e valutazione della prova; tale soggetto nella storia ha assunto varie denominazioni, delle quali la più nota è quella di " giudice inquisitore" . Non importa se si tratta di un giudice singolo o di un organo collegiale; quello che conta è il tipo di potere che gli è attribuito. Poiché nel giudice inquisitore si cumulano tutte le funzioni attinenti al processo, ne deriva che non si avverte la necessità di regolamentare la materia della prova. Anzi, un'eventuale regolamentazione si tradurrebbe immediata mente in un limite all'accertamento della verità. Gli strumenti di controllo, che dovessero essere posti in essere nel momento in cui l'inquisitore sta esercitando i suoi poteri, ne ridurrebbero l'efficacia. Ciò sarebbe contrario al postulato del sistema inquisitorio, che impone il massimo del cumulo dei poteri processuali per accertare nel modo migliore la verità. In base a questa filosofia, qualsiasi
II.III.2
Principi generali sulla prova
211
prova è ammissibile allo scopo di permettere all'inquisitore di accertare la verità. n sistema accusatorio si basa su di un opposto principio, quello dialettico. Si ritiene che la verità si possa meglio accertare se le funzioni processuali sono ripartite tra soggetti che hanno interessi contrapposti. Ad un giudice imparziale spetta soltanto di decidere sulla base di prove ricercate dall'accusa e dalla difesa. La scelta operata dal giudice tra le diverse ricostruzioni del fatto storico è stimolata dal contraddittorio tra soggetti spinti da interessi contrapposti. Una volta che sia stato accolto il principio dialettico, ne derivano alcune conseguenze in tema di prova. I poteri di ricerca, ammissione, assunzione e valutazione della prova non possono essere attribuiti ad un unico soggetto, bensì devono essere divisi e ripartiti tra il giudice, l'accusa e la difesa in modo che nessuno di essi possa abusarne. In questo sistema risulta indispensabile regolamentare la materia della prova. È necessario che i poteri di un soggetto siano bilanciati da quelli concessi agli altri soggetti; occorre che un giudice imparziale abbia i poteri che sono necessari a dirimere i momenti di contrasto inevitabile tra i due antagonisti del processo penale. Il giudice deve restare in una situazione di assoluta imparzialità e neutralità psichica. n codice del 1 988 ha accolto, sia pure con temperamenti, la scelta del sistema accusatorio, indicata come linea direttiva dalla legge delega n. 8 1 del 1 987 . I poteri del giudice e delle parti sono distribuiti in vario modo nelle fasi della ricerca, dell'ammissione, dell'assunzione e della valutazione della prova. La decisione di dedicare un intero libro del codice alla materia della prova è coerente con la scelta di fondo e deve essere accolta in modo positivo. Nel libro terzo del codice viene delineato un vero e proprio "diritto delle prove" . Al giudice è riservato il potere di decidere; alle parti è attribuito il potere di ricercare le prove, di chiederne l'ammissione, di contribuire alla formazione delle stesse. L'istituto che esprime nel modo più cristallino la filosofia del sistema accusatorio è l'esame incrociato, nel quale sono distribuiti in modo dettagliato i poteri di iniziativa spettanti alle parti ed i poteri di controllo attribuiti al giudice (artt. 498 e 499) . 2.
n ragionamento del giudice: la sentenza.
Le problematiche che attengono alla prova penale si comprendono più agevolmente se si considera la finalità alla quale le prove sono destinate, che è quella di rendere possibile la decisione sulla reità dell'imputato. Occorre, quindi, premettere alcuni accenni ai princìpi logici che il giudice segue nel pronunciare la sentenza. n giudice, in primo luogo, accerta se l'imputato ha commesso il fatto che gli è stato addebitato nell'imputazione; in secondo luogo interpreta la norma
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Profili generali del procedimento penale
II.III.2
incriminatrice al fine di ricavarne quale è il fatto tipico punibile; infine, valuta se il fatto storico, che ha accertato, è "conforme" al fatto tipico previsto dalla legge. Proprio in ragione di tali cadenze, la decisione è stata definita un "sillogismo" : il fatto storico, ricostruito attraverso le prove, è la premessa minore; la norma penale incriminatrice è la premessa maggiore; la conclusione consiste nel valutare se il fatto storico rientra nella norma incriminatrice ( 1 ) . Questa è , in sintesi, l a "logica" che applica il giudice; essa si basa sul principio secondo cui i fatti (e cioè gli accadimenti naturalistici) possono essere valutati in base a norme (e cioè con giudizi di valore). Si tratta di un principio che costituisce il frutto del pensiero @osofìco e giuridico elaborato fin dai tempi della cultura greca e latina. n pregio di questa impostazione teorica è quello di imporre un ordine logico alla discussione delle singole questioni; infatti, prima di tutto sono trattate le questioni che attengono alla ricostruzione del fatto storico; quindi si pongono le questioni che attengono all'interpretazione della legge (v. tav. 2 .3 . 1 ) . Al tempo stesso, tale ordine costituisce il frutto di considerazioni di " economia" : ciascuna questione costituisce il presupposto per affrontare la successiva. Ad esempio, se si accerta che il fatto non sussiste non occorre chiedersi se l'imputato lo ha commesso e tanto meno affrontare le questioni relative alla fattispecie incriminatrice violata. Questa ricostruzione rispecchia al tempo stesso l'esigenza di frenare l'intu izionismo e gli aspetti irrazionali che si possono manifestare nel momento del decidere. Al giudice si pone l'obbligo di usare soltanto criteri razionali. La cartina di tornasole, che consente alle parti ed alla collettività di verificare il rispetto di tale approccio, è costituita dalla motivazione nella quale il giudice deve dare conto dell'applicazione di tali criteri. La sentenza. Dal punto di vista formale, la decisione pronunciata dal giudice si presenta come una " sentenza" . Essa è composta da una motivazione e da un dispositivo. Nella motivazione il giudice, in base alle prove che sono state acquisite nel corso del processo, ricostruisce il fatto storico commesso dall'imputato (motivi "in fatto" ) ; quindi interpreta la legge e individua il "fatto tipico" previsto dalla norma penale incriminatrice (motivi "in diritto" ) ; infine valuta se il fatto storico rientra nel fatto tipico (giudizio di conformità). Nel dispositivo il giudice trae le conseguenze dal giudizio di conformità: se il fatto storico commesso dall'imputato è conforme al fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice, il giudice condanna (art. 533 ) ; se il fatto storico non è (l) << In ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto: la (premessa) maggiore dev'essere la legge generale; la (premessa) minore, l'azione conforme, o no, alla legge; la conseguenza, la libertà o la pena >>. << Quando un codice fisso di leggi, che si debbono osservare alla lettera, non lascia al giudice altra incombenza che di esaminare le azioni de' cittadini, e giudicarle conformi o difformi alla legge scritta, (. .. ) allora i cittadini non sono soggetti alle piccole tirannie di molti ». CESARE BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Livorno, 1764, par. 4 .
II.III.2
Prindpi generali sulla prova
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conforme al fatto tipico, il giudice assolve l'imputato con una delle formule previste dal codice (art. 530). Tutto questo si vuole significare, quando si dice con una espressione sintetica, ma efficace, che "il giudice applica il diritto al caso concreto" . In definitiva, il dispositivo è quella parte della sentenza nella quale il giudice emette un "ordine" , che può essere (in sintesi) di condanna o di assoluzione. Dobbiamo adesso entrare nei dettagli e precisare il contenuto logico dei tre momenti fondamentali della decisione del giudice. a) L'accertamento del fatto storico. All'inizio del processo il "fatto storico commesso dall'imputato" non è certo; l'accusa ne afferma l'esistenza; la difesa in tutto o in parte la nega. n conflitto tra accusa e difesa non può essere risolto in base ad un atto di fede (come accadrebbe se si dicesse: il fatto è vero perché, altrimenti, il pubblico ministero non avrebbe formulato l'accusa), bensì deve essere verificato mediante un accertamento basato su princìpi razionali. Il giudice ricostruisce il fatto storico usando come strumento la ragione. Ad esempio, egli non può limitarsi ad affermare che un testimone è attendibile soltanto perché gli crede: al contrario, deve spiegare i motivi sui quali fonda la sua convmz10ne. Perché l'accertamento sia " razionale" , deve avere le seguenti caratteristiche: l ) deve essere basato su prove; 2 ) deve essere oggettivo; 3 ) deve essere basato sui princìpi della logica, dell'esperienza e della scienza. l) "Provare" vuoi dire, in sostanza, indurre nel giudice il convincimento che il fatto storico sia avvenuto in un determinato modo. Tale fatto deve essere " rappresentato" al giudice mediante altri fatti. La prova è, appunto, quel procedimento logico in base al quale da un fatto noto si deducono l'esistenza del fatto storico da provare e le modalità con le quali si è verificato. 2) La seconda caratteristica è conseguenza della prima. L'accertamento, per ché sia " oggettivo" , non deve fondarsi sulla conoscenza privata del giudice, bensì su elementi esterni, e cioè su prove. n massimo grado di oggettività si ha quando il giudice si trova in una situazione di piena terzietà, anche di tipo psichico, rispetto alla prova. Ciò avviene quando sono le parti a ricercare la prova, a chiederne l'ammissione, ad assumerla ponendo le domande ai testimoni e agli altri soggetti che rendono dichiarazioni, come avviene nel nostro ordinamento. 3 ) L'accertamento deve essere "logico" , e cioè basato sui princìpi razionali che regolano la conoscenza. L'assunzione delle prove deve permettere al giudice di valutare la credibilità e l'attendibilità di colui che rende dichiarazioni. Inoltre, il risultato di una prova deve essere messo a confronto con i risultati di altre prove: se vi è una contraddizione, questa deve essere risolta (2). Infine, il giudice deve riportare nella motivazione il percorso logico che ha seguito nella rico(2) Ad esempio, una testimonianza deve essere valutata nel contesto delle altre prove non essendo sufficiente la sola coerenza intrinseca, e cioè l'assenza di contraddizioni.
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Profili generali del procedimento penale
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struzione del fatto storico. Soltanto attraverso la motivazione sarà possibile controllarne l'operato. L'accertamento, effettuato dal giudice, può dar luogo a due soluzioni alternative. Può consistere in un giudizio sull'esistenza di un fatto storico così come esso è stato descritto nell'imputazione; oppure, in un giudizio che esclude che il fatto storico si sia verificato nel modo ipotizzato dall'accusa. In ogni caso si tratta di un giudizio su di un "fatto" e non sul diritto (3 ) . b ) L'individuazione della norma penale incriminatrice. S i tratta di un accertamento di tipo " giuridico" e non di fatto. n giudice esamina la legge penale e ricava da essa il fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice. Ovviamente l'accertamento del giudice ha come parametro di riferimento il fatto storico indicato nell'imputazione e ricostruito mediante le prove. n ragionamento svolto dal giudice è di tipo " giuridico" per due motivi. In primo luogo perché ha per oggetto le disposizioni di legge; in secondo luogo perché usa il metodo dell'interpretazione per chiarire il significato esatto della legge e per ricostruire il fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice. c) n giudizio di conformità. Il giudice valuta se il fatto storico, ricostruito mediante prove, è conforme al fatto tipico previsto e sanzionato dalla norma penale incriminatrice. In estrema sintesi, se il fatto storico non rientra nel fatto tipico, il giudice proscioglie l'imputato; se è conforme al fatto tipico, il giudice condanna l'imputato. Il dispositivo, di assoluzione o di condanna, esplicita la volontà del giudice. 3.
n ragionamento inferenziale: prova e indizio.
Al fine di agevolare la comprensione della disciplina della prova penale, è necessario premettere alcune nozioni di base. Il termine "prova" può avere almeno quattro diversi significati: si può riferire alla fonte di prova, al mezzo di prova, all'elemento di prova o al risultato probatorio. Fonte di prova. Sono fonti di prova le persone, le cose ed i luoghi (4) che (3) È utile ricordare per sommi capi quale è il concetto di "verità" accolto in campo scientifico e storico-giuridico. In campo scientifico la verità si ritiene raggiunta quando la proposizione formulata come ipotesi (ad esempio, il teorema matematico) corrisponde alla misurazione quantitativa del fenomeno che viene osservato. Viceversa, per lo storico e per il giudice la verità si ritiene raggiunta quando l'ipotesi sull'esistenza di un fatto corrisponde alla ricostruzione del fatto stesso ottenuta mediante prove. È ovvio che non si potrà mai conoscere la verità "totale" sul fatto storico verifìcatosi, perché la conoscenza umana ha capacità limitate; d'altra parte, per rendere giustizia non è indispensabile conoscere la "Verità assoluta"; saranno le prove a dirci quanto l'ipotesi è dotata di alta probabilità razionale o, viceversa, da scartare. Si veda, per ulteriori considerazioni, C. CoNTI, Voce Verità processuale, in AA.Vv., Procedura penale, a cura di G. SPANGHER, in Dizionari sistematici di Guida al diritto, Milano, Il Sole 24 ore, 2008, 427; EAD., Accertamento del /atto e inutilizzabilità nel processo penale, Padova, 2007, 2 ss. (4) Con tale termine intendiamo sia i luoghi esistenti in natura, sia i luoghi " immateriali" come ad esempio un sistema informatico o telematico. Si veda infra, parte II, cap. 4, § 6 lett. b; parte II, cap. 5, § l .
II.III.3
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forniscono un elemento di prova (es. art. 65 , comma 1). Il reato, come qualsiasi fatto umano, lascia tracce sia nella memoria delle persone che lo hanno percepito, sia nelle cose presenti nei luoghi nel quale si è verificato. Le persone, le cose ed i luoghi sono le fonti dalle quali possono essere tratte le informazioni utili per ricostruire un fatto del passato. Mezzo di prova è lo strumento col quale si acquisisce al processo un elemento che serve per la decisione; ad esempio, mezzo di prova è una testimonianza (artt. 1 94-207) (5) . Elemento di prova è l'informazione (intesa come dato grezzo) che si ricava dalla fonte di prova, quando ancora non è stata valutata dal giudice (art. 65, comma 1 ) . Questi valuta l a credibilità della fonte e l'attendibilità dell'elemento otte nuto, ricavandone un risultato probatorio (art. 192, comma 1 ) . Pertanto, il risultato probatorio è l'elemento di prova valutato in base ai criteri della credibilità e della attendibilità. Attraverso i risultati delle prove acquisite nel processo, il giudice ricostitu isce il fatto storico di reato (c.d. conclusione probatoria; es. art. 530). Un fatto si può ritenere accertato quando l'ipotesi formulata corrisponde alla ricostru zione del fatto storico effettuata nel processo. Nel suo insieme la prova può essere definita come un ragionamento che da un fatto noto (es. dichiarazione del testimone) ricava l'esistenza di un fatto che è avvenuto in passato e delle cui modalità di svolgimento occorre convincere il giudice (6). Nel processo penale il fatto da provare (gli studiosi lo indicano con l'espressione thema probandum) è precisato nell'art. 1 87 , comma l . È oggetto di prova, in primo luogo, il fatto descritto nell'imputazione, e cioè il fatto storico addebitato all'imputato. Sono fatti da provare anche quelli che permettono di quantificare la sanzione penale e quelli dai quali dipende l'applicazione di norme processuali (art. 187 , comma 2); si tratta, ad esempio, dei fatti che servono per stabilire la credibilità di una persona che rende dichiarazioni (art. 1 94 , comma 2) o che servono a provare, ad esempio, se un teste è stato minacciato (art. 500, commi 4 e 5 ) (7) . In caso di costituzione di parte civile, (5) li codice prevede anche i mezzi di ricerca della prova (si veda il successivo cap. V). Attraverso il mezzo di ricerca della prova entra nel procedimento un elemento probatorio che preesiste allo svolgersi del mezzo stesso; ad esempio, con la perquisizione si mira ad acquisire al procedimento una cosa pertinente al reato. (6) Nel testo utilizziamo il termine " fatto" in modo sintetico così come fa il legislatore nell'art. 2727 c.c. In realtà, ciò che costituisce oggetto di controllo nel processo penale è l'affermazione che è avvenuto un determinato fatto. Tale affermazione può essere giudicata vera o falsa; il fatto in se stesso non è né vero, né falso, ma può soltanto essere avvenuto o meno. In tal senso, v. G. UBERTIS, Prova, Teoria generale del processo penale, in Enc. giur. , XXV, Roma, 1 99 1 , 2 . ( 7 ) Altri esempi sono l a situazione d i fatto a base del legittimo impedimento, che determina l'assoluta impossibilità di comparire (art. 420-ter, comma l); o l'evento che integra il caso fortuito o la forza maggiore, ai fini della restituzione nel termine (art. 175, comma 1 ) .
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sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante da reato (es., quantificazione del danno) . La prova rappresentativa. S i distingue tra prova rappresentativa e d indizio. Con il termine "prova rappresentativa" si fa riferimento a quel ragionamento che dal fatto noto ricava, per rappresentazione, l'esistenza del fatto da pro vare (8). Ad esempio, Tizio riferisce di aver visto Caio sparare. n fatto noto è la dichiarazione di Tizio, che narra quanto ha visto. Il fatto storico è ricavabile in via diretta dalla dichiarazione perché è rappresentato dalle parole pronunciate dal testimone; naturalmente, il giudice deve valutare l'affidabilità della fonte e l'attendibilità della rappresentazione prima di decidere se e quale " risultato probatorio" se ne possa ricavare. È una valutazione razionale di credibilità e di attendibilità basata su regole logiche, scientifiche e di esperienza, delle quali tratteremo successivamente. Detta valutazione è operata di regola attraverso lo strumento dell'esame incrociato (domande, contestazioni) . Da un lato, si tratta di accertare quanto il dichiarante è sincero; quanto è stato attento allo svolgimento del fatto; quanto è in grado di comprendere il significato degli elementi che riferisce; se ha precedenti penali. Tutto ciò è ricompreso nel giudizio di credibilità della fonte. Da un altro lato, si tratta di valutare quanto la rappresentazione effettuata dalla fonte è idonea a descrivere il fatto avvenuto. Ad esempio, il dichiarante aveva gli occhiali? Era in grado di vedere determinati dettagli del fatto? Tutto ciò si esprime con un giudizio di attendibilità della rappresentazione. Frutto delle due operazioni, appena esposte, è il " risultato probatorio" . n giudice, accertato il grado di credibilità della fonte ed il grado di attendibilità della rappresentazione, valuta quanto della rappresentazione fornita è accetta bile razionalmente; di ciò deve dare atto nella motivazione ai sensi dell'art. 1 92 comma l , precisando i « risultati acquisiti e criteri adottati ». Tra il fatto noto (la rappresentazione) e il fatto ignoto (da provare) vi è di mezzo la valutazione di credibilità della fonte e di attendibilità della rappresentazione. Una volta valutati tutti i risultati derivanti dagli altri elementi di prova acquisiti, il giudice nella motivazione ricostruisce il fatto storico, indicando per quali ragioni ritiene attendibili « le prove poste a base della decisione » e « non attendibili le prove contrarie » (art. 546 comma l lett. e). La prova indiziaria. Con il termine "indizio" (definito anche prova critica) si fa riferimento a quel ragionamento che da un fatto provato (cd. circostanza indiziante) ricava l'esistenza di un ulteriore fatto da provare (ad esempio, il fatto addebitato all'imputato) . Il collegamento tra la circostanza indiziante ed il fatto (8) Rappresentare un fatto significa costruirne uno equivalente, in modo da renderlo conoscibile quando non sia più presente; pertanto la rappresentazione è il modo con cui un fatto può essere reso conoscibile da altre persone. li fatto può essere rappresentato con inunagini, parole, gesti o suoni.
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da provare è costituito da una inferenza basata su di una massima di esperienza o su di una legge scientifica. L'oggetto da provare può essere sia il fatto storico che è addebitato all'imputato (e che è denominato nella prassi /atto principale) ; sia un'altra circostanza indiziante, che viene denominata fatto secondario e dalla quale, con una ulteriore inferenza, si può ricavare l'esistenza del fatto principale (v. tav. 2 .3 .3 ) . Un esempio può chiarire il concetto. U n testimone dice di aver visto un uomo uscire di corsa dalla porta di una abitazione ad una determinata ora. La polizia trova nell'abitazione una donna, tale Sempronia, che risulta morta mezz'ora prima del fatto descritto dal testimone. La morte è dovuta alle ferite inferte da un coltello, rinvenuto sul posto. Sentito il testimone, questi identifica in Caio la persona che aveva visto uscire dall'abitazione. Caio, interrogato dalla polizia, si avvale della facoltà di non rispondere e non dà spiegazioni sulla sua presenza sul luogo del delitto, anche se risulta essere un amico della vittima. Accertati questi fatti, si prova a formulare regole di esperienza ricavandole da casi simili al fatto provato (circostanza indiziante). Alle circostanze emerse fino a questo momento si possono applicare due massime di esperienza opposte, entrambe tratte dall'osservazione di casi simili. In base ad una prima massima, colui che esce dall'abitazione dell'amica, senza recarsi subito a chiedere soccorsi o denunciare il fatto alla pubblica autorità, è autore dell'omicidio. In base ad una seconda massima, colui che esce dall'abitazione dell'amica, senza recarsi subito a chiedere soccorsi o denunciare il fatto alla pubblica autorità, è così atterrito dal delitto, che ha scoperto, da non riuscire ad agire razionalmente. In questa seconda ipotesi, il fatto di non aver presentato immediata denuncia né aver chiesto soccorsi può essere spiegato con lo stato mentale dell'uomo, completamente sconvolto dall'aver trovato uccisa l'amica. In base alle cono scenze acquisite fino a quel momento, a carico di Caio vi è un unico indizio: la circostanza indiziante (l'essere stato visto mentre usciva dall'abitazione di Sempronia in un tempo prossimo all'ora della morte) non permette di ritenere in modo univoco la responsabilità di Caio. Sempre in relazione all'esempio fatto, può accadere che nell'appartamento la polizia trovi una impronta digitale sul coltello insanguinato e la confronti con quella presa da Caio. In base ad una legge scientifica, se in due impronte si riscontrano diciassette punti simili e sono assenti difformità, le impronte appartengono alla medesima persona. Confrontate le impronte, un consulente tecnico riscontra diciotto punti simili; pertanto è possibile applicare la legge scientifica nel caso in esame. Da ciò si ricava la prova di un ulteriore fatto secondario: Caio ha impugnato l'arma del delitto. A sua volta, a questo fatto è applicabile una regola di esperienza che ci consente di affermare che, molto probabilmente, Caio ha ucciso Sempronia con quel coltello (/atto principale) . Viene poi trovata, sul vestito che indossava Caio in quella occasione, una macchia di sangue; in base all'esame del DNA si accerta che il sangue è di
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Sempronia. Caio, interrogato dagli inquirenti, afferma di essere da tempo legato sentimentalmente a Sempronia, di essere entrato in casa di lei con una chiave in suo possesso, di averla trovata distesa per terra, di averla toccata, di aver compreso che era morta, di aver maneggiato il coltello e di essere poi uscito sconvolto. A questo punto, vi sono indizi gravi sulla responsabilità di Caio soltanto se si riesce a dimostrare che la versione resa non è attendibile. Potrebbe esservi il testimone Mario che afferma che Caio aveva litigato il giorno prima con Sempronia per motivi di gelosia, a causa di una determinata amicizia maschile di lei. Si tratta di accertare se questa circostanza può costituire un valido movente ai fini della ricostruzione del fatto. Infatti, anche al caso in esame si possono applicare due massime di esperienza diverse, che permettono di giungere a due ricostruzioni opposte del fatto storico. Si può ritenere che la gelosia è tale da costituire un valido movente per una minaccia, che poi degenera in una uccisione. Oppure, si può ipotizzare che la gelosia non è un sentimento così forte da indurre una persona a compiere un atto sconsiderato. li giudice dovrà scegliere, in base alle risultanze del caso concreto, quale delle due massime di esperienza deve essere applicata. Ad esempio, si deve porre il problema se Caio era una persona violenta. n fatto storico può essere accertato anche sulla base di circostanze indizianti ulteriori, che non sono legate al fatto stesso da una relazione causa-effetto. Può risultare che l'omicida aveva capelli rossi, o che possedeva scarpe da tennis di una determinata marca. Se Caio presenta requisiti e dettagli siffatti, è evidente che le circostanze indizianti a suo carico si rafforzano ulteriormente. Esse devono essere tali da permettere, collegandosi fra di loro, di escludere una differente ricostruzione del fatto (9) . La massima di esperienza. La massima di esperienza è una regola di comportamento che esprime quello che avviene nella maggior parte dei casi (id quod plerumque accidit); più precisamente, essa è una regola che è ricavabile da casi simili al fatto noto (circostanza indiziante) . L'esperienza può permettere di formulare un giudizio di relazione tra fatti; vi è una relazione quando si ricava che una categoria di fatti si accompagna ad un'altra determinata categoria di fatti. Si ragiona in base al principio: "in casi simili, vi è un identico comporta mento" . Questo ragionamento permette di accertare l'esistenza di un fatto storico ovviamente non con certezza, ma con una probabilità più o meno ampia. La massima di esperienza è una " regola", e cioè non appartiene al mondo dei fatti; dà luogo ad un giudizio di probabilità e non di certezza. Tuttavia, non esiste altra possibilità di accertamento, quando non sia disponibile una valida prova rappresentativa. Come esempio, sia pure banale, di massima di espe(9) Differente dall'indizio è il sospetto, che è una mera ipotesi senza base probatoria. Ad esempio, "ho il sospetto che una determinata persona abbia rubato una determinata auto" . li sospetto non è sufficiente perché il fatto storico di furto deve essere provato mediante una prova rappresentativa o indiziaria.
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rienza, s i può prospettare il seguente: " quando le rondini volano basse vuoi dire che sta per piovere" . Merita sottolineare che la prova rappresentativa e l'indizio differiscono non per l'oggetto da provare, bensì per la struttura del procedimento logico. L'oggetto da provare può essere sia il fatto principale (fatto di reato) , sia un fatto secondario (un'altra circostanza indiziante). Quest'ultima, infatti, può essere provata sia mediante una prova rappresentativa, sia mediante una prova critica (ad esempio, la presenza dell'imputato nei pressi del luogo del reato può essere provata sia mediante un testimone, sia attraverso una impronta digitale o genetica) . Parimenti, la responsabilità dell'imputato può essere provata sia mediante un testimone che ha visto svolgersi il fatto di reato, sia mediante un indizio. Occorre che il giurista abbia ben chiari gli aspetti di opinabilità del ragionamento indiziario. n primo aspetto sta nello stabilire, tra più fatti storici umani non ripetibili, quali sono gli elementi "simili" e se tali elementi preval gono, o meno, sugli elementi "dissimili" . n secondo aspetto di opinabilità sta nel fatto che, se pure si può notare che il comportamento umano è condizionato in buona parte dagli istinti e dalle passioni, tuttavia non è detto che l'agire di un singolo uomo rispecchi sempre le regole formulate. Le massime di esperienza ci indicano soltanto che vi è la probabilità che una persona, in una situazione simile, possa essersi comportata in modo identico ( 10). n metodo di elaborazione della regola di esperienza. È nostro convinci mento che il meccanismo con cui è costruita la prova indiziaria debba essere configurato nel modo seguente. Il giudice applica un ragionamento di tipo induttivo quando esamina casi simili alla circostanza indiziante e formula una regola di esperienza; e cioè, da casi particolari ricava l'esistenza di una regola generale. Successivamente il giudice svolge un ragionamento deduttivo, e cioè applica alla circostanza indiziante la regola generale che ha ricavato in prece denza ( 1 1 ) . Dunque, il punto veramente cruciale del ragionamento probatorio è la scelta della massima di esperienza ( 12 ) (v. tav. 2 .3 .4 ) . ( lO) Possiamo ritenere superato l'annoso contrasto tra coloro che ritengono valide le massime di esperienza e coloro che propongono di abbandonare detti strumenti. Si veda, per il primo orientamento, F. CoRDERO, Procedura penale, 6 ed., Milano, 1992, 896; M. Nosn.I, Nuove polemiche sulle c.d. massime di esperienza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1969, 126; per il secondo orientamento, ormai divenuto minoritario, G. CALOGERO, La logica del giudice e il suo controllo in cassazione, Padova, 1 93 7 , l 05; M. MASSA, Contributo all'analisi del giudizio di primo grado, Milano, 1964, 83 ss.; G. SABATINI, voce Prova, (dir. proc. pen.), in Novissimo Dig. It., XIV, 1967, 307 ss. ( 1 1 ) n ragionamento deduttivo si basa sulle leggi della logica elaborate fin dai tempi di Aristotele; esso parte dal generale per arrivare al particolare. Un esempio classico è il seguente. "Tutti gli uomini sono mortali" (premessa maggiore o regola generale); "Socrate è un uomo" (premessa minore o caso); "Socrate è mortale" (conclusione o risultato) . n ragionamento deduttivo trae in modo necessario determinate conseguenze dalle premesse assunte e non éonsente una critica della conclusione se non sotto il profilo della contraddittorietà, e cioè in base ai princìpi di identità, di non contraddizione e del terzo escluso. n ragionamento di tipo induttivo parte da casi particolari per arrivare al generale. Esso richiede una vera
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È importante precisare che il giudice deve formulare le regole in base alla "migliore esperienza" e non in base a scelte personali arbitrarie o all'opinione dell'uomo medio ( 13 ) . Inoltre, il giudice deve scegliere in modo corretto quale, fra più massime di esperienza, è applicabile al caso concreto, tenuto conto delle particolarità di quest'ultimo. E cioè, deve applicare quella regola che meglio si attaglia al caso di specie e non automaticamente quella che appare la più probabile in astratto. La bontà del ragionamento del giudice emerge dalla motivazione della sentenza nella quale, come precisa il ricordato art. 1 92 comma l , si deve dare conto dei risultati acquisiti e dei « criteri » adottati. Nella prova indiziaria i criteri sono costituiti dalle massime di esperienza utilizzate dal giudice nel ragionamento inferenziale, che muove dalle risultanze proces suali ( 14).
e propria mentalità d i tipo scientifico-sperimentale, che nel corso della storia si è affermata a partire dagli studi di Galileo Galilei. Dall'osservazione di tanti fatti particolari si ricostruisce una "regola" secondo la quale, in presenza di una causa A, deriva una determinata conseguenza B. Ad esempio, osservando i casi nei quali più persone si sono appoggiate ad un muro polveroso, si può ricavare la regola secondo cui chiunque tocca un muro polveroso sporca i propri abiti. La induzione conduce alla formulazione di una regola generale che è valida fino a prova contraria e cioè finché non si verifichi un caso in cui, in presenza della causa A, la conseguenza B non ha luogo. Il ragionamento di tipo abduttivo, proprio dell'indizio (prova critica), muove da un fatto particolare per arrivare ad affermare l'esistenza di un altro fatto particolare, che costituisce l'antecedente causale del primo, passando attraverso una regola scientifica o di comune esperienza. La particolarità del ragionamento abduttivo sta in ciò: la regola che fa da ponte tra il fatto osservato e il suo antecedente causale si ottiene formulando una ipotesi probabile su quale può essere la causa del fatto osservato. Dunque, il ragionamento sta in piedi, finché non risulti l'erroneità dell'ipotesi causale. Un esempio classico di ragionamento abduttivo è il seguente. "A era l'unica persona che aveva le scarpe coperte di polvere gialla" (fatto particolare osservato). "Non si poteva essere sul luogo del reato senza tingersi le scarpe di polvere gialla" (regola che è il frutto della formulazione di una ipotesi probabile sulla causa del fatto osservato). "A era probabilmente sul luogo del reato" (fatto particolare ignoto, che è correttamente ricostruito se la ipotesi causale formulata risulta valida nel caso concreto). Questo ragionamento non ha un valore generale, bensì relativo al contesto nel quale è applicato; infatti, prescindendo dal caso concreto, è possibile affermare che le scarpe potrebbero essersi macchiate di giallo anche per un'altra causa. ( 12) I fatti da soli non significano nulla. Perché acquistino un significato occorre interpretarli. E per interpretarli, occorrono dei criteri: le massime di esperienza, appunto. Queste massime non sono altro che regole di comportamento che, nel loro insieme, imbrigliano, selezionano e spiegano l'intero mondo dell'espe· rienza. Tuttavia, le massime non sono leggi scientifiche incontrovertibili (allo stato delle conoscenze attuali), ma sono formate da leggi probabilistiche. Inoltre, occorre considerare che il giudice non ha a disposizione un repertorio di massime di esperienza scoperte e brevettate. Il giudice è tenuto a cercare la massima nella selva intricata del sapere contemporaneo e, una volta trovata, deve precisarla o arricchirla per adattarla alla concretezza del caso. In buona sostanza, dunque, il giudice non è un mero fruitore passivo di massime di esperienza.
( 1 3 ) Sul punto, rileviamo una contrapposizione insanabile rispetto a coloro che, forse per contami nazione con le regole cautelari applicabili alla nozione di "colpa" nel diritto sostanziale, ritengono che le regole di esperienza siano proprie di una << persona sana di mente e di media cultura >> (si veda per tutti CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1 923 , 809). Noi sosteniamo che le regole di esperienza devono essere espresse in base alla << migliore esperienza >> in quanto l'accusa deve eliminare ogni ragionevole dubbio. Differenti sono le esigenze di individuazione della nozione di colpa penale.
( 14 ) In questa materia l'aspetto problematico sta nel fatto che, al posto di regole di esperienza ricostruite mediante criteri razionali, il giudice (come ogni persona umana) è portato ad utilizzare, a volte
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La legge scientifica. In materie che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, il giudice deve affidarsi a persone che hanno conoscenze specialistiche in quella determinata disciplina (art. 220). Costoro potranno valutare quale legge della natura è applicabile ad un determinato fatto, al fine di individuarne le cause. Da un lato, la legge scientifica dà maggiore certezza, poiché è possibile conoscere esattamente in quanti ed in quali casi risulta attendibile. Da un altro lato, restano margini di opinabilità, poiché si tratta di: a) scegliere la legge scientifica che deve essere applicata al caso di specie; b) valutare in quale modo deve essere applicata; c) individuare i fatti ai quali applicarla. Si tratta, cioè, di interpretare correttamente un fenomeno (15) e di considerare quali sono le condizioni simili nelle quali si è verificato, in modo da valutare quale è la probabilità che un determinato fatto lo abbia causato. Caratteristiche delle leggi scientifiche. Premesso che per leggi scientifiche si intendono quelle leggi che esprimono una relazione certa o statisticamente significativa tra due fatti della natura, preme evidenziare che le medesime hanno le caratteristiche della generalità, della sperimentabilità e della controllabilità. Sono sperimentabili perché il fenomeno scientifico deve essere riconducibile ad esperimenti misurabili quantitativamente: gli esperimenti sono ripetibili dagli scienziati mediante procedure che verificano la misura dei fenomeni e la validità della legge. Da ciò deriva che, in linea di tendenza, le leggi scientifiche sono generali in quanto non ammettono eccezioni o, comunque, il margine di errore è esattamente conosciuto (mentre non è possibile sapere con esattezza in quanti casi un marito geloso può giungere ad uccidere la moglie) . Se si verificano eccezioni alla legge scientifica, questa viene modificata o abbandonata. Infine, le leggi scientifiche sono controllabili perché la loro formulazione è sottoposta alla critica della comunità degli esperti. Caratteristiche delle massime di esperienza. Le regole di comune espe rienza sembrano essere carenti dei predetti caratteri. Non sono sperimentabili in quanto il reato è un fatto umano che per sua natura non è ripetibile; né di regola è misurabile quantitativamente. Non sono controllabili perché non ci sono tecnici del diritto in grado di seguire, con procedure comunemente accettate, il nascere di una regola di esperienza ed il suo livello di generalità. Non sono generali perché le regole del comportamento umano ammettono eccezioni; né sono autonome rispetto ai casi dai quali sono tratte perché da questi sono ricavate. Per questi motivi sia nella formulazione di una regola di esperienza, sia nella sua applicazione, il giudice deve essere particolarmente cauto. Inoltre, occorre che la regola di esperienza sia costruita essa stessa con un metodo corretto, che si avvicini il più possibile a quello scientifico: è necessario inconsciamente, pregiudizi e luoghi comuni. La storia è piena di esempi in tal senso, a partire da quei "processi agli umori" che sono stati descritti da Alessandro Manzoni. ( 1 5 ) Inteso nel significato del termine greco: "ciò che appare".
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stare attenti a non scambiare per massima di esperienza quello che a volte non è altro se non un pregiudizio comune. Come abbiamo accennato in precedenza, la prova indiziaria è la combina zione del ragionamento induttivo con quello deduttivo. Tale operazione logica è denominata comunemente con il termine "inferenza". Questa è accettabile con maggiore tranquillità quando la regola da applicare è di tipo scientifico. n risultato probatorio ha un alto grado di probabilità a due condizioni: che la legge scientifica non soffra di eccezioni e che la medesima sia applicata correttamente al caso concreto ( 16). La regola giuridica di valutazione degli indizi. L'indizio non è una prova "minore", bensì una prova che deve essere verificata. Esso è idoneo ad accertare l'esistenza di un fatto storico di reato soltanto quando sono presenti altre prove che escludono una diversa ricostruzione dell'accaduto. Il principio è formulato nell'art. 1 92 , comma 2 : « l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti ». Si tratta di una regola giuridica di valutazione, dalla quale si ricava, in primo luogo, che un solo indizio non è mai sufficiente ( 17 ) . L a gravità degli indizi attiene al grado di convincimento: è "grave" l'indizio che è resistente alle obiezioni e che, pertanto, ha una elevata persuasività. Occorre, cioè, che la massima di esperienza, che è stata formulata, esprima una regola che ha un ampio grado di probabilità ( 18). Gli indizi sono precisi quando non sono suscettibili di altre diverse interpretazioni; ad esempio, è indizio preciso la coincidenza tra profili genetici risultante dall'esame del DNA. Ma soprattutto la "circostanza indiziante" deve ( 16) La conclusione delle precedenti considerazioni non è confortante: il ragionamento inferenziale, che è utilizzato dal giudice, va incontro a limiti sia quando impiega una legge scientifica, sia quando fa uso di una massima di esperienza. Per owiare a ciò, sono stati escogitati alcuni rimedi. Da un lato, si consiglia di ricavare le regole attraverso una più estesa osservazione di fenomeni: più ampio è il numero dei casi simili, maggiore è la probabilità di una regola scientifica o di comune esperienza. Da un altro lato, si ritiene necessario sottoporre l'ipotesi ricostruttiva del fatto ad ulteriori controlli. Uno di questi è il metodo della "falsificazione" . Data una ipotesi, se ne deducono le conseguenze, e cioè gli effetti che devono verificarsi nella realtà, se l'ipotesi medesima fosse vera. Quindi si procede all'osservazione empirica per verificare se, in concreto, questi effetti si sono prodotti. Nel caso positivo, l'ipotesi è confermata; nel caso negativo, essa non è confermata. Ancora un esempio. L'accusa ha formulato l'ipotesi di colpevolezza nei confronti di A, basandosi sulla testimonianza di B, il quale ha affermato di aver chiaramente riconosciuto l'aggressore perché quella notte c'era la luna piena. La difesa riesce a sconfessare l'ipotesi sulla base del lunario, che indica, invece, una notte senza luna. ( 17 ) Per una ipotesi peculiare nella quale un solo indizio è sufficiente a far condannare un imputato si veda Cass., sez. V, 5 febbraio 2004, Ali Rafour, in www.dirittoegiustizia.it, 13 febbraio 2004 in relazione al delitto di false generalità (art. 495 c.p.). Un imputato può essere condannato per tale delitto qualora risulti che in due occasioni ha fornito all'autorità giudiziaria generalità differenti. In tali ipotesi si è certi che almeno in un caso egli ha dichiarato il falso anche se non si conoscono le vere generalità del soggetto. ( 1 8 ) Nell'esempio, che abbiamo prospettato qualche pagina addietro, l'ulteriore "circostanza indi ziante" è fornita da un accertamento tecnico o da una perizia che possa dimostrare che sul coltello, che ha provocato la ferita mortale, è stata trovata un'impronta digitale appartenente a Caio. Tale circostanza, unita alla mancanza di una spiegazione logica da parte dell'interessato, è idonea ad integrare "gravi indizi" .
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essere ampiamente provata; altrimenti si corre il pericolo di costruire un castello di argomentazioni logiche che rischia di franare dalle fondamenta. Infine, gli indizi sono concordanti quando convergono tutti verso la mede sima conclusione. Non debbono esservi elementi contrastanti; se questi resi duano, occorre poter escludere ogni altra ricostruzione prospettabile ( 19). Tale conclusione deve essere sottolineata: il ragionamento indiziario non "rappre senta" direttamente il fatto da provare, ma dimostra come questo probabil mente è avvenuto. Pertanto, si impone la massima cautela: occorre escludere tutte le alternative, spiegando nella motivazione della sentenza perché appaiono improbabili, in modo da ritenere il fatto provato " oltre ogni ragionevole dubbio" (art. 533 ; si veda in/ra) . Se viene accertato il probabile movente della condotta, questo costituisce il " cemento" che consolida gli altri indizi convergenti È necessario un ulteriore approfondimento. Gli indizi devono essere gravi, precisi e concordanti soltanto quando tendono a dimostrare l'esistenza di un fatto. L'alibi. Viceversa, se l'oggetto della prova è un fatto incompatibile con la ricostruzione del fatto storico, operata nell'imputazione, allora è sufficiente anche un solo indizio. Intendiamo riferirei all'alibi, e cioè a quella prova logica che dimostra che l'imputato non poteva essere a quell'ora sul luogo del delitto perché nel medesimo momento era in altro luogo ben distante. In tal caso può avvenire che un solo indizio sia idoneo a dimostrare con certezza che il fatto non si è verificato così come lo ha ricostruito l'accusa. Naturalmente la circostanza indiziante sulla quale si basa l'alibi (un teste afferma che l'imputato era in un determinato luogo) come ogni altro elemento di prova deve essere sottoposto al vaglio di attendibilità da parte del giudice (20). Le leggi scientifiche probabilistiche. Fino a questo momento abbiamo accennato alle leggi scientifiche cd. universali, e cioè a quelle leggi che hanno un elevato grado di predizione; si tratta, ad esempio, delle leggi della fisica o della chimica. Dobbiamo dare atto che sono utilizzate nel processo penale anche le leggi probabilistiche, che cioè hanno un grado di predizione non elevato. D'altra ( 19) La concordanza degli indizi << non è invalidata dalla presenza di controindizi. Gli indizi non si contano, si pesano. Nel processo non vale l'algebra degli indizi, vale la loro sintassi: cioè la loro organizzazione in una trama coerente, che consenta una ricostruzione ragionevole della vicenda >>: M. lACOVIELLO, La motivazione della sentenza penale e il suo controllo in cassazione, Milano, 1997, 214. (20) La giurisprudenza tende a distinguere tra l'alibi fallito, irrilevante ai fini del giudizio di colpevolezza e, quindi, "non indiziante", e l'alibi falso, probatoriamente rilevante della credibilità dell'impu tato. Le Sezioni Unite, 21 ottobre 1992, Bompressi, in Foro it., 1993, II, 209, hanno comunque precisato che l'appurata falsità dell'alibi non può determinare un'inversione dell'onere della prova, << costituendo prova della verità del fatto dedotto dall'accusa >> e quindi esonerando questa << dal provare positivamente il suo assunto ». La dottrina prevalente conclude per l'irrilevanza probatoria di entrambe le situazioni, e la fa discendere dalla presunzione di innocenza e dal diritto di difesa: V. GREVI, Nemo tenetur se detegere. Interrogatorio dell'imputato e diritto al silenzio nel processo penale italiano, Milano, 1972, 54.
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parte il giudice non ne può fare a meno. Si tratta, ad esempio, delle leggi della scienza medica. Vi è una disciplina scientifica che merita una apposita menzione. La dattiloscopia si basa sull'osservazione empirica secondo la quale non si riscon trano due individui che abbiano le medesime impronte digitali. La presenza di sedici-diciassette punti simili tra due impronte (c.d. minuzie), in assenza di difformità, induce a ritenere che le impronte stesse appartengono alla medesima persona (2 1). Quando in concreto si devono mettere a confronto impronte che denotano un numero minore di punti simili, la probabilità di esattezza nella identifica zione decresce, ma può restare comunque alta quando una delle minuzie è raramente riscontrabile nella popolazione. Alcuni casi giudiziari sono stati risolti avendo a disposizione soltanto sette punti simili e owiamente in assenza di una qualsiasi difformità: ne basta una per invalidare l'identificazione. Probabilità statistica e probabilità logica. Non vi è nessuna autorità scientifica che può determinare in astratto quale è il livello sufficiente di probabilità che serve per risolvere un caso concreto. La probabilità statistica, fin qui esaminata, non deve confondersi con un differente concetto che viene individuato con la locuzione "probabilità logica" . Si tratta del giudizio circa l'idoneità di una o più leggi scientifiche a spiegare il singolo caso concreto sottoposto all'attenzione del giudice. La probabilità logica, denominata anche "certezza processuale al di là del ragionevole dubbio" , è apprezzata dal giudice sulla base degli elementi di prova raccolti in un determinato processo (22 ) . In altri termini, lo scienziato dice al giudice che 7 0 volte s u 100 una condotta provoca un evento, e che in altri 3 0 casi su cento la condotta non genera l'evento. li giudice invece, partendo da un evento verificatosi (altrimenti non vi sarebbe processo) deve stabilire se esso rientra nella percentuale attri buibile alla condotta, oppure no (ed è quindi stato causato da altro evento processualmente indifferente) . Per risolvere questo dilemma è evidente che la legge scientifica da sola non basta, ma è soltanto l'esame del complessivo materiale probatorio che consente al giudice di emettere una sentenza. La probabilità logica è un concetto che viene in rilievo non soltanto quando si tratta di leggi scientifiche. Essa esprime uno standard probatorio che discende (2 1 ) Ad avviso della giurisprudenza, « le risultanze delle indagini dattiloscopiche offrono piena garanzia di attendibilità senza bisogno di ulteriori elementi sussidiari di conferma, anche quando riflettano una sola impronta purché evidenzino la sussistenza di almeno sedici punti caratteristici uguali per forma o posizione >> (Cass., sez. II, 5 luglio 1985, Solla, in Cass. pen., 1987, 1 7 1 ) . Altre sentenze hanno richiesto la sussistenza di sedici o diciassette punti di convergenza (per tutte Cass., sez. II, 2 marzo 1983, Mattolini, in Cass. pen. , 1984, 2248). In un caso la Cassazione ha ritenuto sufficiente a provare l'identificazione dell'indagato l'esistenza di almeno quattordici punti di identità (Cass. , sez. II, 29 marzo 1982, Mistioni, in Cass. pen., 1983, 2063 ) . (22) Cass., sez. un., 1 1 settembre 2002, Franzese, i n Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 1 133, e i n Foro it., 2002, p. 620.
11.111.3
Principi generali sulla prova
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dalla presunzione di innocenza e che consiste nella certezza processuale al di là del ragionevole dubbio (si veda in/ra sull'onere della prova). Pertanto, anche qualora la prova si basi su massime di esperienza, per condannare occorre una forte probabilità logica. Riepilogo: la prova critica o indizio. Vista la difficoltà della materia, che tuttavia è di importanza centrale nel procedimento penale, è utile operare un riepilogo a fini meramente didattici. L'indizio (23 ) è un procedimento logico che, partendo da un fatto provato (circostanza indiziante) , si propone di accertare l'esistenza di un fatto da provare (oggetto di prova ai sensi dell'art. 1 87 ) . Il fatto noto può essere sia una dichiarazione (es. un testimone dichiara di aver visto fuggire l'imputato) , sia un elemento materiale (es. traccia o impronta lasciata dall'imputato sul luogo del reato). Il risultato di tale inferenza (il fatto da provare) può essere sia il fatto storico di reato (fatto principale) sia un fatto secondario rispetto alla condotta del reo, ma da questa logicamente dipendente. Nel primo caso, dalla dichiara zione del teste sulla fuga dell'imputato si può inferire la commissione del reato; nel secondo caso, dall'impronta si può dedurre la presenza dell'imputato sul luogo del reato. In quest'ultima ipotesi, però, nulla si ricava in ordine alla commissione del fatto da parte dell'imputato. Essa dovrà essere oggetto di prova di altri fatti. In entrambi i casi, il fatto ignoto è sempre ottenuto attraverso un'operazione logica che dà significato a fatti provati. Diversamente avviene nella prova rappresentativa (es. un testimone dichiara di aver visto l'imputato nell'atto di uccidere); in essa il fatto noto (dichiarazione del testimone) rappre senta in modo diretto il fatto storico descritto nell'imputazione. D ragionamento del giudice. Consideriamo ora il procedimento logico seguito dal giudice: al fatto noto è applicata una massima di esperienza (o una legge scientifica, che altro non è se non una regola ricavata con il metodo scientifico, anziché mediante l'esperienza dell'uomo comune). Il giudice ricerca la regola esaminando casi simili al fatto noto in esame; da essi estrae la regola di comportamento che opera in detti casi. Il procedimento è di tipo induttivo: dalla ripetuta osservazione di fenomeni o casi si ricava per astrazione una regola generale; si ritiene che in casi simili il comportamento di un uomo (o un fenomeno naturale) sia identico. Se sono ricavate non una, bensì due regole aventi differenti probabilità di validità, il giudice deve scegliere quella che si adatta meglio al caso concreto, viste le particolarità di quest'ultimo ricavate anche da altri elementi raccolti. Una volta individuata la regola di esperienza (o la legge scientifica), il (23 ) Nel linguaggio comune il termine "indizio" indica il fatto noto o circostanza indiziante (es. la impronta digitale rilevata); nel linguaggio giuridico viene utilizzato invece come procedimento logico applicato alla circostanza indiziante. Etimologicamente, il nostro "indizio" è l'indicium latino, che deriva da index, indicatore, segno, indice.
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Profili generali del procedimento penale
II.III.4
giudice la applica al fatto noto. Si tratta di un ragionamento di tipo deduttivo: ad un caso singolo è applicata la regola al fine di trame come conseguenza l'esistenza del fatto da provare. Sul punto premono due precisazioni: a) il fatto da provare costituisce l'antecedente causale del fatto noto; b) siamo in presenza di un ragionamento probabilistico e, pertanto, il nesso causale tra i due fatti è soltanto probabile. Quello delineato non è un giudizio di certezza assoluta, bensì di probabilità logica, che esprime una certezza relativa alle prove che sono state raccolte nel processo. La legge scientifica può avere un elevato grado di predittività (c.d. legge universale) ; in tal caso le conclusioni sono altamente probabili, naturalmente se l'applicazione al caso concreto è stata corretta. Ma vi sono leggi scientifiche probabilistiche, che cioè hanno un grado di predittività non elevato. Anche esse possono essere utilizzate nel ragionamento indiziario, quando si può escludere che altre siano state le cause del fatto noto. Il codice vieta che il fatto di reato possa essere accertato mediante un solo indizio, a prescindere dalla considerazione che il procedimento logico si basi su di una regola di esperienza oppure su di una legge scientifica (art. 192 comma 2). Soprattutto, le parti devono essere ammesse a "falsificare" la regola. Par tendo dalla osservazione di un fatto, in base alla migliore scienza o esperienza si conosce che tale fatto è stato provocato da determinate condotte. Le parti devono poter prospettare le loro ricostruzioni in merito. A tal fine hanno il diritto di ricercare e introdurre nel processo quelle prove che sono volte a dimostrare una diversa ipotesi ricostruttiva; hanno altresì il diritto di argomen tare in relazione alle risultanze processuali ed alle regole di scienza o di esperienza da applicare a dette risultanze. Tali diritti vengono esercitati perso nalmente o con l'ausilio di esperti (consulenti tecnici). Ove la controparte riesca a dimostrare l'infondatezza della ricostruzione avversaria, la validità in concreto della regola utilizzata viene meno; l'esistenza del fatto non è più probabile (24) . 4.
Il procedimento probatorio e il diritto alla prova.
n principio eli legalità processuale in materia probatoria. Il procedimento probatorio è regolamentato dal codice nei fondamentali momenti della ricerca, dell'ammissione, dell'assunzione e della valutazione della prova (25). Per co(24) Naturalmente, il quantum di prova necessario sarà differente per l'accusa e per la difesa. Sarà infatti sufficiente che quest'ultima faccia sorgere un ragionevole dubbio sulla validità dell'ipotesi ricostruttiva formulata dall'accusa. (25) Per la prima elaborazione dell'istituto, si veda F. CoRDERO, Il procedimento probatorio, in Io., Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963, 53. Ulteriori approfondimenti in G. UBERTIS , La prova penale. Profili giuridici ed epistemologici, Torino, 1995, 52; G. ILLUMINATI, Ammissione e acquisizione della prova nell'istru zione dibattimentale, in AA.Vv., La prova nel dibattimento penale, Torino, 1999, 65 ss.
II.III.4.a
Principi generali sulla prova
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modità di esposizione, in questa sede esaminiamo il procedimento probatorio con riferimento alla fase del dibattimento (v. tav. 2 .3 .2 ) . Come s i è accennato in apertura del presente capitolo, in u n sistema processuale di tipo inquisitorio la prova è un " affare del giudice" , che cumula i poteri di ricercare, ammettere, assumere e valutare la prova. Il controllo sulla gestione delle prove diventa impossibile e vi è carenza di regole e di garanzie. Viceversa, in un sistema di tipo accusatorio, quale è quello verso cui è orientato il codice vigente, spetta alle parti il potere di ricercare le fonti e di chiedere al giudice l'ammissione del relativo mezzo di prova. Tuttavia, la prova non è " di proprietà delle parti" . I poteri in materia di prova risentono del principio della separazione delle funzioni processuali. Alle parti spetta unica mente il potere di ricerca e di domanda. Al giudice spetta il potere di decidere l'ammissione e di emettere una valutazione sulle prove. I poteri sono regola mentati dalla legge perché le parti contrapposte non ne abusino; il controllo spetta al giudice imparziale. Ma anche i poteri esercitabili dal giudice sono regolati dalla legge, al fine di evitare abusi anche da parte di costui. In tal senso si può dire che esiste un vero e proprio principio di "legalità processuale in materia probatoria" . Sotto i profili delineati, vi è una completa "parità di armi" tra le parti; nella tecnica di formazione della prova le richieste formulate dall'accusa e dalla difesa sono valutate dal giudice in base ai medesimi criteri della pertinenza e della rilevanza; gli elementi ricavati sono sottoposti alla medesima valutazione di attendibilità. Non conta il soggetto processuale dal quale proviene la richiesta di assumere quel determinato mezzo di prova; quello che conta è il grado con cui l'elemento, che se ne ricava, resiste al vaglio del contraddittorio operato dalle parti contrapposte. Queste partecipano direttamente alla formazione della prova ponendo le domande nell'esame incrociato. Il " diritto alla prova" è una espressione di sintesi che comprende il potere, spettante a ciascuna delle parti, di: a) ricercare le fonti di prova; b) chiedere l'ammissione del relativo mezzo; c) partecipare alla sua assunzione; d) ottenere una valutazione del risultato al momento delle conclusioni . In questo paragrafo esamineremo il diritto alla prova unitamente al procedimento probatorio, poiché si tratta di due aspetti della medesima tematica. a.
La ricerca della prova.
La ricerca delle fonti di prova spetta esclusivamente alle parti: in primo luogo al pubblico ministero (art. 326 c.p.p.), sul quale incombe l'onere della prova, e cioè l'onere di convincere il giudice della reità dell'imputato (si veda il paragrafo sull'onere della prova). Successivamente, al fine di confutare le tesi dell'accusa, spetta all'imputato l'onere di ricercare sia quelle prove che possano convincere il giudice della non credibilità della fonte o della inattendibilità
Profili generali del procedimento penale
228
II.III.4.b
dell'elemento di prova a carico, sia quelle tendenti a dimostrare che i fatti si sono svolti diversamente (art. 327-bis c.p.p.). Per poter funzionare, il nostro sistema (prevalentemente accusatorio) deve permettere alle parti di ricercare le prove. Nessuno meglio della parte è in grado di comprendere quali siano gli elementi idonei a convincere il giudice. n diritto di indagare è concesso alle parti in tutto il corso del procedimento e costituisce un aspetto fondamentale per la realizzazione del contraddittorio (artt. 24, comma 2 e 1 1 1 , commi 2 e 4 Cast.). b.
La ammissione della prova.
L'ammissione del mezzo di prova deve essere chiesta al giudice dalle parti (art. 1 90 c.p.p.); esse hanno l'onere di introdurre il singolo mezzo di prova e lo adempiono chiedendo (ad esempio) l'esame di un testimone o l'acquisizione di un documento. Il giudice ammette la prova in base a quattro criteri (art. 190, comma l c.p.p. ) . La prova deve essere pertinente, e cioè essa deve riguardare l'esistenza del fatto storico enunciato nell'imputazione o di uno dei fatti indicati nell'art. 187 c.p.p. (ad es. , la credibilità di un testimone). La prova non deve essere vietata dalla legge (come esempio, si può citare il divieto di perizia criminologica previsto dall'art. 220, comma 2 c.p.p.). Inoltre, la prova non deve essere superflua, e cioè sovrabbondante; essa non deve tendere ad acquisire il mede simo risultato conoscitivo che si aspetta da una pluralità di mezzi di prova: la sua assunzione sarebbe destinata a rivelarsi inutilmente defatigatoria. Infine, la prova deve essere rilevante, e cioè tale che il suo probabile risultato sia idoneo a dimostrare l'esistenza del fatto da provare (26). Non occorre che la " rilevanza" o la "non superfluità" siano certe; è sufficiente il dubbio, e cioè la non manz/esta irrilevanza o superfluità (art. 190, comma l c.p.p.). Alle parti è sufficiente dimostrare la probabile rilevanza; nel dubbio, la richiesta deve essere accolta. Ciò significa che il quantum di prova imposto alla parte richiedente è particolarmente basso (27) . In definitiva, il riconoscimento del diritto alla prova implica un limite al potere discrezionale esercitabile dal giudice nel respingere la richiesta di ammissione di un mezzo di prova. n provvedimento di ammissione. n giudice è vincolato anche in un aspetto di carattere "procedimentale" : deve provvedere sulla richiesta di ammissione (26) Per comprendere la differenza tra pertinenza e rilevanza può essere utile il seguente esempio. Ad un incidente stradale ha assistito una persona molto anziana, che non è assolutamente in grado di indicare quale era il mezzo che ha investito il malcapitato né come si sono svolti i fatti. Il testimone può riferire su di un fatto oggetto di prova (la prova è pertinente) ma è probabile che non fornirà alcun elemento idoneo a ricostruire la dinamica dei fatti né la responsabilità dell'indagato (la prova non è rilevante). (27) In tal senso, v. L.P. CoMOGUO, Prova ed accertamento dei/atti nel nuovo codice diprocedura penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 135. Ritiene che esista una presunzione di ammissibilità fino a prova contraria A. NAPPI, Guida al codice di procedura penale, Milano, 200 1 , 106.
II.III.4.b
Prindpi generali sulla prova
229
« senza ritardo con ordinanza » (art. 1 90, comma l c.p.p.). Ciò significa che egli deve motivare l'eventuale rigetto della richiesta e soprattutto deve provvedere subito, senza poter riservarsi di decidere successivamente sull'ammissione. Le parti hanno il diritto di affrontare l'istruzione dibattimentale avendo ben chiaro il quadro probatorio di cui possono disporre. n diritto alla prova contraria. n codice prevede espressamente il "diritto alla prova contraria" . Ove siano stati ammessi i mezzi di prova richiesti dall'accusa, l'imputato ha diritto all'ammissione delle « prove indicate a disca rico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico » (art. 495, comma 2 c.p.p.). Il medesimo diritto spetta al pubblico ministero « in ordine alle prove a carico dell'imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico ». In base a tali disposizioni, la parte avversa ha diritto all'ammissione della prova che ha per oggetto il medesimo fatto ed è finalizzata a dimostrare che non è avvenuto o che si è verificato con una differente modalità (28). La dimostrazione contraria può essere data anche con un mezzo di prova differente; ad esempio, la dichiara zione di un teste potrebbe essere smentita da un altro dichiarante, ma anche da un documento, quale potrebbe essere una foto. È importante precisare che il concetto stesso di prova contraria rende inutile un vaglio sulla pertinenza. In base all'art. 495 , comma 2 , infatti, la prova " con traria" ha per oggetto gli stessi fatti che costituiscono oggetto della prova "prin cipale" . Ovviamente, resta il vaglio sulla rilevanza ai sensi dell'art. 190 c.p.p. La garanzia costituzionale. Come si è già avuto modo di precisare, nella Costituzione vi è il riconoscimento del diritto alla prova contraria. Si tratta dell'art. 1 1 1 , comma 3 Cost. che, con riferimento al solo imputato, proclama il diritto di « ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore ». Si è già sottolineato supra che, per quanto concerne l'acquisi zione di " ogni altro mezzo di prova" a discarico, la formulazione letterale della norma potrebbe indurre a ritenere che sia escluso qualsiasi filtro operato dal giudice sull'ammissibilità delle richieste di prova formulate. Ma è chiaro, tuttavia, che una interpretazione ispirata al principio di ragionevolezza e di parità delle parti deve indurre a ritenere che anche le prove richieste dall'im putato debbano superare il vaglio giudiziale di ammissibilità. Limiti al diritto alla ammissione della prova. Il diritto ad ottenere l'am missione della prova di tipo dichiarativo è stato limitato nelle ipotesi di imputazione avente ad oggetto il delitto di associazione mafiosa (art. 4 16-bis (28) La giurisprudenza costituzionale ha affermato il principio secondo il quale a ciascuna delle parti va comunque assicurato il diritto di esercitare il contraddittorio sulle prove addotte a sorpresa dalla controparte, in modo da « contemperare l'esigenza di celerità con la garanzia dell'effettività del contraddit· torio >> anche attraverso differimenti delle udienze congrui rispetto « alle singole, concrete fattispecie »; in tal senso si veda la sentenza n. 203 del 1992 e l'ordinanza n. 245 del 2005.
230
Profili generali del procedimento penale
II.III.4.c
c.p.) , i delitti ad esso collegati o alcuni reati in materia di violenza sessuale e di pedofìlia (art. 190-bis) (29) . Se la persona, che una parte vuole sentire in dibattimento, ha già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio (o le sue dichiarazioni provenienti da altro procedimento sono state acquisite in base all'art. 238 c.p.p.), l'esame è ammesso soltanto in due casi: l) se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni; 2) se il giudice o una delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze (art. 1 90-bis, mod. dalla legge n. 63 del 200 1 ) . Perché l'esame sia rinnovato in dibattimento occorre che le parti richiedano di sentire il dichiarante su fatti diversi, oppure anche sugli stessi fatti, sempre che prospettino l'esistenza di specifiche esigenze. È chiaro che in quest'ultimo caso l'ammissione della prova è rimessa alla valutazione del giudice che dovrà accertare la sussistenza delle "specifiche esigenze" (30). I poteri di iniziativa probatoria del giudice. Nella fase dell'ammissione della prova il giudice, di regola, ha soltanto il potere di decidere se ammettere o meno il mezzo di prova chiesto da una delle parti. Egli di regola non può introdurre un mezzo di prova senza una richiesta di parte, e cioè d'ufficio (art. 190, comma l c.p.p.). In dibattimento, in via eccezionale, il giudice può ammettere una prova quando questa sia assolutamente necessaria. n giudice ha un potere di supplenza della inerzia delle parti. Tale potere è giustificato dal fatto che l'esito dell'accertamento in un processo penale incide sulla libertà personale che è un bene indisponibile della persona umana e che è dichiarato inviolabile dalla Costituzione (art. 13 Cast.). Pertanto, il potere di iniziativa probatoria, esercitabile dal giudice d'ufficio, serve ad evitare che, attraverso un accertamento abbandonato al gioco delle parti, sia reso disponibile un diritto inviolabile. n tema sarà sviluppato nella Parte III, cap. 5 , § 22 . c.
La assunzione della prova.
L'assunzione della prova avviene, se si tratta di dichiarazioni rese in dibattimento, con il metodo dell'esame incrociato. Rientra nel " diritto alla prova" la partecipazione delle parti alla assunzione del mezzo di prova attra verso la formulazione diretta delle domande al dichiarante. Il codice prevede quali fra di esse sono inammissibili; spetta al giudice il potere di vietarle (art. 499 c.p.p.; si veda Parte III, cap. 5, § 20). Il nuovo comma 3 dell'art. 1 1 1 Cast. riconosce soltanto all'imputato il diritto di « interrogare o di far interrogare » davanti al giudice « le persone che (29) L'art. 190-bis è stato introdotto dalla legge n. 356 del 1992. li riferimento ai reati sessuali è dovuto alla legge n. 269 del 1998; il riferimento alla pedopornografìa virruale si deve alla legge n. 38 del 2006. (30) Rispetto al passato la legge n. 63 del 2001 ha ampliato le maglie della norma in discorso dando una maggiore tutela al diritto alla prova contraria ed al principio del contraddittorio. Infatti, in precedenza l'esame dei predetti dichiaranti era possibile soltanto se il giudice lo riteneva « assolutamente necessario >>.
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23 1
rendono dichiarazioni a suo carico ». Ci pare che la norma costituisca la traduzione del principio garantista di origine inglese secondo cui l'imputato ha il diritto di " confrontarsi" con colui che lo accusa. Tale diritto postula l'obbligo di rispondere secondo verità posto in capo all'accusatore (3 1 ) . L'esame incrociato. L'esame incrociato è comunemente ritenuto il miglior strumento che permette di valutare se il dichiarante risponde secondo verità. Se correttamente usato, esso consente di smascherare la persona che dice il falso in modo intenzionale o anche soltanto inconsciamente, a causa di difetti nella percezione o nella memoria. In particolare, nel controesame la parte può porre domande-suggerimento per saggiare l'attendibilità della dichiarazione. Si ritiene credibile quel dichiarante che sa resistere alle contestazioni che gli sono poste. La persona esaminata è sottoposta ad una sorta di "tortura" civile, ben diversa dai tormenti di medioevale memoria, ma probabilmente non meno efficace. Se al giudice fosse affidato il compito istituzionale di porre le domande egli, anche senza volere, finirebbe per scegliere una ipotesi ricostruttiva dei fatti; si metterebbe allora in moto un meccanismo psichico in base al quale l'interro gante cercherebbe soltanto conferme alla tesi che ha accettato e non sarebbe la persona più idonea a porre quelle domande che tendono a saggiare la credibilità del dichiarante. Per questi motivi il codice attribuisce al presidente il potere di porre domande soltanto dopo che le parti hanno concluso l'esame incrociato (art. 506, comma 2); successivamente alle domande poste dal giudice, le parti possono riprendere l'esame. Ciò dimostra che il sistema normativa attribuisce al giudice una funzione di mero chiarimento di punti trattati dalle parti in modo non completo. La tutela della libertà morale del dichiarante. Un generale divieto proba torio, che concerne le modalità di assunzione della prova dichiarativa, è previsto dall'art. 1 88 c.p.p.: « non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o di valutare i fatti ». Analogo divieto è contenuto nell'art. 64, comma 2 c.p.p. in relazione all'inter rogatorio dell'indagato (si veda, in/ra, cap. 4, § 2, lett. a). La "acquisizione" della prova. Per completare la tematica, ricordiamo che il termine acquisizione, riferito alla prova, è utilizzato dal codice in almeno due significati. In senso stretto, il termine acquisizione indica l'ammissione della prova "precostituita" , e cioè formata fuori del procedimento o prima del dibattimento (ad es., artt. 234-242 , 500, comma 4 e 495 , comma l c.p.p.); in senso lato, è utilizzato per ricomprendere anche l'ammissione e l'assunzione della prova "non precostituita" quale è la dichiarazione (ad es., artt. 507 e 526 c.p.p.). (3 1 ) Non sempre i l nuovo sistema probatorio (introdotto dalla legge n. 63 del 2001) garantisce questo diritto. La materia sarà oggetto di specifico esame nel capitolo sui mezzi di prova.
232
Profili generali del procedimento penale d.
II.III.4.d
La valutazione della prova.
Un'altra estrinsecazione del diritto alla prova concerne il momento della valutazione della stessa. È possibile affermare che le parti hanno il diritto di offrire al giudice la propria valutazione degli elementi di prova. Si tratta del potere di "argomentare" sulla base dei risultati che siano stati acquisiti. In dibattimento ciò avviene al momento della discussione finale (art. 523 ) . Le parti illustrano le proprie conclusioni in un ordine che rispetta le cadenze dell'onere della prova: al pubblico ministero seguono i difensori dell'eventuale parte civile e dell'imputato (art. 523 , comma l , che considera anche altre parti eventuali) . n presidente dell'organo collegiale dirige la discussione ed impedisce ogni divagazione, ripetizione ed interruzione (art. 523 , comma 3 ) . Al diritto delle parti corrisponde il dovere ·del giudice di dare una valuta zione logica dell'elemento di prova raccolto: in base all'art. 1 92 , comma l , « il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati », e cioè delle regole di esperienza e leggi scientifiche che ha utilizzato. L'obbligo di motivazione ha una fonte costituzionale nell'art. 1 1 1 , comma 6 della Carta fondamentale. Ciò comporta che il giudice nella motiva zione non può trascurare di esaminare i risultati di una prova che appaia pertinente e rilevante. In particolare, per rendere effettivo il diritto delle parti alla valutazione della prova, il codice di procedura penale prescrive che nella sentenza il giudice debba indicare le prove poste a base della decisione e le « ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie » (art. 546, comma l, lett. e c.p.p.) (si veda Parte III, cap. 5, § 27). D libero convincimento. Con la predetta espressione si vuole significare che il giudice è "libero" di convincersi e, al tempo stesso, è " obbligato" a motivare razionalmente in relazione alla attendibilità degli elementi di prova ed alla credibilità delle fonti, nonché in merito alla idoneità di una massima di esperienza o di una legge scientifica a sostenere l'inferenza sulla quale si basano le ricostruzioni dell'accusa o della difesa (32 ) . In particolare, nel nostro ordi namento, il principio del "libero convincimento" non consiste nel riconoscere al giudice un potere decisorio senza limiti. Tale principio deve passare attra verso le norme giuridiche che disciplinano la valutazione delle prove (art. 1 92 c.p.p.) e la motivazione della sentenza (art. 546, comma l , lett. e c.p.p.). Da tale griglia legale si desume che il convincimento del giudice deve consistere in una valutazione razionale delle prove e in una ricostruzione del fatto conforme ai (32) Storicamente, la nozione di libero convincimento risale al periodo dell'illuminismo (intime conviction) e costituisce una forma di emancipazione del giudice dal vincolo delle prove legali che dominava nel processo penale dell Ancien Régime (V. supra Parte l, cap. l, § 9). L'ordinamento italiano non accetta il '
principio dell'intimo convincimento non motivato che è tipico dei Paesi che accolgono l'istituto della giuria; la giuria, infatti, si esprime con un verdetto non motivato che si riassume nella frase: "colpevole" o "non colpevole" .
II.III.5
Principi generali sulla prova
233
canoni della logica ed aderente alle risultanze processuali. Di fronte alla motiva zione che sia carente di tali requisiti le parti possono proporre impugnazione (appello e ricorso per cassazione) (33 ). Dal principio affermato si possono trarre i seguenti corollari. Se si tratta di una sentenza di condanna, il giudice deve motivare perché le prove d'accusa sono risultate idonee ad eliminare ogni ragionevole dubbio sulla fondatezza dell'imputazione e sulla eventuale ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa (art. 533 , comma l c.p.p.). Se si tratta di una sentenza di assoluzione, il giudice deve fornire una spiegazione razionale sul perché la ricostruzione dell'accusa è infondata o comunque lascia residuare un dubbio ragionevole (v. in/ra il paragrafo sull'onere della prova) . La non configurabilità della prova legale. Prima di concludere sul tema del libero convincimento, mette conto precisare che nel processo penale, a diffe renza di quanto avviene nel processo civile, non esiste l'istituto della prova legale. Nel processo civile si ha prova legale in tutte quelle ipotesi nelle quali la legge si sostituisce al libero convincimento del giudice nella valutazione di un determinato elemento di prova. Un esempio di prova legale nel processo civile è la confessione. Ai sensi dell'art. 273 3 , comma 2 c.c. , la confessione resa in giudizio « forma piena prova contro colui che l'ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili ». Viceversa, nel processo penale la confessione è sempre liberamente valutabile dal giudice, che può ritenerla non attendibile (34). 5.
L'onere della prova.
La presunzione di innocenza. L'art. 27, comma 2 Cast. afferma che « l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva ». L'As semblea costituente con tale formula ha voluto soddisfare insieme due esigenze insopprimibili: da un lato, quella di prevedere la custodia cautelare prima della sentenza irrevocabile; dall'altro, l'esigenza di affermare la presunzione di inno cenza. L'adozione di una formula polivalente ha consentito di trovare un compromesso che ha accontentato i politici, ma non ha risolto i problemi (35 ) . (33) Si tratta di un sindacato che h a una diversa ampiezza a seconda che sia compiuto dalla corte d'appello o dalla corte di cassazione. Il giudice d'appello accerta se l'organo giudicante di primo grado ha fatto "mal governo delle risultanze probatorie" ; e cioè accerta se ha sbagliato sia a valutare la credibilità della fonte o l'attendibilità dell'elemento di prova, sia ad interpretare i vari risultati probatori. La corte di cassazione è chiamata a vagliare se vi sia << mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ( . . . ) >> (art. 606, comma l , lett. e; si veda Parte V, capp. 2 e 3). (34) In tal senso, Cass., sez. I, 2 1 ottobre 1996, Riola, in Cass. pen., 1996, 1564. (35) Sul punto, v. A. MALINVERNI, Prindpi, cit., 474; G. ILLVM1NATI, La presunzione d'innocenza dell'imputato, Bologna, 1979, 28; V. GAROFOLI, Presunzione di innocenza e considerazione di non colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 1 1 95. L'ambiguità del testo dell'art. 27, comma 2, ha fatto dire ad altri studiosi
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Profili generali del procedimento penale
11.111.5
L'ambiguità deriva dal fatto che in un'unica formula si sono volute com binare una regola di trattamento ed una regola probatoria. La regola di trattamento vuole che l'imputato non sia assimilato al colpevole sino al mo mento della condanna definitiva; e cioè impone il divieto di anticipare la pena, mentre consente l'applicazione di misure cautelari nei suoi confronti. La regola probatoria vuole che l'imputato sia presunto innocente; e cioè vuole ottenere l'effetto che è enunciato dall'art. 2728, comma l c.c., secondo cui « le presun zioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite ». Pertanto l'onere della prova ricade sulla parte che sostiene la reità dell'imputato. La regola probatoria è meglio precisata nell'art. 6, comma 2 della Conven zione europea dei diritti dell'uomo, secondo cui « ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata ». La Corte costituzionale con le sentenze n. 348 e 349 del 2007 (v. supra, Parte I, cap. 2 , § 9) ha sancito che il giudice italiano deve interpretare la norma nazionale in aderenza al dettato della Convenzione europea citata. Da ciò deriva che la stessa norma costituzionale di cui all'art. 27 , comma 2 , cessa di essere ambigua alla luce del principio della presunzione di innocenza dell'imputato, affermato dalla Convenzione. Come si ricava direttamente dal testo dell'enunciato costituzionale, la presunzione d'innocenza è una presunzione legale relativa, e cioè valida finché non sia stato dimostrato il contrario. Pertanto l'onere della prova ricade su quella parte che sostiene la reità dell'imputato. Nel procedimento penale spetta al pubblico ministero formulare un addebito prima prowisorio (art. 65 , comma l c.p.p.) e poi definitivo (art. 405 c.p.p.); pertanto su di lui ricade in prima battuta l'onere della prova. Anticipiamo che l'espressione può essere intesa in due significati distinti, come onere sostanziale e onere formale. L'onere della prova in senso sostanziale impone alla parte di convincere il giudice dell'esistenza del fatto affermato; l'onere in senso formale impone alla parte di chiedere al giudice l'ammissione della prova che reputa utile per adempiere all'onere sostanziale. L'onere sostanziale della prova. L'art. 2697 , comma l c.c. afferma: « chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento ». "Provare" significa convincere il giudice della esistenza di un fatto storico affermato da una parte. Ciò costituisce un "onere" m senso
ed alla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 124 del 1972) che l'imputato non deve essere considerato né colpevole, né innocente, bensì soltanto "imputato " ; di modo che nessun effetto potrebbe dedursi dalla norma costituzionale in materia di regole di giudizio.
II.III.5
Principi generali sulla prova
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sostanziale per la parte, perché l'inosservanza dello stesso comporta la situa zione svantaggiosa del rigetto della domanda da parte del giudice (36). L'aver soddisfatto l'onere comporta l'accoglimento della domanda. L'onere della prova costituisce una regola probatoria, nel senso che individua la parte sulla quale ricadono le conseguenze del non aver convinto il giudice dell'esi stenza del fatto affermato. Se colui che accusa (e cioè il pubblico ministero quando chiede la con danna) ha provato la reità dell'imputato (ossia gli elementi costitutivi del reato), l'onere della prova può considerarsi soddisfatto; a questo punto incombe sull'imputato l'onere della prova contraria. Alla difesa spetta di provare la mancanza di credibilità delle fonti o l'inattendibilità delle prove d'accusa; ovvero spetta di dare la prova dell'esistenza di fatti favorevoli alla difesa (ad esempio, di una causa di giustificazione o di non punibilità) . L'imputato può anche provare direttamente che egli non ha tenuto la condotta asserita dall'accusa o che un evento non è avvenuto. Si tratta della c.d. prova negativa, che cioè tende a dimostrare la fondatezza dell'affermazione che nega l'esistenza di un fatto. In sostanza, l'imputato (ma lo stesso può accadere per un'altra parte) può proporsi di provare che un accadimento non si è verificato. La prova negativa è la più difficile da fornire: è più semplice dimostrare l'esistenza di un fatto, verifìcatosi nel mondo delle cose, che non l'inesistenza di un fatto. L'unica soluzione è che una parte riesca ad acquisire la prova dell'esistenza di un fatto diverso, che sia logicamente incompatibile con l'esi stenza di quello affermato dalla controparte (37 ) . Un esempio può essere l'alibi, del quale si è trattato in precedenza. L'onere formale della prova. Se "provare" significa convincere il giudice della esistenza del fatto affermato, ne consegue che l'elemento di prova deve essere introdotto nel processo; e ciò si fa attraverso un mezzo di prova. Le parti hanno l'onere di ricercare le fonti e di introdurre nel processo i mezzi di prova. Si tratta di un onere c.d. "formale" , che appare distinto dall'onere " sostanziale" della prova (v. tav. 2 .3 .5 ) . L'onere formale di introdurre l a prova è previsto nell'art. 190, comma l c.p.p., secondo cui « le prove sono ammesse a richiesta di parte ». L'onere di introdurre la prova attribuisce alle parti il compito: a) di ricercare le fonti di prova; b) di valutare la necessità del mezzo di prova al fine di ottenere il risultato vantaggioso, e cioè dimostrare l'esistenza del fatto affermato; c) di chiedere al giudice l'ammissione del mezzo di prova. Il giudice decide se (36) L'onere è definibile come la situazione giuridica attraverso la quale l'ordinamento impone ad un soggetto di comportarsi in un determinato modo, se questi vuole ottenere un qualche vantaggio. (37) Il tema è sviluppato da A. TRAVERSI, La difesa penale. Tecniche argomentative e oratorie, 3• ed., Milano, 2002, 39.
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Profili generali del procedimento penale
II.III.5
ammetterlo sulla base dei criteri sopra illustrati, e cioè, che la prova sia "pertinente " rispetto all'oggetto del processo (art. 187 ) , che sia " rilevante" , che non sia "vietata dalla legge" e che non sia "superflua" (e cioè che non vi sia sovrabbondanza di mezzi di prova sullo stesso punto; art. 1 90, comma 1 ) . Non occorre che la "rilevanza" o la "non superfluità" siano certe; è sufficiente il dubbio, e cioè la non manz/esta irrilevanza o superfluità (art. 1 90, comma l c.p.p.). In definitiva, il riconoscimento del diritto alla prova implica un limite al potere discrezionale esercitabile dal giudice nel respingere la richiesta di ammissione di un mezzo di prova. La necessità che la prova sia introdotta a richiesta di parte è espressa con la locuzione "principio dispositivo in materia probatoria" , secondo cui la parte dispone della iniziativa volta alla ammissione del mezzo di prova. Si tratta di una regola che nel processo penale è sottoposta a varie eccezioni. In base all'art 190, comma 2 c.p.p. « la legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio ». Pertanto, le ipotesi nelle quali il giudice introduce il mezzo di prova senza richiesta di parte costituiscono una deroga al principio dispositivo e devono essere previste espressamente dalla legge. Ciò avviene nei seguenti articoli: 70, comma l ; 195 , comma 2 ; 196, comma 2 ; 224, comma l ; 237; 422, comma l ; 44 1 , comma 5 ; 468, comma 5; 501, comma 2 ; 507 ; 508, comma l; 5 1 1 , commi l e 5; 5 1 1 bis; 603 , comma 3 . L'onere di convincere il giudice. L'aver soddisfatto l'onere di introdurre la prova (in senso formale) non comporta automaticamente l'aver soddisfatto l'onere della prova in senso sostanziale. n giudice può ammettere la testimo nianza di Caio, ma se questi appare non attendibile o non credibile, il giudice non sarà convinto dell'esistenza del fatto narrato. Può anche accadere che Caio affermi che il fatto si è svolto con modalità diverse da quelle asserite dalla parte che ha chiesto l'ammissione della testimonianza. Una parte soddisfa l'onere sostanziale della prova soltanto dopo che ha convinto il giudice della esistenza del fatto storico da essa affermato. Un fatto non provato equivale giuridica mente ad un fatto inesistente. A sua volta, la mancata osservanza dell'onere di introdurre un determinato mezzo di prova (onere formale) non comporta inevitabilmente il rigetto della domanda, anche se tale effetto può essere molto probabile. Infatti un'altra parte del processo potrebbe chiedere l'ammissione di quel determinato mezzo di prova. Una volta acquisito l'elemento di prova, il giudice deve valutare se esso è idoneo a dimostrare l'esistenza di un fatto oggetto di prova; e ciò a prescindere dalla circostanza che sia stato introdotto o meno dalla parte che aveva l'onere sostanziale della prova di quel determinato fatto. Si tratta del c.d. principio di acquisizione della prova. Come si è accennato, al giudice spetta il potere residuale di sollecitare le parti o, anche, di introdurre d'ufficio mezzi di prova in determinate ipotesi -
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Prindpi generali sulla prova
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previste dalla legge. In particolare, nel corso del dibattimento, terminata l'acquisizione delle prove, il giudice « se risulta assolutamente necessario » può disporre anche d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova (art. 507) (38). I poteri esercitabili dal giudice d'ufficio costituiscono un'eccezione al potere dispositivo delle parti sulla prova (v. infra, parte III, cap. 5 , § 22); in altri termini, toccano l'onere della prova in senso formale, inteso come onere di introdurre il mezzo di prova nel processo (art. 190, comma 1 ) . Non incidono sull'onere sostanziale di convincere il giudice della esistenza del fatto affermato da una parte (39). Attengono al tema dell'onere della prova i concetti di fatto notorio e di fatto pacifico. Il fatto notorio è un fatto di pubblica conoscenza in un determinato ambito territoriale. Si tratta, ad esempio, di un terremoto, della svalutazione della moneta, di uno sciopero generale. L'esistenza di un simile fatto è conosciuta dal giudice senza la necessità che le parti chiedano l'ammissione di un determinato mezzo di prova: notoria non egent probatione. Occorre naturalmente che il fatto sia indubitabile ed incontestabile. n fatto pacifico è un fatto di conoscenza non pubblica; esso è affermato da una parte ed è ammesso esplicitamente o implicitamente dalla controparte. Ad esempio, la difesa non contesta che un testimone abbia detto una determinata frase. n fatto pacifico non ha bisogno di essere provato: il giudice può direttamente utilizzarlo come " elemento di prova" per la sua decisione. Tuttavia il giudice può valutare se il testimone è credibile e se quanto ha affermato è attendibile. Riepilogando. L'onere della prova in senso sostanziale è il dovere di convincere il giudice della esistenza del fatto affermato dalla parte. L'onere è adempiuto quando il giudice ritiene esistente il fatto medesimo. Pertanto, l'onere sostanziale individua la parte sulla quale ricade lo svantaggio di non aver convinto il giudice dell'esistenza del fatto affermato. L'onere della prova in senso formale impone alle parti il dovere di chiedere al giudice l'ammissione del mezzo di prova (art. 1 90 c.p.p.). L'onere è soddi sfatto quando il giudice ha ammesso il mezzo di prova. Pertanto, l'onere formale individua la parte sulla quale ricade lo svantaggio della mancata ammissione del mezzo di prova.
(38) n tema è sviluppato infra nel capitolo sul dibattimento. (39) Questa conclusione, da noi sostenuta in passato, oggi trova un autorevole avallo nella sentenza delle sez. un., 18 dicembre 2006, Greco, in Guida Dir., 2007, n. 2, p. 86, secondo la quale è « superfluo sottolineare che ( . . . ) l'esercizio dei poteri in deroga al principio dispositivo non fa venir meno l'onere del pubblico ministero di provare il fondamento dell'accusa e, tanto meno, l'obbligo per il giudice di rispettare i divieti probatori esistenti >>.
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Profili generali del procedimento penale
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n quantum della prova (c.d. standard probatorio) .
La quantità di prova, che è necessaria a convincere il giudice, è diversa nel processo civile ed in quello penale. Nel primo il quantum di prova è identico per l'attore e per il convenuto. Processo civile. Nel processo civile lo standard probatorio viene di solito indicato con la regola del "più probabile che no" (40). L'attore deve provare i fatti costitutivi del diritto in modo tale da convincere il giudice che la propria ricostruzione appare più probabile di ogni ipotesi contraria (art. 2697, comma l c.c.). Se la prova da lui fornita (ad esempio, sull'esistenza di un credito) appare insufficiente (e cioè inidonea a far ritenere la tesi dell'attore più probabile rispetto alle ipotesi contrarie) o contraddittoria (nel senso che esistono anche elementi idonei a far ritenere ugualmente probabili altre ricostruzioni contrarie) il giudice rigetta la domanda. Parimenti avviene quando l'onere della prova spetta al convenuto. In base all'art. 2697, comma 2 c.c., « chi eccepisce l'inefficacia (dei fatti costitutivi del diritto) ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto, deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda ». Ciò significa che in capo al convenuto esiste il medesimo standard probatorio previsto per l'attore. Occorre che il convenuto porti prove tali da far ritenere l'esistenza dei fatti impeditivi o estintivi più probabile che l'inesistenza degli stessi. In caso contrario, il giudice civile respinge l'eccezione. La norma trova la sua giustificazione nella sostanziale equivalenza dei diritti sui quali si controverte nel processo civile. Processo penale. Viceversa, nel processo penale colui che accusa ha l'onere di provare la reità dell'imputato in modo da eliminare ogni ragionevole dubbio. Tale standard probatorio è rimasto a lungo privo di espressa previsione entro il codice di procedura penale. Fino al 2006 l'art. 530 comma 2 si limitava a stabilire che il giudice doveva pronunciare sentenza di assoluzione quando era « insufficiente » o « contraddittoria » la prova che il fatto sussiste, che l'impu tato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da· persona imputabile. Tuttavia, nessuna norma espressa prevedeva il parametro in base al quale valutare l'insufficienza o la contraddittorietà della prova d'accusa. La giurisprudenza, dal canto suo, aveva accolto il canone in base al quale nel processo penale la reità doveva essere provata oltre ogni ragionevole dubbio (4 1 ) . Pertanto, si era affermato che le prove d'accusa erano insufficienti (40) Cass. civile, sez. III, 16 ottobre 2007, n. 2 1619, in Resp. civile e prev. , 2008, 2, 323 (41) Cass., sez. un., 1 1 settembre 2002, ric. Franzese, in Guida dir. , 2002, 38, 62: << l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza probatoria, quindi il plausibile e ragionevole dubbio ( . . . ) non può non comportare ( . . . ) l'esito assolutorio stabilito dall'art. 530 comma 2 c.p.p. >>. Nella sentenza si afferma che, per condannare, occorre « una conclusione caratterizzata da un alto grado di credibilità razionale >>. La definizione di "ragionevole dubbio" , che sintetizza efficacemente l'orientamento prevalente nei
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Principi generali sulla prova
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quando il pubblico ministero non aveva dimostrato la re1ta eliminando nel giudice ogni ragionevole dubbio; mentre esse dovevano ritenersi contraddittorie quando, pur essendo prevalenti rispetto alle prove d'innocenza, si inserivano in un quadro probatorio che nel suo complesso non appariva concordante e univoco (42 ) . Al di là di ogni ragionevole dubbio. Con l a legge n . 4 6 del 2006 il Parlamento ha modificato l'art. 533 comma l relativo alla sentenza di condanna e ha stabilito che il giudice pronuncia tale sentenza quando l'imputato « risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio ». Tale modifica si ripercuote, ovviamente, sulla interpretazione della norma relativa alla sentenza di assoluzione confermando l'interpretazione giurisprudenziale sopra ricordata. La prova d'accusa, che lascia residuare un ragionevole dubbio, è equiparata alla mancata prova. È stato affermato che l'aggettivo " ragionevole" significa "comprensibile da una persona razionale" e dunque oggettivabile attraverso una motivazione che faccia riferimento ad argomentazioni logiche nel rispetto del principio di non contraddizione (43 ) . Non potrà trattarsi, pertanto, di un dubbio meramente psicologico, possibile o congetturale, percepito soggettivamente dal giudice. Pertanto, può ritenersi che l'accusa abbia adempiuto all'onere quando ogni differente spiegazione del fatto addebitato, basata sulle prove, appare non ragionevole; viceversa, l'accusa non ha adempiuto all'onere quando le risultanze processuali non sono idonee ad escludere una ragionevole ricostruzione alter nativa prospettata dalla difesa sulla base delle prove acquisite. Si è soliti affermare che nel processo penale il criterio del ragionevole dubbio costituisce sia una regola probatoria, sia una regola di giudizio. Sotto il primo profilo, il ragionevole dubbio nella sua veste di regola probatoria disci plina nel quantum l'onere della prova che è a carico del pubblico ministero (art. 533 , comma l) (44). Sotto il secondo profilo, il ragionevole dubbio prescrive la regola di giudizio che il giudice deve applicare: egli deve ritenere come non provata la reità e, conseguentemente, assolvere l'imputato (art. 530 comma 2 ) . sistemi processuali di common law, è quella contenuta nel paragrafo 1096 del codice penale della California: il ragionevole dubbio non è un mero dubbio possibile, perché qualsiasi cosa si riferisca agli affari umani e sia collegata a giudizi morali è aperta a qualche dubbio possibile o immaginario. È quella situazione che, dopo tutte le valutazioni e le considerazioni sulle prove, lascia la mente dei giurati in una condizione tale per cui essi non possono dire di provare una convinzione incrollabile, prossima alla certezza morale, sulla verità dell'accusa >>. (42) Assise Milano, 1 1 luglio-7 ottobre 2002, Cammarata, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003 , 654. (43 ) C. CoNTI, Al di là del ragionevole dubbio, in AA.Vv., Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio. Legge 20 febbraio 2006 n. 46, coordinato da A. ScALFATI, Milano, 2006, 102 ss. (44) Infatti, dal momento che oggetto del processo non è l'accertamento dell'innocenza dell'imputato (perché questa è presupposta come afferma l'art. 27, comma 2, Cost.), ma è l'accertamento della sua colpevolezza, spetta all'accusa convincere il giudice che tale soggetto è colpevole, fornendogli tutte le prove che confermano la sua ricostruzione dei fatti e che sono in grado di vincere la presunzione di innocenza.
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Profili generali del procedimento penale
II.III.7
L'onere della prova delle scriminanti. La particolarità del processo penale
sta nel fatto che il dubbio va a favore dell'imputato anche quando questi ha l'onere della prova, e cioè quando egli deve convincere il giudice dell'esistenza di un fatto favorevole. Ai sensi dell'art. 530, comma 3 , « se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione ». Ciò vuol dire che il dubbio sull'esistenza di un fatto impeditivo o estintivo (se vogliamo utilizzare una qualificazione civilistica) va a favore dell'imputato, che può essere considerato il "convenuto" nel processo penale. n legislatore non ha inserito nella norma in oggetto l'aggettivo "ragionevole" . Tuttavia, l'art. 530 comma 3 deve interpre tarsi congiuntamente all'art. 533 comma l come modificato dalla legge n. 46 del 2006. Pertanto, l'imputato avrà soddisfatto l'onere della prova e sarà prosciolto se avrà fatto sorgere nel giudice un dubbio ragionevole sull'esistenza della scriminante. Ciò è razionalmente giustificabile perché nel processo penale (a differenza del processo civile) non vi è una sostanziale equivalenza tra le posizioni soggettive contrapposte: è soltanto l'imputato che può ricevere dalla decisione un pregiudizio nel suo diritto più importante, quello della libertà personale. Occorre tenere conto che l'imputato, se pure ha l'onere di provare i fatti a sé favorevoli, tuttavia non ha quei poteri coercitivi di ricerca delle fonti di prova che nel nostro sistema spettano soltanto al pubblico ministero ed alla polizia giudiziaria. Pertanto, allo scopo di far sorgere un ragionevole dubbio, egli potrebbe limitarsi ad asserire l'esistenza di un fatto estintivo (ad es. , una causa di giustificazione o un alibi) ; spetterà poi all'autorità inquirente condurre le indagini per evitare che nel giudice si formi un convincimento favorevole all'imputato. Tuttavia quest'ultimo ha l'onere di indicare con sufficiente preci sione i fatti e di introdurre almeno un principio di prova. Ad esempio, l'imputato che eccepisce l'esistenza di un alibi deve indicare con esattezza il luogo nel quale afferma di essersi trovato e le sembianze delle persone che erano presenti. Soltanto la pubblica accusa ha i poteri coercitivi per identificare i testimoni; ove non lo faccia, rischia di lasciar sopravvivere un dubbio ragione vole che andrà a favore dell'imputato. Viceversa può accadere che l'imputato si limiti ad indicare in modo impreciso fatti che soltanto lui poteva conoscere, impedendo all'accusa di condurre indagini per accertarli; in tal caso egli non adempie all'onere della prova perché non fa sorgere un dubbio ragionevole. 7.
L'ambito di applicabilità delle norme sulla prova . n libro III sulle prove è collocato nella prima parte del codice che è definita
"statica" perché vi sono disciplinati gli aspetti comuni all'intero procedimento
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Principi generali sulla prova
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penale; nella seconda parte, detta "dinamica" , è disciplinato lo svolgimento del medesimo. Tale scansione lascia aperto il delicato interrogativo circa la esten sibilità delle norme sulla prova in relazione alle singole fasi del procedimento penale. Nessun dubbio vi è sulla applicabilità alla fase del giudizio o all'inci dente probatorio; i problemi si pongono in relazione alla fase delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare. La collocazione della materia della prova nel libro terzo già di per sé costituisce un indice positivo della sua estensibilità a tutto il procedimento penale: i primi quattro libri del codice, infatti, costituiscono una sorta di "parte generale" del procedimento penale. In base ad un argomento sistematico, pertanto, riteniamo che le norme generali sulle prove siano applicabili in tutto il procedimento penale a meno che non siano incompatibili (espressamente o implicitamente) con la regolamenta zione del singolo atto da compiere in una determinata fase (45 ) . Il tema sarà sviluppato nel capitolo sulle misure cautelari a proposito dei "gravi indizi" ( § 2 lett. b n. 2). 8.
Oralità, immediatezza e contraddittorio.
n principio di oralità. In prima approssimazione al termine "oralità" si può (45) L'attuale incertezza, invero, è il frutto delle scelte fatte proprie dalla versione originaria del codice del 1988. Come si è accennato, all'epoca si era accolta in maniera piuttosto intransigente l'idea, tipicamente accusatoria, di una indagine preliminare considerata come una mera inchiesta di parte, i cui risultati erano sistematicamente inutilizzabili nel dibattimento. Un simile approccio si rispecchiava chiaramente nella scelta di differenziare gli atti di indagine rispetto alle prove e ciò sia a livello di disciplina, sia a livello nominalistico. Per un verso, gli atti di indagine avevano una regolamentazione molto più scarna rispetto agli omologhi mezzi di prova; per un altro verso, tale diversa disciplina trovava corrispondenza anche in una differente nomenclatura degli atti di indagine rispetto alle prove (per tutti si pensi al rapporto tra ricognizione ed individuazione). Tuttavia, le riforme e l'esperienza pratica hanno dimostrato che una simile idea dell'indagine prelimi nare risultava impraticabile. Così si è progressivamente acquisito consapevolezza del fatto che gli atti di indagine hanno varie finalità che rendono necessaria una disciplina idonea a garantire i diritti delle parti e l'attendibilità dei metodi di acquisizione. Anzitutto, le indagini servono per adottare prowedimenti come l'archiviazione o il rinvio a giudizio; inoltre, costituiscono la base per l'emanazione di prowedimenti gravemente limitativi delle libertà fondamentali come le misure cautelati o le intercettazioni. In secondo luogo, qualora si instauri un rito speciale come il patteggiamento o il giudizio abbreviato, gli atti di indagine costituiscono la base per la decisione finale. Infine, la disciplina attuale sulla utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni in dibattimento fa sì che gli atti di indagine siano dotati fin dall'inizio di potenziale valenza probatoria proprio in quella sede che, per definizione, è deputata allo svolgimento del contraddittorio. In tutti i contesti fin qui indicati, gli atti di indagine costituiscono la base per la decisione che di volta in volta deve essere assunta e, dunque, vengono utilizzati " come se" fossero prove. Pertanto, proprio la presa d'atto di tali funzioni, che attribuiscono alle indagini preliminari una valenza ben più rilevante di una mera inchiesta di parte, ha fatto sì che l'intero sistema tenda al riconoscimento di una forza espansiva alle disposizioni generali sulle prove attraverso rinvii normativi espressi o introdotti in via ermeneutica dalla giurisprudenza Sulla problematica, si vedano le riflessioni di C. BoNZANO, Attività del pubblico ministero, in corso di stampa in Trattato di procedura penale, diretto da G. SPANGHER, vol. III, Torino, 2009.
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attribuire il significato di "comunicazione del pensiero mediante la pronuncia di parole destinate ad essere udite" . Contrapposta all' oralità è la scrittura, intesa quale forma di comunicazione del pensiero mediante segni visibili, alfabetici o ideografici. Lo scritto può essere letto e, in tal modo, può essere espresso oralmente; come pure, una registrazione magnetofonica può essere riprodotta; ma si tratta di una oralità fittizia. Colui che ascolta può udire un monologo o un dialogo, ma non può "prendervi parte" . Soprattutto, non può porre domande né ottenere risposte dalla persona che in precedenza ha reso le dichiarazioni scritte o registrate. Pertanto si ha "oralità" in senso pieno soltanto quando coloro che ascoltano possono porre domande ed ottenere risposte a viva voce dal dichiarante. Il principio di immediatezza. Il principio di immediatezza è attuato quando vi è un rapporto privo di intermediazioni tra l'assunzione della prova e la decisione (v. Corte cost. n. 67 del 2007). Da un lato, si vuole che il giudice prenda direttamente contatto con la fonte di prova (artt. 526 e 5 14); da un altro lato, si tende ad assicurare che vi sia identità fisica tra il giudice che assiste all'assunzione della prova e colui che prende la decisione di condanna o assoluzione (art. 525 , comma 2 ) . Tutto ciò al fine di permettere una valutazione " di prima mano" sull'attendibilità delle dichiarazioni. Il principio del contraddittorio. Il principio del contraddittorio comporta la partecipazione delle parti alla formazione della prova. Nella prova dichiarativa ciò avviene quando le parti pongono le domande e formulano le contestazioni. Così, gli elementi di prova si formano in modo dialettico: si ha il contraddittorio "per la prova" (D. SIRACUSANO). Il giudice è in grado di valutare la credibilità del dichiarante e l'attendibilità del suo racconto. Nel sistema accusatorio è interesse della Giustizia che l'accertamento del reato avvenga secondo il metodo dialet tico: al tempo stesso ciò permette di garantire alle parti il diritto alla prova. Sotto questo profilo, l' oralità è funzionale al contraddittorio perché permette il massimo della dialettica processuale. Occorre ricordare il nuovo comma 4 dell'art. 1 1 1 Cost. in base al quale « il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova ». Si tratta, all'evidenza, dell'espresso riconoscimento costituzionale del metodo dialettico inteso come la migliore forma di conoscenza. Da tale principio si ricava che, di regola, il giudice in dibattimento deve decidere soltanto in base alle prove raccolte nel contraddittorio (v. art. 526 c.p.p.). Vi possono essere situazioni nelle quali è attuato il contraddittorio, ma non l'immediatezza. Ciò avviene quando, durante le indagini preliminari, si svolge l'incidente probatorio che, come è noto, costituisce un'anticipazione del l'udienza dibattimentale senza la presenza del pubblico (artt. 3 92 e ss.) . Il contraddittorio è assicurato in quanto l'escussione di una persona avviene mediante l'esame incrociato ad opera del pubblico ministero e del difensore
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dell'indagato; tuttavia, se le dichiarazioni verbalizzate sono lette nel successivo dibattimento (art. 5 1 1 ) , il principio di immediatezza non è rispettato (46). Le eccezioni al contraddittorio. I princìpi dell'oralità, dell'immediatezza e del contraddittorio non hanno valore in se stessi, bensì servono ad accertare la verità nel modo migliore. Essi hanno un valore strumentale in quanto assicurano la correttezza del risultato. Si ritiene che sia impossibile per il giudice accertare la "verità assoluta" a causa della limitatezza delle capacità umane; quello che conta è che l'accertamento avvenga in base a prove, nel rispetto delle garanzie fondamentali. Tuttavia, non sempre nella realtà è possibile attuare in modo assoluto i princìpi menzionati. Si pone allora il problema di stabilire quando è ragionevole prevedere alcune eccezioni (47) . n problema è quello di prevedere quelle eccezioni che siano ragionevoli e, cioè, permettano di avvicinarsi il più possibile ad una ricostruzione corretta dei fatti. Ad esempio, se il testimone di un reato è stato minacciato prima del dibattimento, diventa determinante conoscere quale versione dei fatti aveva esposto nel corso delle indagini. Lo stesso vale quando il testimone è deceduto prima del dibattimento. n nuovo comma 5 dell'art. 1 1 1 Cost. ha tipizzato le situazioni eccezionali nelle quali è possibile derogare al principio del contraddittorio. La norma è così formulata: « la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita ». n punto sarà approfondito nella apposita sede, quando tratteremo della utilizzabilità delle dichiarazioni raccolte prima del dibattimento (parte III, cap. 5 , § 2 1 ) . (46) Secondo D . SIRACUSANO, Urge recuperare l'oralità, in Dir. pen. proc. , 1997, 527, « in un sistema che si è assuefatto all'idea dei dibattimenti ritardati è certamente preferibile un contraddittorio senza immedia tezza, proprio dell'incidente probatorio, al posto di un contraddittorio sorretto dall'immediatezza (nel rapporto tra il giudice che deve decidere e la fonte di prova) , ma mortificato nei "ricordi" ormai sbiaditi nel tempo >>. (47) li principio di oralità è basato su almeno due postulati: l ) che la memoria della persona, che ha percepito un fatto, rimanga inalterata nonostante il passaggio del tempo fino al dibattimento; 2) che la persona stessa in tale fase voglia essere sincera. L'esperienza insegna che non sempre tali postulati trovano riscontro nella realtà. La limitatezza e la fragilità della natura umana possono incidere negativamente sulla memoria e sulla buona volontà della persona. Pertanto è indispensabile che la parte, che ha individuato un testimone (o altro dichiarante), documenti immediatamente quanto lo stesso afferma di ricordare in quel momento e cerchi riscontri alla sua dichiarazione. A sua volta, il principio di immediatezza si fonda su ulteriori postulati: l ) che tutti gli elementi di prova necessari per decidere siano acquisibili mediante dichiarazioni orali rese in dibattimento; 2) che le persone informate dei fatti siano in grado di presentarsi in tale sede. Anche in questo caso l'esperienza insegna che la realtà delle cose può essere diversa. Se la regolamentazione del processo penale non prevedesse alcuna eccezione ai princìpi dell'oralità, dell'immediatezza e del contraddittorio, vi sarebbero situazioni nelle quali non sarebbe possibile accertare il fatto di reato. La regolamentazione del processo avrebbe attuato il metodo dialettico, ma si tratterebbe di una dialettica vuota di contenuti. Scopo del legislatore non è quello di affermare princìpi astratti, ma di costruire uno strumento accettabile che dia garanzie nell'accertare i fatti di reato e nel rendere Giustizia ai cittadini. Un processo completamente orale è un'utopia non realizzabile se non a costi sociali insopportabili.
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Questioni pregiudiziali e limiti probatori.
Il giudice, quando accerta se vi è corrispondenza tra un fatto storico e una norma di legge, a volte deve risolvere questioni civili o amministrative che rappresentano l'antecedente logico-giuridico della decisione penale. La que stione costituisce un antecedente (ed è chiamata "pregiudiziale" ) quando dalla sua soluzione dipende o meno l'esistenza di un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice che deve essere applicata. Si pensi ai reati di appro priazione indebita, rispetto ai quali si ponga il problema della titolarità del diritto di proprietà della cosa " oggetto del reato" . Il codice di regola attribuisce al giudice penale il potere di risolvere « ogni questione da cui dipende la decisione » sia sull'esistenza del reato, sia sull' ap plicazione di una norma processuale (48) . Occorre però tracciare una distin zione fondamentale. a) Quando la questione pregiudiziale ha per oggetto una controversia sullo « stato di famiglia e di cittadinanza », il giudice penale è vincolato ai limiti di prova stabiliti dalle leggi civili (49). Ad esempio, la prova della filiazione legittima è data con i limiti posti dagli artt. 236 e 243 del codice civile. Inoltre, il giudice penale non può superare quel particolare tipo di segreto che riguarda « lo stato di figlio legittimo per adozione » e che è sancito dall'art. 73 della legge 4 maggio 1 983 , n. 184 . La sentenza irrevocabile del giudice civile su una questione pregiudiziale in materia di stato di famiglia e di cittadinanza vincola il giudice penale (art. 3 , comma 4). b) Quando la questione pregiudiziale ha un qualsiasi altro oggetto, il giudice penale non è vincolato ai limiti di prova posti dalla relativa materia, bensì applica soltanto le regole probatorie del processo penale. Ad esempio, la prova testimoniale dell'esistenza di un contratto può essere data senza i limiti posti dall'art. 272 1 c.c.; e ancora, ai fini della prova della simulazione di un contratto non valgono i limiti posti dall'art. 1417 c.c. Ciò è giustificato dal fatto che il processo penale tende ad ottenere risultati il più possibile aderenti alla verità e non è vincolato ad esigenze di certezza dei rapporti giuridici sottostanti. Pertanto non può sopportare quei limiti ai poteri di valutazione della prova che nel processo civile sono dovuti a tali esigenze (ad esempio, art. 2722 c.c. sui patti aggiunti o contrari al contenuto di un docu mento) o alla necessità di superare le difficoltà dovute all'onere della prova di determinati fatti (ad esempio, art. 2050 c.c.; responsabilità per l'esercizio di attività pericolose) . (48) Art. 2 , comma l c.p.p. (Cognizione del giudice): << li giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione salvo che sia diversamente stabilito >>. (49) Art. 193 c.p.p. (Limiti di prova stabiliti dalle leggi civilt): << Nel processo penale non si osservano i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, eccettuati quelli che riguardano lo stato di famiglia e di cittadinanza >>.
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Semmai, nel processo penale vi sono, come abbiamo già esposto, altri limiti che sono stati introdotti allo scopo di escludere prove sicuramente inattendibili (ad esempio, a proposito delle voci correnti nel pubblico e delle dichiarazioni anonime; artt. 1 94, comma 3 e 240, comma l ) o non controllabili (ad esempio, l'inutilizzabilità della testimonianza indiretta quando non è indicata la fonte da cui si è sentito dire, art. 1 95 , comma 7) o che sono state assunte in violazione di diritti di rilevanza costituzionale (ad esempio, l'inutilizzabilità delle intercet tazioni eseguite fuori dei casi consentiti, art. 27 1 ) . 1 0 . n giudice, lo storico e l o scienziato. a. Considerazioni preliminari. Abbiamo già esposto le linee generali del ragionamento probatorio. È il momento di approfondire le differenze tra il giudice, lo storico e lo scienziato. Gli studiosi si dividono tra quanti ritengono che il giudice nel decidere assomigli di più allo storico (50) e quanti vedono una maggiore somiglianza con lo scienziato (5 1 ) . Così posto il problema, si tratta di privilegiare uno o più tra gli aspetti del ragionamento probatorio del giudice; ma, in tal modo, le soluzioni non appaiono definitive ed il dibattito può prolungarsi all'infinito. n giudice svolge un ragionamento differente da quello dello storico e da quello dello scienziato; la peculiarità sta nelle norme processuali che regolano i passaggi logici e temporali della sua decisione. Se mai, quello dello storico e quello dello scienziato sono due metodi di accertamento entrambi posti a disposizione del giudice; essi, in ogni caso, differiscono notevolmente tra di loro. Lo storico. Il compito dello storico è quello di ricostruire come si è svolto un fatto che è avvenuto nel passato e che ha cessato di esistere (52) . Si tratta di un fatto non ripetibile, che può essere conosciuto soltanto attraverso le tracce che ha lasciato nel mondo del reale o nella memoria degli uomini. Da tali tracce (elementi di prova) lo storico ricava l'esistenza di un fatto del passato. Gli strumenti, dei quali egli si serve, consistono nelle prove rappresentative e indiziarie, delle quali abbiamo già trattato in precedenza. Ove non sia presente una prova rappresentativa (es., un testimone oculare, un documento o, per fatti più vicini al momento attuale, un filmato) lo storico utilizza, per accertare i fatti del passato, le tracce che ancor oggi sono presenti. Si tratta della prova critica (50) P. CALAMANDREI, Il giudice e lo storico, in Opere giuridiche, l, Napoli, 1965, 393 ss.; G. CALOGERO, La logica del giudice e il suo controllo in cassazione, Padova, 1937, rist. 1964, 128 ss. (5 1 ) M. TARUFFO, La prova dei /atti giuridici, Milano, 1992, 307 ss. (52) CH. SEIGNOBOS, Méthode historique appliquée aux sceinces sociales, Paris, 1 90 1 , 3: << è storico ogni fatto che non può essere osservato direttamente, poiché ha cessato di esistere. Non c'è un carattere storico inerente ai fatti, ciò che è storico è il modo di conoscerli >>.
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( o indiziaria) : a d un fatto provato viene applicata una regola di esperienza che permette di accertare ciò che è probabile sia awenuto in passato. Lo scienziato. Il compito dello scienziato è quello di esaminare un fatto che è ripetibile nel senso che è riproducibile o, comunque, si è riprodotto in modo da poter essere osservato. La finalità è quella di ricavare le leggi della natura che ne regolano lo svolgimento (53 ) . Lo scienziato utilizza una conoscenza empirica: individua determinate categorie di fatti, studia i rapporti che intercorrono tra di essi e ricava leggi che sono valide fino a quando non si dimostrano errate. La legge scientifica esprime una relazione statisticamente significativa tra fatti della natura. Si ritiene che, poste le stesse condizioni, il fenomeno nel ripetersi segua la medesima legge. Questo è un primo livello di conoscenza, di tipo empirico. Successivamente, lo scienziato formula una ipotesi in base alla quale individua una causa ed un effetto ed i rapporti che devono intercorrere tra i due. Ripetendo l'esperimento, lo scienziato controlla se le misurazioni quantitative del fenomeno corrispon dono alla ipotesi formulata (54 ) . b . fl giudice e lo storico. L'attività del giudice utilizza di volta in volta i metodi dello storico e quelli dello scienziato. Essa è molto vicina a quella dello storico perché il fatto di reato è non ripetibile ed appartiene al passato; il giudice lo conosce mediante prove sottoposte ad un controllo di razionalità. Ma le differenze sono molteplici. In estrema sintesi, l'attività dello storico è libera, mentre quella del giudice è vincolata da regole legali (55) . Si vuole che la ricostruzione del fatto storico, operata dal giudice, sia certa o, almeno, alta mente probabile, perché all'accertamento del reato sono collegate conseguenze penalistiche che incidono in modo praticamente non rimediabile sulla libertà e sull'onore della persona condannata. Inoltre, lo storico accerta quei fatti (singoli o collettivi) che a lui sembrano utili per ricostruire un macroevento; nel fare ciò, utilizza i criteri più vari (56): rilevanza culturale, sociale, economica, politica, religiosa ecc.; le respon(53 ) La prima formulazione della differenza tra i metodi del giudice-storico e quello dello scienziato si trova in GALILEO GALILEI, Il Saggiatore, 1623, in Opere, a cura di F. FLORA, 300: << io non posso non ritornare a meravigliarmi, che pur il Sarsi voglia persistere a provarmi per via di testimonii quello ch'io posso ad ogn'ora veder per via di esperienze. S' essaminano i testimonii nelle cose dubbie, passate e non permanenti, e non in quelle che sono in fatto e presenti; e così è necessario che il giudice cerchi per via di testimonii sapere se è vero che ier notte Pietro ferisse Giovanni, e non se Giovanni sia ferito, potendo vederlo tuttavia e farne il visu
reperto >>. (54) Quella che abbiamo esposto è la definizione di scienza teorica. Viceversa, si ha scienza tecnologica, secondo una nota definizione, quando si pongono le cause e, sulla base di leggi, si formulano previsioni: K.R. PoPPER, La società aperta e i suoi nemici ( 1 945), trad. it., Roma, 1 996, vol. II, 3 10-3 1 3 . (55) I n particolare il giudice è vincolato all'osservanza sia d i quelle norme che regolano l'introduzione dei mezzi di prova nel processo (regole probatorie), sia di quelle che indicano quale standard probatorio vada raggiunto perché possa essere pronunciata una decisione piuttosto che un'altra (regole di giudizio). (56) E. Dr Nuoscro, Tucidide come Einstein? La spiegazione scientifica in storiograjia, ed. Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, 30.
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sabilità individuali di un determinato fatto si legano alla responsabilità collettiva di una classe, di una popolazione, di un ceto, nel causare un determinato accadimento storico. Viceversa, il giudice accerta un fatto singolo al fine di valutare la responsabilità penale di una persona in relazione ad una imputazione formulata non da lui, ma da un organo di accusa; per il giudice, l'unico criterio di valutazione è quello previsto dalla legge penale e l'unica responsabilità è quella individuale. Per lo storico il metodo di ricerca delle prove è libero: egli può utilizzare anche intercettazioni effettuate illecitamente, informazioni confidenziali o do cumenti contenenti dichiarazioni anonime. Per il giudice il metodo di ricerca, ammissione, assunzione, e valutazione delle prove è fissato dalla legge perché si vuole ottenere un elemento controllabile sotto il profilo della credibilità della fonte e dell'attendibilità del risultato. Le prove vietate dalla legge non possono essere utilizzate. Lo storico non ha limiti di tempo: può sospendere il proprio giudizio su determinati fatti in attesa che si aprano archivi al momento chiusi; l'accesso a nuovi documenti gli permette di " riscrivere" la storia. Al contrario, il giudice non può sospendere il giudizio; il processo penale si deve svolgere entro tempi prestabiliti fino alla sentenza irrevocabile e al conseguente formarsi del giudi cato: il fatto accertato resta non più modificabile (57) . Come abbiamo visto, quando l'escussione delle prove lascia residuare dubbi sull'ipotesi ricostruttiva formulata dal pubblico ministero, è la legge che impone al giudice la decisione da prendere e cioè il proscioglimento (artt. 530 e 533 ) c. n giudice e lo scienziato. L'attività del giudice presenta aspetti di differenza rispetto a quella dello scienziato (58) , anche se il giudice può utilizzare il sapere prodotto dallo scienziato. Già in partenza, è differente l'oggetto della conoscenza. Come abbiamo anticipato, lo scienziato esamina un fatto della natura che è riproducibile (o si è ripetuto in modo da essere osservato) . Il giudice esamina un fatto umano (ad esempio, un reato) che è avvenuto nel passato e che, ovviamente, è non ripetibile da parte di quelle determinate persone ed in quelle circostanze. Inoltre, il fenomeno fisico o chimico obbedisce a leggi della natura che sono uniformi, poste le medesime (57) F. CoRDERO, Procedura penale, Milano, 1999, 528: << I processi sono macchine retrospettive miranti a stabilire se qualcosa sia avvenuto e chi l'abbia causato >>. G. UsERTlS, La ricostruzione giudiziale del/atto tra diritto e storia, in Cass. pen., 2006, 1206, sostiene che le verità raggiunte rispettivamente dal giudice e dallo storico sono ottenute con strumenti differenti e sono valutate secondo criteri propri di ciascun campo disciplinare. (58) All'inizio della sua attività lo scienziato utilizza una conoscenza di tipo empirico, perché deve individuare determinate categorie di fatti, studiare i rapporti che intercorrono tra di esse e ricavare le leggi scientifiche che sono valide fino a quando non si dimostrano errate. Dopo questa fase iniziale, lo scienziato formula un'ipotesi in base alla quale individua una causa ed un effetto e i rapporti che devono intercorrervi e, ripetendo l'esperimento, controlla se le misurazioni quantitative del fenomeno la confermano.
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condizioni. Viceversa, il singolo comportamento umano è libero e non è determinato da leggi (59). E ancora, lo scienziato può dichiarare che un problema al momento non è risolvibile con dati controllabili e misurabili. Di contro, come si è appena precisato, il giudice deve decidere al termine di un processo che si svolge in tempi predeterminati (60) . d. I rapporti tra il metodo storico e quello scientifico. Specialmente nel processo penale dell'era tecnologica, accade di frequente che il giudice entri in contatto con il metodo scientifico nell'ammissione o nella valutazione di una prova. Posto un fatto provato, può essere necessario applicare ad esso una legge scientifica che illustri quali sono le conseguenze derivanti dalla sua esistenza. Oppure, accertato un fatto, occorre impiegare una legge scientifica che precisi quale è la causa che lo ha determinato. Nella ricostruzione della legge scientifica e nella sua applicazione nel caso concreto, il giudice può aver bisogno della attività dello scienziato in veste di perito o di consulente di parte. Ma può anche accadere che lo scienziato entri in contatto con il metodo storico. Ciò avviene quando il fenomeno, che deve esaminare, è avvenuto nel passato. Ad esempio, può accadere che un geologo ricostruisca come si è svolta la eruzione di un vulcano consultando fonti di prova personali, reali o docu mentali. Si faccia il caso di uno scienziato che apprende dagli scritti di Plinio il giovane come si è svolta la eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.: esaminando le dinamiche di fatti eruttivi svoltisi in tempi recenti, egli formula una ipotesi sul verificarsi di determinate eruzioni distruttive e poi la applica a fatti avvenuti in passato al fine di trovare conferme o smentite (61 ) . In definitiva, i metodi d i accertamento dei fatti sono fondamentalmente due: quello dello storico e quello dello scienziato. li giudice li accoglie nei soli limiti che gli sono imposti dal diritto, e ciò per un motivo rilevante: deve permettere la verifica di credibilità della fonte e di attendibilità dell'elemento di prova; inoltre, deve rispettare il principio del contraddittorio; infine, non può
(59) Diversa è anche la finalità a cui tendono questi due soggetti: se lo scienziato ha come obbiettivo l'affermazione di un mero atto cognitivo, il giudice, invece, deve prendere una decisione che produce effetti nella sfera personale di un individuo e che, per tale motivo, rappresenta un atto imperativo. (60) Sul tema, si veda O. DOMINION!, In tema di nuova prova scientifica, in Dir. pen. proc. , 2001, 1 06 1 : << altro, infatti, è il metodo con cui l'ambito scientifico-tecnico valida o invalida, nello svolgersi degli studi, i propri asserti, e altre sono le esigenze e le tecniche di verifica di idoneità alla ricostruzione del fatto che pertengono al processo ». (61 ) li ragionamento, che abbiamo condotto, presenta un qualche aspetto di novità rispetto alla dottrina tradizionale. Le nostre conclusioni sono nel senso che, quando lo scienziato deve accertare un fatto avvenuto in passato, egli lo fa con il metodo dello storico. Viceversa, se lo storico deve accertare un fenomeno della natura, lo fa con il metodo dello scienziato. Da parte sua, il giudice adotta di volta in volta il metodo di ricerca dello storico o quello dello scienziato, avendo ben presente che la sua attività deve restare nei limiti delle norme di legge.
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sospendere il giudizio pronunciando il cd. " non liquet", ma è obbligato a decidere. e. La scienza e il diritto penale. Prima di concludere con questo quadro generale dei rapporti tra conoscenza nel processo penale e altri rami del sapere, può essere utile effettuare una ulteriore precisazione. La legge scientifica e quella penale. appartengono a due mondi completamente differenti. È bene averne consapevolezza perché il processo penale non può chiedere alla scienza più di quello che tale disciplina può fornire, anche se da sempre sulla scienza l'uomo ha scaricato le sue esigenze di sapere. Come abbiamo accennato, nel mondo dell"'essere" lo scienziato può ricavare, attraverso l'osservazione della realtà, le regole dell'accadere dei fatti, e cioè i collegamenti causa-effetto: si tratta delle leggi scientifiche. Viceversa, la legge penale fa parte del " dover essere", e cioè dei comandi normativi. Nel mondo del dover essere la regola descrive quel tipo di fatto che essa considera illecito e indica la sanzione che il giudice "deve" applicare al responsabile del reato. L'aspetto comune sta nella circostanza che le leggi scientifiche e quelle penali sono entrambe "regole" che si applicano a casi particolari; ma esse hanno natura e finalità assolutamente differenti. Le leggi scientifiche sono regole che si ricavano dall'accadere dei fatti; lo scienziato si limita a conoscerle come esistenti in natura. Le leggi penali sono regole di produzione dei fatti perché tendono a imprimere agli accadimenti una direzione che essi da soli non prenderebbero senza che fosse imposta una sanzione giuridica (62). Un esempio può chiarire l'assunto. Al medesimo fatto storico integrante un omicidio volontario segue, come conseguenza delle leggi di natura, la decomposizione del cadavere; come conseguenza della legge penale, segue la reclusione non inferiore a ventuno anni, come è previsto dall'art. 575 c.p. In definitiva, il fondamento della legge scientifica sta soltanto nell'esprimere una relazione tra fatti della natura. Le leggi sono vere o false (63 ) ; non vi è una distinzione tra lecito e illecito perché per lo scienziato è indagabile tutto quello che è scientificamente possibile: la valutazione giuridica e morale sull'operato dello scienziato è demandata ad un'altra autorità. Di contro, il fondamento della legge penale sta nei valori sui quali si basa la società civile; ad esempio, la dignità dell'uomo, la libertà e la solidarietà. li criterio di valutazione è "lecito-illecito" ; in base al principio di tassatività della legge penale, è illecito soltanto quel fatto tipico per il quale la legge impone di applicare una sanzione penale. Tutto ciò si riflette nei rapporti tra giudice e scienziato. Quest'ultimo può (62) F. RAMAcci, Istituzioni di diritto penale, 2• ed., Torino, 1992, 9 ss. (63 ) A. EINSTEIN, Le leggi della scienza e le leggi dell'etica ( 1 950), trad. it. in Io., Pensierz; idee, opinioni, Milano, 1996, 1 0 1 .
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riferire al giudice soltanto quale è la probabilità statistica astratta di collega mento tra un tipo di fatto (la causa) ed un altro tipo di fatto (l'effetto). La probabilità statistica non indica la causa di eventi singoli perché questi sono indistinguibili all'interno di un campione statistico (64). Spetta al giudice valutare la probabilità logica di un singolo accadimento (65 ) ; e cioè, se nel caso concreto quella determinata causa ha operato senza che altre concause siano intervenute e se la persona, che ha posto in essere quel determinato fatto, è rimproverabile penalmente. Non è sufficiente provare la causalità generale (statistica) ; occorre anche provare la causalità individuale. In definitiva, il giudice non può delegare allo scienziato il tema dell'accertamento del fatto e della responsabilità penale. Al tempo stesso, è il giudice che deve esporre nella motivazione della sentenza perché ritiene attendibile la prova sulla quale fonda la sua decisione e perché ritiene non attendibili le prove contrarie (art. 546 comma l lett. e) . Per fare questo, egli deve utilizzare le leggi scientifiche e le regole della logica e dell'esperienza comune. 1 1 . L'evoluzione del concetto di scienza. Dal positivismo al post-positivismo. In estrema sintesi, possiamo affermare che fino alla metà del secolo scorso è stata accolta una concezione positivistica della scienza; da quella data si è cominciata ad affermare una concezione che è stata denominata post-positivistica. Il ragionamento deve essere condotto per grandi linee, anche se ciò comporta necessariamente alcune semplificazioni di importanti concetti. In base alla filosofia positivistica la scienza era considerata illimitata, completa, infallibile. Era illimitata perché si riteneva che ogni singola legge scientifica avesse un valore generale e assoluto. La scienza era completa nel senso che la singola legge era idonea a spiegare interamente l'andamento di un fenomeno. La scienza era infallibile perché era unica e non poteva sbagliare; se mai, potevano sbagliare gli scienziati (66). (64) E. AcAZZI, La causalità e il ruolo delle frequenze statistiche nella spiegazione causale, Incontro di studio del CSM su "Prova scientifica e contraddittorio" , svoltosi a Roma nei giorni 1 1 - 1 3 luglio 2005. (65 ) Per un'efficace differenza tra probabilità statistica e probabilità logica cfr. Cass., sez. un., 1 1 settembre 2002, Franzese, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 1 133 ss. Si afferma che la probabilità statistica << attiene alla verifica empirica circa la misura della frequenza relativa nella successione degli eventi >>; viceversa << la probabilità logica, seguendo l'incedere induttivo del ragionamento probatorio per stabilire il grado di conferma dell'ipotesi formulata in ordine allo specifico fatto da provare, contiene la verifica aggiuntiva, sulla base dell'intera evidenza disponibile, dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell'accertamento giudiziale >>. (66) Tale concezione, per distinguere gli enunciati scientifici da quelli non scientifici, si basava sul principio di verificazione: un enunciato è scientifico se è confermata dall'esperienza mediante il ripetersi costante delle sue verifiche.
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Già dagli studi, che risalgono agli anni quaranta dello scorso secolo (67), si è iniziato a mettere in crisi questa concezione. Si è constatato che la scienza è limitata: di un fenomeno è possibile cogliere un numero limitato di aspetti e rappresentarli con una legge scientifica. La scienza è incompleta: non appena altri aspetti del medesimo fenomeno sono conosciuti, la legge scientifica deve, se possibile, essere aggiornata e modificata per rappresentare anche tali aspetti; se non è possibile aggiornarla o modificarla, la legge deve essere abbandonata. La scienza è fallibile: ogni legge scientifica ha un tasso di errore che deve essere ricercato; la conoscenza del tasso di errore è l'unico indice che una teoria è stata seriamente testata (68). Questa nuova concezione della scienza prende il nome di post-positivismo e si basa su un principio diverso da quello di verificazione; infatti, in base a questa seconda filosofia, non basta che una legge, per essere ritenuta " certa" , sia confermata dall'esperienza mediante il ripetersi costante delle sue verifiche, ma occorre che sia sottoposta a tentativi di falsificazione. La definizione di scienza. Sulla base dello stato attuale del dibattito sulla filosofia della scienza, possiamo tentare di formulare una definizione di scienza che sia accettabile ai fini della sua applicazione nel processo penale. La scienza è quel tipo di conoscenza che ha le seguenti caratteristiche: ha per oggetto i fatti della natura; è ordinata secondo un insieme di regole generali che sono denominate leggi scientifiche e che sono collegate tra loro in modo sistematico; accoglie un metodo controllabile dagli studiosi nella formulazione delle regole, nella verifica e nella falsificabilità delle stesse. La conoscenza scientifica è ordinata come un insieme di regole collegate tra loro in modo da costituire un sistema di princìpi tendenzialmente completo. Per quanto concerne il "metodo" di formulazione delle regole, possiamo ricordare che queste sono ricavate in modo empirico, e cioè riproducendo fenomeni naturali e misurando i loro effetti: la legge indica le relazioni quantitative che legano una causa ad un effetto. La legge è vera quando l'ipotesi sull'andamento del fenomeno (ad esempio, il teorema matematico) corrisponde alla misurazione quantitativa dello stesso. Attualmente si è consapevoli che da un numero finito di casi particolari (o di esperimenti) non si possono ricavare regole indubitabili che abbiano un Altro carattere distintivo della filosofia positivistiva era rappresentato dall'idea che esistesse un unico metodo scientifico in grado di operare in tutti i settori della conoscenza scientifica. (67) K.R. PoPPER, Logtk der Forschung, Wien, 1935, trad. it.: Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970, 5 e ss.; fu., The growth o/Scientific Knowledge, New York, 1963, trad. it.: Problem� scopi e responsabilità della scienza, in Scienza e filosofia, Torino, 1969, 1 5 1 . (68) Inoltre, si è messo in crisi il postulato dell'unicità del metodo scientifico, accogliendo l'idea dell'esistenza di un pluralismo metodologico, secondo la quale ogni campo di ricerca gode di una propria autonomia e, per questo motivo, il metodo scientifico va adeguato ai particolari contesti disciplinari nei quali deve essere applicato.
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valore assoluto (69). Lo scienziato usa l'induzione, ma sa che non è risolutiva; è consapevole che non vi è un passaggio deterministico tra l'osservazione dei casi e le regole che da essi si ricavano: sulla base delle esperienze si possono formulare soltanto congetture, che devono essere controllate. La conoscenza è scientifica in quanto rende possibile sottoporre a falsificazione la singola regola. Esiste una asimmetria tra verificabilità e falsificabilità: nonostante v1 s1ano continue conferme, una teoria non sarà mai certa, mentre una sola smentita basta a falsificarla. D falsifìcazionismo. Possiamo fare un esempio elementare di falsificazione delle regole (70). Data una ipotesi su come si è svolto il fenomeno in un caso
(69) R. CARNAP, I fondamenti filosofici della fisica, trad. it., Milano, 1 97 1 , 36: << Possiamo continuare a fare un numero sempre maggiore di osservazioni, conducendole nel modo più accurato possibile, fino a giungere finalmente a poter dire " questa legge è stata controllata un tal numero di volte che possiamo tranquillamente considerarla vera: essa è una legge ben stabilita e ben fondata". Se tuttavia riflettiamo sulla cosa, vediamo che anche la legge fisica meglio fondata deve basarsi su un numero finito di osservazioni: è sempre possibile che domani se ne trovi un contro-esempio. In nessun momento è possibile giungere alla verifica completa di una legge. In effetti, noi non dovremmo neppure parlare di "verifica", se con questo termine intendiamo la determinazione definitiva della verità, bensì solo di conferma (. .. ). Malgrado non esista alcun modo ( . . . ) di verificare una legge, ne esiste uno molto semplice di falsificarla: tutto ciò che occorre è di trovare anche un solo contro-esempio ( . . . ). Un milione di esempi positivi non sono sufficienti a verificare la legge, mentre basta un contro-esempio per falsificarla. La situazione è fortemente asimmetrica: è facile refutare una legge, è estremamente difficile trovare una forte conferma >>. (70) n pensiero falsificazionista di PoPPER è riconosciuto come uno dei cardini della moderna epistemologia. Lo studioso ha determinato l'abbandono definitivo della cd. induzione per enumerazione. Tale metodo, che fino ad allora aveva costituito il principale criterio di costruzione delle leggi scientifiche, consisteva nell'analisi di un numero finito di casi particolari identici, dalla cui generalizzazione sarebbe nata una teoria scientifica. Secondo il filosofo, non è logico trarre una regola generale da casi particolari. Sarà sempre possibile essere indotti in errore. << Per quanto numerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo avere osservato, ciò non giustifica l'asserzione che tutti i cigni sono bianchi >> (K.R. PoPPER, Problemz; scopi e responsabilità della scienza, in Scienza e filosofia, Torino, 1969, 1 5 1 ; Io., Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970, 5 ss.). Chi potrebbe escludere con assoluta certezza che un giorno si avvisti un cigno nero? Dunque, ad avviso di PoPPER, una teoria non può mai essere verificata, ma soltanto falsificata: non vi è alcun metodo scientifico che sia in grado di dimostrare la verità di una legge scientifica, ma solo, eventualmente, la sua falsità. << La verità è che tutti siamo fallibili e la scienza è fallibile. E la scienza è fallibile perché la scienza è umana: nella prospettiva logica, nessuna legge universale è certa, giacché, per quante conferme abbia ottenuto, i casi non ancora osservati sono infiniti e può accadere che il caso n+ l metta in ginocchio anche una teoria venerabile; nella prospettiva storica, poi, ci accorgiamo che la storia della scienza è la storia di una disputa ininterrotta che ha mandato in frantumi una serie sconfinata di teorie >>. Così PoPPER, Logica della scoperta scientifica, cit., 22. V. Io., Conjectures and Refutations: The growth o/Scientific Knowledge, New York, 1962, trad. it.: Congetture e confutazioni, Bologna, 1972, 325 ss. Si tenga presente, in ogni caso, che il falsificazionismo non è universalmente accettato dai filosofi della scienza. Tra i postpopperiani, fondamentale è l'approccio critico di P. FEYERABEND, Against Method. Outline ofan Anarchistic Theory ofKnowledge ( 1 975 ) , trad. it., Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Milano, 1979. n filosofo ha affermato che il falsificazionismo non risolve tutti i problemi, giacché è ovvio che nessuna teoria scientifica è mai consistente con tutti i fatti che la riguardano proprio perché la formulazione di una teoria dipende dal contesto al quale è applicata. Ad avviso dello studioso, il falsifica zionismo deve essere superato da un approccio in base al quale non si può rifiutare a priori nessun metodo tacciandolo di non scientificità. Egli ritiene che proprio tale apertura abbia consentito in passato lo sviluppo della scienza.
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particolare, si deducono dalle regole ad esso applicabili quali sono le conse guenze che devono essersi verificate. Quindi si procede alla osservazione empirica per verificare in concreto se tali conseguenze si sono verificate. In caso positivo, la regola è validamente applicabile. In caso negativo (e cioè se anche una sola conseguenza non si è verificata) si deduce che la regola potrebbe non essere valida per spiegare l'esistenza di quel fenomeno. n carattere di provvisorietà della scienza non deve, però, scoraggiarci né portarci a pensare che questa sia inutile o inaffidabile. Infatti, nella stragrande maggioranza delle situazioni tra più teorie scientifiche è possibile individuare quella che meglio si adatta al caso concreto da risolvere. La scienza progredisce attraverso l'avvicendarsi di teorie una migliore dell'altra. La fiducia nel pro gresso ci compensa per la perdita di certezza della scienza. Inoltre, tra una scoperta scientifica e quella successiva esistono i cosiddetti periodi di scienza normale, nei quali la comunità scientifica accoglie una determinata teoria e vi si riconosce (7 1 ) . Questi periodi consentono di guardare al progresso scientifico e tecnologico senza inutili scetticismi. Al tempo stesso, nonostante la perenne provvisorietà che connota la scienza, non possiamo sostenere che la verità non esiste. Se così fosse, la stessa funzione giurisdizionale non avrebbe senso: come è possibile applicare all'im putato anni di carcere se non sul presupposto che il fatto, che gli è addebitato, è stato accertato al di là del ragionevole dubbio? Altro è affermare che la finitezza dei mezzi a disposizione dell'uomo deve sempre portarci a dubitare dell'assolutezza delle singole decisioni, altro è sostenere che una verità non esiste (72). Una volta caduto il dogma della onnipotenza della scienza, non dobbiamo sprofondare in un agnosticismo assoluto che ci porti ad escludere il prezioso ausilio di tale disciplina nel processo. n giudice in un dato momento storico ha il dovere di decidere anche se la decisione può fondarsi su elementi che in futuro potrebbero essere falsificati (73 ). Una decisione è giusta se si fonda su di una prova scientifica ritenuta valida al momento in cui una sentenza è pronun ciata (7 4). n tema sarà ulteriormente sviluppato nella sua sede, e cioè nel prossimo capitolo sui mezzi di prova a proposito della perizia e della consulenza tecnica di parte.
(71) T. KuHN, The structure o/ Scienti/ic Revolutions, 1962, trad. in Grande dizionario enciclopedico, UTET, vol. XI, 7 10. (72) G. SILVESTIU, Scienza e coscienza: due premesse per l'indipendenza del giudice, in Dir. pubb. , 2004, fase. 2, 4 1 1 -438. (73 ) O. DoMINION!, In tema, 1064. (74) P. FERRUA, Processo penale e verità, in Dem. dir., 2000, 207; F. FOCARDI, La consulenza tecnica, 1 1 .
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12. L a formulazione di una ipotesi. Verificatosi un fatto di reato, l'investigatore ha la necessità di formulare una ipotesi ricostruttiva del medesimo. Assumendo che quel fatto consiste di una pluralità di accadimenti, ciascuno dei quali può avere le cause più varie, si tenta di identificare le possibili cause di ciascun accadimento, delimitando l'ambito delle ipotesi ricostruttive proponibili. In questa fase, le leggi scientifiche ven gono utilizzate "a ritroso" (dall'evento B all'evento A, anziché dall'evento A all'evento B). Lo scopo è quello di formulare ipotesi sulla possibile causa del singolo fenomeno (75) . Vi è , però, una difficoltà. L e leggi scientifiche consentono di affermare che, dato l'evento A, seguirà come conseguenza l'evento B; raramente consentono di affermare che, in presenza di un evento B, l'unica causa di esso è l'evento A. Anche quando la legge è altamente predittiva, nel senso che ricollega l'evento B come conseguenza molto probabile della causa A, resta la possibilità che l'evento B possa avere anche altre cause differenti da A. Per questa ragione, chi deve ricostruire la causa di un evento utilizza inizialmente il suo bagaglio di conoscenze scientifiche per formulare tutte le ipotesi sulle possibili cause. Tra queste ipotesi l'investigatore sceglie quella che appare la più probabile. D tentativo di falsificazione. Formulata un'ipotesi che ricostruisce lo svol gimento dei fatti, l'investigatore va a verificare se questa trova effettivamente conferma nella realtà. Se la causa di B era l'evento A, allora sappiamo che in base a regole scientifiche o di esperienza dovrebbe essersi verificato anche l'evento C, che una legge collega alla causa A. Quindi, si va a cercare se l'evento C si è verificato in concreto; si tratta di un fatto che nell'immediatezza non era stato considerato significativo in quanto ha assunto rilevanza soltanto nella ipotesi selezionata (76) . Così, l'investigatore si può chiedere se per caso una persona abbia lasciato un'impronta in un determinato luogo. Possiamo esporre un esempio. Da osservazioni empiriche deduciamo la legge scientifica secondo cui, quando piove (causa A), la strada è bagnata (evento B). Se partiamo dal fatto che oggi la strada non è bagnata, stiamo utilizzando la regola in senso inverso: quando la strada è asciutta non è piovuto. Ma quando la strada appare bagnata, non è detto che sia piovuto; può accadere che la strada sia bagnata per altre cause. Inoltre, quando piove si bagna non solo la strada, ma anche le auto in sosta (evento C): pertanto se è bagnata la strada ma non le auto in sosta, la legge scientifica "pioggia" risulta falsificata. Occorre precisare, peraltro, che la legge scientifica permette soltanto di collegare un evento alla sua causa, ma non può accertare l'esistenza di tutti i fatti (75) A. NAPPI, La prova scientifica nella prospettiva delle parti, Relazione nell'Incontro di studio del CSM, Roma, 14-17 marzo 2004. (76) A. NAPPI, loc. ult. cit.
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che si vogliono provare. Ad esempio, conoscendo la regola secondo cui ogni veicolo di un determinato tipo, che procede ad una data velocità, lascia sul terreno una traccia di frenata di una data lunghezza, si può individuare l'esatta velocità di marcia di quel particolare automezzo che ha lasciato quel segno di frenata; ma tale risultato nulla ci può dire sulla conduzione dell'automezzo da parte dell'imputato e sulla sua responsabilità. Tale fatto potrà eventualmente essere accertato mediante altre prove. Occorre, altresì, precisare che nella formulazione delle ipotesi ricostruttive non si utilizzano soltanto leggi scientifiche, ma anche massime di esperienza, che esprimono regole generali tratte dall'osservazione del comportamento umano. L'applicazione delle massime di esperienza segue meccanismi inferenziali ana loghi a quelli fin qui evidenziati. Anzi, si nota comunemente che, accertato un fatto mediante una legge scientifica, questa non è mai l'ultima inferenza che ci permette di affermare la responsabilità dell'imputato. « Se la scienza dice che quella impronta appartiene a Tizio, questo ci autorizza a ritenere che Tizio ha toccato quell'oggetto, non che Tizio abbia commesso il furto in quell'appartamento, nel quale può avere avuto accesso per legittime ragioni » (77) . Occorre essere consapevoli che la scienza non offre il passaggio finale per la ricostruzione del fatto storico: tale ricostru zione è il frutto di una decisione mentale complessa, nella quale operano i criteri della logica e dell'esperienza, che presiedono in generale al momento della valutazione (78) . È necessario evitare che la scienza si tramuti in un scorciatoia o, peggio, in un deus ex machina del processo penale: la legge della natura è un utile strumento logico all'interno di un ragionamento inferenziale che, di regola, ha implicazioni più articolate. Non si può chiedere alla scienza più di quello che la scienza può dare, anche se è molto quello che essa può offrire al processo penale. 13. Un aspetto applicativo: la prova del rapporto di causalità tra condotta ed evento .
A conclusione di questo capitolo sui princìpi generali in tema di prova è possibile misurarsi con una problematica che coinvolge nozioni di diritto sostanziale e processuale. Si tratta di un tema che è attualmente oggetto di un acceso dibattito e che concerne la prova del rapporto di causalità tra condotta ed evento. In proposito, le Sezioni unite della cassazione hanno offerto una soluzione che utilizza le regole di esperienza in uno snodo fondamentale del (77) E. FAssoNE, Le scienze come ausilio nella ricerca del fatto e nel giudizio di valore, in La prova scientifica nel processo penale, a cura di L. DE CATALDO NEUBURGER, Padova, 2007, 247. (78) O. DoMINioN!, Prova scientifica (dir. proc. pen.), in Enc. Dir., Annali, vol. II, t. l, Milano, 2008, 993.
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ragionamento e dimostra così l'importanza di uno strumento che negli ultimi tempi aveva subito critiche. L'art. 40 comma l c.p. stabilisce che « nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omis sione ». Tale norma comporta che il giudice, nel processo penale, debba accertare l'esistenza del rapporto di causalità tra condotta ed evento. Tuttavia, come vedremo subito in/ra, tale accertamento non è sempre facile. Facciamo alcuni esempi: l) Tizio ha inferto una pugnalata al cuore di Caio e Caio è morto; 2) un vaso mal collocato su un davanzale cade e colpisce alla testa Sempronio, che muore; 3 ) negli anni '60 i dirigenti della ditta tedesca Griinenthal mettono in commercio il farmaco talidomide (un blando sedativo). Tale farmaco è assunto anche da donne gestanti che successivamente partori scono figli malformati; 4) un medico omette di prescrivere un esame clinico e la paziente muore per una sindrome non diagnosticata. È intuitiva la differenza tra le varie ipotesi. Nei primi due casi (ferita al cuore e vaso di fiori) il rapporto di causalità tra la condotta e l'evento sembra non richiedere una prova. Negli altri due casi (talidomide e omessa diagnosi) il giudice deve fare operazioni logiche più complesse per arrivare ad affermare l'esistenza del nesso causale. In materia di accertamento del nesso di causalità la dottrina penalistica ha escogitato innumerevoli e complesse teorie. Per mettere subito in chiaro un dato operativo, la giurisprudenza quasi unanime ha da tempo accolto la più antica e semplice tra tutte le impostazioni: la teoria della condicio sine qua non. Una condotta è causa di un evento se eliminando mentalmente la condotta viene meno anche l'evento (c.d. giudizio controfattuale: che va contro il reale svolgi mento dei fatti). Per affermare l'esistenza del nesso causale occorre rispondere alla domanda: se la condotta non ci fosse stata, l'evento si sarebbe verificato? Se si applica il procedimento di eliminazione mentale agli esempi menzio nati sopra, tuttavia, ci si accorge che non sempre esso risulta risolutivo. Nei primi due casi è tutto chiaro: se si elimina la coltellata e la caduta del vaso, l'evento morte viene sicuramente meno. Negli altri due casi, il ragionamento è più complesso: se si elimina l'assunzione del talidomide e l'omissione della diagnosi non siamo certi che, rispettivamente, le malformazioni dei neonati e la morte della paziente vengano meno. I problemi sono dovuti al fatto che la condicio sine qua non è soltanto un procedimento logico e, per funzionare, richiede che si conosca la legge scientifica in base alla quale una determinata condotta provoca un determinato evento. Così possiamo dire che eliminando la coltellata viene meno la morte, perché sappiamo che un coltello infilato nel cuore provoca l'arresto cardiaco con conseguente cessazione delle funzioni vitali. Allo stesso modo, possiamo affer mare che la caduta di un vaso da fiori sulla testa di una persona ne provoca la
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morte, perché la scienza permette di conoscere con certezza le conseguenze di un violentissimo trauma cranico. Viceversa, abbiamo maggiori problemi ad affermare che l'assunzione del talidomide provoca malformazioni al feto, perché la scienza non è in grado di dimostrare che tali malformazioni conseguono con certezza all'assunzione del farmaco. Occorre tenere presente che, con l'evoluzione tecnologica, si è verificato un mutamento della tipologia dei casi in relazione ai quali il giudice è chiamato ad accertare l'esistenza del rapporto di causalità. Mentre nell'800 i casi tipici erano omicidi e lesioni personali e gli strumenti erano avvelenamento, pugnalate, ecc., con l'avvento della tecnologia si sono sviluppati settori nei quali è più difficile accertare il nesso di causalità. Si pensi al tema della sicurezza sul lavoro, della circolazione stradale, del rischio ambientale, della attività medico-chirurgica, dei danni da prodotti industriali chimico-farmaceutici. Ed è proprio lo sviluppo di questi nuovi settori di responsabilità che ha reso i giudici consapevoli della necessità che il procedimento logico di eliminazione mentale deve essere integrato dall'uso di leggi scientifiche denominate di "copertura" (79). Lo stesso termine indica la necessità di instaurare un ponte logico scientifico tra condotta ed evento (80). Quando le ipotesi di responsabilità penale erano palesi (ferita e morte), il giudice poteva non essere consapevole di applicare una legge scientifica. Quando ci si è trovati di fronte ai casi più dubbi, si è compreso quale è il punto debole della teoria della condicio sine qua non. Tale teoria funziona soltanto se il giudice conosce la legge scientifica di copertura. In passato vi sono stati casi nei quali i giudici hanno applicato il procedimento di eliminazione mentale senza impiegare le leggi scientifiche, ma colmando con il loro intuizionismo soggettivo la lacuna conoscitiva relativa al rapporto tra condotta ed evento. Così i giudici tedeschi hanno condannato l'industria farmaceutica Griinenthal come responsabile delle malformazioni ai feti, pur in difetto di una legge scientifica che indicasse una relazione tra l'assunzione del farmaco e la malformazione. Sta di fatto che dal 1 990 al 2002 la giurisprudenza ha accolto la teoria della condicio sine qua non con l'integrazione di leggi scientifiche di copertura. Naturalmente, le leggi di copertura sono state fornite ai giudici dai periti e dai consulenti tecnici di parte. Come abbiamo accennato supra ( § 1 1 ) la scienza è limitata e in continua evoluzione. Pertanto il processo penale deve essere il (79) Cass., sez. un., 10 luglio 2002, Franzese, in Foro it. , 2002, 616: « in tanto può affermarsi che, operata l'eliminazione mentale dell'antecedente costituito dalla condotta umana, il risultato non si sarebbe o si sarebbe comunque prodotto, in quanto si sappia, "già da prima" che da una determinata condotta scaturisca, o non, un determinato evento >>. (80) Sul punto, C. CoNTI, Al di là del ragionevole dubbio, in AA.Vv., Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio. Legge 20 febbraio 2006 n. 46, coordinato da A. ScALFATI, Milano, 2006, 92 ss.
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luogo del contraddittorio e della dialettica anche sulla scienza da applicare nell'accertamento del nesso di causalità. In relazione al rapporto tra legge scientifica e accertamento del nesso causale si è registrato il formarsi di due orientamenti contrapposti. n contrasto concerneva quella percentuale di validità statistica della legge che è necessaria e sufficiente per affermare l'esistenza del nesso causale. n problema non si poneva in relazione alle leggi c.d. universali (rectius, con elevato grado di predittività), che funzionano in tutte le ipotesi, che ricadono nell'ambito applicativo delle leggi (es. legge di gravità) , e che sono in grado di ricollegare un certo evento ad un determinato antecedente in termini di certezza, non essendo mai state smentite. Il problema si poneva, viceversa, per tutte quelle leggi scientifiche probabilistiche (rectius, con basso grado di predittività) che funzio nano soltanto in un dato numero di ipotesi (ad esempio nel 30% dei casi), e cioè si limitano ad affermare che il prodursi di un evento è dovuto al verificarsi di un altro evento solo in una determinata percentuale di casi (81 ) . Ebbene, con una qualche semplificazione dovuta a esigenze di sintesi, possiamo affermare che la giurisprudenza si era divisa proprio su questa percentuale di validità statistica. Un primo orientamento aveva affermato che il rapporto di causalità doveva essere ritenuto esistente se vi erano serie ed apprezzabili probabilità che l'evento fosse conseguenza dell'azione. Un secondo orientamento aveva affermato che il nesso causale esisteva soltanto se la legge scientifica, che esprimeva il rapporto tra condotta ed evento, aveva un coeffi ciente percentuale vicino al 1 00 % , e cioè pari alla certezza. Su questa spaccatura sono state chiamate a pronunciarsi le Sezioni unite della Cassazione. n supremo collegio con la sentenza Franzese del 2002 (sopra citata) ha operato una sorta di rivoluzione copernicana. Le Sezioni unite sono partite dal rilievo che nel processo penale è possibile condannare soltanto se l'esistenza del fatto e la responsabilità dell'autore risultano provate oltre ogni ragionevole dubbio. Poiché il rapporto di causalità è un elemento oggettivo del reato, occorre che anche in relazione alla sussistenza di tale nesso sia eliminato ogni dubbio ragionevole. Ciò significa che in merito all'esistenza del rapporto di causalità nel processo penale è sempre necessario un giudizio di certezza. Tale giudizio, tuttavia, non va confuso con la percentuale di validità statistica della legge, considerata in astratto. Il giudice deve ritenere provato oltre ogni ragionevole dubbio che nel singolo caso concreto sottoposto alla sua attenzione esiste un (8 1 ) Le leggi statistiche o di probabilità esprimono successioni di fenomeni soltanto in una certa percentuale (es. tra esposizione a morbillo e contagio, tra fumo e tumore polmonare) a causa del subentrare di fattori ignoti, che pur sempre consentono di sussumere un evento sotto la causalità, se esso risulta percentualizzato in un rilevante grado di possibilità. Si veda F. MANrovANJ, Diritto penale. Parte generale, 5" ed., Padova, 2007, 14 1 .
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rapporto di causalità tra condotta ed evento. Tale giudizio - lo si ripete - non ha nulla a che vedere con la astratta percentuale di validità statistica della legge scientifica. Occorre, invece, un giudizio che venga effettuato in concreto, alla luce di tutte le risultanze processuali e delle peculiarità del caso singolo. Una simile soluzione postula l'applicazione della legge scientifica tenuto conto di tutte le prove relative alle caratteristiche del caso in esame. Del resto, come si è accennato, la scienza stabilisce una relazione causale tra classi di cause e classi di eventi. Viceversa, il processo penale, per definizione, serve ad accertare la causa di un evento unico ed irripetibile. Le Sezioni Unite hanno prospettato un modello bifasico di accertamento della causalità. Una prima fase ex ante nella quale si ricerca in astratto la legge scientifica applicabile al caso. Una seconda fase ex post nella quale si controlla se il fenomeno verificatosi in concreto può essere spiegato alla luce di quella legge. Ciò comporta che il giudice utilizzi un concetto di probabilità che non è più quella statistica (dipendente quindi dalla percentuale della legge) bensì logica, formulata in relazione alle caratteristiche del caso concreto. Data la limitatezza della conoscenza umana, nel misurare la validità astratta di una legge gli scienziati devono dare per esistenti alcune leggi ignorate o meramente supposte (cosiddette assunzioni tacite, indicate con la clausola coeteris paribus) (82) . Si può affermare che una legge funziona in una data percentuale di casi, ipotizzando che in quei casi non vi siano altri fattori condizionanti o non vi siano altre leggi sconosciute. Ebbene, nella valutazione della probabilità logica la clausola coeteris paribus deve essere riempita dai contenuti delle risultanze processuali e impone di tenere conto di tutte le peculiarità del caso concreto, la cui esistenza risulta provata nel processo penale, ivi compresi gli altri fattori condizionanti. È attraverso il processo che deve essere ricostruita la situazione fattuale, sulla quale occorre vagliare il funzionamento della legge scientifica (83 ). Inoltre, nel processo penale, occorre escludere l'esistenza di fattori causali alternativi (cosiddetta "prova per esclusione" ) . Anche se - è appena il caso di sottoline arlo - gli studi successivi hanno messo in rilievo la debolezza di tale aspetto, giacché le cause alternative possono essere potenzialmente infinite e non è mai possibile acquisire la certezza assoluta che siano escluse tutte (84). Si pensi che, (82) F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 142; G. FIANDACA e E. Museo, Diritto penale, cit., 204. (83) C. CoNTI, Al di là del ragionevole dubbio, loc. ult. cit. (84) C. PIERGALLINI, La regola dell'"oltre ragionevole dubbio" al banco di prova di un ordinamento di civil law, in AA.Vv., Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006, a cura di M. BARGIS e F. CAPruou, Torino, 2006, 391. Indicativo è il controverso accertamento delle malattie professionali in relazione alle quali è spesso ignota l'incidenza della esposizione a fattori patogeni rispetto al manifestarsi della malattia, quasi sempre in tempi successivi rispetto al periodo in cui l'esposizione si è protratta (cd. finestra).
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normalmente, nell'era della modernità è raro che ci si trovi ad accertare eventi dovuti ad un'unica causa. Si parla di causalità multifattoriale (web causation), come ad esempio nel caso di decessi di persone affette da patologie plu rime (85 ) . Problema ulteriormente complicato nell'accertamento della causalità omissiva, nella quale comunque la fase ex post si confronta con una causa ipotetica e non con una causa reale (86). Nonostante i punti di criticità appena evidenziati, la rivoluzione coperni cana, operata dalla sentenza Franzese, è data dal fatto che il giudice può ritenere inesistente il nesso causale nonostante che la legge scientifica applicabile esprima un probabilità vicina alla certezza. Anche di fronte a leggi del genere la probabilità logica non è integrata qualora vi sia un ragionevole dubbio che nel caso concreto, date tutte le sue peculiarità, la legge non abbia operato e, viceversa, siano intervenuti fattori causali alternativi che hanno cagionato l'evento. Per contro, ma corrispondentemente, il giudice può ritenere che esista il rapporto di causalità fondato sulla probabilità logica anche qualora venga in gioco una legge scientifica a bassa predittività, purché in tali casi, sempre alla luce di tutte le risultanze, appaia provato oltre ogni ragionevole dubbio che esiste un rapporto causale. Come si è accennato, il giudice deve escludere con certezza che l'evento sia causato da altri fattori (c.d. procedimento per esclu sione) . In tali casi, la prova può essere raggiunta anche con l'ausilio di massime di esperienza che inducono a ritenere applicabile la legge scientifica con riferimento al caso concreto o che fanno ritenere assenti altri fattori (87). (85) O . DI GIOVINE, Il concetto scientifico e giuridico di probabilità, i n AA .Vv ., La prova scientifica nel processo penale, a cura di L. DE CATALDO NEUBURGER, Padova, 2007, 198. (86) R. BARrou, Causalità omissiva e modello di accertamento ex ante-ex post, in Cass. pen., 2006, 3220; L. MASERA, Il modello causale delle Sezioni Unite e la causalità omissiva, in Dir. pen. proc. , 2006, 493 ss. In ogni caso, ai fini dell'accertamento nel processo penale, è possibile affermare che, anche nella causalità omissiva, i fattori individuali e particolaristici che vengono alla luce nel processo non servono solo a ritagliare e specificare la legge di copertura (fase ex ante), ma servono anche a verificare in concreto l'alta credibilità razionale dell'ipotesi postulata in relazione alla azione doverosa omessa. Pertanto, anche per la causalità omissiva l'interprete deve ricercare e proporre soluzioni di equilibrio che risultino empiricamente praticabili nell'esperienza giudiziale. V. amplius G. CANZIO, La causalità "scientifica", in Dir. pen. proc. , 2008, n. 6, Dossier, La prova scientifica nel processo penale, a cura di P. ToNINI, 4 1 . In merito alla fondatezza di quest'ultimo approccio ed ai criteri di accertamento della causalità omissiva, F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, spec. 990 e 992-993 . (87) Sull'uso delle massime di esperienza nell'accertamento del nesso di causalità, P.F. PIRAs, Il giudizio causale in assenza di leggi scientifiche, in Cass. pen. , 2004, 2384. In giurisprudenza, Cass., sez. IV, 15 ottobre 2002, Loi, in Cass. pen. , 2004, 2347 (con nota di R. BLAIOTIA, Incidenti da aviolancio, problemi causali nuovi, attività rischiose): << è configurabile la sussistenza del nesso di causalità tra condotta ed evento, qualora esso sia stato accertato con giudizio controfattuale che, quantunque non fondato su una legge scientifica di spiegazione di natura universale o me ram ente statistica - per l'assenza di una rilevazione di frequenza dei casi esaminati - bensì su generalizzate massime di esperienza e del senso comune, sia stato ritenuto attendibile secondo criteri di elevata credibilità razionale, in quanto fondato sulla verifica, anche empirica, ma scienti ficamente condotta, di tutti gli elementi di giudizio disponibili, criticamente esaminati >>. Sulla base di tali princìpi la Cassazione ha ritenuto esistente il nesso di causalità tra l'adozione di tecniche di lancio non
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Principi generali sulla prova
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li significato del concetto di probabilità logica può essere ricostruito come segue: alla luce delle risultanze processuali, occorre poter affermare che il caso è inquadrabile nell'area di funzionamento della legge di copertura o nel campo di validità della massima di esperienza. È una simile valutazione che ci dà la certezza oltre ogni ragionevole dubbio, a prescindere dalla validità statistica della legge scientifica o dalla controvertibilità della massima (88). Chiariamo con un esempio. In base ad una legge scientifica vi è una bassissima probabilità che l'infezione da Hiv si trasmetta a seguito di un singolo rapporto sessuale. Ma se in concreto (come è accaduto) si è verificato che il virus abbia colpito una suora di clausura bosniaca, violentata da un soldato affetto da Hiv, e si dimostra che la suora precedentemente era perfettamente sana e non era mai stata sottoposta a emotrasfusioni o ad altre vie di trasmissione dell'infezione, ebbene, anche dinanzi ad una legge scien tifica dai coefficienti statistici medio-bassi e con l'ausilio delle migliori massime di esperienza applicabili al caso concreto, è possibile affermare che esiste un rapporto di causalità tra la condotta e l'evento. Alla luce della miglior scienza ed esperienza applicata ai fatti oggetto del processo penale la condotta risulta causa dell'evento (89) . Allo stesso modo, può esistere una legge scientifica con probabilità statistica assai elevata in base alla quale un lavoratore esposto, per un lungo lasso di tempo e senza protezioni, a fonti di inquinamento acustico, che superino una determinata intensità, riporta una grave forma di sordità (ipoacusia) . Ma tale altissima probabilità statistica può essere irrilevante se nel processo contro il congrue, in rapporto alle caratteristiche delle attrezzature e allo scarso grado di addestramento dei militari, e il decesso dei medesimi a seguito di incidente paracadutistico. V. anche Cass., sez. IV, 17 settembre 2002, Marinari, in Cass. pen., 2004, 2379. (88) Cass., sez. un ., lO luglio 2002, Franzese, in Foro it., 2002, 620: << è indubbio che coefficienti medio-bassi di probabilità c.d. frequentista per tipi di evento, rivelati dalla legge statistica (e ancor più da generalizzazioni empiriche del senso comune o da rilevazioni epidemiologiche), impongano verifiche attente e puntuali sia della fondatezza scientifica che della specifica applicabilità nella fattispecie concreta. Ma nulla esclude che anche essi, se corroborati dal positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico-legale, circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento. Viceversa, livelli elevati di probabilità statistica o scherni interpretativi dedotti da leggi di carattere universale (invero assai rare nel settore in esame), pur configurando un rapporto di successione tra eventi rilevato con regolarità o in numero percentualmente alto di casi, pretendono sempre che il giudice ne accerti il valore eziologico effettivo, insieme con l'irrilevanza nel caso concreto di spiegazioni diverse, controllandone quindi !"' attendibilità" in riferimento al singolo evento e all'evidenza disponibile >>. Per una differente ricostruzione, F. STELLA, Etica e razionalità del processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, in Riv. it. dir. proc. pen. , 2002, 767 ss. (89) In un differente caso, il principio è stato affermato da Cass., sez. V, 17 dicembre 2008 - 26 marzo 2009, n. 13388, in dirittoegiustizia.it, l aprile 2009, che ha confermato la condanna per lesioni personali gravissime nei confronti di un sieropositivo che aveva trasmesso l'infezione da virus Hiv ad un partner occasionale attraverso un solo rapporto non protetto. Per la S.C. è stata fatta corretta applicazione del principio di causalità e la verifica controfattuale ha dimostrato che la persona offesa non avrebbe contratto il virus se non avesse patito il rapporto non protetto. 0
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Profili generali del procedimento penale
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datore di lavoro si dimostra che il lavoratore era un assiduo frequentatore di discoteche, oppure si dimostra che ha contratto una malattia che comporta il calo dell'udito (90). L'indicazione della sentenza Franzese è chiara e probabilmente più sem plice di quanto possa apparire a prima vista: occorre calare nel processo l'accertamento del nesso causale senza lasciarsi ingannare dalla peculiarità di tale accertamento che richiede l'applicazione di leggi scientifiche. Altro è la validità statistica astratta della legge, altro è l'esistenza in concreto del nesso causale oltre ogni ragionevole dubbio. li rapporto di causalità è un elemento oggettivo del reato e, come tutti gli altri elementi, non si sottrae al quantum e al quomodo dell'accertamento processuale, che esige l'esistenza di una probabilità logica dotata di alta credibilità razionale (91 ) .
(90) L'esempio è tratto da O . Dr GroVINE, La causalità omirsiva in campo medico-chirurgico al vaglio delle sezioni unite, in Foro it. , 2002, 608 ss. (91) Così, ancora, C CoNTI, Al di là del ragionevole dubbio, loc. ult. cit. .
CAPITOLO IV I MEZZI DI PROVA
SoMMARJO: l . Mezzi di prova tipici ed atipici. - 2 . La testimonianza. - 3 . L'esame delle parti. -
4.
Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali. - 5 . La prova scientifica. - 6. La
prova documentale.
l.
Mezzi di prova tipici ed atipici.
Con l'espressione "mezzo di prova" si vuole indicare quello strumento processuale che permette di acquisire un elemento di prova. n codice prevede sette mezzi di prova tipici, e cioè regolamentati dalla legge nelle loro modalità di assunzione (artt. 1 94-243 ) . Essi sono la testimonianza, l'esame delle parti, i confronti, le ricognizioni, gli esperimenti giudiziali, la perizia (comprensiva della consulenza di parte) e i documenti. Le modalità di assunzione sono predisposte in maniera tale da permettere al giudice ed alle parti di valutare nel modo migliore la credibilità della fonte e l'attendibilità dell'elemento di prova che si ricava dall'esperimento del singolo mezzo. I mezzi di prova tipici sono consi derati dal codice idonei a permettere l'accertamento dei fatti. n codice non impone la tassatività dei mezzi di prova; al contrario, a deter minate condizioni consente che possano essere assunte prove atipiche, e cioè mezzi di prova aventi una componente non regolamentata dalla legge. In base all'art. 189 c.p.p. il giudice ammette una prova atipica soltanto se ritiene che questa è idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Occorre che il giudice senta le parti sulle modalità di assunzione della prova prima di decidere con ordinanza sulla richiesta di ammissione (art. 1 89). Il codice permette che nel processo penale si utilizzino quegli eventuali nuovi metodi di acquisizione degli elementi di prova che il progresso scientifico e tec nologico potrà elaborare in futuro. Tuttavia, vieta che ciò avvenga in base ad una scelta solitaria del giudice; al contrario, impone a tale soggetto di sentire le parti sulla richiesta di ammissione di una singola prova atipica ( 1 ) . ( l ) Come affermato nella Relazione al progetto preliminare, l'articolo 189 si pone come una « scelta intermedia >> tra gli opposti princìpi di atipicità e tassatività dei mezzi di prova, diretta a contemperare l'esigenza di rutela del diritto di difesa con quella tesa ad evitare i rischi di irrigidimento del sistema, nell'ottica dei prevedibili sviluppi tecnologici.
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Profili generali del procedimento penale
II.IV. l
I requisiti della prova atipica. In base all'art. 189 la prova atipica può essere ammessa se presenta due requisiti. In primo luogo deve essere « idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti »; ciò vuoi dire che deve essere in concreto capace di fornire elementi attendibili e di permettere una valutazione sulla credibilità della fonte di prova. In secondo luogo, il mezzo di prova atipico deve assicurare la "libertà morale" della persona-fonte di prova; e cioè, deve lasciare integra la facoltà di determinarsi liberamente rispetto agli stimoli (v. l'art. 188 c.p.p.). Per tali motivi si ritiene comunemente che nel processo penale non si possano utilizzare la narcoanalisi, l'ipnosi (2) o la c.d. macchina della verità (/ie detector). Le modalità di assunzione della prova atipica non sono previste dalla legge (poiché appunto si tratta di un mezzo non regolamentato) bensì sono prescritte dal giudice dopo aver sentito le parti (Relaz. prog. definitivo, p. 1 8 1 ) . Quando una parte chiede al giudice di ammettere un mezzo di prova atipico deve essere attuato il procedimento appena menzionato. Naturalmente l'ordinanza del giudice, che accoglie o respinge la richiesta, è controllabile mediante l'impu gnazione della sentenza (art. 586, comma l ) (3 ) . (2) Ass. Caltanissetta, 2 8 aprile 1999, in Foro it. , 2000, II, 248: « sono inuti!izzabili i risultati dell'accertamento peritale avente ad oggetto l'attitudine a testimoniare di un individuo minore di età, condotto attraverso la sottoposizione dello stesso a ipnosi >>. (3) In verità, la nozione di "prova atipica" non è pacifica; di essa possono essere date almeno tre definizioni (v. tav. 2 .4 . 1 ) . In un primo significato è atipica quella prova che mira ad ottenere un risultato diverso da quelli perseguiti dai mezzi di prova tipizzati dal codice. La atipicità consiste nel risultato e non nelle modalità di assunzione. In questo senso sarebbe più opportuno parlare di prova "innominata" , e cioè non corrispondente a nessuno dei mezzi tipici individuati dal codice. Oggi difficilmente si pone un problema di prova innominata perché i mezzi di prova tipici sembrano idonei a raggiungere tutte le varietà di risultati probatori. Una volta si portava, come esempio, la ricognizione di voce; nel codice vigente essa è prevista nell'art. 2 16, nel quale si fa obbligo di osservare le disposizioni sulla ricognizione di persone « in quanto applicabili >>. Se fosse mancata questa previsione normativa, si sarebbe dovuta applicare la procedura prevista dall'art. 189. In un secondo significato è atipica quella prova che si svolge con modalità diverse da quelle previste da un mezzo tipico. Qui la atipicità consiste nella diversa modalità di svolgimento. Ad esempio, la testimonianza presuppone la presenza del dichiarante in aula. Se questi è sentito mediante un collegamento audiovisivo, si ha una modalità atipica di svolgimento di un mezzo, che tuttavia è tipico. In tal caso occorre applicare la procedura di cui all'art. 189, se non si rientra in uno dei casi previsti dall'art. 147 -bù disp. att. In un terzo significato è atipica quella prova che mira ad ottenere, mediante un mezzo di prova tipico (ad esempio, la testimonianza), il risultato di un diverso mezzo, esso pure tipico (ad esempio, la ricognizione di persone). Siamo in presenza di una prova che è stata definita "anomala" e che viene utilizzata ampiamente nella prassi giudiziaria. Spesso un testimone è chiamato in dibattimento ad "identificare" informalmente una persona (ad esempio, l'imputato) senza le modalità che devono essere osservate per la ricognizione. La prassi è ritenuta legittima dalla giurisprudenza, che non la considera una prova atipica e, pertanto, non impone l'osservanza del procedimento previsto dall'art. 189. Come abbiamo accennato, la atipicità in questo caso consiste nell'usare un mezzo di prova, che persegue un determinato risultato, per ottenere invece il risultato di un diverso mezzo di prova, esso pure tipico. Infatti l'esame testimoniale ha la finalità di permettere di valutare l'attendibilità del dichiarante mediante lo strumento dell'esame incrociato nello scontro dialettico delle parti. Viceversa, la ricognizione ha la finalità di attivare complessi meccanismi della memoria che richiedono che il dichiarante sia tenuto nella situazione psichica più tranquilla, fuori dalla pressione dell'esame incrociato.
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II.IV . 1
I mezzi di prova
265
Atipicità e mezzi di ricerca della prova. Si discute se siano configurabili mezzi di ricerca della prova atipici. L'orientamento minoritario, che nega tale categoria, fa leva sul fatto che i mezzi di ricerca della prova sono posti in essere prevalentemente nel corso delle indagini preliminari, senza previo contraddit torio con la difesa (es. perquisizione o intercettazione). Pertanto, si afferma, sarebbe impossibile dare attuazione all'art. 189 c.p.p. nella parte in cui impone che il giudice senta le parti sulle modalità di assunzione della prova prima di decidere con ordinanza sulla richiesta di ammissione. Tuttavia, la dottrina maggioritaria e, di recente, le Sezioni unite della Cassazione hanno affermato che è ben possibile configurare mezzi di ricerca della prova atipici, come ad esempio le video-riprese di immagini in luoghi diversi dal domicilio (4) . A tal fine, occorre procedere ad una interpretazione adeguatrice dell'art. 189 c.p.p. Qualora si tratti di mezzi di ricerca della prova atipici, anziché configurare un contraddittorio anticipato sulla ammissione nel corso delle indagini, si potrà svolgere un contraddittorio successivo sulla utilizzabilità degli elementi acquisiti. n principio di legalità della prova. È possibile affermare che il sistema appena delineato appare informato al principio di legalità della prova, in base al quale quest'ultima costituisce uno strumento di conoscenza disciplinato dalla legge (5) . n codice disciplina nel dettaglio il catalogo dei mezzi di prova e dei mezzi di ricerca della prova. Accanto agli strumenti probatori espressamente regolati il codice, come si è visto, predispone la "valvola di sicurezza" della prova atipica. Anche quest'ultima, tuttavia, deve rispettare i precisi parametri stabiliti dall'art. 189 (idoneità ad assicurare l'accertamento dei fatti; rispetto della libertà morale dell'individuo). Dal punto di vista procedurale, occorre che il giudice senta le parti sulle modalità di assunzione. È corretto, dunque, affermare che la disciplina della prova è informata al principio di legalità.
n controllo di attendibilità è assicurato dallo svolgimento del mezzo di prova. n giudice è l'unico legittimato a porre le domande; deve chiedere al " ricognitore" di descrivere la persona da riconoscere e di dichiarare se sia stato chiamato in precedenza ad effettuare una ricognizione della stessa; la persona da riconoscere è posta tra almeno altre due << il più possibile somiglianti, anche nell'abbigliamento >> (art. 2 14). Dalle considerazioni che abbiamo sviluppato s i può ricavare che mediante l a prova "anomala" si effettua qualcosa di simile ad una truffa delle etichette. Se al teste si chiede di identificare informalmente una persona, l'elemento di prova che se ne ricava sarà forse utilizzabile (perché così afferma la giuri sprudenza), ma certamente il giudice non dispone dello strumento per valutarne l'attendibilità, poiché non ha seguìto le modalità idonee a verificare tale dato. Se il giudice fondasse la decisione sulla base del risultato della identificazione informale, la motivazione sarebbe illogica in quanto non avrebbe accertato corretta mente un punto ritenuto indispensabile dal codice, quale è l'attendibilità della prova utilizzata (art. 546, comma l, lett. e). (4) Cass., sez. un., 28 marzo 2006, Prisco, in Dir. pen. proc. , 2006, p. 1347;
v. in/ra, Parte Il, cap. 5 , § 6, lett. b. ( 5 ) S u tale principio, C. CoNTI, Accertamento del /atto e inutilizzabilità nel processo penale, Padova, 2007, 158 e, ivi, richiami bibliografici e giurisprudenziali.
266 2.
Profili generali del procedimento penale
II.IV.2.a
La testimonianza. a.
Considerazioni preliminari.
n codice distingue in modo netto tra due mezzi di prova: "la testimo nianza" (artt. 194 ss.) e "l'esame delle parti" (artt. 208 ss.). La distinzione riguarda aspetti sia di diritto processuale, sia di diritto penale sostanziale. n testimone ha l'obbligo penalmente sanzionato di presentarsi al giudice e di dire la verità (artt. 198 c.p.p. e 372 c.p.). Viceversa l'imputato, quando si offre all'esame incrociato ai sensi dell'art. 208, non ha l'obbligo di presentarsi (art. 208), né l'obbligo di rispondere alle domande (art. 209, comma 2), né l'obbligo di dire la verità ( 6). La distinzione trova una conferma nella normativa sulla incompatibilità a testimoniare. In base all'art. 1 97 la qualità di testimone è di regola incompatibile con la qualità di parte ed, in particolare, di imputato, salvo le eccezioni che esamineremo tra poco; una posizione singolare assume la parte civile, che può essere sentita come testimone con gli obblighi penali conseguenti. Le altre parti private (responsabile civile e persona civilmente obbligata per la pena pecunia ria) non possono essere chiamate a deporre come testimoni, né possono offrirsi spontaneamente in tale ruolo. Nonostante questa marcata distinzione, testimone e parti sono in grado di dare un rilevante contributo conoscitivo al processo penale. Essi sono esaminati sui fatti che costituiscono oggetto di prova, e cioè sulla responsabilità dell'im putato e sui fatti che servono a valutare la credibilità delle fonti e l'attendibilità degli elementi di prova (art. 1 87 ) . La loro deposizione avviene nella forma dell'esame incrociato (art. 209 comma 1 ) , e cioè con lo strumento che è ritenuto il più efficace per l'accertamento dei fatti. La qualità di testimone. Dalle considerazioni svolte deriva che è possibile dare una definizione di testimone soltanto in via di prima approssimazione, salvo meglio precisare in seguito i dettagli. La qualità di testimone può essere assunta dalla persona che ha conoscenza dei /atti oggetto di prova ma che, al tempo stesso, non riveste una delle qualifiche alle quali il codice riconduce l'incompatibilità a testimoniare (es., la qualifica di imputato, o di imputato di un procedimento connesso o collegato, o di responsabile civile, o di soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria). La persona così delineata diventa "testimone" soltanto se e quando su richiesta di parte (o d'ufficio nei casi previsti) è chiamata a deporre davanti ad un "giudice" nel procedimento penale. (6) Tuttavia la Corte costituzionale, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità dell'art. 2 1 0 c.p.p., h a imposto al coimputato l'obbligo di presentarsi in dibattimento quando egli è stato citato per rendere l'esame su fatti concernenti la responsabilità di altri, già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero. V. la sentenza 26 ottobre 1998, n. 3 6 1 , in Guida dir. , 1998, 44, 20.
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II IV .2.a .
I mezzi di prova
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Gli obblighi del testimone. n testimone ha i seguenti obblighi. In primo luogo, ha l'obbligo di presentarsi al giudice (art. 1 98); se non si presenta senza un legittimo impedimento, il giudice può ordinare il suo accompagnamento coattivo a mezzo della polizia giudiziaria e può condannarlo al pagamento di una somma da euro cinquantuno a euro cinquecentosedici nonché alle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa (art. 133 ) . I n secondo luogo, il testimone h a l'obbligo di attenersi alle prescrizioni date dal giudice per le esigenze processuali (art. 1 98). Infine, il testimone ha l'obbligo di « rispondere secondo verità alle do mande che gli sono rivolte ». Se tace ciò che sa, afferma il falso o nega il vero, commette il delitto di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) . La libertà morale della persona nell'assunzione della prova dichiarativa.
Un generale divieto probatorio, che concerne le modalità di assunzione della prova dichiarativa, è previsto dall'art. 188 c.p.p.: « non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o di valutare i fatti ». Analogo divieto è contenuto nell'art. 64, comma 2 c.p.p. in relazione all'interrogatorio dell'indagato. Tra i metodi che influiscono sulla libertà di autodeterminazione, perché incidono sulla facoltà di reagire liberamente rispetto agli stimoli, vi è la tortura (fisica o psichica). Tra quelli che tendono anche ad alterare la capacità di ricordare i fatti vi è la narcoanalisi e l'ipnosi (nell'interessato difetta la consa pevolezza della scelta di narrare il fatto). Tra i metodi idonei ad alterare la capacità di valutare i fatti può essere ricompreso il poligrafo (/ie detector o macchina della verità) , che si ritiene possa avere un forte effetto di condizio namento psichico. n divieto probatorio in esame opera oggettivamente: un eventuale consenso dell'interessato non rende lecito l'uso di metodi o tecniche vietati dagli artt. 64, comma 2 e 188 c.p.p. Infatti, quello che conta in un processo penale garantista non è ottenere comunque una dichiarazione, bensì poter controllare la credi bilità del dichiarante e l'attendibilità della narrazione. n divieto ha ad oggetto le modalità di acquisizione della prova (ad esempio, la narcoanalisi) ; esso deter mina l'invalidità dell'atto acquisitivo (ad esempio, la dichiarazione del testimone o dell'imputato è inutilizzabile; art. 1 9 1 c.p.p.). L a persona come fonte di prova dichiarativa. Il divieto probatorio conte nuto nelle disposizioni citate vale nei confronti della persona quando essa viene in rilievo come "fonte di prova dichiarativa" e cioè quando ciò che si cerca appartiene al foro interno dell'individuo e non esiste indipendentemente dalla sua attivazione. In tal caso, infatti, la dichiarazione non esiste senza la collabo razione dell'individuo. In proposito, si delinea una netta differenza tra l'impu tato e tutti gli altri individui. Con riferimento all'imputato, vengono in gioco le norme costituzionali sul diritto di difesa e sulla presunzione di innocenza, così
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Profili generali del procedimento penale
II.IV.2.b
come integrate dalle Convenzioni internazionali. Tali norme delineano in capo all'imputato una situazione soggettiva che consiste in un pieno diritto di non collaborare. L'imputato deve essere moralmente libero di scegliere se rendere la , dichiarazione, con facoltà di determinarne il contenuto. Con riferimento a tutti gli altri individui, i quali potrebbero rivestire la qualifica di testimoni, da sempre si ritiene che le norme costituzionali, che tutelano l'interesse alla repressione dei reati, giustifichino una servitù di giustizia che rende punibile il rifiuto di rispondere o la falsità (7) . Resta fermo, che anche in tal caso, il teste deve essere moralmente libero di autodeterminarsi in relazione al contenuto ed alle modalità delle dichiarazioni (art. 188). La persona come fonte di prova reale. Se una persona riveste interesse probatorio non per ciò che dice, ma per ciò che è, vengono in questione gli atti di indagine e i mezzi di prova e di ricerca della prova che mirano ad ottenere elementi diversi dalle dichiarazioni. In tal caso, ciò che si cerca esiste già, a prescindere dall'attività di indagine. L'individuo ha un volto, una voce, un corpo. Vengono in rilievo attività come le identificazioni, le ricognizioni, le ispezioni, le perquisizioni, i sequestri, le consulenze tecniche e le perizie. Con riferimento a tali attività, i valori costituzionali interessati consistono nelle singole libertà che vengono compresse dalla ricerca e dalla acquisizione della prova. Prima tra tutte, la libertà personale. Sotto questo profilo, lo status dell'imputato nei confronti dell'autorità non differisce significativamente da quello del quivis de populo. La chiave di lettura sta nella norma costituzionale di riferimento. L'art. 1 3 , comma 2 consente la limitazione della libertà personale in presenza di un atto motivato dell'autorità giudiziaria nei casi e modi previsti dalla legge. b.
La deposizione: oggetto e forma.
La deposizione è resa in dibattimento con le forme dell'esame incrociato. Delle relative regole il codice tratta negli artL 498 e 499 (v. in/ra, parte III, cap. 5, § 9). Il testimone è esaminato sui « fatti che costituiscono oggetto di prova » (art. 1 94, comma 1 ) . Le domande devono essere pertinenti, e cioè devono riguardare sia i fatti che si riferiscono all'imputazione, sia i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali (art. 187 ) , come l'accertamento dell'atten dibilità di una dichiarazione. L'art. 1 94 pone un secondo limite alle domande: esse devono avere ad oggetto « fatti determinati » (comma 3 ) . Di conseguenza, il testimone di regola (7) Sono fatte salve le ipotesi di autoincriminazione - che ricadono nell'ombrello protettivo del diritto di difesa e della presunzione di innocenza in un'ottica di tutela anticipata - e la disciplina relativa ai segreti - che sottende un bilanciamento dell'interesse di giustizia con altri interessi costituzionalmente rilevanti. Si veda in/ra.
II.IV.2 .b
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non può esprimere valutazioni né apprezzamenti personali, « salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti ». Infine, non può deporre su « voci correnti nel pubblico ». L'esame del testimone può estendersi ai rapporti di parentela o di interesse che lo legano alle parti o ad altri testimoni; inoltre può avere ad oggetto le circostanze che servono ad accertare la credibilità sia delle parti, sia dei testimoni (art. 1 94, comma 2). Altri limiti concernono le informazioni relative all'imputato e d alla persona offesa. Le deposizioni sulla moralità dell'imputato sono ammesse ai soli fini di qualificare la personalità dello stesso in relazione al reato ed alla pericolosità e sempre che si tratti di fatti specifici (art. 1 94, comma 1 ) . L e domande che riguardano l a persona offesa dal reato incontrano due limiti, ai quali sono poste precise eccezioni. La regolamentazione nel suo complesso ha lo scopo di contemperare due esigenze contrapposte: da un lato, essa tende a tutelare la dignità della persona offesa dal reato; da un altro lato, essa vuole consentire l'esercizio del diritto alla prova spettante a tutte le parti del processo penale e, quindi, anche e soprattutto all'imputato. Il primo limite è posto dal codice nell'art. 194, comma 2: la deposizione su fatti che servono a definire « la personalità della persona offesa » è ammessa soltanto quando « il fatto dell'imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella persona ». Il problema sta nel fatto che i processi che concernono i delitti di violenza sessuale hanno l'oggetto appena delineato e pertanto consentirebbero domande sulla personalità (ad esempio, sul modo di vita, sulle tendenze sessuali, ecc. ) . Tuttavia, proprio in tali processi si sente in modo ancora più imperioso la necessità di tutelare le due esigenze contrapposte: da un lato, evitare che il difensore dell'imputato "getti fango" sulla persona offesa, abusando dei suoi poteri; da un altro lato, assicurare l'esercizio del diritto alla prova ed alla prova contraria spettante all'imputato il quale, ricordiamo, è presunto innocente. Di tali esigenze si sono fatte carico le leggi n. 66 del 1 996, n. 269 del 1998 e n. 228 del 2003 , che hanno introdotto un secondo limite che riguarda i procedimenti per i delitti di violenza sessuale, di prostituzione minorile e di tratta di persone indicati nell'art. 472, comma 3 -bis. Le domande aventi ad oggetto la « vita privata » o la « sessualità » della persona offesa dal reato sono di regola vietate; sono consentite se sono « necessarie alla ricostruzione del fatto ». Nessun dubbio vi è sulla liceità delle domande che hanno ad oggetto il fatto storico di reato. Inoltre, riteniamo che siano consentite anche le domande che tendono ad accertare la credibilità e l'attendibilità di dichiarazioni che ricostruiscono i fatti; la credibilità e l'attendibilità, infatti, costituiscono "oggetto di prova" ai sensi dell'art. 1 87 , comma 2 , in quanto concernono l a prova di « fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali » quali sono gli articoli 1 94, comma 2, e 546, comma l , lettera e) . Tuttavia, le domande sulla vita privata o sulla sessualità sono ammesse soltanto se sono "necessarie" ; pertanto devono essere funzionali a valutare la credibilità e l'attendibilità di una dichiarazione già resa ed attinente a fatti oggetto di prova.
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II .IV.2.c
La testimonianza indiretta.
Dei fatti da provare il testimone può avere una conoscenza diretta o indiretta. Ha una conoscenza diretta quando ha percepito personalmente il fatto da provare con uno dei cinque sensi. Ha una conoscenza indiretta (detta anche de relato o de auditu) quando ha appreso il fatto da una rappresentazione che altri ha riferito a voce, per scritto o con altro mezzo (es. con immagini o gesti) . Pertanto s i h a una testimonianza indiretta quando il fatto d a provare non è stato percepito personalmente dal soggetto che lo sta narrando, ma a costui è stato rappresentato da un'altra fonte (v. tav. 2.4.8). Con una terminologia di origine anglosassone, si afferma che nella testimo nianza indiretta il fatto da provare è stato conosciuto dal testimone "per sentito dire" (hearsay) . Nel nostro codice la situazione è descritta nel seguente modo: « il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone » (art. 1 95 , comma l ) (8). D teste di riferimento. La persona da cui si è "sentito dire" è comunemente indicata dagli studiosi italiani con l'espressione "teste di riferimento" : egli può avere percepito personalmente il fatto (ed allora è denominato "teste diretto" ) ; oppure può averlo " sentito dire" d a un'altra persona (ed allora è anch'egli un "teste indiretto" ) . n codice non esclude espressamente questa seconda possibi lità, anche se è ovvio che in concreto sarà ancora più difficile trarre un sicuro valore probatorio da un sentito dire " di seconda mano" . Per esigenze di migliore comprensione della materia in oggetto, preferiamo considerare l'ipotesi che si verifica più di frequente nella pratica, e cioè il caso in cui il teste di riferimento (quello da cui si è sentito dire) sia un individuo che ha avuto una percezione personale del fatto; pertanto ci riferiremo a lui con l'espressione "teste diretto" . Il problema della testimonianza indiretta sta nel seguente punto. Nel processo penale attraverso l'esame incrociato è possibile (anche se con qualche difficoltà) accertare la credibilità e l'attendibilità del testimone che ha avuto una conoscenza personale del fatto da provare; a tal fine, il codice permette che siano fatte le contestazioni (art. 500) e le domande-suggerimento nel controesame (art. 499, comma 3 ) . Quando il fatto è conosciuto dal testimone "per sentito dire" occorre che sia possibile accertare l'attendibilità sia del testimone indi retto, sia del testimone diretto. Ecco perché il codice pone alcune condizioni all'utilizzabilità della deposizione indiretta; esse permettono di effettuare il (8) Sulla base di tale disposizione il testimone può essere definito indiretto quando non ha percepito personalmente (con i propri sensi) il fatto che deve essere provato (oggetto di prova), ma lo ha conosciuto attraverso la rappresentazione (orale, scritta, gestuale) che è stata effettuata da un'altra persona. Viceversa, se è oggetto di prova il fatto che la rappresentazione è stata resa quel giorno e con quelle modalità, non si tratta di testimonianza indiretta; il testimone sta riportando il fatto "rappresentazione" che ha percepito personal mente.
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controllo sulla credibilità della persona da cui si è " sentito dire" e sull'attendi bilità di quanto è stato riferito (9) (v. tav. 2.4.7). La prima condizione, posta dall'art. 195 , comma 7 , richiede che il testi mone indiretto indichi la persona o la fonte « da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame ». Si deve ritenere che la legge imponga, a pena di inutilizzabilità, di individuare fisicamente la persona o la fonte del "sentito dire " ; s i tratta di una condizione della quale non s i può fare a meno in quanto la mancata individuazione della fonte impedisce di valutare la credibilità e l'at tendibilità di quanto è stato riferito. Una conferma si trova in un'altra norma del codice che vieta al testimone di deporre su « voci correnti nel pubblico » (art. 194 , comma 3 ). Quando non è individuato il teste diretto o, comunque, la fonte (ad esempio, il documento) da cui si è appreso il fatto riferito, la testimonianza non è utilizzabile. n concetto di "individuazione" è distinto da quello di "identificazione" . Ai fini dell'individuazione è sufficiente, ad esempio, aver indicato la persona che abitualmente frequenta un determinato luogo. Vi è una seconda condizione alla quale il nostro codice subordina l'utiliz zabilità della testimonianza indiretta. La condizione opera soltanto quando una delle parti chiede che venga sentita nel processo la persona che ha avuto conoscenza diretta del fatto; in tal caso il giudice è obbligato a disporne la citazione (art. 1 95 , comma 1 ) . Se il giudice non dispone la citazione, la testimonianza indiretta non è utilizzabile. Se, viceversa, nessuna delle parti ha chiesto la citazione, la testimonianza indiretta è comunque utilizzabile ( 10). Eccezione alla seconda condizione. In via eccezionale la testimonianza indiretta è utilizzabile quando l'esame del testimone diretto « risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità » (art. 1 95 , comma 3 ) . In particolare, l'irreperibilità del testimone è una situazione che presup pone che lo stesso sia già stato non soltanto individuato (ad esempio, l'avventore di un bar che si comporta in un modo caratteristico), ma anche identificato con nome, cognome o eventuale soprannome: questo è il compito rientrante tra le funzioni tipiche della polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 349. L'irreperibilità presuppone che sia stato impossibile notificare la citazione a comparire ai sensi dell'art. 1 67 al testimone già identificato (dai privati o dalla polizia) ( 1 1 ) . Ove (9) La ratio dell'art. 195 non è quella di impedire l'utilizzabilità di quanto non è stato percepito personalmente dal dichiarante, bensì quella di consentire il controllo della conoscenza riferita e della fonte da cui si è appresa. ( lO) Le dichiarazioni "de relato" sono utilizzabili anche quando le parti rinunciano espressamente all'assunzione del teste di riferimento: Cass., sez. III, 13 novembre 2007 15 gennaio 2008, G.R., in Dir. pen. proc., 2008, 1 1 17 . ( 1 1 ) La giurisprudenza ritiene i casi menzionati nell'art. 195 comma 3 non tassativi, bensì aperti a d un controllo caso per caso della impossibilità oggertiva di assumere la testimonianza diretta. In tal senso, Cass., sez. VI, 12 giugno 2003, n. 37434, Postiglione; Cass., sez. I, 13 marzo 1997, n. 7947, Mandala; Cass., sez. V, 3 maggio 1996, n. 8610, Nocchiero, in Cass. pen., 1997, 3539: << il concetto di irreperibilità del testimone ·
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costui fosse stato citato, ma non fosse comparso in aula, deve disporsi l'accom pagnamento coattivo ( 12 ) . Valutazione della testimonianza indiretta. Nei casi sopra menzionati di impossibilità di rendere l'esame (art. 195 , comma 3 ) , se anche la testimonianza indiretta è utilizzabile, essa tuttavia dovrà essere valutata con particolare cura, ad esempio, mediante riscontri con altri elementi di prova. Infatti, la mancata deposizione di colui, che aveva conoscenza diretta del fatto, rende più difficile il controllo sulla attendibilità di quanto si è appreso per sentito dire. Inoltre, il codice permette al giudice di disporre d'ufficio la citazione del testimone diretto se essa non è stata richiesta da alcuna delle parti (art. 195 , comma 2). Il giudice non è obbligato comunque a citare d'ufficio il testimone diretto; e cioè, se anche questi non è citato, il " sentito dire" può essere valutato. Una volta che siano state osservate le condizioni poste dal codice, il giudice può utilizzare ai fini della decisione sia la deposizione indiretta, sia, ove assunta, la deposizione diretta ( 1 3 ) . In concreto, il giudice deve valutare l a credibilità e l'attendibilità di ciascuna delle due dichiarazioni in base agli esiti dell'esame incrociato del singolo dichiarante e del riscontro operabile con gli altri risultati probatori già acquisiti. Non sarebbe ragionevole una eventuale massima che tendesse a ritenere comunque più attendibile la narrazione del testimone diretto; anche se è evidente che di questi si può valutare più facilmente la credibilità. Poiché egli ha avuto conoscenza personale del fatto da provare, potrà essere più facilmente sottoposto ad un'attenta verifica con lo strumento dell'esame incrociato ( 14 ) . idonea ad impedire l'operatività del divieto comprende non solo l a nozione tecnica ricavabile dall'istituto previsto per l'imputato - impossibilità di rintracciare e citare - ma anche l'impossibilità di identificazione, che ne costituisce l'antecedente storico >>. ( 12) Il legislatore italiano ha omesso di considerare una importante eccezione al divieto del "sentito dire" , che da tempo è stata accolta nell'ordinamento angloamericano. Si tratta delle res gestae, e cioè della situazione in cui un testimone prende conoscenza di un comportamento altrui nel momento in cui è in atto il reato o immediatamente dopo, ma pur sempre nella concitazione dovuta a questo. In tal caso non è umanamente possibile pretendere che il testimone possa essere così lucido da provvedere ad identificare la persona da cui ha "sentito dire" mentre, forse, sta tentando l'inseguimento: nella giurisprudenza angloame ricana questa testimonianza è utilizzabile in quanto si ritiene che sia la situazione stessa a far considerare affidabile e genuina la dichiarazione. Il sentito dire è ammissibile a condizione che la dichiarazione sia riferita dall'autore dell'azione, dalla vittima o da coloro che abbiano assistito direttamente al fatto. Si veda A. BALSAMO, A. Lo P!PARO, La prova "per sentito dire", Milano, 2004, 62 ss. ( 1 3 ) Cass., sez. IV, 4 ottobre - 1 ° dicembre 2004 n. 46556, Biancoli, in Guida dir., 2005, 5 , 60, che ha ritenuto valutabile e utilizzabile la testimonianza indiretta pur essendosi avvalsa la fonte diretta, imputata di reato connesso, della facoltà di non rispondere. ( 14) Occorre tenere presente che il codice obbliga il giudice a dare conto nella motivazione dei << risultati acquisiti e dei criteri adottati >> (art. 192, comma l ) ; in particolare, egli deve indicare le ragioni per cui ritiene attendibili le prove poste a base della decisione ed inattendibili le prove contrarie (art. 546, comma l, lettera e). In virtù di queste considerazioni appare condivisibile quella opinione giurisprudenziale che impone al giudice di verificare le dichiarazioni indirette attraverso riscontri con altri elementi di prova (sulla nozione di riscontro, si veda in/ra).
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Merita ricordare che è vietato assumere deposizioni su fatti appresi da persone vincolate da segreto professionale o d'ufficio, salvo che queste abbiano comunque divulgato tali fatti (art. 195 , comma 6). Ad esempio, se un avvocato confida ad un suo collaboratore una notizia, che ha appreso riservatamente dal cliente, il collaboratore non deve essere esaminato su questo punto. n divieto di testimonianza indiretta sulle dichiarazioni dell'imputato. n codice pone un divieto di testimonianza sulle dichiarazioni « comunque rese » dall'imputato (o dall'indagato) in un atto del procedimento (art. 62) . La finalità della disposizione è la seguente: la prova delle dichiarazioni rese dall'imputato (o dall'indagato) deve ricavarsi unicamente dal verbale che deve essere redatto ed utilizzato « con le forme ed entro i limiti previsti per le varie fasi del procedimento » ( 15 ) . Occorre ricordare che, in sede di interrogatorio (art. 64, comma 3 ) e di sommarie informazioni (art. 350, comma 1 ) , all'indagato deve essere dato avviso della facoltà di non rispondere allo scopo di tutelare la sua libertà nei confronti dell'autorità inquirente: egli deve poter essere libero di scegliere se e quando rendere dichiarazioni. Queste ultime assumono rilievo soltanto per mezzo di un regolare verbale, dal quale deve risultare che è stato dato l'avviso ( 16). n divieto di testimonianza indiretta appare dunque finalizzato ad evitare che siano introdotti surrettiziamente nel processo elementi che non risultano dalla documentazione formale dell'atto. Pertanto, la disciplina in oggetto è riconducibile alla tutela del diritto al silenzio che, a sua volta, costituisce manifestazione del diritto di difesa e della presunzione di innocenza. Ambito del divieto. L'area operativa del divieto è ricavabile da quanto è precisato nell'art. 62. In primo luogo, il divieto ha natura oggettiva, e cioè si riferisce a chiunque riceva le dichiarazioni, sia esso un testimone qualsiasi o un appartenente alla polizia giudiziaria; anche se in pratica è quest'ultimo ad avere più occasioni per assistere ad "atti" del procedimento penale nel quale sono rese dichiarazioni dall'imputato. In secondo luogo, il divieto ha per oggetto " dichiarazioni" in senso stretto, e cioè espressioni di contenuto narrativo. Risultano quindi riferibili per sentito dire quelle dichiarazioni che costituiscono espressioni di volontà (ad esempio, il consenso ad un accertamento diagnostico) o meri comportamenti (ad esempio, durante una perquisizione qualcuno esclama: "scappa, la polizia! " ) . In terzo luogo, le dichiarazioni, nei cui confronti opera il divieto, sono quelle rese « nel corso del procedimento » (art. 62) ; l'espressione deve essere intesa nel senso di "in occasione" di un atto tipico e non "durante la pendenza" del procedimento. Pertanto un testimone, che ha assistito ad un colloquio tra un indagato ed un'altra persona o che ha ricevuto una dichiarazione fuori di un atto tipico del procedimento, può legittimamente riferire quanto ha sentito dire. (15)
Relaz. prog. prel. , p. 32.
( 16)
<< Comunque rese >> significa che se anche l'atto tipico è invalido, resta comunque il divieto.
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Infine, il divieto riguarda le dichiarazioni dell'imputato che abbiano una valenza di "prove " , e non quelle che siano rilevanti come "fatti storici di reato" che devono necessariamente essere accertati mediante un processo penale. Di conseguenza, come abbiamo accennato, in un procedimento per calunnia è ammissibile quella testimonianza di un appartenente alla polizia che tende a chiarire il contenuto di dichiarazioni che si ritengano costituenti la calunnia. La testimonianza indiretta della polizia giudiziaria: l'ambito del divieto di utilizzazione. L'art. 1 95 comma 4 stabilisce che « gli ufficiali e gli agenti di
polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto » sia delle sommarie informazioni assunte da testimoni o imputati connessi (art. 35 1 ) ; sia delle denunce, querele o istanze; sia delle informazioni e delle dichiarazioni sponta nee rese dall'indagato (art. 357, comma 2, lett. a, b) (v. tav. 2 .4.9). La ratio, che ha indotto il legislatore a vietare la testimonianza indiretta della polizia, consiste nella volontà di evitare aggiramenti della regola in base alla quale in dibattimento le precedenti deposizioni sono utilizzabili soltanto ai fini delle contestazioni per stabilire la credibilità del dichiarante (art. 500, comma 2). La testimonianza indiretta della polizia avrebbe potuto veicolare in dibattimento (e rendere utilizzabile) una deposizione resa fuori del contraddit torio ( 17 ) . Gli « altri casi » nei quali è ammessa la dichiarazione indiretta. L'art. 195 , comma 4 stabilisce che, fuori delle ipotesi di espresso divieto ( 1 8) , la testimo nianza indiretta della polizia è ammessa e « si applicano le disposizioni di cui ai commi l , 2 e 3 del presente articolo ». Il criterio distintivo tra i casi, nei quali la testimonianza indiretta della polizia è vietata, e quelli, nei quali è ammessa, resta legato al formale svolgimento della specifica funzione di assumere som marie informazioni da possibili testimoni o di ricevere dichiarazioni dall'inda gato (art. 357 lett. a e b). Pertanto, " altri casi" ammessi per la testimonianza de relato sono quelli nei quali la polizia è chiamata a riferire su dichiarazioni ricevute fuori dall'esercizio delle sue funzioni; oppure su dichiarazioni percepite ( 17) Occorre sottolineare che la norma in esame non si cura di vietare la testimonianza della polizia sulle informazioni assunte su delega del pubblico ministero (artt. 362 e 370). È di tutta evidenza che l'omessa menzione degli atti delegati è frutto di una svista del legislatore. È chiaro che anche in relazione ad essi sussiste la medesima rafia che è sottesa al divieto di testimonianza indiretta sugli atti di iniziativa: evitare un aggiramento della inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni in dibattimento. Tuttavia, una lacuna del genere è difficile da colmare in via analogica. Infatti, da un lato, l'art. 195 comma 4 pone una deroga alla regola generale in base alla quale tutti possono deporre come testimoni indiretti; da un altro lato, tale deroga menziona in modo specifico gli atti in relazione ai quali la polizia non può deporre. Già due volte la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi in materia, ma in entrambi i casi il giurlice rli merito ha mal posto la questione. ll Giudice delle leggi ha pronunciato due declaratorie di manifesta inammissibilità per difetto di rilevanza. Cfr. Corte cost., sent. 26 febbraio 2002, n. 32 e ord. 5 luglio 2002, n. 326. ( 1 8) Occorre ricordare che esiste anche il divieto di testimonianza sulle rlichiarazioni comunque rese dall'imputato in un atto del procedimento (art. 62), divieto al quale abbiamo accennato nel precedente sottoparagrafo.
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nel corso di attività tipiche come identificazioni, ricognizioni informali, seque stri, o atipiche quali appostamenti, pedinamenti ( 19). In tali ipotesi non opera il divieto, ma si applicano le condizioni poste dai primi tre commi dell'art. 1 95 . Ben diversi sono i casi nei quali non vi è "sentito dire" perché la polizia riferisce dichiarazioni prive di contenuto narrativo. Si pensi a quando la polizia percepisce un ordine, una minaccia, un avvertimento, un'offesa, una richiesta, un saluto (20) . In tali casi, a ben vedere, solo formalmente siamo dinanzi a " dichiarazioni" : la deposizione della polizia ha piuttosto per oggetto /atti (c.d. dichiarazioni performative) . Lo stesso avviene quando la polizia è chiamata a riferire dichiarazioni che costituiscono corpo del reato in quel determinato processo (es. di calunnia o favoreggiamento). Le dichiarazioni rese alla polizia e non verbalizzate. La formulazione dell'art. 1 95 comma 4 ha dato luogo ad un ulteriore delicatissimo problema interpretativo. Poiché la norma vieta determinate "modalità" di acquisizione (e cioè il verbale ex art. 357) , ci si è chiesti se fosse consentita la deposizione indiretta sulle informazioni non verbalizzate (2 1 ) . L a Corte costituzionale con l a sentenza 30 luglio 2008 n. 305 h a risposto in senso negativo, dichiarando illegittima l'interpretazione estensiva del divieto (comma 4) perché irragionevole e lesiva « del diritto di difesa e dei principi del giusto processo » (22 ) . In seguito a tale pronuncia, in sintesi, la normativa è la seguente. Non soltanto è inutilizzabile quella dichiarazione indiretta che la polizia ha appreso dalla persona informata e ha regolarmente verbalizzato. È inutilizzabile anche la medesima dichiarazione quando la polizia non ha adem piuto all'obbligo di verbalizzazione « pur ricorrendone le condizioni ». In sostanza, la Corte pare ammettere la utilizzabilità delle dichiarazioni indirette non verbalizzate soltanto quando non vi erano le « condizioni » per adempiere al relativo obbligo. Viene così rafforzato quell'orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha ammesso la testimonianza indiretta sulle dichiarazioni non verbalizzate quando il redigere la documentazione risultava impossibile per la eccezionalità e l'urgenza della situazione nella quale le precedenti dichiarazioni erano state rese (23 ) . ( 1 9) Cass., sez. un ., 24 settembre 2003, Torcasio, in Guida dir. , 2003 , 42, 49. (20) Cass., 4 giugno 2002, Arici, in Giust. pen., 2004, III, 283. (2 1 ) Sul punto si era formato un indirizzo che riteneva ammissibile la testimonianza de relato qualora la polizia avesse omesso la verbalizzazione. Si trattava di una interpretazione restrittiva dell'art. 195, comma 4, che si basava sul rilievo che la redazione del verbale non è imposta a pena di nullità né di inutilizzabilità: così, Cass., sez. IV, l l luglio 2003, Buongarzone, in Foro it. , 2003, II, 578. (22) La Corte ha dichiarato « l'illegittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, del codice di procedura penale, ove interpretato nel senso che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono essere chiamati a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni soltanto se acquisite con le modalità di cui agli artt. 3 5 1 e 357, comma 2, lettere a e b, cod. proc. pen., e non anche nel caso in cui, pur ricorrendone le condizioni, tali modalità non siano state osservate >>. (23) Cass., sez. I, 1 8 giugno 2002, Rossini, in Cass. pen., 2003, 784, con riferimento alle dichiarazioni
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L'incompatibilità a testimoniare.
n codice pone, in via generale, la regola secondo cui ogni persona ha la capacità di testimoniare (art. 1 96, comma l ) ; prevede poi una serie di eccezioni, che consistono in situazioni di incompatibilità relative ad un determinato procedimento (art. 197 ) . L a regola, che riconosce a qualsiasi persona l a capacità di testimoniare, permette che si assumano come testimoni sia l'infermo di mente, sia il minorenne (e quindi anche colui che ha un'età inferiore ad anni quattordici) . In questi casi il giudice dovrà valutare con particolare attenzione la credibili tà del dichiarante e l'attendibilità della dichiarazione; egli può verificare l'idoneità fisica o mentale del soggetto chiamato a deporre ordinando gli « accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge » (art. 196, comma 2). Ad esempio, può disporre una perizia o un esperimento giudiziale allo scopo di valutare con quale precisione il testimone sia in grado di comprendere e rievocare la realtà. Al generale obbligo di testimoniare si pongono, come eccezioni, le situa zioni di incompatibilità previste nell'art. 1 97 . L'incompatibilità a testimoniare ricorre quando una persona, pur capace di deporre, non è legittimata a svolgere la funzione di testimone in un determinato procedimento penale a causa della posizione assunta in tale procedimento o a causa dell'attività ivi esercitata (v. tav. 2 .4. 10). La ratio della incompatibilità. Le situazioni di incompatibilità sono ricol legabili a due distinti ordini di ragioni. Da un lato, le prime tre ipotesi (lettere a, b, c) vogliono escludere che alcune persone abbiano un obbligo, penalmente sanzionato, di dire il vero; ed infatti tali soggetti non possono testimoniare, bensì possono dare il loro contributo conoscitivo senza un obbligo penale di dire la verità, con quel mezzo di prova che è denominato " esame delle parti" (artt. 208-2 10). Da un altro lato, le situazioni previste nell'art. 1 97 , comma l , lettera d, vogliono escludere che possano comunque deporre quei soggetti che hanno svolto « nel medesimo procedimento » le funzioni di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario o altre funzioni ritenute incompatibili con quella di testimone. Art. 197, lettera a. Non possono essere assunti come testimoni (bensì sono sentiti con l'esame ai sensi dell'art. 2 10) gli imputati concorrenti nel medesimo reato (o situazioni assimilate in base all'art. 12 lett. a: cooperazione colposa o condotte indipendenti che hanno determinato un unico evento) . L'incompati bilità opera a prescindere dal fatto che i rispettivi procedimenti siano riuniti o separati e cessa per il singolo imputato con l'irrevocabilità della sentenza che lo
rese, sull'immediatezza di un fatto omicidiario, dai prossimi congiunti della vittima e documentate in semplici annotazioni di servizio. I prossimi congiunti si erano poi rifiutati di confermarle a verbale.
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rigua'ì-da. Infatti, i soggetti menzionati possono essere chiamati a rendere testimonianza quando « nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irre vocabile » di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento (24) . In tutte queste ipotesi il legislatore reputa che l'imputato non corra rischi, perché non può essere processato una seconda volta per il medesimo fatto storico di reato (art. 649) (25) . Art. 1 97, lettera b. D i regola non possono essere assunti come testimoni, bensì sono sentiti con l'esame ai sensi dell'art. 2 10: l ) gli imputati in procedimenti legati da una connessione debole, e cioè nel caso in cui i reati per cui si procede « sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri » (c.d. connessione teleologica; art. 12, lett. c) . Come esempio, possiamo pensare all'imputato di omicidio che è chiamato a deporre nel procedimento relativo al reato di occultamento del cadavere, addebitato ad un altro imputato; 2) gli imputati in procedimenti probatoriamente collegati ai sensi dell'art. 37 1 , comma 2, lettera b. Si ha collegamento probatorio, ad esempio, quando la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza (26) . Alla regola della incompatibilità, prevista dalla lettera b, sono state poste (24) Come confermato da Cass., sez. I, 18 ottobre 2005 , Sbema, in CED, n. 232448, gli imputati concorrenti nel medesimo reato (art. 12, lett. a) restano radicalmente incompatibili con la qualifica di testimone fino alla sentenza irrevocabile, anche qualora si trovino a rendere dichiarazioni sul fatto altrui. (25) Come vedremo (v. in/ra, § 3, lett. /) si tratta di una testimonianza munita di particolari garanzie e caratterizzata dall'assistenza difensiva che è riconosciuta al dichiarante (art. 197-bis). V. tuttavia, C. cost., sent. n. 3 8 1 del 2006, che ha escluso l'assistenza difensiva in relazione all'imputato assolto con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto. li collegamento probatorio ai sensi dell'art. 3 7 1 , comma 2, lett. b vi è anche quando si tratta di (26) reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguime o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre. Nonostante il chiaro dettato letterale dell'art. 3 7 1 , comma 2, lett. b, la giurisprudenza si è interrogata sulla compatibilità a testimoniare dell'imputato di un reato commesso in danno reciproco. La Cassazione ha a lungo ritenuto che egli, essendo anche persona offesa dal reato, debba deporre come testimone comune (tra le tante, Cass., sez. III, 8 gennaio 2008, Bulica, in CED Cass., 238696; Cass., sez. VI, 27 aprile 2007, E.P.S., in Riv. giur. Sarda, 2007, 541; Cass., sez. fer. 22 luglio 2004, Bombara, in CED Cass. , 229953 ) . La spiegazione, piuttosto ermetica, era che la qualifica di offeso, per la sua maggiore pregnanza, dovesse prevalere su quella di imputato di reato collegato (Cass., sez. V, 20 aprile 2004, Esposito, in CED Cass. , 228 1 13 ; Cass., sez. VI, 19 febbraio 2003 , Alberghino, in Cass. pen., 2005, 549). Sul punto, un approccio innovativo è stato fatto proprio dalla già ricordata Cass., sez. V, 25 settembre 2007, Costanza, in Cass. pen., 2008, 2812. La Cassazione è partita dal rilievo che l'art. 3 7 1 , comma 2, lett. b, ricomprende, a seguito della riforma del 200 1 , anche le ipotesi di reati commessi in danno reciproco. Pertanto, in tali situazioni, i soggetti coinvolti rientrano nel novero degli imputati collegati che, ai sensi dell'art. 197, lett. b, sono incompatibili come testimoni finché la loro sentenza non diviene irrevocabile e purché non abbiano reso dichiarazioni sul fatto altrui previo avvertimento ex art. 64, comma 3 , lett. c. Sempre con riferimento al concetto di "reati commessi in danno reciproco" , occorre tenere presente che secondo un orientamento giurisprudenziale in tale nozione rientrano soltanto i reati commessi nel medesimo contesto spazio-temporale . (Cass., sez. II, 10 aprile 2008, Dell'Otri, in www. dinttoegiustizia.it, 6 novembre 2008).
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due eccezioni. In primo luogo, i soggetti menzionati possono deporre come testimoni quando nei loro confronti è stata emessa sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento. Si tratta di una disciplina identica a quella prevista in relazione agli imputati concorrenti nel medesimo reato e si fonda sulla medesima ratio. La seconda eccezione è più complessa e costituisce la novità più rilevante introdotta dalla legge n. 63 del 2001 di attuazione del giusto processo. Gli imputati menzionati-divengono compatibili con la qualifica di teste se, nel corso dell'interrogatorio, hanno reso dichiarazioni su fatti "altrui" , e cioè concernenti la responsabilità di altri imputati collegati o connessi teleologicamente. In questo caso la compatibilità è "parziale" perché è limitata ai fatti altrui, oggetto delle precedenti dichiarazioni. Su fatti diversi da quelli altrui già dichiarati, i soggetti in esame restano incompatibili con la qualifica di teste. Occorre ricordare che, a tal fine, l'art. 64, comma 3 , lett. c impone che tutti gli indagati, nel corso dell'interrogatorio svolto dal pubblico ministero, dalla polizia giudiziaria o dal giudice siano avvertiti che, se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui, su tali fatti dovranno deporre come testimoni. Come vedremo dettagliatamente nel prosieguo, si tratta di una testimonianza particolare perché circondata da garanzie, prima tra tutte l'assi stenza difensiva (27 ) . Art. 1 97, lettera c. Non possono essere assunte come testimoni le persone che, nel medesimo processo, sono presenti nella veste di responsabile civile e di civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Esse possono rendere dichiara zioni, su loro consenso o richiesta, in qualità di parti (art. 208) e, quindi, senza l'obbligo penalmente sanzionato di dire il vero. Art. 1 97, lettera d. Non possono essere assunti come testimoni coloro che, nel medesimo procedimento, svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario. Per ausiliari si intendono, ad esempio, i cancellieri e segretari che abbiano svolto funzioni "serventi" rispetto al compi mento di atti dell'autorità giudiziaria, quale è il redigere verbali. L'incompati bilità in esame si fonda sul rilievo che le predette persone non sono psichica(27) Prima di procedere oltre nell'analisi, è necessario affrontare un ultimo problema. L'art. 197, lettere a e b non menziona la sentenza di non luogo a procedere e l'archiviazione tra i provvedimenti che determinano la cessazione dell'incompatibilità a testimoniare. Riteniamo che attualmente l'incompatibilità dei soggetti, nei cui confronti siano stati emessi tali provvedimenti, segua il regime riservato dall'art. 197 all'imputato con procedimento pendente. Pertanto, se si tratta di imputati connessi per concorso nel medesimo reato (art. 12, lett. a) essi sono radicalmente incompatibili con la qualifica di teste. Se, invece, si versa in ipotesi di connessione teleologica o collegamento probatorio, l'incompatibilità a testimoniare cessa laddove l'indagato o imputato destinatario del provvedimento di archiviazione o della sentenza di non luogo a procedere renda o abbia n!so dichiarazioni sul fatto altrui precedute da rituale avvertimento ex art. 64 comma 3, lett. c. Si veda il successivo § 3 lett. g, II, sulle forme con le quali è esaminato l'indagato che è stato oggetto di una archiviazione o una sentenza di non luogo a procedere.
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mente "terze" rispetto agli atti compiuti; di tali atti può essere data prova soltanto mediante i verbali che sono stati redatti. Sono altresì incompatibili « il difensore che abbia svolto attività di inve stigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione » dell'in tervista o che hanno redatto la relazione che recepisce le dichiarazioni scritte « ai sensi dell'art. 391-ter ». Poiché l'art. 1 97 è una norma che fa eccezione al
generale obbligo di testimoniare, le menzionate ipotesi di incompatibilità devono essere interpretate restrittivamente. Pertanto, il difensore è incompati bile a testimoniare soltanto in relazione alla attività investigativa che ha svolto (28) ; per il resto, è compatibile come testimone, salvo quanto prevede il codice deontologico forense (29). Allo stesso modo, coloro che hanno formato la documentazione dell'investigazione difensiva o che hanno verbalizzato la ricezione delle dichiarazioni scritte ai sensi dell'art. 391 -ter sono incompatibili a testimoniare soltanto sull'attività che hanno provveduto a documentare. e.
n privilegio contro l'autoincriminazione.
n codice accoglie la regola generale in base alla quale il testimone ha
l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte nel corso dell'esame (art. 198, comma 1 ) . Tuttavia può accadere che le parti, durante l'esame incrociato, formulino domande che potrebbero indurre il testimone ad autoincolparsi di qualche reato. In ipotesi del genere, se il testimone fosse obbligato a rispondere secondo verità, egli si troverebbe in una penosa alternativa: rispondere incriminando se stesso oppure dire il falso per non ammettere la propria responsabilità. Nel primo caso, rischierebbe un procedimento penale per il reato che si è autoattribuito. Nel secondo caso, potrebbe subire un processo per falsa testimonianza. Una situazione del genere non sarebbe compatibile con la Costituzione, che garantisce i diritti fondamentali dell'individuo, tra i quali rientra anche il diritto (28) Trib. Verona, 27 gennaio 2006, Mignoli, in Cass. pen., 2006, 3793 , con nota di A. CAMON. (29) L'ipotesi in oggetto risulta disciplinata dall'articolo 58 del Codice deontologico forense, appro vato dal Consiglio Nazionale Forense il 17 aprile 1997, in Guida dir. , 1998, 10, 68: << per quanto possibile, l'avvocato deve astenersi dal deporre come testimone su circostanze apprese nell'esercizio della propria attività professionale e inerenti al mandato ricevuto. ( . . . ) 2. Qualora l'avvocato intenda presentarsi come testimone, dovrà rinunciare al mandato e non potrà riassumerlo >>. V. Cass. pen., sez. V, 17 maggio 2007, n. 193 12: << in tema della compatibilità tra il ruolo di difensore e l'ufficio di testimone vige il divieto del contemporaneo esercizio delle funzioni di difensore e di teste nel medesimo procedimento, in quanto il difensore, che deve operare nell'interesse della parte, non può svolgere l'ufficio di testimone, contrassegnato dall'obbligo di dire la verità. D'altra parte, dovendosi ritenere prevalente la funzione di testimone, dal momento che l'accertamento della verità costituisce obiettivo prioritario in materia penale, deve considerarsi legittima la conseguente decadenza automatica dall'ufficio di difensore nel dibatti· mento, quando questi assuma anche la veste di testimone; decadenza che non opera automaticamente nel corso della fase istruttoria >>. Sul punto è intervenuta anche la Corte Costituzionale, che con sentenza n. 2 1 5 del 1997 ha dichiarato infondata una questione di legittimità costituzionale dell'art. 197 , comma l, lett. d, c.p.p.
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di non incriminare se stesso (artt. 2 e 24, comma 2 Cast.). Per questo motivo, il codice tutela il testimone e stabilisce che egli « non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale » (art. 1 98, comma 2 ) . n privilegio. L a situazione giuridica soggettiva, regolamentata dall'art. 198, comma 2, può essere correttamente definita "privilegio" con terminologia di tipo anglosassone, perché si prevede una " esenzione da un regime ordinario" , che è appunto l'obbligo di deporre. L'esenzione è prevista dalla legge in considerazione della presenza di un interesse privato ritenuto meritevole di tutela dall'ordinamento. La formula è ampia: il teste ha diritto di non rispondere non soltanto alla singola domanda, ma a tutte le domande che concernono quei "fatti" dai quali emerga una sua responsabilità per un reato commesso in passato (30). li pre supposto è la semplice probabilità che dalla risposta su di un determinato fatto possa derivare la responsabilità penale del dichiarante; non è sufficiente che possa scaturire una responsabilità soltanto di tipo civilistico od amministrativo. Alla posizione soggettiva del teste non corrisponde, a carico di chi lo interroga, l'obbligo di informarlo che può non rispondere. Né è vietato alle parti fare domande autoincriminanti al testimone; non sempre esse sanno che la risposta porterebbe ad incriminarlo. In ogni caso, il testimone è libero, se crede, di rispondere (v. tav. 2 .4.4). n destinatario del divieto. L'articolo 198, comma 2 stabilisce un divieto probatorio che ha come destinatario il giudice. Quando il testimone rifiuta di rispondere ad una domanda autoincriminante, la legge vieta al giudice di costringerlo a parlare. Come si è visto nel capitolo sugli atti, la violazione di un divieto probatorio comporta la inutilizzabilità del dato che è stato acquisito (art. 1 9 1 , comma 1 ) . Pertanto, se il giudice costringe il teste a deporre e successiva mente si riconosce l'esistenza del privilegio contro l' autoincriminazione, le dichiarazioni eventualmente rese sono inutilizzabili. Naturalmente il regime appena descritto opera nell'ipotesi in cui il testimone eccepisca il privilegio in modo fondato e non pretestuoso. Quando il testimone rifiuta di rispondere ed oppone il privilegio, deve dare una giustificazione allo stesso, con l'ovvio limite che non può essere obbligato a precisare troppi dettagli; in caso contrario potrebbe fornire elementi contro di sé. Il giudice valuta le giustificazioni addotte e, se le ritiene infondate, può rinnovare al testimone l'avvertimento che ha l'obbligo di dire la verità (art. 207 , comma l ) . A questo punto il testimone, s e ritiene di aver correttamente eccepito il privilegio, può persistere nel rifiuto. In tale ipotesi egli rischia che gli sia contestato il delitto (30) Relazione al progetto definitivo, 1 10: « il comma 2 dell'articolo 1 98 è stato modificato per ampliare la tutela contro l'autoincriminazione, non solo a fronte di singole domande, ma, più in generale in relazione a "fatti" suscettibili di generare responsabilità penale >>.
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di falsa testimonianza nella forma della reticenza. Tuttavia, se nel procedimento per falsa testimonianza si accerta che tale soggetto effettivamente aveva il privi legio contro l' autoincriminazione, egli deve essere assolto. Infatti, ai sensi dell'art. 3 84, comma 2 c.p. il delitto di falsa testimonianza non sussiste quando il testimone « non avrebbe potuto essere obbligato ( . . . ) a rispondere ». Lo stesso accade se il testimone, costretto a rispondere, ha reso dichiarazioni false. Poiché l'art. 198, comma 2 stabilisce un divieto rivolto al giudice, di fronte ad una domanda autoincriminante il testimone è libero di scegliere se eccepire o meno il privilegio. In ogni caso, se il testimone si risolve liberamente a rendere dichiarazioni contro se stesso, il codice appresta una apposita regolamentazione. Le risposte autoincriminanti. Infatti, trova applicazione l'articolo 63 , comma l che disciplina le "dichiarazioni indizianti" rese davanti all'autorità giudiziaria da una persona che non sia imputata o indagata. La giurisprudenza ritiene che tale norma, stante l'ampiezza della formulazione, abbia carattere generale e, per tanto, possa essere applicata anche in dibattimento. Una volta che il testimone abbia reso una dichiarazione dalla quale emergano indizi di reità a suo carico per un reato pregresso, l'autorità procedente (e cioè, il giudice, il pubblico ministero o la polizia) deve per prima cosa interrompere l'esame; in secondo luogo deve avvertire il soggetto che « a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti »; infine deve invitarlo a nominare un difensore. Quanto al valore probatorio delle precedenti dichiarazioni, il codice prevede una inutilizzabilità soggettivamente relativa. Infatti, esse non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese (3 1 ) . Ciò è conforme alla ratio della norma che è quella di tutelare il privilegio contro l'autoincriminazione, che sarebbe scalfito se fosse utilizzabile contro il dichiarante quello che egli ha detto in qualità di teste e, quindi, con l'obbligo penalmente sanzionato di rispondere secondo verità. Sotto tale profilo, può dirsi accolto nel nostro ordinamento il brocardo latino in base al quale "nemo tenetur se detegere" (32). Dichiarazioni rese da un testimone che avrebbe dovuto essere sentito come indagato o imputato. Occorre ricordare che l'articolo 63 al secondo comma con
tiene una previsione ulteriore, relativa alle dichiarazioni rese da una persona che avrebbe dovuto essere sentita fin dall'inizio dalla polizia o dall'autorità giudiziaria in qualità di indagato o di imputato. Poiché gli inquirenti avrebbero dovuto sentire (3 1) l?. da ritenersi, tuttavia, che possano essere utilizzate a suo favore. Se rese in dibattimento, le dichiarazioni sono utilizzabili contro gli imputati i cui difensori siano presenti. (32) La giurisprudenza ha precisato che l'art. 63, comma l non trova applicazione per quelle dichiarazioni che concretino esse stesse un fatto di reato, come ad esempio una falsità testimoniale o un favoreggiamento personale; si veda Cass., sez. II, 5 giugno 2008, n. 35538/08, Migliore, in www.dirittoegiu stizia.it, 30 ottobre 2008. La giurisprudenza ha affermato che il principio "nemo tenetur se detegere" salvaguarda il testimone che ha commesso un reato, nel senso che questi non può essere obbligato a rivelare fatti dai quali emerga la sua responsabilità per un reato pregresso, e non il testimone che il reato debba ancora commettere con la propria deposizione.
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quella persona nella qualità eli indagato o eli imputato, avvertendola della facoltà di non rispondere, il codice commina l'inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese da tale soggetto: le dichiarazioni « non possono essere utilizzate » né contro la persona che le ha rese, né contro altre persone (33 ) . f.
n testimone prossimo congiunto dell'imputato.
I prossimi congiunti dell'imputato non possono essere obbligati a deporre come testimoni (art. 1 99) . Con questa disposizione il codice antepone il rispetto dei sentimenti familiari all'interesse della Giustizia all'accertamento dei fatti (34). Sono "prossimi congiunti" gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti; fra i "prossimi congiunti" non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole (art. 307 , comma 4 c.p.) (v. tav. 2 .4.6). Il codice di procedura penale impone che il testimone prossimo congiunto dell'imputato sia avvisato dal giudice della facoltà di astenersi dal rendere la deposizione (v. tav. 2.4.5). Se l'avviso è omesso, la dichiarazione resa è affetta da nullità relativa (art. 199, comma 2 ) e l'eventuale reato di falsa testimonianza non è punibile (art. 3 84, comma 2 c.p.) (35) . Nel caso in cui il prossimo congiunto, regolarmente avvisato, decida di deporre come testimone, egli non può più rifiutarsi di rispondere alle singole (33)
La disposizione in oggetto commina l'inutilizzabilità senza alcuna distinzione in merito ai soggetti
coinvolti dalle dichiarazioni. Tuttavia la Suprema Corte, risolvendo un contrasto giurisprudenziale in proposito, ha affermato che l'inutilizzabilità assoluta << in tanto può intervenire in quanto le dichiarazioni provengano da persona a carico della quale sussistevano indizi in ordine allo stesso reato o a reato connesso o collegato attribuito al terzo » (Cass., sez. un., 13 febbraio 1997, Carpanelli e altri, in Dir. pen. proc., 1997, 600). In altre parole, l'inutilizzabilità comminata dall'art. 63 , comma 2, ad awiso delle Sezioni Unite non si estende a quelle dichiarazioni che coinvolgano imputati di reati che non abbiano alcun legame processuale con quelli per i quali si procede e si trovino in posizione di totale estraneità e indifferenza. La Suprema Corte ha rilevato che, rispetto a tali reati, il dichiarante avrebbe comunque rivestito la qualifica di testimone: o possibile testimone. Pertanto, in relazione a tali dichiarazioni non vi è stato alcun difetto di garanzie. La medesima sentenza ha inoltre precisato che l'inutilizzabilità, in quanto ispirata alla tutela del diritto di difesa, non colpisce le dichiarazioni favorevoli a colui che le ha rese o ad altre persone. (34) Con ordinanza 30 gennaio 2003, n. 19, in Cars. pen. , 2003 , 1886, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 199 del codice di procedura penale, nella parte in cui tale norma non estende la facoltà di astensione dal deporre al prossimo congiunto di un imputato in procedimento connesso o collegato. Ad awiso della Corte, il giudice ha il dovere di verificare se l'art. 199 sia suscettibile di una interpretazione conforme a Costituzione, potendo sollevare questione di legittimità costituzionale soltanto dopo avere accertato che è impossibile seguire un'interpreta zione costituzionalmente corretta.
(35) La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 384, comma 2 nella parte in cui non prevede che la non punibilità prevista in caso di omesso avvertimento della facoltà di astensione non si estenda alle dichiarazioni mendaci rese alla polizia giudiziaria. La Corte ha mostrato di condividere << la scelta operata dal legislatore processuale - attraverso l'articolo 199 c.p.p. e i rinvii ad esso contenuti negli articoli 362 e 3 5 1 - di attribuire rilevanza ai rapporti interpersonali ivi indicati, in tutte le circostanze in cui un soggetto sia chiamato a rendere informazioni, quale che sia l'autorità che deve raccoglier!e e senza distinzioni di fasi processuali >> (Corte cost., 27 dicembre 1996, n. 4 16, in Cars. pen. , 1997, 954).
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domande; se afferma il falso, egli commette il reato di falsa testimonianza e non opera, in suo favore, la causa di non punibilità dell'art. 3 84 , comma l c.p. (36). Persone assimilate ai prossimi congiunti. In base all'art. 1 99, comma 3 c.p.p., la facoltà di astensione ed il diritto al preavviso della stessa sono estesi ad altre persone (37). La facoltà di astensione opera senza limiti in favore di colui che è legato all'imputato da vincoli di adozione; opera con alcuni limiti in favore: a) di chi, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso; b) del coniuge separato dell'imputato; c) della persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, sciogli mento o cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l'imputato. In questi tre casi la facoltà di astensione dalla testimonianza è limitata ai « fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale » (38). Occorre segnalare che i prossimi congiunti (ed i soggetti equiparati) non possono astenersi e, quindi, sono obbligati a deporre, quando hanno presentato denuncia, querela o istanza, ovvero essi od un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato (art. 199, comma 1 ) . g.
La violazione degli obblighi del testimone.
Prima che inizi l'esame incrociato il giudice avverte il testimone dell'obbligo di dire la verità e lo informa della conseguente responsabilità penale. Il testimone legge la formula con la quale si impegna « a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a (sua) conoscenza » (art. 497 , comma 2); dopodiché è invitato a fornire le sue generalità. Ha quindi inizio l'esame incrociato, nel quale il testimone è tenuto a rispondere alle domande poste, di regola, dalle parti ed, eccezionalmente, dal presidente (art. 506, comma 2 ) . Il codice contiene una puntuale regolamentazione del procedimento che deve essere seguito quando appare che il testimone violi l'obbligo di rispondere se condo verità: soltanto il giudice può rivolgergli l'ammonimento a rispettare l'ob bligo di dire il vero (art. 207). Le parti non possono ammonire il testimone, mentre possono sollecitare il giudice ad esercitare tale potere. Un ammonimento rivolto direttamente dalla parte potrebbe configurare una domanda vietata in quanto può « nuocere alla sincerità delle risposte » (art. 499, comma 2). In primo luogo, può accadere che il testimone rifiuti di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge. In tal caso il giudice provvede ad avvertirlo (36) In tal senso, Cass., sez. un., 29 novembre 2007-14 febbraio 2008, n. 7208, Genovese, in Cass. pen., 2008, 2339. (37) Sull'argomento, v. amplius G.M. BACCARI, La testimonianza del prossimo congiunto dell'imputato, Padova, 2003 , 54 ss. (38) Secondo Cass., sez. I, 27 gennaio 2003 , Orsogna, in Cass. pen., 2004, 2963, « nel caso del coniuge separato dell'imputato, la limitazione della facoltà di astensione ai fatti verificatisi o appresi durante la convivenza coniugale deve ritenersi operante avendo riguardo, come termine finale, non a quello segnato dalla pronuncia della separazione legale ma a quello, se precedente, in cui è cessata di fatto la suddetta convivenza >>.
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sull'obbligo di deporre secondo verità. Se il testimone persiste nel rifiuto, il giudice « dispone l'immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché pro ceda a norma di legge » (art. 207, comma 1 ) . Quest'ultimo, ricevuta la copia del verbale di udienza, darà inizio alle indagini preliminari per accertare se sussiste la falsa testimonianza nella forma della reticenza (art. 372 c.p.); inoltre, potrà chiedere al giudice una misura cautelare, ove ne sussistano i presupposti. In secondo luogo, può accadere che il testimone renda dichiarazioni con traddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite. n giudice, su richiesta di parte o d'ufficio, gli rinnova l'avvertimento dell'obbligo di dire il vero. Ove il pubblico ministero non prenda una immediata iniziativa, e cioè non chieda subito copia del verbale di udienza, il giudice potrà attivarsi soltanto al termine del dibattimento. Ai sensi dell'art. 207 , comma 2 , « con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio », il giudice, se ravvisa indizi del reato di falsa testimonianza, « ne informa il pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti » (39). In ogni caso è fatto divieto di arrestare in udienza il testimone « per reati concernenti il contenuto della deposizione » (art. 476, comma 2), e cioè per la testimonianza falsa o reticente (n. 74 dei criteri direttivi della legge delega). h.
n segreto professionale.
Alcuni testimoni con determinate qualifiche di tipo privatistico hanno la "facoltà" (dal punto di vista del procedimento penale) di non rispondere a determinate domande quando la risposta comporti la violazione dell'obbligo del segreto professionale. Tale segreto può essere definito " qualificato" perché la possibilità di non rispondere spetta soltanto ai professionisti indicati espressa mente dall'art. 200 del codice di procedura penale (ministri del culto, avvocati, persone esercenti professioni sanitarie) (v. tav. 2.4. 1 1 ) . L a tutela penale del segreto professionale. Occorre precisare che il profes sionista " comune" (e cioè, non rientrante nelle categorie indicate nell'art. 200) ha l'obbligo di deporre nel processo penale anche se, al di fuori di questo, è tenuto al segreto professionale (art. 622 c.p.). Per " segreto" si intende una notizia che non deve essere portata alla altrui conoscenza e che, pertanto, non è già di per sé notoria. Di solito, si tratta di un fatto della vita privata che il singolo ha interesse a mantenere riservato. Le necessità della vita sociale impongono al privato, al fine (39) Ai sensi dell'art. 376 c.p. non è punibile il reato di falsa testimonianza se il teste << nel procedimento penale in cui ha ( . . . ) reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento >>. La disposizione si applica anche ai reati di false informazioni al pubblico ministero (art. 3 7 1 -bis c.p.), false dichiarazioni al difensore (art. 3 7 1 -terc.p.), falsa perizia e falsa interpretazione (art. 373 c.p.). La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 376, comma l c.p., << nella parte in cui non prevede la non punibilità di chi ritratta le false o reticenti dichiarazioni rese su richiesta della polizia giudiziaria delegata a norma dell'art. 370 c.p.p. >> (sentenza 30 marzo 1999, n. 1 0 1 , in Dir. pen. proc., 1999, 982).
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di tutelare i propri interessi, di rivolgersi a persone dotate di specifiche compe tenze; nel fare ciò, il singolo è costretto a riferire notizie riservate. Ebbene, il professionista comune è penalmente tenuto a non rivelare senza giusta causa i segreti, dei quali è venuto a conoscenza per ragione della propria professione, arte, stato o ufficio (art. 622 c.p.) quando ciò possa nuocere all'interessato; tuttavia, poiché nel processo penale egli è considerato alla stregua degli altri testi, deve rispondere secondo verità. Ciò costituisce « giusta causa » ai sensi dell'art. 622 c.p. e, pertanto, il professionista non commette il delitto di rivelazione di segreto. Così se un pittore nell'esercizio della sua attività viene a conoscere dal cliente fatti di rilievo penale (ad esempio, vede una cicatrice di una ferita inferta in una rissa) , è vincolato al segreto; ma quando è sentito come testimone, ha l'obbligo di rispondere secondo verità. I professionisti qualificati. Diversa è la posizione processuale dei profes sionisti qualificati che sono indicati nell'art. 200 del codice di procedura penale. Costoro hanno il potere-dovere di rifiutarsi di rispondere alla singola domanda che li induca a narrare un fatto segreto appreso nell'esercizio della loro professione, quando da ciò può derivare un pregiudizio per il cliente. Se il professionista qualificato depone comunque su un fatto del genere, egli non può invocare la "giusta causa" e risponde di violazione del segreto professionale. n legislatore ritiene, in questi casi, che il segreto professionale debba prevalere sull'interesse della Giustizia ad accertare i reati. Ecco perché abbiamo definito tale segreto come "qualificato" . Di regola si tratta di situazioni che coinvolgono interessi di rilievo costituzionale, quali l'interesse a professare la propria fede religiosa (artt. 8 e 19 Cost.), l'interesse a difendersi in ogni tipo di processo (art. 24 Cost.), l'interesse alla salute (art. 32 Cost.); in questi casi il privato è costretto a rivolgersi ad un professionista al quale deve confidare fatti riservati. Occorre naturalmente che quel determinato fatto, sul quale il testimone deve deporre, sia stato appreso dai professionisti qualificati « per ragione del proprio ministero, ufficio o professione » (art. 200). Pertanto, se uno di costoro ha conoscenza di un fatto in qualità di comune cittadino, e cioè indipendente mente dall'aver ricevuto un incarico professionale, egli resta vincolato all' ob bligo di deporre secondo verità. Un successivo incarico non potrebbe esentarlo da tale obbligo. L'art. 200 pone un ulteriore limite. È necessario che il professionista qualificato non abbia comunque un obbligo giuridico di riferire quel fatto all'autorità giudiziaria. Ciò accade, ad es., al medico professionista privato che ha prestato la propria assistenza alla persona offesa di un delitto procedibile d'ufficio (non di una contravvenzione). In tal caso egli ha l'obbligo del referto, sia pure limitatamente al delitto che emerge dall'accertamento sanitario (art. 365 c.p. ); su tali fatti il medico non può opporre segreto professionale e, pertanto, deve deporre come testimone. Naturalmente, la rivelazione di quanto il medico ha appreso non costituisce delitto di rivelazione del segreto professionale poiché
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l'obbligo di deporre, derivante dall'obbligo di referto, costituisce una giusta causa ai sensi dell'art. 622 c.p. Quando il professionista qualificato eccepisce il segreto, il giudice deve provvedere agli accertamenti necessari. n giudice, se ritiene fondata l'eccezione, rispetta la facoltà di tacere (40); viceversa, se ritiene infondata l'eccezione, ordina al testimone di deporre. Le categorie di professionisti qualificati. Analizziamo partitamente le categorie di professionisti qualificati elencati dall'art. 200. a) Per primi sono citati i « ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano » (art. 200, comma l , lett. a). Tradizionalmente questa ipotesi ricomprende, nel caso della religione cat tolica, il segreto imposto al sacerdote dal sacramento della confessione. n legislatore è stato fin troppo prodigo, perché ha limitato l'interesse di Giustizia alla deposizione testimoniale anche quando non sia stata stipulata alcuna intesa tra lo Stato e la singola confessione religiosa. b) Possono opporre il segreto professionale, quando sono sentiti in qualità di testimoni, gli « avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consu lenti tecnici e i notai » (art. 200, comma l , lett. b), mod. dalla legge n. 3 97 del 2000). Gli investigatori privati che possono opporre il segreto professionale sono soltanto quelli specificamente autorizzati alle indagini processuali (artt. 327-bis c.p.p.; 222, comma l disp. att.). La disposizione si applica inoltre, in base alla sentenza della Corte costituzionale n. 87 del 1997, ai praticanti avvocati. c) Sono parimenti vincolati al segreto professionale « i medici e i chirur ghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria » (art. 200, comma l , lett. c). d) Infine, possono opporre il segreto professionale, quando sono chia mati a testimoniare, « gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professio nale » (art. 200, comma l , lett. d). Occorre evidenziare che soltanto la legge può estendere il segreto profes sionale; ciò è avvenuto in relazione ai consulenti del lavoro (legge n. 12 del l979) , ai dipendenti dei servizi pubblici (o privati convenzionati) che si occupano del recupero dei tossicodipendenti (art. 120, d.p.r. n. 309 del 1990), ai dottori com( 40) Se i professionisti qualificati non si awalgono della facoltà di tacere e rivelano fatti pregiudizievoli al loro assistito, essi commettono il delitto di rivelazione di segreto professionale (art. 622 c.p.). Dal punto di vista processuale, le dichiarazioni del professionista qualificato, che non si awale della facoltà di tacere e commette il delitto di rivelazione, restano comunque utilizzabili perché non viene violato alcun divieto probatorio. Dal punto di vista del diritto sostanziale, la rinuncia alla facoltà di tacere di regola non rientra nella << giusta causa >> e la rivelazione è punibile. Merita segnalare che il professionista qualificato non deve essere preawertito della facoltà di astenersi dal rispondere alla domanda pregiudizievole per il segreto professionale: così Cass., sez. IV, 4 marzo 2009, n. 9866 B.R.G.
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mercialisti, ai ragionieri e periti commerciali (artt. 4 e 5, d.p.r. 27 ottobre 1 953, n. 1067 , come integrati dall'art. l, legge 5 dicembre 1 987 , n. 507 ) ; agli assistenti sociali iscritti all'albo professionale (art. l , legge 3 aprile 200 1 , n. 1 19). n segreto professionale dei giornalisti. Il segreto professionale è esteso ai giornalisti con alcuni limiti. In primo luogo, esso può essere mantenuto relativamente ai « nomi delle persone » dalle quali è stata appresa una notizia di carattere fiduciario nell'esercizio della professione. In secondo luogo, possono opporre questo segreto soltanto i « giornalisti professionisti iscritti nell'albo professionale ». In terzo luogo, il giornalista è comunque obbligato a indicare al giudice la fonte delle sue informazioni quando le notizie sono indispensabili ai fini della « prova del reato per cui si procede » e la loro veridicità può essere accertata soltanto attraverso « l'identificazione della fonte della notizia » (art. 200, comma 3 ) . Da un lato, vi è la garanzia che i predetti limiti sono valutati dal « giudice »; da un altro lato, la regolamentazione è tuttavia strutturata in modo da far prevalere l'interesse di Giustizia sull 'interesse del giornalista a mantenere coperta la fonte delle informazioni. Nei casi nei quali il giornalista può conservare il segreto sulla fonte (ad esempio, perché la notizia non riguarda l'esistenza di un reato, ma di una sua circostanza), la notizia stessa non è utilizzabile nel processo a causa del divieto che riguarda la testimonianza indiretta (art. 195 , comma 7 ) (4 1 ) . Occorre, infine, segnalare che il segreto bancario cede di fronte all'esigenza di accertare fatti penalmente rilevanti. i.
n segreto d'ufficio e di Stato; gli informatori di polizia.
Vi sono testimoni che, in virtù di una loro qualifica pubblica, hanno l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti conosciuti in ragione del loro ufficio (42 ) . n segreto d'ufficio. In determinati casi previsti d a leggi o regolamenti il buon funzionamento della pubblica amministrazione può imporre che sia mantenuto il segreto su alcune specie di notizie che concernono lo svolgimento del servizio pubblico (43 ) . In tali ipotesi siamo in presenza del segreto d'ufficio, (4 1 ) Riteniamo che il motivo posto alla base della diversità di trattamento del giornalista consista nel fatto che questi esercita una professione alla quale il privato non è "costretto" a ricorrere; pertanto l'interesse del singolo non è prevalente rispetto a quello dell'amministrazione della Giustizia (v. anche, nel senso della legittimità della norma, Corte cost. n. l del 1 98 1 ) . (42) V i è una importante differenza rispetto a i titolari del segreto professionale, l a deposizione dei quali resta utilizzabile, anche se essi non si astengono dal deporre; in questo caso il codice tutela il rapporto tra il professionista e la fonte della notizia. Quando una persona legata al segreto d'ufficio o di Stato non osserva l'obbligo di astenersi dal deporre, la relativa deposizione è in utilizzabile poiché risulta violato un divieto probatorio ex art. 191. In questo caso il codice tutela l'oggetto della testimonianza, e cioè il segreto d'ufficio o di Stato. Si veda Cass., sez. un., 30 ottobre 2002, Carnevale, in Cass. pen., 2005, 92 1 . (43 ) Un esempio di segreto d'ufficio è il segreto della camera di consiglio, posto dall'art. 125, comma
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la cui violazione integra il delitto previsto dall'art. 326 c.p. (44 ) . n segreto d'ufficio vincola il pubblico ufficiale e l'incaricato di un pubblico servizio (la relativa nozione è contenuta negli artt. 357 e 358 c.p., sui quali si veda parte III, cap. l, § 2, b). Potrebbe sorgere nel pubblico ufficiale o nell'incaricato di pubblico servizio un conflitto tra l'obbligo di dire la verità nel procedimento penale (art. 1 98 c.p.p.) ed il vincolo del segreto d'ufficio, che in base all'art. 201 c.p.p impone loro di non rispondere alle domande su fatti coperti dal segreto. Ma il buon funzionamento della pubblica amministrazione non può tollerare che siano tenuti nascosti i reati. Ed infatti, ai sensi dell'art. 201 c.p.p., l'obbligo di astenersi dal rispondere viene meno quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio hanno l'ob bligo di riferire all'autorità la notizia di reato; e cioè, in sostanza, quando hanno l'obbligo di denuncia (sul quale, v. gli articoli 361 e 3 62 c.p.). Ciò vuol dire che le persone menzionate non possono mantenere segreti quei fatti che concernono reati (v. in/ra, Parte III, cap. l , § 2 , lett. a). Se il testimone (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) oppone il segreto d'ufficio, il giudice valuta se tale eccezione è fondata; ove non lo sia, ordina al testimone di deporre (art. 201, comma 2). n segreto di Stato. Una particolare specie di segreto d'ufficio è il segreto di Stato, che ai sensi dell'art. 39 della legge 3 agosto 2007 n. 124 copre « gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all'integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fonda mento, all'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato » (45 ) . In base all'art. 202 4 c.p.p., secondo cui << la deliberazione è segreta >>, e sanzionato dall'art. 685 c.p. L'art. 125, comma 5, impone l'osservanza di particolari accorgimenti idonei a tutelare il segreto in caso di dissenso di un componente del collegio giudicante. Cass., sez. un., 30 ottobre 2002, Carnevale, in Cass. pen., 2005, 92 1 : « il giudice penale non può essere richiesto ed ha l'obbligo di astenersi dal deporre come testimone in merito al procedimento formativo della deliberazione collegiale, segreta, in camera di consiglio, limitatamente alle opinioni ed ai voti espressi dai singoli componenti del collegio, fermo restando il sindacato giurisdizionale sulla fondatezza della dichiarazione di astensione. La violazione del suddetto obbligo comporta l'inutilizzabilità della relativa testimonianza >>. (44) Art. 326 comma l c.p. (Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio): « Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni >>. (45) La nozione di segreto di Stato è di carattere oggettivo: « il documento, la cosa, la notizia o i rapporti, che vengono in rilievo di volta in volta, possono presentare caratteristiche di contenuto o di forma tali da indurre a ritenere che essi, ictu oculi, rivestono connotazioni di per sé coperte dal segreto di Stato. In altri termini, in dette particolari ipotesi, la caratteristica della segretezza è intrinseca all'atto, perché percepibile immediatamente ed univocamente >> (Corte cost., n. 106 del 2009). Il regolamento di attuazione previsto dall'art. 39 della legge n. 124, e cioè il d.P. C.M. 8 aprile 2008 (in G.U. n. 90 del 16 aprile 2008) ha ricompreso nel segreto di Stato la « tutela di interessi economici, finanziari, industriali, scientifici, tecnologici, sanitari ed ambientali >>.
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c.p.p. , i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di astenersi dal deporre come testimoni su fatti coperti dal segreto di Stato (46) . Quando la persona, che ha una delle predette qualifiche, oppone l'esistenza di un segreto di Stato, l'autorità giudiziaria procedente (e cioè il pubblico ministero o il giudice) ha due obblighi: deve informare il presidente del consiglio dei ministri, chiedendo l'eventuale con ferma del segreto, e deve sospendere ogni iniziativa volta ad acquisire e ad utilizzare la notizia oggetto del segreto (art. 202 , comma 2). Se entro trenta giorni dalla notificazione della richiesta il presidente del consiglio dei ministri non dà con/erma del segreto, l'autorità giudiziaria acqui sisce la notizia e provvede per l'ulteriore corso del procedimento (comma 4): il dichiarante è svincolato dal segreto di Stato e deve deporre. Viceversa, se il presidente del consiglio dei ministri con atto motivato oppone il segreto di Stato, è previsto un divieto probatorio ampio (47): il giudice ed il pubblico ministero non possono né acquisire né utilizzare neanche indirettamente le « notizie coperte dal segreto » (comma 5) (48). In tal caso, se per la definizione del processo risulta « essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato », il giudice deve dichiarare di non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato (art. 202, comma 3 ) (49). D segreto di polizia sugli informatori. Un'altra specie di segreto è quella che consente di non rivelare i nomi degli informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza. Legittimati ad opporre tale segreto sono sia gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, sia il personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica (art. 203 ) . Costoro possono mantenere segreti i nomi degli informatori; ma tutto quello che affermano di aver "sentito dire" da loro non può essere acquisito né utilizzato, se non quando l'informatore sia stato esaminato (50). (46) L'art. 4 1 della legge n. 124 ha esteso il potere-dovere di astenersi dal deporre ad ogni tipo di dichiarante e, quindi, anche all'imputato e all'indagato. In tal senso, v. la sentenza della Corte cost. n. 106 del 2009. (47) La Corte cost. ha affermato che l'« individuazione dei fatti, degli atti, delle notizie, ecc. che possono compromettere la sicurezza dello Stato e devono, quindi, rimanere segreti >> costituisce il risultato di una valutazione << ampiamente discrezionale e, più precisamente, di una discrezionalità che supera l'ambito ed i limiti di una discrezionalità puramente amministrativa, in quanto tocca la salus rei publicae >>: n. 86 del 1977 e n. 106 del 2009. n giudizio sui mezzi necessari o utili spetta al Presidente del consiglio dei ministri sotto il controllo del Parlamento. (48) n comma 6 precisa che << non è, in ogni caso, precluso all'autorità giudiziaria di procedere in base a elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto >>. (49) Di fronte al prowedimento di conferma del segreto, il giudice (o il pubblico ministero competente per le indagini) può sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla corte costituzionale (comma 7 ) . Si tratta di una nuova competenza della corte costituzionale, alla quale non può essere opposto il segreto stesso. La regolamentazione della materia è tracciata dalla sentenza della Corte cost. n. 106 del 2009. (50) Si ricorda che la legge n. 63 del 2001 ha aggiunto nell'art. 203 un nuovo comma l-bis in base al
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L'art. 204 esclude poi che i segreti d'ufficio, di Stato o di polizia possano opporsi per fatti concernenti « reati diretti all'eversione dell'ordinamento co stituzionale nonché i delitti previsti dagli articoli 285 , 4 1 6-bis, 4 16-ter e 422 del codice penale » (legge n. 124 ci t.) (5 1 ) . 3.
L'esame delle parti. a.
Considerazioni generali.
È denominato "esame delle parti" il mezzo di prova mediante il quale le parti private possono contribuire all'accertamento dei fatti nel processo penale. Alcune norme del codice forniscono una regolamentazione generale dell'esame; altre norme riguardano determinati soggetti e prevedono per essi regimi giuri dici diversi. Possono definirsi "generali" le seguenti regole: a) il dichiarante non ha l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità né di essere completo nel narrare i fatti; inoltre egli ha la facoltà di non rispondere alle domande (art. 209, comma 2 ) ; b) le dichiarazioni sono rese secondo le norme sull'esame incrociato; pertanto le domande sono formulate di regola dal pubblico ministero e dai difensori delle parti private nell'ordine indicato nell'art. 503 , comma l ; c) le domande devono riguardare i fatti oggetto di prova. L'esame delle parti è sottoposto a regimi giuridici diversi in ragione della persona che rilascia la dichiarazione (v. tav. 2.4.2). Il primo regime concerne l'imputato che sia chiamato a deporre nel proprio procedimento sul fatto a lui addebitato. Il secondo regime riguarda le parti private diverse dall'imputato, e cioè il responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e la parte civile che non debba essere esaminata come testimone. Il terzo regime concerne quegli imputati in procedimenti connessi o collegati, che siano chiamati a deporre su fatti concernenti la responsabilità altrui. È un regime giuridico peculiare, che richiede autonoma trattazione per la complessità dei princìpi e delle problematiche che vi sono sottese (52) . quale << l'inutilizzabilità opera anche nelle fasi diverse dal dibattimento, se gli informatori non sono stati interrogati né assunti a sommarie informazioni >>. (5 1 ) TI divieto di opporre il segreto riguarda non il fatto terroristico in sé, che deve poter essere accertato mediante condotte dei servizi segreti infiltrati nelle organizzazioni delinquenziali, bensì la eventuale condotta deviata di apparati dello Stato. L'art. 66 disp. att. specifica che << nei fatti, notizie e documenti indicati nell'art. 204 comma l c.p.p. non sono compresi i nomi degli informatori >>. Di conseguenza, anche nei procedimenti per reati diretti all'eversione dell'ordinamento costituzionale possono essere tenuti segreti i nomi degli informatori. (52) Occorre segnalare che la disciplina dell'esame delle parti contiene in sé una profonda contrad dizione. Da un lato, le dichiarazioni che contribuiscono alla formazione della prova sono rese nella forma dell'esame incrociato, che è ritenuto universalmente essere il metodo più efficace per accertare la verità nel
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L'esame dell'imputato.
n primo regime giuridico riguarda l'esame dell'imputato nel proprio pro
cedimento. Questo strumento serve ad acquisire il contributo probatorio dell'imputato sui fatti oggetto eli prova (art. 187 ) . L'esame h a luogo soltanto s u richiesta o consenso dell'interessato (53 ) , e cioè soltanto se l'imputato lo chiede, o se vi consente quando è chiesto da una parte (ad esempio, dal pubblico ministero, dalla parte civile o da un altro imputato) . n "mancato consenso" non può essere valutato dal giudice in senso negativo per l'imputato, perché è una scelta che attiene strettamente alla strategia difensiva. Tuttavia, il mancato consenso sortisce un qualche effetto; infatti quando la difesa afferma l'esistenza di un fatto, il rifiuto di sottoporsi all'esame, opposto da quell'imputato, che potrebbe confermarne l'esistenza, non permette a questi di adempiere all'onere della prova, e cioè all'onere di convincere il giudice. L'imputato che ha chiesto l'esame (o vi ha consentito) non è vincolato all'obbligo di rispondere secondo verità; infatti, egli non è testimone in quanto è incompatibile con tale qualifica (art. 197, lett. a e b) . Occorre segnalare che l'imputato può dire il falso senza incorrere in conseguenze penali. Infatti, da un lato, non può commettere il delitto di falsa testimonianza (art. 372 c.p.), proprio perché non può rivestire la qualifica di testimone. La falsa testimonianza, infatti, è un reato "proprio" , e cioè può essere commesso soltanto da chi depone in tale veste. Da un altro lato, l'imputato, qualora con false dichiarazioni commetta altri reati, beneficia della causa eli non punibilità stabilita dall'art. 3 84, comma l c.p. in favore di chi agisce per salvarsi da un grave e inevitabile pericolo nella libertà o nell'onore. In proposito, si può fare l'esempio dell'imputato che accusa se stesso di un reato lieve al fine di evitare la condanna per un reato più grave (autocalunnia: art. 3 69 c.p.). Tuttavia, l'art. 3 84, comma l c.p. è inapplicabile in relazione ai delitti di calunnia (art. 3 68 c.p.) e di simulazione di reato (art. 3 67 c.p.) . Pertanto, l'imputato è punibile se afferma falsamente essere avvenuto un reato che nessuno ha commesso (simulazione eli reato) o se incolpa di un reato un'altra persona, sapendola innocente (calunnia) (54). processo penale. D a u n altro lato, le persone che rendono dichiarazioni davanti al giudice nell'esame delle parti non hanno l'obbligo penalmente sanzionato di rispondere secondo verità.
(53) L'esame ha luogo, indipendentemente dal consenso, se è richiesto da una parte o disposto dal giudice d'ufficio quando l'imputato è chiamato a riferire su fatti concernenti la responsabilità di altri, già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia delegata; in tal senso, Corte cost. n. 3 6 1 del 1998. (54) Per il delitto di calunnia si pone l'ulteriore problema, e cioè il contemperamento tra tale incriminazione e la necessità di esercitare il diritto costituzionale di difesa. In base a giurisprudenza pacilica << è scriminata dall'esercizio del diritto di difesa la condotta calunniosa dell'imputato quando questi rivolge ai suoi accusatori rilievi non determinati e circostanziati e comunque non esorbitanti dall'economia difensiva,
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L'aver detto il falso, se costituisce fatto non punibile per l'imputato, tuttavia può provocare conseguenze almeno dal punto di vista processuale. Infatti, se durante l'esame incrociato (o successivamente) risulta che l'imputato ha mentito, da quel momento egli può essere ritenuto non credibile; le altre affermazioni che abbia reso difficilmente potranno convincere il giudice, a meno che non siano supportate da altre prove. Ecco perché generalmente il difensore consiglia al l'imputato di avvalersi del diritto al silenzio, piuttosto che affermare il falso. D diritto al silenzio. Veniamo quindi a trattare del " diritto a restare silenzioso" . Nel corso dell'esame l'imputato può rifiutarsi di rispondere ad una qualsiasi domanda (e cioè, su di un fatto proprio o altrui) (55) ; del suo silenzio deve essere « fatta menzione nel verbale », come prescrive l'art. 209, comma 2 . Poiché l a circostanza appare dal verbale, s e ne è dedotto che il silenzio vale a dire strettamente correlati all'esigenza di difendersi dall'imputazione >>. Così, Cass. , sez. VI, 8 febbraio 2001 (dep. 2 aprile 200 1 ) n. 233, Errichiello, in Cass. pen., 200 1 , 3028. È utile riferire il caso di specie. Una imprenditrice viene processata per violazione della normativa antinforrunistica. Tre lavoratrici testimoniano a suo carico in merito alle condizioni nelle quali svolgevano le proprie mansioni. L'imprenditrice afferma che le lavoratrici rendono una testimonianza falsa e concordata e che lei è vittima di una macchinazione a suo carico. Nei confronti dell'imprenditrice si apre un procedimento per calunnia. L'imprenditrice è prosciolta da quest'ultima imputazione in applicazione del principio generale in base al quale l'imputato, nel corso del procedimento penale instaurato a suo carico, ben può negare, anche mentendo, nell'esercizio del suo din'tto di dt/esa costituzionalmente garantito (art. 24 della Cost.), la corrispondenza al vero di testimonianze a lui sfavorevoli. L'implicita accusa di falsa testimonianza o di calunnia nei confronti dei suoi accusatori costituisce una conseguenza non voluta e soltanto indiretta dell'atteggiamento difensivo prescelto dall'imputato. L'animus de/endendi, in applicazione della causa di giustificazione prevista dall'art. 51 c.p., esclude la punibilità del reato. Deve sussistere, però, un rigoroso rapporto funzionale tra tale condotta dell'imputato e la confutazione dell'imputazione a suo carico, nel senso che l'imputato deve limitarsi ad affermare la falsità e, quindi, l'infondatezza dell'accusa a suo carico, senza travalicare tale confine con iniziative, non necessarie, dirette a coinvolgere i suoi accusatori, di cui conosce l'innocenza, in una incolpazione specifica, circostanziata e determinata, che si pone al di fuori dell'economia difensiva, perché nessuna attinenza ha con l'oggetto dell'imputazione a suo carico. (55) Occorre sottolineare che l'art. 208 non contiene un rinvio espresso all'art. 64 e pertanto non impone che l'imputato in sede di esame dibattimentale sia reso edotto del fatto che, se renderà dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri imputati in procedimenti connessi teleologicamente o collegati al proprio, assumerà la qualifica di testimone assistito. Con ordinanza 4 giugno 2003 n. 191 (in Dir. pen. proe. , 2004, 85, con nota di C. CoNTI) nel dichiarare manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale dell'art. 64, il Giudice delle leggi ha affermato che una interpretazione di tipo sostanziale consente di rendere applicabile la disciplina degli avvisi anche all'esame dell'imputato ex art. 208. Tuttavia, sarebbe stato preferibile che la Corte cost. avesse pronunciato una declaratoria di incostitu· zionalità, dal momento che l'ampliamento delle ipotesi di compatibilità a testimoniare comporta una estensione dell'area applicativa del delitto di falsa testimonianza. Inoltre, l'avvertimento previsto dall'art. 64 è posto a pena di inutilizzabilità e l'estensione analogica di tale fattispecie si scontra con il principio di tassatività che presiede a tale causa di invalidità. La Cassazione non ha condiviso la soluzione della Corte costituzionale ed ha affermato che l'avverti mento non deve essere rivolto all'imputato concorrente nel medesimo reato che sia esaminato nel procedi mento riunito o separato. Si veda, per tutte, la sentenza della Cass., sez. II, 25 ottobre 2005, Piscopo, in Cass. pen., 2006, 4089. L'indirizzo in oggetto si fonda sul rilievo che la funzione dell'avvertimento è già assicurata dal fatto che le dichiarazioni vengono rese dall'esaminato, che è assistito dal difensore; questi lo consiglia nell'esercizio della facoltà di offrirsi all'esame. Secondo Cass., sez. I, 9 novembre 2007, C. e altro, in CED, 238702, l'avvertimento non deve essere rivolto al soggetto che renda dichiarazioni spontanee.
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dell'imputato può essere valutato dal giudice come "argomento di prova" (56); ciò vuoi significare che l'imputato può essere ritenuto non credibile. Infatti il silenzio può dimostrare che egli vuole nascondere qualcosa. Infine, l'imputato ha il privilegio di poter affermare di aver " sentito dire" qualcosa, senza essere vincolato alle condizioni di utilizzabilità poste dall'art. 195 ; infatti egli può non indicare la fonte (persona o documento) da cui ha appreso l'esistenza di un fatto. La sua dichiarazione per sentito dire può essere utilizzata (a differenza di quanto avviene per il testimone e le altre parti private) perché, « data la peculiare posizione di questo soggetto, è importante a più effetti acquisire tutto quanto sia venuto a sua conoscenza anche per via indiretta » (Relazione, cit.) . Ovviamente, non è detto che la dichiarazione sia ritenuta "attendibile" , poiché al giudice non è offerto il principale strumento di controllo, e cioè l'indicazione della fonte del sentito dire. c.
Le parti private diverse dall'imputato.
L'esame del responsabile civile, del civilmente obbligato per la pena pecuniaria e della parte civile, che non debba essere esaminata come testimone, si svolge con regole identiche a quelle che valgono per l'imputato, salvo un particolare. Se le parti private diverse dall'imputato affermano di aver "sentito dire", valgono le ordinarie condizioni di utilizzabilità previste dall'art. 195 . il regime ordinario dell'esame delle parti comporta che i soggetti menzio nati siano esaminati soltanto se richiedono l'esame o vi consentono; essi non hanno l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. Il loro interesse meramente civilistico rispetto all'esito del procedimento penale è ritenuto essere identico all'interesse dell'imputato ad evitare la pena. Occorre sottolineare che la parte civile, quando è chiamata a testimoniare, è obbligata a deporre in tale qualità e non come parte privata; di conseguenza, assume l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. Il legislatore ha ritenuto che « la rinuncia al contributo probatorio della parte civile costituisca un sacrificio troppo grande nella ricerca della verità processuale » (Relazione al progetto preliminare, 62) (57 ) . (56) Relazione al progetto preliminare, 64. (57) La scelta del legislatore riveste una notevole importanza teorica; dimostra che il disinteresse e la terzietà non sono requisiti indispensabili per assumere la qualità di testimone; quest'ultimo ben può essere parziale, e tuttavia è tenuto a dare un contributo conoscitivo con l'obbligo penalmente sanzionato di dire il vero; pertanto il suo interesse "civilistico" all'esito del procedimento penale deve soccombere. L'esame incrociato serve, per l'appunto, al fine di valutare quanto un testimone sia stato condizionato dal proprio interesse nel riferire i fatti dei quali è venuto a conoscenza. Ci pare giusto ciò che la Relazione afferma, sia pure a proposito dell'art. 197: << l'interesse di un soggetto in ordine all'oggetto del processo non deve essere, di per sé, motivo di esclusione della sua testimonianza, ma può solo costituire uno dei tanti elementi di giudizio di cui il giudice si deve awalere nell'apprezzare l'attendibilità della prova >>. 10
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n contributo probatorio dell'imputato tra diritto al silenzio e diritto a confrontarsi con l'accusatore.
Prima di esporre la normativa che concerne l'esame dell'imputato connesso e collegato, così come è stata regolamentata dalla legge n. 63 del 200 1 , riteniamo utile offrire una introduzione che consenta al lettore di inquadrare il problema sotto un profilo storico. I sistemi processuali hanno escogitato soluzioni differenti per acquisire il sapere della persona imputata nel processo penale. In estrema sintesi, vi sono due posizioni opposte. Nel sistema inquisitorio l'imputato ha l'obbligo di rispondere secondo verità; alle sanzioni conseguenti al falso si aggiunge l'uso della tortura. Nel sistema accusatorio l'imputato non può mai essere costretto a testimoniare; ancora di più, egli ha il diritto di restare in silenzio anche di fronte alla polizia e alla pubblica accusa, oltre che di fronte al giudice. Ma poiché una forma di manifestazione del diritto difesa è la rinuncia al silenzio, sia pure con il massimo delle garanzie, si permette all'imputato di offrirsi come testimone volontario soltanto davanti al giudice; owiamente, in tal caso il contraddittorio impone che sia tutelato il diritto alla prova spettante alla pubblica accusa e all'imputato concorrente nel medesimo reatd o in un fatto inscindibile. Pertanto costoro possono contro-esaminare l'imputato che si è offerto come testimone. Vi è un bilanciamento: l'imputato ha il diritto "naturale" di confron tarsi con l'accusatore e di ottenere che costui risponda con un obbligo di verità tutelato penalmente in modo adeguato. n sistema misto di origine napoleonica risolve il problema con il solito compromesso. L'imputato diventa assolutamente incompatibile con la qualità di testimone, nel senso che non può neanche offrirsi volontariamente in tale ruolo davanti al giudice; ma l'incom patibilità di regola vale soltanto nel proprio procedimento penale. n suo diritto al silenzio è tutelato parzialmente attraverso la assoluta incompatibilità a testimoniare; tuttavia l'im putato non è awisato di tale diritto e non è garantito quando è interrogato dalla polizia, dal pubblico ministero e dal giudice; al punto che soltanto una evoluzione garantista del sistema misto riconosce all'imputato il diritto di essere assistito dal proprio difensore, che tuttavia non può porre domande né al proprio assistito né all'accusatore. In Italia abbiamo conosciuto la tortura dell'imputato al momento in cui era vigente il sistema inquisitorio; ricordiamo ancora ciò che ha scritto Cesare Beccaria contro tale prassi: allora le sue parole si sono diffuse in tutti i paesi civili e, in alcuni di essi, hanno ottenuto che l'istituto fosse abolito. Il legislatore italiano del 1930 ha accolto il sistema misto ma ha aggravato il fragile compromesso su cui si basava la soluzione napoleonica perché ha ampliato oltre misura i casi di connessione. Al momento della elaborazione del codice del 1988 il legislatore ha mantenuto la soluzione tipica del sistema misto probabilmente per inerzia; in più, quel codice ha introdotto la totale inutilizzabilità delle dichiarazioni rese, prima del dibattimento, dall'imputato concorrente e da quello connesso e collegato. Ad un eccesso di garanzie si è accompagnata la mancata tutela del diritto a confrontarsi con l'accusatore quando questi è, a sua volta, imputato. La legislazione successiva al codice. Una forma di compromesso così sbilanciata non ha retto; tra il 1992 ed il 1998 la Corte costituzionale ed il Legislatore hanno
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adottato soluzioni opposte, ampliando o restringendo, con alterne vicende, i limiti di utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni. Soltanto nel 1999 il Parlamento ha intro dotto, tra i princìpi del giusto processo, il diritto dell'imputato di confrontarsi con « le persone che rendono dichiarazioni a suo carico » (art. 1 1 1 comma 3 ) . Poteva essere l'occasione per accogliere la soluzione della testimonianza volontaria dell'imputato, che è tipica del sistema accusatorio e che vige nell'ordinamento angloamericano. Ed invece, la forza della tradizione, unita a posizioni corporative espresse dagli avvocati e dai magistrati del pubblico ministero, hanno prodotto, con la legge l o marzo 200 1 n. 63 , un istituto complesso, che appare difficile da gestire nella pratica. In sintesi, la legge ha conservato in favore dell'imputato e dell'imputato concor rente nel medesimo reato (art. 12 lett. a) una assoluta incompatibilità a testimoniare (art. 1 97 lett. a) , impedendo a costoro di assumere volontariamente il ruolo di testimone. Ma la medesima legge ha introdotto anche una forma di testimonianza coatta a carico degli imputati che sono accusati di aver commesso un reato connesso (art. 12 lett. c) o collegato (art. 3 7 1 comma 2 lett. b); costoro hanno l'obbligo di testimoniare se hanno reso dichiarazioni « su fatti che concernono la responsabilità di altri ». In verità, il legislatore ha tentato di evitare che che il carattere coatto della testimonianza fosse palese: a tal fine, ha imposto che gli imputati fossero previamente avvisati delle possibili conseguenze delle dichiarazioni sul fatto altrui (art. 64 comma 3 lett. c). La sede nella quale, in prima battuta, tale avvertimento viene rivolto è l'interrogatorio dell'indagato nel proprio procedimento. Ciò premesso, è giunto il momento di esporre la normativa vigente.
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L'esame di persone imputate in procedimenti connessi.
I contributi probatori dell'imputato connesso o collegato. L'imputato connesso o collegato può dare quattro tipi di contributi probatori in dibatti mento. Ciascuno di essi deve essere esaminato distintamente, poiché ha un differente regime normativa (v. tav. 2 .4 .2 ) . I tipi di contributi sono i seguenti: l ) esame degli imputati concorrenti nel medesimo reato e situazioni assimilate; 2 ) esame degli imputati collegati o connessi teleologicamente; 3 ) testimonianza assistita degli imputati "giudicati" ; 4) testimonianza assistita prima della sentenza irrevocabile. Possiamo definire "imputato connesso o collegato" l'imputato di quel procedimento che ha, rispetto al procedimento principale, un rapporto di connessione (art. 12) o di collegamento probatorio (art. 3 7 1 comma 2 lett. b) a prescindere dalla circostanza che i rispettivi procedimenti siano riuniti o separati. L'esame di tali soggetti rinviene la sua disciplina nell'art. 2 10, che predispone una duplice regolamentazione, in ragione del tipo di connessione che intercorre tra i procedimenti (58) . (58) Ci corre obbligo di precisare che la materia, che stiamo per esporre, si trova collocata nel codice all'interno del capo relativo all"'esame delle parti" (da noi già trattato supra). Abbiamo tuttavia preferito procedere, in questa sede, ad una analisi eparata dell'istituto in oggetto (art. 2 10) perché riteniamo che la
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l ) L'esame degli imputati concorrenti nel medesimo reato (art. 12, lett. a). Il codice detta una disciplina apposita per l'imputato di un procedimento connesso nelle ipotesi di concorso nel medesimo reato e situazioni assimilate (art. 12, lett. a: cooperazione colposa o unico evento causato da condotte indipendenti di più persone). Tale soggetto, che d'ora in poi chiameremo "imputato concorrente" , è incompatibile con la qualifica di testimone, fino a che nei suoi confronti non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (art. 197 lett. a). Possiamo fare l'esempio di A e B imputati di aver commesso il furto di una autovettura in concorso tra loro. In linea generale l'imputato concorrente gode delle stesse garanzie che sono riconosciute all'imputato principale. Tuttavia, si è tenuto conto che egli è chiamato a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui; sotto questo profilo, peraltro limitato, l'imputato concorrente viene assimilato al testimone perché ha l'obbligo di presentarsi (art. 2 1 0 comma 2) (59). Per tutto il resto, egli è assimilato alla figura base dell'imputato. In quanto tale, ha il diritto di non rispondere e la facoltà di mentire impunemente; inoltre, deve essere assistito da un difensore. Ove non sia presente il difensore di fiducia, deve essere designato un difensore d'ufficio (art. 2 10, comma 3 ) (60). Disciplina codicistica. Può essere utile esaminare nel dettaglio la disciplina che si ricava dal codice. L'imputato del procedimento connesso (B) è sottoposto complessità della regolamentazione predisposta dalla legge n. 63 abbia conferito a tale mezzo di prova una piena autonomia concettuale rispetto all'esame delle parti private. È appena il caso di precisare che ai fini della disciplina dell'esame dell'imputato connesso non rileva quella connessione che è disciplinata dall'art. 12, lett. b (concorso formale di reati e reato continuato) . Per sua co struzione logica, infatti, tale ipotesi postula l'esistenza di una pluralità di procedimenti a carico di un unico
imputato. (59) La disciplina in oggetto si applica sia all'imputato connesso in un procedimento separato, sia al coimputato nel medesimo procedimento, che abbia reso dichiarazioni sul fatto altrui. Con la sentenza n. 361 del 1998, infatti, la Corte costiruzionale aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 2 1 0 nella parte in cui non ne era prevista l'applicazione anche all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri, già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni. Successivamente alla riforma del 2001 tale estensione è stata confermata da Corte cost. n. 197 del 2009. Richiamando la precedente pronuncia, il Giudice delle leggi ha affermato che una diversa soluzione determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento del coimputato rispetto all'imputato in un separato procedimento connesso. Tali soggetti si trovano in una situazione sostanziale identica, dal momento che entrambi vengono chiamati a deporre sul fatto altrui. La riunione o la separazione dei procedimenti vengono disposte per motivi meramente processuali e occasionali che non incidono su detta situazione sostanziale. Pertanto, una differente disciplina in relazione all'esame dei due soggetti risulterebbe irragionevole. (60) In giurisprudenza è discusso se l'imputato connesso abbia diritto di essere ammesso al patrocinio per i non abbienti. In senso affermativo, si sono pronunciate Cass. , sez. III, 1 1 gennaio 2002 Galati, in Giur. it. , 2002, II, 1670 e Cass., sez. III, 1 1 giugno 2002 Viti, in Cass. pen., 2003, 1589. La Suprema corte ha sottolineato che, in base alla nuova disciplina introdotta con la legge 29 marzo 200 1 , n. 134 (e successivamente recepita dall'art. 75 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 1 15), l'ammissione al patrocinio è valida per tutte le eventuali procedure, derivate ed incidentali, comunque connesse. In senso contrario, nella giurisprudenza di merito si è pronunciato Trib. S. Maria Capua Vetere, 5 novembre 2004, in Giur. mer. , 2005, 6 1 3 , sul rilievo che l'ammissione al gratuito patrocinio può essere disposta solo per il procedimento in cui il soggetto sia indagato o imputato, o altro avente diritto.
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all'esame senza che sia necessario il suo consenso (art. 2 10, comma l ) ; quello che conta è che l'esame sia stato chiesto da una delle parti del procedimento principale (A) o, nei casi previsti dalla legge, sia stato disposto d'ufficio dal giudice (es. , art. 1 95 ) . Pertanto, tale soggetto è obbligato a presentarsi per deporre nel procedimento principale (A) ; nel caso in cui non si presenti, il giudice ne ordina l'accompagnamento coattivo a mezzo della forza pubblica (art. 2 10, comma 2). Egli deve essere inserito nelle liste testimoniali almeno sette giorni prima dell'inizio del dibattimento, con l'indicazione delle circostanze sulle quali è chiamato a deporre (art. 468, mod. dalla legge n. 479 del l 999) . Inoltre, l'imputato concorrente è avvisato che ha la facoltà di non rispon dere, salvo che si tratti di una domanda sulla sua identità personale (art. 2 10, comma 4). Ancora, se l'imputato concorrente decide di rispondere, egli non ha l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. Può dire il falso senza incorrere nel delitto di falsa testimonianza perché, lo si ricorda, egli è incompatibile con il testimone (art. 1 97 ) . Gli altri reati commessi con false dichiarazioni (es. favoreggiamento) sono scusati, con il limite valido per l'imputato in base all'art. 3 84 comma l c.p.; e cioè restano punibili soltanto la calunnia e la simulazione di reato. Occorre sottolineare che la facoltà di non rispondere riguarda sia le domande sul fatto di reato addebitato all'imputato concorrente (B) , sia le domande su fatti commessi dall'imputato del procedimento principale (A) . L'imputato concorrente può tacere anche se la domanda non è suscettibile di assumere un significato autoincriminante, e cioè anche se dal fatto affermato potrebbe non emergere alcuna sua responsabilità penale. In tale situazione, l'imputato del procedimento principale (A) ha solo formalmente il diritto di controesaminare tale soggetto; costui può legittima mente rifiutarsi di rispondere a tutte o ad alcune delle domande e, comunque, può dire il falso anche se depone su di un fatto altrui (61 ) . 2 ) L'esame degli imputati collegati o connessi teleologicamente. L'art. 2 10, comma 6 stabilisce un regime peculiare per gli imputati connessi teleologicamente (art. 12, lett. c) (62) o collegati (art. 3 7 1 , comma 2 , lett. b) che « non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato » (63 ) . (61) All'esame s i applicano le disposizioni previste dagli articoli 194 (oggetto e limiti della testimo nianza), 195 (requisiti della testimonianza de relato), 498 (regole relative allo svolgimento dell'esame incrociato) e 499 (regole per l'esame testimoniale, soprattutto nella parte in cui prevede che le domande debbano avere ad oggetto fatti specifici). In relazione alle contestazioni che possono essere effettuate nel corso dell'esame, l'art. 2 10, comma 5 rinvia alla disciplina predisposta per l'esame testimoniale, e cioè all'art. 500. (62) Quale ipotesi di reato commesso per eseguire un altro reato (connessione teleologica) si può citare il furto di una autovettura e la rapina compiuta utilizzando la medesima autovettura. Tale rapporto si riscontra ampliando il caso citato in precedenza: da un lato, A e B imputati del furto di una autovettura e, da un altro lato, C imputato di aver commesso una rapina servendosi della autovettura rubata. (63) Occorre ricordare che tali soggetti, se hanno reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di
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I predetti imputati, sono avvisati che hanno la facoltà di non rispondere (art. 2 10, comma 4) e sono altresì avvertiti che, se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, assumeranno la qualifica di teste limitatamente a tali fatti (art. 64, comma 3 , lett. c) (64). A quel punto inizia l'escussione. L'imputato connesso teleologicamente o collegato ha facoltà di tacere e, se parla, non ha obbligo di verità. Tuttavia, se rende dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui, da quel mo mento egli diventa compatibile con la qualifica di testimone assistito limitata mente ai fatti dichiarati e deve rispondere su di essi con obbligo di verità (65 ) . La testimonianza assistita è una forma di testimonianza caratterizzata da particolari garanzie disciplinate dall'art. 1 97 -bis, tra le quali spicca l'assistenza difensiva e un peculiare atteggiarsi del privilegio contro l'autoincriminazione (v. in/ra, lett. g). n regime giuridico dell'esame su fatti diversi. Occorre adesso chiedersi quale sia il regime dell'esame in relazione ai fatti diversi da quelli oggetto delle altri, possono essere chiamati a deporre come testimoni assistiti (artt. 64, comma 3, lett. c e 197-bis). Si veda in/ra, par. f Merita precisare che le predette persone saranno sentite con il regime esaminato nel testo anche nell'ipotesi in cui abbiano reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui, se l'autorità che ba condotto l'interrogatorio ba omesso di rivolgere l'awiso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c. In sintesi è possibile affermare che in relazione agli imputati connessi o collegati l'esame ai sensi dell'art. 210 ba natura residuale, perché si rende applicabile in tutti i casi in cui tali soggetti non possono deporre come " testimoni assistiti" . (64) L'ultimo periodo dell'art. 2 10, comma 6 stabilisce che s e i soggetti i n discorso << non s i awalgono della facoltà di non rispondere assumono l'ufficio di testimone >> assistito. Si tratta di una disposizione di importanza centrale per stabilire lo status che il legislatore ha voluto predisporre. TI dettato letterale della norma risulta ambiguo e, nella pratica, ha dato luogo al formarsi di differenti orientamenti che hanno diviso i giudici di merito. In particolare, la norma a prima vista potrebbe ingenerare la convinzione che il solo fatto di non essersi awalsi della facoltà di tacere e di aver reso dichiarazioni, anche limitate alla propria responsabilità, comporti l'assunzione della qualifica di teste su ogni possibile oggetto dell'escussione. In tal senso, in dottrina, E. AMomo, Giusto processo, diritto al silenzio e obblighi di verità dell'imputato sul /atto altrui, in Cass. pen., 200 1 , 3598; G. CoNTI, Un freno alla facoltà di non rispondere per non vanificare il contraddittorio, in Dir. giust., 2001, 24, 3 12; SANTORO, Il cambio da coimputato a teste esalta il confronto, in Guida dir., 200 1 , n. 1 3 , 47. A nostro avviso, la questione si risolve ricorrendo all'interpretazione sistematica. La disciplina cardine per stabilire i diritti e gli obblighi degli imputati connessi teleologicamente o collegati non si rinviene esclusivamente nell'art. 2 10, comma 6. La "matrice" degli status dei dichiaranti è costituita dalla norma relativa alla incompatibilità a testimoniare. Ai sensi dell'art. 197 lett. b, l'incompatibilità viene meno soltanto se i predetti soggetti rendono dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui. Inoltre, essi possono deporre come testimoni esclusivamente in relazione a tali fatti. Pertanto, malgrado il tenore letterale dell'art. 2 1 0 comma 6, occorre concludere che l'imputato connesso teleologicamente o collegato matura la qualifica di teste assistito soltanto se rende dichiarazioni su fatti altrui e nei limiti dei fatti dichiarati. In dottrina, BruccHETTI, Le figure soggettive della legge sul giusto processo, in Dir. pen. proc. , 200 1 , p. 1277; C. CoNTI, Questioni controverse in tema di prova dichiarativa a quattro anni dalla legge n. 63 del 200 1 , in Cass. pen., 2005, 666; MAGI, Le figure normative del dichiarante: in particolare il testimone assistito, in Quest. giust., 2002, 1307 . (65) I l giudice farà leggere a l teste l'impegnativa a rispondere secondo verità nei limiti sopra precisati sulla base della formula contenuta nell'art. 497, comma 2. L'istituto della testimonianza assistita (art. 197-bis, comma 2) sarà oggetto di apposita trattazione in/ra. Nell'esempio che abbiamo fatto in precedenza, A può aver decritto la ideazione della rapina da parte di C; oppure, C può aver ammesso di aver utilizzato l'auto rubata da A.
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precedenti dichiarazioni su fatti altrui. el concetto di "fatti diversi" rientrano sia quei fatti che non concernono la responsabilità altrui, perché sono "propri" o riguardano accadimenti "neutri"; sia quei fatti altrui sui quali l'imputato non abbia ancora reso dichiarazioni. In tutti questi casi resta fermo il meccanismo consueto, imposto dalla incompatibilità a testimoniare (art. 197 , lett. b): l'im putato collegato o connesso teleologicamente mantiene il suo status originario, che consiste nella facoltà di tacere e di mentire impunemente. Tuttavia, se nel prosieguo dell'esame la predetta persona rende dichiarazioni che concernono fatti altrui, assumerà la qualifica di teste in relazione a tali fatti. Tale meccanismo opera per tutto il corso dell'esame. Ogni domanda su nuovi temi di prova concernenti la responsabilità altrui pone l'imputato connesso teleologi camente o collegato nell'alternativa tra tacere o rispondere. Una volta che abbia reso dichiarazioni su fatti altrui, egli è idoneo ad assumere la qualifica di testimone assistito. Può altresì accadere che, nel corso della deposizione, la persona sentita come teste assistito parli spontaneamente di fatti altrui " ulteriori" rispetto a quelli già dichiarati. In tal caso, riteniamo che essa conservi la qualifica di teste con tutti i relativi obblighi, dal momento che sta liberamente estendendo l'area dell'esame. La linea di discrimine. È necessario sottolineare che, in concreto, il discrimine tra l'area degli obblighi testimoniali e quella coperta dai privilegi riconosciuti dall'art. 2 1 0 deve essere individuato di volta in volta dal giu dice (66). Si tratta, necessariamente, di una distinzione piuttosto elastica, stante la vaghezza del concetto di "fatti concernenti la responsabilità altrui" . È chiara, allora, la natura estremamente variegata di quello status di imputato connesso teleologicamente o collegato, che segue le cadenze dell'oggetto delle dichiara zioni. Siamo in presenza di un "testimone ad intermittenza" . L'obbligo di verità e la facoltà di mentire impunemente si alternano nel corso dell'esame (67 ) . Per inciso, occorre segnalare che in ampia parte dipende dal pubblico ministero la formulazione dell'imputazione in modo da configurare un concorso di persone (art. 12, lett. a) oppure una connessione teleologica (art. 12, lett. c) . (66) Nel corso delle indagini la delimitazione è rimessa alla discrezionalità del pubblico ministero o della polizia giudiziaria. (67) La giurisprudenza ritiene valide quelle dichiarazioni che sono state rese da un soggetto compa tibile come testimone, erroneamente sentito in qualità di imputato connesso (art. 197 -bis). Riportiamo il seguente esempio. Nel procedimento a carico dell'imputato A, deve deporre B, anch'egli sottoposto a procedimento penale. TI giudice, per un errore di valutazione, ritiene che tra il procedimento a carico di A e quello a carico di B ci sia un legame di connessione teleologica e stabilisce che B sia sentito ai sensi dell'art. 2 1 0 in quanto incompatibile come testimone. Nel corso del giudizio di impugnazione la corte d'appello afferma, viceversa, che tra i due procedimenti non vi era alcun legame ed essi erano del tutto estranei tra loro. Le dichiarazioni rese da B, esaminato erroneamente nella qualità di imputato connesso anziché in quella, a lui spettante, di testimone, non risultano per questo affette da nullità o inutilizzabilità. Infatti, la nullità non è prevista da alcuna disposizione di legge e l'inutilizzabilità non scatta in quanto l'assunzione dell'atto, pur nel mancato rispetto delle formalità prescritte, non ha comportato la violazione di un esplicito o implicito divieto probatorio (caso tratto da Cass., sez. I, 1 8 dicembre 2000, Orofino, in Carr. pen., 2002, 1454).
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Ad esempio, se vuole che l'imputato diventi un testimone assistito per le dichiarazioni rese su fatti altrui, la pubblica accusa contesta il favoreggiamento, piuttosto che il concorso esterno nel reato commesso da altri. Viene da chiedersi come una disciplina così complicata da esporre anche in sede di analisi normativa astratta, possa trovare una soddisfacente applicazione nelle aule giudiziarie. È noto, infatti, che anche le distinzioni concettuali più chiare sono destinate ad essere sfumate nell'applicazione pratica (68). f.
D riscontro delle dichiarazioni rese dall'imputato connesso o collegato.
n legislatore impone che sia fatto un riscontro particolarmente accurato delle
dichiarazioni rese dall'imputato connesso o collegato e, come vedremo tra breve, dal testimone assistito. Per "riscontro" si intende comunemente il controllo di attendibilità di una dichiarazione; sotto questo profilo, tutte le dichiarazioni rese nel corso del procedimento penale devono essere sottoposte ad un riscontro che potremmo definire di "tipo originario" . Si tratta di vedere se i fatti che sono stati affermati dal dichiarante trovino conferma negli altri elementi raccolti; ciò fa parte del più generale obbligo di motivazione imposto al giudice. Infatti, ai sensi dell'art. 192 , comma l , il giudice deve valutare la prova « dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati » (69). L'obbligo del riscontro è posto dal codice in modo espresso come condizione per valutare le dichiarazioni rese sia dal coimputato del medesimo reato, sia dal l'imputato di un procedimento connesso o collegato probatoriamente (art. 37 1 , comma 2 , lettera b), a prescindere dal fatto che i relativi procedimenti siano riuniti o separati. Il medesimo obbligo di riscontro è posto per il testimone assistito (art. 197-bis, comma 6). Il codice si esprime nel seguente modo (art. 1 92 , comma 3 ) : « le dichiarazioni (. .. ) sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità » (70) ». Si tratta di una regola giuridica di valutazione (68) Resta infine da precisare che la disciplina appena esposta deve ritenersi applicabile anche a quei soggetti che, nel corso delle indagini, abbiano reso dichiarazioni sul fatto altrui ai sensi dell'art. 64, comma 3, lett. c. Sui fatti oggetto delle precedenti dichiarazioni essi sono compatibili con la qualifica di teste (art. 197, lett. b); pertanto possono essere citati per deporre ai sensi dell'art. 197-bis. Sui fatti diversi, sono ancora incompatibili con la qualità di testimone e, conseguentemente, sono sentiti come imputati connessi (art. 2 10, comma 6). Pertanto saranno avvertiti della facoltà di non rispondere e riceveranno nuovamente l'avviso previsto dall'art. 64, comma 3 , lett. c. L'esame seguirà le cadenze che abbiamo prospettato supra. (69) Quando il dichiarante ha un interesse personale in relazione all'oggetto del procedimento (e cioè, l'esito dello stesso può arrecargli un vantaggio o uno svantaggio), il riscontro dovrebbe essere fatto con particolare attenzione. Ad esempio, la giurisprudenza prescrive che sia fatto un riscontro delle dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato, anche se poi lo limita ad un controllo di mera affidabilità interna della deposizione. (70) Relazione al prog. prel., pag. 6 1 : << si è ritenuto di formulare la norma in chiave di regola di valutazione delle prove, escludendo così che le dichiarazioni del chiamante in correità possano qualificarsi ex lege come elementi probatori inutilizzabili ( . . . ). Ne deriva che l'omesso esame degli elementi capaci di offrire il riscontro alle dichiarazioni incriminanti si traduce in un difetto di motivazione, rilevabile anche davanti al giudice di legittimità >> a norma dell'art. 606, comma l , lett. e.
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della prova, dalla quale si ricava che le dichiarazioni degli imputati connessi o collegati possono essere valutate come prova soltanto se vi sono riscontri (7 1 ) . La ratio. La ragione del regime giuridico ricavabile dall'art. 1 92 , comma 3 sta nel fatto che l'imputato è la persona che ha, di regola, l'interesse più forte in relazione all'esito del procedimento penale; egli sarà toccato sia dalle misure cautelari nel corso del procedimento, sia dalle conseguenze sulla sua libertà e sul suo onore in caso di sentenza di condanna irrevocabile. Le dichiarazioni di un imputato connesso potrebbero essere finalizzate ad " alleggerire" la propria posizione. A causa di ciò, l'imputato ha un forte interesse a dire il falso, se del caso accusando altre persone, per ottenere un qualche vantaggio o, quanto meno, un minore svantaggio; inoltre, potrebbe avere motivi per vendicarsi di un complice per un comportamento da questi tenuto (72 ). Occorre sottolineare che il codice pone il riscontro come una condizione per l'impiego della dichiarazione del coimputato, senza tuttavia eliminare in alcun modo il libero convincimento del giudice; non afferma che, se il riscontro ha avuto esito positivo, il fatto affermato deve ritenersi "vero" . Al contrario, una volta che il riscontro abbia avuto un esito positivo, il giudice dovrà verificare se la dichiarazione può essere utile a ricostruire il fatto storico in un determinato modo. Quello che conta è che il riscontro deve essere effettuato con modalità rigorose. La motivazione della decisione deve dare atto del percorso logico seguito dal giudice. Gli altri elementi di prova. A questo punto, occorre precisare le caratteri stiche di questo riscontro. Esso è particolarmente accurato, perché il codice impone di valutare " altri elementi di prova " . Non occorre che essi siano tali da permettere di provare da soli il fatto affermato dal dichiarante; è sufficiente che gli altri elementi di prova siano tali da permettere semplicemente di affermare (7 1 ) M. NoBILI, sub art. 192 c.p.p. , in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. CHIAVARlO, vol. II, Torino, 1990, 4 18, costruisce la norma come una regola di esclusione che comporta il divieto indiretto di utilizzare le dichiarazioni predette ove non vi sia il riscontro. Di conseguenza, la inutilizzabilità potrebbe essere fatta valere con ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma l, lett. c, e sarebbe rilevabile anche d'ufficio (senza la necessità di essere oggetto di un autonomo motivo di ricorso: artt. 1 9 1 , comma 2 e 609, comma 2). Viceversa, la violazione delle regole di valutazione potrebbe essere soltanto motivo di ricorso ex art. 606, comma l, lett. e (mancanza o manifesta illogicità della motivazione). Sostiene che si tratti di un criterio legale di valutazione della prova P. FERRUA, Il giudizio penale: /atto e valore giuridico, in AA.Vv., La prova nel dibattimento penale, Torino, 2007, 333. L'Autore sottolinea infatti la differenza tra regole di esclusione e criteri di valutazione. Le regole di esclusione indicano un radicale divieto di valutazione di elementi acquisiti in modo illegittimo. Viceversa, i criteri legali di valutazione non vietano al giudice di valutare una determinata prova, bensì influiscono soltanto sul valore della prova fino ad annullarlo in assenza di alcuni requisiti. In tale ottica l'art. 192 comma 3 costituisce un criterio di valutazione, giacché non prevede un radicale divieto di utilizzazione, bensì si limita a stabilire che in assenza di riscontri le dichiarazioni di imputati connessi e testimoni assistiti "valgono zero". (72) Secondo la Relazione al progetto preliminare, 6 1 , le cautele in sede di valutazione imposte dall'articolo 192 sono dovute alla « attitudine (della prova proveniente da chi è coinvolto negli stessi fatti) ad ingenerare un erroneo convincimento giudiziale >>.
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l'attendibilità del dichiarante su quel determinato punto. Resta comunque il libero convincimento del giudice: accertata l'attendibilità della dichiarazione sulla esistenza di un fatto, ciò non vuoi dire che il dichiarante debba presumersi attendibile in tutte le altre dichiarazioni rese. Se fosse così, saremmo di fronte ad una "prova legale" ; ma ciò è escluso dalla regola posta espressamente dal codice nell'art. 192 , comma l . Può accadere che l'imputato ammetta l a propria responsabilità, indicando altri come colpevoli del medesimo fatto di reato. In tal caso si ha quella che comunemente viene definita " chiamata di correo" . Ma può anche accadere che un imputato (confesso o meno su di un fatto proprio), indichi un'altra persona come responsabile di un altro fatto di reato (cosiddetta dichiarazione accusa toria) . Tutte queste situazioni rientrano nel regime giuridico particolare regolato dall'art. 1 92 , commi 3 e 4. n riscontro intrinseco. n codice precisa che il riscontro deve avere ad oggetto " altri" elementi di prova; se ne ricava che gli elementi devono essere "esterni" (o " estrinseci" ) rispetto alla dichiarazione stessa. Ma la giurisprudenza ha dedotto una ulteriore conseguenza interpretativa. Ha così ragionato: se si è imposto il più (e cioè il riscontro esterno) , si è dato per scontato che debba essere fatto il meno (e cioè, il riscontro interno alla medesima dichiarazione). Pertanto, oggetto della prima verifica deve essere la credibilità del dichiarante. La giurisprudenza afferma che la dichiarazione deve essere valutata al suo interno (riscontro intrinseco) al fine di controllare se essa è precisa, coerente in se stessa, costante, spontanea. Inoltre, si deve valutare la "genesi remota e prossima della decisione di confessare " . n riscontro estrinseco. n riscontro " esterno" può dirsi effettuato in modo pieno quando l'attendibilità della dichiarazione è dimostrata da altri elementi di tipo oggettivo. È necessario sottolineare che non sono sufficienti mere dedu zioni logiche; occorrono concrete circostanze fattuali. Il riscontro "esterno" può basarsi anche su dichiarazioni di altre persone, e cioè di altri testimoni o coimputati. La giurisprudenza riconosce che questo tipo di riscontro è ammesso, purché sia rispettata la caratteristica della " altruità" del l' elemento di prova. Pertanto le dichiarazioni altrui devono essere rigorosamente indipendenti da quella da riscontrare, e cioè non vi deve essere stato un accordo tra i dichiaranti; le altre dichiarazioni devono, a loro volta, essere riscontrate. Infine, ogni dichiarazione è frazionabile, e cioè deve essere riscontrata per ogni fatto asserito e per ogni soggetto indicato come responsabile. Alcune sentenze affermano che è necessaria una conferma di attendibilità per ciascuna delle dichiarazioni accusatorie del dichiarante e per ciascuno degli accusati (c.d. riscontro individualizzante) (73 ) . (73 ) Riepilogando: sulla base di quanto previsto dal codice, riscontro può essere definito quell'ele· mento di prova che serve a confermare la attendibilità di una dichiarazione. TI riscontro deve essere
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La testimonianza assistita.
Considerazioni generali. Come abbiamo accennato, la legge n. 63 del 2001 ha ridotto l'area della incompatibilità a testimoniare delle persone imputate in un procedimento connesso o collegato ed ha previsto speciali garanzie per i soggetti che sono costretti a deporre. All'uopo ha introdotto nel nostro ordi namento un nuovo istituto, che è denominato "testimonianza assistita" (art. 197-bis) . L'imputato è sentito con l'assistenza obbligatoria del proprio difensore di fiducia o d'ufficio, in ragione del collegamento tra il reato, che gli è addebitato, e quello che è oggetto del procedimento nel quale è chiamato a deporre (7 4 ) . n legislatore h a introdotto due categorie di testimonianza assistita (v. tav. 2 .4.2 ) . La prima scatta dopo che è concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico dell'imputato collegato o connesso di qualsiasi tipo (art. 197-bis, comma 1 ) . L a seconda categoria opera quando non è ancora concluso con sentenza irrevocabile il procedimento a carico dell'imputato collegato o connesso teleo logicamente (artt. 3 7 1 , comma 2, lett. b e 12, lett. c) . Tali soggetti possono deporre come testimoni se hanno reso « dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri » (art. 64, comma 3 , lett. c) . La compatibilità con la qualifica di teste è limitata alla deposizione sui fatti altrui già dichiarati. Si tratta di una compatibilità parziale e condizionata (art. 197 , lett. b) . N eli' elencazione riprendiano la successione dei contributi probatori dell'imputato connesso così come l'abbiamo tracciata nel precedente § 3 , lett. e. Abbiamo già esposto la regolamentazione dell'esame dell'imputato concorrente ( l ) e dell'imputato col legato o connesso teleologicamente (2) . Completiamo adesso l'analisi degli ulteriori contributi probatori dell'imputato connesso o collegato, quando viene sentito come testimone assistito. 3 ) La testimonianza assistita dell'imputato "giudicato". n primo tipo di testimonianza assistita è quella che viene resa dall'imputato dopo che la sentenza, che lo riguarda, è diventata irrevocabile, sia essa una sentenza di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento. L'imputato giudicato può essere « sempre » chiamato (art. 1 97-bis, comma l ) come testimone assistito in un procedimento collegato o connesso, anche se non ha mai reso dichiarazioni su fatti altrui o non ha ricevuto l'avviso previsto dall'art. 64, comma 3 , lett. c (75) . In questo caso individualizzante, e cioè deve dimostrare la attendibilità della dichiarazione nella parte in cui addebita la responsabilità di un reato all'imputato connesso o collegato. (7 4) È discusso nella giurisprudenza di merito se i testimoni assistiti possano essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, stante la formulazione del ricordato art. 75 T.U.S.G. che pare riferirsi esclusivamente agli imputati in senso stretto. La soluzione favorevole alla ammissione di tali soggetti è stata accolta da Trib. Roma, 24 maggio 2005, Marocchi, in Cass. pen., 2005, 2744. (75) Così Cass., sez. VI, 6 novembre 2006, Simonetti, in Cass. pen., 2008, 2028; Cass., sez. I, 9 maggio
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l'imputato connesso o collegato "giudicato" è testimone "permanente" . Infatti, l'obbligo di rispondere secondo verità non è limitato al fatto altrui su cui ha già reso dichiarazioni. Egli potrà essere esaminato anche su fatti ulteriori rispetto a quelli già dichiarati ed anche sul fatto proprio (76). Nel corso della deposizione egli gode del normale privilegio contro l' autoincriminazione, predisposto dall'art. 198, comma 2 , in relazione ad ulteriori reati che abbia commesso. Tale norma è applicabile in quanto rientra nella disciplina generale relativa alla testimonianza. Viceversa, il testimone assistito "giudicato" di regola non gode di alcun privilegio contro l' autoincriminazione sul fatto proprio coperto dalla sentenza irrevocabile. Evidentemente il legislatore ritiene che l'interesse difensivo si sia affievolito, poiché è operante l'efficacia preclusiva del ne bis in idem (art. 649) . Tuttavia in un caso almeno il legislatore tutela un interesse del dichiarante: questi, quando è stato condannato con sentenza irrevocabile, gode del privilegio sul giudicato se nel procedimento originario aveva negato la sua responsabilità (anche rendendo dichiarazioni) o non aveva reso alcuna dichiarazione (art. 1 97bis, comma 4, primo periodo) (77 ) . In questa ipotesi il privilegio contro l'au toincriminazione è posto a presidio dell'onore del condannato. È ovvio che in tal caso non è tutelato il diritto dell'accusato a confrontarsi con il suo accusatore. Quale ulteriore garanzia, riconosciuta a tutti coloro che depongono come testimoni assistiti, l'art. 1 97 -bis, comma 5 stabilisce che le dichiarazioni rese da costoro « non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel 2006, A., in Cass. pen., 2007, 4261 ; Cass., sez. VI, 7 maggio 2003, Brambilla, in Cass. pen., 2005, 557; Cass., sez. VI, 4 aprile 2003 , Vitale, in Cass. pen., 2004, 2963. (76) Secondo Cass., sez. VI, 7 febbraio 2007, in CED Cass. , 235922, è configurabile il delitto di falsa testimonianza nei riguardi di chi, già imputato in procedimento connesso o collegato definito con sentenza irrevocabile, abbia deposto senza la dovuta assistenza del difensore. (77) Si veda Trib. Milano, sez. VIII penale, 24 aprile 200 1 , Beraldi e altri, in Foro ambr. , 200 1 , 360: « la norma di cui al comma 4 dell'art. 197 -bis c.p.p. riconosce testualmente l'esenzione dall'obbligo di deporre solo a favore dei soggetti "per i quali è stata pronunziata in giudizio sentenza di condanna". Come risulta evidente dalla lettera della norma ed è altresì confermato dall'esame dei lavori preparatori, il riferimento alle sentenze di condanna pronunziate "in giudizio" vale ad escludere l'operatività del diritto al silenzio nei confronti di coloro che abbiano riportato sentenze di applicazione (della) pena ai sensi dell'art. 444 e ss. c.p.p. >>. La disciplina appena esposta ha dato luogo a dubbi di costituzionalità. Tuttavia, con ordinanza 28 dicembre 2007, n. 456, in Giur. cast. , 2007, 4920, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di incostituzionalità dell'art. 197 -bis comma 4 nella parte in cui non riconosce il privilegio al soggetto che ha patteggiato quando questi nel procedimento a suo carico aveva negato la propria responsabilità o non aveva reso alcuna dichiarazione. A parere della Consulta, l'imputato, nell'optare per il rito alternativo è posto ex ante nella condizione di apprezzare le conseguenze che scaturiscono da tale scelta, tra le quali, appunto, anche quella di non essere esonerato dal deporre come teste in altri processi, anche se strettamente collegati a quello per il quale ha subito la applicazione della pena. Resta, tuttavia, problematico negare ai soggetti in parola, che si trovino a rendere false dichiarazioni al fine di tutelare il proprio onore, l'applicazione della scusante prevista dall'art. 384, comma l, c.p. Secondo Trib. Genova, 16 settembre 2006, in Corr. mer. , 2007, 761, nel caso in cui si proceda per il reato di false informazioni al pubblico ministero, non è punibile la persona, imputata in un procedimento connesso che abbia già definito la propria posizione processuale con sentenza di patteggiamento passata in giudicato, che sia stata sentita ai sensi dell'art. 197-bis nell'ambito del procedimento a carico degli originari concorrenti, allorché le dichiarazioni false o reticenti siano giustificate dall'esigenza di salvare il proprio onore ai sensi dell'art. 384 c.p.
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procedimento a suo carico, nel procedimento di revlSlone della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette » (78) . Infine, l'art. 1 97 -bis comma 6, mediante un richiamo all'art. 192 comma 3 , stabilisce che le dichiarazioni dei testi assistiti sono utilizzabili soltanto in presenza di riscontri che ne confermino l'attendibilità. La necessità dei riscontri è imposta dal legislatore perché gli imputati connessi o collegati sono ritenuti poco affidabili: nonostante la sentenza irre vocabile, è ancora forte l'interesse a mentire che deriva dal legame tra il processo a loro carico (ormai concluso) e quello nel quale sono chiamati a deporre (79). L'imputato assolto con sentenza irrevocabile "per non aver commesso il fatto". Fino al 2006 la disciplina appena esposta si applicava a tutti gli imputati
nei cui confronti fosse intervenuta sentenza irrevocabile, anche di assoluzione. Con la sentenza 2 1 novembre 2006 n. 3 8 1 (80), tuttavia, la Corte costituzionale ha affermato che l'imputato assolto con sentenza irrevocabile "per non aver com messo il fatto " deve essere trattato in modo simile al testimone comune. Ad avviso del Giudice delle leggi, infatti, l'assoluzione irrevocabile con formula piena pro clama la totale estraneità del soggetto rispetto al fatto, resa ancor più stabile dal principio del ne bis in idem, in base al quale il processo non potrà più essere riaperto (art. 649). In conseguenza della dichiarazione di illegittimità dei commi 3 e 6 dell'art. 1 97 -bis l'imputato, assolto con sentenza irrevocabile "per non aver commesso il fatto" , deve essere esaminato quale testimone senza l'assistenza di un difensore e senza che sia indispensabile acquisire un riscontro esterno (81). (78) La Cassazione h a sottolineato che la sanzione dell'inutilizzabilità è prevista solo nel caso in cui di queste dichiarazioni si faccia uso contro la persona che le ha rilasciate. Si veda Cass. , sez. Il, 7 luglio 2004, Ambrosia; Cass., sez. VI, 26 novembre 2007, F., in CED Cass. , 238720 che sulla base di tale rilievo ha ritenuto utilizzabili ai fini delle misure cautelari le dichiarazioni rese da un coindagato senza l'assistenza del difensore. (79) La giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di cimentarsi in più tempi sul quantum di riscontri necessario in relazione alla qualifica del dichiarante (Cass. , sez. V, 10 aprile 2006, Brancatelli e altri, in Guida dir. , 2006, 25, 95 ) . Da qualche giudice di merito si era prospettato, infatti, che la qualità di testimone assistito, con il relativo obbligo di verità, rendesse meno p regnante l'obbligo del riscontro delle dichiarazioni (Ass. Palermo, sez. IV, 18 aprile 2007, R. e altro, in Giur. merito 2008, 2607 ). Secondo Cass., sez. Il, 3 maggio 2005, in Foro ambrosiano, 2005, 298, una simile distinzione sarebbe non soltanto arbitraria (in forza del brocardo ubi !ex non distingui! nec nos distinguere debemus), ma anche priva di qualsiasi logica e coerenza sistematica, posto che la valutazione di attendibilità presuppone verifiche variabili che non possono porsi in rapporto esclusivo con le qualità processuali del dichiarante, ma devono tener conto di tutta l'ampia e innominata gamma dei parametri (anche di ordine logico) che possono fungere da criteri di apprezzamento dei riscontri esterni del narrato. Sotto un differente profilo, la Suprema Corte ha chiarito che la dichiarazione liberatoria di un coimputato o di un testimone assistito non può costituire da sola prova nuova tale da giustificare una richiesta di revisione, dal momento che occorre la presenza di riscontri: Cass., Sez. I, 4 aprile 2007, P., in Cass. pen. , 2008, 2979. (80) In Guida dir. , 2006, 46, 75, con nota di G. FRIGO, e in Dir. pen. proc. , 2007, 3 16, con nota di C. CoNTI. ( 8 1 ) La Corte costituzionale ha richiamato, senza smentirla, la precedente ordinanza 2 luglio 2004, n. 265, in Giur. cast. , 2004, 2704, con la quale aveva esaminato, sotto un profilo identico, l'ipotesi dell'imputato
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Occorre peraltro tenere presente che nei confronti dell'assolto con formula piena resta comunque operativa la garanzia stabilita dall'art. 1 97 -bis comma 5 , in base al quale le dichiarazioni non sono utilizzabili contro colui che le h a rese in qualunque processo civile o amministrativo relativo ai fatti oggetto della sentenza irrevocabile. Infatti, la Corte non ha esteso la declaratoria a tale disposizione (82). 4) I testimoni assistiti prima della sentenza irrevocabile. Esaminiamo adesso la seconda categoria di testimonianza assistita, che concerne soltanto l'imputato collegato o quello connesso teleologicamente, prima che nei loro confronti sia intervenuta la sentenza irrevocabile (artt. 3 7 1 , comma 2, lett. b e 12, lett. c) (83 ) . Occorre precisare in presenza di quali presupposti scatti l'obbligo di deporre come testimone. In primo luogo, è necessario che l'imputato sia stato ritualmente avvisato che « se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà ( . . . ) l'ufficio di testimone » (art. 64, comma 3 , lett. c) (84 ) . Per /atto altrui s i deve intendere un "fatto che concerne la responsabilità" di altri per un reato connesso o collegato (ai sensi degli artt. 12, lett. c e 37 1 , comma 2 , lett. b) con quello addebitato al dichiarante (art. 64, comma 3 , lett. c) . In secondo luogo, una volta avvertito, l'imputato collegato o connesso tele ologicamente deve aver reso dichiarazioni su un fatto altrui. È sufficiente che l'imputato abbia reso una dichiarazione su di un "fatto che concerne la respon sabilità di altri" per un reato collegato o connesso teleologicamente (artt. 12, lett. connesso per concorso nel medesimo reato, nei cui confronti fosse stata emessa sentenza irrevocabile di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444. In tale occasione, il Giudice delle leggi aveva ritenuto infondata la questione di costituzionalità dell'art. 197-bis comma 6, nella parte in cui stabilisce l'obbligo dei riscontri, sul rilievo che la previsione di varie tipologie di dichiaranti nel processo penale (dal testimone comune all'imputato connesso concorrente nel medesimo reato) si basa su di un principio di graduazione che muove dai diversi << stati di relazione >> rispetto ai fatti oggetto del procedimento. Ebbene, ad awiso della Corte costituzionale, la sentenza irrevocabile di patteggiamento non è idonea a rescindere ogni legame tra il soggetto e il processo nel quale è chiamato a deporre, quanto meno nel caso di concorso nel medesimo reato. (82) L'interesse dell'assolto irrevocabile "per non aver commesso il fatto" è affievolito, ma non annullato. Si consideri la seguente ipotesi. Una signora, accusata dell'omicidio del proprio marito, è stata assolta con sentenza irrevocabile. Successivamente viene chiamata a deporre in qualità di testimone nel processo contro il sicario (art. 197-bis, comma 1 ) . Di fronte alla domanda se è stata lei la mandante dell'assassinio, la signora rifiuta di rispondere. Poiché ella non gode di alcun privilegio ai sensi dell'art. 197 -bis comma 4, è iniziato nei suoi confronti un processo per falsa testimonianza nella forma della reticenza. Nel processo la signora è stata prosciolta in applicazione dell'art. 384 comma l c.p. in base al quale non è punibile per falsa testimonianza colui che ha agito per salvare se stesso da un grave e inevitabile pregiudizio nella libertà o nell'onore (caso tratto da Trib. Genova, 14 ottobre 1997, Fortunato, in Cass. pen., 1998, 3419) . (83) Fanno parte d i questa categoria gli imputati collegati o connessi teleologicamente nei cui confronti sia stata pronunciata l'archiviazione al termine delle indagini o il non luogo a procedere al termine dell'udienza preliminare. (84) In proposito merita ricordare che l'art. 64, comma 3 -bis vieta espressamente di far assumere la qualifica di testimone assistito all'imputato connesso o collegato che ha reso dichiarazioni su fatti altrui in mancanza dell'awiso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c.
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c e 3 7 1 , comma 2 , lett. b) . In particolare non è necessario che l'imputato sia consapevole delle conseguenze accusatorie, derivanti dalla propria dichiarazione. L'imputato collegato o connesso teleologicamente prende l'impegnativa di deporre secondo verità (art. 497 ) , sia pure limitatamente al fatto altrui già dichiarato. Egli è assistito obbligatoriamente dal difensore di fiducia (o d'uffi cio) in ragione del collegamento tra il reato, che gli è addebitato, e quello che è oggetto del procedimento nel quale è chiamato a deporre. D fatto che concerne la responsabilità altrui. Ci si è chiesti se l'imputato, al momento della dichiarazione, sia in grado di riconoscere il fatto come "altrui" . Riteniamo che non sempre ciò sia possibile. Accade spesso che un fatto soltanto successivamente rilevi come circostanza a carico di altri; tale rilevanza poteva essere ignota ex ante a colui che ha reso la dichiarazione. A volte avviene che soltanto con il deposito degli atti il difensore si accorga della idoneità di una narrazione a coinvolgere altre persone; tale idoneità poteva essere imprevedibile nel momento in cui la dichiarazione era stata resa. Così può accadere che l'imputato renda dichiarazioni, che induttivamente sono rilevanti per accertare un fatto che riguarda la responsabilità di una persona. Il coinvolgimento può essere assolutamente imprevedibile, perché la rilevanza (accusatoria o liberato ria) potrebbe essere causata da fatti scoperti successivamente (85 ) . Possiamo ora esporre analiticamente l a disciplina delineata dall'art. 1 97 -bis in relazione alla categoria di testimone assistito qui oggetto di esame. In merito alla inutilizzabilità contra se delle dichiarazioni rese nel corso dell'esame ed alla disciplina dei riscontri, vale la stessa regolamentazione esposta supra in relazione ai testimoni assistiti "giudicati" (art. 197 -bzs, commi 5 e 6) (86) . Per quanto concerne il privilegio contro l'autoincriminazione, esso segue particolari cadenze che tengono conto dello status del dichiarante (87 ) .
(85) I n tal senso P . FERRUA, La dialettica Camera-Senato migliora il "giusto processo", i n Dir. giust., 200 1 , l , 8 1 ; C. CoNTI, Le nuove norme sull'interrogatorio dell'indagato (art. 64 c.p.p.), i n AA.Vv., Giusto processo, cit., 191. (86) Con l a già ricordata ordinanza 22 luglio 2004, n. 265, la Corte costituzionale ha affermato che non esiste una totale equivalenza delle figure del teste ordinario e del teste " assistito". Ad awiso della Corte, la norma che impone i riscontri trova la sua ratio fondante nella considerazione che chi è stato imputato in un procedimento connesso o collegato, anche dopo la sentenza irrevocabile, << non è mai completamente "terzo" rispetto alla imputazione cui la pena applicata si riferisce; l'originario coinvolgimento nel fatto lascia infatti residuare un margine di "contiguità" rispetto al procedimento, che si riflette sulla valenza probatoria della dichiarazione >>. << In questa prospettiva, l'assoggettamento delle dichiarazioni del "teste assistito" alla regola della necessaria " corroborazione" con riscontri esterni, di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., !ungi dal determinare un vulnus del principio di uguaglianza, si risolve in un esercizio - non irragionevole - della discrezionalità che al legislatore compete nella conformazione degli istituti processuali: e ciò tanto più a fronte del fatto che la regola censurata si inserisce in un più ampio "corpo" di garanzie - quali quelle delineate dallo stesso art. 197 -bis c.p.p. - che, ad onta del contrario awiso del giudice a qua, riflettendo anch'esse la particolare relazione che lega il dichiarante alla regiudicanda, fanno in via generale del "testimone assistito" una figura significativamente dif ferenziata, sul piano del trattamento normarivo, rispetto al teste ordinario >>. La Corte ha lasciato soltanto un minimo spazio al libero convincimento affermando che << la sussistenza o meno di un obbligo di verità del
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Un singolare privilegio. Inoltre, il legislatore ha riconosciuto al testimone assistito un privilegio singolare. Ai sensi dell'art. 1 97 -bis, comma 4, secondo periodo, essi possono non rispondere sui fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei loro confronti. L'ambito applicativo di tale facoltà richiede qualche precisazione. Poiché l'obbligo testimoniale è limitato ai fatti altrui già dichiarati (artt. 197, lett. b e 64, comma 3, lett. c) , l'unico caso in cui l'escussione del teste assistito può inerire alla propria responsabilità è l'ipotesi nella quale le precedenti dichiarazioni vertano su fatti inscindibili (88). È proprio in relazione a tale ipotesi peculiare che il legislatore ha riconosciuto al teste assistito la facoltà di non rispondere sul fatto proprio. Occorre concludere, allora, che quando i fatti sono inscindibili, la facoltà di non rispondere si estende inevitabilmente anche al fatto altrui (89) . Tuttavia, se il teste assistito decide di rispondere, egli ha un obbligo di verità penalmente sanzionato: in sostanza, perde la facoltà di mentire (90) . È necessario sottolineare un punto fondamentale: la disciplina appena esposta trova applicazione anche se i procedimenti connessi teleologicamente o collegati sono stati riuniti (art. 17). Infatti il codice non fa alcuna distinzione tra le due situazioni. Pertanto, quando il coimputato collegato o connesso teleolo gicamente ha reso dichiarazioni sui fatti altrui, su tali fatti egli è sentito come testimone assistito, anche se rende l'esame nel proprio procedimento (91). dichiarante potrà essere comunque opportunamente valorizzata dal giudice, in sede di determinazione dell'entità del riscontro esterno idoneo a confermare l'attendibilità della dichiarazione di cui si tratta >>. (87) Come awiene per tutti i testimoni, anche il testimone assistito ha un privilegio su ulteriori fatti di reato diversi da quelli oggetto del procedimento a suo carico (art. 198, comma 2). (88) Sul concetto d i "fatto inscindibile" e sulla disciplina ricavabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, si veda P. TONINI e C. CoNTI, Imputato "accusatore" ed "accusato" dopo la sentenza costituzionale n. 361 del 1 998, Appendice di Aggiornamento a AA.Vv., Le nuove leggi penali, Collana diretta da A. GJARDA, G. SPANGHER, P. TONINI, Padova, 2000, 28. (89) La Corte costituzionale, con ordinanza 26 giugno 2002, n. 291, in Dir. pen. proc. , 2002, 1213, ha ritenuto legittima la disciplina del privilegio contro l' autoincriminazione giustificandola con il fine di evitare che l'imputato di reato connesso o collegato che abbia assunto la qualità di testimone assistito si trovi costretto a rendere dichiarazioni autoincriminanti. (90) Cfr. C. CoNTI, L'esame di persona imputata in un procedimento connesso o collegato (art. 2 1 0), in AA.Vv., Giusto processo, cit., 335. Nell'esempio che abbiamo esposto qualche pagina addietro, A, imputato di furto dell'autovettura, viene sentito (ai sensi dell'art. 2 10, comma 6) nel processo contro C, imputato di rapina. Ad A viene chiesto se era a conoscenza che C era in ristrettezze economiche. È chiaro che una risposta del genere riguarda esclusiva mente la responsabilità di C; se A decide di parlare, diviene testimone assistito e deve rispondere secondo verità a ulteriori domande sul fatto altrui già dichiarato (art. 197-bis, comma 2). Si faccia adesso il caso che ad A sia chiesto se ha mai visto la macchina che C ha usato per la rapina. Se A risponde alla domanda (ai sensi dell'art. 2 10, comma 6), si troverà a rendere una dichiarazione che concerne contemporaneamente la propria e l'altrui responsabilità. Dopo aver risposto, A potrà essere chiamato come testimone assistito (art. 197-bis, comma 2), ma potrà tacere su ulteriori domande che riguardano tale tema di prova, e cioè l'auto rubata (art. 197-bis, comma 4, secondo periodo). (91) Con il termine " coimputato" ci riferiamo all'imputato nel procedimento riunito, a prescindere dal tipo di connessione o di collegamento che esiste tra i reati addebitati a ciascuno dei "coimputati" .
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La deposizione degli indagati o imputati connessi in caso di archiviazione o di non luogo a procedere. L'art. 197, lettere a e b, si riferisce testualmente agli
"imputati" connessi o collegati. Tuttavia, tale norma deve essere estesa agli indagati in forza dell'art. 6 1 , che prevede la cd. clausola di equiparazione tra imputato e indagato. L'art. 197, lettere a e b, peraltro, non menziona la sentenza di non luogo a procedere né l'archiviazione tra i provvedimenti che determinano la cessazione dell'incompatibilità a testimoniare. Pertanto, valgono le regole generali sulla prova dichiarativa per quegli indagati nei confronti dei quali sia stato pronun ciato un provvedimento di archiviazione o di non luogo a procedere per un reato connesso o collegato a quello per cui si procede. Ne deriva che gli indagati connessi per concorso nel medesimo reato (art. 12, lett. a), che siano stati oggetto di archiviazione o sentenza di non luogo a procedere, sono radicalmente incompatibili con la qualifica di teste e sono esaminati ai sensi dell'art. 2 10, comma l . Viceversa, gli indagati collegati o connessi teleologici, che siano stati oggetto di archiviazione o non luogo a procedere, sono compatibili come testimoni nei limiti dell'art. 64, comma 3 , lett. c, come si ricava dal rinvio operato dall'art. 1 97 , comma l , lett. b. Di conseguenza, essi sono sentiti come testimoni assistiti se hanno reso dichiarazioni sul fatto altrui precedute da rituale avvertimento ex art. 64, comma 3 , lett. c. In caso contrario, essi sono esaminati ai sensi dell'art. 2 10, comma 6. Contrasto giurisprudenziale. La presente soluzione interpretativa, da noi condivisa, ha trovato accoglimento da parte della Corte costituzionale in relazione al provvedimento di archiviazione (92). (92) L a Corte costituzionale (ord. 2 7 marzo 2003, n . 76, i n Guida dir. , 2003, 1 7 , 5 2 , e in Cass. pen. , 2003, 2626) ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione d i legittimità costituzionale dell'art. 197-bis commi l e 5 (sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.) nella parte in cui non prevede che possa essere sentita come testimone la persona nei cui confronti sia stato pronunciato un prowedimento di archiviazione per un reato connesso o collegato a quello per cui si procede. Il Giudice delle leggi ha affermato che << al di là delle peculiari situazioni che possono in concreto verificarsi, il prowedimento di archiviazione, pronunciato con qualsivoglia "formula", potrebbe in astratto essere sempre superato dalla riapertura delle indagini, autorizzata in vista di una nuova qualificazione del fatto come fattispecie penalmente rilevante owero come reato perseguibile d'ufficio o ancora come reato per il quale operano termini prescrizionali di maggiore durata >>. La Corte, peraltro, non si è limitata alla ricordata affermazione, bensì ha tracciato anche alcune direttive che costituiscono una sorta di monito per il legislatore. Anzitutto, ha rilevato che la differenza tra proscioglimento irrevocabile ed archiviazione potrebbe giustificare in relazione a quest'ultimo istituto << soluzioni diverse da quella prevista per l'imputato prosciolto con sentenza irrevocabile, o differenziate tra loro a seconda, ad esempio, che il soggetto " archiviato" sia stato indagato in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 owero per un reato collegato a norma dell'art. 3 7 1 , comma 2, lett. b >>. In secondo luogo, ha sottolineato che l'art. 4 1 1 (cosiddetta archiviazione in diritto, perché manca una condizione di procedibilità, perché il reato è estinto o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato) si riferisce a situazioni tra di loro eterogenee << quanto alla loro normale forza di resistenza rispetto ad una eventuale riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p. >>. Tali ipotesi « potrebbero quindi suggerire una disciplina differenziata in tema di
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Nella giurisprudenza di legittimità, peraltro, si sono registrate differenti so luzioni, che hanno provocato una insanabile spaccatura (93 ) . Con una recente pronuncia, le Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto il contrasto nel modo seguente (94). Da un lato, hanno limitato l'interpretazione, fin qui prospettata, all'imputato nei cui confronti sia stata emessa sentenza di non luogo a procedere. Da un altro lato, hanno prospettato una soluzione innovativa, con riferi mento all'indagato nei cui confronti sia stata disposta archiviazione, prendendo nettamente le distanze rispetto alla ricordata tesi della Corte costituzionale (ord. 76/2003 ). Ad avviso della Cassazione, la persona, nei cui confronti sia stata disposta archiviazione, ha perso la qualifica di "indagato" . Per questo motivo, tale persona sfugge all'ambito applicativo dell'incompatibilità a testimoniare (art. 1 97 ) . Infatti, l'art. 61 estende l'art. 197 ai soli soggetti "indagati" in pendenza delle indagini a loro carico. Poiché l'archiviato non è più "indagato" - dal momento che le indagini a suo carico si sono concluse - egli deve essere sentito come testimone comune (art. 198). A nostro avviso, la soluzione delle Sezioni Unite lascia senza tutela l'archi viato, nonostante tale persona si trovi in una situazione delicatissima. In qualunque momento, infatti, le indagini a suo carico possono essere riaperte sulla base degli evanescenti presupposti stabiliti all'art. 4 14, e cioè la mera esigenza di nuove investigazioni (95 ) . compatibilità con l'ufficio di testimone >>. Infine, la Corte ha precisato che una eventuale disciplina apposita in relazione all'archiviazione dovrebbe avere ad oggetto tanto i casi previsti dall'art. 4 1 1 , quanto le ipotesi regolate dall'art. 408 (archiviazione per infondatezza della notizia di reato). Nella successiva ordinanza n. 250 del 2003 la Corte costituzionale ha sottolineato che anche l'archivia zione per infondatezza della notizia di reato ex art. 408 sottende una varietà infinita di ipotesi in relazione alle quali si potrebbe giustificare una disciplina differenziata in relazione alla incompatibilità a testimoniare. Pertanto una eventuale modifica appare rimessa alla discrezionalità del legislatore. Sull'argomento, v. amplius C. CONTI, L'imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova, 2003 , 202 ss. (93) Un primo indirizzo ha equiparato i soggetti in esame agli imputati giudicati con sentenza irrevocabile, attraverso una integrazione analogica degli epiloghi procedimentali menzionati espressamente dall'art. 197-bis. ln base a tale orientamento la corretta qualifica processuale è quella di testimone assistito. In tal senso, Cass. sez. V, 25 settembre 2007, Costanza, in Cass. pen., 2008, 2812. V. anche Cass., sez. VI, 28 febbraio 2007, Simonetti, in Cass. pen., 2008, 1490, con riferimento a quelle ipotesi nelle quali la sentenza di non luogo a procedere è stata pronunciata con una formula in relazione alla quale in concreto non appare profilabile un provvedimento di revoca. Si tratta, in particolare, dei casi in cui il non luogo a procedere è stato emesso per estinzione del reato. Un secondo indirizzo ha accolto la soluzione prospettata dalla Corte costituzionale (ord. 76 del 2003 ) , secondo cui i soggetti i n questione devono essere equiparati agli imputati con procedimento pendente. Cfr. Cass., sez. III, 8 giugno 2007, P., in CED Cass. , 237073; Cass., sez. V, 15 marzo 2007, Grimaldi, in Cass. pen. , 2008, 1987; Cass., sez. VI, 14 giugno 2005, G. e altri; Cass., sez. VI, 1° febbraio 2005 , Gilbo, in Cass. pen. , 2006, 3 7 10; Cass., sez. II, 15 maggio 2003 , Scumaci, in CED Cass. , 226279. Nella giurisprudenza di merito si è registrato anche un terzo indirizzo minoritario secondo cui tali soggetti devono essere considerati testimoni comuni interpretando l'art. 197 in base al canone ubi lex voluz't dixit; tra le tante pronunce, Trib. Fermo, 1 1 febbraio 2003 , in Arch. n. proc. pen., 2003 , 145. (94) Cass., sez. un., decisione del 1 7 dicembre 2009- 29 marzo 2010, n. 12067, De Simone, in www.dirittoegiustizia.it, 10 aprile 2010. (95) Così Cass., sez. IV, 1 9 febbraio 2004, Cagnino, in Cass. pen., 2005, 2038 con riferimento al
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n "collaboratore di giustizia ". La legge 13 febbraio 200 1 , n. 45 , recante « modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia », ha mutato la disciplina previgente, stabilita dal decreto legge 15 gennaio 199 1 , n. 8 conv. nella l. 15 marzo 199 1 , n. 82. La modifica legislativa ha reso più stringenti i requisiti che consentono agli imputati ed ai condannati di diventare collaboratori di giustizia e di ottenere misure di protezione, benefici processuali (art. 16-quinquies, l. n. 82 del 199 1 ) e penitenziari (art. 16-nonies, l . n. 82 del 199 1 ) . In particolare, l a persona, che h a manifestato l a volontà di collaborare, entro centottanta giorni deve fornire al pubblico ministero « tutte le notizie in suo possesso utili alla ricostruzione dei fatti e delle circostanze sui quali è interrogato nonché degli altri fatti di maggiore gravità ed allarme sociale di cui è a conoscenza oltre che alla individuazione e alla cattura dei loro autori ed altresì le informazioni necessarie perché possa procedersi alla individuazione, al sequestro e alla confisca del denaro, dei beni e di ogni altra utilità dei quali essa stessa o, con riferimento ai dati a sua conoscenza, altri appartenenti a gruppi criminali dispongono direttamente o indirettamente ». Le sue dichiarazioni sono poi trasfuse nel c.d. verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione (art. 16-quater, comma l , l. n. 82 del 1 99 1 ) . Attraverso l a sottoscrizione di tale verbale, il collaboratore di giustizia si impegna per il futuro a rendere dichiarazioni su quei fatti ( ''propri" o "altrui" ) che sono riconducibili alle informazioni in esso contenute, pena l a perdita dei benefici riconosciuti in base al programma di protezione (art. 13 -quater, l. n. 82 del 1 99 1 ) . Pertanto, il collaboratore di giustizia ha un obbligo di verità sulla effettività del quale può incidere direttamente la pubblica accusa. È appena il caso di sottolineare che, in concreto, il collaboratore di giustizia sarà sentito come imputato connesso o come testimone assistito a seconda del tipo di legame che intercorre tra il proprio procedimento e quello nel quale è chiamato a deporre e a seconda dell'oggetto delle precedenti dichiarazioni. h.
Considerazioni sulla disciplina della prova dichiarativa.
n carattere coattivo della testimonianza assistita. La dottrina si è posta il problema se quella prevista nell'art. 1 97 -bis sia una testimonianza volontaria o coatta. Alcuni ritengono che la testimonianza assistita sia volontaria per due motivi: in primo luogo perché sono dati all'indagato gli avvisi che « ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda ( . . . ) » e che « se renderà dichiarazioni su fatti altrui, assumerà l'ufficio di testimone » (art. 64, comma 3 , lett. b e c); in decreto di archiviazione. È appena il caso di sottolineare che, se l'archiviazione è stata disposta in relazione a vicende autonome, diverse e prive di collegamento, il dichiarante non è incompatibile come testimone. In tal senso si è espressa Cass., sez. VI, 4 novembre 2004, Zarnberlan, in Cass. pen., 2005, 3966.
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secondo luogo perché il testimone in questione gode comunque del privilegio contro l'autoincriminazione (artt. 1 97-bis comma 4; 1 98 comma 2). In realtà, gli avvisi sono dati nel momento in cui una persona è sentita come indagato e non sempre questi è in grado di comprendere se ciò che dichiara può comportare oggettivamente una responsabilità altrui. In ogni caso, una volta che sia stato integrato il presupposto, l'imputato è "costretto" a presentarsi come testimone assistito. È vero che costui gode ancora del privilegio contro l' autoincriminazione quando gli è posta una domanda che comporta una responsabilità penale; in effetti, sul fatto proprio può non rispondere, nonostante che questo sia inscin dibile dal fatto altrui già dichiarato. Tuttavia, anche il comune testimone gode del privilegio contro l'autoincriminazione (art. 198, comma 2); e con ciò a nessuno è mai venuto in mente di affermare che la sua deposizione sia volontaria. Un simile ragionamento porterebbe ad affermare che tutte le testimonianze sono volontarie solo perché ogni testimone gode del privilegio contro l' autoincriminazione; il che appare insostenibile. Ecco allora che la sola esistenza del privilegio non fa diventare volontaria una testimonianza assistita, che resta coatta (96). L'imputato, che sia stato citato, deve presentarsi e non se ne può andare finché gli sono poste domande. La testimonianza sarebbe configurabile come volontaria soltanto se l'impu tato si offrisse come testimone davanti al giudice in situazione di parità rispetto al pubblico ministero (97 ) . In base alla legge n . 63 del 200 1 , l'imputato collegato o connesso ex art. 12, lett. c, è " costretto" a diventare testimone assistito in un procedimento separato. Ma può anche accadere che diventi testimone nel proprio procedimento, se questo è stato riunito, ai sensi dell'art. 17, con quello connesso o collegato (98). Come abbiamo accennato in precedenza, tutto ciò comporta che l'imputato all'interno del proprio procedimento può essere costretto a testimoniare su di un fatto collegato o connesso (artt. 12 lett. c; 3 7 1 comma 2 lett. b), quando il relativo procedimento sia stato riunito al proprio. Questa scelta determina una netta inversione di tendenza rispetto alle garanzie fondamentali previste sia nel modello inglese, sia in quello francese. La testimonianza "ad intermittenza ". Occorre sottolineare che l'obbligo di verità, imposto all'imputato "testimone assistito" con procedimento pendente, (96) In tal senso, si veda anche C. CoNTI, L'esimente prevista dall'art. 384 c.p. tra diritto al silenzio e diritto a confrontarsi con l'accusatore, in AA.Vv., Giusto processo, cit., 146 ss. (97) È quello che è stato previsto in un progetto di riforma. Cfr. P. FERRUA, P. ToNINI, Testimonianza volontaria dell'imputato e tutela del contraddittorio, in Cass. pen. , 2000, 2868. (98) Infatti nell'art. 197 -bis non si pone il requisito che si tratti di un imputato nei confronti del quale
"si procede separatamente", a differenza di quanto è previsto per l'imputato connesso nell'art. 2 10, comma
l . il requisito era stato posto dalla Commissione Giustizia della Camera nel progetto intermedio approvato nel giugno 2000; ma era stato successivamente abbandonato.
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riguarda soltanto il fatto altrui già dichiarato in precedenza. Su tutto il resto, e cioè su fatti differenti da quelli altrui già dichiarati, il testimone è incompatibile fino alla sentenza irrevocabile (99). Tale conclusione si ricava dall'art. 1 97 , lett. b, che mantiene la incompatibilità « salvo quanto previsto dall'art. 64, comma 3 , lett. c ». Se egli è incompatibile con la veste di testimone, ne consegue che può essere sentito soltanto come imputato collegato o connesso (art. 2 10). In tale qualità, egli potrà nuovamente rendere dichiarazioni su fatti altrui, ma lo farà ai sensi dell'art. 2 10, comma 6 quindi con il diritto di non rispondere e la facoltà di mentire. Come abbiamo esposto in precedenza, dopo che ha coinvolto la responsabilità altrui, potrà essere nuovamente sentito come testimone assistito su tale punto. Poco per volta, si restringe l'area del diritto al silenzio e della facoltà di mentire (100). Tutto ciò comporta aspetti organizzativi di non poco conto. Il Parlamento ha creato una nuova figura di testimone " a intermittenza " . Con il risultato prevedibile che si moltiplicheranno le eccezioni tendenti a negare che il fatto dichiarato sia "altrui" ai sensi dell'art. 64, comma 3 , lett. c. Una simile disciplina si pone in conflitto con l'art. 1 1 1 , comma 2 Cost. , in base al quale la legge deve assicurare la ragionevole durata del procedimento ( 10 1 ) . L a soluzione normativa deve essere censurata perché l'obbligo di rispon dere è il naturale contraltare del diritto a confrontarsi con l'accusatore. Tale diritto esiste soltanto quando l'accusatore è costretto a rispondere secondo verità. Viceversa, in base all'art. 1 97-bis, comma 4 l'accusatore può non rispondere adducendo che la domanda ha per oggetto un fatto che comporta la propria responsabilità. E ciò avviene anche quando l'accusatore ha reso le sue dichiarazioni davanti al giudice. Possiamo chiederci quanto sia utile ad un accusato porre domande soltanto su quello che l'accusatore ha già dichiarato, quando non può porgli ulteriori domande per ottenere risposte, dalle quali si potrebbe ricavare che questi è non credibile o non attendibile. Ciò non pare attuare nel suo spirito autentico quel diritto a confrontarsi con l'accusatore che è ormai costituzionalmente ricono sciuto (art. 1 1 1 , comma 3 ) . (99) Tale aspetto non è preso in considerazione da V . SANTORO, Il cambio da coimputato a teste esalta il confronto, in Guida dir. , 200 1 , 1 3 , 47; D. CARCANO e D. MANZJONE, Il giusto processo. Commento alla legge l " marzo 2001, n. 63, in Quad. Dir. giust. , supplemento al fase. 15, Milano, 200 1 , 32; G. CoNTI, Un /reno alla facoltà di non rispondere per non vanificare il contraddittorio, in Dir. giust. , 200 1 , 1 0- 1 1 , 24. ( 100) Cfr. C. CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova, 2003 , 264. L'area dell'obbligo di rispondere secondo verità è pertanto "oggettivamente limitata" in quanto riguarda solamente i fatti altrui sui quali l'imputato connesso teleologicamente o collegato ha già reso dichiarazioni. Essa, tuttavia, è suscettibile di progressiva espansione attraverso dichiarazioni rese dal mede simo soggetto su fatti altrui ulteriori che non erano stati in precedenza esposti. ( 1 0 1 ) Sul problematico rapporto tra garanzie dell'imputato ed efficienza del processo, si veda V. GREVI, Spunti problematici sul nuovo modello costituzionale di "giusto processo" penale (tra "ragionevole durata", diritti dell'imputato e garanzia del contraddittono), in Pol. dir. , 2000, 423.
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I profili di criticità della soluzione accolta dalla legge n. 63. La disciplina
predisposta dal legislatore appare criticabile sotto molteplici profili. Anzitutto, sul piano dei rapporti tra imputato accusato ed imputato accusatore. Per un verso, è rimasto intatto il nocciolo duro della incompatibilità a testimoniare che colpisce gli imputati in procedimenti connessi per concorso nel medesimo reato (art. 12, lett. a). Tali soggetti possono accusare altri dicendo il falso impune mente e, poi, decidere di tacere. Per un altro verso, il meccanismo predisposto dagli artt. 64 e 197 -bis appare lesivo del diritto di difesa degli imputati in procedimenti connessi teleologica mente (art. 12, lett. c) o collegati (art. 37 1 , comma 2 , lett. b) sotto due profili. Anzitutto tali soggetti perdono il diritto al silenzio sul fatto altrui in una sede non garantita dalla presenza del giudice, e cioè nel corso dell'interrogatorio svolto dall'inquirente. Ciò può comportare un sacrificio irreparabile della propria strategia difensiva ( 102) . E poi, l a facoltà di tacere sui fatti oggetto del procedimento a proprio carico (art. 1 97-bis, comma 4) appare una garanzia di facciata, o quanto meno ad "ampiezza variabile" ( 103 ). Infatti, l'ambito applicativo del diritto al silenzio sul fatto proprio è deciso di volta in volta dall'autorità procedente in relazione alla singola domanda. È pur vero che l'art. 197 -bis prevede una norma di chiusura in base alla quale le dichiarazioni rese dal testimone assistito non possono essere utilizzate nel procedimento a proprio carico. Tuttavia, l'inutilizzabilità non vale a neutralizzare qualunque pregiudizio possa derivare dall'aver reso dichiara zioni contra se (l 04) . Anche sul versante del diritto a confrontarsi con l'accusatore la disciplina appare deludente. In primo luogo, l'attuazione di tale diritto è subordinata all'ampiezza con la quale viene riconosciuto al teste assistito il diritto al silenzio sul fatto proprio. Più ampia sarà l'area coperta dal diritto al silenzio, più limitato sarà il diritto al confronto. In secondo luogo, anche se il diritto al silenzio fosse circoscritto al minimo indispensabile, è comunque inaccettabile che l'accusatore possa continuare, anche di fronte al giudice, a rendere dichiarazioni contro altri ed a tacere sul fatto proprio, o su quegli aspetti del fatto altrui che siano inscindibilmente legati ( 102)
Non vogliamo riconoscere all'imputato diritti incondizionati. Anzi, siamo convinti che egli
possa rinunciare anche al diritto al silenzio sul fatto proprio. Tutto dipende dalle garanzie che circondano la sede nella quale la rinuncia è effettuata.
( 103 )
In tal senso C. CoNTI,
Le nuove norme sull'interrogatorio dell'indagato (art. 64 c.p.p.), in AA.Vv.,
Giusto processo, cit., 1 9 1 . ( 1 04)
L e dichiarazioni potrebbero recare u n pregiudizio nell'onore; potrebbero essere utilizzate come
punto di partenza per la ricerca di nuove prove; infine, potrebbero indurre
il giudice a far pressione su altre
risultanze probatorie urilizzabili, al fine di pervenire comunque ad una sentenza di condanna conforme al suo intimo convincimento. Si richiama M. NoBILI,
penale?, in Dir. pen. proc. , 200 1 , 7 .
Giusto processo e indagini dzfensive: verso una nuova procedura
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al proprio. La disciplina in oggetto, a ben vedere, sacrifica entrambi i diritti contrapposti, senza trovare un bilanciamento convincente. In sintesi, la legge n. 63 del 2001 ha escluso drasticamente l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese prima del dibattimento, ma non ha al contempo garantito all'accusato il diritto a confrontarsi con l'accusatore ( 105) . C'è il rischio che il dibattimento divenga nuovamente il luogo del silenzio, con un sostanziale svuotamento dei princìpi che l'art. 1 1 1 Cost. aveva affermato con tanto vigore ( 106) . Ci possiamo chiedere a quale prezzo il Parlamento abbia garantito il diritto al silenzio del coimputato del medesimo reato (art. 12, lett. a). Ci pare che lo abbia garantito obbligando gli imputati collegati o connessi (ai sensi dell'art. 12, lett. c) a deporre come testimoni. Come abbiamo accennato, la formula dell'art. 64, comma 3 , lett. c ha una latitudine amplissima. Basta aver reso dichiarazioni su di un "fatto che concerne la responsabilità di altri" . Non è richiesto un elemento soggettivo, e cioè l'intento o la consapevolezza di portare prove contro un altro. Così può accadere che l'imputato renda dichiarazioni, che induttivamente sono rilevanti per accertare un fatto dal quale deriva la responsabilità di una persona. li coinvolgimento può essere assolutamente imprevedibile, perché la rilevanza accusatoria potrebbe essere causata da fatti scoperti successivamente ( 107) . ( 1 05 ) Nel progetto alternativo, che avevamo predisposto insieme al Paolo Ferrua (Testo e Relazione si possono consultare in Cass. pen. , 2000, 2868), l'imputato compare in giudizio avendo sempre la libertà di scegliere fra tacere, rendere dichiarazioni spontanee senza l'obbligo di verità o, infine, deporre come testimone. Nessuno può commentare negativamente la sua scelta di non rendere dichiarazioni o di non testimoniare. Peraltro, una norma apposita esclude ogni rilevanza probatoria derivante dalla scelta di tacere. il progetto è coerente con il sistema accusatorio, nel quale l'imputato decide liberamente se offrirsi come testimone; presuppone una mentalità garantista, che veda nell'imputato una persona presunta innocente fino a prova contraria. Prima del dibattimento, l'imputato è libero di tacere o mentire davanti alla polizia o al pubblico ministero, in situazioni nelle quali possono essere messi in atto mezzi subdoli, anche se legali, per indurlo a parlare. Ciò che dice è, di regola, inutilizzabile in dibattimento. Nonostante che abbia reso dichiarazioni anche su fatti altrui, l'imputato arriva in dibattimento libero di non parlare. Qui viene tutelato pienamente il diritto al silenzio. Se intende parlare, può farlo rendendo dichiarazioni spontanee senza esame incrociato o offrendosi come testimone. In tal caso, ha l'obbligo di verità sul fatto che gli è addebitato, ma mantiene il privilegio contro l'autoincriminazione su altri reati che abbia commesso. A questo punto, se davanti al giudice dà una prova contro un altro imputato, allora perde completa· mente il privilegio, perché prevale il diritto dell'accusato a confrontarsi con l'accusatore. ( 1 06) In relazione al coimputato nel medesimo reato la C. cost. con sentenza 26 novembre 2002 n. 485 ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione: << la disciplina censurata è frutto di scelte discrezionali, non irragionevolmente esercitate, con cui il legislatore ha individuato, in ossequio al principio nemo tenetur se detegere, situazioni nelle quali il diritto al silenzio, inteso nella sua dimensione di corollario essenziale dell'inviolabilità del diritto di difesa, va garantito malgrado dal suo esercizio possa conseguire l'impossibilità della formazione della prova testimoniale >>. ( 107) In tal senso P. FERRUA, La dialettica Camera-Senato migliora il "giusto processo", in Dir. giust., 200 1 , l, 8 1 ; C. CoNTI, Le nuove norme, cit., 335. Nell'esempio che abbiamo esposto qualche pagina addietro, il ladro A può aver descritto un particolare dell'auto rubata ritenendolo un fatto neutro. Nel corso del processo si accerta che quel particolare è stato osservato da un testimone in un'auto parcheggiata vicino al
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II.IV.4.b
Un difensore consapevole quale direttiva potrebbe dare al proprio assistito? Dovrebbe consigliare di tacere in modo totale, se il cliente non intende essere sentito come testimone. Purtroppo accade che spesso l'indagato sia sentito durante le indagini senza la presenza del difensore. Per un abile inquirente sarà un gioco portarlo a parlare su di un fatto altrui. Così l'imputato comparirà nell'udienza del proprio procedimento già con l'obbligo di rendere dichiara zioni, con la prospettiva del dovere penalmente sanzionato di dire la verità. In alternativa, dovrà preoccuparsi di addurre il privilegio contro l'autoincrimina zione, con l'effetto di apparire poco credibile. 4.
Confronti, ricognizioni ed esperimenti giudiziali. a.
Considerazioni preliminari.
Alcuni mezzi di prova hanno una carattensuca comune: nella fase di assunzione esiste un vero e proprio potere di direzione spettante al giudice. Rispetto a tali atti le parti hanno un ruolo marginale, e cioè prevalentemente si limitano a controllare che l'atto si svolga in modo regolare; in particolare, non possono procedere ad esame incrociato nello svolgimento del singolo atto. b.
n confronto.
n confronto consiste nell'esame congiunto di due o più persone (testimoni o parti) che siano già state esaminate o interrogate, quando vi è disaccordo tra di esse su fatti e circostanze importanti (art. 2 1 1 ) . La ratio dell'istituto è quella di vagliare le dichiarazioni contrastanti: all'esito del confronto, è possibile che uno dei protagonisti ricostruisca meglio il fatto, ammettendo l'inesattezza del suo ricordo. Oppure è possibile che le precedenti dichiarazioni di uno dei soggetti coinvolti siano svuotate di credibilità. n primo presupposto di questo mezzo di prova consiste nella esistenza di un « disaccordo » tra due o più persone su « fatti e circostanze importanti »; il secondo, che le persone da mettere a confronto siano già state « esaminate o interrogate ». Quest'ultimo presupposto lascia comprendere che protagonisti possono essere sia imputati (o indagati), sia testimoni, sia altre parti private. n confronto può quindi realizzarsi fra soggetti in posizione processuale omogenea (es: fra imputati; fra testimoni) o eterogenea (es.: fra imputati e testimoni) ; anche più di due contemporaneamente ( 108) . luogo della rapina. li fatto non è più neutro, perché può dimostrare mediante un ragionamento indiziario la responsabilità di C nella rapina. ( 108) La garanzia costituzionale del diritto alla prova impone di ammettere il confronto tra persone
d.
P<
II.IV.4.b
I mezzi di prova
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Il momento nel quale è disposto il confronto. L'esigenza che vi siano pre
cedenti dichiarazioni discordanti svela il momento a partire dal quale il mezzo può essere disposto: nella fase delle indagini, quando si siano già raccolte dichiarazioni (artt. 364 e 370); in udienza preliminare (ai sensi dell'art. 422); in dibattimento (anche nella sottofase degli atti urgenti di cui all'art. 467 ) ; in appello, ex art. 603 ; nel giudizio di rinvio (art. 627 , comma 2) e nel giudizio di revisione (art. 636). n mezzo può inoltre essere esperito in incidente probatorio, quando vi sia il pericolo di dispersione o di inquinamento della prova (art. 3 92 , lett. e) ( 109). n confronto, in quanto mezzo di prova, ne segue i princìpi generali innanzitutto in punto di ammissione: di regola è richiesto dalle parti, ma in dibattimento può anche essere disposto dal giudice in base all'art. 507 . I caratteri della pertinenza e della rilevanza (imposti dagli artt. 1 87 e 190) sono strettamente legati ai presupposti di ammissibilità di cui si è detto: il confronto è non manifestamente irrilevante quando vi è un disaccordo fra dichiaranti; è pertinente quando il disaccordo verte su fatti e circostanze « importanti », e cioè oggetto di prova ai sensi dell'art. 187. Le modalità. Quanto alle modalità del confronto, la normativa esalta il ruolo del giudice (o del pubblico ministero nelle indagini) , al quale spetta un potere propulsivo oltre che direttivo; è ridotto il potere delle parti, limitato al controllo della regolarità di svolgimento dell'atto, non essendo previsto l'esame incrociato. Il giudice richiama ai protagonisti le precedenti dichiarazioni discordanti e chiede loro se le confermano. Ove il disaccordo persista, li invita alle reciproche contestazioni. Tutto ciò che avviene durante il confronto deve essere verbaliz zato: deve essere annotato anche il contegno dei partecipanti, la cui analisi può essere utile per verificare l'eventuale imbarazzo derivante dalle contesta zioni ( 1 10). che abbiano rilasciato dichiarazioni in fasi diverse (es: l a persona informata dei fatti e d il testimone escusso o la parte esaminata). Una sentenza si è espressa in senso contrario: Cass. 23 maggio 1997, n. 6282, Nappa, CED 209325. (l09) Ad oggi, il mezzo pare essere scarsamente utilizzato, vista la modesta elaborazione giurispu· denziale che lo riguarda. Nonostante la collocazione sistematica tra i mezzi di prova, il confronto ha la propria fase di elezione nelle indagini, ove può essere disposto dal pubblico ministero. In base all'art. 364, primo comma, il confronto che coinvolga l'indagato è un atto garantito dalla presenza necessaria del difensore. Il pubblico ministero vi procede personalmente, ma può anche delegare la polizia giudiziaria, salvo il caso del confronto che coinvolga un indagato in vinculis (art. 370, primo comma). ( l lO) In presenza dei presupposti di legge, il confronto può anche essere disposto coattivamente. Per i testimoni, l'obbligo di presentarsi può farsi discendere dall'art. 198. Quanto all'imputato, in base all'art. 490, il giudice può disporne l'accompagnamento coattivo per l'assunzione di una prova diversa dall'esame, quindi anche per il confronto. Nelle indagini, il pubblico ministero può ricorrere alla coazione sia nei confronti del possibile testimone (artt. 362, 378), sia nei confronti dell'indagato, il cui accompagnamento può essere disposto su autorizzazione del giudice (art. 376). Anche in incidente probatorio è possibile l'accompagnamento coattivo dell'indagato, per il compimento di un atto che richiede la sua presenza (art. 399) .
3 18
Profili generali del procedimento penale
II.IV.4.c
In ogni caso l'imputato (e lo stesso vale per l'imputato connesso; art. 2 10) continua a godere del diritto al silenzio, il cui esercizio non può pregiudicarlo sul piano probatorio ( 1 1 1 ) . c.
La ricognizione.
La ricogmz10ne può essere definita come il mezzo di prova mediante il quale, ad una persona che abbia percepito con i propri sensi una persona o una cosa, si chiede di riconoscerla individuandola tra altre simili. La ricognizione è disposta quando occorre procedere al riconoscimento di persone (art. 2 13 ) , cose (art. 2 15 ) , voci, suoni o quanto altro può essere oggetto di percezione sensoriale (art. 2 16) . Lo svolgimento è disciplinato dal codice minuziosamente, in quanto una modalità irregolare può infirmare l'attendibilità dell'elemento di prova. L'atto può essere compiuto nel corso del dibattimento o nell'incidente probatorio e si svolge nel rispetto del contraddittorio tra le parti. Il potere direttivo del giudice si manifesta sia al momento degli atti preliminari alla ricognizione, sia nel corso della stessa. Le modalità di svolgi mento del mezzo di prova sono particolarmente dettagliate. Accertamenti sull'attendibilità (art. .213). Il giudice invita colui, che deve eseguire la ricognizione (c.d. ricognitore) , a descrivere la persona (che ha visto) indicando tutti i particolari che ricorda. Gli chiede poi: a) se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento; b) se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere; c) se la stessa gli sia stata indicata o descritta; se vi siano altre circostanze che possano influire sull'attendibilità del riconosci mento. Nel verbale deve essere fatta menzione degli adempimenti previsti e delle dichiarazioni rese; il tutto a pena di nullità della ricognizione. Infatti, come si è accennato, le ricordate prescrizioni sono finalizzate a garantire l'attendibilità dell'elemento di prova, e cioè della dichiarazione con la quale il ricognitore afferma di riconoscere (o meno) la persona o l'oggetto che gli sono sottoposti. La predisposizione della scena (art. .214). In assenza di colui che è chiamato ad effettuare il riconoscimento, il giudice dispone che siano presenti almeno due persone (i c.d. distrattoti) il più possibile somiglianti "anche nell'abbigliamento" a quella sottoposta a ricognizione. Invita quindi quest'ul( 1 1 1 ) Cass., sez. VI, 1 7 novembre 1994, Ligresti, in Cass. pen., 1995, p. 2237. Al silenzio serbato dall'imputato durante il confronto coattivo riteniamo che non possa darsi lo stesso valore che la giuri sprudenza attribuisce al silenzio serbato durante l'esame: esso deve essere verbalizzato, ma non può essere inteso come argomento di prova a carico dell'imputato, il quale in questo caso non ha scelto di sottoporsi al mezzo di prova. Tuttavia, è da ritenersi che la credibilità sia minata nel caso in cui l'imputato presti il consenso all'esame dibattimentale e poi resti muto durante il confronto disposto per vagliare le dichiarazioni rilasciate in quella sede.
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tima a scegliere il suo posto rispetto alle altre persone, curando che si presenti, sin dove è possibile, nelle stesse condizioni nelle quali sarebbe stata vista dalla persona chiamata a operare il riconoscimento. n tentativo di riconoscimento. Nuovamente introdotto il ricognitore, il giudice gli chiede "se" riconosce taluno dei presenti; ciò presuppone che il giudice deve informare il ricognitore che l'indiziato potrebbe non essere tra le persone presenti. Nel caso in cui il ricognitore affermi di riconoscere qualcuno, il giudice lo invita a indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certo. Il verbale, a pena di nullità, deve menzionare le modalità di svolgimento della ricognizione (art. 2 14, comma 3 ) , mentre non occorre alcun cenno circa il rispetto delle predette prescrizioni, come se queste fossero del tutto irrilevanti; ed invece il numero dei distrattoti, la somiglianza, lo scegliere il posto, le modalità della domanda (se riconosce tal uno) sono importanti ai fini dell' atten dibilità dell'elemento di prova che si mira ad ottenere ( 1 12 ) . Occorre eviden ziare, infatti, che gli studi di psicologia ci insegnano che l'inosservanza di tali regole può compromettere l'utilità e l'attendibilità del risultato probato rio ( 1 13 ) . Se vi è fondata ragione di ritenere che il ricognitore possa subire intimida zione dalla presenza della persona sottoposta a ricognizione, il giudice dispone che l'atto sia compiuto senza che quest'ultima possa vedere il primo (art. 2 14, comma 2); ad esempio, il ricognitore guarda attraverso uno spioncino. Quando occorre procedere alla ricognizione di una cosa, si osservano modalità analoghe a quelle esposte: il giudice dispone che siano procurati almeno due oggetti simili a quello da riconoscere (art. 2 15 ) . Oltre al testimone, anche l'imputato può essere chiamato ad operare una ricognizione; in tale sede può esercitare il suo diritto al silenzio ( 1 14). Come abbiamo accennato, la ricognizione si svolge nel corso del dibattimento; ma la sua naturale collocazione è nel corso delle indagini nella forma dell'incidente probatorio (art. 3 92) o nella forma non garantita della individuazione (art. 3 6 1 ; v . in/ra, parte III, cap. l , § 6 lett. h). ( 1 12) Dobbiamo dare atto che spesso i n dibattimento viene svolta una ricognizione informale. Nel corso dell'esame testimoniale, condotto in dibattimento, alla persona offesa viene chiesto se riconosce l'autore del reato tra le persone presenti nell'aula di udienza. Secondo la giurisprudenza tale atto è un riconoscimento informale che va tenuto distinto dalla ricognizione vera e propria. Si tratta di un atto di identificazione diretta, effettuato mediante dichiarazioni orali non richiedenti l'osservanza delle formalità prescritte per le dette ricognizioni e che deve qualificarsi come prova atipica ex art. 189 (Cass., sez. I, 1 1 maggio 1992, Cannarozzo, in Cass. pen., 1994, 125). Noi riteniamo che una modalità siffatta utilizza impropriamente lo strumento della testimonianza per eludere le garanzie di attendibilità assicurate dalle regole che disciplinano la ricognizione; pertanto tale atto è inutilizzabile. ( 1 13 ) S. PRIORI, La ricognizione di persona: cosa suggerisce la ricerca psicologica, in Dir. pen. proc., 2003 , 1284. ( 1 1 4 ) Corte cost., sentenza n. 267 del 1994.
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L'esperimento giudiziale.
L'esperimento giudiziale è ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo (art. 2 18). L'esperimento consiste nella riproduzione, per quanto è possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o si ritiene essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso. Ovviamente il fatto storico di reato è irripetibile; scopo dell'esperimento è quello di valutare la verosimiglianza della ricostru zione dello stesso riproducendone le modalità di svolgimento. Ad esempio, l'esperimento può tendere ad accertare se in un determinato luogo il testimone abbia potuto effettivamente percepire quello che dice di aver visto o sentito. Il mezzo di prova si basa sulle metodologie proprie delle sperimentazioni scien tifiche. Il giudice dirige lo svolgimento delle operazioni; può anche d'ufficio designare un esperto per l'esecuzione di quelle tra esse che richiedono specifi che conoscenze (art. 2 19). L'esperimento giudiziale si distingue dalla ispezione, che ha ad oggetto una percezione statica della situazione attuale di una cosa o di una persona. Infatti, con l'esperimento si rappresenta nel presente un fatto già avvenuto, mettendo in movimento cose e persone ( 1 15 ) . Questo mezzo di prova può essere disposto in dibattimento; ma può essere condotto anche durante le indagini preliminari con lo strumento dell'incidente probatorio, quando debba svolgersi su di una cosa o un luogo « il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile » (art. 3 92 , comma l , lett. /) . L'attendibilità dell'esperimento è subordinata alla possibilità di riprodurre esattamente e a posteriori tutte le condizioni nelle quali si afferma essere avvenuto il fatto da ricostruire e che abbiano ragionevolmente influito sulla dinamica dello stesso ( 1 16). L'impossibilità di riprodurre fedelmente siffatte condizioni potrebbe costituire il limite naturale dell'esperimento. Tuttavia, oggi è possibile ricostruire un fatto mediante computer nella realtà virtuale sulla base delle prove raccolte (computer generated evidence) ( 1 17). Ciò può rendere più facile per il giudice e per le parti l'apprendimento della dinamica dell'evento. L'animazione sostituisce la rappresentazione "vivente" del fatto da provare; essa permette di simulare la successione degli accadimenti ( 1 15 ) Il giudice dà gli opportuni provvedimenti per lo svolgimento delle operazioni, disponendo per le rilevazioni fotografiche o cinematografiche o con altri strumenti o procedimenti. Anche quando l' esperi mento è eseguito fuori dell'aula di udienza, il giudice può adottare i provvedimenti previsti dall'art. 471 al fine di assicurare il regolare compimento dell'atto. Nel determinare le modalità dell'esperimento, il giudice, se del caso, dà le opportune disposizioni affinché esso si svolga in modo da non offendere sentimenti di coscienza e da non esporre a pericolo l'incolumità delle persone o la sicurezza pubblica (art. 2 1 9). ( 1 16) Cfr. Cass., sez. II, 9 marzo 1995, Amico, in Giur. it. , 1996, II, 238. ( 1 17) F. SmsA, Cenni sul computer come strumento di prova nel processo penale, in Foro Ambrosiano, 2000, 95.
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secondo le medesime regole fisiche che governano il mondo reale. Lo stru mento, implicando metodologie nuove e di alta specializzazione tecnico scientifica, può essere ammesso soltanto se sussistono le condizioni richieste dal codice per l'assunzione della prova atipica non disciplinata dalla legge (art. 189; v. infra, § 5, lett. a). Infatti, occorre garantire che siano controllate in contrad dittorio: la accuratezza e completezza dei dati reali raccolti; l'affidabilità del l' hardware e del software utilizzati; la qualificazione professionale dell'operatore che inserisce i dati e li elabora. Infine, il giudice deve determinare, sentite le parti, quelle modalità di assunzione della prova che siano adatte all'impiego di apparecchiature informatiche. 5.
La prova scientifica. a.
Considerazioni preliminari: prova scientifica e contraddittorio.
L'evoluzione del concetto di scienza e di contraddittorio. Si definisce scientifica quella prova che, partendo da un fatto dimostrato, utilizza una legge scientifica per accertare l'esistenza di un ulteriore fatto da provare. Poiché il rapporto tra il fatto noto e quello da provare è espresso da una regola, la prova scientifica rientra nella più vasta categoria della prova critica o indizio. In prima approssimazione, si può definire scienza quel tipo di conoscenza che ha le seguenti caratteristiche: ha per oggetto i fatti della natura; è ordinata secondo un insieme di regole generali che sono denominate leggi scientifiche e che sono collegate tra loro in modo sistematico; accoglie un metodo controlla bile dagli studiosi nella formulazione delle regole, nella verifica e nella falsifi cabilità delle stesse. Nel capitolo sui princìpi generali in tema di prova (parte Il, cap. 3, § 1 1 ) abbiamo accennato alla evoluzione che è intervenuta nella scienza. Si tratta, adesso, di applicare le conclusioni alle quali siamo pervenuti. Se si accoglie la concezione tradizionale secondo cui la scienza illimitata, completa e infallibile, è sufficiente che il giudice nomini un perito e gli imponga l'obbligo di operare secondo verità. Infatti, nel sistema misto prevalentemente inquisitorio, recepito nella versione originaria del codice del 1 930, il giudice istruttore disponeva la perizia, nominava un perito, poneva a costui i quesiti senza sentire le parti. Si riteneva sufficiente che il perito, alla pari del testimone, avesse un obbligo di verità. Quindi, la perizia si svolgeva in segreto: il perito individuava la legge scientifica, unica ed infallibile, la applicava al caso concreto e forniva la valutazione del dato probatorio. Valutazione alla quale il giudice poteva aderire, allora, senza motivare: così affermava la vecchia giuri sprudenza ( 1 18). I risultati della perizia erano resi noti alle parti e venivano posti ( 1 18)
TI pubblico ministero fino al 1988 non poteva nominare un proprio consulente tecnico perché
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a base della decisione finale del processo senza che il giudice fosse tenuto a motivare specificamente sul punto. Nel sistema allora vigente era insito un pericolo. Allo scienziato si consen tiva di fondare una asserzione senza giustificarne né le premesse, né il metodo utilizzato, per il solo fatto che si trattava di " scienza": a tale soggetto era consentito di provare senza spiegare il perché della sua attività. La prova scientifica, dunque, appariva diversa da tutte le altre prove e sottratta alle regole ordinarie. Oggi è mutata la nozione di scienza. Come si è accennato, il post positivismo ci insegna che la scienza è limitata, incompleta e fallibile; ne deriva che ciascuna parte del processo penale ha un nuovo diritto: quello dimettere in dubbio l'ipotesi che è stata formulata da un'altra parte o dal perito nominato dal giudice ( 1 19). Prima conseguenza: ciascuna delle parti deve poter dimostrare se per caso non sono applicabili al fatto storico differenti regole che diano una spiegazione alternativa dell' accadimento; e cioè, è necessario che ciascuna delle parti possa accertare, ad esempio, se al momento del fatto erano presenti altre cause idonee a provocare l'evento. Ne deriva che le parti devono avere il potere di ricercare la prova di ulteriori fatti dai quali si possa eventualmente risalire a differenti antecedenti causali. Seconda conseguenza: occorre poter applicare il metodo falsificazionista elaborato da Popper. Se veramente la causa era quella identificata, essa in base a regole note avrebbe dovuto provocare determinate conseguenze. E allora, occorre poter indagare se tutte queste conseguenze si sono verificate. Se si accerta che anche una sola delle conseguenze non si è verificata, si mette in dubbio la validità della legge scientifica in quel caso concreto. n diritto alla prova scientifica. Proviamo a far interagire la concezione post-positivistica di scienza con le dinamiche del diritto alla prova. Tale diritto, riteniamo, comporta il potere di compiere indagini sui predetti fatti falsificativi. Se veramente si vuole che il diritto di difesa ed il diritto di azione siano garantiti, i poteri delle parti devono arricchirsi di nuovi contenuti. I modi di esercizio, ai quali il legislatore pensava originariamente, devono essere modificati. la scienza era unica; ed era sufficiente il perito nominato dal giudice, che doveva bastare anche al pubblico ministero. Non si riteneva necessario un ulteriore esperto della pubblica accusa. Soltanto le parti private potevano nominare consulenti tecnici. Ma i consulenti di parte potevano soltanto argomentare, e cioè, potevano redigere memorie, non erano fonti di prova, come invece awiene attualmente. ( 1 19) Sul valore del contraddittorio come metodo di conoscenza, v. K.R. PoPPER, The poverty o/ historicism ( 1 944-45), trad. it. Miseria dello storicismo, Milano, 1 997, 120, secondo cui « la scoperta di esempi che convalidano una teoria vale pochissimo se non abbiamo tentato, senza riuscirvi, di trovare gli esempi che la confutano. Perché, se abbiamo poco senso critico, troveremo sempre quello che desideriamo: cercheremo e troveremo delle conferme; distoglieremo lo sguardo da ciò (e quindi non lo vedremo) che potrebbe mettere in pericolo le teorie che ci sono care. In questo modo è facilissimo ottenere prove, apparentemente schiaccianti di una teoria che, se fosse stata invece awicinata con animo critico, sarebbe stata confutata >>.
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Oggi accettiamo una concezione post-positivista secondo la quale la scienza non rappresenta più una verità inconfutabile; e allora l'esigenza di attuare il diritto alla prova impone l'introduzione di nuovi strumenti che consentano di dimostrare l'eventuale falsità di una determinata conclusione. Dal quadro costituzionale, così come interpretato dal Giudice delle leggi, si ricava la necessità di tutelare il diritto alla prova senza ulteriori specificazioni ( 120) . Pertanto, tale diritto deve essere garantito anche con riguardo a quel particolare tipo di prova che è la prova scientifica. Poiché, peraltro, anche nel sistema attuale la perizia è un mezzo di prova gestito dal giudice e non facilmente accessibile alle parti, il diritto alla prova si deve poter esercitare anche al di fuori della perizia. Non può essere accettata la tesi, da alcuni propugnata, secondo cui il contraddittorio opera soltanto in relazione alla formazione della prova dichiarativa; sarebbe anomalo un sistema nel quale quello che è universalmente ritenuto il miglior metodo di accerta mento si debba arrestare proprio al cospetto di quelle prove che sono le più insidiose specialmente nei confronti dell'imputato presunto innocente, la cui reità deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio ( 12 1 ) . Per poter smentire le tesi peritali, le parti devono potersi avvalere di esperti che si trovino in condizioni di parità con il perito. L'attuale quadro costituzionale, interpretato anche alla luce delle Conven zioni internazionali sui diritti dell'uomo, impone di ritenere che le parti hanno il diritto di ottenere l'ammissione di consulenti tecnici, naturalmente in base alle ordinarie regole sul diritto alla prova (artt. 187 e 190 c.p.p.) ( 122). D contraddittorio nella prova scientilìca. Le potenzialità dei princìpi appena esaminati non si arrestano alle considerazioni fin qui svolte. Come è noto, il rischio più grave per il processo è la dispersione delle prove. Pertanto, occorre garantire il diritto ad acquisire la prova non ripetibile. Poiché ciò potrebbe comportare una modifica irreversibile della fonte o dell'elemento di prova, simili attività acquisitive devono essere effettuate in contraddittorio. Infatti, da quest'ultimo principio discende che nessuna parte abbia il potere di ( 120) Occorre tenere presente che il diritto alla prova in capo alle parti si ricava da numerose norme costituzionali. Anzitutto, dal principio del contraddittorio, stabilito all'art. 1 1 1 , commi 2 e 4 Cost. Inoltre, con riferimento all'imputato, il diritto alla prova si ricava, in primo luogo, dal diritto di difesa che si esplica, tra l'altro, nel "diritto di difendersi provando" (art. 24, comma 2 Cost.). Ancora, occorre fare riferimento all'art. 1 1 1 comma 3, secondo cui l'imputato ha diritto alla << acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore >>. In relazione al pubblico ministero, il diritto alla prova deriva sia dall'art. 1 12 Cost. come corollario essenziale del diritto-dovere di azione, sia dall'art. 1 1 1 , comma 2 Cost. che, riconoscendo il principio di parità tra le parti, impone di estendere anche alla pubblica accusa la facoltà che l'art. 24, comma 2 Cost. riconosce all'imputato. ( 12 1 ) Le Sezioni unite della cassazione hanno applicato la regola del ragionevole dubbio all'accerta mento della responsabilità per colpa medica. Così, Cass., sez. un., 10 luglio- I l settembre 2002, Re!. Canzio, ric. Franzese, in Dir. pen. proc. , 2003, 50, con nota di A. DI MARnNo. ( 122) RE. Kosrorus, I consulenti tecma, 14; F. FOCARDI, La consulenza tecnica extraperitale, cit., 20.
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nascondere alle altre parti le fonti, né abbia il diritto di modificare unilateralmente in modo irreversibile gli elementi di prova. Se una parte intende modificare in modo irreversibile l'oggetto dal quale è ricavabile un elemento di prova, ciò deve avvenire assicurando il contraddittorio contemporaneo con le altre parti (artt. 360 e 391 -decies c.p.p.) ; non è sufficiente il contraddittorio differito che si svolge su di una prova già cristallizzata in modo unilaterale da una parte. Prova scientifica e principio dispositivo attenuato. Una volta chiarite le nozioni di contraddittorio e di scienza, è opportuno esaminare in quale modo i due concetti si possono tradurre in un determinato meccanismo proces suale ( 123 ) . Anche in questo caso è necessario tenere conto della pluralità dei sistemi giuridici (v. tav. 2.3.6). Il legislatore italiano del 1 988 aveva di fronte l'esempio del sistema accusatorio puro di matrice angloamericana; ma ha deciso di non accogliere tale modello. Nel sistema accusatorio puro non esiste una "prova del giudice" ; tutte le prove sono delle parti nel senso che spetta unicamente a queste ricercare le prove, chiederne la ammissione al giudice e porre le domande in dibattimento. Le parti possono nominare "testimoni esperti" che compiono le loro operazioni in segreto, formulano un parere e sono sottoposti ad esame incrociato in aula. Il giudice ha il potere di non ammettere quel "testimone esperto" che si basa su di una scienza non affidabile ( 124) ; tuttavia, se le prove scientifiche prodotte dalle parti appaiono insufficienti o lacunose, egli di regola non ha il potere di disporre una perizia ( 125). Il sistema accusatorio puro ha il vantaggio del contraddittorio nella formazione della prova; ma ha anche lo svantaggio che il giudice ha un ruolo passivo ( 126) ed è sottoposto alla iniziativa esclusiva della parte; pertanto, egli è ancor più vincolato alla parola dell'esperto, con l'ulteriore svantaggio che si tratta di un parere di parte ( 127). Il codice italiano ha accolto il principio del contraddittorio nella formazione della prova; ma non ha abbandonato il giudice alla mera iniziativa di parte; e cioè, non ha accolto il principio dispositivo "forte" , secondo cui sono ammessi soltanto i mezzi di prova richiesti dalle parti. La manovra compiuta dal legislatore è stata complessa, si è articolata attraverso successive modifiche ed è ( 123) Sui rapporti tra sistema probatorio ed accertamento dei fatti, P. FERRUA, Il giudizio penale: /atto e valore giuridico, in AA.Vv., La prova nel dibattimento penale, Torino, 1999, 195-196; G. UBERTIS, Fatto e valore nel sistema probatorio penale, Milano, 1979. ( 124) Rule 702 F.R.E.; sul punto, v. G. CANZIO, Prova scientifica, cit., 1 194. ( 125 ) Nel sistema statunitense, la Rule 706 FRE consente la nomina di un esperto indipendente da parte del giudice (court-appointed expert witness); tuttavia, di tale potere si tende a fare un uso assai parco. Si veda C. STERLOCCHI, La prova scientifica nell'esperienza statunitense. I criteri di affidabilità nelle elaborazioni post Kumho Tire (II), in Foro ambr., 2004, passim e spec. 561. ( 126) M.R. DAMASKA, Il diritto delle prove alla deriva, trad., Bologna, 2003, 140. ( 127) Infatti, nonostante l'obbligo di verità che grava su di loro, i consulenti sono retribuiti dalle parti e le loro ricostruzioni sono spesso palesemente asservite agli interessi dei clienti.
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tuttora in atto; non potendo esaminare nel dettaglio l'evoluzione storica, preferiamo fornire i risultati complessivi che caratterizzano il sistema ( 128). Nel codice del 1 988 il giudice ha mantenuto il potere di nominare un perito quando ha la necessità di svolgere indagini specialistiche o di ottenere una valutazione che comporta una conoscenza tecnica, scientifica o artistica. Tut tavia, tale potere è stato regolamentato: può essere esercitato d'ufficio soltanto in dibattimento. In tale fase il giudice può nominare il perito sia su richiesta di parte, sia d'ufficio; ma può, se crede, limitarsi ad utilizzare le conoscenze scientifiche che emergono dall'esame incrociato dei consulenti tecnici di parte, nominati dal pubblico ministero, dall'imputato e dalla parte civile. Nel corso della fase delle indagini preliminari il giudice non ha poteri di iniziativa probatoria d'ufficio; e cioè non può nominare un perito se non vi è una iniziativa di parte in tal senso. Può procedere a tale nomina soltanto su richiesta del pubblico ministero o dell'imputato in due casi: quando la perizia, se fosse disposta nel dibattimento, ne potrebbe determinare una sospensione superiore a sessanta giorni (cd. perizia di lunga durata; art. 3 92 comma 2 ) ; oppure quando l a perizia è urgente, e cioè (in sintesi) s e l a prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile (art. 3 92 comma l , lett. /) ( 129). A loro volta le parti hanno uno strumento più agile e duttile della richiesta di nomina di un perito e della designazione di propri consulenti tecnici all'interno della perizia. Fin dalla fase delle indagini il pubblico ministero, l'indagato e l'offeso possono direttamente nominare un consulente tecnico di parte al fine di svolgere indagini al di fuori della perizia e anche se non è stata disposta perizia (art. 233 c.p.p.) ( 130). Il consulente di parte sarà poi sentito in dibattimento con lo strumento dell'esame incrociato (art. 5 0 1 ) . In definitiva, la consulenza tecnica di parte è oggi un vero e proprio mezzo di prova. Anche se è possibile affermare sin d'ora che il codice si è limitato ad abbozzare la figura del consulente tecnico, senza chiarirne in modo esaustivo né la disciplina, né i rapporti con il perito. Come si può notare, il tema del contraddittorio nella prova scientifica tocca necessariamente la struttura che devono avere le indagini pubbliche e private nel procedimento penale. Scienza e processo si trovano in un rapporto di ( 128) Si veda, amplius, G. RuGGIERO, Compendio delle investigazioni dz/ensive, Milano, 2003 . Sugli effetti che le recenti modifiche legislative hanno sortito nel nostro sistema processuale, v. E. AMomo, Il processo penale tra disgregazione e recupero del sistema, in Ind. pen., 2003, 7 . ( 1 2 9 ) L'incidente probatorio può essere chiesto anche quando l a perizia, s e fosse disposta nel dibattimento, ne potrebbe determinare una sospensione superiore a sessanta giorni (art. 392 comma 2 ) . ( 130) E . AMomo, Perizia e consulenza tecnica nel quadro probatorio del nuovo processo penale, i n Cass. pen., 1989, 170; R. E. KosTORIS, I consulenti tecnici nel processo penale, Milano, 1993. Sostiene la unitari età della figura del consulente tecnico nella perizia, fuori della perizia e nelle investigazioni difensive F. FocARDI, La consulenza tecnica extraperitale, cit., 47. 11
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reciproca integrazione sempre più feconda: per un verso, con l'evoluzione tecnologica il rito penale si sta aprendo sempre di più all'ingresso della scienza; per un altro verso, come si è visto, si assiste ad una sorta di « processualizza zione del metodo scientifico » che passa attraverso il contraddittorio tra gli esperti ( 13 1 ) . La materia sarà ripresa successivamente nei capitoli l e 4 della parte III in relazione alle indagini preliminari e alle investigazioni difensive. L'ammissione della prova scientifica. Possiamo concludere questa rassegna delle problematiche sulla prova scientifica facendo un accenno al tema della ammissione dei mezzi di prova. li legislatore non fornisce al giudice un criterio espresso che indichi quando una prova è scientifica e, di conseguenza, quando questa può essere introdotta nel processo. L'art. 220 stabilisce che il giudice nomina il perito quando « occorre svolgere indagini o acquisire dati o valuta zioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche ». I requisiti della " specificità" e della "occorrenza" , a prima vista sembrano riconoscere al giudice una piena discrezionalità nello stabilire se e quando disporre la perizia (132 ) . Gli studiosi sono concordi nel rilevare che il codice non indica al giudice un criterio oggettivo per valutare in positivo o in negativo se un determinato accertamento richiede conoscenze di tipo scientifico che, dunque, impongono la nomina di un esperto. Vi è un vuoto normativo che poteva essere accettato nel sistema misto, nel quale il giudice era il " signore" della prova, ma che non è ammissibile in un sistema accusatorio fondato sulla separazione delle funzioni. Inoltre, la genericità della norma ricordata (art. 220) rende evidente che nell'ordinamento italiano manca una disciplina che imponga al giudice di escludere quei metodi che niente hanno di scientifico e, viceversa, di ammettere metodi anche nuovi, ma che rispettano il criterio della scientificità. Non si creda che sia una carenza da poco. È un corollario del principio del contraddittorio che le parti abbiano conoscenza anticipata dei criteri in base ai quali possano in concreto esercitare il proprio diritto alla prova, costituzionalmente protetto. Non è sufficiente il riferirsi al principio del libero convincimento perché questo regola la valutazione e non la ammissione della prova. Come vedremo nelle pagine che seguono, tuttavia, le norme del codice non sono incompatibili con una lettura illuminata dai princìpi costituzionali che riconduca anche la prova scientifica alle regole ordinarie sul diritto alla prova e sul principio del contraddittorio.
( 1 3 1 ) C. CoNTI, Al di là del ragionevole dubbio, in AA.Vv., Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio, a cura di A. ScALFATI , Milano, 2006, 9 1 . Per un approccio al tema della prova scientifica in chiave di diritto comparato, si rinvia al saggio di L.P. CoMOGLIO, L'utilizzazione processuale del sapere extragiuridico nella prospettiva comparatistica, in Riv. dir. proc. , 2005, 1 145 ss. ( 132) Su tali requisiti, O. DoMINION!, La prova penale scientifica, Milano, 2005, 52-54.
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La perizia.
La perizia è un mezzo di prova finalizzato ad integrare le conoscenze del
giudice con quelle di un esperto. Essa deve essere disposta dal giudice quando occorre compiere una valutazione per la quale sono necessarie specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. La perizia adempie alle tre seguenti funzioni che richiedono, per essere esercitate, speciali conoscenze: l ) svolgere indagini per acquisire dati probatori; 2 ) acquisire gli stessi dati selezionandoli e interpretandoli; 3 ) effettuare valutazioni sui dati già acquisiti (art. 220, comma 1 ) . Tra i compiti del perito vi può essere quello di percepire quei dettagli del fatto noto, che soltanto un tecnico può identificare; o quello di applicare ad un fatto noto una legge scientifica, in modo da fornire una valutazione al giudice ( 13 3 ) . Per evidenziare l a particolare natura del mezzo di prova "perizia" , anche a costo di operare una eccessiva semplificazione, possiamo dire che il testimone espone un "fatto" , mentre il perito dà una "valutazione" su di un fatto al fine di indicare la legge scientifica ad esso applicabile. In realtà, a volte la perizia è anche una prova rappresentativa di ciò che il perito ha fatto o percepito nell'adempimento dell'incarico. La perizia non è l'unico mezzo di prova che permette di raggiungere le finalità indicate nell'art. 220. Esiste anche la consulenza tecnica di parte dentro e « fuori dei casi di perizia » (art. 233 ) . Sia il pubblico ministero (artt. 359 e 360), sia le parti private (artt. 327-bis, comma 3 e 391-decies, comma 3 ) possono avvalersi dell'opera di esperti fin dalla fase delle indagini preliminari, al fine di raccogliere elementi di prova (v. tav. 2 .4 . 13 ) . Questi ulteriori strumenti permet tono di fornire al giudice le valutazioni necessarie per motivare la decisione: il consulente delle parti private e quello del pubblico ministero possono essere sottoposti ad esame in dibattimento (art. 501) o essere sentiti dal giudice nell'udienza preliminare (art. 422). Anche se il codice non ricomprende espres samente i consulenti tecnici tra i mezzi di prova, alla luce delle premesse che abbiamo tracciato, occorre ritenere che tali esperti possano fornire elementi utili per la decisione rendendo superflua la nomina di un perito ( 134). Riteniamo che le norme del codice debbano essere interpretate nel seguente senso: il giudice, anche il più esperto, non può operare da solo valutazioni che presuppongono conoscenze tecniche, scientifiche o artistiche. Egli si trova di ( 1 3 3 ) Come abbiamo accennato nel capitolo sui principi generali sulla prova, per legge scientilìca si intende quella legge che esprime una relazione certa o statisticamente signilìcativa tra due fatti della natura. Come esempio possiamo ricordare la legge in base alla quale sul livello del mare l'acqua bolle a cento gradi. Si tratta di una nozione che ha un ampio grado di elasticità ed anche di variabilità nel tempo, perché poco alla volta le leggi scientilìche meno complesse diventano patrimonio dell'uomo comune. ( 134) In tal senso, C. cost., n. 33 del 1999, sulla quale si veda amplius in/ra.
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fronte ad una ferrea alternativa: deve utilizzare le valutazioni operate da un consulente tecnico di parte o disporre una perizia (135 ) . Ciascuna parte h a il diritto di tentare di convincere il giudice applicando la legge scientifica che ritiene più corretta; viene così eliminato quel filtro tra il giudice e gli esperti di parte, che era costituito dalla necessaria presenza del perito. Le garanzie. Rispetto agli altri strumenti di conoscenza e di valutazione, la perizia si caratterizza per essere un " mezzo di prova" particolarmente garantito. Difatti sin dalla fase del conferimento dell'incarico si instaura un contradditto rio tra il perito ed i consulenti delle parti, i quali possono assistere alle operazioni ed avanzare osservazioni e richieste. Tuttavia ogni potere decisionale e valutativo compete unicamente al perito; perciò le parti potranno soltanto cercare di dimostrare al giudice la erroneità o lacunosità della perizia. Da questa rapida analisi, emerge la funzione para-giudiziale del perito, al quale è deman data la soluzione di ogni questione tecnica, liberando di tale incombente il giudice. È indubbio che l'esecuzione di una perizia presenta vari vantaggi: quello di ridurre i rischi di errore, favorendo il confronto tra esperti; quello di econo mizzare tempo e risorse; quello di far sì che l'esperto nominato dal giudice non persegua gli interessi di alcuna parte; infine, è una scelta quasi obbligata qualora le parti private non siano in grado di operare un proprio accertamento. L'ammissione della perizia. Di regola la perizia è disposta a richiesta di parte; può essere disposta « anche di ufficio » nel dibattimento (art. 224, comma l e 508) perché il giudice può avvertire la necessità di motivare la sentenza sulla base di un sapere specialistico che deve essere applicato ad un fatto provato. È necessario tenere presente che le norme relative all'ammissione della perizia sono piuttosto ambigue ed hanno determinato il convincimento dila gante in giurisprudenza che la perizia sia una prova del giudice e che le parti non abbiano un pieno diritto all'ammissione della stessa. Una simile conclusione è il frutto di una lettura distorta dei requisiti della " occorrenza" e della "specificità" che si ricavano dall'art. 220. Nella interpretazione della giuri sprudenza, la "occorrenza" comporta che la perizia debba essere ammessa soltanto quando i medesimi elementi di prova non possono essere introdotti nel ( 135) La prova scientifica si caratterizza per il fatto di essere quella prova che applica una legge scientifica; quest'ultima richiede conoscenze superiori a quelle possedute dall'uomo medio. Mettiamo pure che un determinato giudice sia un esperto in un qualche sapere scientifico. Se egli pretendesse di fare a meno del perito, esporrebbe per la prima volta nella motivazione della sentenza la legge scientifica che ha applicato. Su questa, e sulla metodica che ha prescelto per applicarla, le parti non hanno potuto esercitare il diritto al contraddittorio, né hanno potuto argomentare in senso contrario. Ciò viola due aspetti del diritto di difesa, che oggi sono garantiti dal nuovo art. 1 1 1 Cost. Si impone pertanto, nella materia in oggetto, una interpretazione costituzionalmente orientata.
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processo attraverso altri mezzi. La "specificità", dal canto suo, indica la necessità di un sapere che va oltre la soglia massima della conoscenza comune. Proprio facendo leva su tali peculiarità, la giurisprudenza sembra ritenere che in dibattimento l'ammissione del mezzo di prova in oggetto sia riservata al giudice, il quale valuta discrezionalmente se e quando disporla (136). In realtà, così facendo la giurisprudenza tende a conservare quella interpre tazione che era in vigore con il precedente codice del 1 93 0. Viceversa, riteniamo che ai ricordati requisiti non deve essere dato un significato che stravolga il nuovo sistema del codice del 1 988. "Occorrenza" e "specificità" devono essere collocati nell'ambito del giudizio di non manifesta irrilevanza o superfluità che presiede ordinariamente alla ammissione delle prove (art. 190 c.p.p.) ( 137): e cioè, anche se vi è soltanto un dubbio che determinati risultati esulino dalla conoscenza co mune e che uno scienziato possa dare un contributo utile per la ricostruzione del fatto, la perizia dovrà essere ammessa. Inoltre, il giudice nella eventuale ordinanza di rigetto della richiesta di ammissione, per carenza del requisito della specificità, dovrà motivare in modo esauriente le proprie valutazioni e il provvedimento potrà essere impugnato ai sensi dell'art. 586 ( 138). Vi è una terza caratteristica della perizia, che la giurisprudenza distorce al fine di affermare una piena discrezionalità giudiziale. Si tratta della possibilità di disporre tale mezzo di prova " anche d'ufficio" (artt. 224, comma 2 e 508). A nostro avviso, tuttavia, tali disposizioni non eliminano il diritto alla prova in capo alle parti, viceversa, rafforzano il ruolo fondamentale della perizia. Le norme ricordate, infatti, impongono al giudice di valutare comunque la utilità della prova peritale anche in assenza di una richiesta di parte. Inoltre, il codice riconosce al giudice il potere di disporre d'ufficio la perizia anche a prescindere dai criteri stabiliti dall'art. 507, in base al quale le prove possono essere ammesse ( 136) Secondo Cass., sez. IV, 8 luglio 2009, Scappulla, in CED Cass. , 245 1 15 , la violazione del dovere di decidere "senza ritardo" sulla richiesta di ammissione delle prove (art. 190, comma l c.p.p.) non comporta alcuna sanzione processuale. Nella fattispecie il giudice, anziché provvedere immediatamente, si era riservato sulla richiesta di perizia formulata dalla difesa, sciogliendo la riserva solo all'udienza successiva. Ad avviso di Cass., sez. I, 12 febbraio 200 1 , Buzzelli, in Dir. Giust., 200 1 , f. 19, p. 76, qualora decida di revocare una perizia già disposta perché la ritiene inutile, il giudice non è tenuto ad emettere uno specifico provvedimento di revoca, giacché tale mezzo di prova rientra esclusivamente nel potere di disposizione del giudice. Cass., sez. III, 28 ottobre 1999, in Cass. pen., 1999, n. 1245 e Cass., sez. V, 6 aprile 1999, ivi, 2000, n. 1872, affermano che la sottrazione della perizia al potere dispositivo delle parti non limita i diritti della difesa in quanto è sempre possibile all'imputato ricorrere alla nomina di un proprio consulente tecnico. ( 1 3 7) C. CoNTI, Il processo si apre alla scienza. Considerazioni sul procedimento probatorio e sul giudizio di revisione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, n. 3 . ( 138) Si vedano le Linee-guida per l'acquisizione della prova scientifica nel processo penale, elaborate da un gruppo di esperti nel corso del seminario sul tema "La prova scientifica nel processo penale" promosso dall'Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali (ISISC), in collaborazione con l'Osservatorio Permanente sulla Criminalità Organizzata (OPCO), che si è tenuto a Siracusa, 1 3 - 15 giugno 2008, su iniziativa dell'avv. Luisella de Cataldo Neuburger, punto 4. V. anche, D. VIcOLI, Consulenza tecnica extraperitale, diritto alla prova e patrocinio a spese dello Stato, in Giur. it., 2000, p. 576.
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d'ufficio soltanto terminata l'assunzione delle prove richieste dalle parti e se risulta "assolutamente necessario" ( 139). La perizia disposta nella fase delle indagini. Durante le indagini la perizia può essere svolta nella forma dell'incidente probatorio, e quindi soltanto a richiesta del pubblico ministero e dell'indagato; essa è disposta dal giudice per le indagini preliminari nelle ipotesi previste dall'art. 3 92: e cioè, quando la persona, le cose o i luoghi da esaminare sono soggetti a modificazione non evitabile; o quando si prevede che la perizia durerà più di sessanta giorni; o, infine, quando l'accertamento tecnico determina esso stesso modificazioni delle cose o delle persone tali da rendere l'atto non ripetibile ed esiste una indiffe ribile esigenza investigativa (art. 1 17 disp. att.). La prova scientifica "nuova ". l i legislatore non fornisce al giudice un criterio espresso che indichi quando una prova è " scientifica" e, di conseguenza, quando questa può essere introdotta nel processo. Tuttavia, come è ormai unanimemente rilevato, quando si è in presenza di metodi innovativi debbono operare alcune specifiche cautele ( 140). In particolare, il giudice è tenuto a verificare la sussistenza di una serie di requisiti che la dottrina ha enucleato richiamando la famosa sentenza Daubert emessa dalla Corte Suprema statuni tense nel 1993 ( 1 4 1 ) . Tale pronuncia ha elaborato i criteri sulla base dei quali il giudice deve valutare " quando" un determinato metodo può definirsi "scien tifico" ; in tal modo, non è la comunità degli esperti, bensì il giudice che decide quando il metodo è da ritenersi affidabile in relazione a quel determinato processo. La ricordata sentenza ha indicato i seguenti criteri di affidabilità, che possono sostituire il concetto tradizionale della generale accettazione della comunità scientifica: l) veri/icabilità del metodo: una teoria è scientifica se può essere controllata mediante esperimenti; 2) falsificabilità: la teoria scientifica deve aver subìto tentativi di smentita i quali, se hanno esito negativo, la confermano nella sua credibilità e, comunque, permettono di individuarne con certezza i limiti; 3) sottoposizione al controllo della comunità scientifica: il ( 139) Ritiene inoperante il criterio della assoluta necessità anche G. VARRASO, La prova tecnica, in AA.Vv., Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, vol. Il, t. l , Torino, 2009, 25 1 . ( 140) In giurisprudenza, per una ipotesi in cui la novità è stata esclusa, si veda Cass., sez. I , 2 1 maggio 2008, Franzoni, in CED Cass. , 240764, secondo cui la Blood Pattern Analysis non può considerarsi una prova atipica, bensì una tecnica d'indagine riconducibile al genus della perizia e, pertanto, non è necessario che la sua ammissione sia preceduta dall'audizione delle parti ex art. 1 89. n giudice di legittimità ha affermato che la BPA non si basa su leggi scientifiche nuove o autonome, bensì sull'applicazione di quelle, ampiamente collaudate da risalente esperienza, proprie di altre scienze - matematica, geometria, fisica, biologia e chimica - che, in quanto universalmente riconosciute, non richiedono specifici vagli d'affidabilità. ( 1 4 1 ) Sul punto, si vedano gli approfondimenti di S. LoRusso, La prova scientifica, in AA.Vv. , Le prove, a cura di GAITO, vol. Il, Torino, 2009, pp. 13 ss. Cfr. anche F. TAGLIARO, E. D'ALOJA, F.P. SMITH, L'ammissibilità della « prova scientifica » in giudizio e il superamento del Frye standard: note sugli orientamenti negli USA successivi al caso Daubert v. Merrel Dow Pharmaceuticals, !ne., in Riv. it. med. leg. , 2000, p. 7 1 9.
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metodo deve essere reso noto in riviste specializzate in modo da essere controllato dalla comunità scientifica; 4) conoscenza del tasso di errore: al giudice deve essere comunicato, per ogni metodo proposto, la percentuale di errore accertato o potenziale che questo comporta. n giudice diventa il guardiano (gatekeeper) del metodo: egli deve vagliarne la effettiva scientificità ( 142 ). I ricordati criteri devono operare nel momento in cui il giudice è chiamato ad ammettere una prova basata su di un metodo innovativo. Poiché né l'art. 220 in materia di perizia, né l'art. 190 sulla ammissione delle prove prevedono espressamente la possibilità di una valutazione approfondita di tali requisiti nel contraddittorio tra le parti, in dottrina si è formato un orientamento secondo cui la norma, alla quale occorre fare riferimento, è l'art. 189 c.p.p. sulla prova atipica. Tale norma, infatti, consente espressamente al giudice una approfondita verifica sulla idoneità accertativa della prova di cui si chiede l'ammissione. La soluzione in oggetto, tuttavia, rischia di ingenerare quell'equivoco che consiste nel considerare la nuova prova scientifica come necessariamente ati pica. Per contro, accade quasi sempre che il mezzo di prova richiesto al fine di applicare il nuovo metodo scientifico sia la perizia ( 143 ) . Per questo motivo, riteniamo preferibile la tesi in base alla quale già la disciplina generale sulla ammissione delle prove tipiche (art. 1 90) consente un vaglio sulla idoneità accertativa della prova richiesta ( 144). Dunque, se il metodo innovativo richiede l'esperimento di un mezzo di prova atipico, il canale acquisitivo sarà costituito dall'art. 189. Se, viceversa, l'applicazione di un metodo del genere è richiesta come quasi sempre accade - nell'ambito di un mezzo di prova tipico (es. perizia), è ben possibile configurare all'interno del sindacato effettuato ai sensi dell'art. 1 90 una valutazione sulla relativa idoneità accertativa. È appena il caso di precisare che l'eventuale ordinanza di rigetto dell'istanza di ammissione della prova può essere impugnata insieme alla sentenza ai sensi dell'art. 586 c.p.p. La perizia "prova neutra". Non consideriamo accettabile quell'orienta mento giurisprudenziale che considera la perizia come una prova "neu tra" ( 145) : con tale locuzione si vuole significare che le parti non hanno il diritto alla prova in relazione alla ammissione della perizia. Né è accettabile ( 142) La successiva sentenza Kumho Tire e Co. del 1999 ha esteso i ricordati criteri alla ammissione degli esperti in materie che richiedono specifiche conoscenze di tipo non scientifico. U.S. Supreme Court 23 marzo 1999, Kurnho Tire Co. c. Carmichael. V. ancora S. LORUSSO, loc. ult. cit. ( 143) S. LoRusso, La prova scientifica, cit., 25 ss. ( 144) Così G. UBERTIS, La prova scientifica e la nottola di Minerva, in AA.Vv., La prova scientifica nel processo penale, a cura di L. DE CATALDO NEUBURGER, Padova, 2007, 9 1 . Considera apprezzabile il tentativo della dottrina di ricorrere a norme diverse dall'art. 189 al fine di garantire il vaglio preliminare di attendibilità dello strumento scientifico, F. CAPRIOLI, La scienza "cattiva maestra": le insidie della prova scientifica nel processo penale, in Cass. pen., 2008, 3529. ( 145) Cass., l o dicembre 2003 , in Guida dir., 2004, 15, 94.
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l'ulteriore conseguenza di tale impostazione, che nega il diritto alla prova scientifica quando la perizia è chiesta da una parte "a prova contraria" ( 146) . A nostro avviso, una simile soluzione muove dalla sovrapposizione di due momenti, che viceversa, debbono restare concettualmente ben distinti. Per impostare corretta mente il problema, occorre, infatti, discernere l'iniziativa in relazione alla introduzione del mezzo di prova e la titolarità del potere di nomina del perito. Se con riferimento a quest'ultimo aspetto è senz'altro possibile affermare che la perizia è una prova neutra in quanto la scelta dell'esperto spetta al giudice terzo e imparziale, diverse considerazioni valgono in relazione alla iniziativa. Quando la perizia è disposta dal giudice d'ufficio, si può senz'altro ritenere che si tratti di una prova "neutra" ( 147). Qualora, viceversa, la perizia sia chiesta da una delle parti, essa è una prova a carico o a discarico a seconda della parte che si è fatta portatrice dell'iniziativa ( 148). Dunque, è l'iniziativa nell'in troduzione della prova che consente di qualifìcarla come "neutra", "a carico" o "a discarico" . E, con riferimento alla perizia, le dinamiche dell'impulso rientrano nelle regole del codice e prescindono dal fatto che, disposto lo svolgimento del mezzo di prova, l'esperto sia nominato dal giudice. Una volta che l'accertamento peritale sia stato chiesto da una delle parti, esso, alla stregua di tutti gli altri mezzi di prova, si colloca nelle logiche della ipotesi ricostruttiva prospettata dal richiedente ( 149) .
Alla luce dei rilievi appena svolti, occorre dunque concludere che le parti hanno un pieno diritto alla ammissione della perizia e che il giudice deve motivare il rigetto della richiesta, come accade in relazione ad ogni altra prova. Il provvedimento può essere impugnato con la sentenza ex art. 586 c.p.p., come tutte le ordinanze emesse nel corso del dibattimento. Inoltre, qualora il mezzo ( 146) Cass., sez. V, 30 aprile - 21 giugno 1997, Ritossa, in Dir. pen. proc., 1998, 596, e in Giust. pen., 1998, III, 309: << se l'art. 495 comma 2 c.p.p. espressamente richiamato dall'art. 606 lett. d dello stesso codice, sancisce il diritto dell'imputato all'ammissione delle prove da lui dedotte " a discarico" sui fatti costituenti oggetto della prova "a carico", il diritto alla controprova, tuttavia, non può avere ad oggetto l'espletamento di una perizia, mezzo di prova per sua natura neutro e, come tale, non classificabile né "a carico" né "a discarico" dell'accusato, oltreché sottratto al potere dispositivo delle parti e rimesso essenzialmente al potere discrezionale del giudice, la cui valutazione, se assistita da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità. Deve, conseguen· temente, negarsi che l'accertamento peritale possa ricondursi al concetto di "prova decisiva" la cui mancata assunzione costituisce motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 lett. d »; in termini, Cass., sez. VI, 7 luglio 2003 , B., in Cass. pen., 2004, 4164; Cass. , sez. VI, 22 maggio 2007, C., in Guida dir. , 2007, 43, 84. ( 147) Fermo restando che, in base alle acquisizioni della filosofia della scienza, il perito non può mai considerarsi portatore di un sapere "neutro", giacché lo scienziato effettua la propria ricostruzione alla luce delle teorie che ritiene di accogliere. ( 148) D'altronde, l'art. 468, comma 4 c.p.p. , tra le persone che possono essere citate a prova contraria ricomprende anche i periti. ( 149) Come è stato evidenziato in dottrina, vi è però un aspetto che rende la perizia diversa da tutti gli altri mezzi di prova. Se una parte ne ha chiesto l'ammissione, non è possibile che un'altra parte chieda una ulteriore perizia a prova contraria sullo stesso tema. << La perizia, quale mezzo di prova neutro, non può essere opposta contro "se stessa" ». Le esigenze della parte contrapposta troveranno soddisfazione nel momento in cui verrà formulato il quesito, se del caso, attraverso una estensione dei temi da accertare e nel contraddittorio interno alla perizia effettuato mediante i consulenti tecnici; per tale osservazione, si veda T. RAFARACI, LA prova contraria, Torino, 2004, 227.
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in oggetto sia stato richiesto a titolo di prova contraria, la parte che si è vista negare l'ammissione può ricorrere per cassazione ai sensi dell'art. 606, lett. d c.p.p., nel caso in cui ritenga trattarsi di una prova decisiva ( 150). La scelta del perito. Il giudice sceglie il perito in base a precisi vincoli: ai sensi dell'art. 22 1 , comma l , deve scegliere di regola una persona iscritta in appositi albi o, eccezionalmente, al di fuori di tali albi, ma tra coloro che siano forniti di particolare competenza tecnica (sulla quale dovrà dare congrua motivazione). Sono previste situazioni di incapacità ed incompatibilità del perito (art. 222) simili a quelle previste per il giudice: il legislatore vuole che il perito sia in una situazione di terzietà e impregiudicatezza, vista la delicata funzione che questi è chiamato a svolgere. Il perito ha l'obbligo di prestare il suo ufficio (art. 22 1 , comma 3 ) , salvo che sussista uno dei motivi di astensione (art. 223 ) . Segnaliamo uno dei motivi di incompatibilità del perito: questi non può prestare il suo ufficio se è stato citato come testimone, e cioè se ha conosciuto fatti oggetto di prova prima di assumere l'incarico (art. 222, comma l , lett. d) . n conferimento dell'incarico. Il perito deve presentarsi in udienza e impegnarsi ad adempiere al proprio ufficio secondo verità (art. 226, comma 1 ) . L a formulazione dei quesiti, da sottoporre al perito, spetta al giudice con l a più ampia garanzia del contraddittorio: sono sentiti il perito, le parti ed i loro consulenti tecnici (art. 226, comma 2). È importante che al momento del conferimento dell'incarico il giudice e le parti verifichino, oltre alla specifica qualificazione del perito, la concreta capacità dello stesso di rispondere ai quesiti proposti, sulla base degli elementi disponibili nel caso di specie ( 15 1 ). Il giudice, sentite le parti presenti, formula in via definitiva i quesiti. Da questo momento i consulenti possono assistere allo svolgimento della perizia, presen tare al giudice osservazioni e riserve e, infine, proporre specifiche indagini (art. 230, commi l e 2 ) . L'attività del perito. Una volta che il giudice h a precisato i quesiti, il perito gode di propri poteri di direzione e di impulso; tuttavia egli resta sotto il controllo del giudice sia nel momento in cui prende contatto col materiale probatorio, sia quando occorre risolvere questioni relative ai propri poteri (art. 228, comma 4). In particolare, il perito può prendere visione del materiale probatorio, col limite che può conoscere soltanto gli atti acquisibili al fascicolo per il dibattimento (art. 228, comma 1 ) . Viceversa, il consulente di parte può leggere gli atti del fascicolo del pubblico ministero ( 152). ( 150) Sulla problematica, v . amplius, T . RAFARACI, La prova contraria, Torino, 2004, 222; C . CoNTI, Iudex peritus peritorum e ruolo degli esperti nel processo penale, in Dir. pen. proc. , Dossier, La prova scientz/ica nel processo penale, a cura di P. ToNINI, 2008, 29 ss.; EAD, Il processo si apre alla scienza. Considerazioni sul procedimento probatorio e sul giudizio di revisione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, n. 3 . ( 1 5 1 ) Cfr. Linee-guida, cit., punto 5 . ( 152) I l Garante per l a privacy h a adottato alcune << Linee guida in materia di trattamento di dati
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n giudice può autorizzare il perito ad assistere all'esame delle parti o all'as sunzione di prove (art. 228, comma 2). n perito può chiedere notizie all'imputato, all'offeso e ad altre persone informate, con il limite che gli elementi acquisiti possono essere utilizzati soltanto ai fini dell'accertamento peritale (art. 228, comma 3 ) . Infine, il giudice h a il potere di adottare « tutti gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l'esecuzione delle operazioni peritali » (art. 224, comma 2 ) . Ad esempio, può ordinare con poteri coercitivi la consegna al perito di documenti o scritture di comparazione in caso di perizia per falsità in atti (art. 75 disp. att.) ; inoltre può disporre che al medesimo sia consegnato il corpo del reato. La relazione peritale. n "prodotto finale" di questo particolare mezzo di prova è la relazione che il perito svolge, di regola, oralmente e che eccezio nalmente formula anche per scritto, su autorizzazione del giudice (art. 227, comma 5 ) ( 153 ) . Dopo aver presentato la relazione scritta o aver svolto una relazione orale, il perito è sottoposto all'esame incrociato su richiesta di parte (art. 501). Al pari di quanto avviene per gli altri mezzi di prova, il giudice non è vincolato dalla perizia perché può disattenderne le conclusioni dando adeguata motivazione. Sotto tale profilo si usava dire che il giudice è peritus peritorum. In concreto, il giudice è in grado di disattendere il risultato di una perizia, ad esempio, nominando un nuovo perito o affidandosi alle valutazioni esposte da un consulente di parte. È comunque tenuto a valutare i risultati ai quali sono
personali da parte dei consulenti tecnici e dei periti ausiliari del giudice e del pubblico ministero >>, in G.U. n. 1 78 del 31 luglio 2008, doc. web n. 1534086. Gli esperti possono raccogliere e trattare lecitamente dati personali nei limiti in cui è necessario per adempiere all'incarico ricevuto e solo nell'ambito dell'accertamento demandato. Le relazioni e le informative fornite al magistrato non devono né riportare dati, specie se di natura sensibile o di carattere giudiziario o comunque di particolare delicatezza, non pertinenti all'oggetto della perizia, né contenere informazioni personali concernenti soggetti estranei al procedimento. L'eventuale utilizzo incrociato di dati è consentito se chiaramente collegato alle indagini che sono state delegate e se autorizzato dalle singole autorità giudiziarie interessate. Una volta espletato l'incarico, l'esperto del giudice deve consegnare per il deposito negli atti del procedimento non solo la propria relazione, ma anche la documentazione fornitagli dal magistrato e quella ulteriore acquisita nel corso dell'attività svolta. Al di fuori delle ipotesi stabilite per legge o da specifiche autorizzazioni del magistrato, il consulente e il perito non possono, quindi, conservare, in originale o in copia, in formato elettronico o su carta, le informazioni personali raccolte nel corso dell'incarico. Le informazioni acquisite nel corso dell'accertamento possono essere comunicate alle parti con le modalità e nel rispetto dei limiti fissati dalle norme sulla segretezza e riservatezza degli atti processuali. Eventuali comunicazioni di dati a terzi, se ritenute indispensabili per le finalità dell'indagine, devono rispettare quanto stabilito per legge o essere preventivamente autorizzate dal magi strato. Fino al momento della consegna al giudice o al pubblico ministero delle risultanze dell'attività svolta, consulenti e periti sono obbligati ad adottare misure tecniche ed organizzative per evitare una indebita divulgazione delle informazioni o la loro perdita o distruzione. ( 153) Ai sensi dell'art. 5 1 1 , comma 3, la lettura della relazione peritale può essere disposta solo dopo l'esame del perito.
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pervenuti gli esperti ed è libero di disattenderne le conclusioni motivando le ragioni del proprio dissenso ( 154) . n divieto di perizia criminologica. L'art. 220 comma 2 pone il divieto di ammissione di perizie volte ad accertare « il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche »; parimenti sono vietate le perizie tendenti a stabilire « l'abitualità o la professionalità nel reato » e la « tendenza a delinquere ». In definitiva, sono ammesse sull'imputato soltanto quelle perizie che tendono ad accertare una malattia mentale. La ratio del divieto può essere rinvenuta nella esigenza di tutelare la pre sunzione di innocenza dell'imputato. Gli accertamenti criminologici sulla per sonalità del soggetto potrebbero condizionare il giudizio sulla reità dell'imputato in relazione a quel fatto che deve essere accertato nel processo, violando principi fondamentali del diritto penale come quello di materialità ( 155) . Inoltre, gli ac certamenti in parola si esplicano attraverso intrusioni nella psiche e nel passato dell'imputato e comportano la violazione della sua riservatezza; e ciò di nuovo non è compatibile con il dovere di considerare l'imputato non colpevole sino alla sentenza definitiva ( 156). La perizia che richiede atti idonei ad incidere sulla libertà personale: il si lenzio del codice del 1 988. Può accadere che nel corso della perizia si renda
necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale dell'indagato o di altre persone, si pensi ai prelievi di campioni biologici finalizzati all'estrazione del profilo del DNA. Nel codice del 1988 non esisteva una disciplina espressa in relazione al compimento di tali attività. A ben vedere, il problema si poneva qualora l'individuo sottoposto alle attività peritali negava il proprio consenso allo svolgimento delle stesse. In assenza di collaborazione da parte del periziando, infatti, l'unica via praticabile sarebbe consistita nella esecuzione coattiva di tali atti. Tuttavia, una attività del genere doveva misurarsi con l'art. 13 Cost., in base al quale la libertà personale è inviolabile. Eventuali limitazioni di tale diritto fondamentale sono ammesse esclusivamente per atto motivato dell'autorità giuCfr. Cass. sez. I, 8 maggio 2003, Diamante, in Dir. giust. , 2003 , 29, 78. Cass., 28 giugno - 13 settembre 2006, V.S., in Dir. pen. proc. , 2007, 927: il divieto << è posto a garanzia dell'imputato al fine di sottrarlo a indagini psicologiche da cui potrebbero trarsi elementi confessori o comunque riguardanti la sua responsabilità, senza le garanzie difensive oltre i mezzi di prova previsti dal c.p.p. >>. ( 156) Dopo la condanna irrevocabile la perizia criminologica è ammessa in relazione alla fase dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza. Occorre considerare che, in tal caso, la perizia criminologica è svolta nei confronti di un colpevole e, nella sistematica penalistica, è funzionale alla richiesta di una misura alternativa alla pena detentiva. li divieto posto nell'art. 220 comma 2 per la perizia deve intendersi esteso alla consulenza tecnica di parte, posto che questa può vertere sul medesimo oggetto della perizia (Trib. Teramo, 30 aprile 1990, Serafini, in Arch.n.proc.pen., 1990, 433; Trib. Milano, 5 novembre 1990, in Riv. it. med. leg., 1992, 858, n. 7). Merita anche segnalare che il divieto non si estende alla persona offesa e al testimone, dei quali si debba verificare « l'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza » (art. 196 comma 2) mediante l'apporto di specifiche competenze tecnico-scientifiche; così Cass., sez. III, 28 settembre 1995, Russo, in Riv. pen., 1 996, 1 158.
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diziaria (riserva di giurisdizione) e nei soli casi e modi previsti dalla legge (riserva di legge cd. rinforzata). La materia in oggetto deve essere interpretata, dunque, in base al canone secondo cui è tutto vietato salvo ciò che è espressamente con sentito. All'evidenza, in assenza di una apposita regolamentazione, la versione originaria del codice non era idonea a soddisfare la riserva di legge e di giuri sdizione stabilita dall'art. 13, comma 2 Cost. La sentenza costituzionale n. 238 del 1 996. Sulla delicata questione era in tervenuta la Corte costituzionale che si era pronunciata sulla clisciplina della pe rizia facendo propria l'impostazione teorica appena prospettata (sent. n. 23 8 del 1 996). li Giudice delle leggi aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 224, co. 2 nella parte in cui consentiva al giudice di ordinare coattivamente la sottoposizione dell'indagato o di terzi allo svolgimento di attività peritali, idonee ad incidere sulla libertà personale dell'imputato o dell'indagato o di terzi, senza prevedere i casi e i modi in relazione a simili attività. Con la medesima sentenza la Corte aveva sottolineato l'utilità processuale di simili attività. Infatti, aveva affermato con chiarezza che l'esigenza di acquisire la prova di un reato costituisce un « valore primario sul quale si fonda ogni ordinamento ispirato al principio di legalità ». Inoltre, la Corte aveva aggiunto che atti del genere possono essere compiuti soltanto in presenza di ulteriori requisiti di sostanza. Infatti, l'accertamento non deve violare la dignità della persona umana né porre in pericolo la vita, l'integrità fisica o la salute dell'in teressato. In definitiva, la Corte costituzionale aveva messo in evidenza che la materia degli accertamenti coercitivi necessitava di una dettagliata regolamen tazione da parte del legislatore ( 157) . La legge n. 85 del 2009. Dopo più di un decennio di silenzio, il legislatore è intervenuto a disciplinare la delicata materia con la legge 30 giugno 2009, n. 85 ( 158). Tale normativa si attiene alle linee direttrici tracciate dalla Corte co( 157) In verità, il legislatore aveva previsto un accertamento che si può definire "obbligatorio" in quanto colui che si rifiuta di effettuarlo è sanzionato penalmente, ma non "coercitivo" in quanto non è eseguibile contro la volontà dell'interessato. Si tratta della normativa che fa parte del nuovo codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 1992), che punisce la guida in stato di ebbrezza sotto l'effetto di alcool o stupefacenti (artt. 186 e 187, mod. da ultimo dal d.l. n. 92 del 2008, conv. in legge n. 125). Quando il conducente è sorpreso in tale stato, la polizia può chiedergli di sottoporsi ad appositi esami, che si configurano come accertamenti "obbligatori". Se il conducente rifiuta di sottoporsi all'esame, è punito con l'arresto da tre mesi a un anno e con l'ammenda da euro 1 .500 a 6.000 (art. 186, comma 7, mod. dal d.l. n. 92 del 2008 cit.). La condanna comporta la sospensione della patente e la confisca del veicolo; è prevista la revoca della patente se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per lo stesso reato. ( 158) La legge n. 85 contiene le definizioni di alcuni termini scientifici, che conviene riprodurre per consentire una migliore comprensione della materia. Art. 6: << Ai fini della presente legge si intendono per: a) << DNA >>: acido desossiribonucleico, depositario della informazione genetica, sotto forma di una se quenza lineare di nucleotidi, portatore dell'informazione ereditaria; b) << profilo del DNA >>: sequenza alfa numerica ricavata dal DNA e caratterizzante ogni singolo individuo; c) << campione biologico >>: quantità di sostanza biologica prelevata sulla persona sottoposta a tipizzazione del profilo del DNA;
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stituzionale. n nuovo art. 224-bis reca, infatti, una regolamentazione delle ipotesi in cui nel corso della perizia si renda necessario effettuare prelievi ed accertamenti medici coattivi. I prelievi con il consenso dell'individuo. n primo dato che si ricava da tale disposizione è che la disciplina in esame trova applicazione soltanto nel caso in cui la persona sottoposta alla perizia non presti il proprio consenso ai prelievi ed agli accertamenti suddetti (art. 224-bz"s, comma 1 ) . Qualora, infatti, l'interessato sia consenziente, non scatta la necessità di tutelare la libertà personale: la situa zione è rimasta quella anteriore alla legge e non occorre una regolamentazione legislativa dei casi e modi ai sensi dell'art. 1 3 , comma 2 Cost. I prelievi e gli accertamenti possono, pertanto, essere effettuati nel corso delle comuni attività peritali, senza particolari formalità, e cioè a prescindere dalla gravità del reato per il quale si procede e indipendentemente dal requisito di indispensabilità ai fini probatori. Anche le tipologie degli accertamenti espletabili non richiedono una indicazione tassativa. Resta il limite ricavabile dall'art. 5 cod. civ. in relazione agli atti di disposizione del proprio corpo: l'individuo non può consentire ad atti che comportino una diminuzione permanente dell'integrità fisica o psichica o che ledano la propria dignità. I prelievi e gli accertamenti coattivi. Differenti considerazioni si impongono qualora l'individuo non presti il proprio consenso. In tale ipotesi, trova appli cazione la disciplina tratteggiata dal nuovo art. 224-bis, che reca un attento bi lanciamento tra la tutela della libertà personale e l'esigenza di accertamento dei fatti (v. tav. 3 . 1 .28). l ) Anzitutto, la norma precisa la tipologia di reati in relazione ai quali attività del genere possono essere disposte (art. 224-bis, comma 1 ) . La perizia coattiva è consentita quando si procede per un delitto doloso o preterintenzionale, consu mato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della re clusione superiore nel massimo a tre anni ( 159) e negli altri casi espressamente previsti dalla legge ( 160) . d) « reperto biologico>> : materiale biologico acquisito sulla scena di un delitto o comunque su cose pertinenti al reato; e) << trattamento>> : qualunque operazione o complesso di operazioni effettuate anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consulta zione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, la tipizzazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati; j) « accesso>> : consultazione, anche informatica, dei dati e delle informazioni contenute nella banca dati; g) « dati identificativi>> : dati personali che permettono l'identificazione diretta dell'interessato; h) << tipizzazione>> : complesso delle operazioni tecniche di laboratorio che conducono alla produzione del profilo del DNA>> . ( 159) Si tratta di una fascia di reati avvicinabili a quelli per i quali possono trovare applicazione misure cautelari coercitive, con la differenza che per i reati colposi le misure cautelari possono essere disposte, mentre il prelievo non può essere effettuato. ( 1 60) In proposito, occorre ricordare quegli accertamenti che sono attualmente consentiti in materia di violenza sessuale e pedofilia. Le leggi 15 febbraio 1996, n. 66, in materia di violenza sessuale e 3 agosto
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2 ) In secondo luogo, l'art. 224-bis, comma l reca un requisito di tipo pro batorio: occorre che la perizia risulti assolutamente indispensabile per la prova dei /atti. Di tale condizione, come vedremo tra breve, il giudice dovrà dar conto nella motivazione dell'ordinanza che dispone la perizia coattiva. 3 ) In terzo luogo, la norma indica quali sono le attività che possono essere compiute. Ai sensi dell'art. 224-bis, comma l l'esecuzione coattiva concerne gli « atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quali il prelievo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo del DNA o accertamenti medici » ( 1 6 1 ) . L a descrizione delle attività in oggetto presta chiaramente il fianco a d alcuni rilievi in punto di tassatività. Particolari perplessità desta il concetto di "accer tamenti medici" , che resta del tutto indeterminato sia con riguardo alla tipologia di atti che possono essere compiuti, sia con riferimento alle modalità esecutive degli stessi ( 162) . Ove si abbia riguardo alle considerazioni svolte supra circa la necessità di una dettagliata indicazione dei casi e modi al fine di soddisfare la riserva di legge rinforzata stabilita dall'art. 13 , comma 2 Cost. è chiaro che la disciplina in esame appare piuttosto indeterminata. All'evidenza, il legislatore ha evitato di prevedere un elenco tassativo dei singoli atti espletabili, che sarebbe stato inevitabilmente esposto ad una rapida obsolescenza tenuto conto della continua evoluzione della scienza medica. Proprio alla luce delle riserve di ordine costituzionale appena esposte, rite niamo che gli « accertamenti medici » ai quali fa riferimento l'art. 224-bis, comma l debbano essere espressamente previsti dalla legge a causa del principio di tas satività esistente in materia ( 163 ) . I limiti. S e per un verso il Parlamento h a scelto di non prevedere un elenco tassativo delle attività che possono essere compiute, per un altro verso, ha optato per una precisazione dei limiti oltre i quali gli atti idonei ad incidere sulla libertà personale non possono spingersi. In particolare, non possono in alcun caso essere disposte « operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge »; che possano « mettere in pericolo la vita, l'integrità fisica o la salute della persona o del
1998, n. 269, in materia di pedofilia, hanno imposto all'imputato di detti reati l'obbligo di sottoporsi agli accertamenti tendenti ad individuare << patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime » (rispettivamente artt. 16 e 15). S i tratta di un esame "coattivo" , che si svolge nell'interesse della salute della persona offesa. ( 1 6 1 ) P. FELICIONI, L'acquisizione di materiale biologico a fini identificativi o di ricostruzione del fatto, in AA.Vv., Prelievo del DNA e Banca dati nazionale. Il processo penale tra accertamento delfatto e cooperazione internazionale, a cura di A. ScARCELLA, Padova, 2009, 204. ( 162) C. CoNTI, I diritti fondamentali della persona tra divieti e "sanzioni processuali": il punto sulla perizia coattiva, in Dir. pen. proc., 2010, n. 8. ( 163) Come esempio di accertamento, che già attualmente è previsto nella species dal legislatore e, dunque, idoneo a soddisfare le esigenze di tassatività riconducibili all'art. 1 3 , comma 2 Cast., possiamo nuovamente ricordare i citati accertamenti in materia di violenza sessuale e di pedofilia (v. la nota precedente).
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nascituro »; che « secondo la scienza medica, possano provocare sofferenze di non lieve entità » (art. 224-bù, comma 4) ( 1 64). Anche dal punto di vista delle modalità di esecuzione il Parlamento ha scelto di lasciare libertà agli esperti chiamati ad eseguire le operazioni senza tracciare una disciplina di dettaglio che avrebbe imbrigliato l'evoluzione tecno logica. n legislatore ha prescritto soltanto alcune direttive di metodo: le operazioni peritali sono comunque eseguite « nel rùpetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto ». Inoltre, a parità di risultato, sono prescelte comunque le tecniche meno invasive (art. 224-bis, comma 5) ( 165 ). L'ordinanza che dispone la "perizia coattiva". La perizia coattiva viene di sposta con ordinanza motivata (art. 224-bis, comma 2). n contenuto di tale prov vedimento appare piuttosto articolato ed è finalizzato a garantire l'effettivo con trollo giurisdizionale sui presupposti e sulle modalità degli accertamenti. Anzitutto, l'ordinanza reca quelle stesse indicazioni che sono contenute nel prov vedimento che dispone la comune perizia. Ai sensi dell'art. 224, richiamato dal l'art. 224-bis, comma 2, l'ordinanza contiene la nomina del perito, la sommaria enunciazione del giorno dell'ora e del luogo fissati per la comparizione dello stesso. Inoltre, il prowedimento che dispone la perizia coattiva deve contenere a pena di nullità: l ) le generalità della persona da sottoporre all'esame e quanto altro valga ad identificarla; 2 ) l'indicazione del reato per cui si procede, con la descri zione sommaria del fatto; 3 ) l'indicazione specifica del prelievo o dell'accerta mento da effettuare e delle ragioni che lo rendono assolutamente indispensabile per la prova dei fatti; 4) l'avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore o da persona di fiducia; 5 ) l' awiso che, in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento, potrà essere ordinato l'accompagnamento coattivo; 6) l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora stabiliti per il compimento dell'atto e delle modalità di compimento. Come si è accennato, la legge non indica in maniera tassativa le modalità attraverso le quali gli accertamenti vengono compiuti. Tuttavia, una simile lacuna - che in qualche misura stride con la riserva di legge in materia di libertà per( 1 64) In proposito vi è chi rileva che la tecnica normativa utilizzata si addice male alla materia regolata, che dovrebbe essere conforme al principio costituzionale in base al quale è tutto vietato, salvo ciò che è espressamente consentito nei casi, modi e fini indicati dal legislatore (C. CoNTI, I diritti /ondamentalz; cit.). Infatti, da un lato, il legislatore ha indicato una categoria molto vaga di "accertamenti medici" ; da un altro lato, ha previsto una serie di limiti, altrettanto indeterminata. Il limite costituito dalle "sofferenze di non lieve entità" deve essere " eterointegrato" dalla scienza medica. La questione si rivela ancora più problematica ove si tenga presente che la norma in esame stabilisce una serie di divieti probatori che determinano l'operatività della inutilizzabilità generale ex art. 1 9 1 c.p.p. ( 1 65) Sotto questo profilo vi è chi ritiene singolare che la dignità - bene spesso considerato come il presupposto di tutti i diritti fondamentali costituzionalmente tutelati - sia " declassato" a mero limite modale delle operazioni. Sulla base di tali rilievi si conclude che la violazione di tale istanza dà comunque luogo a inutilizzabilità ai sensi dell'art. 1 9 1 c.p.p. (C. CoNTI, I diritti /ondamentalz; cit.).
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sonale è in parte compensata dalla scelta di riservare caso per caso al giudice tale specificazione. In tal modo, la riserva di giurisdizione assicura una previa e puntuale indicazione delle modalità esecutive. Come si è accennato, il contenuto dell'ordinanza è imposto dalla legge a pena di nullità, che può essere immedia tamente eccepita dal difensore. Infatti, ai sensi dell'art. 224-bis, comma 7 , l'atto si svolge a pena di nullità con la presenza necessaria del difensore nominato. Regolamentazione. L'ordinanza è notificata all'interessato, all'imputato e al suo difensore nonché alla persona offesa almeno tre giorni prima di quello stabilito per l'esecuzione delle operazioni peritali (art. 224-bis, comma 3 ) . Qualora l'in teressato non compaia senza addurre un legittimo impedimento, il giudice può disporre l'accompagnamento coattivo, nel luogo, nel giorno e nell'ora stabiliti (art. 224-bis, comma 6). Può anche accadere che l'individuo compaia e continui a manifestare un atteggiamento ostile al compimento del prelievo. In tal caso, il giudice dispone che le operazioni siano eseguite coattivamente ed è consentito l'uso di mezzi di coercizione fisica per il solo tempo strettamente necessario al l'esecuzione del prelievo o dell'accertamento (art. 224-bis, comma 6). La persona sottoposta ad accompagnamento coattivo non può essere tenuta a disposizione oltre il compimento dell'atto previsto e di quelli consequenziali per i quali perduri la necessità della sua presenza. In ogni caso, la persona non può essere trattenuta oltre le ventiquattro ore (art. 132, comma 2) ( 1 66). Nullità. Occorre esaminare quali siano le sanzioni che scattano in caso di mancato rispetto della disciplina appena esposta. L'art. 224-bis commina una nullità speciale, sia qualora l'ordinanza che dispone la perizia non rechi il contenuto tassativo che è stabilito dal comma 2, sia qualora la persona interes sata abbia nominato un difensore e questi non assista all'attività peritale (art. 224-bis, comma 7 ) . li regime della nullità varia a seconda dell'individuo da sottoporre a simili attività. Se si tratta di una parte privata diversa dall'imputato la nullità è sempre di tipo intermedio, ai sensi degli artt. 178, lett. c e 1 80. Se si tratta dell'imputato la nullità che concerne il contenuto dell'ordinanza è di tipo intermedio, mentre l'assenza del difensore alle attività peritali parrebbe rien trare nelle nullità assolute di cui all'art. 179. Qualora il periziando sia una persona estranea al procedimento, la nullità è di tipo relativo. Inutilizzabilità. A nostro avviso, tuttavia, la nullità non è l'unica sanzione processuale posta a presidio delle norme in tema di accertamenti coattivi. Fuori dalle ipotesi in cui l'art. 224-bis commina espressamente tale conseguenza, può infatti prospettarsi il più grave vizio della inutilizzabilità. A tale conclusione si -
( 166) L'art. 72-bis disp. att. disciplina l'ipotesi in cui il prelievo è operato nei confronti di un minorenne, di un incapace o di un interdetto per infermità di mente. In detti casi il consenso è prestato dal genitore, dal curatore o dal tutore, i quali possono presenziare alle operazioni. Se il genitore o il tutore mancano o non sono reperibili, ovvero si trovano in conflitto di interessi con la persona da sottoporre a prelievo di campioni biologici o ad accertamenti medici, il consenso è prestato da un curatore speciale nominato dal giudice, il quale può presenziare alle operazioni.
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perviene ove si tenga conto degli interessi sottesi alla materia in oggetto. Poiché la limitazione della libertà personale è vietata salvo ciò che è espressamente consentito nei casi e modi previsti dal legislatore, qualora non siano rispettate le regole stabilite dalla legge siamo in presenza di atti vietati. Si faccia il caso in cui venga disposto un accertamento coattivo per reati diversi da quelli espres samente previsti o in assenza del requisito della indispensabilità per la prova dei fatti. In casi del genere si configura in capo al giudice quella carenza di potere istruttorio che comporta la radicale inutilizzabilità degli elementi eventualmente raccolti (art. 191). Ancor più lineare è la conclusione in presenza di accertamenti che ledono la dignità, oppure provocano una sofferenza di non lieve entità: in tal caso, l'art. 224-bis reca un espresso divieto che rende inequivocabile l'applicabilità dell'art. 191. c.
n consulente tecnico di parte.
Le parti possono nominare consulenti tecnici sia in relazione ad una perizia gta disposta (art. 225 ) , sia al di fuori della perizia (art. 233 ) ed anche per contrastare il risultato di una perizia già svolta ( 167) . La consulenza tecnica di parte fuori perizia. Nell'indicare il titolare della facoltà di nomina del consulente tecnico fuori della perizia, l'art. 233 , comma l , fa riferimento a « ciascuna parte ». Il termine deve essere inteso, come avviene altre volte nel codice, in senso atecnico e, quindi, va riferito anche alla persona offesa ed all'indagato, che nelle indagini preliminari sono parti
( 1 67 ) La parte privata non ha l'obbligo di scegliere il consulente all'interno di albi; tuttavia essa ha l'onere di convincere il giudice e, pertanto, sarà suo interesse nominare persone di riconosciuta capacità tecnica. n pubblico ministero nomina il consulente tecnico "di regola" scegliendo una persona iscritta negli albi dei periti (art. 73 disp. att. ) . Come s i è accennato, i l Garante h a adottato d i recente alcune "Linee guida in materia d i trattamento di dati personali da parte dei consulenti tecnici e dei periti ausiliari del giudice e del pubblico ministero " , in G. U. n. 1 78 del 3 1 luglio 2008, doc. web n. 1534086. Ai consulenti tecnici del pubblico ministero si applica la stessa disciplina che è prevista per i periti (cfr. supra). n provvedimento in esame reca, inoltre, alcune indicazioni che si rivolgono specificamente ai consulenti tecnici delle parti private (par. 6). In particolare, essi possono trattare lecitamente i dati personali nei limiti in cui ciò è necessario per il corretto adempimento dell'incarico ricevuto dalla parte o dal suo difensore. I dati sensibili o giudiziari possono essere utilizzati solo se ciò è indispensabile. I consulenti possono acquisire e utilizzare solo i dati personali comunque pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite con l'incarico ricevuto, avvalendosi di informazioni personali e di modalità di trattamento proporzionate allo scopo perseguito. Salvi i divieti di legge posti a tutela della segretezza e riservatezza delle informazioni acquisite nel corso del processo penale (es. art. 379-bis c.p.p.) e i limiti e i doveri derivanti dal segreto professionale e dal fedele espletamento dell'incarico ricevuto (artt. 380 e 381 c.p.), i consulenti possono comunicare a terzi dati personali solo ove ciò risulti necessario per finalità di tutela dell'assistito, limitatamente ai dati strettamente funzionali all'esercizio del diritto di difesa della parte e nel rispetto dei diritti e della dignità dell'interessato e di terzi. Inoltre, i consulenti debbono adottare le misure idonee a garantire la sicurezza dei dati. Infine, debbono incaricare per iscritto gli eventuali collabo ratori che siano addetti alla custodia e al trattamento dei dati.
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"potenziali" . Tali soggetti possono nominare consulenti in numero non supe riore a due. Tuttavia è posto un limite al potere di nomina delle parti, e questo consiste nelle situazioni di incompatibilità richiamate nell'art. 225, comma 3 . In parti colare occorre segnalare che non può essere nominato consulente tecnico colui che è chiamato a prestare l'ufficio di testimone. Ciò è giustificato dal fatto che il consulente tecnico ha la facoltà di astenersi dal testimoniare (art. 200, comma l , lett. b) su quanto ha conosciuto per ragione del proprio ufficio. Viceversa, se un tecnico è stato testimone di un fatto di reato, ha conosciuto tale fatto non per motivo d'ufficio; pertanto, prevale la sua qualità di testimone. L'oggetto della consulenza tecnica di parte è identico a quello della perizia: esso è indicato nell'art. 220. Per contro, è differente la disciplina giuridica che regola i due istituti. n perito svolge indagini ed acquisisce risultati probatori per conto del giudice; gli esiti delle operazioni tecniche sono destinati a confluire direttamente nel fascicolo per il dibattimento e sono utilizzabili nella decisione finale. Il consulente di parte propone valutazioni tecniche, che si traducono in un parere esposto oralmente o in memorie (art. 233 , comma 1 ) . Identico è lo strumento con il quale il perito e d il consulente tecnico sono sentiti in dibattimento. Essi sono sottoposti all'esame incrociato, che si svolge in forme simili a quelle con le quali è escusso il testimone ( 168). A differenza del perito, che assume l'obbligo penalmente sanzionato di « far conoscere la verità » (art. 226) , nessun obbligo del genere è previsto dal codice per il ( 168) Art. 5 0 1 , comma 1 : << per l'esame dei periti e dei consulenti tecnici si osservano le disposizioni sull'esame dei testimoni, in quanto applicabili >>. La giurisprudenza di merito ha a lungo ritenuto che al consulente si applicasse altresì l'art. 149 disp. att., in base al quale i testimoni debbono essere collocati fuori dall'aula di udienza fino al momento in cui devono essere esaminati, al fine di preservare la genuinità delle dichiarazioni. È evidente, per contro, che il consulente può svolgere al meglio il proprio incarico se ha la possibilità di assistere all'istruzione dibattimentale e, in particolare, all'esame degli altri esperti. L'impostazione tradizionale è stata superata da ultimo da Cass., sez. III, 13 maggio 2009, n. 25992 e da Cass., sez. III, 9 giugno 2009, n 35702 secondo cui la mancata partecipazione del consulente dell'imputato all'esame del testimone minorenne vittima di abusi integra una nullità intermedia. In particolare, quest'ultima sentenza ha affermato che l'introduzione, nel codice di rito del 1988, di una norma come l'art. 233 sembra essere proprio espressione dell'intento legislativo di non restringere la possibilità di un'assistenza tecnica all'autorizzazione del giudice. È chiaro che ci si deve chiedere che senso abbia facultizzare ciascuna parte a nominarsi propri consulenti (fino al numero di due) senza, però, poterli avere vicini al bisogno. E ciò, tanto più in vista della possibilità - espressamente prevista - che essi redigano memorie. È evidente, infatti, che, proprio perché la disposizione è stata concepita per le ipotesi diverse da quelle nelle quali sia stata disposta una perizia, dovrebbe arguirsi una possibilità di partecipazione del consulente a tutti gli altri momenti procedurali e processuali che possano richiedere la sua presenza. n tutto è finalizzato proprio ad una percezione diretta da parte del consulente di ciò che avviene sì da poter esplicare in modo puntuale e specifico il proprio incarico.
In caso contrario - fermandosi alla lettera della norma - si finirebbe per banalizzare il ruolo del consulente tecnico circoscrivendolo, sostanzialmente, alla predisposizione di memorie ovvero ali' esame di cose seque strate o alla partecipazione ad ispezioni (attività, queste ultime, previa, comunque, autorizzazione del giudice).
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consulente di parte. Naturalmente, una eventuale menzogna, rilevata ad esem pio nell'esame incrociato, potrà avere influenza sulla attendibilità della valuta zione prospettata dal consulente stesso ( 169) . n regime giuridico della consulenza tecnica fuori dei casi di perizia. I consulenti tecnici della parte pubblica e quelli delle private possono svolgere la propria attività anche quando il giudice non ha disposto la perizia (art. 233 ). Il codice detta una regolamentazione unitaria alla quale sfugge soltanto il consu lente del pubblico ministero limitatamente alla fase delle indagini preliminari: di ciò daremo atto nel prossimo paragrafo in relazione agli artt. 359 e 3 60. Ciò premesso, il consulente nominato da una parte privata può svolgere investiga zioni difensive per ricercare ed individuare elementi di prova e può conferire con le persone che possono dare informazioni (art. 3 9 1 -bis) nonché visionare, previa autorizzazione, il materiale che l'autorità giudiziaria ha posto sotto sequestro (art. 233 , comma l -bis) . Di regola, gli elementi di prova, che siano stati raccolti, possono essere presentati, o meno, dalla parte privata in dibatti mento (art. 495 , comma 3 ) . Essi, tuttavia, devono necessariamente essere presentati al giudice ed entrano a far parte del fascicolo per il dibattimento qualora si tratti di accertamenti tecnici non ripetibili (art. 391 -decies, comma 3 ) . In base al sistema accolto dal codice, l a consulenza di parte è insieme espressione della difesa tecnica ( 170) e mezzo di prova scientifica, tecnica o artistica ( 17 1 ) . Si discute se il consulente possa essere chiamato a deporre soltanto dalla parte che lo ha nominato o anche dalle controparti; queste ultime, quanto meno, possono controesaminarlo. Se ne deduce che siamo in presenza di una fonte di conoscenza singolare, che le parti possono sottoporre al giudice per incidere sul suo convincimento. Anche in ambito tecnico-specialistico, dunque, si è ormai affermato il principio dispositivo della prova, pur con i consueti temperamenti: di regola, spetta alle parti l'onere di fornire prove mediante propri esperti, salvo il potere offìcioso del giudice qualora questi ritenga necessario interpellare un perito di propria fiducia. (169) Sono di tutta evidenza, inoltre, le possibili ripercussioni delle false dichiarazioni sul piano professionale e/o deontologico. ( 170) La Corte costituzionale, nella sentenza n. 33 del 1999, ha esaltato la natura di strumento di difesa tecnica del consulente, precisando che il patrocinio a spese dello Stato deve comprendere anche la consulenza tecnica disposta fuori dei casi di perizia; art. 4, comma 2, legge 30 luglio 1990, n. 2 1 7 . ( 1 7 1 ) La Corte d i cassazione h a più volte posto l'accento sul valore probatorio della consulenza: << in tema di istruttoria dibattimentale, l'art. 5 0 1 , comma l , c.p.p. riconosce ai consulenti tecnici - di cui le parti abbiano chiesto l'ammissione ed il giudice l'abbia accolta - sostanziale qualità di testimone; ne consegue che non può essere poi negata a tale giudice la possibilità di desumere elementi di prova e di giudizio dalle loro dichiarazioni e dai loro chiarimenti, senza l'obbligo di disporre apposita perizia se, con adeguata e logica motivazione, il medesimo giudice ne dimostri la non necessità per essere gli elementi forniti dai consulenti privi di incertezze, scientificamente corretti, basati su argomentazioni logiche e convincenti >>. Così Cass. , sez. II, 28 febbraio 1997, Santilli, in Foro it., Rep., voce Dibattimento penale, 1 0 1 .
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La valutazione della perizia e della consulenza tecnica. È possibile affer mare che risulta oggettivamente difficile valutare una prova scientifica. Si registrano, infatti, due rischi contrapposti. Da un lato, il pericolo che il giudice si rimetta completamente al parere dello scienziato, abdicando, sotto questo profilo alla propria funzione giurisdizionale. Da un altro lato, e per converso, il rischio che il giudice si arroghi il diritto all'ultima parola, svolgendo un ruolo che è stato definito di "scienziato dilettante" . Ebbene, gli opposti pericoli si neutralizzano calando la prova scientifica all'interno degli ordinari meccanismi conoscitivi del processo ( 172). Ciò signi fica che la prova scientifica deve essere valutata alla stessa stregua delle altre prove. Pertanto, anche nella materia in oggetto, occorre valorizzare quello che è stato definito il « modello della motivazione legale e razionale » ( 173 ) e che si desume da varie norme del codice tra le quali, soprattutto, l'art. 546 lett. e. Ciò significa che il giudice deve esporre nella motivazione della sentenza perché ritiene attendibile la prova (anche quella di tipo scientifico) sulla quale fonda la sua decisione e perché ritiene non attendibili le prove contrarie (art. 546, comma l, lett. e) . Certamente, non si può imporre al giudice di adottare una motivazione tecnica entrando nel merito delle argomentazioni degli specialisti, in quanto con ciò verrebbe svalutato il presupposto stesso della perizia, ossia l'esigenza di specifiche competenze che il magistrato di regola non ha. Tuttavia, si ritiene necessario che il giudice dimostri di aver preso in considerazione le differenti ricostruzioni tecniche e di averle accettate o scartate sulla base di motivi oggettivi: tale è il senso oggi accettabile del detto latino che vede nel giudice il peritus peritorum ( 17 4 ) . ( 172) C . CoNTI, Iudex peritus peritorum e ruolo degli esperti nel processo penale, in Dir. pen. e proc. , Dossier La prova scientifica nel processo penale, a cura di P. ToNINI, Milano, 2008, 29. ( 173) G. CANziO, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, in Dir. pen. proc. , 2003, 1 1 95. In senso critico, L. D'AuRIA, Prova penale scientifica e "giusto processo", in Giust. pen., 2004, 26. ( 174) n giudice, secondo un antico brocardo latino, è denominato peritus peritorum. n principio è differentemente inteso nel sistema inquisitorio ed in quello accusatorio. Nel sistema inquisitorio (o nel misto prevalentemente inquisitorio) il giudice, che sia personalmente esperto in una materia specialistica, può non nominare un perito; inoltre, gli è consentito di disattendere le argomentazioni svolte dall'esperto e di sostituire ad esse quelle argomentazioni, che sono tratte da proprie personali cognizioni. L'orientamento risale alla dottrina di F. STEIN, Das Private Wissen des Richters, Leipzig, 1893, p. 25 ss., per il quale tutte le massime d'esperienza, anche quelle appartenenti alla scienza degli specialisti, sono liberamente utilizzabili dal giudice e non costituiscono scienza privata. Nel sistema accusatorio, il principio del contraddittorio nella formazione della prova, quando questa è specialistica, impone che le parti possano nominare consulenti tecnici anche fuori della perizia e che questi possano illustrare al giudice le proprie conclusioni nell'esame incrociato. n giudice, anche se esperto in materie scientifiche, tecniche o artistiche, non può lui stesso svolgere una perizia perché le parti hanno il diritto al contraddittorio sul metodo scelto e sulle leggi utilizzabili per ricercare e valutare l'elemento di prova. Alla luce di tali rilievi, nel sistema accusatorio, il brocardo latino iudex peritus peritorum assume un significato differente da quello originario, sorto nel sistema inquisitorio. Esso significa che il giudice, pur
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In definitiva, nella giurisprudenza più recente si ritiene indispensabile che il giudice, quando nel contrasto tra le parti presceglie una tesi scientifica, motivi le ragioni per le quali la preferisce ad altre, pur sottoposte alla sua atten zione ( 175) . Nel quadro così delineato, emerge l'assoluta centralità dell'esame incrociato al quale possono essere sottoposti gli esperti (art. 501), poiché è grazie a tale strumento che le parti riescono a convincere il giudice: egli sarà portato a ritenere maggiormente attendibili le conclusioni di un esperto che, identifi cando ed applicando le leggi scientifiche, riesca a provarne la ragionevolezza. In particolare, è fondamentale che l'esame incrociato verta sull'analisi della teoria di rz/erimento accolta dal tecnico. Per verificare la validità dell'opinione che l'esperto ha espresso, occorre che il giudice motivi sui seguenti punti: se questi ha in concreto una specifica idoneità ad espletare l'incarico affidatogli; se la teoria cui ha fatto riferimento sia stata o possa essere verificata o falsificata; se la teoria sia stata oggetto di pubblicazione scientifica ed esaminata da altri esperti; se è conosciuto il coefficiente di errore relativo alla teoria proposta; ed infine occorre verificare se, nell'ambito della letteratura scientifica, la teoria prospettata sia sempre attuale oppure abbia subìto nel tempo revisioni o aggiornamenti. Chi conduce il controesame può così dimostrare la differenza che intercorre tra le conclusioni che derivano da studi validi e verificabili e quelle basate su deduzioni tratte da qualche teoria di tipo speculativo non convalidata ( 176). Simili cautele, per un verso, evitano che al perito venga attribuito un credito privilegiato sulla base di una sorta di ipse dixit; per un altro verso, permettono dovendo avvalersi di esperti in materie scientifiche, tecniche o artistiche, non è vincolato alle loro conclusioni e può disattenderle. In particolare, nel nostro ordinamento, il giudice può discostarsi dal parere degli esperti, ma deve motivare sul perché il metodo prescelto e la conclusione raggiunta appaiono più attendibili rispetto a quelli adottati da periti e consulenti (art. 546, comma l , lett. e). ( 175) Cass., sez. IV, 1 ° luglio 2008, C., in Guida dir. , 2008, 40, 87 . Richiama la << cultura dei criteri >> consistente in schemi concettuali intesi a scrutinare la validità delle leggi scientifiche e delle tecnologie usate dall'esperto e la loro corretta applicazione, O. DoMINION!, voce Prova scientz/ica, in Enc. dir. , Annali, II, tomo l , Milano, 2008, pp. 983 e 987. ( 1 76) Nella prassi accade che si faccia ricorso al confronto diretto tra gli esperti, sia pure "guidato" dalle domande rivolte dalle parti. L'applicazione di un simile metodo risulta estremamente utile per il giudice il quale su ogni questione avrebbe dinanzi la tesi dell'esperto e le relative obiezioni, senza dover attendere lo svolgimento dell'esame diretto e del controesame del perito, seguito soltanto successivamente dall'escussione del consulente di parte. La giurisprudenza esclude la facoltà dei consulenti tecnici di controesaminare i periti giacché l'art. 501 comma l c.p.p., rinvia alle disposizioni sull'esame dei testimoni in quanto applicabili e queste ultime non prevedono alcuna forma di controesame dei testi tra di loro. Viceversa, ammette la possibilità che essi siano posti a confronto e che siano loro rivolte domande dal pubblico ministero e dai difensori delle parti. Così Cass., sez. I, 10 luglio 2002, Botticelli, in Cass. pen., 2004, p. 593. Nello stesso senso, Cass., sez. II, 27 gennaio 2005 , Ferrara, ivi, 2006, p. 1508, secondo cui, tuttavia, non sussiste alcun obbligo per il giudice di disporre un confronto diretto tra gli esperti, restando affidata al difensore l'eventuale esposizione dei motivi di dissenso dalle conclusioni dell'elaborato peritale. In dottrina, da ultimo, C. CoNTI, Il processo si apre alla scienza. Considerazioni sul procedimento probatorio e sul giudizio di revisione, in Riv. it. dir. proc. pen. , 2010, n. 3.
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che una ricostruzione di parte risulti idonea a spiegare il caso concreto, sia in assenza di una perizia (177), sia nell'eventualità che quest'ultimo mezzo di prova abbia fornito risultati contrari (178). n perito è attendibile non in quanto figura neutra di nomina giudiziale; egli è attendibile in quanto la sua ricostruzione abbia resistito all'urto del contraddittorio ( 179). Non esiste, dunque, una gerarchia tra perito e consulente, tale da determinare in via presuntiva un minor credito dell'esperto di parte ( 180). Occorre ancora precisare che la prova scientifica deve essere collocata nel quadro delle altre risultanze processuali. Nella valutazione il giudice deve necessariamente verificare se il risultato della prova scientifica appare coerente con le altre prove raccolte nel procedimento ( 1 8 1 ) . Egli deve spiegare se le prove acquisite nel corso del processo hanno eliminato ogni ragionevole dubbio sulla ricostruzione dell'accusa e, al tempo stesso, se la ricostruzione della difesa è stata, o meno, idonea a far sorgere un ragionevole dubbio (art. 533 , comma 1 ) . In base al criterio della probabilità logica che presiede all'accertamento pro cessuale, il giudice pronuncerà sentenza di condanna quando le risultanze determineranno una certezza processuale, e cioè una spiegazione concreta dotata di alta credibilità razionale al di là di ogni ragionevole dubbio ( 182) . d.
n consulente tecnico del pubblico ministero.
Vi sono norme apposite che regolano i consulenti del pubblico ministero. Nelle fasi dell'udienza preliminare e del giudizio il pubblico ministero può nominare consulenti tecnici ai sensi dell'art. 233 al fine di acquisire pareri e valutazioni. n pubblico ministero nomina il consulente tecnico "di regola" scegliendo una persona iscritta negli albi dei periti (art. 73 disp. att.). Egli agisce ( 177) In proposito, si è espressa con nettezza C. cost. , 19 febbraio 1999, n. 3 3 . Il Giudice delle leggi - nel dichiarare l'illegittimità costituzionale della previgente disciplina in tema di gratuito patrocinio nella parte in cui limitava il beneficio al consulente tecnico endoperitale - ha affermato che << la consulenza è suscettibile di assumere pieno valore probatorio non diversamente da una testimonianza e che pertanto il giudice non è obbligato a nominare un perito qualora le conclusioni fornite dai consulenti di parte gli appaiano oggettivamente fondate, esaustive e basate su argomentazioni convincenti >>. In Cass. pen., 1999, 1736, con nota R.E. KosTorus, Consulente tecnico extraperitale e gratuito patrocinio. Nella giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. l, 8-28 maggio 2003 n. 2346 1 , ric. Diamante, in Guida dir., 2003, n. 33, 9 1 . ( 178) O. DoMINION!, La prova penale scientifica, cit., 334. ( 179) C. CoNTI, Iudex peritus peritorum, loc. ult. cit. ( 180) In giurisprudenza, Cass., sez. VI, 24 ottobre 2007, A., in CED Cass. , 23902 1 : << in tema di valutazione della prova, atteso il principio della libertà di convincimento del giudice e della insussistenza di un regime di prova legale, il presupposto della decisione è costituito dalla motivazione che la giustifica. Ne consegue che il giudice può scegliere, tra le varie tesi prospettate dai periti e dai consulenti di parte, quella che maggiormente ritiene condivisibile, purché illustri le ragioni della scelta operata (anche in rapporto alle altre prospettazioni che ha ritenuto di disattendere) in modo accurato attraverso un percorso logico congruo che il giudice di legittimità non può sindacare nel merito >>. ( 1 8 1 ) O. DoMINION!, La prova penale scientifica, loc. ult. cit. ( 1 82) Cass., sez. un., 1 1 settembre 2002, Franzese, in Riv it. dir. proc. pen., 2002, 1 13 3 . .
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come parte ed è libero di chiedere o meno l'esame del consulente in dibatti mento. La differenza con il consulente tecnico della parte privata sta nell'inte resse pubblico che muove l'attività del pubblico ministero. L'obbligo spettante a quest'ultimo di svolgere « altresì accertamenti su fatti e circostanze » a favore dell'indagato (art. 358), deve intendersi riferito anche al consulente tecnico nominato dalla parte pubblica. Nella sola fase delle indagini preliminari il pubblico ministero può nomi nare consulenti tecnici in base ad una normativa che costituisce una ulteriore specificazione dell'art. 233 . I risultati delle consulenze devono essere inseriti nel fascicolo delle indagini. Vi è poi una ulteriore distinzione sulla base della ripetibilità dell'indagine tecnica (artt. 359 e 360). Sul punto, rinviamo alla trattazione che viene fatta nel capitolo sulle indagini preliminari, in riferimento agli atti di iniziativa del pubblico ministero (v. parte III, cap. l , § 6, lett. g) . 6.
La prova documentale. a.
Documento e "documentazione".
n documento. n codice non contiene una definizione espressa di " docu mento" , anche se ne fornisce un requisito positivo ed uno negativo. Il requisito positivo è indicato nell'art. 234, comma 1 : perché vi sia un documento è sufficiente, in alternativa, che si tratti di uno « scritto » oppure di un oggetto comunque « idoneo a rappresentare » un fatto, una persona o una cosa. Non è rilevante l'operazione mediante la quale la rappresentazione è incorporata e che pertanto può essere « la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo ». Il requisito negativo si ricava dalla sistematica del codice come, del resto, viene sottolineato espressamente dalla Relazione al progetto preliminare (pag. 67) . L'oggetto rappresentato deve essere un atto compiuto "fuori" dal proce dimento nel quale si chiede o si dispone che il documento faccia ingresso. La documentazione. Viceversa, se l'oggetto rappresentato è un atto del medesimo procedimento, il codice non utilizza il termine " documento" , bensì il termine " documentazione" . La forma di " documentazione" di un atto del procedimento è, di regola, il verbale (art. 134) ( 183 ) . ( 1 83 ) Secondo la Relazione al progetto preliminare (pag. 67) e la Relazione al testo definitivo (pag. 182) gli articoli 234 s. riguardano solo << i documenti formati fuori del processo nel quale si richiede o si dispone che essi facciano ingresso >>. Restano esclusi i « verbali degli atti compiuti nelle fasi anteriori del medesimo >>. Nello stesso senso, Cass. , sez. un . , 28 marzo 2006, Prisco, in Cass. pen., 2006, 3937: ai fini dell'ammissione delle prove documentali sono necessarie due condizioni: a) che il documento risulti materialmente formato fuori, ma non necessariamente prima, del procedimento; b) che lo stesso oggetto della documentazione extraprocessuale appartenga al contesto del fatto oggetto di conoscenza giudiziale e non al contesto del procedimento >>.
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Da queste notazioni si ricavano le scelte poste alla base del codice. n verbale, che rappresenta un atto del procedimento, non è un " documento" bensì è una forma di "documentazione" ( 1 84). Per " atto del procedimento" si intende comunemente quell'atto che per segue le finalità del procedimento e che è compiuto da uno dei soggetti legittimati. Tradizionalmente si riteneva che essi fossero il giudice, il pubblico ministero, la polizia giudiziaria o i loro ausiliari. Tuttavia la legge n. 3 97 del 2000, nel regolamentare le investigazioni private, ha stabilito che il difensore debba redigere un verbale dell'intervista difensiva applicando gli articoli 134 e seguenti (art. 391 -ter); ha precisato altresì che tale atto costituisce una forma di "documentazione" . La utilizzabilità di tali verbali in dibattimento è stata parifìcata a quella dei verbali redatti dal pubblico ministero (art. 3 9 1 -decies) . A seguito delle riforme intervenute il quadro normativa è il seguente. n " documento" rappresenta atti o fatti diversi da quelli compiuti nel procedi mento nel quale il documento è prodotto; la regolamentazione del documento è contenuta negli artt. 234-243 del codice collocati nel libro terzo sulle prove. Viceversa, la " documentazione" rappresenta atti compiuti da soggetti legittimati nel medesimo procedimento in cui la documentazione è prodotta (v. tav. 2.4. 14). La regolamentazione della documentazione può essere reperita nella normativa generale contenuta negli artt. 134- 142 e nella normativa speciale relativa al singolo tipo di atto; sono applicabili anche quelle norme del codice che prevedono la formazione dei fascicoli, le letture e le contestazioni (artt. 43 1 , 433 , 500-5 14). b.
La definizione di documento.
Passiamo a tracciare la definizione di documento che è ricavabile dal codice di procedura penale, precisando che essa può non corrispondere pienamente a quella che ottiene tutela nel diritto penale per mezzo dei reati di falso. Tenendo conto delle innovazioni tecnico-scientifiche, definiamo documento " quella rapTaie partizione concettuale è stata ribadita di recente anche dalla Corte costituzionale, sentenza 4 dicembre 2009, n. 320. Ad awiso del Giudice delle leggi, la distinzione costituisce un naturale portato del principio di separazione delle fasi: il vigente codice, al fine di attuare i principi del processo accusatorio, ha infatti delineato una rigida separazione tra la fase delle indagini e quella del dibattimento limitando l'utilizzabilità dibattimentale degli atti di indagine e della relativa documentazione. ( 1 84) In conclusione, secondo il codice la "documentazione" degli atti del procedimento non dà luogo ad un "documento". Come si può notare, il codice non accetta la nozione di documento che è da sempre accolta nel diritto privato, amministrativo e penale e che viene comunemente impiegata nella lingua italiana. Si sarebbe potuto dire: il verbale di un atto del procedimento è un documento, ma è utilizzabile nella decisione dibattimentale soltanto in determinati casi. Viceversa, il codice afferma che il verbale di un atto del medesimo procedimento non è un documento; successivamente, prevede che il verbale stesso, se utilizzato in un "differente" procedimento penale, è di nuovo da considerarsi un << documento >> (art. 238). In questo modo il codice non soltanto disconosce il linguaggio giuridico corrente, affinatosi nel corso dei secoli, ma fa anche violenza alla lingua italiana.
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presentazione di un fatto che è incorporata su di una base materiale con un metodo analogico o digitale" . Da ciò si ricava che il concetto di documento comprende quattro elementi: l ) il fatto rappresentato; 2) la rappresentazione; 3 ) l'incorporamento; 4) la base materiale (v. tav. 2 .4.3 ) . l ) D fatto rappresentato. Nel concetto di /atto rappresentato devono essere ricompresi sia i "fatti, persone o cose" (ai quali fa riferimento l'art. 234), sia i contenuti di pensiero che sono espressi nelle dichiarazioni di scienza o di volontà. Pertanto, il fatto rappresentato è, in sintesi, tutto ciò che può essere oggetto di prova ( 1 85 ) . In particolare può trattarsi non soltanto di un accadi mento naturalistico (ad esempio, una fuga di gas) , ma anche di un atto umano, e quindi di una dichiarazione; con la precisazione, come abbiamo osservato, che non si ha un " documento" , bensì una "documentazione" , quando l'oggetto rappresentato è una attività del procedimento penale (compiuta dal giudice, dal pubblico ministero, dal difensore o dai loro ausiliari). 2) La rappresentazione. Rappresentare un fatto significa costruirne uno equivalente, in modo da renderlo conoscibile quando non sia più presente (F. CoRDERo) ; pertanto la rappresentazione è la riproduzione di un fatto. Le modalità di rappresentazione sono le più varie: parole, immagini, suoni o gesti. La rappresentazione può avvenire per opera dell'uomo (es. testimonianza) o automaticamente mediante uno strumento (es. apparecchio di registra zione) ( 1 86). ( 1 85 ) Ovviamente, per poter essere ammesso, i l documento deve essere "pertinente" e cioè deve rappresentare un fatto oggetto di prova (art. 1 87 ) . ( 186) L a dottrina tradizionale ricava dall'art. 2 3 4 del codice, mediante una interpretazione meramente letterale, la conclusione che il documento è << ogni cosa che rappresenta un fatto, una persona o un'altra cosa mediante la scrittura, la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo >>. Come è agevole notare, sono considerati mezzi di "rappresentazione" la scrittura, la fotografia, ecc. Sempre su questa linea si è collocato il codice dell'amministrazione digitale. Nell'art. l , lett. p, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, si definisce documento informatico << la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti >>. In sostanza, si è ritenuto che quella informatica sia una forma di rappresentazione alla pari della scrittura. Sul punto, dissentiamo in modo netto. In verità, se rappresentare un fatto significa costruirne uno equivalente, in modo da renderlo conoscibile quando non sia più presente, ne deriva logicamente che la rappresentazione viene effettuata attraverso le parole, le immagini, i suoni o i gesti. li fraintendimento commesso dalla dottrina tradizionale (e propiziato dal legislatore nel 2005) sta nell'aver ritenuto che la scrittura, la fotografia, la cinematografia, la fonografia siano mezzi di rappresenta zione. Viceversa, questi ultimi dal punto di vista logico si distinguono dalla rappresentazione e servono a "fissare" una rappresentazione su di un supporto fisico. La scrittura, la fotografia, ecc. costituiscono altrettanti mezzi di incorporamento della rappresentazione su di una base materiale. A causa dell'equivoco, che abbiamo indicato, la dottrina ha ritenuto che la rappresentazione di un fatto possa avvenire in modo informatico. Viceversa, informatico è l'incorporamento, che avviene mediante un metodo digitale. In definitiva, la differenza tra la nostra posizione e quella della dottrina tradizionale sta nella necessità di introdurre il requisito dell'incorporamento su di una base materiale. Quello che è incorporato nello scritto o nel file non è il fatto, bensì la rappresentazione di un fatto. E la rappresentazione avviene mediante le parole, le immagini, i suoni o i gesti. Sono questi ultimi ad essere incorporati su di una base materiale. Ed è sotto il
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3) L'incorporamento è l'operazione mediante la quale la rappresentazione è fissata su di una base materiale. Il codice prevede le forme più varie di incorporamento: l'art. 234 cita la scrittura accanto alla fotografia, alla fonografia e alla cinematografia, ma lascia la possibilità che l'incorporamento avvenga con « qualsiasi altro mezzo ». Visti i progressi della tecnica, possiamo affermare che oggi i metodi di incorporamento sono due: quello analogico e quello digitale. a) attraverso il metodo analogico la rappresentazione è incorporata su di una base materiale mediante grandezze fisiche variabili con continuità ( 1 87 ) . L'incorporamento è "materiale" nel senso che l a rappresentazione non esiste senza il supporto fisico sul quale è incorporata. Lo strumento che opera l'incorporamento può essere manuale (es. scrittura o disegno) o automatico (es. fotografia, fonografia o cinematografia) ( 1 88). b) attraverso il metodo digitale la rappresentazione è incorporata su di una base materiale mediante grandezze fisiche variabili con discontinuità: si tratta di numeri, zero e uno. Il dato che contiene l'informazione è denominato informa tico ed è composto dalla sequenza di bit ( 1 89). L'incorporamento digitale ha la fondamentale caratteristica che è "immateriale" nel senso che la rappresenta zione esiste indifferentemente dalla scelta del tipo di supporto fisico sul quale il dato informatico è incorporato ( 1 90); infatti, il documento informatico può profilo dell'incorporamento che il documento tradizionale differisce da quello informatico, con la necessità di un'apposita regolamentazione (si tratta della legge n. 48 del 2008, della quale tratteremo fra poco). Un esempio può chiarire il problema. Si pensi alla narrazione di un avvenimento in un diario. Se il memoriale è scritto con carta e penna, si è di fronte ad un documento tradizionale, giacché l'incorporamento avviene attraverso la scrittura manuale su di un supporto cartaceo. Se il memoriale è scritto al computer su un file di testo, si è di fronte ad un documento informatico, in quanto l'incorporamento avviene attraverso il metodo digitale e su di un supporto informatico. A sua volta
il file può essere fisicamente contenuto all'interno di un hard disk o di una pen drive. È evidente che la rappresentazione del fatto è la medesima, sia essa incorporata in uno scritto o in un file. Quello che cambia è soltanto il metodo di incorporamento su di una base materiale. Se il file di testo viene stampato su carta, siamo di nuovo dinanzi ad un documento tradizionale, che esplicita in modo visibile il contenuto del documento informatico. Dunque, la differenza tra i due concetti (documento tradizionale e documento informatico) sta tutta nel metodo di incorporamento, e non nel metodo di rappresentazione.
E, affermano gli scienziati, proporzionali all'intensità del fenomeno che viene rappresentato. Uno strumento automatico più moderno è quello elettro-magnetico (es. il suono di una voce è incorporato su di un nastro magnetico mediante un dispositivo meccanico-elettronico: microfono e registra tore). ( 189) Bit sta per binary digit ed esprime infatti l'alternativa tra O e l come minima unità di informazione logicamente possibile: una scelta tra acceso/spento, sì e no. Il byte è la minima unità di informazione gestibile da (tendenzialmente) qualsiasi computer, ed è a sua volta composto da otto bit, cioè otto unità di informazione elementare (O e l , nella logica binaria). Si veda S. ATERNo, Acquisizione e analisi della prova informatica, in Dir. pen. proc. , 2008, n. 6, Dossier, La prova scientifica nel processo penale: << questa serie di O e di l sono rappresentati dai simboli riprodotti sul supporto cartaceo utilizzando la codifica ASC II o altra codifica. La codifica in questione è una convenzione che associa ad una precisa successione di O e di l un simbolo da riprodurre sul supporto cartaceo >>. ( 1 90) I rilievi appena svolti si inverano ove si abbia riguardo alla etimologia delle parole. Digitale ( 1 87) ( 188)
deriva dall'inglese digit, cifra, numero semplice; a sua volta, deriva dal lat. digitus, dito, in quanto serve per numerare (Dizionario italiano ragionato, G. D'Anna, Firenze, 1988). Informatica, dal francese in/ormatique,
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essere trasferito facilmente da un supporto all'altro, anche se per la sua esistenza fisica ne richiede comunque uno. Ad esempio, il supporto fisico può essere l'hard disk, o una pen drive, o un altro strumento idoneo ( 1 9 1 ) . 4) La base materiale sulla quale è incorporata l a rappresentazione può essere la più varia. È sufficiente la idoneità a conservare la rappresentazione al fine di riprodurla quando occorra. Non è richiesto che la base materiale sia particolarmente durevole, anche se ciò è auspicabile, vista la finalità probatoria del documento. Per far comprendere come la base materiale sia, di per sé, non rilevante, si può fare l'esempio della frase che sia stata scritta su di una tavoletta cerata. La base materiale può essere la tradizionale carta, il nastro magnetico o il più moderno supporto informatico. n documento tradizionale può essere definito come quella rappresenta zione di un fatto che è incorporata su di una base materiale con un metodo analogico; es. uno scritto, una fotografia, un disco di vinile. Il documento informatico può essere definito come quella rappresenta zione di un fatto che è incorporata in una base materiale con un metodo digitale. Per i giuristi rilevano due difficoltà: come abbiamo accennato, il dato informatico è facilmente modificabile da persone anche differenti dall'autore; inoltre, in alcuni casi un successivo accesso al file tramite il dispositivo (es. personal computer) provoca la modifica del contenuto dello stesso. Per tali motivi, può essere arduo conservare un documento informatico inalterato, in modo da assicurare che la prova sia autentica e genuina ( 192) . Di qui la necessità di particolari cautele, come ad esempio la creazione di una copia-clone dell'hard disk conforme all'originale, che viene resa non modificabile mediante appositi procedimenti ( 193 ) . Altri aspetti problematici s i presentano nel momento in cui, per acquisire composto di in/ormat(ion) "informazione" e (automat)ique, "automatica", è una voce coniata nel 1962 (Dizionario G. Devoto - G.C. Oli, Firenze, 2006). ( 1 9 1 ) Ecco spiegato dal punto di vista teorico perché il dato informatico ha la caratteristica della "fragilità": può essere facilmente modificato o alterato sia da parte di colui che ha formato il dato, sia da parte di altre persone. Ed è proprio la particolarità del metodo di incorporamento, e non del metodo di rappresentazione, quella che porta con sé una disciplina ad hoc del documento informatico. La base materiale sulla quale è incorporato il dato informatico può essere non modificabile (es. CD non riscrivibile) o, viceversa, modificabile (es. CD riscrivibile; hard disk di un PC). In quest'ultimo caso, la base materiale permette una successiva modifica del dato informatico da parte di colui che ha formato il dato o di altre persone. ( 1 92 ) n file incorporato su di un CD mediante scrittura laser può essere reso non modificabile; si tratta di un'informazione digitale che diventa materiale, ma non è analogica. ( 193 ) S. ATERNo, loc. ult. cit. : << Questa fase acquisitiva viene effettuata attraverso la bit-stream image, owero la realizzazione di una "immagine" bit a bit del contenuto del supporto posto sotto sequestro che consente di operare l'analisi forense su un hard disk praticamente identico all'originale: sia sotto il profilo logico sia sotto quello fisico >>. n c.d. sigillo digitale (funzione di hash) è utilizzato da tempo per garantire l'aderenza assoluta della copia ai dati di partenza.
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un documento informatico, è necessario procedere con mezzi di ricerca della prova quali sono l'ispezione, la perquisizione ed il sequestro: la recente legge 18 marzo 2008, n. 48 (esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica) ha imposto che siano adottate cautele che assicurino la conservazione del documento informatico e ne impediscano l'alterazione (es. art. 354) . li punto sarà trattato successivamente nel capitolo sui mezzi di ricerca della prova e in quello sulle indagini preliminari e difensive (v. in/ra, Parte II, cap. 5; Parte III, cap. l e cap. 4). c.
n valore probatorio del documento contenente dichiarazioni.
Subito dopo l'entrata in vigore del codice del 1988, un'opinione dottrinale ha ritenuto non utilizzabile, come prova del fatto storico rappresentato, il documento contenente una narrazione del medesimo ( 1 94). La Corte costituzionale con la sentenza 17 marzo 1 992 , n. 142 ( 195) ha precisato che l'art. 234 non distingue tra rappresentazione di fatti e rappresen tazione di dichiarazioni; pertanto il documento può costituire prova del fatto rappresentato nella dichiarazione e può essere ammesso ai sensi dell'art. 190 del codice. L'affermazione della Corte è stata introdotta non in modo incidentale, bensì costituisce l'oggetto principale di una sentenza interpretativa di rigetto ( 1 94 ) A. NAPPI, Guida al codice di procedura penale, Milano, 1995, 350. Vi è anche un'opinione più temperata che, ritenendo vigente un generale principio di oralità, ammette che i documenti dichiarativi siano utilizzabili in funzione esclusivamente surrogatoria della prova orale; così, G. UBERTIS, Documenti e oralità nel nuovo processo penale, in Studi in onore di Vassalti, II, Milano, 1991, 3 12-3 1 3 . La decisione potrebbe fondarsi sul contenuto narrativo del documento soltanto se risulta impossibile ottenere analoghe conoscenze mediante l'escussione di fonti orali. Si tratta delle ipotesi in cui il documento costituisce l'unico possibile veicolo di un determinato contenuto rappresentativo, oppure reca elementi di prova aventi struttura diversa da quella originabile in sede di giudizio, o anche se si è di fronte alla non ripetibilità del mezzo di prova. Per parte nostra, riteniamo che in tema di valutazione della prova la regola è il libero convincimento (art. 192, comma l ) ; le eccezioni alla utilizzabilità della prova devono trovare la loro fonte in divieti probatori (rilevanti ai fini dell'art. 1 9 1 ) oppure devono essere previste espressamente, come avviene, ad esempio, negli articoli 192, commi 3 e 4; 1 95 , commi 3 e 7. Viceversa, in relazione al documento non è dato rinvenire alcuna norma di legge che ponga limiti di utilizzazione nel caso in cui esso contenga una dichiarazione. Pertanto, all'interprete non è consentito ritenere esistenti limiti di utilizzabilità non previsti espressamente dal codice.
È utile ricordare che il nostro codice non conosce quel limite di utilizzabilità che, in altri sistemi processuali, viene definito con l'espressione "prevalenza della prova migliore". In base ad esso alcuni ordinamenti stranieri permettono di assumere, in presenza di due prove, soltanto quella orale e non quella scritta. Un limite del genere non è stato inserito nel nostro codice. Se mai, si può ritenere esistente il principio generale secondo cui la dichiarazione a viva voce deve precedere (ma non escludere) la lettura di dichiarazioni scritte, purché sia stata chiesta la deposizione del testimone o sia stato ammesso l'esame della parte. Gli articoli 500, comma l, 503, comma 3 e 5 1 1 , comma 2, impongono che i verbali siano letti soltanto dopo che sulle medesime circostanze il dichiarante abbia deposto oralmente. ( 195) In Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 3 6 1 . La Corte costituzionale ha affrontato la questione se sia utilizzabile il verbale di protesto dell'assegno bancario e ha sostenuto che questo fa prova sia della richiesta di pagamento sia della risposta del trattario sull'insussistenza dei fondi necessari a soddisfare la richiesta. La Corte ha affermato che l'art. 234 non opera discriminazioni tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazioni.
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« nei sensi di cm m motivazione »; pertanto i giuristi difficilmente potranno prescinderne in sede ermeneutica ( 1 96). L'unico limite di diritto positivo è oggi rinvenibile nell'art. 1 1 1 , comma 4 , secondo periodo, Cost., in base al quale « l a colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore ». Da tale disposizione si può ricavare il principio secondo cui è garantito costituzionalmente il diritto dell'imputato a confrontarsi con l'autore della dichiarazione, anche se tale dichiarazione è contenuta in un docu mento ( 197) . d . n documento anonimo. La prova documentale può essere valutata dal giudice nella sua attendibilità quando è noto l'autore del documento. Infatti all'autore, chiamato a deporre, possono essere rivolte le domande che servono a valutarne la credibilità e l'attendibilità (art. 194 , comma 2). Una verifica del genere non può avvenire quando è ignoto l'autore del documento. In tal caso, infatti, risulta impossibile ricercare gli elementi di prova che servono a valutare la credibilità. È un processo giusto quello che permette all'imputato di confrontarsi con il suo accusatore; e ciò non è possibile se l'addebito proviene da un documento anonimo. In un primo approccio, definiamo anonima quella rappresentazione della quale non è identificabile l'autore. Con riferimento al documento anonimo il legislatore prevede un'apposita disciplina che tiene conto delle esigenze appena ricordate. Il codice distingue l'ipotesi in cui il documento contenga una dichiarazione anonima dall'ipotesi in cui il documento contenga una rappresentazione diversa dalla dichiarazione (ad esempio, una foto) . Nel solo caso in cui si sia in presenza di una " dichiarazione" anonima, il codice prevede la sanzione dell'inutilizzabi lità (art. 240 comma 1 ) . Pertanto, una lettera anonima che contiene la narra zione di un fatto non è utilizzabile. Del documento anonimo che contenga una rappresentazione diversa dalla dichiarazione il codice non dà alcuna regolamentazione. Poiché è posto come ( 1 96) Dalla distinzione, che il codice pone, deriva una conseguenza importante. I verbali, che rappresentano atti compiuti durante le indagini preliminari ( " documentazione"), possono essere utilizzati nella decisione dibattimentale soltanto in via eccezionale e negli stretti limiti nei quali è ammessa la lettura o la contestazione dei medesimi (artt. 500 e 5 12; v. Parte III, cap. 5, § 20, lett. e, h). I " documenti" che rappresentano atti o fatti avvenuti fuori dal procedimento penale sono utilizzabili in dibattimento come prova del fatto rappresentato. Ad esempio, sono utilizzabili le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare (Cass., sez. V, 5 ottobre 2004, n. 3900 1 ) . ( 1 97) Pertanto, laddove l'accusato richieda, a controprova, l'escussione del soggetto che ha reso l a dichiarazione contenuta nel documento, e ciò non avvenga per libera scelta del dichiarante, deve trovare applicazione la norma di cui all'art. 526 comma l-bis c.p.p.
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regola generale il libero convincimento del giudice (art. 192 , comma 1 ) , ne deriva che le ipotesi di inutilizzabilità di elementi di prova devono essere previste espressamente. Quindi, possiamo concludere che i documenti anonimi non dichiarativi possono essere utilizzati. Ad esempio da una foto, della quale è ignoto l'autore, sarà possibile ricavare che una persona era viva alla data riportata sul giornale, che la medesima teneva in mano ( 1 98). Ovviamente sarà più difficile (ma non impossibile) valutare l'attendibilità della rappresentazione incorporata in un documento non dichiarativo che sia anonimo ( 1 99). Se, poi, siamo di fronte ad un documento "misto" che contiene sia una dichiarazione, sia una rappresentazione differente dalla dichiarazione, occorre ritenere che esso sia utilizzabile in quella parte di rappresentazione che non consiste in una dichiarazione (v. tav. 2 .4 . 15 ) . Pertanto, un filmato anonimo è utilizzabile per la parte che contiene la videoripresa di un determinato luogo; non è utilizzabile per la parte che contiene un'eventuale narrazione che accom pagna la videoripresa. La verifica della provenienza. Ancora, il codice prevede che il documento possa essere sottoposto alle parti private o ai testimoni « se occorre verificarne la provenienza » (art. 239). Da tale disposizione si ricava che il documento cessa di essere anonimo quando il suo autore ne riconosce la paternità. Al tempo stesso, dall'art. 239 si può ricavare la definizione di "anonimo" accolta dal codice. È tale quella rappresentazione della quale non è identificabile l' au tore (200). Ad esempio, una volta accertato l'autore della dichiarazione, essa non è pm anonima (20 1 ) e, pertanto, diventa utilizzabile. Naturalmente, occorre poi accertare se l'autore è credibile e se la dichiarazione è attendibile. L'assenza della sottoscrizione o la sottoscrizione illeggibile (o di fantasia) dà luogo al documento soltanto formalmente anonimo. Infatti, se vi è riconosci mento, il documento non è più sostanzialmente anonimo. Inoltre, l'autore della rappresentazione può essere identificato attraverso un mezzo di prova come, ad esempio, una perizia (202). ( 198) Ammette l a utilizzabilità d i una foto d i provenienza anonima Cass., sez. V , 8 ottobre-21 novembre 2003 n. 44868, Gugliara. ( 1 99) L'art. 108 disp. att. stabilisce che con regolamento del ministro della giustizia sono stabilite le modalità di conservazione delle denunce anonime e degli altri documenti anonimi « che non possono essere utilizzati nel procedimento >>. Ai sensi dell'art. 5 d.m. 30 settembre 1989, n. 334, il documento anonimo viene annotato in un apposito registro riservato presso la procura della repubblica con l'indicazione della data in cui è pervenuto e l'oggetto. Dopo cinque anni i documenti anonimi vanno distrutti. (200) Cass., sez. I, 6 novembre 2000 n. 4 6 1 , Perrucci, CED 2 17817. (20 1 ) Cass., sez. I, 25 gennaio 1979, in Cass. pen., 1980, 998. (202) Dalle considerazioni che siamo venuti facendo si può trarre la conclusione seguente: l'identifi cazione dell'autore della rappresentazione non costituisce un elemento essenziale perché si abbia un " documento " ; ed infatti quello anonimo è pur tuttavia un " documento" . Se mai, l'identificazione dell'autore della sola " dichiarazione" anonima costituisce una condizione di utilizzabilità della stessa. In definitiva, soltanto la mancata conoscenza dell'autore di quel tipo di rappresentazione, che è la dichiarazione anonima, la rende inutilizzabile come prova del fatto narrato. Il documento contenente la
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Il valore probatorio. Diverso è il problema del valore probatorio che si deve
dare alla dichiarazione che non sia stata sottoscritta dall'autore col proprio nome, quando l'autore della stessa sia stato comunque identificato mediante perizia o riconoscimento espresso. La mancata sottoscrizione col proprio nome dimostra che l'autore non ha voluto impegnare la propria responsabilità nel fare una determinata dichiarazione. Pertanto, non si pone un problema di utilizza bilità, poiché, a seguito dell'identificazione, la dichiarazione formalmente ano nima non è più tale nella sostanza; si pone invece un problema di credibilità della fonte e di attendibilità della rappresentazione. Infatti ci si può chiedere: che cosa aveva da nascondere l'autore della dichiarazione, se non ha voluto sottoscriverla, evitando così di impegnare la propria parola? La mancata sottoscrizione rende problematico, ma non impossibile, attribuire alla dichia razione un sicuro significato probatorio (203 ) . Le dichiarazioni anonime utilizzabili. Il codice prevede due eccezioni al divieto di utilizzare il documento contenente dichiarazioni anonime. In base all'art. 240 sono utilizzabili le dichiarazioni che costituiscono corpo del reato e quelle che comunque provengano dall'imputato. La prima eccezione costituisce un'applicazione dell'art. 235 , che impone che il corpo del reato sia sempre acquisito al procedimento. Da ciò si ricava che le dichiarazioni anonime sono ammesse soltanto in quel procedimento penale nel quale esse costituiscono il corpo del reato, e cioè quando " mediante" le stesse o sulle stesse è stato commesso il reato, oppure quando esse ne costitu iscono « il prodotto, il profitto o il prezzo » (art. 253 , comma 2 ) . Ad esempio, la dichiarazione anonima calunniosa è utilizzabile nel procedimento penale promosso contro il presunto autore della dichiarazione; non è utilizzabile nel procedimento contro la persona che è stata calunniata.
dichiarazione anonima resta, tuttavia, utilizzabile ad altri scopi; nell'esempio appena fatto, il videotape contenente dichiarazioni anonime può servire come prova dello stato dei luoghi e delle persone ad una determinata data. (203 ) Occorre precisare che il divieto di utilizzare la dichiarazione anonima concerne unicamente l'uso della stessa ai fini del procedimento penale; da tale dichiarazione non può essere tratto alcun elemento probatorio al fine di giustificare l'emissione di un provvedimento del giudice o del pubblico ministero (ad esempio, rispettivamente, una ordinanza che applica una misura cautelare o un decreto che dispone un sequestro probatorio) . Viceversa, è legittima una mera attività investigativa che sia stata originata da una dichiarazione anonima. Sul divieto di utilizzo di una dichiarazione anonima come base per l'applicazione di una misura cautelare, si veda Cass., sez. I, 5 marzo 1999, Starona, in Casr. pen., 2000, 1 7 1 3 . L a giurisprudenza si è espressa nel senso d i vietare l a possibilità d i porre i n essere atti che presuppon gono l'esercizio di poteri coercitivi pre-indagini nel caso di denuncia anonima (Cass., sez. III, 8 marzo 1995, Ceroni, in Cass. pen., 1996, 1876; Cass., sez. III, 1 8 giugno 1997, Sirica, in Casr. pen., 1997, 208 1 ; Cass., sez. IV, 17 maggio 2005, Cicerone, CED 23202 1 ) e di consentire solo l'esercizio delle attività che non comportino un pregiudizio ai diritti dei cittadini (Cass., sez. V, 30 giugno 1995 n. 1 834, Catastini, in Cass. pen., 1996, 298 1 ) .
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La seconda eccezione permette di utilizzare quella dichiarazione anonima che provenga "comunque" dall'imputato (art. 240, comma 1 ) . Resta da chiarire se è richiesto che l'imputato sia l'autore della dichiarazione o se è sufficiente che l'imputato sia colui che presenta nel procedimento la dichiarazione. Quando si accerta che l'imputato è autore della dichiarazione anonima (perché l'identificazione è avvenuta mediante riconoscimento o mediante peri zia), la dichiarazione stessa cessa di essere anonima. Se si richiedesse che l'imputato fosse "l'autore" della dichiarazione, la previsione dell'eccezione nell'art. 240 comma l sarebbe inutile. Ma una interpretazione che riconosca l'inutilità di una disposizione di legge non può ammettersi, in base al principio generale desumibile dall'art. 1367 c.c. Di conseguenza, perché l'art. 240 comma l c.p.p. abbia un qualche significato, occorre che venga interpretato nell'altro senso; e cioè, le dichiara zioni anonime sono utilizzabili se sono state presentate ( "prodotte" ) dall'impu tato (204). Così l'imputato può presentare una dichiarazione anonima della quale sia venuto "comunque" in possesso (205 ) . Ovviamente il valore proba torio sarà molto limitato poiché sarà difficile dimostrare l'attendibilità della dichiarazione medesima. Tuttavia quest'ultima è utilizzabile (206). e.
La disciplina di determinati documenti.
Documenti dei quali è vietata la acquisizione. Il codice vieta l'acquisizione di documenti aventi determinati oggetti. La violazione del divieto comporta l'inutilizzabilità dell'elemento di prova che se ne potrebbe ricavare. L'art. 234, comma 3 vieta l'acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo. La disposizione costituisce l'equivalente del divieto che vale per le domande che possono essere rivolte ai testimoni ed alle parti (art. 1 94, comma 3). (204) L a giurisprudenza in tema d i documento proveniente dall'imputato mostra come l a Cassazione non abbia mantenuto, in materia, un indirizzo univoco, accogliendo in alcuni casi un'interpretazione del concetto di provenienza intesa come paternità del documento da parte dell'imputato (Cass., sez. III, 2 1 febbraio 1997, Scarlato, in Cass. pen., 1998, 3 3 82 ; Cass., sez. III, 3 febbraio 1998, Lucci, i n Riv. giur. trib., 1999, 2 10) ed in altri casi un'interpretazione della provenienza come detenzione del documento da parte dell'imputato (Cass., sez. V, 15 aprile 1999, Berkovic, in Cass. pen., 2000, 1 3 0 1 ; Cass., sez. V, 22 gennaio 2003 , Atwood, in Dir. e giust., 2003, 1 13 ) . (205 ) Con l'interpretazione proposta, l'art. 240 assolve alla medesima funzione svolta dall'art. 209, comma l. In quest'ultimo caso l'imputato (e solo lui) può affermare di aver "sentito dire", senza essere costretto ad indicare il nome della fonte. Ciò costituisce un "privilegio" dell'imputato; qualsiasi altra persona deve indicare la fonte da cui ha "sentito dire" , perché la dichiarazione sia utilizzabile come prova, sempre che siano presenti gli altri requisiti posti dall'art. 1 95 . (206) TI codice contiene un'ulteriore disposizione che permette di acquisire anche d'ufficio nel procedimento penale qualsiasi documento << proveniente dall'imputato >> anche se non da lui volontariamente prodotto. Infatti, ai sensi dell'art. 237 << è consentita l'acquisizione, anche di ufficio, di qualsiasi documento proveniente dall'imputato, anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto >>.
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L'uso di documenti concernenti la moralità delle persone che partecipano al processo penale è regolamentato in modo rigoroso. Il codice pone un generale divieto di utilizzazione (art. 234 , comma 3 ), rispetto al quale sono previste determinate eccezioni (207). Documenti dei quali è obbligatoria la acquisizione. Il codice pone l' ob bligo di acquisire i documenti che costituiscono corpo del reato « qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga » (art. 235 ) . Ai sensi dell'art. 253 , comma 2 , sono corpo del reato « le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo ». Ad esempio, vi è l'obbligo di acquisire l'atto pubblico falso, da chiunque sia detenuto (208) Inoltre è consentita l'acquisizione anche d'ufficio di qualsiasi documento proveniente dall'imputato (da intendersi: di cui l'imputato sia l'autore), anche se sequestrato presso altri o da altri prodotto (art. 237 ). Tale disposizione, dalla portata molto ampia, trova tuttavia un limite nel divieto di sequestro in presenza di segreti tutelati dal codice di procedura penale (art. 256) , quale è, ad esempio, il segreto professionale. Vi è anche il divieto di sequestrare presso il difensore carte o documenti relativi all'oggetto della difesa (art. 1 03 , comma 2) e la corrispondenza tra l'imputato ed il proprio difensore (art. 1 03 , comma 6). Il sequestro è consentito, per carte e documenti, quando costituiscano essi stessi il corpo del reato (art. 1 03 , comma 2) (209) . f.
L'uso di atti di altri procedimenti.
L'art. 238 permette alle parti di ottenere, a determinate condizioni, che siano acquisite le prove e gli atti che sono stati assunti in un altro procedimento (207) Ai fini del giudizio sulla personalità dell'imputato e della persona offesa dal reato i documenti utilizzabili sono indicati dall'art. 236, comma 1: si tratta dei certificati del casellario giudiziale, della documentazione esistente presso gli uffici del servizio sociale e della magistratura di sorveglianza, delle sentenze irrevocabili del giudice italiano e delle sentenze straniere riconosciute. Ai fini della valutazione della credibilità dei testimoni (e, riteniamo, di quasiasi altro dichiarante) sono utilizzabili le sentenze sopra menzionate ed i certificati del casellario giudiziale (art. 236, comma 2). (208) I documenti corpo del reato assumono rilevanza per il rapporto di stretta compenetrazione che li lega al fatto oggetto di accertamento (G. UBERTIS, Documenti e oralità, cit., 304). Occorre segnalare che l'art. 43 1 , lett. h, stabilisce una importante differenza in merito al procedimento probatorio: mentre per quanto concerne il documento " rappresentativo" occorre fare riferimento agli artt. 493 e 495, il documento "corpo di reato" deve essere acquisito al fascicolo del dibattimento e, dunque, prima ancora dell'apertura della fase del giudizio. (209) La Corte cost. con la sentenza interpretativa di rigetto n. 229 del 1998 ha preso in esame un decreto, emesso da pubblico ministero, con il quale si disponeva una perquisizione al fine di sequestrare scritti formati dall'imputato << con funzione di appunti al fine di rispondere all'interrogatorio >>. A giudizio della Corte la perquisizione ed il sequestro nel caso di specie << sono da considerare illegittimamente disposti >> e comunque << inutilizzabili >> ai sensi dell'art. 1 9 1 c.p.p. perché, in materia, sono direttamente applicabili i princìpi costituzionali sulla tutela della persona umana e sul diritto di difesa (artt. 2 e 24 comma 2 ) . La Corte ha affermato che l'art. 237 c.p.p. deve << sempre e comunque >> essere coordinato con detti princìpi. 12
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Profili generali del procedimento penale
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penale o civile. In tal caso la documentazione delle prove e degli atti viene considerata dal codice come un "documento" , poiché è stata assunta in un altro procedimento (B) ; essa è valutata dal giudice del procedimento ad quem (A) in base ai consueti criteri di credibilità ed attendibilità. D diritto di esaminare l'autore delle dichiarazioni. La possibilità di utiliz zare prove o atti di un altro procedimento incontra un limite generale: le parti del procedimento ad quem hanno il diritto di ottenere l'esame della persona le cui dichiarazioni sono state acquisite (art. 23 8, comma 5 ) . Se l'esame ha luogo, la lettura dei verbali di dichiarazioni può avvenire soltanto dopo che la persona è stata interrogata. Se l'esame non ha luogo (ad esempio perché il teste è irreperibile) , si può direttamente procedere alla lettura. Dall'art. 238 è ricavabile un regime differente a seconda che gli atti assunti nel procedimento a quo siano ripetibili o non ripetibili nel procedimento ad quem. La norma è stata in larga parte riscritta dalla legge n. 63 del 2001 , in attuazione dei nuovi princìpi dell'art. 1 1 1 Cost. (2 10). Esponiamo sintetica mente la disciplina attuale (v. tav. 2 .4 . 16). I verbali degli atti non ripetibili sono utilizzabili in due ipotesi (art. 238, comma 3 ): l ) se si tratta di impossibilità di ripetizione originaria (es. accerta menti tecnici non ripetibili) ; 2) se si tratta di non ripetibilità sopravvenuta, purché essa sia dovuta a circostanze non prevedibili nel momento in cui l'atto è stato compiuto (es. verbali di sommarie informazioni rese da un possibile testimone successivamente deceduto) . Gli atti ripetibili. In relazione agli atti ripetibili nel procedimento a d quem, l'art. 238 effettua una ulteriore distinzione tra i verbali di atti di indagine (oppure assunti in udienza preliminare) e i verbali di prove assunte in incidente probatorio o in dibattimento. I verbali degli atti di indagine sono utilizzabili in due ipotesi (art. 23 8, comma 4): l ) se l'imputato del procedimento ad quem vi consente; 2 ) se la persona che ha reso le dichiarazioni viene esaminata nel procedimento ad quem e risulta che essa è stata sottoposta a condotta ille cita (2 1 1 ) .
(2 10) Sui " ripensamenti" operati dal Legislatore, si veda N . RoMBI, Circolazione probatoria e diritto al contraddittorio, in AA.Vv., Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, cit., 364 s. (2 1 1 ) Occorre precisare che l'art. 238 risulta alquanto ermetico in relazione alla ipotesi in oggetto. La norma si limita a precisare che, in mancanza di consenso, le precedenti dichiarazioni possono essere utilizzate per le contestazioni previste dagli articoli 500 e 503. Pertanto occorre che la persona, che le ha rese, sia chiamata a deporre nel dibattimento ad quem. La formulazione della disposizione induce a ritenere che essa effettui un rinvio all'intero disposto delle due norme richiamate (artt. 500 e 503 ) . In particolare, il rinvio alle "contestazioni" disciplinate dall'art. 500 appare idoneo a ricomprendere anche quelle ipotesi di acquisizione delle dichiarazioni al fascicolo per il dibattimento, che sono disciplinate dai commi 4-7 di tale articolo (segnatamente in caso di intimidazione sul teste). Del resto, una interpretazione del genere è l'unica che appare conforme all'art. 1 1 1 , comma 5 Cost.
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I mezzi di prova
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I verbali delle dichiarazioni assunte in incidente probatorio o in dibattimento sono utilizzabili sia nelle due ipotesi appena menzionate (consenso dell'impu tato o minaccia sul dichiarante) , sia, in assenza di tali condizioni, se il difensore dell'imputato del procedimento ad quem ha partecipato all'assunzione della prova (art. 23 8, comma 2-bis) . La disposizione trova applicazione a prescindere dalla qualifica soggettiva dei dichiaranti, siano essi testimoni oppure imputati connessi o collegati. Un principio peculiare è stato stabilito in merito alle prove formate in un giudizio civile chiuso con sentenza irrevocabile. Se si tratta di dichiarazioni, esse sono utilizzabili contro l'imputato, se nei suoi confronti fa stato la sentenza civile (comma 2 ) . Occorre ricordare che, ai sensi dell'art. 2909 c.c., il giudicato civile fa stato tra le parti, i loro eredi e aventi causa. Ad avviso del legislatore, il solo fatto di essere erede o avente causa di una persona, che è stata parte in un procedimento civile, legittima l'utilizzabilità della prova ivi formata nei confronti dell'imputato nel processo penale. Sarebbe stato più corretto che la prova civile fosse utilizzabile soltanto nei confronti dell'imputato che fosse stato parte in tale procedimento. Le sentenze irrevocabili. Infine, l'art. 238-bis consente che le sentenze irrevocabili possano essere « acquisite ai fini della prova di (un) fatto in esse accertato ». Ne consegue che la decisione può essere utilizzata al fine di ritenere provato il fatto accertato nella sentenza (2 12). Il codice pone come condizione che vi siano riscontri esterni che ne confermino l'attendibilità ai sensi dell'art. 1 92 , comma 3 (2 13 ) . Naturalmente le parti sono ammesse a provare il contra rio (2 14). (2 12) Cass., sez. VI, 4 dicembre 2003 , B., i n Casr. pen., 2004, 3 167. (2 1 3 ) n caso in cui il processo penale non sia ancora concluso con sentenza irrevocabile è regolato dall'art. 238, del quale abbiamo trattato in precedenza. Si tenga presente Cass., sez. un., 12 luglio-20 settembre 2005, Mannino, in Cass. pen., 2005, 3732, secondo cui << le sentenze pronunciate in procedimenti penali diversi e non ancora divenute irrevocabili, legittimamente acquisite al fascicolo del dibattimento nel contraddittorio fra le parti, possono essere utilizzate come prova limitatamente alla esistenza della decisione e alle vicende processuali in esse rappresentate, ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento in quei procedimenti >>. (2 14) Con la sentenza 26 gennaio 2009, n. 29, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell'art. 238-bis sollevata in riferimento all'art. 1 1 1 , commi 4 e 5 Cost. La Consulta ha affermato che la portata del principio del contraddittorio nella formazione della prova va individuata in considerazione della specificità dei singoli mezzi di prova. In questo quadro, la sentenza irrevocabile non può essere considerata un documento in senso proprio, poiché si caratterizza per il fatto di contenere un insieme di valutazioni di un materiale probatorio acquisito in un diverso giudizio; tuttavia, neppure può essere equiparata alla prova orale. Pertanto, ad avviso del Giudice delle leggi, in relazione alla specifica natura della sentenza irrevocabile, il principio del contraddittorio trova il suo naturale momento di esplicazione non nell'atto dell'acquisizione, ma in quello successivo della valutazione. "Una volta che la sentenza è acquisita, le parti rimangono libere di indirizzare la critica che si andrà a svolgere, in contraddit torio, in funzione delle rispettive esigenze" . La libertà di valutazione del giudice che acquisisce la sentenza irrevocabile, unita alla necessità di riscontri che ne confermino il contenuto, assicurano il rispetto delle garanzie dell'imputato ricavabili dall'art. 1 1 1 Cost.
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I documenti illegali.
L'inutilizzabilità rafforzata. L'art. 240 comma 2 disciplina due peculiari categorie di documenti predisposti attraverso attività che, in sintesi, possiamo definire spionaggio e dossieraggio illeciti (2 15 ) . La norma appena ricordata commina in relazione ad essi la sanzione della inutilizzabilità rafforzata dall' ob bligo di distruzione. li requisito comune alle due categorie è insito nel concetto stesso di documento e consiste nel "rappresentare un fatto che deve essere differente da un atto del procedimento penale" . Di conseguenza, sfuggono alle due categorie di documenti illegali quelle intercettazioni che sono state auto rizzate dall'autorità giudiziaria; queste ultime, ove siano state compiute senza l'osservanza delle norme processuali richiamate nell'art. 27 1 , sono sanzionate dall'inutilizzabilità ad opera del medesimo articolo (2 16). Lo spionaggio e dossieraggio illeciti. Passiamo all'esame delle due catego rie di documenti che sono colpiti dalla inutilizzabilità rafforzata. Quello che definiamo "spionaggio illecito" è indicato nel comma 2 dell'art. 240 con la seguente espressione: « dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti ». Tale categoria ricomprende, ad esempio, le intercettazioni abusive, sanzionate dagli artt. 617 e seguenti del codice penale (2 17). Quello che definiamo "dossieraggio illecito" è indicato nel comma 2 dell'art. 240 con la seguente espressione: « documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni ». L'espressione si riferisce a quel trattamento illecito di dati personali che è punito dagli artt. 167 - 1 7 1 del codice privacy (d.lgs. n. 1 96 del 2003 ) . Non rientrano in tale categoria la raccolta di dati non personali ed il trattamento di dati personali in violazione di norme del codice privacy diverse da quelle ricordate (2 18). I materiali appena menzionati, qualora non si scontrino con divieti probatori o non siano colpiti da inutilizzabilità speciale (es. (2 15) Fino al settembre 2006 l'art. 240 era composto da un solo comma e si limitava a disciplinare i documenti contenenti dichiarazioni anonime. La norma è stata modificata dal decreto-legge 22 settembre 2006 n. 259 recante << Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche >>, convertito con modifìcazioni nella legge 20 novembre 2006, n. 281 . A seguito della riforma, la rubrica della norma è divenuta << documenti anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali >>. (216) In tal senso, si veda anche la Relazione governativa al decreto-legge, ove si precisa che l'area di riferimento è costituita dalle << intercettazioni non autorizzate dall'autorità giudiziaria >>. (217) Occorre tenere presente che la norma non disciplina le intercettazioni ambientali, né le video-riprese, che pertanto sembrano restare fuori dalla portata sanzionatoria dell'art. 240 comma 2. In tal senso, C. cost., n. 173 del 2009. (2 18) È necessario tenere presente che la nuova disciplina, per riferirsi ai materiali sanzionati con la inutilizzabilità, impiega quasi sempre il termine "illegali" . Tuttavia, da una interpretazione sistematica si ricava che il termine "illegale" è sinonimo di "illecito" . Per una dettagliata disamina della questione ermeneutica, L. FILIPPI, Distruzione di documenti e illecita divulgazione di intercettazioni: lacune ed occasioni perse di una legge nata già "vecchia", in Dir. pen. proc., 2007, 152; C. CoNTI, Le intercettazioni "illegali": lapsus linguae o nuova categoria sanzionatoria?, ivi, 158.
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documenti contenenti dichiarazioni anonime ex art. 240 comma 1), saranno utilizzabili nel processo penale (2 19). In relazione alle due categorie menzionate di documenti sono previsti i seguenti obblighi e divieti: l ) il pubblico ministero deve disporre l'immediata secretazione e custodia in luogo protetto; 2) è vietato effettuare copia in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento; 3 ) è sancita la inutilizzabilità dei documenti illegali previsti nel comma 2 dell'art. 240; 4) il pubblico ministero entro quarantotto ore deve chiedere al giudice per le indagini preliminari di disporre la distruzione dei relativi documenti, supporti ed atti (comma 3 ) . L'intervento normativa in esame ha, dunque, introdotto una forma di "inutilizzabilità rafforzata" dalla distruzione in relazione ai documenti acquisiti in violazione delle norme penali poste a tutela della sfera più intima ed inviolabile dell'individuo. Si tratta di una sanzione che va oltre la portata, già pesante, della inutilizzabilità comune, disciplinata dall'art. 1 9 1 comma 2 (220). La procedura di distruzione. Le operazioni di distruzione si svolgono nel contraddittorio tra le parti. L'art. 240 comma 4 prevede che il giudice per le indagini preliminari, entro le quarantotto ore dalla richiesta del pubblico ministero, fissi una udienza in camera di consiglio che dovrà tenersi entro dieci giorni. Le parti private vengono avvisate che potranno nominare un difensore di fiducia, almeno tre giorni prima della data dell'udienza. L'art. 240, comma 5 disciplina lo svolgimento dell'udienza, che è finalizzata ad accertare la tipologia e la illegalità dei materiali, con modalità e tempi decisamente contratti. Sentite le parti, il giudice per le indagini preliminari legge il provvedimento in udienza e, qualora ne ravvisi i presupposti, dispone la distruzione e vi dà esecuzione subito dopo, alla presenza del pubblico ministero e dei difensori delle parti. La disciplina in esame è stata oggetto di una recente pronuncia di incosti tuzionalità che ha inteso rafforzare il contraddittorio camerale. L'art. 240 (2 19) C. CoNTI, Le intercettazioni, cit., 158. D'altronde, la disciplina in oggetto, che prevede addirit tura la distruzione del corpo del reato, appare caratterizzata da un connotato di eccezionalità rispetto al sistema del codice. Pertanto, si impone una interpretazione di tipo restrittivo con riferimento alla portata applicativa della stessa. In tal senso si è espressa anche C. cost., sent. n. 173 del 2009. (220) Inoltre, sempre a tutela del bene giuridico appena ricordato, l'art. 3 del decreto ha introdotto una fattispecie incriminatrice concernente la detenzione << consapevole >> del materiale illegale in relazione al quali sia già stata disposta la distruzione ai sensi dell'art. 240 comma 2 . L'incriminazione ha la funzione di anticipare la tutela rispetto alla diffusione del materiale. Infine, l'art. 4 disciplina una azione riparatoria a vantaggio delle vittime della divulgazione dei ricordati materiali, specificando che l'azione è esercitata senza pregiudizio di eventuali provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, con ciò instaurando un legame espresso con il cd. codice della privacy (d.lgs. 30 giugno 2003 , n. 196).
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commi 4 e 5 , nella sua versione originaria, prevedeva lo svolgimento di un contraddittorio facoltativo, attraverso il richiamo alla disciplina dell'udienza in camera di consiglio (art. 127 ) . La Corte costituzionale, con la sentenza n. 173 del 2009, ha dichiarato l'illegittimità di tali norme, nella parte in cui non prevedono l'applicazione di una disciplina modellata sullo svolgimento dell'in cidente probatorio. In particolare, all'udienza dovrà applicarsi l'art. 401 , comma l in base al quale essa si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'indagato e con la parte cipazione facoltativa del difensore della persona offesa. Inoltre, troverà appli cazione l'art. 401 , comma 2 a mente del quale in caso di mancata comparizione del difensore dell'indagato, il giudice deve designare un altro difensore imme diatamente reperibile. La distruzione del corpo del reato. La declaratoria di incostituzionalità ha avuto ad oggetto anche ulteriori aspetti della disciplina. L'art. 240, comma 6, nella sua versione originaria, disciplinava il verbale di distruzione e stabiliva che in esso si doveva dare atto dell'avvenuta intercettazione o detenzione o acqui sizione illecita, delle sue modalità e dei soggetti interessati, senza alcun riferi mento al contenuto dei relativi documenti, supporti ed atti. Al tempo stesso, il nuovo comma l-bis, introdotto nell'art. 5 12 , concernente la lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione, stabiliva che nel dibattimento era sempre consentita la lettura dei verbali relativi all'acquisizione ed alle operazioni di distruzione dei documenti illeciti. La regolamentazione appena illustrata, pur unanimemente condivisa negli scopi di tutela, era stata oggetto di un fuoco incrociato di critiche da tutti i fronti, culminato anche in una serie di questioni di costituzionalità. li difetto più grave veniva ravvisato nel fatto che la distruzione dei materiali illegali era disposta senza contemplare alcuna eccezione per il corpo del reato. Viceversa, in base al sistema del codice, quest'ultimo è sempre fatto salvo (22 1 ) . Una simile disciplina comportava l'irrimediabile perdita di una prova e ciò avrebbe costi tuito un potenziale pregiudizio nei confronti di tutte le parti processuali. Infatti, l'imputato non avrebbe potuto provare la propria innocenza dimostrando, se del caso, che i documenti in realtà erano il frutto di una acquisizione le cita (222); il pubblico ministero non avrebbe potuto dimostrare la reità, né la gravità del fatto anche ai fini della commisurazione della pena; l'eventuale (22 1 ) Come si è accennato supra, ciò accade anche in relazione ai documenti contenenti dichiarazioni anonime (art. 240 comma 1 ) . (222) S i veda R . BRICCHETTI e L . PrsTORELLI, La distruzione immediata della prova rischia di ledere i diritti dell'imputato, in Guida dir., 2006, 39, 22; M. CHIAVARlO, Passi avanti sulle intercettazioni illegali ma c'è bisogno di un ampio ripensamento, in Guida dir., 2006, 39, 1 3 ; V. GREVI, L'<< obbligo di distruzione >> un'arma a doppio taglio, in Il corriere della sera, 26 settembre 2006. In senso favorevole alla sanzione della distruzione, G. FRIGO, Ridotti gli spazi della tutela penale, in Guida dir. , 2006, 47, 27.
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parte civile non avrebbe potuto provare né la reità, né l'entità del risarcimento richiesto, il cui ammontare avrebbe dovuto determinarsi anche in ragione del contenuto dei documenti illecitamente formati o acquisiti. Inoltre, i giudici rimettenti sottolineavano che il verbale di distruzione rischiava di costituire una sorta di giudizio anticipato destinato a condizionare indebitamente la successiva pronuncia del giudice di merito sulla reità dell'autore dell'illecita capta zione (223 ) . La Corte costituzionale, con l a sentenza n. 1 7 3 del 2009, h a rilevato che la disciplina censurata attuava un bilanciamento insoddisfacente tra le istanze contrapposte, costituite dalla necessità di tutelare la riservatezza e dall'esigenza di garantire il diritto alla prova e l'accertamento dei fatti. Al tempo stesso nel sollecitare un intervento del legislatore volto a ridisciplinare più accura tamente la materia - ha sottolineato che la distruzione appare un rimedio d'emergenza; ciononostante, allo stato attuale tale strumento si configura come indispensabile a fronte della situazione di incertezza sulla effettività della tutela del diritto alla riservatezza contro indebite diffusioni mediatiche di informa zioni delicatissime. n verbale sostitutivo del corpo del reato. Alla luce di tali rilievi, la Cot;te ha prospettato una soluzione che si discosta da quella auspicata dai rimettenti. In sintesi estrema, il Giudice delle leggi ha rafforzato il contenuto rappresentativo del verbale: esso diviene un vero e proprio surrogato di quel corpo del reato che deve essere distrutto. Anzitutto, la Consulta ha affermato che una corretta interpretazione della disciplina in oggetto impone di ritenere che il verbale « non può esercitare alcun condizionamento sulla decisione da assumere nel l' ambito del procedimento principale » relativo alla responsabilità dell'autore del documento illecito. La funzione primaria del verbale è quella di costituire una prova « sostitutiva » del corpo del reato. Da tale impostazione consegue che tanto più il verbale risulta dettagliato, tanto meglio esso esplica la propria funzione " surrogatoria" . Per questo motivo, ad avviso della Corte, « è costitu zionalmente necessario allargare le potenzialità rappresentative del verbale in questione, includendovi anche tutte le circostanze che hanno caratterizzato l'attività diretta all'intercettazione, alla detenzione ed all'acquisizione del mate riale ». Resta fermo quel limite invalicabile a tutela della riservatezza che è costituito dal divieto di far riferimento alle informazioni contenute nel docu mento illecito. Se il verbale si estendesse anche a tale oggetto, all'evidenza la distruzione risulterebbe inutile. Ad avviso della Corte, la correttezza e l'obiet tività del verbale sostitutivo sono garantite dal fatto che tale documentazione si forma nel contraddittorio necessario tra le parti. (223) Addirittura, la Relazione governativa al decreto-legge precisava che lo scopo della verbalizza zione era << conservare la prova della consumazione delle diverse fattispecie penali conseguenti >>.
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Alla luce di tali argomentazioni, il Giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 240, comma 6 nella parte in cui impedisce che il verbale faccia riferimento alle « circostanze inerenti l'attività di formazione, acquisi zione e raccolta » dei documenti, supporti ed atti dei quali è stata disposta la distruzione. Una simile conclusione, per un verso, appare assolutamente con divisibile nella parte in cui esclude che la decisione sulla distruzione possa in qualunque modo condizionare il successivo accertamento della responsabilità dell'autore del reato. L'udienza sulla distruzione, infatti, è caratterizzata dai tempi rapidi di svolgimento e dalla natura incidentale e sommaria di un giudizio nel quale non si contempla una assunzione di prove. Per un altro verso, tuttavia, resta il pericolo costituito dal peso che in concreto la decisione sulla distruzione e il dettagliato verbale, che ne scaturisce, possono sortire sul successivo pro cesso. D'altronde, in assenza di un intervento del legislatore che predisponga idonee norme finalizzate ad assicurare una tutela preventiva della riservatezza (segretazione, custodia garantita dei materiali illeciti ecc.) , la soluzione prospet tata appare l'unica via d'uscita possibile al fine di attuare un bilanciamento "non troppo claudicante" tra gli interessi contrapposti. n reato di detenzione di documenti distrutti. L'art. 3 del decreto ha introdotto una fattispecie incriminatrice concernente la detenzione « consape vole » del materiale illegale in relazione al quale sia già stata disposta la distruzione ai sensi dell'art. 240 comma 2. L'incriminazione ha la funzione di anticipare la tutela rispetto alla diffusione del materiale. Inoltre, l'art. 4 disci plina una azione riparatoria a vantaggio delle vittime della divulgazione dei ricordati materiali, specificando che l'azione è esercitata senza pregiudizio di eventuali provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, con ciò instaurando un legame espresso con il codice privacy (d.lgs. 30 giugno 2003 , n. 1 96). n rapporto con le intercettazioni disposte dall'autorità giudiziaria. Oc corre chiedersi che rapporto vi sia tra i documenti, supporti e atti « concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni relativi a traffico telefonico e telematica illegalmente formati o acquisiti » e quelle intercettazioni che sono disposte dall'autorità giudiziaria e che siano illegittime ex art. 27 1 perché compiute fuori dei casi previsti dalla legge. Ebbene, vi sono almeno tre argomenti che inducono a ritenere che l'art. 240 comma 2 non si riferisce alle "intercettazioni" disposte dall'autorità giudiziaria. Il primo si rinviene nella Relazione governativa al decreto-legge, ove si precisa che l'area di riferimento è costituita dalle « intercettazioni non autoriz zate dall'autorità giudiziaria ». li secondo argomento muove dalla sedes materiae della nuova disciplina: l'art. 240 (libro terzo, titolo II) è l'ultima norma del capo VII, sul documento. Non si tratta, dunque, della documentazione di atti di indagine. In base alla sistematica del codice è « documento » tutto ciò che non è stato formato
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all'interno del procedimento e da soggetti legittimati. Siamo dinanzi a materiale che astrattamente entrerebbe nel processo penale attraverso il canale della prova documentale ex art. 234. Infine, occorre tenere presente che l'art. 240 comma 2 disciplina l'acquisi zione di comunicazioni compiuta attraverso atti penalmente illeciti. Viceversa, le illegittimità commesse dalle autorità inquirenti nello svolgimento delle inter cettazioni, di regola, non determinano l'illiceità penale della captazione.
CAPITOLO v I MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA
SoMMARIO: l . Profili generali. probatorio.
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-
2. Le ispezioni.
strumenti della tecnica: i tabulati telefonici.
l.
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3 . Le perquisizioni.
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5. Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. -
4. n -
sequestro
6. I nuovi
7. Le videoriprese.
Profili generali.
n codice definisce « mezzi di ricerca della prova » le ispezioni, le perquisi zioni, i sequestri e le intercettazioni di comunicazioni. La differenza con i mezzi di prova è giustificata nella Relazione al prog. prel. nei seguenti termini: i mezzi di prova « si caratterizzano per l'attitudine ad offrire al giudice risultanze pro batorie direttamente utilizzabili in sede di decisione. Al contrario, i mezzi di ricerca della prova non sono di per sé /onte di convincimento, ma rendono possibile ac quisire cose materiali, tracce o dichiarazioni dotate di attitudine probatoria » Sulla base di quanto esposto, è possibile approfondire la differenza tra i due concetti. In primo luogo, l'elemento probatorio si /orma in seguito all'esperi mento del mezzo di prova; ad esempio, il testimone racconta fatti che ha percepito. Viceversa, attraverso il mezzo di ricerca della prova entra nel procedimento un elemento probatorio che preesiste allo svolgersi del mezzo stesso; ad esempio, con la perquisizione si mira ad acquisire al procedimento una cosa pertinente al reato. In secondo luogo, i mezzi di prova possono essere assunti soltanto davanti al giudice nel dibattimento o nell'incidente probatorio; i mezzi di ricerca della prova possono essere disposti oltre che dal giudice, anche dal pubblico mini stero e, in alcune ipotesi, possono essere compiuti dalla polizia giudiziaria durante le indagini preliminari (artt. 352-354). In terzo luogo, i mezzi di ricerca della prova si basano, di regola, sul fattore " sorpresa" e, perciò, non consentono il preventivo avviso al difensore dell'in dagato quando sono compiuti nella fase delle indagini. Viceversa, i mezzi di prova possono essere assunti (sia pure in via eccezionale e con molti limiti) durante le indagini preliminari con la garanzia del contraddittorio mediante quell'istituto che è denominato incidente probatorio (art. 392). I mezzi di ricerca della prova informatica: particolarità. Nel capitolo precedente trattando del documento abbiamo chiarito che in base alla norma-
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tiva vigente il supporto informatico deve considerarsi autonomo rispetto al documento digitale. Il principio di autonomia influisce anche sui mezzi di ricerca della prova informatica, che necessitano di una apposita regolamenta zione, oggi in larga parte tracciata dalle norme del codice così come sono state modificate dalla legge n. 48 del 2008. Abbiamo anche chiarito che l'incorporamento, che è operato sul documento informatico, avviene con una modalità particolare (digitale) ; esso differisce dal l'incorporamento analogico su di una base materiale (es. sulla carta o su un disco di vinile) . È proprio per questo motivo che vi sono problemi in punto di modi ficabilità del documento informatico, di falsificabilità, di possibilità di distruzione del medesimo. Per tali ragioni, può essere arduo conservare inalterato un docu mento informatico, in modo da assicurare che la prova sia autentica e genuina. Ciò premesso, sono oggetti materiali dei mezzi di ricerca della prova sia il singolo supporto informatico (pen drive, floppy disk, CD, DVD, hard disk) , sia il sistema informatico che contiene uno o più dei supporti (ora menzionati) e che consiste nel semplice computer o in un intero sistema telematica. Il singolo documento informatico, che è registrato nei supporti o nei sistemi predetti, è l'oggetto immateriale dei mezzi di ricerca della prova. Prima della legge n. 48 del 2008, l'ispezione, la perquisizione ed il sequestro di un sistema o di un supporto informatico ricevevano nella prassi un inqua dramento giuridico che la legge medesima ha ripudiato. Alcuni inquirenti pretendevano di trattare il sequestro del computer come un mezzo atipico di ricerca della prova; quindi lo ritenevano svincolato da regole e, soprattutto, dal contraddittorio. Altri inquirenti pretendevano di utilizzare il mezzo tipico del sequestro, ma operavano come se si trattasse di sequestrare un documento cartaceo (es. un diario) senza alcuna cautela ulteriore. La legge n. 48 ha ricondotto nell'alveo dei mezzi "tipici" di ricerca della prova la perquisizione, l'ispezione ed il sequestro di ogni sistema o supporto informatico; ormai, non si può più parlare di mezzi atipici. Tutto è ricondotto alla tipicità con opportuni adeguamenti. Le garanzie introdotte per i mezzi di ricerca della prova informatica. La legge n. 48 ha previsto, in relazione ai mezzi di ricerca del documento informatico, cinque tipi di garanzie fondamentali, che dovrebbero essere attuate in ognuno dei mezzi di ricerca. Le garanzie sono le seguenti: 1) n dovere di conservare inalterato il dato informatico originale nella sua
genuinità. 2) n dovere di impedire l'alterazione successiva del dato originale ( 1 ) .
( l ) Le prime due garanzie appaiono nelle ispezioni e nelle perquisizioni disposte dall'autorità giudiziaria (artt. 244, comma 2, e 247, comma 1 -bù) e nelle perquisizioni e nel sopralluogo di polizia giudiziaria (artt. 352, comma 1 -bù, e art. 354, comma 2). Viceversa, non appaiono nella richiesta di consegna e esame presso banche (art. 248, comma 2) e nel dovere di esibizione (art. 256).
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3) n dovere di formare una copia che assicuri la conformità del dato informatico acquisito rispetto a quello originale (2 ). 4) n dovere di assicurare la non modifìcabilità della copia del documento informatico (3 ) . 5) La garanzia della installazione di sigilli informatici sui documenti acquisiti (4). Occorre segnalare che la legge n. 48 del 2008 non è stata sistematica; a causa della fretta con la quale è stata approvata, il Parlamento si è dimenticato ora di una, ora di un'altra delle garanzie che, viceversa, sono necessarie tutte e contemporaneamente nel caso di un mezzo di ricerca della prova informatica. Le lacune non trovano una giustificazione logica se non nella sommarietà dell'approccio alla problematica del documento informatico (5) . In casi come questo spetta alla dottrina e d alla giurisprudenza di ricom porre il sistema in via interpretativa. Con tutti i problemi che ciò comporta, visto che la materia attiene ad alcuni dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. 2.
Le ispezioni.
L'ispezione (art. 244) consiste nell'osservare e descrivere persone, luoghi e cose allo scopo di accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. Essa è un mezzo di ricerca della prova che ha prevalentemente una finalità " descrittiva" di persone, luoghi e cose; è disposta, di regola, dall'autorità giudiziaria quando occorre « accertare le tracce e gli altri effetti materiali del (2) La garanzia appare nel sopralluogo su iniziativa della polizia giudiziaria (art. 354, comma 2) e nel sequestro disposto dall'autorità giudiziaria, ma soltanto in relazione ai dati informatici acquisiti presso i fornitori di servizi (art. 254-bis), e non in generale per tutti i tipi di sequestro. Nei due casi espressamente menzionati si aggiunge una precisazione importante: la copia deve essere fatta su di un supporto definito << adeguato >>. Purtroppo, in relazione alle altre ipotesi di sequestro (es. sequestro presso banche ex art. 248, comma 2) non si prevede né l'obbligo di effettuare la copia, né la necessità che il supporto sia << adeguato >>. È stato precisato che la copia può non garantire la medesima collocazione del dato sul supporto (in relazione a parti apparentemente vuote). La perfetta rispondenza all'originale è garantita soltanto dalla
bitstream image (M.A. SENOR, Legge 18 marzo 2008, n. 48 di ratz/ica ed esecuzione della Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica, in www.altalex.com, 20 maggio 2008); a tal fine, il supporto deve essere vergine (S. ATERNO, Acquisizione e analisi della prova informatica, in Dir. pen. proc, 2008, n. 6, Dossier su La prova scientz/ica nel proc. pen., a cura di P. ToNINI). (3) La garanzia appare nel sopralluogo di polizia giudiziaria e nel sequestro disposto dall'autorità giudiziaria, ma soltanto in relazione ai dati informatici presso i fornitori di servizi (art. 254-bis), e non in generale per tutti i tipi di sequestro né negli altri atti finora menzionati. Questa garanzia viene attuata attraverso la c.d. catena di custodia (chain o/ custody) e cioè tramite la documentazione di ogni passo del procedimento per l'acquisizione e analisi dei dati.
(4) La garanzia è prevista dall'art. 260 come meramente facoltativa per il sequestro, e non come obbligatoria; ed invece i tecnici affermano che tale adempimento è essenziale per i dati informatici. L'integrità dei dati acquisiti è garantita tramite ]'algoritmo di hash, che consente di creare, attraverso una funzione matematica, una sequenza di bit di lunghezza variabile. (5)
P. ToNINI, Documento informatico e giusto processo, in Dir. pen. proc., 2009, n. 4.
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reato » (art. 244, comma 1 ) . Se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali (o se questi sono scomparsi) l'autorità giudiziaria, se possibile, cerca di indivi duare il modo, il tempo e le cause delle eventuali modifìcazioni; in ogni caso può disporre rilievi ed ogni altra operazione tecnica, anche in relazione a sistemi informatici o telematici, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione (art. 244, comma 2 , mod. dalla legge n. 48 del 2008) (6). Se necessario, l'ispezione si svolge con l'impiego di poteri coercitivi. Sia il giudice, sia il pubblico ministero possono disporre l'intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica (artt. 13 1 e 378). Poiché il potere coercitivo incide su libertà protette dalla Costituzione, il codice prevede determinate formalità per le ispezioni delle persone e dei luoghi; in ogni caso, l'ispezione è disposta con decreto motivato. L'ispezione personale ha ad oggetto il corpo di un essere umano vivente o parti di esso: può trattarsi dunque di qualunque parte del corpo, sia normal mente visibile, sia celata all'altrui vista (7) . Questo tipo di ispezione ha una normativa tutta particolare (art. 245 ) . Prima che si proceda a questo atto l'interessato è avvertito della facoltà di farsi assistere da una persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'art. 120 (ad esempio, deve avere almeno quattordici anni) . L'ispezione personale è eseguita, nei limiti del possibile, nel rispetto del pudore; è eseguita sempre nel rispetto della dignità della persona che vi è sottoposta (art. 245 , comma 2 ) . L'ispezione può essere compiuta anche per mezzo di un medico, che può non essere un medico legale. Ove intervenga un medico, l'autorità giudiziaria può astenersi dall'assistere alle operazioni (art. 245, comma 3 ) . L'ispezione di luoghi o di cose. Altre norme valgono specificamente per l'ispezione di luoghi o di cose. La persona che ha la disponibilità del luogo in cui è eseguita l'ispezione, ed anche l'imputato, hanno diritto, se presenti, ad avere copia del decreto che autorizza l'ispezione stessa. L'autorità giudiziaria, oltre al potere di disporre della forza pubblica, ha anche il potere di ordinare che taluno non si allontani prima che le operazioni siano concluse e può far ricondurre coattivamente sul posto il trasgressore (art. 246). (6) Sulle garanzie da osservarsi quando oggetto di indagine è un supporto o un sistema informatico, si veda supra, § l . (7) Cass., sez. IV, 2 dicembre 2005 , Euchi Sami, in Guida dir., 2006, 1 3 , 102: l'autorità giudiziaria può disporre legittimamente l 'effettuazione coattiva di un esame radiografico da parte di un medico nei confronti di persona sospettata di detenere all'interno del proprio corpo ovuli contenenti sostanze stupefacenti. Si tratta infatti di un atto di ispezione personale giacchè l'esecuzione del medesimo mediante accertamento radiogra fico consente soltanto un'estensione del controllo che, in tal modo, non è limitato al solo aspetto esteriore del soggetto, ma è esteso all'ispezione dell'interno del corpo umano. Nel caso concreto la Suprema Corte ha ritenuto legittimo un accertamento radiografico disposto coattivamente da personale di p.g. della Guardia di Finanza previa autorizzazione del pubblico ministero, nel corso di controlli previsti dall'art. 103 d.p.r. n. 309 del 1990. In termini analoghi, Cass., sez. IV, 28 giugno 2007, H.U., in Dir. pen. proc. , 2008, 465.
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Nel corso dell'udienza preliminare o dibattimentale l'ispezione di persone, di luoghi o di cose è disposta dal giudice. Durante le indagini preliminari l'ispezione è compiuta dalla polizia di propria iniziativa in situazione di urgenza sotto la forma di " accertamenti e rilievi" (art. 354, comma 2 ) . Occorre sottolineare che la polizia giudiziaria in situazioni di urgenza può disporre di sua iniziativa soltanto quei "rilievi sulle persone" , che sono diversi dall'ispezione personale (art. 354, comma 3 ) (si veda in/ra, parte III, cap. l , § 5 , lett. e) (8). Quando il pubblico ministero procede ad ispezione (personalmente o mediante delega alla polizia), il difensore dell'indagato deve essere preavvisato almeno ventiquattro ore prima (art. 364, comma 3 ) . Nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l'assicurazione della prova, il pubblico ministero può procedere anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo, o anche senza darne avviso, se vi è fondato motivo di ritenere che le tracce possano essere alterate; è fatta salva in ogni caso la facoltà del difensore di intervenire (art. 364, commi 3 -5 ) . Quando omette l'avviso o procede prima del termine, il pubblico ministero deve specificamente indicare, a pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità dell'avviso (art. 364, comma 6). 3.
Le perquisizioni.
La perquisizione (art. 247) consiste nel ricercare una cosa da assicurare al procedimento o una persona da arrestare (9). La perquisizione personalè è disposta quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato o le "cose pertinenti al reato" ; in quest'ultimo concetto rientrano le cose che hanno la funzione di provare il reato o la responsabilità del suo autore ( 10). La perquisizione locale è disposta quando vi è fondato motivo (8) Occorre segnalare che esistono ipotesi di ispezione disciplinate da leggi speciali. Il dato comune è rappresentato dall'ampliamento del potere autonomo di intervento della polizia giudiziaria: detto potere è svincolato dai requisiti previsti dall'art. 354 c.p.p. Le ipotesi "speciali" sono previste in materia di prevenzione e repressione della criminalità organizzata (art. 27 l. 19 marzo 1990 n. 55) e del traffico di stupefacenti (art. l 03 d.P.R. 9 ottobre 1 990 n. 309) o sono volte a contrastare l'immigrazione clandestina (art. 12 comma 7 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, mod. dalla l. 30 luglio 2002 n. 189) . Si ricordino inoltre l'intervento della polizia in materia di armi chimiche (art. 8 1. 1 8 novembre 1995 n. 496) e in materia di sicurezza stradale (art. 192 codice della strada) . (9) Secondo Cass., sez. Il, 10 settembre 1997, n. 84, in Arch. n. proc. pen., 1998, 297, può farsi ricorso alla perquisizione quale mezzo coattivo di ricerca della prova solo se sia stato individuato il tema nel cui ambito tale ricerca ha un suo contenuto di concretezza e specificità, posto che, diversamente, la perquisizione da strumento di ricerca di una prova utile per determinati reati si trasformerebbe in un mezzo di acquisizione della notitia criminis. ( lO) La Corte cast. con la sentenza interpretativa di rigetto n. 229 del 1998 ha preso in esame un decreto, emesso dal pubblico ministero, con il quale si disponeva una perquisizione al fine di sequestrare scritti formati dall'imputato « con funzione di appunti al fine di rispondere all'interrogatorio >>. La Corte ha affermato che il tribunale del riesame avrebbe dovuto pronunciare << l'annullamento del provvedimento di perquisizione e sequestro » perché, in materia, sono direttamente applicabili i princìpi costituzionali sulla
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di ritenere che tali cose s i trovino in un determinato luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l'arresto dell'imputato o dell'evaso (art. 247, comma 1 ) . La perquisizione informatica è disposta « quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematica », anche qualora tale sistema sia protetto da misure di sicurezza; devono essere adottate « misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione » (art. 247, comma l -bis, introdotto dalla legge n. 48 del 2008) ( 1 1 ) . L a perquisizione è disposta dall'autorità giudiziaria ( e cioè dal giudice o dal pubblico ministero) con decreto motivato; la motivazione dovrà attestare la presenza di sufficienti indizi. Alla perquisizione l'autorità giudiziaria può pro cedere personalmente o può delegarne l'esecuzione ad un ufficiale di polizia giudiziaria ( 12 ) . tutela della persona umana e sul diritto di difesa (artt. 2 e 24 comma 2 ) . A giudizio della Corte, la perquisizione ed il sequestro nel caso di specie << sono da considerare illegittimamente disposti » e comunque << inutilizzabili >> ai sensi dell'art. 1 9 1 c.p.p. La Cassazione ha ricondotto alla perquisizione personale l'esame radiografico effettuato all'addome del sospettato di detenere nel corpo ovuli contenenti sostanze stupefacenti, precisando che tale mezzo di ricerca della prova può ben estrinsecarsi in attività invasive della persona, soprattutto nell'ambito della procedura prevista dall'art. 103 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, qualora si tratti di attività volta sia all'accertamento del reato, sia alla tutela della salute dell'indagato (Cass., sez. VI, 1 1 luglio 2005, Hombang, in Cass. pen., 2006, 3340) . Occorre menzionare una recente pronuncia della Suprema Corte che sembra legittimare la raccolta di materiale biologico (es. capelli, saliva) posta in essere attraverso il << corretto uso del potere-dovere di perquisizione e sequestro >>: Cass., sez. Il, 19 ottobre 2007, M., in Giur. it. 2008, 203 1 , con nota di P. FELICIONI. La nozione di cosa pertinente al reato non può essere ristretta alle res che siano utilizzate per commettere il reato o che ne siano il prezzo, il prodotto o il profitto e che siano, pertanto legate da un rapporto strumentale o consequenziale, ma va estesa anche a quelle che siano indispensabili sia alla verifica di tutte le modalità di preparazione ed esecuzione del reato, sia alla conservazione delle sue tracce o all'identificazione del colpevole, compreso l'accertamento del movente. Pertanto, è legittima la raccolta di qualsiasi elemento probatorio che sia espletata nell'osservanza delle norme processuali vigenti in tema di limitazione della libertà individuale, con riferimento sia a quella personale che domiciliare, quando venga posta in essere tramite il corretto uso del potere-dovere di perquisizione e sequestro, anche se sia finalizzata alla raccolta delle cd. tracce biologiche, quali capelli, sangue, cute, saliva e sperma. Analogamente, Cass., sez. Il, 13 marzo 2007, Minnella, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1812 ha affermato che per " cose pertinenti al reato" debbono intendersi non solo quelle caratterizzate da un'intrinseca, specifica e strutturale strumentalità, rispetto al reato commesso ed a quelli futuri di cui si paventa la commissione, ma anche quelle che risultino indirettamente legate al reato per cui si procede le quali siano "necessarie per l'accertamento dei fatti". Pertanto, il prelievo del DNA della persona indagata attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili non è qualificabile quale atto invasivo o costrittivo, ed essendo prodromico all'effettuazione di accertamenti tecnici non richiede l'osservanza delle garanzie difensive. ( 1 1 ) Sulle garanzie da osservarsi quando oggetto di indagine è un supporto o un sistema informatico, si veda supra, § l. In tema di correttezza delle procedure per la conservazione della prova digitale, si segnala Cass., sez. II, 13 marzo 2009, n. 1 1 135, Bruno, in Guida dir., 17, 84: « L'esperibilità delle procedure di hashing, ossia delle tecniche volte a verificare l'integrità e la conformità all'originale del dato informatico sequestrato e conservato in copia su apposito supporto (nella specie Co-Rom) , è una questione di merito, potendosi in sede di legittimità esclusivamente deliberare se gli accorgimenti adottati dalla polizia giudiziaria delegata siano o meno idonei "in astratto" a tutelare le finalità indicate dal legislatore negli articoli 247, comma l -bis e 354, comma 2 c.p.p. come modificati dalla legge 48/2008 di ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sul cybercrime ». ( 12) L'art. 250 comma 3 attribuisce all'autorità giudiziaria il potere di disporre una perquisizione
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La ricerca di una cosa determinata. È prevista una modalità meno invasiva
della perquisizione, quando si ricerca una cosa determinata (art. 248, comma 1 ) . L'autorità giudiziaria può limitarsi a d "invitare" taluno a consegnare l a cosa. Se l'invito è accolto e la cosa è presentata, non si fa luogo a perquisizione, salvo che sia utile procedervi per la completezza delle indagini. Può darsi, infatti, che sia necessario conoscere anche il luogo dove la cosa era conservata o nascosta. Nel compiere una perquisizione (sia essa personale o locale) devono essere osservate alcune formalità a tutela dei diritti di libertà garantiti dalla Costitu zione. Se deve essere eseguita la perquisizione di una persona, occorre conse gnare a questa una copia del decreto con l'avviso della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché prontamente reperibile e almeno quattordicenne (art. 249) . Se deve essere eseguita la perquisizione di un luogo, va consegnata copia del decreto all'interessato ed a colui che abbia la disponibilità del luogo, qualora costoro siano presenti. Ad essi deve essere dato avviso della facoltà di farsi assistere o rappresentare da una persona di fiducia, a condizione che questa sia prontamente reperibile e idonea. Le cose rinvenute nel corso della perquisizione, se costituiscono corpo del reato o sono pertinenti al reato, sono sottoposte a sequestro. Se si trova la persona ricercata, si dà esecuzione all'ordinanza di custodia cautelare o ai provvedimenti di arresto o di fermo. La perquisizione su iniziativa del pubblico ministero. Nel corso delle indagini preliminari la perquisizione è ordinata dal pubblico ministero, che vi provvede personalmente o delegandola ad un ufficiale di polizia giudiziaria (artt. 247 , comma 3 e 370, comma 1 ) . All'indagato, che sia eventualmente presente alla perquisizione, è chiesto se è assistito da un difensore; qualora l'indagato ne sia privo, è designato un difensore d'ufficio (art. 365 ) . La perquisizione s u iniziativa della polizia giudiziaria. Sempre nel corso delle indagini preliminari la polizia giudiziaria può procedere di sua iniziativa a perquisizione personale o locale, ma soltanto in flagranza di reato o nel caso di evasione (art. 352) (13 ) . S e l'indagato è presente alla perquisizione, l a polizia deve avvertirlo della personale mentre si svolge l'attività perquirente sui luoghi. Soggetti passivi di tale atto (denominato dalla dottrina perquisizione << mista >>) sono le persone presenti in loco o sopraggiunte: owiamente deve sussistere il fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla propria persona il corpo del reato o cose ad esso pertinenti e deve essere emanato un apposito prowedimento da parte dell'autorità giudiziaria. ( 13 ) Occorre tenere presente che differenti e meno rigorosi requisiti valgono per le perquisizioni previste in varie leggi speciali. Si tratta: a) della perquisizione locale in materia di armi (art. 4 1 , T.U.L.P.S. n. 773 del 1 93 1 : quando vi è notizia "anche se per indizio" che in qualsiasi locale esistano armi o materie esplodenti detenute abusivamente); b) della perquisizione domiciliare per violazioni di leggi finanziarie (art. 33, legge n. 4 del 1929); c) delle perquisizioni sul posto (art. 4, legge n. 152 del 1975 e art. 1 9 1. 26 marzo 2001 n. 128); d) delle perquisizioni per la prevenzione o repressione di delitti di criminalità organizzata (art. 27, comma 2, legge n. 55 del 1990); e) delle perquisizioni per la prevenzione e repressione del traffico di stupefacenti (art. 1 03 , T.U. n . 309 del 1990) ; ./) della perquisizione di edifici (art. 25-bis, decreto legge n. 306
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facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia (art. 1 14 disp. att.); questi può intervenire all'atto (art. 356). La polizia giudiziaria deve trasmettere il verbale delle operazioni senza ritardo al pubblico ministero del luogo, nel quale la perquisizione è stata eseguita. La pubblica accusa convalida la perquisizione nelle quarantotto ore successive, se ne ricorrono i presupposti ( 14). È prevista una disciplina speciale per le perquisizioni, le ispezioni ed i sequestri che debbano svolgersi presso il difensore (v. supra, parte I, cap. l , § 6, lett. /) . 4.
Il sequestro probatorio. I tipi di sequestro. li codice prevede tre distinte forme di sequestro: il
sequestro "probatorio" (art. 253 ) , il sequestro "preventivo" (art. 3 2 1 ) ed il sequestro "conservativo" (art. 3 16). Il primo è collocato tra i mezzi di ricerca della prova; gli altri due tra le misure cautelari. Comune ai tre tipi di sequestro è la caratteristica di creare un vincolo di indisponibilità su una cosa mobile od immobile, attraverso uno spossessamento coattivo. Differenti sono le finalità delle tre misure che, di conseguenza, hanno una distinta regolamentazione. La collocazione del sequestro preventivo e di quello conservativo tra le misure cautelati è giustificata nella Relazione al progetto preliminare sulla base della maggiore incisività dei due strumenti sui diritti sog gettivi; in particolare, con il sequestro preventivo si crea non soltanto un vincolo di indisponibilità, bensì si tende anche a inibire l'attività di un soggetto. Il sequestro probatorio (art. 253 ) consiste nell'assicurare una cosa mobile od immobile al procedimento per finalità probatorie, mediante lo spossessamento coattivo della cosa e la creazione di un vincolo di indisponibilità sulla medesima. Tale vincolo di indisponibilità serve per conservare immutate le caratteristiche della cosa, al fine dell'accertamento dei fatti. È necessario un requisito "natura listico" , e cioè che vi sia un bene materiale; altri sono i mezzi per creare vincoli a posizioni giuridiche soggettive o a beni immateriali (ad esempio, il sequestro conservativo di un saldo di conto corrente o il sequestro preventivo di una quota di partecipazione in una società) . È necessario anche un requisito "giuridico" , e del 1992); della perquisizione finalizzata al contrasto all'immigrazione clandestina (art. 12 comma 7 d.lgs. 25 luglio 1998 n . 286). ( 14) In giurisprudenza è variamente risolta la questione della validità o meno del sequestro della cosa rinvenuta a seguito di una perquisizione illegittima. Nel senso della legittimità del sequestro del corpo del reato conseguente a perquisizione illegittima v. Cass., sez. VI, 27 marzo 2009, Cecconello, in Guida dir., 2009, 22, 80; Cass., sez. V, 15 giugno 2000, Madonia e altrz; in Guida dir., 2000, 35, 60; Cass., sez. III, 8 giugno 2004, Ganci; Cass., sez. un., 27 marzo 1996, Sala, secondo cui i vizi della perquisizione si trasmettono sempre al sequestro, salvo che il sequestro abbia per oggetto il corpo del reato e le cose pertinenti perché è atto dovuto ex art. 253 . In senso contrario Cass., sez. III , 18 giugno 1997, Sirica, in Cass. pen , 1998, 208 1 . .
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cioè che si tratti del corpo del reato (15) o di una cosa pertinente al reato (16) e, soprattutto, che la cosa sia "necessaria" per l'accertamento dei fatti (17). n sequestro è mantenuto fino a quando sussistono le esigenze probatorie (art. 262, comma l ) ( 1 8) . n limite massimo è la sentenza irrevocabile; dopodiché la cosa deve essere restituita, salvo che ne sia stata ordinata la confisca (art. 262, comma 4) ( 1 9) . L a conversione di un tipo di sequestro in un altro è possibile soltanto s e è emesso il provvedimento autonomo rispondente ai requisiti ed alle finalità del nuovo tipo di sequestro. Il codice prevede espressamente le singole ipotesi di con versione. Il sequestro probatorio può essere convertito in sequestro conservativo (art. 262, comma 2) o preventivo (art. 262, comma 3 ) con apposito provvedimento del giudice emesso su richiesta del soggetto rispettivamente legittimato (20) . Nel corso dell'udienza preliminare o dibattimentale il sequestro probatorio è disposto dal giudice con decreto motivato. Nel corso delle indagini preliminari il decreto motivato di sequestro è emanato, di regola, dal pubblico ministero. Contro il decreto di sequestro l'indagato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame (art. 257 , comma l ) . Sulla richiesta decide in ( 15) li corpo del reato è configurato, secondo la definizione data dall'art. 253, comma 2, non solo dalle cose sulle quali il reato è stato commesso, ma anche da quelle che ne sono il prodotto, il profitto o il prezzo. Questa seconda locuzione comprende sia le cose acquisite direttamente con il reato o da questo create, sia qualsiasi vantaggio patrimoniale e non patrimoniale ricavato dal reato, sia i beni valutabili economicamente dati o promessi al colpevole per la consumazione del reato. ( 1 6) In materia di sequestri la nozione di cose pertinenti al reato include, oltre al corpus delicti e ai producta sceleris, le cose che servono, anche indirettamente, ad accertare la consumazione dell'illecito, il suo autore e le circostanze del reato, con riferimento ad ogni possibile legame, individuabile caso per caso, tra le cose stesse e l'accertamento dell'illecito, che sia ritenuto rilevante ai fini del processo. Abbiamo già ricordato, a proposito della perquisizione, la sentenza della Coste cost. n. 229 del 1998 secondo la quale non rientrano nella nozione di "cose pertinenti al reato" gli scritti formati dall'imputato « con funzione di appunti al fine di rispondere all'interrogatorio >>. ( 17) Cass., sez. un., 28 gennaio-13 febbraio 2004 n. 2, Ferrazzi, in Cass. pen., 2004, 1 9 1 3 : << anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l'accerta mento dei fatti >>. ( 1 8 ) Ai sensi dell'art. 259, la custodia è affidata alla cancelleria o alla segreteria. Quando ciò non è possibile o non è opportuno, la custodia è affidata a persona appositamente nominata, alla quale può essere imposta una cauzione. ( 1 9) Le cose sottoposte a sequestro probatorio, quando non sia più necessario mantenerle vincolate a fini di prova, devono essere restituite all'avente diritto, salvo che non ricorra una delle tre seguenti ipotesi e cioè che il giudice non ne disponga il sequestro conservativo o non le sottoponga a sequestro preventivo, ovvero ne ordini la confisca. (20) Se permangono esigenze di prevenzione o di conservazione patrimoniale, al venir meno di quelle probatorie, deve essere sempre effettuato un accertamento specifico volto a verificare che sussistano tutti i presupposti previsti in via generale per l'adozione del provvedimento (periculum in mora, iniziativa del pubblico ministero o della parte civile), cosicché, divenuta irrevocabile la sentenza - ove non sia intervenuta la conversione in sequestro conservativo - il sequestro probatorio si estingue e le cose sequestrate devono essere restituite, salvo che sia disposta la confisca.
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composizione collegiale il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento (art. 324, comma 5) (2 1 ) . Il sequestro probatorio operato dalla polizia giudiziaria. Sempre durante le indagini preliminari la polizia giudiziaria interviene soltanto in situazione di urgenza. Infatti la polizia di sua iniziativa deve curare che le tracce o le cose pertinenti al reato siano conservate fino all'eventuale intervento del pubblico ministero (art. 354, comma 1 ) . Se vi è pericolo nel ritardo ed il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, la polizia giudiziaria effettua il sequestro (art. 354, comma 2). Il verbale è trasmesso entro quarantotto ore al pubblico ministero del luogo dove il sequestro è stato eseguito; questi, nelle quarantotto ore successive, convalida il sequestro con decreto motivato, se ne ricorrono i presupposti (art. 355 , comma 2 ) (22) . Richiesta di riesame. Contro il decreto d i convalida del sequestro (art. 355 , comma 3 ) e contro lo stesso decreto di sequestro, disposto dal pubblico ministero o dal giudice (art. 257, comma 2 ) , l'indagato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame (art. 355, comma 3 ) . Sulla richiesta decide in composizione collegiale il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento (art. 324, comma 5 ) . Oggetto di cognizione è la questione relativa alla legittimità o al merito del provvedimento (v. tav. 2.5.2). La questione sulla necessità di mantenere il sequestro. Ben distinta è la situazione nella quale sorge la questione sulla necessità di mantenere, o meno, il sequestro in quanto si discute se questo è ancora utile a fini probatori. In tal caso durante le indagini preliminari è previsto un ulteriore procedimento incidentale (v. tav. 2.5.3 ) . La persona interessata può presentare al pubblico ministero richiesta motivata di restituzione della cosa sequestrata (art. 263 , comma 4). Questi provvede con decreto motivato nei modi seguenti: a) se valuta che non sussistano più esigenze probatorie, dispone la restituzione all'avente diritto; b) se ritiene che le esigenze probatorie siano ancora presenti o che sia necessario mantenere il sequestro nella forma di quello preventivo o conservativo, respinge la richiesta di restituzione. In ogni caso, se il pubblico ministero intende convertire il sequestro probatorio in sequestro preventivo o conservativo, deve farne richiesta al giudice per le indagini preliminari (art. 262, commi 2 e 3 ) . Contro il decreto del pubblico ministero, che accoglie o respinge l a richiesta di restituzione, l'interessato può presentare opposizione al giudice per le indagini preli minari, che provvede in camera di consiglio (art. 127 ); egli può disporre la restituzione, mantenere il sequestro o anche, quando vi è contestazione sull'appartenenza della cosa
(2 1 ) Ricordiamo che soltanto per le misure cautelari personali è competente, sempre in composizione collegiale, il tribunale distrettuale, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza (art. 309, comma 7). (22) La mancata convalida del sequestro effettuato di iniziativa dalla polizia giudiziaria non preclude la possibilità per il pubblico ministero di disporre autonomamente, in ogni tempo, finché siano in corso le indagini preliminari, il sequestro delle stesse cose già sequestrate dalla polizia giudiziaria indipendentemente dalla circostanza che tali cose siano state nel franempo restituite o meno all'interessato.
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sequestrata, rimettere la questione al giudice civile competente, fermo restando il sequestro (art. 263 , comma 3 ) . È possibile impugnare il provvedimento del giudice con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 127, comma 7 . n sequestro di documenti coperti dal segreto professionale o di ufficio. L'art. 256 disciplina il caso in cui la cosa da sequestrare si trovi nella disponibilità di persone tenute al segreto professionale (art. 200), d'ufficio (art. 2 0 1 ) o di Stato (art. 202 ) : l'autorità giudiziaria, in tali ipotesi, non può disporre il sequestro in via immediata. Infatti l'autorità procedente deve richiedere preliminarmente la consegna della cosa da ricercare, consentendo così al depositario di esercitare il diritto di opporre il segreto. Più precisamente la persona tenuta al segreto, a fronte della richiesta dell'autorità giudiziaria, ha un immediato dovere di esibizione e consegna; può opporre un rifiuto solo dichiarando per iscritto l'esistenza di un segreto inerente alla propria professione o al proprio ufficio. La decisione sull'esistenza del segreto spetta al giudice penale; se si tratta di segreto professionale o di ufficio (art. 256 comma 2 ) ; spetta al presidente del consiglio dei ministri se si tratta del segreto di Stato (art. 256 commi 3 -5 ) . Una disciplina speciale è prevista quando l'autorità giudiziaria vuole acquisire documenti, atti o cose presso le sedi dei servizi di informazione per la sicurezza della repubblica (artt. 256-bis e ter, inseriti dalla legge n. 124 del 2007 ) . n sequestro presso banche. Una disciplina apposita è prevista per i sequestri presso banche. L'autorità giudiziaria (e gli ufficiali di polizia giudiziaria da questa delegati) pos sono esaminare atti, documenti e corrispondenza o dati informatici presso banche per rintracciare cose da sottoporre a sequestro o per accertare altre circostanze utili alle indagini (art. 248, comma 2 ) . L'autorità giudiziaria può limitarsi a formulare una richiesta di esibizione o consegna. Se la banca oppone un rifiuto, l'autorità giudiziaria (il pubblico ministero durante le indagini) procede a perquisizione personalmente. Sequestro di corrispondenza. Presso coloro che forniscono servizi postali, telegra fici, telematici o di telecomunicazione è consentito procedere al sequestro di lettere o altri oggetti di corrispondenza, anche se inoltrati per via telematica, che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenete spediti dall'imputato o a lui diretti, o che comunque possono avere relazione con il reato. Quando al sequestro procede un ufficiale di polizia giudiziaria, questi deve consegnare all'autorità giudiziaria gli oggetti di corrispondenza sequestrati, senza aprirli o alterarli e senza prendere altrimenti conoscenza del loro contenuto (art. 254, mod. dalla legge n. 48 del 2008 (23 ) . n sequestro di un computer o di un documento informatico. Dalla legge n. 4 8 del 2008 deriva una ulteriore conseguenza di tipo sistematico: ciò che è posto sotto sequestro probatorio, e del quale occorre assicurare la genuinità e la non alterabilità, è non il computer o l'hard disk, bensì il documento informatico che è tratto dai predetti. Ne deriva che quando l'oggetto fisico (hardware) è restituito, ed è conservato sotto sequestro il documento informatico come copia clone, è quest'ultimo ad essere il vero oggetto del sequestro. Pertanto, vi è interesse dell'imputato ad impugnare il tratteni-
(23) Sulle garanzie da osservarsi quando oggetto di indagine è un supporto o un sistema informatico, si veda supra, § l . TI decreto-legge sulla sicurezza pubblica n . 92 del 2008, conv. in legge n . 125, h a modifìcato la norma sulla distruzione delle cose sequestrate e ha imposto all'autorità giudiziaria di distruggere le merci di cui sono vietate la fabbricazione, il possesso o la commercializzazione, quando le stesse sono di difficile custodia (comma 3 -bis introdotto nell'art. 260).
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mento della copia clone, mediante riesame, al fine di verificare la pertinenza del dato, o di chiedere la restituzione qualora difettino i presupposti del trattenimento (24) . Sequestro d i dati informatici presso fornitori d i servizi informatici, telematici e di
Presso i fornitori di servizi informatici, telematici o di telecomuni cazioni l'autorità giudiziaria può disporre il sequestro dei dati da costoro detenuti (compresi quelli di traffico o di ubicazione) e può stabilire « che la loro acquisizione avvenga mediante copia di essi su adeguato supporto, con una procedura che assicuri la conformità dei dati acquisiti a quelli originali e la loro immodifìcabilità ». In questo caso è, comunque, ordinato al fornitore dei servizi di conservare e proteggere adegua tamente i dati originali (art. 254-bis, introdotto dalla legge n. 48 del 2008, l. r. Budapest). Custodia delle cose sequestrate. Le cose sequestrate sono affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria. Quando ciò non è possibile o non è opportuno, l'autorità giudiziaria dispone che la custodia avvenga in luogo diverso, determinandone il modo e nominando un altro custode, idoneo a norma dell'art. 120. Quando la custodia riguarda dati, informazioni o programmi informatici, il custode è altresì avvertito dell'obbligo di impedirne l'alterazione o l'accesso da parte di terzi, salva, in quest'ultimo caso, diversa disposizione dell'autorità giudiziaria (art. 259, mod. dalla legge n. 48 del 2008, l. r. Budapest) (25). telecomunicazioni.
(24) Ad u n a recente sentenza delle Sezioni unite, che afferma i l contrario, dobbiamo addebitare d i non aver compreso la natura del fenomeno informatico e, soprattutto, di non aver recepito la novità della l. n. 48 del 2008, che ha abrogato la definizione di documento informatico come << supporto >>. L'auspicio è che la Suprema Corte sappia operare al suo interno quel cambiamento di mentalità che è imposto dalle sfide del progresso tecnologico. La sentenza alla quale facciamo riferimento è Cass., sez. un. , 24 aprile-7 maggio 2008, n. 18253, Tchmil, in Dir. pen. proc. , 2009, n. 4, secondo cui << una volta restituita la cosa sequestrata, la richiesta di riesame del sequestro, o l'eventuale ricorso per cassazione contro la decisione del tribunale del riesame è inammissibile per soprawenuta carenza di interesse, che non è configurabile neanche qualora l'autorità giudiziaria disponga, all'atto della restituzione, l'estrazione di copia degli atti o documenti sequestrati, dal momento che il relativo prowedimento è autonomo rispetto al decreto di sequestro, né è soggetto ad alcuna forma di gravame, stante il principio di tassatività delle impugnazioni (fattispecie relativa a sequestro di un computer e di alcuni documenti) >>. In senso contrario si esprime S. CARNEVALE, Copia e restituzione di documenti in/armatici sequestrati: il problema dell'interesse ad impugnare, in Dir. pen. proc. , 2009, 472, con varie argomentazioni, tra le quali ricordiamo la seguente: la clonazione di memorie elettroniche non è da considerare come << una semplice attività di conservazione di tracce, ma piuttosto come un vero e proprio sequestro di materiale conoscitivo >>. Diversamente dalla sentenza Tchmil si è pronunciata Cass., sez. VI, 3 1 maggio-3 1 ottobre 2007, n. 40380, Sarzanini, in Dirittoegiustizia.it, 17 novembre 2007, che ha ritenuto esistente l'interesse ad impugnare il sequestro della copia dell'hard disk del computer di un giornalista. In motivazione si è precisato quanto segue: << anche se le cose oggetto di sequestro (computer ed area server) erano state, prima ancora della richiesta di riesame, restituite, previa estrazione - però - di copia dei relativi supporti informatici, v'era comunque l'interesse della richiedente a fare verificare che l'uso del mezzo tendente all'acquisizione della prova fosse awenuto nei casi ed entro i limiti previsti dalla legge >>. (25) li decreto-legge sulla sicurezza pubblica n. 92 del 2008, conv. in legge n. 125, ha modificato la norma sulla distruzione delle cose sequestrate e ha imposto all'autorità giudiziaria di distruggere le merci di cui sono vietate la fabbricazione, il possesso o la commercializzazione, quando le stesse sono di difficile custodia (comma 3 -bis introdotto nell'art. 260).
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Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. a.
La nozione di intercettazione.
Per intercettazione si intende quell'atto del procedimento che si effettua mediante strumenti tecnici di percezione e che tende a captare il contenuto di una conversazione o di una comunicazione segreta in corso tra due o più persone, quando l'apprensione medesima è operata da parte di un soggetto che nasconde la sua presenza (26) . Analizziamo partitamente i requisiti. a) Segretezza. Anzitutto, i soggetti devono comunicare tra loro col preciso intento di escludere estranei dal contenuto della comunicazione e secondo modalità tali da tenere quest'ultima segreta. Non è intercettazione una espres sione del pensiero, sia pure rivolta ad un soggetto determinato, che venga effettuata in modo poco discreto sì da renderla percepibile a terzi (es. parlare ad alta voce in pubblico; servirsi di onde radio liberamente percepibili) . b ) Strumenti di percezione. li soggetto che capta deve usare strumenti tecnici di percezione (elettro-meccanici, elettronici o digitali) particolarmente invasivi ed insidiosi, idonei a superare le cautele elementari, che dovrebbero garantire la libertà e segretezza del colloquio, e a captarne i contenuti. Non effettua una intercettazione colui che ascolta una conversazione origliando dietro una porta. Viceversa, è intercettazione, pur non essendo effettuata in tempo reale, l'attività del terzo che nasconde, per poi recuperarlo, un apparec chio magnetofonico in funzione nella stanza destinata ad ospitare una conver sazione tra altre persone, con ascolto "in differita" della riproduzione (27 ) . c) Terzietà e clandestinità. Il soggetto captante deve essere assolutamente estraneo al colloquio e deve operare in modo clandestino. Non è intercettazione la registrazione di un colloquio effettuata da una delle persone che vi parteci pano attivamente o da una persona che è comunque ammessa ad assistervi. Infatti, in tale caso manca il requisito della " clandestinità" rispetto agli interlocutori (v. tav. 2 .5 .6). In quest'ultima ipotesi, il nastro della registrazione assume la natura di " documento" e potrà essere ammesso nel processo, salvo che vi osti un divieto probatorio (28 ) . (26) In tal senso Cass., sez. un., 2 8 maggio-24 settembre 2003, Torcasio, i n Guida dir. , 2003 , 42, 49. (27) Così Cass., sez. un., 24 settembre 2003 , Torcasio, cit. « La registrazione di una conversazione telefonica effettuata da uno degli stessi interlocutori è (28) documento della conversazione in questione e perciò ne è prova idonea ed utilizzabile in giudizio >>. Così, Cass., sez. II, 8 aprile 1994, in Giust. pen. 1995, III, 67; Cass., sez. un., 24 settembre 2003 , Torcasio, cit. n documento fonografico così formato è utilizzabile solo se non viola specifiche regole di acquisizione della prova, quali gli artt. 63 comma 2, 195 comma 4 e 203 c.p.p. n Supremo collegio ha prospettato una sorta di "inutilizzabilità sistematica" (C. CONTI) che consegue all'impiego di un mezzo di prova allo scopo di aggirare i limiti ricavabili dagli schemi legali delineati dal codice. Con la sentenza 4 dicembre 2009, n. 320, sulla quale subito in/ra, la Corte costituzionale ha precisato che non costituisce documento, bensì documen tazione, la registrazione effettuata dalla polizia giudiziaria nell'ambito di un atto di indagine.
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L'intercettazione, così definita, è un'attività che può essere compiuta soltanto per iniziativa del pubblico ministero e su autorizzazione del giudice per le indagini preliminari nei casi e modi previsti dalla legge (artt. 266-27 1 ) . Essa può avere ad oggetto sia « conversazioni o comunicazioni telefoniche e ( . . . ) altre forme di telecomunicazione » ( art. 266) (29), sia il « flusso di comunica zioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi » (art. 266-bis, introdotto dalla legge 23 dicembre 1 993 , n. 547) . L e intercettazioni ambientali. L'intercettazione di comunicazioni tra presenti (da parte di una persona non presente) è ammessa di regola fuori del domicilio privato su autorizzazione del giudice. In via eccezionale l'intercettazione di co municazioni tra presenti è consentita nel domicilio privato se vi è « fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa » (art. 266, comma 2 ) . Pertanto non vi può essere intercettazione tra presenti per accertare reati già commessi in passato. Ricordiamo che non vi è "intercettazione" se Tizio registra il contenuto della conversazione svoltasi tra se stesso e Sempronio, o anche tra Caio e Sempronio senza che egli nasconda la propria presenza (30). (29) « L'intercettazione d i conversazioni effettuate via etere per mezzo d i u n apparecchio ricetrasmit tente privo di concessione non è soggetta ad autorizzazione alcuna da parte dell'autorità giudiziaria, perché relativa a comunicazioni non costituzionalmente garantite in quanto effettuate con mezzo illegale, il cui uso costituisce reato, ed in quanto prive del requisito della riservatezza, essendo liberamente captabili da chiunque, nel raggio di irradiazione, si awalga di un apparecchio ricevente sintonizzato sulla stessa lunghezza d'onda>>. In tal senso, Cass., sez. II, 12 novembre 1994, in Cass. pen., 1996, 861. (30) Così, Cass., sez. un., 28 maggio-24 settembre 2003, Torcasio, in Guida dir., 2003 , 42, 49. Particolarmente discussa è l'ipotesi in cui una persona rechi con sé apparecchi di registrazione che consentono alla polizia giudiziaria l'ascolto contestuale o differito di una conversazione con l'indagato. Si tratta di quella figura che viene indicata nella prassi come " agente segreto attrezzato per il suono" . In dottrina, C. CoNTI, Accertamento del /atto e inutilizzabilità nel processo penale, Padova, 2007, 309 ss. In base ad un orientamento garantista, che negli ultimi tempi sta diventando maggioritario, in ipotesi del genere siamo dinanzi ad una vera e propria intercettazione posta in essere senza rispettare la disciplina prevista dagli artt. 266 ss. , che prevedono quanto meno il decreto del pubblico ministero in caso di urgenza: pertanto, la documentazione è inutilizzabile ai sensi dell'art. 27 1 (così, Cass., 7 novembre-12 dicembre 2007, n. 46724, con riferimento all'agente segreto che consente alla polizia l'ascolto contestuale; Cass., 6 novembre 2008-26 novembre 2008, n. 44128, che ha ritenuto inutilizzabile anche la registrazione effettuata dalla persona offesa indipendentemente da un ascolto contemporaneo della polizia). In proposito si è espressa anche la Corte costituzionale (sentenza 4 dicembre 2009, n. 320). n Giudice delle leggi ha affermato che non vi sarebbe nessuna concreta differenza tra il caso in cui il colloquiante consenta alla polizia giudiziaria di installare un dispositivo che le permetta di intercettare la conversazione con un interlocutore ignaro e l'ipotesi in cui il medesimo colloquiante, agendo su precisa indicazione degli organi investigativi e con apparecchiature da questa approntate, proceda alla sola registrazione del colloquio. n ricorso al congegno azionato dall'interlocutore rappresenterebbe, difatti, un mero espediente diretto ad eludere l'obbligo di munirsi dell'autorizzazione giudiziaria e neppure motivato dall'esigenza di non vanificare una esecuzione tempestiva dell'operazione, dato che, proprio per le situazioni di urgenza, la legge prevede che l'operazione stessa possa venire immediatamente disposta dal pubblico ministero con decreto, salva la successiva convalida da parte del giudice (art. 266, comma 2). La Corte cost. ha sottolineato che il prodotto di una simile attività di registrazione-intercettazione non costituirebbe documento ai sensi dell'art. 234, bensì documentazione di un atto del procedimento. Gli orientamenti appena esposti, tuttavia, trascurano l'ipotesi assai ricorrente, nella quale l'agente segreto registri quelle dichiarazioni che portano a compimento la fattispecie criminosa. Si faccia il caso tipico
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Le ipotesi che non costituiscono intercettazione. Differente dalla intercet tazione, perché non ha per oggetto una "comunicazione" , è il pedinamento mediante apparecchiatura satellitare G.P.S., che può essere disposto dalla polizia giudiziaria come mera attività atipica (3 1 ) . Parimenti è estranea all'intercettazione la acquisizione dei tabulati del traffico telefonico dei quali tratteremo nel successivo paragrafo 6 lett. a. b.
I requisiti per disporre le intercettazioni.
Le intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni sono ammesse con molti limiti. Questi sono imposti dalla necessità di rispettare la garanzia che è prevista dall'art. 15 della Costituzione e che tende a tutelare la « segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione » (32) . La compressione della libertà individuale è ammessa soltanto « per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge ». Pertanto deve ritenersi vigente in materia una riserva di giurisdizione ed una riserva di legge. In adempimento alla riserva di giurisdizione, le intercettazioni devono essere autorizzate dal giudice su richiesta del pubblico ministero (art. 267 ) . In adempimento alla riserva di legge, sono previsti dal codice i presupposti per procedere alla intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche: l ) le intercettazioni possono essere disposte nei procedimenti relativi ai soli reati previsti nell'art. 266, comma l (3 3 ) ; 2) devono esistere « gravi indizi di reato » a prescindere da una responsadella richiesta estorsiva registrata dalla vittima. In tale ipotesi, la natura della dichiarazione registrata, che è parte integrante del fatto criminoso, impone di ritenerla comunque utilizzabile: essa rileva come fatto piuttosto che per il proprio contenuto narrativo. Viceversa, restano inutilizzabili in base alle regole accolte dalla giurisprudenza, tutte le dichiarazioni ulteriori e diverse che l'indagato si trovi a rendere. In tal caso, infatti, siamo dinanzi ad intercettazioni mascherate ed effettuate aggirando le garanzie previste dalla disciplina del codice (artt. 266 ss.). (3 1 ) Cass., sez. V, 2 maggio 2002, Bresciani, in Dir. pen. proc., 2003 , 93, con nota di P. PERETOLJ. Per un elenco ragionato delle ipotesi che sfuggono al concetto di intercettazione v. E. APRILE, F. SP!EZIA, Le intercettazioni telefoniche ed ambientali, Milano, 2 004, 125 s. (32) Cfr. Corte cost., 1 1 marzo 1993, n. 8 1 , in Giur. cast. , 1993, 73 1 . (33) L'intercettazione è consentita nei procedimenti relativi ai seguenti reati: a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'art. 4 c.p.p.; b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'art. 4 c.p.p.; c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope; d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive; e) delitti di contrabbando; /J reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono; fbis) delitti previsti dall'art. 600-ter, comma 3 c.p. (distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione di materiale pornografico realizzato con sfruttamento di minori di anni diciotto) anche se relativi al materiale pornografico di cui all'art. 600-quater.l. Inoltre, le intercettazioni sono consentite al fine di ricercare il latitante (art. 295, commi 3 e 3 -bis).
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bilità soggettiva (art. 267, comma 1 ) . Nella valutazione dei gravi indizi di reato si applica l'art. 203 ; e cioè, se gli indizi si basano su dichiarazioni confidenziali di informatori della polizia, le dichiarazioni medesime possono essere utilizzate soltanto quando gli informatori sono stati esaminati come testimoni o come persone informate sui fatti e, quindi, cessano di essere anonimi. Se gli informa tori non sono stati esaminati, le loro dichiarazioni non possono essere utilizzate ai fini della valutazione dei gravi indizi di reato. 3 ) l'intercettazione deve essere « assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini »; ciò avviene quando la prova non può essere acquisita con mezzi diversi dalla intercettazione. Ai sensi dell'art. 266-bis l'intercettazione del « flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici » è consentita nei procedimenti concernenti sia i reati indicati nell'art. 266, sia i reati « commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche »; e ciò perché si tratta di reati commessi con strumenti particolarmente insidiosi (A. CALICE). Sono previsti divieti di utilizzazione (di cui tratteremo in prosieguo; v. art. 27 1 ) e garanzie in favore dei difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari (art. 103 ) . Ad esempio, è vietata l'intercettazione relativa a comunicazioni dei difensori o a comunicazioni tra i medesimi e le persone da loro assistite (art. 103 , comma 5 ) . Intercettazioni per gravi delitti. Occorre segnalare che nelle indagini relative a delitti di criminalità organizzata, di minaccia per mezzo del telefono o contro la personalità individuale i requisiti sopra ricordati sono attenuati. In base all'art. 13 legge 12 luglio 1 99 1 , n. 203 e successive modificazioni, basta la sussistenza di « sufficienti indizi » e la mera « necessità per la prosecuzione delle indagini »; l'intercettazione delle comunicazioni tra presenti è ammessa anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi di privata dimora si stia svolgendo attività criminosa; la proroga ha un regime speciale. Inoltre, le intercettazioni sono consentite al fine di ricercare il latitante (art. 295 , integrato dalla legge 14 febbraio 2006 n. 56). Merita altresì segnalare l a possibilità che si svolgano l e cd. intercettazioni preven tive. Esse hanno una regolamentazione speciale, della quale ci limitiamo a dare un breve cenno. L'art. 226 disp. att., modificato dalla legge n. 438 del 200 1 , consente di effettuare intercettazioni telefoniche al solo scopo di "prevenire" il compimento di determinati delitti particolarmente gravi in tema di criminalità mafìosa o terroristica (artt. 407 , comma 2, lett. a e 5 1 , comma 3 -bis c.p.p.). Occorre sottolineare che le intercettazioni preventive sono disposte direttamente dal pubblico ministero con decreto quando « vi siano elementi investigativi che giustifichino l'attività di prevenzione » (34 ) . (34) Tuttavia gli elementi acquisiti << non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi. In ogni caso le attività di intercettazione preventiva ( . . . ) e le notizie acquisite a seguito delle
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In base all'art. 4 decreto-legge antiterrorismo n. 144 del 2005 , conv. in legge n. 155, le intercettazioni preventive, che siano ritenute indispensabili per la prevenzione di attività terroristiche o di eversione dell'ordinamento costituzionale, possono essere chieste dal presidente del consiglio dei ministri, che può delegare i direttori dei servizi informativi e di sicurezza (AISE e AISI). L'autorizzazione è data dal procuratore generale presso la corte di appello del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso in cui non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 2-5 dell'art. 226 disp. att. c.p.p. c.
n procedimento.
Il procedimento ordinario. In base all'art. 267 il pubblico ministero chiede al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre le intercetta zioni e trasmette gli atti dai quali si ricava l'esistenza dei presupposti delle medesime. L'autorizzazione è concessa dal giudice con decreto motivato. n decreto che dispone l'intercettazione. Dopo che il giudice ha autorizzato le intercettazioni, il pubblico ministero emana un ulteriore decreto con cui regola le modalità e la durata delle operazioni (art. 267, comma 3 ) . Le modalità. li pubblico ministero determina le modalità delle intercetta zioni, e cioè stabilisce, ad esempio, quale è il soggetto passivo dell'ascolto. Le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica. Tuttavia, quando tali impianti risul tano insufficienti o im'donei e sussistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria (art. 268 comma 3 ) (3 5 ) . attività medesime, non possono essere menzionate in atti di indagine n é costituire oggetto d i deposizione né essere altrimenti divulgate >> (art. 226, comma 5 disp. att.). Inoltre, ai sensi dell'art. 5, comma 3-bis, della legge n. 438 del 2001, << chiunque divulga a persone non autorizzate o pubblica, anche solo parzialmente, il contenuto delle intercettazioni >> di cui all'art. 226 disp. art. è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Merita ricordare, infine, che l'art. 5, comma 2 della legge n. 438 del 2001 ha abrogato ogni altra disposizione concernente le intercettazioni preventive. Pertanto non è più in vigore l'art. 25-ter della legge 7 agosto 1992, n. 356, che concerneva specificamente i delitti di criminalità organizzata mafiosa. (35) Cass., sez. un., 28 novembre 2001, Policastro: « la disposizione dell'art. 268 comma 3 c.p.p., che prevede la garanzia del provvedimento motivato del pubblico ministero perché possano utilizzarsi impianti diversi da quelli installati nella procura della Repubblica, si applica anche alle operazioni di intercettazione di comunicazioni fra presenti, le quali comportano, anzi, un più intenso sacrificio dei diritti tutelati dall'art. 15 Cast. rispetto alle intercettazioni telefoniche >>. Risolvendo un acceso contrasto giurisprudenziale le Sezioni unite della Cassazione (29 novembre 2005 - 24 gennaio 2006, n. 2737 , Campenni, in Cass. pen., 2006, 1347) hanno affermato il seguente principio di diritto: « la motivazione del decreto del pubblico ministero, in ordine ad entrambi i presupposti di legge (la inidoneità o insufficienza degli apparati in uso all'ufficio giudiziario e la eccezionale urgenza) deve intervenire prima della esecuzione delle operazioni captative; il pubblico ministero può rendere la relativa motivazione, o integrarla, anche in un momento successivo a quello in cui abbia, eventualmente, disposto l'esecuzione delle operazioni, ma comunque sempre ed in ogni caso prima che le operazioni medesime vengano eseguite. Non
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Durata delle intercettazioni. Nel decreto motivato il pubblico m1mstero deve indicare la durata delle intercettazioni. Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma l dell'art. 267, e cioè i gravi indizi e la assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini (36). fl procedimento di urgenza. Nei casi di urgenza, ma in presenza di tutti i presupposti sopra menzionati, l'intercettazione è disposta dal pubblico mini stero, che deve comunicare il relativo decreto motivato al giudice non oltre ventiquattro ore decorrenti dal proprio provvedimento. Il giudice entro le quarantotto ore successive decide sulla convalida con decreto motivato. In caso di mancata convalida, l'intercettazione non può essere proseguita ed i risultati non possono essere utilizzati (art. 267, comma 2 ) . Utenze intercettabili. Occorre sottolineare l'ampiezza con cui può essere esercitato il potere di intercettazione. In base ai requisiti previsti dal codice sono intercettabili sia le utenze riferibili agli indagati, sia quelle riferibili ai testimoni, sia, infine, le utenze riferibili a persone estranee ai fatti, quando queste ultime possono essere destinatarie di comunicazioni provenienti da indagati o da testimoni. Ad esempio, nell'ambito delle indagini su di un sequestro di persona a scopo di estorsione possono essere messi sotto controllo anche i telefoni dei familiari della persona sequestrata. In tal modo può facilmente accadere che siano registrate anche conversazioni che non hanno alcuna attinenza con i fatti per i quali si procede. Tuttavia la disciplina attuale non permette al pubblico ministero di distruggere le registrazioni irrilevanti (37) . è dato al giudice di emendare il decreto del pubblico ministero sostituendosi a lui nel rendere una motivazione non data dall'inquirente o di integrarla, appropriandosi di ambiti di discrezionalità delibativa e determinativa che spettano solo alla parte pubblica >>. In mancanza di tale presupposto la prova è afflitta da inutilizzabilità patologica. (36) Quando l'intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia con il mezzo del telefono, per i quali, ricordiamo, bastano i sufficienti indizi di reato, la durata delle operazioni non può superare quaranta giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodo successivi di venti giorni qualora permangano i presupposti. Nei casi di urgenza alla proroga prowede direttamente il pubblico ministero, con la successiva convalida del giudice. In tal senso, si veda l'art. 1 3 , comma 2 decreto-legge 13 maggio 199 1 , n. 152, conv. in legge 12 luglio 1991, n. 203. (3 7 ) Una disciplina speciale delle intercettazioni che riguardano i membri del parlamento è contenuta nella legge 20 giugno 2003 , n. 140. Per disporre una intercettazione diretta nei confronti di un parlamentare è necessaria una preventiva autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza (art. 4). La legge ha introdotto una distinzione: si ha una intercettazione "indiretta" quando il procedimento riguarda terzi ed il parlamentare ha preso parte alla comunicazione su di una utenza intercettata che non è a lui intestata né riferibile (Corte cost., n. 163 del 2005). In detta ipotesi, su istanza delle parti o del parlamentare interessato, il giudice per le indagini preliminari decide in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 269, commi 2 e 3 c.p.p., la distruzione integrale o parziale di quelle parti della intercettazione che egli valuti non rilevanti per il procedimento (art. 6 legge n. 140). Se, invece, il giudice ritiene che la intercettazione indiretta debba essere utilizzata, ma soltanto nei confronti di terzi, non occorre che egli chieda l'autorizza-
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Presso l'ufficio del pubblico ministero è tenuto un registro riservato nel quale sono annotati in ordine cronologico i decreti che regolano le intercetta zioni ed i provvedimenti del giudice che autorizzano, convalidano e prorogano le stesse (art. 267, comma 5 ) . Registrazione. L e comunicazioni intercettate sono registrate; delle opera zioni è redatto verbale (art. 268, comma 1 ) . La polizia giudiziaria provvede a trascrivere il contenuto anche sommariamente (art. 268, comma 2 ) ; si tratta dei c.d. brogliacci d'ascolto, utilizzabili già durante le indagini preliminari per chiedere al giudice le misure. Merita segnalare che la Corte cost. (sentenza n. 3 3 6 del 2008) ha dichiarato illegittimo l'art. 268 nei seguenti termini: dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore dell'in dagato ha il diritto di ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di quelle conversazioni o comunicazioni intercettate, che sono state utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non sono state depositate (38). La registrazione delle intercettazioni ed i verbali sommari sono trasmessi immediatamente al pubblico ministero e devono essere depositati in segreteria (art. 268, comma 4 ) . Tuttavia il giudice può autorizzare che il deposito sia ritardato, se ne può derivare un grave pregiudizio per le indagini; e cioè, se vi è pericolo di inquinamento delle prove (art. 268, comma 5 ) . Di conseguenza, di regola accade che il deposito sia effettuato al momento dell'avviso di conclu sione delle indagini (art. 4 15-bis) . L'udienza di stralcio. Una volta effettuato il deposito, deve essere dato avviso ai difensori, che possono ascoltare le registrazioni ed esaminare gli atti. Spetta alle parti indicare le conversazioni da acquisire (art. 268, comma 6) (v. tav. 2 .5.7). In questa fase il giudice ha un limitato potere di filtro; da un lato, egli deve stralciare le registrazioni di cui è vietata l'utilizzazione; da un altro lato, egli deve disporre l'acquisizione delle registrazioni indicate dalle parti che « non appaiano manizione a procedere (Corte cast. , n. 390 del 2007 ) . Infine, se il giudice valuta necessario utilizzare l'intercetta zione indiretta nei confronti dei terzi e del parlamentare, allora egli deve chiedere l'autorizzazione della Camera alla quale il parlamentare stesso appartiene o apparteneva al momento della intercettazione. Nessun problema se la Camera concede l'autorizzazione; viceversa, se la Camera nega l'autorizzazione, le intercettazioni sono inutilizzabili nei confronti del parlamentare, ma possono essere utilizzate nei confronti dei terzi (Corte cast., n. 390 del 2007). (38) Cass., sez. un., 22 aprile - 27 maggio 2010, n. 20300, in www.guidaaldiritto.ilsole24ore.eom, ha affermato che, qualora il difensore ne faccia richiesta, il pubblico ministero ha l'obbligo di rilasciare copia dei supporti magnetici delle intercettazioni a pena di responsabilità disciplinare o addirittura penale. Se il pubblico ministero non adempie, il difensore ha l'onere di far valere tale omissione dinanzi al tribunale della libertà. In tal caso, qualora il pubblico ministero non trasmetta detto materiale, si verifica una nullità intermedia ex art. 178, lett. c e le intercettazioni non potranno essere poste a base della decisione del tribunale del riesame sulla misura cautelare. Le intercettazioni, tuttavia, resteranno utilizzabili al di fuori di tale specifica vicenda e, qualora il pubblico ministero produca i supporti magnetici, potranno essere poste a base di una nuova richiesta cautelare.
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festamente irrilevanti » (art. 268, comma 6). n pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno ventiquattrore prima. La procedura porta di fatto il giudice ad acquisire tutte le registrazioni perché la legge gli consente di stralciare soltanto gli atti " sicuramente" irrilevanti e comunque dopo aver convocato le parti (pubblico ministero e difensori) (39). Le registrazioni non rilevanti sono conservate dal pubblico ministero. Successivamente, il giudice dispone la trascrizione delle registrazioni con le garanzie previste per la perizia (art. 268, comma 7) ; i difensori sono avvisati delle operazioni e possono ottenere copia dei verbali. Soltanto a questo punto la persona interessata può chiedere al giudice, a tutela della propria riservatezza, la distruzione della registrazione che la riguarda; il giudice, in camera di consiglio, accoglie la richiesta se la documentazione non è necessaria per il procedimento (art. 269, comma 2 ) . Divieti di utilizzazione. I l codice dispone l a inutilizzabilità delle intercet tazioni che sono state compiute fuori dei casi consentiti (40) , o senza osservare i presupposti e le forme del provvedimento di autorizzazione, o senza redigere il verbale delle operazioni o eseguendo le medesime al di fuori degli impianti installati nella procura della Repubblica, senza motivare le ragioni di urgenza (artt. 267 e 268 commi l e 3 ) . La documentazione delle intercettazioni inuti lizzabili è distrutta su ordine del giudice, salvo che le stesse costituiscano corpo del reato (es., calunnia o ingiuria mediante telefono) (art. 27 1 ) . Di regola i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza (art. 270 comma l ) ; restano comunque utilizzabili come « notizia di reato » per altri procedimenti (4 1 ) . (39) Nella prassi accade che, di regola, l'udienza di stralcio si svolga direttamente quando il procedimento è pervenuto al dibattimento. (40) La giurisprudenza sostiene una interpretazione restrittiva dell'art. 271 c.p.p., che sanziona con la inutilizzabilità le intercettazioni che << siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge>> . Secondo la Cassazione, le intercettazioni non sono compiute fuori dei casi consentiti quando la originaria imputazione è stata poi in sentenza derubricata in un reato che non avrebbe consentito tale mezzo di ricerca della prova. Si sostiene che, per dare luogo ad una inutilizzabilità, servirebbe una disposizione specifica oppure un principio giuridico dal quale far discendere questa conseguenza. <
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Come si è visto nel capitolo precedente (cap. 4, § 6, lett. g), le intercettazioni illegittime effettuate dall'autorità giudiziaria non rientrano nella categoria delle captazioni illegali disciplinate dall'art. 240 comma 2 . Queste ultime ricompren dono tra i documenti le intercettazioni « illecite », e cioè quelle acquisizioni che non siano state autorizzate dall'autorità giudiziaria e che siano sanzionate dalla legge penale. Divieti concernenti il segreto di Stato. Quando accade che l'autorità giudi ziaria abbia acquisito, tramite intercettazioni, comunicazioni di servizio di ap partenenti ai servizi segreti, la medesima autorità deve disporre l'immediata se gretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti tali comunicazioni (art. 270-bis c.p.p. , introdotto dalla legge 3 agosto 2007 n. 124). Deve essere chiesto al presidente del consiglio dei ministri se le informazioni ottenute siano coperte da segreto di Stato; in caso di risposta po sitiva, è inibita all'autorità giudiziaria l'utilizzazione delle notizie coperte dal se greto.
6.
I nuovi strumenti della tecnica: i tabulati telefonici.
La acquisizione dei tabulati del traffico telefonico è disciplinata dall'art. 132 d.lgs. n. 1 96 del 2003 , modificato d.lgs. 30 maggio 2008, n. 109. Tale provvedimento costituisce l'attuazione della Direttiva comunitaria 2006/24/CE (c.d. Frattini) che ha imposto agli Stati membri alcuni limiti al periodo di conservazione dei dati oltre ad una analitica disciplina della tipologia dei dati acquisibili (art. 3 del d.lgs. n. 109). n periodo di conservazione. In base all'art. 132 cit. i tabulati relativi al traffico telefonico sono conservati dal fornitore per ventiquattro mesi dalla data in cui la comunicazione alla quale essi si riferiscono è intervenuta; i dati relativi al traffico telematica sono conservati per dodici mesi, decorrenti dalla medesima data (42 ) . Una disciplina particolare è prevista per le chiamate senza risposta: i relativi tabulati sono conservati per soli trenta giorni (43 ) . Detti periodi di
(42) Accanto alla introduzione dei nuovi periodi di conservazione, il decreto legislativo n. 109 del 2008 ha rafforzato la repressione di eventuali violazioni. Sono stati introdotti due illeciti amministrativi ad hoc. In base all'art. 5 comma 2 del decreto legislativo n. 109 del 2008, salvo che il fatto costituisca reato, l'omessa o l'incompleta conservazione dei dati ai sensi dell'articolo 132, commi l e 1 -bts d.lgs. n. 196 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 50.000 che può essere aumentata fino al triplo in ragione delle condizioni economiche dei responsabili della violazione. Ai sensi del nuovo art. 162-bis d.lgs. n. 196, salva l'ipotesi appena ricordata e salvo che il fatto costituisca reato, la violazione dell'art. 132 commi l e l-bis comporta l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1 0.000 euro a 50.000, che può essere aumentata fino al triplo in ragione delle condizioni economiche dei responsabili della violazione (art. 162-bis d.lgs. n. 196). (43) Si ricorda che, con Provvedimento generale 17 gennaio 2008 (Sicurezza dei dati di traffico telefonico e telematica) in G.U. n. 30 del 5 febbraio 2008, il Garante ha fissato le regole di base per la messa
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conservazione non subiscono deroghe neppure in relazione a1 reati più gravi (44) e non sono prorogabili (45 ) . La procedura di acquisizione. Entro i predetti termini il pubblico ministero dispone con decreto motivato la acquisizione dei dati presso il fornitore anche su istanza del difensore dell'imputato, dell'indagato, dell'offeso e delle altre parti private. Il difensore dell'imputato o dell'indagato può chiedere diretta mente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al proprio assistito con le modalità dell'art. 3 9 1 -quater c.p.p. (art. 132 comma 3 d.lgs. n. 1 96) (46) . La conservazione ai lini delle investigazioni preventive. L a legge 1 8 marzo 2008, n. 48, di ratifica della Convenzione di Budapest ha introdotto una disciplina speciale in tema di conservazione dei dati relativi al traffico nell'am bito delle investigazioni preventive previste dall'art. 226 disp. att., oppure per finalità di accertamento e repressione di specifici reati (47) .
in sicurezza dei dati di traffico telefonico e Internet che vengono conservati dai gestori per finalità di accertamento e repressione dei reati e per le altre finalità ammesse dalla normativa. (44) Inoltre, la durata prevista per i dati relativi al traffico telematica ed alle chiamate senza risposta reca una disciplina più restrittiva di quella richiesta dalla Direttiva. Quest'ultima, infatti, senza distinguere tra le categorie di dati, prevedeva un periodo di conservazione non inferiore a sei mesi e non superiore a due anni dalla data della comunicazione (art. 6 direttiva 2006/24/CE). Eppure, è di immediata evidenza che i tabulati in oggetto possono risultare essenziali nell'accertamento di determinati reati e che le necessità investigative possono sorgere anche in tempi di molto successivi allo scadere del periodo di conservazione. (45) n decreto legislativo non ha tenuto conto dell'art. 12 della Direttiva, che consente agli Stati membri, in presenza di circostanze particolari, la possibilità di adottare le misure necessarie ad estendere i tempi di conservazione per un periodo limitato ed in presenza di circostanze particolari: si pensi alla necessità di far fronte alle indagini relative ad un attentato terroristico. n decreto-legge 2 ottobre2008, n. 151, ha previsto che il termine di conservazione relativo alle chiamate senza risposta operi a partire dal 31 dicembre 2008, termine poi portato al 31 marzo 2009 in sede di conversione in legge. Fino alla medesima data, inoltre, devono essere conservati i dati telematici che attualmente si trovano presso i fornitori, anche se si tratta di dati non ancora cancellati. La legge 23 aprile 2009, n. 38, di conversione del decreto-legge n. 11 del 2009, ha stabilito che, in considerazione delle esigenze di adeguamento all'evoluzione tecnologica che comportano diverse necessità di intervento sulle infrastrutture di rete degli operatori di comunicazioni elettroniche, le informazioni relative alle categorie dei dati relativi ai differenti casi di non risposta in << occupato >> o << libero non risponde» o << non raggiungibile» o << occupato non raggiungibile» o altre fattispecie, sono rese disponibili dagli operatori di comunicazioni elettroniche nei seguenti tempi. Per le chiamate originate da rete mobile e terminate su rete mobile o fissa, i dati di cui al comma l devono essere resi disponibili dagli operatori di rete mobile a far data dal 31 dicembre 2009. Per le chiamate originate da rete fissa e terminate su reti fisse o mobili, tenuto conto del processo in atto riguardante gli interventi di realizzazione e sviluppo delle reti di nuova generazione in tecnologia IP, le informazioni relative alle chiamate senza risposta generate dai clienti collegati alle reti fisse in tecnologia IP sono rese disponibili dagli operatori di rete fissa gradualmente e compatibilmente con le caratteristiche tecniche delle reti di comunicazione elettronica di nuova generazione degli operatori interessati e comunque non oltre il 31 dicembre 2010. (46) L'accesso al traffico in entrata può essere effettuato alle condizioni previste dall'art. 8 comma 2, lett. f codice privacy, espressamente richiamato dall'art. 132 comma 3: occorre che dalla mancata acquisizione possa derivare un pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento delle investigazioni difensive. (47) n ministro dell'interno o, su sua delega, i responsabili degli uffici centrali specialistici in materia informatica o telematica della polizia di Stato, dell'arma dei carabinieri e del corpo della guardia di finanza, nonché gli altri soggetti legittimati a svolgere intercettazioni preventive, possono ordinare, anche in relazione alle eventuali richieste avanzate da autorità investigative straniere, ai fornitori e agli operatori di servizi infor-
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Le videoriprese.
Con il termine videoriprese si indica la registrazione (effettuata attraverso strumenti tecnici di captazione visiva) di quanto accade in un luogo, all'insaputa di chi in esso si trovi. In particolare, la registrazione può essere disposta in un luogo pubblico o in un luogo di privata dimora. Quando l'attività è svolta da soggetti privati, la videoripresa è un « docu mento » ed è utilizzabile nel procedimento penale purché non rientri nelle ipotesi di documento illegale previste dall'art. 240 commi 2 ss. Quando la videoripresa è svolta da soggetti pubblici come atto di indagine nel procedimento penale la disciplina è oggetto di acceso dibattito. In assenza di una espressa regolamentazione legislativa, la Corte costituzionale e le Sezioni unite della Cassazione hanno ricostruito la materia nel modo seguente (48) . Anzitutto, sulla base dell'insegnamento della Corte costituzionale del 2002 , da allora mai più smentito, occorre distinguere tra la ripresa di immagini aventi per oggetto comportamenti comunicativi (es. due soggetti che dialogano tra loro) e la ripresa di immagini aventi ad oggetto comportamenti non comunicativi (un soggetto che si muove in un luogo). La ripresa di comportamenti comunicativi costituisce una forma di inter cettazione e, pertanto, ne segue la disciplina. Così, se l'intercettazione « audio visiva » è effettuata nel domicilio dovrà applicarsi l'art. 266 comma 2 c.p.p . : si tratta di una intercettazione ambientale che è consentita soltanto se vi è fondato motivo di ritenere che nel domicilio si stia svolgendo l'attività criminosa. Viceversa, in tutti gli altri luoghi si seguirà la disciplina ordinaria delle inter cettazioni (non occorre il requisito che si stia svolgendo l'attività criminosa). matici o telematici di conservare e proteggere, secondo le modalità indicate e per un periodo non superiore a novanta giorni, i dati relativi al traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni. n prov vedimento, prorogabile, per motivate esigenze, per una durata complessiva non superiore a sei mesi, può prevedere particolari modalità di custodia dei dati e l' eventuale indisponibilità dei dati stessi da parte dei fornitori e degli operatori di servizi informatici o telematici ovvero di terzi (art. 132 comma 4-ter d.lgs. n. 196). n fornitore o l'operatore di servizi informatici o telematici cui è rivolto l'ordine deve ottemperarvi senza ritardo e fornire immediatamente all'autorità richiedente l'assicurazione dell'adempimento. Inoltre, deve mantenere il segreto relativamente all'ordine ricevuto e alle attività conseguentemente svolte per il periodo indicato dall'autorità. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione dell'obbligo è punita come rivelazione di segreto d'ufficio, ai sensi dell'art. 326 c.p. (art. 132, comma 4-quater d.lgs. n. 196). I provvedimenti adottati ai sensi del comma 4-ter sono comunicati per iscritto, senza ritardo e comunque entro quarantotto ore dalla notifica al destinatario, al pubblico ministero del luogo di esecuzione il quale, se ne ricorrono i presupposti, li convalida. In caso di mancata convalida, i provvedimenti assunti perdono efficacia ( 132, comma 4-quinquies d.lgs. n. 196). È stato affermato che, verosimilmente, il congela mento dei dati è una misura che troverà applicazione in occasione delle rogatorie internazionali; in tal caso, infatti, vi è il rischio che nei periodi di stallo necessari per gli adempimenti tecnici i dati telematici siano alterati o modificati. Si veda S. ATERNO, Commento all'art. 10, in AA.Vv., L'attuazione della Convenzione europea sul cybercrime. Commento alla legge 18 marzo 2008 n. 48, Milano, 2008, in corso di pubblicazione. (48) C. cost., sent. 24 aprile 2002, n. 135, in Giur. cast. , 2002, 2 176 e Cass., sez. un., 28 luglio 2006, Prisco, in Dir. pen. proc. , 2006, 1349, con nota di C. CoNTI. Tale disciplina è stata confermata da Corte cost. 4 dicembre 2009, n. 320.
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La ripresa di comportamenti non comunicativi ha una disciplina differente a seconda del luogo nel quale viene posta in essere. In particolare, le Sezioni unite Prisco del 2006 hanno prospettato una tripartizione tra luoghi "domici liari " , luoghi "riservati" e luoghi "pubblici" . a) I luoghi "domiciliari" sono caratterizzati dall'esistenza, in capo ad un soggetto, del diritto di escludere chiunque altro; tale diritto è tutelabile anche qualora il titolare non sia presente sul luogo. Gli spazi citati rientrano nell'area protetta dall'art. 14 Cast. (inviolabilità del domicilio) . Pertanto, in assenza di una disciplina legislativa espressa che regoli i casi e i modi di una eventuale limitazione del diritto fondamentale con un provvedimento motivato dell'auto rità giudiziaria, le videoriprese risultano senz'altro vietate a pena di inutilizza bilità (art. 1 9 1 ) (49). b) I luoghi "riservati" sono caratterizzati dalla mancanza della stabilità del diritto di escludere chiunque altro. Tale diritto persiste soltanto se il titolare è presente sul luogo (es. toilettes dei locali pubblici; privés di discoteche) . Tuttavia, si tratta di spazi che, pur non rientrando nel concetto di domicilio, sono caratterizzati da una aspettativa di riservatezza maggiore rispetto ai luoghi pubblici. La norma costituzionale di riferimento non è l'art. 14, bensì l'art. 2 Cast. che protegge la riservatezza in maniera meno intensa rispetto alla invio labilità del domicilio. Una eventuale limitazione è consentita anche in assenza di una disciplina legislativa espressa, purché sia attuata attraverso un provvedi mento dell'autorità giudiziaria, fornito di congrua motivazione (50) . Pertanto, le videoriprese nei luoghi riservati possono essere disposte con un atto motivato del pubblico ministero e sono utilizzabili come prova atipica (art. 1 89). c) I luoghi pubblici. L'ultima categoria individuata dalle Sezioni unite Prisco del 2006 è quella dei luoghi pubblici, nel cui ambito non è configurabile alcuna aspettativa di riservatezza con riferimento alle immagini. Pertanto, le videoriprese possono essere effettuate anche dalla polizia giudiziaria di propria (49) In tal senso, si era espressa già C. cost., n. 135 del 2002. Tuttavia, pur recependo in linea di principio il distinguo prospettato dalla Consulta, la giurisprudenza successiva della Cassazione si era concentrata sulla nozione di domicilio e si era formato un orientamento che riconosceva a tale concetto una portata assai ristretta, sostanzialmente limitata alle abitazioni private e luoghi analoghi. Il risultato di tale opzione ermeneutica consisteva nel ritenere ammissibili le videoriprese di mere immagini, effettuate dalla polizia giudiziaria anche di propria iniziativa, in tutti i luoghi non domiciliari, ivi comprese ipotesi particolarmente delicate come le toilettes o i privés di locali pubblici. Cass., sez. VI, 12 febbraio 2003, Cherif Ahmed, in CED 223733; Cass., sez. VI, 10 gennaio 2003 , Mostra, in Cass. pen. , 2004, 1305; Cass., sez. V, 7 maggio 2004, Massa, in Guida dir. , 2004, 27, 64-65, con riferimento ai corridoi di un garage condominiale. La giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite Prisco del 2006 ha ritenuto utilizzabile quella videori presa che sia stata effettuata con il consenso della persona offesa: Tribunale Udine, 29 maggio 2007, in Giur. mer. , 2007, 1 1 , 2990; Cass., sez. Il, 13 dicembre 2007, N., n. 1 127, in Cass. pen. , 2009, 1 156 con riferimento ad una fattispecie in cui le riprese visive erano state effettuate all'interno di una camera d'albergo, con il consenso della persona che ne aveva la disponibilità, ed avevano sorpreso l'autore della clonazione della carta di credito ivi custodita. (50) Sul punto Cass., sez. l, 10 luglio 2007, Sussini, in CED 237502. 13
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iniziativa e si tratta di un atto non ripetibile che in dibattimento potrà essere utilizzato come prova atipica (5 1 ) . In base all'impostazione più garantista, la registrazione, disposta dal pub blico ministero nei luoghi riservati o dalla polizia giudiziaria nei luoghi pubblici, potrà essere ammessa nel dibattimento ai sensi dell'art. 189 e il giudice dovrà sentire le parti sulle modalità di acquisizione (es. visione delle immagini, perizia o altro) (52). d) Il comportamento in concreto non riservato. La tappa successiva della evoluzione giurisprudenziale si deve alla sentenza della Corte costituzionale n. 149 del 2008 e consiste in una ulteriore distinzione che concerne le videoriprese di mere immagini effettuate nei luoghi domiciliari (53 ) . A parere del Giudice delle leggi, affinché scatti la tutela del domicilio delineata dall'art. 14 Cast., non basta che un comportamento venga tenuto in luoghi di privata dimora; ma occorre, altresì, che esso in concreto sia riservato, e cioè non possa essere liberamente osservato dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgi menti (54) . Qualora il comportamento tenuto all'interno del luogo domiciliare sia in concreto non riservato, le videoriprese sono sottoposte al medesimo regime valevole per quelle effettate in luoghi pubblici. Pertanto, esse possono essere disposte anche dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa e sono utilizzabili come prova atipica (55 ) .
(5 1 ) Cass., sez. II, 2 4 aprile 2007, Caruso e altro, in CED 237848, secondo cui l e videoregistrazioni, documentando attività investigative non ripetibili, possono essere allegate al relativo verbale ed inserite nel fascicolo per il dibattimento come attività atipiche. In termini, Cass., sez. I, 13 gennaio 2009, Galati, in CED 242876; Cass., sez. I, 18 dicembre 2008, G. e altro, in CED 242743 . (52) Dal punto di vista delle modalità acquisitive, sia pure in una situazione parzialmente diversa, la giurisprudenza ha affermato che la visione da parte del giudicante di una videocassetta ritualmente acquisita non comporta l'esecuzione di attività tecniche e, non costituendo attività diretta alla formazione della prova, non deve aver luogo necessariamente in contraddittorio (Cass., sez. VI, 16 luglio 2008, Portoghese, in CED 24 1402, fattispecie relativa alle videoriprese di atti violenti compiuti in uno stadio). Con riferimento alla fase delle indagini preliminari la Cassazione ha precisato che i verbali delle operazioni di videoregistrazioni eseguite dalla polizia giudiziaria in luoghi esposti al pubblico sono valutabili in sede cautelare, anche per la parte relativa all'identificazione delle persone ritratte nei fotogrammi, indipendentemente dal deposito del supporto magnetico relativo alle videoregistrazioni stesse (Cass., sez. V, 17 luglio 2008, Biviera, n. 33430, CED 241386). In proposito, merita peraltro segnalare che la Corte costituzionale (C. cost., 336/2008, in Arch. n. proc. pen., 2009, 17) ha dichiarato illegittimo l'art. 268 nella parte in cui non prevede che dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore dell'indagato abbia il diritto di ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di quelle conversazioni o comuni cazioni intercettate, che sono state utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non sono state depositate. (53 ) C. Cost. sent. 149/2008, in Cass. pen., 2008, 4 109. (54) Es. persona che si pone sul balcone prospiciente alla pubblica via ed è osservata dai passanti senza che debbano ricorrere a telecamere munite di zoom. (55) In tal senso, successivamente Cass., sez. V, 17 luglio 2008, Biviera, in CED 24 1386, con riferimento alle videoriprese eseguite dalla polizia giudiziaria, in assenza di autorizzazione dell'autorità giudiziaria, attraverso un apparecchio esterno a un edificio che ne inquadri l'ingresso, i balconi e il cortile.
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CAPITOLO VI
LE MISURE CAUTELARI
SoMMARIO: l . Considerazioni introduttive. - 2. Le disposizioni generali sulle misure cautelari personali. - 3. L 'applicazione delle misure cautelari personali. - 4. Le vicende successive. - 5 . Le impugnazioni contro le misure cautelari personali. - 6. Le misure cautelari reali.
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Considerazioni introduttive. a.
La definizione di provvedimento cautelare.
Tra l'inizio del procedimento penale ed il momento in cui la sentenza viene eseguita passa un periodo di tempo che può essere anche molto ampio, in relazione al rito che viene adottato (ordinario o speciale) ed all'eventualità che le parti abbiano proposto le impugnazioni previste dalla legge. I tempi lunghi possono essere dovuti alla complessità delle indagini o al l'esigenza di accertare il fatto di reato con il rispetto del diritto di difesa ( 1 ) . Ebbene, durante questo periodo di tempo possono sorgere pericoli per lo svol gersi del procedimento penale e specificamente per l'accertamento dei fatti e per l'efficacia della sentenza (e cioè per la possibilità di eseguirla nei suoi effetti penali e civili). Al fine di evitare tali rischi sono previste le misure cautelari. In prima approssimazione possiamo dare la seguente definizione. Le misure cautelari sono quei provvedimenti provvisori e immediatamente esecutivi, finalizzati ad evitare che il trascorrere del tempo possa provocare uno dei seguenti pericoli: l ) il pericolo per l'accertamento del reato; 2) il pericolo per l'esecuzione della sentenza; 3 ) il pericolo che si aggravino le conseguenze del reato o che venga agevolata la commissione di ulteriori reati. Le misure cautelari (ad esempio, la custodia in carcere, l'obbligo di presentarsi alla polizia, il sequestro conservativo) comportano la limitazione di alcune libertà fondamentali che sono tutelate dalla Costituzione e dalle Con venzioni internazionali. Si tratta della libertà personale, della libertà di circola zione e della libertà di disporre di beni mobili ed immobili. Pertanto il codice, ( l ) Oppure a diffi coltà nella organizzazione del lavoro degli uffici giudiziari, purtroppo frequenti nella prassi a causa del carico elevato di processi che la giustizia penale deve smaltire.
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nel regolamentare le misure cautelati, deve rispettare le garanzie previste nella Costituzione e nelle Convenzioni internazionali. Caratteristiche. Le misure cautelati hanno caratteristiche che le differen ziano dagli altri provvedimenti che possono essere emanati dal giudice penale. Le principali caratteristiche sono: l ) la strumentalità; 2) l'urgenza; 3 ) la prognosi di colpevolezza allo stato degli atti; 4) l'immediata esecutività; 5) la provviso rietà; 6) la previsione per legge; 7) la giurisdizionalità; 8) l'impugnabilità. l ) La strumentalità. La caratteristica fondamentale è la strumentalità rispetto al procedimento penale. Questo aspetto è già stato illustrato quando si è sottolineato che le misure cautelari hanno i seguenti scopi: a) permettere l'accertamento del reato (quando vi è il pericolo di inquinamento delle prove); b) assicurare l'esecuzione della sentenza definitiva (quando vi è pericolo che l'imputato fugga o disperda il proprio patrimonio); c) evitare l'aggravamento delle conseguenze del reato o la commissione di ulteriori reati. 2) L'urgenza. Le misure tendono ad evitare i pericoli che abbiamo appena menzionato e che sono definiti dal codice " esigenze cautelari" ; vi è una situazione di urgenza quando un ritardato intervento rende probabile il verifi carsi di uno dei fatti temuti (2) . n codice prevede un elenco tassativo delle esigenze cautelati, che giustificano l'applicazione di una misura cautelare per sonale (art. 274 ) . Non è permesso al giudice di giustificare l'applicazione di una simile misura per esigenze diverse da quelle previste dalla legge. Ad esempio, non può essere disposta la custodia in carcere o l'arresto domiciliare al fine di placare "l'allarme sociale" suscitato dal reato (3 ) . Misure cautelari e presunzione d'innocenza. La materia in esame è molto delicata perché deve fare i conti con la presunzione di innocenza. Come si è accennato, la Costituzione impone che l'imputato non sia " considerato colpe vole" fino alla condanna definitiva (art. 27, comma 2 ) . Da un simile enunciato discende che la pena può essere applicata soltanto dopo la sentenza irrevocabile di condanna. Tale principio costituzionale sembra porsi in contraddizione con l'art. 13 , comma 5 Cost., che consente la limitazione della libertà personale anche prima della sentenza irrevocabile. n contrasto appare ancora più accen tuato ove si tenga presente che le misure cautelari possono arrivare ad un livello di coercizione pressoché coincidente con quello della pena (si pensi alla somiglianza tra la custodia cautelare in carcere e la pena della reclusione) . Ebbene, come di recente chiarito dalla Corte costituzionale (sentenza 2 1 luglio 2010, n. 265 ) , la contraddizione è soltanto apparente. Affinché le restrizioni della libertà personale dell'imputato nel corso del procedimento siano compatibili con la presunzione d'innocenza, è necessario che esse siano nettamente di/ferenSi tratta di un requisito simile a quello che i processual civilisti chiamano periculum in mora. In tal senso, si è espressa con nettezza C. Cost., 2 1 luglio 2010, n . 265, sulla quale si veda ampiamente infra, in questo capitolo, il par. 2, lett. d. (2)
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ziate rispetto alla pena. La misura cautelare non deve essere una " anticipazione" della sanzione penale che potrà essere successivamente applicata con la condanna. Per questo motivo, la misura cautelare può essere giustificata soltanto dall'esi stenza di un pericolo per il procedimento penale. Se in concreto non sussiste nei confronti dell'imputato nessuna delle esigenze previste dal codice (e cioè, se non vi è il pericolo di inquinamento delle prove, né il pericolo di fuga, né il pericolo del compimento di uno dei reati previsti nell'art. 274, comma l , lettera c), non può essere applicata nessuna misura. Al tempo stesso, proprio per differenziare il più possibile la custodia cautelare dalla pena, il legislatore è obbligato a pre vedere una molteplicità di misure idonee di volta in volta a far fronte alla varietà delle esigenze cautelari e meno afflittive rispetto alla custodia in carcere che è la più limitativa per la libertà personale (4) . 3 ) La prognosi di colpevolezza allo stato degli atti. Nel processo penale l'applicazione di una misura cautelare personale richiede l'accertamento di " gravi indizi" di colpevolezza (art. 273 ) basato sugli elementi di prova che l'accusa è riuscita a raccogliere sin dall'inizio delle indagini. Occorre sottoline are che siamo in presenza di un accertamento " allo stato degli atti" , e cioè basato su materiale probatorio suscettibile di essere modificato successivamente in relazione ai nuovi elementi che siano stati raccolti dall'accusa e dalla difesa. L'accertamento non deve essere " sommario " ; al contrario, il codice impone che esso sia fondato su elementi di prova ed adeguatamente motivato (art. 292 ) . Tra l'altro, è di intuitiva evidenza che l'imputato, per ottenere una migliore tutela dei propri diritti di libertà, ha interesse a che l'accertamento dei gravi indizi di reità sia svolto in modo approfondito. In sostanza, le misure cautelari personali possono essere applicate quando si ritiene che gli elementi fino a quel momento raccolti, se confermati in dibattimento, condurranno alla pronuncia di una sentenza di condanna. 4) L'immediata esecutività. La necessità di evitare i pericoli, che possono sorgere nell'attesa della sentenza definitiva, impone l'immediata esecutività del provvedimento cautelare ( art. 2 93 ) . La esecutività è la idoneità del provvedi mento ad essere attuato coattivamente anche contro la volontà della persona interessata. Ai sensi dell' art. 92 disp. att. l'ordinanza che dispone la misura cautelare è immediatamente trasmessa « al pubblico ministero che ne ha fatto richiesta, il quale ne cura l'esecuzione ». n provvedimento cautelare ha la (4) Secondo la Corte costituzionale (sentenza 2 1 luglio 2010, n. 265), l'applicazione delle misure cautelari non può essere legittimata esclusivamente da un giudizio anticipato di colpevolezza; non può corrispondere - direttamente o indirettamente - a finalità proprie della sanzione penale; infine, deve avere un preciso scopo di tutela del processo o della collettività. Il legislatore ordinario è infatti tenuto, nella tipizzazione dei casi e dei modi di privazione della libertà, ad individuare esigenze diverse da quelle di anticipazione della pena, che debbano essere soddisfatte durante il corso del procedimento e siano tali da giustificare, nel bilanciamento di interessi meritevoli eli tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale di chi non è stato ancora giudicato colpevole in via definitiva. Così, C. cost., n. 64 del 1970 e n. l del 1980.
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caratteristica di restare esecutivo anche se eventualmente contro di esso sia stata proposta una impugnazione (art. 588, comma 2 ) (5 ) . 5) La provvisorietà. li provvedimento cautelare h a l a caratteristica della provvisorietà sotto un duplice significato. Da un lato, il provvedimento caute lare non condiziona la decisione " definitiva" , che è pronunciata dal giudice al termine del dibattimento sulla base delle prove raccolte in contraddittorio. Da un altro lato, il provvedimento cautelare è revocabile o modificabile in attesa della sentenza definitiva. Infatti il provvedimento è emesso " allo stato degli atti" . Le prove, che saranno successivamente raccolte, potranno portare alla acquisizione di ulteriori elementi tali da confermare o, viceversa, escludere i gravi indizi di reità; oppure potrebbero attestare il modificarsi o il venir meno delle esigenze cautelari. Da ciò deriva che è possibile sia revocare, sia modificare (in meglio od in peggio) la misura cautelare. 6) La previsione per legge. Le misure cautelari comportano la limitazione delle libertà garantite dalla Costituzione; in particolare, della libertà personale e domiciliare. La Costituzione esige che la legge preveda espressamente i casi ed i modi nei quali il provvedimento dell'autorità giudiziaria può porre limiti alle predette libertà; si tratta dei princìpi di riserva di legge e di tassatività, posti dagli articoli 13 e 14 Cost. Entro tali limiti, le libertà fondamentali possono essere compresse nel perseguire i fini legittimi del processo penale. 7) La giurisdizionalità. Le misure cautelari sono disposte con un provvedi mento emanato dal giudice. Da ciò deriva che, di regola, il pubblico ministero e la polizia giudiziaria non hanno il potere di disporre misure cautelati. Sotto tale profilo il codice pone una garanzia superiore a quella prevista dalla Costituzione, che attribuisce alla " autorità giudiziaria" (e quindi anche al pubblico ministero) il potere di emanare provvedimenti limitativi della libertà personale. La riserva di giurisdizione non è assoluta; infatti sia la Costituzione (art. 1 3 , comma 3 ) , sia il codice ammettono che i provvedimenti temporanei possano essere disposti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria; possiamo citare, come esempio, il fermo di persona gravemente indiziata di un delitto nelle ipotesi previste dall'art. 3 84 c.p.p. Tali provvedimenti sono definiti precautelari; essi devono essere sottoposti a convalida da parte del giudice entro un tempo predeterminato, altrimenti l'indagato deve essere rimesso libertà (6). 8) La impugnabilità. Nei confronti dei provvedimenti cautelati è possibile proporre impugnazione. La Costituzione (art. 1 1 1 , comma 7) prevede il ricorso per cassazione per violazione di legge contro tutti i provvedimenti che com(5) Si tratta di una caratteristica che differenzia le misure cautelari dalla sentenza emessa al termine del giudizio. Infatti, l'esecuzione della sentenza resta sospesa in pendenza dell'impugnazione. Sul punto, si veda in/ra, parte quinta, cap. l, par. 2 . (6) Autonoma rispetto al provvedimento d i convalida è la eventuale successiva decisione del giudice che applica la misura cautelare richiesta dal pubblico ministero.
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portano una limitazione della libertà personale. Il codice ha esteso questa garanzia perché ha previsto per tutti i provvedimenti cautelati anche la possi bilità di proporre una impugnazione di merito (l'appello o il riesame a seconda del soggetto che la propone). b.
I tipi di misure cautelari.
Il codice prevede varie categorie di misure cautelati. La molteplicità di queste ultime è tipica del sistema accusatorio, perché permette di configurare la custodia in carcere come ultima possibilità residuale (extrema ratio) da appli carsi soltanto quando le esigenze cautelati, esistenti in concreto, non possono essere soddisfatte con nessuna delle altre misure (art. 275 , comma 3 ) . Vi è una prima distinzione fondamentale tra misure personali e reali. Le misure personali comportano limiti alla libertà personale o alla libertà di determinazione nei rapporti familiari e sociali. Le misure reali (dal latino res, cosa) toccano singoli beni mobili o immobili ed impongono il divieto di disporre di tali beni. Il codice prevede il sequestro conservativo (a tutela della garanzia del pagamento delle somme dovute, tra l'altro, per le spese del procedimento penale o per i danni cagionati dal reato) ed il sequestro preventivo (che è posto al fine di evitare l'aggravamento delle conseguenze del reato). L e misure personali s i dividono i n tre categorie: misure coercitive, inter dittive e misure di sicurezza applicate provvisoriamente a scopi cautelati (v. tav. 2.6. 1 ) . Esse sono disciplinate dalle disposizioni generali che verremo ad esami nare nel prossimo paragrafo. l ) Le misure coercitive sono enumerate nel codice in ordine crescente di gravità e vanno dal divieto di espatrio alla custodia cautelare in carcere. Sono misure obbligatorie il divieto di espatrio, l'obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, l'allontanamento dalla casa familiare, il divieto o obbligo di dimora ed il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati dalla persona offesa; sono misure custodiali l'arresto domiciliare, la custodia in carcere ed in luogo di cura (7).
( 7 ) I n giurisprudenza s i è posto il problema relativo alla possibilità d i applicare contemporaneamente più misure cautelari diverse e compatibili tra di loro (ad esempio il divieto di dimora e l'obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria). Sul punto si sono pronunciate le Sezioni unite che hanno escluso tale possibilità affermando il principio di tipicità delle misure cautelari. Poiché la legge, di regola, non prevede la possibilità di applicazione cumulativa delle misure, il principio di tipicità impone di ritenerla vietata. Cass., sez. un., 30 maggio-12 settembre 2006, n . 29907, La Stella, in Dir. Giust., 2006, 36, 5 1 : << al di fuori dei casi in cui sia espressamente prevista da singole norme processuali (articoli 276, comma l , e 307, comma l -bis c.p.p.) non è ammessa l'applicazione simultanea, in un mixtum compositum, di due diverse misure cautelari tipiche, omogenee o eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili, quali ad esempio il divieto di espatrio, l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e il divieto o l'obbligo di dimora >>.
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Le misure obbligatorie. Il divieto di espatrio (art. 2 8 1 ) impone all'imputato di non uscire dal territorio nazionale senza l'autorizzazione del giudice, che può dare tutte le disposizioni necessarie per assicurare l'esecuzione del provvedimento (ad esem pio, ritiro dei documenti validi per l'espatrio). Con l'obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria (art. 282) si prescrive all'imputato di presentarsi presso gli uffici di quest'ultima nei giorni e nelle ore indicati dal giudice. Il divieto di dimora (art. 283 , comma l ) impone all'imputato di non dimorare in un determinato luogo e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice. Viceversa, con l'obbligo eli dimora si prescrive all'imputato di non allontanarsi, senza l'autorizzazione del giudice, dal comune o da una sua frazione. Può essere aggiunto, inoltre, un obbligo di reperibilità (art. 283 , commi 2 -6) . Il giudice può limitare progressivamente la libertà dell'imputato " senza pregiudizio per le normali esigenze di lavoro" . Con l'allontanamento dalla casa familiare (art. 282 -bis, introdotto dalla legge 4 aprile 200 l n. 154 ) , il giudice prescrive all'imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro e di non accedervi senza autorizza zione. È possibile prescrivere obblighi accessori, come il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa (art. 282 -bis, comma 2 ) o l'obbligo di versare un assegno periodico ai conviventi (art. 282 -bis, comma 3 ) . S i tratta, all'evidenza, di una misura cautelare predisposta con particolare rife rimento ai reati in materia di violenza nelle relazioni familiari. Ciò è confermato dal comma 6 dell'art. 2 82-bis che, nelle ipotesi di delitti in materia sessuale o di pedofilia, consente di applicare la misura in esame anche fuori dai limiti di pena predisposti dalle condizioni generali di applicabilità (art. 280) . Con il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 2 82 -ter, introdotto dal decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 1 1 ) , il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitual mente frequentati dalla persona offesa, dai prossimi congiunti di questa o da persone legate da relazione affettiva o convivenza con la persona offesa; il giudice può anche prescrivere all'imputato di mantenere una determinata distanza dai predetti luoghi (art. 282 -ter, commi l e 2 ) . Inoltre, il giudice può vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con la persona offesa, i suoi prossimi congiunti e le persone a lei legate da relazione affettiva o convivenza (art. 2 82-ter, comma 3 ) (8).
( 8 ) T ali provvedimenti sono comunicati all'autorità d i pubblica sicurezza competente, a i fini dell'even· tuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni. Essi sono altresì comunicati alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio.
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Le misure custodiali. Le misure che veniamo ad esporre comportano per l'imputato una situa zione di custodia, dalla quale derivano due conseguenze. Quella negativa consiste nella configurabilità del delitto di evasione (art. 3 85 c.p.) , ave l'impu tato si allontani dal luogo di custodia (9). La conseguenza positiva sta nel fatto che il periodo trascorso in custodia sarà computato come esecuzione della pena detentiva, nel caso in cui questa debba essere eseguita in seguito a condanna (artt. 285 , comma 3 e 657 c.p.p . ) . Gli arresti domiciliari (art. 284) impongono all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza ( lO). A tale misura possono essere aggiunti limiti alla facoltà dell'imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano. È anche possibile una attenuazione del rigore della misura, come avviene, ad esempio, quando l'imputato è autorizzato a recarsi al lavoro in quanto " non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza" ( 1 1 ) . D braccialetto elettronico. S i tratta di una modalità di esecuzione degli arresti domiciliari mediante la quale è possibile controllare costantemente gli spostamenti dell'imputato (art. 275 -bis) ( 12 ) . Nel disporre la misura degli arresti domiciliari (ab initio o anche in sostituzione della custodia in carcere) il giudice può prescrivere " procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici" , che siano nella disponibilità della polizia giudiziaria. Tale modalità esecutiva può essere disposta qualora il giudice la ritenga necessaria in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari, che ricorrono nel caso concreto (art. 275-bis, comma l ) ( 1 3 ) . (9) Inoltre, in base all'art. 9, comma l della legge n. 85 del 2009, nei confronti dell'imputato e dell'indagato sottoposto a misura custodiale è operato a determinate condizioni il prelievo coattivo di un campione biologico per l'estrazione di quel profilo del DNA, che deve poi essere inserito nella relativa Banca dati nazionale. n prelievo è ammesso quando l'addebito concerne un delitto, non colposo, per il quale è consentito l'arresto facoltativo in flagranza. n prelievo stesso non può essere effettuato se si procede per i reati indicati nel comma 2 dell'art. 9 della legge n. 85. (10) Una normativa specifica è stata prevista dall'art. 89 d.p.r. n. 309 del 1990, recentemente modificato dalla legge 2 1 febbraio 2006 n. 49, per gli imputati tossicodipendenti che hanno in corso programmi terapeutici o che intendono sottoporsi ai medesimi. ( 1 1 ) Occorre precisare che il codice vieta di concedere gli arresti domiciliari a chi sia stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede. Al fine di accertare l'intervenuta condanna il giudice "assume nelle forme più rapide le relative notizie" (art. 284, comma 5-bis, introdotto dalla legge n. 128 del 200 1 ) . (12) S i tratta d i u n rilevatore d i presenza che emette periodicamente u n segnale a d u n ricevitore. n dato viene inviato (tramite la linea telefonica o la rete GSM/GPRS) ad un computer della sala operativa degli organi di polizia e rivela se il suo portatore si trova o meno nello spazio a lui concesso. Se la persona non è nel luogo dove dovrebbe essere, o manomette fraudolentemente il dispositivo, scatta l'allarme. ( 1 3 ) Tuttavia l'applicazione del menzionato strumento di controllo è subordinata al consenso dell'im· putato (art. 275-bis, comma 2), in ragione dell'incidenza sui diritti fondamentali della persona e della possibile lesione della privacy. L'eventuale consenso è manifestato con dichiarazione espressa resa alla polizia
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La custodia in carcere (art. 285) è la più grave delle misure coercitive; con il relativo provvedimento il giudice dispone che l'imputato venga immediata mente condotto in un istituto di custodia a disposizione dell'autorità giudiziaria. L'imputato dovrebbe essere tenuto separato dai detenuti che stanno scontando una pena definitiva (art. 14, comma 3 ord. penitenziario) ; la mancata costru zione di carceri in misura adeguata, almeno pari alle necessità che si manifestano negli altri paesi dell'Unione europea, fa sì che in pratica quest'ultima norma non venga mai rispettata. Se l'imputato necessita di cure specialistiche che non possono essere fatte in luogo di detenzione, il giudice ne dispone la custodia cautelare in luogo di cura (art. 286) e, se del caso, adotta i provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di fuga (es. piantonamento) . Secondo la giurisprudenza, non si tratta di una misura autonoma, bensì di una modalità di esecuzione della custodia in carcere ( 14). Se la malattia è una infermità mentale e l'imputato non è socialmente pericoloso, il giudice dispone, in luogo della custodia in carcere, il ricovero presso il servizio psichiatrico ospedaliero, e cioè in un centro di igiene mentale; se l'imputato è socialmente pericoloso (e cioè può commettere nuovi reati; art. 203 c.p . ) si ritiene che il giudice debba applicare in via provvisoria (art. 3 12 ) la misura di sicurezza prevista dall'art. 222 c.p. e disporre il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario (se l'infermità di mente è totale) o in una casa di cura e custodia ( se l'infermità è parziale) (15). giudiziaria, che esegue l'ordinanza applicativa della custodia cautelare. L a dichiarazione è trasmessa al giudice assieme al verbale relativo all'esecuzione della misura. Se l'imputato accetta i mezzi di controllo, egli è tenuto ad agevolarne l'applicazione e ad osservare la prescrizioni imposte (art. 275-bis, comma 3 ) ; la trasgressione delle prescrizioni è punita con la reclusione ai sensi dell'art. 18 del d.l. n. 341 del 2000. Viceversa, se l'imputato nega il consenso, il giudice applica la custodia cautelare in carcere (art. 275-bis, comma 1 ) . Per quanto concerne la qualificazione giuridica, il braccialetto elettronico s i configura non come una misura cautelare autonoma, bensì come una modalità di sorveglianza applicabile all'arresto domiciliare nei casi nei quali i controlli ordinari sarebbero non sufficienti (o eccessivamente onerosi) al fine di garantire l'applicazione della misura. Dal punto di vista sistematico la misura in questione permette di evitare la custodia in carcere quando il giudice ritiene che sia idonea ad assicurare le esigenze cautelari. In verità, si tratta di uno strumento di allarme immediato; non è un dispositivo che impedisce la fuga né costituisce una contro-spinta a quest'ultima. Purtroppo a tale strumento non hanno creduto né i magistrati, né gli organi di polizia: è stato attivato soltanto in rari casi e nel dicembre 2003 risultavano attivi soltanto quattro braccialetti. In altri Paesi lo strumento è stato utilizzato con maggiore frequenza per vari motivi. Da un lato, è stata lasciata una discrezionalità più limitata al giudice mediante la previsione di categorie di soggetti e di reati; da un altro lato, il braccialetto è stato affiancato dall'istituto della cauzione. Tale adempimento è stato ritenuto dalle autorità e dall'opinione pubblica una idonea contro-spinta alla fuga. ( 14 ) Cass., sez. I, 22 ottobre-1 1 dicembre 1993, Romano, in CED 195614: << quando il giudice ritenga che siano venute meno le ragioni giustificatrici della custodia in luogo di cura, può disporre la custodia in carcere senza necessità di apposita richiesta del pubblico ministero ». ( 1 5 ) Cass., sez. I, 9 luglio-8 ottobre 1 99 1 , Italgaswattage, in Arch. n. proc. pen., 1992, 282: << se la persona da sottoporre a custodia cautelare si trova in stato di infermità di mente che ne esclude o ne diminuisce grandemente la capacità di intendere o di volere, il giudice, in luogo della custodia in carcere, può disporre il ricovero prowisorio in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero, adottando i prowedimenti necessari per prevenire pericoli di fuga. Tuttavia, se la persona inferma di mente è anche socialmente pericolosa, nel senso che potrebbe commettere nuovi fatti preveduti dalla legge come reato, il
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2) Le misure interdittive consistono nella applicazione provvisoria a scopo cautelare di determinati divieti. La loro previsione risponde alla finalità di far fronte alle esigenze cautelati con misure meno gravi di quelle custodiali, quando sia possibile evitare queste ultime. Infatti, in concreto può accadere che il pericolo di inquinamento delle prove o di compimento di ulteriori reati sia scongiurato con la semplice imposizione di determinati divieti all'imputato. Sono previsti tre tipi di misure interdittive, che il giudice può adattare alle particolarità del caso concreto su richiesta del pubblico ministero ( 1 6). La sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori priva temporaneamente l'im putato, in tutto o in parte, dei poteri ad essa inerenti (art. 288). La sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio impedisce temporaneamente all'imputato, in tutto o in parte, le attività relative (art. 289). Con il provvedi mento che dispone il divieto di esercitare determinate professioni, imprese o uffici direttivi, il giudice interdice temporaneamente all'imputato, in tutto o in parte, le attività predette ( art. 2 90) . 3 ) Applicazione provvisoria di misure di sicurezza. Infine, il codice prevede che alcune misure di sicurezza possano essere applicate provvisoriamente a titolo di provvedimento cautelare (art. 3 12 c.p.p . ) . Si tratta, ad esempio, della misura di sicurezza del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario per l'imputato che sia affetto da vizio di mente totale e del ricovero in una casa di cura e custodia per l'imputato semi-infermo di mente (art. 206 comma l c.p.) ( 17 ) . Occorre che siano presenti i seguenti presupposti: i gravi indizi di " commissione del fatto" ; che l'imputato sia socialmente pericoloso (in senso penalistico, come probabilità di commissione di reati ai sensi dell'art. 203 c.p . ) ; che non siano applicabili in con creto le cause di giustificazione, di non punibilità o di estinzione del reato (art. 273 comma 2 , richiamato dall'art. 3 12 ) ( 18). giudice ben può, a i sensi dell'art. 3 12, applicare in via provvisoria l a misura di sicurezza prevista dall'art. 222 c.p. e disporre il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario >>. ( 16) Le misure cautelari personali interdittive, per rispettare la funzione preventiva loro assegnata dal legislatore, non possono trovare applicazione al di fuori dei reati nei quali le qualità soggettive sospese assumono un ruolo specifico nella realizzazione della condotta criminosa addebitata. Così, il giudice non può disporre la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico servizio in un caso in cui all'indagato è stato contestato il reato di oltraggio senza che il pubblico servizio svolto avesse determinato un contributo causale al verificarsi del fatto (Cass., sez. VI, 1° aprile-4 giugno 1996 n. 1435, Giovannelli, in CED n. 205659). Risulta legittimo, invece, il provvedimento di sospensione dall'esercizio della potestà genitoriale, in caso di procedimento per il reato di violenza sessuale in danno di un figlio minore degli anni dieci, venendo tale misura ad incidere sull'esercizio di quegli stessi poteri in relazione ai quali l'abuso appare perpetrato, ed avvalendosi dei quali non solo potrebbe verificarsi una reiterazione di analoghe condotte, ma potrebbero altresì porsi in essere comportamenti idonei ad influire sulla genuina acquisizione della prova nel successivo iter processuale (Cass., sez. III, 12 luglio-25 settembre 2001 n. 34793, Calabrese, in CED n. 2 1 9993). (17) La Corte cost., con ia sentenza n. 367 del2004 ha affermato che al giudice non è precluso di adottare una misura di sicurezza non detentiva, quale è la libertà vigilata (art. 228 c.p.), purché sia idonea ad assicurare alla persona inferma di mente cure adeguate e, al tempo stesso, a contenere la sua pericolosità sociale. (18) Sulla diversità dei presupposti della applicazione provvisoria di misura di sicurezza, nei termini
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La persona nei cui confronti è applicata provvisoriamente la misura di sicurezza è un soggetto che è ritenuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto; egli è ricoverato in attesa di una sentenza che lo dichiarerà non punibile per infermità mentale totale o parziale. n procedimento di applicazione provvisoria e le relative impugnazioni sono regolate in modo simile a quanto è previsto per le misure custodiali (art. 3 13 comma 3 ) ( 1 9 ) . c.
Misure cautelati personali e sistema processuale.
La regolamentazione delle misure cautelari è frutto di un compromesso tra i due fondamentali sistemi processuali. Se si guarda alle intenzioni del legisla tore, espresse nella Relazione al progetto preliminare, la regolamentazione dovrebbe essere ispirata prevalentemente ai princìpi del sistema accusatorio. Viceversa, la prassi giudiziaria risente di una qualche impostazione inquisitoria. Per comprendere l'attuale situazione può essere utile ricordare quali sono le conseguenze che derivano dall'accettazione dell'uno o dell'altro sistema. Misure cautelati e sistema inquisitorio. Nel sistema inquisitorio l'imputato può essere trattato come colpevole ancora prima che sia pronunciata la sentenza. È prevista un'unica misura cautelare che consiste nella custodia " preventiva" in carcere; questa misura svolge la medesima funzione della tortura, e cioè deve indurre l'imputato a confessare. Le esigenze cautelari non sono previste in modo tassativo; pertanto il giudice inquisitore può disporre la custodia in carcere anche soltanto per placare l'allarme sociale suscitato dal compimento del reato. La cu stodia preventiva, di fatto, viene a svolgere un ruolo di tipo sostanziale, e cioè quella medesima funzione che dovrebbe essere tipica della pena: essa serve a prevenire la commissione di nuovi reati mediante l'intimidazione. Sempre nel sistema inquisitorio il giudice ha ampi poteri coercitivi che hanno lo scopo di permettere, si ritiene, il miglior accertamento della verità. Pertanto il provvedimento cautelare è basato su requisiti evanescenti, richiede
indicati nel testo, rispetto ad altra misura cautelare (es. art. 286), si veda Corte cost., sentenza n. 228 del l999 in Cass. pen., 1999, 3068. In base all'art. 9, comma l della legge n. 85 del 2009, nei confronti dei soggetti ai quali sia applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva è operato a determinate condizioni il prelievo coattivo di un campione biologico per l'estrazione di quel profilo del DNA, che deve poi essere inserito nella relativa Banca dati nazionale. n prelievo è ammesso quando l'addebito concerne un delitto, non colposo, per il quale è consentito l'arresto facoltativo in flagranza. n prelievo stesso non può essere effettuato se si procede per i reati indicati nel comma 2 dell'art. 9 della legge n. 85. ( 19) In particolare, il giudice deve procedere all'interrogatorio di regola prima della pronuncia del provvedimento (art. 3 13 , comma l ) ; altrimenti, tale atto deve essere compiuto entro cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della misura. Ove ciò non avvenga, ai sensi dell'art. 302 c.p.p. così interpretato dalla Corte cost. n. 95 del 200 1 , la misura perde immediatamente efficacia. Segnaliamo che in materia non si applicano i termini massimi di custodia cautelare, bensì ai sensi dell'art. 3 1 3 comma 2 il giudice deve procedere ad una valutazione periodica della pericolosità sociale a scadenza semestrale (art. 72 comma 1 ) .
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un presupposto probatorio molto esiguo (sono sufficienti sospetti o indizi), non è sottoposto ad un controllo effettivo. Occorre ricordare che negli ordinamenti, nei quali il pubblico ministero cumulava in sé i poteri di parte e di giudice, come avveniva nel codice del 1930, il pubblico ministero stesso poteva disporre la custodia in carcere. Misure cautelari e sistema accusatorio. li sistema accusatorio si fonda su di un differente presupposto, in base al quale la libertà personale deve essere la regola e la custodia cautelare deve restare un'eccezione. I princìpi di tale sistema sono accolti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo e nei principali trattati internazionali. Come si è accennato, la presunzione di innocenza (art. 27, comma 2 Cost.) impone che le misure cautelati non abbiano la funzione di anticipare la pena, né quella di costringere l'imputato a confessarsi colpevole (art. 14, comma 3 , lettera g, del Patto internazionale sui diritti civili, ratificato con legge n. 881 del 1977 ) . Le esigenze cautelati debbono essere previste tassativamente al fine di evitare l'arbitrio del giudice e, quindi, lo stravolgimento della funzione delle misure. L'arrestato ha diritto ad essere condotto al più presto davanti ad un giudice; ha diritto inoltre a presentare ricorso ad un tribunale affinché questo decida in un termine breve sulla legalità della sua detenzione. Infine, l'arrestato ha diritto ad essere giudicato in un tempo congruo o ad essere liberato durante il corso del procedimento, eventualmente dopo aver prestato una cauzione (art. 5, commi 3 e 4 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo) . Inoltre, nel sistema accusatorio, la presunzione di innocenza e il rispetto delle libertà fondamentali impongono la previsione di una pluralità di misure cautelati; in tal modo, il giudice può scegliere quella che risulta più adeguata al caso concreto e la custodia cautelare in carcere resta la extrema ratio. D criterio del "minore sacrificio". I princìpi appena esposti trovano espressione nel criterio del "minore sacrificio necessario" (C. cost., n. 299 del 2005 e n. 265 del 2010): la compressione della libertà personale dell'indagato o dell'imputato deve essere contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelati riconoscibili nel caso concreto. Sul versante della " qualità" delle misure, ne consegue che il ricorso alle forme di restrizione più intense - e particolarmente a quella "massima" della custodia carceraria - deve ritenersi consentito solo quando le esigenze pro cessuali o extraprocessuali, cui il trattamento cautelare è servente, non possano essere soddisfatte tramite misure di minore incisività (20) . (20) Questo principio è stato affermato in termini netti anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo la quale, in riferimento alla previsione dell'art. 5, paragrafo 3, della Convenzione, la carcerazione preventiva << deve apparire come la soluzione estrema che si giustifica solamente allorché tutte le altre opzioni disponibili si rivelino insufficienti >> (sentenze 2 luglio 2009, Vafiadis c. Grecia e 8 novembre 2007, Lelièvre c. Belgio).
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Il criterio del " minore sacrificio necessario" impegna, dunque, in linea di massima, il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della "pluralità graduata" , predisponendo una gamma alternativa di misure, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale; dal l'altra, a prefigurare meccanismi " individualizzati " di selezione del trattamento cautelare, adeguati alle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete. fl codice del 1 988. La legge delega per l'emanazione del codice di proce dura penale ha previsto, come direttiva, quella di " attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio" , anche se aggiunge che ciò deve essere fatto seguendo i criteri ed i princìpi enunciati nell'art. 2 . L a materia delle misure cautelari è stata più volte modificata dopo l'entrata in vigore del codice (v. , in particolare, la legge 8 agosto 1995 , n. 332) . I cambiamenti hanno seguìto varie linee di tendenza. Da un lato, hanno creato un regime differenziato per la criminalità organizzata e per i più gravi delitti, rispetto alla generalità dei reati (c.d. doppio binario) ; da un altro lato, hanno provveduto a porre alcuni rimedi alla mancanza del contraddittorio nei con fronti della difesa. La normativa non pare avere raggiunto ancora un equilibrio stabile, poiché la legge del 1995 e quelle successivamente promulgate si sono limitate a rimediare alle disfunzioni che si sono manifestate nel frattempo e a correggere alcune interpretazioni giurisprudenziali lesive della libertà personale.
2.
Le disposizioni generali sulle misure cautelari personali. a.
La riserva di legge e di giurisdizione.
Le disposizioni generali sulle misure cautelati personali, previste all'inizio del libro quarto del codice, attuano e, in larga parte, rafforzano i princìpi costituzionali della riserva di legge e di giurisdizione. Sotto il primo profilo, la Costituzione permette la restrizione della libertà personale soltanto « nei casi e modi previsti dalla legge » (art. 13, comma 2 ) . Da ciò si ricava che il potere di limitare la libertà personale, definita dalla Costi tuzione " inviolabile" , ha il carattere della eccezionalità e, pertanto, può essere esercitato soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge. Casi e modi previsti dalla legge. Il codice precisa i " casi e modi" quando nell'art. 272 afferma: « le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo » avente ad oggetto le misure cautelari personali. In tal modo si ottiene l'effetto di predisporre una regolamentazione generale della materia che si applica anche qualora la limitazione della libertà sia disposta in altra parte del codice (ad esempio, nel libro undicesimo avente ad oggetto i rapporti giurisdizionali con le autorità straniere) o in una legge diversa dal codice (v. art. 2 14 disp. att.) . Occorre segnalare che il riferimento alle "libertà della persona" , contenuto
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nell'art. 272, comprende sia le misure cautelari che toccano la libertà personale in senso stretto (intesa come libertà fisica di movimento), sia le misure cautelari che impongono comunque ulteriori divieti (ad esempio, le misure interdittive, art. 287 ) . Al tempo stesso, l'art. 272 ammette che vi siano misure diverse da quelle cautelari, che comunque limitano la libertà personale. Esse sono l'arresto ed il fermo, che sono consentite nei limiti dettati dall'art. 1 3 , comma 3 della Costituzione, tradotti negli articoli 3 80 e seguenti del codice. Come abbiamo anticipato, tali misure sono comunemente definite "precautelari" . La riserva di giurisdizione è attuata dall'art. 279 del codice, secondo cui sull'applicazione, revoca o modifica delle misure cautelari « provvede il giudice che procede ». Tale disposizione costituisce oggi l'interpretazione autentica della Costituzione, che nell'art. 13 , comma 2 , permette la limitazione della libertà personale con « atto motivato dell'autorità giudiziaria ». In base a tale interpretazione, quando si tratti di materia attinente alla libertà personale, per " autorità giudiziaria" si deve intendere "giudice" . Infatti, le misure cautelari possono essere soltanto " richieste" (e non disposte) dal pubblico ministero; l'applicazione è riservata alla decisione del giudice, che è organo terzo ed imparziale. All'inizio del procedimento, prima dell'esercizio dell'azione penale, tale organo è il giudice per le indagini preliminari (art. 279 c.p.p.). Per semplificare la materia, che è regolamentata in modo eccessivamente complesso, riteniamo utile esporre la normativa che si applica alle misure coercitive durante le indagini preliminari. Pertanto non considereremo la possibilità, pur prevista dal codice, di disporre tali misure anche in momenti successivi del procedimento (2 1 ) . Le regole generali. Sono previste varie disposizioni di carattere generale che precisano i presupposti necessari per applicare le misure coercitive; poiché il giudice deve motivare ampiamente il suo provvedimento, ne deriva che il pubblico ministero ha l'onere di convincerlo che esistono in concreto i presup posti che fondano la singola misura. Per fare ciò, il pubblico ministero presenta, insieme alla richiesta, gli atti a sostegno della stessa. Dopo che la misura coercitiva è stata eseguita (o notificata) , l'imputato ha diritto di essere sentito dal giudice in un interrogatorio definito " di garanzia" . In questo momento il difensore h a la possibilità di conoscere la richiesta del pubblico ministero e gli atti che la pubblica accusa ha presentato al giudice (art. 293 , comma 3 ) . Da quanto abbiamo esposto, si ricava che il contraddittorio sulla misura cautelare è posticipato ad un momento successivo all'applicazione di quest'ultima. Una volta delineato il quadro d'insieme, possiamo passare all'esame delle altre disposizioni generali con le quali si apre il libro quarto del codice. I (2 1 ) È appena il caso di sottolineare che la disciplina del libro IV si riferisce all'" imputato" ma risulta applicabile anche all'indagato in forza della equiparazione prevista dall'art. 6 1 , comma 2.
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presupposti che consentono di disporre le misure sono suddivisi nelle seguenti categorie: l ) le condizioni generali di applicabilità; 2) le esigenze cautelari; 3 ) i criteri di scelta delle misure (v. tav. 2 .6.2 ) .
b.
Le condizioni generali di applicabilità.
n codice pone le seguenti condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari personali: l ) una determinata gravità del delitto addebitato all'impu tato; 2) la punibilità in concreto del delitto; 3 ) la presenza di gravi indizi di reità. 1 ) La gravità del delitto. La condizione che il delitto addebitato sia di una determinata gravità non è posta, in verità, dall'art. 273 (che prevede le " condi zioni generali di applicabilità" ) , bensì dal successivo art. 280 ( "condizioni di applicabilità delle misure coercitive" ) . il codice (artt. 280 e 287) dispone che non siano applicabili le misure coercitive ed interdittive nei procedimenti per quei reati che sono denominati " contravvenzioni" ; in questi ultimi si possono adottare soltanto misure cautelari reali, e cioè il sequestro conservativo e preventivo. Inoltre l'art. 280 impedisce che, di regola, possano applicarsi misure coercitive ed interdittive al di sotto di una soglia minima di gravità del delitto addebitato; tale soglia fa riferimento alla pena detentiva stabilita nel massimo per il delitto (22) . Determinazione della pena ai fini della applicazione delle misure cautelari. In base all'art. 278, per determinare la quantità di pena che consente di applicare le misure cautelari, il codice impone di considerare la pena detentiva prevista in astratto nel massimo per il singolo delitto consumato o tentato (23 ) . Alla quantità così individuata devono essere aggiunti gli aumenti di pena previsti per le circostanze aggravanti ad efficacia speciale o ad effetto speciale; quindi devono essere operate le diminuzioni di pena previste per le circostanze
(22) Vi sono eccezioni alla regola posta dall'art. 280. In particolare, per la misura obbligatoria dell'allontanamento dalla casa familiare il comma 6 dell'art. 282-bis prevede che, nelle ipotesi di delitti in materia sessuale o di pedofilia, il giudice possa applicare la misura in esame anche fuori dei limiti di pena predisposti dalle condizioni generali di applicabilità. Inoltre, le misure interdittive possono essere applicate anche quando si procede per delitti che si trovano al di sotto della soglia dei tre anni quando si tratta di fattispecie incriminatrici nelle quali la qualifica soggettiva temporaneamente interdetta ha uno specifico ruolo nella commissione dell'illecito penale. Ad esempio, l'art. 289, comma 2 consente di disporre la sospensione da un pubblico ufficio o servizio quando si procede per delitti contro la pubblica amministrazione anche se la pena resta al di sotto dei tre anni. (23) A tal fine, non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze comuni del reato, fatta salva l'aggravante che consiste nell'aver profittato di situazioni di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (art. 61, n. 5 c.p.) e l'attenuante che consiste nel lucro di speciale tenuità (art. 62, n. 4 c.p.). Merita sottolineare che la legge n. 25 1 del 2005 (cd. ex Cirielli) non ha modificato l'art. 278, pertanto, il giudice nella determinazione della pena ai fini dell'applicazione della custodia cautelare non tiene conto della recidiva reiterata (art. 99 comma 4).
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attenuanti ad efficacia speciale o ad effetto speciale (24 ) . Sono circostanze ad efficacia speciale quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o determina la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato (art. 69, comma 4 c.p. ) ; sono circostanze ad effetto speciale quelle che comportano un aumento o una diminuzione superiore ad un terzo (art. 63 , comma 3 c.p . ) . Categorie di delitti. Nel regolare l'applicazione delle misure cautelari personali il codice distingue tre fondamentali categorie di delitti. Nella prima categoria rientrano i delitti punibili nel massimo con la reclusione fino a tre anni; per tali delitti di regola nessuna misura coercitiva né interdittiva può essere disposta. Sono, tuttavia, applicabili le misure cautelari reali, e cioè il sequestro preventivo e quello conservativo (25 ) . Nella seconda categoria rientrano i delitti punibili nel massimo con la reclusione superiore a tre anni, ma inferiore a quattro. Per essi sono applicabili le misure coercitive che sono diverse dalla custodia in carcere (e cioè, a partire dal divieto di espatrio, fino all'arresto domiciliare). Nella terza categoria rientrano i delitti punibili nel massimo con la reclu sione di almeno quattro anni o con l'ergastolo. Tali delitti consentono l' appli cazione della misura della custodia in carcere (art. 280 comma 2 ) . Detta misura è ammessa anche nei confronti di quegli imputati che hanno « trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare » (art. 280 comma 3 ) . 2) La punibilità in concreto. Il requisito in oggetto è descritto in modo analitico dall'art. 273 , comma 2 e può essere così sintetizzato: occorre che il delitto addebitato all'imputato sia punibile in concreto. In caso contrario, non vi è la possibilità di applicare alcuna misura cautelare personale; « nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione (es. legittima difesa) o di non punibilità (es. fatti compiuti a danno di congiunti; 649 c.p.) (26) o se sussiste una causa di estinzione del reato (es. prescrizione) ovvero una causa di estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata » (es. indulto di tre anni, se la pena non sarà superiore a tale entità) (27) . 3 ) I gravi indizi. L 'art. 273 pone, come requisito della misura cautelare personale, l'esistenza di " gravi indizi di colpevolezza " . È evidente che una (24) La giurisprudenza esclude che, ai fini dell'applicazione delle misure cautelari personali, il giudice possa operare un giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto. (25) La scelta del legislatore non appare ragionevole; segnaliamo che vi sono delitti che in concreto possono raggiungere una notevole gravità per i quali possono sussistere seri pericoli di inquinamento della prova o di ripetizione del medesimo tipo di delitto. (26) Secondo Cass., sez. fer., 20 agosto 2003, Steri, in Arch. n. proc. pen., 2004, 4 1 , la misura cautelare non può trovare applicazione ai sensi dell'art. 273 comma 2 c.p.p. quando vi sia un elevato o rilevante grado di probabilità in ordine alla esistenza di una causa di giustificazione. (27) Tra le condizioni di applicabilità previste dall'art. 273 c.p.p. rientra anche la mancanza della querela. Così Cass., sez. IV, 30 settembre 2003, Campanella, in Arch. n. proc. pen., 2004, 56.
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misura cautelare può essere basata su prove indiziarie in senso stretto (es. un testimone racconta di aver visto l'indagato che scappava dal luogo del delitto e poi in tale luogo si trovano le impronte digitali di questi) ; ma può essere basata anche su prove rappresentative della responsabilità dell'indagato (es. un testi mone racconta di aver visto l'indagato commettere il delitto) . Questo rilievo, di carattere intuitivo, ci induce a concludere che il termine "indizi" di cui all'art. 273 non deve essere interpretato nel suo significato tecnico di prova critica (che indica quel procedimento logico mediante il quale da un fatto noto si desume l'esistenza di un fatto da provare mediante l'applicazione di massime di esperienza o leggi scientifiche). Viceversa, l'art. 273 utilizza il termine "indizio" in un senso ampio, che è idoneo a ricomprendere sia le prove critiche, sia quelle rappresentative (28 ) . Dunque, l a parola " indizio" i n materia cautelare indica u n elemento conoscitivo acquisito durante le indagini a prescindere dalla sua natura di prova rappresentativa o critica. L'espressione "gravi indizi" sta allora a significare il quantum (o standard) di prova (rappresentativa o critica) che serve a legittimare la misura cautelare. Se nel codice del 1 93 0 bastavano i " sufficienti" indizi, la nuova aggettivazione ( ''gravi " ) nel codice del 1 988 vuole significare un quantum di prova più alto. Ciò è coerente con il fatto che attualmente viene accolto il principio costituzionale della presunzione di innocenza dell'imputato. Il quan tum di prova, del quale è onerata l'accusa pubblica quando chiede al giudice la misura cautelare, deve intendersi rafforzato. Naturalmente, occorre tenere conto del fatto che le misure cautelari vengono applicate, di regola, nella fase delle indagini preliminari, e cioè in un momento nel quale ancora non si è svolto un pieno contraddittorio dibattimen tale e la base probatoria è ancora provvisoria. Le prove, sulle quali si fonda il giudizio di " colpevolezza" richiesto dall'art. 273 , sono gli elementi esistenti " allo stato degli atti " . Sulla base di detto materiale il giudice deve formulare il giudizio prognostico concernente la probabilità che si pervenga alla condanna, e cioè a quella decisione che accerterà la " colpevolezza" dell'imputato. Per questo motivo il codice utilizza l'espressione "indizi" , quasi a sottolineare che si tratta di una base probatoria ancora in evoluzione e in attesa di ricevere una piena conferma attraverso il contraddittorio dibattimentale (29). (28) I n tal senso s i sono espresse l e Sezioni Unite della Cassazione, sentenza 30 maggio 2006, Spennato, in www.dirittoegiustizia.it, l o novembre 2006: « il quadro di gravità indiziaria a fini cautelari, concetto differente da quello enunciato nell'art. 192 comma 2 c.p.p., che allude alla cosiddetta prova logica o critica, ha, sotto il profilo gnoseologico, una propria autonomia, non rappresenta altro che l'insieme degli elementi conoscitivi, sia di natura rappresentativa che logica, la cui valenza è strumentale alla decisione de
libertate >>. (29) Si veda, ancora, la sentenza delle Sezioni Unite, 30 maggio 2006, Spennato, cit.: << non deve essere disconosciuta la differenza tra il giudizio preordinato alla pronuncia di condanna, che presuppone l'acqui sizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell'imputato e la delibazione funzionale all'esercizio del potere cautelare, che implica un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta
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Presunzione di innocenza e decisione allo stato degli atti. Nel processo penale, ove viene in gioco la libertà dell'individuo, il rispetto della presunzione di innocenza impone di pronunciare la condanna soltanto quando l'accusa ha escluso ogni ragionevole dubbio sulla reità dell'imputato (art. 533 comma 1 ) . Poiché nel processo penale la misura cautelare deve essere fondata sulla "prognosi di una condanna" , la presunzione di innocenza ha una influenza anche sul quantum di prova richiesto per l'applicazione della misura cautelare. Quando si tratta di limitare la libertà personale dell'imputato non ci si può accontentare del /umus boni iuris; occorre ben altro. Appunto una "gravità" degli elementi a carico, sia pure allo stato degli atti. Occorre che l'accusa provi come molto probabile la reità dell'indagato. In accordo con una simile concezione, le riforme intervenute dal 1995 hanno imposto che il provvedimento, che applica la misura cautelare, sia strutturato con cadenze analoghe alla decisione finale (art. 546 1ett. e) . Infatti, il giudice deve esporre in motivazione la valutazione della "rilevanza" ( rectius, attendibilità) sia degli elementi a carico, sia di quelli a favore dell'imputato (art. 292 comma 2 lett. c e c-bis e comma 2 -ter) . Inoltre, se la misura consiste nella custodia cautelare in carcere, il giudice deve esporre le "concrete e specifiche ragioni" per le quali le esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con altre misure. Occorre, tuttavia, tenere presente che la peculiare natura delle misure cautelari, la cui efficacia è basata sull'effetto sorpresa, determina una significativa differenza rispetto all'accertamento della colpevolezza finalizzato alla ema nazione della sentenza. Le misure cautelari sono applicate dal giudice inaudita altera parte; il contraddittorio con la difesa dell'imputato si svolgerà in un momento successivo (art. 294 ) .
La base probatoria del giudizio cautelare. A questo punto occorre affron tare la problematica del materiale probatorio in base al quale il giudice valuta l'esistenza dei gravi indizi e delle esigenze cautelari. n pubblico ministero presenta al giudice una richiesta di applicazione che è accompagnata dagli « elementi » sui quali la medesima « si fonda » (art. 291 comma 1 ) . Si tratta degli atti raccolti in modo unilaterale dalla pubblica accusa, dalla polizia giudiziaria ed, eventualmente, dal difensore dell'indagato e da quello dell'of feso. Tali atti sono utilizzabili come prove durante le indagini. Si tratta di accertare se ai medesimi sono applicabili le norme sulle prove che si trovano nel libro terzo del codice. La collocazione della materia nel libro terzo già di per sé costituisce un indice positivo della sua applicabilità in tutto il procedimento penale: i primi quattro libri del codice, infatti, costituiscono una sorta di "parte generale" del probabilità di colpevolezza. Diverso è senz'altro nei due accertamenti il grado di conferma dell'ipotesi accusatoria. In quello posto a base della decisione definitiva sulla regiudicanda, la conclusione è sorretta da un quadro probatorio completo e non suscettibile di ulteriori aggiornamenti o variazioni, con l'effetto che ogni margine d'incertezza resta superato. Nell'accertamento incidentale de libertate, invece, ( . . . ) la conclu sione inferenziale della relativa delibazione è assunta sulla base di dati conoscitivi ancora suscettibili di accrescersi ed evolversi con l'apporto di ulteriori informazioni che stimolano la continua verifica della capacità dell'ipotesi accusatoria di resistere a interpretazioni alternative >>.
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Profili generali del procedimento penale
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procedimento penale. In base ad un argomento sistematico, pertanto, le norme sulle prove appaiono applicabili durante le indagini, a meno che non siano incompatibili (espressamente o implicitamente) con la regolamentazione del singolo atto da compiere in una determinata fase (30). Nel quadro sistematico, che abbiamo delineato, va collocata la legge n. 63 del 2001 che ha introdotto nel comma l -bis dell'art. 273 un richiamo espresso ad alcune disposizioni del libro terzo sulla prova rendendole applicabili al giudizio sui " gravi indizi" . Si tratta: a) dell'art. 192 , commi 3 e 4, che impone i riscontri per le dichiarazioni di imputati connessi o collegati (3 1 ) ; b) dell'art. 1 95 , comma 7, che richiede l'indicazione della fonte delle dichiarazioni per "sentito dire " ; c) dell'art. 203 , che vieta l'utilizzazione delle dichiarazioni che la polizia giudiziaria ha ricevuto dai suoi informatori a meno che essi non siano sentiti; d) dell'art. 27 1 , comma l , che vieta l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni eseguite ille gittimamente. Il richiamo espresso a tali norme non deve essere letto come se implicasse a contrario l'inapplicabilità di tutte le altre disposizioni del libro terzo. Viceversa, deve essere inteso come un giudizio ex lege di compatibilità e necessaria applicazione quanto meno delle norme appena richiamate. (30) Inoltre, occorre tenere conto degli interventi del legislatore successivi al l988. Dopo l'entrata in vigore del codice si è manifestata una corrente giurisprudenziale e dottrinale secondo la quale si sarebbe dovuto considerare "prova" soltanto quella raccolta in contraddittorio: da ciò sarebbe derivata la conseguenza che il libro terzo sarebbe stato applicabile soltanto in dibattimento; la fase delle indagini sarebbe rimasta sguarnita di tutte quelle garanzie che assicurano la attendibilità della prova. Per questo motivo il legislatore in più occasioni ha awertito l'esigenza di fare chiarezza in ordine alla sicura applicabilità di determinate norme sulla prova a singoli atti di indagine. Una simile tecnica legislativa presta il fianco ad una obiezione di fondo. In tal modo il legislatore non ha chiarito il rapporto tra le norme generali sulle prove (libro terzo) e la disciplina delle indagini preliminari. Qualcuno ha affermato, anzi, che il richiamo puntuale a singole norme è una conferma della inapplicabilità delle norme generali sulle prove nella fase delle indagini. La nostra opinione è differente. li fatto che il legislatore abbia effettuato singoli richiami in più riprese ed in modo contingente ( 1 990, 1992, 1995, 1997, 1999 ecc.) è un argomento che dimostra che "quanto meno" si devono ritenere applicabili quelle norme sulle prove che sono richiamate di volta in volta in relazione ad un singolo atto di indagine. Ciò non può infirmare la regola generale che è ricavabile dalla sistematica del codice e che abbiamo menzionato all'inizio: le norme del libro terzo sono generalmente applicabili alle indagini preliminari a meno che non vi sia una incompatibilità espressa o tacita con il singolo atto. Anche di questi aspetti deve tenere conto il giurista quando ricostruisce un "sistema" partendo da interventi successivi e slegati operati dal legislatore. (3 1 ) Successivamente all'entrata in vigore della legge n. 63 del 2001 si era formato un contrasto giurisprudenziale in ordine al fatto se, ai fini della gravità indiziaria richiesta dall'art. 273 commi l e l -bis, la chiamata in correità - pur intrinsecamente attendibile - dovesse essere confermata da riscontri individua lizzanti. Il contrasto è stato risolto in senso positivo dalle Sezioni unite della cassazione. Pertanto, ai fini dell'adozione di una misura cautelare personale, le dichiarazioni di imputati o imputati connessi possono costituire grave indizio di colpevolezza soltanto se, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, << sono sorrette da riscontri esterni individualizzanti, così da assumere idoneità dimostrativa in relazione all'attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario della misura, fermo restando che la relativa valutazione, awenendo nel contesto incidentale del procedimento de libertate e, quindi, allo stato degli atti cioè sulla base di materiale conoscitivo in itinere, deve essere orientata ad acquisire non la certezza ma la elevata probabilità di colpevolezza del chiamato >> (così Cass., sez. un., 30 maggio - 3 1 ottobre 2006, Spennato, in www.dirittoe giustizia.it, 1° novembre 2006).
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Le misure caute/ari
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Occorre sottolineare, tuttavia, che il legislatore non ha operato un rinvio generico a tutte le disposizioni relative alle prove, bensì ne ha richiamate soltanto alcune. In tal modo ha effettuato un giudizio di compatibilità tra le norme sulla prova richiamate e la natura provvisoria degli elementi che giusti ficano l'emissione dell'ordinanza cautelare. Come abbiamo anticipato, la scelta tecnica operata dal legislatore non appare soddisfacente. Il rinvio espresso ad alcune soltanto delle norme in materia di prove potrebbe indurre a ritenere, a contrario, che quelle non espressamente richiamate siano non applicabili (32) . Viceversa, l'interpretazione sistematica, d a noi accolta, richiede che su tutte le disposizioni del libro terzo si faccia di volta in volta una valutazione di compatibilità in relazione al singolo atto di indagine. Nuove prospettive interpretative. Resta un dato incontrovertibile: la misura cautelare è fondata su prove che, di regola, non sono utilizzabili in dibattimento a causa degli sbarramenti posti dagli artt. 526 e 5 14 . Non solo: il materiale valutabile nel giudizio cautelare non costituisce quella prova che ai sensi dell'art. 1 1 1 comma 4 Cost. è formata nel contraddittorio delle parti. Occorre dare atto che, nell'applicare all'indagato una misura cautelare anche gravissima, non si rispetta né il contraddittorio nella formazione della prova, né il contraddittorio come audiatur et altera pars (art. 1 1 1 comma 2 Cost.) secondo cui la parte deve essere posta in grado di conoscere i presupposti di fatto utilizzabili dal giudice e di esporre le proprie ragioni prima che sia emesso un provvedimento che produrrà effetti nei suoi confronti. Una qualche forma di contraddittorio è garantita soltanto dopo la esecuzione della misura coercitiva quando il difensore è posto in grado di conoscere gli atti in base ai quali è stato emesso il provvedimento relativo (art. 292 comma 3 : avviso di deposito) . Pertanto è assicurato soltanto un contraddittorio di tipo "successivo " avente ad oggetto la conoscenza di atti scritti. Vi è, tuttavia, un ulteriore aspetto del contraddittorio che non è ancora tu telato e che invece dovrebbe essere garantito almeno dopo che la misura coercitiva è stata eseguita. La normativa costituzionale sul giusto processo attribuisce al l'indagato il diritto di " interrogare o far interrogare le persone che rendono di chiarazioni a suo carico" (art. 1 1 1 comma 3 ) ; tale diritto deve poter essere eser citato " davanti al giudice" già nel corso delle indagini preliminari e quindi anche e soprattutto dopo la esecuzione di una misura coercitiva custodiale (33 ) . (32) I n tal senso, Cass., sez. I , 1 2 febbraio 2003 , Rittizzano, in Cass. pen., 2003 , p . 2592, secondo cui le misure cautelari personali possono essere basate sulla testimonianza indiretta della polizia giudiziaria poiché si ritiene non operante il divieto di cui all'art. 1 95 comma 4; a tali dichiarazioni può essere attribuito il valore di indizi, purché gli elementi rappresentati dalle dichiarazioni siano obiettivamente idonei a supportare un'alta probabilità di colpevolezza. ( 3 3 ) Per tale tesi v. A. MoLARI, Introduzione alla Tavola rotonda, in AA.Vv., Il contraddittorio tra Costituzione e legge ordinaria, Atti del Convegno organizzato dall'Associazione tra gli studiosi del processo penale, Ferrara, 1 3 - 15 ottobre 2000, Milano, 2002, 137 s. Secondo l'Autore alla luce di un'attenta esegesi
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Le norme del codice attualmente vigenti riconoscono all'indagato il diritto a confrontarsi con l'accusatore soltanto rispetto all'imputato connesso o collegato. Infatti, è sufficiente la richiesta di incidente p robatorio perché il giudice sia tenuto a disporre l'esame dell'imputato connesso o collegato o l'esame dell'indagato sul fatto altrui (art. 3 92 comma l lett. c e d) . Analogo diritto a confrontarsi non è garantito rispetto al testimone che ha reso dichiarazioni a carico; questi di regola può essere esaminato in incidente probatorio soltanto se è in fin di vita o è stato minacciato. In tale ipotesi l'art. 1 1 1 Cast. è ancora in attesa di una piena attuazione, resa peraltro indispensabile in base alla considerazione che l'indagato è presunto innocente anche ai fini della applicazione delle misure cautelari. c.
Le esigenze cautelari.
Alle condizioni generali di applicabilità si aggiunge un ulteriore requisito: le misure personali possono essere applicate soltanto quando esiste in concreto almeno una delle esigenze cautelari indicate tassativamente dall'art. 274. La tassatività della previsione ha lo scopo di impedire, nei limiti del possibile, che si tenda, attraverso le misure cautelari, ad anticipare l'applicazione della san zione penale. Ciò è espressamente inibito dalla presunzione di innocenza (art. 27, comma 2 Cast.), che vieta appunto l'applicazione anticipata della pena prima che sia stata pronunciata una sentenza definitiva di condanna. n pubblico ministero, nel presentare al giudice la richiesta motivata di disporre una misura cautelare, deve fornire gli elementi di prova che dimostrino in concreto sia l'esistenza di tutte le condizioni necessarie per applicare la misura richiesta (gravi indizi e punibilità in concreto), sia il ricorrere di una delle esigenze cautelari, e cioè il pericolo di inquinamento della prova, il pericolo di fuga o, infine, il pericolo che vengano commessi determinati reati. l) n pericolo di inquinamento della prova. n pubblico ministero deve dimostrare che vi sono in concreto situazioni di attuale pericolo sia per l'acqui sizione della prova (pericolo di occultamento) , sia per l'acquisizione in modo genuino (pericolo di alterazione) . Le indagini, cui questo si riferisce, devono essere quelle relative al /atto di reato per il quale si procede (e non per eventuali altri reati ipotizzati dall'inquirente) . La situazione di pericolo deve essere fondata su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità (art. 292 , comma 2, lett. c) . Le precisazioni sono dovute alla legge n. 332 del 1 995 , che ha reagito agli abusi verificatisi nella prassi applicativa. A tal fine il legislatore ha inserito una ulteriore disposizione, che in verità doveva ricavarsi implicitamente dal sistema dell'art. 1 1 1 Cost. occorre garantire all'indagato il diritto a confrontarsi già nella fase delle indagini preliminari nel corso di quei controlli successivi all'emanazione del prowedimento cautelare coercitivo custodiale che si svolgono davanti al giudice per le indagini preliminari e al tribunale della libertà.
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Le misure cautelari
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ed esplicitamente dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (art. 14, comma 3, lett. g); e cioè, si è precisato che dal silenzio mantenuto dall'imputato (o dalla sua mancata ammissione degli addebiti) non si può ricavare l'esistenza del pericolo di inquinamento della prova. 2) n pericolo di fuga. Questa esigenza sussiste quando l'imputato si è dato alla fuga o vi è il concreto pericolo che si dia alla fuga (34 ) . Occorre, tuttavia, che il giudice ritenga possibile che all'imputato possa essere irrogata in concreto con la sentenza una pena superiore a due anni di reclusione (35 ) . Al di sotto di tale soglia il legislatore impedisce di dare rilevanza al pericolo di fuga. Tale esigenza vuole evitare che l'imputato si sottragga alla esecuzione della pena, e non a garantire la presenza dell'imputato in giudizio, come viceversa avviene in altri ordinamenti. 3) Il pericolo che vengano commessi determinati reati. La misura coerci tiva può essere applicata quando vi è il pericolo che l'imputato commetta una delle seguenti categorie di delitti: l ) gravi delitti con l'uso di armi o di altri mezzi di violenza personale; 2) gravi delitti diretti contro l'ordine costituzionale; 3 ) delitti di criminalità organizzata; 4 ) delitti della stessa specie di quello per il quale si procede. Il pericolo deve essere desunto da specifiche modalità del fatto di reato e dalla personalità pericolosa dell'autore del fatto, con il limite che la pericolosità deve essere ricavata dai precedenti penali o da comportamenti o atti concreti, che devono essere specificamente indicati (3 6). Vi è un ulteriore limite, che si applica al pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quello addebitato: la custodia cautelare (e cioè, il carcere o gli arresti domiciliari) possono essere disposti soltanto quando per tali delitti è prevista la pena della reclusione di almeno quattro anni nel massimo. d.
I criteri di scelta delle misure.
Il giudice, dopo aver accertato che esistono sia i gravi indizi di reità, sia almeno una delle esigenze cautelati, dispone la misura con ordinanza. Tuttavia il suo potere è vincolato a limiti formali e sostanziali. (34) << li pericolo di fuga ex art. 274 lett. b c.p.p. deve essere, oltre che attuale, concreto e desunto da fatti e circostanze oggettivi, non meramente congetturali, che consentano di rawisare la ragionevole probabilità che l'indagato, lasciato libero, possa far perdere le sue tracce >>. Così, Cass., 23 novembre 1995, Cerciello, in Cass. pen., 1996, 2673 . (35) Viceversa, nelle condizioni generali di applicabilità delle misure coercitive (art. 280, comma l ) è considerata la pena edittale prevista nel massimo per il delitto addebitato. (36) << In tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione del pericolo che l'imputato commetta ulteriori reati della stessa specie, il requisito della concretezza, cui si richiama l'art. 274 comma l lett. c c.p.p., non si identifica con quello di attualità derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, il requisito in questione essere riconosciuto alla sola condizione, necessaria e sufficiente, che esistano elementi "concreti" (cioè non meramente congetturali) sulla base dei quali possa affermarsi che l'imputato, verificandosi l'occasione, possa facilmente commettere reati rientranti fra quelli contemplati dalla norma processuale in discorso >>. Cass., sez. I, 20 gennaio 2004, in CED Cass. n. 227227.
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Sotto un profilo formale, il giudice non può disporre una misura più grave di quella richiesta dal pubblico ministero: in materia vale il principio accusa torio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Da un punto di vista sostanziale, egli ha il potere-dovere di scegliere la misura cautelare in base ai criteri che sono espressamente indicati nell'art. 275; la sua decisione è espressione di una discrezionalità vincolata a parametri legislativi che attuano i princìpi costituzionali. In base alla presunzione di innocenza (art. 27 , comma 2 Cost.) le misure cautelati coercitive devono rispettare il criterio del minore sacrificio necessario, secondo cui la restrizione della libertà personale deve essere contenuta entro i limiti indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari nel caso concreto (Corte cost. n. 299 del 2005 ) . Ciò premesso, in base all'art. 275 c.p.p. l a misura d a applicarsi deve essere: l ) " adeguata" alle esigenze cautelati presenti in concreto; 2) "proporzionata" alla gravità del fatto e della sanzione che potrà essere irrogata; 3 ) "graduata" in modo tale da applicare la custodia in carcere soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. L 'accertamento dei criteri predetti deve basarsi su elementi di prova ricavati dal caso concreto: di regola, non sono ammessi automatismi né presunzioni (Corte cost. n. 265 del 2010). Dell'esercizio del potere discrezionale il giudice deve dare conto nella motivazione dell'ordinanza (art. 292 ) . La individualizzazione delle misure. I n sostanza, entro i l "ventaglio" delle misure prefigurate dalla legge, il giudice deve individuare quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelati nel caso concreto e prescegliere la meno afflittiva. Soltanto in tal modo è possibile ridurre al minimo indispensabile la limitazione delle libertà dell'individuo in un momento anteriore rispetto alla pronuncia della condanna definitiva. Tale disciplina costituisce attuazione del criterio del " minore sacrificio" che ispira la disciplina della custodia cautelare nel nostro sistema processuale. Ad avviso della Corte costituzionale, il tratto saliente complessivo del regime normativa tratteggiato dal legislatore è quello di imporre che le condizioni e i presupposti per l'applicazione di una misura cautelare restrittiva della libertà personale siano apprezzati e motivati dal giudice sulla base della situazione concreta, così da realizzare una piena "individualizzazione" della coercizione cautelare (3 7 ) . l ) n principio di adeguatezza. I l giudice deve valutare l a « specifica idoneità di ciascuna (misura) in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelati da soddisfare nel caso concreto » (art. 275, comma 1 ) . Come abbiamo anticipato, il codice prevede varie misure cautelati, ciascuna strutturata in modo diverso ed adattabile al caso concreto nei limiti delle prescrizioni di legge. Il sistema è ordinato in base al principio della "pluralità graduata", secondo cm le misure sono connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà (37)
Così, C. Cost., 2 1 luglio 2010,
n.
265.
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personale. A d esempio, partendo dal generico dovere d i dimorare in un determinato comune, si può arrivare a precisare un vero e proprio obbligo di quotidiana reperibilità (art. 283 , comma 3 ) . Ebbene, una volta che il pubblico ministero abbia adempiuto all'onere di provare l'esistenza di una determinata esigenza cautelare, occorre che vi sia una piena corrispondenza funzionale tra la misura da adottare ed il pericolo che si vuole evitare (38) . Per una specifica esigenza cautelare il codice impone una ponderazione ancora più accurata. Se vi è il pericolo di inquinamento della prova, il giudice deve fissare (in seguito ad una precisa richiesta del pubblico ministero) la data di scadenza dell'efficacia della misura cautelare, tenuto conto del tempo neces sario a compiere le indagini preventivate (art. 292 , comma 2, lett. d). Se la misura è la custodia in carcere, essa, di regola, non deve avere una durata superiore a trenta giorni, salvo che il delitto addebitato sia di una particolare gravità (art. 3 0 1 , comma 2-bis, in relazione all'art. 274, comma l , lett. a). Può essere disposta la proroga per non più di due volte ed entro il limite complessivo di novanta giorni (art. 3 0 1 , comma 2 -ter) . Attiene al tema dell'adeguatezza tra la misura ed il fatto anche una nuova previsione, introdotta dalla legge n. 128 del2 00 1 , che disciplina l'applicazione di una misura cautelare contestualmente all'emissione della sentenza di condanna. In tale ipotesi, il giudice chia mato a valutare la sussistenza delle esigenze cautelaci deve tenere conto « anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti » (art. 275, comma l -bis) . In realtà la norma in oggetto appare rivestire un valore meramente sim bolico e non precettivo. Infatti si limita ad esplicitare quei parametri valutativi che il giudice deve comunque adoperare nel giudizio relativo alle esigenze cautelaci. Infine, il legislatore ha previsto una disciplina apposita per l'applicazione di una misura cautelare contestualmente alla sentenza di condanna in fase di appello. In tal caso il nuovo comma 2-ter dell'art. 275 stabilisce che il giudice anche d'ufficio deve emettere una misura cautelare personale se sussistono esigenze cautelaci in relazione ad un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, sempre che tale delitto sia stato commesso « da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole » (3 9). ( 3 8 ) L a legge n. 4 del 200 1 , d i conversione del decreto legge n . 3 4 1 del 2000, aveva imposto a l giudice un ulteriore onere di valutazione in merito all'adeguatezza delle misure diverse dalla custodia in carcere. Nel disporre tali misure, occorreva tenere conto dell'<< efficacia >> dei controlli sul rispetto << delle prescrizioni imposte all'imputato >>, in relazione << alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto >> (art. 275, comma l -bis, introdotto dal decreto legge n. 3 4 1 del 2000, conv. in legge n. 4 del 200 1 ). La modifica merita di essere evidenziata in quanto, per la prima volta, si era tenuto conto di esigenze organizzative. li legislatore italiano dimostrava di abbandonare il vecchio vizio idealista di non rapportare i fini ai mezzi. Una soluzione in chiave di garanzia era imposta al giudice soltanto quando in concreto non si fossero messe in pericolo le esigenze di sicurezza della collettività. Tuttavia, la successiva legge n. 128 del 2001 ha nuovamente sostituito il comma l -bis dell'art. 275 e, per un difetto di coordinamento, ha eliminato la precedente modifica. (39) Ai fini della valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari debbono applicarsi i medesimi
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2) n principio di proporzionalità. Le varie misure cautelari non sono creature stravaganti, dovute alla fantasia del legislatore, bensì devono rispon dere ad un'idea elementare di civiltà, secondo cui la libertà di una persona non deve essere limitata più di quanto sia strettamente necessario. Il codice vuole evitare che venga fatto un uso spregiudicato delle singole misure, e cioè che le stesse siano applicate per anticipare un provvedimento afflittivo in casi nei quali la sentenza di condanna inciderà poco o nulla sulla libertà del colpevole. Ecco, allora, che l'art. 275, comma 2 dispone che « ogni misura (debba) essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata ». La norma opera in senso favorevole all'imputato perché impone che, in relazione ad una scarsa rilevanza del fatto di reato, la misura cautelare non risulti eccessivamente afflittiva. La prevedibile applicazione della sospensione condizionale della pena. Poiché la prassi non era rispettosa del principio, il legislatore ha voluto regolare espressamente un caso limite, e cioè l'ipotesi nella quale fin dalla richiesta della misura cautelare sia prevedibile che al momento della pronuncia della sentenza di condanna potrà essere concessa la sospensione condizionale della pena. In tal caso, la legge n. 332 del 1995 ha introdotto il divieto di disporre la custodia cautelare (e cioè, la custodia in carcere o l'arresto domiciliare; art. 275, comma 2 -bis). Come è noto, la sospensione condizionale può essere concessa, di regola, quando la pena detentiva, da irrogare in concreto, non supererà i due anni ed il giudice ritiene che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati (artt. 163 e 1 64 c.p . ) ; il beneficio è comunemente concesso, nei limiti di pena indicati, quando il colpevole non ha precedenti penali. Tutto ciò comporta che il giudice, sulla base degli elementi di prova allegati alla richiesta presentata dal pubblico ministero, debba valutare in anticipo se vi sarà una decisione di condanna e se la pena detentiva potrà essere condizio nalmente sospesa. Si tratta di una valutazione complessa e difficile da farsi " allo stato degli atti " ; tuttavia, se il legislatore la impone, significa che, in presenza di alcune prassi devianti, si percepisce l'esigenza di ricordare al giudice ed al pubblico ministero come deve essere applicato in concreto il principio di proporzionalità. 3) n principio di gradualità. La custodia in carcere costituisce la più intensa delle limitazioni della libertà personale e, pertanto, deve essere applicata soltanto quando non sia assolutamente possibile operare diversamente (extrema ratio). L'art. 275, comma 3 sancisce che « la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata ». Nella motivazione dell'ordinanza il giudice deve esporre le « concrete e specifiche parametri che la legge n. 128 del 2001 ha previsto al comma 1·bis e che tengono conto dello svolgimento del procedimento, delle modalità del fatto e delle circostanze sopravvenute.
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ragioni per le quali le esigenze (cautelati) . . . non possono essere soddisfatte con
altre misure » (art. 292, comma 2 , lettera c-bis) . La deroga al principio di gradualità ed i princìpi affermati dalla Corte costituzionale. Come si è accennato, nella scelta delle misure di regola non sono ammesse presunzioni; in via di eccezione, a causa della recrudescenza del fenomeno della criminalità organizzata, fin dal 1991 è stata introdotta una presunzione relativa di esistenza delle esigenze cautelati ed una presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere per i delitti di associazione mafiosa. La prima presunzione scatta quando sono provati i gravi indizi di reità di un delitto di associazione mafiosa (art. 4 16-bis c.p.) o commesso allo scopo di avvalersi di tale associazione o al fine di agevolare l'attività di tale associazione: in tal caso, il codice ritiene esistente almeno una delle esigenze cautelati senza che sia necessario fornirne la prova. La presunzione è configurata come relativa, perché ammette la prova contraria: è infatti possibile dimostrare che non esiste alcuna esigenza cautelare in concreto. La seconda presunzione opera con riferimento al tipo di misura cautelare da applicare. In presenza di gravi indizi di colpevolezza, in relazione alla criminalità mafiosa, si ritiene adeguata la custodia cautelare in carcere. La presunzione è configurata come assoluta, nel senso che non può essere superata neppure se è provato che le esigenze cautelati risultano attenuate: non è mai applicabile l'arresto domiciliare o una misura cautelare non custodiale. Dopo alterne evoluzioni legislative, il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 1 1 , convertito in legge 23 aprile 2009, n. 38, ha esteso le due presunzioni ad un vasto elenco di delitti anche non attinenti alla criminalità mafiosa. Successiva mente, la Corte cost., con la sentenza 2 1 luglio 2010, n. 265 , ha valutato non ragionevole la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere limitatamente ad alcuni tra i delitti in materia sessuale previsti dal decreto-legge ed ha confermato l'esistenza di princìpi costituzionali non derogabili dal legislatore. La pronuncia della Consulta è di importanza fondamentale e consente di ripartire la materia in tre ipotesi nelle quali le presunzioni sono ammesse a determinate condizioni. L'intera ricostruzione operata dalla Corte si basa su di un rilievo di fondo. La Corte cost. afferma che, in via di principio, le presunzioni assolute vanno contro il principio del " minimo sacrificio necessario" . Esse sono accettabili soltanto in casi eccezionali, qualora siano espressione di massime di esperienza generali. Pertanto, esse violano il principio di eguaglianza quando sono " irra zionali" , e cioè se ed in quanto sia agevole smentirle formulando ipotesi di
accadimenti reali contrari alla presunzione. a) La deroga per i delitti di criminalità mafìosa. La Corte costituzionale prende le mosse dai « delitti di mafia in senso stretto ». In tal caso, la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere (quando vi sono
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II VI. 2 . d .
gravi indizi di colpevolezza) è razionale perché l'adesione permanente ad un sodalizio criminoso, dotato di particolare forza intimidatrice, comporta « se condo una regola di esperienza sufficientemente condivisa » che soltanto la misura carceraria è adeguata, mentre altre misure cautelari "minori" non sono sufficienti a troncare i rapporti tra l'indagato e l'associazione e non neutraliz zano la pericolosità del medesimo. In sostanza, ad avviso della Corte, la tipologia criminosa in oggetto è tale da rendere ragionevole la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere. b) La deroga per alcuni dei delitti di violenza sessuale. All'attenzione della Corte cast. sono stati portati soltanto alcuni fra quei delitti di c.d. violenza sessuale che il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 1 1 , convertito in legge 23 aprile 2009, n. 3 8 , ha voluto equiparare ai delitti di mafia. Si tratta dell'indu zione o sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-bis, comma l c.p.); della violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) salvo che ricorra l'attenuante di cui al terzo comma (« casi di minore gravità »); degli atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.) salvo che ricorra l'attenuante di cui al quarto comma (« casi di minore gravità ») . In base alla legislazione di emergenza, quando esistevano gravi indizi di colpevolezza in relazione alle predette fattispecie, dovevano scattare le due presunzioni e doveva essere applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che fossero acquisiti elementi dai quali risultasse l'assenza di esigenze cautelari (art. 275 , comma 3 , secondo e terzo periodo). Con riferimento ai delitti appena indicati, la Consulta ha dichiarato l'illegit timità dell'art. 275 , comma 3 nella parte in cui prevede la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere. Secondo la Corte, la presunzione assoluta non è razionale per i reati sessuali menzionati perché l'esperienza insegna che le esigenze cautelari sono differenti caso per caso e possono essere soddisfatte con misure cautelari anche diverse dal carcere. Pertanto, nel singolo processo è pos sibile acquisire « elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure » (questo è il contenuto additivo che si ricava dal dispositivo della sentenza n. 265 ) . Dunque, soltanto una presunzione relativa di adeguatezza della custodia in carcere può risultare accettabile. Un simile regime, con riferimento alla categoria criminosa in oggetto, a giudizio della Consulta è anzi razionale perché è idoneo a realizzare una semplificazione del procedimento probatorio che è « suggerita da taluni aspetti ricorrenti » dei reati menzionati; tanto più che la presunzione è superabile ave risultino nel caso concreto elementi probatori di segno contrario. c) La deroga per gli altri reati non investiti dalla sentenza della Corte costituzionale. In relazione alle altre categorie di reati, alle quali il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 1 1 , convertito in legge 23 aprile 2009, n. 3 8 aveva esteso le due presunzioni relativa ed assoluta, sopra considerate, la Corte costituzionale non ha deciso perché le ordinanze di rimessione consideravano soltanto tre fattispecie ritagliate all'interno dei delitti di violenza sessuale. Le questioni
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decise, infatti, non avevano investito l a violenza sessuale di gruppo (art.
609-octies c.p.), i delitti non mafiosi attribuiti alla procura distrettuale (artt. 5 1 , commi 3 -bis e 3 -quater c.p.p.), l'omicidio doloso (art. 575 c.p.), la pornografia minorile (art. 600-ter c.p., escluso il comma 4 ) , e le iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-quinquies c.p.) . Pertanto, resta al momento non valutata la scelta legislativa di assimilare alla criminalità mafiosa gli altri delitti non di mafia, rientranti nell'elenco previsto dall'art. 275 , comma 3 e non investiti dalla pronuncia della Corte. Per tali delitti continuano ad essere vigenti le due presunzioni che operano per i reati di mafia. Tuttavia, la Consulta ha fatto alcune affermazioni di principio che possono essere utili per valutare la scelta legislativa. In primo luogo, afferma la Corte, le due presunzioni non possono avere come giustificazione quella di placare l'allarme sociale dovuto all'intensificarsi dei reati commessi, perché questa funzione non è propria della misura cautelare, bensì della pena e presuppone la certezza circa la responsabilità del singolo delitto. In secondo luogo, la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere non può essere giustificata razionalmente in base alla sola gravità del reato né in base all'importanza dell'interesse tutelato, perché tali aspetti servono a determinare la sanzione, ma non incidono direttamente sull'esistenza delle esigenze cautelari in concreto né possono precludere l'applicazione di misure meno afflittive del carcere. Situazioni incompatibili con la custodia in carcere. li codice, anche in seguito alle modifiche introdotte dalla legge 1 2 luglio 1 999, n. 23 1 , prevede situazioni che impedi scono la custodia cautelare in carcere. Quest'ultima non può essere comunque disposta quando l'imputato è affetto da « malattia (che) si trova in una fase così avanzata da non rispondere più (. . . ) ai trattamenti disponibili e alle terapie curative » (art. 275, comma 4-quinquies). Vi sono poi altre situazioni, tipizzate nell'art. 275, comma 4, che di regola impediscono la custodia in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelati di eccezionale rilevanza. Si tratta dei seguenti casi: a) donna incinta; b) madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente; c) padre in analoghe condizioni, se la madre è assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; d) persona che ha superato l'età di settanta anni. L'imputato che si trova nelle situazioni menzionate è sottoposto, di regola, a misure cautelari alter native (ad esempio, all'arresto domiciliare) ; sarà condotto in carcere se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, come potrebbe accadere quando egli è particolarmente pericoloso a causa dei suoi precedenti penali o del reato commesso (40).
(40) Quando l'imputato è i n condizioni d i salute compatibili con l o stato d i detenzione, la cura deve essere prestata in carcere o, se necessario, presso le strutture sanitarie penitenziarie. Viceversa, il codice prevede situazioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione. Si tratta dei casi in cui la custodia presso idonee strutture sanitarie penitenziarie non è possibile senza pregiudizio per la salute dell'imputato o degli altri detenuti (art. 275, comma 4-ter). Ciò awiene quando l'imputato è affetto da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria (accertate in base alle modalità previste dal ministero della
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La più frequente è la situazione del tossicodipendente che ha in corso (o intende sottoporsi ad) un programma terapeutico che non può svolgersi in una struttura carceraria. L'art. 89 del T.U. stupefacenti (n. 309 del 1 990) impone, in estrema sintesi, di valutare se le esigenze cautelari possono essere soddisfatte unicamente con la misura detentiva, fatta eccezione per delitti di particolare gravità; si veda Cass. , sez. II, 16 dicembre 2006 dep., n. 4 127 1 , i n Il Sole, 22 gennaio 2007.
3.
L'applicazione delle misure cautelari personali. a.
Le scelte fondamentali.
n procedimento con cui sono applicate le misure coercitive ha subìto alcune
modifiche dall'entrata in vigore del codice. La struttura attuale del procedimento risente della crisi alla quale sono andati incontro i princìpi fondamentali del codice del 1 988. Pertanto, è opportuno esporre la materia sotto un profilo storico. Il legislatore del 1 988 riteneva che ogni garanzia fosse assicurata dall'aver disposto che la prova si doveva formare nel dibattimento. Di conseguenza, il contraddittorio ed il diritto alla prova non erano tutelati nelle fasi anteriori. Si riteneva che fosse sufficiente aver sancito che i provvedimenti sulla libertà personale dovevano essere decisi dal giudice su richiesta del pubblico ministero; tuttavia, non si attribuiva al giudice un effettivo controllo sulla richiesta del pubblico ministero e sugli elementi presentati da quest'ultimo. Alla difesa non era riconosciuto il diritto alla prova; ad essa era assicurata soltanto la possibilità di presentare una richiesta di " riesame" al tribunale della libertà. La legge 8 agosto 1 995, n. 332 ha ribaltato lo schema del codice del 1 988; e cioè, ha voluto accentuare l'incisività del contraddittorio sull'applicazione della misura cautelare personale; al tempo stesso, l'intervento normativa ha teso a rendere più efficace il controllo svolto dal giudice per le indagini preliminari. Occorre precisare subito che la legge ha operato una riforma minimale, e cioè ha voluto porre singoli rimedi ad alcuni dei più vistosi squilibri che si manife stavano a sfavore della difesa dell'indagato. A causa dei tempi stretti della discussione parlamentare e della situazione di " rissa politica" nella quale il sanità) o da altra malattia particolarmente grave. Nei confronti di dette persone si presentano tre possibilità. l) Se non esistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, deve essere disposta una misura cautelare alternativa (di regola si tratterà dell'arresto domiciliare). 2 ) In presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, è disposto l'arresto domiciliare << presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza >>; ma, se l'imputato è affetto da AIDS o da grave deficienza immunitaria, l'arresto può essere effettuato presso le unità operative regionali o una residenza collettiva o casa alloggio (di cui all'art. l , comma 2, legge n. 135 del l990). 3) La custodia in carcere può essere disposta se l'interessato è imputato di gravi reati avvenuti dopo l'applicazione della misura cautelare alternativa nei casi precedenti (art. 275, comma 4-quater) o se il medesimo ha trasgredito le prescrizioni collegate alle misure alternative concesse come sopra (art. 276, comma l -bis). Nelle predette ipotesi l'istituto carcerario deve essere comunque dotato di un reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie.
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legislatore è stato costretto a d operare, l a legge non h a dato luogo a d una riforma equilibrata, né ha toccato la "struttura" del procedimento applicativo delle misure cautelari personali. Chiariti i limiti della riforma, cercheremo di evidenziarne i punti più qualificanti. fl procedimento applicativo. L'applicazione delle misure cautelari personali avviene in due fasi. Nella prima vi è una decisione del giudice fondata su di una richiesta che viene presentata dal pubblico ministero senza che sia sentita la difesa, poiché la misura deve essere eseguita "a sorpresa" per essere efficace. Nella seconda fase vi è una qualche forma di contraddittorio perché il giudice per le indagini preliminari deve interrogare l'indagato (sottoposto a custodia o ad altra misura cautelare) ed il difensore ha il diritto di esaminare i verbali degli atti che sono stati valutati dal giudice (v. tav. 2.6.3 ) . Le due fasi del procedimento applicativo hanno una caratteristica comune. Il potere di controllo, che può essere esercitato dal giudice, è molto limitato; inoltre, all'indagato non è riconosciuto il diritto alla prova, e cioè la possibilità di far assumere prove a difesa. Infine, il giudice decide soltanto su atti e documenti scritti, senza poter sentire a viva voce alcun testimone. Tutto ciò provoca un preciso effetto. Il pubblico ministero, che svolge le in dagini in segreto, subisce un controllo molto limitato ad opera del giudice; anzi, di fatto, condiziona la decisione di quest'ultimo. La legge 8 agosto 1995 , n. 332, pur non avendo modificato l a struttura del procedimento applicativo, ha tuttavia introdotto alcuni correttivi che, come abbiamo anticipato, hanno reso leggermente più incisivo il contraddittorio in favore dell'indagato. Sotto tale profilo, la legge ha operato una " inversione di tendenza" rispetto alle scelte effettuate nel 1 988 (4 1 ) . L'applicazione delle misure mediante un procedimento incidentale. Le mi sure cautelari coercitive sono richieste e decise (e poi impugnate) nel corso di un procedimento incidentale; questo costituisce una diramazione collaterale del pro cedimento principale, che continua a svolgersi autonomamente (es., nel frattempo il pubblico ministero svolge le sue indagini) . Ciò premesso, è un procedimento incidentale quello che applica, revoca o modifica una misura cautelare coercitiva e quello che decide sulla impugnazione contro i relativi provvedimenti. Il procedimento incidentale ha una autonomia formale e funzionale rispetto al procedimento principale. Autonomia formale, perché è retto da regole diverse da quello principale ed ha uno scopo differente dal medesimo. Il procedimento principale accerta la commissione di un fatto penalmente illecito e la sua attribuibilità ad una persona al fine di irrogare la pena; il procedimento (41) Nei procedimenti relativi ai reati, consumati o tentati, riferiti alla gestione dei rifiuti ed ai reati in materia ambientale nella regione Campania, sulle richieste di prima applicazione di misure cautelari personali e reali decide il tribunale di Napoli in composizione collegiale (art. 3 , decreto-legge n. 90 del2008, conv. in legge n. 123 del 2008). Per tali reati le funzioni del pubblico ministero sono svolte dal procuratore della repubblica presso il tribunale di Napoli; la competenza per il giudizio resta quella ordinaria del locus commissi delicti.
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incidentale, nel caso in esame, accerta l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari al fine di applicare una misura cautelare volta prevenire determinati pericoli per il processo penale (42) . I l procedimento incidentale h a una autonomia funzionale, perché l e vicende del procedimento incidentale di regola non influiscono sul procedimento principale, salvo che la legge non lo preveda espressamente (43 ) .
b.
La richiesta del pubblico ministero e la decisione del giudice.
La prima fase del procedimento applicativo ha inizio quando il pubblico ministero chiede per scritto al giudice per le indagini preliminari l'adozione di una misura cautelare personale; termina quando il giudice prende, sempre per scritto, una decisione sulla richiesta. La procedura è segreta, e cioè deve svolgersi all'insaputa dell'indagato e del suo difensore. La struttura del proce dimento applicativo rispetta il principio della separazione delle funzioni, se condo cui il pubblico ministero, nella sua qualità di parte, non ha il potere di limitare la libertà personale dell'indagato. Il pubblico ministero ha soltanto il potere di rivolgere una richiesta al giudice per le indagini p'reliminari, presen tandogli gli « elementi su cui la richiesta si fonda » (art. 2 9 1 , comma 1 ) , e cioè i verbali degli atti delle indagini preliminari (44 ) . In tal modo l a pubblica accusa gode di un vero e proprio potere di selezionare gli atti raccolti durante le indagini preliminari; di conseguenza il giudice, non conoscendo l'intero fascicolo delle indagini, ha una cognizione limitata nel momento in cui accerta se vi sono i presupposti per applicare una determinata misura cautelare. Il giudice decide sulla base di atti di indagine che valgono come prove, perché sono posti a fondamento di una decisione sulla libertà personale. L'obbligo di presentare al giudice tutti gli elementi a favore dell'imputato. La legge n. 332 del 1 995 ha inserito un primo correttivo, e cioè ha posto al pubblico ministero l'obbligo di presentare al giudice « tutti gli elementi a favore (42) Inoltre, l'organo decidente può non essere quello competente per il procedimento principale. Ad es., sulla impugnazione di una misura coercitiva decide il tribunale del capoluogo del distretto nel quale ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza; art. 309, comma 7. (43) Ad es., se in sede di riesame si accerta che il procedimento è di competenza di altro giudice, questa decisione non influisce sul procedimento principale, che continua ad essere gestito dal pubblico ministero (sui possibili rimedi, si veda in/ra, Parte III, cap. l , § 6, lett. i). (44) Ai sensi dell'art. 3, comma 2 d.lgs. n. 106 del 2006 è necessario l'assenso scritto del procuratore della repubblica per la richiesta di misure cautelari personali presentata dal sostituto, eccetto per quelle formulate in occasione della convalida dell'arresto in flagranza o del fermo. Cass., sez. un., 22 gennaio - 24 febbraio 2009, n. 8388, Novi, ha deciso che << l'assenso scritto del procuratore della repubblica, previsto dall'art. 3 comma 2 del d.lgs. 20 febbraio 2006 n. 106, non si configura come condizione di ammissibilità della richiesta di misure cautelari personali presentata dal magistrato dell'ufficio del pubblico ministero assegna tario del procedimento, né di validità della conseguente ordinanza cautelare del giudice » perché una norma di natura ordinamentale non può creare nuove cause di inammissibilità o nullità.
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dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate » (art. 29 1 , comma 1 ) . L'effetto dovrebbe essere quello d i ampliare le conoscenze del giudice quando questi deve valutare l'esistenza delle condizioni e dei presupposti della misura richiesta. Ovviamente tutto dipende dall'ampiezza e dalla correttezza della selezione che è stata operata dal pubblico ministero. Questi dovrebbe essere in grado di valutare se da un atto di indagine può ricavarsi un elemento di prova " a favore" , tale da dimostrare anche soltanto l'attenuazione di una esigenza cautelare. La valutazione può essere compiuta con molta difficoltà dal pubblico ministero prima di aver conosciuto la tesi difensiva; e ancora più difficilmente può essere effettuata con animo sereno poiché egli ha l'onere di dimostrare la fondatezza di un addebito nel momento in cui chiede un provvedimento al giudice. La legge n. 332 del 1995, abolendo il comma l -bis dell'art. 2 9 1 , ha sancito che il giudice ha un solo limite al suo potere di decidere sulla richiesta presentata dal pubblico ministero; e cioè, non può applicare una misura più grave di quella richiesta. Viceversa, il giudice può applicare sia la misura richiesta, sia una misura meno grave; ma può anche non applicare nessuna misura, se ritiene che non sussistano le esigenze cautelati o le condizioni di applicabilità (45 ) . D modello legale di motivazione dei provvedimenti cautelari. La legge n . 332 del 1 995 h a introdotto u n secondo correttivo che investe il potere decisio nale del giudice. La motivazione, in base alla normativa precedente, poteva essere sommaria; adesso deve essere esaustiva e deve rispettare una struttura prefissata, che veniamo ad esporre (art. 292 comma 2 lett. c e c-bis) (46). n giudice deve precisare le « specifiche esigenze cautelati » e gli specifici « indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza »; si vuole in tal modo evitare che siano adottate formule di stile che non tengono conto della realtà dei fatti accertati (47 ) . (45) n correttivo introdotto nel 1 995 è avvertito dai pubblici ministeri come una pericolosa limitazione del loro potere investigativo, quando le indagini hanno per oggetto delitti commessi da associazioni criminali. n singolo magistrato è posto di fronte ad una angosciante alternativa. Se deposita tutti gli atti di indagine per chiedere una misura cautelare, vi è il pericolo che i complici vengano a conoscere la linea investigativa scelta dall'accusa e, quindi, possano inquinare le prove. Ma se il pubblico ministero non chiede la misura per non scoprire la propria strategia investigativa, le esigenze cautelari non vengono salvaguardate. (46) Vale la pena di precisare che nonostante il carattere necessariamente esaustivo della motivazione, la giurisprudenza ha ammesso la c.d. motivazione per relationem per le ordinanze cautelari. La sentenza Cass., sez. un., 21 giugno 2000, Primavera, in Carr. pen., 200 1 , 69, ha affermato che, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo di motivazione, è sufficiente che dalla lettura del provvedimento si possa dedurre l'iter cognitivo e valutativo seguito dal giudice e se ne possano conoscere i risultati, che devono essere conformi alle prescrizioni di legge. L'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, deve inoltre essere conosciuto dall'indagato o almeno reso ostensibile. (47) La valutazione deve essere fatta tenendo conto anche del tempo trascorso dalla commissione del 14
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Se applica la custodia in carcere, il giudice deve spiegare perché tale misura non può essere sostituita con altre meno gravi (lett. c-bis) . Inoltre, il giudice deve esporre i motivi per i quali ritiene " rilevanti" gli elementi a carico, e cioè deve dimostrare la loro idoneità a sostenere l'ipotesi di accusa: da ciò deriva che non sono più ammesse ipotesi a tavolino o teoremi accusatori senza prove. Infine, il giudice deve esporre i motivi per i quali ritiene "non rilevanti " gli elementi a difesa raccolti sia dal pubblico ministero, sia dal difensore. Ai sensi dell'art. 292, comma 2-ter, l'ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico ed a favore dell'imputato, tratti sia dalle indagini del pubblico ministero (art. 358), sia dalle investigazioni difensive (art. 327-bis). In conclusione, il giudice deve motivare l'applicazione della misura caute lare secondo cadenze simili a quelle della sentenza dibattimentale (art. 546, comma l, lett. e) . Occorre dunque notare che gli indizi, oltre ad essere "gravi " , devono anche avere un minimo d i precisione e concordanza, quantomeno in relazione agli elementi a favore della difesa. Questa è una modifica implicita dell'art. 273 , comma l , che si può ricavare dall'obbligo di motivazione ampia. L'unico requisito che non è richiesto agli indizi è la completezza, a causa del fatto che siamo pur sempre nella fase delle indagini (48 ) . L'esecuzione del provvedimento cautelare. L'ordinanza che dispone la custodia cautelare è eseguita, su incarico del pubblico ministero, dalla polizia giudiziaria che consegna all'imputato copia del provvedimento, con avverti mento della facoltà di nominare un difensore eli fiducia (49) . L'ordinanza che dispone una misura non custodiale è notificata all'imputato (art. 293 ) . Quando non è possibile eseguire l'ordinanza che dispone una qualsiasi reato (!ett c). Con tale puntualizzazione il legislatore ha inteso evidenziare come il passare del tempo possa comportare una diminuzione delle esigenze cautelari. In tal senso in giurisprudenza v. Cass., sez. VI, 15 gennaio 2003, Khiar e altro, in Giur. it., 2004, 1469: << in materia di misure cautelari personali, qualora venga richiesta la custodia in carcere per reati commessi dall'imputato in epoca non recente, il giudice, nell'espo sizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano la misura richiesta, deve procedere ad individuare, in modo particolarmente specifico e dettagliato, gli elementi concludenti atti a cogliere l'attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa fronteggiabile soltanto con la permanenza in carcere, evidenziando il perdurante collegamento dell'imputato con l'ambiente in cui il delitto è maturato e, quindi, la sua concreta inclinazione a delinquere >>. (48) Nel codice del l988 gli atti raccolti durante le indagini avevano, all'interno di questa fase, il valore di prove, ma non erano sottoposti alla regolamentazione delle prove, poiché la motivazione del provvedimento del giudice poteva essere sommaria. Dopo la legge n. 332 del l995 i medesimi atti di indagine devono essere valutati come prove, almeno nel momento in cui il giudice decide su di essi; ed, infatti, in tal senso si sta orientando la giurisprudenza, pur con fenomeni di vischiosità. Cade così, seppure in parte, uno dei "miti" del 1988, secondo cui gli atti di indagine sfuggivano alla regolamentazione predisposta per le prove. In particolare, come si è ricordato, in base al nuovo comma l-bis dell'art. 273, introdotto dalla legge n. 63 del 200 1 , nella valutazione dei gravi indizi il giudice deve tenere conto di alcune regole generali sulle prove, e cioè degli artt. 1 92 , commi 3 e 4, 195, comma 7, 203 e 27 1 , comma l (v. supra, § 2, b, n. 2 ) . (49) Cass., sez. un., 9 febbraio 2004, Zalagaitis, i n Guida Dir., 2004, n. 1 1 , 93 : se, dopo l'esecuzione di una misura cautelare, risulta che l'imputato ignora la lingua italiana, la relativa ordinanza deve essere tradotta nel corso dell'interrogatorio di garanzia.
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misura cautelare perché il destinatario non è stato rintracciato, l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria redige un verbale " di vane ricerche" indicando le indagini svolte (art. 295 ) . Il verbale deve essere trasmesso al giudice che ha emanato il provvedimento. Questi, se ritiene le ricerche esaurienti, dichiara lo stato di latitanza di colui che volontariamente si sottrae « alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all'obbligo di dimora » (art. 296) . Al fine di agevolare le ricerche del latitante, il giudice nei limiti e con le modalità previste dagli artt. 266 e 267 può disporre l'intercettazione di conver sazioni o comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione (art. 295 comma 3 ) . Agli stessi fini può farsi luogo ad intercettazioni ambientali, quando si tratti di latitante in relazione ad un delitto di criminalità mafìosa (art. 5 1 comma 3 -bis) ovvero di un delitto di natura terroristica o eversiva previsto dall'art. 407 comma 2 , lett. a, n. 4 . c.
L'interrogatorio di garanzia.
La seconda fase del procedimento applicativo ha inizio nel momento in cui la misura cautelare personale è eseguita; si conclude con l'interrogatorio davanti al giudice che ha deciso l'applicazione della misura stessa (50). Questo inter rogatorio nella prassi è denominato " di garanzia" perché assume una funzione prevalentemente difensiva. Infatti, al termine di tale atto, il giudice deve valutare « se permangono » le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari origina rie. Quando ne ricorrono le condizioni, e cioè se gli indizi o le esigenze sono venute meno o si sono attenuate, deve provvedere alla revoca della misura disposta o alla sua sostituzione con una meno grave (art. 294, comma 3 ) . L'avviso di deposito. L'art. 293 comma 3 impone al giudice per le indagini preliminari di depositare immediatamente in cancelleria, insieme all'ordinanza applicativa della misura, anche la richiesta del pubblico ministero e gli « atti presentati con la stessa ». Un avviso di deposito deve essere notificato al difensore, che ha diritto di esaminare gli atti nella cancelleria e di estrarne copia (5 1 ) . È questo uno dei correttivi, che sono stati introdotti dalla legge n. 332 del 1995 ; esso dà luogo ad una formalità utile perché mette il difensore in grado di anticipare le proprie deduzioni già nel corso dell'interrogatorio (52) . (50) L'unico caso in cui l'interrogatorio ad opera del giudice precede l'applicazione della misura cautelare è quello in cui sia stata disposta la misura interdittiva della sospensione dai pubblici uffici o servizi (art. 289). In tal caso, il giudice procede a interrogatorio ex artt. 64 e 65 prima di decidere sull'applicazione del provvedimento. (5 1 ) La Corte costituzionale con la sentenza n. 192 del 1997 ha dichiarato illegittimo l'art. 293, comma 3, nella parte in cui non prevede la facoltà per il difensore di estrarre copia, insieme all'ordinanza che ha disposto la misura cautelare, della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati con la stessa. (52) Nonostante l'art. 293 , comma 3 , non preveda un termine entro cui deve avvenire la notifica dell'avviso, le Sezioni Unite hanno affermato che il deposito degli atti, di cui all'art. 293, comma 3 , deve precedere, a pena di nullità, l'interrogatorio di garanzia. Così Cass., sez. un., 28 giugno-20 luglio 2005, n.
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n divieto posto al pubblico ministero di sentire l'indagato in custodia cautelare prima che il giudice provveda all'interrogatorio di garanzia. Diffe rente dall'interrogatorio di garanzia è quello cd. investigativo, che è svolto dal pubblico ministero nel corso delle indagini (art. 64 e 65) . L a legge n. 3 3 2 del 1 995 h a vietato che l'interrogatorio investigativo della persona in stato di custodia cautelare sia svolto da parte del pubblico ministero prima dell'interrogatorio di garanzia compiuto dal giudice (art. 294 , comma 6). Si tratta di una regola finalizzata ad evitare che il pubblico ministero possa strumentalizzare la situazione della persona sottoposta a custodia al fine di operare indebite pressioni allo scopo di ottenere confessioni o chiamate di còrreo (53 ) . Pertanto, è il giudice che per primo deve interrogare l'indagato che s i trovi in carcere o in arresto domiciliare; soltanto dopo, nel corso delle indagini, il pubblico ministero potrà procedere all'interrogatorio investigativo di cui all'art. 64 . Il pubblico ministero, in caso di urgenza, può chiedere che l'interrogatorio di garanzia avvenga entro il termine di quarantotto ore dall'esecuzione della misura coercitiva; ma ciò deve essere fatto presente al giudice « nella richiesta di custodia cautelare » (comma 1 -ter) . Occorre segnalare che una disciplina peculiare esiste in materia di arresto in flagranza e di fermo. Una volta disposte tali misure precautelari, il pubblico ministero può procedere all'interrogatorio investigativo prima che si tenga l'udienza di convalida ( art. 3 88, comma l ) ; di conseguenza, in tal caso la pubblica accusa può prendere contatto con l'arrestato in un momento anteriore rispetto al giudice. Ai sensi dell'art. 294 , comma l , se il giudice ha provveduto all'interrogatorio dell'indagato in sede di convalida dell'arresto o del fermo, non è necessario un successivo interrogatorio di garanzia. Quando si svolge l'interrogatorio di garanzia. L'interrogatorio di garanzia è un adempimento che deve essere compiuto dal giudice che ha deciso in ordine 26798, Vitale, in Foro it. , 2005, II, 569: << il mancato deposito in un momento anteriore all'interrogatorio di garanzia compromette la possibilità di una consapevole ed effettiva attuazione del diritto di difesa da parte dell'indagato (o imputato). Una tale omissione, indipendentemente da una espressa disposizione legislativa, realizza una nullità di ordine generale ai sensi dell'articolo 178 lettera c, la quale deve essere eccepita ex articolo 182 comma 2 e 3 immediatamente dopo il suo verificarsi, owero all'inizio dell'interrogatorio stesso >>. (53) La possibile strumentalizzazione è stata ben descritta da G.D. P!sAPIA, Introduzione, in Libertà personale e ricerca della prova, Convegno della Associazione tra gli studiosi del processo penale, Catania, 30 settembre 1 993 , Atti, Milano, 1 995, 7: << L'esperienza di questi anni è, in proposito, tanto eloquente quanto allarmante. Un procuratore della Repubblica ha dichiarato pubblicamente: "Noi li liberiamo quando parlano". Questa frase emblematicamente contiene un'esplicita ammissione della strumentalizzazione che si è fatta, e si tende sempre più a fare, tra la cosiddetta "collaborazione" dell'indagato e il magistrato che lo interroga, il quale gli concederà la libertà come premio per la confessione e per le eventuali chiamate in correità dei concorrenti ». In generale, con riferimento alla situazione psichica che caratterizza l'indagato nel corso dell'interro gatorio, L. MARAFIOTI, Scelte autodz/ensive dell'indagato e alternative al silenzio, Torino, 2000, 141.
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all'applicazione della misura coercitiva o interdittiva quando questa è disposta durante le indagini preliminari, o durante l'udienza preliminare, o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. All 'interrogatorio di garanzia deve provvedere, durante le indagini, l'udienza preliminare e gli atti preliminari al dibattimento, « il giudice che ha deciso in ordine all'applicazione della misura cautelare » (art. 294, comma l ) ; dopo l a dichiarazione di apertura del dibattimento, quando l a misura cautelare è disposta dalla corte d'assise o dal tribunale, all'interrogatorio procede « il presidente del collegio o uno dei componenti da lui delegato » (comma
4-bis) (54). L'interrogatorio di garanzia deve svolgersi entro u n termine breve, e cioè entro cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia in carcere (art. 294, commi l e l -bis) . Per le altre misure cautelari coercitive e interdittive, l'inter rogatorio deve avvenire non oltre dieci giorni dalla esecuzione del provvedi mento o dalla sua notificazione (55) . Lo svolgimento dell'interrogatorio. L a cancelleria del giudice deve dare « tempestivo preavviso » del compimento dell'interrogatorio al pubblico mini stero e al difensore (56). Soltanto il difensore ha l'obbligo di intervenire all'atto; viceversa, il pubblico ministero può anche non essere presente. li compito di porre le domande all'indagato spetta al giudice (art. 294, comma 4) (57) . L'interrogatorio di garanzia si svolge sulla base delle disposizioni generali sull'interrogatorio dell'indagato (artt. 64 e 65) : dati gli avvisi, deve essere contestato all'indagato l'addebito e devono essergli resi noti gli elementi di prova ed anche le fonti, salvo che la conoscenza di queste provochi un pregiudizio per le indagini. Se l'indagato è detenuto, deve essere disposta la registrazione fonografica dell'interrogatorio ai sensi dell'art. 14 1 -bis a pena di inutilizzabilità. La caducazione della misura per omesso interrogatorio di garanzia. L'in terrogatorio non è una formalità inutile; esso può diventare l'occasione per in staurare, con la presenza del difensore, il primo contraddittorio sulla misura cau(54) Per gli interrogatori da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il giudice o il presidente, qualora non ritenga di procedere personalmente, fa richiesta al giudice per le indagini preliminari del luogo (comma 5). (55) S e l'indagato è assolutamente impedito, il giudice n e d à atto con decreto motivato e il termine per l'interrogatorio decorre nuovamente dalla data in cui il giudice riceve comunicazione della cessazione dell'impedimento o comunque accerta la cessazione dello stesso (art. 294 comma 2). (56) Tempestivo è quell'awiso che mette il difensore in grado di intervenire all'atto in modo da fornire un'assistenza professionalmente adeguata e di conferire con l'imputato prima dell'interrogatorio (art. 104). Non sempre la giurisprudenza della Cassazione riconosce questo principio. (57) In realtà, il giudice può avere difficoltà a svolgere l'interrogatorio perché le indagini sono state condotte dal pubblico ministero. Da parte sua, il pubblico ministero sarebbe in grado di porre direttamente le domande, poiché conosce i risultati delle indagini. Ma il codice glielo vieta; egli può soltanto chiedere che il giudice rivolga determinate domande all'indagato.
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telare. Soltanto dopo aver sentito le parti contrapposte, infatti, il giudice è in grado di pronunciare una vera decisione. In particolare, l'art. 294 comma 3 impone al giudice di verificare se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelati al fine di valutare se la misura deve essere revocata o sostituita (5 8). Ad ulteriore conferma della importanza di questo istituto, ricordiamo che le misure cautelati coercitive e interdittive perdono immediatamente efficacia se il giudice non procede all'interrogatorio entro i termini fissati dal codice (art. 3 02 ) (59) . Segnaliamo che, in caso di custodia in carcere disposta prima dell'apertura del dibattimento, il termine è di cinque giorni dall'esecuzione della misura ( art. 294, comma l ) ; per le altre misure coercitive e interdittive il termine è di dieci giorni ( art. 294, comma l -bis) (60) .
4.
Le vicende successive. a.
La revoca e la sostituzione delle misure cautelari personali.
Il codice prevede tre ipotesi nelle quali può essere modificata la misura cautelare applicata: l ) la revoca; 2) la sostituzione in melius; 3 ) la sostituzione in peius (v. tav. 2.6.4 ) . l ) La revoca deve essere immediatamente disposta: a) quando s i accerti che le condizioni generali di applicabilità « risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti » (art. 299, comma l ; ad esempio, gli indizi non risultano essere gravi in seguito alle indagini successivamente svolte dall'accusa o dalla difesa) ; b) quando si accerti che siano venute meno completamente le esigenze cautelati
(58) Tuttavia i correttivi introdotti dalla legge 8 agosto 1995, n. 332 non hanno inciso signiiìcativa mente sull'interrogatorio di garanzia, che resta un istituto inidoneo a soddisfare la difesa. Se nel caso concreto il pubblico ministero è assente ed il difensore presenta eccezioni, il giudice può non essere in grado di decidere se non conosce, come sovente accade, tutti i risultati delle indagini; infatti, non sono depositati tutti gli atti compiuti durante le indagini, ma soltanto quelli che sono stati selezionati dal pubblico ministero. Può accadere così che, se manca il rappresentante dell'accusa, l'indagato non sappia "come" e "contro chi" difendersi. E ancora, se la difesa chiede la revoca o la sostituzione della misura ed il pubblico ministero è assente, il giudice non ha il potere di revocare o sostituire la misura. In base all'art. 299, comma 3 -bis, egli deve attendere fino a due giorni per conoscere l'eventuale parere del pubblico ministero sulla richiesta dell'inda gato. Si ha così la situazione singolare in cui una parte regolarmente preavvisata può impedire, con la sua assenza, che il giudice possa decidere immediatamente sulla libertà personale, e cioè su un diritto qualificato << inviolabile >> dalla Costituzione. (59) Tale disciplina costituisce la risultante di una sentenza additiva della Corte costituzionale (C. cost. , 4 aprile 200 1 , n . 95) . (60) Dopo l a liberazione a causa dell'omissione dell'interrogatorio nei termini, l a misura può essere nuovamente disposta dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, previo un nuovo interrogatorio allorché, valutati i risultati di questo, sussistono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari (artt. 273 , 27 4 e 275) . Nello stesso modo si procede nel caso in cui la persona, senza giustificato motivo, non si presenta a rendere interrogatorio (art. 302).
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(pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di fuga o pericolo del compi mento di gravi delitti) (61 ) . 2) La sostituzione in melius della misura ( o la sua applicazione con modalità meno gravose) deve essere disposta quando le esigenze cautelari, pur non essendo venute meno, risultano « attenuate »; o quando la misura non appare più proporzionata all'entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere inflitta. Resta comunque un ostacolo al potere discrezionale di valuta zione del giudice quando permangono i gravi indizi di commissione di uno dei delitti previsti dall'art. 275 , comma 3 : la custodia in carcere si presume l'unica misura adeguata. Soltanto il venir meno di tutte le esigenze cautelari permette di revocare la misura menzionata (si veda supra, § 2 , lett. d, n. 3 ) . Per quanto riguarda gli aspetti procedimentali, occorre sottolineare che, di regola, sia la revoca, sia la sostituzione in meglio possono essere disposte dal giudice a richiesta dell'imputato o del pubblico ministero (art. 299, comma 3 ) ; eccezionalmente possono essere concesse anche d'ufficio nel corso dell'interro gatorio di garanzia, oppure in udienza (ad esempio, nell'udienza preliminare) o in situazioni ad essa equiparate (ad esempio, in sede di richiesta di incidente probatorio o di proroga dei termini per le indagini) . L'iniziativa d'ufficio del giudice è giustificata dal fatto che la libertà personale è un diritto non dispo nibile ai sensi dell'art. 13 comma l Cast. Prima di emanare il provvedimento, il giudice deve sentire il pubblico ministero (art. 299, comma 3 -bis), audizione che è dovuta ad un principio generale del nostro sistema processuale. n pubblico ministero deve essere avvisato ed ha due giorni per far eventualmente conoscere al giudice il suo parere, che non è vincolante (v. tav. 2 .6.5 ) . Sempre sotto un profilo procedimentale, il giudice è in grado di avere un contatto diretto con l'indagato: infatti, può disporre l'interrogatorio prima di decidere in ordine alla revoca o alla sostituzione della misura cautelare. L'in terrogatorio diventa obbligatorio quando lo abbia chiesto l'indagato e la sua istanza di revoca o di sostituzione sia basata su « elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati » (art. 299, comma 3 -ter). 3 ) La sostituzione in peius della misura cautelare (o la sua applicazione con modalità più gravose) può essere disposta dal giudice soltanto su richiesta del pubblico ministero. Ciò avviene sia quando le esigenze cautelari risultano essersi aggravate (art. 299, comma 4 ) , sia quando l'imputato ha trasgredito le prescri zioni che concernono la misura (art. 276). (61) << In tema di misure cautelari l'art. 299 c.p.p. rappresenta la pratica attuazione del principio secondo cui le condizioni di applicabilità previste dall'art. 273 e le esigenze cautelari di cui all'art. 274 stesso codice debbono sussistere nel corso del procedimento con la conseguenza che, se una di queste, per un motivo qualsiasi, venga a mancare ovvero si modifichi, la misura va revocata ovvero adeguata alla nuova situazione >>. Così, Cass., 10 dicembre 1990, Conversano, in Arch. n. proc. pen., 199 1 , 459.
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li procedimento applicativo segue cadenze diverse dal precedente. Si tratta
di un procedimento segreto, perché la nuova misura può essere disposta " a sorpresa " , come è previsto per la prima applicazione della misura cautelare.
b.
Le cause di estinzione delle misure cautelari personali.
Le misure cautelari personali si estinguono in due modi differenti: l ) in seguito a un provvedimento del giudice che accerta il modificarsi dei presupposti applicativi (ape iudicis) : di ciò abbiamo trattato nel precedente paragrafo (v., ad esempio, il provvedimento di revoca) ; 2 ) di diritto, per perdita di efficacia dovuta al verificarsi di determinati eventi previsti dalla legge (ape legis) . L'estinzione di diritto si verifica in vari casi, dei quali ricordiamo i princi pali: a) quando per il medesimo fatto e nei confronti della medesima persona, alla quale è stata applicata la misura, intervenga un provvedimento anche non definitivo che esclude l'addebito, sia esso un decreto o un'ordinanza di archi viazione, una sentenza di non luogo a procedere o una sentenza di prosciogli mento (art. 3 00 comma l ) ; b ) quando sia decorso il termine massimo di durata della singola misura cautelare prima della definizione del procedimento con sentenza di condanna irrevocabile (artt. 3 03 -308); c) quando una misura disposta per esigenze probatorie non sia rinnovata entro il termine fissato dal giudice nel provvedimento con sentenza di condanna irrevocabile (art. 3 0 1 comma l ) ; d) quando, disposta la misura cautelare coercitiva o interdittiva, l'impu tato non sia stato interrogato dal giudice nel termine indicato dalla legge (art. 3 02 in relazione all'art. 294) (62 ) ; e) quando l a misura, disposta dal giudice dichiaratosi incompetente, non è confermata dal giudice competente entro venti giorni (art. 27); /) quando a seguito di condanna (anche se sottoposta a impugnazione) la pena irrogata è stata dichiarata estinta o è stata condizionalmente sospesa (art. 3 00 comma 3 ) ; g ) quando a seguito di condanna (anche s e sottoposta a impugnazione) la pena irrogata è eguale o inferiore alla custodia cautelare già subita (art. 3 00 comma 4 ) . Procedimento. Quando accerta l a caducazione automatica della misura cautelare per uno dei motivi appena elencati (art. 3 06) , il giudice adotta i provvedimenti necessari per la immediata cessazione della misura stessa e, se si (62)
Vedi Corte cost., sentenza 4 aprile 2001,
n.
95, in Guida dir. , 200 1 , 15, 82.
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tratta di custodia cautelare, dispone l'immediata liberazione della persona interessata, se non detenuta per altra causa (63 ) . Come abbiamo anticipato, le più importanti cause di estinzione delle misure cautelari personali sono la sentenza di proscioglimento ed il superamento dei termini massimi di durata della misura (dei quali tratteremo tra breve). La prima causa di estinzione (sentenza di proscioglimento) comporta l'im mediata perdita di efficacia della misura che sia stata applicata in riferimento ad un determinato fatto di reato, quando per il medesimo sia stata pronunciata una sentenza di proscioglimento od un provvedimento analogo (e cioè, la sentenza di non luogo a procedere o l'archiviazione; art. 3 00 comma l ) (64 ) . È fatto salvo il caso in cui la sentenza abbia accertato l'infermità mentale dell'imputato; infatti, nei confronti di quest'ultimo il giudice può disporre la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario ai sensi dell'art. 3 12 ( art. 3 00 comma 2 ) . S e l'imputato, che sia stato prosciolto, non deve restare detenuto per altro reato, il giudice ordina l'immediata liberazione stabilendo che, per il disbrigo delle relative formalità, l'imputato stesso sia riaccompagnato presso l'istituto carcerario separatamente dai detenuti e senza alcun uso di mezzi di coercizione ( artt. 1 3 1 -bis e 154-bis disp. att.). c.
I termini di durata massima delle misure cautelari personali.
Una delle cause di estinzione delle misure cautelari coercitive è la decor renza del termine di durata massima. Ove esso venga superato, il giudice deve disporre la cessazione degli effetti ( se si tratta di misura obbligatoria o inter dittiva) o la liberazione (se si tratta di misura custodiale e salvo che l'indagato non sia detenuto per altra causa). n termine massimo è stato posto allo scopo di attuare due garanzie costitu zionali. In primo luogo, quella prevista dall'art. 1 3 , comma 5 Cast., secondo cui la legge deve stabilire « i limiti massimi della carcerazione preventiva ». In secondo luogo, la garanzia prevista dall'art. 27, comma 2 Cost. che vieta di anticipare la sanzione penale prima della condanna definitiva. La misura cautelare coercitiva rischierebbe di diventare, di fatto, una " anticipazione" della sanzione, ove non fosse previsto un termine massimo per la sua applicazione. L'istituto della de(63) Quando diviene definitiva la sentenza di condanna inizia l'esecuzione della pena secondo la procedura illustrata nel capitolo sulla esecuzione (artt. 655 ss.). Le misure cautelari applicate fino a quel momento si estinguono perché viene meno la loro funzione cautelare. Nel caso in cui si debba eseguire la pena detentiva nei confronti di colui, che si trovi in stato di custodia in carcere o di arresto domiciliare, l'art. 656 commi 9 e 10 regola la fase di transizione dalla misura cautelare alla esecuzione della pena. (64) La misura così caducata può essere ripristinata soltanto in seguito alla pronuncia di una sentenza di condanna e con riferimento alle esigenze cautelari di cui all'art. 274, comma l , lett. b e c c.p.p. (art. 300, comma 5). In giurisprudenza Cass., 10 luglio 1995, Pandolfo, in Cass. pen., 1 996, 2666.
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correnza del termine serve, pertanto, ad evitare che nell'applicazione pratica venga stravolta la funzione " cautelare" delle misure coercitive. In questa sede, per esigenze di semplificazione, esaminiamo i termini massimi delle misure coercitive " custodiali" (v. tav. 2.6.9); tuttavia, ricordiamo che per le misure obbligatorie i termini sono doppi rispetto a quelli previsti per le misure custodiali (art. 3 08). Per facilitare una migliore comprensione, illustreremo soltanto i termini che operano per la categoria dei reati più gravi, e cioè per i delitti per i quali è previsto l'ergastolo o la pena della reclusione eguale o superiore a venti anni nel massimo. A questa categoria sono equiparati i più gravi delitti ricompresi nell'art. 407 , comma 2, lett. a (v. tav. 2 .6.10). Delle cause di sospensione e delle proroghe faremo brevi cenni non esaustivi, perché la materia non può essere esposta compiutamente in questa sede. Ancora una premessa è necessaria. I termini massimi di custodia cautelare coprono il periodo di tempo che va dalla esecuzione della misura coercitiva o dal fermo o dall'arresto (art. 297 ) , fino a quando la sentenza di condanna è diventata irrevocabile (art. 648 ) . Soltanto da questo momento inizia l'esecuzione della sanzione. Non è compito agevole classificare i termini di custodia cautelare previsti dal codice: per unanime rilievo della dottrina, la disciplina in oggetto costituisce un sistema contorto e farraginoso che si ricava dal collegamento tra disposizioni diverse. Il codice prevede varie tipologie di termini. Da un lato, vi sono i termini massimi intermedi (o di fase) ricollegati a determinate fasi (o gradi) del proce dimento (art. 3 03 , comma l ; es. le indagini preliminari); da un altro lato, vi è il termine massimo complessivo fino alla sentenza irrevocabile (art. 3 03 , comma 4 ) . I termini intermedi. I termini massimi intermedi hanno la caratteristica di essere autonomi tra loro e cioè operano soltanto in quella determinata fase (o grado) del procedimento. Una volta conclusa la fase (o grado) anteriore, inizia a decorrere il successivo termine intermedio, anche se il periodo di tempo precedente non è stato utilizzato per intero. Nel caso in cui, a seguito di annullamento della sentenza o per altra causa, il procedimento regredisca alla fase (o grado) precedente (o sia rinviato ad altro giudice) , inizia a decorrere nuovamente il termine relativo a quella fase (art. 3 03 , comma 2) (65 ) . n primo termine intermedio copre il periodo d i tempo che va, d a quando è stata eseguita la misura già nel corso delle indagini, fino al provvedimento che dispone il giudizio o fino all'ordinanza che dispone il giudizio abbreviato o fino alla sentenza di patteggiamento (art. 3 03 , comma l , lettera a). In relazione ai più (65) Merita precisare che la disciplina è stata oggetto di una profonda modifìca, introdotta dalla legge n. 144 del 2000. La riforma ha dato autonoma rilevanza al rito abbreviato nel computo dei termini di durata massima della custodia cautelare.
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gravi delitti, entro un anno deve intervenire il provvedimento sopra menzionato; il termine può essere prorogato fino a sei mesi, se sono necessari accertamenti particolarmente complessi e sussistono gravi esigenze cautelari (art. 3 05 , comma 2) (66). n secondo termine intermedio copre il periodo di tempo che va dal rinvio a giudizio (o dalla sopravvenuta esecuzione della misura) fino alla sentenza di condanna di primo grado (art. 3 03 , comma l , lettera b) . In relazione ai più gravi delitti, la condanna deve intervenire entro un anno e sei mesi. In caso di giudizio abbreviato la condanna deve essere pronunciata entro nove mesi (67 ) . Merita ricordare che in ipotesi particolari il termine intermedio appena menzionato può essere allungato. La legge n. 4 del 200 1 , che ha convertito con modificazioni il decreto legge n. 341 del 2000, ha stabilito che, quando si procede per i delitti previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a (gravi delitti di criminalità organizzata e di violenza sessuale) i termini intermedi relativi alla fase del giudizio sono aumentati « fino a sei mesi » (68). Tuttavia tale termine "supplementare" non incide sulla durata complessiva della custodia; la legge, infatti, ha previsto un meccanismo di computo, che permette di neutralizzare il supplemento mediante una rimodulazione degli altri termini intermedi. In prima battuta, il termine supplementare viene imputato all'eventuale residuo della fase precedente (art. 3 03 , comma l, lett. b, n. 3 -bis) . Se non esiste alcun residuo, o se esso risulta insufficiente a coprire per intero il termine supplementare, la legge consente di prendere a prestito una parte dei termini relativi al giudizio in cassazione, che vengono corrispondentemente ridotti (art. 303 , comma l , lett. d) . In tal modo, il legislatore h a effettuato una rimodulazione dei termini intermedi, senza incidere sulla durata complessiva dei medesimi (69). n terzo termine intermedio copre il periodo di tempo che va dalla pronuncia della condanna di primo grado (o dalla sopravvenuta esecuzione della misura) fino alla condanna in grado di appello; questa deve intervenire entro un anno e sei mesi (art. 303 , comma l , lettera c) . n quarto termine intermedio copre il periodo di tempo che va dalla pronuncia della condanna di secondo grado (o dalla sopravvenuta esecuzione della misura) fino alla sentenza irrevocabile, che deve intervenire entro un anno e sei mesi (art. 303 , (66) La legge n. 144 del 2000 ha previsto che la proroga possa altresì essere disposta quando il pubblico ministero procede a nuove indagini sollecitate dalla difesa a seguito dell'awiso di conclusione delle indagini (art. 4 15-bù) e sempre che sussistano esigenze cautelari. La proroga è disposta dal giudice su richiesta del pubblico ministero, sentito il difensore dell'imputato. (67) La modifica in oggetto è una diretta conseguenza della fisionomia che il giudizio abbreviato ha assunto a seguito della legge n. 479 del 1 999. In particolare, tale rito può divenire sede di integrazione probatoria e ciò comporta un fisiologico allungamento della sua durata. (68) Il novero dei reati previsti dall'art. 407 è stato integrato dallo stesso decreto legge n. 3 4 1 del 2000, convertito nella legge 19 gennaio 200 1 , n. 4 (c.d. decreto antiscarcerazioni), dal decreto legge 5 aprile 200 1 , n. 9 8 , convertito nella legge 14 maggio 200 1 , n. 1 96 (durata delle indagini preliminari i n relazione a i delitti contro la personalità dello Stato), dal decreto legge n. 374 del 200 1 , convertito in legge n. 438 del 2001 (sul terrorismo nazionale e internazionale) e, infine, dalla legge n. 228 del 2003 (in materia di tratta di persone). (69) La previsione costituisce chiaramente un'applicazione del c.d. doppio binario per i reati di criminalità organizzata.
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comma l , lettera d) . n termine predetto non opera quando vi è stata condanna sia in primo grado sia in appello (cosiddetto criterio della "doppia conforme" ) o quando l'impugnazione sia stata proposta soltanto dal pubblico ministero. In tal caso si applica il termine complessivo, che veniamo ad illustrare. n termine massimo complessivo si riferisce alla durata dell'intero procedimento. Esso costituisce il limite entro il quale deve intervenire la sentenza di condanna irrevocabile ed opera a prescindere dalla durata dei singoli termini intermedi. Per i delitti più gravi il termine è di sei anni e comprende le eventuali proroghe che siano state concesse ai sensi dell'art. 3 05 . I termini finali. L'articolo 3 04, comma 6 prevede i cosiddetti termini finali comprensivi della sospensione, oltre i quali la custodia cautelare non può comunque protrarsi, neppure nelle ipotesi di sospensione (70). I termini finali consistono in un allungamento dei termini massimi (intermedi e complessivi). I termini /inali intermedi sono pari al doppio dei termini intermedi, che abbiamo illustrato (7 1 ) ; il termine finale complessivo è pari al termine complessivo aumentato della metà (e cioè a nove anni per i reati più gravi) (72 ) . (70) L'art. 304 disciplina l a sospensione dei termini d i durata massima della custodia cautelare. S i tratta di un istiruto che in ragione di determinate esigenze processuali comporta una stasi nel decorso dei medesimi. Tuttavia, la privazione della libertà personale non può protrarsi per un periodo indefinito in ragione dei princìpi costituzionali poc'anzi ricordati. (7 1 ) In tali termini non si computa la causa di sospensione prevista dall'art. 304, comma l, lett. b, relativa alla sospensione o al rinvio del dibattimento per fatto del difensore. Inoltre, ai fini del computo dei termini finali intermedi, non si tiene conto del termine supplementare previsto dall'art. 3 03 , comma l, lett. b, n. 3 -bis. (72) Oggetto di acceso dibattito anche in tempi recenti è stato il criterio da adottare al fine di calcolare i termini finali in caso di regressione del procedimento. L'art. 303, comma 2 disciplina l'ipotesi nella quale il procedimento regredisca ad una fase o ad un grado precedente o sia rimesso ad altro giudice, in caso di annullamento con rinvio da parte della corte di cassazione o per altra causa. In tale situazione la disposizione stabilisce che i termini intermedi decorrono di nuovo relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento dalla data del prowedimento che dispone il regresso. La giurisprudenza di legittimità si chiedeva se, in caso di regresso ad una fase precedente, il termine di custodia cautelare fosse quello massimo complessivo (pari a sei anni per i reati più gravi; art. 303 comma 4 c.p.p.) owero quello finale intermedio relativo alla fase alla quale il processo era regredito (pari a tre anni per i reati più gravi; art. 3 04 comma 6 c.p.p . ) . Chiamata a pronunciarsi sul punto, la Corte costituzionale, con una sentenza interpretativa di rigetto, ha optato per l'applicazione del termine finale intermedio (art. 304 comma 6 c.p.p.). Successivamente la giurisprudenza si è nuovamente divisa. Da un lato, vi sono state pronunce che hanno considerato il termine finale intermedio come uno sbarramento di carattere assoluto da calcolare tenendo conto di tutta la custodia cautelare sofferta dall'inizio della fase alla quale il procedimento è regredito e non soltanto di quella riferibile a detta fase. Da un altro lato, vi sono state sentenze che hanno calcolato i termini finali intermedi per ciascuna fase alla quale si riferiscono, sommando tra loro i vari periodi di carcerazione sofferti in fasi o gradi omogenei. Le Sezioni unite avevano fatto proprio questo secondo indirizzo (Cass., sez. un., 19 gennaio 2000, Musitano, in Dir. giust., 2000, n. 9, 60). Nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Corte costituzionale ha espressamente contraddetto le Sezioni unite per ribadire che il termine finale, pari al doppio del termine di fase, opera oggettivamente e concerne anche la custodia cautelare subita dall'imputato in fasi diverse (Corte cost., ord. 15-22 novembre 2000, n. 529, in Dir. giust., 2000, n. 45, 88). A seguito della ordinanza costiruzionale la giurisprudenza si è ancora una volta divisa. Con due pronunce interpretative di rigetto la Corte cost. ha ribadito il proprio orientamento (Corte cost., ord. 15 luglio 2003, n. 243 , in Cass. pen , 2003 , 33-13. Nello stesso senso, successivamente, Corte cost., ord. 7 novembre 2003, n. 3 35). Con una ulteriore sentenza le Sezioni unite hanno riaffermato la propria tesi, in dichiarato contrasto con il Giudice delle leggi e precisando che le sentenze interpretative di rigetto non hanno valore vincolante. Alla questione ha posto fine la Corte costituzionale con la sentenza n. 299 del 2005 che ha dichiarato incostituzionale
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Vi è infine un termine sussidiario, che opera solo se più favorevole dei termini ora ricordati. Esso è pari a due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza. A tal fine la pena dell'ergastolo è equiparata alla pena massima temporanea e cioè trenta anni. Estinzione della custodia. Ove la custodia cautelare superi i termini massimi previsti dal codice, la stessa si estingue di diritto e l'imputato deve essere liberato immediatamente (art. 3 06). n giudice dispone una fra le altre misure delle quali ricorrono i presupposti, soltanto se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare (art. 307, comma l , mod. dal decreto legge n. 3 4 1 del 2000, conv. i n legge n. 4 del 200 1 ) . La custodia è ripristinata se l'imputato ha trasgredito le prescrizioni della nuova misura cautelare (art. 3 07 , comma 2, lett. a) o se è stata emessa sentenza di condanna in primo o secondo grado e vi è pericolo di fuga (art. 307 , comma 2 , lett. b) (73 ) . Termini d i durata massima delle misure diverse dalla custodia cautelare. Per completare il quadro, si possono ricordare i diversi termini che valgono per le misure coercitive obbligatorie e per le misure interdittive. Le misure obbligatorie (divieto di espatrio, obbligo di presentarsi alla polizia o obbligo di dimora), come abbiamo visto, sono vincolate a termini intermedi e comples sivi pari al doppio di quanto è previsto per la custodia cautelare (art. 308, comma 1 ) . Le misure interdittive (artt. 288-290) perdono efficacia dopo due mesi dall'inizio della loro esecuzione. Tuttavia il giudice può disporre la rinnovazione della misura quando questa è stata applicata per esigenze probatorie (art. 308, comma 2) . Resta fermo un termine massimo che consiste nel doppio dei termini intermedi e complessivi previsti per la custodia cautelare. I termini intermedi e complessivi di custodia cautelare (art. 303) sono ridotti della metà per i reati commessi da minori degli anni diciotto e di due terzi per quelli commessi da minori di anni sedici (art. 23 min.). L e contestazioni a catena. L'esame della regolamentazione dei termini di custodia cautelare non sarebbe completo senza un cenno alla disciplina repressiva del fenomeno delle cosiddette « contestazioni a catena ». Con tale espressione si allude a quelle ipotesi, patologiche, nelle quali in tempi successivi il pubblico ministero chieda ed ottenga l'emissione di più ordinanze applicative della custodia cautelare nei confronti del medesimo imputato in relazione al medesimo fatto o a fatti comunque già noti ab initio all'autorità giudiziaria. Tale comportamento persegue lo scopo di spostare in
l'art. 303 comma 2 nella parte in cui, in caso di regressione del procedimento, non consente di tener conto, ai fini dell'eventuale scarcerazione per decorrenza dei termini, di tutta la custodia patita dall'imputato nelle fasi intermedie del processo. (73) Le Sezioni unite della Corte di cassazione si sono pronunciate in merito al ripristino della custodia in carcere, contestualmente alla sentenza di condanna di primo grado, nei confronti di soggetti già scarcerati per decorrenza del termine massimo di durata della misura coercitiva. Conformemente al sistema di garanzie delineato dalla Costituzione è stato affermato che, quando è stata disposta la scarcerazione per decorrenza del termine massimo di custodia cautelare, ai fini del ripristino della stessa ai sensi dell'art. 307 comma 2 lett. b, il pericolo di fuga non può essere presunto esclusivamente in ragione del titolo di reato contestato, con riferimento all'art. 275 comma 3, ma devono esistere ulteriori elementi che facciano ritenere probabile che l'inquisito faccia perdere le sue tracce. Cfr. Cass., sez. un., l l luglio 2001 , n. 27, Litteri ed altri, in Casr. pen.,
2002, 36.
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avanti l'inizio della decorrenza dei termini di custodia cautelare, così da prolungare la durata della misura ed aggirare i limiti stabiliti dalla legge. L'art. 297, comma 3 , prevede una apposita disciplina in relazione a tale prassi illegittima (v. tav. 2.6.12). Infatti stabilisce che se nei confronti del medesimo imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, anche se diversamente circostan ziato o qualificato, « ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza » in relazione ai quali sussiste connessione qualificata (art. 12 lett. b e lett. c limitatamente ai casi di reati commessi per eseguirne altri), i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati alla imputazione più grave (retrodatazione automatica) . L'art. 297, comma 3 , secondo periodo precisa altresì che tale disciplina « non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste » il vincolo di connessione sopra precisato. Può essere utile ricordare che la s.e. ha affermato che ricorre il presupposto dello stesso fatto ex art. 297 comma 3 anche nel caso di continenza della seconda contestazione nella prima, cioè quando la condotta contestata successivamente non coincida in toto con quella considerata nel primo provvedimento, ma ne costituisca una specificazione (Cass., sez. VI, 13 luglio 1998, n. 2498, in Cass. pen. , 2000, 1 3 1 ) . I princìpi. L e disposizioni ricordate, estremamente laconiche, hanno costituito oggetto di una serie di contrasti interpretativi, progressivamente risolti dalle Sezioni unite e dalla Corte costituzionale. il Supremo collegio, nella sua composizione più autorevole, ha enunciato i seguenti princìpi (74): l ) nel caso di emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare per fatti diversi, commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologica, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive, prevista dall'art. 297, comma 3 primo periodo, opera indipendentemente dalla possibilità, al momento dell'emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l'esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l'esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure; 2) quando nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, opera la retrodata zione prevista dall'art. 297 comma 3 anche rispetto ai fatti oggetto di un " diverso" procedimento, se questi erano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o i fatti oggetto della prima ordinanza. La regola della retrodatazione è applicabile sia nel caso in cui da un unico procedimento vengano separate le indagini concernenti taluni fatti, sia in quello in cui i procedimenti diversi riguardino autonome iniziative del pubblico ministero, assunte anche dopo il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza, purché riguardanti fatti che erano già emersi nel corso delle indagini; 3 ) nel caso di emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare per fatti diversi, tra i quali non sussiste la connessione prevista dall'art. 297 , comma 3 , i termini delle misure disposte con le (74)
Cass., sez.
un.,
22 marzo 2005, Rahulia, in Guida dir. , 2005, 34, 70.
II.VI.4 . d
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ordinanze successive decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, se al momento dell'emissione di questa erano desumibili dagli atti gli elementi che hanno giustificato le ordinanze successive. Quest'ultimo principio è stato confermato dalla Corte costituzionale, la quale, al fine di evitare possibili contrasti giurisprudenziali sul punto, ha dichiarato costituzio nalmente illegittimo l'art. 297 comma 3 nella parte in cui non impone la retrodatazione della custodia anche in relazione a fatti diversi non connessi « quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza » (Corte costituzionale, sentenza 3 novem bre 2005 n. 408) (75 ) . L a giurisprudenza più recente sulle contestazioni a catena. L a sentenza della Corte costituzionale, tuttavia, non aveva chiarito se la retrodatazione potesse operare soltanto nel procedimento riunito oppure anche in procedimenti diversi relativi a reati non connessi. Sul punto, si sono nuovamente pronunciate le Sezioni unite ( l O aprile 2007, n. 14535, Librato, in www. dirittoegiustizia. it, 1 1 aprile 2007) . Ad avviso del Supremo collegio, quando sono emesse più ordinanze cautelari in procedimenti diversi contro il medesimo imputato, per fatti non legati da connessione qualificata, la retrodatazione può operare soltanto se sussistono le seguenti condizioni: l ) i procedimenti sono in corso di fronte alla stessa autorità giudiziaria; 2) la separazione è frutto di una scelta operata dal pubblico ministero. Naturalmente, la retrodatazione opera alle medesime condizioni stabilite dall'art. 297 comma 3 , così come risultante all'esito della declara toria di incostituzionalità e cioè se gli elementi, che giustificano il secondo provvedi mento, erano desumibili dagli atti al momento della emissione della prima ordi nanza (76). d.
La sospensione del decorso dei termini.
n decorso dei termini di custodia cautelare può essere sospeso soltanto in ipotesi tassativamente indicate e per una durata che non può comunque eccedere un ammontare prefissato. La sospensione può essere definita come una stasi nella decorrenza di un termine, imposta da peculiari esigenze sostanziali, che inducono a non tenere conto di tale periodo nel computo della durata del termine stesso. n codice ha predisposto tale istituto (in conformità alla direttiva n. 6 1 della legge delega) per evitare una eccessiva rigidità dei termini di custodia (75) In tal modo il Giudice delle leggi ha posto rimedio ad una lacuna già da tempo segnalata in dottrina; cfr. C. CoNTI, Le contestazioni a catena nell'applicazione della custodia cautelare: dalla repressione di un abuso ad un automatismo indifferenziato, in Riv. it. dir. proc. pen., 200 1 , 1297-1298. (76) Con la sentenza 18 maggio 2009, Iaccarino, in Dir. pen. proc. , 2009, 834, le Sezioni unite hanno ulteriormente chiarito l'ambito applicativo del divieto di contestazioni a catena. In particolare, il Supremo collegio ha affermato che la disciplina della retrodatazione dei termini di custodia cautelare non opera quando per i fatti di cui alla prima ordinanza l'imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all'adozione della seconda misura. In tal caso, infatti, per un verso, il periodo di custodia trascorso in forza della prima ordinanza viene computato come presofferto nella pena irrogata (art. 657). Per un altro verso, il divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto, stabilito dall'art. 649, configura una preclusione anche rispetto alla emissione di una nuova misura cautelare e, pertanto, rende superflua l'applicazione della disciplina sulle contestazioni a catena.
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cautelare e per assicurare un adeguato bilanciamento tra esigenze di garanzia ed istanze di difesa sociale. Sono previste tre cause sospensive generali, che si riferiscono a tutti i reati (art. 3 04 comma 1 ) , ed una causa sospensiva speciale, applicabile soltanto nei procedimenti relativi ad alcuni delitti particolarmente gravi (art. 3 04 comma 2 ) (v. tav. 2.6. 1 1 ) . Cause sospensive generali. L a prima causa sospensiva generale è prevista in caso di sospensione o rinvio del dibattimento, dell'udienza preliminare o del giudizio abbreviato per impedimento dell'imputato o del suo difensore, oppure su richiesta di questi ultimi (art. 3 04 comma l , lett. a). Per espresso disposto normativa la stasi non opera qualora la sospensione o il rinvio dell'udienza siano stati disposti a cagione di esigenze istruttorie o a seguito di concessione di termini a difesa (77). La seconda causa sospensiva generale concerne le ipotesi di sospensione o rinvio del dibattimento, dell'udienza preliminare o del giudizio abbreviato dovuti alla mancata presentazione, all'allontanamento o alla mancata parteci pazione di uno o più difensori che rendano privo di assistenza uno o più imputati (art. 3 04 comma l , lett. b) . Le ipotesi di sospensione finora descritte incontrano limiti soggettivi qua lora si celebrino processi cumulativi: la stasi dei termini di custodia non si applica ai coimputati estranei alla causa che ha dato luogo alla sospensione, quando essi abbiano chiesto lo stralcio del procedimento a loro carico (art. 3 04 comma 5 ) . L'ultima causa sospensiva generale scatta nel giudizio ordinario o nel rito abbreviato durante la pendenza dei termini per la redazione della motivazione ai sensi dell'art. 544 commi 2 e 3 c.p.p. (art. 3 04 comma l , lett. c) . Nelle ipotesi appena esposte la sospensione è disposta dal giudice con ordinanza appellabile a norma dell'art. 3 1 0 c.p.p. (78). Causa sospensiva speciale. La causa sospensiva speciale è prevista in (77) La Suprema Corte ha messo fine ad un contrasto giurisprudenziale in ordine alla ammissibilità della sospensione dei termini di custodia cautelare in presenza di una istanza di ricusazione. In passato era stato sostenuto che l'istanza di ricusazione doveva essere ricompresa tra i casi di sospensione dei termini di custodia (Cass., sez. l, 18 ottobre 1991 , Cirillo, in Giust. pen., 1992, III, p. 586). La sentenza Cass., sez. un., 20 settembre 2002, n. 20, in Dir. pen. proc., 2002, 1358, ha statuito che la dichiarazione di ricusazione non implica necessariamente la sospensione o il rinvio del processo. Pertanto, non è legittimo un eventuale provvedimento di sospensione dei termini cautelari, stante la regolare prosecuzione della attività processuale. Diversamente, nel caso in cui la dichiarazione di ricusazione intervenga immediatamente prima della deliberazione finale, si verifica una sospensione ex lege del processo, quale effetto indiretto della richiesta. Pertanto, il giudice ricusato può adottare il provvedimento di cui all'art. 304 comma l. (78) Secondo Cass., sez. III, 26 aprile 2006, Sheu, in www.dirittoegiustizia.it, 28 ottobre 2006, nel caso in esame il presupposto della sospensione ha natura discrezionale, perché connesso alla valutazione della particolare complessità della motivazione della sentenza, e per conseguenza deve essere verificato nel contraddittorio attuale o potenziale delle parti.
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relazione ai dibattimenti ed ai giudizi abbreviati relativi a delitti di criminalità organizzata, terrorismo et similia (art. 407 comma 2 , lett. a) qualora l'accerta mento risulti particolarmente complesso (art. 3 04 comma 2) (79). La sospen sione "per complessità " opera durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulle impu gnazioni ed è disposta dal giudice su richiesta del pubblico ministero con ordinanza appellabile ai sensi dell'art. 3 1 0. I termini finali. La sospensione dei termini massimi di custodia cautelare non può protrarsi a tempo indeterminato. All ' uopo, l'art. 3 04 comma 6 prevede un apparato di termini " finali" calcolati in relazione all'ammontare dei termini intermedi e complessivi disciplinati dall'art. 3 03 . La durata della custodia non può comunque superare il doppio dei termini intermedi o il termine comples sivo aumentato della metà. Vi è, da ultimo, un termine finale detto sussidiario, che opera soltanto se più favorevole rispetto agli altri termini finali ed è pari a due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza ( art. 3 04 comma 6).
5.
Le impugnazioni contro le misure cautelari personali. a.
Considerazioni preliminari.
I provvedimenti che applicano, modificano o revocano le misure cautelati sono impugnabili nei casi previsti dalla legge. n codice prevede tre mezzi di impugnazione: il riesame, l'appello ed il ricorso per cassazione. n procedimento relativo al singolo mezzo di impugnazione si svolge in modo autonomo rispetto al procedimento penale, che segue il suo corso; ciò significa che l'impugnazione contro una misura cautelare costituisce un procedimento incidentale, che si sviluppa parallelamente allo svolgersi del procedimento principale (v. tav. 2.6.6). n riesame è ammesso di regola soltanto contro le ordinanze che applicano per la prima volta (ab initio) una misura coercitiva; la richiesta può essere proposta esclusivamente dall'imputato o dal suo difensore, non dal pubblico ministero. L'appello è ammesso nei confronti di tutti gli altri provvedimenti in tema di misure cautelati personali. Esso può essere proposto dall'imputato, dal suo difensore e dal pubblico ministero. Competente a decidere sia sul riesame, sia sull'appello è il tribunale (in composizione collegiale) del capoluogo del di stretto di corte d'appello nel quale ha sede il giudice che ha disposto la misura (79) Merita precisare che, a seguito della legge n. 144 del 2000, la sospensione può essere disposta anche quando si procede a giudizio abbreviato. In generale, sull'istituto, C. CoNTI, La sospensione dei termini di custodia cautelare, Padova, 200 1 .
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(art. 3 09, comma 7 ) ; nella prassi, tale organo è denominato " tribunale della libertà" . n ricorso per cassazione è ammesso di regola contro le decisioni emesse in sede di riesame e di appello. In via eccezionale tale ricorso è consentito, in alternativa al riesame, contro l'ordinanza che applica una misura coercitiva per la prima volta: il ricorso per saltum può essere proposto esclusivamente dal l'imputato o dal suo difensore (art. 3 1 1 , comma 2 ) . L a caratteristica comune ai tre mezzi di impugnazione sta nel fatto che essi non hanno efficacia sospensiva sul provvedimento che limita la libertà personale (art. 588, comma 2 ) . Ciò vuoi dire che la misura cautelare continua ad avere effetto, nonostante che sia stata presentata impugnazione (v. tav. 2.6.8). b.
n riesame.
n riesame è una impugnazione completamente devolutiva, che permette all'imputato di ottenere il controllo giurisdizionale sulla legittimità e sul merito del provvedimento che applica una misura coercitiva ab inz"tzò. Il riesame si distingue nettamente dall'appello, che è un'impugnazione ad effetto limitata mente devolutivo (si vedano, sul punto, i principi generali delle impugnazioni, parte VI) e che permette di controllare tutti i rimanenti provvedimenti presi dal giudice in tema di misure cautelati personali (ad esempio, il diniego della revoca richiesta dall'imputato o il rigetto della richiesta del pubblico ministero ten dente ad ottenere una misura cautelare personale) (v. tav. 2.6.7 ) . D a quanto abbiamo anticipato, si ricavano le fondamentali caratteristiche del riesame. Poiché si tratta di un'impugnazione completamente devolutiva, il tribunale ha il potere di valutare la legittimità ed il merito della misura coercitiva (dalla custodia in carcere al divieto di espatrio) senza essere vincolato né dagli
eventuali motivi del ricorso dell'imputato, né dalla motivazione del provvedi mento che ha applicato la misura (art. 309, comma 9). Il riesame dà luogo ad un veloce procedimento, in quanto il tribunale della libertà deve decidere sulla richiesta dell'imputato (o del suo difensore) entro termini brevi e perentori a pena della perdita di efficacia della misura coercitiva (art. 3 09, comma 10). Oggetto del riesame. Occorre sottolineare che il riesame consiste nella im pugnazione di un provvedimento che applica per la prima volta una misura co ercitiva: esso non ha ad oggetto l'intero rapporto giuridico attinente alla libertà personale dell'indagato (80). Infatti, su di una eventuale richiesta di quest'ultimo (80) Pertanto, in tale sede non possono essere conosciuti i fatti estintivi sopravvenuti, come la perdita di efficacia della misura per omesso o tardivo interrogatorio di garanzia. Si veda Cass., sez. un., 5 luglio 1 995, Galletto, in Cass. pen., 1995, 2874. Secondo Cass., sez. V, 24 novembre 1 999, Frroku, in Cass. pen., 200 1 , 1567 , « il giudizio d i riesame è preordinato soltanto a verificare i presupposti legittimanti l'avvenuta adozione della misura cautelare, mentre restano esclusi quelli riguardanti la sua persistenza >>.
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tendente ad ottenere la revoca o la sostituzione della misura coercitiva non è competente il tribunale della libertà, bensì il giudice che procede (durante le indagini, il giudice per le indagini preliminari ex art. 279) . Inoltre, contro il prov vedimento che sostituisce, rinnova, modifica o ripristina una misura coercitiva inizialmente applicata non è ammesso il riesame, bensì l'appello; è ammesso il riesame soltanto se, a seguito della revoca, successivamente è stata applicata una nuova misura che sia basata su presupposti diversi ( 8 1 ) . Abbiamo accennato che oggetto del riesame è il provvedimento che applica " inizialmente" una misura coercitiva (82 ) . Pertanto, non può formare oggetto di riesame la misura cautelare disposta dal tribunale della libertà all'esito dell' ap pello proposto dal pubblico ministero contro il provvedimento che aveva negato l'applicazione di una misura cautelare (art. 3 09, comma 1 ) . In questo caso l'imputato può avvalersi soltanto del ricorso per cassazione. n tribunale della libertà valuta i presupposti della misura coercitiva tenendo conto sia degli atti che erano conosciuti dal giudice, che ha emanato il provvedimento, sia degli atti e documenti che le parti hanno presentato successivamente al tribunale stesso. Procedimento. La richiesta di riesame deve essere presentata dall'imputato o dal suo difensore entro il termine di dieci giorni a pena di inammissibilità (83 ) . Quest'ultimo per l'imputato decorre dall'esecuzione o dalla notificazione del provvedimento; per il difensore decorre dalla notifica dell'avviso di deposito dell'ordinanza che dispone la misura (84 ) . L a richiesta di riesame può contenere i motivi per i quali l'imputato chiede che il provvedimento sia annullato o modificato; ma può anche essere non (81) Conviene precisare, inoltre, che l'imputato può avere interesse al riesarne anche nel caso in cui sia già stata disposta la revoca della stessa misura cautelare ex art. 299. Infatti, l'imputato può essere interessato ad una pronuncia del tribunale della libertà sull'esistenza o meno dei presupposti di merito della misura cautelare (es. gravi indizi di colpevolezza, sui quali non si è pronunciato il giudice che ha disposto la revoca) anche ai fini di una eventuale richiesta di riparazione per ingiusta detenzione ai sensi dell'art. 3 14, comma 2 (si veda infra, par. 5, /!. (82) È necessario poi precisare che il tribunale della libertà ha una competenza generale ed esclusiva in tema di ordinanze impositive di misure coercitive; quindi sussiste nei confronti di provvedimenti emessi in qualsiasi fase e anche adottati nel corso del giudizio; così Cass., sez. un., 23 novembre 1990, Santucci, in Cass. pen., 1991, II, 142. (83) In materia cautelare vale il principio di unicità del mezzo d'impugnazione, in base al quale la presentazione dell'istanza di riesarne da parte dell'imputato preclude al suo difensore di presentare impu gnazione contro il medesimo provvedimento se sulla prima richiesta il tribunale ha già deciso; nel caso contrario, il secondo gravarne confluisce nel primo integrandone i motivi, in tal senso vedi Cass., sez. VI, 22 giugno 1995, Emanuello, in C.E.D., n . 202774. (84) Cass., sez. un., 26 marzo 2003, Mario, in Cass. pen., 2003 , 2572, ha stabilito che il termine per la proposizione della richiesta di riesarne da parte del difensore dell'imputato non può decorrere dal giorno della sua partecipazione all'interrogatorio di garanzia o di altro evento che faccia presumere che il difensore conosca il provvedimento impugnato; contra Cass., sez. V, 13 giugno 2002, Mirabella, in Dir. pen. proc., 2003 , 32; Cass., sez. I, 8 novembre 2000, Staterini, in Arch. n. proc. pen., 200 1 , 5 7 1 , ritengono equipollenti alla notifica dell'avviso di deposito dell'ordinanza il compimento da parte del patrocinatore di attività difensive quali la presentazione dell'istanza di revoca.
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motivata (art. 3 09, comma 6). La richiesta è presentata nella cancelleria del tribunale della libertà; il presidente fa dare immediato avviso all'autorità procedente (che durante le indagini preliminari è il pubblico ministero) . Questi deve trasmettere al tribunale, entro cinque giorni dalla richiesta di riesame (85 ) , sia gli atti presentati quando aveva chiesto a suo tempo la misura coercitiva, sia « tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini » (art. 3 09, comma 5 ) (86) . Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia (art. 3 09, comma 8 ) . In seguito all'udienza in camera d i consiglio, entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, il tribunale deve depositare il dispositivo della sua deci sione (87 ) . I due termini appena menzionati (cinque e dieci giorni) sono perentori; in caso di loro inosservanza, le misure coercitive perdono effica cia (88) . Pur trattandosi palesemente di termini in favore dell'imputato, questi non può rinunciarvi; ed infatti la legge non prevede che l'imputato chieda al tribunale di rinviare l'udienza per consentire alle parti di presentare elementi ulteriori o per permettere una valutazione più approfondita (89). Poteri del tribunale del riesame. Il tribunale ha un potere cognitivo molto limitato; può decidere sugli atti scritti presentati dal pubblico ministero e non su tutti gli atti di indagine raccolti fino a quel momento; soltanto in seguito alla legge 8 agosto 1995 , n. 332, il pubblico ministero deve trasmettere « tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini » (art. 309, comma 5 ) . Inoltre, per effetto della legge n. 3 97 del 2000 il difensore può (85) La Corte costituzionale con la sentenza n. 232 del 1998 ha sancito che, ai fini della decorrenza del termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti, vale come dies a quo il giorno in cui la richiesta perviene alla cancelleria del tribunale del riesame. li termine di cinque giorni deve considerarsi non osservato quando gli atti non pervengano, nei cinque giorni dall'awiso, al tribunale del riesame, a nulla rilevando che il loro invio sia avvenuto entro tale termine. In tal senso vedi Cass., sez. un., 17 novembre 1997, Schillaci, in Dir. pen. proc. , 1998, 338. (86) Con riferimento alla sopravvenienza la giurisprudenza accoglie una nozione lata, ritenendo che l'obbligo di astensione riguardi sia gli elementi probatori storicamente verificatisi dopo la richiesta, sia quelli che, benché verificatisi prima della richiesta, hanno assunto una rilevanza a favore del soggetto solo in un secondo momento a causa del mutato quadro probatorio e dei risultati delle indagini difensive: Cass., sez. V, 26 novembre 1996, Marmai, in Casr. pen., 1998, 1 8 1 . Inoltre, l'obbligo di trasmissione riguarda solo gli elementi sopravvenuti di cui il p.m. ha la disponibilità entro il termine ex art. 309 comma 5 c.p.p. Non è prevista alcuna sanzione nel caso di mancata trasmissione di elementi sopravvenuti in possesso della pubblica accusa in un momento successivo al termine perentorio indicato nell'articolo sopramenzionato: Cass., sez. I, 6 dicembre 1996, Prandato, in Cass. pen., 1996, 3734. (87) Cass., sez. un., 25 marzo 1998, Manno, in Casr. pen., 1998, 2595, ritiene sufficiente il deposito del solo dispositivo; la motivazione dovrà essere redatta entro il termine meramente ordinatorio di cinque giorni ex art. 128 c.p.p. (88) Nonostante la perdita di efficacia della misura il tribunale della libertà deve comunque decidere sul merito della vicenda cautelare. Cass., sez. un., 3 1 maggio 2000, Piscopo, in Dir. giust. , 2000, 36. (89) Cass., sez. un., 21 luglio 1993 , Dell'Orno, in Cass. pen., 1994, 36. Una disciplina del genere sembra volta ad impedire che il tribunale svolga un controllo effettivo e penetrante sull'applicazione della misura coercitiva.
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presentare direttamente al tribunale della libertà i risultati delle indagini private (art. 3 9 1 -octies) (90) . L'udienza si svolge in camera di consiglio (art. 127), e cioè con un contrad dittorio facoltativo. n pubblico ministero (91) ed il difensore dell'imputato de vono essere preavvisati e possono (non debbono) partecipare all'udienza. Se pre senti, essi hanno il diritto di esporre oralmente le proprie conclusioni. Il tribunale decide sulla base dei soli atti scritti e dei documenti presentati. In particolare, non è possibile disporre l'audizione di persone, né l'assun zione di prove non rinviabili, né imporre al pubblico ministero di svolgere determinate indagini. In definitiva, il legislatore non ha voluto attribuire al tribunale un vero ed effettivo potere di controllo sull'applicazione della misura coercitiva. Siamo molto distanti dalla garanzia anglosassone dell'habeas corpus, che viceversa attribuisce al giudice autentici poteri di accertamento. n tribunale della libertà può pronunciare quattro tipi di decisione. l ) Può dichiarare l'inammissibilità della richiesta di riesame perché, ad esempio, è stata presentata oltre i termini o da soggetti non legittimati (92 ) . 2 ) Può annullare l'ordinanza per carenza di uno degli elementi essenziali (indicati a pena di nullità dall'art. 292) o per vizi di merito (ad esempio, mancanza di gravi indizi) . 3 ) Può rz/ormare, e cioè modificare l a misura, m a soltanto in modo più favorevole all'imputato (93 ) . 4 ) Infine, può confermare la misura coercitiva. La particolarità sta nel fatto che il riesame è una impugnazione totalmente devolutiva; ciò comporta, come afferma l'art. 309, comma 9, che il tribunale può annullare o riformare il provvedimento anche « per motivi diversi da quelli enunciati » nell'impugnazione; inoltre, può confermare il provvedimento « per (90) Cass., sez. VI, 2 aprile 1996, Wondirnagnhu, in Cass. pen., 1997, 1777, n. 1050: << in tema di motivazione di provvedimenti cautelari, la legge impone al giudice di esporre i motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa. Detto obbligo presuppone da parte della difesa un onere positivo di presentazione degli elementi che questa ritiene rilevanti ai fini della decisione >>. (91) A seguito della riforma operata con la legge n. 652 del 1996, il p.m. destinatario dell'avviso e quindi legittimato a partecipare in udienza è il procuratore della repubblica presso il tribunale distrettuale; ma se colui che ha richiesto la misura è un differente organo, anche quest'ultimo deve essere avvisato ed ha diritto di partecipare in udienza in luogo di quello presso il tribunale distrettuale. Ciò per garantire una continuità nell'attività di indagine e permettere a colui, che ha svolto le indagini e che conosce bene le carte processuali, di partecipare in udienza e di sostenere efficacemente le ragione dell'accusa. (92) Anche in materia de libertate vale il principio di conversione, art. 568 comma 5 c.p.p., in base al quale spetta al giudice attribuire l'esatta qualificazione giuridica dell'atto d'impugnazione come desunta dal contenuto. In applicazione di detto principio è possibile convertire la domanda di riesame erroneamente presentata dal p.m. in appello purché contenga i motivi di gravame, in tal senso vedi Cass., sez. VI, 22 aprile 1998, Simi, in C.E.D., n. 2 10918; Cass., sez. VI, 23 novembre 1993, Perre, in C.E.D., n. 196627. (93) Infatti, al riesame si applica quel principio generale sulle impugnazioni, che è denominato divieto di re/ormatio in peius, in base al quale, quando impugna il solo imputato, il giudice non può aggravare la pena che è stata irrogata (v. in/ra, Parte V, cap. 2, S 4).
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ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso » (94 ) . L a giurisprudenza h a dedotto che i l tribunale può perfino rimediare ai difetti di motivazione dell'ordinanza che ha applicato la misura coercitiva (95 ) . L a situazione può essere così esposta: soltanto a questo punto l'imputato conosce i "veri" motivi per i quali è stata limitata la sua libertà personale. Ma non dispone più di un mezzo di impugnazione per ottenere un controllo di merito sugli stessi, per sindacare la loro fondatezza in relazione agli elementi di prova che sono stati raccolti. L'imputato può soltanto presentare ricorso per cassazione lamentando una violazione di legge (96). c.
L'appello.
Abbiamo già anticipato che l'appello è una impugnazione limitatamente devolutiva (v. Parte VI, 2 , 4) che, in sintesi, permette di controllare tutti quei provvedimenti presi dal giudice in tema di misure cautelari personali, che non
sono sottoponibili a rzésame (v. art. 3 1 0, comma 1 : «fuori dei casi previsti dall'art. 309, comma l »). Pertanto, l'appello è un mezzo di impugnazione residuale rispetto al riesame e riguarda tutte quelle ordinanze che non applicano per la prima volta (ab inz'ttò ) una misura coercitiva. (94) Le Sezioni unite della Cassazione hanno precisato che la decisione del tribunale del riesame non può limitarsi ad un generico rinvio alla motivazione del prowedimento impugnato. In tal senso v. sez. un., 26 novembre 2003, Gatto, in Cass. pen., 2004, 1217. (95) Cass., sez. I, 2 ottobre 1998, Mannella, in Cass. pen., 1999, 2598, n. 1303 afferma che << all'effetto interamente devolutivo che caratterizza l'impugnazione per riesame consegue che il giudice, al quale è conferito il potere di annullare, riformare o confermare il prowedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del prowedimento stesso, può sanare con la propria motivazione le carenze argomentative dell'ordinanza oggetto del riesame >>. L'intervento surrogatorio del giudice del riesame è ammesso solo nel caso di motivazioni insufficienti, nelle quali il giudice ha comunque indicato le ragioni logico giuridiche che, ai sensi degli artt. 273 , 274 e 275 c.p.p., lo abbiano determinato ad emettere il prowedimento. n giudice del riesame deve invece fermarsi di fronte ad inesistenza o apparenza di motivazione; in tal senso Cass., sez. VI, 17 novembre 1998, Panebianco, in C.E.D., n. 212685; Cass., sez. un., 17 aprile 1996, Moni, in Cass. pen., 1996, 3275. (96) In passato, si è affrontato il problema relativo alla possibile incidenza delle vicende del procedimento principale su quello cautelare. La Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 309 e 3 1 0 (relativi al riesame ed all'appello in materia di misure cautelari) nella parte in cui non consentivano di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nell'ipotesi in cui fosse stato emesso decreto di rinvio a giudizio. Ad awiso del Giudice delle leggi, il rispetto del "principio di assorbimento" (che rappresenta il punto di equilibrio circa l'autonomia del procedimento incidentale di libertà rispetto a quello di merito) opera << soltanto ove intervenga una decisione che in ogni caso contenga in sé una valutazione del merito, di incisività tale da assorbire l'apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza >>. Successivamente, l'affermazione della Corte costituzionale è stata ribadita da Cass., sez. un., 26 novembre 2002, Vottari, in Guida dir. , 2003, 5 , 9 1 : anche dopo le modifìcazioni alla disciplina dell'udienza preliminare introdotte dalla legge Carotti, << al giudice, investito della richiesta di riesame di una misura cautelare personale, la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza non è preclusa dalla soprawenienza del rinvio a giudizio dell'imputato per il reato in ordine al quale tale misura è stata applicata, non risultando alterata la portata della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 309 c.p.p. intervenuta con sentenza 15 marzo 1996 n. 7 1 della Corte costituzionale >>.
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Da tale definizione si ricava l'ambito applicativo dell'impugnazione in oggetto. Anzitutto, possono essere sottoposti ad appello (non a riesame) i provvedimenti che applicano ab initio una misura interdittiva. Inoltre, il pubblico ministero ( che non dispone dello strumento del riesame) può presentare appello contro l'ordinanza del giudice che ha applicato una misura coercitiva meno grave di quella da lui richiesta; o ancora, contro l'ordinanza che ha concesso la revoca o la sostituzione della misura su richiesta dell'imputato. Infine, l'imputato ed il suo difensore possono presentare appello contro i provvedimenti differenti da quelli che applicano per la prima volta una misura coercitiva. Ad esempio, possono appellare il provvedimento del giudice che ha respinto la richiesta di revocare (o modificare in meglio) una misura cautelare. Competente a decidere sull'appello è il tribunale (in composizione colle giale) del capoluogo del distretto di corte d'appello nel quale ha sede il giudice che ha disposto la misura (art. 309, comma 7 ) . L'appello deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro dieci giorni dall'esecuzione o notificazione del provvedimento ( art. 3 10, comma 2 ) . Procedimento. li tribunale della libertà decide sull'appello entro termini diversi da quelli previsti dal procedimento di riesame (venti giorni anziché dieci) . Inoltre i termini sono " ordinatori" e non "perentori" ; il loro eventuale superamento non comporta l'inefficacia della misura cautelare impugnata. Le modalità di svolgimento del procedimento di appello sono in buona parte simili a quelle previste per il riesame (art. 3 10) (97 ) . La più importante differenza consiste nelle formalità che regolano la dichiarazione con cui le parti redigono l'appello; essa deve precisare (a pena di inammissibilità) i motivi per i quali il soggetto interessato ritiene che il provvedimento debba essere annul lato o modificato. L'appello è un'impugnazione ad effetto " parzialmente devo lutivo " proprio perché il controllo esercitabile dal tribunale è limitato a quei punti del provvedimento che sono oggetto dei motivi di doglianza esposti nella dichiarazione di impugnazione dall'imputato o dal pubblico ministero (sulla nozione di " punto" , v. in/ra Parte V, cap. 2 , § 4) (98). (97) L e Sezioni unite della Cassazione hanno precisato che nel procedimento d i appello, instaurato dal pubblico ministero avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di una misura cautelare personale, emessa del giudice per le indagini preliminari, è consentito alla difesa dell'indagato, nel contraddittorio camerale, di produrre documentazione relativa a elementi probatori "nuovi", sia preesistenti sia sopravvenuti, acquisiti anche all'esito di investigazioni difensive e idonei a contrastare i motivi di gravame del pubblico ministero, ovvero a dimostrare che non sussistono le condizioni e i presupposti di applicabilità della misura cautelare richiesta. Allo stesso modo, il pubblico ministero può produrre documentazione relativa a elementi probatori « nuovi », preesistenti o sopravvenuti, sempre che tali elementi riguardino lo stesso fatto contestato con l'originaria richiesta cautelare e, in ordine a essi, sia assicurato nel procedimento camerale il contraddittorio delle parti anche mediante la concessione di un congruo termine a difesa. Così Cass., sez. un., 3 1 marzo 2004, Donelli e altro, in Guida dir., 2004, 19, 62. (98) Peraltro, pur essendo vincolata dai motivi proposti, la cognizione del giudice d'appello non è
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n ricorso per cassazione.
Il ricorso per cassazione costituisce una impugnazione esperibile contro le decisioni che il tribunale della libertà ha pronunciato sulla richiesta di riesame o sull'appello (art. 3 1 1 , comma l ) ; i motivi sono quelli previsti dall'art. 606, tra i quali sono compresi la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione (99). Pertanto, la corte di cassazione non può esaminare nel merito il provvedimento impugnato, e cioè non può valutare la fondatezza degli elementi che lo giustificano ( 100) . Legittimati a proporre ricorso sono l'impu tato, il suo difensore (iscritto all'albo della cassazione) , il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura e il pubblico ministero presso il tribu nale della libertà. È possibile anche il ricorso per cassazione per saltum contro le sole ordinanze che dispongono una misura coercitiva; ma tale impugnazione è concessa soltanto all'imputato e al suo difensore (art. 3 1 1 , comma 2 ) . Costoro, invece di presentare la richiesta di riesame al tribunale della libertà, possono direttamente proporre il ricorso per cassazione contro l'ordinanza che applica per la prima volta una misura coercitiva. I motivi possono riguardare soltanto la « violazione di legge »; vi è contrasto in giurisprudenza sull'ampiezza di tale nozione. La corte di cassazione decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall'art. 127 (art. 3 1 1 comma 5 ) . e.
n giudicato cautelare.
Il legislatore non ha riconosciuto all'imputato il diritto di ottenere un controllo in contraddittorio sulla persistenza delle esigenze cautelari e della gravità degli indizi. Alla difesa è stato permesso soltanto di sollecitare il giudice ad emettere un provvedimento de plano e di impugnare il diniego di revoca o di modifica migliorativa della custodia cautelare. Una volta scelta questa strada, non restava altra soluzione se non permettere l'impugnazione della misura cautelare. Tuttavia, così come strutturato, un simile sistema avrebbe consentito all'imputato di impugnare ripetutamente il diniego pronunciato dal giudice. Per evitare una situazione del genere, che avrebbe intasato l'organo delle impugnazioni, la giurisprudenza ha compiuto un'operacondizionata dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste dal giudice della decisione impugnata a sostegno del proprio assunto. In tal senso Cass., sez. un., 15 giugno 1997, Gibilras, in Cars. pen.,
1998, 782. (99) La decisione favorevole della cassazione emessa a seguito di impugnazione presentata soltanto da alcuni coindagati è estensibile agli altri coindagati non impugnanti, purché la prima fase del procedimento di impugnazione (riesame o appello) si sia svolta in modo unitario e cumulativo. Cass., sez. un., 22 novembre 1 995, Ventura, in Cass. pen., 1 996, 1772. ( 1 00) Così Cass., sez. un., 26 febbraio 1991, Bruno, in Cars. pen., 1 99 1 , II, 490.
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zione interpretativa alquanto audace ed ha esteso per analogia l'applicabilità di quella disposizione eccezionale che disciplina gli effetti delle sentenze rese in giudizio. Si tratta dell'art. 649 c.p.p., che prevede l'effetto preclusivo del giudicato. Ecco allora che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha elaborato una inedita figura di " giudicato cautelare" al fine di garantire una qualche forma di stabilità per le ordinanze nella materia in oggetto. L'effetto di tale giudicato consiste nell'impedire al giudice, adito successi vamente, di valutare nuovamente le questioni già esaminate in una precedente impugnazione cautelare. Si ritiene che si tratti non di un effetto di giudicato in senso proprio (che coprirebbe anche il deducibile) , bensì di un effetto preclu sivo non definitivo, che è superabile in presenza di elementi nuovi rispetto alla situazione di fatto o di diritto su cui si è basata la precedente decisione: per questo motivo si parla di giudicato " allo stato degli atti" ( 1 0 1 ) . Inizialmente, l a giurisprudenza riteneva che il giudicato cautelare s i formasse nel caso sia di attivazione, sia di mancata proposizione dei mezzi di impugnazione. La conseguenza di tale indirizzo era che la revoca della misura poteva essere chiesta solo per fatti nuovi sopravvenuti ( 1 02 ) . Invero, la giurisprudenza più recente h a sostenuto che l a preclusione si forma soltanto in caso di proposizione dell'impugnazione. Peraltro, il giudicato cautelare si forma sulle questioni dedotte in sede di impugnazione, ma non su quelle deducibili, che non siano state dedotte. Alla luce di questo indirizzo giurisprudenziale, se il gravame non è stato attivato, il giudice investito di una richiesta di revoca può operare una rivalutazione del quadro probatorio posto a fondamento della misura anche in assenza di nuove sopravvenienze di fatto: del resto, il primo comma dell'art. 299 c.p.p., ammettendo la revoca « anche » per fatti sopravvenuti, consente al giudice di revocare la misura cautelare sulla base di circostanze già esistenti all'epoca dell'applicazione della misura ( 1 03 ). n giudicato cautelare è stato posto come limite anche all'attività del pubblico ministero ( 104) . Ci si è chiesti se, intervenuta una decisione di annullamento da parte
( 1 0 1 ) Cass., 15 maggio 1989, Stimoli, in Giust. pen. , 1990, III, 437. Contro la configurabilità del giudicato cautelare si sono espressi LoRusso, Una impropria utilizzazione del concetto di giudicato penale: il c.d. ne bis in idem cautelare, in Cass. pen., 1994, 648 ss. e Aruuco, Il giudicato allo stato degli atti nelle misure caute/ari, in Giur. it., 1996, II, 669 ss. ( 102) Cass., sez. un., 12 ottobre 1993, Durante, in Cass. pen., 1994, 283; Cass., sez. un., 2 l luglio 1993, Dell'Orno, in Cass. pen. , 1994, 36. ( 103 ) Cass., sez. un., 28 luglio 1994, Buffa, in Cass. pen., 1994, 2928. In dottrina si veda BARGIS, Procedimento de libertate e giudicato cautelare, in Gazz. giur. , 1998, XLII, l ss.; PoLVANI, Le impugnazioni de libertate: riesame, appello, ricorso, Padova, 1999, 70 ss.; PIERRo , Il giudicato cautelare, Torino, 2000, 249 ss. (104) Le Sezioni unite hanno affermato il seguente principio: qualora il pubblico ministero, mentre sia pendente l'appello awerso l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di rigetto della richiesta di una misura cautelare personale, richieda nuovamente la misura nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, allegando elementi probatori « nuovi >>, preesistenti o soprawenuti, è preclusa al giudice per le indagini preliminari, in pendenza del procedimento di appello, la potestà di decidere in merito alla medesima domanda
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del tribunale del riesame, il pubblico ministero possa chiedere, ed il giudice disporre, una misura cautelare basata sugli stessi motivi. Si possono distinguere varie ipotesi. Se il giudice dell'impugnazione ha escluso l'esistenza delle condizioni di applica bilità, la prevalente giurisprudenza ritiene esistente un giudicato cautelare superabile in presenza di fatti sopravvenuti o al più di fatti preesistenti, ma non dedotti ( 1 05 ) . S e invece il giudice del riesame h a deciso oltre i termini perentori e conseguente mente ha dichiarato l'estinzione della misura cautelare, non sussiste alcun effetto preclusivo a carico del pubblico ministero che può nuovamente chiedere la mi sura ( 1 06). Merita precisare, infine, che se il tribunale del riesame, decidendo oltre i termini perentori, omette di dichiarare l'estinzione della misura e conferma il provvedimento, in base a recente giurisprudenza l'indagato ha l'onere di proporre ricorso per cassazione. Ove non lo faccia, il giudice del procedimento principale non può dichiarare l'estin zione della misura ( 107) .
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La riparazione per l'ingiusta custodia cautelare.
All'imputato è riconosciuto un vero e proprio diritto ad ottenere un'equa riparazione per la custodia cautelare subita ingiustamente (art. 3 14 ) . Si tratta di una novità introdotta dal codice del 1 988 in adempimento di un preciso obbligo posto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (art. 5, comma 5 ) . La domanda di riparazione è presentata dall'imputato dopo che la sentenza è divenuta irrevocabile ( 108); sulla richiesta decide la corte d'appello con un procedimento in camera di consiglio ( 1 09). cautelare. Il pubblico ministero dovrà produrre gli elementi nuovi nel corso del giudizio sull'appello. Cass., sez. un., 31 marzo 2004, Donelli e altro, in Gwda dir. , 2004, 19, 62. ( 105) In tal senso, v. ancora Cass., sez. un., 3 1 marzo 2004, Donelli, loc.ult. cit.: << la decisione definitiva, emessa sull'appello instaurato dal pubblico ministero avverso l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari di rigetto della richiesta di una misura cautelare personale, spiega un'efficacia preclusiva "allo stato degli atti" in ordine alle questioni in fatto o in diritto esplicitamente o implicitamente dedotte - ma non anche a quelle deducibili - in quel giudizio; sì che le medesime questioni, in difetto di nuove acquisizioni probatorie che implichino un mutamento nella situazione di fatto sulla quale la decisione era fondata, restano precluse in sede di adozione da parte del giudice per le indagini preliminari di un successivo provvedimento cautelare richiesto dal pubblico ministero nei confronti dello stesso soggetto per lo stesso fatto >>. Si veda M. CERESA GASTALDO, Il n'esame delle misure coercitive nel processo penale, Milano, 1993, 22 1 ss. ( 106) Cass., sez. un., 10 settembre 1992, Grazioso, in Cass. pen., 1992, 2990. ( 107) Cass., sez. un., 3 1 maggio 2000, Piscopo, in Dir. giust., 2000, 36. ( 108) La domanda è presentata personalmente dall'interessato e deve essere depositata entro il termine perentorio di due anni dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile (art. 3 15, comma 1 ) . Il deposito della domanda viene effettuato presso la cancelleria della corte d'appello penale, nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza o il provvedimento che ha definito il procedimento (art. 102 disp. att.). L'istituto in esame si differenzia dalla riparazione dell'errore giudiziario (art. 643 e ss. c.p.p.) che trova applicazione in caso di revisione di un giudicato di condanna. ( 109) La giurisprudenza ha definito tale istituto come un'azione civile che si svolge in sede penale per motivi di opportunità. Si tratta di un'azione di natura civilistica in quanto è su impulso di parte e mira ad ottenere una indennità di tipo civilistico. Competente a pronunciarsi è la corte d'appello penale ed il procedimento de qua si svolge con il rito camerale ai sensi dell'art. 127 c.p.p. Sono parti del giudizio di
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n presupposto del diritto ad ottenere l'equa riparazione consiste nella
ingiustizia sostanziale o formale della custodia cautelare subita (ad esempio, la custodia in carcere o l'arresto domiciliare) (v. tav. 2 .6. 1 3 ) . Il codice non impone di accertare se essa sia dovuta ad un atto illecito compiuto dall'autorità giudiziaria. Ciò avrebbe comportato un onere della prova molto pesante per il richiedente, che avrebbe dovuto dimostrare che la custodia ingiusta era stata causata da un atto illecito compiuto con dolo o colpa grave. Una soluzione del genere è pur sempre astrattamente possibile, ma il richiedente ai sensi della legge sulla responsabilità dei magistrati (legge 13 aprile 1 988, n. 1 17 ) deve attivare un procedimento assai defatigante, che comporta un vaglio preventivo di ammissibilità. n codice evita di addossare al richiedente un così pesante onere della prova e gli consente di limitarsi a dimostrare che la sua situazione rientra in una delle due ipotesi di ingiustizia (formale o sostanziale) previste espressamente dall'art. 3 14 . Per tale motivo la somma di denaro, che gli può essere attribuita, è denominata " riparazione" e non " risarcimento" . L'ingiustizia sostanziale. L a prima ipotesi di ingiustizia, prevista dall'art. 3 14, comma l , è di tipo sostanziale. Il diritto all'equa riparazione spetta all'imputato che sia stato assolto per motivi completamente liberatori in punto di responsabilità, e cioè perché era innocente. È richiesta una sentenza irrevo cabile di assoluzione con uno dei seguenti dispositivi: perché il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato. Alla sentenza di assoluzione sono parifìcati la sentenza di non luogo a procedere pronunciata al termine dell'udienza prelimi nare ed il provvedimento di archiviazione emesso all'esito delle indagini preli minari (art. 3 14, comma 3 ) . L'ingiustizia formale. L a seconda ipotesi di ingiustizia, prevista dall'art. 3 14, comma 2, è di tipo formale. Ciò avviene quando la custodia cautelare risulta applicata illegittimamente, a prescindere dall'esito del processo a carico del l'imputato, che potrebbe anche essere stato condannato. Il diritto alla ripara zione, in questi casi, presuppone soltanto che sia stato accertato con decisione irrevocabile ( 1 10) che il provvedimento custodiale è stato emesso senza che esistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 del codice. E cioè, occorre che una decisione irrevocabile (ad esempio, del tribunale della libertà) abbia accertato che mancavano i " gravi indizi" ; o che il delitto addebitato non era punibile perché estinto per prescrizione; o che tale delitto riparazione per ingiusta detenzione l'imputato (o il condannato) , il ministro dell'economia (rappresentato dall'avvocatura dello Stato) ed il procuratore generale presso la corte d'appello. ( 1 10) La decisione irrevocabile è costituita dall'ordinanza, non impugnata, adottata in seno al giudizio di riesame o di appello ai sensi degli am. 309 e 3 1 0 c.p.p., nonché dalla pronunzia emessa a seguito di ricorso in cassazione avverso le predette ordinanze o a seguito di ricorso per saltum. In tal senso, Cass., sez. un . , 12 ottobre 1 993 , Durante, in Cass. pen., 1994, 283 .
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era punito con una pena che non consentiva la custodia cautelare ( 1 1 1 ) . Quando ricorre una di queste ipotesi il diritto all'equa riparazione spetta sia all'imputato prosciolto per qualsiasi causa, sia all'imputato condannato ( 1 12 ) . È sufficiente che la custodia sia stata illegittima « formalmente »; non rileva che essa fosse giustificata dal punto di vista sostanziale ( 1 13 ) . Limiti alla riparazione. Occorre segnalare che il codice pone al diritto alla riparazione alcuni ostacoli, che di fatto tengono conto di esigenze di giustizia sostanziale. n primo ostacolo è previsto dall'art. 3 14 , comma 4. n diritto alla riparazione è escluso per quella parte di custodia cautelare che è stata comunque computata ai fini della determinazione della quantità di pena detentiva che avrebbe dovuto essere scontata dall'imputato, che è stato condannato (art. 657) . n secondo ostacolo è posto dall'art. 3 14 , comma l . L'imputato non ha diritto alla riparazione se ha « dato causa » o ha « concorso a dare causa » all'ingiusta custodia cautelare per dolo o colpa grave ( 1 14 ) . Tale condizione ( 1 1 1 ) Secondo la Corte costituzionale, sent. 16 luglio 2004, n. 230, in Giur. cast., 2004, « non vi è ostacolo a ritenere che tra le ipotesi di illegittima detenzione debba rientrare anche quella in cui venga accertato, con sentenza irrevocabile, che la custodia è stata disposta in relazione ad un fatto per il quale sia già intervenuto un giudicato >>. ( 1 12) Con sentenza 20 giugno 2008, n. 219, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 3 14 con riferimento alla particolare ipotesi in cui la custodia cautelare subita risulti superiore alla misura della pena irrogata con la sentenza di condanna. Ad awiso della Corte, il diritto all'equa riparazione non è riconosciuto soltanto in caso di proscioglimento nel merito, ma anche in ipotesi di proscioglimento in rito o di condanna. Cass., sez. un., 29 gennaio 2009, n. 4 187, ha riconosciuto il diritto alla riparazione anche quando, in seguito ad una condanna in primo grado ad una pena inferiore alla custodia cautelare patita, l'imputato è stato poi prosciolto in appello per effetto della prescrizione. Si è precisato che nella quantificazione il giudice deve escludere il periodo di custodia cautelare corrispondente all'entità della pena irrogata. ( 1 1 3 ) Merita segnalare che il legislatore non ha previsto la riparazione per ingiusta detenzione in caso di mancato rispetto della normativa di cui agli artt. 274 e 275 . La difformità di trattamento è giustificata in giurisprudenza dal fatto che la carenza di esigenze cautelari ed il mancato rispetto dei criteri di proporzio nalità e adeguatezza attengono a valutazioni esterne al thema decidendum e sono legati a fattori o di prevenzione o di natura processuale caratterizzati dall'estrema fluidità e variabilità, cui corrisponde un'ampia discrezionalità del giudice. ( 1 14) Si tratta di un punto molto delicato, che dà luogo a un contemperamento tra due diritti spettanti all'imputato, quello di difendersi e quello di ottenere la riparazione dell'ingiusta custodia cautelare. Quando è interrogato, l'imputato ha diritto a restare silenzioso (art. 64, comma 3 , lett. b) e, se dice il falso, non è punibile se non quando commette il delitto di calunnia o di simulazione di reato (art. 384 c.p.). È necessario a tale proposito distinguere fra esercizio del diritto al silenzio e dichiarazioni false dell'imputato. La possibilità di rimanere silenzioso costituisce un vero e proprio diritto per l'imputato (art. 64 c.p.p.); la decisione sul se e quando esercitarlo attiene a scelte difensive non sindacabili. Tuttavia, l'aver taciuto l'esistenza di un alibi o di fatti favorevoli, noti solo all'imputato, potrebbe configurare una colpa grave. In proposito la giurisprudenza è divisa. Nel senso che tale condotta non rientri nella colpa grave sul rilievo che la scelta difensiva di awalersi della facoltà di non rispondere non può valere ex se per fondare un giudizio positivo di sussistenza della colpa, non solo per rispetto delle strategie difensive che l'imputato abbia ritenuto di adottare, ma soprattutto perché l'imputato e il difensore che hanno scelto tali strategie hanno esercitato un loro legittimo diritto riconosciuto dalle regole del procedimento penale, Cass., sez. IV, 17 ottobre 2006, A., in Cass. pen., 2007, 3828. Contra, Cass., sez. III, 12 febbraio 2005, Moni, in CED 23 1624. Diverso è il caso di dichiarazioni false; infatti, se è vero che tale condotta non è punibile ai sensi dell'art. 384 c.p., essa costituisce pur sempre un comportamento illecito, integrando gli estremi civilistici degli artifizi
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Le misure cautelari
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ostativa alla riparazione trova applicazione anche nell'ipotesi di ingiustizia formale, nonostante che il legislatore l'abbia espressamente prevista solo per l'ingiustizia sostanziale. Procedimento. La domanda di riparazione deve essere proposta alla corte d'appello entro due anni dal giorno in cui la sentenza è diventata irrevocabile (o è stato notificato il prowedimento di archiviazione) ( 1 15 ) . Ai sensi dell'art. 3 15 , comma 2 , « l'entità della riparazione non può comunque eccedere lire un mi liardo » (pari a euro 5 16.456). La corte d'appello decide in via equitativa in con siderazione del fatto che si tratta di una somma indennitaria e non risarcitoria ( 1 16). Per completezza, occorre segnalare che nessuna riparazione è prevista per l'ingiusta applicazione di misure coercitive non custodiali. In merito alle misure "precautelari" , la sentenza della Corte costituzionale n. 1 09 del 1999 ha esteso il diritto alla riparazione sia nel caso in cui sia stato disposto un arresto in flagranza o un fermo che non siano stati convalidati, sia nel caso di convalida della misura, non seguita da un prowedimento di custodia cautelare, qualora sia intervenuta una sentenza irrevocabile di assoluzione. Una forma speciale di riparazione dell'ingiusta custodia cautelare è il diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro, così come è stabilito dall'art. 1 02 -bis disp. att., introdotto dalla legge 8 agosto 1995 , n. 332. n diritto scatta nel momento in cui è stata pronunciata una decisione di proscioglimento, di non luogo a procedere o di archiviazione; la legge non richiede che tali prowedimenti siano irrevocabili. e dei raggiri che inducono in errore. Correttamente la giurisprudenza qualifica le false dichiarazioni come condotta dolosa che, ai sensi dell'art. 3 14 c.p.p., esclude il diritto alla riparazione. Owiamente il silenzio ed il mendacio hanno rilievo soltanto se hanno concorso a dare causa al prowedimento di custodia cautelare errato oppure l'imputato ha taciuto fatti o circostanze che, se resi noti, sarebbero stati tali da eliminare il valore degli indizi raccolti a suo carico. In giurisprudenza, si veda Ass. Napoli, 2 dicembre 2001, Perego, in Giur. merito, 2002, 1064, secondo cui integrano l'ipotesi di dolo o colpa grave << comportamenti di tipo processuale, come l'autoincolpazione, il silenzio cosciente su un alibi, il depistaggio, una tesi difensiva contraddittoria o falsa ». Per una posizione di maggiore cautela, Cass., sez. un., 13 dicembre 1995, Samataro, in Cass. pen. , 1996, 2 146. Ad awiso della Corte è necessario << avere rispetto per le strategie difensive che abbia ritenuto di adottare (quale che possa esserne la ragione) chi è stato ingiustamente privato della libertà personale >>. Le Sezioni unite, sent. 13 dicembre 1995, Sarnataro, in Dir. pen. proc., 1996, 74 1 , hanno ritenuto condotta dolosa non solo quella "volta a realizzare l'evento voluto e rappresentato", ma anche "la condotta consapevole e volontaria, i cui esiti valutati dal giudice con il parametro dell' id quod plerumque accidit, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità ragionevolmente ritenuta in pericolo". ( 1 15 ) All'uopo, la legge n. 479 del 1999 ha introdotto nell'art. 409, comma 1 la seguente previsione: << il prowedimento che dispone l'archiviazione è notificato alla persona sottoposta alle indagini se nel corso del procedimento è stata applicata nei suoi confronti la misura della custodia cautelare ». ( 1 16) Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sent. 13 gennaio 1995, in Giur. it., 1996, 144, hanno ritenuto di disancorare la liquidazione della riparazione dai criteri aritmetici, affidandola ad una valutazione equitativa che tenga conto delle "conseguenze personali e familiari derivanti dalla restrizione della libertà personale". Ciò grazie al rinvio operato dal terzo comma dell'art. 3 15 c.p.p. alle norme sull'errore giudiziario.
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6.
Profili generali del procedimento penale
II.VI.6 b .
Le misure cautelari reali. a.
Considerazioni generali.
Le misure cautelari reali comportano un vincolo di indisponibilità su cose mobili o immobili. Le misure in oggetto possono essere disposte, di regola, soltanto dal giudice. n codice prevede due tipi di misure reali: il sequestro preventivo ed il sequestro conservativo. Queste misure hanno, come quelle personali, una finalità cautelare; e cioè, esse tendono ad evitare che il passaggio del tempo possa pregiudicare irrimediabilmente l'efficacia pratica della sentenza irrevocabile di condanna. In particolare, il sequestro preventivo è giustificato dall'esigenza di impedire che una cosa pertinente ad un reato possa essere utilizzata per aggravare le conseguenze dello stesso o per agevolare il compi mento di altri reati. n sequestro conservativo tende ad evitare che diminuiscano o si disperdano le garanzie patrimoniali (beni mobili o immobili di proprietà dell'imputato o del responsabile civile) , che potranno permettere successiva mente al condannato di pagare le somme dovute per il risarcimento del danno o per le spese di Giustizia. La finalità cautelare è collegata strettamente alla cosa mobile o immobile sequestrata; è collegata indirettamente alla prevedibile condotta del possessore della cosa stessa. Un provvedimento simile al sequestro conservativo e preventivo è il seque stro probatorio, che si differenzia per la diversa finalità perseguita. Il sequestro probatorio è diretto alla acquisizione della "prova " ; e cioè, la cosa mobile o immobile è sottratta a chi la detiene per essere acquisita al materiale probatorio in base al quale il giudice dovrà pronunciare la decisione. In questo caso la finalità è direttamente collegata alla cosa senza considerazione alcuna della persona che la possiede; infatti il sequestro probatorio può avere ad oggetto un bene dell'imputato o della persona offesa o anche di qualsiasi altro soggetto possessore. È sufficiente che la cosa sia utilizzabile come elemento di prova nel procedimento penale (art. 1 87 ) . Ed infatti il codice colloca il sequestro proba torio fra i mezzi di ricerca della prova, i quali, ricordiamo, possono essere disposti sia dal giudice, sia dal pubblico ministero (art. 253 ss.) . Occorre sottolineare che i tre tipi di sequestro sono applicabili nei proce dimenti per qualsiasi genere di reato; quindi, anche per le contravvenzioni.
b.
n sequestro conservativo.
Il sequestro conservativo pone su di una cosa mobile o immobile un vincolo di indisponibilità che ha lo scopo di garantire l'adempimento delle obbligazioni civili sorte in conseguenza sia del compimento del reato, sia del costo del procedimento penale; esso mira ad evitare che, nell'attesa della condanna definitiva, si disperdano le garanzie patrimoniali, e cioè i beni mobili o immobili. n sequestro conservativo si fonda sui requisiti civilistici del fumus boni iuris e
II.VI.6.b
Le misure cautelari
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del periculum in mora. In base alla giurisprudenza, il /umus boni iuris si dovrebbe limitare all'accertamento della pendenza del processo penale, non richiedendosi la probabilità della condanna dell'imputato ( 1 17 ) . Il periculum in mora si ritiene consistere nel timore di insufficienza delle risorse patrimoniali sulle quali soddisfare le obbligazioni nascenti dal reato e nella prognosi di una condotta di depauperamento del patrimonio ( 1 18). Soggetti legittimati a chiedere al giudice il sequestro conservativo sono il pubblico ministero ( 1 1 9) e la parte civile. Il sequestro conservativo ha la caratteristica di poter essere richiesto soltanto contro l'imputato o il responsa bile civile; e cioè, dopo che l'azione penale è già stata esercitata. Pertanto, durante le indagini preliminari il sequestro conservativo non può essere chiesto al giudice penale. Vi è un vuoto di tutela, che non sempre può essere superato con la richiesta di un provvedimento analogo al giudice civile. Il pubblico ministero è legittimato a chiedere il sequestro conservativo nei confronti del solo imputato (non del responsabile civile) a garanzia del paga mento della pena pecuniaria e delle spese di Giustizia (art. 3 16, comma l ) . La parte civile è legittimata a chiedere la medesima misura nei confronti dell'im putato e del responsabile civile a garanzia del pagamento delle obbligazioni civili nascenti dal reato, e cioè a garanzia delle restituzioni e del risarcimento dei danni ( art. 3 1 6, comma 2 ) . Procedimento. Il sequestro conservativo è disposto dal giudice, ovvia mente, senza che venga sentita la controparte (imputato o responsabile civile) . Il giudice valuta s e la pretesa del richiedente è fondata e se sussiste l'esigenza cautelare (e cioè se vi è il pericolo che vengano a disperdersi le garanzie patrimoniali). L'ordinanza del giudice dispone il sequestro e ne demanda l'esecuzione all'ufficiale giudiziario ( 120) . ( 1 17 ) Cass., sez. III, 7 novembre 1990, Lo Bianco, in CED 186134. Per un orientamento che richiede elementi ulteriori rispetto alla astratta configurabilità del reato, Cass., sez. IV, 17 giugno 1994, Corti, in Cass. pen., 1995, 3457. ( 1 18) Cass., sez. II, 23 gennaio 1998, Araldi, in Cass. pen., 1999, 243. ( 1 19) Ai sensi dell'art. 3, comma 2 d.lgs. n. 106 del 2006 è necessario l'assenso scritto del procuratore della repubblica per la richiesta di sequestro conservativo presentata dal sostituto. In base al comma 3, il procuratore della repubblica può disporre, con apposita direttiva di carattere generale, che l'assenso scritto non sia necessario per le richieste di sequestro conservativo, avuto riguardo al valore del bene oggetto della richiesta ovvero alla rilevanza del fatto per il quale si procede. ( 120) Ai sensi dell'art. 3 17, comma 3 , il sequestro conservativo è eseguito dall'ufficiale giudiziario secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per l'esecuzione del sequestro conservativo su beni mobili o immobili e cioè applicando le disposizioni che nel rito civile prevedono rispettivamente il pignoramento dei beni mobili e la trascrizione del provvedimento nei registri immobiliari. Quando la procura distrettuale, in relazione ad un reato che appartiene alla sua cognizione, ha chiesto l'applicazione di una misura cautelare reale (sequestro conservativo o preventivo), l'organo legittimato a ricevere la comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale, a partecipare all'udienza e ad impugnare i provvedimenti del tribunale del riesame ai sensi dell'art. 325 c.p.p. è il pubblico ministero presso il giudice che ha applicato la misura; così, Cass., sez. I, 14 marzo 2007, S., in CED, n. 236716; Cass., sez. III, 25 novembre 1999, Torresin, in Cass. pen., 200 1 , 238; Cass., sez. V, 22 dicembre 1998, Marinacci, in Arch. n. proc. pen., 1999, 395 .
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L'imputato o il responsabile civile possono chiedere al giudice che il sequestro sia convertito nella prestazione di una cauzione idonea (art. 3 19). Impugnazione. Dopo l'esecuzione del provvedimento chiunque vi abbia interesse può proporre richiesta di riesame (art. 3 18). Sulla richiesta decide (in composizione collegiale) il "tribunale del riesame" del capoluogo della provin cia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento (art. 324, comma 5 ) ( 12 1 ) . n sequestro conservativo può essere revocato, come avviene per tutte le misure cautelari, se ne vengono meno i presupposti. Esso dura finché la sentenza non diventa irrevocabile (art. 3 1 7 , comma 4 ) ; se questa è di condanna, il sequestro si converte di diritto in pignoramento (art. 320, comma 1 ) . Il sequestro chiesto dal pubblico ministero giova anche alla parte civile (art. 3 16, comma 3 ) . c.
n sequestro preventivo.
Il sequestro preventivo pone su di una cosa mobile o immobile un vincolo di indisponibilità che ha la finalità di interrompere il compimento di un reato o di impedire il compimento di nuovi reati. n codice ha previsto requisiti che, da un lato, permettono di tutelare la collettività; da un altro lato, evitano che il giudice (sia pure su richiesta del pubblico ministero) ecceda dalle sue funzioni ed eserciti un'attività di m era prevenzione di un reato non ancora commesso. Quest'ultima attività deve restare di competenza dell'autorità di polizia ammi nistrativa o di pubblica sicurezza. n codice prevede tre ipotesi di sequestro preventivo (art. 3 2 1 ) : l ) quando vi è il pericolo che « la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso » (ad esempio, nel caso di pellicola cinematografica oscena, o di immobile abusivo) ; 2 ) quando vi è il pericolo che la cosa possa « agevolare la commissione di altri reati » (ad esempio, nel caso di denaro derivante da una rapina) ; 3 ) quando la cosa è pericolosa in sé, poiché di essa è consentita od imposta la confisca (ad esempio, l'arma usata per commet tere un reato) ( 122). La finalità di prevenzione comporta che questo tipo di sequestro possa essere chiesto al giudice soltanto dal pubblico ministero; durante la fase delle indagini è competente a disporlo il giudice per le indagini preliminari. ( 12 1 ) Ricordiamo che, viceversa, per le misure cautelari personali (es. arresto domiciliare) è compe tente il tribunale distrettuale, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza (art. 309, comma 7 ) . ( 122) Occorre ricordare che i l nuovo comma 2-bis, introdotto nell'art. 321 dalla legge 27 marzo 200 1 , n. 9 7 , prevede una ipotesi d i sequestro preventivo obbligatorio. Infatti, nel corso dei procedimenti penali relativi ai reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, il giudice deve sempre disporre il sequestro dei beni dei quali è consentita la confisca.
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Requisiti del sequestro preventivo sono il /umus delicti ed il periculum in mora. In base alla prevalente giurisprudenza, il /umus delicti richiede che sussistano indizi di commissione del fatto di reato per il quale si procede e non " gravi indizi di colpevolezza , , diversamente da quanto è previsto per le misure cautelari personali. Tale divaricazione è giustificata dal rilievo che le misure cautelari reali non incidono sulla libertà personale, bensì soltanto su beni di natura patrimoniale ( 123 ) . Riteniamo tuttavia che l'elemento soggettivo del reato debba essere preso in considerazione nei limiti in cui esso incide sulla concreta configurabilità del « reato ». n periculum in mora consiste nell'attitudine della cosa ad essere strumen talmente ed oggettivamente collegata all'aggravarsi o al protrarsi di un illecito già realizzato o alla perpetrazione di altri fatti criminosi. Data la sua finalità, il sequestro preventivo non si limita a creare un vincolo di indisponibilità su di una cosa, bensì comporta una vera e propria "inibitoria" , e cioè vincoli d i "fare" e d i "non fare" . S i pensi al sequestro d i un macchinario sul quale non siano stati installati gli strumenti prescritti dalla normativa contro gli infortuni sul lavoro: il dissequestro è condizionato all'adozione delle cautele imposte dalla normativa a tutela della sicurezza dei lavoratori. In questa materia valgono i limiti che derivano dalla finalità della misura cautelare. L'inibitoria deve essere collegata con un vincolo di indisponibilità ad una cosa mobile o immobile il cui uso è implicato necessariamente nell'agire vietato dalla legge penale. Procedimento. Il sequestro preventivo è disposto dal giudice su richiesta del pubblico ministero ( 124 ) . Il giudice valuta l'esistenza dei presupposti senza sentire il possessore della cosa, che può essere tanto l'imputato, quanto la persona offesa o un altro soggetto. Nel corso delle indagini preliminari si può fare eccezione alla regola secondo cui il sequestro preventivo è disposto dal giudice su richiesta del pubblico ministero (art. 32 1 , comma 1 ) . Quando non è possibile attendere il provvedimento del giudice per le indagini preliminari, il sequestro preventivo è disposto con decreto motivato del pubblico ministero. Prima dell'intervento di ( 123) Cass., sez. un., 23 aprile 1993, Gifuni, in Cass. pen. , 1993, 1969; Cass., sez. VI, 19 ottobre 2004, Di N., in Guida dir. , 2005, 2, 97. Secondo Cass., sez. VI, 3 maggio 2004, C., in CED 22 1268, la verifica del /umus del reato non può estendersi fino a far coincidere l'esame con un vero e proprio giudizio di colpevolezza, in quanto il complesso degli elementi di valutazione che concorrono ai fini dell'accertamento della responsabilità dell'indagato deve restar fuori dall'indagine, essendo sufficiente la semplice enunciazione, non manifestamente arbitraria, di un'ipotesi di reato, in relazione alla quale si appalesi, allo stato, la necessità di escludere la libera disponibilità della cosa pertinente a quel reato. ( 124) Ai sensi dell'art. 3, comma 2 d.lgs. n. 106 del 2006 è necessario l'assenso scritto del procuratore della repubblica per la richiesta di sequestro preventivo presentata dal sostituto. In base al comma 3, il procuratore della repubblica può disporre, con apposita direttiva di carattere generale, che l'assenso scritto non sia necessario per le richieste di sequestro preventivo, avuto riguardo al valore del bene oggetto della richiesta owero alla rilevanza del fatto per il quale si procede. 15
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quest'ultimo, in caso di urgenza procedono al sequestro gli ufficiali di polizia giudiziaria, i quali trasmettono il verbale al pubblico ministero stesso ( 125) . Questi, s e non dispone la restituzione delle cose, chiede al giudice la convalida e l'emissione del decreto di sequestro (art. 32 1 , comma 3 -bis) . Entro dieci giorni il giudice, inaudita altera parte, emette ordinanza di convalida ai sensi dell'art. 3 2 1 comma 3 -ter e dispone il decreto di sequestro ( 126) . Esecuzione del sequestro preventivo. Le modalità di esecuzione variano in relazione all'oggetto del sequestro. Sui beni mobili e sui crediti il sequestro preventivo si esegue secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso terzi, in quanto applicabili; sui beni immobili o mobili registrati si esegue con la necessaria trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici; sui beni aziendali organizzati per l'esercizio di un'impresa, con l'iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese; sulle azioni e sulle quote sociali, con relativa annotazione nei libri sociali ed iscrizione nel registro delle imprese; sugli strumenti finanziari dema terializzati (compresi i titoli del debito pubblico) , con la registrazione nell'ap posito conto tenuto dall'intermediario ( 127). Revoca. La revoca del sequestro preventivo può essere chiesta a l giudice dal pubblico ministero, dall'imputato o da chiunque ne abbia interesse. Il sequestro deve essere revocato quando sono venute meno le esigenze preventive previste dalla legge (art. 3 2 1 , comma 3 ) . L'articolo 85 disp. att. permette di collegare la cessazione di tali esigenze all'esecuzione di specifiche prescrizioni su consenso dell'interessato. In tal caso l'autorità giudiziaria ordina la restituzione della cosa « impartendo le prescrizioni del caso e imponendo una idonea cauzione a garanzia della esecuzione delle prescrizioni nel termine stabilito ». Il limite massimo di tempo entro cui può essere mantenuto il sequestro preventivo è la sentenza di primo grado, anche se impugnabile; il sequestro è comunque mantenuto se la sentenza ordina la confisca (art. 323 , commi l e 3 ) . ( 125) Se è presente l'indagato, questi deve essere awertito che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia (art. 1 14 disp. att.) . La violazione dell'obbligo determina una nullità a regime intermedio; così Cass., sez. III, 3 aprile - 11 maggio 2007, Piras, in Dir. pen. proc. , 2008, 203, con nota di A. MARANDOLA. Ai sensi dell'art. 3 , comma 4 d.lgs. n. 106 del 2006 l'assenso scritto del procuratore della repubblica per la richiesta di sequestro preventivo presentata dal sostituto non è necessario in occasione della richiesta di convalida del sequestro preventivo in caso d'urgenza ai sensi dell'art. 3 2 1 , comma 3-bis. ( 126) Contro l'ordinanza di convalida non è ammessa impugnazione (così Cass. , sez. un., 3 1 maggio-7 giugno 2005, n. 2 1334, Napoletano, in www.dirittoegiustizia.it 8 giugno 2005). Viceversa il decreto di sequestro preventivo può essere impugnato mediante riesame al tribunale del capoluogo della provincia (art. 322). ( 127) Art. 104 disp. att., mod. dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 (disposizioni in materia di sicurezza pubblica); la norma ha regolamentato l'esecuzione del sequestro preventivo anche al fine di renderlo praticabile nei casi nei quali occorre sequestrare il bene che sarà oggetto di confisca per equivalente. Nel caso in cui il sequestro preventivo abbia ad oggetto aziende, società o beni che vanno amministrati (esclusi quelli destinati al Fondo unico giustizia in relazione agli illeciti di mafia; art. 6 1 , comma 23, d.l. 25 giugno 2008, n. 1 12 ) , l'autorità giudiziaria nomina un amministratore giudiziario (art. 104-bis disp. att.).
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Impugnazioni. Contro il decreto di sequestro emesso dal giudice possono presentare richiesta di riesame l'imputato, il difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione (art. 322) ( 128). Sulla richiesta decide (in composizione collegiale) il "tribunale del riesame" del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento (art. 324, comma 5 ) ( 129). La ordinanza di diniego del sequestro preventivo e l'ordinanza che respinge l'istanza di revoca proposta dall'imputato sono sottoponibili ad appello di fronte al tribunale del capoluogo di provincia (art. 322 -bis) .
( 128) Cass., sez. un. 3 agosto 2006 (dep.) n. 27777 in Il Sole, l o settembre 2006, afferma che al difensore dell'indagato non deve essere notificato il decreto di sequestro né preventivo, né conservativo; il difensore ha il potere di impugnare la misura ai sensi degli artt. 99 comma l e 5 7 1 comma 3 , ma il termine decorre dal giorno dell'esecuzione del provvedimento o da quello in cui l'interessato ne ha avuto conoscenza (art. 324). ( 129) In relazione alle misure cautelari reali il giudicato cautelare opera contro il pubblico ministero purché vi sia coincidenza tra provvedimento annullato e nuova richiesta di applicazione, in relazione al soggetto imputato, all'oggetto della misura ed ai fatti costitutivi dei medesimi; così, Cass., Sez. III, 19 dicembre 1997, Mocciaro, in Gazz. giur. , 1998, 10, 27 e 13, 19. Quando la procura distrettuale, in relazione ad un reato che appartiene alla sua cognizione, ha chiesto l'applicazione di una misura cautelare reale (sequestro conservativo o preventivo), l'organo legittimato a ricevere la comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale, a partecipare all'udienza e ad impugnare i provvedimenti del tribunale del riesame ai sensi dell'art. 325 c.p.p. è il pubblico ministero presso il giudice che ha applicato la misura; così, Cass., sez. I, 14 marzo 2007, S., in C.E.D., n. 236716; Cass., sez. III, 25 novembre 1999, Torresin, in Cass. pen., 200 1 , 238; Cass., sez. V, 22 dicembre 1998, Marinacci, in Arch. n. proc. pen., 1999, 395.
Parte Terza IL PROCEDIMENTO ORDINARIO CAPITOLO I LE INDAGINI PRELIMINARI SoMMARIO: l . Le disposizioni generali sulle indagini. - 2. La notizia di reato.
-
3 . Le condizioni
di procedibilità. - 4. Il segreto investigativo ed il divieto di pubblicazione. - 5. L'attività
di iniziativa della polizia giudiziaria. - 6. L'attività di iniziativa del pubblico ministero. 7. L'arresto in flagranza ed il fermo.
-
-
8. L'incidente probatorio. - 9. La Banca dati
nazionale del DNA.
l.
Le disposizioni generali sulle indagini. a.
Considerazioni preliminari.
Le indagini preliminari costituiscono la prima fase del procedimento pe nale. Essa inizia nel momento in cui una notizia di reato perviene alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero; termina quando quest'ultimo esercita l'azione penale o ottiene dal giudice l'archiviazione richiesta. Le indagini preliminari consistono in investigazioni svolte dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria. In base all'art. 327 la direzione delle indagini spetta al pubblico ministero. La norma tende ad attuare il principio costituzionale secondo cui l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria (art. 1 09 Cost.). All'interno della fase delle indagini preliminari occorre tracciare una fon damentale distinzione. Vi sono atti che sono compiuti ad iniziativa della polizia giudiziaria ( art. 347 ss. ) ed atti che sono compiuti ad iniziativa del pubblico ministero (art. 358 ss. ) . La distinzione comporta una regolamentazione parzial mente diversa anche sotto il profilo della utilizzabilità di alcuni atti in dibatti mento; ma soprattutto implica una differente ampiezza di poteri coercitivi in capo all'organo inquirente. Resta comunque il dato fondamentale che gli atti di indagine sono svolti in segreto dal soggetto che investiga e, quindi, sono assunti in modo unilaterale e senza il contraddittorio. Per tale motivo, di regola, gli atti di indagine non sono
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utilizzabili ai fini della decisione pronunciata in dibattimento. Tale canone viene indicato di consueto con l'espressione "principio della separazione delle fasi" . L a norma cardine è enunciata dalla Costituzione, secondo la quale « il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova » (art. 1 1 1 , comma 4); ed è attuata nel codice dall'art. 526, in base al quale « il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento ». Di regola, la lettura del verbale non integra una modalità di "legittima acquisizione" , salvo i casi espressamente previsti (artt. 5 1 1 -5 14 ; v. in/ra, Parte III, cap. 5, § 20). Al fine di sottolineare il variare del regime di utilizzabilità in dibattimento, il legislatore indica con termini differenti le prove (descritte nel libro terzo) e gli atti di indagine, anche se si tratta di atti che dal punto di vista contenutistico sono simili (v. tav. 3 . 1 . 1 ) . Ciò comporta un'ulteriore complicazione in un codice che già, di per sé, è di difficile lettura. Ad esempio, presentano un contenuto simile ma denomina zioni diverse il mezzo di prova « ricognizione di persone » (art. 2 1 3 ) , ed il corrispondente atto d'indagine « individuazione di persone e di cose », com piuto ad iniziativa del pubblico ministero (art. 3 6 1 ) . La differente terminologia è stata adottata dal codice al fine di rimarcare il principio generale secondo cui, di regola, i verbali degli atti compiuti prima del dibattimento non possono essere letti in quest'ultima fase (art. 5 14).
b. Le finalità delle indagini preliminari. Il testo (in verità alquanto oscuro) dell'art. 326 si esprime nel seguente modo: « il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale ». Se ci limitassimo a questa disposizione, le indagini dovrebbero servire unicamente al pubblico ministero per operare le proprie scelte in ordine al procedimento da seguire; esse avrebbero un'efficacia meramente " interna" all'ufficio del pubblico ministero e nessuna efficacia per i provvedimenti che il giudice è chiamato a emanare nel corso delle indagini ed al termine del dibattimento. In realtà, le indagini preliminari svolgono anche altre funzioni. La struttura complessiva del codice fa comprendere che gli elementi acquisiti servonoal pub blico ministero per ottenere dal giudice per le indagini preliminari i vari prov vedimenti che soltanto quest'ultimo può disporre, tra i quali ricordiamo le misure cautelari e l'autorizzazione alle intercettazioni. Pertanto i risultati raccolti sono utilizzabili non soltanto da parte del pubblico ministero per le sue scelte, bensì anche dal giudice per emettere i provvedimenti che limitano in vario modo le libertà garantite dalla Costituzione. Questa è appunto la seconda finalità delle
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indagini preliminari: gli elementi acquisiti sono utilizzati come prove nelle prime due fasi del procedimento (indagini ed udienza preliminare). La terza finalità delle indagini preliminari è ben delineata da quella norma costituzionale, in base alla quale la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per non ripetibilità oggettiva o per effetto di condotta illecita sul dichiarante (art. 1 1 1 comma 5 ) . In tali casi, il giudice in dibattimento può utilizzare eccezionalmente gli elementi raccolti durante le indagini preliminari. In conclusione, oggi si ritiene comunemente che le indagini svolgano varie funzioni. Gli elementi di prova acquisiti sono valutati, in primo luogo, dal pubblico ministero per decidere se esercitare l'azione penale; in secondo luogo, sono utilizzati come prove dal giudice per le indagini preliminari nel momento in cui questi pronuncia i provvedimenti di sua competenza; infine, sono utilizzati, sia pure in via eccezionale e con determinate cautele, dal giudice del dibattimento per emettere la decisione finale. n testo originario del codice del 1 988 tendenzialmente non riconosceva alliindagato nel corso delle indagini preliminari la garanzia del diritto di difesa e dlel diritto alla prova; si diceva allora che tale garanzia era inutile perché le investigazioni servivano unicamente al pubblico ministero e non erano utilizza bili in dibattimento. Successivamente gli studiosi e gli operatori si sono resi conto che ciò non era sostenibile. Oggi la scelta di negare il diritto di difesa ed il diritto alla prova non appare più fondata; ed infatti a partire dalla legge 8 agosto 1995 n. 332 il legislatore ha iniziato a reintrodurre alcune garanzie difensive nella fase delle indagini. c.
n giudice per le indagini preliminari.
Nel corso della fase in esame è previsto l'intervento del giudice per le indagini preliminari; questi svolge una funzione di controllo imparziale sui provvedimenti più importanti, senza esercitare poteri di iniziativa. La sua funzione si caratterizza come una " giurisdizione semipiena" perché incontra due limiti fondamentali: la funzione è esercitata soltanto « nei casi previsti dalla legge » e su richiesta di parte (art. 328). La natura dei poteri dell'organo si rispecchia nella sua denominazione. n codice usa l'espressione « giudice per le indagini preliminari » anziché " delle" indagini. Infatti, il soggetto che in tale fase ha l'iniziativa è il pubblico ministero e non il giudice. Fra i casi previsti dalla legge ricordiamo la convalida dell'arresto e del fermo, l'emissione dei provvedimenti cautelari e l'autorizzazione alle intercet tazioni. Di regola il giudice decide soltanto sulla base di verbali di atti presentatigli dal pubblico ministero, dalla polizia e dal difensore dell'indagato o dell'offeso; pertanto egli ha una cognizione limitata. Eccezionalmente di
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fronte al giudice per le indagini preliminari sono assunte le prove non rinviabili al dibattimento; ciò avviene in una udienza in contraddittorio, denominata « incidente probatorio » (art. 3 92 ) . Quando interviene nel corso delle indagini preliminari, e cioè prima della formulazione dell'imputazione, il giudice non ha una cognizione piena del quadro probatorio, come accade in dibattimento, bensì deve decidere soltanto sulla base degli elementi presentati dalle parti potenziali (pubblico ministero, indagato, offeso) . Un'altra particolarità sta nel fatto che la funzione giurisdizionale è svolta in tali casi prima dell'esercizio dell'azione penale, in ciò derogandosi al principio generale nulla iurisdictio sine actione. La deroga è giustificata dall'esigenza preminente di assicurare la garanzia di un organo imparziale in una fase nella quale il pubblico ministero chiede provvedimenti che incidono pesantemente sulle fondamentali libertà garantite dalla Costituzione ( 1 ) .
2.
La notizia di reato. a.
Considerazioni generali.
La notizia di reato è un'informazione che permette alla polizia giudiziaria ed al pubblico ministero di venire a conoscenza di un illecito penale. La presenza di una notizia di reato produce tre effetti: l ) segna il passaggio dalla funzione di polizia di sicurezza (attività tendente a prevenire il compimento di reati e a controllare che la legge sia osservata) alla funzione di polizia giudiziaria (indagine su di un reato del quale si abbia notizia) ; 2) impone alla polizia giudiziaria, che abbia appreso la notizia di un reato, l'obbligo di informarne il pubblico ministero (art. 347 ) ; 3 ) impone a quest'ultimo l'obbligo di provvedere alla immediata iscrizione della notizia nel « registro delle notizie di reato » (art. 335). Il codice regola espressamente due notizie di reato: la denuncia ed il referto. Inoltre prevede le condizioni di procedibilità, e cioè la querela, l'istanza, la richiesta di procedimento e l'autorizzazione a procedere; questi atti contengono ( l ) Quando si tratta di procedimenti per delitti di associazione mafiosa e assimilati (terrorismo internazionale, tratta di persone e criminalità informatica, di cui all'art. 5 1 , comma 3 -bis, 3 -quater e 3-quinquies), le funzioni di giudice per le indagini preliminari sono esercitate da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (art. 238, mod. da ultimo dal d.l. sulla sicurezza pubblica n. 92 del 2008, conv. in legge n. 125 del 2008). Ricordiamo che per tali delitti le funzioni del pubblico ministero sono svolte dal procuratore distrettuale antimafia. E ancora: nei procedimenti relativi ai reati, consumati o tentati, riferiti alla gestione dei rifiuti ed ai reati in materia ambientale nella regione Campania, le funzioni di giudice per le indagini preliminari sono esercitate da magistrati del tribunale di Napoli (art. 3 , decreto-legge n. 90 del 2008, conv. in legge n. 123 del 2008). Per tali reati le funzioni del pubblico ministero sono svolte dal procuratore della repubblica presso il tribunale di Napoli; la competenza per il giudizio resta quella ordinaria del locus commissi delicti.
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sia l'informativa su di un illecito penale, sia la manifestazione della volontà che si proceda contro il responsabile dello stesso. Sono " condizioni di procedibilità" nel senso che la loro mancanza impedisce al pubblico ministero d i esercitare l'azione penale.
b.
La denuncia.
La denuncia può essere presentata da qualsiasi persona che abbia avuto notizia di un reato (sia essa un cittadino italiano, uno straniero o perfino lo stesso autore del fatto illecito). Può essere scritta o orale e può essere presentata sia ad un ufficiale di polizia giudiziaria, sia direttamente al pubblico ministero. La denuncia contiene la esposizione degli elementi essenziali del fatto ed indica il giorno dell'acquisizione della notizia di reato « nonché le fonti di prova già note ». Inoltre, quando è possibile, contiene le generalità della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che sono in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto (art. 332). Di regola la denuncia è facoltativa (art. 33 1 ) ; essa è rimessa al senso civico della singola persona (v. tav. 3 . 1 .2) . Vi sono alcune ipotesi nelle quali la denuncia costituisce, per persone che svolgono determinate funzioni o profes sioni, un obbligo sanzionato penalmente (artt. 3 3 1 e 3 3 4 ) . La denuncia da parte di privati. Una persona privata h a l'obbligo di denuncia nei seguenti casi: l ) quando sia cittadino italiano ed abbia avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce l'ergastolo ( art. 3 64 c.p.); 2 ) quando abbia ricevuto cose provenienti da delitto (art. 709 c.p.) ; 3 ) quando abbia notizia di materie esplodenti situate nel luogo da lui abitato ( art. 679 c.p . ) ; 4) quando abbia subìto un furto di armi o esplosivi (art. 20, legge n. 1 10 del 1 975 ) ; 5) infine, quando abbia avuto conoscenza di un delitto di sequestro di persona a fini di estorsione (art. 3 d.l. 15 gennaio 1 99 1 , n. 8) (2). I pubblici ufficiali (art. 357 c.p.) e gli incaricati di un pubblico servizio (art. 358 c.p.) hanno l'obbligo di presentare denuncia quando vi è una determinata relazione tra la funzione o il servizio da loro svolto e la conoscenza del reato. Infatti, i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio hanno l'obbligo di denuncia dei reati dei quali vengano a conoscenza sia nell'esercizio delle funzioni (e cioè durante l'orario di lavoro), sia a causa della funzione o servizio (ad esempio, anche fuori dell'orario di lavoro una persona riferisce ad un (2) In relazione a tale ultima ipotesi, occorre segnalare che il legislatore, in via del tutto eccezionale e innovativa, ha imposto non solo un obbligo di denuncia, ma un ben più pregnante obbligo di collaborazione: il decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito nella legge 15 marzo 1991, n. 82, punisce con la reclusione fino a tre anni chiunque omette o ritarda di riferire qualsiasi informazione su atti e fatti concernenti anche il semplice tentativo di sequestro di persona a scopo di estorsione. Si tratta di un obbligo di informazione che normalmente è previsto per la polizia giudiziaria.
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insegnante pubblico che la sua allieva subisce maltrattamenti in famiglia). L'obbligo scatta quando la notizia concerne un reato procedibile non a querela ( artt. 3 6 1 , 3 62 c.p . ) . L e qualifìche di pubblico uffìciale e di incaricato di pubblico servizio. La materia è di fondamentale importanza ai fini del diritto e del processo penale. Nel diritto penale le qualifiche di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio sono richieste per la configurabilità di determinati reati commessi da tali soggetti o contro tali soggetti (ad esempio, rispettivamente, la concussione o la violenza a pubblico ufficiale) . Ai fini del processo penale il pubblico ufficiale e l'incaricato di pubblico servizio hanno l'obbligo di presentare denuncia e, con riferimento alla testimonianza, l'obbligo di mantenere il segreto d'ufficio (art. 201). L a definizione delle due qualifiche è data dagli articoli 3 5 7 e 358 del codice penale (v. tav. 3 . 1 .3 ) . Vi è un requisito comune: la funzione ed il servizio sono "pubblici" quando sono disciplinati da « norme di diritto pubblico e da atti autoritativi » ( art. 357, comma 2 c.p . ) ; il tipo di disciplina serve a tracciare la distinzione rispetto alle funzioni ed ai servizi "privati" . Comune è anche l a caratterizzazione di tipo oggettivo: ciò che rileva non è l'esistenza di un rapporto di impiego pubblico, bensì l'esercizio in concreto di una funzione o servizio pubblici. Anche un professionista privato può essere legittimato da norme di diritto pubblico a svolgere tali funzioni. n pubblico uffìciale. Ciò premesso, possiamo passare a esporre la distin zione tra le due qualifiche. Sono funzioni pubbliche (e, in quanto tali, integrano la qualifica di pubblico ufficiale) le funzioni legislative, giudiziarie e ammini strative. Al fine di consentire una più precisa delimitazione del concetto di pubblica funzione, con particolare riferimento a quella amministrativa, l'art. 357, comma 2 c.p. afferma che la stessa deve avere almeno una delle seguenti caratteristiche. Deve consistere nella « formazione » o « manifestazione » della volontà della pubblica amministrazione o deve svolgersi per mezzo di « poteri autoritativi » o « certificativi » (3 ) . L'incaricato di pubblico servizio viene definito dall'art. 3 5 8 c.p. mediante un requisito positivo e due negativi. In primo luogo, il servizio deve essere disciplinato (come la pubblica funzione) da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi. In secondo luogo, devono mancare le caratteristiche proprie della funzione pubblica, e cioè lo svolgimento di poteri certificativi o autoritativi o la (3) Applicando tali criteri, ne consegue che è pubblico ufficiale l'assessore del comune quando manifesta la volontà dell'ente locale; ma sono pubblici ufficiali anche quei professionisti privati ai quali la legge conferisce un potere certificativo, come i notai. Vi sono leggi speciali che prevedono una centralizzazione nell'obbligo di presentare denuncia. Ad esempio, l'art. 7, comma 2 del T.U. bancario (d.lgs. n. 385 del 1993) prevede che i dipendenti della Banca d'Italia, nell'esercizio delle funzioni di vigilanza, « hanno l'obbligo di riferire esclusivamente al Governatore tutte le irregolarità constatate, anche quando assumano la veste di reati >>.
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formazione o la manifestazione della volontà della pubblica amministrazione. In terzo luogo il servizio non deve comportare l'esercizio di semplici mansioni d'ordine (ad es. , un dattilografo o un usciere) né la prestazione di un'opera meramente materiale (ad es. , un manovale) . Occorre sottolineare che lo Stato (o altro ente pubblico) può affidare l'esercizio di un servizio pubblico a soggetti privati; nel momento in cui il privato esercita tale servizio egli assume la qualifica di incaricato di pubblico servizio (ad esempio, tale è il dipendente di una società per azioni che è concessionaria del servizio di riscossione delle imposte, nel momento in cui il dipendente medesimo svolge quel servizio pubblico). Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, data la particolare qualifica rivestita, sono tenuti ad informare il pubblico ministero di tutti i reati proce dibili d'ufficio dei quali sono venuti comunque a conoscenza (art. 3 6 1 , comma 2 c.p . ) ; quindi anche fuori del servizio svolto (4) . Esenzione dall'obbligo di denuncia. Una disposizione apposita è prevista in relazione al dz/ensore e ai suoi ausiliari. Tali soggetti non hanno obbligo di denuncia « neppure in relazione ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da essi svolte » (art. 334-bis). La disposizione deve intendersi nel senso che, rispetto all'obbligo di denuncia, il difensore ed i suoi ausiliari sono trattati come privati anche quando svolgono investigazioni difensive. Come è noto, le attività difensive possono comportare l'esercizio di funzioni quali la certificazione o la verbalizzazione, sia pure aventi ad oggetto indagini private. Ciò avrebbe potuto indurre alcuni ad affermare (in modo erroneo) che il difensore o i suoi ausiliari dovessero essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio ai fini dell'obbligo di denuncia penal mente sanzionato. La disposizione citata elimina in radice qualunque dubbio in proposito e costituisce una garanzia di libertà per il difensore e i suoi ausiliari. c.
n referto.
Il re/erto è una particolare forma di denuncia alla quale è tenuto colui che, nell'esercizio di una professione sanitaria, ha prestato la propria assistenza o opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto procedibile d'ufficio (art. 3 65 c.p. ) . Il soggetto obbligato deve far pervenire il referto entro quarantotto ore (o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente) al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria (art. 334 c.p.p.) . L'obbligo viene meno (4) Tuttavia abbiamo visto, parlando della polizia giudiziaria, come esistano ufficiali ed agenti a competenza limitata. Per questi soggetti l'obbligo si collega solo all'effettivo espletamento delle funzioni di polizia giudiziaria, attribuite loro soltanto << nei limiti del servizio ( . . . ) e secondo le rispettive attribuzioni >> (art. 57, comma 3 ) : così, ad esempio, l'ispettore sanitario non può essere considerato ufficiale di polizia giudiziaria in relazione al delitto di rapina, o fuori dall'orario di servizio.
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quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale (art. 3 65 , comma 2 c.p.). Possiamo fare applicazione del principio con un esempio. Se la persona offesa dal reato si fa assistere dal medico (che sia un professionista privato), il sanitario ha l'obbligo del referto. Al contrario, se il responsabile del reato si fa assistere da un medico privato, l'obbligo di referto non sussiste. Occorre mettere in evidenza che, se il medico è dipendente pubblico (ad esempio, fa parte del pronto soccorso di un ospedale pubblico) , in tal caso egli ha sempre l'obbligo di denuncia-referto, in quanto è un incaricato di pubblico servizio (art. 3 62 c.p. ) .
d.
L'obbligo di informare il pubblico ministero.
L'informativa al pubblico ministero. Una volta che la polizia giudiziaria ha ricevuto una notizia di reato (es. denuncia o referto) , scatta l'obbligo per la polizia stessa di informare il pubblico ministero. L'informativa è la fonte dalla quale il pubblico ministero attinge la notizia di reato; l'informativa deve precisare gli « elementi essenziali del fatto » e gli altri « elementi di prova e le attività compiute » (art. 347, comma 1 ) . Da ciò si ricava che la polizia deve trasmettere una notizia di reato non "muta" dal punto di vista investigativo, bensì " significativa" . Dal ricevimento della notizia di reato scatta l'obbligo in capo alla polizia giudiziaria di trasmettere l'informativa, che infatti deve con tenere l'indicazione precisa circa « il giorno e l'ora » in cui la notizia è stata acquisita (art. 347, comma 4 ) . I termini per la trasmissione dell'informativa. l i termine, entro cui l' ob bligo deve essere adempiuto, non è unico, bensì varia in relazione a determinate situazioni previste dall'art. 34 7 . Come regola, il codice pone l'obbligo di riferire la notizia di reato « senza ritardo » e « per iscritto » al pubblico ministero. Sono previste, tuttavia, alcune eccezioni. L'informativa deve essere data " immediatamente" anche in forma orale quando « sussistono ragioni di urgenza » o quando si tratta di determinati delitti gravi o di criminalità organizzata ( art. 347, comma 3 ) . E ancora, il termine è di quarantotto ore nel caso in cui la polizia giudiziaria abbia compiuto « atti per i quali è prevista l'assistenza del difensore » dell'indagato (art. 34 7, comma 2-bis) . Infine, l'avvenuto arresto in flagranza impone alla polizia l'obbligo di informare immediatamente il pubblico ministero (art. 3 86, comma 1 ) . Caratteri differenziali tra informativa e notizia di reato. Una differenza fondamentale tra l'informativa di polizia giudiziaria e la notizia di reato è la impersonalità della informativa. Infatti, mentre le notizie di reato obbligatorie (artt. 3 62-3 65 c.p.; 33 1 e 334 c.p.p.) sono il frutto di obblighi imposti ad una specifica persona che abbia avuto la conoscenza del fatto, l'obbligo di informa tiva investe l'organo di polizia giudiziaria inteso come unità operativa. La
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funzione di informazione completa e organica attribuita all'informativa di reato impone un'organizzazione e un coordinamento all'interno dell'ufficio, cosicché spetta poi all'ufficiale più alto in grado il compito di riunire tutti gli elementi in un unico documento da spedire, nei termini di legge, al pubblico ministero competente, indicando gli ufficiali ed agenti che hanno svolto indagini (5) .
3.
Le condizioni di procedibilità.
n codice pone la regola della procedibilità d'ufficio (art. 50, comma 2 ) ; i reati sottoposti a condizione di procedibilità devono essere espressamente previsti dalla legge. Le condizioni di procedibilità sono atti ai quali la legge subordina l'esercizio dell'azione penale in relazione a determinati reati per i quali non si debba procedere d'ufficio. Sono condizioni di procedibilità la querela, l'istanza, la richiesta di procedimento e l'autorizzazione a procedere. Gli istituti menzionati sono tradizionalmente costruiti come " condizioni" per l'esercizio dell'azione penale; in realtà, in mancanza di una condizione di procedibilità si possono compiere soltanto « gli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova » (art. 346) (6). Da ciò si desume che non si possono disporre atti coercitivi come il fermo, l'arresto o le misure cautelari personali (7) . Se ciò è vero, le condizioni di procedibilità costituiscono altresì una " condizione" per l'esercizio di determinati poteri coercitivi; una normativa speciale vale per l'autorizzazione a procedere (art. 343 ; v. in/ra) . a) La querela è u n atto con il quale l a persona offesa manifesta la volontà che si persegua penalmente il fatto di reato che essa ha subìto; ciò a prescindere dal soggetto che risulterà esserne l'autore (art. 120 c.p .) . La querela si compone di due elementi: la notizia di reato e la manifestazione della volontà che si (5) Se si è in presenza di notizie di reato non previste espressamente dal codice, l'individuazione del momento iniziale da cui decorre il termine per l'informativa al pubblico ministero presenta qualche difficoltà. n problema si pone per quelle che si chiamano tradizionalmente "notizie non qualifìcate di reato" e che consistono in articoli di stampa, voce pubblica, informazioni confidenziali o che derivano da fonti di prova non utilizzabili. n problema può essere risolto considerando che l'art. 347 impone l'obbligo di informativa quando sono presenti gli « elementi essenziali del fatto >> e sia possibile indicare le « fonti di prova >>. Pertanto non scatta tale obbligo finché vi è soltanto il generico sospetto di un reato e mancano elementi idonei a qualifìcarlo come illecito penale. Tuttavia in tale situazione il codice impone sia alla polizia giudiziaria, sia al pubblico ministero, di " prendere" notizia dei reati di propria iniziativa (art. 330). Tutto ciò configura per la polizia giudiziaria un obbligo istituzionale posto dall'art. 55; per il pubblico ministero costituisce un adempimento del più generale principio di obbligatorietà dell'azione penale (art. 1 12 Cost.). (6) In tal caso la polizia giudiziaria deve riferire senza ritardo al pubblico ministero le attività di indagine che sono state svolte (art. 1 12 disp. att. ). (7) In dottrina si ammette che si possa disporre il sequestro probatorio che non richieda una previa perquisizione. n sequestro di iniziativa della polizia giudiziaria in sede di sopralluogo (art. 354) rientra tra gli atti che si possono compiere in attesa di una condizione di procedibilità che può ancora soprawenire; in tal senso Cass., sez. I, 6 giugno 1 99 1 , Saidi Ben Abdelaziz, in Cass. pen., 1993 , 1 158.
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proceda penalmente in ordine al medesimo (v. atto 3 . 1 .6). È chiara la differenza rispetto alla denuncia: quest'ultima può essere presentata da chiunque (non solo dalla persona offesa) e non deve necessariamente contenere una manifestazione di volontà; è sufficiente la notizia che è avvenuto un fatto di reato. Il diritto di querela deve essere esercitato, di regola, entro il termine di tre mesi dal giorno in cui la persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce reato (art. 124 c.p.) ; nel caso di delitti contro la libertà sessuale il termine è di sei mesi (art. 609-septies, comma 2 c.p.). La dichiarazione di querela è proposta con le forme previste per la denuncia; nel caso in cui sia recapitata da un incaricato o spedita per posta, occorre l'autentica della sottoscrizione da parte di un pubblico ufficiale auto rizzato o, anche, del difensore ( artt. 337 c.p.p.; 39 disp. att.) (8) . La rinuncia alla querela. Il codice consente alla persona offesa di rinunciare al diritto di querela. La rinuncia è un atto irrevocabile ed incondizionato con cui la persona offesa, prima di aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il reato subìto (art. 124 c.p . ) . La rinuncia al diritto di querela può essere fatta con un atto espresso o tacitamente ed è irrevocabile (art. 124, comma 2 c.p.) . Occorre ricordare che la rinuncia può essere effettuata soltanto dopo che la persona offesa ha subito il reato. Prima che tale fatto sia stato commesso, non esiste alcun diritto di querela. Pertanto non è possibile rinunciare a un diritto che non sia ancora sorto. La remissione di querela. Di regola, la querela, una volta proposta, può essere revocata. A tal fine il codice penale prevede l'istituto della remissione. Si tratta di quell'atto irrevocabile ed incondizionato con cui la persona offesa, dopo aver proposto querela, manifesta la volontà che non si proceda penalmente per il fatto di reato (9). La remissione non produce effetto se il querelato non l'ha accettata espressamente o tacitamente (art. 155 c.p.) . Merita ricordare che, nel caso di delitti in materia sessuale, la querela proposta è irrevocabile (art. 609-septies, comma 3 c.p. ) . (8) L'art. 39 disp. att. si riferisce espressamente al dzfensore: perché possa autenticare la firma del cliente, quindi, l'avvocato deve aver ricevuto un mandato difensivo. Sul punto è intervenuta la Corte di cassazione: << L'autenticazione della firma del querelante effettuata da un avvocato deve ritenersi valida solo nel caso in cui questi sia stato nominato difensore della persona offesa, a norma degli articoli 101, comma l , e 96, comma 2, c.p.p.; ma la dichiarazione di nomina non necessita di formule sacramentali e può essere ravvisata in altre dichiarazioni rese nell'atto di querela, dalle quali potere ricavare la sua volontà di essere assistita dal legale che ha autenticato la firma. Né queste dichiarazioni possono essere sostiruite dai così detti << fatti concludenti >> posteriori alla presentazione della querela stessa, quali ad esempio la circostanza che l'avvocato abbia effettivamente assunto il ruolo di difensore nel corso del successivo giudizio >>. Nel caso di specie la Cassazione ha ravvisato la nomina del difensore, che ha autenticato la sottoscrizione, nell'elezione di domicilio presso di lui; così, sez. un., l l luglio 2006, n. 26549, Scafi, in Guida dir., 2006, 35, 7 1 . (9) L a remissione della querela estingue il reato (art. 152, comma l c.p.) . In base alla legge 2 5 giugno 1999, n. 205, l'art. 340, comma 4 c.p.p. è stato modificato nei seguenti termini: << le spese del procedimento sono a carico del querelato, salvo che nell'atto di remissione sia stato diversamente convenuto >>.
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b) L'istanza è un atto con il quale la persona offesa manifesta la volontà che si proceda per un reato che è stato commesso all'estero e che, se fosse stato commesso in Italia, sarebbe procedibile d'ufficio (artt. 9, comma 2 e 10, comma l c.p.). c) La richiesta di procedimento è l'atto con cui il ministro della giustizia manifesta la volontà che si proceda per un determinato reato commesso all'estero (artt. 7 - 1 1 c.p.) o per altri reati espressamente previsti dagli artt. 127 , 3 1 3 , comma 4 e 604 c.p. d) L'autorizzazione a procedere è un atto discrezionale ed irrevocabile che viene emanato da un organo dello Stato. Due possono essere le ragioni per le quali la legge pone l'autorizzazione come condizione per l'esercizio dell'azione penale e per il compimento di singoli atti del procedimento. In alcuni casi viene in considerazione la qualità dell'imputato, che è un rappresentante di un organo pubblico e che si vuole proteggere contro le " azioni di disturbo" del potere giudiziario. Ad esempio, non si può procedere per un reato commesso da un ministro nell'esercizio delle sue funzioni se non su autorizzazione della assemblea legislativa alla quale appartiene il ministro stesso, o del senato se il ministro non è membro delle assemblee legislative (art. 96 Cost.; art. 5 legge cost. 16 gennaio 1 989, n. 1 ) . In altri casi viene in considerazione la qualità della persona o/fesa dal reato, che è un organo pubblico del quale si vuole evitare che venga compromesso il "prestigio" in un processo penale (art. 3 13 c.p . ) . Ad esempio, non si può procedere per il delitto di vilipendio di una delle due assemblee legislative (art. 2 90 c.p.) senza l'autorizzazione dell'assemblea contro la quale il vilipendio è diretto. Quando è stata presentata la querela, l'istanza, la richiesta o l'autorizza zione a procedere, la polizia giudiziaria ha l'obbligo di inviare l'informativa al pubblico ministero. In mancanza delle condizioni di procedibilità, la polizia giudiziaria di regola non ha l'obbligo di informare il pubblico ministero della notizia di reato; l'obbligo scatta soltanto se vengono compiute indagini (art. 1 12 disp. att.). Una normativa particolare vale per l'autorizzazione a proce dere ( 10).
(10) I n mancanza d i autorizzazione a procedere, s i possono assicurare l e fonti di prova e disporre misure cautelari reali; si possono disporre misure cautelari personali soltanto nei confronti di persone diverse da quella rispetto alla quale è necessaria l'autorizzazione. Viceversa, nei confronti della persona rispetto alla quale è prevista l'autorizzazione sono di regola vietati gli atti coercitivi e si può procedere ad interrogatorio soltanto se l'interessato lo richieda. È prevista anche una deroga: sono ammessi gli atti coercitivi quando la persona stessa è colta nella flagranza di uno dei delitti per i quali l'arresto è obbligatorio (art. 343 comma 3 ) . Questo in via molto semplificata: infatti poi l e regole sono diverse a seconda che l'autorizzazione sia prevista soggettivamente, per i membri del parlamento o della corte costituzionale, oppure oggettivamente, per il reato commesso.
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Il procedimento ordinario
III.I.4.b
Il segreto investigativo ed il divieto di pubblicazione. a.
Considerazioni preliminari.
Lo svolgersi del procedimento penale genera un contrasto tra opposte esigenze. Vi è la necessità di proteggere la ricerca della verità contro gli atti che possono mettere in pericolo l'acquisizione o la genuinità della prova; ma vi è anche quella di assicurare l'esercizio del diritto di difesa. L'esigenza di tutela delle indagini impone di coprire col segreto gli atti iniziali del procedimento; la garanzia del diritto di difesa richiede che gli atti possano essere conosciuti dall'indagato e dalle altre potenziali parti private. Su questo sfondo si colloca il nuovo comma 3 dell'art. 1 1 1 Cost. , in base al quale l'accusato ha il diritto di essere informato riservatamente « nel più breve tempo possibile della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico ». Con il termine " segreto" si indica un limite posto alla conoscibilità di fatti; di essi viene assicurata la conoscenza esclusiva in favore di determinati soggetti. Per gli « atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria » è previsto come regola l'obbligo del segreto (art. 329, comma 1 ) . Tale vincolo comporta che l'atto di indagine non debba essere rivelato ed opera in modo oggettivo, nel senso che grava su tutti i soggetti che siano a conoscenza dell'atto segreto. Essi sono comunque obbligati a non rivelare l'atto, a prescin dere dalla loro qualifica. Ovviamente, l'atto può essere rivelato dall'inquirente a soggetti pubblici autorizzati a conoscerlo; ciò avviene, ad esempio, nei rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero, impegnati in indagini collegate (art. 3 7 1 , comma 1 ) . Il soggetto autorizzato a conoscere l'atto è, a sua volta, vincolato dall'obbligo del segreto ( 1 1 ) .
b.
Gli atti conoscibili dall'indagato.
La conoscenza degli atti di indagine svolge una funzione opposta. Essa permette all'indagato di verificare la credibilità delle fonti di prova ricercate dall'accusa e l'attendibilità dei risultati ottenuti; permette inoltre di ricercare le prove a proprio favore. Purtroppo, i mezzi che servono a proteggere la società contro i delinquenti ( 1 1 ) n divieto di rivelazione permane fino a che l'atto è coperto dal segreto, e cioè << fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari >> (art. 329, comma l c.p.p.). n segreto è funzionale al buon esito delle indagini svolte dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria; esso costituisce, come già anticipato, una tutela contro il pericolo di inquinamento della prova. Infatti le indagini si svolgono necessariamente in un arco di tempo più o meno lungo; la conoscenza dei primi risultati potrebbe consentire al responsabile del reato o ai suoi complici di influire sugli elementi ancora da ricercare o da assumere impedendo l'accertamento della verità. In particolare, vi può essere il pericolo di interventi diretti a sopprimere fonti di prova, ad alterare i risultati o a creare prove false.
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ostacolano la difesa dell'indagato; ed inversamente, gli istituti che garantiscono maggiormente la difesa dell'indagato aprono falle nella tutela della società. n codice ha operato un bilanciamento tra le contrapposte esigenze della protezione della società e della difesa dell'indagato. Alla regola della segretezza sono state poste varie deroghe in favore della difesa. Gli atti "garantiti" sono quelli ai quali il difensore ha diritto di assistere previo avviso che deve essergli dato almeno ventiquattro ore prima del compi mento dell'atto stesso. Si tratta dell'interrogatorio, dell'ispezione e del con fronto ai quali partecipa l'indagato e dell'ispezione alla quale non deve parte cipare l'indagato (art. 3 64 commi l e 3 ) ( 12 ) . Quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo nel compimento di uno degli atti menzionati possa pregiudicare la ricerca o l'assicurazione delle fonti di prova, il pubblico ministero può compiere l'atto prima del termine, ma deve comunque dare tempestivamente avviso al difensore d'ufficio o a quello di fiducia. L'avviso può essere omesso quando il pubblico ministero procede a ispe zione e vi è fondato motivo di ritenere che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati; è fatta salva, in ogni caso, la facoltà del difensore d'intervenire (art. 3 64 comma 5 ) . Nella categoria degli atti garantiti rientra altresì l'accertamento tecnico non ripetibile disposto dal pubblico ministero su « persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione » (art. 3 60) o la modificazione dei quali è determinata dall'accertamento stesso (art. 1 17 disp. att. ) (v. in/ra, § 6.7 ) . Occorre sottolineare che la facoltà di assistere ad alcuni atti di indagine (facoltà spettante al difensore) è concessa prevalentemente al fine di tutelare l'indagato (se presente) e di assicurare comunque la regolarità dell'atto stesso: la garanzia assicura quello che viene comunemente definito " contraddittorio debole" . Infatti, quando il difensore assiste agli atti di indagine, il suo intervento è limitato: in base all'art. 3 64, comma 7 , può « presentare al pubblico ministero richieste, osservazioni e riserve delle quali è fatta menzione nel verbale ». Non si tratta di quel contraddittorio nella formazione della prova, che è previsto nell'art. 1 1 1 comma 4 Cost. Gli atti a sorpresa. Vi è poi una seconda categoria, definibile come " atti a sorpresa" ; in essa rientrano gli atti ai quali il difensore ha facoltà di assistere senza tuttavia avere diritto al preavviso. Si tratta delle perquisizioni e dei sequestri, che sono atti per loro natura non ripetibili fin dall'origine (art. 3 65 c.p .p.) . D deposito. Degli atti sia " garantiti" , sia " a sorpresa " , è previsto il deposito del verbale a prescindere dal fatto che il difensore abbia partecipato o meno ( 12) Può accadere all'inizio delle indagini che l'indagato non sia assistito da un difensore. In tal caso, l'indagato deve essere avvisato che è assistito da un difensore d'ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia ( art. 364 comma 2).
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all'atto medesimo (art. 366). n deposito avviene presso la segreteria del pub blico ministero entro il terzo giorno successivo al compimento dell'atto, con facoltà per il difensore di esaminare il verbale ed estrarne copia nei cinque giorni successivi. Quando non è stato dato avviso del compimento dell'atto, al difensore è immediatamente notificato l'avviso di deposito. Ove sia stato eseguito un sequestro, il difensore ha facoltà di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano e di estrarne copia se si tratta di documenti (art. 3 66, comma l) ( 1 3 ) . L'informazione di garanzia. Occorre ricordare che quando il pubblico ministero ritiene di compiere un atto garantito, egli ha l'obbligo di inviare all'indagato ed alla persona offesa l'informazione di garanzia (art. 369). n contenuto più importante dell'informazione di garanzia è l'invito ad esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia (v. tav. 2 . 1 .26). Se l'indagato non provvede alla nomina, il pubblico ministero designa il difensore d'ufficio richiedendo il nominativo all'ufficio appositamente istituito presso il consiglio dell'ordine degli avvocati ( art. 29 disp. att.) (in/ra, § 6, lett. a). Atti garantiti e assistenza difensiva. Quando deve essere compiuto u n atto garantito (che impone il preavviso al difensore) , il pubblico ministero deve preavvisare il difensore dell'indagato del compimento dell'atto. n difensore di fiducia (o d'ufficio) ha la facoltà, ma non il dovere, di assistere all'atto garantito; pertanto, l'atto è validamente compiuto se il difensore, regolarmente preavvi sato, non si presenta. c.
Gli atti segreti.
n segreto investigativo. Fra gli atti segreti, che costituiscono la regola durante le indagini (art. 329), rientrano ad esempio gli accertamenti tecnici ripetibili (art. 359), l'individuazione di persone o di cose (art. 3 6 1 ) , l'assunzione di informazioni da possibili testimoni (art. 3 62 ) . Questi atti sono coperti dal segreto investigativo fino all'avviso di conclusione delle indagini (art. 4 15-bis) . L'obbligo del segreto opera in modo oggettivo e si riferisce a tutte le persone che hanno partecipato o assistito al compimento dell'atto: ai sensi dell'art. 329, comma l, il segreto concerne « gli atti di indagine ». La violazione dell'obbligo del segreto investigativo può rientrare in almeno due fattispecie incriminatrici (artt. 326 e 379-bis c.p . ) . ( 1 3 ) Nei procedimenti contro ignoti vige la medesima regola della "conoscibilità astratta", che abbiamo sopra menzionato. Non sembra infatti possibile sostenere (come fa parte della dottrina) che la mancanza di un indagato noto, cui riferire la conoscenza degli atti, comporti l'estensione del segreto investigativo. L'appartenenza alla categoria degli "atti conoscibili" prescinde dall'effettiva presa di conoscenza dell'atto stesso da parte dell'indagato o del suo difensore e, dunque, dalla stessa presenza dell'indagato. Pertanto nei procedimenti contro ignoti, non appena sia identificato un indagato, il difensore di questi ha diritto di esaminare i verbali degli atti conoscibili.
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La rivelazione di segreti inerenti ad un procedimento penale. Il nuovo art.
379-bis c.p., primo periodo, punisce con la reclusione fino ad un anno « chiun que rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso ». n presupposto, che pone l'obbligo del segreto, è l'aver partecipato o assistito ad un atto segreto. Come è agevole desumere dal tenore letterale della norma, il vincolo concerne lo svolgimento e la " documentazione" dell'atto del procedimento; viceversa, esso non si estende al fatto storico oggetto di indagine. Pertanto, le persone che hanno partecipato al compimento di un atto di indagine (ad esempio, i possibili testimoni sentiti dal pubblico ministero) non possono rivelare lo " svolgimento " dell'atto (ad esempio, le domande rivolte e le risposte date); tuttavia, le persone stesse sono libere di riferire quei fatti storici, dei quali sono a conoscenza. La rivelazione del segreto d'ufficio. L'art. 326 c.p. punisce il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio il quale riveli un atto segreto « violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della (propria) qualità ». Come abbiamo accennato all'inizio del capitolo, rientrano nella categoria dei pubblici ufficiali i magistrati e la polizia giudiziaria. Durata del segreto investigativo. Il codice indica due momenti nei quali viene meno l'obbligo del segreto. In primo luogo ciò avviene quando l'indagato può « avere conoscenza » dell'atto (art. 329, comma 1 ) . L'espressione deve intendersi nel senso che si deve trattare di una possibilità "legale" di cono scenza, che può aversi anche quando, di fatto, il difensore non è stato presente all'atto o non si è recato nella segreteria del pubblico ministero ad esaminare il verbale. In secondo luogo l'obbligo del segreto cade quando si perviene alla « chiusura delle indagini preliminari » (art. 329, comma 1 ) . L'espressione deve essere riferita all'avviso di conclusione delle indagini (art. 4 15 -bis) ( 14). n potere di segretare lo "svolgimento" di atti di indagine conoscibili. n codice ha tenuto conto della possibilità che in concreto si presenti l'esigenza di rendere segreti quegli atti che, per legge, sono nati come conoscibili o lo sono diventati successivamente perché devono essere depositati (es. sequestro; art. 3 66). Il pubblico ministero esercita il potere di segretazione « in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini », e in particolare quando la (14) Parimenti gli atti sono depositati quando il giudice non ha accolto la richiesta di archiviazione ovvero l'offeso si è opposto alla richiesta stessa (artt. 409, comma 2 e 4 10, comma 3 ) . Soltanto nel caso in cui il giudice accolga de plano la richiesta di archiviazione, gli atti restano ignoti al difensore dell'indagato (art. 409, comma l ) ; ma l'obbligo del segreto cade ai sensi dell'art. 329, comma l in quanto vi è stata la "chiusura delle indagini " , che corrisponde al decreto di archiviazione. In alcune sedi accade che il difensore dell'inda gato possa avere copia del fascicolo archiviato soltanto previa autorizzazione del giudice per le indagini preliminari.
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conoscenza dell'atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone (art. 329, comma 3 lett. a) (v. tav. 3 .4 .4). L'obbligo del segreto concerne lo svolgimento dell'atto ( 15 ) . Il potere di segretare i "fatti" oggetto di indagine. L a legge n. 3 97 del 2000 ha attribuito al pubblico ministero un ulteriore potere di segretazione. Tale potere si esercita su atti già segreti ai sensi dell'art. 329 e consiste in un ampliamento dell'oggetto del segreto: esso non è limitato al solo svolgimento dell'atto, ma anche ai fatti storici oggetto di indagine. Ai sensi del nuovo art. 3 9 1 -quinquies, la segretazione appena esposta concerne esclusivamente que gli atti di indagine, che comportano l'assunzione di dichiarazioni da parte di testimoni o imputati. Se sussistono specifiche esigenze attinenti alle indagini, il pubblico ministero può vietare, alle persone sentite, di « comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno conoscenza » (art. 3 9 1 -quinquies) . Il divieto è disposto con decreto motivato e non può avere una durata superiore a due mesi. Nell'ipotesi in oggetto la persona sentita è vincolata ad un duplice divieto. Anzitutto, secondo le regole generali, non può rivelare le domande rivolte e le risposte date (art. 329). In secondo luogo, ha l'ulteriore divieto di comunicare notizie attinenti al fatto oggetto di indagine. In tal modo il pubblico ministero può precludere a tutti, quindi anche alla difesa dell'indagato e della persona offesa, l'assunzione di informazioni dai soggetti vincolati al segreto. Anche la segretazione in esame è munita di un presidio penalistico. L'art. 379-bis c.p . , secondo periodo, estende all'ipotesi in oggetto la sanzione prevista in caso di violazione del generale segreto investigativo, disciplinato dall'art. 329 c.p.p. ( 16) . ( 15) n potere di segretazione è ammesso in presenza di una delle seguenti condizioni: l) che l'indagato stesso lo consenta; 2) che la conoscenza dell'atto possa ostacolare le indagini riguardanti altre persone. In questi casi l'obbligo del segreto vincola coloro che sono a conoscenza dell'atto a non rivelare o divulgare quest'ultimo a terze persone. Agli atti "segretati" si applica la stessa disciplina che il codice predispone in relazione agli atti che sono segreti ai sensi dell' att. 329, comma l . Pertanto, le persone che hanno partecipato o assistito a tali atti non possono rivelare le notizie inerenti allo "svolgimento" degli stessi (ad esempio, domande e risposte), ma sono libere di rivelare quei fatti storici oggetto di indagine di cui sono a conoscenza. Una forma particolare di segretazione, che è obbligatoria per il pubblico ministero, è quella che concerne gli atti ai quali partecipano gli addetti ai servizi segreti. La regolamentazione è prevista dall'art. 27 della legge 3 agosto 2007 n. 124. ( 1 6) n pubblico ministero ha anche un altro potere. In base all'art. 366, comma 2 può disporre con decreto motivato che il deposito del verbale di un atto o l'esame delle cose sequestrate siano ritardati quando ricorrono << gravi motivi ». Il ritardo è disposto con decreto motivato, per un periodo non superiore a trenta giorni e senza pregiudizio di ogni altra attività del difensore. Contro tale prowedimento l'indagato e il difensore possono proporre opposizione al giudice, che decide attivando il procedimento in camera di consiglio (art. 366, comma 2, mod. dalla legge n. 397 del 2000). n potere di ritardare il deposito può essere esercitato dal pubblico ministero in relazione ad uno degli atti che sarebbero in astratto conoscibili dal difensore dell'indagato. Se quest'ultimo non è stato presente, l'atto resta di fatto segreto, anche se in astratto rientra tra gli atti conoscibili. Se viceversa il difensore ha partecipato all'atto, il ritardo nel deposito non vincola di per sé i soggetti, che hanno comunque conoscenza dell'atto stesso, a mantenere il segreto rispetto
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n divieto di pubblicazione.
Diverso dal problema della segretezza degli atti all'interno del procedi mento, che riguarda i soggetti che vi prendono parte, è il divieto di pubblicare gli atti del procedimento penale con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione (c.d. segreto esterno) . L'art. 1 14 comma l c.p.p. pone il divieto di pubblicare determinati atti del procedimento penale con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione. n divieto è di tipo assoluto o attenuato. Gli atti segreti. Nei confronti degli atti di indagine che sono segreti (art. 329 c.p.p.) è posto il divieto assoluto di pubblicazione, e cioè è vietato pubblicarne sia la riproduzione totale o parziale, sia il riassunto, sia il contenuto generico (art. 1 14 , comma l c.p.p.). n legislatore vuole evitare che la conoscenza anticipata degli atti segreti di indagine vanifìchi l'attività investigativa che si sta svolgendo ( 17 ) . Ma può anche accadere che la pubblicazione di un singolo atto possa agevolare l'investigazione; il caso è previsto dall'art. 329, comma 2 ( 18). Gli atti conoscibili. Un differente regime opera per gli atti del procedi mento penale che non siano segreti. Tale è la situazione sia degli atti che fin dall'origine nascano come conoscibili dall'indagato (non occorre che questi o il suo difensore in concreto ne abbiano avuto effettiva conoscenza), sia degli atti che divengano successivamente conoscibili (artt. 364-366 c.p.p . ) . Ricordiamo che il segreto cessa, di regola, quando è notificato all'indagato l'avviso di conclusione delle indagini (art. 4 15 -bù c.p.p.) o quando le indagini preliminari si sono concluse, ad esempio, con l'archiviazione. Per gli atti conoscibili vige un divieto attenuato di pubblicazione, nel senso che è vietato pubblicare l'« atto » (art. 1 14 , comma 2 c.p.p.), e cioè il testo parziale o totale dell'atto stesso. Viceversa, è consentito pubblicare il « conte nuto » dello stesso (art. 1 14, comma 7 c.p.p . ) , e cioè « notizie di stampa più o meno generiche e prive di riscontri documentali riguardanti il contenuto di atti » (Relaz. al Prog. preliminare, 49). Quello finora delineato è il regime che vige fino al termine dell'udienza preliminare, quando, in seguito alla emissione del decreto che dispone il giudizio, il giudice forma i due fascicoli. Dopodiché occorre distinguere.
a terze persone. Se il pubblico ministero intende apporre il vincolo del segreto, deve esercitare il potere che gli è concesso dall'art. 329, comma 3, lett. a. ( 17 ) L'art. 329, comma 3, lett. b, prevede tuttavia la possibilità, anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto, che il pubblico ministero, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini e con decreto motivato, possa disporre il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni. ( 18) Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto dall'art. 1 14, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi (es., l'identikit o la videoripresa dell'autore del reato). In tal caso, gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero.
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Il fascicolo per il dibattimento. Gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento (art. 43 1 c. p. p.) sono di regola pubblicabili attraverso la riprodu zione totale o parziale del loro testo (Corte cost. n. 59 del 1 995 ) . n fascicolo del pubblico ministero. Gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero sono pubblicabili soltanto nel loro contenuto generico (come sopra precisato) ; può essere pubblicato il loro testo soltanto dopo che è stata pronunciata la sentenza in grado di appello (art. 1 14 comma 3 c.p.p.): il legislatore vuole garantire la « corretta formazione del convincimento del giudice » (Relaz. al Prog. preliminare, 49). È sempre consentita la pubblicazione del testo degli atti utilizzati per le contestazioni. La carenza di tutela. Il sistema delineato dal legislatore rivela lacune e vuoti di tutela. La pubblicazione arbitraria di atti del procedimento penale è punita con la sanzione irrisoria dell'arresto fino a trenta giorni in alternativa con l'ammenda di duecentocinquantotto euro nel massimo (art. 684 c.p.) . Si tratta di una contravvenzione oblazionabile con il versamento di centoventinove euro ai sensi dell'articolo 1 62-bis c.p. È chiaro come sia scarsa l'efficacia deterrente che una norma del genere può esplicare nei confronti di giornalisti interessati a pubblicare notizie scoop per fare carriera ed incrementare i profitti dell'editore. La norma non pare idonea a garantire i valori giuridici che devono essere tutelati: la riservatezza dei soggetti coinvolti nel processo penale, la serena amministrazione della giustizia e la presunzione di innocenza dell'imputato. n divieto di divulgazione di determinati atti. È vietato pubblicare le generalità e l'immagine dei minorenni in relazione a qualsiasi atto del procedi mento penale. Il divieto vige nei confronti del minorenne imputato (art. 13 d.p.r. n. 448 del 1 988) ; ma, se il minorenne è testimone, persona offesa o danneggiato dal reato, il divieto concerne altresì gli elementi che anche indi rettamente possano portare alla di lui identificazione (art. 1 14 comma 6 mod. dalla legge n. 1 12 del 2004 ) . Le generalità e l'immagine della persona offesa. Una maggior tutela è assicurata dalla fattispecie prevista dall'articolo 734-bis c.p., che riguarda i procedimenti in materia di violenza sessuale e assimilati (e cioè pedofilia e pedopornografia; leggi n. 66 del 1 996, n. 269 del 1998 e n. 3 8 del 2006). La norma sanziona con la pena dell'arresto da tre a sei mesi chiunque divulghi, anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l'immagine della persona offesa dai predetti reati, senza il consenso di questa. La pena prevista non permette l'ablazione e, quindi, esplica una maggiore efficacia deterrente. Le persone private della libertà personale. La legge 16 dicembre 1 999, n. 479 ha introdotto nell'art. 1 14 il nuovo comma 6-bis che vieta la pubblicazione del l'immagine delle persone private della libertà personale, ritratte con le « manette ai polsi » o mentre sono sottoposte ad « altro mezzo di coercizione fisica ». Il divieto viene meno soltanto se la persona ripresa consente alla pubblicazione.
111.1.5 .a
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La violazione del divieto in questione non integra la pur blanda fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 684 c.p. Infatti, le immagini delle persone arrestate non rientrano tra gli « atti di un procedimento penale », la cui pubblicazione fuori dei casi consentiti costituisce reato. All'ipotesi in esame resta applicabile soltanto l'art. 1 15 c.p.p., che sanziona in via disciplinare la violazione dei divieti previsti dall'art. 1 14, quando è commessa da impiegati pubblici o da persone esercenti una professione per la quale è prevista una speciale abilitazione dello Stato, come avviene per i giornalisti. La pubblicazione di documenti concernenti lo spionaggio ed il dossierag gio illeciti. L'art. 4 del decreto-legge 22 settembre 2006 n. 259 recante « Di sposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche », convertito con modificazioni nella legge 20 novembre 2006 n. 2 8 1 , ha introdotto il divieto di pubblicare gli atti o i documenti di cui al comma 2 dell'articolo 240 c.p.p. Si tratta di due categorie di documenti illegali: nella prima sono ricompresi quei documenti, supporti e atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, che siano relativi a traffico telefo nico e telematica e che siano stati illegalmente formati o acquisiti (c.d. spio naggio illecito); nella seconda categoria di documenti sono ricompresi quelli formati attraverso la raccolta illegale di informazioni (c.d. dossieraggio illecito) . Ove i documenti illegali, appena citati, siano pubblicati, è prevista una san zione civile di notevole entità. Coloro, ai quali i documenti fanno riferimento, possono chiedere a titolo di riparazione all'autore della pubblicazione degli atti menzionati, al direttore responsabile e all'editore, in solido fra loro, una somma di denaro determinata in ragione di cinquanta centesimi per ogni copia stampata, ovvero da 50.000 a 1 .000.000 di euro secondo l'entità del bacino di utenza ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematica. In ogni caso, l'entità della riparazione non può essere inferiore a 10.000 euro.
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La regolamentazione dell'attività di iniziativa.
All'interno delle indagini preliminari il codice distingue tra « attività a ini ziativa della polizia giudiziaria » (titolo IV) ed « attività del pubblico ministero » (titolo V). La distinzione non ha la finalità di isolare una fase " autonoma" attri buita alla polizia giudiziaria, in quanto tutte le indagini preliminari sono compiute sotto la direzione del pubblico ministero (art. 327 ) ; ha lo scopo più limitato di precisare la differente regolamentazione degli atti sotto vari profili, tra cui l' eser cizio di poteri coercitivi sulle cose e la tutela del diritto di difesa ( 19). In generale, ( 19)
All'interno delle due categorie di arti di iniziativa della polizia giudiziaria e di iniziativa del
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possiamo affermare che il pubblico ministero ha poteri di perquisizione e se questro probatorio più incisivi rispetto alla polizia giudiziaria che agisce di propria iniziativa. La perquisizione ad iniziativa della polizia giudiziaria (art. 352 ) , infatti, può avvenire soltanto in caso di flagranza o evasione; essa deve essere sottoposta a convalida del pubblico ministero; inoltre, all'indagato, che sia presente, deve essere dato l'avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia (art. 1 14 disp. att . ) . Viceversa, nel caso d i perquisizione ordinata dal pubblico ministero (art. 247 ) , non s i richiede, quale requisito, l a flagranza o l'evasione (bastano sufficienti indizi) ; non vi deve essere ovviamente l a convalida, m a occorre che venga designato un difensore d'ufficio all'indagato che sia presente e che non abbia nominato un di fensore di fiducia (art. 3 65) . Analoghe differenze tra i poteri del pubblico ministero e quelli della polizia giudiziaria sono previsti in relazione al sequestro probatorio che, di solito, ha per oggetto le cose rinvenute nel corso della perquisizione (v. supra, parte II, cap. II, par. 4 ed in/ra in questo capitolo, par. 5 lett. e). L'iniziativa autonoma di polizia. Nell'ambito dell'attività svolta d'iniziativa dalla polizia giudiziaria si possono tracciare ulteriori distinzioni (v. tav. 3 . 1 .7 ) . Vi è un'attività di iniziativa in senso stretto (c.d. autonoma) che consiste nel raccogliere « ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individua zione del colpevole » (art. 348, comma 1 ) . Tale attività prende avvio dal momento in cui è pervenuta la notizia di reato e termina nel momento in cui il pubblico ministero ha impartito le sue direttive. L'iniziativa successiva. Vi è poi un'attività di iniziativa in senso ampio (c.d. successiva) che la polizia giudiziaria svolge dopo aver ricevuto le direttive dal pubblico ministero. Tale attività può ancora distinguersi in iniziativa guidata ed in iniziativa parallela. La prima consiste nella stretta esecuzione delle direttive del pubblico ministero. La seconda comprende « tutte le altre attività di indagine per accertare i reati », che la polizia può eseguire purché ne informi « prontamente » il pubblico ministero (art. 348). Ciò vuol significare che l'indagine parallela è legittima, ma deve assumere un carattere eccezionale. È opportuno che il pubblico ministero abbia il quadro generale delle indagini; è impensabile che possa mancare il coordinamento. In sintesi, la polizia è libera di svolgere indagini parallele, ma deve prontamente renderne noti i risultati alla pubblica accusa (in tal senso, l'art. 348 è stato modificato dalla legge n. 128 del 200 1 ) . L'iniziativa integrativa. Infine, è prevista l a c.d. attività integrativa, ossia svolta di iniziativa ma sulla base dei dati emersi a seguito del compimento di atti delegati dal pubblico ministero, per assicurarne la massima efficacia, come avviene ad esempio quando da un interrogatorio delegato si scoprono fonti di pubblico ministero, è possibile distinguere tra atti tipici ed atipici. Gli atti tipici sono regolati espressamente dalla legge; gli atti atipici sono privi di una regolamentazione e consistono nelle investigazioni che assumono le forme più varie: ad esempio, pedinamenti o informazioni generiche.
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prova da assicurare. L'attività integrativa e quella parallela vanno incontro a due limiti. Da un lato, il sistema induce a ritenere che sia vietato il compimento di atti eventualmente in contrasto con le direttive del pubblico ministero (20); da un altro lato, la polizia ha l'obbligo di informare prontamente quest'ultimo degli ulteriori elementi raccolti (2 1 ) . Operazioni tecniche mediante ausiliari. L'art. 348 comma 4 legittima la po lizia giudiziaria a compiere di propria iniziativa « atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche ». Si tratta di attività che comporta conoscenze tecniche che la polizia può avere o meno. L'art. 348 autorizza la polizia giudiziaria ad avvalersi dell'opera di « persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera »: sono i c.d. ausiliari di polizia giudiziaria. In questa sede può essere utile ricordare la differenza tra ausiliario e consulente tecnico. L'ausiliario svolge l'atto insieme alla polizia giudiziaria in funzione di semplice aiuto materiale; pertanto si tratta di un atto compiuto dalla polizia giudiziaria. Il consulente tecnico svolge le attività in proprio e a sèguito di incarico del pubblico ministero, al quale dovrà riferire i risultati (artt. 359 e 3 60; v. in/ra) (22) . n quadro generale dell'attività di iniziativa della polizia giudiziaria. È possibile anticipare un quadro dell'attività di iniziativa della polizia giudiziaria. Il codice prevede i seguenti atti tipici svolti d'iniziativa dalla polizia giudiziaria senza esercizio di poteri coercitivi: l ) sommarie informazioni dall'indagato (art. 350); 2) sommarie informazioni da persone informate (possibili testimoni; art. 3 5 1 ); 3 ) atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche (art. 348, comma 4, del quale abbiamo appena trattato) . Tra gli atti tipici compiuti d'iniziativa dalla polizia giudiziaria con poteri coercitivi il codice enumera i seguenti: l ) identificazione dell'indagato e di altre persone (art. 349); 2 ) perquisizione in caso di flagranza o evasione (art. 352 ) ; 3 ) acquisizione di plichi o di corrispondenza (art. 353 ) ; 4 ) accertamenti urgenti e sequestro (art. 354 ) ; 5 ) arresto in flagranza (artt. 3 80, 3 8 1 ) ; 6) fermo di persona gravemente indiziata (art. 3 84 ) . Ciò premesso, è utile analizzare la disciplina di alcuni atti tipici di indagine che possono essere compiuti dalla polizia giudiziaria. Rinviamo al termine del capitolo, quando esamineremo l'arresto ed il fermo, il completamento della disciplina degli atti di iniziativa della polizia.
(20) Cass., sez. I, 4 maggio 1994, Ferraro, in Arch. n. proc. pen., 1995, 309. (21) La possibilità di compiere indagini anche oltre le direttive impartite era stata attribuita alla polizia giudiziaria dal decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992, n. 356 ed è stata confermata e razionalizzata dalla legge n. 128 del 2001; ciò permette alla polizia di non restare inerte nei casi in cui il pubblico ministero non abbia la capacità di formulare ipotesi di accusa, in quanto privo di esperienza in un determinato settore della criminalità. (22) Nessun avviso deve essere dato al difensore (Cass., sez. IV, 4 dicembre 1993, in CED, n. 197350).
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Le sommarie informazioni dall'indagato.
Con l'espressione « sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini » la rubrica dell'art. 350 fornisce un'indicazione unitaria per tre diverse modalità con cui l'indagato può rendere dichiarazioni alla polizia giudiziaria. Si tratta di modalità molto differenti nei presupposti e nel regime di utilizzabilità. l ) Le informazioni con la presenza del difensore. In primo luogo, l'atto non può essere compiuto dal semplice agente di polizia giudiziaria, ma è riservato all'ufficiale. Quest'ultimo può assumere informazioni ponendo do mande all'indagato purché libero (art. 350, comma l ) e sempre che il suo difensore sia presente (art. 350, comma 3 ) . Ciò presuppone che la polizia abbia invitato l'indagato a nominare un difensore e che questi, nominato e quindi preavvisato tempestivamente, sia potuto intervenire, visto che la sua presenza è obbligatoria. Nel caso in cui l'indagato non abbia nominato un difensore di fiducia, la polizia avverte il difensore d'ufficio di turno, individuato in base all'art. 97, comma 3 . Se il difensore non è stato reperito o non è comparso, la polizia provvede a norma dell'art. 97 , comma 4, mod. dalla legge n. 60 del 200 l , chiedendo un altro nominativo all'apposito ufficio centralizzato (v. supra, parte II, cap. l, par. 6, lett. b). In caso di urgenza, da motivarsi espressamente, la polizia « designa come sostituto un altro difensore immediatamente reperi bile ». In ogni caso, le sommarie informazioni devono essere assunte dall'inda gato con la necessaria presenza del difensore di fiducia o d'ufficio. Le formalità di questo atto sono minori rispetto all'interrogatorio svolto dal pubblico ministero. L'art. 350 comma l , infatti, impone di osservare l'art. 64, mentre nessun richiamo è fatto all'art. 65 ; pertanto non è imposto l'obbligo di contestare all'indagato un addebito provvisorio né di rendere noti gli elementi a suo canea. È sufficiente che l 'indagato riceva quegli avvertimenti che sono disciplinati dall'art. 64 : a) le sue dichiarazioni potranno essere sempre utilizzate nei suoi confronti; b) può non rispondere ad alcuna domanda « ma comunque il procedimento seguirà il suo corso »; c) se renderà dichiarazioni su fatti concer nenti la responsabilità di altri assumerà in ordine a tali fatti la qualifica di testimone. Soltanto sulle proprie generalità l'indagato ha l'obbligo di rispondere secondo verità (artt. 495 e 65 1 c.p.) (23 ) . 2) L e dichiarazioni spontanee. L'ufficiale o l'agente di polizia può « rice(23) Le dichiarazioni assunte sono utilizzabili dal giudice per tutti i prowedimenti che possono essere emessi nel corso delle indagini e dell'udienza preliminare. Dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio, il verbale contenente le dichiarazioni è inserito nel fascicolo del pubblico ministero. In dibattimento le dichiarazioni possono essere utilizzate soltanto se sono contestate all'imputato che abbia accettato di sottoporsi all'esame e servono, di regola, unicamente come prova della (poca) credibilità dell'imputato che abbia ritrattato o abbia detto di non ricordare (art. 503, comma 4).
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vere » dichiarazioni spontanee dall'indagato libero o arrestato (art. 350, comma 7 ) . Questa seconda modalità comporta che la polizia non abbia posto domande; occorre che l'iniziativa sia venuta dall'indagato. Il codice non pone espressa mente alla polizia l'obbligo di dare gli avvisi contenuti nell'art. 64, comma 3 ( avvertimento della facoltà di non rispondere, ecc.); in definitiva, la legge non ha voluto regolamentare il contatto tra polizia ed indagato, quando non è presente il difensore (24) . 3 ) Le informazioni per la prosecuzione delle indagini. La terza modalità consente agli ufficiali di polizia giudiziaria di porre domande all'indagato libero o arrestato anche in assenza del difensore (art. 350, comma 5 ) ; tuttavia delle notizie così assunte (senza il difensore) è vietata sia la documentazione, sia l'utilizzazione in dibattimento ed in fasi precedenti (art. 350, comma 6) . Il codice pone due limiti: le domande possono essere rivolte all'indagato soltanto sul luogo o nell'immediatezza del fatto di reato (ad esempio, nella stazione di polizia, ma subito dopo; al contrario, va esclusa per ovvie ragioni logiche l'ipotesi di informazioni richieste sul luogo del fatto, ma a distanza di tempo dalla commissione del reato) ; inoltre deve trattarsi di notizie utili « ai fini della immediata prosecuzione delle indagini ». Anche in questo caso, il codice non impone alla polizia di avvertire l'indagato che ha facoltà di restare silenzioso. Le notizie non sono utilizzabili nel procedimento. Ma ormai sono state raccolte e possono servire per " indirizzare" le indagini; tuttavia non valgono ad integrare i requisiti del compimento di un successivo atto del giudice o dell'autorità inquirente (ad esempio, quando sono richiesti i gravi indizi) (25 ) . c.
Le sommarie informazioni dal possibile testimone.
Le sommarie informazioni (art. 35 1 ) possono essere assunte dalla polizia giudiziaria quando questa agisce di propria iniziativa. Coloro che rendono le informazioni sono indicati dal codice con l'espressione « persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini » e vengono denominati nella prassi "persone informate " . Come abbiamo già esposto nella parte II, cap. l , § 5 lett. (24) Nonostante le minori garanzie, il regime di utilizzabilità è simile a quello, appena esposto, delle dichiarazioni rese dall'indagato con la presenza del difensore (art. 350, comma 1 ) : le spontanee dichiarazioni servono in dibattimento soltanto come prova della credibilità. (25) Con questa previsione il legislatore non ha voluto del tutto rinunciare agli spazi e all'esperienza propri della polizia giudiziaria e all'influenza che questa può avere su una persona sorpresa in flagranza. Pur impedendole infatti di compiere atti obiettivamente coercitivi e di un qualsiasi valore dibattimentale, lascia alla polizia la possibilità di "pressare" l'indagato. n divieto di una "qualsiasi" documentazione, e dunque anche della semplice annotazione, impone l'immediatezza delle indagini di riscontro, limitando così l'efficacia lesiva delle dichiarazioni autoindizianti carpite dalla polizia giudiziaria. La norma riconosce l'esistenza di una categoria di elementi probatori (la più bassa come valore) che servono a indirizzare le indagini pur senza figurare in alcun provvedimento.
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d, costoro hanno una posizione processuale sostanzialmente analoga a quella del testimone poiché hanno un obbligo di verità a causa del rinvio che l'art. 35 1 opera nei confronti dell'art. 362 , che richiama, tra gli altri, l'art. 1 98, comma l . Inoltre, a causa dell'ulteriore richiamo all'art. 1 97, è estesa alla persona infor mata quella incompatibilità a testimoniare che è ivi prevista in relazione all'imputato; di conseguenza, colui che risulta indagato non può essere sentito come persona informata (v. tav. 3 . 1 . 15 ) (26). Occorre comunque sottolineare che l'obbligo di verità (art. 198 comma l) non ha un'apposita disciplina sanzionatoria nel codice penale poiché l'art. 3 7 1 -bis c. p. si riferisce alle informazioni assunte dal pubblico ministero personalmente e non alle sommarie informazioni rese alla polizia che agisce di sua iniziativa (art. 35 1 ) . Tuttavia, il mancato rispetto dell'obbligo di verità può dare luogo ad una diffe rente responsabilità penale se, davanti alla polizia giudiziaria, il possibile testi mone attraverso le false dichiarazioni aiuta un'altra persona ad « eludere le in vestigazioni dell'autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa ». L'aiuto così fornito ad una persona (purché diversa dal complice nel medesimo reato) integra gli estremi del delitto di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) (27 ) . La regolamentazione. Come abbiamo appena accennato, alla persona informata (possibile testimone) sono applicabili gli artt. 1 97-203 del codice (art. 35 1 che rinvia all'art. 3 62 ) . La persona informata è titolare del privilegio contro l'autoincriminazione (art. 1 98, comma 2 ) : può rifiutarsi di rispondere su fatti dai quali potrebbe emergere una propria responsabilità penale. Inoltre, può op porre all'inquirente l'esistenza di un segreto nei casi previsti dalla legge (artt. 199-203 ). Se è un prossimo congiunto dell'imputato o dell'indagato, deve essere avvisata della facoltà di astenersi dal rendere dichiarazioni (art. 1 99). Per inciso, quale "possibile testimone" è sentita anche la persona offesa dal reato. La persona informata (possibile testimone) ha l'obbligo di presentarsi alla polizia, se convocata (art. 1 98, comma l ) ; ove non si presenti, può essere incriminata per inosservanza di un provvedimento della pubblica autorità (art. (26) Per questo motivo le persone informate possono essere denominate in modo sintetico << possibili testimoni >>, poiché esse potranno diventare << testimoni » se saranno chiamate a deporre davanti al giudice in dibattimento o nell'udienza preliminare o, infine, nell'eventuale incidente probatorio. (27) Occorre tenere presente che in favore della persona che renda false dichiarazioni alla polizia giudiziaria è prevista una serie di garanzie. Da un lato, l'art. 3 8 1 , comma 4-bis c.p.p. stabilisce il divieto di arresto in flagranza per reati concernenti il contenuto delle dichiarazioni o il rili.uto di renderle. Da un altro lato, l'art. 376 c.p. prevede una specili.ca causa di non punibilità: il delitto non è punibile se il dichiarante ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento nel processo nel quale la falsa dichiarazione è stata resa. La legge n. 94 del 2009 ha esteso la causa di non punibilità della ritrattazione (art. 376 c.p.) al delitto di favoreggiamento personale. Sempre sotto il profilo della non punibilità nei casi di cui all'art. 384 c.p., la Corte cost. ha equiparato il possibile testimone sentito dalla polizia giudiziaria a quello sentito dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 362. Ciò è awenuto con la sentenza n. 75 del 2009, con la quale la Corte ha dichiarato illegittimo l'art. 384, comma 2 c.p. nel senso che ha reso non punibile per il delitto di favoreggiamento personale anche l'indagato collegato che non avrebbe dovuto essere obbligato a rendere dichiarazioni.
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650 c .p .). Inoltre, essa ha l'obbligo di attenersi alle prescnzwni date; ad esempio, può esserle imposto di identifìcare cose o persone (art. 349). Le sommarie informazioni sono documentate mediante verbale (art. 357, commi l e 2, che rinviano all'art. 373 ) ; di regola non sono utilizzabili in dibattimento (art. 5 14 ) ; eccezionalmente sono utilizzabili, se ripetibili, mediante contestazione nei limiti posti dell'art. 500; se sono divenute non ripetibili, sono utilizzabili mediante lettura alle condizioni previste dall'art. 5 12 (v. in/ra, parte III, cap. 5 ) . L e sommarie informazioni dall'imputato di un procedimento connesso o collegato. Sempre nella forma delle "sommarie informazioni" l'ufficiale di polizia giudiziaria può porre domande all'imputato (o all'indagato) di un procedimento connesso o collegato ( art. 35 1 , comma l -bis) . Questi ha diritto ad essere assistito da un difensore; in caso di mancata nomina di quello di fiducia, gli è designato un difensore d'ufficio. n difensore deve essere tempestivamente avvisato ed ha diritto di assistere all'atto. Così dispone letteralmente l'art. 3 5 1 comma l -bis, che tuttavia non contiene alcun richiamo dell'art. 2 10. Poiché tale richiamo è contenuto nell'art. 3 63 e costituisce espressione di un principio regolare (il contraddittorio) , si ritiene che detto richiamo sia applicabile per analogia. Pertanto, l'ufficiale interrogante deve dare gli avvisi previsti nell'art. 2 10.
d.
L'identificazione.
L'identificazione (art. 349) è un atto non garantito con cui "viene dato un nome ad un volto" : oggetto dell'identificazione, cioè, è una persona fisica individuata, di cui però non si conoscono le generalità. Lo scopo dell'identificazione pertanto non è la scoperta del colpevole, ma eventualmente del nome dell'indagato; si faccia l'esempio in cui la polizia giudiziaria arresti in flagranza un rapinatore: essa sa con certezza chi è il rapinatore (cioè la persona arrestata) , ma ne ignora le generalità, elemento a cui si tenta di risalire attraverso l'identificazione. Possono essere sottoposti ad identificazione la persona offesa, i possibili testimoni e la persona sottoposta alle indagini. In sintesi, possiamo dire che oggetto di identificazione possono essere tutte le persone che hanno avuto a che fare con il reato, direttamente o indirettamente. Da quanto detto si capisce anche quale è lo scopo delle identificazioni: individuare le generalità di tutte le persone che possono avere un ruolo negli sviluppi del procedimento e che pertanto può essere indispensabile contattare. L'accompagnamento coattivo per identificazione. Il codice prevede la possibilità di esercizio di un potere coercitivo in capo alla polizia giudiziaria. Infatti, ogni volta che una persona rifiuta di farsi identificare, oppure fornisce generalità o documenti di cui si possa ritenere la falsità, è possibile l'accampa-
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gnamento coattivo per identificazione (art. 349 comma 4 ) . Questo consiste nel portare la persona da identificare negli uffici di polizia ed ivi trattenerla per il tempo strettamente necessario per l'identificazione e comunque non oltre le dodici ore (art. 349 comma 4). La persona può essere trattenuta non oltre le ventiquattro ore nel caso in cui « l'identificazione risulti particolarmente com plessa oppure occorra l'assistenza dell'autorità consolare o di un interprete » ; ma la polizia deve dare previamente avviso orale o scritto al pubblico ministero e la persona ha la facoltà « di chiedere di avvisare un familiare o un convivente » (art. 349 comma 4, mod. dal decreto-legge antiterrorismo n. 144 del 2005 , conv. in legge n. 155 ) . In ogni caso, dell'accompagnamento e dell'ora in cui questo è stato compiuto occorre dare immediata notizia al pubblico ministero, che può ordinare in qualsiasi momento che la persona trattenuta sia rilasciata qualora non sussistano le condizioni sopra indicate (art. 349, comma 5 ) . L'identificazione dell'indagato. L a persona sottoposta alle indagini è invi tata a dichiarare le proprie generalità, con l'avviso che costituisce reato sia il rifiutarsi di fornirle, sia il darle false (art. 66, comma 1 ) . Infatti il diritto di non rispondere non si applica alle dichiarazioni sulla propria identità personale. In caso di rifiuto di dichiarare le generalità, il reato commesso è quello di cui all'art. 65 1 c.p., mentre in caso di false dichiarazioni sulla propria identità si ha il reato previsto dall'art. 496 c.p. In particolare, per la completa identificazione la polizia giudiziaria richiede all'indagato, oltre alle generalità: il soprannome o lo pseudonimo; le condizioni di vita individuale, familiare o sociale; se è sottoposto ad altri processi; le condanne riportate nello Stato o all'estero; i beni patrimoniali dei quali l'inda gato è proprietario; le cariche pubbliche rivestite, gli uffici o servizi pubblici o di pubblica utilità prestati anche in passato. Qualora ad essere sottoposto ad identificazione sia l'indagato, la polizia giudiziaria può procedere, ove occorra, a rilievi antropometrici, fotografici o dattiloscopici ( art. 349, comma 2 ) . n prelievo di materiale biologico. Tra i rilievi d a compiersi nei confronti dell'indagato per fini di identificazione è compreso il prelievo di capelli o saliva, che può avvenire su consenso dell'interessato. Se l'indagato non presta il suo consenso, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale dell'interessato, ma deve ottenere dal pubblico ministero una previa autorizzazione scritta oppure resa oralmente e confermata per iscritto (art. 349 comma 2-bis, inserito dal decreto-legge antiterrorismo n. 144 del 2005 , conv. in legge n. 155 ) . Per l'esecuzione dei rilievi quindi non è necessario che l'identità della persona sia incerta. Essi possono essere effettuati anche sull'indagato in ordine al quale non sussistono dubbi di identità; questo perché scopo dei rilievi non è
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soltanto l'identificazione in sé, ma anche la ricerca di eventuali precedenti o l'apertura di una nuova scheda personale negli archivi segnaletici (28). L'elezione di domicilio per le notificazioni. Inoltre, la persona sottoposta alle indagini viene invitata, ai sensi dell'art. 349 comma 3 , ad eleggere un domicilio per le notificazioni che si renderanno necessarie nel corso del procedimento (es.: informazione di garanzia, richiesta di rinvio a giudizio) ; è importante che il domicilio sia ben identificato; perciò non è accettabile la formula " eleggo domicilio presso l'avvocato che la S.V. vorrà nominarmi" : invece deve essere fatta prima la nomina del difensore e poi l'elezione di domicilio presso lo studio del medesimo. Occorre tenere presente che, di regola, i difensori consigliano di eleggere domicilio in luogo diverso dal proprio studio. Ciò per ottenere l'effetto della decorrenza di un doppio termine per l'esercizio di quelle facoltà che la legge attribuisce all'avvocato e all'imputato; ad esempio, in materia di impugnazioni, quando la decorrenza è diversa per l'imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo (art. 5 85 comma 3 ) . È ovvio che tutti questi adempimenti non possono essere eseguiti se non presso gli uffici della polizia giudiziaria: vale pertanto quanto detto in tema di accompagnamento coattivo per identificazione. A tale atto possono procedere tanto gli ufficiali quanto gli agenti di polizia giudiziaria. Dell'identificazione è redatto verbale integrale (art. 3 57, comma 2 , lett. e) , conservato nel fascicolo del pubblico ministero. L'identificazione è un tipico atto non garantito, pertanto non deve essere dato alcun avviso al difensore; questi comunque non potrebbe parteciparvi. Altro obbligo è quello, già visto, di avvisare il pubblico ministero dell'accom pagnamento e del rilascio della persona sottoposta ad identificazione, nonché di rilasciare tale persona non appena identificata, e comunque non oltre le dodici ore, o in qualsiasi momento su ordine della pubblica accusa. e.
I rilievi e gli accertamenti urgenti: il sopralluogo.
L'esperienza insegna che per molte specie di reati il sopralluogo è il mezzo più veloce per la identificazione del colpevole. Purtroppo, le tracce lasciate sul luogo del reato e perdute per sfortuna o incapacità degli inquirenti non possono essere più recuperate. Pertanto, gli atti fondamentali di tipo investigativo sono (28) La Suprema corte ha ritenuto utilizzabile, in mancanza della violazione di un divieto di legge, l'accertamento dell'identità dell'indagato compiuto mediante ricorso ai dati relativi al DNA contenuti in un archivio informatico che la polizia giudiziaria ha istituito prescindendo dalle cautele previste dal codice sulla privacy (Cass., sez. V, 5 dicembre 2006 5 febbraio 2007, n. 4430, in CED n. 235969). Nel caso di specie, si è affermato che la responsabilità dell'autore di un furto è stata legittimamente provata mediante il confronto tra il profìlo genetico estratto dai capelli rinvenuti nell'autovettura rubata ed il codice genetico dell'imputato, conservato negli archivi di polizia. ·
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proprio i rilievi e gli accertamenti urgenti, che hanno le seguenti finalità: a) comprendere la dinamica del fatto dalla quale spesso dipende l'esistenza o meno del reato; b) raccogliere gli elementi di prova presenti; c) cercare spunti per la successiva attività di indagine. Nel corso del sopralluogo l'attività della polizia giudiziaria osserva la seguente progressione di adempimenti: a) L'attività di conservazione. L'attività generica di conservazione con siste nel curare che le cose o tracce pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi non sia mutato prima dell'intervento del pubblico ministero (art. 354, comma 1 ) . Pertanto la polizia giudiziaria deve impedire, da un lato, che vengano asportate cose (es.: l'arma del delitto) o cancellate tracce (es. : le impronte digitali dall'arma) ; da un altro lato, che cose o tracce vengano aggiunte (es.: mozziconi di sigaretta) o che siano spostate di posizione (es. : il bossolo del proiettile mortale) ; b) Rilievi urgenti. I rilievi consistono, come abbiamo evidenziato, nella attività di osservazione dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone, nonché nella descrizione delle tracce o degli effetti materiali del fatto-reato (art. 354, comma 2 ) . I rilievi sono atti non ripetibili che devono essere compiuti di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria in presenza di due presupposti: a) che il pubblico ministero non possa « intervenire tempestivamente »; b) che ci sia il pericolo che nel frattempo lo stato dei luoghi cambi o le tracce vadano perdute (c.d. urgenza) . La legge n. 128 del 2001 ha esteso il concetto di " urgenza" a tutte quelle situazioni nelle quali il pubblico ministero « non ha ancora assunto la direzione delle indagini », a prescindere dal motivo per cui ciò sia avvenuto; c) Accertamenti urgenti. L'accertamento urgente è una operazione di tipo tecnico che deve essere compiuta dalla polizia in presenza dei presupposti sopra menzionati (il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente o non ha ancora assunto la direzione delle indagini) . All'accertamento può procedere di regola soltanto un ufficiale e, in casi eccezionali, anche un agente (art. 1 13 disp. att.). È importante ricordare che qualora debbano essere compiute attività che richiedono specifiche competenze tecniche, la polizia giudiziaria può avvalersi dell'opera di esperti, che non possono rifiutarsi di collaborare: sono i c.d. ausiliari di polizia giudiziaria (art. 348, comma 4 ) . In precedenza abbiamo già sottolineato l a differenza intercorrente tra ausiliario e consulente tecnico. L'ausiliario svolge l'atto insieme alla polizia giudiziaria in funzione di semplice aiuto materiale; pertanto si tratta di un atto compiuto dalla polizia giudiziaria. ll consulente tecnico svolge le attività in proprio dietro mandato del pubblico ministero, a cui dovrà riferire i risultati. La polizia giudiziaria, quando agisce di propria iniziativa, deve conservare gli elementi di prova e non modifìcarli. Un accertamento che comporti la modifica dell'elemento di prova è riservato al pubblico ministero, che lo compirà nelle forme garantite dell'art. 3 60 (accertamento non ripetibile da
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svolgersi con preavviso all'indagato e all'offeso ) . Pertanto, la polizia giudiziaria può compiere soltanto quegli accertamenti urgenti che, se anche manipolano una cosa, tuttavia non comportano modifiche dell'elemento di prova. Ad esempio, la polizia può prelevare da un oggetto le impronte digitali al fine di conservarle inalterate. Viceversa, se l'analisi di un piccolo residuo di polvere consuma completamente il reperto e rende impossibile compiere ulte riori esami, siamo in presenza di un accertamento tecnico non ripetibile, che è riservato al pubblico ministero ex art. 3 60. d) Il sopralluogo su supporti e sistemi informatici. Ove sul posto siano reperiti dati, informazioni e programmi informatici o sistemi informatici o telematici, gli ufficiali della polizia giudiziaria devono adottare « le misure tecniche » e devono impartire « le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedir(n)e l'alterazione e l'accesso » dei dati originali e provvedono, ove possibile, alla loro « immediata duplicazione su adeguati supporti, mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all'ori ginale e la sua immodificabilità » (art. 354, comma 2) (29). e) n sequestro probatorio. Si tratta della tipica attività di assicurazione delle fonti di prova, che per la sua importanza ed autonomia è stata trattata a parte nel capitolo sui mezzi di ricerca della prova (Parte II, Cap. 5 , § 4 ) . La polizia giudiziaria compie il sequestro se vi è pericolo nel ritardo ed il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente (art. 354, comma 2 ) . Il verbale è trasmesso entro quarantotto ore al pub,blico ministero del luogo dove il sequestro è stato eseguito; questi, nelle quarantotto ore successive, convalida il sequestro con decreto motivato, se ne ricorrono i presupposti (art. 355 , comma 2). n diritto di difesa. I rilievi, gli accertamenti urgenti ed il sequestro, compiuti dalla polizia giudiziaria in sede di sopralluogo, sono atti che nascono all'origine come non ripetibili; essi sono inseriti nel fascicolo delle indagini e, successivamente, saranno inseriti nel fascicolo per il dibattimento dopo che il giudice dell'udienza preliminare avrà deciso il rinvio a giudizio (art. 43 1 ) . Si tratta di atti a sorpresa ai quali può assistere senza preavviso il dz/ensore dell'indagato: da un lato, infatti, sta l'interesse della persona sottoposta alle indagini a farsi affiancare da un avvocato che possa attuare la difesa tecnica fin dall'inizio del procedimento; da un altro lato, sta l'interesse della Giustizia a non perdere elementi di prova utili ai fini delle indagini (30). n prelievo di materiale biologico. n decreto-legge n . 144 del 2005 , conv. in legge n. 155 , aveva permesso alla polizia giudiziaria, in sede di sopralluogo, di (29) Sulle garanzie da osservarsi quando oggetto di indagine è un supporto o un sistema informatico, si veda supra, Parte Il, cap. 5, § l . (30) S e l'indagato è presente al rilievo, al sequestro o alla perquisizione, l a polizia deve avvertirlo della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia (art. 1 14 disp. att.) ; questi può intervenire all'atto (art. 356). 16
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prelevare coattivamente, dall'indagato o da terze persone, capelli o saliva: era necessaria la previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta oppure resa oralmente e confermata per iscritto. La legge n. 85 del 2009 ha eliminato questa possibilità, poiché ha soppresso il secondo periodo del comma 3 dell'art. 354, che consentiva il prelievo coattivo appena menzionato. La situazione che ne deriva è la seguente: la polizia giudiziaria può operare il prelievo soltanto su consenso della persona interessata; ai sensi dell'art. 72-ter disp. att. , nel verbale relativo alle operazioni di prelievo di campioni biologici « è fatta espressa menzione del consenso » (3 1 ) . Acquisizione di reperti biologici. Il materiale biologico, d a cui può essere estratto il profilo genetico (DNA), non sempre fa parte della sfera corporale di una persona vivente e non necessariamente è oggetto di prelievo. Infatti, le tracce biologiche possono essere acquisite anche da luoghi, cadaveri o cose; in tali ipotesi la raccolta di materiale biologico può essere effettuata ai sensi degli artt. 354 e 348, comma 4 (32 ) . La raccolta di tracce biologiche può avvenire anche fuori del sopralluogo: in altri termini, i materiali organici, tessuti o fluidi corporei, possono trovarsi su cose abbandonate (es. mozzicone di sigaretta o tazzina da caffè) (33 ) , ovvero su oggetti (es. indumenti) sottoposti a seque stro (34 ) . Si tratta di campioni biologici che hanno già lasciato la sfera corporale del "proprietario" e perciò non viene in considerazione la necessità di effettuare prelievi o accertamenti personali coattivi (35 ) . (3 1 ) La legge n. 85 del 2009 non indica espressamente quale è la destinazione del campione. Si deve ritenere che l'estrazione del profilo del DNA debba essere svolta dai laboratori del corpo di polizia che ha proceduto alle indagini. (32) L'art. 10, comma l della legge n. 85 del 2009 dispone quanto segue: << Se, nel corso del procedimento penale, a cura dei laboratori delle Forze di polizia o di altre istituzioni di elevata specializza zione, sono tipizzati profili del DNA da reperti biologici a mezzo di accertamento tecnico, consulenza tecnica o perizia, l'autorità giudiziaria procedente dispone la trasmissione degli stessi alla banca dati nazionale del DNA, per la raccolta e i confronti >>. (33 ) Cass., sez. I, 1 1 marzo 2003 , Esposito, in Dir. giust., 2003 , 34, p. 98 ss.: nel caso concreto, oggetto dell'accertamento tecnico era stato un campione di saliva dell'indagato raccolto da un bicchiere in cui questi aveva bevuto un caffè offerto dalla polizia giudiziaria. La Cassazione ha precisato che nessun rilievo riveste la circostanza che la bevanda sia stata offerta al solo fine di acquisire reperti biologici << in quanto nessuna disposizione di legge subordina lo svolgimento delle indagini al consenso dell'indagato, quando appunto non si risolva in violazioni della libertà personale o di altri diritti costituzionalmente garantiti >>. In termini analoghi, Cass., sez. I, 23 ottobre 2008, n. 43002, Tripodi, in Guida dir., 2008, l, p. 95; Cass., sez. I, 23 giugno 2005, P., in Guida dir., 2005, 38, p. 82; Cass., sez. I, 10 maggio 2005, D., in Guida dir., 2005, 35, p. 105. (34) Cass. , sez. II, 13 marzo 2007 , M. C., in Dir. pen. proc., 2007, p. 867; Cass., sez. I, 2 febbraio 2005, C., in CED Cass., n. 233448; Cass., sez., IV, 12 luglio 2004, I. e altro, in CED Cass. , n. 229129. (35) Invero, la giurisprudenza in materia si era espressa anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 85 del 2009, affermando i seguenti principi: << per "cose pertinenti al reato" debbono intendersi non solo quelle caratterizzate da un'intrinseca, specifica e strutturale strumentalità, rispetto al reato commesso ed a quelli futuri di cui si paventa la commissione, ma anche quelle che risultino indirettamente legate al reato per cui si procede le quali siano "necessarie per l'accertamento dei fatti". Pertanto, il prelievo del DNA della persona indagata attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili non è qualifìcabile quale atto invasivo o costrittivo, ed essendo prodromico all'effettuazione di accertamenti tecnici non richiede l'osservanza delle garanzie difensive >> (così Cass., sez. II, 13 marzo 2007, Minnella, in Riv. it. dir.
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Altri atti di iniziativa della polizia giudiziaria.
La perquisizione su iniziativa della polizia giudiziaria. Occorre ricordare quali sono i requisiti della perquisizione su iniziativa della polizia giudiziaria (art. 352 ) . Il primo requisito consiste nell'oggetto da ricercare: cose o tracce pertinenti al reato, ovvero la persona dell'indagato o dell'evaso. Il secondo requisito riguarda la situazione in cui la perquisizione avviene; questa può essere eseguita solo nei seguenti casi alternativi: a) nella flagranza del reato (art. 3 82 ) ; b) in caso di evasione; c) se si deve procedere al /ermo di una persona indagata, ovvero all'esecuzione di un'ordinanza che dispone la custodia cautelare, ovvero che dispone la carcerazione per uno dei delitti per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Il terzo requisito è dato dal pericolo nel ritardo: occorre ricercare subito cose o tracce, che si possono cancellare o disperdere; altrimenti, l'elemento di prova potrebbe andare perduto sia casualmente, sia per volontà dell'autore del reato o dei suoi complici. Il quarto requisito è il fondato motivo di ritenere che nel luogo o sulla persona vi siano le cose o le persone ricercate: per fondato motivo si deve intendere che la polizia giudiziaria ha a disposizione elementi obiettivi dai quali emerga con sufficiente probabilità che le cose o persone ricercate si trovano nel posto dove viene effettuata la perquisizione. Si tratta dunque di un semplice indizio, ma fondato comunque sulla probabilità e non sulla mera possibilità. Per fare degli esempi, sono capaci di costituire "fondato motivo" un pedinamento o una dichiarazione di una persona informata sui fatti. La perquisizione di sistemi informatici o telematici è disposta, in presenza dei requisiti menzionati, quando gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno fondato motivo di ritenere che in tali sistemi « si trovino occultati dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato che possono essere cancellati o dispersi ». La perquisizione è disposta anche se i sistemi informatici (es. computer) o telematici sono « protetti da misure di sicurezza »; ciò significa che possono essere superate eventuali password. Gli ufficiali di polizia giudiziaria devono proc. pen., 2008, 1 8 1 2). Analogamente, Cass., sez. II, 10 ottobre 2007, Mallia, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1 8 1 3 : << la nozione di cosa pertinente al reato non può essere ristretta alle res che siano utilizzate per commettere il reato o che ne siano il prezzo, il prodotto o il profitto e che siano, pertanto legate da un rapporto strumentale o consequenziale, ma va estesa anche a quelle che siano indispensabili sia alla verifica di tutte le modalità di preparazione ed esecuzione del reato, sia alla conservazione delle sue tracce o all'identificazione del colpevole, compreso l'accertamento del movente >>; pertanto, la Corte aveva considerato << legittima ( . . . ) la raccolta di qualsiasi altro elemento probatorio che sia espletata nell'osservanza delle norme processuali vigenti in tema di limitazione della libertà individuale, con riferimento sia a quella personale che domiciliare, quando venga posta in essere tramite il corretto uso del potere-dovere di perquisizione e sequestro, anche se sia finalizzata alla raccolta delle cd. tracce biologiche, quali capelli, sangue, cute, saliva e sperma >>.
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adottare « misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione » (art. 352, comma l -bis, introdotto dalla legge n. 48 del 2008) (3 6) . Regolamentazione della perquisizione: la convalida. Per quanto riguarda gli aspetti procedimentali, ricordiamo che all'indagato, che sia presente, la polizia giudiziaria deve dare avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia (art. 1 14 disp. att.); questi può assistere all'atto. Inoltre, la polizia entro quarantotto ore deve trasmettere al pubblico ministero del luogo, ave la perquisizione è stata eseguita, il relativo verbale perché questi, nelle quarantotto ore successive, possa disporre la convalida (art. 352 comma 4). Da segnalare, infine, che sono previste d a leggi speciali svariate ipotesi di perquisizione di iniziativa delle forze di polizia sia a fini di repressione, sia a fini di prevenzione dei reati; le più importanti sono quelle in materia di armi ed esplosivi (art. 4 1 T.u.l.p.s. ) , quelle per blocchi di edifici (art. 27, comma 2 , l. 1 990 n. 55; art. 25 -bis, l. 1 992 n. 356) e quelle in materia di stupefacenti (artt. 99 e 1 03 d.p.r. 1 990 n. 3 09). La relazione di servizio. Vi è un aspetto che incide sullo svolgimento delle indagini di iniziativa della polizia giudiziaria e che merita di essere considerato. La doppia qualifica degli ufficiali di polizia giudiziaria, che di regola cumulano anche la funzione di polizia di sicurezza, impone loro la redazione di una c.d. relazione di servizio (artt. 3 6 e 37 r.d. 3 1 agosto 1 907 n . 690). Si tratta di un atto che ha una rilevanza interna al corpo di appartenenza e che è destinato al dirigente dell'ufficio, al quale viene riferito tutto quello che è emerso durante il servizio. L'atto svolge una funzione tipica di pubblica sicurezza; ma nella prassi non sempre è chiara la distinzione tra polizia giudiziaria e di sicurezza. Purtroppo gli operatori pratici ritengono che la polizia, nell'esercizio della funzione di polizia giudiziaria, possa trasmettere tale atto non soltanto al capo del servizio, bensì anche al pubblico ministero. La prevalente giurisprudenza ha avallato tale prassi al punto da affermare che la relazione di servizio deve essere sempre inserita nel fascicolo per il dibattimento in quanto atto non ripetibile. Soltanto di recente una sentenza delle sezioni unite della Cassazione ha iniziato a tracciare alcune distinzioni di notevole importanza. In base all'insegnamento delle Sez. Unite penali, 17 ottobre - 18 dicembre 2006, Greco, in Guida dir. , 2007, n. 2, 7 8, per stabilire il carattere non ripetibile dell'atto occorre valutarne il contenuto. La relazione è atto non ripetibile quando rappresenta fatti o persone in quelle situazioni che sono soggette a mutamento o quando le circostanze riferite non sono riproducibili genuinamente mediante la rinnovazione descrittiva ad opera del verbalizzante (es. , arresto dello spaccia tore con sequestro della sostanza stupefacente; es., rilievo fotografico, fonografico (36) Sulle garanzie da osservarsi quando oggetto di indagine è un supporto o un sistema informatico, si veda supra Parte II, cap. 5, § l .
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o cinematografico) . Viceversa, la relazione di servizio è atto ripetibile quando rappresenta una mera attività di constatazione e osservazione che è riproducibile genuinamente mediante descrizione da parte del verbalizzante (es . , pedinamenti, presenza di persone o cose, acquisizione della notizia di reato) . Le Sezioni unite aggiungono due precisazioni. I n generale, l'atto non ripetibile potrà essere acquisito al fascicolo per il dibattimento soltanto se contiene tutti quegli elementi che sono richiesti per il verbale a pena di nullità ai sensi dell'art. 142 . Inoltre, gli atti sono utilizzabili in dibattimento soltanto nella parte in cui contengono narrazioni non ripetibili genuinamente (pro parte).
6.
L'attività di iniziativa del pubblico ministero. a.
n registro delle notizie di reato. L'informazione di garanzia.
Nelle pagine precedenti abbiamo accennato ad alcune tematiche generali che riguardano le indagini preliminari; in particolare, le finalità delle indagini, le notizie di reato, le condizioni di procedibilità, il segreto investigativo e l'iniziativa della polizia giudiziaria. È il momento di esaminare gli atti che sono compiuti su iniziativa del pubblico ministero. L'arrivo dell'informativa proveniente dalla polizia giudiziaria (art. 347) fa sorgere a carico del pubblico ministero l'obbligo di iscrivere la notizia di reato nell'apposito registro (art. 335) (37 ) . Al pubblico ministero spetta il potere di indicare alla segreteria in quale registro debba essere iscritta la notizia di reato e se, eventualmente, debba essere annotato a fianco il nome di un indagato (arg. ex art. 1 09 disp. att . ) . n registro delle notizie di reato. I n effetti esistono tre tipi di registri; trattiamo immediatamente del registro ordinario, e cioè di quello che contiene le notizie di reato (art. 335) (v. tav. 3 . 1 .24). n pubblico ministero, nel momento in cui ordina che sia iscritta nel registro la singola notizia di reato, può non essere in grado di individuare la persona alla quale debba essere addebitato il medesimo (registro denominato "modello 44 " ) . Se anche, per ipotesi, la polizia giudiziaria ritenesse di aver individuato il responsabile, la pubblica accusa non sarebbe vincolata da questa indicazione; soltanto quando ritiene di formulare un addebito nei confronti di una persona, il pubblico ministero ordina alla segreteria di iscrivere il nominativo dell'indagato nel registro, accanto alla notizia di reato già inserita (il registro è denominato, in questo caso, "modello (3 7) La normativa prevista dal codice tende ad attuare due princìpi costituzionali: l'obbligatorietà dell'azione penale ed il diritto dell'indagato alla tempestiva conoscenza dell'addebito. Perché sia possibile rendere effettivo l'obbligo di esercitare l'azione penale, occorre poter individuare il momento dal quale il medesimo decorre ed il termine entro il quale il pubblico ministero deve decidere se chiedere il rinvio a giudizio o l'archiviazione.
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2 1 " ) . Successivamente l'iscrizione può essere aggiornata sia se muta la qualifi cazione giuridica del fatto, sia se ne risultano modificate le circostanze. Vice versa, si dovrà procedere ad iscrizioni del tutto nuove se a carico della medesima persona sono addebitati reati concorrenti ovvero se il medesimo fatto è adde bitato anche ad altre persone. Dalla data in cui è iscritto nel registro il nome della persona alla quale il reato è attribuito, decorre il termine (di regola, sei mesi) entro cui il pubblico ministero deve decidere se esercitare l'azione penale, chiedere l'archiviazione o chiedere la proroga delle indagini (38). Il registro degli atti non costituenti notizie di reato. Per esigenze di completezza ricordiamo che la circolare 1 8 ottobre 1 989, n. 533 ha previsto un secondo registro, denominato « registro degli atti non costituenti notizia di reato » (detto anche "modello 45 " ) ; in esso il pubblico ministero ordina che siano iscritti tutti quegli esposti dai quali non sia possibile ipotizzare in alcun modo un fatto di reato. Nella prassi il relativo fascicolo è denominato "atti relativi a . . . . Il registro delle notizie anonime. Infine, l'art. 1 08 disp. att. prevede un terzo registro, denominato « registro delle notizie anonime ». Di queste non può essere fatto alcun uso nel procedimento penale, almeno di regola (art. 333, comma 3); i n via eccezionale, l'art. 240 permette che siano utilizzate se costituiscono « corpo del reato » o provengono comunque dall'imputato. Quando della notizia anonima non può essere fatto uso, la medesima deve essere annotata nell'apposito registro suddiviso per anno; decorsi cinque anni, i documenti anonimi ed il registro devono essere distrutti (art. 5 del regola mento per l'esecuzione del codice). La conoscibilità del registro su iniziativa del soggetto interessato. Una volta che il nome dell'indagato è stato iscritto nel registro delle notizie di reato, le indagini continuano a svolgersi di regola in segreto (art. 329); ciò vuol dire che, se non vengono compiuti atti conoscibili e non viene disposta alcuna misura "
(38) Le Sezioni Unite hanno affermato più volte il principio secondo il quale, allo stato della normativa vigente, il termine per le indagini decorre dal momento in cui il pubblico ministero iscrive il nome dell'indagato nel registro di cui all'art. 335, senza che il giudice possa stabilire una diversa decorrenza (Cass., Sez. un., 23 settembre 2009, Lattanzi, in C.E.D. , n. 244376). In particolare, la Corte ha escluso che il giudice possa anticipare la data al momento in cui l'iscrizione avrebbe dovuto essere effettuata. Difatti, in caso di ritardo nelle iscrizioni, l'art. 335 c.p.p non riconosce al giudice la possibilità di adottare provvedimenti surrogatori come, viceversa, è previsto in caso rli richiesta di archiviazione perché è ignoto l'autore del fatto. In quest'ultima ipotesi, infatti, l'art. 415, comma 2 c. p. p. prevede che il giudice per le indagini preliminari, ove ritenga che il reato sia attribuibile a persona già individuata, possa ordinare l'iscrizione del nominativo nel registro delle notizie di reato. Tale potere d'intervento sostitutivo, che la legge riconosce al giudice, non è volto ad assicurare la tempestività e completezza delle iscrizioni. Si tratta di un controllo giurisdizionale sulla domanda rli inazione del pubblico ministero contro ipotesi di elusione dell'obbligo di esercitare l'azione penale. Non è possibile, quinrli, ricavare da tale previsione un potere generalizzato di controllo del giudice sui tempi ed i morii tramite i quali il pubblico ministero deve procedere alle iscrizioni di cui all'art. 335.
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cautelare, l'indagato non ha conoscenza " ufficiale " che è in corso un procedi mento penale. Ben può verificarsi il caso che l'indagato ne abbia una conoscenza " ufficiosa" (per notizie comunque apprese) o che lo venga a sapere dai mezzi di informazione (stampa o televisione); tuttavia, soltanto quando il pubblico ministero sta per compiere un atto garantito, l'indagato ha una notizia "uffi ciale" che consiste nella informazione di garanzia che lo invita a nominare un difensore (art. 369). Quanto detto vale anche per l'offeso, che ha parimenti diritto a ricevere una informazione di garanzia. Prima che pervenga l'informazione di garanzia (o atto equivalente) , l'inda gato e l'offeso possono ottenere una notizia " ufficiale" dell'esistenza di un procedimento nei loro confronti soltanto se si attivano, e cioè se chiedono alla segreteria del pubblico ministero di avere conoscenza delle iscrizioni a proprio carico. Ma non è detto che possano ottenere una risposta significativa. Infatti, le iscrizioni sono di regola conoscibili dall'indagato e dall'offeso; ma in casi eccezionali restano segrete: in tali ipotesi l'indagato e l'offeso non possono ottenere la "conoscenza ufficiale" dell'esistenza del procedimento a proprio canco. n segreto sulle iscrizioni nel registro. Si può tracciare la seguente distin zione: l) se si procede per delitti di criminalità mafiosa (art. 5 1 , comma 3 -bis) le iscrizioni restano segrete fino a due anni (art. 335, comma 3 , in relazione all'art. 406, comma 5 -bis): infatti per tali reati le iscrizioni non sono conoscibili a richiesta, la proroga delle indagini viene data in segreto e due anni è il termine massimo di durata delle indagini; 2 ) se si procede per gravi delitti non mafiosi (art. 407 , comma 2 , lettera a), le iscrizioni restano segrete fino ad un anno (art. 335, comma 3, in relazione all'art. 406, comma 3 ) ; infatti per tali reati, anche se le iscrizioni non sono conoscibili, la durata iniziale delle indagini è eccezionalmente di un anno (anziché sei mesi), ma l'eventuale richiesta di proroga deve essere comunicata all'indagato; 3 ) infine, se si procede per altri reati, il pubblico ministero può disporre la segretazione fino ad un massimo di tre mesi quando sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine (art. 335, comma 3 -bis) ; e cioè, quando vi è pericolo di inquinamento delle prove. Sia quando non esistono iscrizioni nei confronti dell'interessato richiedente (indagato o offeso), sia quando esse esistono, ma non sono conoscibili, l'ufficio di segreteria, su indicazione del pubblico ministero, risponde alla richiesta dell'interessato medesimo con la seguente frase: « non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione ». La formula, prevista dall'art. 1 10-bis disp. att., è identica in situazioni diverse proprio per evitare che la segretezza sia violata. L'informazione di garanzia. li pubblico ministero che sta per compiere un atto garantito deve inviare all'indagato ed alla persona offesa l'informazione di
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garanzia (v. tav. 2 . 1 .26) (39). n contenuto più importante dell'informazione di garanzia è l'invito ad esercitare la facoltà di nominare un difensore di fidu cia (40) . Se l'indagato non provvede alla nomina, il pubblico ministero designa il difensore d'ufficio richiedendo il nominativo all'ufficio appositamente istituito presso il consiglio dell'ordine degli avvocati (art. 29 disp. att.). L'informazione deve essere inviata per posta in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno; in caso di urgenza, il pubblico ministero può disporre che l'informazione di garanzia sia notificata a norma dell'art. 15 1 , e cioè dall'ufficiale giudiziario. Nell'informazione devono essere indicati elementi quanto mai scarni sull'addebito provvisorio. Il codice impone di precisare, oltre alle norme di legge che si assumono violate, la « data » ed il « luogo » del fatto storico di reato (art. 3 69), ovviamente nei limiti in cui tali dati risultino dalle indagini (4 1 ) . Il diritto dell'indagato alla tempestiva conoscenza dell'addebito è garantito dal comma 3 dell'art. 1 1 1 Cast. , secondo cui « la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico ». Si tratta della traduzione di un principio già previsto dall'art. 6, § 3 , lett. a della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In forza del principio del giusto processo, (art. 6 § l della Convenzione), l'espressione « natura e motivi » deve essere interpre tata, secondo la Corte europea, nel senso che l'imputato deve poter conoscere il fatto storico addebitato e la relativa qualificazione giuridica. L'informazione sul diritto di difesa deve essere inviata all'indagato in occasione del primo tra gli atti garantiti che si svolgono su iniziativa del pubblico ministero, al fine di rendere effettivo l'istituto della difesa d'ufficio. In tal senso si esprime l'art. 3 69-bis: « al compimento del primo atto a cui il difensore ha diritto di assistere » il pubblico ministero deve notificare all'indagato la comu nicazione della nomina del difensore d'ufficio. La comunicazione contiene una serie di elementi che hanno la funzione di rendere edotto l'indagato di tutti gli obblighi e le facoltà che sono connessi alla difesa d'ufficio. In particolare nella comunicazione sono indicati: a) l'informazione della obbligatorietà della difesa tecnica nel processo
(39) Merita sottolineare che l'informazione di garanzia non deve essere inviata quando il pubblico ministero dispone il compimento di un atto "a sorpresa" (es. perquisizioni o sequestri) . ln tal senso, Cass., sez. un., 4 maggio 2000, Mariano, in Dir. giust. , 2000, 22, 18. (40) La giurisprudenza ritiene tuttavia che l'informazione di garanzia possa essere sostituita da atti equipollenti che ne contengano gli elementi necessari. (4 1 ) L'omesso invio dell'informazione di garanzia all'indagato è causa di nullità intermedia perché si è verificata una lesione dell'intervento dell'indagato medesimo ai sensi dell'art. 178, comma l, lett. c. Viceversa, l'omesso invio dell'informazione di garanzia alla persona offesa non rientrando nell'art. 178, comma l , lett. c (la persona offesa non è "parte") determina una mera irregolarità.
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penale « con l'indicazione della facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge » all'indagato (42) ; b ) il nominativo del difensore d'ufficio e il suo indirizzo e recapito telefonico; c) la precisazione che, nonostante la designazione d'ufficio, l'indagato ha la facoltà di nominare un difensore di fiducia; in mancanza, « l'indagato sarà assistito da quello nominato d'ufficio »; d) l'indicazione dell'obbligo di retribuire il difensore d'ufficio, a meno che l'indagato non ottenga l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato e l'avvertimento che, in caso d'insolvenza, si procederà ad esecuzione forzata; e) l'indicazione delle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (43 ) L'art. 3 69-bis precisa che l'informazione deve comunque essere inviata prima dell'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio, atto che, a partire dalla legge n. 479 del 1 999, non necessariamente deve essere compiuto. Pertanto, si deve sottolineare che l'informazione sui diritti di difesa deve essere comunicata, quanto meno, con l'avviso di conclusione delle indagini (44 ) . Atti garantiti e assistenza difensiva. Come abbiamo accennato, quando intende compiere un atto garantito il pubblico ministero deve preavvisare il difensore dell'indagato del compimento dell'atto. Infatti, l'atto garantito ha la caratteristica di non poter essere compiuto validamente se, prima di disporlo, il pubblico ministero non ha avvisato il difensore dell'indagato: l'atto sarebbe .
(42) Da alcuni si ritiene che "la facoltà" sia quella di nominare un difensore di fiducia, di cui alla lettera c dell'art. 369-bis, anche se ciò renderebbe sovrabbondante la previsione della lettera a. Probabilmente l'espressione "la facoltà e i diritti" costituisce uno di quegli errori sintattici nei quali incorre di frequente il legislatore. Sulle possibili interpretazioni di tale norma, CIAMPI, Il contenuto della nuova "informazione sul diritto di difesa", in Ind. pen., 2003 , 706-708. Secondo Trib. Torino, 10 novembre 2001, K . , in Giur. mer. . 2002, 424, la nullità di cui all'art. 369-bis si verifica, non solo quale conseguenza dell'omessa notifica della comunicazione della nomina del difensore d'ufficio (comma 1 ) , ma anche nel caso in cui, in detta comunicazione, faccia difetto alcuno dei contenuti elencati nel comma 2 . (43 ) S i tratta d i un'informativa che riveste fondamentale importanza per l a tutela del diritto d i difesa. Tuttavia, da un punto di vista pratico, l'adempimento potrebbe dare luogo a seri problemi. Infatti, se l'indicazione delle facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge dovesse avere il carattere della completezza, sarebbe necessario formulare un elenco assai lungo. Inoltre, ogni omissione potrebbe comportare la nullità dell'atto ai sensi dell'art. 369-bis, comma l . Infatti, anche a ritenere che la nullità speciale comminata dall'art. 369-bis consegua esclusivamente alla omissione e non alla incompletezza dell'informazione, è difficile impedire che scatti una nullità generale per violazione del diritto all'assistenza dell'imputato (art. 178, comma l, lett. c). Per far fronte a tali possibili inconvenienti molte procure si sono fornite di moduli standard con l'indicazione uniforme dei diritti e delle facoltà riconosciute all'indagato. (44) L'informazione sul diritto di difesa è imposta a pena di nullità degli atti successivi. Si tratta di una nullità di tipo intermedio, per violazione del diritto di assistenza dell'imputato (art. 178, comma l, lett. c). Pertanto, essa risulta assoggettata ai relativi limiti di deducibilità ed in particolare non può più essere fatta valere se il difensore non formula la relativa eccezione al momento del compimento dell'atto o, se ciò risulti impossibile, immediatamente dopo. In tal senso, Cass., sez. II, 26 gennaio 2006, Sguarcia, in Cass. pen. , 2007, 2 1 09.
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nullo per violazione dei diritti di « intervento » e di « assistenza » spettanti a quest'ultimo (art. 178, comma l , lettera c) . Il difensore di fiducia e quello designato d'ufficio hanno la facoltà ma non il dovere di assistere all'atto garantito; pertanto, l'atto è validamente compiuto se il difensore, regolarmente preavvisato, non si presenta. Se nell'invito a presentarsi è aggiunto l'ulteriore invito a nominare un difensore di fiducia, tale atto equivale all'informazione di garanzia (si parla in tal caso di " atto equipollente" ) . Quando l'invito a presentarsi contiene la nomina del difensore di ufficio e le indicazioni relative alla difesa tecnica, esso cumula in sé anche l'informazione sul diritto di difesa (art. 3 69-bis) . L'interrogatorio potrà essere compiuto in modo valido se al difensore ( di fiducia o d'ufficio) è stato dato avviso almeno ventiquattro ore prima (art. 3 64 ) . Come s i è detto, il difensore h a l a " facoltà" di assistere all'interrogatorio; e cioè l'atto sarà validamente compiuto anche se il difensore, regolarmente preavvi sato, non si presenta.
b.
Gli atti compiuti personalmente o su delega.
Il pubblico ministero può compiere atti di indagine personalmente o può delegarli alla polizia giudiziaria (art. 370). La delega può riguardare sia gli atti " atipici " , sia gli atti " tipici" , purché quelli tipici siano « specificamente dele gati ». Con questa precisazione il codice vuole evitare che il pubblico ministero dia alla polizia giudiziaria una delega generica a compiere atti previsti dal codice. Inoltre, il pubblico ministero può imporre alla polizia una direttiva, ossia l'indirizzo generale da dare alle indagini, all'interno del quale la polizia giudi ziaria opera con gli atti di propria iniziativa. La delega. L'importanza degli atti "tipici" delegabili è evidenziata dalle norme che pongono, da un lato, alcuni divieti di delega e, dall'altro lato, l'obbligo di osservare alcune garanzie difensive. La delega è di regola consentita; i divieti sono previsti in modo esplicito, implicito o sono ricavabili comunque dalla natura dell'atto. l ) È previsto in modo implicito il divieto di delegare l'interrogatorio dell'indagato arrestato (o comunque in custodia cautelare) ed i confronti col medesimo (art. 370, comma 1 ) . 2) È ricavabile dalla natura dell'atto il divieto di delegare l'accertamento tecnico (artt. 359 e 3 60) in quanto spetta al pubblico ministero personalmente la scelta dell'esperto e la formulazione dei quesiti. 3 ) È previsto in modo esplicito il divieto di compiere ispezioni, perquisizioni e sequestri, che si svolgono negli uffici dei difensori e che sono disposti nel corso delle indagini preliminari; ad essi provvede personalmente il pubblico ministero in forza di un motivato decreto di autorizzazione del giudice (art. 103 comma 4 c.p.p.).
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Alcuni degli atti tipici di indagine, compiuti dal pubblico ministero perso nalmente o per delega, devono essere eseguiti rispettando il diritto del difensore di assistere al compimento dell'atto. Occorre sottolineare che la facoltà del difensore di assistere all'atto di indagine non è concessa in funzione della partecipazione alla formazione dell'atto (ciò avviene nell'udienza dibattimentale nel momento dell'esame incrociato) , bensì in funzione del controllo sulla regolarità del suo svolgimento, sul rispetto della libertà morale dell'indagato che è presente, o, infine, sulla correttezza formale dell'atto. La documentazione degli atti di iniziativa del pubblico ministero. Gli atti assunti dal pubblico ministero vengono documentati in vari modi, a prescindere dal fatto che siano stati compiuti personalmente o per delega alla polizia giudiziaria. Alla redazione del verbale provvede l'ufficiale di polizia giudiziaria o l'ausiliario che assiste il pubblico ministero (art. 373 comma 6). n verbale in forma integrale. Una prima modalità comporta la redazione di un verbale che contiene sia le domande, sia le risposte. Sul contenuto del verbale, descritto dall'art. 136, rinviamo al capitolo sugli atti (parte II, cap. 2 ) . L a redazione del verbale in forma integrale riguarda alcuni atti i n considera zione della loro importanza (art. 373 comma 1 ) : si tratta delle denunce e delle querele presentate oralmente; degli interrogatori e dei confronti con l'indagato; delle ispezioni, delle perquisizioni e dei sequestri; delle sommarie informazioni, degli interrogatori degli imputati connessi e degli accertamenti tecnici non ripetibili. n verbale in forma riassuntiva. La seconda modalità di documentazione consiste nella redazione del verbale in forma riassuntiva, che, come è noto, contiene la narrazione delle parti essenziali delle dichiarazioni (art. 3 73 ) . In tal modo sono verbalizzate le attività di indagine diverse da quelle appena men zionate. Una normativa particolare è stata introdotta dall'art. 2 della legge 8 agosto 1995 , n. 332. n nuovo art. 14 1 -bis stabilisce che, a pena di inutilizzabilità, ogni interrogatorio reso fuori udienza da una persona, che si trovi a qualsiasi titolo in stato di detenzione, deve essere documentato integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva; la trascrizione della riproduzione è disposta soltanto se richiesta dalle parti. Di tale interrogatorio deve essere inoltre redatto verbale in forma riassuntiva. L'annotazione. Infine, è prevista l'annotazione di atti che hanno un conte nuto semplice o una limitata rilevanza (art. 3 73 comma 3 ). Ciò avviene, ad esempio, per il pedinamento. n fascicolo delle indagini. L'atto contenente la notizia di reato e la documentazione delle indagini sono conservati in un apposito fascicolo presso l'ufficio del pubblico ministero assieme agli atti trasmessi dalla polizia giudizia ria (art. 373 comma 5 ) . n carattere sintetico di questa esposizione non ci permette di ricordare tutti
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gli atti di indagine che possono essere compiuti su m1z1ativa del pubblico ministero; tratteremo ora i più importanti tra essi, e cioè le informazioni assunte dalla persona informata (possibile testimone), l'interrogatorio dell'indagato, l'interrogatorio dell'imputato di un procedimento connesso o collegato e l'ac certamento tecnico. c.
Le informazioni assunte dal possibile testimone.
Le informazioni dal possibile testimone (art. 3 62 ) possono essere assunte dal pubblico ministero personalmente o attraverso la polizia giudiziaria da lui delegata. Coloro che rendono le informazioni sono indicati dal codice con l'espressione « persone che possono riferire circostanze utili a fini delle inda gini » e vengono denominati nella prassi "persone informate" . Come abbiamo già esposto nella parte II, cap. l , § 5 lett. c, costoro hanno una posizione sostanzialmente analoga a quella di testimone poiché davanti al pubblico ministero hanno un dovere di verità penalmente sanzionato dall'art. 3 7 1 -bis c.p. (45 ) . Inoltre, l'art. 3 62 estende alla persona informata quella incompatibilità a testimoniare che è prevista in relazione all'imputato dall'art. 197; di conse guenza, colui che risulta indagato non può essere sentito come persona infor mata. Ecco perché riteniamo che l'espressione « possibile testimone » sia più corretta di « persona informata » (46). Regolamentazione. Alla persona informata (possibile testimone) sono ap plicabili gli artt. 197-203 del codice (art. 3 62 ) . La persona informata è titolare del privilegio contro l'autoincriminazione (art. 1 98, comma 2 ) : può rifiutarsi di rispondere su fatti dai quali potrebbe emergere una propria responsabilità penale. Inoltre, può opporre all'inquirente l'esistenza di un segreto nei casi previsti dalla legge (artt. 1 99-203 ) . Al tempo stesso, la persona informata (possibile testimone) ha i medesimi doveri processuali del testimone (art. 198,
(45) Occorre comunque sottolineare che una specifica sanzione penale per l a violazione dell'obbligo di rispondere secondo verità esiste soltanto in relazione alle dichiarazioni assunte dal pubblico ministero personalmente e non a quelle rese alla polizia che agisce eli sua iniziativa (art. 3 5 1 ) o su delega del pubblico ministero (art. 370), visto il principio di tassatività che opera in materia penale. Tuttavia la violazione dell'obbligo di verità può dar luogo ad una differente responsabilità penale se, davanti alla polizia giudiziaria, il possibile testimone attraverso le false dichiarazioni aiuta un'altra persona ad « eludere le investigazioni dell'autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa >>. L'aiuto così fornito ad una persona (purché diversa dal complice nel medesimo reato) integra gli estremi del delitto di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.). (46) Probabilmente, la denominazione (informazioni) ed il riferimento al soggetto che rende dichia· razioni (persona informata) è stato utilizzato dal legislatore per sottolineare il principio secondo cui la sentenza dibattimentale si fonda sulle prove legittimamente acquisite in dibattimento (art. 526): le << infor· mazioni » assunte durante le indagini non possono, di regola, essere utilizzate per pronunciare tale decisione (art. 5 14).
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comma 1 ) : deve presentarsi ed attenersi alle prescrizioni date e deve rispondere secondo verità (47 ) . Per inciso, ricordiamo che l'inquirente può sentire la persona offesa in qualità di possibile testimone. Le informazioni sullo svolgimento dell'intervista difensiva. L'art. 3 62 comma l , secondo periodo, pone al pubblico ministero ed alla polizia giudi ziaria il divieto di chiedere « alle persone già sentite dal difensore o dal suo sostituto » informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date nel corso dell'intervista. La norma costituisce un limite al potere di indagine dell'autorità inquirente; esso è stabilito a tutela della segretezza degli atti di investigazione difensiva e trova un simmetrico divieto nell'art. 3 9 1 -bis. Documentazione. Le sommarie informazioni sono documentate mediante verbale (art. 373 , comma l lett. d); di regola non sono utilizzabili in dibatti mento (art. 5 14 ) ; eccezionalmente sono utilizzabili, se ripetibili, mediante contestazione nei limiti posti dell'art. 500; se sono divenute non ripetibili, sono utilizzabili mediante lettura alle condizioni previste dall'art. 5 1 2 (v. in/ra, parte III, cap. 5 ) . Garanzia contro l 'autoincriminazione. I l possibile testimone gode di una ulteriore garanzia. Se dalle informazioni rese emergono « indizi di reità a suo carico », l'autorità inquirente ne interrompe l'esame e lo avvisa che « a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti »; inoltre lo invita a nominare un difensore (art. 63 , comma 1 ) . Le dichiarazioni rese in precedenza dal possibile testimone non possono essere utilizzate contro di lui; se mai, possono essere utilizzate contro l'indagato. Il codice pone un'altra garanzia ancora più estesa allo scopo di evitare che l'inquirente senta come possibile testimone una persona, che viceversa do vrebbe interrogare in qualità di "indagato" con il rispetto delle garanzie difensive, poiché in precedenza già vi erano indizi a suo carico. Se la persona doveva essere sentita « sin dall'inizio » in qualità di imputato o di indagato, « le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate » (art. 63 , comma 2 ) . n tema è stato trattato ampiamente nella parte II, cap. l , § 5 , lett. c.
(47) Viceversa, non trova applicazione, in quanto non espressamente richiamata, la disciplina relativa ai limiti della testimonianza indiretta (art. 195 ) . Occorre tenere presente che i l legislatore h a previsto una serie d i garanzie i n relazione a l possibile testimone che renda false informazioni al pubblico ministero. Da un lato, l'art. 3 8 1 , comma 4-bis c.p.p. stabilisce il divieto di arresto in flagranza per reati concernenti il contenuto delle dichiarazioni o il rifiuto di renderle. Da un altro lato, l'art. 3 7 1-bis, comma 3 c.p. prevede che l'eventuale procedimento relativo alle false dichiarazioni rese al pubblico ministero è sospeso fino a che il procedimento, nel cui ambito esse sono state rese, non si sia chiuso con archiviazione, con sentenza di non luogo a procedere o con sentenza di primo grado. La norma mira ad evitare che il dichiarante subisca pressioni che possano includo a ritrattare. Infatti, l'art. 376 c.p. prevede una specifica causa di non punibilità in relazione alle false dichiarazioni al pubblico ministero: il delitto non è punibile se il dichiarante ritratta il falso o manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento nel processo nel quale la falsa dichiarazione è stata resa.
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L'interrogatorio dell'indagato. L'invito a presentarsi.
Il pubblico ministero, che intenda sottoporre l'indagato ad interrogatorio (o ad altro atto tra quelli previsti dall'art. 3 64 comma l: confronto e ispezione) , deve fargli notificare un « invito a presentarsi » (art. 3 75) . L'invito a presentarsi deve contenere: a) le generalità dell'indagato; b) il giorno, l'ora e il luogo della presentazione e l'autorità davanti alla quale deve presentarsi; c) l'indicazione che si darà luogo a interrogatorio (o ad altro atto di cui all'art. 3 64 comma l ; es. al confronto) ; d) l'avvertimento che il pubblico ministero potrà disporre l' accompa gnamento coattivo dell'indagato nel caso di mancata presentazione di questi senza che sia stato addotto un legittimo impedimento (art. 132). In tale ipotesi il pubblico ministero può disporre l'accompagnamento coattivo su autorizza zione del giudice (art. 376); e) la « sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute ». Questo requisito è richiesto quando l'indagato è chiamato a rendere l'interrogatorio (48). Il codice intende fare riferimento a ciò che nella prassi è denominato addebito provvisorio. Lo scopo della disposizione è quello di predisporre un sistema che garantisca al massimo l'indagato, permettendogli di concordare col difensore la linea difensiva. L'invito deve essere notificato all'indagato, di regola, almeno tre giorni prima di quello fissato per l'interrogatorio. L'avviso al difensore. Il difensore (di fiducia o d'ufficio) dell'indagato deve essere preavvisato dell'interrogatorio almeno ventiquattro ore prima del suo compimento (art. 3 64 comma 3 ). Nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l'assicurazione delle fonti di prova, il pubblico ministero può procedere a interrogatorio (o a ispezione o confronto) anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo e comunque tempestivamente (art. 3 64 comma 5 ) . L'interrogatorio dell'indagato libero. L'interrogatorio dell'indagato libero può essere compiuto dal pubblico ministero personalmente o su delega alla polizia giudiziaria (art. 370 comma l ) (49) . Se l'interrogatorio è condotto (48) L'invito può inoltre contenere, ai fini di quanto previsto dall'articolo 453 , comma l (e cioè, per consentire al pubblico ministero di presentare la richiesta del rito immediato) l'indicazione degli elementi e delle fonti di prova e l'avvertimento che potrà essere presentata richiesta di giudizio immediato. (49) Quando l'indagato è sentito dal pubblico ministero o dalla polizia da questi delegata, è previsto uno speciale regime di utilizzabilità dibattimentale delle dichiarazioni (art. 503 ) : si veda in/ra nel capitolo sul giudizio.
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personalmente dal pubblico ministero, l'atto può svolgersi anche senza la presenza del difensore, che tuttavia deve essere stato preavvisato; se l'interro gatorio è svolto dalla polizia giudiziaria delegata, il difensore dell'indagato deve essere necessariamente presente (art. 370 comma 1 ) . L'interrogatorio dell'indagato arrestato, fermato o in stato di custodia cautelare. L 'interrogatorio dell'imputato sottoposto a fermo, arresto o custodia cautelare può essere condotto soltanto dal pubblico ministero: non è ammessa la delega alla polizia giudiziaria. Ricordiamo che, ai sensi dell'art. 1 4 1 -bis, ogni interrogatorio reso fuori udienza da una persona che si trovi a qualsiasi titolo in stato di detenzione, deve essere documentato integralmente, a pena di inutiliz zabilità, con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva; la trascrizione della riproduzione è disposta soltanto se richiesta dalle parti. La regolamentazione dell'interrogatorio. La regolamentazione che il codice dà all'interrogatorio è stata già esaminata in precedenza quando abbiamo trattato dell'imputato come "soggetto" del procedimento (parte II, cap. l , § 5 , c) . In questa sede richiamiamo tutto quello che abbiamo esposto e sottolineiamo la importanza delle regole generali (art. 64 con gli avvisi) e delle regole sull'interrogatorio nel merito (art. 65 con la contestazione del fatto e degli elementi di prova). Per il regime di utilizzabilità del relativo verbale in dibat timento, si leggano gli artt. 503 e 5 13 , comma l , sui quali v. Parte III, cap. l , § 20, lett. e, n. 3 , e lett. h. e.
L'interrogatorio di una persona imputata in un procedimento con nesso o collegato.
Considerazioni generali. Il pubblico mm1stero nel corso delle indagini preliminari può interrogare un imputato di un procedimento connesso o collegato, che si svolga separatamente ( art. 3 63 ) . Qualora tale soggetto scelga di rendere dichiarazioni, il relativo atto assume di regola un'efficacia determinante per l'esito delle indagini. Infatti, solitamente il soggetto in questione conosce particolari che sono noti a lui soltanto per il fatto di aver avuto "contatti" con il responsabile del reato principale. L'imputato connesso è formalmente estra neo al procedimento principale; tuttavia ha nel medesimo un forte interesse che si manifesta sotto due profili. Da un lato, occorre tutelare il diritto di difesa di tale soggetto, che non può essere costretto a rendere dichiarazioni autoincri minanti. Da un altro lato, è necessario guardarsi dal rischio che egli menta per influire a suo favore nel processo a proprio carico. In relazione a tale situazione, la legge adotta prevalentemente la disciplina che si applica all'indagato e, per alcuni aspetti limitati, quella che si applica al possibile testimone. Infatti, per un verso, è inesigibile che un soggetto renda dichiarazioni che, trasferite successi vamente nel proprio procedimento, potrebbero rivelarsi per lui svantaggiose;
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per un altro verso, si pongono problemi di tutela del diritto di difesa dell'in dagato nel procedimento principale. La regolamentazione dell'atto si ricava per relationem dalla disciplina dell'esame dibattimentale di persone imputate in un procedimento connesso o collegato. Infatti, l'art. 3 63 impone di osservare le « forme previste dall'art. 2 1 0 commi 2 , 3 , 4 e 6 » . D a tale rinvio si desume, in via interpretativa, la disciplina dell'interrogatorio. L'imputato (o indagato) di un procedimento connesso o collegato (artt. 3 63 e 2 10, comma 2 ) , citato dal pubblico ministero, ha l'obbligo di presentarsi e riceve il medesimo avvertimento che viene dato al possibile testimone ai sensi dell'art. 377, comma 2 , lettera c: in caso di mancata comparizione senza legittimo impedimento, la pubblica accusa può ordinare direttamente l'accom pagnamento coattivo. In forza del richiamo all'art. 2 1 0, comma 3 , il pubblico ministero ha l'obbligo di preavvisare il difensore del soggetto in questione del compimento dell'interrogatorio. Ove non sia stato già nominato un difensore di fiducia, deve essere designato il difensore d'ufficio di turno, che riceve l'avviso predetto. Occorre sottolineare che la presenza del difensore, è prevista come garanzia in favore dell'imputato (o indagato) di un procedimento connesso o collegato (B). Nessuna garanzia è disposta nei confronti dell'indagato del procedimento principale (A) nel quale è assunto l'interrogatorio dell'imputato di un procedi mento connesso (art. 3 63 ) ; infatti, tale atto è "non conoscibile" , nel senso che il difensore dell'indagato (A) non può partecipare all'interrogatorio né ha diritto ad esaminarne il verbale in segreteria. Come abbiamo evidenziato, esaminando i mezzi di prova, l'art. 2 10 prevede una disciplina differenziata a seconda che il soggetto sentito sia un concorrente nel medesimo reato o un imputato connesso teleologicamente o collegato. L'interrogatorio dell'imputato concorrente nel medesimo reato (art. 12, lett. a ) . In base all'art. 2 1 0, comma 4, richiamato dall'art. 3 63 , il pubblico ministero ha l'obbligo di avvisare l'imputato concorrente che questi ha la facoltà di non rispondere, salvo che sulla propria identità personale. L'avvertimento è dato allo scopo di rispettare il privilegio contro l' autoincriminazione. Infatti, ciò che viene dichiarato potrà poi essere utilizzato in base all'art. 23 8 contro (o a favore di) questo soggetto nel procedimento che lo vede indagato o imputato. Come abbiamo osservato trattando della deposizione dibattimentale dell'impu tato concorrente nel medesimo reato, costui non ha un obbligo penalmente sanzionato di rispondere secondo verità. L'interrogatorio dell'imputato in un procedimento connesso teleologica mente o collegato (artt. 12, lett. c e 3 71, comma 2, lett. b). Come abbiamo accennato, l'art. 3 63 reca un rinvio all'art. 2 1 0, comma 6. Pertanto, anche in sede di interrogatorio svolto nel corso delle indagini preliminari è prevista una disciplina speciale per acquisire le dichiarazioni degli imputati connessi teleo-
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logicamente o collegati. Nel corso di tale atto trovano applicazione l e disposi zioni che abbiamo esaminato fino ad ora, con una particolarità. I soggetti in parola sono avvertiti che, se renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, assumeranno la qualifica di testimoni assistiti limitata mente a tali fatti. Occorre sottolineare che lo status di teste non sarà assunto soltanto in dibattimento. Tale qualifica scatta " seduta stante" già nel corso dell'interrogatorio svolto dal pubblico ministero. Pertanto, quest'ultimo dovrà aprire un nuovo verbale e documentare le dichiarazioni come sommarie infor mazioni dal "possibile testimone assistito" (art. 3 62 , che rinvia all'art. 1 97-bis); questi ha, appunto, il diritto di essere assistito da un difensore. Ove l'esame sia rinviato, per la nuova data il difensore deve essere preav visato ed ha il diritto di assistere all'atto. Per l'analisi dettagliata delle modalità della deposizione si rinvia alla trattazione svolta supra nel capitolo sui mezzi di prova (parte II, cap. 4, § 3 , lett. /) . f.
L'accertamento tecnico operato dal consulente del pubblico ministero.
Nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero ed il difensore delle parti private possono avere l'esigenza di svolgere accertamenti che com portano specifiche conoscenze scientifiche, tecniche o artistiche. È possibile per la pubblica accusa e per l'indagato chiedere al giudice la nomina di un perito con quell'istituto che è denominato incidente probatorio (art. 3 92 ) ; ma si tratta di uno strumento che richiede lunghi tempi di attivazione ed un vaglio di ammissibilità da parte del giudice. In alternativa il codice predispone uno strumento più agevole per il pubblico ministero e per il difensore, e cioè la consulenza tecnica di parte. L'istituto a disposizione del difensore dell'indagato e dell'offeso sarà esaminato nel capitolo sulle investigazioni difensive (art. 3 9 1 -decies) . In questa sede concentriamo la nostra attenzione sugli strumenti a disposizione del pubblico ministero. La pubblica accusa durante le indagini preliminari può nominare consulenti tecnici quando occorre procedere ad « accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze » ( art. 359, comma 1 ) . n consulente non può rifiutare la sua opera; può essere autorizzato dal pubblico ministero ad assistere a singoli atti di indagine ( art. 359, comma 2 ) . La consulenza ha due distinte regolamentazioni in base al seguente criterio. Si tratta di valutare se, nel momento in cui è disposto, l' accer tamento appare ripetibile, o meno, in dibattimento (v. tav. 3 . 1 . 1 8). L'accertamento tecnico ripetibile. Qualora l'accertamento tecnico appaia ripetibile (50) , il pubblico ministero nomina un consulente tecnico e fa svolgere (50)
Un esempio può essere tratto da Cass., sez. I, 9 maggio - 17 giugno 2002, Maisto, in Cass. pen.,
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l'accertamento in segreto. li verbale di tale atto è collocato nel fascicolo delle indagini ed è destinato ad essere inserito nel fascicolo del pubblico ministero se e quando, in seguito all'udienza preliminare, sarà disposto il rinvio a giudizio ( art. 433 ) (5 1 ) . L'accertamento tecnico non ripetibile. Il codice prevede l'ipotesi che l'accertamento tecnico appaia non ripetibile; in questo caso attribuisce a tale atto un'efficacia simile alla perizia, subordinandolo ad un controllo ad opera dell'indagato. La non ripetibilità può derivare da varie situazioni: l ) l'accertamento tecnico riguarda persone, cose o luoghi « il cui stato è soggetto a modificazione » (art. 3 60, comma l ) (52) ; 2 ) può essere lo stesso accertamento a determinare la modifica d i cose, luoghi o persone (art. 1 17 disp. att.) (53 ) . I n detti casi il pubblico ministero deve dare u n previo avviso all'indagato, all'offeso ed ai difensori in quanto costoro possono nominare consulenti tecnici come avviene per la perizia (art. 3 60, comma 1 ) . L'indagato privo del difensore è avvisato che è assistito da un difensore d'ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia (art. 3 64 comma 2 ) . I difensori, nonché i consulenti tecnici eventual mente nominati, hanno diritto di assistere al conferimento dell'incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve (54 ) . Il verbale relativo all'accertamento non ripeti bile è destinato a confluire nel fascicolo per il dibattimento dopo che sia stato disposto il rinvio a giudizio (art. 43 1 comma l lett. c) . La riserva di incidente probatorio. L'indagato ha l'ulteriore potere di formulare, prima del conferimento dell'incarico, riserva di promuovere inci2003 , 3 100: << l'analisi chimica di un campione prelevato per il c.d. esame stub, finalizzata ad accertare le tracce dell'esplosione di armi da fuoco, costituisce un'indagine suscettibile di ripetizione in quanto consistente nell'esame spettroscopico elettronico dei tamponi adesivi metallizzati, che può essere effettuato in qualsiasi momento, giacché il processo di metallizzazione fissa le particelle estratte con tampone adesivo, di guisa che l'esame spettroscopico può essere sempre ripetuto senza pregiudizio per la sua attendibilità >>. (5 1 ) Poiché il presupposto della ripetibilità richiede una valutazione prognostica, può accadere che nella realtà le cose si svolgano diversamente da quanto preventivato. Se l'accertamento tecnico diventa successivamente non ripetibile, la giurisprudenza ritiene applicabile l'art. 5 12 c.p.p.; così Cass., sez. IV, 2 1 maggio 1998, Fornari, in Cass. pen., 2000, 653. S e l a "valutazione" può essere scissa dalla "operazione materiale" di raccolta dei dati, divenuta non ripetibile, può essere disposta una perizia; si veda C. CESARI, L'irripetibilità sopravvenuta degli atti di indagine, Milano, 1999, 173 . (52) In giurisprudenza si cita l'ipotesi di rilevazione di tracce di polvere da sparo: Cass., sez. I, 9 febbraio 1990, Duraccio, in Giust. pen., 1991, III, 24 1 . Come è stato più volte chiarito dalla giurisprudenza << deve escludersi che l'eroina e la cocaina possano definirsi come "cose soggette a modificazioni" , trattandosi di sostanze allo stato solido, non facilmente alterabili in tempi brevi, per le quali è sempre possibile, di regola, in dibattimento o nel corso delle indagini, avvalendosi dell'incidente probatorio, la sottoposizione a rituale perizia tossicologica >> (Cass., sez. IV, lO giugno-13 agosto 2004, Abbinante e altri, in Guida dir. , 2004, n. 43, 65). (53) Può essere il caso di una siringa nella quale deve essere immesso un liquido per accertare la presenza di uno stupefacente; si veda Cass., sez. VI, 15 ottobre 1996, Gidaro, in Riv. pen., 1997, 52 1 . (54) L'omissione dell'avviso all'indagato o al difensore dà luogo ad una nullità intermedia (art. 178 comma l); Cass., sez. I, 22 gennaio 1996, Altomare, in Cass. pen., 1997, 2503 .
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dente probatorio (comma 4). Ove l'indagato formuli detta riserva, il pubblico ministero deve disporre che non si proceda agli accertamenti salvo che questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti (55 ) . S e l'accertamento tecnico non ripetibile è differibile e d è egualmente compiuto nonostante la riserva, il relativo verbale è inutilizzabile nel dibatti mento (art. 3 60, comma 5 ) (56) , ma è utilizzabile a tutti gli altri fini (ad esempio, nel giudizio abbreviato) . Se l'accertamento è non differibile perché in un momento successivo non può più essere utilmente compiuto, il relativo verbale è utilizzabile in dibattimento (art. 43 1 , comma l , lett. c) (57) . Il codice non impone che la riserva di incidente sia accompagnata dalla richiesta al giudice di disporre l'incidente medesimo; ove l'indagato non prenda tale iniziativa, spetterà al pubblico ministero, che ritenga necessario procedere con una perizia, il compito di chiedere l'incidente probatorio al giudice per le indagini preliminari.
g.
Accertamenti idonei ad incidere sulla libertà personale.
Dopo anni di silenzio da parte del legislatore, la legge n. 85 del 2009 ha disciplinato l'ipotesi in cui il pubblico ministero debba porre in essere accertamenti tecnici che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale in mancanza di consenso della persona ad essi sottoposta (art. 359-bis) . Come abbiamo visto supra (Parte II, cap. 4, § 5 , lett. b) la medesima legge ha previsto una disciplina organica della materia in relazione alla perizia coattiva disposta dal giudice (art. 224-bis) . Al tempo stesso, è stata introdotta la possibilità di svolgere tale perizia nell'incidente probatorio (art. 3 92 , comma 2 ) . In tal caso, l'incidente può essere chiesto dalle parti a prescindere dai requisiti di urgenza o di non ripetibilità dell'accertamento (si veda in/ra, § 8, lett. b). La procedura ordinaria. A completamento del sistema, il nuovo art. 359-bis disciplina l'ipotesi in cui la necessità di svolgere attività del genere si presenti al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (58). La norma è in larga
(55) Se non è presentata riserva, l'accertamento può essere utilizzato mediante lettura del verbale anche se l'atto è ripetibile poiché, secondo la giurisprudenza, la mancata riserva equivale ad acquiescenza. Così Cass., sez. VI, 18 aprile 1996, Gomez, in Cass. pen., 1997, 250 1 . (56) Cass., sez. I, 2 7 febbraio 1990, Panico, in Riv. pen., 199 1 , 103 . (57) TI verbale può essere utilizzato ai fini della decisione dibattimentale in seguito all'esame del consulente; così Pret. Trento, 9 luglio 1 99 1 , Dal Fovo, in Arch. n. proc. pen., 1992, 99. ln senso diverso, Cass., 4 maggio 1995, Mellei, in Cass. pen., 1996, n. 2087. (58) L'art. 359-bis, richiama in apertura la disciplina dei prelievi di materiale biologico effettuati dalla polizia giudiziaria in sede di identificazione dell'indagato (art. 349, comma 2 -bis). In tal modo, il sistema risulta tendenzialmente completo.
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parte costruita con la tecnica del rinvio alla disciplina predisposta in relazione alla perizia coattiva (art. 224-bis) (59). n prelievo s u consenso mediante accertamento tecnico. Quando occorre eseguire accertamenti idonei ad incidere sulla libertà personale, il pubblico ministero può procedervi direttamente attraverso il proprio consulente tecnico, soltanto se vi è il consenso della persona interessata. In tal caso, troverà applicazione l'art. 359 se si tratta di atti ripetibili e l'art. 3 60 se l'accertamento tecnico ha natura irripetibile (60) . n prelievo coattivo mediante accertamento tecnico. Qualora non vi sia il consenso dell'interessato, l'art. 359-bis permette il prelievo coattivo di capelli, peli o mucosa del cavo orale su persone viventi, finalizzato alla tipizzazione del profilo genetico (6 1 ) , ed il compimento di accertamenti medici. La disciplina tiene conto della riserva di legge e di giurisdizione stabilite dall'art. 1 3 , comma 2 Cast. nella materia in oggetto. Il pubblico ministero deve chiedere al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione al compimento dell'atto (art. 359 bis c.p.p . ) . Il giudice concede l'autorizzazione con ordinanza « quando ricorrono le condizioni ( . . . ) previste » dall'art. 224-bis. Tale ambiguo rinvio deve essere interpretato come un richiamo a tutti i limiti applicativi stabiliti da tale norma (v. Tav. 3 . 1 .28). Dunque, è necessario che s i proceda per u n delitto doloso o preterinten zionale, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'erga stolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni (art. 224-bis, comma 1 ) . In secondo luogo, occorre che l'accertamento tecnico risulti assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. Inoltre, sembrano operativi i limiti stabiliti da tale norma. Pertanto, non possono in alcun caso essere disposte « operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge »; che possano « mettere in pericolo la vita, l'integrità fisica o la salute della persona o del nascituro »; che « secondo la scienza medica, possano provocare sofferenze di non lieve entità » (art. 224-bis, comma 4 ) . Ancora, le operazioni sono eseguite « nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto ». Infine, a parità di risultato, sono prescelte comunque le tecniche meno invasive (art. 224-bis, comma 5 ) . L'ordì(59) P. FELICIONI, L'acquisizione di materiale biologico a fini identificativi o di ricostruzione del /atto, in AA.Vv., Prelievo del DNA e Banca dati nazionale, a cura di A. ScARCELLA, Padova, 2009, 204. (60) Quando il prelievo avviene non coattivamente, bensì su consenso dell'interessato, il prelievo stesso è ammissibile per qualsiasi reato (anche per una contravvenzione); è sufficiente la sola pertinenza e rilevanza, o perfino la mera utilità investigativa; non è posto alcun limite né divieto espresso; non sono previste sanzioni processuali specifiche; non è prevista né la distruzione del campione biologico, né la cancellazione del profilo. (61) TI profilo genetico è la << sequenza alfanumerica ricavata dal DNA e caratterizzante ogni singolo individuo >> (art. 6, co. l , lett. b, legge n. 85). Esso è costituito da una serie alfanumerica in cui alcune sigle in lettere definiscono il locus genico (la parte del DNA studiata) ed una coppia di numeri definiscono le particolari caratteristiche assunte dal DNA. L'insieme di lettere e numeri costituisce appunto il "profilo genetico" , che definisce univocamente il soggetto donatore del materiale biologico.
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nanza del giudice deve essere motivata e deve contenere tutti quei requisiti che sono indicati all'art. 224-bis, comma 2. Ad esempio, colui che è sottoposto a prelievo coattivo deve essere avvisato « della facoltà di farsi assistere da un difensore o da persona di sua fiducia ». È necessario sottolineare che il legislatore ha disciplinato la materia in oggetto in un nuovo articolo, il 359-bzs, inserito subito dopo l'art. 359 che disciplina gli accertamenti tecnici ripetibili. Siamo in presenza di un atto di indagine che rientra nella regola del segreto investigativo e che è, quindi, differente dal mezzo di prova previsto dall'art. 224-bis. Infatti, se si tratta di un atto ripetibile, l'indagato ha il diritto di venire a conoscenza dell'" accertamento tecnico coattivo" soltanto quando lui stesso vi sia sottoposto. L'accertamento coattivo non ripetibile. In realtà, è ben possibile che tra gli accertamenti coattivi non tipizzati rientrino anche atti non ripetibili. Pertanto, l'accertamento si atteggerà in concreto come ripetibile o non ripetibile a seconda del tipo di attività da porre in essere e della situazione concreta (si pensi al caso in cui l'accertamento debba essere effettuato su di una persona in fin di vita) (62 ) . Conseguentemente, qualora l'atto si configuri come non ripetibile, troveranno applicazione in favore della difesa anche le regole stabilite dall'art. 3 60 in merito agli accertamenti non ripetibili (es. potrà essere presente il consulente tecnico del difensore). La procedura d'urgenza. Il legislatore ha tenuto conto delle particolari situazioni che possono verificarsi nel corso delle indagini ed ha previsto una procedura di urgenza che prescinde dal previo controllo giurisdizionale. Quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone lo svolgi mento delle operazioni con decreto motivato. Tale provvedimento deve conte nere tutti i requisiti che l'art. 224-bis, comma 2 richiede in relazione all'ordi nanza che dispone la perizia coattiva. Il pubblico ministero può altresì ordinare direttamente l'accompagnamento coattivo, qualora la persona da sottoporre alle operazioni non si presenti senza addurre un legittimo impedimento; il magi strato inquirente può disporre altresì l'esecuzione coattiva delle operazioni, se la persona comparsa rifiuta di sottoporvisi. Entro le quarantotto ore successive alla effettiva limitazione della libertà personale il pubblico ministero deve chiedere al giudice per le indagini preli minari la convalida del decreto e dell'eventuale provvedimento di accompagna mento coattivo. Il giudice provvede con ordinanza al più presto e comunque (62) Analogamente accade quando vi è pericolo di degradazione (causa temperatura, umidità, interazione con altri microrganismi). Può altresì darsi il caso che la quantità di materiale da analizzare sia scarsa. All'evidenza, in quest'ultimo caso si tratterà di un atto non ripetibile giacché è la stessa attività accertativa che brucia il proprio oggetto alla stregua di quanto è previsto dall'art. 1 17 disp. att. Nelle altre ipotesi prospettate, viceversa, la non ripetibilità sarà data dalla deperibilità della res sottoposta all'accerta mento che rende l'attività da compiere urgente e non utilmente ripetibile con gli stessi risultati (cfr. art. 360).
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entro le quarantotto ore successive (alla comunicazione del decreto) , dandone avviso immediatamente al pubblico ministero e al difensore. Nullità e inutilizzabilità. L'ultimo comma dell'art. 359-bis prevede, infine, le invalidità che conseguono alla violazione delle norme che stabiliscono i limiti funzionali e di durata dell'accompagnamento coattivo (stabiliti dall'art. 132, comma 2), la disciplina relativa al contenuto dell'ordinanza (art. 224-bis, comma 2 ) , ed i divieti relativi agli accertamenti (art. 224-bis, commi 4 e 5 ) . Tali norme « si applicano a pena di nullità delle operazioni e di inutilizzabilità delle informazioni così acquisite » (art. 359-bis, comma 3 , primo periodo) . Ci tro viamo dinanzi ad un singolare ed inedito concorso di nullità ed inutilizzabilità che rivela una particolare attenzione del legislatore, forse intenzionato ad evitare abusi in una materia così delicata. Quanto appena sottolineato trova conferma nel successivo richiamo all'art. 1 9 1 , comma 2 (art. 359-bis, comma 3 , secondo periodo) in base al quale l'inutilizzabilità è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento ( 63 ) .
h.
L'individuazione di persone e di cose. Altre attività di indagine.
Durante le indagini preliminari il pubblico ministero può procedere alla individuazione di persone o cose personalmente o mediante delega alla polizia giudiziaria (art. 3 6 1 ) ; si tratta di un atto simile a quel mezzo di prova che è denominato ricognizione e che può essere disposto dal giudice in dibattimento o nell'incidente probatorio (art. 2 13 ) . I l codice usa una differente terminologia (« individuazione » al posto di « ricognizione ») perché, come avviene in altri casi, vuole semplicemente evidenziare che l'individuazione non è utilizzabile ai fini della decisione dibattimentale. La individuazione di persone o cose. La normativa prevista dal codice è basata su di un presupposto implicito, e cioè che l'atto di individuazione sia sempre ripetibile in un momento successivo davanti al giudice nella forma della (63) In proposito, è stato peraltro sottolineato come il riferimento simultaneo alle due sanzioni desti perplessità. Determinante appare il richiamo all'art. 1 9 1 , c. 2 c.p.p. dal quale si evince chiaramente che il legislatore nel comminare l'inutilizzabilità è incorso in una - sia pure rischiosa - ridondanza linguistica (si veda C. CoNTI, I diritti fondamentali della persona tra divieti e "sanzioni processuali": il punto sulla perizia coattiva, in Dir. pen. proc., 2010, n. 8). ll problema più grave è costituito dalla marcata discrasia esistente tra le scelte sanzionatorie degli artt. 359-bis e 224-bis c.p.p. a fronte di ipotesi identiche. Anzitutto, l'art. 224-bis, c. 2 c.p.p., sanziona con la nullità l'ordinanza priva dei contenuti previsti dalla legge, e mentre l'art. 359-bis, c. 3 c.p.p. commina l'inutilizzabilità in relazione alla medesima ipotesi. In secondo luogo, l'art. 359-bis c.p.p. prevede l'inutilizzabilità speciale a fronte della violazione dei divieti stabiliti dall'art. 224·bis, c. 4 e 5 c.p.p., che nella norma d'origine appaiono prive di una sanzione espressa (C. CoNTI, loc. ult. cit. ). Tale opzione normativa non solo non contribuisce alla chiarezza sistematica, ma fa sorgere il dubbio che tale sanzione scatti solo qualora espressamente richiamata e, dunque, non consegua alle violazioni commesse nel corso della perizia coattiva ex 224-bis c.p.p., in quanto non prevista dalla relativa norma. Una simile differenza in relazione a violazioni di identica gravità appare, tuttavia, irragionevole e dovuta ad una grave disattenzione del legislatore.
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ricognizione. n codice mostra di accogliere una nozione meramente naturali stica di " ripetibilità" . Tale nozione consiste nella mera possibilità materiale di ripetere l'atto a prescindere dal risultato al quale tale atto può condurre. Viceversa, la nozione giuridica configura come ripetibile soltanto quell'atto che, se compiuto successivamente, è idoneo a fornire un risultato utile. Regolamentazione. Una volta che ha fatto la sua scelta, il legislatore omette di regolamentare la individuazione. Poiché l'atto è ritenuto essere ripetibile, il pubblico ministero nell'eseguire l'individuazione non è tenuto a rispettare le regole che nella ricognizione sono poste a pena di nullità al fine di assicurare l'attendibilità del risultato (art. 2 13 ; si veda nel capitolo sui mezzi di prova). Non deve necessariamente operare il controllo sul ricognitore chiedendogli tra l'altro di descrivere in modo particolareggiato la persona. Inoltre non è indi spensabile predisporre la scena così come impone il codice nell'art. 2 14 , né redigere un verbale dettagliato. Ai sensi dell'art. 3 73 comma 3 è sufficiente un verbale in forma riassuntiva. Sempre in considerazione della ripetibilità dell'atto, non è prevista la presenza del difensore (a differenza di quanto avveniva nel codice previgente) . Il difensore non conosce neanche il verbale dell'atto perché questo è segreto. n codice si limita a prescrivere che il pubblico ministero proceda ad individuazione di persone o cose « quando è necessario per la immediata prosecuzione delle indagini » (art. 3 6 1 comma 1 ) . L'indicazione temporale « quando » fa comprendere che non si è voluto restringere l'utilizzabilità ai soli fini investigativi, a differenza di quanto previsto per le dichiarazioni rese dall'indagato sul posto (art. 350 commi 5 e 6 ) . Da ciò deriva una conseguenza che il codice sottovaluta: l'individuazione, svoltasi senza le cautele della rico gnizione e senza la presenza del difensore, è utilizzabile dal giudice nel momento in cui prende una decisione nel corso delle indagini; e ciò anche, ad esempio, al fine di emettere una misura cautelare quale la custodia in carcere. Soltanto in tale momento il difensore conosce il verbale dell'atto di individua zione. Il medesimo verbale, in quanto documentazione di un atto ripetibile, deve essere inserito nel fascicolo del pubblico ministero. La giurisprudenza formatasi a ridosso dell'entrata in vigore del codice aveva cercato di mantenere la coerenza dei princìpi (64 ) . Posto l'accento sulla finalità della « immediata prosecuzione delle indagini », aveva limitato l'utilizzabilità in dibattimento a quella sola parte del verbale che ha un contenuto dichiarativo (ad esempio, la descrizione delle caratteristiche somatiche della persona da riconoscere). Ma questa posizione interpretativa è stata travolta nel 1992 dal massimalismo della Corte costituzionale (sentenze n. 254 e 255) e del Legisla-
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Trib. Firenze, 3 novembre 1992, De Lucia, in Cass. pen., 1993 , 957.
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tore (legge n. 356), con la conseguente utilizzabilità della individuazione in base agli istituti della contestazione probatoria (art. 500) e della lettura (art. 5 12 ) . Una parte della giurisprudenza è andata oltre, costretta d a u n codice che non ha regolamentato una materia così importante: ha considerato l'individua zione alla stregua di un atto originariamente non ripetibile a causa del contesto in cui avviene, e cioè delle modalità della scena e dei tempi di svolgimento. Di conseguenza, ha sancito l'inserimento del relativo verbale nel fascicolo per il dibattimento e la piena utilizzabilità per la decisione finale (65 ) . I n verità gli psicologi ci insegnano d a tempo che sia l'individuazione, sia la ricognizione sono atti "non utilmente ripetibili" da parte del medesimo rico gnitore nei confronti del medesimo sospettato (66) . Il ricognitore, la seconda volta che procede all'atto, riconosce inconsciamente non colui che ha visto sul luogo del reato, bensì l'immagine più recente che ha percepito nella precedente individuazione fotografica o personale. L'attendibilità probatoria del secondo atto è minata alla radice (67 ) . Tra gli atti di iniziativa del pubblico ministero rientrano i mezzi di ricerca della prova, dei quali il codice tratta nel libro terzo, titolo III, artt. 244 ss. (v. supra, Parte II, cap. 5, al quale rinviamo per un esame esaustivo) . In questa sede ricordiamo i tratti essenziali della disciplina. Altre attività di iniziativa del pubblico ministero. Tra gli atti di iniziativa del pubblico ministero rientrano i mezzi di ricerca della prova, dei quali il codice tratta nel libro terzo, titolo III, artt. 244 ss. (v. supra, Parte II, cap. 5, al quale rinviamo per un esame esaustivo) . In questa sede ricordiamo i tratti essenziali della disciplina. La perquisizione. Si tratta in genere di atto delegabile alla polizia giudiziaria con decreto, nel quale devono essere specificati i luoghi e/o le persone, ed in particolare se sia consentito l'ingresso coattivo e se la perquisizione si possa estendere anche agli altri luoghi di cui il perquisito abbia la disponibilità; occorre tenere presente che la perquisizione locale si estende automaticamente alle pertinenze (es.: garage, pianerottolo, parti comuni dell'edificio) . Al contrario, devono essere eseguite personalmente dal pubblico ministero le perquisizioni ed i sequestri negli studi dei difensori (art. l 03 ) , l'apertura di plichi o di corrispondenza (art. 353 ) , e le perquisizioni presso banche nel caso in cui queste rifiutino la consegna dei documenti richiesti (art. 248 comma 2 ) . n sequestro probatorio. I l pubblico ministero, quando delega l'esecuzione del sequestro alla polizia giudiziaria, indica l'oggetto da sequestrare (art. 253 (65) Cass., sez. II, 10 giugno 1994, Levak, in Cass. pen., 1995, 1293; Contra, Cass., sez. I, 15 giugno 1994, Sannino, in Cass. pen. , 1996, 190. (66) S. Pruoru, La ricognizione di persona: cosa suggerisce la ricerca psicologica, in Dir. pen. proc., 2003, 1291; EAD., La ricognizione di persone. dal modello teorico alla prassi applicativa, ivi, 2006, 376. (67) Riteniamo che l'individuazione dovrebbe essere regolamentata come gli altri atti non ripetibili all'origine; ad esempio, come l'art. 360.
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comma 3 ); se egli non indica le cose da sequestrare, ma dispone genericamente il sequestro di quanto rinvenuto costituente corpo o pertinenza del reato, si ritiene che la polizia giudiziaria debba chiedere la convalida al magistrato ai sensi dell'art. 355 (68) (69) . L'ispezione personale. È un atto che, per la sua particolare invasività della sfera personale del soggetto ad esso sottoposto, è stato riservato all'iniziativa del pubblico ministero: questi nell'esecuzione materiale dell'atto può affidarsi all'opera di un medico (art. 245 ) . n soggetto sottoposto a ispezione (offeso, indagato) ha il diritto di farsi assistere da una persona di sua fiducia. L'ispezione è un atto garantito, che impone quindi il preavviso di venti quattro ore al difensore dell'indagato (art. 3 64 , comma 3 ), salve particolari ragioni di urgenza o di pericolo di alterazione delle tracce ricercate, nel qual caso il difensore ha comunque il diritto di assistere (art. 3 64 comma 5 ) . La particolarità consiste nel fatto che ha diritto di essere presente non il difensore dell'ispezionato (il quale ha comunque il diritto di farsi assistere da persona di fiducia) , ma il difensore dell'indagato. Le operazioni sotto copertura. Al fine di acquisire elementi di prova relativi a delitti di terrorismo, tratta di persone, pedopornografia e assimilati, armi, stupefacenti e riciclaggio, è prevista una causa di non punibilità che consente ad alcuni corpi di polizia, autorizzati dal pubblico ministero, di svolgere operazioni sotto copertura (art. 9, comma l , legge n. 146 del 2006; art. 97, d.p.r. n. 309 del 1990) . Nell'ambito di tali attività, è possibile che gli infiltrati si rendano autori di reati, che vengono considerati non punibili. Nei procedimenti per i delitti menzionati e per quelli di usura, estorsione e sequestro a scopo di estorsione, possono essere omessi o ritardati atti processuali (es. arresto, fermo e sequestro) al fine di acquisire rilevanti elementi probatori o per individuare i responsabili; il tutto su autorizzazione del pubblico ministero (art. 9, comma 6, legge n. 146, cit.; art. 98, d.p.r. n. 3 09 cit.). Per gli stessi motivi, il pubblico ministero, con decreto motivato, può « ritardare l'esecuzione dei prov vedimenti che applicano una misura cautelare, del fermo dell'indiziato di delitto, dell'ordine di esecuzione di pene detentive o del sequestro » (70) . Nei casi di urgenza di regola il pubblico ministero può disporre la misura anche oralmente, ma il relativo decreto dovrà essere emesso entro le quarantotto ore successive (7 1 ) . (68) Cass., sez. V , 1 7 febbraio-7 aprile 2005, Di Febo, in Guida dir., 2005, 25, 86. (69) Sulle garanzie da osservarsi quando oggetto di indagine è un supporto o un sistema informatico, si veda Parte II, cap. 5, § l . (70) In base alla giurisprudenza, l e dichiarazioni percepite dall'infìltrato o dall'agente provocatore possono essere riferite nel dibattimento perché questi agisce non nella veste autoritativa propria della polizia giudiziaria, bensì come partecipe del fatto narrato; pertanto, non opera la inutilizzabilità prevista degli artt. 62, 63 e 195, comma 4, c.p.p.; in questo senso, Cass., sez. II, 28 maggio · 9 ottobre 2008, Cuzzucoli, in Guida dir. , 2008, 45, 19. (7 1 ) L'art. 9 della legge n. 146 del 2006 prevede il coinvolgimento del procuratore generale presso la corte d'appello e del procuratore nazionale antimafia, ai quali deve essere trasmessa la comunicazione del
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n controllo sulla legittimazione del pubblico ministero.
La legge 1 6 dicembre 1999 n. 479 ha introdotto un procedimento che consente all'ufficio superiore di accertare se il pubblico ministero, che svolge le indagini, sia "legittimato " , e cioè sia quello che è collocato presso il giudice competente. Il controllo è di natura non giurisdizionale ed opera su richiesta di parte. È stata attribuita all'indagato, all'offeso ed ai rispettivi difensori, la facoltà di chiedere al pubblico ministero procedente di trasmettere gli atti al suo omologo presso il giudice ritenuto competente. Per poter essere legittimato a presentare la richiesta, è necessario che il soggetto privato abbia avuto una conoscenza " ufficiale" dell'esistenza del procedimento mediante gli istituti dell'informazione di garanzia o della comunicazione della iscrizione sul registro delle notizie di reato (art. 54-quater, comma 1 ) . Il richiedente h a l'onere di indicare, a pena di inammissibilità, il giudice competente. Il che costituisce, con tutta evidenza, una autentica probatio diabolica, se si considera che tali soggetti non hanno una conoscenza completa degli atti delle indagini preliminari, che restano di regola segreti (art. 329). n provvedimento del pubblico ministero. Qualora il pubblico ministero procedente rigetti la richiesta (oppure non decida entro il termine di dieci giorni) , l'originario richiedente può riproporre la richiesta nei successivi dieci giorni ( art. 54-quater, comma 3 ) . La richiesta deve essere presentata al procu ratore generale presso la corte d'appello o, qualora il giudice competente appartenga ad un diverso distretto, al procuratore generale presso la corte di cassazione, ai quali spetta di determinare l'ufficio del pubblico ministero legittimato ad indagare. Se si procede per un reato di " criminalità mafiosa" trova applicazione anche l'art. 54-ter: deve essere sentito il procuratore nazio nale antimafia. Il procuratore generale, assunte le necessarie informazioni e ottenuta la copia degli atti, decide entro venti giorni con decreto motivato, dandone comunicazione ai soggetti ed agli uffici interessati. Viene infine confermato il principio di conservazione degli atti compiuti, prima della designazione, dal pubblico ministero presso il giudice non competente (art. 54-quater, comma 5 ) . Il meccanismo introdotto è chiaramente ispirato al modello di risoluzione dei contrasti tra gli uffici di procura ai sensi degli artt. 54 e 54-bis. Il sistema si preoccupa di assicurare il buon andamento degli uffici della pubblica accusa. All'indagato è offerta soltanto la possibilità di ottenere, nel corso delle indagini, un'indicazione imperativa circa la legittimazione del pubblico ministero. Tale indicazione resta valida " allo stato degli atti" . La richiesta può essere riproposta ritardo nell'esecuzione. Di regola, le operazioni menzionate possono essere dirette solo da personale di reparti specializzati e non da qualsiasi appartenente alla polizia giudiziaria.
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al pubblico ministero soltanto se è basata su fatti nuovi e diversi; altrimenti è inammissibile (art. 54-quater, comma 4 ) . Infine, la decisione del procuratore generale non vincola il giudice il quale può sempre dichiararsi incompetente, ove ne ravvisi gli estremi (72) .
l.
L'avviso di conclusione delle indagini come condizione per la richiesta di rinvio a giudizio.
Quando il pubblico ministero ritiene di chiedere il rinvio a giudizio, deve far notificare all'indagato ed al suo difensore un atto dal contenuto piuttosto articolato: l'« avviso di conclusione delle indagini preliminari » (art. 415 -bis, comma l ) (v. tav. 3 . 1 . 13 ) . Tale avviso, che deve essere notificato prima della scadenza del termine per le indagini, contiene « la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede » con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto (art. 4 15-bù, comma 2) (73 ) . I n tal modo l a persona sottoposta alle indagini, che può non aver mai ricevuto l'informazione di garanzia o atto equipollente, viene per la prima volta infor mata dell'esistenza di un procedimento penale a proprio carico (74) . (72) La soluzione adottata dal legislatore presenta il grave inconveniente di mantenere il controllo sulla legittimazione del pubblico ministero nell'ambito della struttura organizzativa dell'ufficio della pubblica accusa. In altre parole, i motivi di insoddisfazione si appuntano sulla circostanza che viene predisposto un rimedio burocratico meramente interno. All'indagato ed all'offeso è riconosciuta soltanto la facoltà di attivare un procedimento incidentale che sfugge al loro controllo. La decisione è pronunciata senza che sia instaurata alcuna forma di contraddittorio nei confronti del richiedente. L'interesse al buon andamento degli uffici della pubblica accusa ha finito per prevalere. Ancora oggi, ove del problema sia investito il giudice per le indagini preliminari o il tribunale della libertà, la decisione che dichiari un'eventuale incompetenza può, di fatto, essere disattesa dall'ufficio della pubblica accusa, che continui a ritenersi legittimato alle indagini. TI rispetto dei princìpi di legalità processuale (art. 1 1 1 , comma l Cost.) e del giudice naturale dovrebbe imporre, viceversa, che la declaratoria di incompetenza divenga vincolante per il pubblico ministero. (73 ) Si tratta di un adempimento imposto a pena di nullità della richiesta di rinvio a giudizio (art. 4 1 6, comma l) e del decreto di citazione diretta a giudizio (art. 552, comma 2). L'omissione dell'awiso di conclusione delle indagini determina una nullità di ordine generale a regime intermedio ai sensi dell'art. 178 lett. c, c.p.p. Così Cass., sez. III, 26 novembre 2002 - 1 7 gennaio 2003, n. 2 1 16, Di Salvo, in Cass. pen., 2004, 1342. In argomento, la Consulta ha precisato che nel giudizio immediato e nel procedimento per decreto la mancata previsione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari è costituzionalmente legittima in quanto le forme di esercizio del diritto di difesa << possono essere modulate in relazione alle caratteristiche dei singoli riti speciali ed ai criteri di massima celerità e semplificazione che li ispirano >> (C. cast., 16 maggio 2002, n. 203 e 4 febbraio 2003, n. 32). Per motivi analoghi la Corte ha ritenuto legittimo l'art. 15 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 in base al quale il procedimento davanti al giudice di pace non prevede l'avviso di conclusione delle indagini (C. cost., 28 giugno 2004, n. 20 1 ; C. cast., 19 novembre 2004, n. 349). (74) V. Cass., sez. un., 28 novembre 2006, Cieslinsky ed altri, in www.dirittoegiustizia.it, 29 novembre 2006: l'obbligo di traduzione in lingua nota all'imputato straniero dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e della richiesta di rinvio a giudizio consegue, da un lato, alla precisazione contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. lO del l993, secondo cui l'art. 143 si riferisce sia agli atti orali che a quelli scritti e, dall'altro, alla circostanza che il termine << accusa >>, di cui all'art. 143 comma l, va interpretato anche alla luce del disposto dei testi sovranazionali (art. 6 Convenzione europea) e dell'articolo 1 1 1 Cost., come comprensivo di tutti gli atti nei quali l'indicazione di elementi a carico dell'indagato o dell'imputato fa sorgere
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Inoltre, l'avviso contiene l'avvertimento che l'indagato ed il suo difensore hanno la facoltà di prendere visione del fascicolo delle indagini, depositato presso la segreteria del pubblico ministero (art. 415 -bis, comma 2 ) . In tal modo la difesa può conoscere tutti gli atti di indagine in un momento anteriore al deposito della richiesta di rinvio a giudizio (v. atto 3 . 1 . 14 ) . L'adempimento assume importanza anche i n relazione all'ulteriore conte nuto dell'avviso. L'indagato è infatti avvertito che entro il termine di venti giorni può esercitare le seguenti facoltà: a) può « presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difen sore »; b) può « chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine »; c) può « presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio » (art. 4 15 -bis, comma 3 ) . Non sfugge come la conoscenza dell'intero fascicolo possa consentire alla persona sottoposta alle indagini un più efficace esercizio del diritto di difesa. La richiesta dell'indagato di essere interrogato. Il pubblico ministero non è vincolato ad adempiere alle richieste dell'indagato, salvo in un caso. Quando l'indagato chiede (entro venti giorni dalla notifica dell'avviso) di essere sotto posto ad interrogatorio, l'inquirente ha l'obbligo di procedervi. In tutte le altre ipotesi, il pubblico ministero valuta discrezionalmente la necessità di compiere nuove indagini a seguito delle richieste dell'indagato. Se ritiene di svolgerle, esse debbono essere compiute entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della richiesta. Il termine può essere prorogato dal giudice su richiesta del pubblico ministero « per una sola volta e per non più di sessanta giorni » (art. 4 15 -bis, comma 4) (75) . Il codice prevede una nullità se il pubblico ministero non invita l'indagato a presentarsi per rendere interrogatorio ai sensi dell'art. 375 c.p.p. , qualora l'indagato stesso abbia chiesto di essere sottoposto a tale atto entro il termine di cui all'art. 4 15 -bis, comma 3 (venti giorni dalla notifica dell'avviso di conclu sione delle indagini) ; la nullità concerne la richiesta di rinvio a giudizio e il decreto di citazione diretta (artt. 4 1 6 comma l e 552) . L'art. 415-bis, comma 3 è apprezzabile nella parte in cui riconosce all'im putato il diritto di essere interrogato, ove ne faccia richiesta. Altro aspetto una necessità di difesa. Ad awiso della Corte si tratta di una nullità intermedia ex art. 178, lett. c, che si estende per derivazione anche alla richiesta di rinvio a giudizio. (75) Secondo Cass. , sez. un., 22 febbraio - 5 giugno 2007, n. 2 1833 , Iodarche, in Cass. pen., 2007, 4052, l'awiso di conclusione delle indagini non costituisce atto interruttivo della prescrizione del reato ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 160 c.p. Infatti, soltanto gli atti veramente fondamentali del processo possono interrompere la prescrizione perché denotano il persistere dell'interesse a perseguire l'illecito da parte dello Stato. Questi atti, precisano le Sezioni unite, costituiscono un numerus clausus: il venir meno della tassatività comporterebbe la violazione della riserva di legge in materia penale e, dunque, la negazione del principio di legalità e della garanzia di determinatezza della fattispecie penale di cui all'art. 25 Cost. Inoltre, l'elenco di cui all'art. 160 c.p. non può essere ampliato per effetto di una interpretazione analogica: si tratterebbe di una analogia in malam partem non consentita dall'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale.
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positivo è costituito dalla discovery anticipata del fascicolo delle indagini, che può consentire all'indagato di affrontare l'interrogatorio essendo già a cono scenza di tutti gli elementi a suo carico. In tal modo, l'atto acquista un più autentico significato difensivo. Segnaliamo, tuttavia, che nessun avviso deve essere dato alla persona offesa. Funzione dell'istituto. Nel complesso, l'avviso di conclusione delle indagini è un istituto che garantisce, da un lato, l'esigenza di completezza delle investi gazioni preliminari e, dall'altro, il diritto dell'imputato di fornire un contributo efficace e consapevole al fine di chiarire la propria posizione, anche nell'ottica di prospettare al pubblico ministero elementi per una richiesta di archiviazione. La sollecitazione di nuove investigazioni, rivolta dall'imputato al pubblico ministero, comporta una sorta di riapertura del termine utile per compiere atti di indagine, quando quello generale sia scaduto (76). Ai sensi dell'art. 4 15-bis, comma 4, le indagini sollecitate devono essere compiute entro trenta giorni dalla richiesta dell'indagato, termine prorogabile per una sola volta e per non più di sessanta giorni dal giudice per le indagini preliminari.
7.
L'arresto in flagranza ed il fermo. a.
Considerazioni preliminari.
li codice accoglie il principio generale secondo cui soltanto il giudice è
competente ad applicare una misura cautelare limitativa della libertà personale con un provvedimento avente effetti permanenti nel tempo (art. 279), anche se tali misure hanno comunque un termine massimo di durata (art. 3 03 ) . La polizia giudiziaria ha il potere di disporre misure coercitive temporanee denominate arresto e fermo, che limitano la libertà personale dell'indagato in situazioni di urgenza, fino a quando non interviene la convalida del giudice. Se la convalida non è emessa entro il termine perentorio indicato dall'art. 3 9 1 , comma 7 , tali misure cessano di avere efficacia. Queste misure sono dette sinteticamente "precautelari" per indicare che consistono in un anticipo della tutela predisposta mediante le misure cautelari: quando non è possibile attendere che si svolga il procedin1ento cautelare, in quanto il destinatario della misura coercitiva potrebbe sottrarsi alle ricerche, si dà all'organo maggiormente presente sul luogo dei delitti, e cioè alla polizia giudiziaria, il potere di agire tempestivamente, a condizione che la magistratura sia investita del caso in termini brevissimi. Ciò che abbiamo esposto trova un avallo nei princìpi costituzionali. La misura precautelare è ammessa dalla Carta fondamentale (art. 13 comma 3 ) in (76)
T. BENE, Sub art. 415·bis, in A. GIARDA · G. SPANGHER, Codice di procedura penale commentato, 3'
ed., Milano, 2007, 3758.
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quanto abbia una natura servente rispetto alla finalità processuale di adottare una misura cautelare. Ove da parte del legislatore non sia prevista la possibilità di trasformare la misura precautelare in una misura coercitiva, viene meno la giustificazione costituzionale della restrizione della libertà disposta dalla poli zia (77) . Occorre ricordare che il pubblico ministero e la polizia giudiziaria hanno anche il potere di disporre misure coercitive temporanee che non comportano una restrizione della libertà personale, bensì impongono limiti più o meno intensi alla libertà di circolazione. Si tratta delle varie forme di accompagna mento coattivo che possono essere disposte dalla polizia giudiziaria (art. 349, comma 4) e dal pubblico ministero (artt. 3 75 , comma 2 , 376, 3 77 ) . L a differenza di queste limitazioni rispetto all'arresto, al fermo e alle misure cautelari detentive consiste nel carattere di strumentalità: infatti non si vede come poter eseguire una perquisizione personale contro la volontà del perqui sito senza !imitarne la libertà di spostamento, e lo stesso vale per l'identifica zione, o in generale per gli atti coercitivi, o addirittura per l'accompagnamento coattivo del testimone o della persona a conoscenza dei fatti. Al contrario, le misure cautelati e precautelari hanno lo scopo di limitare in sé la libertà della persona ad esse sottoposta, poiché è questa stessa che si teme essere pericolosa.
b.
L'arresto.
L'arresto in flagranza è un provvedimento che di regola è disposto dalla polizia giudiziaria ed eccezionalmente dai privati (artt. 3 80, 3 8 1 , 3 83 ) . In particolare, il potere di arresto ha la finalità di assicurare alla giustizia gli autori del reato e di impedire che il reato medesimo venga portato a conseguenze ulteriori (art. 55) . L a situazione di flagranza, che permette o impone (in base al titolo del reato) alla polizia di operare l'arresto, è descritta nell'art. 3 82 . È in stato di flagranza (in senso pieno) colui che viene colto nell'atto di commettere il reato. È in situazione denominata tradizionalmente " quasi flagranza" il soggetto che, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima. Arresto obbligatorio. L'arresto in flagranza è obbligatorio per la polizia giudiziaria (art. 3 80, comma l ) in presenza di un delitto non colposo (consu mato o tentato) per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della
(77) In tal senso, Corte cost., 15 luglio 2004 n. 223 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una disposizione che prevedeva una ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza che non poteva trasformarsi in alcuna misura cautelare coercitiva.
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reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni (es. sequestro di persona a scopo di estorsione; art. 63 0 c.p.). L'arresto è obbligatorio anche in presenza dei delitti previsti nell'art. 3 80, comma 2 c.p.p. (es ., associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, furto aggra vato, rapina, estorsione, pornografia minorile e altri) per i quali sono presenti esigenze di tutela della collettività, anche se tali delitti non rientrano nei limiti edittali previsti dal primo comma (es. furto commesso in abitazione e furto con strappo, salvo che ricorra l'attenuante del danno di speciale tenuità) . L'art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 1 1 , ha imposto l'arresto in flagranza per il delitto di violenza sessuale previsto dall'art. 609-bis, commi l e 2 c.p. e per il delitto di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.). L'art. 3 , comma 25 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (disposizioni in materia di sicurezza pubblica) ha previsto l'arresto obbligatorio in flagranza in caso di furto aggravato in cui il colpevole abbia addosso armi o narcotici senza farne uso o se il fatto è commesso da tre o più persone o anche da una sola che simuli di essere un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Arresto ad opera di persone private. Negli stessi casi in cui è obbligatorio per la polizia, l'arresto può essere effettuato da « ogni persona » se il delitto è procedibile d'ufficio ( art. 3 83 , comma 1 ) . n soggetto che ha eseguito l'arresto in flagranza deve senza ritardo consegnare la persona ristretta nella libertà e le cose costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria, che redige il verbale della consegna e ne rilascia copia (art. 3 83 , comma 2 ) . La disposizione riconosce implicitamente ad ogni persona il potere di assicurare le cose costituenti corpo del reato in presenza di un arresto in flagranza effettuato o almeno tentato. Arresto facoltativo. L'altra ipotesi di arresto è denominata "facoltativa" dal codice, nel senso che è rimesso alla discrezionalità dell'ufficiale od agente di polizia valutare se la misura è giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto (art. 3 8 1 , comma 4). In presenza di tali condizioni l'arresto in flagranza è consentito quando si procede sia per un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni (es., calunnia; art. 3 68 c.p. ) , sia per un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (es., lesioni gravissime a più persone; art. 590, comma 4 c.p.). L'arresto facoltativo in flagranza è consentito anche in ulteriori ipotesi previste dall'art. 3 8 1 comma 2 c.p.p. a prescindere dalla pena edittale. Ad esempio, violenza o minaccia a pubblico ufficiale prevista dall'art. 336, comma 2 c.p . ; lesione personale volontaria; furto; danneggiamento aggravato; truffa; corruzione di minorenni; ed infine, evasione ( d.l. 13 maggio 1 99 1 , n. 152) . n d.l. n . 92 del 2008 (sicurezza pubblica), conv. nella legge 2 4 luglio 2008 n. 125 , ha introdotto due ulteriori casi di arresto facoltativo in flagranza per i delitti di falsa attestazione sulla identità personale e fraudolente alterazioni per
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impedire tale identificazione, previsti dagli artt. 495 e 495-ter c.p. (nuove lett. m-ter e m-quater) (78). L'arresto obbligatorio o facoltativo non è mai consentito quando « tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell'adem pimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità » (art. 3 85 ) . Qualora si tratti di un delitto perseguibile a querela, l'arresto obbligatorio e quello facoltativo possono essere eseguiti se la querela viene proposta anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o agente di polizia presente sul luogo; se successivamente la persona offesa dichiara di rimettere la querela, l'arrestato è posto immediatamente in libertà, anche se quest'ultimo ricusa la remissione (artt. 3 80, comma 3 e 3 8 1 , comma 3 ) . c.
n fermo.
Il fermo è un provvedimento che può essere disposto di regola dal pubblico ministero quando sono presenti le seguenti condizioni (art. 3 84 , comma 1 ) : l ) che vi siano gravi indizi a carico dell'indagato; 2) che sussistano specifici elementi di prova che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga. In particolare, il codice prevede espressamente che il pericolo di fuga possa essere desunto dalla impossibilità di identificare l'indiziato (art. 3 84, comma l , mod. dalla legge n. 128 del 200 1 ) ; 3 ) che si proceda per u n delitto per il quale l a legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei anni (es. , furto pluriaggravato; rapina) . Si prescinde dalla pena edittale per i delitti concernenti le armi da guerra e gli esplosivi o per i delitti commessi « per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico ». Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere al fermo in via sussidiaria nei seguenti casi: a) prima che il pubblico ministero abbia assunto la direzione delle indagini (art. 3 84, comma 2 , in relazione all'art. 348, comma l ) ; (78) Una normativa speciale è prevista per i reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione (o a causa) di manifestazioni sportive, per i reati di lancio di materiale pericoloso, di invasione di campo e di inosservanza delle prescrizioni del questore concernenti il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive e, infine, per i reati concernenti il possesso di artifici pirotecnici: si veda la legge 13 dicembre 1989 n. 401, modificata da ultimo dal d.l. 8 febbraio 2007 n. 8, conv. in legge 4 aprile 2007 n. 4 1 . La polizia h a il potere d i arrestare in flagranza i responsabili dei predetti reati fino a quarantotto ore dal fatto. Ciò è possibile << sulla base di documentazione video-fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto >>. La previsione opera quando la polizia giudiziaria non può eseguire immediatamente l'arresto per ragioni di sicurezza o di incolumità pubblica. Una volta che è stato disposto l'arresto in flagranza, l'applicazione di misure caute!ari è possibile anche fuori dei limiti di pena previsti dal codice di procedura penale (artt. 274, comma l , lettera c e 280). Le misure predette hanno efficacia fino al 30 giugno 2010.
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b) qualora sia successivamente individuato l'indiziato (art. 3 84 , comma 3 ) ; c ) qualora sopravvengano specifici elementi che rendano fondato il pericolo che l'indiziato sia per darsi alla fuga e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del pubblico ministero; tra gli « specifici elementi » vi è anche il possesso, da parte dell'indiziato, di documenti falsi (art. 3 84, comma 3 ) . In base alle norme che i n precedenza sono state esposte (e che derivano da una precisa scelta della legge delega espressa nella direttiva n. 3 2 ) , il pubblico ministero non è titolare del potere di arresto in flagranza. Tuttavia può disporre il fermo anche nelle ipotesi nelle quali vi sia flagranza (art. 3 84 , comma 1 ) , purché il delitto rientri nei limiti edittali del fermo e siano presenti l e condizioni che legittimano quest'ultimo provvedimento (79).
d.
La convalida dell'arresto e del fermo.
n procedimento di convalida dell'arresto e del fermo attua due princìpi fondamentali posti dalla Costituzione. In primo luogo, il principio in base al quale le misure limitative della libertà personale possono essere applicate soltanto dal giudice; pertanto l'arresto ed il fermo, quali provvedimenti prov visori e temporanei, devono essere sottoposti alla convalida (o meglio, alla ratifica) del giudice ( art. 1 3 , comma 3 Cast.) . In secondo luogo, le norme attuano il principio in base al quale la polizia giudiziaria è sotto la diretta disponibilità dell'autorità giudiziaria (art. l 09 Cast.) . n procedimento di convalida può essere suddiviso in tre fasi. Nella prima fase la polizia giudiziaria pone l'arrestato a disposizione del pubblico ministero. Nella seconda il pubblico ministero chiede la convalida dell'arresto (o del fermo) al giudice. La terza fase consiste nell'udienza di convalida che si svolge davanti a quest'ultimo. La procedura è sottoposta a termini precisi, che attuano (79) n codice di procedura penale aveva inteso razionalizzare il sistema delle misure precautelari, distinguendo tra arresto e fermo a seconda che ricorresse o meno lo stato di flagranza, essendo questo un presupposto necessario solo del primo. Infatti l'art. 230 disp. att. aveva previsto che le numerose ipotesi di arresto fuori flagranza fossero trasformate in identiche ipotesi di fermo: queste restavano dunque identiche nei presupposti, ma cambiavano di nome ai fini di una più logica classificazione e individuazione di disciplina. Si trattava di un segno di particolare attenzione del codice al tentativo di creare un corpo organico anche con la disciplina preesistente, che purtroppo il legislatore sente di rado. Tuttavia, anche nella materia in questione non hanno tardato a manifestarsi nuove ipotesi di arresto facoltativo fuori dai casi di flagranza. Esse si pongono dunque come un terzo genus ibrido: un esempio è dato dall'art. 3 della legge 12 luglio 1991, n. 203, per gli autori del reato di evasione anche non aggravata (ivi compresi i soggetti in stato di detenzione domiciliare); altro caso è quello di chi si sia dato alla fuga dopo essere stato coinvolto in un incidente con danni alle persone (art. 189, comma 6, nuovo codice della strada). Inoltre, il legislatore ha introdotto un'ipotesi di arresto obbligatorio senza flagranza in materia di reingresso illegale degli stranieri (art. 13, comma 1 3-ter, T.U. dell'immigrazione, come modificato dalla legge 12 novembre 2004, n. 27 1 ) e due ulteriori ipotesi in caso di trasgressione all'ordine di espulsione od allontana mento pronunciato dal giudice ai sensi degli articoli 235, comma 3 , e 3 12, comma 2 c.p., modificati dal d.l. n. 92 del 2008, conv. in legge n. 125 del 2008. 17
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il disposto dell'art. 1 3 , comma 3 Cast. A causa della presenza di termini perentori e per non intralciare l'organizzazione degli uffici e del personale della polizia giudiziaria, la legge prevede una perfetta fungibilità della persona fisica che procede ai vari adempimenti (art. 120 disp. att.) . Nella prima fase del procedimento gli ufficiali e gli agenti d i polizia giudiziaria hanno i seguenti doveri di informazione: l ) danno immediata notizia del provvedimento al pubblico ministero del luogo ove l'arresto o il fermo è stato eseguito (art. 3 86, comma l ) e contem poraneamente trasmettono l'informativa di reato (art. 347 ) ; 2 ) avvertono l'arrestato o il fermato della facoltà d i nominare un difensore di fiducia (art. 3 86, comma l ) ; 3 ) se non è nominato un difensore di fiducia, chiedono al pubblico ministero la designazione del difensore d'ufficio (art. 3 86, comma 2 che rinvia all'art. 97) ; 4) informano immediatamente dell'arresto o del fermo il difensore (art. 3 86 comma 2 ) ; la disposizione è funzionale all'art. 104 comma 2 , che riconosce all'arrestato il diritto di conferire con il difensore « subito dopo l'arresto o il fermo »; 5) senza ritardo e con il consenso dell'arrestato danno ai familiari di quest'ultimo notizia dell'esecuzione della misura (art. 3 87 ) . Gli stessi ufficiali e agenti devono poi provvedere a due ulteriori adempi menti. In primo luogo, devono porre l'arrestato o il fermato a disposizione del pubblico ministero al più presto e, comunque, non oltre le ventiquattro ore. Ciò avviene, di regola, nel seguente modo: la polizia conduce l'arrestato nella casa circondariale o mandamentale del luogo nel quale la misura è stata eseguita. In via eccezionale, il pubblico ministero può disporre che l'arrestato sia custodito nei luoghi nei quali si esegue l'arresto domiciliare, e cioè nella propria abita zione (o altro luogo di privata dimora) o in un luogo pubblico di cura o di assistenza (art. 3 86, commi 3 , 4 e 5 ) . I n secondo luogo, gli ufficiali e agenti devono trasmettere al pubblico ministero il verbale dell'arresto sempre entro le ventiquattro ore (art. 3 86, comma 3). I l pubblico ministero può autorizzare una dilazione, in modo che comunque sia possibile presentare al giudice il verbale entro quarantotto ore dall'arresto. La seconda fase del procedimento ha la funzione di mettere in grado la pubblica accusa sia di formulare la richiesta di convalida, sia di chiedere nella successiva udienza una delle misure cautelari personali. A tal fine il pubblico ministero può procedere all'interrogatorio dell'arrestato o del fermato dando previo avviso al difensore, che ha facoltà di essere presente all'atto (art. 3 88, comma 1 ) . All'inizio dell'interrogatorio l'inquirente, dopo aver dato l'avviso della facoltà di non rispondere, informa l'arrestato del fatto per cui si procede e delle ragioni che hanno determinato il provvedimento, comunicandogli inoltre
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gli elementi a suo carico e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, le fonti (art. 3 88, comma 2 , che rinvia all'art. 64) . n pubblico ministero può liberare l'arrestato o il fermato in due casi. Ordina la liberazione senza chiedere la convalida al giudice quando: a) risulta evidente che l'arresto o il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi consentiti dalla legge; b) la misura è divenuta inefficace perché sono decorsi i termini per porre l'arrestato a disposizione del pubblico ministero o per chiedere la convalida al giudice (art. 3 89 ) . I l pubblico ministero ordina l a liberazione (ma deve egualmente chiedere al giudice la convalida) quando, pur considerando giustificato l'arresto o il fermo, ritiene di non dover chiedere al giudice l'applicazione di una misura cautelare coercitiva ( art. 1 2 1 disp. att.). La terza fase del procedimento inizia con la richiesta di convalida che deve essere presentata dal pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari competente in relazione al luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito (an. 3 90, comma l ) (80). Ricevuta l a richiesta, il giudice fissa l'udienza d i convalida al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive dandone avviso senza ritardo al pubblico ministero e al difensore (art. 3 90, comma 2 ) . L'udienza si svolge in camera di consiglio (art. 127) con la partecipazione facoltativa del pubblico ministero e necessaria del difensore dell'imputato (art. 3 9 1 , comma 1 ) . Que st'ultimo non è obbligato a intervenire; ma, se è presente, deve essere interro gato dal giudice (art. 3 9 1 , comma 3 ) . L'arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l'ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle quarantotto ore successive al momento in cui l'arrestato o il fermato è stato posto a disposizione del giudice (art. 3 9 1 comma 7 ) ; e cioè, dal momento in cui il giudice ha ricevuto la richiesta di convalida. Le decisioni: convalida ed emissione della misura cautelare. In sede di convalida vengono prese due distinte decisioni. In primo luogo, il giudice accerta se l'arresto o il fermo è stato legittimamente eseguito e se sono stati osservati i termini perentori per porre l'arrestato a disposizione del pubblico ministero (art. 3 86, comma 3 ) e per chiedere la convalida (art. 3 90, comma l ) ; quindi decide con ordinanza s e convalidare o meno l'arresto o il fermo. Tale provvedimento può essere oggetto di ricorso per cassazione (art. 3 9 1 , comma 4 ) . I n secondo luogo, il giudice valuta s e sussistono i presupposti della misura (80) Quando la procura distrettuale, in relazione ad un reato che appartiene alla sua cognizione, adotta un provvedimento di fermo che viene eseguito nella competenza territoriale di un giudice differente da quello presso cui è posta la procura stessa, spetta al pubblico ministero istituito presso il giudice competente per la convalida, e cioè quello del luogo ove è stato eseguito il fermo o l'arresto, la legittimazione a richiedere la convalida medesima e ad impugnare i provvedimenti emessi in esito alla decisione; così, Cass., sez. VI, 12 giugno 2007, Duccillo, in C.E.D., n. 237 1 90; Cass., sez. V, 3 maggio 1996, Barbieri, in Cass. pen., 1997, 3047.
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III.I.8.a
cautelare richiesta dal pubblico ministero (art. 3 9 1 , comma 5 ) ; quindi può applicarla. L'ordinanza è impugnabile presso il tribunale della libertà. I due accertamenti sono indipendenti fra di loro. In particolare, il giudice può convalidare l'arresto o il fermo, ma non applicare alcuna misura cautelare (art. 3 9 1 , comma 6) ; e viceversa può negare la convalida, ma disporre egual mente una misura cautelare ( art. 3 9 1 , comma 5 ) . In ogni caso, l'arresto o il fermo cessano di avere efficacia se il giudice non decide sulla convalida nelle quarantotto ore successive al momento in cui l'arrestato o il fermato è stato posto a sua disposizione (art. 3 9 1 , comma 7) ( 8 1 ) . L a cognizione del giudice è limitata al fatto d i reato, come appare nella richiesta di convalida formulata dal pubblico ministero. Infatti il giudice non può modificare il fatto storico addebitato, ma soltanto valutare la sua esistenza in base agli elementi addotti. Al giudice è consentito attribuire al fatto storico una qualificazione giuridica diversa da quella data dal pubblico ministero, ma ciò vale ai soli fini della decisione in oggetto e non influisce sulle successive indagini.
8.
L'incidente probatorio. a.
Considerazioni preliminari.
n legislatore ha fatto la scelta fondamentale di riservare, di regola, al dibattimento la formazione della prova poiché in tale sede è garantito il contraddittorio nella sua più ampia manifestazione. Ciò permette anche di tutelare il principio di immediatezza tra la assunzione della prova e la decisione sulla medesima: ai sensi dell'art. 525 comma 2 la deliberazione della sentenza è affidata agli « stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento ». Tuttavia il principio di immediatezza, che ispira tale scelta, non può essere assicurato in modo assoluto, senza tenere conto di quelle esigenze pratiche che in determinati casi richiedono di procedere subito all'assunzione della prova. Infatti non sempre si può attendere la formazione della prova in dibattimento, poiché questo si può svolgere a distanza di tempo dal fatto di reato. La legge delega (n. 81 del 1 987) aveva previsto la possibilità di assumere la prova in contraddittorio già nel corso delle indagini preliminari quando essa non era "rinviabile al dibattimento" . A tal fine è stato predisposto l'incidente probatorio: esso consiste in una udienza che si svolge in camera di consiglio senza la presenza del pubblico e nella quale, davanti al giudice per le indagini (8 1 ) In base all'art. 9, comma l della legge n. 85 del 2009, nei confronti dell'indagato arrestato in flagranza o sottoposto a fermo è operato a determinate condizioni il prelievo coattivo di un campione biologico per l'estrazione di quel profilo del DNA, che deve poi essere inserito nella relativa Banca dati nazionale. Il prelievo è effettuato dopo la convalida da parte del giudice.
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preliminari, s i assumono l e prove nelle medesime forme che sono prescritte per il dibattimento; ad esempio, la prova dichiarativa è assunta con l'esame incro ciato. Il testo originario del codice ( 1988) nell'attuare la delega aveva tipizzato i casi ed i motivi della non rinviabilità allo scopo dichiarato di rendere eccezionale il ricorso all'incidente. Esso era ammesso in situazioni tassative che erano veri e propri "casi limite" (ad esempio, il testimone in fin di vita) (82 ) . Il legislatore aveva voluto evitare il « pregiudizio di una formazione anticipata della prova » prima del dibattimento (Relazione al prog. prel., p. 102 ) ; di conseguenza il principio di immediatezza prevaleva sul diritto alla prova non rinviabile, anche se quest'ultimo doveva intendersi garantito dall'art. 24 comma 2 Cost. La conseguenza è stata una scarsa utilizzazione dell'incidente probatorio negli anni successivi all'entrata in vigore del codice, con un grave deficit di garanzie. Ma a partire dal 1 994 si è verificata una inversione di tendenza, dovuta alla maturata convinzione che il diritto alla prova non rinviabile deve prevalere sul principio di immediatezza (83 ) . Varie leggi (n. 66 del 1996, n. 267 del 1997, n. 269 del 1998, n. 3 97 del 2000, n. 228 del 2003 ) hanno eliminato i requisiti tassativi in relazione a determinate prove che possono essere assunte nell'inci dente probatorio solo che il pubblico ministero e l'indagato lo chiedano. Ne è derivato un sistema alquanto sbilanciato e poco coerente, che veniamo ad esporre.
b.
I casi di incidente probatorio.
I casi in cui si fa luogo all'incidente probatorio sono indicati nel codice facendo riferimento ai singoli mezzi di prova che possono essere assunti in tale sede. Ovviamente, la richiesta di incidente probatorio è valutata dal giudice in base ai parametri stabiliti dall'art. 1 90 (pertinenza e rilevanza) . I casi tassativi di non rinviabilità. Alcuni mezzi di prova possono essere assunti nell'incidente probatorio se sono presenti i casi tassativi di non rinvia bilità al dibattimento, previsti nell'art. 3 92 . Si tratta: a) della testimonianza e del confronto, che sono ammessi se il dichia rante non potrà deporre in dibattimento a causa di un grave impedimento (es. (82) Viceversa nella Relazione al disegno di legge delega (Camera dei deputati, relatore Carlo Casini) si dava un'interpretazione estensiva dello stesso concetto. Ad avviso del relatore l'incidente doveva ricom· prendere << atti che possono avere un significato probatorio se assunti in un determinato momento delle indagini », se sono messi in rapporto con altri elementi che stanno maturando. Pertanto si sarebbero potuti assumere con incidente quegli atti che non avrebbero dato un risultato " utile" se fossero stati compiuti successivamente, ad esempio << quando la memoria del deponente si (fosse) già appannata per il passaggio del tempo >>. (83) La Corte costituzionale, con la sentenza 10 marzo 1994, n. 77, ha dichiarato illegittimi gli artt. 392 e 393 << nella parte in cui non consentono che, nei casi previsti dalla prima di tali disposizioni, l'incidente probatorio possa essere richiesto ed eseguito anche nella fase dell'udienza preliminare >>.
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infermità) o di una minaccia in atto affinché non deponga o deponga il falso (art. 3 92 , comma l, lett. a, b, e); b) dell'esperimento giudiziale e della perizia "urgente " , che sono am messi se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile (art. 3 92, comma l , lett. /); c) della ricognizione, che è ammessa se « particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l'atto al dibattimento » (art. 3 92 , comma l , lett. g). I casi di incidente probatorio su mera richiesta di parte. Vi sono poi altri mezzi di prova che devono essere assunti nell'incidente probatorio sulla base del solo presupposto che il pubblico ministero o l'indagato lo abbiano chiesto al giudice per le indagini preliminari, senza che sia necessario il requisito della non rinviabilità né dell'urgenza. Ovviamente resta il requisito che la prova sia pertinente e rilevante. l ) I casi più importanti riguardano l'esame dell'indagato quando questi debba deporre su fatti concernenti la responsabilità altrui (art. 3 92 , comma l , lett. c) e l'esame dell'imputato ( o indagato) connesso o collegato ai sensi dell'art. 2 10 ( art. 3 92 , comma l , lett. d). In tal modo ormai è configurabile un vero e proprio diritto dell'indagato a confrontarsi con il suo accusatore quando questi è a sua volta imputato o indagato connesso o collegato. La novità sistematica consiste nel fatto che il diritto è esercitabile già nel corso delle indagini preliminari, sia pure con i limiti precisati in precedenza in merito all'ampiezza del diritto al silenzio e dell'obbligo di verità (si veda supra, Parte II, cap. 4, § 3 , lett. h). 2 ) Altro mezzo di prova che è assunto nell'incidente probatorio sul solo presupposto della richiesta proveniente dal pubblico ministero o dall'indagato è la perizia c.d. di lunga durata che, se disposta nel corso del dibattimento, ne potrebbe determinare una sospensione superiore a sessanta giorni (art. 3 92, comma 2). 3) A tale ipotesi la legge n. 85 del 2009 ha aggiunto quella della perizia coattiva. Si tratta di quella modalità di effettuazione che comporta il compi mento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale (art. 224-bis) . Nell'am bito di tali operazioni è possibile procedere al prelievo coattivo di capelli, di peli o di mucosa del cavo orale ai fini della determinazione del profilo del DNA o ad altri accertamenti medici. Occorre naturalmente che siano presenti i requisiti previsti per tale forma di perizia (si veda supra, Parte II, cap. 4, § 5 , lett. b) . Nei due casi appena menzionati (perizia di lunga durata e perizia coattiva) il mezzo di prova deve essere assunto nell'incidente probatorio a prescindere dalla situazione di urgenza dell'accertamento. 4) Tra gli altri casi di incidente probatorio a mera istanza di parte, occorre ricordare che il difensore può chiedere che siano assunti con incidente proba torio la testimonianza o l'esame delle persone che si siano avvalse della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione scritta nel corso dell'inter-
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vista svolta dal difensore. Anche in tal caso non occorre che sussista il requisito della non rinviabilità dell'atto ( art. 3 9 1-bù, comma 1 1 ) . 5 ) Vi è poi un insieme eterogeneo di leggi, concernenti i delitti di violenza sessuale e assimilati, che poco per volta (dal 1996 al 2003 ) hanno esteso l'incidente probatorio per assumere la testimonianza del minore di anni sedici prescindendo dai casi di non rinviabilità (art. 3 92, comma l -bis). Da ultimo, il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 1 1 , da un lato, ha aggiunto all'elenco ulteriori delitti tra i quali ricordiamo gli atti persecutori, i maltrattamenti in famiglia e la riduzione in schiavitù; da un altro lato, ha esteso la possibilità di ottenere l'incidente probatorio (fuori dei casi di non rinviabilità) qualora occorra sentire una persona offesa minorenne (quindi anche superiore a sedici annz) o una persona o/fesa maggiorenne. Con la particolarità che la persona offesa stessa può chiedere al pubblico ministero la propria deposizione testimoniale mediante incidente probatorio. Nelle ipotesi menzionate la ratio dell'incidente è duplice; da un lato, vi è l'esigenza (che riteniamo prevalente) di permettere un controllo sulla credibilità ed attendibilità della deposizione della persona offesa nel momento in cui la memoria non ha ancora subìto quelle deformazioni che si verificano inevitabil mente in situazioni del genere con il passaggio del tempo (84); da un altro lato, vi è l'esigenza di ridurre, in favore della medesima persona offesa, lo stress da esposizione al processo (85 ) . c.
n contraddittorio sull'ammissibilità dell'incidente.
L'incidente probatorio si svolge in varie fasi. Esse sono: l ) il contraddittorio sull'ammissibilità dell'incidente; 2 ) la decisione del giudice sull'ammissibilità e (84) In tal senso, Cass. , sez. III, 18 settembre 2007, n. 3 7 147, in Cass. pen., 2008, 3343, sul caso di Rignano Flaminio. In dottrina, G. DE LEO, C. CALABRESI, La perizia sull'attendibilità del bambino testimone nei casi di presunto abuso sessuale, Milano, 2006, 207. (85) Si era posto il problema se l'originaria normativa, nonché quella relativa alle particolari modalità di assunzione, fosse applicabile anche oltre i reati in essa previsti (es., per i reati di maltrattamento, che oggi sono previsti dal d.l. n. 1 1 del 2009). Sul punto, è intervenuta la Corte di giustizia delle Comunità Europee che è stata investita di un rinvio pregiudiziale ad opera del G.I.P. del Tribunale di Firenze. Questi ha chiesto alla Corte eli Giustizia di pronunciarsi sulla portata della Decisione quadro 15 marzo 2001 (20011220/GAI), relativa alla tutela delle persone offese dal reato, non attuata dall'Italia, nutrendo dubbi sulla compatibilità con essa degli artt. 392, comma l-bis e 398, comma 5-bis, che limitano ai soli reati a sfondo sessuale la facoltà di ricorrere all'incidente probatorio e alle modalità particolari di assunzione. In poche parole, il giudice del rinvio chiedeva se la Decisione quadro dovesse essere interpretata nel senso di consentire al giudice nazionale di disporre l'incidente probatorio e l'assunzione delle deposizioni secondo modalità protette, anche nel caso in cui i minori siano vittime di maltrattamenti. La CGCE, in primo luogo, ha affermato che, in base alla Decisione quadro, il minore vittima deve poter rendere la propria deposizione con << un livello di tutela adeguato >>; in secondo luogo, ha precisato che il giudice nazionale è obbligato ad interpretare le norme interne in modo conforme alla Decisione quadro, sempre che da tale attività esegetica non discenda una violazione dei princìpi fondamentali dell'ordinamento dello Stato membro (CGCE, 16 giugno 2005, Pupino, in Dir. pen. proc., 2005, 1 178).
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fondatezza della richiesta; 3) lo svolgimento dell'udienza in camera di consiglio; 4) l'eventuale integrazione del contraddittorio. Possono fare richiesta di incidente probatorio il pubblico ministero, l'in dagato ed il suo difensore (art. 3 92 , comma 1 ) . La persona offesa non può rivolgersi direttamente al giudice, ma può soltanto fare richiesta al pubblico ministero, che ha l'obbligo di pronunciare decreto motivato se non la accoglie (art. 3 94 ) . I soggetti che chiedono a l giudice l'incidente probatorio hanno l'onere alquanto pesante (posto a pena di inammissibilità) di precisare nella richiesta: a) la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l'oggetto e le ragioni della sua rilevanza; b) le « persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova » (e cioè, i soggetti interessati) ; c) i motivi per cui la prova non è rinviabile al dibattimento. n pubblico ministero deve fornire ulteriori indica zioni sulla persona offesa e sui difensori delle persone interessate (art. 3 93 , commi l e 2 ) . L a richiesta di incidente è presentata alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari ed è notificata alla controparte, e cioè, secondo i casi, al pubblico ministero ovvero all'indagato (art. 3 95) ed al suo difensore (Corte cast., n. 436 del 1990). Costoro possono presentare al giudice deduzioni scritte sull'ammissibilità e fondatezza della richiesta e sull'estensione oggettiva e soggettiva dell'incidente (art. 3 96) . La decisione sulla richiesta. A seguito dell'eventuale contraddittorio scritto, il giudice decide sulla richiesta di incidente con una ordinanza non impugnabile. In caso di accoglimento, fissa la data dell'udienza ed indica (entro i limiti delle richieste delle parti) l'oggetto della prova e le persone interessate all'assunzione della stessa; a queste, alla persona offesa ed ai loro difensori, oltreché al pubblico ministero, viene dato avviso della data dell'udienza (art. 3 98, comma 3 ) (86) . (86) Ai sensi dell'art. 398, comma 5-bis (più volte modificato da leggi speciali e, da ultimo, dal decreto-legge n. 1 1 del 2009) nel caso di indagini riguardanti i reati di prostituzione minorile, pornografia minorile, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, violenza sessuale di gruppo, atti persecutori, ove tra le persone da escutere vi siano minorenni, il giudice stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso le quali procedere all'incidente probatorio quando le esigenze di tutela della persona lo rendano necessario o opportuno. A tal fine l'udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l'abitazione della persona interessata all'assunzione della prova. Le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di riprodu zione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia ovvero della consulenza tecnica. Dell'interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti. La previsione è stata estesa dalla sentenza della Corte cost. n. 262 del l 998 al delitto di corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.). La Corte cost. con sentenza n. 63 del 2005 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 398 comma
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Nel caso inverso, il giudice dichiara inammissibile la richiesta o la rigetta perché infondata; l'ordinanza è comunicata al pubblico ministero ed alle persone interessate, ma non è impugnabile (art. 398, comma 1 ) . n differimento dell'incidente probatorio. n pubblico ministero h a il potere di chiedere al giudice il differimento dell'incidente « quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare » (art. 3 97 , comma 1 ) . L a decisione sulla richiesta è presa dal giudice senza contraddittorio e d è comunicata al pubblico ministero e notificata per estratto (e cioè, senza la motivazione) alle persone interessate. n codice dispone che il differimento non è consentito « quando pregiudicherebbe l'assunzione della prova » (art. 3 97, comma 1 ) . Merita ricordare che l'art. 430-bis sancisce il divieto per la polizia giudizia ria, il pubblico ministero e il difensore di assumere informazioni dalle persone indicate nella richiesta di incidente probatorio (87) . Le informazioni assunte in violazione del divieto sono inutilizzabili. I testimoni e gli imputati, una volta indicati nella richiesta di incidente probatorio, non possono essere sentiti se non davanti al giudice. n contraddittorio scritto, che si instaura sull'ammissione dell'incidente probatorio, appare irrazionale almeno in relazione ai casi nei quali, dal 1996, non è più richiesta l'esistenza di un requisito espresso di non rinviabilità. Ci sono mezzi di prova per i quali il codice permette l'incidente sulla base della sola richiesta di parte; eppure il legislatore ha lasciato in vita la complessa e farraginosa procedura scritta che, nelle intenzioni originarie, doveva permettere l'accesso all'istituto. Ciò dimostra quanto sia difficile superare il mito secondo il quale la prova deve essere assunta soltanto in dibattimento, anche quando una delle parti intende esercitare subito il suo "diritto alla prova" , senza attendere la fase più garantita.
d.
n diritto ad effettuare le contestazioni probatorie.
n difensore dell'indagato nella fase delle indagini preliminari conosce, di regola, soltanto i pochi atti che siano stati depositati ai sensi dell'art. 3 66 presso la segreteria del pubblico ministero ( almeno in quei procedimenti nei quali non sia stata disposta una misura cautelare personale) . Soltanto il pubblico ministero conosce integralmente tutti gli atti di indagine. Orbene, la conoscenza di tali atti è indispensabile per condurre in modo efficace l'esame incrociato e, soprattutto, per controllare la credibilità e l'atten dibilità del dichiarante. In considerazione di ciò, il codice pone al pubblico 5-bis c.p.p. << nella parte in cui non prevede che il giudice possa provvedere nei modi ivi previsti all'assunzione della prova ove fra le persone interessate ad essa vi sia un maggiorenne infermo di mente, quando le esigenze di questi lo rendano necessario oppure opportuno >>. (87) La norma è stata introdotta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479.
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ministero l'obbligo di depositare prima dell'udienza i verbali delle dichiarazioni che la persona da esaminare ha rilasciato in precedenza alla polizia giudiziaria e al pubblico ministero ( art. 3 98 comma 3 ) . A tal fine il giudice fa notificare all'indagato, all'offeso e ai difensori l'avviso del giorno in cui avverrà l'incidente probatorio « con l'avvertimento che nei due giorni precedenti l'udienza » costoro potranno « prendere cognizione ed estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalla persona da esaminare ». La legge ha cercato di effettuare un contemperamento tra le due esigenze contrastanti, quella che tende a tutelare la segretezza dei risultati delle indagini e quella che vuole assicurare alla difesa la possibilità di controllare la credibilità e l'attendibilità del dichiarante in sede di assunzione anticipata della prova. Resta il fatto che il difensore può conoscere soltanto le precedenti dichiarazioni della persona da esaminare, mentre il pubblico ministero ha il quadro completo delle indagini espletate fino a quel momento. In caso di reati di violenza sessuale, di pedofilia, di tratta di persone e assimilati (leggi n. 66 del 1 996, n. 269 del 1 998, n. 228 del 2003 e decreto-legge n. 1 1 del 2009) il diritto al contraddittorio è tutelato in modo ampio in relazione all'incidente probatorio avente ad oggetto la testimonianza di un minorenne o della persona offesa maggiorenne. Infatti nel comma 2-bis dell'art. 3 93 si dispone che con la richiesta di incidente probatorio di cui all'art. 3 92 , comma l -bis, il pubblico ministero depositi « tutti gli atti di indagine compiuti ». Ciò premesso, ai sensi dell'art. 398, comma 3 -bis, l'indagato e i difensori delle parti private hanno il diritto di esaminare ed ottenere copia degli atti compiuti dal pubblico ministero e depositati presso la cancelleria del giudice. La norma vuole ottenere che i difensori dell'indagato e dell'offeso abbiano la conoscenza totale di tutti gli atti di indagine per essere in grado di effettuare contestazioni durante l'esame testimoniale che, ricordiamo, si svolge nelle forme dell'esame protetto ai sensi dell'art. 3 98, comma 5 -bis (v. in/ra, Parte III, cap. 5 , § 20). e.
Lo svolgimento dell'udienza.
L'udienza è regolamentata in aderenza alla finalità dell'incidente probatorio di costituire per quanto è possibile un'anticipazione del dibattimento durante la fase delle indagini preliminari. Occorre ricordare, infatti, che le parti private potenziali conoscono soltanto parzialmente gli atti assunti nelle indagini. L'udienza si svolge in camera di consiglio, e cioè senza la presenza del pubblico. È richiesta la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore ( di fiducia o d'ufficio) dell'indagato (art. 4 0 1 , comma 1 ) . Il difensore dell'offeso h a il diritto, m a non l'obbligo, di partecipare all'udienza; in tale sede non può porre domande direttamente al dichiarante, bensì può chiedere al giudice di rivolgerle (art. 40 1 , comma 5 ) . A loro volta l'indagato e l'offeso hanno diritto di assistere personalmente all'udienza quando
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si deve esaminare un testimone o un'altra persona; negli altri cas1 possono assistere soltanto su autorizzazione del giudice. Le prove sono assunte con le « forme » stabilite per il dibattimento (art. 401 , comma 5 ) . Poiché non vi è un rinvio generale alla disciplina del dibatti mento, il giudice per le indagini preliminari non ha il potere di assumere d'ufficio nuove prove; ciò del resto è imposto dal principio della domanda, che vale per l'intero incidente probatorio. Viceversa, pare applicabile l'art. 506, che attribuisce al giudice limitati poteri in ordine all'esame dei testimoni e delle parti private; in particolare, il giudice può rivolgere domande alle persone « già esaminate ». Infatti tale potere costituisce un necessario complemento del l' esame incrociato. L'utilizzabilità in dibattimento. L'incidente probatorio ha la funzione di anticipare la formazione della prova garantendo il diritto di difesa dell'indagato nei confronti del quale la prova stessa potrà essere successivamente utilizzata in dibattimento mediante lettura ai sensi dell'art. 5 1 1 . Per assicurare questa esigenza, il codice pone sia il divieto di estendere l'oggetto della prova a fatti « riguardanti persone diverse da quelle i cui difensori partecipano all'inci dente »; sia il divieto di verbalizzare le dichiarazioni aventi tale oggetto (art. 401 , comma 6) . Ai divieti si può derogare soltanto se si provvede ad integrare il contraddittorio in favore delle nuove persone interessate (art. 402 ) . Completa la normativa il divieto di utilizzare in dibattimento nei confronti dell'imputato le prove assunte nell'incidente senza la partecipazione del suo difensore e, quindi, senza la garanzia del contraddittorio (art. 403 ) . Occorre precisare l'ampiezza del divieto di estendere l'oggetto della prova e di verbalizzare dichiarazioni su fatti riguardanti « persone diverse da quelle i cui difensori partecipano all'incidente probatorio » (art. 401 , comma 6). Il divieto vale rispetto a tutti coloro cui vengano attribuiti fatti capaci di dar luogo a responsabilità penale (88). D a ciò deriva, come corollario, che saranno liberamente acquisibili e verbalizzabili le prove relative a comportamenti del tutto irrilevanti sotto un profilo penalistico o riferiti a persone da considerarsi estranee alle sorti del procedimento. L 'integrazione del contraddittorio. Come abbiamo anticipato, il divieto di estendere l'oggetto della prova può essere superato. La deroga, che rispetta la funzione dell'istituto, permette l'estensione purché si provveda all'integrazione del contraddittorio nei confronti delle persone interessate, e cioè di soggetti che risultino già raggiunti da indizi. La richiesta è rivolta al giudice; questi, se l'accoglie, rinvia l'udienza per il tempo strettamente necessario per effettuare le notifiche nei confronti delle persone indiziate e comunque non oltre tre giorni (88)
A. MoLARI, L'inCidente probatorio, in Indice pen., 1989, 581.
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(art. 402 ) . L'integrazione non è disposta quando il rinvio dell'udienza « pregiu dica l'assunzione della prova ». L'art. 403 determina con precisione i limiti della inutilizzabilità: « nel dibattimento le prove assunte con l'incidente probatorio sono utilizzabili soltanto nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione ». Ciò significa che quando viene esteso l'oggetto della prova (e cioè le dichiarazioni coinvolgono la responsabilità di persone non assistite dal difensore nell'incidente) il divieto di utilizzazione vale soltanto nel dibattimento, mentre non vale nei momenti anteriori. Pertanto l'atto può fondare decisioni anche di notevole importanza, quali i provvedimenti cautelari, il decreto che dispone il giudizio o la sentenza al termine del giudizio abbreviato che si svolge nell'udienza preliminare. Viene così a delinearsi un regime di inutilizzabilità oggettivamente relativo, in quanto il limite opera con riferimento alla sola fase dibattimentale, e soggettivamente relativo, poiché la prova è utilizzabile soltanto nei confronti di determinati imputati e non di altri. La legge n. 267 del 1 997 ha completato la disciplina considerando la particolare situazione in cui una persona, ancora non indagata al momento dello svolgersi dell'incidente, sia successivamente raggiunta da indizi di reità (art. 403 , comma l -bis). In tal caso, di regola, si rende necessario ripetere l'incidente in contraddittorio con l'indiziato: esclusivamente la prova raccolta in tale sede sarà utilizzabile contro di lui in dibattimento. È prevista un'eccezione che può essere ricompresa nell'art. 1 1 1 , comma 5 Cost. quale motivo di impossibilità oggettiva di ripetizione: se gli indizi di reità a carico di un nuovo indagato sono emersi dopo che l'incidente probatorio è divenuto non ripetibile (ad es. per morte del dichiarante) , le prove raccolte in quell'incidente possono essere utilizzate contro il nuovo indagato. Viceversa, se gli indizi erano emersi prima che la ripetizione dell'atto fosse diventata impossibile, le prove raccolte nell'incidente non sono utilizzabili contro il nuovo indagato (v. tav. 3 . 1 .22) . I limiti di efiìcacia nei confronti del danneggiato. In relazione all'incidente probatorio la persona offesa in quanto tale (anche se cumula la qualifica di " danneggiato" ) gode di un « diritto debolmente garantito » (89) . Infatti la persona offesa non ha il diritto di chiedere al giudice l'incidente, ma può soltanto sollecitare l'iniziativa del pubblico ministero (art. 394); non è messa in grado di partecipare al contraddittorio scritto sull'ammissibilità e sull'estensione dell'incidente (art. 3 96); il suo difensore deve essere avvisato dell'udienza soltanto se è già stato nominato in precedenza (art. 398, comma 3 ) ; l'analogo avviso dato personalmente all'offeso rischia di non essere apprezzato nel suo significato tecnico. (89)
A. MoLARJ, loc. ult. àt.
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Nessun diritto spetta al danneggiato dal reato in quanto tale (e cioè quando questi non cumuli la qualità di persona offesa) . Per i motivi esposti il codice si preoccupa di limitare l'efficacia del giudicato penale nei confronti sia del danneggiato dal reato, sia della persona offesa quando questa cumuli la qualità di danneggiato. Infatti, il danneggiato potrebbe non essere stato posto in grado di partecipare all'incidente probatorio sia in senso giuridico (perché non cumula la qualità di offeso) , sia di fatto (quando non gli sia stato dato avviso dell'udienza). In una situazione del genere, l'art. 404 pone un limite all'efficacia del giudicato derivante da una sentenza dibattimen tale di assoluzione con formula piena ( art. 652) : la sentenza pronunciata sulla base di una prova assunta con l'incidente probatorio non produce gli effetti del giudicato « salvo che il danneggiato ne abbia fatto accettazione anche tacita ». 9.
La Banca dati nazionale del DNA. a.
Considerazioni introduttive.
La legge 3 0 giugno 2009, n . 85 ha disposto la istituzione della Banca dati nazionale del DNA e del Laboratorio centrale per la Banca dati del DNA (90). L a Banca dati sarà collocata presso i l Ministero dell'interno, con sede nel Dipartimento della pubblica sicurezza ( 9 1 ) ; il Laboratorio centrale sarà collo cato presso il Ministero della giustizia, con sede nel Dipartimento dell'ammi nistrazione penitenziaria (92 ) . Si tratta di istituzioni che consentiranno di pervenire alla identificazione di persone per fini di giustizia: la loro utilità investigativa è basata su alcune acquisizioni scientifiche di importanza fonda mentale. Infatti, si è accertato che il DNA è immodificabile in qualsiasi individuo nonostante il passaggio del tempo; e inoltre, i marcatori, che sono impiegati per la tipizzazione del profilo genetico, possiedono una elevatissima capacità di differenziazione degli individui (93 ) . li raffronto che è compiuto attraverso l'accesso alla Banca dati nazionale è utile per vari motivi, tra i quali ricordiamo i più importanti: l ) si può individuare l'autore di un reato, al momento sconosciuto, mediante la comparazione tra il profilo genetico, che questi ha lasciato sul luogo del delitto o sulla vittima, ed i profili genetici archiviati nella Banca nazionale del DNA; 2 ) possono essere (90) In argomento, P. ToNINI, P. FELICIONI, A. ScARCELLA, Banca dati nazionale del DNA e prelievo di materiale biologico, in Dir. pen. proc., 2009, n. 1 1 , Speciali Banche dati. (91) n controllo sulla Banca dati nazionale del DNA è esercitato dal Garante per la protezione dei dati personali, nei modi previsti dalla legge e dai regolamenti. (92) n controllo sul Laboratorio centrale è esercitato dal Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita (CNBBSV). (93 ) Le definizioni dei termini utilizzati dalla legge sono contenute nell'art. 6 della legge n. 85 e sono state esposte in nota nella Parte II, cap. 4, § 5, lett. b.
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messi in relazione più fatti di reato al fine di accertare se sono stati commessi dalla medesima persona; 3 ) si può procedere alla identificazione di persone scomparse o ignote o delle quali sono disponibili resti cadaverici. In tutti i casi menzionati, l'esito del raffronto può essere l'acquisizione di un elemento di prova utile sia per affermare, sia per escludere la responsabilità di un imputato di un reato (94 ) . La progressione delle operazioni. Al fine di operare l a comparazione occorre seguire una progressione di operazioni. Prima di tutto, occorre acqui sire quel materiale biologico utile per la tipizzazione, che nella legge n. 85 è denominato " reperto" se è ricavato sul luogo del reato o su una cosa pertinente il reato, mentre assume il nome di " campione" se è prelevato da una persona. La seconda operazione consiste nella tipizzazione del profilo del DNA, attività che è compiuta sul materiale biologico da parte del Laboratorio centrale per la Banca dati del DNA o da parte dei laboratori delle forze di polizia o di altre istituzioni di elevata specializzazione. La terza operazione sta nella raccolta dei profili del DNA in forma digitale e nella loro conservazione da parte della Banca dati nazionale del DNA al fine di operare raffronti sia tra i profili archiviati, sia tra questi ultimi e quelli che sono presentati da organismi abilitati all'accesso (autorità giudiziaria, polizia giudiziaria, autorità di Stati esteri) . La istituzione della Banca dati nazionale del DNA è stata imposta dal Trattato di Priim, che per l'Italia entrerà in vigore dal novantesimo giorno successivo al deposito dello strumento di adesione (95 ) . La Banca dati nazionale consentirà agli Stati aderenti al Trattato di scambiare le informazioni in proprio possesso, tra le quali le più importanti sono quelle relative ai profili genetici (si veda Parte VII, cap. 3 , § 3, lett. b).
b.
I canali di approvvigionamento della Banca dati nazionale.
Quattro sono i principali canali di approvvigionamento della Banca dati nazionale del DNA (v. Tav. 3 . 1 .29): a) il profilo genetico tratto da persone ristrette nella libertà personale (in custodia cautelare o in esecuzione di pena o situazioni assimilate) per un delitto doloso o preterintenzionale per il quale è consentito l'arresto facoltativo in flagranza; b) il profilo genetico tratto dal materiale biologico prelevato da persone scomparse, da loro consanguinei o da (94) In base all'art. 12, comma 2 della legge, << l'accesso ai dati contenuti nella banca dati nazionale del DNA è consentito alla polizia giudiziaria e all'autorità giudiziaria esclusivamente per fini di identificazione personale, nonché per le finalità di collaborazione internazionale di polizia. L'accesso ai dati contenuti nel laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA è consentito ai medesimi soggetti e per le medesime finalità, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria >>. (95) Trattato concluso il 27 maggio 2005 tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d'Austria, relativo all'approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale.
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cadaveri non identificati; c) il profilo genetico tratto da reperti biologici acquisiti nel corso del procedimento penale sul luogo o su cose pertinenti al reato e dei quali è stato ordinato l'esame; d) il profilo genetico tratto da un reperto acquisito in un procedimento penale chiuso con sentenza irrevocabile e mai analizzato prima (96). l ) Profilo genetico tratto da persone ristrette nella libertà personale. La regolamentazione più dettagliata è quella che riguarda il prelievo da persone comunque ristrette nella libertà personale (in custodia cautelare o precautelare o in esecuzione di pena o in situazioni assimilate: arresti domiciliari o misure alternative alla detenzione) (97 ) . I soggetti appena menzionati sono sottoposti a prelievo coattivo di campioni di mucosa del cavo orale a cura del personale specificamente addestrato delle forze di polizia o di personale sanitario ausilia rio di polizia giudiziaria. È chiaro che, ad avviso del legislatore, la restrizione alla quale è sottoposto il detenuto giustifica quella limitazione della libertà personale e della riservatezza che è necessaria a consentire la repressione di altri reati attraverso l'alimentazione della Banca dati (98). La legge prevede ulteriori requisiti positivi e negativi perché si possa procedere al prelievo. In senso positivo, tale atto può essere effettuato esclusi vamente se « si procede » (o, riteniamo, se si è proceduto) nei confronti dei soggetti indagati, imputati o condannati per delitti, non colposi, per i quali è consentito almeno l'arresto facoltativo in flagranza (art. 9, comma l ) (99) . In senso negativo, la legge prevede un elenco di reati per i quali non è consentito il prelievo di cui sopra ( 100). Sotto il profilo procedurale, la legge dispone che le operazioni siano (96) È previsto anche un canale transitorio di approvvigionamento: i profili del DNA ricavati da reperti acquisiti nel corso del procedimento penale anteriormente alla data di entrata in vigore della legge ( 14 luglio 2009) devono essere trasferiti, previo nulla osta dell'autorità giudiziaria, alla Banca dati nazionale del DNA (art. 17, comma 1 ) . (97) Ai sensi dell'art. 9 legge n . 8 5 sono sottoposti a prelievo coattivo d i campioni biologici: a) i soggetti ai quali sia applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari; b) i soggetti arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di delitto; ma il prelievo è effettuato dopo la convalida da parte del giudice; c) i soggetti detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo; d) i soggetti nei confronti dei quali sia applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo; e) i soggetti ai quali sia applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva. (98) La Relazione al Disegno di legge precisa che la detenzione è la massima limitazione della libertà personale ed è disposta dal giudice; pertanto, il soggetto che si trova in tale situazione può legittimamente subire quella più blanda compressione della propria libertà che si concretizza nel prelievo di campioni di mucosa del cavo orale. (99) L'espressione deve intendersi anche nel senso che "si è proceduto" quando ormai la sentenza è diventata irrevocabile e mai prima si era prelevato il campione biologico. ( 1 00) Ai sensi del comma 2 dell'art. 9, il prelievo non può essere effettuato se si procede per i seguenti reati: a) reati di cui al libro II, titolo III, capo I, tranne quelli di cui agli articoli 368, 371-bis, 371-ter, 372, 374
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eseguite nel rispetto della dignità, del decoro e della riservatezza di chi vi è sottoposto; delle operazioni di prelievo è redatto verbale ( 1 0 1 ) . Il campione prelevato è immediatamente inviato, a cura del personale procedente, al Labo ratorio centrale, per la tipizzazione del relativo profilo e la successiva trasmis sione alla Banca dati nazionale del DNA ( 102) . Quello esposto è u n tipo di prelievo che definiamo "istituzionale" perché deve avvenire per legge ad opera del personale specializzato della polizia giudiziaria o penitenziaria. 2) Profilo genetico tratto da materiale biologico prelevato da persone scomparse. La banca dati nazionale provvede alla raccolta dei profili del DNA di persone scomparse o loro consanguinei ( 1 03 ), di cadaveri e resti cadaverici non identificati (art. 7 , comma l , lettera c, legge n. 85) . A seguito di identifi cazione di cadavere o di resti cadaverici, nonché del ritrovamento di persona scomparsa, è disposta d'ufficio la cancellazione dei profili del DNA appena menzionati (art. 1 3 , comma 2 , legge n. 85) . 3 ) Profilo genetico tratto da reperti biologici acquisiti in un procedimento penale in corso. Un ulteriore canale di afflusso è costituito dai profili genetici che provengono dal processo penale. Ai sensi dell'art 10, comma l , legge n. 85 , se, nel corso del procedimento, a cura dei laboratori delle forze di polizia o di altre istituzioni di elevata specializzazione, sono tipizzati profili del DNA da reperti biologici a mezzo di accertamento tecnico, consulenza tecnica o perizia, l'autorità giudiziaria procedente (e cioè, il giudice o il pubblico ministero) deve disporre la trasmissione degli stessi alla Banca dati nazionale del DNA, per la raccolta ed i confronti. Poiché la legge usa il termine " reperti" , sono ricompresi aggravato ai sensi dell'articolo 375 , 378 e 379, e capo II, tranne quello di cui all'articolo 390, del codice penale (delitti contro l'attività giudiziaria, con le esclusioni indicate); b) reati di cui al libro II, titolo VII, capo I, tranne quelli di cui all'articolo 453 , e capo II, del codice penale (delitti contro la fede pubblica, con le esclusioni indicate) ; c) reati di cui al libro II, titolo VIII, capo I, tranne quelli di cui all'articolo 499, e capo II, tranne quelli di cui all'articolo 5 13 -bzs, del codice penale (delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, con le esclusioni indicate); d) reati di cui al libro II, titolo XI, capo I, del codice penale (delitti contro la famiglia); e) reati di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (reati relativi al fallimento); /J reati previsti dal codice civile; g) reati in materia tributaria; h) reati previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. La ratio della esclusione potrebbe essere ravvisata nel fatto che i predetti reati non sono connotati da violenza o minaccia. ( 101) Quando tali atti sono stati compiuti in violazione delle disposizioni previste dall'articolo 9, si procede d'ufficio alla cancellazione del profilo del DNA e alla distruzione del relativo campione biologico. ( 102) La scelta di tenere distinti il luogo di raccolta dei campioni biologici e quello di conservazione dei profili genetici serve ad assicurare una maggior tutela dei dati personali. ( 103 ) Quando di una persona scomparsa non si conosce il DNA, il profilo genetico è tratto da quei parenti che consentano al prelievo del proprio campione biologico.
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nell'obbligo di trasmissione alla Banca dati nazionale del DNA soltanto i profili genetici tratti da luoghi o cose pertinenti al reato ( 1 04). 4 ) Profilo genetico tratto da reperti biologici acquisiti in un procedimento penale già concluso. Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, o in seguito all'emanazione del decreto di archiviazione, il pubblico ministero che svolge le sue funzioni davanti al giudice dell'esecuzione, può chiedere al medesimo giudice (art. 655 , comma l ) di ordinare la trasmissione dei reperti ad un laboratorio delle forze di polizia ovvero di altre istituzioni di elevata specializ zazione per la tipizzazione dei profili e la successiva trasmissione degli stessi alla banca dati nazionale del DNA (art 10, comma l , legge n. 85) . c.
I princìpi che regolano la Banca dati nazionale del DNA.
L'istituzione di una Banca dati chiama inevitabilmente in causa la tutela della riservatezza sia dal punto di vista della conservazione dei dati, sia dal punto di vista della acquisibilità degli stessi al processo penale ( 105) . Al fine di comprendere appieno il rapporto tra riservatezza e diritto alla prova nel processo, occorre evidenziare alcuni canoni posti a base di qualsivoglia disciplina. n diritto alla prova. In primo luogo nella disciplina in esame vige il principio fondamentale, secondo il quale non esiste una materia di per sé non indagabile sotto il profilo del diritto alla prova nel processo penale. Il principio risulta già da tempo attuato in varie disposizioni del codice, tra le quali merita richiamare l'art. 194 , comma 2 . La disposizione concerne le domande che possono essere rivolte alla persona offesa: le domande sono regolamentate, ma sono ammesse, quando sono pertinenti, e cioè si tratta di accertare la credibilità e l'attendibilità di un dichiarante. Se mai, la deposizione della persona offesa deve avvenire a porte chiuse ( 106) . Il diritto alla prova, che spetta all'accusa e alla difesa, non deve trovare ostacoli nel diritto alla riservatezza, almeno nel processo penale, ove si discute della libertà e dell'onore di una persona. Lo ha detto, con altre parole, anche la Corte cost. nella nota sentenza n. 238 del l 996, secondo la quale l'accertamento di un reato costituisce un « valore primario sul quale si fonda ogni ordinamento ispirato al principio di legalità ». Come avviene in qualsiasi bilanciamento tra ( 1 04 ) Si tratta di profili che giungono alla Banca dati senza indicazione nominativa, ma con la precisazione del procedimento penale dal quale provengono. In tale procedimento, il reperto può essere anonimo o può essere stato attribuito ad una persona (imputato o terzo) . (105 ) In proposito s i rinvia alle considerazioni d i C . CoNTI, L'attuazione della direttiva Frattini: un bilanciamento insoddis/acente tra riservatezza e diritto alla prova, in AA.Vv., Le nuove norme sulla sicurezza pubblica, a cura di S. LoRusso, Padova, 2008, 32. ( 106) Infatti, ai sensi dell'art. 472, comma 2 , << su richiesta dell'interessato, il giudice dispone che si proceda a porte chiuse all'assunzione di prove che possono causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni ovvero delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell'imputazione. Quando l'interessato è assente o estraneo al processo, il giudice provvede di ufficio >>.
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diritti, aventi rilievo costituzionale, la riservatezza deve essere tutelata succes sivamente alla raccolta del dato, mediante quelle misure di sicurezza che sono volte a proteggere le informazioni raccolte. Si tratta di misure che devono operare sia nel processo, sia nella Banca dati nazionale del DNA ( 107) . I prindpi fondamentali. L a disciplina della Banca dati nazionale si ispira ad alcuni princìpi fondamentali che costituiscono dei "fari " in questa materia. Si tratta dei princìpi di pertinenza, di tracciabilità, di riduzione del rischio di un uso scorretto, del minimo sacrificio della riservatezza, di proporzionalità e di non eccedenza rispetto al fine. l ) In base al principio della "pertinenza del dato" , l'archiviazione deve perseguire soltanto una finalità di identificazione personale; e infatti, ai sensi dell'art. 1 1 , co. 3 , « i sistemi di analisi sono applicati esclusivamente alle sequenze del DNA che non consentono la identificazione delle patologie da cui può essere affetto l'interessato » ( 108). 2) Il principio della "tracciabilità" è tutelato in relazione al trattamento e all'accesso ai dati; e infatti l'art. 12 co. 3 , dispone che « il trattamento e l'accesso ai dati ( . . . ) sono effettuati con modalità tali da assicurare la identificazione dell'operatore e la registrazione di ogni attività ». 3) Il principio della "riduzione del rischio di un uso scorretto" è perseguito assicurando l'anonimato iniziale tra il dato genetico e la identificazione del soggetto a cui è riferito (altri lo definiscono " separatezza" dei dati). Infatti, ai sensi dell'art. 12, comma l , « i profili del DNA e i relativi campioni non contengono le informazioni che consentono la identificazione diretta del sog getto, cui sono riferiti ». 4) Il principio del "minimo sacrificio della riservatezza" è assicurato me diante la cancellazione del profilo genetico in presenza di una sentenza defini tiva di assoluzione con formula ampiamente liberatoria, e cioè perché il /atto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato, o il /atto non è previsto dalla legge come reato (art. 1 3 , comma l , legge n. 85) . Si tratta di provvedimenti che chiudono in modo definitivo il processo penale; ( 107) il principio è affermato dalla Corte cost. con la sentenza n. 173 del 2009, secondo cui la riservatezza deve essere assicurata « da misure organizzative efficaci e presidiata da norme rigorose sulla tracciabilità dei percorsi dei materiali stessi e sulla individuazione dei soggetti istituzionalmente responsabili, anche a titolo di culpa in vigilando >>. In sostanza, la Consulta ha affermato che non si può disconoscere il diritto alla prova adducendo che le necessarie misure organizzative sono carenti. Al contrario, in una sequenza fisiologica, la riservatezza (alla quale la Corte riconosce rango di diritto fondamentale) si garantisce attraverso le misure organizzative, che appunto devono essere assicurate. Una volta che tale aspetto è stato disciplinato, non è ammissibile un sacrificio totale del diritto alla prova. La sentenza n. 173 , da un lato, ha chiarito il posto che spetta alla riservatezza nella gerarchia dei valori; da un altro lato, ha precisato in quale misura il diritto alla prova si bilancia con gli interessi contrapposti. ( 108) Invero, la Decisione del Consiglio dell'Unione Europea (2008/616/GAI) prevedeva una dispo· sizione più ampia e maggiormente garantista della riservatezza. La norma imponeva di tipizzare soltanto i profili non codificanti del DNA e cioè, i segmenti che non forniscono alcuna proprietà funzionale di un organismo.
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mentre tutte le differenti pronunce liberatorie lasciano aperta la possibilità che il processo prosegua in presenza di nuove prove o di esigenze investigative: si pensi al provvedimento di archiviazione o alla sentenza di non luogo a proce dere, pronunciata nell'udienza preliminare. 5 ) Il principio della "proporzionalità" tra il sacrificio della riservatezza e la gravità del delitto, limita l'inserimento istituzionale al profilo genetico prelevato da tutti coloro che sono stati ristretti nella libertà personale (in base a una condanna definitiva o ad un provvedimento cautelare) per i soli delitti dolosi o preterintenzionali che consentono l'arresto in flagranza. 6) Il principio della "non eccedenza dello strumento rispetto alfine perseguito" riguarda il momento in cui interviene la cancellazione. La disciplina tende a pro teggere l'ordinamento rispetto alla possibile recidiva del reo. Ed infatti, l'art. 1 3 , co. 4 , impone d i cancellare, al termine d i 4 0 anni « dall'ultima circostanza che ne ha determinato l'inserimento », quei profili genetici che sono conservati nella Banca dati nazionale, salvo il termin�più breve, che verrà previsto nel r�olamento _ di attuazione. Detto termine, secondo la Relazione governativa, rappresenta un lasso di tempo congruo per superare il periodo di plausibile recidiva ( 109) . I campioni biologici sono conservati dal Laboratorio centrale per venti anni « dall'ultima circostanza che ne ha determinato il prelievo » (art. 13 , comma 4, legge n. 85) , salvo il minor tempo stabilito nel regolamento di attuazione. Tale durata si rende indispensabile per consentire nuove analisi ogni qual volta si renda utilizzabile una innovazione scientifica che permetta una migliore tecnica di tipizzazione.
d.
I profili genetici che sono messi a confronto con quelli archiviati nella Banca dati nazionale.
Nel corso del procedimento penale le autorità inquirenti raccolgono cam pioni biologici o acquisiscono cose sulle quali si rinvengono reperti biologici; quindi danno incarico a laboratori pubblici o privati di tipizzare il relativo profilo genetico. Successivamente, le autorità inquirenti hanno accesso alla Banca dati nazionale per confrontare il singolo profilo acquisito con quelli archiviati, al fine di trovare una eventuale corrispondenza. (109) Ebbene, dei princìpi menzionati nel testo, nessuno è previsto espressamente per le Banche dati differenti da quella nazionale né per i laboratori pubblici e privati che svolgono analisi per conto dei pubblici ministeri e dei giudici. Evidentemente, il Parlamento ha voluto consentire agli inquirenti di intervenire con immediatezza nel raccogliere reperti e nel prelevare campioni al fine di operare i primi raffronti, quelli che sono indispensabili per assicurare la rapidità delle indagini. È noto che rapidità vuoi dire efficacia nella ricerca della prova e dei responsabili. Questa è la volontà del Parlamento, maggioranza e opposizione che hanno approvato la legge, e da ciò non possiamo prescindere, nell'interpretarla. Concordiamo con questa scelta a patto che, nelle Banche dati differenti da quella nazionale, siano adottate quelle misure di sicurezza minime che sono previste dalla legge sulla privacy e che lo stesso Garante ha citato e imposto in relazione al Ris di Parma il 25 maggio 2009 (in www.garanteprivacy.it).
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In caso positivo, diventa possibile procedere alla identificazione fisica della persona alla quale il profilo appartiene, anche se tale persona ha fornito differenti generalità nei vari procedimenti penali nei quali è interessata come imputato o terzo. Inoltre, è possibile accertare una identità personale dubbia o conoscere even tuali procedimenti nei quali la persona, dalla quale è stato tratto il profilo, sia stata coinvolta nei ruoli più vari (imputato, persona offesa dal reato o testimone) . Sulla base di quanto abbiamo avuto modo di esporre in precedenza, tre sono le situazioni nelle quali all'interno del procedimento penale è consentita la tipizzazione dei profili genetici che il giudice, il pubblico ministero e la polizia giudiziaria possono confrontare con quelli archiviati nella Banca dati nazionale (v. Tav. 3 . 1 .28). In primo luogo, i l profilo genetico può essere ottenuto con u n prelievo coattivo dall'indagato o da un terzo, ad opera del giudice o del pubblico ministero (rispettivamente, art. 224-bis e 359-bis) . Si tratta dei prelievi dei quali il codice precisa i requisiti, i divieti ed i limiti; questa materia è stata regola mentata dalla legge n. 85 nei dettagli ( 1 10) (v. supra, Parte II, cap. 4, § 5 , lett. b; Parte III, cap. l , § 6, lett. g). Purtroppo, il Parlamento è stato, in un certo senso, " ossessionato" dal dettare norme per il prelievo coattivo, al punto da non considerare assolutamente le altre possibilità di ottenere profili genetici. In secondo luogo, il profilo genetico può essere ottenuto con un prelievo di un campione su consenso ad opera del giudice, del pubblico ministero o della polizia giudiziaria (art. 224, 354, 359, 360). In questo caso, il prelievo può essere disposto in un procedimento per qualsiasi reato. La legge non pone espressi requisiti, né divieti, né limiti; inoltre, non prevede alcuna distruzione del campione biologico (v. supra, Parte III, cap. l , § 5 , lett. e). In terzo luogo, il profilo genetico può essere ottenuto dalla polizia giudi ziaria con un prelievo coattivo al fine della identificazione dell'indagato (art. 349, comma 2 -bis). Anche in questo caso, il prelievo può essere disposto in un procedimento per qualsiasi reato. La legge non pone espressi requisiti, né divieti, né limiti; inoltre, non prevede alcuna distruzione del campione biologico (v. supra, Parte III, cap. l , § 5, lett. d) . Nelle norme che regolano le tre situazioni, in presenza delle quali sono tipizzabili i profili genetici, nulla è previsto espressamente in relazione al luogo ed all'autorità che deve conservare i profili stessi. È verosimile pensare che essi restino nei fascicoli processuali nei quali sono stati inseriti e seguano la sorte dei medesimi fascicoli.
( 1 10) Il prelievo coattivo può essere disposto per un delitto doloso o preterintenzionale, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni; l'accertamento deve essere assolutamente indispensabile per la prova dei fatti; vi sono divieti e limiti (es. sono vietate le operazioni che possano mettere in pericolo la dignità, l'integrità fisica o la salute della persona interessata); vi sono sanzioni processuali specifiche; è regolamentata soltanto la distruzione del campione biologico (72-quarter disp. att.).
CAPITOLO II LA CONCLUSIONE DELLE INDAGINI PRELIMINARI
SoMMARIO: l . n termine per le indagini preliminari. - 2. L 'azione penale. - 3 . L'archiviazione.
l.
n termine per le indagini preliminari. a.
Considerazioni introduttive.
Come abbiamo già osservato, la finalità delle indagini preliminari è quella di permettere al pubblico ministero di assumere « le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale » (art. 326). In estrema sintesi, il pubblico ministero deve decidere se esercitare l'azione penale o chiedere l'archiviazione. In ciascuna delle due ipotesi l'atto del pubblico ministero è sottoposto al controllo del giudice. Sulla richiesta di rinvio a giudizio, formulata sulla base dell'imputazione, il controllo si svolge nell'udienza preliminare. Sulla richiesta di archiviazione il controllo si effettua, di regola, senza udienza. Le indagini preliminari hanno un termine di durata sia quando si procede contro ignoti, sia quando è stato identificato un indagato ( 1 ) . Nei due casi menzionati i termini possono essere prorogati dal giudice per le indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero. La proroga è consentita dal codice soltanto entro un termine massimo ed invalicabile che di regola consiste in diciotto mesi e, in casi eccezionali, può arrivare fino a due anni per i reati più gravi o per le indagini più complesse (art. 407 ) . L a nostra analisi avrà ad oggetto essenzialmente il regime dei termini nei procedimenti contro indagati noti. Infatti, in forza del rinvio, contenuto nell'art. 4 15 , comma 3 , tale regime si applica anche ai procedimenti contro indagati ignoti. La diversità consiste soltanto nella struttura del controllo effettuato dal giudice per le indagini preliminari.
b.
n termine nel procedimento contro un indagato.
Il termine per le indagini nei confronti di un indagato inizia a decorrere dal
v.
( l ) Sul riassetto in senso unitario del regime giuridico dei due tipi di indagine contro noti ed ignoti, Cass., sez. un., 28 marzo 2006, in Dir. giust., 2006, 20, 35.
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momento in cui il nome di questi è iscritto nel registro delle notizie di reato (art. 405, comma 2) (2). Il termine ordinario è di sei mesi; in via eccezionale il termine è di un anno se si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2 , lettera a, e cioè per delitti gravi o di criminalità organizzata. Entro il termine il pubblico ministero deve chiedere il rinvio a giudizio o l'archiviazione; se non è in grado di formulare una delle due richieste, il pubblico ministero deve chiedere la proroga al giudice per le indagini prelimi nari. Il codice contiene una minuziosa regolamentazione dei motivi che possono consentire le proroghe. La normativa è alquanto complessa e prevede l'invali dità degli atti che siano stati compiuti dopo la scadenza del termine: tali atti sono inutilizzabili se il pubblico ministero non ha esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione o la proroga al giudice (art. 407 , comma 3 ). Infine, l'inosservanza del termine obbliga il procuratore generale presso la corte d'appello ad avocare il procedimento. In tal caso un sostituto del procuratore generale svolge le indagini indispensabili e formula le sue richieste entro trenta giorni (artt. 4 1 2 , comma l e 4 1 3 ) (3 ) . Abbiamo anticipato che il termine per le indagini può essere prorogato una o più volte, prima di ciascuna scadenza, con ordinanza del giudice su richiesta del pubblico ministero. La prima proroga può essere motivata su di una generica « giusta causa » (art. 406, comma 1 ) . Successive proroghe possono essere richieste dal pubblico ministero « nei casi di particolare complessità delle indagini ovvero di oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine prorogato » (art. 406, comma 2 ) . Ciascuna proroga può essere autorizzata dal giudice per un tempo non superiore a sei mesi (art. 406 comma l -bis); ma se si procede per i reati di omicidio e lesioni colpose, ambedue derivanti da circolazione stradale, la proroga non può essere concessa per più di una volta (art. 406 comma 2-ter) . Il termine massimo per le indagini contro un indagato. Il codice pone alle indagini preliminari un termine massimo comprensivo delle proroghe. Il ter mine generico è di diciotto mesi; è previsto il termine di due anni nei seguenti casi (art. 407, comma 2 ) : a) se le indagini preliminari riguardano delitti gravi o di criminalità organizzata, indicati specificamente; b) se le investigazioni sono particolarmente complesse per il numero di reati collegati o di indagati o di persone offese; c) se le indagini richiedono il compimento di atti all'estero; d) se si tratta di procedimenti collegati. In tal senso, Cass., sez. un., 2 1 gennaio 200 1 , Tammaro, in Cass. pen., 200 1 , 400. Di fatto, si è instaurata una prassi " abrogatrice" in base alla quale il termine viene ampiamente superato, le indagini non sono svolte e la richiesta di archiviazione è presentata con ritardo senza che ciò comporti alcuna conseguenza. Resta da chiedersi quanto ciò sia compatibile con il principio di legalità, affermato dal nuovo art. 1 1 1 Cast.
(2) (3)
III.II . l .c c.
La conclusione delle indagini preliminari
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La proroga del termine per le indagini.
n codice regola il procedimento avente ad oggetto la proroga dei termini. Prima della scadenza del termine il pubblico ministero può chiederne la proroga al giudice per le indagini preliminari indicando le ragioni che giustificano il proseguimento delle indagini stesse (art. 406, comma 1 ) . n codice prevede u n procedimento di proroga di tipo ordinario e d uno speciale, avente ad oggetto le indagini per i delitti di criminalità organizzata mafiosa, per i delitti in materia di terrorismo e per quelli concernenti la violenza sessuale e la pedofilia (art. 406, comma 5 -bis). Nel procedimento speciale per criminalità mafìosa e reati assimilati non vi è alcun contraddittorio sulla richiesta del pubblico ministero ed il giudice decide sempre senza udienza (de plano, con ordinanza emessa entro dieci giorni dalla richiesta) anche quando, per ipotesi, non dovesse accogliere la richiesta di proroga (art. 406, comma 5-bis). Nel procedimento ordinario è necessario i n primo luogo instaurare il contraddit torio (v. tav. 3 .2.2). Il giudice per le indagini preliminari cura che la richiesta di proroga, formulata dal pubblico ministero, sia notificata all'indagato ed alla persona offesa che nella notizia di reato (o successivamente) abbia dichiarato di volerne essere informata (art. 406, comma 3 ). Costoro sono avvisati che possono presentare memorie (entro cinque giorni dalla notificazione) ; il giudice decide entro dieci giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie. La decisione del giudice è presa senza udienza (de plano) qualora egli allo stato degli atti ritenga di accogliere la richiesta di proroga (art. 406, comma 4); in caso contrario, egli fissa la data di una udienza e ne fa dare avviso al pubblico ministero, all'indagato ed all'offeso. Il procedimento si svolge in camera di consiglio e la decisione (che concede o nega la proroga) è presa con ordinanza non impugnabile (art. 406, comma 6). In ogni caso, se il giudice concede la proroga questa « può essere autorizzata per un tempo non superiore a sei mesi » (art. 406, comma 2-bis) . Se il giudice respinge la richiesta, il pubblico ministero deve formulare l'imputazione o chiedere l'archiviazione. Se il termine per le indagini preliminari è già scadutO' il giudice fissa un termine « non superiore a dieci giorni » per le determinazioni del pubblico ministero (art. 406, comma 7). Gli atti compiuti dopo il termine. Gli atti d i indagine compiuti dopo l a scadenza del termine sono di regola inutilizzabili (art. 407, comma 3 ) ; sono utilizzabili soltanto se la richiesta di proroga è stata presentata prima della scadenza ed il giudice ha (anche successivamente) concesso la proroga (art. 406, comma 8). L'eventuale inutilizzabilità opera non soltanto ai fini della decisione dibattimentale, ma anche nelle fasi anteriori al dibattimento. Pertanto gli atti di indagine compiuti oltre i termini non possono essere valutati dal giudice che provveda sulle richieste del pubblico ministero aventi ad oggetto, ad esempio, una misura cautelare (4) . (4) Ai sensi dell'art. 4 15-bir, l'indagato, a seguito della notificazione dell'avviso d i conclusione delle indagini preliminari, può chiedere al pubblico ministero il compimento di ulteriori atti di indagine. Ove
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Occorre ricordare che il termine massimo per le indagini preliminari (di regola diciotto mesi, eccezionalmente due anni) non può essere prorogato. Alla sua scadenza il pubblico ministero è costretto a presentare una richiesta di merito anche se non è convinto della fondatezza della stessa; e cioè deve chiedere o l'archiviazione o il rinvio a giudizio. Se non presenta una delle due richieste, i successivi atti di indagine sono inutilizzabili. Inoltre, poiché si tratta di una violazione riferibile all'obbligo di esercizio dell'azione penale, tale comportamento rientra in uno dei casi tipici di avocazione delle indagini (art. 4 12 comma l ) (5 ) .
d.
Il termine nel procedimento contro ignoti.
Come abbiamo anticipato, si tratta di una regolamentazione per la maggior parte identica a quella relativa al procedimento contro indagati noti. L'art. 4 15 , commi l e 2 detta disposizioni alquanto scarne, che in forza del rinvio alle norme sui termini per le indagini nei confronti di indagati noti, debbono essere integrate con queste ultime. Ciò è imposto dal comma 3 dell'art. 4 1 5 , introdotto dalla legge n. 479 del l 999, secondo cui « si osservano, in quanto applicabili, le altre disposizioni di cui al presente titolo ». n sistema può essere ricostruito nel modo seguente. Quando si procede contro ignoti, il termine per le indagini preliminari decorre dalla data di iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro. Entro il termine di sei mesi il pubblico ministero deve chiedere alternativamente l'archiviazione per ché è ignoto l'autore del reato, ovvero la proroga del termine per poter proseguire le indagini (art. 415, comma l ) (6). n termine ha la funzione di assicurare il rispetto dell'obbligatorietà dell'azione penale. La decisione del giudice sulla richiesta di proroga del termine perché « è ignoto l'autore del reato » è presa de plano, qualora il giudice ritenga di concedere
quest'ultimo vi proceda, è possibile il superamento del termine per le indagini. In tal caso, gli atti assunti sono comunque utilizzabili (art. 4 1 5 -bis, comma 5 ) . (5 ) Si è consolidato u n indirizzo giurisprudenziale secondo i l quale i l giudice per l e indagini preliminari non può controllare la correttezza della data di iscrizione del nome dell'indagato nel registro delle notizie di reato. In tal senso, Cass., sez. un., 2 1 giugno 2000-30 giugno 2000, n. 16, Tammaro, in C.E.D. , n. 2 16248: << L'omessa annotazione della notitia criminis nel registro previsto dall'art. 335 c.p.p., con l'indica zione del nome della persona raggiunta da indizi di colpevolezza e sottoposta ad indagini "contestualmente ovvero dal momento in cui esso risulta" , non determina l'inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti sino al momento dell'effettiva iscrizione nel registro, poiché, in tal caso, il termine di durata massima delle indagini preliminari, previsto dall'art. 407 c.p.p., al cui scadere consegue l'inutilizzabilità degli atti di indagine successivi, decorre per l'indagato dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto nel registro delle notizie di reato, e non dalla presunta data nella quale il pubblico ministero avrebbe dovuto iscriverla. L'apprezza mento della tempestività dell'iscrizione, il cui obbligo nasce solo ove a carico di una persona emerga l'esistenza di specifici elementi indizianti e non di meri sospetti, rientra nell'esclusiva valutazione discrezionale del pubblico ministero ed è sottratto, in ordine all'" an" e al " quando", al sindacato del giudice, ferma restando la configurabilità di ipotesi di responsabilità disciplinari o addirittura penali nei confronti del p.m. negli gente >>. (6) Cass., sez. V, 22 aprile-23 giugno 2005, n. 23699, in Sole-24 ore, 15 agosto 2005.
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proroga (art. 406, comma 4 ) . In caso contrario il giudice fissa la data di una udienza così come avviene nel procedimento contro un indagato noto. n controllo ha un oggetto limitato: il giudice deve verificare se per il fatto di reato non sia stato ancora individuato l'indagato onde evitare elusioni al precetto che impone l'immediata annotazione del nome dell'indagato stesso nel registro delle notizie di reato (art. 335, comma 1 ) . Decisioni sulla richiesta di proroga. li giudice può prendere tre diverse decisioni. Può non autorizzare la proroga ed in tal caso il pubblico ministero deve formulare richiesta di archiviazione se il responsabile resta ignoto; viceversa, deve esercitare l'azione penale se il reato è da attribuire a persona già indivi duata. Oppure il giudice può autorizzare con decreto motivato il pubblico mini stero a proseguire le indagini (art. 4 15 , comma 2 ) ; ai sensi dell'art. 406, comma 2 -bis, la proroga non può essere superiore a sei mesi (7) e, nel caso di nuove proroghe, le indagini non possono oltrepassare i termini massimi stabiliti dall'art. 407 (8). Infine, il giudice, se ritiene che il reato sia da attribuire ad una persona già individuata, ordina che il nome di questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato (art. 4 15 comma 2 ) ; ciò comporta che inizi automaticamente a decorrere un nuovo termine di sei mesi entro il quale il pubblico ministero deve formulare le richieste di archiviazione o di rinvio a giudizio, ovvero deve chiedere una ulteriore proroga (9) .
(7) L'applicabilità, anche nel procedimento contro ignoti, del termine massimo di sei mesi per ciascuna proroga deriva dal rinvio residuale contenuto nel comma 3 dell'art. 4 15, come modificato dalla legge n. 479 del 1999. Con tale legge, infatti, il legislatore << ha inteso operare un riassetto in senso unitario del regime giuridico dei due tipi di indagine >> al fine di contrastare, anche nel procedimento di cui all'art. 4 1 5 c.p.p., l'eventuale inerzia del pubblico ministero, e d a l fine d i evitare che l'istruzione dibattimentale s i svolga ad eccessiva distanza temporale dal fatto oggetto di imputazione. fu tal senso si è espressa Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 13040, in Guida dir., 2006, 20, 94, intervenuta a dirimere un contrasto emerso in giurisprudenza sull'applicabilità dell'art. 406, comma 2-bis, anche al procedimento contro ignoti. (8) << Deve ritenersi che anche nel caso di procedimento a carico di ignoti il pubblico ministero, qualora non presenti al giudice richiesta di archiviazione entro sei mesi dalla data di registrazione della notizia di reato, debba chiedere l'autorizzazione alla prosecuzione delle indagini e che il g.i.p. possa legittimamente negarla (nella specie per l'avvenuto raggiungimento, a seguito di precedenti proroghe, del termine di un anno e sei mesi) >>. Così Cass. , sez. VI, 12 dicembre 2002-14 gennaio 2003, n. 1295, PM c. ignoti, in Dir. pen. proc. , 2003, 43 1 , e in Cass. pen., 2003, 1486, secondo cui il comma 3 dell'art. 4 15 , introdotto dalla legge n. 479 del 1999, ha perseguito << un più penetrante controllo del giudice per le indagini preliminari anche per evitare possibili utilizzazioni non corrette dell'istituto da parte dell'inquirente, derivanti dalla iscrizione nel registro degli indagati non noti pur trattandosi di persone che ignote non sono, allo scopo di ottenere una maggiore libertà nelle indagini prorogandole oltre il consentito >>. (9) In presenza di una richiesta di proroga delle indagini, il giudice non può disporre l'archiviazione dovuta al fatto che << è ignoto l'autore del reato ». Se si ritenesse il contrario, sarebbe violato il principio della separazione delle funzioni: il giudice deciderebbe in assenza di una richiesta del pubblico ministero, contravvenendo all'art. 328.
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III.II.2.a
La non prorogabilità dei termini massimi.
Come abbiamo accennato, il termine massimo per le indagini preliminari (di regola diciotto mesi, eccezionalmente due anni) non può essere prorogato. Alla sua scadenza il pubblico ministero è costretto a presentare una richiesta di merito anche se non è convinto della fondatezza della stessa; e cioè deve chiedere o l'archiviazione o il rinvio a giudizio. Se non presenta una delle due richieste, i successivi atti di indagine sono inutilizzabili. Inoltre, poiché si tratta di una violazione grave riferibile all'obbligo di esercizio dell'azione penale, tale comportamento rientra in uno dei casi tipici di avocazione delle indagini (art. 4 12 comma 1 ) .
2.
L'azione penale. a.
La nozione di azÌone penale.
L'azione penale è stata definita nel capitolo sui soggetti come "la richiesta diretta al giudice di decidere sull'imputazione " . La nozione di azione penale è correlata a quella di processo penale. Con quest'ultima espressione, come abbiamo visto in precedenza, si fa riferimento a quella serie cronologicamente ordinata di atti che ha come atto iniziale l'azione penale e come atto finale la sentenza. Il codice precisa quali sono gli atti con i quali è esercitata l'azione penale. Ai sensi dell'art. 405 , comma l , il pubblico ministero esercita l'azione penale formulando l'imputazione. Nel procedimento ordinario l'imputazione è ricom presa nella richiesta di rinvio a giudizio (art. 4 17, comma l ) ; nei riti speciali è ricompresa nell'atto che instaura il singolo procedimento (vedi, ad es., il giudizio direttissimo, art. 45 1 , comma 4). L'imputazione. L'imputazione consiste nell'addebitare ad una determinata persona un fatto di reato. Elementi dell'imputazione sono: l ) l'enunciazione del fatto storico « in forma chiara e precisa »; 2) l'indicazione degli articoli di legge violati (il c.d. titolo del reato) ; 3 ) le generalità della persona alla quale è addebitato il reato ( art. 417, comma 1 ) . Il codice impone di precisare nell'im putazione anche le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza ( 10) . Effetti dell'azione penale. L'esercizio dell'azione penale determina due effetti. In primo luogo, pone al giudice l'obbligo di decidere su di un determi( lO) Ricordiamo che ai sensi dell'art. 4 16, comma l , la richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall'awiso di conclusione delle indagini (art. 4 15-bis) nonché dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio (art. 375, comma 3 ) , qualora l'indagato abbia chiesto tempestivamente di essere interrogato (Parte III, cap. l, § 6, lett. e).
III.II.2 .b
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nato fatto storico. In secondo luogo, fissa in modo tendenzialmente immutabile l'oggetto del processo, e cioè impone al giudice il divieto di decidere su di un fatto storico differente da quello precisato nell'imputazione (salve le eccezioni descritte negli artt. 423 e 5 16-52 1 ) ( 1 1 ) . Il codice non indica espressamente quale è l a misura degli elementi probatori che sono necessari per formulare l'imputazione. Tuttavia, tale criterio può essere ricavato a contrario dall'espressa indicazione del requisito che deve essere presente nell'opposta ipotesi, quando cioè viene chiesta l'archiviazione. L'art. 125 delle disposizioni di attuazione precisa che il pubblico ministero presenta richiesta di archiviazione allorché « gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio ». Da ciò si ricava che l'imputazione è formulata quando il pubblico ministero ha raccolto elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio; in altri termini, quando i risultati delle indagini sono in grado di permettere al pubblico ministero di dimostrare la fondatezza dell'accusa. Ne deriva che gli elementi di prova raccolti devono avere una notevole consistenza in quanto, se non contraddetti in dibattimento, devono rendere altamente probabile una sentenza di condanna ( 12 ) . L a responsabilità nel formulare l'imputazione. L a conclusione che ab biamo formulato si accorda con la struttura del procedimento penale. L'impu tazione non è formulata all'inizio delle indagini preliminari, bensì alla conclu sione delle stesse, nel momento in cui il pubblico ministero chiede il rinvio a giudizio. Non è sufficiente che quest'ultimo ritenga "possibile" la reità di una persona; occorre che egli ritenga probabile ottenere in giudizio una sentenza di condanna. La struttura del procedimento penale evidenzia l'importanza del ruolo che è demandato al pubblico ministero nel momento in cui formula l'imputazione. Poiché a lui spetta di sostenere l'accusa in giudizio, su di lui ricade per intero la responsabilità di un eventuale insuccesso se poi, nel dibattimento, si dimo strerà che non vi erano elementi idonei a sostenere l'accusa.
b.
L'obbligatorietà dell'azione penale.
L'azione penale, così come è configurata dal codice, ha quattro caratteri( 1 1 ) Non ha natura di "imputazione" l'addebito prowisorio che è formulato dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari; di esso si può indicare il seguente esempio. Ai sensi dell'art. 3 75 , comma 3, il pubblico ministero, nel formulare all'indagato l'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio, enuncia sommariamente il « fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute ». ( 12) La Corte costituzionale (sentenza n. 88 del 1 99 1 ) con riferimento all'art. 125 disp. att. ha ritenuto che << così come formulata, la norma è, in definitiva, la traduzione in chiave accusatoria del principio di non superfluità del processo, in quanto il dire che gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l'accusa equivale a dire che, sulla base di essi, l'accusa è insostenibile e che, quindi, la notizia di reato è, sul piano processuale, infondata ».
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stiche: è obbligatoria, è monopolio del pubblico ministero, è irretrattabile ed è procedibile d'ufficio. Ai sensi dell'art. 1 12 della Costituzione « il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale ». Ad essere rigorosi, l'art. 1 12 impone quello che in senso tecnico è denominato " dovere " ; infatti non è configurabile un diritto da contrapporre all'obbligo di cui stiamo trattando. Per quanto concerne il contenuto del dovere, occorre fare una precisazione. Il principio di obbligatorietà deve essere messo in relazione all'opinione dot trinale che, in tema di azione penale, era diffusa al tempo in cui venne elaborata la Costituzione ( 1 947 ) . Tradotto negli istituti che appartengono al codice vigente, il principio di obbligatorietà dell'azione penale assume un particolare significato: impone che il pubblico ministero valuti la fondatezza di ciascuna notizia di reato e che compia le indagini necessarie per decidere se occorre formulare l'imputazione ovvero chiedere l'archiviazione (art. 326). Il principio di obbligatorietà dell'azione penale non impone, ovviamente, che il pubblico ministero debba necessariamente "accusare" . L'obbligo istitu zionale del pubblico ministero è quello di controllare che la legge sia rispettata (art. 73 ord. giud. ) . Pertanto il pubblico ministero chiede l'archiviazione se gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio; se successi vamente ritiene che possano essere svolte nuove investigazioni, chiederà al giudice la riapertura delle indagini (art. 4 1 4 c.p.p.). Parimenti, nel corso del dibattimento il pubblico ministero non è vincolato a chiedere la condanna; può infatti chiedere il proscioglimento se tale è la conclusione da trarre dagli elementi di prova acquisiti. I princìpi di eguaglianza e di legalità. L'obbligatorietà dell'azione penale ha il fine di assicurare due princìpi fondamentali: il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) ed il principio di legalità (art. 25 , comma 2 Cost.). Sotto il primo profilo, se la persona offesa non ha possibilità economiche, ciò non deve impedire che il reato venga comunque perseguito. Sotto il secondo profilo, può essere soltanto la legge a determinare chi debba essere punito e chi debba andare esente da pena; ciò non deve dipendere da una scelta di opportunità politica compiuta da un soggetto, sia pure esso un magistrato del pubblico ministero. Il controllo sul mancato esercizio dell'azione penale. Dal principio di obbligatorietà si può ricavare il seguente corollario. Se l'azione penale è obbligatoria, è necessario che sia previsto uno strumento tecnico che renda effettivo l'adempimento di tale dovere. Lo strumento esiste; esso consiste in un controllo effettuato dal giudice: si tratta di un istituto che appartiene alla tradizione italiana remota (art. 179 c.p.p. 1 9 1 3 ) e che dal 1944 è stato reintro dotto nel vecchio codice (art. 6 d.lg.lgt. n. 288). In base al vigente art. 409, la scelta del pubblico ministero di non esercitare l'azione penale si traduce nella richiesta di archiviazione; essa è sottoposta al controllo del giudice per le indagini preliminari.
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545
Come esamineremo in prosieguo, si tratta di un controllo molto penetrante. Il giudice può indicare al pubblico ministero le indagini che egli reputi necessarie (art. 409, comma 4 ) ; può altresì ordinargli di formulare l'imputazione (art. 409, comma 5 ) ; non può, tuttavia, sostituirsi al pubblico ministero nel precisarne il contenuto perché lo vieta il principio di separazione tra le funzioni processuali. c.
n monopolio dell'azione penale.
Il monopolio dell'azione penale in capo al pubblico mm1stero non è imposto dalla Carta fondamentale. L'art. 1 12 Cast. configura in capo al pubblico ministero il dovere di esercitare l'azione penale; non prescrive che quest'ultima sia esercitata soltanto da un organo "pubblico" . Ciò si ricava dai lavori preparatori della Costituzione e, in particolare, dal fatto che è stato respinto un emendamento che tendeva a qualificare come "pubblica" l'azione penale. La Corte costituzionale ( sentenza n. 84 del 1979) ha affermato che la titolarità dell'azione penale può essere conferita anche a soggetti diversi dal pubblico ministero, in quanto è sufficiente che ciò non vanifichi il dovere di quest'ultimo di esercitarla. Ne deriva che è legittima una legge che preveda azioni penali private che siano sussidiarie o concorrenti rispetto a quella obbligatoriamente esercitata dal pubblico ministero. Il codice di procedura penale ha attribuito unicamente al pubblico mini stero il potere di esercitare l'azione penale (art. 405 ) ; tale potere non è stato conferito né alla persona offesa, né al danneggiato dal reato. Si tratta di una scelta compiuta dal legislatore ordinario. La deroga al monopolio. Tuttavia oggi il principio del monopolio può dirsi esistente soltanto per i reati rientranti nella competenza del giudice professio nale. Infatti, la riforma, che ha attribuito competenze penali al giudice di pace, ha infranto per la prima volta nel nostro sistt:ma processuale il predetto monopolio limitatamente ai reati procedibili a querela. La legge delega n. 468 del 1999 e il successivo decreto legislativo n. 27 4 del 28 agosto 2000 hanno attribuito alla persona offesa la facoltà di chiedere con ricorso diretto al giudice di pace la citazione a giudizio del responsabile del reato ( 1 3 ) .
d.
La procedibilità d'ufficio.
In base all'art. 50, comma 2 , « quando non è necessaria la querela, la richiesta, l'istanza o l'autorizzazione a procedere, l'azione penale è esercitata di ( 1 3 ) Sul punto, si veda ampiamente la trattazione svolta in/ra nel capitolo sul giudice di pace (parte IV, cap. 3, § 4 ) .
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ufficio ». Da ciò è ricavabile che, di regola, il pubblico ministero non è vincolato, nella sua azione, all'iniziativa di altri soggetti; è sufficiente che egli rilevi l'esistenza di un fatto storico che è previsto dalla legge come reato. Non occorre neanche che gli pervenga una denuncia: il pubblico ministero può direttamente prendere « notizia dei reati di propria iniziativa » (art. 330). Le eccezioni. Vi sono alcune eccezioni alla regola dell'iniziativa d'ufficio, appena menzionata. Si tratta delle ipotesi nelle quali è necessario che sia presente una condizione di procedibilità, e cioè la querela, l'istanza, la richiesta o, infine, l'autorizzazione a procedere. Poiché si tratta di eccezioni, è necessario che vi sia una norma di legge che, in relazione ad un determinato reato, preveda la singola condizione di procedibilità. Rinviamo alla trattazione che viene fatta nel capitolo sulle indagini preliminari (parte III, cap. l , § 3 ) . e.
L'irretrattabilità dell'azione penale.
Ai sensi dell'art. 50, comma 3 , « l'esercizio dell'azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge ». La disposizione enuncia il principio secondo cui, a seguito dell'iniziale esercizio dell'azione penale, nessuno può di regola interrompere il processo: la serie necessitata di atti deve seguire il suo corso fino alla sentenza irrevocabile senza che né il pubblico ministero, né il giudice possano interferire. Il codice pone alla regola una eccezione. Questa consiste nell'art. 7 1 : se « risulta che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento, il giudice dispone con ordinanza che questo sia sospeso ». Ogni sei mesi (o meno, quando ne ravvisi l'esigenza) il giudice fa svolgere accertamenti sullo stato di mente dell'imputato; la sospensione è revocata non appena risulti che quest'ultimo è in grado di partecipare coscien temente al procedimento (art. 72). Occorre precisare comunque che si può avere sospensione soltanto quando l'imputato rischia di essere condannato; viceversa, questa non è consentita quando nei confronti dell'imputato deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere (v. supra, parte II, cap. l, § 5, lett. e) ( 14). ( 14) L a legge 2 3 luglio 2008 n. 124 aveva introdotto una speciale causa di sospensione dei processi penali nei confronti delle << alte cariche dello Stato >> (Presidente della repubblica, salvo quanto previsto dall'articolo 90 della Costituzione in caso di alto tradimento o attentato alla Costituzione; Presidenti del senato e della camera dei deputati; Presidente del consiglio dei ministri, salvo quanto previsto dall'articolo 96 della Costituzione a proposito dei reati commessi nell'esercizio della funzione). La sospensione si applicava ai processi penali in corso << in ogni fase, stato o grado >> e concerneva anche << fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione >> (art. l, comma 1 ) . In base alla legge n. 124 del 2008 l'imputato poteva rinunciare in ogni momento alla sospensione (comma 2); la parte civile poteva trasferire l'azione risarcitoria in sede civile e, in tal caso, i termini a comparire erano ridotti della metà e il giudice doveva dare la precedenza al relativo processo (comma 6) ; il giudice penale poteva procedere alla assunzione di prove non rinviabili ai sensi degli artt. 392 e 467 c.p.p. (comma 3 ) ;
III .IIJ a .
3.
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L'archiviazione. a.
Considerazioni preliminari.
Quando il pubblico ministero ritiene che non vi siano elementi per eserci tare l'azione penale, formula una richiesta di archiviazione che è sottoposta al controllo del giudice per le indagini preliminari. Di regola, il controllo è effettuato de plano (e cioè senza udienza) , ma può diventare complesso e penetrante in due casi. E cioè quando il giudice non accoglie la richiesta di archiviazione o quando la persona offesa vi si oppone. L'istituto dell'archiviazione adempie a tre funzioni: l ) permette al pubblico ministero di operare una prima importantissima selezione dei procedimenti al fine di non appesantire il successivo filtro, rappresentato dall'udienza preliminare; 2) attua il controllo del giudice sul corretto adempimento dell'obbligo di esercitare l'azione penale da parte del pubblico ministero; 3 ) riconosce alla persona offesa dal reato il diritto di far controllare dal giudice in una udienza in camera di consiglio le ragioni di un'eventuale inerzia del pubblico ministero. L'archiviazione è pronunciata dal giudice per le indagini preliminari in presenza di presupposti di fatto o di diritto. Presupposti di fatto. È pronunciata in presenza di presupposti di fatto quando la notizia di reato è "infondata" (art. 408). In tal caso, il giudice effettua una pro gnosi sull'esito di un eventuale dibattimento, in quanto ritiene probabile la pronuncia di una sentenza di assoluzione perché il fatto di reato non sussiste, o l'imputato non lo ha commesso, o il fatto non costituisce reato, o il fatto non è punibile. Occorre sottolineare una differenza: la sentenza di assoluzione è pronunciata dopo che il giudice ha esaminato le prove escusse in dibattimento; viceversa, l'archiviazione è un provvedimento emesso allo stato degli atti, basato su di un giudizio prognostico sulla superfluità del processo, visti gli elementi raccolti dal pubblico ministero ( 15 ) . durante l a sospensione del processo era sospeso altresì il termine di prescrizione del reato (comma 4 ) ; era stata disposta la non reiterabilità della sospensione, salvo il caso di nuova nomina nel corso della medesima legislatura (comma 5). La Corte cost. con la sentenza n. 262 del 2009 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell' art. 1 della legge n. 124 per i seguenti motivi. La legge ha creato << prerogative di organi costituzionali >> che si sostanziano nella deroga al principio di eguaglianza in relazione alla sottoposizione alla giurisdizione. Tali prerogative avrebbero richiesto la << copertura costituzionale », in quanto quelle esistenti nel nostro ordinamento sono << sistematicamente regolate da norme di rango costituzionale ». Inoltre, è stato violato il principio di eguaglianza in quanto la protezione predisposta dal legislatore ordinario è offerta ai soli presidenti di determinati organi collegiali (le Camere e il Consiglio dei ministri) e non ai singoli componenti di questi ultimi. ( 1 5 ) In tal senso, Corte cost., n. 88 del 199 1 . In materia, si tenga presente Cass., sez. V, 22 ottobre 199 1 , Panicucci, in Cass. pen., 1992, 2 140: << il prowedimento di archiviazione, intervenendo prima dell'eser cizio dell'azione penale, non può contenere prowedimenti o accertamenti pregiudizievoli né per la persona
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Il codice prevede la regola probatoria che vincola il giudice nella sua decisione. Ai sensi dell'art. 125 delle disposizioni di attuazione « il pubblico ministero presenta al giudice la richiesta di archiviazione quando ritiene l'in fondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio ». Nell'effettuare detta valutazione, il giudice ed il pubblico ministero debbono altresì ritenere che anche le prove raccolte in un eventuale dibattimento non saranno idonee a portare nuovi elementi tali da mutare la situazione cristallizzata al termine delle indagini preliminari. Archiviazione e principio di completezza delle indagini. Invero, la regola di giudizio, sulla cui base l'archiviazione viene chiesta e disposta, appare piuttosto vaga. Essa può essere riempita di contenuto ove si abbia riguardo al principio generale della alternatività tra richiesta di archiviazione e richiesta di rinvio a giudizio. Come abbiamo accennato, l'art. 405 stabilisce che il pubblico mini stero quando non deve chiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale formu lando richiesta di rinvio a giudizio. Quest'ultima soluzione ha ricevuto l'avallo della Corte costituzionale nella sentenza 15 febbraio 1 99 1 , n. 88 ( 16) , i cui approdi esegetici hanno costituito una pietra miliare tuttora imprescindibile nella materia in oggetto. Il Giudice delle leggi ha fatto perno sul principio di « completezza » delle indagini preliminari, stabilito dal criterio direttivo n. 3 7 della legge-delega. Tale canone, da un lato, è finalizzato ad evitare il cd. esercizio "apparente" dell'azione penale, basato su indagini troppo superficiali, lacunose o monche, che si risolverebbe in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale; da un altro lato, vuole evitare che il pubblico ministero opti per l'archiviazione in un momento in cui l'inchiesta si trova ancora ad uno stadio iniziale. Ad avviso della Corte, la scelta di collocare l'archiviazione al termine di indagini preliminari tendenzialmente complete fa sì che l'infondatezza della notizia di reato consista in una valutazione approfondita sulla « superfluità del processo ». La Consulta ha altresì precisato un ulteriore punto fondamentale. La regola dettata dall'art. 125 disp. att. - in base al quale occorre stabilire se gli elementi raccolti nel corso delle indagini sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio - consiste in un vaglio circa l'attitudine degli elementi acquisiti a giustificare la celebrazione di un dibattimento ( 17 ) . Così come formulata, la sottoposta alle indagini, né per i terzi. f. da qualificare abnorme, pertanto, il decreto di archiviazione con il quale venga dichiarata la falsità di atti o documenti >>. ( 1 6) In Cass. pen., 1992, 249. ( 17 ) Non occorre chiedersi se gli elementi raccolti siano idonei a determinare la condanna dell'im putato; la domanda da porsi è se, alla luce delle indagini svolte, un dibattimento appaia necessario ed utile oppure si configuri già a priori come superfluo perché non potrebbe fornire risultati ulteriori rispetto a quanto raccolto nel corso delle indagini (si pensi all'esempio di scuola in cui l'unico testimone oculare sia deceduto prima ancora di essere sentito dagli inquirenti).
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norma è, a parere della Corte, « la traduzione in chiave accusatoria del principio di non superfluità del processo, in quanto il dire che gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l'accusa equivale al dire che, sulla base di essi, l'accusa è insostenibile e che, quindi, la notizia di reato è, sul piano processuale, infondata ». Presupposti di diritto. L'archiviazione può essere pronunciata anche in base a presupposti di diritto secondo quanto disposto dall'art. 4 1 1 . Più speci ficamente vi può essere archiviazione quando: a) manca una condizione di procedibilità (ad esempio, la querela) ; b) il reato è estinto (ad esempio, per prescrizione); c) il fatto non è previsto dalla legge come reato (ad esempio, si tratta di un illecito amministrativo depenalizzato) ( 18). Infine, è disposta l'archiviazione quando sono rimasti ignoti gli autori del reato; si tratta di un tema che esamineremo separatamente. La richiesta coatta di archiviazione: la recente declaratoria di illegittimità costituzionale. La legge n. 46 del 2 006 aveva introdotto un inedito vincolo legale che imponeva al pubblico ministero di formulare richiesta di archivia zione quando la corte di cassazione si era « pronunciata in ordine alla insussi stenza dei gravi indizi di colpevolezza » ( art. 273 ) e non erano stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico dell'indagato (art. 405 , comma 1 -bù) . Il vincolo tendeva, nell'intenzione del legislatore, a correggere casi anomali nei quali l'indagato veniva sottoposto inutilmente al processo. In tale ottica, il presupposto consisteva nel fatto che, in seguito al vaglio della cassa zione, risultava assodato che non esistevano i gravi indizi sui quali era basata la misura cautelare. Il pubblico ministero, che non avesse acquisito ulteriori elementi a carico, avrebbe dovuto chiedere l'archiviazione. Tuttavia, se il magistrato inquirente non avesse adempiuto a tale obbligo, il sistema non forniva rimedi, salvo un eventuale provvedimento disciplinare. In ogni caso, il giudice conservava il potere di valutare la richiesta di archiviazione in base agli ordinari criteri contenuti nel codice (art. 409). Il Giudice delle leggi, con sentenza 24 aprile 2009, n. 12 1 , ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 405, comma 1 -bù, per i seguenti motivi. A prescindere dal giudizio sull'obiettivo perseguito dal legislatore (evitare che il pubblico ministero eserciti caparbiamente l'azione penale), tale fine è stato « comunque perseguito con strumenti lesivi » dei princìpi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di obbligatorietà dell'azione penale (art. 1 12 Cost. ) . ·
( 18) Cass., sez. I , 2 7 novembre 1 99 1 , Puri, i n Foro it., Rep., 1992, voce Indagini preliminari, 5 1 : << l'espressione "manifesta infondatezza della notizia d i reato", che (nella legge delega) costituisce il presup posto della richiesta di archiviazione, deve essere intesa in senso ampio, comprensiva non solo del caso tipico della insussistenza del fatto, della mancanza di una condizione di procedibilità, di estinzione del reato, espressamente previsti dall'art. 4 1 1 c.p.p., ma anche dei casi di non punibilità soggettiva >>. 18
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Vi è stata lesione dell'eguaglianza perché si sono trattate in modo identico situazioni diverse. C'è una sostanziale diversità tra la regola di giudizio sulla cui base si esercita l'azione penale (idoneità degli elementi raccolti a sostenere l'accusa in dibattimento) e la regola di giudizio sulla cui base il pubblico ministero chiede le misure cautelari (gravi indizi ex art. 273 ) . Il primo è un giudizio dinamico, che si compie al termine delle indagini ed è tutto proteso a valutare l'utilità del futuro dibattimento allo scopo di evitare il processo superfluo; la valutazione sui gravi indizi, viceversa, è un giudizio statico alla luce dell'attività di indagine che è stata svolta fino a quel momento e che deve avere un peso tale da indurre ad una prognosi di reità allo stato degli atti ( 19). Inoltre, l a disciplina è apparsa inaccettabile alla Corte costituzionale anche avuto riguardo al tipo di giudizio che la cassazione svolge in materia cautelare. Il giudice di legittimità, infatti, valuta soltanto la correttezza della motivazione del provvedimento cautelare e non può scendere nel merito. Pertanto, difficil mente la cassazione si pronuncia direttamente sulla gravità indiziaria, se del caso dichiarando inutilizzabili alcuni elementi posti a base della misura. Una deci sione del genere avrebbe costretto il pubblico ministero a presentare richiesta di archiviazione nel momento stesso in cui poteva apparire non idonea a preclu dere l'esercizio dell'azione penale. Anche da ciò è derivata la incostituzionalità dell'art. 405, comma l -bis, perché era inaccettabile che fosse ostacolato il dovere del pubblico ministero di esercitare l'azione penale (art. 1 12 Cost.).
b.
La richiesta di archiviazione nei confronti di un indagato.
Con la richiesta di archiviazione, il pubblico ministero trasmette al giudice per le indagini preliminari il fascicolo delle indagini contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle investigazioni espletate ed i verbali degli atti compiuti davanti al giudice (art. 408, comma 1 ) . Il pubblico ministero che chiede l'archiviazione h a l'onere di instaurare un contraddittorio scritto con la persona offesa, che abbia dichiarato in precedenza di voler essere informata circa l'eventuale archiviazione (art. 408, comma 2) (v. tav. 3 .2.3 ) (20) . La persona offesa riceve l'avviso che è stata presentata richiesta ( 19) Occorre tenere conto che, quando chiede la misura cautelare, il pubblico ministero ha un potere di selezione degli elementi sui quali la richiesta si fonda. Viceversa, la richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio si basa necessariamente sull'intero fascicolo delle indagini svolte. Pertanto, può accadere che anche il materiale probatorio che sorregge il giudizio cautelare e quello sull'archiviazione sia differente. Infine, il criterio valido per il pubblico ministero nel momento in cui deve chiedere l'archiviazione (art. 405, comma l -bis) non è identico a quello imposto al giudice quando è chiamato a decidere sulla relativa domanda; quest'ultimo criterio, come si è accennato, resta quello ordinario (art. 409). (20) Cass. , sez. un., 30 giugno 2004, Apruzzese, n. 29477 , in Giur. it. , 2005, 577: << la dichiarazione della persona offesa di voler essere informata circa l'eventuale archiviazione, come previsto dall'art. 408, comma 2, c.p.p., può essere anche successiva alla comunicazione della notizia di reato ma, per comportare l'obbligo, da parte del pubblico ministero, di far notificare l'avviso della richiesta di archiviazione, deve
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di archiviazione e viene altresì informata che nel termine di dieci giorni può prendere visione degli atti depositati e può presentare opposizione motivata, chiedendo la prosecuzione delle indagini (art. 408, comma 3 ) . L'opposizione deve essere presentata presso la segreteria del pubblico ministero (v. atto 3 .2.4); può essere presentata anche dalla persona offesa che non ha chiesto di essere avvisata (2 1 ) . S e l'offeso non presenta opposizione, il giudice per le indagini preliminari effettua un controllo de plano, e cioè senza udienza. Se accoglie la richiesta presentata dal pubblico ministero, il giudice emette decreto di archiviazione (art. 409, comma l ) (22) ; se non la accoglie, fissa la data di una udienza in camera di consiglio, alla quale possono partecipare (con diritto ad essere preavvisati) il pubblico ministero, la persona offesa, l'indagato (art. 409, comma 2) e il suo difensore (23 ) . L a medesima udienza h a luogo quando l'offeso presenta opposizione am missibile, e cioè contenente l'indicazione dell'oggetto delle ulteriori indagini ri chieste « e i relativi elementi di prova » (art. 4 10, comma l) (24 ) . Se l'opposizione è inammissibile (25 ) , il giudice dopo averne dichiarato l'invalidità si limita ad operare un controllo de plano che potrà dare gli esiti sopra menzionati (26) .
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necessariamente precedere la formulazione di tale richiesta, fermo restando che, qualora la persona offesa ne sia venuta comunque a conoscenza, essa ha pur sempre il diritto, finché non sia intervenuta la pronuncia del giudice, di proporre opposizione ai sensi dell'art. 4 1 0 c.p.p. >>. (2 1 ) Occorre tenere presente che il difensore della persona offesa, una volta regolarmente nominato nelle forme previste dall'art. 96, comma 2, può esercitare, per conto e nell'interesse dell'offeso, sia il diritto di opporsi all'archiviazione sia quello di ricorrere per cassazione (ove iscritto in apposito albo), non essendovi alcuna norma che prescriva il rilascio di una ulteriore procura speciale ad hoc per l'esercizio di uno di questi diritti (Cass., sez. un., 20 settembre - 20 dicembre 2007, n. 47473, Lo Mauro). (22) Ai sensi dell'art. 409, comma l, come modifìcato dalla legge n. 479 del 1999, << il provvedimento che dispone l'archiviazione è notifìcato alla persona sottoposta alle indagini se nel corso del procedimento è stata applicata nei suoi confronti la misura della custodia cautelare >>. (23) In tal senso si è espressa la sentenza della Corte co.st. n. 4 1 8 del 1993. (24) << Con riferimento all'indicazione dell'investigazione suppletiva, al giudice compete di valutare solo la specificità della richiesta, quanto all'indicazione del tema e della fonte di prova, ma non anche la rilevanza delle indagini richieste, onde non può motivarsi la declaratoria di inammissibilità dell'opposizione in ragione dell'inutilità di tali mezzi di prova, giacché in tal caso deve procedersi con il rito camerale >>; così, Cass., sez. VI, 27 aprile-17 maggio 2010, n. 1 8657, Lucco in proc. Arcuri, in Guida dir., 2010, n. 24. (25) Si discute sull'effettiva natura del termine per la presentazione dell'opposizione. Un primo orientamento ne sostiene la natura non perentoria, saldamente ancorandosi al principio di tassatività: i termini processuali sono previsti a pena di decadenza solo nei casi indicati dalla legge (art. 173 c.p.p.). Il termine avrebbe quindi natura dilatoria unicamente per il pubblico ministero (che, prin1a della sua perenzione non può trasmettere gli atti al g.i.p., art. 126 disp. att.) e natura "acceleratoria" per la persona offesa, la quale ha l'onere di rispettarlo se vuole ottenere l'instaurazione del contraddittorio. Diversamente, essa si preclude rebbe tale possibilità, ma solo ove il g.i.p. avesse già archiviato (sul punto, di recente, Cass., sez. II, 16 marzo 2006, n. 15888, P.o. in proc. Rao, in Guida dir., 2006, 28, 89). Un altro orientamento, invece, sostiene che la presentazione tardiva dell'opposizione ne determini l'inammissibilità (Cass., sez. VI, 18 settembre 2003 , n. 38944, P.o. in proc. Marchetti ed altri, CED 228329; Cass., sez. III, 23 marzo 2000, n. 1574, De Gennaro, CED 2 1 7 1 3 1 ) . (26) I l decreto che dichiara inammissibile erroneamente l'opposizione dell'offeso può essere soggetto
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Nei casi nei quali viene disposta l'udienza in camera di consiglio (e cioè se la persona offesa si oppone o il giudice non accoglie de plano la richiesta di archiviazione) viene attivato un ulteriore controllo di tipo "gerarchico" operato dal procuratore generale presso la corte d'appello. Questi riceve comunicazione apposita dell'udienza e può avocare il procedimento (artt. 409, comma 3 e 4 12 , comma 2 ) . Udienza in camera di consiglio. Nell'udienza, che s i svolge i n camera di consiglio, e cioè senza pubblico, ma con la possibilità di partecipazione per il pubblico ministero ed i difensori (art. 409, comma 2, che rinvia all'art. 127 ) , il giudice per le indagini preliminari ha ampi poteri di controllo. Oggetto di valutazione è sia la richiesta di archiviazione, sia l'eventuale opposizione dell'offeso. I difensori hanno facoltà di prendere visione e di estrarre copia della documentazione degli atti di indagine depositati in cancelleria (art. 409, comma 2 mod. dalla legge n. 3 97 del 2000) . Nell'udienza il giudice può scegliere fra più provvedimenti. Egli può indicare al pubblico ministero le ulteriori indagini che ritiene necessarie (art. 409, comma 4 ) . Inoltre il giudice può ordinare che il pubblico ministero formuli l'imputazione (art. 409, comma 5 ) . Infine, può disporre l'archiviazione. l ) Archiviazione. L'ordinanza di archiviazione è basata sui medesimi pre supposti in fatto e in diritto che abbiamo già ricordato (artt. 408, 4 1 1 c.p.p . ; 125 disp. att.) (27 ) . L'ordinanza di archiviazione è ricorribile per cassazione soltanto nei casi di nullità previsti dall'art. 127 comma 5, e cioè in caso di omissione degli avvisi alle parti, oppure di omessa audizione degli interessati. A tali ipotesi la Corte cost. ha aggiunto in via interpretativa il caso in cui la persona offesa non abbia ricevuto avviso della richiesta di archiviazione (C. Cost., n. 353 del 199 1 ) . 2 ) L e ulteriori indagini. Quando il giudice ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al pubblico ministero fissando il termine indispensabile per il compimento delle stesse (art. 409, comma 4 ) . n pubblico ministero è vincolato al compimento delle indagini (denominate " coatte" ) , ma gode di un potere discrezionale nello stabilire le concrete modalità di svolgi mento delle stesse. Compiute le indagini, egli può valutare diversamente i risultati e formulare l'imputazione; ma può anche optare nuovamente per la richiesta di archiviazione e depositare i verbali delle indagini svolte (28). a ricorso per cassazione a d opera d i quest'ultimo a i sensi degli artt. 409 comma 6 e 1 2 7 c.p.p. Così, Cass., sez. un., 14 febbraio 1996, n. 2, Vitalone, in Dir. pen. proc. , 1996, 440. (27) La persona offesa è legittimata a ricorrere per cassazione contro l'ordinanza di archiviazione pronunciata a seguito di udienza in camera di consiglio, della cui fissazione non le sia stato dato awiso; così, Corte cost., n. 353 del 1 99 1 . (28) Cass., sez. un., 3 1 maggio - 17 giugno 2005, P.m. i n c . Minervini, i n Riv. it. dir. proc. pen . , 2005, 787 e in Dir. pen. proc., 2005, 972: la sentenza afferma che è abnorme l'ordinanza con cui il giudice, che all'esito dell'udienza ritenga necessarie ulteriori indagini, oltre a fissare un termine per il compimento delle stesse, fissi anche la data dell'udienza per la valutazione in contraddittorio delle relative risultanze, in quanto tale
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L'iscrizione coatta nel registro degli indagati. La giurisprudenza ha introdotto nel sistema un ulteriore potere decisorio del giudice. All'esito dell'udienza camerale, il giudice può ordinare che nel registro delle notizie di reato siano iscritti i nominativi di ulteriori soggetti mai prima indagati e per i quali il pubblico ministero non abbia formulato alcuna richiesta; nei loro confronti il giudice può disporre che la pubblica accusa compia « ulteriori indagini » (29). 3) L'imputazione coatta. li massimo grado di controllo si ha quando, a seguito dell'udienza in camera di consiglio, il giudice dispone con ordinanza che « il pubblico ministero formuli l'imputazione » entro dieci giorni (art. 409, comma 5); si tratta della c.d. imputazione coatta (30). Ovviamente il giudice decide in tal senso sulla base di una valutazione degli atti che dà risultati diversi da quella proposta dal pubblico ministero. In caso di imputazione coatta il potere del giudice incontra un limite dovuto al principio della separazione delle funzioni; il giudice non può imporre al pubblico ministero di chiedere il rinvio a giudizio, né di formulare una determinata imputazione. Il pubblico ministero deve scegliere l'imputazione che ritiene conforme alla legge, anche se è vinco lato a formularne comunque una; e deve farlo entro dieci giorni. L'udienza preliminare senza richiesta di rinvio a giudizio. Entro due giorni dalla formulazione dell'imputazione coatta il giudice deve fissare con decreto la data dell'udienza preliminare. Si tratta di una forma particolare di udienza preliminare, che in questo caso non è preceduta da una richiesta di rinvio a giudizio (art. 128 disp. att.) (3 1 ) . In tale sede un diverso giudice controllerà la prowedimento crea un illegittimo vincolo alle valutazioni della pubblica accusa circa l'idoneità degli elementi raccolti a sostenere l'accusa in giudizio. Prendendo spunto dalle considerazioni svolte nella sentenza citata, Cass., sez. un., 27 maggio 2010, n. 23909, P.o. in proc. S.L. e T.V., ha preso in esame l'ulteriore situazione nella quale, dopo l'espletamento delle indagini ordinate dal giudice a seguito di opposizione della persona offesa, il pubblico ministero reitera la richiesta di archiviazione. A questo punto, la persona offesa (che .deve essere avvisata della richiesta) può presentare una nuova opposizione; ma se l'opposizione stessa si rivela inammissibile in base ai parametri indicati dall'art. 4 10, comma l , il giudice, che ritenga infondata la notizia di reato, deve procedere all'archiviazione con decreto, senza attivare alcun contraddittorio. Secondo le Sezioni unite, l'ordine del giudice di svolgere ulteriori indagini a seguito della richiesta di archiviazione riattiva la normale procedura disegnata per la fase conclusiva delle indagini. La pubblica accusa deve valutare gli elementi raccolti (dopo l'udienza camerale, nel termine indicato) e, se li ritiene inidonei a sostenere l'accusa in giudizio, deve chiedere l'archiviazione. In caso di presentazione di una (ulteriore) opposizione della persona offesa, il giudice deve (nuovamente) valutare la sua ammissibilità e la fondatezza della notizia di reato (alla luce delle nuove risultanze investigative). E deve archiviare con decreto motivato se l'opposizione è inammissibile e gli elementi raccolti non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio (in base a quanto previsto dall'art. 4 1 0, comma 2). (29) Cass., sez. un., 31 maggio- 1 7 giugno 2005 , P.M. in c. Minervini, cit. (30) L'imputazione coatta può essere disposta anche senza che sia necessario svolgere ulteriori indagini; ciò può awenire altresì quando la richiesta di archiviazione sia fondata su motivi di rito (es. prescrizione) e vi sia dissenso tra il pubblico ministero ed il giudice. (3 1 ) n pubblico ministero, infatti, non è obbligato a chiedere il rinvio a giudizio. In dottrina è stato osservato che << se si può vincolare il pubblico ministero a compiere quell'atto di intelligenza che consiste
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fondatezza dell'accusa e potrà, s e del caso, ordinare ulteriori indagini (art. 42 1 -bis) o assumere prove (art. 422) (32) . Con la normativa sulla "imputazione coatta" il codice h a contemperato due princìpi, che potrebbero venire in collisione tra di loro: il principio dell'obbli gatorietà dell'azione penale e quello della separazione tra le funzioni di accusa e di giudizio. n controllo svolto dal giudice per le indagini preliminari è reso più incisivo quando vi è stata una iniziativa dell'offeso. Tale iniziativa, a sua volta, fa scattare un controllo incrociato che si sviluppa in via gerarchica in quanto il procuratore generale ha il potere di disporre l'avocazione delle indagini. Vi è infine il vaglio operato dall'opinione pubblica, che può essere attivato dalla stampa o dagli altri mezzi di diffusione. c.
La richiesta di archiviazione perché il reato è stato commesso da persone ignote.
La richiesta di archiviazione perché è ignoto l'autore del reato è sottoposta ad un controllo molto simile a quello che abbiamo appena illustrato: la richiesta è regolata dalle medesime norme che disciplinano l'archiviazione contro gli indagati (3 3 ) . n pubblico ministero deve avvisare della richiesta di archiviazione contro ignoti (art. 415) la persona offesa che ne abbia fatto istanza, informandola del suo diritto di presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini (art. 408) (34). Se l'offeso non si oppone, il giudice per le indagini preliminari può accogliere la richiesta de plano; viceversa, se l'offeso si oppone o comunque il giudice non accoglie la richiesta, deve svolgersi una udienza in camera di consiglio (art. 409, comma 2). n giudice fa dare avviso della data dell'udienza al nel formulare un'imputazione, non si può costringerlo ad un atto di volontà come richiedere il rinvio a giudizio >>; così P. FERRUA, Il ruolo del giudice nel controllo delle indagini e nell'udienza preliminare, in Difesa pen . , 1989, 65. Con ordinanza 1 9 novembre 2002, n. 460, in Guida dir. , 2002, 48, 67, la Corte costituzionale ha affermato che, in caso di imputazione coatta, il pubblico ministero non è tenuto ad inviare all'indagato l'avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell'art. 4 1 5 -bis. Per un verso, un simile dovere non è ricavabile dal diritto positivo. Per un altro verso, nell'ipotesi in oggetto il contraddittorio sulla eventuale incompletezza delle indagini trova necessariamente attuazione nella udienza in camera di consiglio disposta dal giudice per decidere sulla richiesta di archiviazione. (32) La Corte costituzionale (sentenza n. 124 del 1992) aveva ritenuto che non si configurasse un'incompatibilità ex art. 34 tra il giudice che aveva disposto l'imputazione coatta e il giudice dell'udienza preliminare. Attualmente, invece, ai sensi dell'art. 34, comma 2-bis, sussiste l'incompatibilità nel medesimo procedimento tra il giudice per le indagini preliminari ed il giudice dell'udienza preliminare. (33) La soluzione prospettata nel testo si desume dal rinvio contenuto nell'art. 4 15 , comma 3 (introdotto dalla legge n. 479 del 1999). (34) Peraltro, ad una conclusione identica, prima che la legge n. 479 del 1999 introducesse nell'art. 4 15 il rinvio alle disposizioni relative al procedimento contro gli indagati, era pervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 409 del 1990.
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pubblico ministero e all'offeso (35) ; l'udienza si svolge nelle forme del proce dimento in camera di consiglio ( art. 127) . Decisioni. A seguito dell'udienza il giudice per l e indagini preliminari può prendere tre diverse decisioni. In primo luogo, può accogliere la richiesta del pubblico ministero e disporre l'archiviazione con ordinanza. In secondo luogo, se ritiene che il reato sia da attribuire a persona già individuata, ordina che il nome di questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato (art. 415, comma 2) (3 6) . Infine, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al pubblico ministero fissando il termine indispensabile per il compimento delle stesse (37). È evidente come, anche nel procedimento contro ignoti, il controllo del giudice sia strutturato in modo da poter essere, se il caso lo richiede, effettivo e penetrante (38).
d.
La riapertura delle indagini a seguito dell'archiviazione.
Quando il procedimento contro un indagato è stato archiviato, il pubblico ministero può compiere nuove indagini soltanto dopo essere stato autorizzato con decreto motivato del giudice per le indagini preliminari (art. 414, comma 1 ) . L a richiesta del pubblico ministero è basata sulla « esigenza di nuove investi gazioni ». Ottenuta l'autorizzazione, il pubblico ministero procede ad una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato (art. 414, comma 2 ) ; da tale momento decorrono nuovamente i termini ordinari (v. tav. 3 .2 . 1 ) . L a riapertura delle indagini è un " atto dovuto" in favore del pubblico ministero. Per ottenere l'autorizzazione non è necessario che siano presenti nuovi elementi, bensì è sufficiente che il pubblico ministero prospetti al giudice (35) Deve essere dato avviso anche al difensore dell'offeso; così Corte cost. n. 4 1 8 del 1993. Secondo una successiva ordinanza della Corte costituzionale, il giudice per le indagini preliminari che ritenga che le indagini siano soltanto formalmente contro ignoti, può, a fronte di una richiesta di archiviazione opposta dalla persona offesa, fissare l'udienza ex art. 409, comma 2, e, prima. dell'udienza stessa, invitare il pubblico ministero ad iscrivere il nome della persona alla quale il reato può essere attribuito, in modo da permetterle la partecipazione al contraddittorio (C. cost., ord. 15 luglio 2005, n. 348, in Cass. pen., 2006, 1415). (36) Secondo Cass., 26 giugno 1997, ignoti, in Riv. pen., 1998, 99, « è abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, ricevuta una richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero, invece di provvedere di conseguenza o di fissare l'udienza camerale prevista dall'art. 409, restituisca gli atti al pubblico ministero perché provveda all'identificazione delle persone sottoposte ad indagini e alla loro iscrizione nel registro degli indagati. Di fronte ad una richiesta di archiviazione l'ordinamento non lascia altre alternative al giudice per le indagini preliminari che può solo aderire alla richiesta o fissare l'udienza camerale, e quella dell'udienza camerale è l'unica sede nella quale possono essere fatte presenti al pubblico ministero specifiche esigenze e sollecitare iniziative diverse >>. (3 7 ) Anche in questo caso, la legge n. 479 del 1999 ha codificato una soluzione già prospettata dalla Corte costituzionale. (38) Ai sensi dell'art. 107 -bis disp. att., le denunce contro ignoti sono trasmesse al pubblico ministero dalla polizia giudiziaria << con elenchi mensili >>. L'art. 4 15 , comma 4 prevede che il pubblico ministero possa richiedere l'archiviazione << cumulativamente con riferimento agli elenchi >>, se del caso escludendo dalla ri chiesta determinate denunce. A sua volta, il giudice, se accoglie la richiesta, può pronunciare il decreto di archiviazione cumulativamente con riferimento agli elenchi, con la possibilità di escludere determinate denunce.
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III.IIJ.d
un nuovo piano d i indagine « che può scaturire dalla diversa interpretazione degli elementi già acquisiti » (Relazione al progetto preliminare). La riapertura è un " atto dovuto" per il giudice; tuttavia un eventuale diniego non è impugnabile. Nell'attesa dell'autorizzazione, il pubblico ministero può avere urgenza di compiere indagini, ma di tale situazione il codice non tiene conto (39).
(39) Il pubblico ministero apre u n fascicolo d'indagine a carico d i ignoti, m a fa scadere il termine di sei mesi senza formulare alcuna richiesta al giudice per le indagini preliminari. Dopo alcuni mesi, chiede al giudice per le indagini preliminari l'autorizzaziÒne a riaprire le indagini a carico di soggetto noto, per lo stesso fatto. Il giudice per le indagini preliminari autorizza. Secondo la giurisprudenza di legittimità, in una situazione del genere gli atti di indagine sono inutilizzabili solo se compiuti dalla medesima autorità e per lo stesso fatto nei confronti di un individuo già iscritto nel registro degli indagati. Viceversa, i risultati degli atti compiuti autonomamente dalla polizia giudiziaria e impiegati dal pubblico ministero per chiedere la riapertura delle indagini nei confronti di un soggetto successivamente individuato, sono utilizzabili, altrimenti il pubblico ministero non sarebbe mai in grado di chiedere la riapertura (Cass., sez. I, 16 dicembre 2004, 2837, Pellegrini, in CED n. 230782 ) . Secondo l a Corte cost., s e il pubblico ministero esercita l'azione penale senza aver chiesto l a riapertura delle indagini, in tale ipotesi manca una condizione di procedibilità. Pertanto, il giudice deve dichiarare con sentenza che l'azione penale non doveva essere iniziata (Corte cost., n. 27 del 1995; v. anche Corte cost. n. 56 del 2003.
CAPITOLO III
L'UDIENZA PRELIMINARE
SoMMARIO: l . Considerazioni generali. - 2. La fase introduttiva dell'udienza preliminare. - 3 .
L o svolgimento ordinario dell'udienza. - 4 . L e indagini su iniziativa del giudice. - 5 . La attività di integrazione probatoria 'del giudice. - 6. La modifica dell'imputazione. - 7 . La
sentenza di non luogo a procedere. - 8. n decreto che dispone il giudizio. - 9. n fascicolo per il dibattimento ed il fascicolo del pubblico ministero. - 10. L'impugnazione contro la sentenza di non luogo a procedere. - 1 1 . La revoca della sentenza di non luogo a procedere.
1.
Considerazioni generali.
L'udienza preliminare è una delle fasi del procedimento penale; essa ha la funzione di assicurare che un giudice controlli la legittimità ed il merito della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero. A questa funzione fondamentale se ne aggiunge una ulteriore: l'udienza preliminare può altresì fungere da sede di definizione anticipata del processo penale, quando il giudice accoglie la richiesta di patteggiamento o di rito abbreviato ( 1 ) . n magistrato, al quale sono assegnate le funzioni di giudice dell'udienza preliminare, è tratto dall'ufficio dei giudici per le indagini preliminari, ma non può essere quel magistrato che ha svolto le funzioni di giudice per le indagini preliminari nel medesimo procedimento. Infatti, l'art. 34 comma 2 -bis pone, di regola, una incompatibilità, che può essere superata soltanto quando il giudice per le indagini preliminari si è limitato a svolgere funzioni di tipo non decisorio (commi 2 -ter e 2-quater) . Pertanto, un magistrato può esercitare le attività di g.i.p. e di g.u. p. in procedimenti differenti, ma non nel medesimo procedimento (v. supra, Parte II, Cap. l , § 2 , lett. n) (2) . ( l ) Quando, in presenza di più procedimenti riuniti, un imputato chiede il rito abbreviato e un altro imputato non presenta tale richiesta, nella prassi il giudice prosegue con tutti i procedimenti fino alla decisione. Soltanto al termine dell'udienza, con la sentenza, il giudice prende un provvedimento di merito (non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio) e al tempo stesso emette il provvedimento conclusivo del giudizio abbreviato (sentenza di condanna o sentenza di proscioglimento). (2) Quando si tratta di procedimenti per delitti di associazione mafiosa e assimilati (terrorismo internazionale, tratta di persone e criminalità informatica, di cui all'art. 5 1 , comma 3 -bis, 3-quater e 3 -quinquies), le funzioni di giudice dell'udienza preliminare sono esercitate da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (art. 238, mod. da ultimo dal d.l. n. 92
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III.III.2.a
Nel procedimento ordinario la richiesta di rinvio a giudizio segna il passaggio dalla fase delle indagini preliminari alla fase dell'udienza preliminare. Ciò comporta, al tempo stesso, l'inizio del "processo" in quanto la richiesta di rinvio a giudizio è il modo ordinario con il quale è esercitata l'azione penale. La struttura dell'udienza preliminare è il frutto di un compromesso tra due esigenze contrastanti: il diritto di difesa ed il principio di immediatezza. L'esigenza di assicurare un effettivo controllo del giudice sulla necessità del rinvio a giudizio (che costituisce un diritto da tempo riconosciuto alla difesa nei sistemi processuali garantisti) richiede che si possano assumere nell'udienza preliminare le prove che permettono all'imputato di dimostrare che non esistono sufficienti elementi di accusa. Nei casi nei quali questi ritiene di anticipare la sua difesa rispetto al dibattimento, è necessario riconoscergli tale opportunità perché il dibattimento costituisce esso stesso una "pena" per la persona innocente a causa della pubblicità che comporta e del conseguente clamore che suscita. Alla predetta esigenza si contrappone il principio di immediatezza, secondo cui la prova, sulla quale si basa la decisione del giudice, deve formarsi davanti a quest'ultimo in dibattimento. La Relazione al progetto preliminare (p. 102 ) era chiara sul punto: il legislatore aveva voluto evitare il « pregiudizio di una formazione anticipata della prova ». La struttura dell'udienza preliminare ha subìto mutamenti dal 1988 ad opera del legislatore. Nel testo originario del codice si prevedeva un'udienza allo stato degli atti con limitati poteri di controllo da parte del giudice: si pensi che questi poteva pronunciare la sentenza di non luogo a procedere soltanto se l'innocenza dell'imputato era evidente. A seguito della legge n. 479 del 1999, il giudice oggi gode di poteri di iniziativa probatoria esercitabili anche d'ufficio (artt. 42 1 -bis e 422) ; i criteri di valutazione sono diventati più incisivi e permettono al giudice di bloccare una richiesta azzardata di rinvio a dibattimento (art. 425) .
2.
La fase introduttiva dell'udienza preliminare. a.
Gli adempimenti che precedono l'udienza.
Come abbiamo anticipato, la fase delle indagini si chiude con la richiesta del 2008, conv. in legge n. 125 del 2008 sulla sicurezza pubblica). Ricordiamo che per tali delitti le funzioni del pubblico ministero sono svolte dal procuratore distrettuale antimafia. E ancora: nei procedimenti relativi ai reati, consumati o tentati, riferiti alla gestione dei rifiuti ed ai reati in materia ambientale nella regione Campania, le funzioni di giudice dell'udienza preliminare sono esercitate da magistrati del Tribunale di Napoli (art. 3 , decreto-legge n. 90 del 2008, conv. in legge n. 123 del 2008). Per tali reati le funzioni del pubblico ministero sono svolte dal procuratore della repubblica presso il tribunale di Napoli; la competenza per il giudizio resta quella ordinaria del locus commissi delicti.
III.III.2 .a
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scritta di rinvio a giudizio, formulata dal pubblico m1mstero, che contiene l'imputazione (e cioè l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto storico, il titolo di reato e le generalità della persona alla quale il fatto è addebitato) nonché l'indicazione delle fonti di prova acquisite (art. 417). La richiesta non deve essere motivata; scopo del legislatore è stato quello di non appesantire il lavoro del pubblico ministero e, al tempo stesso, di evitare un qualsiasi condizionamento del giudice dell'udienza preliminare (3 ) . La richiesta è trasmessa al giudice per le indagini preliminari, al quale spetta di fissare giorno, ora e luogo dell'udienza (art. 4 1 8, comma 1 ) . Da questo momento il giudice ha il compito di far progredire il processo fino alla conclusione dell'udienza preliminare. Tra la data in cui la richiesta perviene al giudice e la data fissata per l'udienza non può intercorrere un termine superiore a trenta giorni (art. 4 1 8, comma 2); le parti devono essere avvisate della data dell'udienza in modo da avere un termine libero di almeno dieci giorni (art. 4 1 9, comma 4). L'avviso della data di udienza. All'imputato e d alla persona offesa è notificato l'avviso della data di udienza unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio (4) ; l'imputato è avvertito altresì che, se non compare, sarà giudicato in contumacia ( art. 4 19, comma l , mod. dalla legge n. 144 del 2000). L'avviso è comunicato al pubblico ministero e notificato al difensore dell'imputato con l'avvertimento della facoltà di prendere visione degli atti e delle cose depositate in cancelleria, di presentare memorie e produrre documenti (art. 4 19, comma 2 ) . Ai sensi dell' art. 4 1 6, comma 2, con la richiesta di rinvio a giudizio il pubblico ministero deve trasmettere il fascicolo delle indagini (5) . D a tale momento ogni ulteriore atto integrativo delle indagini preliminari deve essere immediatamente reso conoscibile alle altre parti. Infatti il pubblico ministero e i difensori, anche successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio, possono svolgere indagini " suppletive" ; la documentazione di tali atti è tra smessa al giudice (art. 419, comma 3 , mod. dalla legge n. 3 97 del 2000) e (3 ) Ricordiamo che ai sensi dell'art. 4 16, comma l , la richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall'awiso di conclusione delle indagini (art. 4 l 5·bis) nonché dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio (art. 375, comma 3), qualora l'indagato abbia chiesto tempestivamente di essere interrogato (Parte III, cap. l , § 6, lett. e). (4) Le Sezioni unite della cassazione hanno affermato che l'omessa notifica all'imputato dell'awiso per l'udienza preliminare comporta una nullità assoluta, rilevabile d'ufficio e deducibile in ogni stato e grado del procedimento (Cass., sez. un., 9 luglio 2003, Ferrara, in Cass. pen., 2003 , 3702). Tale pronuncia si fonda sulla considerazione che l'awiso menzionato nell'art. 4 1 9 c.p.p. ha la natura « sostanziale e contenutistica >> di una citazione; pertanto, anche in caso di omesso awiso all'imputato dell'udienza preliminare opera la nullità prevista dall'art. 179 comma l c.p.p. (5) Con la sentenza n. 145 del l991 la Corte costituzionale ha precisato che l'art. 416, comma 2 << non conferisce al pubblico ministero un potere di scelta degli atti da trasmettere al giudice (. .. ) insieme con la richiesta di rinvio a giudizio, imponendo allo stesso pubblico ministero l'obbligo di trasmettere l'intera documentazione raccolta nel corso delle indagini >>.
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Il procedimento ordinario
III.III.2.b
depositata in modo che le altre parti ne possano prendere visione (art. 13 1 disp. att.). Ricordiamo che si può pervenire all'udienza preliminare anche nel caso eccezionale in cui il giudice per le indagini preliminari non abbia accolto la richiesta di archiviazione ed abbia disposto che il pubblico ministero formuli la c.d. imputazione coatta. In tal caso nel decreto di fissazione della data del l'udienza è enunciata l'imputazione formulata dal pubblico ministero e sono indicate le fonti di prova acquisite (art. 128 disp. att. ) .
b.
La presenza dell'imputato e del difensore.
L'udienza preliminare si svolge in camera di consiglio con la partecipazio ne necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'imputato (art. 420, comma 1 ) . Il giudice deve controllare s e vi è stata regolare costituzione delle parti e deve ordinare la rinnovazione degli avvisi o delle notificazioni di cui abbia accertato la nullità (art. 420, comma 2 ) . Se le parti sono comparse non sorgono particolari problemi: il verbale d'udienza documenta se è presente l'imputato, quale è il difensore di questi ed, eventualmente, quale difensore rappresenta la parte civile, il responsabile civile ed il soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Il codice vuole garantire in modo rigoroso il diritto dell'imputato a parte cipare al processo; per tutelare in concreto tale diritto, ove l'imputato non sia presente, impone al giudice di accertare che ciò sia dovuto ad una scelta volontaria e non derivi, viceversa, da una mancata conoscenza incolpevole dell'avviso dell'udienza preliminare (v. tav. 3 .5 .5 ) . La conoscenza effettiva dell'avviso. L'art. 420-bis, comma l impone al giudice di rinnovare l'avviso non soltanto quando esiste la prova che l'imputato non ha avuto " effettiva conoscenza " dello stesso senza sua colpa, ma anche quando tale prova non sussiste e tuttavia appare "probabile" la mancata conoscenza incolpevole. La probabilità che l'imputato non abbia avuto cono scenza dell'avviso è liberamente valutata dal giudice. Tde valutazione non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione (art. 420-bis, comma 2) (6) . n legittimo impedimento. Il giudice, dopo aver verificato l'effettiva cono scenza dell'avviso, deve valutare la causa dell'assenza dell'imputato. Ai sensi (6) li meccanismo probatorio in base al quale il giudice valuta la mancata conoscenza incolpevole dell' awiso è rimasto inalterato nonostante la modifica della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale introdotta con la legge n. 60 del 2005. A seguito di tale riforma, l'art. 175, comma 2 consente al contumace il diritto di ottenere la restituzione nel termine << salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del prowedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire >>, a prescindere dal fatto che la mancata conoscenza sia dovuta a colpa.
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III .II I. 2 . b
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dell'art. 420-ter, comma l , se l'assoluta impossibilità a comparire è dovuta a legittimo impedimento dell'imputato (oppure è anche soltanto probabile che sia dovuta a caso fortuito o a forza maggiore) , il giudice deve disporre il rinvio ad una nuova udienza e ordinare la rinnovazione dell'avviso (7) . La legge 7 aprile 2010, n. 5 1 , ha previsto una ipotesi espressa di legittimo impedimento derivante dallo svolgimento delle attività di governo svolte dal presidente del consiglio dei ministri e dai ministri (8) . La contumacia. Se l'imputato non compare e non vi è la prova del legittimo impedimento, il giudice ne dichiara la contumacia (art. 420-quater, comma l ) ; l'imputato è rappresentato dal difensore (art. 420-quater, comma 2 ) . L'assenza dell'imputato. L a mancata comparizione dell'imputato può dar luogo ad una ulteriore situazione, che si presenta spesso nella pratica. L'impu tato, anche se impedito, può chiedere o consentire che l'udienza preliminare si svolga in sua assenza. Allo stesso modo, l'imputato detenuto può rifiutare di assistervi ( art. 420-quinquies, comma 1 ) . In tali casi, l'imputato è considerato " assente" perché ha manifestato espressamente o implicitamente la sua rinuncia a comparire: egli è rappresentato dal difensore (9). Se comunque l'imputato, dopo essere comparso, si allontana dall'aula di udienza, è considerato presente ( art. 420-quinquies, comma 2) ed è rappresentato dal difensore. L'assenza del difensore. Se il difensore dell'imputato non è presente, il giudice designa un sostituto che sia immediatamente reperibile (artt. 420,
(7) Cass. , sez. un., 11 ottobre 2005, n. 36635, in Il Sole-24 ore, 15 ottobre 2005: << nel disattendere un certificato medico a fini della dichiarazione di contumacia, il giudice deve attenersi alla natura dell'infermità e valutame il carattere impeditivo. Ne consegue che egli può pervenire ad un giudizio negativo circa l'assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata motivazione del referto, la rilevanza del male di cui si afferma colpito l'imputato >>. (8) In relazione al presidente del consiglio, costituisce legittimo impedimento il << concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o da� regolamenti ( . . . ) nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di Governo >>. Per i ministri, costituisce legittimo impedimento << l'esercizio delle attività previste dalle leggi e dai regolamenti che ne disciplinano le attribuzioni, nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di Governo >>. Ove ricorrano le ipotesi menzionate, il giudice, su richiesta di parte, << rinvia il processo ad altra udienza >> (comma 3). Ai sensi del comma 4, << ove la Presidenza del Consiglio dei Ministri attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che non può essere superiore a sei mesi >>. Per la durata del rinvio il corso della prescrizione rimane sospeso (comma 5 ) . L'art. 2 precisa che << l e disposizioni d i cui all'articolo l s i applicano fino alla data d i entrata invigore della legge costituzionale recante la disciplina organica delle prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri, nonché della disciplina attuativa delle modalità di partecipazione degli stessi ai processi penali e, comunque, non oltre diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge ( . . . ) >>. (9) Poiché l'imputato detenuto (a causa del suo stato) deve sottostare alle determinazioni delle autorità preposte al luogo di custodia, il suo diniego a consentire agli adempimenti previsti dalla legge (es. perquisizione) equivale ad impedire la traduzione e, quindi, a rifiutarla; si è in presenza di un'ipotesi in cui l'imputato manifesta in modo implicito la rinuncia a partecipare al processo.
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III.III.2 .c
comma 3 e 97 , comma 4). Questi esercita i diritti ed assume doveri del difensore di fiducia o d'ufficio (art. 102 , comma 2 ) . Nel caso in cui risulta che l'assenza del difensore è dovuta a d assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento (purché prontamente comunicato) , il giudice fissa con ordinanza la data della nuova udienza e ne dispone la notificazione all'imputato (art. 420-ter, comma 5 ) . c.
La contumacia.
La contumacia è la situazione processuale dell'imputato il quale, benché ritualmente avvisato o citato, non compare all'udienza senza che sussista un suo legittimo impedimento. L'istituto in oggetto si distingue concettualmente dall'assenza. Infatti, nelle ipotesi di assenza l'imputato manifesta la rinuncia a partecipare al processo; viceversa, si ha " contumacia" allorché l'imputato non è presente all'inizio dell'udienza senza aver manifestato una rinuncia a comparire. Come abbiamo accennato, ai sensi dell'articolo 420-quater, comma l , se l'imputato detenuto o a piede libero non compare all'udienza e non risulta la sussistenza di un legittimo impedimento o l'ignoranza incolpevole dell'avviso, il giudice, sentite le parti, ne dichiara la contumacia con ordinanza (v. tav. 3 .5 .6). In tal caso l'imputato è rappresentato dal difensore (art. 420-quater, comma 2). li codice non disciplina espressamente l'ipotesi nella quale nel corso dell'udienza preliminare in contumacia sia necessario procedere alla modifica dell'imputazione (art. 423 , comma l) o alla contestazione di un fatto nuovo (art. 423 , comma 2). L'art. 423 , comma l stabilisce che l'imputato assente, ai fini della modifica dell'imputazione, sia rappresentato dal difensore. Poiché la contumacia è una situazione di " assenza non giustificata " , la disciplina della modifica dell'imputazione nei confronti dell'assente è applicabile anche al contumace ( 10). Viceversa, la norma relativa alla contestazione del fatto "nuovo" (art. 423 , comma 2) si riferisce implicitamente all'imputato presente, dato che è richiesto il consenso di quest'ultimo. Pertanto non pare applicabile in caso di contumacia.
Una volta che l'udienza si sia conclusa, al contumace deve essere notificato il decreto che dispone il giudizio. Al decreto è allegata la dichiarazione di contumacia (artt. 420-quater, comma 7; 429, comma 4 ) ( 1 1 ) . ( I O) Differente è la normativa che si applica in dibattimento. La contestazione del fatto " diverso" (e situazioni assimilate) non può essere effettuata al difensore dell'imputato assente o contumace, bensì deve essere rivolta personalmente all'imputato ai sensi dell'art. 520. ( I l ) Nessuna espressa disciplina è invece prevista in merito alla notifica al contumace della sentenza di non luogo a procedere. Deve probabilmente ritenersi applicabile l'art. 548, comma 3 , che, in relazione alla sentenza pronunciata in giudizio, stabilisce che << l'avviso di deposito con l'estratto della sentenza è in ogni caso notificato all'imputato contumace ».
III.III.3
L'udienza preliminare
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Eventi successivi. È possibile che l'imputato, dichiarato contumace, com paia prima della decisione. In tal caso il giudice deve revocare l'ordinanza. L'imputato può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio (art. 420-quater, comma 3 ) . Può altresì accadere che, dopo l a pronuncia dell'ordinanza dichiarativa della contumacia, ma prima della decisione, pervenga la prova che l'imputato non era comparso a causa della mancata conoscenza incolpevole dell'avviso o per legittimo impedimento (art. 420-quater, comma 5 ) . Si tratta di una prova "tardiva" perché sopravviene dopo la dichiarazione di contumacia. n giudice deve revocare l'ordinanza contumaciale e, se l'imputato non è comparso, deve rinviare l'udienza su richiesta di parte o d'ufficio. Quando si procede a carico di più imputati e solo alcuni di essi sono contumaci, il giudice deve disporre la separazione dei processi, salvo che la riunione risulti assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti (art. 420-quater, comma 6) . Il codice prevede che gli atti compiuti restino validi ( 12 ) . S e l a prova è pervenuta tardivamente e l'imputato dimostra che ciò non è dovuto a sua colpa, il giudice deve disporre l'assunzione o la rinnovazione degli atti che ritiene rilevanti ai fini della decisione. Ciò non è possibile in caso di prova "tardiva" per colpa dell'imputato. L'art. 420-quater, comma 4 commina la nullità dell'ordinanza dichiarativa della contumacia « se al momento della pronuncia vi è la prova che l'assenza dell'imputato è dovuta a mancata conoscenza » dell'avviso di udienza o ad impossibilità di comparire per legittimo impedimento.
3.
Lo svolgimento ordinario dell'udienza.
L'udienza preliminare si svolge in camera di consiglio (e cioè senza la presenza del pubblico) in base a norme che impongono un contraddittorio più completo rispetto a quello previsto nell'art. 127. All'udienza devono comunque essere presenti il pubblico ministero ed il difensore (di fiducia o d'ufficio) dell'imputato ( art. 420, comma 1 ) . La persona offesa è avvisata della data dell'udienza e può essere presente personalmente e per mezzo del proprio difensore. Tuttavia quest'ultimo può partecipare all'udienza presentando richie ste soltanto se la persona offesa si è costituita parte civile. n verbale di udienza è redatto " di regola" in forma riassuntiva ( 1 3 ) . Tuttavia è possibile che l'udienza preliminare assuma caratteri di complessità e, (12) La ratio della disposizione è quella di assicurare nell'udienza preliminare un sistema di adeguate garanzie, senza peraltro travolgere l'attività pregressa, pur sempre validamente compiuta. ( 1 3 ) L'art. 420, comma 5 originariamente disponeva che il verbale potesse essere redatto soltanto in forma riassuntiva. Successivamente la norma era stata dichiarata illegittima dalla sentenza della Corte costituzionale n. 529 del 1990 nella parte in cui << dopo la parola " redatto" prevede[va] "soltanto" anziché "di regola" >>.
564
Il procedimento ordinario
III.III.3
in tal caso, può risultare opportuna la verbalizzazione integrale sia ai fini dell'esercizio del diritto di difesa, sia al fine di permettere una migliore valutazione dell'attendibilità dell'atto assunto. All'uopo è previsto che, ove una parte ne faccia richiesta, il giudice debba disporre « la riproduzione fonografica o audiovisiva ovvero la redazione del verbale con la stenotipia » (art. 420, comma 4 , mod. dalla legge n. 479 del 1999). Lo svolgimento ordinario dell'udienza vede susseguirsi i seguenti momenti: a) l'ammissione di atti o documenti; b) l'esposizione del pubblico ministero; c) le dichiarazioni spontanee e l'eventuale interrogatorio dell'imputato; d) l'espo sizione dei difensori delle parti private; e) le conclusioni; /) la decisione interlocutoria o definitiva del giudice (art. 42 1 ) . a) All'inizio dell'udienza l e parti possono chiedere al giudice l'ammis sione di atti o documenti. Eventuali memorie potevano essere presentate dalle parti in cancelleria fino a cinque giorni prima dell'udienza (art. 127, comma 2 ) . b) n pubblico ministero espone sinteticamente « i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio »; pertanto non si limita ad indicare le fonti di prova, bensì illustra gli elementi che ne ha ricavato. c) L'imputato può rendere dichiarazioni spontanee (la facoltà è stata introdotta dalla legge n. 479 del 1 999) . Può altresì chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Si tratta di un atto con funzione difensiva che non può essere sollecitato dal pubblico ministero. L'interrogatorio è condotto dal giudice in base agli artt. 64 e 65 . Tuttavia, su richiesta di una delle parti il giudice deve disporre che esso si svolga nelle forme dell'esame incrociato (art. 42 1 , comma 2, mod. dalla legge n. 267 del 1 997) . d) I difensori delle parti private svolgono le proprie argomentazioni. L'ordine dell'esposizione rispetta le cadenze dell'onere della prova: inizia la parte civile e proseguono il responsabile civile, la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e l'imputato. n pubblico ministero ed i difensori possono replicare una sola volta. e) n pubblico ministero ed i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari (depositati insieme alla richiesta di rinvio a giudizio; art. 4 16, comma 2 ) ed i documenti ammessi dal giudice prima dell'inizio della discussione. Decisione definitiva o interlocutoria. Al termine dell'udienza, il giudice può prendere una decisione definitiva o una interlocutoria (v. tav. 3 .3 . 1 ) . Adotta una decisione definitiva quando pronuncia la sentenza di non luogo a procedere o il decreto che dispone il giudizio (art. 424 ) . Prende una decisione interlocu toria quando dichiara di non poter decidere allo stato degli atti; in tal caso indica al pubblico ministero le ulteriori indagini (art. 42 1 -bù) o dispone anche d'ufficio l'assunzione di prove, dando inizio allo svolgimento eccezionale del l'udienza preliminare (art. 422 ) .
III.III.4
4.
L'udienza preliminare
565
Le indagini su iniziativa del giudice.
n giudice, quando ritiene di non poter decidere allo stato degli atti perché le indagini preliminari sono incomplete, pronuncia ordinanza con la quale indica al pubblico ministero « le ulteriori indagini fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare » (art. 42 1 -bis) ( 14). Del provvedimento deve essere data comunicazione al procuratore generale presso la corte d'appello; questi può disporre l'avocazione delle indagini. Poiché la norma non fa distinzioni, si deve ritenere che l'integrazione delle indagini non sia disposta esclusivamente nell'interesse dell'accusa. La disposi zione non ha soltanto lo scopo di consentire che il giudice conceda al pubblico ministero un'ultima occasione per rafforzare una richiesta di rinvio a giudizio priva di fondamento; l'integrazione può essere disposta anche nell'ipotesi in cui il giudice rilevi lacune investigative in relazione ad elementi favorevoli all'im putato. È evidente che l'istituto tutela il principio di completezza delle indagini preliminari. Soltanto qualora il pubblico ministero abbia svolto le indagini in modo esaustivo, infatti, è possibile valutare correttamente, alla luce degli elementi raccolti, l'utilità di un futuro dibattimento. I poteri del giudice. Viene da chiedersi se il giudice debba limitarsi ad indicare genericamente i temi di prova da approfondire o se possa specificare i singoli atti di indagine che il pubblico ministero deve compiere. La soluzione più rispettosa, alla luce del principio di separazione delle funzioni, consiste nel ritenere che il giudice debba indicare al pubblico ministero i temi di prova da sondare, ferma restando la possibilità di specificare anche singoli atti di indagine, qualora nel corso dell'udienza preliminare essi si siano configurati chiaramente come necessari e utili. Una volta che il pubblico ministero abbia provveduto all'adempimento, si terrà una nuova udienza, che avrà come oggetto di discussione i risultati delle indagini. All 'esito di tale udienza è possibile che il giudice ritenga di poter decidere allo stato degli atti il rinvio a giudizio o · il non luogo a procedere ( 15 ) . In caso contrario, il giudice può emettere una nuova ordinanza per l'integra zione delle indagini (art. 42 1 -bis) oppure può disporre una forma di assunzione di prove che è denominata dal codice « integrazione probatoria » (art. 422) . ( 1 4 ) L a previsione è chiaramente modellata sull'istituto delle "indagini coatte", che il giudice per le indagini preliminari può disporre a seguito dell'udienza relativa alla richiesta di archiviazione. ( 15) Occorre sottolineare la differenza rispetto all'ordinanza che dispone le indagini coatte al termine dell'udienza sull'archiviazione (art. 409, comma 4). In tale sede, una volta compiute le indagini, il pubblico ministero è libero di chiedere nuovamente l'archiviazione o di esercitare l'azione penale. Viceversa, quando il giudice ordina lo svolgimento di ulteriori indagini al termine dell'udienza preliminare il pubblico ministero non potrà optare per la richiesta di archiviazione, perché l'azione penale è irretrattabile. Se si convince dell'innocenza dell'imputato, il pubblico ministero potrà eventualmente chiedere la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere nella nuova udienza preliminare fissata dal giudice contestualmente all'indicazione delle ulteriori indagini.
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5.
Il procedimento ordinario
III.III.5
La attività di integrazione probatoria del giudice.
n codice prevede una « attività di integrazione probatoria del giudice » (art. 422 , sostituito dalla legge n. 479 del 1999) , che consiste nel potere di assumere prove nel corso dell'udienza preliminare. Il presupposto perché tale potere sia esercitabile sta nella impossibilità di « decidere allo stato degli atti »; tale presupposto è valutato discrezionalmente dal giudice. Nell'ipotesi in oggetto il giudice, se non ordina al pubblico ministero l'integrazione delle indagini, « può disporre, anche d'ufficio, l'assun zione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere » ( art. 422 , comma 1 ) . N e consegue che le parti non hanno alcun " diritto" all'ammissione delle prove; non essendo applicabile in questa sede l'art. 1 90, è al giudice che spetta il potere di decidere se debbano essere assunte prove. Lo svolgimento dell'udienza, ave il giudice valuti di non poter decidere allo stato degli atti, vede suss�guirsi i seguenti momenti: a) la richiesta di ammissione delle prove o l'indicazione d'ufficio delle medesime; b) l'assunzione di queste ultime; c) l'eventuale interrogatorio dell'imputato; d) le conclusioni delle parti e la decisione del giudice. a) L'ammissione delle prove. Occorre precisare che il criterio in base al quale il giudice dispone l'ammissione delle prove è quello della "evidente decisività" delle stesse ai fini della sentenza di non luogo a procedere. In altre parole, il supplemento istruttorio è finalizzato all'assunzione di prove a discarico già individuabili sulla base degli atti o documenti esistenti. Inoltre non potreb bero ammettersi prove tendenti a dimostrare la necessità del rinvio a giudizio. A ben vedere, tuttavia, è raro che il risultato di una prova appaia con certezza prima che questa sia stata assunta; pertanto la limitazione imposta dal codice rappresenta un vincolo " apparente" alla discrezionalità del giudice. In merito al catalogo dei mezzi di prova occorre sottolineare che mentre in passato il codice indicava in maniera tassativa le prove che potevano essere as sunte, a seguito della legge n. 479 del 1999 non ci sono più limiti in tal senso ( 16). L'art. 422 , comma 2 precisa che, ave le prove non possano essere assunte immediatamente, il giudice deve fissare la data della nuova udienza e disporre la citazione « dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle persone indicate nell'art. 2 10 di cui siano stati ammessi l'audizione o l'interrogatorio » ( 17 ) . ( 16) L a tassatività della previsione dei mezzi di prova era stata, seppure parzialmente, superata da alcune sentenze della Corte costituzionale, che avevano avuto il merito di rimediare al massimalismo dimostrato dal legislatore del 1988. La sentenza n. 91 del 1990 aveva riconosciuto al giudice il potere di ordinare il sequestro probatorio inutilmente richiesto dalla difesa al pubblico ministero. ( 17 ) Tuttavia, da una simile disposizione non è dato desumere alcuna limitazione in merito ai mezzi di prova che possono essere assunti. Viceversa il testo originario del codice non permetteva di assumere atti diversi da quelli appena indicati.
III.III.5
L'udienza preliminare
567
b) L'assunzione delle prove. L'audizione dei testimoni, consulenti tecnici e periti e l'interrogatorio degli imputati connessi sono condotti dal giudice (art. 422 , comma 3 ) . Le parti possono proporre domande a mezzo del giudice nel seguente ordine: per primo il pubblico ministero e successivamente i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato ( 18). Merita precisare che il legislatore del 1 999 non ha previsto nessuna disposizione di raccordo in relazione all'ipotesi in cui nell'udienza preliminare debba svolgersi un incidente probatorio. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 77 del 1 994, ha infatti dichiarato illegittimo il divieto di svolgere l'incidente probatorio nella fase dell'udienza prelimi nare. Come abbiamo anticipato, il testo originario del codice del 1 988 era ispirato all'idea che la formazione della prova in contraddittorio prima del dibattimento costituiva un "pregiudizio" . n principio di immediatezza doveva prevalere sul diritto alla prova e sull'esigenza del contraddittorio. Pertanto nel corso dell'udienza prelimi nare era vietato assumere atti non rinviabili al dibattimento. La Corte costituzionale ha ritenuto che il divieto sia privo « eli ogni ragionevole giustificazione » e lesivo del diritto delle parti alla prova. Quest'ultima sarebbe stata « irrimediabilmente perduta » se non fosse stata acquisita nel momento in cui appariva non rinviabile al dibattimento. La Corte ha affermato, nella sostanza, che quando vi è la necessità di assumere la prova prima del dibattimento, tale esigenza deve prevalere rispetto al principio teorico dell'immediatezza. Tuttavia, il legislatore non ha dato alcun seguito alla sentenza in oggetto, sul piano della concreta regolamentazione dei rapporti tra lo svolgimento dell'udienza preliminare e quello dell'incidente probatorio. In ogni caso, nella prassi accade di frequente che nel corso dell'udienza preliminare venga disposto incidente probatorio, specie al fine di effettuare una perizia di lunga durata (art. 3 92 , comma 2 ) . Merita dar conto della differenza che intercorre tra l'integrazione proba toria (art. 422) e l'incidente probatorio. L'integrazione probatoria è disposta dal giudice qualora ritenga di non poter decidere allo stato degli atti e con la specifica finalità di assumere prove decisive ai fini della sentenza di non luogo a procedere. Le prove acquisite nel corso dell'integrazione saranno di regola inutilizzabili nel dibattimento (art. 433 ) (19). L'incidente probatorio, viceversa, può essere svolto in tutto il corso del( 1 8 ) Invero, la legge 7 agosto 1997, n. 267 ha previsto che l'audizione dei testimoni e degli imputati connessi (art. 2 1 0) in udienza preliminare possa svolgersi nelle forme dell'esame incrociato (art. 5 14, comma 1 ) . Sebbene allo stato attuale l'art. 422 non risulti coordinato con l'art. 5 14 , comma l , è tuttavia da ritenere in via interpretativa che l'esame incrociato possa essere disposto dal giudice. ( 1 9) Fatte salve le ipotesi delle contestazioni probatorie (art. 500, comma 6 e 503 comma 6), della lettura di atti per soprawenuta irripetibilità (art. 5 12) e delle dichiarazioni rese con le forme dell'esame incrociato alla presenza dell'imputato o del suo difensore (art. 5 14 comma 1 ) .
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Il procedimento ordinario
III.III.6
l'udienza preliminare quando ricorrono le condizioni previste dall'art. 3 92 e cioè l'assunzione della prova appare, in sintesi, non rinviabile. L'incidente probatorio è disposto a richiesta di parte e le prove da assumere possono essere a carico o a discarico. Poiché la prova viene assunta con le modalità previste per il dibattimento, i verbali dell'incidente confluiscono nel fascicolo per il dibat timento e sono utilizzabili per la decisione finale (art. 43 1 , lett. e). c) L'interrogatorio. L'imputato può chiedere di essere sottoposto all'in terrogatorio « in ogni caso », e cioè senza che il giudice possa sindacare l'ammissibilità di tale atto (art. 422 , comma 4 ) . Anche l'interrogatorio deve essere condotto dal giudice. Tuttavia, alla stregua di quanto avviene nello svolgimento ordinario dell'udienza, il codice prevede che, se una parte ne fa richiesta, l'interrogatorio possa svolgersi con le forme dell'esame incrociato. d) Le conclusioni delle parti. Terminata l'assunzione delle prove, il pubblico ministero e i difensori illustrano le rispettive conclusioni. Quindi il giudice pronuncia la decisione di rinvio a giudizio o di non luogo a procedere.
6.
La modifica dell'imputazione.
In base agli elementi emersi nel corso dell'udienza e alla discussione che si svolge in tale sede, può sorgere l'esigenza di apportare modificazioni alla imputazione originaria. La modifica è possibile in presenza di due condizioni: l'iniziativa del pubblico ministero e il rispetto di determinati limiti di modifi cabilità. La necessità di una iniziativa del pubblico ministero, che deve attivarsi contestando la modifica dell'addebito all'imputato, deriva dal principio della separazione delle funzioni. n fatto diverso. Passiamo a trattare dei limiti di modificabilità. Finché si tratta di variare la descrizione del fatto storico (che comunque deve restare inalterato negli elementi essenziali della fattispecie), il pubblico ministero è legittimato a contestare all'imputato un fatto « diverso » da quello contestato nella richiesta di rinvio a giudizio; lo stesso vale se si tratta di aggiungere una circostanza aggravante, un fatto commesso in esecuzione del medesimo disegno criminoso ( reato continuato) o un altro reato commesso con la medesima condotta (concorso formale) (art. 423 comma 1 ) . Nelle predette ipotesi il pubblico ministero modifica l'imputazione e la contesta all'imputato presente. Se l'imputato non è presente, la modificazione è comunicata al difensore che rappresenta l'imputato ai fini della contestazione (art. 423 comma l ) (20) . (20) Le singole ipotesi ed i relativi esempi sono esposti analiticamente nel prossimo cap. 5, § 8, in relazione alla modifica dell'imputazione nel corso del dibattimento di primo grado. In udienza preliminare vi sono differenze rilevanti rispetto al dibattimento in punto di procedura. Non è prevista per l'imputato la possibilità di chiedere un termine a difesa (differentemente dall'art. 5 19); non è
III.III.7
L'udienza preliminare
569
n fatto nuovo. Viceversa, quando risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo », purché procedibile d'ufficio (ferma restando l'iniziativa del pubblico ministero nel valutare se operare immediatamente la contestazione) la parola passa all'imputato presente, che può consentire o meno; ove consenta, il giudice au torizza la contestazione (art. 423 comma 2 ) . Siamo in presenza di scelte che restano di spettanza delle due parti necessarie del processo. Per un verso, il pubblico ministero può decidere se iniziare un separato procedimento nel quale svolgere le indagini che reputa necessarie. Per un altro verso, l'imputato valuta se gli conviene percorrere lo svolgimento ordinario di un nuovo procedimento o af frontare direttamente la valutazione del giudice nell'udienza preliminare (2 1 ) . «
7.
La sentenza di non luogo a procedere.
li codice prevede un unico "tipo" di sentenza di non luogo a procedere a seguito dell'udienza preliminare, senza distinguere fra lo svolgimento ordinario, il supplemento di indagine (art. 42 1 -bis) o l'integrazione probatoria (art. 422) . L a sentenza è pronunciata in base a motivi di diritto o di fatto (art. 425 ) , ossia quando: a) sussiste una causa che estingue il reato (ad es. , prescrizione) ; b) sussiste una causa per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (ad es., manca la querela) ; c ) il fatto non è previsto dalla legge come reato; d) esiste la prova che l'imputato è, in sintesi, innocente (e cioè, che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato) ; e ) è accertato che la persona non è punibile per qualsiasi causa, ivi compreso il difetto di imputabilità. Tuttavia, il giudice non può pronunciare la sentenza di non luogo a procedere se « ritiene che dal proscioglimento do vrebbe conseguire l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla prevista in favore dell'imputato contumace o assente la notifica dell'estratto del verbale contenente la nuova contestazione, con conseguente rinvio dell'udienza (a differenza dall'art. 520). Pertanto, il pubblico ministero può contestare legittimamente il fatto << diverso >> in presenza del difensore che rappresenta l'imputato contumace o assente. Sotto quest'ultimo profilo, la Corte cost. con la sentenza n. 384 del 2006 ha ritenuto legittima la disposizione vigente sulla base della seguente argomentazione: la modifica dell'imputazione nel corso dell'udienza preliminare non è un evento imprevedibile e pertanto non può dolersi di non averne avuto notizia l'imputato che abbia scelto di restare contumace. La Corte ha rilevato che l'impossibilità di chiedere un rito speciale di fronte al cambiamento dell'imputazione è la conseguenza di una duplice scelta dell'imputato: quella di rimanere contumace e quella di non conferire al difensore una procura speciale che autorizzi quest'ultimo a presentare la relativa richiesta. (2 1 ) Un punto controverso concerne la possibilità che il giudice solleciti il pubblico ministero a modificare l'imputazione. In proposito, si vedano gli approfondimenti svolti subito infra, in relazione ai poteri del giudice dell'udienza preliminare in caso di imputazione generica o indeterminata (in questo capitolo, par. 7).
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Il procedimento ordinario
III.III.7
confisca » (art. 425 , comma 4 ) . È chiara la ratio di una siffatta previsione: le misure di sicurezza personali, con le quali si possono imporre pesanti limiti alla libertà ( ad esempio, il ricovero in un manicomio giudiziario per gli infermi di mente; art. 222 c.p.), possono essere applicate soltanto sulla base di un provvedimento che consegue al più completo controllo svolto dal giudice del dibattimento (22 ) . I l giudice deve pronunciare sentenza d i non luogo a procedere « anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio » (art. 425 , comma 3 , mod. dalla legge n. 479 del 1999). Si tratta di una vera e propria regola di valutazione che il codice impone al giudice dell'udienza preliminare (23 ) . Il non luogo a procedere deve essere pronunciato quando gli elementi di prova a carico, pur esistenti, sono « insufficienti », e cioè tali da far ritenere allo stato degli atti che non possano essere integrati dalla attività istruttoria tipica del dibattimento (24 ) . Parimenti deve essere emessa sentenza di non luogo a procedere quando vi sono elementi « contraddittori »; ciò avviene quando vi sia, tra le prove raccolte, un contrasto che probabilmente non potrà essere superato dallo svolgimento del dibattimento. La legge n. 479 del 1 999 ha introdotto altresì la precisazione che, ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere (verosimilmente nel caso di dichiarazione di estinzione del reato) , il giudice deve tenere conto delle circostanze, se del caso effettuando il bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti (art. 425, comma 2 ) . È chiaro come in tal modo venga potenziata la funzione di filtro espletata dall'udienza preliminare (25) . (22) Cass., sez. II, 2 1 ottobre 2005, in CE. D. Cass. n . 233 142 h a stabilito che << a seguito della modifica dell'art. 425 c.p.p., introdotta con l'art. 23 L n. 479 del 1999, deve ritenersi ricompresa nella disposizione normativa secondo cui il giudice può pronunciare sentenza di proscioglimento nei confronti di qualsiasi "persona non punibile per qualsiasi causa" anche l'ipotesi di difetto di imputabilità per incapacità di intendere e di volere, a condizione che non debba essere applicata una misura di sicurezza personale, in considerazione dell'assenza di pericolosità sociale dell'imputato ». (23) n testo originario dell'art. 425 prevedeva che la innocenza dell'imputato dovesse risultare << evidente >>. Di conseguenza stabiliva una regola di valutazione contraria a quella che opera in dibattimento; ma soprattutto impediva un effettivo controllo da parte del giudice sulla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero. Successivamente la legge 8 aprile 1993, n. 105 ha abolito il termine << evidente >>. (24) In tal senso C. cost. n. 224 del 2001 e n. 335 del 2002, secondo cui nell'udienza preliminare la decisione è configurabile come << un apprezzamento nel merito, ormai privo di quei caratteri di sommarietà che prima della riforma ( . . . ) erano tipici di una decisione orientata soltanto, secondo la sua natura, allo svolgimento del processo >>. Nella giurisprudenza di legittimità, v. Cass., sez. IV, 24 luglio 2007, T.D., in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 365, secondo la quale il giudice dell'udienza preliminare ha il potere di pronunciare la sentenza di non luogo a procedere non quando effettui un giudizio prognostico in esito al quale pervenga ad una valutazione di innocenza dell'imputato ma in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento pervenga ad una diversa conclusione. (25) Tuttavia, la legge 5 dicembre 2005, n. 25 1 , c.d. ex Cirielli, ha modificato l'art. 157 c.p. nel senso che << per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato
III.III.7
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57 1
La pronuncia ai sensi dell'art. 129. Nel corso o all'esito dell'udienza preli minare può essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere anche ai sensi dell'art. 129 che prevede la declaratoria immediata di determinate cause di non punibilità (es. se il reato è prescritto; v. supra, Parte II, cap. II) . Poiché la sentenza di cui all'art. 129 può essere pronunciata d'ufficio "in ogni stato e grado del pro cesso " , si è posto il problema se il giudice investito di una richiesta di rinvio a giudizio possa pronunciarla senza fissare l'udienza preliminare. A parere delle Se zioni unite della Corte di cassazione, nella fase che va dalla ricezione della richiesta di rinvio a giudizio allo svolgimento dell'udienza preliminare, il giudice non può pronunciare de plano l'immediata declaratoria di determinate cause di non pu nibilità ex art. 129; viceversa, deve dare impulso al rito tipico della fase in corso. Pertanto, deve fissare l'udienza preliminare e solo nel corso di tale udienza, se ne ricorrono i presupposti, può emettere sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 129 (26) . L'accertamento della genericità o della indeterminatezza dell'imputazione. Le Sezioni unite della Cassazione (27) hanno riconosciuto al giudice del l'udienza preliminare il potere di ritenere generica o indeterminata quell'impu tazione che, viceversa, il pubblico ministero avrebbe dovuto formulare « in forma chiara e precisa » nella richiesta di rinvio a giudizio (art. 417, comma l , lett. b) . Ove accerti che il fatto addebitato non risulti enunciato in modo chiaro, il giudice ha il dovere di sollecitare il pubblico ministero a precisare l'imputa zione con il meccanismo di adeguamento previsto dall'art. 423 , da applicarsi in via estensiva. Tale adempimento costituisce un vero e proprio dovere in capo alla pubblica accusa. In ogni caso, se il pubblico ministero non provvede a rendere chiara e precisa la descrizione del fatto addebitato all'imputato, il giudice al momento della conclusione dell'udienza preliminare ha il potere di attestare il vizio dell'imputazione e di restituire con ordinanza gli atti al pubblico ministero invitandolo a riformulare l'imputazione medesima. L'ap plicazione in via analogica dell'art. 52 1 , dispoSizione prevista per il dibatti mento, è giustificata dal fatto che ormai l'udienza preliminare è una fase nella
consumato o tentato, senza tenere conto della diminuzione di pena per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti [ . . . ] Non si applica la disposizione dell'art. 69 ». In sostanza, il legislatore della riforma si è " dimenticato" dell'esistenza del secondo comma dell'art. 425 c.p.p., introducendo un difetto di coordinamento tra norme processuali e sostanziali, peraltro risolvibile in via interpretativa nel senso di una abrogazione implicita della norma in questione, che non potrà più essere applicata. (26) Cass., sez. un 25 gennaio 2005, n. 12283, Pg. in proc. De Rosa, in Dir. Giust., 2005, 1 7 , 36. Awerso la sentenza del giudice dell'udienza preliminare che, disattendendo la richiesta di rinvio a giudizio, abbia pronunciato de plano la sentenza di cui all'art. 129, deve ritenersi esperibile il rimedio del ricorso per cassazione ai sensi del principio di cui all'art. 568, comma 2 (si veda Cass., sez. VI, 9 giugno 1998, p.m. in c. Bove). (27) Cass., sez. un 20 dicembre 2007 - 1° febbraio 2008, n. 5307, Battistella, in Dir. pen. proc., 2009, 177. .,
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quale si svolgono accertamenti di merito simili a quelli compiuti in dibatti mento (28). L'ordinanza di restituzione degli atti chiude l'udienza preliminare e com porta la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari. Ad avviso delle Sezioni Unite, si tratta di un provvedimento eccezionale che costituisce una extrema ratio e deve essere adottato soltanto qualora il pubblico ministero non ottemperi all'ordine del giudice ed ometta di modificare l'impu tazione nel corso dell'udienza preliminare. Se il giudice disponesse la restitu zione degli atti senza aver chiesto al pubblico ministero di modificare l'impu tazione nel corso dell'udienza preliminare, il provvedimento sarebbe abnorme. Un meccanismo del genere, infatti, si porrebbe in frizione con le esigenze di economia processuale e di ragionevole durata. Si tratta di un principio innovativo, che colma una lacuna esistente nel codice. In assenza di una normativa espressa, le Sezioni Unite hanno ritenuto applicabile all'udienza preliminare, mediante l'interpretazione analogica, l'art. 52 1 , comma 2, previsto per il dibattimento.
8.
n decreto che dispone il giudizio. TI decreto che dispone il giudizio è emesso nei casi nei quali il giudice del
l'udienza preliminare non pronuncia la sentenza di non luogo a procedere. L'articolo 429 non indica il quantum di prova necessario per il decreto che dispone il giudizio, che però si può ricavare a contrario dai criteri previsti per la sentenza di non luogo a procedere (art. 425) come modificati a seguito della legge n. 479 del 1 999. Pertanto, il giudice emette il decreto che dispone il giudizio quando gli elementi forniti dal pubblico ministero a sostegno della richiesta e le prove eventualmente raccolte nell'udienza preliminare appaiono idonee a sostenere l'accusa in giudizio. Secondo il più recente orientamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite, il giudice dell'udienza prelimi nare è chiamato ad una valutazione di merito che consiste in una prognosi sulla possibilità di successo dell'accusa nella fase dibattimentale (29) . (28) Ad awiso della giurisprudenza, non è accettabile che il giudice dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio: ciò comporterebbe una regressione del procedimento, con violazione del principio costituzionale della ragionevole durata (art. 1 1 1 , comma 2). (29) Secondo la tesi un tempo prevalente in dottrina, l'accusa è insostenibile in giudizio quando gli elementi acquisiti " sono inidonei ad evolvere attraverso l'istruzione dibattimentale". In seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 479 del 1999 all'udienza preliminare, ritieniamo condivisibile la differente tesi, prospettata dalla dottrina ed accolta dalla recente giurisprudenza, secondo la quale le decisioni che concludono l'udienza preliminare sono venute oggi a caratterizzarsi per la completezza del quadro probatorio di cui il giudice deve disporre e per il potenziamento dei poteri riconosciuti alle parti in materia di prova. In questo quadro, le valutazioni di merito affidate al giudice dell'udienza preliminare sono state private del connotato di sommarietà che le caratterizzava nel precedente assetto normativa e costituiscono un vero e
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n giudice può operare un "filtro" assai incisivo sulla richiesta di rinvio a giudizio. Se rimane un dubbio sulla attendibilità e credibilità degli elementi di accusa o se questi sono contraddittori, il giudice può respingere la richiesta perché in casi del genere il dibattimento appare superfluo ed, anzi, dannoso, in quanto sarà pronunciata una sentenza di assoluzione che, se confermata in sede di impugnazione, darà luogo al ne bis in idem. La decisione del giudice dell'udienza preliminare svolge oggi, in seguito alle modifiche legislative inter venute, una funzione di sfoltimento dei dibattimenti inutili. n decreto esprime una " decisione" , ma non è motivato in quanto il legislatore vuole evitare il pregiudizio che deriverebbe all'imputato ove un giudice prima del dibattimento affermasse l'attendibilità degli elementi di prova a carico. n decreto contiene « l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto » e delle circostanze, con l'indicazione dei relativi articoli di legge (art. 429, comma l , lett. c, mod. dalla legge n. 479 del l 999) ; « l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono » (art. 429, comma l , lett. d) (30). n decreto svolge altresì la funzione di citazione a giudizio in quanto convoca le parti per il dibattimento. n giudice precisa la data ed il luogo dell'udienza dibattimentale con l'avvertimento per l'imputato che, non compa rendo, sarà giudicato in contumacia (art. 429, comma l , lett. /) . n decreto deve essere notificato sia all'imputato contumace all'udienza preliminare, sia all'imputato ed alla persona offesa comunque non presenti alla lettura del decreto stesso. La notifica deve essere effettuata almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio (art. 429, comma 4, mod. dalla legge n. 144 del 2000) (3 1 ) . proprio << giudizio >> di merito sulla consistenza dell'accusa (così, Corte cost., 12 luglio 2002, n . 335; Cass., sez. un., 20 dicembre 2007, Battistella, in Guida dir. , 2008, 1 1 , 60, con nota di S. LoRusso). In giurisprudenza ci si è chiesti se il rinvio a giudizio renda inutile una successiva valutazione dei gra\-i indizi di colpevolezza posti a base di una misura cautelare, di modo. che il giudice non dovrebbe motivare sul punto. In argomento, si è espressa la C. cost., sent. 15 marzo 1996, n. 7 1 , in Giur. cast. , 1996, 669, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 309 e 3 10 c.p.p. ed ha affermato che il tribunale della libertà deve valutare comunque la sussistenza dei gravi indizi, indipendentemente dal fatto che sia stato disposto il rinvio a giudizio dell'imputato. Ad awiso del Giudice delle leggi tale valutazione risulta non necessaria << soltanto ove intervenga una decisione che in ogni caso contenga in sé una valutazione del merito, di incisività tale da assorbire l'apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza >>. Successivamente tale orientamento è stato ribadito da Cass., sez. un., 26 novembre 2002, Vottari, in Cass. pen. , 2003 , 396. (30) La giurisprudenza consente al giudice di formulare nel decreto di rinvio a giudizio << contestazioni alternative >>, quando la condotta dell'imputato richiede un approfondimento dell'attività dibattimentale per la definitiva qualificazione dei fatti contestati: v., tra le altre, Cass., sez. I, 25 giugno 1999, Gusinu, in Cass. pen., 2000, 2077. (3 1 ) La legge n. 479 del 1999 aveva previsto che il decreto fosse notificato esclusivamente all'imputato contumace. La disciplina era stata oggetto di accese critiche, poiché lasciava privo di tutela sia l'imputato che al momento della lettura del decreto fosse assente pur senza essere stato dichiarato contumace; sia la persona offesa che non si fosse costituita parte civile nell'udienza preliminare. L'offeso poteva così ignorare la data del dibattimento, sebbene l'accertamento della regolare costituzione delle parti in tale sede costituisse il termine ultimo per costituirsi parte civile.
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111.111.9
n fascicolo per il dibattimento ed il fascicolo del pubblico ministero.
Subito dopo aver emesso il decreto che dispone il giudizio, il giudice dell'udienza preliminare provvede a formare il fascicolo per il dibattimento ed il fascicolo del pubblico ministero « nel contraddittorio delle parti ». Ove una di esse ne faccia richiesta, il giudice deve fissare una apposita udienza « per la formazione del fascicolo » (art. 43 1 , comma l , mod. dalla legge n. 479 del
1 999). La distinzione tra i due fascicoli costituisce uno dei punti nodali del codice; essa deriva dalle due scelte fondamentali di riservare di regola al dibattimento la formazione della prova e di evitare che in tale sede il giudice venga in qualsiasi modo condizionato psichicamente dalla conoscenza degli atti di indagine assunti fuori del contraddittorio. n fascicolo per il dibattimento. n codice detta un elenco tassativo degli atti che debbono essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento. In sintesi, in tale fascicolo sono raccolti quegli atti, compiuti prima del dibattimento, che si sono formati nel contraddittorio delle parti o che sono nati fin dall'origine come "non ripetibili" (32 ) . In base all'art. 43 1 il fascicolo per il dibattimento contiene: a) gli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale ed all'esercizio dell'azione civile; b) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria; c) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dal pubblico ministero; d) i documenti acquisiti al l' estero mediante rogatoria internazionale ed i verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità; e) i verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio; j) i verbali degli atti assunti all'estero a seguito di rogatoria internazionale ai quali i difensori sono stati posti in grado di assistere e di (32) Secondo Cass., sez. un., 18 dicembre 2006, Greco, in Guida dir., 2007, n. 2, 86, occorre effettuare una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 43 1 alla luce dell'art. 1 1 1 che impone il contrad dittorio come regola per la formazione della prova e prevede come eccezionale il caso della accertata impossibilità di natura oggettiva. Con riferimento a quest'ultima situazione, una interpretazione costituzio nalmente orientata obbliga a delimitare gli atti acquisibili al fascicolo per il dibattimento alle sole ipotesi nelle quali << la rinnovazione sia effettivamente ed oggettivamente impossibile >>. Ad avviso della Corte ciò che attribuisce la natura della non ripetibilità ad un atto del pubblico ministero, del difensore o della polizia giudiziaria << è la caratteristica di non essere riproducibile in dibattimento >>; tale caratteristica ricorre soltanto allorché l'atto abbia quei requisiti << di genuinità e affidabilità che possono derivare soltanto da quell'attività di immediata percezione cristallizzata in un verbale che inevitabilmente andrebbe dispersa ove si attendesse il dibattimento ». Nella medesima sentenza la Cassazione ha affrontato il tema della utilizzabilità delle relazioni di servizio redatte dalla polizia giudiziaria ed ha affermato che tali atti si debbono considerare ripetibili (e quindi non utilizzabili) o irripetibili, e quindi utilizzabili ai sensi dell'art. 43 1 , a seconda dei contenuti, e cioè delle attività che descrivono, in base ai princìpi enunciati supra. Pertanto, se la polizia descrive lo stato di luoghi soggetti a modificazione, la relazione potrà entrare nel fascicolo; se la polizia si limita a descrivere una mera attività investigativa, come ad esempio un pedinamento, essa non sarà acquisibile. Al tempo stesso, dal punto di vista formale, occorre che la relazione non consista in una mera annotazione, bensì abbia la forma del verbale. In caso contrario, la relazione non potrà essere acquisita al fascicolo per il dibattimento, neppure se contiene la documentazione di atti non ripetibili.
III.III.9
L'udienza preliminare
575
esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana (33 ); g) il certificato generale del casellario giudiziale e gli altri documenti relativi al giudizio sulla personalità dell'imputato, dell'offeso e dei testimoni; h) il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custodite altrove. Il fascicolo per il dibattimento è conosciuto dal giudice (collegiale o singolo) ed, ovviamente, dalle parti; gli atti in esso contenuti, dopo essere stati letti nei tempi e con le forme previste dall'art. 5 1 1 , possono essere utilizzati ai fini della decisione (v. tav. 3 .3 .2 ) . n fascicolo del pubblico ministero. Il fascicolo del pubblico ministero ha un contenuto residuale: ai sensi dell'art. 433 vi sono raccolti gli atti « diversi » da quelli inseriti nel fascicolo per il dibattimento. Pertanto, nel fascicolo entra la documentazione di quegli atti compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria che siano ripetibili in dibattimento. Nel fascicolo in oggetto sono inseriti anche gli « atti acquisiti all'udienza preliminare, unitamente al verbale dell'udienza » (art. 433 , comma 1 ) . Infine, nel fascicolo del pubblico ministero confluisce anche il fascicolo del difensore. Tale fascicolo, nel corso delle indagini, è formato e conservato presso l'ufficio del giudice per le indagini preliminari e contiene quegli atti di investigazione difensiva, che il difensore abbia presentato direttamente al giudice (art. 3 91 -octies, comma 3 ) . Il fascicolo del pubblico ministero è conosciuto dalle parti (pubblico ministero e difensori) e non dal giudice del dibattimento. Di regola gli atti contenuti in questo fascicolo non possono essere letti (art. 5 14 ) e, quindi, non possono essere utilizzati per la decisione, salvo quanto previsto negli articoli
500, 503 , 5 12 , 5 12-bis, 5 13 , 5 14. L'acquisizione concordata di atti di indagine. In base al nuovo comma 2 dell'art. 43 1 « le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva ». Una volta inserito nel fascicolo per il dibattimento, il singolo atto può essere letto in base all'art. 5 1 1 e, in tal caso, diventa utilizzabile per la decisione. L'accordo è una forma di dialettica: le parti ritengono che l'elemento di prova, assunto nelle indagini pubbliche o private, possa essere utilizzato dal giudice. Ciò non comporta necessariamente che le parti rinuncino a sentire oralmente il dichiarante, anche se nella maggior parte dei casi questo sarà il probabile effetto dell'accordo. Accanto alla acquisizione concordata sostitutiva (le parti, col loro accordo, permettono al giudice di utilizzare l'atto di indagine e, al tempo stesso, non chiedono l'esame orale del dichiarante), ce ne può essere (33) La presente ipotesi, come quella prevista sub d, è stata introdotta dalla legge n. 479 del 1999, che ha cercato di conciliare il rispetto delle garanzie del contraddittorio e della difesa, con il principio di non dispersione degli elementi probatori.
576
Il procedimento ordinario
III.III. l O
un'altra di tipo aggiuntivo (almeno una delle parti presta il consenso all'utiliz zabilità dell'atto di indagine e si riserva il diritto di sentire oralmente il dichiarante nell'esame incrociato, esercitando il diritto alla prova spettantegli ai sensi dell'art. 1 90) (34). Sta di fatto che, comunque, le parti tramite accordo possono rinunciare in modo totale o parziale al contraddittorio per la forma zione della prova (di cui all'art. 1 1 1 comma 4 Cost.) perché lo ritengono superfluo nei limiti rispettivamente indicati (35). Tuttavia, il loro accordo non ha effetti totalmente dispositivi: ai sensi dell'art. 507 , comma l -bis il giudice, al termine dell'istruzione dibattimentale e se risulta assolutamente necessario, può disporre anche d'ufficio l'assunzione di mezzi di prova relativi agli atti acquisiti su accordo delle parti. In tal modo il giudice garantisce che le parti non possano arbitrariamente escludere quel contraddittorio che sia indispensabile per accertare i fatti (36).
10. L'impugnazione contro la sentenza di non luogo a procedere. La legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha eliminato la possibilità di proporre appello contro la sentenza di non luogo a procedere. L'unico rimedio è il ricorso per cassazione che, in quanto impugnazione, è sottoposto al principio di tassatività ( art. 568 comma 1 ) . TI rimedio è consentito soltanto nei casi previsti dal nuo\'o art. 428. Contro la sentenza di non luogo a procedere possono proporre ricorso per cassazione i seguenti soggetti: a) il procuratore della repubblica e il procuratore generale presso la corte di appello; b) l'imputato, ma non quando con sentenza sia stato dichiarato che il fatto
(34) In tal senso, sia pure con una affermazione apodittica, C. cost., 4-8 giugno 200 1 , n. 182, in Giur. cast. , 200 1 , 1 4 1 7 . Nel medesimo senso, anche C. cost., n. 184 del 2009, secondo cui gli accordi, che possono intervenire tra le parti in ordine alla formazione del fascicolo per il dibattimento, non escludono affatto il diritto di ciascuna di esse ad articolare pienamente i rispettivi mezzi di prova, secondo l'ordinario, ampio potere loro assegnato per la fase dibattimentale. Diversamente accade nel rito abbreviato, la cui peculiarità consiste proprio nel fatto di essere un modello alternativo al dibattimento che continua a fondarsi essenzial mente sul materiale raccolto nel corso delle indagini, a prescindere da qualsiasi meccanismo di tipo pattizio, e consente solo una limitata acquisizione di elementi integrativi, così da potersi configurare tuttora quale rito "a prova contratta". (35) li consenso può essere formulato dal difensore, non essendo necessario che sia prestato personalmente dalla parte privata; in tal senso Cass., sez. V, 1 1 novembre 2003 , Ricciardi, in Dir. giust., 2004, n. 16, 127. (36) L'istituto menzionato, che possiamo definire "acquisizione concordata", è ben distinto dal principio di non contestazione che opera nel processo civile su diritti disponibili. Nel processo civile le parti, che non contestano l'esistenza di un fatto, vincolano il giudice a ritenerlo esistente. Nel processo penale l'accordo ha per oggetto un elemento di prova che il giudice può utilizzare in dibattimento ma del quale può valutare la attendibilità e la credibilità.
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non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, poiché in tal caso non avrebbe l'interesse ad impugnare (37 ) ; c ) l a persona offesa non costituita parte civile « nei soli casi d i nullità previsti dall'art. 4 19, comma 7 », e cioè quando, ad esempio, è stata omessa nei suoi confronti la notifica dell'avviso dell'udienza preliminare; oppure l'avviso non le è stato notificato con un anticipo di almeno dieci giorni; in tal caso il ricorso è limitato ai motivi di cui alla lett. c) dell'art. 606; d) la persona offesa costituita parte civile. Si tratta di un'impugnazione proposta agli effetti penali. La legge richiede che il danneggiato rivesta altresì la qualifica di persona offesa dal reato: il danneggiato, che non sia anche titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, non è ritenuto dalla legge avere un interesse giuridicamente apprezzabile per esercitare il diritto di impugnazione (3 8) . Sul ricorso presentato dai soggetti sopra menzionati decide la corte di cassazione in camera di consiglio con le forme previste dall'art. 127. Rispetto all'omologo procedimento, previsto dall'art. 61 1 , vi è una differenza di rilievo: il pubblico ministero e i difensori delle parti possono essere presenti e conclu dere oralmente. La corte di cassazione, se accoglie il ricorso, pronuncia sentenza di annul lamento con rinvio al medesimo tribunale; l'udienza preliminare sarà svolta da un giudice differente da quello che ha emanato la sentenza impugnata (art. 623 comma l lett. d) . Il giudice si dovrà uniformare al principio di diritto affermato dalla corte di cassazione (art. 627 comma 3 ) (3 9). In alternativa, la corte di cassazione può pronunciare sentenza di inammis sibilità o di rigetto del ricorso; in tal modo, è confermata la sentenza di non luogo. Se la corte di cassazione rigetta il ricorso, se lo dichiara inammissibile o se le parti non hanno presentato ricorso, la sentenza di non luogo a procedere non diventa irrevocabile né passa in giudicato (a diffe-renza di quanto avviene per la sentenza pronunciata in dibattimento; art. 648). Si tratta di una sentenza emessa (3 7) Viceversa, porrebbe avere interesse ad impugnare una sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non costituisce il reato per carenza dell'elemento soggettivo, quando ha motivi per chiedere una sentenza che affermi che il fatto non sussiste. (38) Cass., sez. un. , 29 maggio 2008, Buraschi, ha affermato quanto segue. Il ricorso per cassazione della persona offesa costituita parte civile contro la sentenza di non luogo a procedere, emessa all'esito dell'udienza preliminare, è proposto agli effetti penali. La Corte, in caso di annullamento con rinvio, deve trasmettere gli atti al tribunale cui appartiene il giudice dell'udienza penale, che ha emesso la sentenza impugnata. Nello stesso senso, v. già Cass., sez. VI, 4 febbraio 29 maggio 2008, n. 2 1735, Vitellaro, in www.dirittoegiustizia.it, 7 giugno 2008: << il ricorso che oggi la persona offesa può attivare ai sensi dell'articolo 428 c.p.p. richiama, nei gradi ulteriori, la figura dell'azione penale privata, complementare a quella esercitata dal pubblico ministero >>. (39) La corte annulla senza rinvio se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se il reato è estinto o se l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita (art. 620, comma l lett. a). ·
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III.III. l l
" allo stato degli atti" : il pubblico ministero può in qualsiasi momento (ovvia mente, finché il reato non è prescritto) chiedere al giudice per le indagini preliminari la revoca della sentenza. 1 1 . La revoca della sentenza di non luogo a procedere. Legittimato a chiedere la revoca della sentenza di non luogo a procedere è soltanto il pubblico ministero. La revoca è chiesta all'ufficio del giudice per le indagini preliminari quando siano presenti nuove « fonti di prova » che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possano determinare il rinvio a giudizio (art. 434). Occorre segnalare che la richiesta d i revoca è sottoposta ad u n controllo più rigido rispetto alla richiesta di riapertura delle indagini successiva all'archivia zione (art. 4 14): infatti a seguito dell' archiviazione è sufficiente che il pubblico ministero adduca l'esigenza di nuove investigazioni. Viceversa, dopo la sentenza di non luogo a procedere la richiesta di revoca della stessa e di riapertura delle indagini è subordinata alla presenza di nuove fonti di prova. La "novità" richiesta dall'art. 434 può consistere sia nel fatto che la fonte di prova (persona o cosa) è stata individuata dopo la sentenza, sia nel fatto che l'elemento (ad esempio, una dichiarazione orale o scritta) non era stato acquisito in precedenza. n giudice per le indagini preliminari, se non dichiara inammissibile la richiesta, designa un difensore all'imputato che ne sia privo, fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso al pubblico ministero, all'imputato, al difensore e alla persona offesa (art. 435 , comma 3 ) . Le decisioni. Al termine dell'udienza, il giudice prende una delle seguenti decisioni: a) dichiara inammissibile o rigetta la richiesta del pubblico ministero; b) revoca la sentenza di non luogo a procedere e fissa l'udienza preliminare, ma soltanto quando il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio (art. 435 , comma 2 ) ; c) revoca la sentenza di non luogo a procedere e dispone la riapertura delle indagini, stabilendo un termine improrogabile non superiore a sei mesi (art. 436, comma 3 ) . Entro tale termine il pubblico ministero deve concludere le indagini; quindi potrà formulare la richiesta di rinvio a giudizio, ma potrà anche chiedere l'archiviazione.
CAPITOLO IV L 'INVESTIGAZIONE DIFENSIVA
SoMMARIO: Sez. I
-
Sistema processuale e investigazione difensiva. - l. n diritto di difendersi
mediante prove.
-
2. n fondamento costituzionale delle indagini difensive. - 3 . L'interesse
privato che connota le indagini difensive. - Sez. II difensiva.
-
4 . I soggetti dell'investigazione difensiva.
-
Casi e modi dell'investigazione
-
5. L 'intervista difensiva. - 6.
L'audizione della persona che si è avvalsa della facoltà di non rispondere. - 7 . La presentazione della documentazione difensiva. - 8. Le altre attività di investigazione difensiva. - 9. La consulenza tecnica privata fuori dei casi di perizia. - 10. Rilievi e accertamenti tecnici compiuti dal difensore. - 1 1 . Gli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dal difensore. - 12. Le modalità di utilizzazione degli atti di investigazione difensiva. - Sez. III - L'investigazione dt/ensiva e la legge sulla privacy. - 1 3 . n codice in materia di protezione dei dati personali. - 14. Le investigazioni difensive su dati personali "non sensibili" . - 1 5 . Le investigazioni difensive su dati personali "sensibili " .
SEZ. I
l.
-
SISTEMA
PROCESSUALE E INVESTIGAZIONE DIFENSIVA
n diritto di difendersi mediante prove.
La scelta del sistema accusatorio, effettuata dall'ordinamento italiano, ha comportato conseguenze rilevanti in ordine al potere di ricercare le fonti di prova. È noto infatti che in detto sistema il giudice non ha il potere di ricercare le prove; questo spetta unicamente alle parti. Par-imenti, il giudice non può. di regola, ammettere i mezzi di prova d'ufficio; al contrario, può farlo soltanto su iniziativa delle parti. Nel sistema accusatorio, in definitiva, la prova non è " del giudice" ; le prove sono " di parte" nel senso che in relazione ad esse le parti esercitano il potere di ricerca, di richiesta, di ammissione, di assunzione. Da ciò deriva che le parti (tutte le parti, sia quella pubblica, sia quelle private) hanno quello che è stato incisivamente definito " diritto alla prova" ( 1 ) . Hanno, cioè, il diritto di ricercare le prove sulle quali possono basare le proprie richieste, di valutare fino a che punto gli elementi raccolti possano essere utilizzati vantaggiosamente, di giu stificare al giudice la necessità che sia ammesso il relativo mezzo di prova, di (l)
G. VASSALLI, Il diritto alla prova nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1968, 12.
580
Il procedimento ordinario
III.IV.2
vagliare la credibilità della fonte e l'attendibilità dell'elemento di prova che sia stato acquisito. n diritto alla prova spetta sia al pubblico ministero, sia alle parti private. Per poter funzionare correttamente un sistema processuale di tipo accusatorio deve necessariamente consentire l'investigazione difensiva; e cioè deve permettere ai difensori delle parti private di ricercare le fonti, di acquisire gli elementi di prova e di presentarli al giudice. L'esperienza dimostra che gli ordinamenti, che hanno accolto sistemi processuali di tipo accusatorio, hanno riconosciuto al difensore il potere di compiere investigazioni. L'ordinamento italiano soltanto di recente è pervenuto ad una espressa disciplina legislativa delle investigazioni difensive (legge n. 3 97 del 2000) . n Legislatore si è mosso sull'onda della revisione costituzionale, che ha introdotto nell'art. 1 1 1 i princìpi del giusto processo.
2.
n fondamento costituzionale delle indagini difensive.
Prima di cimentarsi con l'evoluzione normativa delle indagini difensive, merita ricordare rapidamente i princìpi costituzionali che fanno da sfondo alla materia in esame. Occorre premettere che gli organi pubblici non sono in grado di svolgere le indagini necessarie a tutelare il diritto di difesa. Da un lato, essi sono oberati di lavoro; da un altro lato, in un processo di tipo dialettico non spetta a loro il compito di valutare quali elementi devono essere ricercati per accertare quei fatti, che la parte privata ha interesse a chiarire. In un sistema che accoglie la separazione delle funzioni, il difensore è l'organo che meglio di tutti può valutare, ad esempio, quali prove sono le più indicate per dimostrare l'esistenza di un fatto affermato da una parte privata e quali domande devono essere rivolte ad un testimone per chiarire se egli è attendibile. Il fondamento dell'investigazione difensiva penale è stato individuato da tempo nel diritto di difesa, che è riconosciuto dalla Costituzione come inviola bile in ogni stato e grado del procedimento (art. 24, comma 2 ) . Tra l'altro, occorre notare che mentre il diritto alla libertà personale, esso pure inviolabile, può essere limitato nel corso del procedimento penale, per contro, il diritto di difesa dell'imputato non viene meno neppure quando egli è sottoposto a custodia cautelare. Nella ricognizione del fondamento costituzionale delle investigazioni difen sive, occorre infine tenere conto dei nuovi enunciati introdotti nell'art. 1 1 1 dalla legge costituzionale n. 2 del 1999. Tra di essi, ve ne sono almeno due che interessano direttamente la tematica in oggetto. In primo luogo, l'espresso riconoscimento del principio di parità delle parti ( comma 2 ) . In secondo luogo, va ricordato il comma 3 nella parte in cui riconosce all'imputato il diritto di « disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa » .
III.IVJ
L'investigazione dz/ensiva
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li principio della parità delle parti deve essere accolto sulla base del criterio
di adeguatezza: il concetto deve adattarsi al tipo di processo (civile o penale) ed alla natura dell'interesse (pubblico o privato) che la singola parte persegue. Nel processo penale, infatti, occorre tenere conto della diversità istituzionale e sostanziale che intercorre tra il pubblico ministero e il difensore dell'imputato. Sebbene la norma sancisca il principio in oggetto con riferimento alla fase "processuale" , l'espressione deve essere intesa in senso atecnico. Pertanto anche nella fase delle indagini è prospettabile il perseguimento di una parità delle parti, sia pure tendenziale. In merito al secondo profilo, relativo al diritto dell'imputato di disporre delle " condizioni" necessarie alla sua difesa, è da ritenere che una disposizione del genere costituisca un vero e proprio riconoscimento costituzionale del diritto di svolgere tutte quelle investigazioni difensive, che sono legate da un immediato nesso funzionale con l'esercizio del diritto di difesa. Investigazioni che prescindono dal processo penale. Occorre non dimen ticare quelle indagini che prescindono dall'instaurazione di un successivo pro cesso penale o civile. Ad esempio, un genitore ha diritto di sapere se qualcuno cede droga al proprio figlio; oppure un privato ha la necessità di conoscere se la persona, con cui sta per concludere un contratto, è un soggetto affidabile o un farabutto. In tali casi le investigazioni si compiono proprio per evitare l'instaurazione di un successivo processo civile o penale. Vi è un bisogno privato di raccogliere informazioni, al quale gli organi pubblici non sono in grado di dare risposta, né spetta a loro svolgere tale compito (2) . Riteniamo che la presente materia trovi una garanzia nell'art. 2 della Costituzione. Esiste un diritto inviolabile della persona umana a svolgere indagini per tutelare un proprio diritto soggettivo; ad esempio il diritto del genitore, quale espressione della tutela della famiglia (art. 29 Cast. ) ; o il diritto di colui che intende esercitare un'attività economica privata, che è libera (art. 4 1 Cast.). Quanto meno i diritti costituzionalment'e garantiti in modo diretto o indiretto hanno bisogno di quell'aspetto "servente" che è l'indagine privata. Pertanto, quest'ultima è strumentale rispetto a diritti soggettivi di rilevanza costituzionale, anche a prescindere dalla instaurazione di un processo.
3.
L'interesse privato che connota le indagini difensive.
Come abbiamo anticipato, le investigazioni difensive soltanto recentemente sono state disciplinate nel testo del codice. La legge n. 3 97 del 2000 ha introdotto nel libro quinto un titolo VI-bis dedicato alla materia in esame.
(2) 19
P. CoRSo, La tutela dei dati privati nell'investigazione dzfensiva, in Dir. pen. proc., 1 998, 154.
5 82
Il procedimento ordinario
III.IV.3
Occorre precisare che la regolamentazione, apportata dalla legge n. 3 97 del 2000, non è esaustiva. Essa deve essere completata sulla base delle Regole di comportamento approvate dalle Camere penali il 14 luglio 2001 e modificate il 1 9 gennaio 2007 . Tali regole hanno un valore convenzionale, e cioè sono vincolanti soltanto per gli avvocati che sono iscritti alle Camere penali. Successivamente, il 26 ottobre 2002 il Consiglio nazionale forense ha apportato alcune modifiche al Codice deontologico (in Foro it. , 2003 , 248), tra le quali spicca una dettagliata disciplina dello svolgimento delle investigazioni difensive (art. 52), in buona parte ispirata a quella in precedenza formulata dalle Camere penali. La violazione del Codice deontologico forense costituisce un illecito disciplinare sanzionabile dai consigli dell'ordine degli avvocati. E ancora. Il codice della privacy ( d.lgs. n. 1 96 del 2003 ) ha introdotto deroghe alle comuni norme che regolano il trattamento dei dati personali, quando questi sono raccolti nel corso di investigazioni difensive penali. Succes sivamente, il Garante per" la privacy ha promosso la elaborazione di un Codice
di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato per svolgere investigazioni difensive (in G.U. n . 275 del 24 novembre 2008) in cui sono fornite indicazioni di dettaglio circa l'applicazione della normativa in materia eli trattamento dei dati personali nel settore delle investigazioni forensi. La fìnalità delle investigazioni difensive. La finalità delle investigazioni difensive è descritta dall'art. 327 -bis. La norma appare collocata in una posi zione " strategica" : subito dopo la disposizione relativa alla direzione delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero (art. 327) e immediata mente prima dell'art. 328, che concerne il ruolo del giudice per le indagini preliminari. Il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni « per ricercare ed indivi duare elementi di prova a favore del proprio assistito » (art. 327 -bis) ; pertanto, si tratta di attività compiute per un interesse di tipo privato da un libero professionista. Nel sistema accusatorio il difensore è un antagonista dell'accusa all'interno di un processo dialettico; non ha l'obbligo di collaborare nella ricerca della verità contro il proprio assistito. Un limite sta nel fatto che il difensore non può introdurre nel processo prove che sa essere false né può disperdere o nascondere le prove (art. 14.1 del Codice deontologico forense, in Foro it., 2003 , I, 250) . Ove lo faccia, egli rischia l'incriminazione per il delitto di favoreggia mento personale (art. 378 c.p.) o per altri reati specifici. L'investigazione difensiva costituisce al tempo stesso un diritto e un dovere dell'avvocato. È un diritto nei rapporti con l'autorità giudiziaria, che deve permetterne la libera esplicazione; è un dovere nei rapporti con il cliente, in quanto l'attività difensiva può richiedere, per essere efficace, che vengano svolte indagini. Sul " dovere " di investigazione difensiva le Regole di comportamento elabo rate dalle Camere penali (art. 3) e le modifiche al Codice deontologico forense
III.IVJ
L'investigazione dz/ensiva
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(art. 52) hanno eliminato ogni dubbio (3 ) . Ciò comporta che viola i propri doveri quel difensore che non si pone il problema della necessità di un'attività di indagine e non la segnala al cliente, sia esso l'indagato o la persona offesa dal reato. Ovviamente, se il cliente non intende aderire all'invito dell'avvocato, questi può soltanto accettare tale scelta o rinunciare al mandato. La differente regolamentazione delle investigazioni pubbliche e private. Vi sono differenze nella regolamentazione delle indagini svolte, da un lato, dal pubblico ministero e, da un altro lato, dal difensore. Il ragionamento deve essere condotto sul piano dei princìpi generali. Il pubblico ministero si configura durante le indagini come una parte "potenziale" , che nella sua caratterizzazione "pubblica" ha un obbligo di lealtà processuale. Ai sensi dell'art. 358 egli deve svolgere « altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini »; e ciò è tenuto a fare sia nell'interesse della Giustizia, sia nel suo interesse di parte che potrebbe vedere respinta la propria domanda, ove tali fatti fossero successivamente accertati di fronte al giudice (4). Diversa da quella del pubblico ministero è la posizione del difensore delle parti private. Tale soggetto ha un dovere di correttezza, ma non ha l'obbligo di ricercare e di presentare al giudice gli elementi sfavorevoli alla parte assistita. La differenza fondamentale rispetto al pubblico ministero sta nel fatto che il difensore collabora all'accertamento della verità limitandosi a presentare gli elementi a favore del cliente. Egli persegue un interesse privato e non pubblico; pertanto resta libero di valutare se un elemento di prova è "favorevole" rispetto alla richiesta che intende rivolgere al giudice. Il codice tiene conto della differente qualificazione dei soggetti nel mo mento in cui detta la regolamentazione delle indagini preliminari e delle investigazioni difensive. Nel condurre indagini su di una notizia di reato il pubblico ministero gode di poteri coercitivi sulle persone e cose, anche se di regola è previsto in vario modo un controllo da parte del giudice. La pubblica accusa può disporre perquisizioni e sequestri probatori sul presupposto che vi sono indizi del compimento di un reato; può anche disporre il fermo di una persona grave-
(3) Art. 3 , Regole deontologiche: « Il difensore, fin dal momento dell'incarico e successivamente fino alla sua conclusione, ha il dovere di valutare, in relazione alle esigenze e agli obiettivi della difesa, la necessità o l'opportunità di svolgere investigazioni ( . . . ) >>. Art. 52.!, n. 2, Codice deontologico: « ( . . . ) il difensore ha il dovere di valutare la necessità o l'opportunità di svolgere investigazioni difensive in relazione alle esigenze e agli obiettivi della difesa in favore del proprio assistito >>. (4) Secondo la sentenza della Corte cast. n. 96 del l997, in Cass. pen., 1997, 2408, gli accertamenti in favore della persona sottoposta alle indagini sono funzionali esclusivamente << al fine di evitare l'instaurazione di un processo superfluo >>. La stessa Corte in una sentenza più risalente (n. 88 del l991) aveva ricondotto l'ipotesi in parola all'obbligo di "completezza" delle indagini.
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Il procedimento ordinario
III.IV.4
mente indiziata. Infine, il pubblico ministero deve depositare nel fascicolo tutti i verbali delle indagini compiute (art. 415-bis e 4 16) . Viceversa, il difensore che conduce una investigazione è un soggetto privato con l'obbligo, sanzionato disciplinarmente e penalmente, di ricercare e far conoscere al giudice soltanto quegli elementi che sono « a favore del proprio assistito » (art. 327-bzs). I poteri di indagine spettanti ai difensori dell'indagato e della persona offesa differiscono da quelli spettanti agli inquirenti pubblici. I difensori, mentre svolgono investigazioni private, non hanno poteri coercitivi; perciò possono raccogliere informazioni finché il titolare di un diritto lo consente. In caso di dissenso, il difensore può unicamente rivolgersi alla autorità giudiziaria al fine di ottenere il riconoscimento del proprio diritto alla prova mediante l'esercizio di un potere coercitivo da parte, secondo i casi, del giudice o del pubblico ministero. S EZ. II - C ASI 4.
' E MODI DELL INVESTIGAZIONE DIFENSIVA
I soggetti dell'investigazione difensiva.
n difensore. Ai sensi dell'art. 327-bis il titolare del potere di svolgere investigazioni difensive è il difensore. La titolarità deriva dal conferimento stesso dell'incarico professionale, purché questo risulti da un atto scritto (5 ) . Il potere di investigazione è riconosciuto dalla legge in ogni stato e grado del procedimento, nel corso dell'esecuzione penale o per promuovere il giudizio di revisione (art. 327 -bis, comma 2 ) . Ulteriori disposizioni consentono il compi mento di investigazioni suppletive dopo il decreto che dispone il giudizio (art. 430 comma 1 ) . L'attività investigativa preventiva. Una rilevante novità, dovuta alla legge n. 3 97 del 2000, è costituita dall'espresso riconoscimento della legittimità dell'at tività investigativa c.d. "preventiva " e cioè svolta « per l'eventualità che si instauri un procedimento penale » (art. 3 9 1 -nonies) . In tal caso, la nomina deve essere effettuata mediante un mandato con sottoscrizione autenticata, recante l'indicazione dei fatti ai quali si riferisce (art. 391 -nonies, comma 2) (6). Il mandato ha, tra l'altro, la funzione di tutelare il difensore nei suoi rapporti con l'autorità giudiziaria e con il cliente. Le parti private potenziali (che potrebbero (5) L'atto scritto non deve necessariamente provenire dal cliente: a tal fine, è atto scritto anche l' awiso di cui all'art. 369-bis contenente la nomina del difensore d'ufficio, oppure il verbale d'udienza con nomina ex art. 97, comma 4 . (6) L'art. 2 , comma 2 delle Regole d i comportamento del penalista precisa, owiamente i n riferimento al difensore del possibile indagato, che i "fatti" devono essere indicati in modo sintetico « al solo fine della individuazione dell'oggetto di tale attività, con esclusione di ogni riferimento ad ipotesi di reato >>. Sugli aspetti problematici della materia, v. P. GATTO, Le investigazioni preventive del difensore, Milano, 2003 , 126.
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diventare indagato o offeso) possono incaricare il difensore anche prima che la notizia di reato sia iscritta nel registro (art. 335 ) . Dal punto di vista sostanziale, occorre considerare che ad una persona può derivare un pregiudizio irrimedia bile per il solo fatto che sia presentata una denuncia o che un altro imputato abbia fatto una chiamata in correità. Da ciò deriva la necessità che il difensore dell'interessato proceda ad indagini per sostenere la propria versione dei fatti. Analogo potere spetta alla persona offesa. In sede di indagini preventive il difensore ha facoltà di svolgere gli atti disciplinati dal codice, fatti salvi quelli che richiedono l'autorizzazione o l'intervento dell'autorità giudiziaria (art. 3 9 1 -nonies, comma l ) (7) . n sostituto. L a titolarità del potere di indagine riconosciuto dall'art. 327 -bis spetta unicamente al difensore. Tuttavia, il legislatore ha tenuto conto dell'ovvio rilievo che quest'ultimo non può occuparsi personalmente di tutte le indagini relative ai vari procedimenti che gli sono affidati. Di conseguenza, ha previsto la possibilità che le attività di investigazione siano svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e da consulenti tecnici (art. 327 -bis, comma 3 ) . Costoro possono compiere investigazioni su « incarico » del difensore che, pertanto, resta il titolare esclusivo del relativo potere investigativo. L'investigatore privato autorizzato. L'art. 222 delle disposizioni di attua zione del codice di procedura penale delinea la figura dell'investigatore privato « autorizzato », alla quale fa generico riferimento l'art. 327 -bis. L'autorizzazione di cui all'art. 222, comma l si configura come una ulteriore autorizzazione concessa dal prefetto a colui che è già "investigatore privato" , e cioè ha in precedenza ottenuto la licenza di cui all'art. 134 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S. ) approvato con r.d. 18 giugno 1 93 1 , n. 773 e successive modifiche. Differenti sono i presupposti dei due atti. La " licenza" accerta, tra l'altro, la « capacità tecnica ai servizi » che l'investigatore è chiamato a svolgere (art. · 136 T.U.L.P.S.). Viceversa, la " autorizzazione" alle indagini difensive è con cessa « agli investigatori che abbiano maturato una specifica esperienza profes sionale che garantisca il corretto esercizio dell'attività » (art. 222, comma l disp. att.). L'investigatore privato " autorizzato" a compiere indagini difensive è obbli gato a tenere un registro che si differenzia in più aspetti da quello tenuto dall'investigatore privato "generico" . In primo luogo, devono essere annotate le (7) Tale disposizione ha senza dubbio un senso in quanto, prima dell'inizio formale di un procedi mento, manca del tutto una autorità giudiziaria alla quale fare riferimento; tuttavia, l'effetto di tale disposizione relega le indagini difensive preprocessuali alla spontanea collaborazione dei terzi, con ciò in pratica annullando tutte le più significative innovazioni della disciplina. Per << intervento >> si deve intendere soltanto quello "richiesto" mediante un preavviso; pertanto sono consentiti gli accessi ai luoghi pubblici dei quali tratteremo infra.
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generalità del difensore committente, e non del cliente (art. 222, comma 2, lettera a disp. att.). I n secondo luogo, deve essere precisata la « specie degli atti investigativi richiesti », e non il tipo di affare o di operazione (lettera b). In terzo luogo, deve essere indicata la « durata delle indagini, determinata al momento del conferimento dell'incarico », e non l'esito dell'operazione (lettera c) . In base all'art. 222, comma 3 disp. att., agli investigatori " autorizzati" non è imposto l'obbligo (al quale invece sono tenuti gli investigatori "generici" ) di « aderire a tutte le richieste ad essi rivolte dagli ufficiali o dagli agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria » (art. 139 T.U.L.P.S.). n segreto professionale dell'investigatore privato autorizzato. Soltanto l'investigatore privato " autorizzato" può opporre all'autorità il segreto profes sionale di cui all'art. 200, comma l , lett. b c.p.p., mod. dalla legge n. 397 del 2000; egli, cioè, non può essere obbligato a deporre su quanto ha conosciuto per ragione della propria professione. In tal modo egli è parificato all'avvocato, al suo sostituto ed al consulente tecnico. La legge n. 3 97 ha concesso un ulteriore privilegio in favore dell'investiga tore privato autorizzato. A tale soggetto sono state estese quelle garanzie che l'art. 1 03 prevede in favore del difensore e del consulente tecnico. Di conse guenza, vi sono restrizioni nella possibilità sia di procedere a sequestro presso l'investigatore privato, sia di intercettare le conversazioni e comunicazioni effettuate da tale soggetto. Merita precisare che la garanzia non è stata ricono sciuta in modo generalizzato, bensì soltanto agli investigatori « incaricati in relazione al procedimento ». n divieto è finalizzato ad evitare che le garanzie di libertà del difensore siano aggirate mediante intercettazioni di informazioni o sequestri di materiale difensivo presso gli investigatori privati. n nuovo comma 4 dell'art. 222 disp. att. precisa altresì che, a tal fine, il difensore deve comunicare il conferimento dell'incarico all'autorità giudiziaria procedente. I soggetti legittimati a svolgere l'intervista. Di regola, il difensore ha facoltà di delegare ai suoi ausiliari (consulenti ed investigatori) tutte le attività di investigazione difensiva. Un limite è desumibile implicitamente dall'art. 3 9 1 -bis, relativo all'intervista: mentre anche gli ausiliari possono conferire in modo informale con le persone informate sui fatti, soltanto il difensore ed il suo sostituto hanno la facoltà di assumere informazioni o ricevere dichiarazioni scritte da tali persone (art. 3 9 1 -bis, comma 2 ) . Anche negli ordinamenti che hanno sperimentato d a tempo l'indagine difensiva si consiglia di riservare l'intervista al difensore; viceversa i suoi ausiliari sono più indicati per fare indagini fuori dallo studio al fine di individuare elementi di prova o persone informate dei fatti. In favore di una simile soluzione, che avevamo proposto a suo tempo (8), militano le seguenti ragioni. (8) P. ToNINI, L'attività di investigazione privata nel nuovo processo penale, in AA.Vv., L'investigazione privata nel nuovo processo penale, Padova, 1 989, 27 1 .
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In primo luogo, l'avvocato è meglio attrezzato dal punto di vista giuridico a condurre l'intervista; egli conosce l'addebito mosso dall'accusa ed è, quindi, il più adatto a valutare gli elementi che possono giovare alla linea difensiva prescelta. In secondo luogo, l'avvocato è il soggetto più idoneo a ricavare informa zioni dal contatto personale con la persona informata dei fatti. All'intervistatore il possibile testimone rende noti una molteplicità di elementi che possono, o meno, essere rilevanti. " Investigare" vuol dire soprattutto "selezionare" , fra tanti, quei soli elementi che siano utili per la posizione del cliente al fine di orientare su di essi le ulteriori ricerche. L'avvocato conosce bene l'oggetto del processo penale ed è in grado di operare una selezione in modo utile. C'è da tenere presente anche un altro aspetto del problema. Non sempre il cliente è disposto a raccontare la verità e ad ammettere le proprie responsabilità; se lo fa, la confidenza è limitata al difensore, che viene espressamente vincolato al segreto professionale. Può accadere che l'ausiliario non conosca tutte le notlZle riservate. Egli deve operare nei limiti ristretti che sono precisati dal difensore; se va oltre le direttive, rischia di danneggiare la linea difensiva prescelta. Per i motivi esposti, l'avvocato di regola non dovrebbe delegare l'intervista ad altri. La legge consente la delega al sostituto: può darsi che le difficoltà del caso concreto impongano una soluzione del genere, pienamente legittima. Ma nei casi ordinari l'avvocato dovrebbe procedere personalmente all'intervista. Viceversa, gli ausiliari sono indispensabili, come abbiamo accennato, per repe rire tutte le altre informazioni con metodi che richiedono una specifica profes sionalità. Investigazioni tipiche e atipiche. Merita precisare che l'art. 327 -bis ricono sce al difensore il potere di svolgere indagini nelle forme disciplinate dal titolo relativo alle investigazioni difensive: si tratta di una serie di attività tipiche, specificamente disciplinate dalla legge. Le investigazioni " tipiche" consistono. ad esempio, nell'intervista a persone informate e negli altri atti che sono regolati dal codice e dei quali tratteremo nelle pagine successive. Tuttavia, non è esclusa quella facoltà, insita nel diritto di difendersi provando, che consiste nello svolgere investigazioni anche mediante atti atipici, come pedinamenti, registra zioni di colloqui in luoghi pubblici, conversazioni informali mediante telefono, ecc. L'indagine atipica dovrebbe spettare di regola all'investigatore privato. Quest'ultimo, per condurre un'indagine efficace, è costretto ad agire "a sor presa" e con ampia libertà di forme. Può essere costretto a "camuffarsi" al fine di ricercare ed individuare fonti di prova altrimenti non reperibili; può usare quello che è stato definito "l'inganno buono" e che è legittimo nei limiti in cui non attenti alle libertà altrui. Le esigenze concrete possono giustificare regole di comportamento molto più libere di quelle che sono imposte all'avvocato.
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Pertanto, questi tendenzialmente delegherà ai suoi ausiliari le investigazioni atipiche. Le regole deontologiche delle Camere penali consentono al difensore di comunicare ai suoi ausiliari notizie riservate con l'obbligo di mantenere su di esse il segreto professionale. La comunicazione agli ausiliari costituisce un dovere in relazione alle notizie che sono necessarie per la loro attività (9).
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L'intervista difensiva.
a) La disciplina generale. L'intervista di possibili testimoni e di indagati connessi è il più importante tra gli atti di indagine ( 1 0) . L'art. 3 9 1 -bis disciplina tre distinte modalità di acquisizione e prevede un nucleo di disposizioni comuni a tutte le ipotesi (v. tav. 3 .4. 1 ) . Le modalità consistono nello svolgimento di un colloquio non documentato; nell'assunzione di informazioni da verbalizzare; nel rilascio di una dichiarazion� scritta. Come abbiamo accennato, il colloquio informale può essere svolto sia dal difensore, sia dai suoi ausiliari; viceversa, le informazioni e le dichiarazioni possono essere acquisite (e cioè verbalizzate o recepite per scritto) soltanto dal difensore e dal suo sostituto. L'art. 3 9 1 -bis esclude dall'intervista alcune persone che sono incompatibili con la qualifica di teste. Si tratta del responsabile civile, del civilmente obbligato per la pena pecuniaria, del giudice, del pubblico ministero e dei loro ausiliari, nonché i difensori e i loro ausiliari che abbiano svolto o verbalizzato altre interviste nel medesimo procedimento (art. 197, comma l , lett. c e d) ( 1 1 ) . (9) L'art. 4 , comma 4 delle Regole di comportamento del penalista precisa che << ai fini dell'esercizio dell'incarico il difensore dà ai sostituti e agli ausiliari le informazioni necessarie e può fornire a essi, anche nell'ipotesi di segretazione dell'atto, copie di atti e documenti, in ogni caso con vincolo di segreto » . L'art. 52.1, n. 4 del Codice deontologico forense stabilisce che << quando si avvale di sostituti, collaboratori di studio, investigatori privati autorizzati e consulenti tecnici, il difensore può fornire agli stessi tutte le informazioni e i documenti necessari per l'espletamento dell'incarico, anche nella ipotesi di intervenuta segretazione degli atti, raccomandando il vincolo del segreto, e l'obbligo di comunicare i risultati esclusivamente al difensore >>. (lO) Merita sottolineare che la legge sulle investigazioni difensive aveva lo scopo di permettere anche alla difesa, mediante l'istituto delle contestazioni, di precostituire una prova positiva; oggi, tuttavia, le nuove disposizioni probatorie, introdotte dalla legge n. 63 del 2001, di regola vietano di utilizzare come prova del fatto le precedenti dichiarazioni che siano state contestate nel corso dell'esame incrociato. Pertanto i pesanti incombenti formali, previsti per lo svolgimento dell'intervista difensiva, ne hanno ridotto l'appetibilità. Infatti, le dichiarazioni assunte dal difensore sono utilizzabili ai fini delle misure cautelari o dei riti alternativi, oppure, in dibattimento, di regola per mettere in crisi la credibilità del dichiarante. La legge n. 397 del 2000 ha però avuto il pregio di non limitarsi alla asfittica logica iniziale, ma di andare oltre introducendo una serie di previsioni che consentono finalmente alla difesa di superare la mancata collaborazione dei terzi allo svolgimento delle indagini. ( 1 1 ) L'art. 1 1 delle Regole di comportamento del penalista fa divieto al difensore di svolgere l'intervista nei confronti della persona assistita. Occorre, inoltre, precisare che il difensore ha diffi coltà ad ottenere dichiarazioni da imputati che siano collaboratori di Giustizia. Infatti, ai sensi dell'art. 12, decreto legge n. 8 del l 99 1 , mod. dall'art. 5 legge n. 45
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Gli avvisi. In ogni caso, prima che il colloquio abbia inizio (in una delle tre forme sopra dette) il difensore o il suo ausiliario deve avvertire la persona intervistata, a pena di inutilizzabilità dell'atto (art. 3 9 1 -bis, comma 3 ) : a ) della propria qualità e dello scopo del colloquio; b) se intende semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di docu mentazione; c) dell'obbligo di dichiarare se è sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; d) della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente rivoltegli dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date; /) delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione. Dagli avvisi, che devono essere dati, si ricava che la persona intervistata ha la facoltà di non rispondere. Tuttavia, se il possibile testimone decide di rendere dichiarazioni, egli assume l'obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. All'uopo, la legge n. 3 97 del 2000 ha introdotto nel codice penale il nuovo art. 371 -ter che punisce con la reclusione fino a quattro anni le false dichiarazioni al difensore ( 12 ) (v. tav. 3 .4.7 ) . n divieto di rivelare le domande rivolte dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero. Come abbiamo accennato, le persone sono altresì avvertite del divieto di rivelare le domande formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date. Anche in tal caso è stata introdotta una apposita sanzione penale. L'art. 379-bis c.p. punisce chiunque rivela indebita mente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento (v. tav. 3 .4.4) . La del 2001, al momento della sottoscrizione delle speciali misure di protezione predisposte nel loro interesse, i collaboratori di Giustizia si impegnano a << non rilasciare a soggetti diversi dalla autorità giudiziaria, dalle forze di polizia e dal proprio difensore dichiarazioni concernenti farti comunque di interesse per i procedi menti in relazione ai quali hanno prestato o prestano la loro collaborazione ed a non incontrare né a contattare, con qualunque mezzo o tramite, alcuna persona dedita al crimine, né, salvo autorizzazione dell'autorità giudiziaria quando ricorrano gravi esigenze inerenti alla vita familiare, alcuna delle persone che collaborano con la giustizia ». ( 12) Si tratta di una disposizione ben diversa da quella che disciplina le false informazioni al pubblico ministero (art. 371-bis). In proposito merita effettuare alcune precisazioni. In primo luogo, occorre sottoli neare che il possibile testimone di fronte al difensore ha facoltà di non rispondere, mentre di fronte al pubblico ministero il silenzio è punito a titolo di reticenza. In secondo luogo, è necessario precisare quale è l'ampiezza del diritto al silenzio del possibile testimone di fronte al difensore. A nostro awiso, la "facoltà di non rispondere" consiste sia nel diritto al silenzio totale e cioè nel rifiuto dell'intervista; sia nel diritto al silenzio parziale e cioè nella facoltà di non rispondere a singole domande. Infine, occorre precisare che il delitto di false informazioni è punibile soltanto quando è commesso dal possibile testimone. Infatti, in relazione a tale fattispecie incriminatrice l'imputato connesso o collegato è coperto dalla causa di non punibilità stabilita dall'art. 384 c.p., così come all'uopo modificato dalla legge n. 397.
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disciplina si completa con un divieto speculare, posto in capo al difensore, il quale non può richiedere alle persone già sentite dalla polizia o dal pubblico ministero notizie sulle domande formulate o sulle risposte date. L'eventuale inosservanza, oltre a rilevare sul piano deontologico, comporta l'inutilizzabilità delle dichiarazioni ottenute (art. 3 9 1-bis comma 6) . L'intervista dell'imputato connesso o collegato. È prevista inoltre una disciplina speciale per l'intervista di persone indagate o imputate nel medesimo procedimento o in procedimento connesso o collegato. L'atto, a pena di inutilizzabilità, deve svolgersi con la necessaria presenza del difensore dell'in tervistato, che è preavvisato almeno ventiquattro ore prima (art. 3 9 1 -bis, comma 5 ) . Se la persona è priva di difensore, colui che vuole procedere all'intervista deve chiedere al giudice di disporre la nomina di un difensore di ufficio ( 1 3 ) . Una norma di chiusura (l'art. 3 9 1 -bis, comma 6) stabilisce che l'inosser vanza delle disposizioni generali, appena esposte, comporta l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nell'intervista (14). Tale violazione costituisce inoltre illecito disciplinare ed è comunicata dal giudice che procede al consiglio nazionale forense per gli opportuni provvedimenti. L'ultima regola generale è prevista dal comma 7 e concerne le modalità con le quali può procedersi all'intervista di un detenuto. n difensore deve munirsi di specifica autorizzazione da parte di quel giudice che procede nei confronti della persona ristretta nella sua libertà (art. 3 9 1 -bis, comma 7 ) ( 15 ) . ( 13 ) L e Regole di comportamento del penalista impongono al soggetto che svolge l'intervista una serie ulteriore di awertimenti. Ai sensi dell'art. 9, il difensore, o l'ausiliario, deve invitare le persone interpellate << a dichiarare se si trovano in una delle situazioni di incompatibilità previste dall'articolo 197 comma l, lettere c e d del codice di procedura penale >> (comma 2 ) ; deve informare le persone interpellate che << se si awarranno della facoltà di non rispondere, potranno essere chiamate ad una audizione davanti al pubblico ministero owero a rendere un esame testimoniate davanti al giudice, ove saranno tenute a rispondere anche alle domande del difensore » (comma 3 ) Se si tratta di persone sottoposte a indagine o imputate nello stesso procedimento o in altro procedimento connesso o collegato ai sensi dell'articolo 2 10, il difensore le awisa che « se si awarranno della facoltà di non rispondere, potranno essere chiamate a rendere esame davanti al giudice in incidente probatorio » (comma 4 ) . Infine, il comma 6 dell'art. 9 stabilisce che << i soggetti della difesa possono altresì ricordare che ogni persona può utilmente concorrere alla ricostruzione dei fatti e all'accer tamento della verità in un procedimento penale anche rendendo dichiarazioni al difensore ». Le Regole di comportamento del penalista impongono al difensore, che intervista i prossimi congiunti di un imputato o di una persona sottoposta alle indagini, di avvisarli << che, anche in ragione di tale rapporto, hanno facoltà di astenersi dal rispondere o dal rendere la dichiarazione nei casi previsti dalla legge » (comma 5 ) . La S.C. ha affermato che l'awertimento è necessario a pena di nullità, poiché è ricavabile in via interpretativa dall'art. 199 del codice. Così Cass., sez. III, 6 ottobre 2009, n. 46682, T.: << L'awiso ai prossimi congiunti dell'imputato in ordine alla facoltà degli stessi di astenersi dal testimoniare va loro rivolto, a pena di nullità, anche in sede di sommarie informazioni rese al difensore ex art. 3 9 1 bis c.p.p. ». ( 1 4 ) Per una applicazione, v. Cass., sez. I, 5 novembre 2003, Drozdzik, in Giust. pen., 2004, III, 628. ( 15 ) Ai sensi dell'art. lO delle Regole di comportamento del penalista << per conferire, chiedere e ricevere dichiarazioni scritte o assumere informazioni da documentare dalla persona offesa dal reato i soggetti della difesa procedono mediante un invito scritto >> (comma l ) ; se la persona offesa è assistita da un difensore, << a costui è dato avviso almeno ventiquattro ore prima. Se non risulta assistita da un difensore, nell'invito è indicata l'opportunità che comunque un difensore sia consultato e intervenga all'atto >> (comma 2). Nel caso di persona minore, << l'invito è comunicato anche a chi esercita la potestà dei genitori, con l'awiso della facoltà .
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b) n colloquio non documentato. La prima modalità dell'intervista consiste nello svolgimento di un colloquio non documentato. Si tratta di un atto che può essere compiuto anche dagli ausiliari del difensore (consulente tecnico, investi gatore privato autorizzato) . Di regola il colloquio è finalizzato a vagliare il possibile testimone (o altro dichiarante) allo scopo di verificare quali sono i fatti che conosce e se egli può fornire elementi di prova a favore della persona assistita dal difensore (art. 327-bis) . Il colloquio è pertanto funzionale ad una eventuale assunzione di informazioni oppure alla richiesta di una dichiarazione scritta. Il fatto che il colloquio non sia documentato rappresenta una garanzia per il difensore, che può effettuare il suo vaglio preliminare con notevole libertà ( 16). Sottolineiamo u n aspetto interessante: il codice riconosce anche agli ausi liari del difensore la facoltà di effettuare il colloquio; probabilmente ciò è dovuto al rilievo, di tipo pratico, che le attività preliminari saranno di regola delegate a tali soggetti. Distinta dal " colloquio " , destinato a valutare l'opportunità di acquisire dichiarazioni, è l'attività atipica che viene svolta ordinariamente dall'investiga tore e dal consulente al fine di ricercare e individuare le fonti di prova. Tale attività costituisce espressione di una libertà costituzionale e sfugge per defini zione alle forme disciplinate dall'art. 3 9 1 -bis ( 17). c) L'assunzione di informazioni e la relativa verbalizzazione. L'assunzione di informazioni costituisce il modello principale di intervista. Il codice non precisa in dettaglio la modalità di svolgimento dell'atto. Di regola il difensore potrà chiedere al possibile testimone di narrare liberamente quanto è a sua conoscenza, oppure può condurre l'intervista formulando domande. È anche possibile che la narrazione sia guidata dalle domande di colui che conduce l'intervista. Le informazioni debbono essere verbalizzate dal difensore o dal sostituto secondo le regole generali di documentazione degli atti del procedimento penale « in quanto applicabili » (art. 3 9 1 -ter, comma 3 ) ( 1 8 ) . Il codice precisa di intervenire all'atto >> (comma 3 ) . Disposizioni identiche si trovano all'art. 52 .I, n. 12 del Codice deontologico. ( 16) Non manca in dottrina chi ha affermato che tale garanzia determina una disparità di trattamento rispetto al pubblico ministero ed alla polizia giudiziaria, che sono sempre tenuti a verbalizzare qualunque colloquio intrattengano con le persone informate sui fatti (M. MADDALENA, Le indagini difensive, dall'obiettivo della parità tra le parti alla prospettiva del disastro processuale, in www. dirittoegiustizia.it). L'Autore paventa il rischio di accordi preventivi tra dichiarante e difensore sulle dichiarazioni oggetto dell'intervista, con possibili rischi di falsificazione della prova. ( 17) Argomenti in tal senso si ricavano dall'art. 8 comma l delle Regole di comportamento delpenalista: << li difensore, il sostituto e gli ausiliari incaricati procedono senza formalità alla individuazione delle persone che possono riferire circostanze utili alle investigazioni difensive. In ogni caso, nello svolgimento dell'attività di individuazione di tali persone, informano sempre le persone interpellate della propria qualità, senza necessità di rivelare il nome dell'assistito >>. ( 18) Fermo restando che il difensore deve dare gli awertimenti dei quali abbiamo già trattato (art. 3 9 1-bis comma 3 ) , l'art. 391-ter comma 3 non esige che i verbali compilati dal difensore debbano contenere
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altresì che per la materiale redazione del verbale il difensore può avvalersi di persone di sua fiducia ( 19). Il codice vieta che all'assunzione delle informazioni assistano l'indagato, l' of feso e le altre parti private (art. 3 9 1 -bis, comma 8). Si tratta di una previsione finalizzata ad evitare possibili influenze o pressioni sul dichiarante dovute alla presenza della persona assistita dal difensore. Desta perplessità il fatto che il divieto sia stato espressamente limitato alla sola assunzione di informazioni. Da una disposizione del genere pare desumersi che sia legittima la partecipazione dei predetti soggetti ai colloqui informali ed alla ricezione di dichiarazioni scritte; ma tale conclusione non pare condivisibile, poiché quanto previsto per l'intervista può estendersi per analogia ai colloqui informali ed alla ricezione di dichiarazioni scritte. Siamo convinti che in queste ultime ipotesi sussista la medesima ratio costituita dalla necessità di tutelare la genuinità delle informazioni. Le dichiarazioni autoincriminanti. Vi è infine una apposita disciplina relativa all'ipotesi in cui la persona, che sia stata sentita in qualità di possibile testimone, renda nel corso delle informazioni una dichiarazione dalla quale emergano indizi a proprio carico (art. 3 9 1 -bis, comma 9): la normativa è analoga a quella vigente per l'autorità giudiziaria (art. 63 , comma 1 ) . Dal momento in cui la persona intervistata rende dichiarazioni, dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, il difensore o il sostituto devono interrompere l'assunzione di informazioni. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. Da tale divieto si desume che esse possono essere utilizzate contro altre persone secondo le ordinarie modalità. Merita precisare quali sono i limiti di discrezionalità riconosciuti al difen sore, una volta che egli abbia scelto di assumere le dichiarazioni da verbalizzare: tutte le domande e le risposte devono essere documentate fedelmente. Il difensore può ritenere che le dichiarazioni non siano utili per la posizione del proprio cliente; in tal caso non è obbligato a produrre il verbale nel corso del procedimento (20) . Tuttavia, se il difensore decide di produrlo, il verbale non può essere manipolato. Il difensore deve scegliere tra non presentarlo o presentarlo nella sua interezza; ovviamente non può eliminare le dichiarazioni sfavorevoli alla parte che egli assiste. d) La dichiarazione scritta. L'ultima modalità di intervista consiste nel la analitica enunciazione dei singoli avvertimenti, essendo sufficiente l'attestazione che si è provveduto a renderne edotto il dichiarante; in tal senso Cass., sez. II, 14 novembre-20 dicembre 2002, Mancuso, in Giur. it., 2004, 827. ( 1 9 ) Ai sensi dell'art. 13, comma l delle Regole di comportamento del penalista le informazioni assunte dal difensore << sono documentate in forma integrale. Quando è disposta la riproduzione almeno fonografica possono essere documentate in forma riassuntiva >>. Una disposizione di tenore quasi identico è prevista all'art. 52.1, n. 15 del Codice deontologico. (20) In base all'art. 1 3 , comma 3 delle Regole di comportamento del penalista e all'art. 52.1, n. 16 del Codice deontologico, il difensore non è tenuto a rilasciare copia del verbale alla persona che ha reso informazioni né al suo difensore.
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richiedere al possibile testimone o all'imputato il rilascio di una dichiarazione scritta (2 1 ) . L'art. 3 9 1 -ter comma l reca una dettagliata disciplina sul modo di proce dere alla documentazione. La dichiarazione resa dalla persona intervistata deve essere da lei sottoscritta; il difensore o il sostituto autenticano la firma. Quindi, l'intervistatore deve redigere una relazione, che è allegata alla dichiarazione (art. 3 9 1-ter comma 2 ) . Nella relazione devono essere riportati: a) la data in cui la dichiarazione è stata ricevuta; b) le generalità del difensore (o del sostituto) e della persona che ha rilasciato la dichiarazione; c) l'attestazione di aver rivolto gli avvertimenti previsti dalle disposizioni generali relative all'intervista (22) ; d) i fatti sui quali verte l a dichiarazione. Le modalità di utilizzazione della dichiarazione sono identiche a quelle previste in relazione al verbale relativo all'assunzione di informazioni (si veda in/ra § 7 e nel capitolo sul giudizio) .
6.
L'audizione della persona che si è avvalsa della facoltà di non rispondere.
Come abbiamo visto nell'esporre la disciplina relativa all'intervista, la persona sentita dal difensore ha la facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione richiesta. Tuttavia, se il legislatore si fosse fermato a questo punto, il diritto alla prova spettante alla difesa sarebbe stato completamente subordinato alla volontà collaborativa delle persone informate sui fatti. Per evitare un simile rischio, la legge n. 397 del 2000 ha messo a disposizione del difensore due strumenti procedurali attivabili nell'ipotesi che la persona con vocata si avvalga della facoltà di non rispondere. Il difensore può chiedere che la persona sia sentita con incidente probatorio anche fuori dei casi di non rinviabilità disciplinati dall'art. 3 92 ; oppure può chiedere al pubblico ministero di disporre l'audizione del possibile testimone. Occorre, naturalmente, che la persona sia « in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa », come dispone l'art. 3 9 1 -bis, comma 10. (2 1 ) S i tratta d i una modalità che è simile a quella utilizzata nei paesi di common law, nei quali l a dichiarazione viene denominata affidavit. (22) Ricordiamo che, ai sensi dell'art. 3 9 1 -bù, comma 3 , in ogni caso la persona deve essere avvertita: a) della qualità dell'intervistatore e dello scopo del colloquio; b) se l'intervistatore intende semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di documentazione; c) dell'obbligo di dichiarare se la persona è sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; d) della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date; /J delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione. Le Regole di comportamento del penalista impongono al soggetto che svolge l'intervista una serie ulteriore di avvertimenti.
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Il procedimento ordinario
III.IV.6
L'incidente probatorio. Nel primo caso, si procede con incidente proba torio all'escussione del testimone o all'esame dell'imputato connesso che si siano avvalsi della facoltà di non rispondere (art. 3 9 1 -bù, comma 1 1 ) . Si tratta di un ampliamento dei casi di incidente probatorio che risulta senz'altro condivisibile anche sotto il profilo del principio del contraddittorio nella formazione della prova. L'audizione presso il pubblico ministero. Nel secondo caso, il difensore può chiedere al pubblico ministero l'audizione del dichiarante che si sia avvalso della facoltà di non rispondere; ma la richiesta può essere rivolta alla pubblica accusa soltanto in relazione al possibile testimone. Analogo potere non spetta nei confronti dell'imputato connesso, che sia rimasto silenzioso. L'audizione è disciplinata dall'art. 391 -bù, comma 10. Il difensore deve indicare al pubblico ministero le circostanze in relazione alle quali vuole che la persona sia sentita e le ragioni per le quali le circostanze medesime sono utili ai fini delle indagini (Cass. sez: II, 6 dicembre 2006 n. 40232 , in Il Sole, 13 gennaio 2007 ) . Il pubblico ministero, valutata la richiesta, dispone l'audizione entro sette giorni (23 ). L'istituto costituisce una forma particolare di svolgimento delle informazioni assunte dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari ai sensi dell'art. 3 62 . La particolarità consiste nel fatto che l'audizione si svolge « alla presenza del difensore che per primo formula le domande »: egli conduce la prima parte dell'esame; successivamente, il pubblico ministero può procedere all'assunzione di informazioni. In relazione a tale modalità di svolgimento dell'atto, la legge n. 397 del 2000 ha apportato anche una modifica alla fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 3 7 1 -bis c.p.: oggi la legge punisce con la pena della reclusione fino a quattro anni la persona che di fronte al pubblico ministero rende dichiarazioni false o tace, in tutto o in parte, ciò che sa (art. 3 7 1 -bzs c.p.) . Il nuovo comma 3 , inserito nella norma appena citata, stabilisce che la medesima disciplina si applica nel corso dell'audizione « quando le informazioni ai fini delle indagini sono richie ste dal difensore ». Di conseguenza il possibile testimone, che sia sentito congiuntamente dal pubblico ministero e dal difensore, non ha più quella facoltà di tacere che gli era riconosciuta nel corso dell'intervista privata (24 ) . (23) Cass., 2 9 maggio 2007, n . 2 1 092, in Il 5ole-24ore, 4 giugno 2007 : << l'atto raccolto ai sensi dell'art. 3 9 1 -bis, comma 10, c.p.p. costituisce a tutti gli effetti atto del pubblico ministero sicché non confluisce nel fascicolo del difensore, bensì direttamente in quello del P.M. ( ... ) >>. (24) Merita precisare che la disciplina appena esaminata lascia aperti due problemi. L'art. 3 9 1 -bis, comma 10 stabilisce che il difensore può chiedere al pubblico ministero di disporre l'audizione quando la persona si sia avvalsa della facoltà di non rispondere. Quest'ultima locuzione, tuttavia, da un lato, non precisa se l'audizione possa essere chiesta anche nell'ipotesi in cui la persona, convocata dal difensore, non si sia presentata; da un altro lato, non chiarisce se l'audizione possa essere chiesta soltanto quando la persona non abbia reso alcuna dichiarazione (silenzio totale), oppure se essa possa fare seguito anche al rifiuto di rispondere a singole domande (silenzio parziale). A nostro avviso, l'audizione deve essere svolta dal pubblico ministero in entrambi i casi. In primo luogo,
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La qualifica penalistica del difensore che verbalizza l'intervista. Dall'art. 327 -bis è ricavabile che l'investigazione difensiva ha una finalità privata e tende a ricercare ed individuare elementi "a favore" dell'assistito. La scelta se procedere o meno a recepire dichiarazioni da verbalizzare è compiuta dal difensore nel momento nel quale egli procede al colloquio informale con il dichiarante. Una volta che il difensore decida di ricevere dichiarazioni da documentare, il relativo verbale deve essere integrale come precisa l'art. 136, al quale rinvia l'art. 391 -ter. L'attività di verbalizzazione per il difensore è una facoltà ma, ove egli decida di espletarla, ciò non gli permette di omettere la verbalizzazione delle dichiarazioni contrarie all'interesse dell'assistito. L'obbligo di completezza gli è imposto non soltanto dal codice, ma anche dalle norme deontologiche del Consiglio nazionale forense e dell'Unione delle Camere penali, che abbiamo menzionato in precedenza. Almeno sotto questo profìlo siamo d'accordo con quanto statuito dalle Sezioni unite 27 giugno-28 settembre 2006, n. 32009, Schera, in Dir. Giust. , 2006, 37, 44: « la infedele o incompleta documentazione delle dichiarazioni acquisite a verbale dall'avvocato nel corso delle indagini difensive non può iscriversi nel novero delle garanzie di libertà dell'avvocato nell'espletare il proprio mandato nell'interesse del cliente ». L'asserita configurazione di un falso ideologico in atto pubblico. Non ci pare accoglibile, tuttavia, un altro profìlo della medesima decisione, nella quale si afferma che « integra il delitto di falso ideologico di cui all'art. 479 c.p. la condotta del difensore che utilizzi processualmente le dichiarazioni delle persone informate di circostanze utili acquisite a norma degli articoli 391 -bis e ter c.p.p e verbalizzate in modo infedele ». Le Sezioni unite affermano che la verbalizzazione è essa stessa espressione di un potere certificativo che denota la caratteristica di una pubblica funzione. In verità, nella motivazione viene fatto riferimento ad una sentenza che ha per oggetto un atto del processo civile; per tale atto è pacifico il valore fidefacente (art. 2700 c.c.) fino a querela di falso (art. 221 c.p.c.) . Diversamente è statuito nel codice d i procedura penale. Il verbale d i u n atto compiuto dal giudice o dal pubblico ministero non è fidefacente per il semplice motivo che il codice del 1 988 non ha riprodotto gli artt. 158 e 2 15 del codice del 1 930 (valore fidefacente e incidente di falso); oggi il verbale è soltanto un atto che fa prova, anche se vi è un contrasto giurisprudenziale sul punto (nel senso appena precisato, v. Cass., sez. V, 10 gennaio 1 994, Capuzzi, in Cass. pen., 1 995, 1 12). Il verbale redatto dalla autorità giudiziaria, dal cancelliere o dal segretario resta comunque un atto pubblico in senso soggettivo, poiché è redatto da un pubblico ufficiale. Ciò premesso, il difensore nella propria investigazione svolge un servizio privato di pubblica necessità che è previsto dall'art. 359 c.p.; nello svolgimento di tale attività ha poteri certificativi che sono tipici di quel servizio e che sono sanzionati espressamente
è agevole sostenere che, se il difensore può chiedere l'audizione quando la persona si è presentata ma ha rifiutato di rispondere, a maggior ragione potrà farlo quando la persona convocata abbia omesso di presentarsi. In secondo luogo, merita sottolineare che non è possibile effettuare una distinzione quantitativa tra silenzio totale e silenzio parziale. Ove si ritenesse il contrario, una persona, che rispondesse soltanto a domande di scarso rilievo probatorio e rifiutasse di rispondere ai quesiti fondamentali, potrebbe impune mente compromettere il diritto alla prova spettante alla difesa.
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Il procedimento ordinario
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dall'art. 481 c.p. Quest'ultima disposizione si pone in rapporto di specialità con gli artt. 357 e 358 c.p.: da essa si ricava che vi può essere un potere certificativo che non è esercizio di pubblica funzione, anche se è rilevante per gli scopi pubblici, come avviene per il processo penale. L'essere destinato alla utilizzazione per la decisione penale non muta la natura di un atto. La funzionalizzazione alla decisione penale non è un qualcosa di simile al re Mida che trasformava in oro tutto quello che toccava. n falso ideologico in certificati. Sulla base delle riflessioni appena svolte riteniamo che, se il difensore documenta infedelmente i risultati della propria investigazione, egli commette falsità ideologica in certificati in quanto esercente un servizio di pubblica necessità (art. 481 c.p.); la sanzione prevista, e cioè la reclusione sino ad un anno o la multa da euro 56 ad euro 5 16, ci pare eccessivamente modesta; ma si tratta di un problema del quale non il diritto vivente, bensì il legislatore si deve fare carico. In dottrina si è fatto notare che lo svolgimento dell'intervista difensiva non può essere qualificato come pubblica funzione perché l'attività del difensore è carente di quel ca rattere di doverosità che connota la funzione pubblica (A. MANNA, in Dir. pen. p roe. , 2003 , 1276). In effetti, il difensore non è vincolato a consegnare il verbale né al pubblico mi nistero né al giudice (art. 3 9 1 -'octies) ; egli può scegliere di non produrlo nel processo. L'asserita condizione di punibilità dell'uso processuale. Le Sezioni unite, nel tentativo di creare un collegamento tra la funzione giudiziaria e la attività difensiva, al fine di sostenere il carattere pubblico di quest'ultima, affermano che il verbale « può rimanere nella disponibilità privata di colui che l'ha redatto ed il delitto di falso ideologico, pur essendo istantaneo, si ricollega comunque al momento in cui l'atto acquista rilevanza ai sensi degli artt. 3 9 1 -octies e seguenti del codice di rito, non potendmri essere falsificazione ideologica punibile fino a quando l'atto rimane nella facoltà di disposizione dell'agente (v. Cass., sezione quinta, 834/93) ». È a tutti noto che in base all'art. 479 c.p. il falso in atto pubblico è configurato come un reato di pericolo e non è subordinato alla condizione dell'uso dell'atto stesso. Dalla sentenza in esame deriva una conseguenza singolare: quando afferma che la rilevanza della condotta di falso è strettamente legata all'utilizzazione processuale del verbale, la s.e. crea una fattispecie incriminatrice che è differente da quella tipica, prevista dall'art. 479 c.p .; ma lo fa senza argomentare in modo sufficiente ( G. FRIGO, in Guida dir., 2006, 41, 50). Al tempo stesso, pare che la s.e. si contraddica quando afferma che « la possibilità di non utilizzare l'atto non comporta che esso possa essere distrutto », poiché in tal caso mostra di accettare che il falso si sia già perfezionato. Inoltre, la Corte non considera che il verbale, una volta sottoscritto, appartiene a quello che viene definito "ufficio della difesa" ; il verbalizzante può rinunciare all'incarico o essere revocato e, pertanto, la sentenza n. 834 del 1 993 appare citata a sproposito, poiché dopo la sottoscrizione l'atto è già uscito dalla disponibilità personale del verbalizzante (G. SANTALUCIA, in Dir. Giust., 2006, 37, 42). Da ciò consegue che non è logicamente configurabile la asserita condizione di punibilità dell'uso processuale. Per i motivi che abbiamo esposto, la sentenza della s.e. non pare aver chiuso la questione in modo definitivo. Viceversa, è da accogliere l'altro principio enunciato dalla sentenza in esame, secondo cui « anche il difensore dell'imputato può rendersi responsabile del delitto di favoreggiamento personale allorquando presti un consapevole aiuto diretto, oltre i limiti dell'attività difensiva, anche solo a intralciare l'opera di investigazione o di ricerca dell'autorità ».
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La presentazione della documentazione difensiva.
La facoltà di depositare la documentazione difensiva. Anticipiamo subito che il difensore ha, di regola, la facoltà e non l'obbligo di presentare agli inquirenti pubblici e al giudice la documentazione dell'attività di indagine difensiva svolta, sia essa il verbale dell'intervista o quello degli altri atti di investigazione dei quali tratteremo. Mosso da un interesse privato, il difensore palesa al giudice soltanto quell'aspetto dei fatti che è favorevole al proprio cliente, sia esso l'indagato o l'offeso. Forte è la differenza con gli inquirenti pubblici, che hanno l'obbligo di depositare tutti i verbali degli atti che sono stati compiuti (artt. 3 66 e 4 15-bis) . Vi è una norma di carattere generale, in base alla quale il difensore ha la facoltà di presentare al pubblico ministero gli elementi di prova in favore del proprio assistito ( art. 3 9 1 -octies, comma 4). Il difensore ha interesse a valersi di tale facoltà tutte le volte che ritenga possibile indurre il pubblico ministero a prendere una decisione in favore del proprio cliente: ad esempio, sollecitando una richiesta di archiviazione ( se indagato) o, viceversa, di rinvio a giudizio (se offeso). Negli altri casi, infatti, è presumibile che la difesa presenterà diretta mente al giudice gli atti favorevoli all'assistito. n difensore ha la possibilità di presentare gli elementi difensivi direttamente al giudice. Tale facoltà può essere esercitata sia quando il giudice, nelle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, deve adottare una decisione con l'inter vento della parte privata assistita dal difensore (es. l'ordinanza di archiviazione a seguito di udienza in contraddittorio); sia per l'eventualità che il giudice debba adottare una decisione per la quale non è previsto l'intervento della persona assistita (es. applicazione di una misura cautelare) . n difensore può pertanto presentare elementi al giudice tanto in relazione ad un provvedimento da adottarsi a seguito di contraddittorio tra le parti (art. 3 9 1 -octies, comma 1 ) , quanto in vista di un eventuale provvedimento che il giudice possa applicare senza necessità di sentire il soggetto interessato (art. 3 9 1 -octies, comma 2 ) . D fascicolo del difensore. Durante l e indagini l a documentazione, presentata dal difensore, è inserita in un apposito fascicolo, formato e conser vato presso l'ufficio del giudice per le indagini preliminari e denominato fascicolo del dz/ensore ( art. 3 9 1 -octies, comma 3 ) . Di tale documentazione il pubblico ministero può prendere visione ed estrarre copia soltanto quando deve essere adottata una decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento (25 ) . (25) Dopo il decreto che dispone il giudizio il giudice dell'udienza preliminare provvede alla suddivisione dei verbali tra il fascicolo per il dibattimento e quello del pubblico ministero (art. 43 1 ) .
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Il procedimento ordinario
III.IV.8
Le altre attività di investigazione difensiva.
a) Considerazioni generali. Come abbiamo accennato nelle pagine che precedono, la legge n. 3 97 del 2000 ha previsto una serie di attività di indagine tipiche, ulteriori rispetto all'intervista, che di regola possono essere svolte sia dal difensore, sia dai suoi ausiliari. Merita ricordare che il difensore non è munito di poteri coercitivi e nel corso delle investigazioni agisce come privato. Tutte le volte che le sue attività comportano una qualche compressione dei diritti di libertà dei cittadini interessati dall'investigazione, il difensore necessita della collaborazione di questi ultimi. In caso di diniego, la legge n. 3 97 del 2000 ha previsto la possibilità che il difensore ricorra al pubblico ministero o al giudice per superare l'opposizione manifestata dal privato (v. tav. 3 .4.3 ) . Abbiamo già esaminato u n modello di sollecitazione dell'intervento dell'au torità, costituito dalla richiesta al pubblico ministero di disporre l'audizione della persona che si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Analizzando i singoli atti tipici di indagine daremo conto delle altre ipotesi nelle quali il difensore può attivare l'autorità giudiziaria. All'uopo il legislatore ha predisposto due moduli fondamentali attraverso i quali tale potere di attivazione può esplicarsi. Vi è un primo modello in base al quale il difensore può rivolgersi direttamente al giudice per ottenere l' autoriz zazione al compimento di un atto (art. 3 9 1 -septies) . Nel secondo modello, il difensore è tenuto ad interpellare in prima battuta il pubblico ministero; soltanto se quest'ultimo rigetta la richiesta, il difensore ha la possibilità di rivolgersi al giudice (artt. 233 comma l -bis, 3 66, comma l , 3 9 1 -quater) . b) La richiesta di documenti alla pubblica amministrazione. Il primo atto di indagine, che il codice disciplina successivamente all'intervista, consiste nella richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione (art. 3 9 1 -quater) . Si tratta di un atto che appare riservato alla titolarità esclusiva del difensore. Se risulta necessario per le indagini, il difensore « può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione » ed estrarne copia a sua spese. Come esempio possiamo pensare al difensore che abbia necessità di esaminare la pratica amministrativa per il rilascio di una licenza edilizia (26). La richiesta deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il (26) li Testo unico sulla privacy consente oggi al difensore dell'imputato o dell'indagato di richiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze telefoniche intestate al proprio assistito con le modalità indicate dall'art. 391-quater c.p.p. entro il termine di conservazione, previsto per finalità di accertamento e repressione dei reati, che ammonta a ventiquattro mesi (art. 132 d.lgs. n. 196 del 2003). L'acquisizione del traffico in entrata è possibile soltanto se la mancata consegna può comportare un pregiudizio effettivo e concreto per lo svolgimento delle investigazioni difensive (art. 8, comma 2, lett. /, d.lgs. n. 196 del 2003 ) . Come si è visto supra, nel capitolo sui mezzi di ricerca della prova, i difensori dell'imputato, dell'indagato, della persona offesa e delle altre parti private possono altresì chiedere al pubblico ministero che disponga l'acquisizione dei tabulati telefonici relativi ad altre utenze, secondo la disciplina prevista all'art. 132 d.lgs. n. 1 96 del 2003 comma 3, mod. dalla legge n. 155 del 2005 di conversione del decreto legge n. 144 del 2005.
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documento o lo detiene stabilmente. L'amministrazione ha il dovere di esibire il documento, poiché questo serve ai fini dell'esercizio della difesa in una procedura giudiziaria. Ove la pubblica amministrazione rifiuti l'esibizione, il codice effettua un rinvio alla disciplina relativa alla richiesta di sequestro nel corso delle indagini preliminari (artt. 367 e 3 68). La regolamentazione che n e risulta può essere così ricostruita in via interpretativa. Il difensore può chiedere al pubblico ministero di disporre l'acquisizione coattiva dei documenti presso la pubblica amministrazione (art. 3 67 ) . Se il pubblico ministero accoglie la richiesta, procede a sequestro. Se il pubblico ministero rifiuta, egli deve trasmettere la richiesta con il suo parere negativo al giudice per le indagini preliminari. Quest'ultimo, ove ritenga di accogliere la richiesta, può superare l'opposizione e disporre il sequestro dei documenti presso la pubblica amministrazione. c) L'esame delle cose sequestrate. Un'altra facoltà spettante ex lege al difensore consiste nella possibilità di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui si trovano e, se si tratta di documenti, di estrarne copia (art. 3 66, comma l , mod. dalla legge n . 3 97 del 2000). La predetta facoltà è stata inserita nella norma che disciplina il deposito dei verbali degli atti garantiti. Il pubblico ministero con decreto motivato può disporre, per gravi motivi, che l'esercizio della facoltà di esaminare le cose sia ritardato per non oltre trenta giorni, senza pregiudizio di ogni altra attività del difensore (art. 3 66, comma 2 ) . Contro il decreto del pubblico ministero l'indagato e il difensore possono proporre opposizione al giudice che decide utilizzando il procedimento in camera di consiglio (art. 127 ) . Non sfugge come i poteri attribuiti al difensore tutelino il diritto del medesimo ad avere conoscenza dei verbali di quegli atti al cui compimento egli ha diritto di assistere con o senza preavviso. Il legislatore ha ridotto la libertà di manovra del pubblico ministero in relazione al deposito dei verbali ed ha garantito alla difesa la tempestiva discovery dei più importanti atti di indagine. d) L'accesso ai luoghi. Nel corso delle investigazioni, il difensore o i suoi ausiliari possono avere necessità di visionare i luoghi o le cose pertinenti al reato ovvero di procedere alla descrizione degli stessi o infine di eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi (art. 3 9 1 -sexies) . Le espres sioni utilizzate dal codice fanno ritenere che il termine " rilievo" debba essere interpretato in senso differente da quanto è ricavabile dall'art. 354 a proposito della omologa attività della polizia. Al difensore sono permesse quelle attività che escludono ogni alterazione dello stato dei luoghi o delle cose; viceversa, in caso di accertamento che manipola la cosa è prevista una disposizione apposita nell'art. 3 9 1 -decies comma 3 (27) . (27)
P . GuALTIERI, Le investigazioni del dz/ensore, Padova, 2002, 188, ricorda come nel medesimo senso
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L'esame o il sopralluogo hanno come esito, ma non necessariamente, la redazione di un verbale nel quale sono riportati: a) la data e il luogo dell'accesso; b) le generalità delle persone intervenute e quelle del verbalizzante; c) la descrizione dello stato dei luoghi e delle cose; d) l'indicazione degli eventuali rilievi tecnici, grafici, planimetrici, foto grafici o audiovisivi eseguiti, che fanno parte integrante dell'atto e sono allegati al medesimo. Il verbale è sottoscritto dalle persone intervenute (28). Quando tali attività concernono luoghi pubblici o aperti al pubblico, il difensore non incontra alcun ostacolo. I problemi sorgono quando l'accesso riguarda luoghi privati o non aperti al pubblico. Il difensore e i suoi ausiliari hanno l'onere di sollecitare il consenso di chi ne ha la disponibilità. Se il consenso non è rilasciato, il difensore può chiedere l'intervento del giudice, il quale autorizza l'accesso con decreto motivato che ne specifica le concrete modalità (art. 3 9 1 -septies) (29). Nel corso dell'atto, l a persona presente è avvertita della facoltà d i farsi assistere da persona di fiducia prontamente reperibile, purché non si tratti di un minore degli anni quattordici, di persona inferma di mente o in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione o, infine, di persona sottoposta a misura di sicurezza o a misure di prevenzione (artt. 3 9 1 -septies, 120) . Con una disposizione di chiusura, il codice stabilisce che non è consentito l'accesso ai luoghi di abitazione o alle loro pertinenze, salvo che sia necessario accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato; si possono citare, come esempi, le impronte, le macchie di sangue, gli oggetti smarriti dall'indagato. 9.
La consulenza tecnica privata fuori dei casi di perizia.
I poteri partecipativi dei consulenti tecnici di parte. La legge sulle investi gazioni difensive è intervenuta sulla norma relativa alla consulenza tecnica extraperitale ed ha riconosciuto alle parti il diritto di avvalersi dell'opera di si esprimano il codice deontologico forense (art. 52, I, comma 13) e le regole dj comportamento, cit., art. 14. In senso analogo, N. TruGGlANl, Le investigazioni difensive, Milano, 2002, 354. (28) « Il difensore, anche quando non redige un verbale, deve documentare lo stato dei luoghi e delle cose, procurando che nulla sia mutato, alterato o djsperso ». Così l'art. 52 .I, n. 13 del Codice deontologico
forense. (29)
Per un caso particolare, v. G.u.p. Lanciano, 14 marzo 2003, in Cass. pen., 2003, 3 180: << il difensore non può compiere accertamenti tecnici che importino una modilicazjone irreversibile dello stato dei luoghi, tale da rendere l'accertamento stesso non ripetibile, se essi non siano anche indifferibili. Pertanto, il giudice non può autorizzare ex art. 391-septies comma l c.p.p. l'accesso in luogo privato nel caso in cui l'istanza difensiva sia volta al compimento dj attività irreversibilmente modilicativa dello stato dei luoghi >>. Per un'opinione critica sul punto, v. A. CIAVOLA, Può il difensore essere autorizzato a compiere in occasione dell'accesso ai luoghi un accertamento tecnico non ripetibile che non sia anche differibile?, in Riv. it. dir. proc.
pen., 2004, 919.
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consulenti tecnici per l'analisi e la valutazione del materiale già noto agli organi di indagine pubblica (art. 233 , comma 1 -bù) . In sintesi, con la disposizione in esame, la legge n. 3 97 del 2000 ha riconosciuto anche in ambito tecnico scientifico il principio generale del diritto alla prova, escludendo che la parte pubblica possa nascondere elementi probatori alle parti private (v. tav. 3 .4.6) . Tale potenziamento è avvenuto in due direzioni. Da un lato, il legislatore ha ampliato i poteri partecipativi della difesa, e cioè ha permesso al difensore, mediante un proprio esperto, di venire a conoscenza e di operare valutazioni sul materiale già raccolto dal pubblico ministero; in tal modo si evita che l'accusa, giungendo per prima alla raccolta di elementi probatori, possa legittimamente frustrare le esigenze investigative della difesa fino al momento dell'esercizio dell'azione penale, con ritardi talvolta disastrosi. Da un altro lato, il legislatore ha previsto la possibilità che la difesa proceda, in piena autonomia ed in alternativa al pubblico ministero, al compimento di atti irripetibili (30) . Rinviando, per l'analisi di questo ultimo aspetto, ai prossimi paragrafi, approfondiamo ora quelli che abbiamo definito "poteri partecipativi" . In relazione ad essi, la nuova disciplina opera su tre fronti: l ) consente al consulente della difesa « di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano »; 2 ) permette al consulente di « intervenire alle ispezioni » compiute dagli organi di accusa; 3 ) prevede la facoltà di « esaminare l'oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto ». In tutte le predette ipotesi, il consulente tecnico può intervenire soltanto previa autorizzazione della autorità giudiziaria (v. tav.
3 .4 .3 ) . Possiamo passare ad approfondire i singoli punti. l ) In merito all'accesso al materiale sequestrato, il problema più rilevante consiste nell'individuare i limiti alle attività che il consulente della difesa può compiere sulle cose sottoposte a sequestro. Il termine « esaminare », utilizzato dall'art. 233 , comma 1 -bù, allude a quell'attività che consta di " rilievi" tali da non comportare una alterazione irreversibile dell'oggetto (3 1 ) . 2 ) Il consulente tecnico può inoltre essere autorizzato ad intervenire alle ispezioni (art. 233 , comma 1 -bù) . Merita ricordare che, ai sensi dell'art. 3 64, le ispezioni sono atti garantiti ai quali il difensore dell'indagato ha diritto di assistere con preavviso. In molte ipotesi, tuttavia, la partecipazione del solo (30) F. FocARDI, Estesa anche alle parti private la possibilità di compiere attività tecniche irripetibili, in AA.Vv., Processo penale: il nuovo ruolo del dz/ensore, cit., 3 8 1 . (3 1 ) C i pare che i n tal senso deponga anche l a lettera del comma l -ter dell'art. 2 3 3 , laddove prevede che l'autorità giudiziaria debba comunque impartire le prescrizioni necessarie « per la conservazione dello stato originario delle cose e dei luoghi ».
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avvocato può risultare insufficiente a tutelare il diritto d i difesa. I l difensore è spesso privo delle conoscenze tecniche necessarie per comprendere appieno quanto avviene nel corso dell'atto. La possibilità che il consulente sia autoriz zato a partecipare appare idonea a rendere maggiormente effettivo il diritto alla prova. È necessario accogliere una interpretazione ampia della norma e inten dere che la partecipazione comprenda sia le ispezioni personali, sia quelle locali. 3 ) Infine, il consulente può essere autorizzato ad « esaminare l'oggetto delle ispezioni alle quali ( . . . ) non è intervenuto » (art. 233 , comma l -bis) . Nell'ipotesi in esame può accadere che l'oggetto della avvenuta ispezione sia nella disponi bilità di privati, i quali si rifiutino di mostrarlo al consulente. In tal caso il difensore è tenuto a chiedere che il giudice disponga l'accesso con decreto ai sensi dell'art. 3 9 1 -septies. L"' autorizzazione" alla visione di cose o luoghi oggetto di ispezione ed il " decreto" di accesso ai luoghi sono provvedimenti distinti. Con l'autorizzazione all'esame dell'oggetto delle ispezioni e delle cose sequestrate, il pubblico ministero, dopo aver valutato se l'attività del consulente può essere pericolosa per la prova, detta le precauzioni che devono essere osservate (32) . Con il decreto con cui dispone l'accesso ai luoghi non aperti al pubblico, il giudice impone al privato di consentire al consulente tecnico l'ingresso, speci ficando le concrete modalità dell'accesso medesimo (3 3 ) .
10. Rilievi e accertamenti tecnici compiuti dal difensore. Il carattere fortemente innovativo della legge n. 397 del 2000 si apprezza soprattutto in relazione alla disciplina di quegli atti di investigazione difensiva che hanno un contenuto tecnico-scientifico. Fin dall'inizio delle indagini preli minari le parti hanno uno strumento più agile e duttile che non il chiedere al giudice la nomina di un perito. L'indagato e l'offeso mediante i rispettivi difensori possono nominare consulenti tecnici di parte al fine di svolgere investigazioni specialistiche al di fuori della perizia e anche se non è stata disposta perizia (art. 233 c.p.p.) (34) . (32) In caso di rigetto della richiesta, il difensore può proporre opposizione al giudice, che è tenuto a fissare una udienza in camera di consiglio (art. 233, comma 1 -bù). Awerso l'ordinanza con la quale il giudice decide sull'opposizione è esperibile ricorso per cassazione (art. 127, comma 7). Dopo l'esercizio dell'azione penale, il difensore può rivolgere la richiesta direttamente al giudice; in tal caso non è previsto uno specifico gravame. (33) Ai sensi dell'art. 391-septies « se è necessario accedere a luoghi privati o non aperti al pubblico e non vi è il consenso di chi ne ha la disponibilità >>, l'accesso, su richiesta del difensore, è autorizzato dal giudice, con decreto motivato che ne specifica le concrete modalità. Non è consentito l'accesso ai luoghi di abitazione e loro pertinenze, salvo che sia necessario accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. (34) E. AMomo, Perzzia e consulenza tecnica nel quadro p robatorio del nuovo processo penale, in Cass. pen., 1 989, 170; R. E. KosTORIS, I consulenti tecnici nel processo penale, Milano, 1993 . Sostiene la unitarietà della
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L'aspetto più interessante della legislazione italiana sta nell'aver configurato un vero e proprio " diritto alla prova scientifica " . Alla base della regolamenta zione dell'intera materia stanno due princìpi ricavabili dal sistema (35 ) . I n base a d un primo principio, tutte le parti hanno il diritto alla prova tecnico-scientifica. Ciò comporta che tutte le parti hanno il diritto di ricercare le fonti e gli elementi di prova; hanno il diritto a presentare i dati scientifici al giudice; hanno il diritto di nominare consulenti tecnici e di chiedere la loro ammissione; hanno il diritto di interrogare i propri consulenti e di contro interrogare quelli della controparte. In base ad un secondo principio, nessuna parte può modificare o alterare la fonte o l'elemento di prova senza che sia stato instaurato il contraddittorio con la controparte; occorre cioè un previo avviso alla controparte o al suo difensore, se questi è già stato nominato. La controparte può essere presente all'accerta mento tecnico con un proprio consulente. A tal proposito il codice pone una distinzione fondamentale tra " rilievi non consistenti in accertamenti tecnici" e " accertamenti tecnici" veri e propri (art.
3 9 1 -decies) . I rilievi sono quegli atti " urgenti" che non implicano né una valutazione di tali dati, né una modificazione dello stato delle cose: l'urgenza è data dal fatto che i dati sono soggetti ad alterazione per il passaggio del tempo. Gli accertamenti tecnici sono attività di acquisizione e valutazione com piute su persone, cose o luoghi « il cui stato è soggetto a modificazione » (art. 3 60, comma l ) ; ovvero attività che determinano esse stesse la modifica delle cose, luoghi o persone (art. 1 17 disp. att.). Atti non ripetibili. Con riguardo agli atti menzionati, il codice utilizza il termine " irripetibilità " in relazione al dibattimento: sono cioè irripetibili quegli atti che non potranno essere fruttuosamente esperiti in dibattimento. Tuttavia, occorre distinguere due specie di irripetibilità. Vi è un primo tipo, che è legato al concetto di " urgenza" e consegue al naturale deperimento ad opera di agenti naturali o comunque estranei al procedimento penale: tali atti, se non sono ripetibili in dibattimento a causa del fisiologico decorso del tempo, sono tuttavia fruttuosamente esperibili più di una volta ad opera di soggetti diversi. Si pensi, ad esempio, ai rilievi conseguenti ad un incidente stradale, che sicuramente non possono essere effettuati al momento del dibattimento, ma possono essere svolti ad opera di tecnici sia della polizia, sia dei privati. Abbiamo poi un secondo tipo di irripetibilità, che potremmo definire assoluta in quanto consegue all'esperimento dell'atto stesso, sicché esso non può più essere utilmente compiuto. La differenza è importante in quanto solo nella figura del consulente tecnico nella perizia, fuori della perizia e nelle investigazioni difensive F. FocARDI, La consulenza tecnica extraperitale, ci t., 47. (35) F. FocARDI, La consulenza tecnica extraperitale, cit., 132.
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seconda ipotesi, e non nella prima, la parte che procede all'atto può ledere il diritto alla prova spettante alle controparti. Ciò, come vedremo, importa conseguenze notevoli (36). Facoltà del pubblico ministero. Il codice stabilisce che il pubblico mini stero ha sempre facoltà di assistere, senza obbligo di essere preavvisato, agli atti non ripetibili compiuti dal difensore in sede di acceso ai luoghi; e ciò può fare sia personalmente sia delegando la polizia giudiziaria (art. 3 9 1 -decies, comma 3 ) . Quando il pubblico ministero abbia esercitato tale facoltà, e ove il difensore abbia provveduto a verbalizzare il risultato dei rilievi effettuati, la relativa documentazione deve essere inserita nel fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art. 43 1 , lett. c (art. 3 9 1 -decies, comma 4). In base alla disciplina appena esposta, il difensore che decida di compiere una attività investigativa non ripetibile si espone al rischio che il pubblico ministero eserciti la facoltà di intervento. In tal caso il risultato dell'attività non ripetibile viene acquisito al processo, anche se si rivela sfavorevole all'assistito. Se tuttavia la parte pubblica non interviene, il difensore può non presentare il risultato dell'attività irripeti bile. Ciò è ammissibile in quanto, come abbiamo visto, con tale comportamento il difensore non incide sul diritto alla prova del pubblico ministero, per il quale può essere indifferente se l'imputato sceglie di far disperdere la macchia di sangue naturalmente oppure se ritiene di fotografarla prima che ciò avvenga. Si noti, tra l'altro, che nessuna norma impone alla difesa di avvisare il pubblico ministero circa la volontà di effettuare un accesso ai luoghi con conseguente attività irripetibile. 11. Gli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dal difensore. L'art. 3 9 1 -decies prevede una disciplina singolare in relazione agli accerta menti tecnici non ripetibili che possono essere compiuti dal difensore (comma 3 ) . Si tratta di attività di acquisizione e valutazione di dati tecnici compiute su persone, cose o luoghi « il cui stato è soggetto a modificazione »; ovvero attività che determinano esse stesse la modifica delle cose, luoghi o persone (art. 1 17 disp. att.) . Quando il difensore sta per compiere un accertamento tecnico non ripetibile deve darne avviso senza ritardo al pubblico ministero « per l'esercizio delle facoltà previste, in quanto compatibili, dall'art. 3 60 » (37 ) . A questo punto il pubblico ministero h a tre possibilità. I n primo luogo, può (36) F. FocARDI, Estesa anche alle parti private, cit., 3 7 1 . ( 37 ) Per rimediare a d una dimenticanza del legislatore, l e Regole di comportamento del penalista prevedono che << quando i soggetti della difesa intendono compiere accertamenti tecnici irripetibili, a cura del difensore o del sostituto è dato avviso senza ritardo a tutti coloro nei confronti dei quali l'atto può avere effetto e dei quali si abbia conoscenza >> (art. 1 5 ) .
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assistere all'accertamento condotto dal consulente privato; e c1o può fare personalmente o mediante un proprio consulente. In secondo luogo, il pubblico ministero può procedere ad un proprio accertamento tecnico non ripeti bile (38), ma alla presenza del consulente tecnico del difensore. Infine, il pubblico ministero può esercitare le « facoltà previste, in quanto compatibili, dall'art. 3 60 » (39 1 -decies comma 3 ) . Quest'ultima possibilità merita di essere approfondita. In base ad una interpretazione, che pare suggerita dalla Relazione al disegno di legge n. 2979, la clausola di compatibilità impone di interpretare l'art. 3 60 invertendo le parti, e cioè attribuendo al pubblico ministero i poteri che tale norma riconosce alla difesa nel corso degli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dalla pubblica accusa. Pertanto il pubblico ministero, una volta avvisato dal difensore, può formulare riserva di incidente probatorio. In quest'ultimo caso la difesa ha la possibilità di procedere ugualmente all'accertamento tecnico, ove ritenga tale atto non differibile. Certo, appare arduo affermare che la difesa possa superare la volontà della parte pubblica di procedere chiedendo una perizia in incidente probatorio. Ma occorre anche prospettare il caso, che vogliamo auspicare soltanto teorico, di una inerzia del pubblico ministero sia in ordine a detta richiesta, sia nel procedere ad un eventuale accertamento tecnico ai sensi dell'art. 3 60. Di fronte al pericolo che un elemento di prova possa deperire, riteniamo che il difensore sia legittimato a compiere l'atto non differibile (3 9). La garanzia costituzionale del diritto alla prova lo impone. Verbale degli accertamenti tecnici non ripetibili. Il verbale degli accerta menti tecnici non ripetibili compiuti dal difensore è inserito nel fascicolo del dibattimento (artt. 43 1 , lett. c e 3 9 1 -decies, comma 4). È chiaro che la norma in esame da un lato conferisce valore probatorio agli atti irripetibili compiuti dalla difesa; da un altro lato, e conseguentemente, tende a favorire il contraddittorio nel compimento di tali atti. La novità della soluzione legislativa. Pare doveroso segnalare la importanza e la novità dell'istituto dell'accertamento tecnico non ripetibile che può essere disposto dal difensore dell'indagato e da quello della persona offesa. La soluzione elaborata dal legislatore italiano si distacca sia dal sistema misto, sia da quello accusatorio " puro " . La normativa ha una portata rivoluzionaria, perché per la prima volta afferma che il pubblico ministero non è l'unico soggetto
(38) (39)
Nel medesimo senso, v. P. GuALTIERI, Le investigazioni del difensore, cit., 1 9 1 . Per una opinione analoga, v . P. GuALTIERI, L e investigazioni del difensore, cit., 190; G. RuGGIERO, Compendio delle investigazioni difensive, Milano, 2003 , 3 6 1 ; in senso contrario F. FocARDI, La consulenza tecnica extraperitale delle parti private, Padova, 2003, 142 ss. Per ulteriori approfondimenti, C. VALENTINI, sub art. 391-decies, in A. GIARDA, G. SPANGHER, Codice di procedura penale commentato, Milano, 200 1 , 367.
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legittimato a raccogliere l'elemento di prova distruggendone, se necessario, la fonte. Al tempo stesso, dobbiamo anche precisare che il passaggio dal sistema misto a quello accusatorio "limitato" non si è ancora concluso. Per vari motivi, che veniamo ad enumerare, possiamo dire che siamo oltre la "metà del guado " ; m a l a transizione non s i è ancora completata i n modo coerente (40). S e l a consulenza tecnica privata è ormai diventata u n mezzo d i prova (4 1 ) , occorre che il legislatore ne tragga l e conseguenze. Poiché sono stati concessi rilevanti poteri al consulente tecnico privato, questi dovrebbe essere scelto di regola entro albi professionali che possano assicurare l'osservanza di regole deontologiche. Ma purtroppo ciò non è stato previsto. Le esigenze di ulteriore regolamentazione. Inoltre, il consulente tecnico privato gestisce una fonte di prova o un elemento deperibile; pertanto dovrebbe avere obblighi di verità e di lealtà penalmente sanzionati quando compie questa attività non ripetibile. Ma anche ciò non è stato regolato dal legislatore: al consulente privato non è stato imposto espressamente un obbligo di verità. Questi sono gli aspetti ancora non perfezionati; un dovere di completezza ci impone di metterli in evidenza. Li consideriamo " difetti" che tuttavia non possono offuscare il passo avanti compiuto dal legislatore italiano.
12. Le modalità di utilizzazione degli atti di investigazione difensiva. fl fascicolo del difensore. Come abbiamo accennato in precedenza, la documentazione presentata dal difensore al giudice per le indagini preliminari è inserita in un apposito fascicolo, formato e conservato presso l'ufficio del giudice e denominato fascicolo del dz/ensore. Di tale documentazione il pubblico ministero può prendere visione ed estrarre copia soltanto quando deve essere adottata una decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento. Ciò premesso c'è da aggiungere che dopo la chiusura delle indagini preliminari il fascicolo del difensore confluisce nel fascicolo unico delle indagini (art. 3 9 1 octies, comma 3 , che s i riferisce impropriamente all'art. 433 ) . La formazione dei fascicoli. Una volta conclusa l'udienza preliminare con il decreto che dispone il giudizio, il giudice provvede nel contraddittorio delle parti a formare il fascicolo per il dibattimento. In detto fascicolo sono inseriti: l ) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dal difensore (art. 43 1 comma l lett. c) ; (40) Cfr. F. FocARDI, La consulenza tecnica extraperitale, cit., 208 ss. (4 1 ) Si veda Cass. , sez. I, 8-28 maggio 2003 n. 2346 1 , ric. Diamante, in Guida dir., 2003 , n. 33, 9 1 : « le dichiarazioni rese dal consulente tecnico di pane ai sensi dell'art. 501 hanno valore probatorio in quanto detto consulente (la cui figura è modellata su quella del testimone esperto expert witness degli ordinamenti anglosassoni) partecipa al dibattimento in una posizione di soggetto che fornisce al giudice elementi idonei alla decisione >>. -
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2) la documentazione degli atti non ripetibili compiuti in occasione dell'ac cesso ai luoghi, « presentata nel corso delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare » (art. 3 9 1 -decies comma 2 ) ; la disposizione non si applica al documento, che è mezzo di prova (art. 234) (42 ) ; 3 ) l a documentazione degli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dal consulente tecnico di parte privata su iniziativa del difensore ai sensi dell'art. 3 9 1 -decies comma 3 (art. 3 9 1 -decies comma 4). Gli altri atti d i investigazione difensiva non menzionati, i n quanto sono ripetibili in dibattimento, sono inseriti in quel fascicolo del pubblico ministero che, come abbiamo accennato, ha carattere residuale (art. 433 ). Ciò avviene, ad esempio, per i verbali delle interviste difensive. Utilizzabilità in dibattimento. Nel dibattimento gli atti di indagine difen siva seguono il regime di utilizzabilità proprio del fascicolo nel quale sono stati inseriti. Pertanto gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento potranno senz'altro essere letti ed utilizzati dal giudice (art. 5 1 1 ) . Gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero potranno essere utilizzati per le contestazioni probatorie alla stessa stregua dei verbali di dichiarazioni raccolte dall'inqui rente. Per la disciplina dettagliata della utilizzabilità delle dichiarazioni rese prima del dibattimento si rinvia all'apposito paragrafo del capitolo quinto. SEz. III
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PRIVACY
13. Il codice in materia di protezione dei dati personali.
n quadro della nuova disciplina delle investigazioni difensive si completa con l'esame dei rapporti tra tale normativa e la legge sulla privacy (legge 3 1 dicembre 1996 n. 675 , ora d.lgs. 3 0 giugno 2003 n. 1 96 « codice in materia di protezione dei dati personali », d'ora in avanti citato come " legge privacy) " . Quest'ultima incide sulle indagini difensive penali sotto due profili. Da un lato, le investigazioni devono svolgersi in modo da garantire al loro interno la riservatezza dei dati raccolti; ad esempio, la legge impone di adottare cautele nella conservazione delle notizie (art. 3 1 ss. legge privacy) . Da un altro lato, le investigazioni all'esterno incontrano i limiti di riservatezza con i quali gli (42) A nostro avviso, la norma in esame, pur apprezzabile sotto il profilo del potenziamento del valore degli atti di investigazione difensiva, reca profili di confusione tra il concetto di "documento" e quello di " documentazione" . Come abbiamo chiarito nel capitolo sulla prova, tale distinzione terminologica era stata adottata dal legislatore del 1988 per distinguere tra i verbali degli atti del procedimento ("documentazione") e tutti gli altri atti ( " documenti"). Nel predisporre la disciplina organica delle investigazioni difensive il legislatore in varie disposizioni (es. art. 3 9 1 -decies) ha considerato i relativi verbali come " documentazione" di atti del procedimento. Alla luce delle considerazioni appena svolte, risulta chiaro che la documentazione degli atti non ripetibili di indagine difensiva non può mai rientrare nella categoria della prova documentale (art. 234).
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interessati proteggono i dati della propria vita privata. Detti limiti possono essere superati a determinate condizioni, che esamineremo nelle pagine succes sive. Come abbiamo accennato in precedenza, oltre alla disciplina prevista dalla legge privacy, il trattamento dei dati raccolti dal difensore o dall'investigatore privato nell'esercizio dei poteri d'indagine difensiva è regolato altresì dalle prescrizioni dettate dal Codice di deontologia e di buona condotta, la cui osservanza è condizione essenziale ai fini del rispetto del principio di liceità e correttezza del medesimo trattamento. La clausola della inutilizzabilità. Tuttavia, in via preliminare occorre segnalare una norma che non era prevista nella legge 3 1 dicembre 1996 n. 675 , bensì è stata introdotta ex nova nel codice in materia di protezione dei dati personali. L'art. 1 1 di detto codice stabilisce che « i dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati ». Viene da chiedersi se da un punto di vista processuale si tratti di una inutilizzabilità speciale in senso tecnico (v. supra il capitolo sugli atti) disciplinata dall'art. 1 9 1 comma 2 (rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento) , oppure se la legge sulla privacy stia usando il termine " utilizzare" nel suo significato comune e non intenda disci plinare la sorte processuale delle prove assunte in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali. Se effettivamente si trattasse di inutilizzabilità, la nuova sanzione, pur nella sua gravità, colpirebbe qualsiasi inosservanza del codice sulla privacy; ma su tale conclusione avanziamo le riserve più nette. Occorre tenere presente, infatti, che da un punto di vista sostanziale l'interesse della riservatezza, sotteso alla nuova inutilizzabilità di cui si discute, non ha una tutela costituzionale diretta e immediata, bensì soltanto in deter minati casi concernenti la protezione del domicilio e la segretezza delle comu nicazioni ( artt. 1 3 , 14 e 15 Cost.) ( 43 ) . Anzi, al di fuori di tali casi, la riservatezza soccombe nei confronti dell'esigenza di accertare i fatti di reato; più in generale, il diritto di difendersi mediante prove di regola prevale sul diritto alla riserva tezza di un fatto della vita privata. Le considerazioni appena svolte confermano i dubbi, che abbiamo solle vato, in relazione alla nuova disciplina che è stata introdotta " di soppiatto" senza alcun dibattito parlamentare sul punto e, sotto un profilo sostanziale, senza operare alcun bilanciamento con altri beni di rilievo costituzionale. Pertanto, a nostro avviso una interpretazione costituzionalmente conforme della norma induce a ritenere che il termine " utilizzati" sia impiegato in senso atecnico a indicare tutte quelle finalità che sono differenti dall'utilizzazione di (43) P. GuALTIERI, Indagini difensive e privacy, Relazione all'incontro di studi del CSM su "Le investigazioni difensive", Roma, 4 febbraio 2004.
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una prova nel processo penale. In quest'ultima sede, infatti, il valore degli interessi in gioco impone di considerare irrilevanti le violazioni della disciplina sulla privacy.
14. Le investigazioni difensive su dati personali "non sensibili". Occorre tracciare una distinzione fondamentale tra l'investigazione difen siva: a) su dati "non sensibili" ; b) su dati " sensibili" , quali sono quelli che riguardano (ad esempio) l'origine razziale, le convinzioni religiose, lo stato di salute e la vita sessuale e che sono previsti nella legge sulla privacy (art. 26). Quando l'investigazione difensiva ha per oggetto dati personali "non sensibili" , sono superabili, a determinate condizioni, i più importanti limiti posti dalla legge sulla privacy. Non è necessario che l'interessato esprima il consenso al trattamento (art. 24 comma l lett. /) . All'interessato non deve essere data la comune informativa (art. 1 3 ) perché egli non ha il diritto di opporsi al trattamento (art. 8 comma 2 lett. e). Condizioni che autorizzano la deroga. Nei medesimi articoli sono poste le condizioni che autorizzano la deroga: i dati devono essere « trattati esclusiva mente » per le finalità concernenti l'investigazione difensiva o la tutela giudi ziaria di un diritto e « per il periodo strettamente necessario al loro persegui mento ». Occorre evidenziare che, ave tali condizioni non siano rispettate, torna in vigore l'ordinario regime del trattamento e le relative sanzioni previste dal codice in materia di protezione dei dati personali in caso di inosservanza. Le condizioni menzionate vanno interpretate sulla base di quanto è stabilito nel codice di procedura penale. Dall'art. 327 -bis si ricava che il titolare del potere processuale di compiere l'investigazione difensiva non è il " cliente" (l'imputato o la persona offesa dal reato), bensì il difensore. Questi svolge personalmente l'indagine o incarica un altro avvocato (denominato " sostituto" ) , un consulente tecnico o un investiga tore privato autorizzato. Il potere del difensore deriva dall'incarico professio nale, risultante da atto scritto (art. 327-bis, comma l ) ; non occorre un ulteriore mandato da parte del cliente, né quest'ultimo può direttamente incaricare gli altri soggetti ora indicati. Il difensore gode di per sé del potere di incarico, anche se evidentemente dovrà concordare tale linea col cliente, che dovrà sopportarne le spese. Ne deriva che i predetti ausiliari sono soggetti delegati dal difensore. In base alla normativa vigente per il processo penale, spetta al difensore indicare quelle « finalità » che, ai sensi della legge sulla privacy, legittimeranno la deroga all'informativa e al consenso. I dati dovranno essere trattati « esclu sivamente » in relazione ad esse. La legge vuole evitare indagini che siano autonome rispetto ad un procedimento penale. Tempo strettamente necessario. La seconda condizione impone che i dati
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siano trattati « per il periodo strettamente necessario al (. .. ) perseguimento » delle finalità di indagine. n termine è da intendersi riferito alla formazione del giudicato sull'intera vicenda processuale, comprensiva della questione del risar cimento del danno derivante dal reato. La legge vuole evitare, in sostanza, che esistano fascicoli svincolati da una vicenda processuale. Fino al momento in cui interviene il giudicato, il materiale raccolto è " congelato" e non può essere usato ad altri fini. Informativa. Vi è infine una terza condizione da rispettare. Quando si raccolgono informazioni " personali" presso un soggetto, questi (si tratti o meno della persona alla quale si riferiscono i dati) deve essere informato sulla finalità dell'intervista e sulla identità di colui che opera il trattamento (art. 13 comma l legge privacy) . A ben vedere, si tratta del medesimo " avvertimento" che è imposto dalla normativa sulle indagini difensive (art. 3 9 1 -bis, comma 3 , lett. a c.p.p .): il difensore o il suo ausiliario deve rendere edotto l'interlocutore della propria qualità e dello scopo dell'intervista, anche quando si tratta di un colloquio non documentato. Le investigazioni svolte personalmente dalle parti private. Occorre preci sare che le parti private possono svolgere indagini personalmente, e cioè senza l'ausilio di un difensore. Ciò è ritenuto essere espressione di un diritto di libertà il cui esercizio è lecito nei limiti in cui non venga a ledere altrui interessi; tuttavia l'indagine svolta dall'imputato o dalla persona offesa non gode delle facilitazioni e dei poteri previsti per le investigazioni " difensive" . Infatti, l'art. 3 27-bis c.p.p. si limita a regolare l'attività investigativa del difensore, pur non vietando che i soggetti del procedimento penale compiano indagini personalmente. A con ferma di quanto affermato, possiamo citare l'art. 5 comma 3 codice privacy, che consente alla persone fisiche di trattare direttamente i dati per l'esclusivo fine della tutela di un proprio diritto in sede giudiziaria, anche nell'ambito delle investigazioni relative ad un procedimento penale (44 ) . 15. Le investigazioni difensive su dati personali "sensibili". Il codice in materia di protezione dei dati personali (art. 26) permette che siano investigabili per mezzo di indagini difensive tutti i dati personali "sensi bili " : non soltanto la salute e la vita sessuale, come era all'origine nel 1 996, bensì anche (ad es. ) l'origine razziale e le convinzioni religiose, filosofiche e politiche. Merita sottolineare che, in materia, vi è un'accentuazione marcata dei limiti funzionali. Anche in tema di dati " sensibili" vale il principio generale secondo cui, se (44)
In tal senso si esprime in modo esplicito il Garante per la protezione dei dati personali nella
Autorizzazione al trattamento dei dati sensibili da parte degli investigatori privati, n. 6 del 16 dicembre 2009, in G.U., 18 gennaio 2010, n. 13, Suppl. ord. n. 1 2 .
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vengono violati i limiti funzionali, torna in vigore l'ordinario regime del trattamento. Il dt/ensore, che agisca personalmente o mediante sostituti, prati canti o ausiliari che non siano investigatori, trova i suoi poteri regolamentari nell'autorizzazione generale del Garante per la protezione dei dati personali n. 4 del 2008 (45 ). I dati sensibili relativi a persone diverse dal cliente possono essere trattati « ove ciò sia strettamente indispensabile per l'esecuzione di specifiche prestazioni professionali richieste dai clienti per scopi determinati e legittimi ». Inoltre il trattamento dei dati sensibili è ammesso soltanto se l'incarico non possa essere svolto « mediante il trattamento di dati anonimi o di dati personali di natura diversa » (n. 2 ) . I dati raccolti possono essere trattati solo per il tempo strettamente necessario al perseguimento di tale finalità (art. 13 comma 5 lett. b, codice privacy); se invece il trattamento ha una durata eccedente tale periodo, è richiesta sia l'informativa ex art. 13 cit. che il consenso scritto dell'interessato (n. 4). Se i dati oggetto d'investigazione investono lo stato di salute o la vita sessuale dell'interessato, il trattamento per finalità di indagine difensiva è autorizzato soltanto se il diritto che si difende in sede giudiziaria è di rango pari a quello dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile (n. 3 ) , circostanza quest'ultima che dovrebbe considerarsi sempre integrata nell'ambito del procedimento penale, nel quale è in gioco la libertà personale dell'imputato. I dati possono essere comunicati « nei limiti strettamente pertinenti all'espletamento dell'incarico conferito e nel rispetto, in ogni caso, del segreto professionale » (n. 6). Viceversa, l'indagine svolta dall'invest(gatore privato è regolamentata nella Autorizzazione 2009 n. 6, cit.
(45) Autorizzazione al trattamento dei dati sensibili da parte dei liberi pro/ersionisti, dicembre 2009, in G.U., cit.
n.
4 del 16
CAPITOLO v IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO
SoMMARIO: Sez. I
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Gli atti preliminari al dibattimento. - l . Considerazioni generali. - 2. Gli
atti preliminari al dibattimento. - 3 . La lista dei testimoni, consulenti tecnici, periti e
imputati connessi. - 4. Le funzioni eventuali della fase degli atti preliminari al dibatti
mento. - 5. Le indagini integrative. - Sez. II
-
Le disposizioni generali sul dibattimento.
- 6. I poteri del presidente e dell'organo giudicante. L 'udienza. - 7. La pubblicità delle udienze. - 8. Il principio del contraddittorio. - 9. Il principio di oralità. - 10. Il principio di immediatezza. - 1 1 . Il principio della concentrazione. - Sez. III
-
Gli atti
introduttivi al dibattimento. - 12. La costituzione delle parti e l'assenza dell'imputato. 1 3 . La contumacia. - 14. Le questioni preliminari. - Sez. IV
-
Il dibattimento. - 15.
L'apertura del dibattimento e le richieste di prova. - 16. L'istruzione dibattimentale.
L'ordine dei "casi " . 17. L'ordine delle prove all'interno del singolo "caso " . - 18. I preliminari all'esame incrociato. - 19. L'esame incrociato. - 20. Le dichiarazioni rese prima del dibattimento e la loro utilizzabilità. - 2 1 . Principio dispositivo e poteri di iniziativa probatoria esercitabili dal giudice. - 22. La partecipazione e l'esame "a distanza " . - 2 3 . L e nuove contestazioni. La correlazione tra imputazione e sentenza. - 24. L a -
discussione finale. - Sez. V Gli atti successivi al dibattimento. L a sentenza. - 25 . Considerazioni generali. - 26. Tempi e modi della deliberazione. Pubblicazione e deposito della sentenza. - 27. I requisiti della sentenza. La motivazione. - 28. La sentenza di non doversi procedere. - 29. Sentenza di non doversi procedere e interesse dell'imputato all'assoluzione. - 30. La sentenza di assoluzione. - 3 1 . La mancanza, insufficienza o -
contraddittorietà della prova di reità. - 3 2 . Le disposizioni eventuali della sentenza di proscioglimento. 3 3 . La sentenza penale di condanna. - 34. Le statuizioni sulle -
questioni civili.
S Ez. I
l.
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Gu
ATTI PRELIMINARI AL DIBATTIMENTo
Considerazioni generali.
Nel libro settimo il codice regola la fase del giudizio di primo grado, che a sua volta è ripartita nei tre momenti degli atti preliminari al dibattimento, del dibattimento e degli atti successivi al dibattimento. Nel dibattimento la formazione della prova avviene nel contraddittorio: le parti pongono direttamente le domande alle persone esaminate. Inoltre si vuole assicurare un rapporto di immediatezza fra la formazione delle prove e la decisione: il giudice che decide deve aver assistito all'assunzione delle prove. Infine, il dibattimento dovrebbe tendenzialmente svolgersi in udienze concen-
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trate nel tempo. I n definitiva, s i ritiene comunemente che il dibattimento sia la fase del procedimento che più di ogni altra rispetta le caratteristiche del sistema accusatorio, poiché accoglie le garanzie appena menzionate. Merita precisare, tuttavia, che il dibattimento può essere oggetto di rinuncia da parte dell'imputato. Ciò avviene quando questi richiede lo svolgimento del giudizio abbreviato o concorda col pubblico ministero l'applicazione della pena (c.d. patteggiamento). Abbiamo anticipato che quella in oggetto è la fase del procedimento che più di ogni altra rispetta le caratteristiche del sistema accusatorio. Occorre segna lare, tuttavia, che il dibattimento non recepisce tutte le caratteristiche di tale sistema; in particolare, non accoglie la struttura del "processo di parti" , che costituisce la " radicalizzazione" del sistema accusatorio. D c.d. processo di parti. Si ha "processo di parti" quando queste ultime dispongono sia dell'oggetto del processo, sia delle prove. Tipico esempio di processo di parti è il processo civile avente ad oggetto diritti disponibili. Da un lato, l'attore può disporre del diritto controverso (ad esempio, può effettuare una transazione) ; da un altro lato, il giudice decide soltanto sulla base delle prove richieste dalle parti. n processo penale non accoglie lo schema del processo civile per vari motivi. In primo luogo, l'azione penale non è disponibile, bensì obbligatoria: il pubblico ministero non può operare transazioni sull'imputazione (e cioè sul l'oggetto del processo). In secondo luogo, le parti non hanno l'esclusiva disponibilità dei mezzi di prova: una volta che sono state acquisite le prove da esse richieste, il giudice può assumere nuove prove d'ufficio se risulta « asso lutamente necessario » ( art. 507 ) . In terzo luogo, il giudice non è vincolato a decidere nei limiti delle richieste delle parti. Può assolvere anche se l'imputato chiede (per ipotesi) di essere condannato; e viceversa può condannare ad una pena più grave di quella richiesta dal pubblico ministero. Il giudice nel decidere è vincolato soltanto all'osservanza della legge. L'unico vero limite al potere decisionale del giudice consiste nel/atto storico enunciato nell'imputazione (art. 52 1 , comma 1 ) . Il giudice può dare al fatto storico una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza ( l ) ; pertanto può modificare soltanto il titolo di reato (e cioè la qualificazione giuridica del fatto storico) . Ad esempio, se è contestata una circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.), può ritenere sussistente una truffa (art. 640) . Quando, viceversa, il giudice accerta che il fatto storico è diverso da quello descritto nell'imputazione o comunque contestato in dibattimento, egli deve ( l ) << né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché mono cratica >> (art. 52 1 , comma l ) ; vedi infra. • • •
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Il procedimento ordinario
III.V.2
ordinare la trasmissione degli atti al pubblico ministero perché questi eserciti nuovamente l'azione penale ( art. 52 1 , comma 2) (v. in/ra, par. 8).
2.
Gli atti preliminari al dibattimento.
La fase degli atti preliminari al dibattimento ha inizio nel momento in cui la cancelleria del giudice competente riceve il decreto che dispone il giudizio ed il fascicolo per il dibattimento (artt. 432 e 465 ) . La fase termina nel momento in cui, in udienza, il presidente dell'organo giudicante dichiara aperto il dibattimento (art. 492 ) (v. tav. 3 .5 . 1 ). In questa fase sono compiute attività sia dalle parti, sia dal presidente; l'intervento del collegio è soltanto eventuale e si verifica nell'ipotesi che sia pronunciato il proscioglimento anticipato (art. 469). Ricordiamo che nel procedimento ordinario il compito d i fissare l a data dell'udienza dibattimentale è demandato al giudice dell'udienza preliminare. Al termine di questa, nel momento in cui redige il decreto che dispone il giudizio, il giudice chiede al presidente dell'organo competente il giorno e l'ora del l'udienza dibattimentale (anche con mezzi telematici; art. 132 disp. att.) . Di essi è data comunicazione alle parti presenti all'udienza preliminare mediante lettura del decreto che dispone il giudizio almeno venti giorni prima della data dll'udienza dibattimentale (art. 424, comma 1 ) . All'imputato, alla persona offesa ed alle altre parti private, che siano state assenti in tale sede, è notificato il decreto che dispone il giudizio almeno venti giorni prima della data dell'udienza dibattimentale ( artt. 429, comma 4 c.p.p. e 133 disp. att.). La procedura appena esposta si propone di agevolare una rapida instaurazione del dibattimento e di evitare i tempi di attesa. In ogni caso il codice tiene conto della possibilità che si verifichino fatti imprevisti ed attribuisce al presidente dell'organo giudicante il potere di anticipare o differire l'udienza per giustificati motivi, dandone comunicazione alle parti (art. 465 ) . La funzione necessaria. L a fase degli atti preliminari al dibattimento svolge varie funzioni. La funzione che viene necessariamente espletata è quella di svelare quali sono i testimoni, consulenti tecnici, periti e imputati connessi dei quali una parte intende chiedere l'ammissione in dibattimento al momento delle richieste di prova (art. 493 ) . A tale scopo ogni parte ha l'onere di depositare una lista contenente i nomi delle persone menzionate e le circostanze sulle quali deve vertere l'esame (art. 468, comma 1 ) . L e funzioni eventuali. L a fase degli atti preliminari al dibattimento può svolgere altre tre funzioni eventuali, e cioè: l ) ottenere dal presidente del collegio giudicante l'autorizzazione alla citazione dei testimoni, consulenti tecnici, periti e imputati connessi (art. 468, comma 2 ) ; 2 ) permettere l'assun zione di prove urgenti (art. 467 ) ; 3 ) permettere la pronuncia di una sentenza anticipata di proscioglimento ( art. 469).
III.V.3 3.
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La lista dei testimoni, consulenti tecnici, periti e imputati connessi.
In base all'art. 468, comma l, le parti che intendono chiedere l'esame di testimoni, periti, consulenti tecnici e imputati connessi o collegati devono depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, la lista con la indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame (2). L'indicazione dei mezzi da assumere a prova principale. li codice impone un vero e proprio "onere" di svelare in anticipo i mezzi di prova dichiarativa che la parte intende assumere in dibattimento a titolo di prova principale (v. atto 3 .5.2). Se l'onere di previa indicazione dei nominativi e dei fatti, che saranno oggetto dell'esame, non viene osservato, scatta la sanzione della inammissibilità. Essa toccherà quella domanda di ammissione del relativo mezzo di prova, che sarà presentata nel corso delle richieste di prova (art. 493 ) ; di modo che il giudice non dovrà valutaria, limitandosi a dichiararla inammissibile. Nella lista devono essere indicati i testimoni, periti o consulenti tecnici e imputati connessi e collegati che una parte intende sentire in dibattimento (3 ) . Non devono essere indicate le parti private, perché queste godono del potere di non consentire all'esame (art. 208). La dottrina tradizionale ritiene che la funzione della lista sia quella di permettere la discovery, e cioè di assicurare una previa conoscenza alle altre parti, in modo da evitare "prove a sorpresa " . In effetti, ciascuna delle parti ha diritto ad esaminare in cancelleria le liste presentate dalle altre parti ed in tal modo può conoscere per tempo quella che sarà la prevedibile richiesta di ammissione di prove che le altre parti formuleranno nel corso delle richieste introduttive (art. 493 ) (4). n diritto alla ammissione della prova contraria. La funzione più importante delle liste consiste nel mettere in grado ciascuna delle parti di esercitare il proprio diritto all'ammissione della prova contraria previsto, nei suoi aspetti "procedimentali" , dall'art. 468, comma 4: in relazione alle circostanze indicate nelle liste, ciascuna parte può chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti, consulenti tecnici e imputati connessi o collegati « non com-
(2) La parte civile, che non si sia costituita almeno sette giorni prima della data del dibattimento, non può avvalersi della facoltà di presentare le liste testimoniali; art. 79, comma 3 . ( 3 ) L'indicazione nelle liste dei soggetti d i cui all'art. 2 1 0 è stata prevista dalla legge 1 6 dicembre 1999, n. 479. Merita precisare che, a seguito della legge n. 63 del 2001, le parti dovranno indicare anche quegli imputati connessi teleologicamente o collegati che abbiano reso dichiarazioni su fatti altrui e debbano deporre come testimoni assistiti su tali fatti (art. 197 -bis). (4) L'indicazione delle circostanze sulle quali verterà l'esame, nel caso in cui debba essere sentito un coimputato o un imputato connesso o un teste assistito, adempie ad una ulteriore funzione; vale infatti a tutelare il diritto di difesa del dichiarante che porrà decidere per tempo come comportarsi nel corso dell'escussione al fine dell'esercizio del diritto a restare silenzioso.
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III.V.3
presi nella propria lista, ovvero presentarli al dibattimento » (5) . Altra funzione della lista è quella di permettere alle parti di preparare il controesame che intendono svolgere nei confronti dei dichiaranti (6). Ricordiamo che le parti private in questa fase hanno piena conoscenza degli atti raccolti nelle indagini e nell'udienza preliminare. Infatti, esse hanno potuto prendere visione del fascicolo per il dibattimento, che si trova depositato presso la cancelleria dell'organo giudicante (art. 466) . Parimenti hanno potuto esami nare il fascicolo del pubblico ministero, che deve essere depositato presso la segreteria (art. 433 , comma 2 ) (7) . Pertanto tutte le parti sono in grado di indicare quali sono le persone che vogliono chiamare a deporre a prova principale. Una volta che le liste sono state presentate, ciascuna delle parti può valutare la convenienza di chiedere l'ammissione di altre persone « a prova contraria » (art. 468, comma 4 ) (8). Ai sensi dell'art. 468, comma 5 , il presidente deve in ogni caso disporre la citazione del perito nominato nell'incidente probatorio (9). Per l'acquisizione di verbali di prove assunte in altro procedimento penale valgono princìpi analoghi a quelli che abbiamo appena menzionato. Ai sensi dell'art. 468, comma 4-bis, « la parte che intende chiedere l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale deve farne espressa richiesta unitamente al deposito delle liste ». La medesima, o altra parte, potrebbe aver interesse a sentire oralmente coloro che hanno reso precedenti dichiarazioni in altro procedimento penale. In tal caso, tuttavia, la citazione di costoro « è autorizzata dal presidente solo dopo che in dibattimento il giudice ha ammesso l'esame a norma dell'art. 495 », e cioè dopo le richieste di prova. (5) Non sarebbe corretto utilizzare il termine "controprova" in quanto la Relazione al testo definitivo del codice, con riferimento all'art. 468, comma 4, si esprime nel seguente modo: « l'articolo (. .. ) è stato modificato in sostanziale accoglimento di un rilievo della Commissione parlamentare: si è sostituita l'espres sione "prova contraria" al termine "controprova" che appariva richiamare l'omologa e riduttiva nozione civilistica di prova contraria dipendente ». (6) Non è pacifico in giurisprudenza il grado di specificità cui deve giungere l'indicazione delle circostanze. Da un lato, si ritiene sufficiente l'indicazione anche per relationem a fatti compresi nel capo di imputazione o in altri atti che devono essere comunque noti alle parti. Da un altro lato, si obietta che, pur non essendo necessaria una esatta indicazione delle domande, tuttavia ai fini della verifica del giudice sulla ammissibilità e ai fini dell'esercizio del diritto alla prova contraria, occorre una specifica individuazione delle circostanze. (7) Merita ricordare che, dopo la chiusura delle indagini preliminari, nel fascicolo delle indagini confluisce anche il fascicolo del difensore, che contiene gli atti di investigazioni difensive che siano stati presentati al giudice (art. 391 -octies, comma 4). (8) Il termine massimo per esercitare il " diritto alla prova contraria", in relazione a ciò che è indicato nelle liste, è il momento delle richieste di prova (art. 493 ). Dopo di che le successive domande delle parti potranno essere valutate dal giudice in modo discrezionale in base all'art. 507. (9) Cass., sez. III, 22 aprile 1 999, Pilati, in CED, n. 2 1 4222: << in caso di conferimento di incarico peritale, ove il perito abbia chiesto di poter rispondere con relazione scritta e la relazione sia stata depositata, ma il perito non sia stato citato per essere esaminato a dibattimento, sussiste violazione degli artt. 508, 5 1 1 e 501 c.p.p., perché il perito non è stato esaminato e la difesa non ha potuto porre domande >>; in senso analogo, Cass., sez. I, 6 febbraio 1997, Romano, in Cass. pen., 1998, 5 15.
lli.V.4 4.
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Le funzioni eventuali della fase degli atti preliminari al dibattimento.
Abbiamo anticipato che la fase degli atti preliminari al dibattimento può svolgere altre funzioni, che si configurano come eventuali. l ) La richiesta di autorizzare la citazione dei dichiaranti. Le parti, nel momento in cui presentano le liste, hanno la possibilità di chiedere al presidente del collegio giudicante la citazione delle persone delle quali intendono ottenere l'esame in dibattimento. Le parti potrebbero, in verità, presentare testimoni e consulenti tecnici direttamente in udienza (art. 468, comma 3 ) . Tuttavia, se vogliono renderne obbligatoria la presenza, hanno l'onere di chiederne la citazione. Il presidente la autorizza escludendo le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti (art. 468, comma 2 ) ( lO). La legge n. 479 del 1 999 ha altresì previsto la possibilità che il presidente disponga la citazione « per la data fissata per il dibattimento ovvero per altre successive udienze nelle quali ( . . . ) sia previsto l'esame » (art. 468, comma 2 ) . Un simile accorgimento è comunemente adottato nella prassi giudiziaria; la prima udienza è diventata un'udienza di comparizione delle parti. 2) L'assunzione di prove urgenti. La seconda funzione della fase in esame è quella di permettere l'assunzione delle prove "urgenti" , e cioè non rinviabili al dibattimento (art. 467 ) . L'assunzione di tali prove è richiesta dalle parti al presidente del collegio giudicante « nei casi previsti dall'art. 3 92 », e cioè quando è possibile procedere a incidente probatorio. Qualora il presidente accolga la richiesta, le prove urgenti sono assunte in una udienza che si svolge in forme diverse da quelle previste per l'incidente probatorio. Si tratta di una vera e propria udienza dibattimentale anticipata, che si celebra con la presenza del pubblico; tuttavia non interviene il collegio giudicante, ma soltanto il presidente dello stesso. 3) La pronuncia della sentenza anticipata di proscioglimento. La terza funzione, che può essere svolta, eventualmente, dalla fase degli atti preliminari al dibattimento, è quella di permettere l'emissione di una sentenza anticipata di proscioglimento nei casi nei quali l'azione penale non doveva essere iniziata (es . , mancanza della querela) o non deve essere proseguita (es. perché è stato confermato il segreto di Stato) ; o nei casi nei quali il reato è estinto (es., amnistia o prescrizione) . La sentenza in questione può essere emessa soltanto quando, per accertare l'improcedibilità o l'estinzione del reato, non è necessario assu mere prove in dibattimento; occorre inoltre che l'imputato ed il pubblico ministero non si oppongano. La sentenza di non doversi procedere è emessa dal collegio giudicante in camera di consiglio « sentiti il pubblico ministero e ( l O) La richiesta di citazione può essere presentata anche per i soggetti dei quali si intende chiedere in dibattimento l'esame "a prova contraria " ; non occorre rispettare il termine di sette giorni liberi prima del dibattimento (art. 468, comma 4 ) . Owiamente la richiesta deve essere presentata in tempo utile perché la citazione possa awenire per il dibattimento (art. 142 disp. att.).
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Il procedimento ordinario
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l'imputato » ed è inappellabile ( art. 469). Ove dagli atti appaia evidente l'innocenza dell'imputato (ad esempio, in seguito alla assunzione di quelle prove urgenti delle quali abbiamo appena trattato) il giudice non può pronunciare sentenza di assoluzione, bensì deve procedere a dibattimento; infatti, in sede di atti preliminari al dibattimento non può trovare applicazione il secondo comma dell'art. 129, che « presuppone necessariamente l'instaurazione di un giudizio in senso proprio » ( 1 1 ) . 5.
Le indagini integrative.
Le garanzie previste dal codice per l'assunzione delle prove urgenti durante gli atti preliminari al dibattimento permettono di comprendere i limiti che in questa fase sono frapposti alle indagini svolte dalle parti. Una volta che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio, il pubblico ministero e il difensore possono com piere attività integrativa di indagine con esclusione degli « atti per i quali è prevista la partecipazione dell'imputato o del difensore di questo » (art. 43 0, comma l ; ad es. , il pubblico ministero può procedere a perquisizioni). In definitiva si possono assumere quegli atti per i quali non occorre dare preavvisi (al difensore o, rispet tivamente, al pubblico ministero ex art. 3 9 1 -decies comma 3 ) ; viceversa, ave debba essere assunto un atto che prevede il contraddittorio e tale atto non sia rinviabile al dibattimento, non vi è altro strumento se non l'assunzione della prova " urgente" (art. 467 ) . L e indagini integrative sono sottoposte a d un contraddittorio successivo; l'art. 430, comma 2 dispone che la documentazione di tali atti sia immediata mente depositata nella segreteria del pubblico ministero « con facoltà delle parti di prenderne visione e di estrarne copia » ( 12 ) . La documentazione delle indagini integrative è inserita nei fascicoli del pubblico ministero e del difensore soltanto « quando di essa le parti si sono servite per la formulazione di richieste al giudice del dibattimento e quest'ultimo le ha accolte » (art. 433 , comma 3 , mod. dalla legge n . 3 97 del 2000) ( 13 ) . Merita a questo punto richiamare l'art. 430-bz5, introdotto dalla legge n . 479 del 1 999, al quale abbiamo già accennato. La disposizione vieta alla polizia giudiziaria, al pubblico ministero ed al difensore di assumere informazioni dalle persone indicate da altra parte nelle liste testimoniali (art. 468). Ove il divieto Così, Cass., sez. un., 1 9 dicembre 2001-25 gennaio 2002, Angelucci, in Cass. pen., 2002, 1618. Per le investigazioni svolte dal difensore dell'imputato e da quello dell'offeso valgono le regole vigenti in materia: il difensore può presentare o no la documentazione relativa ai sensi dell'art. 391-octies; v. supra, cap. IV, § 7. L'art. 430, comma l indica il momento iniziale delle indagini integrative; non ne indica il termine finale. Si ritiene che un termine finale non sia concepibile nel sistema accusatorio: l'attività di indagine è tendenzialmente illimitata nel tempo, potendo essa protrarsi sino alla decisione del giudice di merito. ( 13 ) Si veda G. VARRASO, Le indagini "supplettive" ed "integrative" delle parti, Padova, 2004, 62.
( 1 1) ( 12)
Il giudizio di primo grado
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non sia rispettato, l a norma commina l a inutilizzabilità delle dichiarazioni eventualmente raccolte. SEz. II
6.
-
LE
DISPOSIZIONI GENERALI suL DIBATTIMENTo
I poteri del presidente e dell'organo giudicante. L'udienza.
Quando l'organo giudiziario è collegiale (ad esempio, corte d'assise o tribunale in composizione collegiale) , vi è una netta ripartizione tra i poteri del presidente e quelli dell'organo giudicante (che il codice definisce sinteticamente « giudice » ) . Di regola i poteri di " direzione" del dibattimento spettano al presidente; viceversa i poteri " decisori" spettano all'intero collegio. Fra i poteri del presi dente si può citare quello attinente alla disciplina delle udienze (art. 470, comma 1 ) . Fra i poteri del collegio vi è quello di decidere con ordinanza l'ammissione delle prove richieste dalle parti (art. 495 , comma l ) ( 14 ) . Se il giudice è monocratico (es. giudice singolo del tribunale o giudice di pace) , i poteri sopra menzionati si cumulano nel medesimo magistrato. L'udienza. L'udienza è il tempo di una singola giornata dedicato allo svol gimento di uno o più processi. Il dibattimento è la trattazione in udienza di un determinato processo. Pertanto, un dibattimento complesso può anche durare per più udienze; inoltre, in una udienza possono essere trattati più processi. Durante la fase degli atti preliminari al dibattimento, si svolgono in udienza le seguenti attività: la costituzione delle parti ed, eventualmente, la dichiarazione di contumacia e la discussione delle questioni preliminari. n verbale di udienza è redatto dall'ausiliario che assiste il giudice (art. 480, comma l ) ed è inserito nel fascicolo per il dibattimento (art. 480, comma 2 ) . Tale fascicolo può essere consultato dal giudice in camera di consiglio. TI codice tende ad assicurare l'esigenza che le risultanze dibattimentali siano riprodotte con la massima fedeltà e completezza, perché queste saranno poi utilizzate dal giudice per decidere. In particolare l'art. 5 10, comma 2 precisa che devono essere sempre riprodotte non soltanto le risposte, ma anche le domande che sono rivolte alla persona esaminata. Valgono per il dibattimento tre forme di redazione del verbale previste dall'art. 134 (v. supra, parte II, cap. 2 ) ( 1 5 ) . ( 1 4 ) Una deroga espressa a l criterio menzionato è contenuta nell'art. 295 comma 3 ·ter: nei giudizi davanti alla corte d'assise le intercettazioni al fine di ricercare il latitante sono autorizzate non dal collegio giudicante, bensì dal presidente della corte. Tale disposizione è stata introdotta dalla legge 14 febbraio 2006 n. 56 allo scopo di assicurare una maggiore riservatezza e tempestività nella adozione di simili provvedimenti. ( 1 5 ) In primo luogo, è prevista come regola la verbalizzazione integrale nella forma della stenotipia o, in subordine, della scrittura manuale (art. 134, comma 2 ) . In secondo luogo, è prevista in via eccezionale la
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III . V . 7 . b
Il procedimento ordinario La pubblicità delle udienze. a.
n concetto di "pubblicità".
Con riguardo al processo penale, la pubblicità concerne la possibilità che il comune cittadino conosca quanto si svolge in dibattimento. È possibile effettuare una distinzione tra pubblicità immediata e pubblicità mediata. La pubblicità immediata si realizza quando soggetti estranei al processo sono presenti in aula ed assistono direttamente all'udienza. La pubblicità mediata si attua attraverso la possibilità di pubblicare gli atti del dibattimento tramite la stampa o altro mezzo di diffusione. La pubblicità mediata svolge una duplice funzione: da un lato, permette il controllo dell'opinione pubblica sul funzionamento della Giustizia; da un altro lato, costituisce una forma di manifestazione del pensiero (art. 2 1 Cost.) mediante la cronaca e la critica giudiziaria (con la quale non soltanto vengono riferiti gli atti del dibattimento, ma possono essere valutate le decisioni del giudice).
b.
La pubblicità immediata.
La pubblicità immediata è assicurata dalla modalità di svolgimento del l'udienza, che di regola è aperta al pubblico (a pena di nullità) . L'art. 47 1 , comma 2 prevede categorie di persone che non sono ammesse nell'aula di udienza (ad esempio, minori di diciotto anni o persone che appaiono in stato di squilibrio mentale) . La pubblicità immediata subisce un'eccezione quando il giudice dispone che si proceda "a porte chiuse" in presenza di ipotesi previste tassativamente dalla legge. In alcune di queste ipotesi, quando sono prevalenti esigenze di segretezza, è limitata altresì la pubblicità "mediata" attraverso la stampa o altri mezzi di diffusione. La decisione di procedere a porte chiuse per l'intero dibattimento (o per alcune parti di esso) non costituisce per il giudice l'espressione di una facoltà, bensì di un dovere imposto dalla legge. L'obbligo di procedere a porte chiuse con divieto di pubblicazione degli atti. Nelle seguenti ipotesi (previste dall'art. 472 , commi l e 2) si deve procedere a porte chiuse ed è altresì vietata la pubblicazione degli atti del dibattimento (art. 1 14, comma 4):
verbalizzazione in forma riassuntiva, alla quale deve affiancarsi la riproduzione fonografica (art. 1 3 4 , comma 3 ) . In terzo luogo, è prevista unicamente la verbalizzazione riassuntiva se si tratta di atti di contenuto semplice o si verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici (art. 140); in tal caso il potere di vigilanza sulla verbalizzazione spetta al presidente (art. 5 10, comma 3 ) Le parti hanno poteri di controllo sulla correttezza della verbalizzazione (art. 482), fermo restando che sulle relative questioni decide il presidente; in ogni caso, le parti hanno il diritto, entro i limiti strettamente necessari, di far inserire nel verbale ogni dichiarazione a cui abbiano interesse. .
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Il giudi::.io di primo grado
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a) quando la pubblicità può nuocere al buon costume, da intendersi nel senso di buon costume sessuale; b) quando la pubblicità può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell'interesse dello Stato e purché l'autorità competente chieda di procedere a porte chiuse; le « notizie da mantenere segrete » differiscono da quelle coperte dal segreto di Stato, che non è conoscibile neanche dal giudice (artt. 202 e 256); c) quando l'assunzione di determinate prove può causare pregiudizio alla riser vatezza dei testimoni ovvero delle parti private « in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell'imputazione ». In questo caso occorre la richiesta dell'interessato che si proceda a porte chiuse. L 'obbligo di procedere a porte chiuse senza divieto di pubblicazione degli atti. Le ipotesi nelle quali si procede a porte chiuse, ma è consentita la pubblicazione degli atti del dibattimento (ai sensi dell'art. 1 14, comma 3 ) , sono le seguenti (art. 472, commi 3 e 3 -bis) : d) quando la pubblicità può nuocere alla pubblica igiene; e ) quando avvengono da parte del pubblico manifestazioni che turbano il regolare svolgimento delle udienze; /! quando è necessario salvaguardare la sicurezza di testimoni o di imputati. In questi ultimi casi (d, e, /! il giudice può consentire la presenza dei giornalisti (art. 473 , comma 2 ) ; e ciò al fine di rendere possibile in concreto l'esercizio del diritto di cronaca e di critica giudiziaria. n regime giuridico previsto per i delitti di violenza sessuale e assimilati. Merita segnalare che le leggi n. 66 del 1996, n. 269 del 1998 e n. 228 del 2003 hanno disposto che i dibattimenti relativi ad alcuni delitti di violenza sessuale, di prostituzione minorile e di tratta di persone debbano svolgersi, di regola, a porte aperte. Tuttavia la persona offesa, se adulta, può chiedere che si proceda a porte chiuse anche soltanto per una parte del dibattimento (art. 472 , comma 3 -bis). Quando la persona offesa è minorenne si procede sempre a porte chiuse. In ogni caso, a prescindere dal titolo del reato per il quale si procede, se deve essere esaminata una persona minorenne, il giudice ha il potere discrezionale di disporre che il relativo esame avvenga a porte chiuse (art. 472, comma 4). Occorre poi ricordare che i procedimenti a carico di imputati minorenni si svolgono di regola a porte chiuse (art. 3 3 , d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448) ( 16). c.
Le riprese televisive del dibattimento.
Le riprese televisive del dibattimento sono disciplinate dall'articolo 147 disp. att. Anzitutto, vi è un caso in cui le riprese o le trasmissioni del dibattimento sono sempre vietate. Si tratta di quelle ipotesi nelle quali si ( 16) Nei casi sopra menzionati (delitti di violenza sessuale, prostituzione minorile, tratta di persone e persona offesa minorenne) è lecita la pubblicazione degli atti del dibattimento, perché tali ipotesi non sono ricomprese nell'art. 1 14 , comma 4; la qual cosa ci pare palesemente non ragionevole. Occorre ricordare, infatti, che l'art. 1 14, comma 6 prevede limiti soltanto in relazione alla pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni o in relazione ad elementi che anche indirettamente possono consentire l'identificazione dei minorenni.
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Il procedimento ordinario
III . V . 7 . c
procede a porte chiuse per motivi di segretezza o riservatezza (art. 147 , comma 4 ) . In questi casi, la deroga alla pubblicità immediata, che abbiamo analizzato supra, comporta anche l'impossibilità di attuare la pubblicità mediata ed implica l'esclusione dei mezzi audiovisivi dall'aula di udienza. Si tratta, più specificamente, dei seguenti casi: a) quando la pubblicità possa nuocere al buon costume; b) quando essa possa comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell'interesse dello Stato; c) quando si devono assumere prove che possono causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private « in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell'im putazione »; d) quando il giudice dispone che l'esame dei minorenni si svolga a porte chiuse. Salvi i divieti ora menzionati, l'articolo 147 consente le riprese televisive dei dibattimenti, lasciando al giudice (inteso come organo giudicante) la valutazione delle condizioni di ammissibilità (v. tav. 3 .5.3). Nel primo comma dell'articolo 147, convergono i tre princìpi che la norma cerca di contemperare. Si tratta del diritto di cronaca giudiziaria, del diritto alla riservatezza e dell'interesse alla retta
amministrazione della Giustizia. L'interesse prevalente è quello che abbiamo menzionato per ultimo. Infatti, ai sensi dell'articolo 147 disp. att., il limite assoluto all'autorizzazione delle riprese televisive, finalizzate all'esercizio del diritto di cronaca, è costituito dal « pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell'udienza o alla deci sione » ( 1 7 ) . In realtà, ci sembra arduo individuare ipotesi nelle quali la presenza delle telecamere in aula non sia idonea a recare tale pregiudizio. Da un lato, la mera presenza materiale delle attrezzature e degli operatori disturba le attività processuali. Da un altro lato, le riprese e le trasmissioni provocano risvolti psicologici su tutti i soggetti che partecipano al dibattimento ( 18). Sotto questo profilo, merita ricordare che gli ordinamenti più garantisti vietano in aula l'utilizzazione anche delle macchine fotografiche. n consenso delle parti. Il codice prevede, come ulteriore requisito per autorizzare la ripresa o la trasmissione, il consenso delle parti (art. 147 , comma 1 ) . Tuttavia, il giudice non ha l'obbligo di sentirle preliminarmente, né di avvisarle che hanno la facoltà di non consentire. Se le parti tacciono, perché ignare di tale facoltà, si ritiene che consentano implicitamente ( 19). ( 1 7 ) Una previsione del genere è conforme all'orientamento della Corte costituzionale che s i è consolidato a partire dagli anni sessanta del secolo scorso. Secondo la Corte, il diritto di cronaca e di critica giudiziaria (art. 21 Cost.) incontra i seguenti limiti: deve permettere la realizzazione della Giustizia, consentire la ricerca della verità, assicurare la serenità e l'indipendenza del giudice, nonché la dignità e la reputazione di tutti coloro che partecipano al processo (sent. 10 marzo 1 966, n. 18). ( 1 8) << L'effetto perturbante è in re ipsa: l'obiettivo influisce sugli attori; più o meno lo patiscono tutti >>. Così F. CoRDERO, Procedura penale, 3" ed., Milano, 1 995, 792. ( 19) Si pensi alle ipotesi nelle quali in aula siano già allestiti i mezzi di ripresa, al momento in cui le parti vi fanno ingresso.
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Se una delle parti non consente, di regola il giudice non può autorizzare la ripresa o la trasmissione. Vi è tuttavia una eccezione, che tende a vanificare la regola. Se sussiste « un interesse sociale particolarmente rilevante alla cono scenza del dibattimento », il giudice può dare l'autorizzazione anche se le parti non consentono (art. 147 , comma 2 ) . Si tratta di una clausola elastica. n requisito dell"'interesse sociale" non è accompagnato dall'aggettivo "pubblico" . Di conseguenza, il rifiuto del consenso sembra superabile dal giudice non solo, ad esempio, quando il processo concerne fatti o persone di rilevanza pubblica, ma anche quando vi sia comunque un interesse sociale, compresi la mera curiosità o il "pettegolezzo" . Anche il requisito della "rilevanza" è molto sfumato e lascia al giudice una notevole discrezionalità nel caso concreto. La decisione del giudice è presa con ordinanza. n terzo comma dell'articolo 147 disp. att., anche in caso di autorizzazione da parte del giudice, prevede limitazioni per le riprese delle immagini di « parti, testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente ». n presidente deve vietare la ripresa se i soggetti menzionati non vi consentono con espressa manifestazione di volontà o se la legge ne fa divieto (20) . Un esempio di divieto legale è quello che concerne la pubblica zione delle generalità e dell'immagine dei minorenni che siano testimoni, persone offese (art. 1 14, comma 6) o imputati (art. 1 3 , d.p.r. n. 448 del
1 988) (2 1 ) . V i è , infine, il problema della distinzione effettuata dal codice tra ripresa e trasmissione (22 ) . n giudice può autorizzarle entrambe, oppure limitarsi alla sola ripresa; quest'ultima può essere autorizzata in maniera totale o anche solo parziale. (20) In proposito, v. Cass. civ., sez. I, 25 giugno 2002, n. 9249, secondo cui l'ostacolo alla ripresa scatta soltanto in presenza di una espressa manifestazione di volontà del soggetto interessato (art. 147, comma 3 disp. att.). (2 1 ) La seguente considerazione può chiarire quanto la normativa vigente lasci vuoti di tutela in materia di riservatezza. Quale esempio di persona, che "deve essere presente", possiamo citare il testimone; questi non può impedire la ripresa o la trasmissione del dibattimento, ma può impedire che sia ripresa la sua immagine. Si tratta, tuttavia, di una tutela insufficiente. Da un lato, l'articolo 147 disp. att. non protegge la voce: anche se l'immagine di un soggetto viene per sua volontà oscurata, la ripresa e la trasmissione in audio della sua voce non possono essere impedite. Da un altro lato, se tramite il divieto di ripresa della propria immagine una persona vuole evitare di essere riconosciuta, un oscuramento limitato al solo volto (o, più spesso, soltanto fino al mento, come di regola awiene), non riesce ad attuare tale finalità. li teste si trova allora sotto una duplice pressione psicologica: da una parte, quella derivante dall'escussione, segnatamente dal controesame (purché siano rilevanti e pertinenti, possono essere fatte anche domande sulla credibilità); da un'altra parte, il teste subirà il disagio della ripresa, pur limitata all'audio ed ai gesti del proprio corpo. Inoltre, il codice non impone al presidente l'obbligo di avvisare la persona interessata che questa ha il diritto di rifiutare la ripresa della propria immagine; né il codice prevede espressamente la revoca del consenso da parte dell'interessato. (22) La "ripresa" consiste nella mera fissazione di immagini e di suoni. La "trasmissione" consiste nella divulgazione degli stessi, che può awenire in diretta, se contestuale allo svolgersi dell'udienza, oppure in differita, se successiva.
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Tuttavia, una volta che l'emittente abbia registrato la bobina, anche se la trasmissione non è stata autorizzata, in concreto sarà difficile esercitare un controllo sulla utilizzazione. In caso di violazione, può applicarsi l'articolo 684 c.p. che vieta la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. Si tratta, come abbiamo visto supra, di una contravvenzione oblazionabile con il pagamento della modestissima cifra di centoventinove euro. È chiaro quale efficacia deterrente possa sortire nei confronti di imprese che hanno bilanci astronomici (23 ) .
8.
n principio del contraddittorio.
Il principio del contraddittorio è attuato, nel suo significato debole, negli atti garantiti durante la fase delle indagini preliminari e, nel suo significato forte, nella fase del dibattimento. Nel suo significato debole, il principio assicura il diritto del difensore ad essere presente ad un atto di indagine o a conoscere il relativo verbale. La conoscenza dei verbali degli atti di indagine è completa nel momento in cui il pubblico ministero invia l'avviso di conclusione delle indagini preliminari (art.
4 15-bzs) . Nel suo significato forte, il principio del contraddittorio comporta la partecipazione delle parti alla formazione della prova (art. 1 1 1 , comma 4 Cost.). Nel caso della prova orale, la partecipazione avviene attraverso lo strumento dell'esame incrociato. Le domande sono poste dapprima dalla parte (pubblico ministero o difensore) che ha chiesto l'esame di una determinata persona (esame diretto) ; quindi, la parte che ha un interesse contrario può procedere al controesame; infine, la parte che ha chiesto l'esame può proporre nuove domande (riesame) (art. 498). L'attuazione piena del principio del contraddittorio necessita che alle parti sia riconosciuta tutta una serie di diritti strumentali, dei quali possiamo enun ciare i principali: il diritto ad ottenere dal giudice l'ammissione della prova, sia essa orale, documentale o reale (artt. 190 e 495 , comma l ) ; il diritto ad ottenere l'ammissione della prova contraria rispetto alla prova principale chiesta da altri (art. 495 , comma 2 ) ; il diritto di porre le domande nell'esame diretto e nel (23) La disciplina finora esposta rischia di determinare la violazione di due precetti costituzionali. Da un lato, l'articolo 41 sancisce che l'iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla << dignità umana >>. Da un altro lato, non sfugge come la presunzione di innocenza (art. 27, comma 2 Cost.) sia messa in pericolo allorché qualunque giornalista possa impunemente anticipare giudizi sulla reità dell'imputato. Ciò può avvenire sia mediante la selezione delle immagini da mandare in onda, sia mediante le modalità delle riprese, il più delle volte effettuate con telecamere mobili che possono attrarre l'attenzione dell'utente su determinati particolari. L'assenza di una rigida regolamentazione delle riprese e delle trasmis sioni radiotelevisive comporta spesso che l'imputato sia sottoposto a due processi distinti e contemporanei: l'uno in aula, dinanzi ai giudici, l'altro davanti all'opinione pubblica, che però conosce soltanto quello che i mezzi di informazione decidono di mettere in rilievo. li "vero" processo avviene "in piazza" senza, però, la tutela del diritto di difesa.
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controesame (art. 498). L'esercizio del diritto di porre domande è controllato dal presidente dell'organo collegiale, che valuta la pertinenza e l'ammissibilità della singola domanda (art. 499, comma 6). 9.
n principio di oralità.
Per " oralità" può intendersi la forma verbale di comunicazione del pensiero consistente nella pronuncia di parole destinate ad essere udite. Contrapposto a questo concetto è quello di " scrittura " , intesa quale forma di comunicazione del pensiero mediante segni visibili, alfabetici o ideografici. Ciò che è espresso oralmente può essere oggetto di documentazione. Questa comprende sia i verbali o le dichiarazioni scritte, sia altri mezzi di documentazione quali le registrazioni sonore, filmate o televisive. Lo scritto può essere letto e, in tal modo, può essere espresso oralmente; ma si tratta di una oralità derivata. Parimenti la registrazione può essere riprodotta: il risultato si avvicina molto alla oralità originaria, anche se vi è una qualche differenza. Chi ascolta può udire e vedere un monologo o un dialogo, ma non può prendervi parte; soprattutto, non si può effettuare l'esame incrociato della persona che rende le dichiarazioni. Pertanto la lettura di un verbale o l'audi zione di una registrazione non assicura l' oralità nel suo pieno significato. L' oralità è la regola che il codice di procedura penale accoglie per le dichiarazioni (24) . A tal proposito, rinviamo a quanto già esposto nel capitolo sui princìpi generali sulla prova (parte II, cap. 3 , § 7 ) . Occorre, tuttavia, tenere presente che vi sono prove che non sono "orali" . Ciò vale per tutte l e prove reali, e cioè per il corpo del reato, l e cose pertinenti al reato e i documenti; vale, inoltre, per tutte le " attività" compiute e non più ripetibili, come buona parte degli accertamenti tecnici, delle perizie e delle . . . 1spez10m.
10. n principio di immediatezza.
n principio di immediatezza comporta un rapporto privo di intermedia zione tra l'acquisizione delle prove e la decisione dibattimentale. Il principio di immediatezza può essere scisso in due corollari. In primo luogo, deve esservi identità fisica tra il giudice che decide ed il giudice di fronte al quale si svolge il dibattimento. In secondo luogo, la decisione deve essere basata sulle prove che sono state acquisite in tale fase. L'identità tra il giudice che assiste alla assunzione delle prove in dibatti mento e quello che decide. Il principio di "identità" fra il giudice che decide e quello che ha assistito al dibattimento è posto dall'art. 525, comma 2 , in base al (24)
La direttiva n. 2 della legge delega prescriveva l'adozione del metodo orale.
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quale « alla deliberazione (della sentenza) concorrono, a pena di nullità asso luta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento » (25 ) . Le norme sui giudizi in corte d'assise prevedono la partecipazione di giudici "supplenti" in previsione della possibilità che uno o più giudici " titolari" risultino impediti a partecipare alle successive udienze o alla decisione (26). Qualora si verifichi l'impedimento di uno o più giudici e vengano inseriti nel collegio i giudici supplenti, « i provvedimenti già emessi conservano efficacia se non sono espressamente revocati » (art. 525 , comma 2 ) (27 ) . La decisione basata s u prove legittimamente acquisite in dibattimento. L'altro corollario del principio di immediatezza è così espresso nell'art. 526: « il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento ». Il codice non dispone che soltanto le prove assunte oralmente in dibattimento siano utilizzabili; viceversa, ammette che lo siano tutte le prove legittimamente acquisite in tale fase. Facendo ciò, la norma rinvia alle singole disposizioni che stabiliscono quando l'acquisizione è legittima. Dall'insieme di tali norme è possibile ricavare, per sintesi, che il codice dimostra una spiccata preferenza per le prove raccolte oralmente in (25) n codice non disciplina espressamente come si debba procedere allorché nel corso del dibatti mento muti la composizione del collegio giudicante o la persona fisica del giudice monocratico. In dottrina ed in giurisprudenza si ritiene che in tale ipotesi sia necessario rinnovare il dibattimento dinanzi al nuovo giudice. In tal senso, si è espressa anche C. cost., sent. 3 febbraio 1994, n. 17, in Cass. pen., 1994, 1 172. Le Sezioni unite della Cassazione hanno precisato che, se una delle parti ne fa richiesta, l'esame dei dichiaranti deve essere rinnovato, quando ciò sia possibile. In tal caso, i verbali delle prove assunte dal primo giudice non sono utilizzabili per la decisione mediante semplice lettura; così Cass., Sez. un., 17 febbraio 1999, Iannasso, in Dir. pen. proc. , 1999, 480. Per un quadro di sintesi sulla materia in oggetto, nella quale si registrano persistenti contrasti giurisprudenziali, C. CoNTI, Mutamento del giudice e rinnovazione del dibattimento: variazioni in tema di diritto alla prova, in Dir. pen. p roe. , 2003 , 742 ss. (26) Art. 26, comma 2, legge 10 aprile 1 95 1 , n. 287. (27) La figura dei giudici supplenti è prevista soltanto per la corte d'assise. ln relazione agli altri organi giudicanti l'ordinamento giudiziario non disciplina tale istituto ed è frequente il caso in cui muti la composizione del collegio o la persona fisica del giudice monocratico, a causa di un impedimento temporaneo, di un trasferimento o di ipotesi analoghe. n codice non disciplina espressamente come si debba procedere in tali situazioni. In dottrina ed in giurisprudenza si ritiene che sia necessario rinnovare il dibattimento dinanzi al nuovo giudice (C. cost., sent. 3 febbraio 1994, n. 17, in Cass. pen., 1994, 1 172). Le Sezioni unite della Cassazione hanno precisato che i verbali delle prove assunte dal primo giudice non sono utilizzabili per la decisione mediante semplice lettura, senza ripetere l'esame del dichiarante, quando questo possa aver luogo e sia stato richiesto da una delle parti (Cass., Sez. un., 17 febbraio 1999, Iannasso, in Dir. pen. proc. , 1999, 480). Secondo un orientamento piuttosto diffuso nella giurisprudenza di merito, il diritto di chiedere la nuova ammissione di una testimonianza già assunta dal precedente collegio spetta esclusivamente alla parte che originariamente aveva indicato il teste nella propria lista ex art. 468 e aveva chiesto la prima ammissione e la conseguente audizione. Se tale parte non chiede la nuova assunzione e, viceversa, consente alla lettura delle dichiarazioni rese dal testimone nella precedente escussione, nessun rilievo ha l'eventuale dissenso o opposizione espresso dalla parte interessata al controesame (Tribunale di Roma, I sezione penale, ord. 10 giugno 2002, Pres. Rei. Rinaudo, Imp. Mach di Palsnstein, in Dir. pen. proc. , 2003 , 742). Tale ricostruzione stride con il diritto alla prova delle altre parti. Esse, in quanto coinvolte dalla decisione che potrebbe basarsi sul precedente verbale, inevitabilmente hanno un interesse in relazione a quella prova. E un siffatto interesse le legittima a chiedere ed ottenere una nuova escussione.
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dibattimento, pur senza disconoscere forme di acquisizione di prove precosti ruite (ad esempio, la lettura dei verbali degli atti irripetibili che sono inseriti nel fascicolo per il dibattimento; art. 5 1 1 ) .
1 1 . n principio della concentrazione.
n principio della concentrazione impone che non vi siano intervalli di tempo tra l'assunzione delle prove in udienza, la discussione finale e la delibe razione della sentenza. La concentrazione tra tali momenti del dibattimento garantisce che la decisione sia il prodotto fedele delle risultanze del processo, evitando che l'attenzione del giudice venga meno: i lunghi intervalli di tempo possono ingannare la memoria. Per quanto concerne lo svolgersi del dibattimento, il principio della con centrazione è posto dall'art. 4 77, comma l : « quando non è assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente dispone che esso venga proseguito nel giorno seguente non festivo » (28). Quanto al rapporto tra l'assunzione della prova e la deliberazione, provvede l'art. 525 , comma 1 : « la sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento ». La formazione dei ruoli d'udienza. Con la legge costituzionale n. l del 1992 è stato modificato l'art. 79 della Carta fondamentale in modo da rendere estremamente difficile ad una maggioranza parlamentare l'approvazione di un'amnistia, poiché si è chiesto il quorum di due terzi nella votazione finale e di ciascun articolo. Da allora, è apparso chiaro che il sistema non riusciva ad assorbire la ordinaria gestione dei processi. Prima del 1 992 , l'amnistia ricorrente a cadenza di circa due anni aveva permesso di eliminare i procedimenti penali per i reati meno gravi; da tale data, la predetta valvola di sfogo è diventata impraticabile. Di conseguenza, il legislatore ha dovuto escogitare un qualche rimedio per far sì che l'aumento dell'arretrato non bloccasse la giustizia penale. Nel 1998 è intervenuto l'art. 227 d.lgs. 19 febbraio 1 998, n. 5 1 , che ha concesso ai dirigenti degli uffici giudicanti la possibilità di formare i ruoli di udienza tenendo conto, in modo discrezionale, « della gravità e della concreta offensività del reato, del pregiudizio che può derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l'accertamento dei fatti, nonché dell'interesse della persona offesa ». La posticipazione di alcuni processi, attraverso la formazione dei ruoli di udienza, ha determinato un effetto simile all'amnistia, perché ha (28) L'art. 477, comma 2 prevede la deroga: « il giudice può sospendere il dibattimento soltanto per ragioni di assoluta necessità e per un termine massimo che, computate tutte le dilazioni, non oltrepassi i dieci giorni, esclusi i festivi >>. Occorre tuttavia ricordare che l'insufficienza delle strutture e dei mezzi dedicati all'amministrazione della Giustizia comporta che le sospensioni sono di fatto superiori ai limiti previsti dalla legge. Ciò rende difficilmente compatibile l'attuale sistema con il principio costituzionale della ragionevole durata (art. 1 1 1 , comma 2 ) .
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provocato la prescrizione di un ampio numero di reati. Di fatto, la prescrizione è stata lasciata alla discrezionalità dei magistrati. Successivamente, il d.l. n. 3 4 1 del 2000, convertito in legge n. 4 del 200 1 , h a concesso ai dirigenti degli uffici giudicanti di assicurare l a « priorità assoluta alla trattazione dei procedimenti quando ricorrono ragioni di urgenza con riferimento alla scadenza dei termini di custodia cautelare » (art. 132-bis disp. att.). La priorità di trattazione di determinati procedimenti. Al momento della conversione in legge del d.l. sulla sicurezza pubblica (n. 92 del 2008) il problema si è posto di nuovo. Il legislatore ha voluto assegnare precedenza assoluta ai procedimenti relativi ai delitti di maggiore gravità e di più spiccato allarme sociale; e lo ha fatto imponendo ai dirigenti degli uffici giudicanti di raziona lizzare la formazione dei ruoli di udienza. Il meccanismo utilizzato è stato quello di elencare nella legge di conversione i processi per i quali deve essere assicurata la « priorità assoluta ». Si tratta dei delitti più gravi (puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni), ma anche dei delitti che destano allarme sociale (criminalità organizzata e terroristica, prevenzione degli infortuni sul lavoro e disciplina dell'immigrazione) e dei processi nei quali è obbligatorio procedere con il giudizio direttissimo o il rito immediato. È stata conservata, con modifiche, la normativa previgente relativa ai processi con imputati dete nuti (29). In definitiva, il legislatore ha tentato di limitare la discrezionalità che nel passato è stata lasciata ai dirigenti degli uffici giudicanti. n rinvio della trattazione dei processi nei quali l'indulto esaurisce la pena da eseguire. Il rafforzamento del sistema punitivo e la semplificazione dei meccanismi processuali sarebbero stati inutili, se non si fossero liberate corsie preferenziali per i reati più gravi. Poiché è ormai evidente che la ordinaria gestione dei processi non riesce ad essere assorbita dal sistema, il legislatore ha introdotto un meccanismo che dovrebbe permettere di lasciare spazio e tempo (29) Riportiamo l'elenco dei processi che devono essere trattati con priorità assoluta in base all'art. 132-bis disp. att., mod. dal d.l. n. 92 del 2008 sulla sicurezza pubblica, conv. in legge n. 125 del 2008: a) processi relativi ai delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a, del codice di procedura penale
e ai delitti di criminalità organizzata, anche terroristica; b) processi relativi ai delitti commessi in violazione delle norme inerenti alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro e delle norme in materia di circolazione stradale, ai delitti di cui al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché ai delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni; c) processi a carico di imputati detenuti, anche per reato diverso da quello per cui si procede; d) processi nei quali l'imputato è stato sottoposto ad arresto o a fermo di indiziato di delitto, owero a misura cautelare personale, anche revocata o la cui efficacia sia cessata; e) processi nei quali è contestata la recidiva, ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale; /! processi da celebrare con giudizio direttissimo e con giudizio immediato.
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ai procedimenti per i reati menzionati. n meccanismo consiste nel rendere palese l'opera di scrematura; e ciò avviene mediante la regolamentazione di un istituto denominato « rinvio della trattazione dei processi ». n rinvio deve avere ad oggetto i « reati commessi fino al 2 maggio 2006, in ordine ai quali ricorrono le condizioni per l'applicazione dell'indulto », quando « la pena eventualmente da infliggere può essere contenuta nei limiti » dei tre anni (art. l , comma l , legge 3 1 luglio 2006, n . 24 1 ) . Poiché si tratta di pena che non deve essere eseguita, in quanto estinta dall'indulto, il processo può essere rinviato per dare la precedenza ad altri (3 0). n rinvio del singolo processo non è imposto direttamente dal legislatore; esso è rimesso alla indicazione che sarà operata dai dirigenti degli uffici giudicanti, i quali possono individuare i criteri e le modalità della trattazione dei processi, tenendo conto: a) della gravità e della concreta offensività del reato; b) del pregiudizio che può derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l'accertamento dei fatti; c) dell'interesse della persona offesa (art. 2-ter, d.l. n. 92 del 2008, conv. in legge n. 125 del 2008 ) . La regolamentazione del rinvio. I l legislatore, comunque, si è riservato la regolamentazione del nuovo istituto del rinvio, che è strutturato nel modo seguente. - Il rinvio non può avere durata superiore a diciotto mesi. - Il termine di prescrizione del reato rimane sospeso per tutta la durata del rinvio. - La parte civile costituita può trasferire l'azione in sede civile. In tal caso, i termini a comparire sono abbreviati fino alla metà e il giudice fissa l'ordine di trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all'azione trasfe rita. Naturalmente, in tal caso non opera la sospensione del processo civile in attesa dell'esito di quello penale (art. 75 , comma 3 ) . - È fatto divieto di procedere al rinvio s e l'imputato si oppone o s e è già stato dichiarato chiuso il dibattimento. S Ez. III
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Gu
ATTI INTRODUTTIVI AL DIBATTIMENTO
12. La costituzione delle parti e l'assenza dell'imputato. In udienza, prima che inizi il dibattimento, si svolgono alcune attività che fanno parte ancora degli atti preliminari al dibattimento stesso. Tali attività consistono nel controllo della regolare costituzione delle parti (compiuto dal presidente del collegio giudicante) e nella discussione di eventuali questioni (30) ll rinvio della trattazione concerne soltanto i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge di sospensione, e cioè il 26 luglio 2008.
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preliminari che siano state sollevate dal pubblico ministero o dai difensori delle parti. n presidente controlla se si sono verificate le condizioni indispensabili per la costituzione in giudizio delle parti (art. 484 ) ; se il difensore dell'imputato non è presente nonostante il regolare avviso, il presidente designa come sostituto un altro difensore (art. 484, comma 2 ) . È questo il termine ultimo entro il quale il danneggiato dal reato ha facoltà di costituirsi parte civile, comparendo per mezzo di un difensore (art. 79, comma 1 ) . S e le parti sono comparse, il verbale d'udienza documenta se è presente l'imputato, quale è il difensore di questi ed, eventualmente, quale difensore rappresenta la parte civile. n problema si pone quando una delle parti non è comparsa. n diritto dell'imputato a partecipare al dibattimento. n codice vuole garantire in modo rigoroso il diritto dell'imputato a partecipare al processo; per tutelare in concreto tale diritto, ove l'imputato non sia presente, impone al giudice di accertare che ciò sia dovuto ad una scelta volontaria e non derivi, viceversa, da una mancata conoscenza incolpevole del decreto che dispone il giudizio (v. tav. 3 .5.5). L'art. 420-bis ( applicabile, come le altre norme che citeremo, i n forza del rinvio contenuto nell'art. 484, comma 2-bis) impone al giudice di rinnovare la citazione non soltanto quando esiste la prova che l'imputato non ha avuto " effettiva conoscenza" della stessa senza sua colpa, ma anche quando tale prova non sussiste e tuttavia appare " probabile" la mancata conoscenza incolpevole. Se accerta la nullità della citazione o della sua notificazione, il giudice ne ordina la rinnovazione (art. 420, comma 2 ) . n legittimo impedimento. n giudice, quindi, deve valutare la causa dell'as senza dell'imputato. Ai sensi dell'art. 420-ter, comma l , se l'assoluta impossi bilità a comparire è dovuta a legittimo impedimento dell'imputato (oppure è anche soltanto probabile che sia dovuta a caso fortuito o a forza maggiore) , il giudice deve disporre il rinvio ad una nuova udienza e ordinare la rinnovazione della citazione. La legge 7 aprile 2010, n. 5 1 , ha previsto una ipotesi espressa di legittimo impedimento derivante dallo svolgimento delle attività di governo svolte dal presidente del consiglio dei ministri o dai ministri (3 1 ) . La contumacia. S e risulta che non vi è stata assoluta impossibilità a comparire (l'assenza è volontaria, perché non risulta dovuta a legittimo impedimento), il giudice dichiara la contumacia dell'imputato (art. 420-quater, comma l ) ; que st'ultimo è rappresentato dal difensore (art. 420-quater, comma 2 ) . L'assenza. L a mancata comparizione dell'imputato può dar luogo ad una (3 1 )
Per la relativa regolarnentazione, si veda supra, Cap. III, § 2, lett. b.
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ulteriore situazione, che si presenta spesso nella pratica. L'imputato può chiedere o consentire che l'udienza si svolga in sua assenza (art. 420-quinquies, comma 1 ) . Se comunque questi, dopo essere comparso, si allontana dall'aula di udienza, è considerato presente (art. 420-quinquies, comma 2 ) . Come nell'ipo tesi di contumacia, l'imputato assente è rappresentato dal difensore. L'assenza del difensore. Se il difensore dell'imputato non è presente, il presidente designa un difensore che sia immediatamente reperibile (artt. 420, comma 3 e 97, comma 4). Questi esercita i diritti ed assume i doveri del sostituto (art. 102 , comma 2 ) . Nel corso del giudizio può essere nominato sostituto soltanto un difensore che sia iscritto nell'elenco dei difensori d'ufficio (art. 97 comma 4; Corte cost. n. 148 del 2005 ) . Nel caso in cui risulti che l'assenza del difensore è dovuta a d assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento (purché prontamente comunicato), il giudice fissa con ordinanza la data della nuova udienza e ne dispone la notificazione all'imputato (art. 420-ter, comma 5 ) .
1 3 . L a contumacia.
È opportuno spendere qualche parola in merito alla disciplina della con tumacia che, ricordiamo, è la situazione processuale dell'imputato il quale, benché ritualmente citato, non compare all'udienza, senza che sussista un suo legittimo impedimento (v. tav. 3 .5 .6). Nel giudizio, la contumacia presenta collegamenti con una molteplicità di istituti tra loro eterogenei. n giudice può disporre l'accompagnamento coattivo dell'imputato contumace, quando la presenza di costui è necessaria per l'assun zione di una prova diversa dall'esame (art. 490) (32) . S e l'imputato, dichiarato contumace, compare prima della decisione, il giudice deve revocare l'ordinanza. L'imputato può rendere dichiarazioni spon tanee ( art. 494) e, se compare prima dell'inizio della discussione, può chiedere di essere sottoposto all'esame (3 3 ) . n codice disciplina espressamente l'ipotesi nella quale, nel corso del giudizio contumaciale, sia necessario procedere alla modifica dell'imputazione perché il fatto risulta diverso ( art. 5 16) o alla contestazione di un reato (32) Occorre precisare, tuttavia, che la disposizione ora ricordata è stata modificata implicitamente dalla sentenza costituzionale n. 361 del 1998. A seguito di tale pronuncia, infatti, in caso di procedimenti riuniti, l'imputato connesso per concorso nel medesimo reato, il quale abbia reso in precedenza dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui e che sia stato indicato nelle liste testimoniali, può essere sottoposto ad accompagnamento coattivo per essere esaminato su tali fatti (art. 2 10). Lo stesso accade quando l'imputato connesso teleologicamente o collegato debba deporre come testimone assistito nel procedimento riunito al proprio (art. 197·bis). (33) Se a seguito della comparizione dell'imputato risulti assolutamente necessario assumere nuovi mezzi di prova, si potrà procedere d'ufficio ex articolo 507.
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concorrente o eli una circostanza aggravante (art. 5 17 ) . In tali situazioni il pubblico ministero deve chiedere che la contestazione sia inserita nel verbale del dibattimento e che esso sia notificato per estratto all'imputato (art. 520, comma 1 ) . Il presidente sospende il dibattimento e fissa una nuova udienza per la prosecuzione (art. 520, comma 2 ) . Una volta che il giudizio si sia concluso e la sentenza sia stata depositata in cancelleria, al contumace deve essere notificato l'avviso di deposito con l'estratto della sentenza ( art. 548, comma 3 ) .
14. Le questioni preliminari. Dopo che è stato compiuto l'accertamento della costituzione delle parti vi è la possibilità, per le parti stesse, di proporre eventuali questioni preliminari (art. 49 1 ) . Vi è l'onere di proporre tali questioni « subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti »; dopo tale momento, le questioni di regola sono precluse, e cioè non possono più formare oggetto di discussione. Le questioni proposte dalle parti sono discusse « nei limiti di tempo strettamente necessari » alla loro illustrazione e sono immediatamente decise dall'intero collegio. Le questioni preliminari che sono precluse in momenti successivi. Ve niamo ad esaminare le singole questioni preliminari previste dall'art. 49 1 , comma l . l ) Le questioni concernenti « la competenza per territorio o per connes sione » incidono sulla rituale investitura dell'organo giurisdizionale. Nel processo ordinario le eccezioni che toccano i punti indicati devono essere già poste in sede di udienza preliminare. Ove siano state respinte in tale sede, possono essere " ti proposte" come questioni preliminari. Ricordiamo che, viceversa, l'incompetenza per materia è rilevabile « anche eli ufficio, in ogni stato e grado del processo » (art. 2 1 , comma l ) ; pertanto essa sfugge al regime delle questioni preliminari. 2) Le questioni concernenti « le nullità indicate nell'art. 1 8 1 commi 2 e 3 » riguardano le nullità relative intervenute negli atti di indagine, nell'incidente probatorio e nell'udienza preliminare. Si tratta di nullità relative che, nel procedimento ordinario, devono essere eccepite prima che si concluda l'udienza preliminare. Soltanto nei procedimenti speciali, nei quali manchi tale fase, l'eccezione deve essere posta in sede di questioni preliminari. Ad esse si aggiungono le nullità concernenti sia il decreto che dispone il giudizio, sia gli atti preliminari al dibattimento. 3 ) Sono ricomprese tra le questioni preliminari quelle concernenti la regolare costituzione delle parti private diverse dall'imputato (34) . Ricordiamo (34)
L'art. 491, comma l enumera la parte civile, il responsabile civile, la persona civilmente obbligata
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che è questo il momento in cui le parti possono discutere la legittimazione del danneggiato a costituirsi parte civile. Le questioni preliminari che non sono precluse in momenti successivi. Vi sono poi altre questioni preliminari per le quali la preclusione va incontro ad una eccezione: esse possono essere discusse successivamente se la possibilità di proporle sorga soltanto nel corso del dibattimento (art. 4 9 1 , comma 2 ) . Veniamo a d esaminarle singolarmente. a) Si tratta, in primo luogo, delle « questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento ». In realtà, tale fascicolo era stato formato dal giudice nel contraddittorio delle parti al termine dell'udienza preliminare (art. 43 1 , mod. dalla legge n. 479 del 1 999) . Prima dell'inizio dell'istruzione dibat timentale le parti hanno ancora la possibilità di discutere se è corretto l'inseri mento dei singoli atti nel fascicolo per il dibattimento. Ricordiamo che sfugge al regime delle questioni preliminari il problema della utilizzabilità di un verbale ai fini delle letture (art. 5 1 1 ) . b ) I problemi che riguardano « l a riunione o l a separazione dei giudizi » (artt. 17 e 1 8) sono discussi immediatamente fra le questioni preliminari. Tuttavia può darsi che l'occasione per porre un problema del genere sorga soltanto nel corso del dibattimento, ad esempio, quando sopravvenga una " assoluta impossibilità di comparire" per legittimo impedimento che interessi uno dei coimputati (artt. 420-ter, comma l e 484, comma 2-bis) . In tal caso il problema è discusso con il procedimento attinente alle questioni preliminari. SEz. IV - IL
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15. L'apertura del dibattimento e le richieste di prova. Il controllo della costituzione delle parti e la discussione e decisione delle eventuali questioni preliminari sono le ultime attività della fase predibattimen tale. A questo punto il presidente dichiara aperto il dibattimento e fa dare lettura dell'imputazione (art. 492 ) . Il dibattimento è il momento principale della fase del giudizio di primo grado. Il suo nucleo centrale è l'istruzione dibattimentale, nella quale la prova si forma nel contraddittorio delle parti mediante l'esame incrociato. Il dibattimento si apre, come abbiamo accennato, con la lettura del capo di imputazione (art. 492 ) ; prosegue con le richieste di prove e l'istruzione dibatti mentale; termina con la discussione delle parti (art. 523 ) . Le richieste di prova. L e richieste d i prova sono presentate dal pubblico per la pena pecuniaria; ricomprende anche gli enti e le associazioni previste dall'art. 91, che a rigore non sono "parti" del processo.
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ministero e, nell'ordine, dai difensori delle parti private eventuali (parte civile, responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) e dal difensore dell'imputato. Nelle richieste la singola parte indica i fatti che intende provare e chiede l'ammissione delle relative prove (art. 493 , mod. dalla legge n. 479 del 1 999). L'ordine delle richieste. L'ordine in cui le parti formulano le proprie richieste rispecchia il principio dell'onere della prova: per primi parlano il pubblico ministero e la parte civile. La difesa ha il diritto di sapere quali sono le prove che l'accusa intende presentare, prima di dover chiedere l'ammissione delle proprie. Nel complesso, le parti hanno l'onere di anticipare la propria strategia processuale. In precedenza, al momento del deposito delle liste testimoniali, ogni parte ha indicato le persone delle quali intende chiedere l'escussione a prova principale e le circostanze sulle quali deve vertere l'esame (art. 468) (35 ) . Nel momento delle richieste di prova occorre che ciascuna parte chieda l'ammissione di tutte le prove (sia orali, sia reali) delle quali intende servirsi (3 6). In particolare, le parti devono precisare anche le fonti che intendono assumere "a prova contraria" , e cioè per contrastare prove richieste da un'altra parte. In definitiva, le richieste di prova tendono a delineare, ovviamente nei limiti del prevedibile, l'oggetto dell'istruzione dibattimentale. L'indicazione dei fa.tti da provare. L'illustrazione dei fatti che ciascuna parte vuole dimostrare è funzionale alla decisione sull'ammissione delle prove. n giudice conosce soltanto i pochi elementi che si ricavano dal fascicolo per il dibattimento. Poiché l'organo giudicante non conosce le indagini svolte, spetta alle parti, titolari del diritto alla prova, di presentare le richieste di ammissione dei mezzi di prova. La richiesta di ammissione è valutata dal giudice nella sua pertinenza e rilevanza in relazione al fatto che deve essere provato (tema di prova) . Ecco perché il codice precisa che le parti, prima delle richieste, « indicano i fatti che intendono provare » . Nel caso del pubblico ministero, si tratta dei fatti che dimostrano l'esistenza del fatto storico descritto nell'imputazione; per l'impu tato, si tratta dei fatti che sostengono la linea difensiva (mera non credibilità o inattendibilità delle prove di accusa o prova di fatti incompatibili con l'accusa).
(35)
Ai fini dell'esame delle parti, non vi è u n onere d i indicare previamente nelle liste
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del responsabile civile, del civilmente obbligato e dell'imputato che debba essere sentito sul fatto proprio. Per costoro la richiesta di ammissione può essere formulata per la prima volta nelle richieste di prova (art. 493 ). (36) Ad avviso della Suprema Corte << deve escludersi che l'art. 493 [ . . . ] preveda una preclusione alla esibizione di documenti, ed all'ammissione di essi da parte del giudice, in un momento successivo a quello fissato dalla norma suddetta, essendo tale preclusione esplicitamente limitata alle prove che devono essere indicate nelle liste di cui all'art. 468 c.p.p. ». In ogni caso - prosegue la Corte - qualora la esibizione di documenti sia successiva alla richiesta di prove, deve essere garantito alle altre parti diritto di esaminarli, a norma dell'art. 495 comma 3 c.p.p. Così Cass., sez. II, 22 novembre 1994, Seminara, in Cass. pen. 1996, 844.
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n divieto di lettura di atti di indagine. L'art. 493 , comma 4 precisa che nel corso delle richieste di prova il presidente « impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione e ogni lettura o esposizione del contenuto degli atti compiuti durante le indagini preliminari ». Quest'ultimo inciso è dovuto alla legge n. 479 del 1 999. L'espressa previsione intende contrastare la prassi, seguita da alcuni pubblici ministeri, di leggere (o addirittura di consegnare al giudice) memorie nelle quali si dava ampio spazio ad atti di indagine, la conoscenza dei quali è preclusa al giudice del dibattimento (37) . Nell'attuale rubrica dell'art. 493 , inoltre, non si parla più di « esposizione introduttiva », perché questa espressione, contenuta nel testo originario del codice, aveva dato luogo ad abusi (38). Il legislatore del 1 999 ha voluto impedire che le parti (ma soprattutto l'accusa) facessero in questo momento il resoconto delle indagini svolte. La ratio è quella di mantenere il giudice psichicamente neutrale, e cioè non influenzato dal racconto di indagini svolte in modo unilaterale dalle parti. Ed infatti, il giudice conosce soltanto il fascicolo per il dibattimento, mentre non può leggere quello del pubblico ministero. I criteri di ammissione delle prove. Il giudice deve ammettere la prova quando essa è pertinente e quando vi sia anche soltanto il dubbio che possa essere rilevante e non sovrabbondante; deve essere esclusa la prova vietata dalla legge. Il principio è illustrato in modo chiaro dalla rubrica dell'art. 1 90: le parti hanno un vero e proprio « diritto alla prova ». Ciò comporta per il giudice il dovere di motivare l'ordinanza che rigetta la richiesta di ammissione. L'impu gnazione contro l'ordinanza potrà essere proposta soltanto unitamente a quella contro la sentenza. L'ammissione della prova contraria. Ai sensi dell'art. 495, comma 2 , « l'imputato h a diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico; lo stesso diritto spetta al pubblico ministero in ordine alle prove a carico dell'imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico ». Ricordiamo che la prova contraria non doveva essere anticipata nel momento del deposito delle liste testimoniali (art. 468): le richieste di prova ( art. 493 ) costituiscono il momento ultimo per chiedere l'ammissione della prova contraria. La prova può essere definita contraria quando tende a negare l'esistenza del (37) Per le prove documentali è prevista una specifica procedura di ammissione. In base all'art. 495, comma 3 << prima che il giudice provveda sulla domanda, le parti hanno facoltà di esaminare i documenti di cui è chiesta l'ammissione >>. li documento, una volta ammesso, è inserito nel fascicolo per il dibattimento (art. 5 15). (38) La legge n. 479 del 1999 ha soppresso anche la previsione, originariamente contenuta nell'art. 493, comma l , in base alla quale il pubblico ministero non doveva limitarsi soltanto ad indicare i fatti che intendeva provare, ma poteva << espo[rre] sinteticamente i fatti oggetto dell'imputazione ». La nuova disciplina è ispirata dall'intento di equiparare tutte le parti nella fase in oggetto, senza consentire di svolgere quella che avrebbe potuto diventare una sona di "discussione preliminare".
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fatto affermato dalla prova principale. La prova contraria, poiché tende a negare l'esistenza del fatto affermato nella prova principale, è per legge pertinente (es., il teste Tizio è citato dal pubblico ministero per riferire di aver visto l'imputato sul luogo del delitto; il difensore chiede l'ammissione del teste Caio il quale potrà riferire che l'imputato non si trovava in quel luogo). n giudice deve, tuttavia, verificare che la prova contraria sia non manifestamente irrilevante: l'ammissione è disposta quando vi è anche soltanto il dubbio che essa possa fornire un contributo idoneo per la decisione (3 9). Se la prova contraria tende a d affermare l'esistenza di un fatto diverso, ma incompatibile con l'esistenza del fatto principale, siamo in presenza di una prova negativa (es . , l'alibi) . La preclusione derivante dalla mancata presentazione della lista dei testi moni. Nell'illustrare gli atti preliminari al dibattimento abbiamo segnalato che l'art. 468, comma l impone alle parti a pena di inammissibilità di presentare almeno sette giorni prima della data del dibattimento la lista delle persone delle quali intendono chiedere l'esame. Ove il nome del singolo dichiarante (testi mone, imputato connesso, perito o consulente tecnico) non sia stato inserito nella lista, la richiesta di sentir!o in dibattimento è inammissibile. Tale sanzione ha lo scopo di permettere alle altre parti di esercitare il diritto alla prova contraria. Tuttavia, il successivo art. 493 , comma 2 esclude la sanzione di inammissibilità in quanto ammette che il giudice possa acquisire le prove non indicate nella lista « quando la parte che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente ». Al di fuori di quanto sopra, le parti che non abbiano adempiuto all'onere di presentare le liste possono ancora chiedere l'ammissione di prove; tuttavia non hanno il " diritto " di ottenere un provvedimento in tal senso, poiché la loro richiesta è subordinata al potere discrezionale del giudice di ammettere le nuove prove nei limiti previsti dall'art. 507, e cioè quando queste ultime siano « assolutamente » necessarie per accertare il fatto storico (v. in/ra, § 2 1 ) . Le dichiarazioni spontanee. Dopo che le parti hanno formulato le proprie richieste di prova, il presidente informa l'imputato che egli ha la facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le « dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione e non intralcino l'istru zione dibattimentale » (art. 494, comma 1 ) . Queste dichiarazioni, denominate « spontanee », sono un atto diverso dall'esame dell'imputato. Il punto di differenza consiste nel fatto che l'imputato non si offre al controesame della parte avente un interesse opposto; e pertanto non rischia di essere messo in difficoltà da domande della controparte. (39) Resta al giudice il potere di valutare la rilevanza della prova (Cass., sez. I, 9 marzo 1995, Amico, in Giur. it. , 1 996, II, 238), che a nostro awiso va ammessa quando vi è anche soltanto il dubbio sulla idoneità della stessa a fornire un risultato utile.
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La decisione sulla richiesta di ammissione. Il giudice decide sulle richieste di ammissione delle prove senza ritardo con ordinanza (art. 190). Le parti hanno il diritto ad una tempestiva pronuncia giudiziale, poiché per loro è indispensa bile sapere subito quali sono i mezzi di prova di cui possono disporre nel momento in cui stanno per affrontare l'istruzione dibattimentale. La disposi zione, se rettamente interpretata, dovrebbe porre fine alla prassi secondo cui il giudice si " riservava" di decidere in un momento successivo. L'acquisizione concordata di atti di indagine. È consentita l'acquisizione concordata al fascicolo del dibattimento di « atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investi gazione difensiva » (art. 493 , comma 3 ) . Si tratta di una previsione identica a quella che opera al momento della formazione del fascicolo per il dibattimento al termine dell'udienza preliminare (art. 43 1 , comma 2 ; per la relativa regola mentazione v. supra parte III, cap. III, § 6). L'art. 493 , comma 3 non chiarisce se tale facoltà di acquisizione concordata possa essere esercitata esclusivamente al momento delle richieste di prova o anche successivamente nel corso del dibattimento. A noi pare preferibile la seconda soluzione, giacché l'istituto non ha carattere eccezionale, bensì costituisce espressione del diritto alla prova ed è una forma di dialettica alternativa al contraddittorio. Le "prove ex adverso". Nella categoria della prova contraria rientrano quelle che vengono definite "prove ex adverso" (G. Fruco) . Si tratta di quelle prove che diventano rilevanti soltanto all'esito dell'escussione delle prove orali. Ciò avviene, ad esempio, quando il testimone A afferma di non essere mai stato in una determinata piazza in un dato giorno, mentre la controparte può indicare una fonte B (ad esempio, un testimone o un documento fotografico) dal quale risulta il contrario. Quest'ultima prova diventa " rilevante" soltanto quando il testimone A nega l'esistenza di un determinato fatto; pertanto l'ammissione della fonte B (testimone o documento) può essere richiesta soltanto dopo che si è verificata l'escussione della prova A e questa abbia dato un determinato risultato.
16. L'istruzione dibattimentale. L'ordine dei "casi". Il secondo momento del dibattimento è costituito da quella che è denomi nata dal codice « istruzione dibattimentale »; in tale momento sono assunte le prove. A sua volta, l'istruzione dibattimentale è suddivisa in porzioni di tempo all'interno delle quali si dà luogo all'assunzione delle prove richieste dalla singola parte ed ammesse dal giudice. In base all'art. 496 « l'istruzione dibat timentale inizia con l'assunzione delle prove richieste dal pubblico ministero e prosegue con l'assunzione di quelle richieste da altre parti », e cioè dalla parte civile e dall'imputato.
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L'ordine dei "casi". L'ordine nel quale si svolge l'istruzione dibattimentale rispetta i due princìpi generali dell'onere della prova (art. 27, comma 2 Cast.) e della disponibilità della prova (art. 190 c.p.p . ) . Quelle che abbiamo definito porzioni di tempo, all'interno delle quali ciascuna parte provvede all'assunzione delle prove richieste, sono denominate " casi" nel processo anglosassone. Il " caso " dell'accusa precede il " caso" della difesa perché occorre rispettare il principio dell'onere della prova: spetta a colui che accusa provare la reità dell'imputato. L'ultimo " caso" è quello dell'imputato, poiché questi ha il diritto di conoscere l'esito delle prove a carico. L'ordinamento anglosassone conosce soltanto il caso dell'accusa e quello della difesa. Nel nostro sistema può essere esercitata l'azione civile nel processo penale e, pertanto, può essere presente il " caso" della parte civile (ed, even tualmente, anche quello del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria). La successione dei casi, prevista dal codice, può essere modificata soltanto ave tutte le parti concordino un ordine diverso (art. 496, comma 2 ) ; ciò costituisce espressione del principio della disponibilità della prova. Nella prassi le parti si accordano quando deve essere assunta la deposizione del perito; di regola si preferisce che a tale deposizione segua immediatamente l'audizione del consulente tecnico di parte. Il " caso" dell'accusa, come pure il " caso" della difesa, comprende l'assun zione delle prove orali diverse dall'esame delle parti ed anche le letture che la parte stessa richiede in quanto necessarie a svolgere la propria argomentazione. Pertanto nel singolo caso saranno sentiti testimoni, periti e consulenti tecnici. L'esame delle parti. Quello che il codice denomina « esame delle parti » non è inserito né nel caso dell'accusa, né nel caso della difesa. Ricordiamo che l'esame di una parte può essere chiesto dalla stessa; se è chiesto da un'altra parte, può avvenire soltanto col consenso della parte che deve esservi sottopo sta (40). L'art. 150 delle disposizioni di attuazione dispone che l'esame delle parti abbia luogo « appena terminata l'assunzione delle prove a carico dell'impu tato », e cioè subito dopo il caso del pubblico ministero (ed, eventualmente, quello della parte civile) . In tal modo l'esame dell'imputato avviene prima del caso della difesa. La collocazione temporale dell'esame è giustificata, secondo quanto afferma la Relazione al progetto preliminare, dalla necessità « di evitare che l'imputato "modelli" le sue dichiarazioni su ciò che hanno affermato i testi a discarico. La disciplina più appropriata - si prosegue - è quella che inserisce (40) Nei confronti dell'imputato connesso per concorso nel medesimo reato, nel procedimento riunito l'esame si deve svolgere anche senza consenso ave tale soggetto abbia reso in precedenza dichiarazioni su fatti altrui e sia stato indicato nelle liste testimoniali; ciò sulla base della sentenza della Corte costituzionale n. 361 del 1998.
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l'esame delle parti tra l'istruzione a carico e quella a discarico. In questo modo la parte civile si troverebbe a dover parlare, se lo ritiene, in coda alle prove di accusa, mentre l'imputato sarebbe sottoposto all'esame prima delle prove a difesa » (4 1 ) . Le parti che hanno richiesto l'esame, o vi hanno consentito, vengono escusse nel seguente ordine (art. 503 , comma 1 ) : per prima la parte civile che non sia stata citata come testimone, quindi il responsabile civile e la persona civilment� obbligata per la pena pecuniaria; per ultimo, l'imputato. Può darsi che l'assunzione delle dichiarazioni di una medesima persona sia chiesta da più di una parte. A rigore, la persona dovrebbe tornare a deporre in ciascun " caso " . Nella prassi il presidente, sentite le parti, stabilisce un calen dario di udienze, con l'indicazione del giorno in cui testimoni, consulenti, periti e parti debbono comparire per sottoporsi ad esame (art. 145 disp. att.) . In tale ipotesi, la persona deve essere esaminata per prima dalla pubblica accusa.
17. L'ordine delle prove all'interno del singolo "caso". All'interno del singolo " caso " (dell'accusa o della difesa) l'ordine nel quale vengono assunte le prove è stabilito dalla parte che ha richiesto le stesse. Una conferma in tal senso può essere ricavata dall'art. 497 , comma l , secondo cui « i testimoni sono esaminati l'uno dopo l'altro nell'ordine prescelto dalle parti che li hanno indicati ». La norma vale anche per i periti ed i consulenti tecnici, in forza del richiamo operato dall'art. 501. Il potere di stabilire liberamente l'ordine di assunzione delle prove all'in terno del singolo caso trova la sua giustificazione teorica nel "principio argo mentativo della prova" . La parte " argomenta" le sue richieste provando i fatti; la successione e la concatenazione delle prove è la sua argomentazione. All'in terno di quest'ultima si colloca, in contrapposizione dialettica, l'altra parte con il suo diritto al controesame delle prove orali (42 ) . Il potere di stabilire l'ordine interno al proprio caso vale anche per le prove diverse da quelle orali. A fondamento di ciò sta sia il carattere generale del "principio argomentativo" , sia la dizione letterale dell'art. 496, secondo cui l'istruzione dibattimentale si sostanzia nell'assunzione delle prove " richieste" dalla parte. Fra le prove " richieste" vi sono tutti i mezzi di prova, eccettuato (4 1 ) A ben vedere, la collocazione dell'esame delle parti è stata resa necessaria dall'esistenza del diritto dell'imputato di assistere al dibattimento (o comunque dal diritto a conoscere dal difensore gli esiti delle testimonianze assunte). Se l'imputato fosse esaminato dopo che questi ha conosciuto il risultato delle prove a discarico, la genuinità dell'esame sarebbe scarsa e diverrebbe molto difficile verificare l'attendibilità delle sue dichiarazioni. (42) G. FruGo, sub art. 499 c.p.p., in Commento al codice di procedura penale, coord. da M. CHIAVARlO, Torino, V, 1990, 260.
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soltanto l'esame delle parti per il quale vi è un momento apposito nel corso dell'istruzione dibattimentale (art. 150 disp. att.). Pertanto, all'interno del caso dell'accusa e di quello della difesa possono essere assunti od acquisiti tutti i mezzi di prova: le prove reali (cioè l'esame del corpo del reato e degli oggetti sequestrati), le ricognizioni, gli esperimenti giudiziali, le perizie, i confronti. Possono anche essere ammessi i mezzi di ricerca della prova, come ad esempio le ispezioni, le perquisizioni ed i sequestri. Rientrano all'interno del singolo " caso " , ove siano richieste dalla parte, la lettura dei documenti ammessi e quella degli atti compiuti in fasi precedenti, se consentita dalla legge.
18. I preliminari all'esame incrociato. Le prove orali sono tutte assunte mediante l'esame incrociato. Le regole poste dal codice per l'esame diretto, il controesame ed il riesame (e che esporremo successivamente) valgono per i testimoni, per gli imputati connessi o collegati, per i periti, per i consulenti tecnici e per le parti che abbiano consentito all'esame o lo abbiano richiesto. Tuttavia gli obblighi, ai quali sono sottoposti i predetti soggetti, sono differenti. n testimone. Il testimone ha l'obbligo, penalmente sanzionato, di rispon dere secondo verità (art. 372 c.p . ) ; deve essere avvisato dal presidente dell'esi stenza di tale obbligo e delle responsabilità previste dalla legge per i testimoni falsi o reticenti. Quindi il presidente invita il testimone a rendere solennemente e pubblicamente una dichiarazione con la quale si impegna a dire la verità. Il testimone non giura, ma pronuncia la formula indicata nell'art. 497, comma 2 (43 ) . Dopodiché il presidente invita il testimone a fornire le proprie generalità. n perito. Per l'esame del perito si osservano le disposizioni sull'esame dei testimoni « in quanto applicabili » (art. 5 0 1 , comma 1 ) . Il perito, al momento in cui gli viene conferito l'incarico da parte del giudice, assume l'obbligo di « far conoscere la verità » (art. 226 c.p.p.); tale obbligo è sanzionato penalmente (art. 373 c.p.) e permane al momento in cui il perito è sentito con l'esame incrociato. n consulente tecnico di parte. Il consulente tecnico di parte costituisce, come il difensore, una espressione della difesa tecnica. Può essere nominato da una delle parti anche quando non è disposta perizia (artt. 225 e 233 c.p.p.). Il consulente tecnico di parte privata è esaminato su richiesta della parte che lo ha nominato; le altre parti possono sottoporlo a controesame. Il consulente tecnico, se viene esaminato, può non rispondere su oggetti che (43 ) << Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza >>. Occorre segnalare che sono prescritte a pena di nullità sia l'ammonizione svolta dal presidente, sia l'assunzione di responsabilità quando il testimone ha un'età superiore a quattordici anni (art. 497 comma 2).
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coinvolgono il segreto professionale, e cioè su quanto ha conosciuto per ragione della propria professione (art. 200, comma l , lett. b) . Naturalmente il suo rifiuto di rispondere può essere valutato sfavorevolmente dal giudice nella decisione. Le parti. Le parti sono sottoposte ad esame soltanto su loro richiesta o con il loro consenso (art. 208); non hanno un obbligo penalmente sanzionato di dire la verità; se rifiutano di rispondere ad una domanda, ne è fatta menzione nel verbale (art. 209, comma 2 ) . Il rifiuto può essere valutato dal giudice come argomento di prova, e cioè può incrinare la credibilità del soggetto esami nato (44). Per il testimone i l codice prevede una ulteriore e specifica disciplina. In base all'art. 149 disp. att., l'esame del testimone deve avvenire in modo che nel corso dell'udienza nessuna delle persone citate possa, prima di deporre, comu nicare con alcuna delle parti o con i difensori o consulenti tecnici, assistere agli esami degli altri o vedere o udire o essere altrimenti informata di ciò che si fa nell'aula di udienza. Si vuole con ciò tutelare la genuinità della fonte probatoria, evitando che le cognizioni del teste siano (consapevolmente o meno) alterate da notizie sui risultati di altre prove, con cui il teste medesimo potrebbe essere indotto a coordinarle (45 ) . Questa disciplina vale specificamente per il testimone e non può essere estesa, perché incompatibile, né all'esame dei consulenti tecnici, né a quello delle parti che non abbiano obblighi di testimoniare (46) ; viceversa, può es sere estesa alla parte civile che sia stata citata come testimone. Per quanto riguarda il perito, esiste una normativa speciale che gli consente, seppure su autorizzazione del giudice, di assistere all'assunzione delle prove (art. 228, comma 2 ) .
1 9 . L'esame incrociato. Questo istituto può essere definito come quell'insieme di regole con le quali le parti pongono direttamente le domande alla persona esaminata. Le regole sono state elaborate da una prassi secolare che si è formata negli ordinamenti angloamericani. Rispetto a tale modello, il codice italiano si caratterizza per il fatto di riprodurre soltanto alcune di quelle regole e per la scelta di attribuire al giudice un controllo penetrante sullo svolgimento dell'esame. In particolare, il presidente dell'organo giudicante ha la funzione di « assicurare la pertinenza (44) (45)
Relazione al progetto preliminare, p. 64.
Si noti tuttavia che la regola ora ricordata è priva di sanzione processuale; pertanto l'inosservanza della medesima dà luogo ad una semplice irregolarità: Cass., sez. VI, 24 settembre 1 996, Rispoli, in CED, n.
206016. (46) III, 291.
Contra, in giurisprudenza, C. Assise Rovigo, 28 dicembre 1992, Pregnolato, in Giust. pen., 1993,
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delle domande, l a genuinità delle risposte, l a lealtà dell'esame e l a correttezza delle contestazioni (. . . ) » (art. 499, comma 6) (47 ) . L'esame incrociato si articola nei tre momenti fondamentali dell'esame diretto, del controesame e del riesame (art. 498) : i soggetti che pongono le domande sono il pubblico ministero ed i difensori delle parti private. L'esame diretto è condotto dalla parte che ha chiesto di interrogare il testimone (o altro soggetto che rende dichiarazioni) . n controesame è eventuale, nel senso che le parti, che non hanno chiesto l'ammissione di quel teste, possono a loro volta porre domande. Il rz'esame è doppiamente eventuale perché si svolge soltanto se vi è stato il controesame; nel riesame la parte che ha condotto l'esame diretto può « proporre nuove domande ». Passiamo adesso ad approfondire nel dettaglio i tre momenti fondamentali appena menzionati. L'esame diretto tende ad ottenere la manifestazione dei fatti conosciuti dal testimone; tali fatti dovrebbero essere utili a dimostrare la tesi di colui che lo ha citato. Si presume che l'interrogante conosca previamente le informazioni che il testimone dovrà fornire; il suo scopo è quello di dimostrare che il teste è attendibile e credibile. Per tale motivo sono vietate le " domande-suggerimento" (art. 499, comma 3 ) (48) . n controesame è condotto dalla parte che h a un interesse contrario a quella che ha chiesto l'esame del testimone (o altro dichiarante) (49). n controesame (47) Si veda Cass. , sez. I, 15 dicembre 1 994, Rizzo, in Giust. pen., 1995, III, 592, secondo cui << ai sensi dell'art. 499 comma 6 c.p.p. rientra nel potere discrezionale del presidente di intervenire nell'esame del teste al fine di assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte e la lealtà dell'esame medesimo. È ammissibile perciò l'intervento del presidente, in sede di esame incrociato, che chieda precisazioni al testimone circa il contenuto di una risposta conseguente a una domanda formulata dal difensore ». In base all'art. 506 comma 2 mod. oggi il presidente può porre le domande alle parti già esaminate solo dopo l'esame e il controesame; v. in/ra. Ad avviso di Cass., sez. I, 28 ottobre 1996, De Giglio, in Dir. pen. proc. , 1997, 4 1 , il presidente non può dettare regole di carattere generale da seguire durante l'esame testimoniate, atteso che trovano applicazione quelle dettate dal legislatore, le quali devono essere osservate anche da chi deve dirigere il dibattimento. V. inoltre, Cass., 14 maggio 1999, Lorenzoni, in Giust. pen., 2000, III, 54 1 : il comportamento del giudicante, il quale si arroghi poteri inquisitori, anziché lasciare alle parti di condurre l'assunzione della prova, è certamente censurabile, ma non integra i requisiti della nullità della sentenza, ave non si risolva in una violazione del diritto di difesa, ad esempio impedendo al difensore di porre domande. (48) La violazione del divieto di porre domande-suggerimento ha dato luogo ad un contrasto giurisprudenziale. Da un lato, si ritiene esistente la inutilizzabilità ex art. 1 9 1 per violazione di w1 divieto probatorio (Cass., 2 1 gennaio 1 992, Daniele, in Arch. n. proc. pen., 1992, 618), anche se si precisa che la questione deve essere prospettata davanti al giudice e non può essere eccepita per la prima volta con i motivi di impugnazione (Cass., sez. I, 3 1 maggio - 10 giugno 2005, n. 22204, CED 232385). Da un altro lato, non si rileva la inutilizzabilità perché non è violato un divieto probatorio; infatti, si tratta di << prove assW1te con modalità diverse da quelle prescritte >>; né vi è nullità (Cass., sez. I, 14 luglio - 3 novembre 2005, in Arch. n. proc. pen., 2007, 109). (49) n controesame del testimone è una sequenza strutturale della testimonianza dibattimentale e componente del suo metodo, donde nessuna disposizione processuale ne subordina l'ammissibilità ad una preventiva richiesta; App. Bologna, 2 febbraio 1 994, Brancaleoni, in Giust. pen. , 1994, III, 28.
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è eventuale, nel senso che la controparte ha "facoltà" di porre domande alla persona già sentita nell'esame diretto. Il controesame può avvenire sui fatti ovvero sulla credibilità del testimone, o ancora su entrambi gli oggetti. Il controesame sulla credibilità tende a far dichiarare al testimone fatti che dimostrano la non credibilità di quest'ultimo (art. 1 94 comma 2 ) . Il controesame sui fatti tende a far dichiarare al testimone un fatto diverso o contrario a quello esposto nell'esame diretto (50); o ad ottenere dal dichiarante una spiegazione alternativa del fatto stesso; o, infine, a far ammettere fatti che contraddicono le conclusioni alle quali è pervenuta la controparte. Nel controesame sono ammesse le domande-suggerimento. In verità, in base al codice le domande-suggerimento sono consentite a quella parte che ha un interesse differente da quello della parte che « ha chiesto la citazione del testimone » (art. 499 comma 3 ) ; il loro scopo è sia quello di saggiare come reagisce il testimone, sia quello di far cadere quest'ultimo in contraddi zione (5 1 ) . Con ciò si dà attuazione al principio secondo cui la prova capace di resistere alle suggestioni è quella che più si accredita. Il riesame è condotto dalla persona che ha chiesto l'assunzione della testimonianza. Esso è doppiamente eventuale; avviene soltanto se si è svolto il controesame ed, inoltre, soltanto se la parte, che ha chiamato a deporre il testimone, intende procedere al riesame stesso. La funzione del riesame è quella di consentire, a chi ha introdotto la prova, il " recupero" della sequenza dei fatti, dopo che il controesame ha cercato di mettere in dubbio la loro esistenza; oppure consente di esporre la ragione di contraddizioni nelle quali il testimone è caduto; pertanto tende a corroborare la validità della dichiarazione inizial mente resa. n potere di rivolgere domande. Da quanto esposto finora, si ricava che (50) Troppo restrittiva sembra essere l'interpretazione data da Cass., sez. I, 5 novembre 1996, Di Gennaro, in Cass. pen. , 1 998, 2037, secondo cui << la parte che non ha indicato il teste non può porre, in sede di controesame di quello introdotto da altra parte, domande su circostanze diverse da quelle specificate da chi ne ha richiesto l'esame al momento della presentazione della lista; se così non fosse, verrebbero frustrati i termini temporali ed i limiti di ammissibilità prescritti dal codice di rito per l'ingresso in processo delle prove indicate dalle parti, nonché le regole concernenti le modalità di assunzione delle stesse ». Per parte nostra riteniamo ammissibili domande che permettano di chiarire fatti rimasti oscuri. (5 1 ) Cass., Sez. III, 3 giugno 1993, Tettamanti, in Cass. pen., 1995, 79: << per l'esame testimoniale l'art. 499 c.p.p. pone una regola generale, che vieta le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte (comma 2), e una regola particolare, che vieta le domande cosiddette suggestive, la quale vale solo per l'esame, ma non anche per il controesame (comma 3 ) . È evidente l'intento del legislatore di evitare che chi induce un teste a prova possa anche suggerirgli le risposte, durante l'esame diretto, in modo da manipolare a suo piacimento la genuinità della prova; mentre analoga esigenza non si pone per chi conduce il controesame, il quale anzi è opportuno che sia lasciato libero di saggiare l'attendibilità del teste anche con domande provocatorie e suggestive. Pertanto, a chi conduce il controesame non possono essere inibite domande che tendono a suggerire le risposte, neppure in virtù del potere presidenziale - previsto nel comma 6 di detto articolo - di intervenire per assicurare la genuinità e sincerità delle risposte tutelata dalla predetta regola generale >>.
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l'esame incrociato non consiste nella semplice attribuzione alle parti del diritto di porre domande ai testimoni. Viceversa, si tratta di un congegno articolato e complesso che ha regole precise; il suo scopo è quello di sottoporre il dichia rante alla immediata verifica delle parti contrapposte. L'esame incrociato non può essere sottoposto ad interruzioni. Nel corso del suo svolgimento le parti hanno unicamente la possibilità di formulare opposi zioni sulle quali il presidente decide immediatamente senza formalità (art. 504 ) . A d esempio, può accadere che la domanda stessa sia inammissibile (perché vietata dalla legge) o non pertinente; ovvero si tratti di una " domanda suggerimento" nei casi in cui questo tipo di domanda è vietato, e cioè durante l'esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone (art. 499, comma 3 ) . Soltanto al termine della sequenza esame diretto - controesame - riesame il presidente può porre d'ufficio domande al testimone (o altro dichiarante) (52) . In tal caso, l e parti hanno diritto a concludere l'esame secondo l'ordine prescritto (art. 506, comma 2 ) ; e cioè si può rinnovare in tutto od in parte la sequenza "esame diretto - controesame - riesame" (53 ) . La tutela della dialettica. L'esame incrociato è stato definito nei paesi anglosassoni il miglior " strumento" per conoscere la verità. Esso si basa sul principio secondo cui la verità si conosce tanto meglio, quanto più spazio è lasciato alla dialettica tra le parti in conflitto. Queste riescono a trarre dalla fonte di prova tutto quanto essa può dare, svelandone al tempo stesso il grado di genuinità ed attendibilità. Ma perché l'esame incrociato resti un metodo di ricerca del vero e non diventi uno strumento per intimidire, allarmare ed ingannare il testimone (o altro dichiarante) , il codice pone varie regole e prevede un penetrante controllo operato dal giudice. Le regole che presiedono all'esame incrociato. Il codice pone regole che riguardano sia il modo di rivolgere le domande, sia il modo di rispondere alle (52) Si tratta di una regola espressamente sancita all'art. 506, comma 2, come modificato dalla legge n. 479 del 1999, e che già in precedenza era ricavabile dal sistema. Invero, la norma in oggetto menziona esclusivamente lo svolgimento dell'esame e del controesame. Tuttavia, in un sistema autenticamente accusa torio è necessario che il riesame si svolga immediatamente dopo il controesame, senza che le cadenze dell'esame incrociato siano turbate dall'intervento offìcioso del giudice. In merito all'ampiezza del potere di domanda spettante al giudice, si veda quanto affermato da Assise appello Catania, 22 febbraio 1997, Garozzo, in Arch. n. proc. pen., 1998, 429: << non è tenuto a rispettare il divieto di formulare domande suggestive, previsto per l'esaminatore, il presidente del collegio penale che in dibattimento si awalga del potere di rivolgere domande d'ufficio. Infatti è proprio nell'interesse dell'impu tato, e comunque dell'accertamento del vero, che non può non consentirsi al presidente - e, per suo tramite, ai componenti del collegio - di verificare l'affidabilità del dichiarante anche con domande suggestive ». A nostro awiso la Corte di Assise di appello si attesta su di un orientamento eccessivamente permissivo. (53) Nel caso in cui il presidente, dopo aver effettuato domande al teste a norma dell'art. 506, comma 2, non consenta alle parti di concludere l'esame, si verifica una nullità a regime intermedio ex art. 178 comma l lettera b o c, sanabile ai sensi dell'art. 182. In tal senso, Cass., sez. Ili, 15 marzo 1994, Di Santo, in Giur. it. , 1995, II, 5 16.
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stesse da parte del testimone (o altro dichiarante) . Le regole valgono in generale per i tre momenti dell'esame diretto, del controesame e del riesame; hanno lo scopo di tutelare sia la genuinità della prova, sia il rispetto della dignità della persona sottoposta ad esame. Le regole per le domande sono le seguenti. l ) Sono ammesse domande su fatti « specifici » (art. 499, comma 1 ) . La regola non vieta tuttavia che una parte chieda al dichiarante di narrare ciò che ha percepito. Si vuole soltanto evitare che il testimone venga a riferire una ''lezione imparata a memoria" . Inoltre, la domanda deve avere ad oggetto un fatto " determinato" e non un apprezzamento del dichiarante (art. 1 94, comma 3 ) . n deponente può fare apprezzamenti soltanto quando è « impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti ». 2) Sono vietate le domande "nocive" , che sono idonee a minare la sincerità delle risposte (art. 499, comma 2 ) ; e cioè non sono ammesse le domande intimidatorie o, viceversa, suadenti (ad es.: "stia attento ! ") . Unico richiamo ammesso è quello formale ad opera del presidente del collegio giudicante ai sensi dell'art. 207 . 3 ) Sono vietate le domande che violano il rispetto della persona umana (art. 499, comma 4), e cioè che ledono l'onore o la reputazione del deponente. Tuttavia nel controesame, quando occorre saggiare la credibilità del dichia rante, il diritto alla prova prevale sul rispetto della persona: il codice non prevede "materie non indagabili" . Se mai, su richiesta dell'interessato, il presidente dispone che il dibattimento si svolga a porte chiuse quando l'assunzione della prova può causare un pregiudizio alla « riservatezza dei testimoni ovvero delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell'imputazione » (art. 472, comma 2 ) ; o, comunque, il giudice dispone che si proceda a porte chiuse « quando la pubblicità può nuocere al buon costume » (art. 472, comma 1 ) . Le regole per le risposte. Fra le regole che riguardano le risposte, s i possono citare tutti i casi nei quali il testimone può astenersi dal rendere dichiarazioni. Pertanto il testimone ha facoltà di non deporre: a) su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale (art. 198, comma 2 ) ; b) su fatti coperti da segreto professionale (art. 200); c) su fatti coperti da segreto d'ufficio o di Stato (artt. 201 e 202 ) . Ancora, il testimone assistito può non deporre sui fatti di cui all'art. 197-bis, comma 4. Infine, il testimone ha facoltà di astenersi dal deporre nei casi previsti dall'art. 1 99 quando è prossimo congiunto dell'impu tato. Vi è anche una specifica regola che impone al presidente di assicurare la genuinità delle risposte (art. 499, comma 6) ; si vuole infatti evitare che il testimone possa comunque " carpire" suggerimenti mentre depone. Questa notazione ci dà l'occasione per sottolineare che spetta al presidente dell'organo giudicante il potere di escludere, sia su eccezione di parte sia 21
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d'ufficio, l e domande vietate. Più in generale, a lui spetta d i vigilare che il contraddittorio si svolga correttamente. In particolare, il presidente « interviene per assicurare la pertinenza delle domande » (artt. 1 87 e 194 ) e « la lealtà dell'esame » (art. 499, comma 6) ; controlla « la correttezza delle contestazioni, ordinando, se occorre, l'esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni » (art. 499, comma 6); decide « imme diatamente e senza formalità » sulle opposizioni formulate dalle parti nel corso dell'esame (art. 504) (54). La testimonianza protetta del minorenne. Quando deve essere esaminato un testimone minorenne il codice prevede forme particolari, che escludono l'esame incrociato e che provvedono a fornire una qualche protezione al dichiarante (art. 498, comma 4). Le disposizioni in materia sono state introdotte dal legislatore in più riprese e questo fatto spiega la presenza di difetti di coordinamento. La protezione ordinaria. L'esame del minorenne è condotto dal presidente dell'organo collegiale, al quale le parti possono chiedere di porre domande o di fare contestazioni al minorenne. « Nell'esame » il presidente può avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto di psicologia infantile (55) . L'istituto è stato esteso agli adulti infermi di mente dalla sentenza della Corte cost. n. 283 del 1 997 . Le particolari modalità dell'esame sono ispirate all'esigenza di tutelare la personalità del minore e la serenità dello stesso. Resta il fatto che si tratta di un mezzo di prova che per sua natura ha lo scopo di saggiare la credibilità e l'attendibilità del testimone. Pertanto occorre tenere presente che le parti sono titolari del diritto alla prova, e cioè del diritto di ottenere che siano rivolte le domande che tendono a valutare la veridicità del minorenne (56). La protezione ulteriormente rafforzata. Vi è anche un'altra possibilità. Se una parte lo chiede o il presidente lo ritiene necessario, si devono applicare le ulteriori " protezioni" previste dall'art. 3 98, comma 5 -bis (57 ) , richiamato dall'art. 498, comma 4 -bis. In virtù di tale richiamo, la protezione rafforzata si (54) Una volta portata a termine l'escussione in conformità con le direttive del presidente, la parte che afferma di essere stata lesa dalle stesse può proporre una questione incidentale davanti al collegio (art. 478), che può accogliere o meno le rimostranze ordinando, ove occorra, la ripetizione dell'atto. In tal senso R. 0RLANDI, L'attività argomentativa delle parti nel dibattimento penale, in AA.Vv., La prova nel dibattimento penale, Torino, 1 999, 42-43 . (55) La norma che si deve ricavare non è chiara: l'art. 498, comma 4, non precisa se l'esperto deve soltanto essere presente per fornire un parere (se la disposizione deve essere intesa riferirsi ad uno spazio temporale) o per condurre l'esame stesso (se la disposizione indica un metodo). (56) n presidente può anche disporre, sentite le parti, che la deposizione " prosegua" nelle forme dell'esame incrociato quando ritiene che l'esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste. L'ordinanza può essere revocata nel corso dell'esame (art. 498, comma 4). (57) L'art. 398, comma 5-bis, c.p.p. circoscrive l'applicabilità delle modalità protette d'audizione del testimone infrasedicenne in incidente probatorio ai reati di violenza sessuale e assimilati (si tratta dei reati di pedofìlia e di tratta di persone; leggi n. 66 del 1996, n. 269 del 1998 e n. 228 del 2003 ) .
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applica in dibattimento per i minori di anni diciotto ed in relazione a tutti i reati, come ha riconosciuto la sentenza della Corte cost. n. 1 14 del 200 1 . Il presidente stabilisce le modalità particolari con le quali svolgere l'esame, quando le esigenze del minore lo rendono necessario o opportuno. Le dichiarazioni devono essere documentate con mezzi di riproduzione fonografica o audiovi siva. L'udienza può tenersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza; in mancanza di queste, l'udienza può svolgersi presso l'abitazione del minore. n secondo rafforzamento nell'esame del minorenne. Quando si procede per i reati di violenza sessuale e assimilati (ai quali il decreto-legge n. 1 1 del 2009 ha aggiunto la violenza sessuale di gruppo e gli atti persecutori; artt. 609-octies e 612-bis c.p . ) , l'esame del minorenne vittima del reato o del maggiorenne infermo di mente vittima del reato deve essere effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l'uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico (art. 498, comma 4-ter) .
20. Le dichiarazioni rese prima del dibattimento e la loro utilizzabilità. a.
Dal codice del 1 988 alla riforma costituzionale.
Nel testo originario del codice il principio di oralità era affermato in modo assoluto. Le dichiarazioni rese dal possibile testimone alla polizia giudiziaria non erano utilizzabili in dibattimento come prova del fatto narrato. Se, ad esempio, il teste sentito dalla polizia giudiziaria decedeva in conse guenza del reato del quale era stato vittima, le sue dichiarazioni erano inutiliz zabili. Lo stesso avveniva quando il testimone - sentito dalla stessa polizia oppure dal pubblico ministero - era minacciato ed in aula diceva di non ricordare più nemmeno se nel giorno del delitto c'era il sole o pioveva. "Questo è il costo che si deve pagare all'oralità " , si diceva; ma si ometteva di riferire che gli ordinamenti giuridici, storicamente ispirati a tale principio, prevedevano eccezioni nelle situazioni menzionate. La Corte costituzionale nel 1 992 ha risposto alle scelte del nuovo codice con un massimalismo di segno inverso. Alla oralità, affermata in senso assoluto, il Giudice delle leggi ha contrapposto il principio di "non dispersione della prova raccolta prima del dibattimento " e ne ha sostenuto la rilevanza costitu zionale. Con le sentenze n. 254 e 255 è stato dato ampio spazio alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese prima del dibattimento alla polizia ed al pubblico ministero. Si trattava sempre di posizioni assolute, perché la Corte era composta da persone imbevute della medesima cultura dei codificatori dell'88, sia pure su versanti contrapposti. Negli anni successivi si sono alternate prese di posizione di segno opposto da parte del Legislatore e della Corte costituzionale, fino a rasentare un conflitto
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tra poteri dello Stato. Lo sfondo era quello delle dichiarazioni rese dagli imputati connessi. Il Legislatore nel 1997 ha ritenuto di dover affermare il principio del contraddittorio "nella formazione della prova" , con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte in segreto. La Corte costituzionale, viceversa, ha ritenuto sufficiente garantire il contraddittorio " sulla prova" già formata unilateralmente nel corso delle indagini (sentenza n. 36 1 del 1998) . Ad avviso del Giudice delle leggi il contraddittorio era da ritenersi assicurato quando l'imputato poteva fare contestazioni alla persona che lo aveva accusato: le precedenti dichiarazioni, rese in segreto, diventavano utilizzabili in dibatti mento se vi erano riscontri che ne confermavano l'attendibilità.
b.
L'art. 1 1 1 Cost. ed il principio del contraddittorio.
Il significato del contraddittorio. Come abbiamo anticipato nella parte storica, il 7 gennaio 2000 è entrato in vigore il nuovo testo dell'art. 1 1 1 Cost., che ha affermato il principio del contraddittorio nella formazione della prova (comma 4 ) . Per poter esaminare l e scelte effettuate dal legislatore in punto di utilizza bilità delle precedenti dichiarazioni occorre approfondire il significato del contraddittorio così come è stato recepito dall'art. 1 1 1 Cost. Di tale principio in relazione al processo penale si possono dare interpretazioni contrastanti. Alcuni studiosi ne prospettano una interpretazione restrittiva; essi ritengono che l'unica prova utilizzabile per la decisione finale sia quella che si è formata attraverso l'esame incrociato svoltosi nel dibattimento (o, eccezionalmente nell'incidente probatorio) . Accogliendo tale accezione rigida del principio del contraddittorio, le dichiarazioni rese durante le indagini segrete, una volta contestate a colui che in dibattimento abbia fornito una differente versione (cd. precedente difforme), non sarebbero utilizzabili ai fini della prova del fatto affermato in prece denza (58 ) . Alla definizione ora prospettata s e n e contrappone un'altra, che estende il significato del contraddittorio. In base a quest'ultima interpretazione, dovrebbe considerarsi resa in contraddittorio, non soltanto la dichiarazione rilasciata nel corso dell'esame incrociato, ma anche quella precedente dichiarazione, resa durante le indagini, che sia stata contestata in dibattimento a colui che nel l' esame incrociato ha dato una differente versione dei fatti. A tale conclusione si perviene affermando che, attraverso la contestazione, si sottopone al contrad dittorio anche la precedente dichiarazione difforme. Infatti, il testimone ha (58) In tal senso, v. P. FERRUA, L'avvenire del contraddittorio, in Critica dir., 2000, 25; E. MARZADURJ, Sul diritto al silenzio degli imputati il giusto processo vive di contraddizioni, in Guida dir., 2000, n. 43, 12. Secondo questa prospettiva le dichiarazioni, raccolte unilateralmente prima del dibattimento ed ivi usate per le contestazioni, dovrebbero servire al solo controllo della credibilità della persona esaminata.
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modo di essere vagliato su di essa nel corso dell'esame incrociato (59). Al testi mone può essere chiesto conto della difformità tra le dichiarazioni rese attual mente e quelle precedenti; egli, sotto l'obbligo di verità, deve fornire le spiegazioni richieste. li dichiarante, che muta versione, non si sottrae al contraddittorio perché le parti possono fare domande tendenti a chiarire le ragioni della differenza ri spetto a quanto affermato in precedenza (60). Sulla base di tali considerazioni riteniamo che la Costituzione non imponga una generale inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini. Nell'ipotesi in oggetto, il giudice può utilizzare per la deliberazione una sorta di prova " complessa" che si compone della dichiarazione resa in dibattimento e di quella contestata al testimone nel corso dell'escussione. Questo perché, lo ripetiamo, entrambe le dichiarazioni sono state sottoposte al vaglio dialettico nel corso dell'esame incrociato (61 ) . L e eccezioni al contraddittorio. Al principio del contraddittorio il comma 5 pone tre eccezioni: la prova è utilizzabile anche se si è formata fuori del contraddittorio « per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita ». Poiché si tratta di eccezioni ad una regola che enuncia il valore tutelato in maniera prevalente dalla Costituzione, esse non possono essere oggetto di integrazione analogica. a) n consenso dell'imputato. Anzitutto è prevista una eccezione in ragione del consenso dell'imputato. Tale eccezione ha due ambiti applicativi distinti. I riti semplificati. Da un lato, il consenso dell'imputato viene in gioco nell'ambito dei riti semplificati che omettono il dibattimento. In effetti, in tali (59) P. ToNINJ, Necessario garantire spazi per un vero contraddittorio, in Il Sole 24 Ore, 22 novembre 2000, 28. Sulla base di questa premessa si è concluso per l'utilizzabilità delle dichiarazioni difformi contestate a chi depone in giudizio; v. anche P. MoROSINI, Contraddittorio nella formazione della prova e criminalità organizzata, in Dir. pen. proc. , 2000, 334; G. SALVI, Il difficile puzzle delle risposte alle contestazioni, in Il Sole 24 Ore, 30 settembre 2000. (60) Nell'ordinamento federale degli Stati Uniti (Rule 801 delle Federa! Rules ofEvidence, 1975) ed in Inghilterra (Criminal Justice Act del 2003 , sect. 1 1 9 e 120) si è ammessa la piena utilizzazione probatoria della precedente dichiarazione difforme, che sia stata contestata al testimone. A commento della riforma inglese e delle sue fondamenta teoriche e pratiche, P. RoBERTS e A. ZucKERMAN, Criminal Evidence, Oxford, 2004, 250·25 1 , hanno accolto positivamente le deroghe al divieto di sentito dire (hearsay rule) e le hanno giustificate con argomentazioni analoghe a quelle con le quali noi sosteniamo la configurabilità di una prova complessa. (61) Chiamata a pronunciarsi sulla nuova versione dell'art. 500 c.p.p., a mente del quale il precedente difforme contestato non può essere utilizzato come prova del fatto, la Corte costituzionale ha ritenuto manifestamente infondata la questione sul rilievo che l'art. 1 1 1 Cost. ha << espressamente attribuito risalto costituzionale al principio del contraddittorio anche nella prospettiva della impermeabilità del processo, quanto alla formazione della prova, rispetto al materiale raccolto in assenza della dialettica tra le parti; ( . . . ) alla stregua di siffatta opzione, appare del tutto coerente la previsione di istituti che mirino a preservare la fase del dibattimento - nella quale assumono valore paradigmatico i princìpi della oralità e del contraddittorio - da contaminazioni probatorie fondate su atti unilateralmente raccolti nel corso delle indagini preliminari >>. Così C. cost. , ord. 14·26 febbraio 2002, n. 36. Tale orientamento è stato successivamente ribadito da C. cost., ord. 26 giugno 2002, n. 293, in G. U. prima serie speciale, n. 26 del 2002; C. cost. , ord. 1 8 luglio 2002, n. 365, in G. U., prima serie speciale, n . 29 del 2002; C. cost., ord. 25 luglio 2002, n. 396, in Cass. pen., 2003, 1 13 ; C. cost., ordd. 29 ottobre 2002, n. 43 1 in G. U., prima serie speciale, n . 44 del 2002 e 22 novembre 2002, n. 473, ivi, n. 47 del 2002.
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contesti l'imputato rinuncia al contraddittorio in via anticipata (nel giudizio abbreviato e nel patteggiamento) o in via successiva (nel procedimento per decreto) , di modo che il giudice utilizza le prove raccolte in modo unilaterale nel corso delle indagini. Il diritto dell'imputato e le esigenze di Giustizia risultano soddisfatte poiché viene valutata anche la necessità di assicurare una durata ragionevole al processo e tale valore trova un esplicito riconoscimento costitu zionale nell'art. 1 1 1 , comma 2. Occorre tenere presente che il consenso dell'imputato ha la sola funzione di rendere utilizzabili dichiarazioni raccolte in modo unilaterale; non consiste in un potere dispositivo assoluto sulla prova. Pertanto al legislatore resta il potere-dovere di tutelare l'interesse di Giustizia. Ad esempio, nel rito abbreviato, vista l 'entità degli interessi in gioco, la legge n. 479 del 1 999 ha consentito al giudice di valutare la necessità di un'integrazione probatoria da disporre anche d'ufficio (art. 44 1 , comma 5 ) . n consenso a d acquisire al dibattimento prove formate fuori dal contrad dittorio. Il secondo ambito applicativo dell'art. 1 1 1 comma 5 Cost., nella parte in cui si riferisce al consenso dell'imputato, riguarda la disciplina della prova nel rito ordinario. Con il consenso dell'imputato è possibile acquisire al dibatti mento prove formate fuori dal contraddittorio. Poiché la norma costituzionale non fa distinzione, sembra che il consenso del solo imputato valga a rendere utilizzabile qualsiasi atto di indagine anche se si tratta di elementi favorevoli che sono stati raccolti dalla difesa. Eppure, in relazione a questi ultimi, all'evidenza, il reale controinteressato è il pubblico ministero; pertanto è la pubblica accusa che dovrebbe consentire. In effetti il consenso, se interpretato in modo tecnico, indica la rimozione di un limite all'agire altrui nella propria sfera soggettiva (62 ) . Pertanto, a rigore, l'imputato può validamente consentire soltanto all'acquisi zione di atti prodotti da altre parti. In sintesi, malgrado la formulazione dell'art. 1 1 1 , comma 5, si può affermare che l'uso di atti raccolti in modo unilaterale può essere ammesso soltanto se vi consentono quelle parti che non hanno parteci pato all'acquisizione dell'elemento di prova e che potrebbero subire un pregiu dizio dalla utilizzabilità dello stesso ( 63 ) . (62) C . CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova, 2003 , 130·13 1 . (63) Sul tema, v . G . GIOSTRA, Analisi e prospettive di u n modello p robatorio incompiuto, in Quest. giust. , 200 1 , 1 134; C. CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso, cit., 129 ss. e 423 . La lettura appena prospettata è stata confermata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184 del 2009. Ad awiso del Giudice delle leggi, la deroga al contraddittorio per consenso dell'imputato non implica che il legislatore ordinario sia tenuto a rendere sistematicamente disponibile il contraddittorio nella forma zione della prova, prevedendone la caduta ogniqualvolta l'imputato manifesti una volontà in tal senso. L'enunciato normativo legittima il legislatore ordinario a prevedere ipotesi nelle quali il consenso dell'impu tato, unitamente ad altri presupposti, determina una più o meno ampia acquisizione di elementi di prova formati unilateralmente; ciò, in particolare, tenuto conto delle esigenze di economia processuale. Resta peraltro implicito che la fattispecie debba essere comunque configurata in maniera tale da assicurare uno svolgimento equilibrato del processo, evitando che la rinuncia al contraddittorio da parte dell'imputato pregiudichi a priori la correttezza della decisione.
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Questa interpretazione trova conferma in quell'istituto che riconosce alle parti la possibilità di « concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documen tazione relativa all'attività di investigazione difensiva » (artt. 43 1 , comma 2 e 493 , comma 3 introdotti dalla legge n. 479 del 1999) . Mediante l'istituto dell'acquisizione concordata, le parti riconoscono che l'elemento di prova, raccolto in modo unilaterale da una di esse, è equiparabile a quello che sarebbe stato acquisito mediante l'esame incrociato della fonte: l'accordo è una forma di dialettica che opera non sulla fonte, bensì direttamente sull'elemento di prova (64 ) . In ogni caso, l'accordo non costituisce un vincolo per il giudice, che può disporre anche d'ufficio l'escussione dibattimentale della prova introdotta in modo consensuale (art. 507, comma l -bis) . Pertanto, un eventuale patto per frodare l'accertamento dei fatti è controllabile e superabile da parte del giudice (65 ) . b) L'accertata impossibilità di natura oggettiva. L a seconda deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova è consentita in caso di accertata impossibilità di natura oggettiva. La formulazione è estremamente generica; in particolare, non specifica se debba trattarsi di una ipotesi di non ripetibilità dovuta a cause imprevedibili. Il termine « oggettiva », utilizzato nella norma in esame, allude a quelle cause indipendenti dalla volontà di taluno, che ci sembrano assimilabili a situazioni di forza maggiore. In altre parole, ci pare che l'ambito applicativo della disposizione sia limitato alle situazioni di non ripetibilità originaria o sopravvenuta; fra queste ultime rientrano le ipotesi "classiche" di cose soggette a modificazioni non evitabili (es. macchia di sangue esposta alla pioggia), oppure morte o grave infermità del dichiarante, e non quelle di semplice deterioramento delle sue facoltà psichiche. Occorre che in natura non sia più possibile assumere in contraddittorio quell'elemento di prova. La impossibilità di natura oggettiva non deve apparire "a sorpresa" per la (64) Nella ricordata sentenza n. 184 del 2009 la Corte costituzionale ha altresì precisaro che l'acquisizione concordata così come disciplinata dal legislatore appare coerente con il contesto del giudizio dibattimentale, sede processuale destinata al pieno sviluppo del contraddittorio attraverso l'assunzione dialettica della prova. Pertanto, si giustifica che una deroga a tale principio possa fondarsi solo sulla rinuncia "incrociata" delle parti, a fronte della regola generale della inutilizzabilità degli atti di indagine del pubblico ministero e del difensore. La Corte ha instaurato un inedito collegamento tra la disciplina in esame ed il canone della parità tra le parti sancito all'art. 1 1 1 , comma 2 Cast. Quest'ultimo principio impone al legislatore ordinario di evitare che i presupposti e le modalità operative della rinuncia al contraddittorio da parte dell'imputato determinino uno squilibrio costituzionalmente intollerabile tra le posizioni dei contendenti o addirittura una alterazione del sistema. (65) Alla luce dei princìpi enunciati sopra, appaiono poi costituzionalmente legittime quelle norme che permettono alla singola parte, contro cui è fatta valere una prova raccolta fuori del contraddittorio, di consentire all'utilizzazione della medesima. Ciò avviene oggi nell'art. 5 13 , comma l , per le precedenti dichiarazioni che siano state rese da uno degli imputati: esse sono utilizzabili contro un coimputato soltanto con il consenso di quest'ultimo.
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prima volta nella motivazione della sentenza, bensì deve essere oggetto di prova e di discussione tra le parti. Sul punto vi deve essere un apposito provvedimento incidentale del giudice. In definitiva, il contraddittorio viene recuperato nello specifico dibattito sull'esistenza in concreto del requisito dell'impossibilità oggettiva e nella valutazione sull'attendibilità dell'elemento di prova raccolto in modo unilaterale. c) La provata condotta illecita. L'ultima eccezione è consentita nell'ipotesi in cui la mancata attuazione del contraddittorio costituisca effetto di provata condotta illecita. È importante sottolineare che il comma 5 si riferisce a comportamenti contrari al diritto (contra ius) finalizzati ad indurre il dichiarante a sottrarsi al contraddittorio. Il legislatore costituzionale si è mostrato consapevole del fatto che, quando il metodo del contraddittorio è inquinato, il processo deve fare ricorso al metodo alternativo che consiste nella utilizzabilità delle precedenti dichiara zioni. L'esigenza di accertamento dei fatti ha un indubbio rilievo costituzio nale (66) . c.
n principio generale della inutilizzabilità delle precedenti dichiara zioni.
Come abbiamo accennato nel capitolo introduttivo, il quadro dei princìpi costituzionali presentava profili di frizione con il sistema probatorio delineato dal codice. Si è così reso necessario un intervento del legislatore ordinario al fine di dare attuazione ai predetti canoni. Nel prosieguo dell'analisi, esamineremo la disciplina della utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni, dando conto delle modifiche che sono state apportate dalla legge l o marzo 200 l , n. 63 , di attuazione del " giusto processo" . Prima di cimentarsi con le singole disposizioni, che eccezionalmente rego lano l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese fuori del dibattimento, occorre esaminare la disciplina prevista dal codice per stabilire la regola generale in materia. (66) È chiaro che la norma si fonda su di una regola di esperienza in base alla quale, quando il dichiarante resta silenzioso a seguito di minaccia, è probabile che siano genuine le sue precedenti dichiara zioni. In queste situazioni il contraddittorio in senso oggettivo, se fosse affermato in modo massimalista senza consentire eccezioni, sarebbe vanificato nei suoi stessi scopi. Pertanto, l'eccezione costituisce la deroga che rende ragionevole il principio del contraddittorio in senso oggettivo. Dall'espressione " provata condotta illecita" si desume la necessità di un ponderato accertamento delle circostanze che hanno comportato l'inquinamento della prova. Giustamente si ritiene che la condotta illecita debba essere provata attraverso un procedimento incidentale; la disposizione postula che il giudice accerti la sussistenza di tale condotta sulla base di indizi che conducano ad una tesi di " rilevante probabilità" e sempre che sul punto le parti siano state sentite in contraddittorio. Con ordinanza 12 novembre 2002, n. 453 , in Cass. pen., 2003, 479, la Corte costituzionale ha affermato che la condotta illecita disciplinata dall'art. 1 1 1 comma 5 Cost. è soltanto quella posta in essere "sul dichiarante" e non l'eventuale falsa testimonianza di quest'ultimo.
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li punto di partenza è la lettura combinata degli articoli 526 e 5 14. L'art. 526, comma l stabilisce che « il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibatti mento ». Tale norma deve essere letta congiuntamente all'art. 5 14 . Quest'ultima disposizione stabilisce la regola generale in base alla quale non costituisce "legittima acquisizione" la lettura dei verbali delle dichiarazioni rese fuori del dibattimento, salvo i casi espressamente menzionati (67 ) . Dall'esame simultaneo delle due disposizioni s i desume un principio gene rale: le prove dichiarative precostituite (e cioè raccolte fuori del dibattimento) sono inutilizzabili, salvo i casi nei quali espressamente la legge ne consenta l'acquisizione. Alla luce di questa ricostruzione, le norme che consentono la utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni hanno natura eccezionale e, come tali, non sono estensibili per analogia. Le dichiarazioni di colui che si è sempre volontariamente sottratto al contraddittorio. Su questo sfondo deve essere collocato anche il comma l -bis, che è stato introdotto nell'art. 526 dalla legge n. 63 del 200 1 . Tale disposizione ripropone testualmente il dettato dell' art. 1 1 1 , comma 4, secondo periodo Cast., e cioè vieta di utilizzare come prova della colpevolezza le dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto all'interroga torio da parte dell'imputato o del suo difensore. Si tratta di una norma di chiusura; da essa si ricava che in ogni caso, anche laddove una norma di legge dovesse consentire l'acquisizione delle precedenti dichiarazioni ai sensi dell'art. 5 14, resta fermo il principio secondo cui la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre sottratto al contraddittorio (68) . (67) Sottolinea M. Nomu, sub art. 514, i n Commento a l codice di procedura penale, coord. d a M. CHIAVARlO, vol. V, 1 99 1 , 44 1 che l'art. 5 14 costituisce una << fondamentale norma di chiusura >>. Tale configurazione emerge anche dalla Relazione al progetto preliminare del codice del 1 988, in Leg. it. , Torino, 1988, 549, in merito all'omologo art. 507 di tale progetto. (68) Merita precisare che l'art. 526, comma l-bis si limita a stabilire la predetta regola di esclusione senza prevedere espressamente alcuna eccezione. Ciò potrebbe indurre a ritenere che si tratti di una disposizione inderogabile. In particolare, una tesi del genere porterebbe ad affermare che le dichiarazioni rese da chi ha eluso il contraddittorio non possano essere utilizzate contro l'imputato neppure se questi vi consente. Una simile conclusione, tuttavia, non pare accettabile. La regola della inutilizzabilità è posta a tutela del diritto a confrontarsi con l'accusatore, e cioè del contraddittorio in senso soggettivo. Se l'imputato, che è il titolare di tale diritto, vi rinuncia e consente che le dichiarazioni accusatorie siano utilizzate contra se, non vi è ragione di espungerle dal materiale probatorio. A ritenere diversamente, si permetterebbe che l'imputato per due volte faccia le spese della mancata attuazione del diritto a confrontarsi con l'accusatore. In primo luogo, perché non potrebbe ottenere precisazioni e chiarimenti da quest'ultimo. In secondo luogo, perché vedrebbe comunque preclusa l'utilizzazione delle precedenti dichiarazioni. Si potrebbe obiettare che l'im putato non ha alcun interesse a consentire all'utilizzazione contra se di dichiarazioni accusatorie. Tuttavia, all'evidenza, la natura accusatoria o liberatoria di una dichiarazione è un carattere che dipende molto spesso da una valutazione soggettiva. li giudice potrebbe considerare accusatoria una dichiarazione che, viceversa, la difesa ha interesse ad acquisire. Ove si ritenesse che l'imputato non possa validamente consentire alla utilizzazione di tali dichiarazioni, la sua strategia difensiva potrebbe risultare compromessa. Pertanto, a nostro
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Le considerazioni che abbiamo appena esposto concernono gli istituti della lettura e della contestazione probatoria. Ad essi se ne affiancano altri simili, che consistono nella " consultazione di documenti in aiuto della memoria " , prevista dall'art. 499, comma 5 , e nella contestazione di " altre risultanze" , riconosciuta nella prassi giudiziaria.
d.
La consultazione di documenti in aiuto alla memoria.
Occorre adesso esaminare le singole ipotesi, eccezionali, nelle quali il codice consente di utilizzare dichiarazioni formate fuori del dibattimento. Viene in rilievo la possibilità, che ha il dichiarante, di " rinfrescarsi la memoria " . Ai sensi dell'art. 499, comma 5, « il testimone può essere autorizzato dal presidente a consultare, in aiuto della memoria, documenti da lui redatti ». Occorre tenere presente che non si tratta di atti del procedimento penale, bensì di documenti redatti dal dichiarante. L'esempio di solito riportato è quello del testimone che chiede di consultare la propria agenda al fine di ricordare gli impegni di un determinato giorno del passato (69) . La consultazione di documenti può essere chiesta da colui che è interro gato, sia quest'ultimo un testimone o una parte (in base al richiamo operato dall'art. 503 , comma 2 ) . Si tratta di un diritto che può essere esercitato su autorizzazione del presidente in presenza di precisi requisiti. In primo luogo, l'oggetto che può essere consultato deve essere un docu mento redatto dal dichiarante. La redazione può essere stata fatta di persona dal medesimo, ovvero egli può essersi limitato a controllare l'attività di altri, sottoscrivendo la dichiarazione. Fra i documenti, come è noto, possono rien trare le foto e le registrazioni ( art. 234) . Occorre segnalare che anche gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria possono consultare, in aiuto alla memoria « a norma dell'art. 499, comma 5 », verbali da loro redatti (art. 5 14, comma 2 ) . In secondo luogo, il documento può essere consultato "in aiuto della memoria" (70). Occorre cioè accertare che il dichiarante non ricordi i fatti registrati a suo tempo; soltanto successivamente, si può chiedere che il dichia-
avviso, l'unico modo per interpretare la norma in oggetto in modo conforme all'art. 1 1 1 Cost. è ritenere che le dichiarazioni rese da chi ha eluso il contraddittorio siano inutilizzabili contro l'imputato, salvo che questi vi consenta. (69) Si veda, tuttavia, anche Cass., sez. III, 12 ottobre 2004 n. 39853, in Il Sole-24ore, 10 novembre 2004: per " documenti da lui redatti" « devono intendersi pure quelli formalmente redatti dalla polizia giudiziaria, ma sottoscritti dal testimone dopo averne constatato la corrispondenza a quanto dichiarato >>; da queste premesse, la Corte ha dedotto che legittimamente il giudice di merito aveva autorizzato il testimone a consultare il verbale della denuncia resa alla polizia giudiziaria. (70) La consultazione da parte del testimone di un documento deve essere soltanto in aiuto alla memoria e non può pertanto sostituirsi completamente al ricordo, risolvendosi sostanzialmente nel semplice richiamo allo scritto consultato; così Cass., sez. IV, 2 giugno 2000 n. 6504, in CED, n. 216689.
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rante sia ammesso a consultare il documento (7 1 ) . Deve comunque trattarsi di un " aiuto alla memoria" , e cioè il documento deve essere stato formato quando la memoria del teste era fresca; non deve essere stato predisposto " specifica mente" in vista dell'esame. Inoltre, il dichiarante può " consultare" il documento nel senso che, dopo averlo visionato, deve rispondere alle domande senza . leggerlo. In terzo luogo, il documento deve essere reso conoscibile alle controparti, le quali hanno il diritto di utilizzarlo ai fìni del controesame. n documento può essere già contenuto in uno dei fascicoli; ma può anche essere nell'esclusiva disponibilità del testimone o di una parte. Non è necessario che il documento abbia i requisiti per essere ammesso come prova né che le parti ne chiedano l'ammissione come tale; in questo momento serve soltanto come " aiuto" alla memoria (72) . Infine, i periti e d i consulenti tecnici d i parte nel corso dell'esame hanno « in ogni caso facoltà di consultare documenti, note scritte e pubblicazioni, che possono essere acquisite anche di ufficio » (art. 5 0 1 , comma 2 ) . Tale possibilità è riconosciuta in ragione della peculiare connotazione tecnica che assume la deposizione degli esperti. In tal caso il codice non richiede l'autorizzazione del presidente. e.
La contestazione probatoria.
La seconda modalità di utilizzazione delle precedenti dichiarazioni è la contestazione. A colui che depone (sia egli testimone o parte) viene contestato di aver reso una differente dichiarazione in un momento anteriore al dibatti mento. Essa deve essere contenuta nel fascicolo del pubblico ministero e, pertanto, consisterà in un atto delle indagini preliminari o dell'udienza preli minare, o in una documentazione raccolta durante le investigazioni difensive (art. 3 9 1 -decies) . La finalità della contestazione probatoria. L a finalità della contestazione è duplice; da un lato, intende mettere in dubbio la credibilità del soggetto che in dibattimento cambia la versione dei fatti; da un altro lato, vuole permettere allo stesso soggetto di rettificare la dichiarazione resa in dibattimento o, comunque, di dare una spiegazione della diversa versione. La contestazione " probatoria" in senso proprio è quella regolata espressa(7 1 ) La Corte di cassazione ha affermato che la funzione dell'art. 499, comma 5 può essere realizzata pure nel caso in cui il vuoto di memoria della persona chiamata a deporre sia assoluto; purché ovviamente il giudice provveda poi ad una adeguata verifica. Così Cass., sez. VI, 5 ottobre 1994 n. 10459, in CED, n. 1 99454. (72)
V., tuttavia, Cass., sez. un., 24 gennaio 1 996, Panigoni, in Cass. pen. , 1996, 2892: « è legittima l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di prospetti riassuntivi di attività di polizia giudiziaria, elaborati da ufficiale di p.g. che, esaminato come testimone, ad essi abbia legittimamente fatto riferimento nel corso della deposizione, consultandoli in aiuto della memoria >>.
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mente dagli articoli 500 (per il testimone e per l'imputato connesso o collegato) e 503 (per le parti) ; tali articoli pongono precisi requisiti e ricollegano alla contestazione determinati effetti ai fini della utilizzabilità in giudizio. Le precedenti dichiarazioni. li primo requisito consiste nel fatto che si tratti di precedenti dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero (73 ) Altri atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, ma non consistenti in dichiarazioni, possono essere utilizzati per porre domande al dichiarante, ma non sono ricompresi nell'istituto della " contestazione probatoria" (74) . In secondo luogo è necessario che le precedenti dichiarazioni siano state rese dalla stessa persona che in dibattimento sta cambiando versione; le prece denti dichiarazioni di un terzo non rientrano in questo istituto, bensì in quello che definiremo " contestazione di qualsiasi altra risultanza " . I l terzo requisito richiede che la contestazione avvenga soltanto « s e sui fatti o sulle circostanze da contestare » il testimone o la parte abbia già deposto (artt. 5 00, comma l , e 5 03 , comma 3 ) . Scopo della norma è quello di evitare che sia suggerita una risposta al soggetto che depone. La lettura-contestazione. Infine, la "modalità di effettuazione" della con testazione consiste nel "leggere" la dichiarazione rilasciata prima del dibatti mento (art. 500, comma 2) e nel " chiedere conto" al deponente dei motivi della diversità (75 ) . I n passato il codice consentiva alle parti d i procedere alla contestazione anche quando il dichiarante avesse rifiutato od omesso, in tutto o in parte, di rispondere sulle circostanze riferite nelle precedenti dichiarazioni (art. 500, comma 2-bis, introdotto dalla legge n. 356 del 1992) . La legge n. 63 ha eliminato tale disposizione. Tuttavia, a livello interpretativo, occorre ritenere che sia
(73) Può trattarsi dunque di dichiarazioni rese dal testimone durante le indagini preliminari al pubblico ministero (ex art. 362 c.p.p.) o alla polizia giudiziaria (ex art. 3 5 1 c.p.p.). In quest'ultimo caso non è necessario che le dichiarazioni siano state raccolte su delega del pubblico ministero, poiché l'art. 500, comma 2 si riferisce genericamente alle dichiarazioni precedentemente rese, senza fare cenno alla delega del pubblico ministero, come accade, invece, nell'art. 513 (Cass., sez. V, 26 ottobre 2004, n. 1 1918, in Cass. pen., 2006, 2899). (74) Inoltre, ai sensi dell'art. 5 1 1 , comma 2, i verbali delle dichiarazioni contenute nel fascicolo per il dibattimento possono essere letti << dopo l'esame della persona che le ha rese, a meno che l'esame non abbia luogo >>. Riteniamo che la norma non impedisca di utilizzare le predette dichiarazioni ai fini delle contesta zioni; in base al principio di oralità deve comunque ritenersi applicabile per analogia il disposto dell'art. 500, comma l, secondo cui la contestazione può essere effettuata << solo se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone abbia già deposto >>. (75) L'art. 500, comma 2 usa l'espressione << dichiarazioni lette per la contestazione >>. In dottrina vi è chi sostiene che la lettura non è una modalità necessaria della contestazione, perché potrebbe essere sufficiente anche limitarsi a ricordare al teste il senso delle precedenti dichiarazioni. Così G. CoNTI, La formazione della prova in dibattimento, in AA.Vv., Giusto processo e prove penali, Milano, 200 1 , 189. A nostro avviso, tuttavia, dal tenore letterale della norma sembra desumersi la necessità che le dichiarazioni siano lette. Inoltre, da un punto di vista pratico non sfugge che la lettura è comunque consigliabile nello stesso interesse della parte che sta effettuando le contestazioni, giacché dà un senso di maggiore affidabilità.
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ancora possibile procedere alle contestazioni quando il dichiarante tace (76). La soluzione opposta, da un lato, precluderebbe l'esercizio del diritto alla prova delle parti, le quali sarebbero private della possibilità di chiedere conto al teste delle precedenti dichiarazioni; da un altro lato, comprometterebbe anche il principio del contraddittorio. Infatti, in casi del genere la contestazione po trebbe sollecitare il teste reticente a rendere dichiarazioni e, dunque, a sotto porsi all'esame incrociato (77 ) . A seguito della contestazione probatoria può accadere che il teste rettifichi la deposizione dibattimentale in modo che non vi sia più difformità con la precedente dichiarazione. In tal caso la contestazione è solo lo spunto per la dichiarazione resa oralmente nel contraddittorio delle parti, che pertanto è pienamente utilizzabile. Ma può anche darsi che il teste mantenga in dibattimento la diversa versione dei fatti, fornendo tuttavia giustificazioni più o meno plausibili. In tutti i casi menzionati, nei quali comunque persista una difformità di versione da parte dell'interrogato (o questi non risponda), si pone il problema se quanto è stato in precedenza narrato possa essere utilizzato ai fini della decisione. n codice, modificato dalla legge n. 63 del 2001 in attuazione del principio costituzionale del contraddittorio nella formazione della prova (art. 1 1 1 comma 4 Cost.), distingue fra i vari tipi di dichiaranti. t opportuno esaminare partita mente le diverse ipotesi.
l ) Precedenti dichiarazioni rese dal testimone. Le contestazioni nel corso dell'esame testimoniale costituiscono la disciplina base sulla quale sono model late le contestazioni nel corso dell'escussione di tutti gli altri dichiaranti. L'art. 500, comma 2 stabilisce che « le dichiarazioni lette per la contesta zione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste ». Dunque, è regola generale che la precedente dichiarazione sia utilizzabile dal giudice soltanto per valutare la credibilità del soggetto che in dibattimento ha reso una differente versione o è rimasto silenzioso; viceversa, la precedente dichiarazione non può costituire prova del fatto narrato. Ad esempio, il testimone può aver affermato davanti alla polizia giudiziaria che l'auto dei sequestratori era blu, mentre in dibattimento riferisce che l'auto era rossa. Se, nonostante la conte stazione e la lettura della precedente dichiarazione, continua ad affermare che il veicolo era rosso, quest'ultima versione può essere considerata dal giudice (76) In questa ipotesi, in realtà, si trana di una " contestazione fittizia". Infatti, sebbene il teste non abbia reso dichiarazioni, ci si comporta come se questi avesse parlato cambiando versione. (77) In tal senso, C. CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso, cit., 395 ss. Pertanto, anche se il teste non rende dichiarazioni, si effettua la contestazione. La reazione del dichiarante permette di valutare la sua credibilità. Qualora il teste persista nel silenzio, il giudice dispone l'in1mediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge art. 207; si veda, in/ra, Parte II, Cap. 4, § 2, lett. g).
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poco credibile; tuttavia l'affermazione che l'auto era blu non può essere utilizzata come "prova" . Dunque, il giudice nella motivazione non potrebbe basarsi sulla precedente dichiarazione. In definitiva, la contestazione serve al massimo per togliere valore alla dichiarazione dibattimentale (che l'auto era rossa) , ma non è utile per formare la prova dell'esistenza del fatto narrato nella precedente dichiarazione (che l'auto era blu) (78). Ciò non vuol dire che il giudice debba necessariamente ritenere non attendibile ciò che il teste ha detto in udienza, perché egli decide in base al libero convincimento. Tuttavia, egli deve essere in grado di motivare sul perché ritiene comunque attendibile la dichiarazione resa in dibattimento nonostante essa sia difforme da quanto affermato nel corso delle indagini (79) . Eccezioni: la prova del fatto narrato. Una volta operata l a contestazione, vi sono alcune eccezioni, in presenza delle quali le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili come prova del fatto narrato in aggiunta alla valutazione ai fini della credibilità (v. tav. 3 .5 .9); in base al principio del libero convincimento resta fermo che la valutazione in punto di attendibilità è rimessa al giudice. La minaccia sul dichiarante. La prima eccezione è consentita quando si accerti che il teste è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro affinché non deponga o deponga il falso (art. 500, comma 4). In tal caso « le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedente mente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento » e possono costituire prova del fatto narrato. Si tratta di una applicazione dell'art. 1 1 1 , comma 5 Cast., che consente una eccezione al principio del contraddittorio in caso di provata condotta illecita (80) . li codice disciplina una sorta di subprocedimento incidentale, che si svolge in dibattimento, nel quale il giudice « su richiesta della parte » deve compiere gli accertamenti che ritiene necessari per verificare la sussistenza di una con dotta illecita nei confronti del dichiarante (art. 500, comma 5 ) . La parte che abbia interesse a vedere acquisite le precedenti dichiarazioni può fornire quegli elementi concreti che ritenga necessari a provare l'intimidazione o l'offerta di (78) Tale conclusione è imposta dalla ricognizione di principio che abbiamo effettuato supra, analizzando gli articoli 526 e 5 14. Dalla lettura di tali norme si desume che la regola generale è la inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni, fatte salve le eccezioni espressamente stabilite. Invero, potrebbe abiettarsi che a questo sistema appare estranea la disciplina delle contestazioni. Infatti, l'art. 5 14 non reca alcun riferimento agli artt. 500 e 503. Tuttavia, ciò non impedisce che anche in relazione all'istituto della contestazione probatoria resti valido il menzionato principio generale secondo cui è tutto vietato salvo ciò che è espressamente consentito. (79) Del resto, le parti possono sottolineare qualsiasi comportamento in precedenza tenuto dal dichiarante (opinioni religiose, precedenti giudiziari, appartenenza a movimenti ideologici) per dimostrarne la inattendibilità: sarebbe dunque assurdo che non potessero utilizzare, al medesimo fine, un comportamento particolarmente qualificato, quale è l'aver reso precedenti dichiarazioni difformi. (80) Se la persona minacciata è un imputato connesso o collegato, il giudice deve comunque valutare la dichiarazione al fine di accertare l'esistenza di riscontri che ne dimostrino l'attendibilità (art. 192, commi 3 e 4). In tal senso, Corte cast. n. 405 del 2002.
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denaro (artt. 377 e 377-bis c.p. ) . 'aruralmente le parti che hanno un interesse contrario sono ammesse a fornire elementi idonei a dimostrare che non vi è stata alcuna condotta illecita. L'esistenza di una "pressione" sul dichiarante può essere desunta anche dalle circostanze emerse nel dibattimento (art. 500, comma 4) (81). n legislatore h a stabilito che, nelle ipotesi di intimidazione o offerta di denaro, siano acquisite al fascicolo per il dibattimento non soltanto le prece denti dichiarazioni utilizzate per la contestazione, bensì l'intero verbale. La norma ha una sua logica. Infatti, da un lato, quando il teste minacciato ha rifiutato di deporre, è evidente la necessità di acquisire il verbale nella sua interezza, giacché manca una deposizione dibattimentale. Da un altro lato, quando il teste minacciato abbia comunque reso dichiarazioni in dibattimento, è ragionevole ritenere che l'intera deposizione dibattimentale del teste possa essere stata inquinata dalla condotta illecita e, pertanto, possa risultare non genuina (82 ) . Le dichiarazioni rese nell'udienza preliminare. In secondo luogo, le dichia razioni rese in udienza preliminare e lette per le contestazioni dibattimentali sono utilizzabili come prova del fatto soltanto nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione (art. 500, comma 6) ( 83 ); contro le altre parti sono utilizzabili come prova della credibilità o, in caso di accertata intimidazione o offerta di denaro, come prova del fatto. ( 8 1 ) Ad awiso di P. FERRUA, L'indagine entra in dibattimento solo attraverso il contraddittorio, in Dir. giust. , 200 1 , 7, 78: << il grado della prova va individuato tra due estremi: da un lato, sarebbe insensato pretendere che lo standard debba essere rappresentato dalla prova al di là di ogni ragionevole dubbio, necessaria per la pronuncia di una sentenza di condanna; dall'altro, occorre evitare che gli " elementi concreti" si convertano di fatto in vaghe ragioni, in semplici motivi di sospetto >>. La giurisprudenza di merito in materia è assai ricca. Si discute, in particolare, se l' awenuta intimidazione del teste possa essere provata sulla sola base delle modalità della deposizione dibattimentale da questi resa. Ebbene, con riguardo all'ipotesi nella quale il teste risulti mendace o cambi versione rispetto a quanto affermato in sede di indagine, non è possibile desumere la prova della minaccia esclusivamente da tale contegno. Altrimenti l'intimidazione finirebbe per risultare non bisognevole di prova e il divieto di utilizzazione delle precedenti dichiarazioni sarebbe agevolmente aggirato. In tal senso, Trib. Milano, sez. III, ord. 12 gennaio 2004, in Giur. merito, 2004, n. 4 ; contra Ass. Milano, 17 dicembre 2001, Larocca, i n Giur. merito, 2003 , p. 127. Con riferimento a l contegno "spaventato" del teste nel corso della deposizione, si tratta di un elemento di un certo peso, ma tuttavia privo di univocità, giacché potrebbe essere dovuto a fattori differenti, come ad esempio la paura di una condanna per falsa testimonianza o la " soggezione " dovuta alla sede ed alla propria qualità. La giurisprudenza maggioritaria pare considerare le modalità della deposizione come una delle circostanze concrete emerse in dibattimento, dalle quali si può inferire l'esistenza di una minaccia. Tuttavia, si ritiene che la provata condotta illecita non si possa desumere unicamente dalle suddette modalità in assenza di altri elementi. V. tra gli altri, Trib. Nola, 24 maggio 2002, in Giur. merito, 2003, p. 1486. (82) C. CoNTI, Principio del contraddittorio e utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni, in Dir. pen. proc. , 200 1 , 598. Segnaliamo che il requisito della minaccia al dichiarante opera anche se costui non si è presentato in dibattimento o se è rimasto silenzioso nell'esame. (83) In questa ipotesi, il legislatore ha ritenuto che il principio del contraddittorio debba essere "contestualizzato" . La prova deve essere formata nel contradditorio tra "quelle parti" nei confronti delle quali essa deve essere fatta valere.
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L'accordo delle parti. Vi è infine una terza eccezione, in base alla quale le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero sono utilizzabili se vi è accordo delle parti (art. 500, comma 7 ) . Quest'ultima è una applicazione della regola generale già stabilita dall'art. 493 , comma 3 , introdotto dalla legge n. 479 del 1999. Come è noto, la norma disciplina la cosiddetta " acquisizione concordata" al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero. Anche l'acquisizione con il consenso delle parti si riferisce all'intero verbale. In questo caso, a nostro avviso, è da ritenere che esse possano concordare sia l'acquisizione dell'intero atto, sia, a maggior ragione, quella della singola dichiarazione contestata (84 ) .
2) Precedenti dichiarazioni rese dall'imputato di un procedimento con nesso o collegato. Facciamo riferimento al caso in cui l'imputato C di un separato procedimento connesso sia chiamato a rendere l'esame ai sensi dell'art. 2 1 0 nel procedimento contro l'imputato A. Il codice, nel comma 5 , impone di applicare la norma sulla contestazione probatoria che vale per il testimone (art. 500) (85 ) . S e il dichiarante rifiuta di rispondere o cambia versione rispetto al passato, le precedenti dichiarazioni possono essere contestate a colui che le ha rese. Se l'imputato connesso C, nonostante la contestazione, continua a dare una versione diversa, le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili soltanto come prova della credibilità. Eccezionalmente, esse possono costituire prova del fatto nelle tre ipotesi che abbiamo esaminato supra in merito alle contestazioni testimoniali (art. 500, commi 4-7). Merita dedicare un approfondimento alla ipotesi nella quale l'imputato connesso, (84) Sono ammissibili accordi probatori parziali intercorsi soltanto tra alcune parti; in tal senso, G. DI CHIARA, Dichiarazioni erga alios e letture acquisitive, in AA.Vv., Il giusto processo tra contraddittorio e diritto al silenzio, a cura di RE. KosTORIS, Torino, 2002, 53; C. CoNTI, Il nuovo delitto di "subornazione", in Dir. pen. proc., 2004, 1027. (85) Con la sentenza 1° luglio 2009, n. 197 la Corte costituzionale ha precisato che la disciplina dell'art. 2 1 0 si applica anche all'esame del coimputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto di precedenti dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria delegata, sempre che tale soggetto non debba deporre come testimone assistito (si veda già C. cost., n. 3 6 1 del l998). Una diversa soluzione determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto all'imputato in un separato procedimento connesso. Tali soggetti si trovano in una situazione sostanziale identica, dal momento che entrambi vengono chiamati a deporre sul fatto altrui. La riunione o la separazione dei procedimenti vengono disposte per motivi meramente processuali e occasionali che non incidono su detta situazione sostanziale. Pertanto, una differente disciplina in relazione all'esame dei due soggetti risulterebbe irragionevole. Occorre precisare che l'art. 2 1 0 si applica soltanto a quei coimputati che siano incompatibili come testimoni. Pertanto, la pronuncia della Corte costituzionale concerne esclusivamente gli imputati connessi per concorso nel medesimo reato e ipotesi assimilate. Viceversa, gli imputati connessi teleologicamente o collegati, che abbiano in precedenza reso dichiarazioni su fatti altrui, saranno sentiti come testimoni assistiti nel procedimento cumulativo. Anche in tal caso, comunque, la disciplina delle contestazioni sarà quella prevista dall'art. 500.
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rifiuti di rispondere o cambi versione rispetto a quanto affermato nelle indagini perché è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro. In tal caso, le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili ai sensi dell'art. 500 commi 4 e 5. La disciplina in oggetto costituisce attuazione dell'art. 1 1 1 comma 5 Cost. nella parte in cui prevede una eccezione al contraddittorio nella formazione della prova in caso di provata condotta illecita posta in essere sul dichiarante. Perché le precedenti dichiarazioni possano entrare in dibattimento, occorre che la "pressione" subita dall'imputato connesso possa qualificarsi come penalmente illecita. Proprio a questo fine il Parlamento con la legge n. 63 del 2001 ha introdotto nel codice penale il nuovo art. 3 77 -bzs in base al quale è punita la minaccia o la offerta di denaro posta in essere nei confronti di una persona, che ha facoltà di non rispondere, affinché questa si awalga di tale facoltà o renda dichiarazioni mendaci (86) . Tale norma ha la funzione precipua di rendere penalmente illecita anche l'offerta di denaro che sia posta in essere nei confronti degli imputati connessi per comprarne il silenzio o il mendacio (art. 2 1 0) . In passato, infatti, la condotta di mera induzione, senza violenza o minaccia, non integrava un illecito penale; il codice puniva soltanto la "subornazione" del testimone (art. 377 c.p. ) . La modifica legislativa ha dunque lo scopo di permettere che, in caso di subornazione dell'imputato connesso, le precedenti dichiarazioni rese da tale soggetto siano utilizzabili in applicazione dell'art. 1 1 1 , comma 5 Cost. (87) . 3) Le precedenti dichiarazioni rese dall'imputato. Una disciplina partico lare è prevista quando è esaminato l'imputato nel proprio procedimento ai sensi dell'art. 208 (v. supra, Parte II, Cap. 4, § 3 , lett. b). In tale ipotesi, infatti, la norma che regola le contestazioni non è l'art. 500, bensì l'art. 503 . Anche in questo caso siamo dinanzi ad una contestazione probatoria. Di tale istituto sono presenti i medesimi requisiti: la contestazione è ammessa se sussiste una dz//ormità fra la dichiarazione dibattimentale e quella precedente; riguarda dichiarazioni che sono state rese in precedenza dalla stessa persona che viene esaminata ed il cui verbale è contenuto nel fascicolo del pubblico ministero; la lettura può essere effettuata soltanto dopo che l'imputato ha deposto sulle circostanze da contestare. (86) La condotta incriminata consiste nell'induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichia razioni mendaci all'autorità giudiziaria. Per un commento, M. PAPA, Il nuovo reato dell'art. 3 77-bis c.p.: una /orma di subornazione "transgenica"?, in AA.Vv., Giusto processo. Nuove norme, cit., 5 3 1 ss.; P. PISA, Il nuovo reato di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci, in AA.VV., Il giusto processo. Tra contraddittorio e diritto al silenzio, a cura di R. E. KosTORIS, Torino, 2002, 235. (87) Merita precisare che l'art. 377-bis c.p. descrive il soggetto passivo della condotta di induzione come persona che « ha la facoltà di non rispondere >>. Tale termine risulta idoneo a ricomprendere, oltre all'imputato connesso sentito ex art. 2 10 c.p.p., anche l'imputato esaminato sul fatto proprio ai sensi dell'art. 208 e tutti quei testimoni ai quali il codice di procedura riconosce la facoltà di restare in silenzio nella forma del privilegio contro l'autoincriminazione (artt. 198, comma 2 ; 1 97-bis, comma 4 c.p.p.), del segreto professionale, d'ufficio o di Stato (artt. 200-203 c.p.p.) o della possibilità di astenersi dal deporre (art. 199 c.p.p.). Pertanto, l'induzione dei predetti soggetti a non rendere dichiarazioni è punibile ai sensi dell'art. 3 77 -bis c.p. quando sia posta in essere mediante offerta di utilità o intimidazione. Inoltre, poiché tale condotta risulta << illecita >> ai sensi dell'art. 1 1 1 , comma 5 Cost., non ci sono ostacoli costituzionali alla utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni.
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I limiti di utilizzabilità dipendono dal soggetto che ha sentito l'indagato. Le precedenti dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria che agiva di propria inizia tiva sono utilizzabili soltanto per valutare la credibilità dell'imputato (art. 503 , comma 4). Si tratta delle spontanee dichiarazioni (art. 350, comma 7 ) e delle sommarie informazioni rese con la presenza del difensore (art. 350, commi 1 - 4). Come abbiamo accennato, esse, una volta contestate, valgono soltanto come
prova della credibilità. Un differente regime è riservato alle dichiarazioni che sono state rese alla polizia giudiziaria delegata o al pubblico ministero che le ha raccolte personal mente. Le dichiarazioni sono utilizzabili eccezionalmente come prova del fatto rappresentato, come esponiamo di seguito. - L'art. 503 , comma 5 considera le sole dichiarazioni alle quali il difensore dell'imputato, che le ha rese, aveva diritto di assistere, purché esse siano state assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria delegata. Una volta contestate, esse sono « acquisite nel fascicolo per il dibattimento » e, di conse guenza, sono utilizzabili, nei confronti dell'imputato che le ha rese, come prova del fatto narrato (88). - L'art. 503 , comma 6 estende l'effetto, appena menzionato, a determi nate dichiarazioni rilasciate dall'imputato prima del dibattimento e, in partico lare, alle dichiarazioni assunte dal giudice: a) nell'interrogatorio di garanzia che segue l'esecuzione di una misura cautelare personale (art. 294 ) ; b ) nell'interrogatorio in sede di revoca della misura cautelare personale (art. 299); c) nell'interrogatorio reso i n sede di convalida dell'arresto o del fermo (art. 3 9 1 ) ; d) nell'interrogatorio intervenuto nel corso dell'udienza preliminare (art.
422) (89) (90) . n procedimento nei confronti di più coimputati. L'art. 503 non disciplina espressamente l'ipotesi in cui il procedimento si svolga nei confronti di più (88) Secondo la Corte di cassazione, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero ed utilizzate per le contestazioni possono essere acquisite nel fascicolo per il dibattimento nella loro interezza e non limitatamente alla parte oggetto della contestazione. (89) L'elenco è da considerarsi tassativo (artt. 5 14 e 526); ne consegue che le dichiarazioni, rese dall'imputato alla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 350, sono utilizzabili soltanto come prova della credibilità. (90) Rimane da considerare l'ipotesi nella quale l'imputato, sottoposto ad esame, rifiuti di rispondere a singole domande. TI codice non reca alcuna espressa previsione in proposito. Tuttavia riteniamo che l'ipotesi rientri nella disposizione, di portata più ampia, relativa all'imputato che « rifiuta di sottoporsi all'esame >> (art. 5 13 , comma 1 ) . Pertanto la precedente dichiarazione può essere utilizzata contro l'imputato medesimo, che si è sottratto al contraddittorio; viceversa, non è utilizzabile contro altri coimputati se non con il loro consenso o in caso di intimidazione o subornazione. La disciplina sarà dettagliatamente esposta in/ra esaminando le letture.
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coimputati. In tal caso, occorre chiedersi se le precedenti dichiarazioni conte state all'imputato A, sentito ai sensi dell'art. 208, siano utilizzabili come prova del fatto narrato anche nei confronti del coimputato B. Sul punto è intervenuta la Corte costituzionale (sentenza interpretativa di rigetto n. 1 97 del 2009) affermando che le precedenti dichiarazioni dell'imputato A non possono essere utilizzate come prova del fatto nei confronti dell'imputato B in base al principio del contraddittorio (art. 1 1 1 Cast . ) . Eccezionalmente le precedenti dichiarazioni possono essere utilizzate come prova del fatto narrato contro B se quest'ultimo vi consente, oppure se ricorre una ipotesi di minaccia o subornazione sul dichiarante ai sensi dell'art. 500, comma 4. Al di fuori di tali casi, ai fini della responsabilità di B le precedenti dichiarazioni rese da A valgono soltanto come prova della scarsa credibilità del dichiarante. Ad avviso della Corte, tale conclusione è imposta da una lettura dell'art. 503 , commi 5 e 6 conforme al principio del contraddittorio, così come recepito dall'art. 1 1 1 Cast. , ed è coerente con l'attuale assetto dell'intero sistema probatorio (91 ) .
4 ) Le precedenti dichiarazioni rese da altre parti private differenti dall'im putato. L'art. 503 , comma 3 permette di effettuare la contestazione anche nel corso dell'esame delle altre parti private differenti dall'imputato, e cioè del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. La contestazione può essere operata in base alla suddetta disposizione anche nel raro caso in cui la parte civile, che di regola è chiamata a deporre come testimone, sia viceversa invitata a rendere l'esame come "parte" ai sensi dell'art.
208. In tutte le predette ipotesi, tuttavia, non trovano applicazione i commi 5 e 6 dell'art. 503 i quali, come abbiamo accennato, valgono soltanto per l'impu tato. Pertanto, le precedenti dichiarazioni delle parti private differenti dall'im putato sono utilizzabili non come prova del fatto rappresentato, bensì come prova della credibilità.
f.
n testimone che rifiuta l'esame di una delle parti.
Occorre adesso esaminare una norma peculiare, che è stata inserita nel comma 3 dell'art. 500 e che rappresenta un istituto inedito nel nostro ordina mento. Se il testimone (o altro dichiarante) « rifiuta di sottoporsi all'esame o al controesame di una delle parti, nei confronti di questa non possono essere utilizzate, senza il suo consenso, le dichiarazioni rese ad altra parte », salve restando le sanzioni penali applicabili al dichiarante reticente. Le dichiarazioni in oggetto sono quelle che il teste ha reso nel dibattimento, o in momenti precedenti, alle parti diverse da quella " rifiutata". (9 1 )
I n t al senso, già M. BARGIS, sub art.
1 7 legge n . 63 de/ 2001, in Leg. pen., 2002, 309-310.
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Il legislatore ha voluto porre un rimedio ad un fenomeno degenerativo rilevato nella prassi. Accadeva talvolta che il dichiarante, citato ed escusso da una parte, rifiutasse di sottoporsi al controesame chiesto da una delle altre. Si trattava, all'evidenza, di una situazione estremamente penalizzante per la parte che si trovava " rifiutata" . Oggi, in base al comma 3 dell'art. 500, le dichia razioni rese fino a quel momento sono inutilizzabili nei confronti di quella parte che non ha potuto svolgere l'esame. A tale regola è possibile fare eccezione soltanto se la parte interessata vi consente (art. 500, comma 3 ) oppure s e vi è stata minaccia o offerta di denaro nei confronti del dichiarante (art. 500, comma 4). L a norma in oggetto non effettua alcuna distinzione; pertanto opera anche se il dichiarante rifiuta di sottoporsi all'esame svolto dal pubblico ministero (v. tav. 3 .5 . 12). Se un testimone risponde alle domande rivolte dal difensore dell'imputato e poi, escusso dal pubblico ministero, rifiuta di rispondere, contro quest'ultimo non sono utilizzabili le eventuali dichiarazioni favorevoli all'impu tato. Il risultato è che il giudice non potrà respingere la richiesta della pubblica accusa e prosciogliere sulla base di tali dichiarazioni. Viceversa, esse saranno utilizzabili, ad esempio, nei confronti della parte civile, se questa ha avuto modo di esaminare il teste (92) . La ratio del nuovo istituto consiste nella tutela del diritto alla prova di quella parte che non ha potuto partecipare all'esame incrociato. Nei suoi confronti non è stato attuato il contraddittorio in senso soggettivo; di conse guenza, non può subire un pregiudizio da quella prova, alla cui formazione è rimasta estranea. Il legislatore ha scelto di assicurare a tutte le parti la stessa tutela che la norma costituzionale sulla inutilizzabilità (art. 1 1 1 , comma 4, secondo periodo Cost.) riconosce espressamente soltanto all'imputato (« la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi (. .. ) si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore ») (93 ) . (92) In tal senso C . CoNTI, Principio del contraddittorio, cit., 600. S i vedano, tuttavia, i rilievi di D. MANZIONE, sub art. 1 6, in E. MARZADURI e D. MANZIONE, Nuove contestazioni per un reale contraddittorio, in Guida dir. , 200 1 , 13, 55, che mette in evidenza, nell'ipotesi in oggetto, << la possibilità di utilizzazione delle dichiarazioni a seguito del consenso della parte interessata, ove si tenga conto - sulla base della forte consapevolezza della natura pubblica dell'accusa - degli specifici doveri di obiettività che sul pubblico ministero incombono ». (93) Occorre precisare che il codice non reca alcuna previsione in una ipotesi particolare. Si faccia il caso che un dichiarante risponda a tutte le domande del pubblico ministero accusando l'imputato. Cosa accade se questa persona, una volta sentita dal difensore, risponde soltanto in relazione ad alcune tra le circostanze riferite nel corso dell'esame svolto dal pubblico ministero e tace sulle altre? È chiaro che su tali circostanze il dichiarante si è sempre sonratto al contraddittorio con l'accusato. A nostro avviso, ai sensi dell'art. 526, comma l -bis le dichiarazioni, rese al pubblico ministero su circostanze in relazione alle quali il teste ha rifiutato di sottoporsi al contraddittorio con l'imputato, non sono utilizzabili contro quest'ultimo. In tal senso, C. CoNTI, L'imputato nel procedimento connesso, cit., 423.
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La contestazione di qualsiasi altra risultanza.
La contestazione "probatoria" non è l'unico strumento per verificare la credibilità di quanto il testimone (o altro dichiarante) afferma in dibattimento. Altre possibilità possono essere ricavate da singole norme del codice e dall'in tero " sistema" dell'esame incrociato. Le prove precedentemente acquisite, raccolte sia nel dibattimento, sia in momenti anteriori, possono costituire oggetto di un differente tipo di contesta zione (94 ) . Sicuramente può essere contestato ciò che è contenuto nel fascicolo per il dibattimento; ma riteniamo che possano essere contestati anche gli atti e i documenti che sono collocati nel fascicolo del pubblico ministero, sia pure al solo fine di demolire la credibilità del soggetto dichiarante. Così, ad un teste possono essere contestate le precedenti dichiarazioni di un altro teste. Inoltre, si è sostenuto che possa essere contestato al testimone (od altro dichiarante) un documento. Ad esempio, se il testimone in dibattimento nega di aver mai conosciuto una determinata persona, l'interrogante può contestare la circostanza mostrando al testimone una fotografia (o altro documento) che li ritrae mentre si stringono la mano. Questa ulteriore forma di contestazione adempie alla funzione di contraddire una dichiarazione allo scopo di far emergere una imprecisione o una falsità. Non è necessario che il documento sia stato ammesso all'inizio del dibattimento; in quella sede esso non era " rile vante" , poiché non si sapeva ancora come il testimone (o altro dichiarante) avrebbe risposto alle domande. Il documento diventa " rilevante" quando il testimone dà una versione non compatibile con esso. La situazione che si viene a creare non è unica; lo stesso vale per tutte le prove che acquistano rilevanza dopo l'inizio del dibattimento. Ad esempio, il confronto può essere ammesso « esclusivamente fra persone già esaminate o interrogate, quando vi è disaccordo fra esse su fatti e circostanze importanti » (art. 2 1 1 ) . Ed ancora, il testimone di riferimento può essere chiamato a deporre dopo che una persona si è riferita, per la conoscenza dei fatti, ad altra persona (art. 1 95 ) . In questi casi la prova non poteva essere addotta come prova principale o come prova contraria al momento delle richieste introduttive (art. 493 ). Si tratta infatti di una prova che viene definita ex adverso e che diventa rilevante (ai sensi dell'art. 1 90) in seguito a quello che afferma un testimone (o altro dichiarante) . Tale prova può essere contestata al dichiarante perché, in base all'art. 194, comma 2, l'esame può estendersi « alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità ». La contestazione di atti o documenti differenti dalle precedenti dichiara zioni rese dalla persona esaminata impone a questa di fornire precisazioni o ammettere di aver errato; sotto tale profilo, diventa indispensabile ai fini della (94)
In proposito, si rinvia a P. To:-ID.1, La prova penale, 4• ed., Padova, 2000, 234 ss.
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decisione. In base all'art. 1 92 , comma l, il giudice « valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati ». Sempre nella motivazione, il giudice deve enunciare le ragioni per le quali « ritiene non attendibili le prove contrarie » (art. 546, comma l , lett. e). Possiamo ricordare che l'istituto è stato riconosciuto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 407 del l 994 ; essa ha ritenuto lecita la contestazione sia della « notizia di reato », sia di « qualsiasi altra risultanza » al limitato scopo di valutare la credibilità del dichiarante (95 ) .
h.
La lettura degli atti.
È difficile ricavare dal codice una distinzione concettuale tra " contesta zione" e "lettura" . Tuttavia, non è possibile pervenire ad una corretta interpre tazione delle norme senza prima aver ricostruito i due istituti. A nostro avviso, la contestazione delle precedenti dichiarazioni presuppone che sia in corso l'esame del dichiarante che le ha rese. Viceversa, la lettura viene disposta, di regola, quando tale esame non ha avuto luogo. L'aspetto comune sta nel fatto che entrambi gli istituti, dal punto di vista materiale, consistono nella "lettura" di un verbale. La dzf/erenza sta nel fatto che, ai fini della " contesta zione" di quello che afferma un dichiarante, la lettura ha per oggetto soltanto quella parte del verbale che serve per far rilevare la difformità; viceversa, di regola, l'istituto della " lettura" può concernere l'intero verbale o una parte di esso (artt. 5 1 1 , comma l ; 5 12 ) . La lettura quale modalità residuale di utilizzazione. Dalla sistematica del codice si può ricavare che la lettura è la modalità " residuale" di utilizzazione delle dichiarazioni rese in momenti precedenti al dibattimento. La lettura deroga al principio di immediatezza, che impone al giudice di decidere in base alle prove assunte nel corso del dibattimento. Occorre esaminare l'oggetto delle letture, ricordando che gli atti compiuti in momenti anteriori al dibattimento sono contenuti in parte nel fascicolo per il dibattimento ed in parte nel fascicolo del pubblico ministero. Gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento sono consultabili dal giudice; ma, per essere utilizzabili ai fini della decisione e diventare così la base della motivazione (art. 526) , devono essere "letti" ai sensi dell'art. 5 1 1 . Vi è una particolarità. Se l'esame del dichiarante non ha luogo (es. , nessuna parte ne ha chiesto la deposizione in aula), si procede direttamente alla lettura dell'atto. Ma se l'esame del dichiarante ha luogo, le dichiarazioni contenute nei (95) L'indirizzo sostenuto da Corte cost. , 28 novembre 1994, n. 407, in Cass. pen. , 1995, 799 è stato accolto successivamente anche dalla giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto utilizzabili ai fini delle contestazioni le dichiarazioni contenute nell'atto di querela o nella denuncia a suo tempo proposta dal testimone: cfr. Cass., sez. V, 9 novembre 1995, Casillo, in Dir. pen. proc. , 1996, 174; Cass., sez. II, 4 ottobre 1995, Pellecchia, ibidem; Cass., sez. II, 28 marzo 1995, Terrusi, in Cass. pen., 1996, 1857.
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verbali tratti dal fascicolo per il dibattimento possono essere lette soltanto « dopo l'esame della persona che le ha rese » (art. 5 1 1 , comma 2 ) . Nei due casi predetti, l a lettura di un atto contenuto nel fascicolo per il dibattimento può avvenire non solo a richiesta di parte, ma anche d'ufficio ad opera del giudice (art. 5 1 1 , comma 1 ) . Occorre tenere presente che la lettura non è l'unica modalità di acquisizione degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento. Infatti, l'art. 5 1 1 , comma 5 , stabilisce che « in luogo della lettura, il giudice, anche di ufficio, può indicare specificamente gli atti utilizzabili ai fini della decisione ». La disposizione ricor data precisa poi che « l'indicazione degli atti equivale alla loro lettura » (96). Gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero. Più complesse sono le norme che valgono per la lettura degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero; ricordiamo che tale fascicolo può essere consultato soltanto dalle parti e non dal giudice. La lettura degli atti è permessa con le restrizioni previste negli artt. 5 12 , 5 12 -bis e 5 13 . Le restrizioni in oggetto hanno il presupposto comune che l'atto sia diventato "non ripetibile" in dibattimento. La disciplina predisposta dal codice pare compatibile con quanto stabilito dall'art. 1 1 1 , comma 5 Cast., che consente di derogare al principio del con traddittorio nella formazione della prova in ragione di « accertata impossibilità di natura oggettiva » (97 ) . Verbali relativi alle operazioni di distruzione dei documenti illeciti. Oc corre ricordare che il decreto-legge n. 259 del 2006, conv. nella legge n. 2 8 1 del 2006, ha introdotto nell'art. 5 12 un nuovo comma l -bis in base al quale è sempre consentita la lettura dei verbali relativi all'acquisizione ed alle operazioni di distruzione dei documenti indicati nell'art. 240 e concernenti lo spionaggio ed il dossieraggio illeciti. Per l'esame della disciplina si rinvia alle considerazioni svolte supra, Parte II, cap. IV, par. 6, lett. g. In questa sede ci limitiamo ad osservare che il verbale ha ad oggetto un atto distruttivo caratterizzato da una non ripetibilità originaria identica al sequestro del corpo del reato; impropria mente il legislatore ha collocato il verbale di distruzione nell'art. 5 12 , che riguarda una situazione di non ripetibilità sopravvenuta al compimento dell'atto. n regime giuridico dei dichiaranti. Gli altri limiti riguardano la persona che ha reso le dichiarazioni anteriormente al dibattimento. Il codice distingue quattro (96) Vi sono alcune ipotesi nelle quali la lettura prevale sulla indicazione (art. 5 1 1 , comma 5 ) . Anzitutto, quando s i tratta d i verbali di dichiarazioni e una parte n e fa richiesta. I n secondo luogo, quando si tratta di atti diversi dalle dichiarazioni, se una parte ne fa richiesta e sussiste un serio disaccordo sul contenuto degli stessi. (97) Tuttavia l'art. 5 12 deve essere oggetto di una interpretazione adeguatrice che lo renda compa·
tibile con il nuovo dettato costituzionale. La lettura è ammessa soltanto se la non ripetibilità è dovuta ad una
impossibilità di natura oggettiva; pertanto la lettura è vietata se la non ripetibilità deriva da una scelta soggettiva del dichiarante, come può awenire, ad esempio, quando il prossimo congiunto dell'imputato, dopo aver reso dichiarazioni alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero, in dibattimento si astenga dal deporre ai sensi dell'art. 199 (così Corte cost. n. -t-<) dd 2000) .
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gruppi di persone comprendenti: a) i testimoni; b) le persone residenti all'estero; c) la persona imputata in un procedimento connesso o collegato, esaminata sul fatto altrui (art. 2 10) ; d) l'imputato esaminato sul fatto proprio (art. 208). Le precedenti dichiarazioni rese dai testimoni. Le dichiarazioni rese dai testimoni alla polizia giudiziaria, al pubblico ministero, al dz/ensore nella fase delle indagini o al giudice nell'udienza preliminare possono essere lette soltanto se sono diventate non ripetibili per fatti o circostanze non prevedibili nel momento in cui sono state assunte (art. 5 12 ) (v. tav. 3 .5.9). Dunque, in primo luogo, è necessario che l'impossibilità scaturisca da una situazione non ordinariamente superabile; in altri termini, si richiede che il giudice possa effettuare una valutazione in termini di realistica impossibilità e non di " mera difficoltà" di dare corso, nel dibattimento, all'assunzione della medesima prova. In secondo luogo, l'impossibilità di ripetizione deve essere oggettiva, cioè indipendente dalla parte richiedente e dalla volontà del dichiarante. Si tratta di un requisito imposto dalla lettura costituzionalmente orientata della norma, poiché la deroga al contraddittorio, prevista dall'art. 1 1 1 , comma 5, consiste nella « accertata impossibilità di natura oggettiva » (98). Infine, s i richiede che l'impossibilità sia imprevedibile al momento i n cui le dichiarazioni sono state assunte, poiché, ove la non ripetibilità fosse stata pre vedibile, le parti avrebbero dovuto chiedere l'incidente probatorio (art. 3 92) (99). (98) A tal proposito, è fondamentale l a pronuncia delle Sezioni Unite secondo l a quale l a situazione di accertata irreperibilità non può essere tout court equiparata alla volontaria sottrazione all'esame di cui all'art. 526, comma l -bis c.p.p., che presuppone, comunque, la potenziale attuabilità dell'audizione: l'irripetibilità sopravvenuta, di per sé, non comporta una presunzione di volontarietà della scelta; dunque si può collocare nell'ambito della impossibilità oggettiva e può permettere la lettura ex art. 5 12. È compito del giudice accertare con rigore la causa dell'assenza (Cass. sez. un., 28 maggio 2003, n. 36747, in Dir. pen. proc., 2004, 67). È plausibile che l'irreperibilità possa essere ricondotta ad una libera e volontaria scelta di sottrarsi all'esame delle parti, in presenza di indici sintomatici. Per effettuare questa riconduzione, assume certamente valore l'avvenuta citazione del teste per l'udienza, nel senso che l'irreperibilità sopravvenuta a tale notizia può assumere il connotato della libera scelta di sottrarsi all'esame. Invece l'irreperibilità sopravvenuta, non correlata a elementi che denotino una manifestazione di volontà esplicita in relazione all'obbligo di testimoniare e non correlata ad una citazione a giudizio, non può essere considerata presuntivamente come volontaria scelta di sottrarsi all'esame dell'imputato ed anzi integra un'ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddittorio (Cass. pen., 20 giugno 2006, n. 2357 1 , in Cass. pen., 2007, 4 1 88). (99) Di una rapina è stato testimone un extracomunitario, che è stato sentito dalla polizia giudiziaria e che successivamente è risultato irreperibile al momento del dibattimento. Il verbale di dichiarazioni è stato letto ai sensi dell'art. 512 e la condanna è basata unicamente su tale prova. La difesa dell'imputato, ricorrente in Cassazione, ha lamentato l'illegittimità della lettura in quanto l'impossibilità di sentire il teste in dibattimento era del tutto prevedibile fin dalla fase delle indagini. La Cassazione, Sez. II, 18 ottobre - 22 novembre 2007, n. 4333 1 , Poltronieri, in Dir. pen. proc., 2008, 878, (con una nostra nota di commento), ha accolto il ricorso e ha annullato la condanna con rinvio, precisando i requisiti che, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata, si devono ricavare dall'art. 5 12 per poter dare lettura di una dichiarazione resa in segreto: a) occorre che la irreperibilità del dichiarante sia stata imprevedibile al momento delle indagini, perché, se fosse stata prevedibile, l'accusa avrebbe dovuto chiedere l'incidente probatorio; b) occorre che la irreperibilità del dichiarante sia stata
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Le dichiarazioni rese da persone residenti all'estero. L'art. 5 12-bis disciplina l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese prima del dibattimento da persone residenti all'estero. Ai fini dell'applicazione della norma in esame, rileva esclusivamente il luogo di residenza del dichiarante. La disposizione, infatti, prescinde dal requisito della cittadinanza ed è idonea a ricomprendere sia il cittadino straniero, sia il cittadino italiano, purché residenti fuori del territorio della Repubblica ( 100) . La lettura delle dichiarazioni rese da tali soggetti nel corso delle indagini, « anche a seguito di rogatoria internazionale », può essere disposta se ricorrono due presupposti concorrenti, che integrano una situazione di non ripetibilità. Anzitutto occorre che la persona sia stata citata per deporre e non sia comparsa. Inoltre, l'esame dibattimentale di tale soggetto deve risultare assolutamente impossibile. È chiaro come tali requisiti siano perfettamente conformi a quanto previsto dall'art. 1 1 1 , comma 5 Cost., che consente deroghe al principio del contrad dittorio nella formazione della prova in ragione di accertata impossibilità di natura oggettiva ( 1 0 l ) . S e ricorrono i presupposti, che abbiamo menzionato, il giudice, a richiesta di parte e tenuto conto degli altri elementi di prova acquisiti, può disporre la lettura delle dichiarazioni in oggetto ( 102) . accertata con ricerche rigorose e accurate; c) occorre verificare che la irreperibilità non sia stata il frutto di una scelta volontaria e libera al fine di sottrarsi all'esame in dibattimento. L'aspetto singolare della sentenza sta nell'aver affermato, per la prima volta, che il giudice italiano deve applicare anche i requisiti che si ricavano dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo cui la sentenza di condanna non deve fondarsi né in modo esclusivo, né in modo determinante sulla dichiarazione di quel testimone nei cui confronti l'imputato non abbia avuto occasione di confrontarsi (art. 6, § 3, lett. d, CEDU). La Cassazione ha precisato che << le (precedenti) dichiarazioni, acquisite mediante lettura, devono essere valutate dal giudice di merito con ogni opportuna cautela, non solo conducendo un'indagine positiva sulla credibilità (sia soggettiva che oggettiva) , ma anche ponendo in relazione la testimonianza con altri elementi emergenti dalle risultanze processuali ». Di conseguenza, risulta affermato per la prima volta il principio che la lettura di una dichiarazione non può costituire l'unica prova sulla quale si possa fondare una sentenza di condanna. Sulla necessità che il giudice italiano applichi la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, v. supra, Parte I, cap. 2, § 9. ( 100) La norma è stata interamente sostituita dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479. La precedente formulazione menzionava esclusivamente i cittadini stranieri. In tal modo escludeva dal suo ambito applica tivo i cittadini italiani residenti all'estero. Non sfugge, tuttavia, come anche in tale ipotesi ricorresse la medesima ratio, costituita dalla difficoltà di procurare la presenza di un soggetto che si trova fuori dall'Italia. Merita precisare che, trattandosi di eccezione, il requisito della residenza all'estero deve essere dimostrato positivamente, e non presunto sulla base della semplice cittadinanza straniera. (101) Viceversa, la precedente formulazione dell'art. 5 12-bis lo avrebbe reso certamente illegittimo rispetto all'art. 1 1 1 Cast. Infatti, la norma consentiva la lettura delle precedenti dichiarazioni rese dal cittadino straniero anche nell'ipotesi in cui questi non fosse stato citato. Una soluzione del genere, che teneva conto di esigenze di economia processuale, perché mirava ad evitare i tempi ed i costi relativi alla citazione di testimoni residenti all'estero, apportava una inammissibile deroga al principio del contraddittorio. ( 102) Secondo la giurisprudenza, formatasi in relazione alla precedente formulazione, ma da ritenersi tuttora valida, il giudice deve considerare la necessità di esaminare le dichiarazioni, di cui si chiede la lettura,
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Le precedenti dichiarazioni rese dall'imputato (artt. 513, comma 1 e 208). Le precedenti dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero, alla polizia delegata, o al giudice nel corso delle indagini o dell'udienza preliminare, hanno un particolare regime di lettura, che tiene conto del fatto che l'imputato medesimo ha il diritto di non sottoporsi all'esame. Il codice non riconosce all'imputato il potere di vanificare il contradditto rio; la scelta di non subire l'esame incrociato è ammessa, ma il rifiuto del contraddittorio sulle proprie dichiarazioni non deve impedire al giudice di accertare i fatti ( 1 03 ) . I n base a i princìpi appena ricordati, il sistema può essere ricostruito nel modo seguente (v. tav. 3 .5 . 10). Le dichiarazioni precedentemente rese possono essere lette a richiesta di parte se l'imputato è contumace o assente ovvero rifiuta di sottoporsi all'esame (art. 5 13 , comma l ) . Esse, tuttavia, sono utilizzabili soltanto contro l 'imputato che abbia tenuto il comportamento indicato; non lo sono nei confronti di un altro coimputato salvo che quest'ultimo vi consenta o che sussista un'ipotesi di intimidazione o " subornazione" del dichiarante (art. 5 13 , comma l che rinvia al 500, comma 4). Le precedenti dichiarazioni rese dalle persone imputate in procedimenti connessi o collegati (artt. 513, comma 2 e 210). L'istituto della lettura delle precedenti dichiarazioni si applica anche nei confronti degli imputati connessi o collegati (art. 2 10) . La particolarità della normativa consiste nel fatto che in questo caso il codice impone al giudice di sperimentare tutte le possibilità di intervento coatto di queste persone al dibattimento. L'imputato connesso o collegato, che sia stato citato e che non si è presentato, deve essere sottoposto ad un provvedimento di accompagnamento coattivo o eventualmente deve essere sentito con esame a domicilio, con rogatoria internazionale o con esame a distanza ( art. 5 13 , comma 2 ) . Soltanto « se non è possibile ottenere l a presenza del dichiarante » (ovvero procedere all'esame in uno dei modi suddetti) il giudice può leggere, su richiesta di parte, le precedenti dichiarazioni, ma unicamente se la non ripetibilità dipende da fatti o circostanze imprevedibili al momento della dichiarazione (art. 5 13 , comma 2 che rinvia all'art. 5 12 ) . Se la non ripetibilità era prevedibile, i soggetti menzionati avrebbero dovuto essere sentiti con incidente probatorio su richiesta di parte (art. 3 92) ( 1 04 ) . i n rapporto al materiale probatorio già acquisito. In tal senso, Cass., sez. II, 7 gennaio 1993, Comisso, in Cass. pen , 1994, 2 1 09. ( 103 ) Se l'imputato potesse senza alcuna conseguenza evitare l'esame o rifiutarsi di rispondere, avrebbe la facoltà di sottrarre alla valutazione del giudice gli elementi di prova raccolti prima del dibanimento, con la presenza del suo difensore e previo avvertimento della utilizzabilità contra se (art. 64, comma 3 , lett. a); al tempo stesso, l'imputato impedirebbe l'instaurarsi del contraddittorio e, cioè, bloccherebbe l'accerta· mento dialettico sul quale si basa il processo penale. ( 1 04) Occorre sottolineare che l'art. 5 1 3 , comma 2 richiama soltanto le persone indicate nell'art. 2 10, .
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L'art. 5 13 , comma 2 stabilisce, inoltre, che se il dichiarante rifiuta di rispondere, le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili soltanto con l'accordo delle parti ( 1 05) (v. tav. 3 .5 . 1 1 ) . Come emerge dalla trattazione sinora svolta, la materia della utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni ha raggiunto una complessità tale da essere dominata con qualche difficoltà. Dal punto di vista tecnico-giuridico, il più grave difetto che si può riscontrare nella disciplina predisposta dalla legge n. 63 del 2001 consiste nella scarsa chiarezza sistematica.
2 1 . Principio dispositivo e poteri di iniziativa probatoria esercitabili dal giudice. a.
Considerazioni preliminari.
n principio dispositivo attenuato. Il codice non accoglie una concezione meramente " agonistica" del procedimento penale; non accetta il motto "vinca il migliore" . Lo scopo del procedimento è quello di accertare i fatti di reato e le relative responsabilità in base alle prove; e poiché le parti in conflitto possono in concreto non essere eguali in capacità ed in mezzi, il legislatore attribuisce al giudice un potere di supplenza che incide sull'iniziativa probatoria. Tale potere si configura come una "eccezione" rispetto alla regola posta dall'art. 190, comma l; pertanto deve essere previsto espressamente dal codice. Il potere di iniziativa del giudice si esercita con modalità e con limiti tali da non intralciare l'iniziativa delle parti. Il presidente del collegio giudicante può rivolgere domande al testimone (o altro dichiarante) soltanto al termine del l'esame incrociato (art. 506, comma 2 ) . Inoltre, il giudice (e cioè il collegio giudicante) può disporre l'assunzione di nuovi mezzi di prova se risulta assolutamente necessario, una volta che sia « terminata l'acquisizione delle prove », e cioè dopo che si sono svolti interamente il caso per l'accusa ed il caso per la difesa (art. 507). L e norme appena esposte dimostrano che il legislatore non ha voluto un comma l e cioè gli imputati in procedimenti connessi per concorso nel medesimo reato (art. 12, lett. a); viceversa, non contiene alcun riferimento agli imputati connessi teleologicamente (art. 12, lett. c) o collegati (art. 3 7 1 , comma 2, lett. b) che non debbano deporre come testimoni. A questo punto si propongono due possibili soluzioni interpretative. Da un lato, si può ritenere che agli imputati collegati o connessi teleologi· camente si applica l'art. 5 13 , comma 2 in virtù del richiamo fatto dall'art. 2 1 0, comma 6. Da un altro lato, ai predetti soggetti è comunque applicabile l'art. 5 12, che ha natura di norma generale in materia di non ripetibilità delle dichiarazioni. Sul punto, v. amplius M. BARGIS, sub art. 1 8 legge 1° marzo 2001, n. 63, in Leg. pen., 2002, 3 15 . ( 1 05 ) Tuttavia, tale disposizione sembra i l risultato d i u n difetto d i coordinamento. Infatti, la disciplina dell'accordo acquisitivo delle precedenti dichiarazioni dell'imputato connesso con procedimento pendente, adesso risulta tratteggiata dall'art. 500 (in virtù del rinvio contenuto nell'art. 2 10, comma 5 ) , che per questa parte rende superfluo l'art. 5 1 3 , comma 2.
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sistema accusatorio puro, che attribuisca l'iniziativa probatoria unicamente alle parti (principio dispositivo). Si sono voluti porre, come correttivo all'iniziativa delle parti, i poteri esercitabili d'ufficio dal giudice. Il correttivo, come si è detto, costituisce una eccezione; pertanto la " regola" resta il potere di iniziativa probatoria attribuito alle parti (art. 190). La scelta trova il suo fondamento e la sua giustificazione nell'oggetto del procedi mento penale. Si tratta della responsabilità penale di una persona e le conseguenze dell'accertamento toccano direttamente o indirettamente il diritto alla libertà personale, che è indisponibile (art. 13 Cost.). L'accertamento dei fatti non può essere lasciato nella piena disponibilità di parte, perché altrimenti anche il diritto di libertà diverrebbe disponibile ( 1 06). n giudice penale svolge un'attività di supplenza dell'iniziativa probatoria delle parti con un'intensità che varia con l'evolversi delle fasi del procedimento. Al termine delle indagini preliminari, quando è stata presentata richiesta di archiviazione, il giudice può ordinare al pubblico ministero di compiere nuove indagini e può costringerlo a formulare l'imputazione (art. 409, commi 4 e 5 ) . Nel corso dell'udienza preliminare il giudice, s e ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, « può disporre, anche d'ufficio, l'assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere » (art. 422 , comma l , mod. dalla legge n . 479 del 1999) ( 107) .
b.
I poteri di iniziativa probatoria in dibattimento.
Nel dibattimento, al termine del quale viene presa una decisione idonea a formare il giudicato, i poteri di iniziativa probatoria spettanti al giudice sono ancora più ampi. Tuttavia, essi devono rispettare due regole: quelle del carattere "successivo" e "non esaustivo" dei poteri stessi. In base alla prima regola, l'iniziativa spetta alle parti; soltanto " dopo" che esse hanno avuto la possibilità di esercitare i loro poteri, il giudice può svolgere la sua attività di supplenza. Ne deriva che il giudice non deve scompaginare l'ordine che ogni parte vuole dare al suo " caso " ed alle domande da rivolgere nell'esame incrociato: egli deve evitare di "bruciare" con interventi maldestri i possibili obiettivi probatori che le parti si propongono. In base alla seconda regola, i poteri esercitabili dal giudice non sono " esaustivi" di altri poteri, sia nel senso che possono essere sollecitati da altri ( 106) Siamo in presenza di un correttivo che è accolto anche nel processo civile quando questo ha per oggetto diritti non disponibili (ad esempio lo stato delle persone, i rapporti di famiglia e le cause di divorzio; art. 738, comma 3 c.p.c. e art. 4, comma 8, legge 1° dicembre 1970, n. 898) owero materie nelle quali una delle parti può trovarsi di fatto in condizioni economiche o morali di inferiorità (ad esempio i rapporti di lavoro; art. 42 1 , comma 2 c.p.c.). ( 107) Inoltre, ai sensi dell'art. 42 1 -bù, introdotto anch'esso dalla legge n. 479 del 1999, nell'udienza preliminare il giudice << se le indagini sono incomplete >> può indicare << le ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare >>.
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soggetti diversi dalle parti, quali sono gli enti rappresentativi di interessi lesi dal reato (art. 505 ) , sia nel senso che, una volta che siano stati esercitati dal giudice, le parti possono riprendere l'iniziativa probatoria. Passiamo adesso all'esame analitico. In primo luogo, il giudice (e cioè l'intero organo giudicante) anche d'ufficio può disporre che sia data lettura integrale o parziale degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento (art. 5 1 1 , comma l ) . Tuttavia la lettura delle dichiarazioni può essere disposta soltanto dopo l'esame della persona che le ha rese, a meno che l'esame non si svolga (art. 5 1 1 , comma 2 ) . L'indicazione di temi di prova nuovi o più ampi. I n secondo luogo, il presidente dell'organo giudicante « anche su richiesta di altro componente del collegio » può indicare alle- parti « temi di prova nuovi o più ampi, utili per la completezza dell'esame » (art. 506, comma 1 ) . Si tratta di un potere di "sugge rimento" esercitabile « in base ai risultati delle prove assunte nel dibattimento a iniziativa delle parti o a seguito delle letture »; e cioè dopo che si sono svolti i " casi" dell'accusa e della difesa. n presidente può soltanto sollecitare le parti ad ampliare un tema di prova oltre i limiti delle liste testimoniali e delle richieste introduttive, ma ovviamente restando all'interno dell'imputazione formulata dal pubblico ministero. A seguito della sollecitazione, l'iniziativa probatoria spetta alle parti, che possono accogliere o meno il " suggerimento" . Spetta a loro scegliere quali mezzi di prova richiedere. In terzo luogo, il giudice nel corso dell'istruzione dibattimentale « sentite le parti, può revocare con ordinanza l'ammissione di prove che risultano superflue o ammettere prove già escluse » ( art. 495, comma 4 ) . Di questa disposizione ci interessa quella parte che consente al giudice di ammettere, anche d'ufficio, "prove già escluse " . Si tratta di prove che ovviamente erano state richieste a suo tempo dalle parti (art. 495) e che il giudice aveva escluso perché, in quel momento, gli erano sembrate inammissibili, non pertinenti, non rilevanti o superflue. L'assunzione di nuovi mezzi di prova. In quarto luogo, il giudice può disporre anche d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova « se risulta assolutamente necessario » per l'accertamento dei fatti (art. 507 ) . Il potere è esercitabile « terminata l'acquisizione delle prove », e cioè dopo che si sono conclusi i " casi" dell'accusa e della difesa. Il requisito della « assoluta necessità » può dirsi integrato quando « il mezzo di prova risulti dagli atti del giudizio e la sua assunzione appaia decisiva » ( 108). Questo limite all'azionabilità dei poteri ( 1 08) Sul concetto di nuova prova si veda Cass., sez. un., 6 novembre 1992, Martin, in Cass. pen., 1993, 284: la Corte specifica che prova nuova significa << prova non disposta precedentemente >>. Sul significato dell'espressione prova << decisiva » è opportuno segnalare Cass., 26 giugno 1997, Abatini, CED 208816; con questa pronuncia la Corte si è espressa in riferimento al vizio ex art. 606 comma l !et. d, affermando che la prova è decisiva quando, se esperita, avrebbe potuto determinare una diversa decisione.
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officiosi può essere ravvisato nella incertezza derivante da un'istruzione dibat timentale non esauriente, a causa di temi di prova non sufficientemente sondati; può derivare da una difesa d'ufficio tardiva, svogliata o inefficace, che « cree rebbe inutili massacri se non fosse sorretta da eventuali supplenze giuri sdizionali »; può essere causata, infine, da un'accusa inefficace o perfino da una deliberata inerzia della medesima in dibattimento ( l 09) . n potere del giudice a seguito della acquisizione concordata di atti di indagine. La legge n. 479 del l 999 ha introdotto nell'art. 507 un nuovo comma l -bis, che consente al giudice di disporre « l'assunzione dei mezzi di prova relativi agli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento » su accordo delle parti (artt. 43 1 , comma 2 e 493 , comma 3 ) . Anche in questa ipotesi deve ricorrere il presupposto della assoluta necessità. La ratio della nuova disposizione è chiara: se è vero che le parti possono rinunciare al loro diritto alla prova, inteso come diritto all'escussione dibattimentale della medesima, ciò non può comportare una totale e definitiva deroga al principio del contraddittorio come metodo di accertamento dei fatti. All'uopo l'ordinamento conferisce eccezionali poteri officiosi al giudice. L'assunzione d'ufficio di nuovi mezzi di prova prescinde dai limiti costituiti dalle liste testimoniali e dalle richieste introduttive (art. 493 ) . Il giudice dispone l'assunzione delle nuove prove, che siano state richieste dalle parti, seguendo l'ordine dei casi (art. 15 1 , comma l disp. att.) . Viceversa, se le prove sono state ammesse d'ufficio e si tratta dell'esame di una persona, « il presidente vi prowede direttamente stabilendo, all'esito, la parte che deve condurre l'esame diretto » (art. 15 1 , comma 2 disp. att.) . Spetta alle parti, che lo vogliano, di pro seguire l'escussione nelle forme e nell'ordine dell'esame incrociato. c.
L'inerzia del pubblico ministero ed i poteri di iniziativa del giudice.
Sotto la vigenza del codice del 1 988 si è posto più volte il problema relativo all'ampiezza dei poteri che il giudice può esercitare d'ufficio. In particolare, si è messa in dubbio la compatibilità di tali poteri con la scelta di un sistema tendenzialmente accusatorio e con il principio di terzietà e imparzialità del giudice. Oggetto di discus sione è stato il caso in cui il giudice si trovi a supplire ad inerzie della pubblica accusa. Su questa materia vi è stata una prima pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione nel 1992, confermata l'anno successivo da una sentenza della Corte costituzionale. Dopo un
( 1 09) E. FASSONE, Il giudizio, in AA.Vv., Manuale pratico del processo penale, Padova, 1990, 860: « sarebbe (stato) inutile aver previsto una possibilità di rimedio del giudice per le indagini preliminari contro richieste di archiviazione ingiustificate (art. 409, comma 5), se poi al dibattimento il giudice dovesse restare inattivo di fronte alla deliberata inerzia dell'accusa; (. .. ) il giudice ammette le prove d'ufficio ogni qual volta la " ricerca della verità" non sia stata sufficientemente perseguita dalle parti per scelta volontaria o per insipienza >>.
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intervallo durato più di un decennio, nel dicembre del 2006 le Sezioni unite sono tornate sulla questione. Nel caso sottoposto all'attenzione delle Sezioni unite nel 1 992 , il pubblico mini stero non aveva depositato tempestivamente la lista dei testimoni che intendeva assumere in dibattimento (art. 468); di conseguenza era da considerarsi inammissibile la relativa domanda di ammettere le deposizioni testimoniali, formulata nelle richieste introduttive (art. 493 ) . Si era posto il quesito se fosse tuttavia lecito che il giudice ammettesse d'ufficio i mezzi di prova ai sensi dell'art. 507 . Si trattava di valutare se i requisiti previsti da tale disposizione dovevano essere interpretati in senso restrittivo o estensivo. Se fosse prevalsa l'interpretazione restrittiva, di fronte alla totale inerzia dell'accusa il giudice non avrebbe potuto intervenire d'ufficio e la prova non sarebbe tata ammessa; pertanto, l'imputato sarebbe stato prosciolto. Le Sezioni unite della Corte di cassazione ( 1 1 O) e la Corte costituzionale ( 1 1 1 ) hanno accolto l'interpretazione estensiva dell'art. 507, in quanto essa si presentava più rispettosa della direttiva n. 73 della legge delega, che prevedeva il « potere del giudice di disporre l'assunzione di mezzi di prova » senza porre ulteriori limiti. Su un piano tecnico-giuridico le Sezioni unite hanno chiarito vari punti. Anzitutto, hanno rilevato che ciò che diventa « inammissibile » ai sensi dell'articolo 468 non è la « prova », bensì la « richiesta » come atto di parte. Viceversa, nessuna inammissibilità è prevista per il potere esercitabile d'ufficio dal giudice. In secondo luogo, le Sezioni unite hanno affermato che l'inciso « terminata l'acquisizione delle prove » (art. 507) indica il « punto » dell'istruzione dibattimentale in cui può avvenire l'ammissione di nuove prove; non costituisce il « presupposto » per l'esercizio del potere del giudice. Se mai, l'inciso sottolinea che l'iniziativa delle parti, e cioè il loro « diritto alla prova », ha un « carattere primario » rispetto ai poteri officiosi del giudice, ma non è un « presupposto » di questi ultimi. Inoltre, la Cassazione ha escluso che il potere giudiziale di acquisizione della prova ex art. 507 possa essere impiegato per vagliare ipotesi ricostruttive autonomamente formulate dal giudice, che deve invece limitarsi a disporre d'ufficio l'assunzione di prove « il cui valore dimostrativo in base agli atti si imponga con evidenza ». Infine, la sentenza in parola ha sottolineato che, ove il giudice ammetta d'ufficio una prova, resta comunque salvo il diritto delle parti all'ammissione della prova contraria (art. 495 , comma 2), perché tale diritto vale anche nei confronti del potere di iniziativa esercitabile dal giudice. L'orientamento appena esposto è stato ribadito dalle Sezioni unite nella pronuncia del 2006 ( 1 12 ) . Anche in quel caso si trattava di una ipotesi in cui il giudice era chiamato a supplire ad una lacuna probatoria della pubblica accusa. Il Supremo collegio, nella sua composizione più autorevole, ha ribadito in modo ancora più netto il precedente orientamento. Per un verso, la Corte ha affermato che lo scopo dell'art. 507 è quello di consentire al giudice, che non si ritenga in grado di decidere per la lacunosità o insufficienza del materiale probatorio di cui dispone, di ammettere le prove che gli ( l lO) Sentenza 6 novembre 1992 �larrin , in Cars. pen . , 1993, 280, confermata dalla sentenza Cass., sez. un., 18 dicembre 2006, Greco, in Guida dìr., 2007, n. 2, p. 86. ( l l l ) Sentenza 2 4 marzo 1993. n . 1 1 1 . in Cass. pen., 1993 , 2224. ( l l2) Cass., sez. un., 18 dicembre 2006, Greco, in Guida dir., 2007, n. 2, p. 86. .
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consentono un giudizio più meditato e più aderente alla realtà dei fatti che è chiamato a ricostruire. Ad avviso della Corte, può ragionevolmente affermarsi che la norma mira esclusivamente a salvaguardare la completezza dell'accertamento sul presupposto che, se le informazioni probatorie a disposizione del giudice sono più ampie, è più probabile che la sentenza sia equa e che il giudizio si mostri aderente ai fatti. Da un altro lato, le Sezioni unite hanno precisato che l'obiezione spesso prospettata, in base alla quale l'acquisizione d'ufficio delle prove farebbe venire meno la terzietà del giudice, costitu isce un equivoco. La Cassazione si chiede, infatti, perché mai non dovrebbe essere considerato terzo un giudice scrupoloso che intende giudicare a ragion veduta e non con informazioni conoscitive insufficienti ben sapendo che è possibile colmare almeno una parte delle lacune esistenti. Un potere del genere (da esercitare solo in caso di assoluta necessità) non è un residuo del principio inquisitorio, bensì « vale a fondare un processo veramente "giusto" ». Ancora, ad avviso della Corte, il potere integrativo del giudice non nuoce alla difesa e non mina il principio di parità tra le parti per due motivi: anzitutto, perché tale potere è conferito sia con riferimento alle lacune dell'accusa, sia con riguardo alle lacune lasciate dalla difesa. In secondo luogo, perché si inserisce in un sistema caratterizzato dalla obbligatorietà dell'azione penale, che impone una costante verifica dell'esercizio dei poteri di iniziativa del pubblico ministero e, quindi, anche delle sue carenze od omlSSlOnl.
n principio dispositivo attenuato. Sulla base dell'orientamento giuri sprudenziale finora emerso, e come le stesse Sezioni unite hanno affermato nel 2006, è possibile ritenere che il codice accoglie in materia probatoria un principio dispositivo " attenuato " . Tale principio consente la libera esplicazione del diritto alla prova spettante alle parti, ma non preclude i poteri di iniziativa probatoria d'ufficio ( 1 13 ) ; se mai, limita il potere discrezionale del giudice nel respingere le richieste di ammissione di prove, formulate dalle parti. A nostro avviso, la necessità di accogliere, nel processo penale, un principio dispositivo attenuato si ricava dall'oggetto stesso sul quale il processo, diretta mente o indirettamente, va ad incidere, e cioè la libertà personale. Poiché si tratta di un diritto fondamentale inviolabile e indisponibile (art. 13 Cost.) non è possibile che l'esito accertativo del processo sia interamente rimesso al potere dispositivo delle parti. In seguito all'analisi delle norme del codice ed alle considerazioni che abbiamo fatto, possiamo trarre alcune conclusioni. I poteri esercitabili dal giudice d'ufficio costituiscono un'eccezione al potere dispositivo delle parti sulla prova; in altri termini, toccano l'onere della prova in senso formale, inteso come onere di introdurre la prova nel processo (art. 1 90, comma 1 ) . Non ( 1 13 ) In giurisprudenza si è precisato che il giudice ha un obbligo di motivazione sul mancato esercizio del potere istruttorio sollecitato da una parte e che la decisione discrezionale sulla non assoluta necessità può essere sindacata in cassazione nei limiti in cui la motivazione appaia difettosa. V. Cass., sez. V, 16 aprile 1998, Biacchi, in Cass. pen., 1999, 223 3 , con nota redazionale di precedenti.
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incidono sull'onere sostanziale di convincere il giudice. Restano valide le regole di valutazione della prova, e cioè spetta pur sempre a chi accusa l'onere di provare i fatti al di fuori di ogni ragionevole dubbio (art. 533 comma l mod. dalla legge n. 46 del 2006). Come pure restano salvi gli altri vincoli probatori ricavabili dal codice. I poteri esercitabili d'ufficio dal giudice non rappresentano una deroga ai "divieti probatori" , che devono essere osservati anche da tale soggetto. Ad esempio, non potranno essere usati metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione del dichiarante ( art. 1 88) ( 1 14 ) .
d.
La rinuncia alla prova.
Al tema del principio dispositivo si connette la problematica della rinuncia all'assunzione di una prova. Può infatti accadere che una parte, ottenuta l'ammissione di un mezzo di prova, rinunci alla sua assunzione, ad esempio, non chiamando a testimoniare una persona. In tale evenienza si tratta di compren dere quali siano i poteri del giudice e delle altre parti. La rinuncia alla prova è espressamente disciplinata dal nuovo comma 4-bis introdotto nell'art. 495 dalla legge n. 3 97 del 2000, in base al quale « nel corso dell'istruzione dibattimentale ciascuna delle parti può rinunciare, con il con senso dell'altra parte, all'assunzione delle prove ammesse a sua richiesta ». In altri termini la parte, che ha richiesto ed ottenuto dal giudice l'ammissione di un mezzo di prova, può rinunciare all'assunzione; tuttavia, la rinuncia è efficace soltanto se l'altra parte consente (v. tav. 3 .5.7) . Occorre sottolineare che il legislatore non ha attribuito espressamente al giudice alcun potere a fronte della volontà delle parti ( 1 15 ) . Tuttavia, in base all'art. 507 il giudice ha il potere di disporre d'ufficio l'assunzione di quella prova che sia stata rinunciata dalle parti ( 1 16). Ovviamente può farlo nei limiti previsti dal codice: l'assunzione deve essere " assolutamente" necessaria. Regolamentazione. Il concetto di " altra parte" deve essere interpretato in modo estensivo. Vi rientrano, cioè, tutte le parti diverse rispetto al rinunciante. ( 1 14) Queste nostre affermazioni risultano espressamente confermate dalla sentenza Cass., sez. un., 1 8 dicembre 2006, Greco, i n Guida Dir., 2007, n. 2, p . 86, secondo la quale è « superfluo sottolineare che ( . . . ) l'esercizio dei poteri in deroga al principio dispositivo non fa venir meno l'onere del pubblico ministero di provare il fondamento dell'accusa e, tanto meno, l'obbligo per il giudice di rispettare i divieti probatori esistenti >>. ( 1 15 ) Si ricordi la analoga regola prevista dal codice di procedura civile secondo cui << la rinuncia fatta da una parte all'audizione dei testimoni da essa indicati non ha effetto se le altre non vi aderiscono e se il giudice non vi consente >> (art. 245, comma 2 c.p.c.). Nonostante che il processo civile abbia ad oggetto, di regola, diritti disponibili, tuttavia il principio dispositivo non giunge ad affermare che la prova, una volta ammessa, sia " disponibile" dalle parti mediante rinuncia. ( 1 16) Cass., sez. feriale, 19 agosto 1993, Poluzzi, in Cass. pen. , 1994, 1263, in base alla quale il potere del giudice di disporre di ufficio ex art. 507 l'assunzione dei mezzi di prova non è impedito dalla circostanza che le parti vi abbiano rinunciato nel corso del dibattimento. 22
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Si pensi al coimputato A che intende sentire il testimone cui ha rinunciato il pubblico ministero, mentre il coimputato B non ha interesse all'esame: in una tale situazione B consentirà alla rinuncia, mentre A non lo farà ( 1 17). Il soggetto legittimato a rinunciare al mezzo di prova è la parte che ne aveva chiesto l'ammissione al giudice. Nell'ambito della strategia probatoria, volta a fondare le proprie richieste al giudice sul merito dell'imputazione, ciascuna parte può rinunciare alla prova per qualunque motivo, con espressa dichiara zione resa al giudice. La possibilità per la parte, che ha richiesto l'ammissione della prova, di rinunciare alla sua assunzione è manifestazione normativa del diritto alla prova; infatti un aspetto di tale diritto è la disponibilità ad opera delle parti. La rinuncia, in altre parole, è una forma estrema con cui la parte dispone del proprio diritto alla prova in relazione ad un singolo mezzo (1 18). L' operatività della rinuncia è subordinata dalla legge al consenso dell'altra parte al fine di tutelare anche il diritto alla prova di quest'ultima. Al tempo stesso, tale disciplina costituisce il riconoscimento normativa di un inedito "principio di acquisizione della prova" : il provvedimento di ammis sione della prova, richiesta da una parte, fa sorgere in capo alle altre parti, costituite in giudizio, il diritto all'acquisizione di quel mezzo di prova. Ciò significa, come abbiamo sostenuto da tempo, che la prova non è di "proprietà" della parte che l'ha introdotta nel processo chiedendone l'ammissione al giudice. Il diritto alla prova comprende anche il diritto di ciascuna parte alla assunzione del mezzo di prova ammesso in giudizio anche su istanza da altri proposta. La rinuncia opera, nell'accordo delle parti, senza necessità di un provvedimento
/armale di revoca da parte del giudice. Se è vero che dagli articoli 190 comma 3 e 495 comma 4 si ricava il principio in base al quale i provvedimenti in materia di prove si inseriscono in un "procedimento" di tipo formale, è anche vero che il provvedimento del giudice si rende necessario per superare un contrasto fra le parti. È evidente che il caso di rinuncia di una parte, seguita dal consenso delle altre, non dà luogo a necessità di tutela giudiziale dei diritti dell'una o dell'altra. n tenore letterale dell'art. 495 , comma 4-bzS lascia residuare un dubbio sulla configurabilità di una rinuncia tacita. A nostro avviso, tale tipo di rinuncia non è ammissibile perché in materia probatoria non sussiste libertà della forma. Per gli stessi motivi, riteniamo che anche il consenso debba essere espresso. Nel caso in cui il dichiarante "rinunciato" non sia stato citato dalla parte richie dente, la citazione dovrà essere operata (previa autorizzazione del giudice) dalla parte ( 1 17 ) In tal senso, P. FELICIONI, La rinuncia alla assunzione della prova, in AA.Vv., Processo penale: il nuovo ruolo del dzfensore, a cura di L. Filippi, Padova, 200 1 , 464. ( 1 18) Si tratta di rinuncia al singolo mezzo di prova; la rinuncia globale al diritto alla prova invece non è configurabile nel processo penale né per il pubblico ministero, né per l'imputato.
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che non ha consentito alla rinuncia: questa, infatti, ha manifestato il proprio interesse all'escussione della fonte di prova. Merita precisare che anche l'escussione della prova rinunciata avrà cadenze pecu liari: in tal caso, infatti, potrà farsi immediatamente luogo al controesame, che non sarà preceduto dall'esame diretto. Sotto il profilo funzionale, infatti, è rilevabile l'autonomia del controesame: il suo oggetto si delinea sulla scorta delle circostanze indicate nelle liste ai sensi dell'art. 468 dalla parte che, successivamente, ha rinunciato alla prova orale. Può ipotizzarsi il caso in cui, nelle richieste introduttive (art. 493 ) , una parte abbia chiesto ed ottenuto l'ammissione di una prova "contraria" . Resta da chiedersi cosa succeda quando quella "principale" sia stata oggetto di rinuncia effettuata dalla parte richiedente. In tale situazione, l'oggetto di prova (il c.d. thema probandum) è già stato inserito nel processo; esso deve ritenersi messo a disposizione della Giustizia. Da ciò si ricava che la rinuncia alla prova "principale" non ha efficacia su quella " contraria" . Colui che h a ottenuto l'ammissione di quest'ultima h a il diritto di vederla assunta (119). Egli ha anche, se lo ritiene opportuno, il diritto di ottenere l'assunzione della prova "principale" .
22. La partecipazione e l'esame " a distanza". Considerazioni preliminari. Il codice consente di utilizzare due istituti che permettono di superare l'unità di luogo nel quale si deve svolgere il dibatti mento: la partecipazione al dibattimento a distanza e l'esame a distanza. L'aspetto comune dei due istituti sta nel collegamento televisivo, che è stato regolato nei dettagli al fine di permettere, per un verso, che i fondamentali diritti difensivi possano essere esercitati; per un altro verso, che le parti siano comunque messe in grado di valutare l'attendibilità delle prove che vengono assunte. La partecipazione "a distanza". L'art. 146-bù disp. att. prevede una singolare forma di "partecipazione" dell'imputato al dibattimento. L'imputato rimane nel luogo di detenzione e partecipa all'udienza attraverso un collega mento a distanza che presuppone l'installazione di due terminali, uno nell'aula e l'altro nella postazione remota, e di un sistema di comunicazione che permette di ricevere e trasmettere i segnali audiovisivi provenienti da entrambi i terminali. L'istituto è stato introdotto nell'ordinamento al fine di evitare una buona parte di quelle traduzioni degli imputati e dei collaboratori di Giustizia che richie dono un ingente dispiego di forze dell'ordine per i servizi di scorta e di accompagnamento, con alti rischi per la loro vita. La partecipazione a distanza è disposta dal giudice in due ipotesi: ( 1 19)
In giurisprudenza, Cass., sez.
V, 13 gennaio 1995, D'Alessandro, in Cass. pen., 1996, 2234,
secondo cui il diritto di articolare la prova contraria prescinde dalla deduzione probatoria della parte avversa; Cass., sez.
VI, 17 maggio 1993, Kinkela, in Giur. it., 1994, II, 836: il diritto all'assunzione della prova contraria
spetta anche alla parte che sia decaduta dalla prova diretta.
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l) quando si procede per delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso, terroristico o assimilato (artt. 5 1 , comma 3 -bis e 407 , comma 2, lett. a, n. 4 c.p.p.) nei confronti di un imputato che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere ( 120). Nell'ipotesi in oggetto, la partecipazione a distanza può essere disposta soltanto se ricorrono determinate condizioni: a) se sussi stono gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico ( 1 2 1 ) ; b) se si tratta di dibattimenti particolarmente complessi e la partecipazione a distanza risulta necessaria ad evitare ritardi nello svolgimento dell'udienza (art. 146-bis, comma l disp. att.) ( 122) ; 2) quando si proceda nei confronti d i un imputato che si trovi in stato di detenzione e sia sottoposto a quel regime di "carcere duro" che comporta la sospensione delle misure trattamentali e che è previsto dall'art. 4 1 -bù ord. pen. (art. 146-bis, comma l -bis, disp. att. introdotto dal decreto legge n. 3 4 1 del 2000). In questo caso, la partecipazione a distanza è disposta a prescindere dal reato oggetto del procedimento e non occorre che si verifichino ulteriori condizioni. Regolamentazione. Una volta accertata l'esistenza dei suddetti requisiti, la partecipazione a distanza deve obbligatoriamente essere disposta. n relativo provvedimento è adottato anche d'ufficio nella fase degli atti preliminari dal presidente del tribunale o della corte di assise; nel corso del dibattimento è pronunciato dal giudice. Nel primo caso, l'atto assume la forma del decreto motivato che, essendo emanato in assenza di contraddittorio, deve essere comunicato alle parti e ai difensori almeno dieci giorni prima dell'udienza; nel secondo caso, l'atto assume la forma dell'ordinanza. Garanzie difensive. Il collegamento televisivo deve assicurare la contestuale, reciproca ed effettiva visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto (art. 146-bis, comma 3 disp. att.). La contestualità esclude ogni sorta di differimento temporale nel collegamento; la reciprocità garantisce il coinvolgimento nel collegamento di tutte le persone presenti nei due luoghi; infine, l'effettività mira ad escludere qualsiasi incertezza o difficoltà che possa incidere sulla capacità di percezione da parte di ciascun fruitore del collegamento stesso. n difensore o un suo sostituto può essere ( 120) Merita ricordare che la legge n. 367 del 2001 in tema di rogatorie internazionali ha introdotto nel codice il nuovo art. 205-ter disp. att. che estende l'istituto della partecipazione a distanza anche all'imputato detenuto all'estero. Sull'argomento, si veda più ampiamente in/ra, parte settima, capitolo II. ( 12 1 ) Tale ipotesi ha sollevato perplessità in relazione alla sua estrema genericità: l'uso di parametri siffatti è stato ricondotto all'esigenza di evitare i pericoli che alla collettività possono derivare dalla traduzione in aula di soggetti ad alta capacità criminale. La traduzione potrebbe diventare occasione per tentativi di fuga, attentati o semplici disordini. ( 122) L'ipotesi risulta meno generica della precedente: non bastano ad integrare tale situazione semplici difficoltà organizzative, ma occorre ad esempio la pluralità di reati addebitati, l'elevato numero di testimoni e imputati o, come prevede espressamente la norma, il « fatto che nei confronti dello stesso imputato siano contemporaneamente in corso distinti processi presso diverse sedi giudiziarie>> .
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presente nel luogo in cui si trova l'imputato; ave il difensore scelga di rimanere nell'aula d'udienza, il comma 4 gli garantisce il diritto di avere colloqui riservati con l'imputato mediante strumenti tecnici idonei ( 123 ). Al fine di attestare l'identità dell'imputato e la mancanza di limitazioni o impedimenti ai diritti a questi riconosciuti, il giudice (o, in caso di urgenza, il presidente) designa un ausiliario che deve essere presente nel luogo in cui si trova l'imputato ( 124) . Si prevede l'equiparazione tra l'aula di udienza e la postazione remota (art. 146-bis, comma 5 disp. att.) . L'esame "a distanza". L'art. 147-bis disp. att. prevede che mediante collegamento televisivo si possa svolgere a distanza l'esame di un testimone o di una parte. L'istituto è stato voluto dal legislatore nel 1 992 allo scopo di tutelare la vita del "collaboratore di Giustizia" ; la sua regolamentazione è la seguente. Regolamentazione. Ove siano disponibili strumenti tecnici idonei ad effet tuare un collegamento audiovisivo, il giudice (o, nei casi d'urgenza, il presidente del tribunale o della corte d'assise) sentite le parti, può disporre anche d'ufficio che l'esame si svolga a distanza. In tal caso l'esame è effettuato mediante un collegamento audiovisivo che assicuri la contestuale visibilità delle persone presenti nel luogo dove la persona sottoposta ad esame si trova. Nello stesso luogo è prevista la presenza di un ausiliario, designato dal giudice o dal presidente. Tale ausiliario ha il compito di attestare le generalità dell'esami nando e di dare atto dell'osservanza delle disposizioni di cui al comma 2 dell'art. 147 -bis disp. att., « nonché delle cautele adottate per assicurare la regolarità dell'esame con riferimento al luogo ave egli si trova ». L'ausiliario deve, infine, redigere verbale delle operazioni svolte. Garanzie difensive. Se si deve compiere l'esame di un imputato (non di un testimone) , devono essere assicurate le medesime garanzie difensive previste per la partecipazione a distanza (art. 147-bis, comma 4 disp. att.). In primo luogo, occorre che vi sia la effettiva e reciproca visibilità: l'imputato deve poter vedere quello che accade nell'aula di udienza, mentre è esaminato. In secondo luogo, il difensore (o un suo sostituto) deve poter essere presente accanto all'assistito. In terzo luogo, l'imputato deve potersi consultare riservatamente col difensore presente in aula. Infine, l'ausiliario del giudice non può essere sostituito da un ufficiale di polizia giudiziaria. Ai sensi dell'art. 147-bis, comma 3 disp. att. l'esame deve svolgersi obbli gatoriamente a distanza nei seguenti casi: a) se i collaboratori di Giustizia sono ( 123)
È
importante precisare che la normativa in materia di gratuito patrocinio prevede una deroga
alla regola in base alla quale non è ammesso al beneficio chi è assistito da più di un difensore. Infatti, ai sensi dell'art. 100 T.U.S.G. <>. ( 124) Durante il tempo in cui non si svolge l'esame dell'imputato, al posto dell'ausiliario può essere designato un ufficiale di polizia giudiziaria (art. 1 46-bis, comma 6 disp. an.).
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esaminati nell'ambito di un processo di criminalità organizzata mafiosa o terroristica (artt. 5 1 , comma 3 -bis e 407, comma 2 , lett. a, n. 4); b) se nei confronti dell'esaminato è stato emesso un decreto di cambiamento delle generalità (in tal caso, il volto non deve essere visibile); c) se un imputato, anche non collaboratore di Giustizia, ma accusato di un delitto di criminalità mafiosa o terroristica, deve essere esaminato in un processo per tale tipo di delitti, connesso al proprio. In questi casi, l'obbligatorietà è temperata dalla possibilità, lasciata al giudice, di ritenere « assolutamente necessaria » la presenza della persona da esaminare. n giudice può disporre l'esame a distanza, ma soltanto su richiesta di parte, nei seguenti casi, che pertanto si configurano come facoltativi (art. 147 -bis, comma 5 disp. att.) : d) se il dichiarante è già stato esaminato nell'incidente probatorio o in un altro procedimento ed è stata disposta una nuova assunzione di tale prova (art. 495 , comma l ) ; e) se comunque vi sono gravi difficoltà ad assicurare la presenza della persona da esaminare. Occorre sottolineare che, in tali casi, l'esame a distanza viene impiegato per soddisfare esigenze di sempli ficazione processuale e non per proteggere l'incolumità del dichiarante. Merita ricordare che la legge n. 367 del 2001 in tema di rogatorie interna zionali ha introdotto nel codice il nuovo art. 205-ter disp. att. che prevede l'audizione in videoconferenza di testimoni o periti che si trovano all'estero. 23. Le nuove contestazioni. La correlazione tra imputazione e sentenza.
Il dibattimento ha per oggetto l'addebito che è stato contestato all'imputato con il decreto che dispone il giudizio. Nel corso dell'istruzione dibattimentale il pubblico ministero può modificare l'imputazione originaria entro determinati limiti e con modalità che devono garantire il diritto di difesa dell'imputato. La possibilità di apportare modificazioni è coerente con la funzione svolta dal dibattimento; quest'ultimo è la sede nella quale vengono di regola assunte le prove e, pertanto, può dar luogo ad esiti nuovi e diversi rispetto a quelli che erano stati ipotizzati dal pubblico ministero ( 125) . Nel corso dell'istruzione dibattimentale le prove assunte possono indurre il pubblico ministero a modificare l'imputazione sotto vari profili attinenti al diritto o al fatto (v. tav. 3 .5 .4 ) . Per quanto riguarda il diritto, è sancito il principio fondamentale secondo ( 125) Nel procedimento ordinario l'imputazione è formulata dalla pubblica accusa nell'atto scritto con il quale chiede il rinvio a giudizio. Il pubblico ministero deve enunciare << in forma chiara e precisa >> (art. 4 17, comma l , lett. b) il fatto, l e circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione d i misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge; inoltre, deve indicare le<< fonti di prova acquisite» (art. 4 17, comma l, lett. c). Al termine dell'udienza preliminare il giudice, nell'emanare il decreto che dispone
il giudizio, deve precisare gli elementi appena menzionati ed inoltre deve indicare i fatti cui le fonti di prova si riferiscono (art. 429, comma l, lett. c e d).
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cui il giudice può dare al fatto storico una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza (art. 52 1 comma l ) ; sul punto torneremo più avanti. In tal caso, la diversa definizione è data direttamente dal giudice in sentenza. a) Le modifiche attinenti al fatto storico: il fatto diverso. Per quanto concerne il fatto storico, in primo luogo questo può risultare « diverso » da quello contestato (art. 5 16), nel senso che risultano modificate le modalità del fatto di reato ( 126). Occorre prestare attenzione a tale concetto: il nucleo essenziale dell'accusa originariamente contestata non appare modificato sotto un profilo sostanziale; mutano soltanto alcuni aspetti relativi alle modalità di svolgimento. Come esempio, si pensi al caso in cui venga modificata la data o il luogo del fatto di reato mentre la condotta addebitata rimane identica ( 127). In tale evenienza il pubblico ministero provvede direttamente a modificare l'im putazione e a contestarla all'imputato (se il reato non appartiene alla compe tenza di un giudice "superiore" , ad esempio della corte d'assise) ( 128). L'im putato ha diritto che il dibattimento venga sospeso (per un tempo non inferiore a venti giorni, se si tratta del giudizio presso il tribunale collegiale o la corte d'assise) ed ha altresì la facoltà di chiedere l'ammissione di nuove prove (art. 5 19) ( 129) ( 130). ( 126) A d awiso della giurisprudenza, per "fatto" deve intendersi l'accadimento naturalistico dalle cui connotazioni soggettive ed oggettive, spaziali e temporali vengono tratti tutti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica. (127) Si pensi altresì all'ipotesi nella quale il pubblico ministero precisi all'interno della condotta partecipativa già contestata all'imputato ex art. 110 c.p. il ruolo concreto da questi svolto. Vedi C. Ass. S. Maria Capua Vetere, sez. II, 2 febbraio 2004, in Dir. giust. , 2004, 13, 71 (fattispecie nella quale il pubblico ministero dopo aver contestato il ruolo di mandante, alla luce della istruzione dibattimentale e delle dichiarazioni rese dallo stesso imputato aveva modificato l'imputazione contestando il ruolo di esecutore). (128) n codice disciplina espressamente l'ipotesi nella quale, nel corso del giudizio contumaciale, sia necessario procedere alla modifica dell'imputazione perché il fatto risulta diverso (art. 516) o alla contesta zione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante (art. 517). ln tali situazioni il pubblico ministero deve chiedere che la contestazione sia inserita nel verbale del dibattimento e che esso sia notificato per estratto all'imputato contumace (art. 520, comma 1). n presidente sospende il dibattimento e fissa una nuova udienza per la prosecuzione (art. 520, comma 2). (129) Originariamente tale norma prevedeva che il diritto dell'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove potesse essere esercitato solo nei limiti di cui all'articolo 507. Di conseguenza, il giudice poteva disporne l'ammissione discrezionalmente e solo in caso di assoluta necessità. La Corte costituzionale, con la sentenza 3 giugno 1992, n. 241, ha dichiarato l'illegittimità di tale limite e ha altresì esteso la legittimazione alla richiesta di nuove prove anche al pubblico ministero e alle parti private diverse dall'imputato. ( 130) Può accadere che, in seguito alla modifica dell'imputazione, il reato addebitato risulti apparte nente alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, anziché monocratica. In tal caso, vi è un limite temporale alla rilevabilità del difetto di cognizione (art. 516, comma l-bis); l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione del giudice può essere rilevata (dal giudice) o eccepita (dalle parti) a pena di decadenza immediatamente dopo la nuova contestazione oppure, quando sia stato concesso un tennine a difesa, prima del compimento di ogni altro atto nella nuova udienza fissata per la prosecuzione. Entro lo stesso limite temporale è possibile eccepire o rilevare l'omissione dell'udienza preliminare se. a seguito della modifica, risulta un reato per il quale tale udienza era prevista (art. 516, comma 1-ter, introdotto dalla legge n. 479 del 1999).
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b) La contestazione suppletiva. Nel corso dell'istruzione dibattimentale può risultare l'esistenza di una circostanza aggravante (art. 5 17 ) ; oppure, il compimento di un reato connesso ai sensi dell'art. 12, comma l , lett. b ( concorso formale o reato continuato) ( 1 3 1 ) . Ad esempio, l'imputato è stato rinviato a giudizio per truffa (art. 640 c.p.) e, nel corso del dibattimento, risulta che è stato commesso anche un reato di spendita di monete falsificate (art. 455 c.p.) in esecuzione del medesimo disegno criminoso. Nella predetta ipotesi il pubblico ministero contesta all'imputato il reato concorrente, purché la cogni zione non appartenga alla competenza di un giudice "superiore" (e cioè della corte d'assise). Naturalmente anche in questi casi l'imputato ha diritto ad ottenere la sospensione del dibattimento e l'ammissione di nuove prove ( 132) ( 13 3 ) . c ) D fatto nuovo. Vi è infine una terza possibilità di modifica, che non è lasciata alla sola iniziativa del pubblico ministero, bensì richiede il consenso dell'imputato ed una valutazione del presidente. Nel corso del dibattimento può risultare a carico dell'imputato un « fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio e per il quale si debba procedere di ufficio » (art. 5 18). Si ha un fatto " nuovo" quando si è in presenza di un " ulteriore" fatto storico che si affianca all'imputazione precedentemente contestata. Ad esempio, nell'accertare una ra pina risultano elementi di fatto dai quali si ricava che, al di fuori del medesimo disegno criminoso, l'imputato ha commesso anche un'estorsione ( 13 4 ) . Tuttavia, il fatto nuovo ex art. 5 1 8 non è soltanto quello suscettibile di affiancarsi al reato già contestato nell'imputazione. Può anche accadere che il fatto originariamente contestato vada soggetto, nel corso dell'istruzione, a modifiche tanto radicali da portare a configurarlo, sul piano strutturale, come un altro fatto totalmente diverso che si presta ad un nuovo ed autonomo inquadramento giuridico. In tal caso, il fatto nuovo si sostituisce a quello inizialmente contestato ( 135). ( 1 3 1 ) Cass., sez. VI, n . 6252 del 2000, Apicella: non è consentito procedere alla contestazione suppletiva ex art. 5I7 se il fatto era già a conoscenza del pubblico ministero prima dell'esercizio dell'azione penale. In termini, Cass., sez. VI, I5 gennaio 2002, Porricelli, in CED Cass. , 223844; C. Ass. S. Maria Capua Vetere, sez. Il, 2I gennaio 2004, in Dir. giust., 2004, 13, 69.
( 132) La Corte costituzionale, con la sentenza 20 febbraio I995, n. 50, ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 5I9, comma 2 <> . (133) Se in seguito alla contestazione risulta un reato attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, ovvero un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare e la medesima non si è tenuta, la rilevabilità del difetto è sottoposta al limite temporale previsto dall'art. 5I6, comma I-bis, del quale abbiamo appena fatto menzione (art. 5I7, comma I-bis, mod. dalla legge n. 479 del
I999) ( 134) Quale ulteriore esempio si può citare Cass., sez. l, I2 marzo I996, Danzi, in Giust. pen., I997, III, 4 1 1, che rispetto all'illegale scarico di sostanze nelle acque ritiene fatto nuovo il getto pericoloso di cose. (135) T. RAFARAcr, Le nuove contestazioni nel processo penale, Milano, I996, 53. In concreto si ha fatto
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n fatto "nuovo" può essere contestato soltanto in presenza delle seguenti condizioni: a) deve trattarsi di un reato procedibile d'ufficio; b) l'imputato deve essere presente e consentire alla contestazione; c) il presidente deve accertare che da tale contestazione non derivi un pregiudizio per la speditezza del procedimento (art. 5 18, comma 2 ) . Quando è contestato il fatto nuovo, l'im putato gode del diritto, sopra ricordato, di ottenere la sospensione del dibatti mento e di chiedere l'ammissione di nuove prove (art. 5 19) ( 136). In mancanza delle predette condizioni, « il pubblico ministero procede nelle forme ordina rie » (art. 5 18 comma l ) ; e cioè, svolge le indagini ed esercita l'azione penale per il fatto nuovo. d) L'iniziativa nella modifica del fatto storico. Il codice attribuisce il potere di modificare il fatto storico di cui all'imputazione esclusivamente al pubblico ministero; il giudice non ha il potere di controllare in via preventiva la correttezza della contestazione; può operare un controllo successivo nel mo mento in cui delibera la sentenza. In tutte le ipotesi in cui la contestazione sia avvenuta fuori dei casi consentiti, il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda nelle forme ordinarie (art. 5 2 1 , comma 3 ) . Lo stesso avviene quando il giudice accerta che il fatto storico è diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio o nella contestazione effettuata dal pubblico ministero in dibattimento. Gli atti sono trasmessi al pubblico mini stero, che procede nelle forme ordinarie (art. 52 1 , comma 2) ( 1 3 7 ) . e ) L e modifiche attinenti alla definizione giuridica. Come abbiamo accen nato all'inizio del paragrafo, il giudice al momento della deliberazione della sentenza può rilevare che il fatto storico, accertato nel corso del dibattimento, nuovo (art. 5 1 8) o fatto diverso (art. 5 1 6) a seconda che si tratti o meno di episodi riconoscibili nella imputazione originaria e come tali oggetto possibile di attività difensive. Così G. Riccio, Fatti "nuovi" e fatti "diversi" nel regime delle contestazioni suppletive, in Dir. giust. , 2004, 1 3 , 63 . Secondo Cass., sez. IV, 3 0 novembre 2004, D., i n Cass. pen., 2006, 1 1 02, costituisce <> (in relazione a l quale occorre procedere ai sensi di quanto disposto dall'art. 5 1 8 c.p.p.) allorché si proceda per la contrawenzione di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti (art. 187 c.s.) ed emerga poi, nel corso del dibattimento, il fatto radicalmente diverso, e perciò nuovo, di guida in stato di ebbrezza (art. 186 c.s.). ( 1 3 6) Nel caso in cui siano state effettuate nuove contestazioni in dibattimento (artt. 5 1 6, 5 17 e 518, comma 2) i l presidente dispone l a citazione della persona offesa, osservando u n termine non inferiore a cinque giorni (art. 5 1 9 comma 3 ) . L'offeso, infatti, qualora cumuli in sé la qualifica di danneggiato deve essere messo in condizione di costituirsi parte civile in relazione alla nuova contestazione. L'art. 484 segna, infatti, il momento di verifica della correttezza dei rapporti processuali in relazione alle imputazioni contestate; se viene introdotta una nuova causa petendi contro l'imputato, rispetto ad essa la persona offesa (che abbia subito un danno) deve essere messa in condizione di valutare se costituirsi parte civile (Cass., sez. III, 27 ottobre 1 995, Roncati; Corte cost., sent. n. 98 del 1 996).
(137) In tale ipotesi il giudice diventa incompatibile a decidere nel prosieguo di quel processo; così C. cost. 30 dicembre 1 994 n. 455. L'incompatibilità è stata dichiarata dalla Corte cost., con sentenza 5 dicembre 2008, n. 400, anche nei confronti di quel giudice che, dopo aver deciso la trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 52 1 , comma 2, si trovi a decidere nella successiva udienza preliminare« riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato>>.
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è identico a quello contestato, ma che il titolo del reato risulta diverso da quello contenuto nell'imputazione. In tal caso il giudice nella sentenza dà al fatto la diversa definizione giuridica, purché il reato non ecceda la sua compe tenza ( 138), né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica (art. 5 2 1 , comma l , mod. dalla legge n. 144 del 2000). Ad esempio, se è stata contestata una circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.) , il giudice può condannare per truffa (art. 640); se è stato contestato un falso in scrittura privata (art. 485 c.p.), il giudice può condannare per uso di atto falso (art. 489 c.p.) ( 139). ( 138) Occorre tenere presente quanto è stato deciso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, 1 1 dicembre 2007, Drassich c. Italia (in Dir. pren. proc. , 2009, 1 17): il principio del giusto processo (art. 6, § l e§ 3 , lett. a e b, CEDU) implica che l'imputato sia informato non solo del motivo dell'accusa (cioè dei fatti materiali posti a suo carico e sui quali si fonda l'accusa stessa) , ma anche, e in maniera dettagliata, della qualifìcazione giuridica data a tali fatti, in modo che egli possa esercitare il proprio diritto di difesa in modo concreto ed effettivo anche con riferimento alla nuova accusa quando l'ordinamento consente una diversa qualifìcazione del reato ad opera del giudice. Nel caso di specie, la Corte europea ha ritenuto violato il principio del contraddittorio in quanto non era prevedibile da parte dell'imputato che il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio potesse essere modificato nel reato di corruzione in atti giudiziari (art. 3 1 9-ter c.p.), perché quest'ultimo è un reato autonomo e non circostanza aggravante ed inoltre richiede un elemento intenzionale specifico in ordine al quale non era stata data alla difesa la possibilità di confrontarsi. A seguito della condanna dell'Italia, la Corte d'appello di Venezia, 4 giugno 2008, ha dichiarato l'ineseguibilità del giudicato ex art. 670 c.p.p. con riferimento alla pena per la corruzione in atti giudiziari. Quindi, la Cass., sez. VI, 12 novembre 2008, ha dato effetto alla sentenza della Corte europea nel modo seguente: ha revocato, ai sensi dell'art. 625-bis c.p.p., la propria sentenza del 4 febbraio 2004, n. 23024, nei confronti di Drassich, limitatamente ai fatti corruttivi qualificati come reati di corruzione in atti giudiziari ex art. 3 1 9-ter c.p., e ha disposto che si proceda a una nuova trattazione del ricorso. Nella ricordata sentenza la Cassazione ha affermato che è dovere primario della giurisdizione verificare se la disciplina processuale abbia già una regola che, in considerazione dei contenuti e della specificità del caso, renda percorribile l'attuazione delle sentenze europee. A tal fine, la Cassazione ha applicato per analogia l'art. 625-bis che disciplina il ricorso per errore materiale o di fatto. Tale norma è stata estesa all'ipotesi in cui, anziché un vero e proprio errore di fatto, si sia verificata una violazione del diritto di difesa che abbia reso iniqua la sentenza per violazione della Convenzione europea. Si veda infine Cass., sez. VI, 25 maggio 2009, n. 36323, nella quale il Collegio ha condannato il D., qualifìcando i fatti come reati di corruzione in atti giudiziari ex art. 3 1 9-ter c.p. e rigettando così il ricorso col quale la difesa chiedeva di rendere nota la possibilità di un'eventuale diversa qualificazione del reato e la concessione di un termine a difesa. D Collegio ha ritenuto che l'eventualità di una riqualifìcazione fosse già stata rappresentata nelle conclusioni della sentenza 28 novembre 2008 e nella sintesi delle statuizioni riportate nel dispositivo ed ha per questo ritenuto rispettata ed attuata la regola di sistema dettata dalla Corte europea. La S. C. ha affermato: «nel giudizio di legittimità, il diritto del ricorrente a essere informato in modo dettagliato della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico deve ritenersi soddisfatto, quando l'eventualità di una diversa qualifìcazione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio sia stata rappre sentata al difensore dell'imputato con un atto del Collegio, in modo che la parte abbia potuto beneficiare di un congruo termine per apprestare la propria difesa>>. ( 13 9) La giurisprudenza adotta un criterio di tipo sostanziale per valutare se la modifica attiene soltanto all'aspetto giuridico e non intacca il fatto storico; in particolare, tiene conto se la nuova qualificazione abbia violato il diritto di difesa. Partendo da tale premessa, consente la differente qualificazione quando il reato è stato "derubricato", e cioè comporta una sanzione meno grave, anche se gli elementi strutturali del reato sono differenti. Ad esempio, si è ammesso il passaggio dall'imputazione di estorsione alla condanna per esercizio arbitrario delle proprie ragioni sulla base dell'identità della condotta ("costringe a fare") anche se il presupposto nel primo caso è il "profitto ingiusto", mentre nel secondo è l'esercizio del diritto; così Cass., sez. VI, 2 1 marzo 1 995, Morongiu, in CED, n. 20168 1 . E ancora, non si è ritenuto violato il principio di correlazione quando l'imputato, al quale era stata contestata l'estorsione, ha dedotto a sua difesa l'esistenza
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Viceversa, come si è accennato, se è stata contestata la corruzione (art. 3 19 c.p.), il giudice non può condannare per il più grave reato di concussione (art. 3 17 c.p.) poiché ciò comporta la presenza di elementi diversi ed aggiuntivi (l'abuso della qualità o dei poteri e l'induzione) ( 1 40) ( 14 1 ) . f) Invalidità. L'inosservanza delle disposizioni a tutela della correlazione tra accusa e sentenza è prevista come nullità dall'art. 522 , comma l ; a parere della giurisprudenza, si tratta di un nullità intermedia poiché si è violato il principio del contraddittorio. Ai sensi dell'art. 522, comma 2 « la sentenza di condanna pronunciata per un fatto nuovo, per un reato concorrente o per una circostanza aggravante senza che siano state osservate (le predette disposizioni) è nulla soltanto nella parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente o alla circo stanza aggravante ». La facoltà dell'imputato di chiedere riti semplificati in caso di contesta zione del fatto diverso o di contestazione di un reato concorrente. La Corte costituzionale, con le sentenze n. 265 del 1 994 e n. 333 del 2009, ha dichiarato la illegittimità degli artt. 5 1 6 e 5 17 , nel senso che ha riconosciuto la facoltà dell'imputato di chiedere i predetti riti semplificati quando la contestazione del fatto diverso o del reato concorrente appare "tardiva" , perché concerne un fatto che « già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale », o anche, limitatamente al patteggiamento, quando l'imputato « ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione della pena in ordine alle originarie imputazioni ». Ancora, occorre tenere presente che, ai sensi dell'art. 14 1 , comma 4-bis disp. att., « in caso di modifica dell'originaria imputazione in altra per la quale sia ammissibile l'ablazione, l'imputato è rimesso in termini per chiedere l'ablazione medesima. li giudice, se accoglie la domanda, fissa un termine non superiore a dieci giorni, per il pagamento della somma dovuta. Se il pagamen to avviene nel termine il giudice dichiara con sentenza l'estinzione del rea to ». di artifici e raggiri e non di minacce, con conseguente condanna per truffa; così Cass., sez. II, 15 maggio 2000, Imbimbo, in Giur. lt., 2001 , II, 1465. ( 140) Per un caso particolare, v. Cass., sez. VI, 26 settembre 1996, in Cass. pen., 1997, 126 1 . In realtà, la prevalente giurisprudenza accoglie un criterio sostanziale, che tiene conto del fatto che la nuova qualificazione comporta una sanzione più grave. ( 1 4 1 ) Se, in seguito ad una diversa definizione giuridica, o alle contestazioni effettuate in dibattimento secondo la disciplina che abbiamo analizzato sopra, risulta un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare e questa non si è svolta, il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero (art. 521-bis, comma l , mod. dalla legge n. 479 del 1999). L'inosservanza di quanto sopra deve essere eccepita in un limite temporale stabilito a pena di decadenza, e cioè nei motivi di impugnazione (art. 52 1-bù, comma 2). Quanto detto vale anche nei casi previsti dagli am 516 e 517, quando le parti hanno eccepito il relativo difetto di attribuzione entro i termini degli am 5 16, comma l -bis e 517, comma l-bis, ed il giudice non abbia accolto l'eccezione. .
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24. La discussione finale.
La discussione finale, che ha inizio quando è terminata la istruzione proba toria, permette al pubblico ministero e ai difensori delle parti private di formulare le proprie conclusioni (art. 523 ). In tal modo, le valutazioni delle parti in ordine ai risultati probatori ottenuti in dibattimento possono portare un contributo utile alla decisione, che viene successivamente presa dal giudice ( 142) . Abbiamo già chiarito in apposita sede (parte II, cap. 3 ) che non esistono prove che abbiano un significato univoco. Ogni elemento di fatto deve essere collocato logicamente in una struttura argomentativa al fine di sostenere come si è svolta una condotta umana e se questa sia punibile. Anche quando qualcuno afferma che siamo in presenza della c.d. "pistola fumante " , occorre che sia provato quale mano impugnava l'arma, per quale motivo ha sparato e contro chi era diretto il colpo. A tal fine, è necessario che il pubblico ministero motivi le sue affermazioni e che altrettanto sia permesso alle altre parti private. L'ordine degli interventi. La discussione finale è diretta dal presidente del l' organo giudicante, che ha il potere di impedire ogni divagazione, ripetizione e interruzione (art. 523 , comma 3 ) . L'ordine degli interventi è disciplinato dal co dice in modo che l'accusa pubblica e privata precedano la difesa dell'imputato, attuando così il principio dell'onere della prova. Inoltre, le conclusioni del pub blico ministero sono formulate prima di quelle della parte civile, quasi a sotto lineare la posizione di accessorietà della stessa, che vede il suo intervento ten denzialmente limitato al tema del risarcimento del danno derivante dal reato. Le conclusioni del difensore del responsabile civile e della persona civil mente obbligata per la pena pecuniaria precedono quelle del difensore dell'im putato. Occorre sottolineare che le conclusioni sono formulate oralmente; tuttavia, è posto a carico della parte civile l'onere di presentare comunque « conclusioni scritte, che devono comprendere, quando sia richiesto il risarcimento dei danni, anche la determinazione del loro ammontare » (art. 523 , comma 2) (v. atto 3 .5.8). Se il difensore non adempie all'onere delle conclusioni scritte, la costi tuzione di parte civile si intende revocata ex lege (art. 82, comma 2 ) . L e repliche. I l pubblico ministero e i difensori delle parti private possono replicare; ma la replica è ammessa una sola volta e deve essere contenuta nei limiti strettamente necessari per la confutazione degli argomenti avversari (art. 523 , comma 4 ) . Di regola, l a discussione non può essere interrotta per l'assunzione d i nuove prove, se non in caso di assoluta necessità. Tuttavia, se questa si verifica, il giudice provvede ai sensi dell'art. 507, e cioè sia su richiesta di parte, sia ( 142) Sul punto, R. 0RLANDI, L'attività argomentativa delle parti nel dibattimento penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 452, ora in AA.Vv. La prova nel dibattimento penale, Torino, 1999, 14.
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d'ufficio (art. 523 , comma 6). Se la prova richiesta da una parte è decisiva, il giudice è obbligato ad ammetterla; un eventuale diniego può essere sottoposto a controllo mediante l'impugnazione della sentenza. In ogni caso, l'imputato e il suo difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi, se la chiedono (art. 523 , comma 5). Una volta che sia stata esaurita la discussione finale, il presidente dichiara chiuso il dibattimento (art. 524) e l'organo giudicante si ritira in camera di consiglio per deliberare la sentenza. SEz. V
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Gu ATTI succESSIVI AL DIBATTIMENTO. LA SENTENZA
25. Considerazioni generali.
Il codice regolamenta sia l'aspetto "procedimentale" attraverso il quale il giudice delibera, sia la "struttura" che deve avere la decisione. Il legislatore vuole sottolineare l'aspetto di razionalità che deve informare il momento della decisione. Le regole poste dal codice non toccano il libero convincimento del giudice, ma pongono limiti alle modalità con le quali il convincimento si forma e si manifesta. Per quanto concerne l'aspetto procedimentale, la sottofase degli " atti successivi al dibattimento" inizia nel momento in cui l'organo giudicante si ritira per deliberare in segreto in camera di consiglio e termina nel momento in cui la sentenza è depositata in cancelleria (ed è dato avviso alle parti, nei casi in cui tale avviso è dovuto per legge; art. 548) . 26. T empi e modi della deliberazione. Pubblicazione e deposito della sen tenza.
Ai sensi dell'art. 525 , comma 2 , « alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento ». Le modalità della deliberazione si riassumono nel principio di immediatezza, secondo cui deve esservi identità tra il giudice che ha assistito all'assunzione della prova e quello che decide. Sotto il profilo dei tempi, il codice pone la regola della concentrazione. Da un lato, la sentenza è deliberata « subito dopo la chiusura del dibattimento » (art. 525 , comma 1 ) . Da un altro lato, la deliberazione non può essere sospesa « se non in caso di assoluta impossibilità » (art. 525, comma 3 ) . Si vuole che colui che decide lo faccia in base a percezioni recenti e non a lontani ricordi. Le regole per la deliberazione. Il codice regola in modo minuzioso la procedura attraverso la quale il giudice deve deliberare. Le disposizioni appa iono ispirate al rigore logico delle priorità da decidere (art. 527) . In primo
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luogo, devono essere affrontate le questioni processuali, che potrebbero sfociare in decisioni che precludono l'esame nel merito, come avverrebbe se il giudice dovesse dichiararsi incompetente. Si tratta delle questioni preliminari che non siano state ancora risolte (art. 49 1 ) o di ogni altra questione relativa al processo (ad esempio, la dichiarazione di nullità di un atto) . In secondo luogo, « qualora l'esame del merito non risulti precluso », sono poste in discussione le questioni " di fatto" che concernono l'imputazione: il giudice valuta se i fatti affermati dalle parti sono dimostrati dalle prove acquisite. Successivamente, sono affrontate le questioni "di diritto" , e cioè i problemi interpretativi posti dalle norme penali. E ancora, se il giudice accerta la responsabilità dell'imputato e decide di condannarlo, sono poste in discussione le questioni relative all'applicazione delle pene e delle misure di sicurezza. A questo punto, se vi è stata costituzione di parte civile, è esaminata la richiesta di risarcimento del danno derivante dal reato (art. 527 , comma 1 ) . Il codice regola le modalità con cui l'organo collegiale deve deliberare: si tende a garantire la libertà morale dei componenti del collegio. I giudici sono tenuti ad enunciare « le ragioni della loro opinione » (art. 527, comma 2) perché all'interno del collegio giudicante vi sia una dialettica e non un mero scontro di posizioni preconcette. I giudici « votano su ciascuna questione qualunque sia stato il voto espresso sulle altre » poiché il convincimento può mutare in relazione all'esito del dibattito interno. Altre norme tendono a ridurre, nei limiti del possibile, l'influenza dovuta all'anzianità o alla carica: « il presidente raccoglie i voti cominciando dal giudice con minore anzianità di servizio e vota per ultimo. Nei giudizi davanti alla corte di assise votano per primi i giudici popolari, cominciando dal meno anziano per età » (art. 527 , comma 2 ) . Ulteriori norme impongono anche sotto il profilo procedimentale il rispetto del principio del /avor rei: in caso di parità di voti « prevale la soluzione più favorevole all'imputato ». E ancora, « se nella votazione sull'entità della pena o della misura di sicurezza si manifestano più di due opinioni, i voti espressi per la pena o la misura di maggior gravità si riuniscono a quelli per la pena o la misura gradatamente inferiore, fino a che venga a risultare la maggioranza ». In tal modo, la maggioranza si deve necessariamente formare intorno all'opinione che, al suo interno, vuole la pena minore ( 143 ) . L a deliberazione si svolge i n segreto in camera di consiglio, e cioè senza la presenza di altre persone che non siano i giudici. Costoro sono obbligati a mantenere il segreto sulla deliberazione (art. 125 , comma 4 ) . Colui che lo viola ( 143 ) Ad esempio, in una corte di assise due giudici propongono 28 anni di reclusione, due 27 anni, due 26 e due 25; la maggioranza si forma su 26 anni.
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compie il delitto di rivelazione di segreto d'ufficio (art. 326 c.p . ) . Le norme che impongono il segreto hanno lo scopo di garantire la libertà morale della singola persona che fa parte dell'organo giudicante ( 144) . L a concezione tradizionale del principio di imparzialità vuole che il giudice possa decidere senza timori di mali e senza speranze di vantaggi (sine spe ac
metu) . n dispositivo della sentenza. Conclusa la deliberazione, il presidente dell'organo giudicante redige il dispositivo e lo sottoscrive (art. 544, comma 1 ) . In esso è riassunto il " comando" nel quale si traduce la decisione e che può essere, in sintesi, il proscioglimento o la condanna. Se il giudice ha deciso il proscioglimento, deve riassumere i motivi in una delle formule tipiche che esamineremo tra poco. Se ha deciso di condannare, il capo penale del dispositivo contiene l'indicazione della pena che viene applicata al colpevole; se vi è stata costituzione di parte civile, il capo civile del dispositivo contiene la decisione sul risarcimento del danno. Pubblicazione della sentenza. Una volta sottoscritto il dispositivo, l'organo giudicante rientra nell'aula di udienza ed il presidente (o altro giudice) lo legge (art. 545, comma 1 ) . Nei casi (di fatto eccezionali) nei quali la motivazione sia stata redatta insieme al dispositivo, essa viene letta o viene esposta in modo riassuntivo; in tal caso, la lettura equivale a notificazione della sentenza per le parti che sono, o devono considerarsi presenti all'udienza (art. 545 , commi 2 e 3 ) . D i regola, accade che la motivazione non possa essere redatta immediata mente: se il caso è giunto fino al dibattimento, esso deve essere di una qualche complessità. Ed allora il codice prescrive il termine entro cui l'intera sentenza (composta di motivazione e dispositivo) deve essere depositata in cancelleria. n termine ordinario per il deposito è di quindici giorni (art. 544, comma 2 ) . S e la motivazione si presenta come « particolarmente complessa », il giudice indica nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia (art. 544, comma 3 ) ( 145 ) . n deposito della sentenza. L'intera sentenza (comprensiva di motivazione e dispositivo) è sottoscritta dal presidente e dal giudice estensore (art. 546, comma 2 ) . Essa deve essere depositata in cancelleria entro i termini indicati a suo tempo nel dispositivo, quando è stato letto in udienza. Il pubblico ufficiale addetto (e cioè il cancelliere) vi appone la sottoscrizione e la data del deposito (art. 548, comma 1 ) . Quando la sentenza non è depositata entro il quindicesimo giorno né entro ( 144) Ai sensi dell'art. 125, comma 5, si procede alla verbalizzazione dell'opinione dissenziente con l'indicazione del nominativo di chi l'ha espressa soltanto se quest'ultimo lo richiede. Tutto ciò ai fini della legge n. 1 1 7 del 1988 sulla responsabilità civile dei magistrati. ( 145) Sul nuovo istiruto della separazione dei procedimenti in sede di condanna, introdotto dalla legge n. 4 del 200 1 , di conversione del decreto legge n. 3 4 1 del 2000, si veda in/ra, par. 3 3 .
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il diverso termine indicato nel dispositivo, l'avviso di deposito deve essere comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti private (cui spetta il diritto di impugnare) e al difensore dell'imputato (art. 548, comma 2 ) . L'avviso d i deposito con l'estratto della sentenza è in ogni caso notificato all'imputato contumace ed è comunicato al procuratore generale presso la corte d'appello (art. 548, comma 3 ) . 27. I requisiti della sentenza. La motivazione. La decisione del giudice si manifesta nella sentenza, della quale il codice indica in modo dettagliato i requisiti formali. Ai sensi dell'art. 546 la sentenza ha il seguente contenuto. a) L'intestazione « in nome del popolo italiano » e l'indicazione dell'au torità che l'ha pronunciata. b) Le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono ad identificarlo (ad esempio, il soprannome) nonché le generalità delle altre parti private. c) L'imputazione (comprensiva dell'enunciazione del fatto storico adde bitato e delle norme di legge che lo prevedono come reato) . d) L'indicazione delle conclusioni delle parti ( ad esempio, l a pena richiesta dal pubblico ministero e le richieste del difensore) . e ) La concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto s u cui la decisione è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie. È questo il profilo maggiormente innovativo rispetto al precedente codice; non vi sarebbe diritto alla prova, se poi il giudice potesse omettere di valutare i risultati emersi dalla stessa. /) n dispositivo con l'indicazione degli articoli di legge applicati. g) La data e la sottoscrizione del giudice (e cioè del presidente e dell'estensore della sentenza). La sentenza è nulla se manca la sottoscrizione del giudice o la motivazione, o anche se manca o è incompleto nei suoi elementi essenziali il dispositivo (art. 546, comma 3 ) . n contenuto sostanziale della sentenza. Dal punto di vista del contenuto sostanziale della sentenza, la prassi giudiziaria distingue al suo interno i " capi" ed i "punti " . Il " capo" della sentenza è identificabile con la singola imputazione; il "punto" è costituito da una tematica di fatto o di diritto che deve essere trattata e risolta per giungere alla decisione in merito ad una o più imputazioni. Nel caso in cui occorra completare la motivazione insufficiente ovvero manchino o siano insufficienti gli altri requisiti previsti dal codice, purché si tratti di errori od omissioni « che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto » (art. 130), si deve attivare
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il procedimento per la correzione degli errori materiali (art. 547 ) . Si possono ipotizzare casi in cui siano incomplete le indicazioni personali atte ad identifi care l'imputato oppure manchi l'enunciazione dell'imputazione. Il procedimento che porta alla correzione degli errori materiali è disposto (d'ufficio o su richiesta di parte) dal giudice che ha emesso il provvedimento (art. 130). Il giudice provvede in camera di consiglio previo avviso alle parti che possono intervenire (art. 127 ) . Se la sentenza è stata impugnata, la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere l'impugnazione. La motivazione. La valutazione degli elementi di prova costituisce per le parti quell'onere sostanziale che si esplica nel loro potere di argomentare; la medesima attività rappresenta per il giudice un vero e proprio dovere. Egli, infatti, « valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati » (art. 1 92 , comma l ) ; il giudice espone i motivi del suo convincimento indicando le « prove poste a base della decisione » ed enun ciando le ragioni della loro attendibilità e le ragioni della non attendibilità delle prove contrarie (art. 546, comma l lett. e). Passiamo ora ad analizzare i singoli aspetti della motivazione. La valutazione delle prove costituisce un'attività legale e razionale. Legale, perché si esercita su prove legittimamente acquisite (art. 526) : soltanto ciò che è validamente acquisito può (anzi deve) essere valutato ai fini decisori. Razio nale, perché implica l'obbligo di motivare, di giustificare la decisione secondo criteri di ragionevolezza nel rispetto di tre ordini di regole: della logica, della scienza, dell'esperienza corrente ( 146) . Tali criteri debbono essere messi oggi in correlazione con lo standard probatorio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, codificato all'art. 533 comma l . Nella motivazione il giudice deve spiegare perché le prove d'accusa, valutate anche alla luce degli elementi addotti dalla difesa, sono tali da eliminare ogni dubbio ragionevole o, viceversa, perché tali prove mancano o risultano insufficienti o contraddittorie, e cioè inidonee a convincere il giudice che l'imputato sia colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. I risultati acquisiti. Innanzitutto, occorre premettere che l'art. 1 92 , comma l con l'espressione " risultato probatorio" indica chiaramente l'esito di un percorso argomentativo; si riferisce, evidentemente, non ad un quid esistente sul piano materiale, ma al punto di approdo di una operazione mentale applicata agli elementi precedentemente raccolti ( 147). Pertanto, non vi sono dati di fatto ( 146) 1 998, 589. ( 147)
Così P. FERRUA, Un giardino proibito per il legislatore: la valutazione delle prove, in Quest. giust. ,
In questo senso, L. FERRAJOLI, Diritto e ragione, Bari, 1989, 98, per il quale, le prove sono << eventi presenti interpretabili come segni di eventi passati >>. Sul punto v., diffusamente, L. LoMBARDO, La prova giudiziale, Milano, 1999, XI, per il quale « il concetto di prova nella sua più intima essenza, non è tanto un mezzo di cui il giudice si serve per attingere i dati di fatto utili ai fini del giudizio, quanto un ragionamento probatorio che concorre a formare il giudizio sul /actum probandum ».
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che siano accettabili di per sé, ovvero "prove" il cui valore sia determinato a priori; al contrario, in ogni caso è necessaria quell'attività raziocinante del giudice che serve ad accertare l'attendibilità della dichiarazione e la credibilità della fonte. Ed è proprio per questo motivo che il giudice è tenuto a " dare conto" delle operazioni compiute e dei risultati raggiunti. I criteri adottati. Gli artt. 1 92 e 546, comma l lett. e diventano, pertanto, complementari nel descrivere il percorso argomentativo della decisione del giudice. L'art. 1 92 richiede l'esposizione dei criteri (es. delle massime di esperienza) utilizzati nella valutazione degli elementi di prova, singolarmente presi e nel loro complesso, e cioè in rapporto tra loro ( 148). L'art. 546, comma l lett. e, attraverso il prescritto vaglio delle opposte ragioni, recepisce e traduce l'esigenza del confronto tra le diverse ipotesi ricostruttive del fatto, che sono state elaborate dalle parti. In questo caso, il giudice è chiamato a scegliere quella ricostruzione del fatto (è cioè quella "storia" ) che è capace di fornire una spiegazione ragionevole a tutti gli elementi raccolti. In altri termini, i due articoli sono complementari, in quanto l'uno indica, per così dire, i mattoni con i quali si costruisce quell'edificio, che è considerato dall'altro ( 149). Naturalmente, il ragionamento del giudice non avrà il carattere dell'incon futabilità logica, bensì quello, meno cogente, della accettabilità razionale. Connaturale a questa forma di razionalità è l'obbligo di motivazione. In essa il giudice è tenuto a " dar conto" delle scelte operate; soltanto attraverso la motivazione è possibile un controllo sul ragionamento del giudice. Motivare, infatti, vuol dire esporre le ragioni di un convincimento, di un giudizio; esporre le ragioni implica un intento di giustificazione di una scelta compiuta. n carattere dialogico della motivazione. Ancora, l'art. 546, comma l , lett. e, richiede che, nel giustificare le proprie scelte in ordine alle prove che stanno alla base del suo convincimento, il giudice dia conto anche dell'eventuale esistenza di prove che con tale convincimento contrastano e delle ragioni per cui egli le ha ritenute non convincenti. Infatti, il giudice non può limitarsi a scegliere un'ipotesi ricostruttiva del fatto e ad enunciare le prove che la confermano, ma (148) In argomento, v. F.M. lACOVIELLO, La motivazione della sentenza penale e il suo controllo in Cassazione, Milano, 1997, 167 ss., a proposito di "valutazione atomistica" e "valutazione molecolare" della prova. Nel primo caso, il giudice prende in considerazione il singolo elemento di prova, sceglie la regola di inferenza più adeguata, la applica al dato probatorio e ne trae un risultato. Nel secondo caso, il giudice è chiamato ad inserire tale risultato nel contesto di tutte le altre prove raccolte. Ad es., l'attendibilità di una testimonianza deve essere valutata nel contesto globale delle prove che riguardano l'imputazione, non essendo sufficiente la semplice valutazione della sua coerenza intrinseca. ( 149) È in quest'ottica, che si possono comprendere quelle pronunce della Suprema Corte volte ad indicare al giudice i criteri che devono essere seguiti per una valutazione unitaria del contesto probatorio. li giudice, infatti, dopo aver considerato il valore autonomo di ciascun elemento di prova, deve verificare se i singoli fatti << ricostruiti in sé e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere alla verità processuale >> (Cass., 25 giugno 1996, Cotoli, in Arch. n. proc. pen., 1997, 345; Cass., 28 settembre 1992,
ivi, 1993, 334).
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deve anche indicare le ragioni che lo hanno portato ad escludere le ipotesi antagoniste ed a ritenere non attendibili le prove contrarie addotte ( 150). È proprio qui che si coglie la novità introdotta dal codice del 1988. La struttura della motivazione assume un carattere dialogico (alcuni dicono "bi nario" ) nel senso che essa deve dar conto del conflitto sulle prove e di quello sulle ipotesi. Una motivazione che prendesse in considerazione solo le prove a favore e non anche le prove contrarie (oppure soltanto l'ipotesi e non le controipotesi) , certamente potrebbe costituire un ragionamento coerente, ma perderebbe quella struttura dialogica che è legalmente imposta. Giurisdizione e motivazione. Esiste un nesso inscindibile tra giurisdizione e motivazione; questo emerge dalla Costituzione (art. 1 1 1 , comma 6): « tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati ». È tipico dell'obbligo costituzionalmente sancito il suo ricollegarsi a comportamenti che hanno fun zione decisoria, al fine di renderli conoscibili dalle parti e controllabili ad opera dei giudici di appello e dell'opinione pubblica ( 15 1 ) . L a motivazione è, dunque, una " componente strutturale necessaria" dei provvedimenti del giudice e costituisce una conquista della nostra civiltà giuridica. Inoltre, non avrebbe senso imporre al giudice l'obbligo di motivare ammettendo, però, che egli possa non enunciare in modo adeguato e completo le ragioni della sua decisione ( 152). La completezza della motivazione. li requisito della completezza della motivazione deve riguardare sia la decisione in fatto, sia quella in diritto. Quest'ultima non suscita particolari problemi; talvolta, le sentenze sono moti vate in diritto in modo sin troppo esteso, come se il giudice volesse mostrare ad ( 150) Cfr. F.M. lAcoVIELLO, La motivazione della sentenza penale, cit., 226. ( 1 5 1 ) t ormai entrata nell'uso prevalente della dottrina la distinzione tra funzione endoprocessuale e funzione extraprocessuale della motivazione. La prima consiste nell'esigenza di garantire le parti del processo sulla esattezza e correttezza della decisione. La sua funzione è quella di rendere possibile un controllo interno al processo (o meglio, interno al sistema giurisdizionale) sul fondamento della sentenza ed è strettamente connessa alla possibilità dell'impugnazione. Per quanto riguarda la funzione extraprocessuale, si fa notare che il processo è anche un fatto che riguarda l'intera comunità. Sotto questo profilo, la motivazione svolge una funzione essenzialmente demo cratica in quanto rende possibile un controllo esterno sul fondamento della decisione. Il giudice, infatti, motivando la sua decisione, rende conto del proprio operato e giustifica il modo con cui ha esercitato il suo potere (così ex art. 101, comma l Cost., << la giustizia è amministrata in nome del popolo >>). ( 152) Questo non significa che il giudice debba argomentare su ogni minimo dettaglio, poiché ciò produrrebbe motivazioni ridondanti e sostanzialmente inutili. Occorre, invece, che egli motivi su tutto ciò che è rilevante, ossia su tutte le scelte che influiscono sull'esito finale della controversia e su quelle premesse del suo ragionamento, che sono state (o potrebbero essere) ragionevolmente messe in dubbio. Occorrerà, dunque, giustificare le scelte influenti nel contesto della decisione (in fatto e in diritto) ed i criteri su cui tali scelte vengono fondate. Ciò basta ad escludere che siano da considerare vere motivazioni i discorsi privi di razionalità, le divagazioni, gli argomenti superflui e non attinenti alla decisione ed ogni altra variazione che equivalga, in buona sostanza, ad una motivazione fittizia. Si può considerare motivazione fittizia (o pseudo-motivazione) quella priva di veri argomenti, dotati di consistenza logica o che, comunque, non esprime, dissimula e non giustifica le scelte decisorie del giudice.
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ogni costo di essere un giurista tecnicamente preparato. Spesso, invece, le sentenze non sono adeguatamente motivate in fatto, come se si volesse sottoli neare che tale aspetto ha minore importanza. A nostro avviso, invece, una corretta giustificazione della ricostruzione del fatto costituisce la premessa per un'esatta applicazione della norma ( 153 ) . Inoltre, va sottolineato come non sia sufficiente che il giudice dica generi camente di aver utilizzato le prove assunte nel processo o affermi che è pervenuto all'accertamento del fatto sulla base della deposizione di Tizio, del risultato della perizia svolta da Caio o della perquisizione domiciliare effettuata dalla polizia giudiziaria. È necessario, invece, che sia indicato anche il contenuto della deposizione testimoniale, il parere del perito o l'esito della perquisizione. Solo in questo modo la motivazione diventa un rimedio contro l'arbitrio, perché la controllabilità del discorso giustificativo del giudice scaturisce dal rapporto tra "elementi di prova" e "fatti accertati" . L'esposizione delle prove, tuttavia, non basta ad esaurire il dovere di motivare in fatto. Come è stato giustamente osservato, « il concetto di motiva zione esprime più di quanto non esprima quello di indicazione » oggi utilizzato dall'art. 546, lett. e ( 154). Motivare significa, infatti, « rendere esplicito anche il canone di argomentazione utilizzato per arrivare all'affermazione della sussi stenza (o della insussistenza) del fatto imputato » ( 155 ) .
28. La sentenza di non doversi procedere. All'interno della generale categoria delle sentenze di proscioglimento, il codice pone una fondamentale distinzione tra sentenza di non doversi procedere (artt. 529 e 53 1 ) e sentenza di assoluzione (art. 530). li criterio è il seguente. Soltanto le sentenze di assoluzione possono contenere un vero e proprio "accertamento" , che il giudice ha operato mediante le prove. Pertanto esse sono idonee a fondare l'efficacia del giudicato nei processi civili, amministrativi e disciplinari, in base agli articoli 652-654. Viceversa, le sentenze di non doversi procedere non contengono un accer tamento del fatto storico, bensì si limitano a statuire su aspetti processuali che impediscono tale accertamento. Per siffatto motivo, esse sono comunemente definite come pronunce "meramente processuali" . Le formule terminative. Vi è un aspetto formale che è comune ai due tipi di proscioglimento. Quando il giudice pronuncia una sentenza sia di non doversi Sul punto v . M. TARUFFO, Il vertice ambiguo, Bologna, 199 1 , 128. Così D. SIRACUSANO, I provvedimenti penali e le motivazioni implicite per relationem e sommarie, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1958, 399. ( 155) Sul punto v. E. AMomo, voce Motivazione della sentenza penale, in Enc. dir. , XXVII, Milano, 1977, 209. (153) ( 154)
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procedere, sia di assoluzione, egli deYe precisarne la causa, e cioè la cosiddetta formula terminativa che costituisce una sorta di riassunto della motivazione della decisione. Le formule terminative sono previste dalla legge in modo tassativo negli artt. 529-53 1 . n codice impone al giudice di precisarle nel dispositivo non soltanto perché alcune di esse sono idonee a determinare gli effetti del giudicato, ma anche perché tutte favoriscono una maggiore intelligi bilità del contenuto e della motivazione della decisione. a) Sentenza di non doversi procedere perché l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita. La sentenza ha questa formula terminativa quando manca la condizione di procedibilità prevista dalla legge per quella determinata fattispecie incriminatrice (art. 529) . Può difettare la querela, l'istanza, la richiesta, l'autorizzazione a procedere. La medesima formula di non doversi procedere deve essere utilizzata per altre cause di improcedibilità che non sono menzionate espressamente nell'art. 529, come nei casi in cui il giudice ritenga che vi sia stato un errore sull'identità fisica dell'imputato (art. 68) , o che si stia procedendo contro la medesima persona per un fatto già accertato con una sentenza irrevocabile (art. 649, comma 2 ; c.d. principio del ne bis in idem) , o che sia stata confermata l'esistenza di un segreto di Stato in relazione ad una prova essenziale per definire il processo (art. 202 , comma 3 ) . Alla situazione in cui manca la prova della condizione di procedibilità (es. querela) è equiparata quella in cui la prova dell'esistenza della medesima è insufficiente o contraddittoria (art. 529, comma 2 ) . Si tratta di un'applicazione del principio in dubio pro reo. Se il giudice ha un ragionevole dubbio sulla esistenza della querela (o sulla tempestività della stessa), la situazione è identica alla mancanza della querela: il giudice deve pronunciare sentenza di non doversi procedere. Come vedremo, questo principio vale per tutte le sentenze sia di non doversi procedere, sia di assoluzione. b) Sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato (art. 531). n codice penale prevede varie cause di estinzione del reato: la morte del reo prima della condanna (art. 150 c.p . ) ; l'amnistia (art. 15 1 c.p.); la remissione di querela (art. 152 c.p.); la prescrizione del reato (art. 157 c.p.) ; l'ablazione nelle contravvenzioni (artt. 1 62 e 1 62-bis c.p. ) ; il perdono giudiziale per i minorenni (art. 169 c.p.). Ulteriori cause estintive sono previste in relazione a singoli reati (es. art. 64 1 c.p.) . n riconoscimento delle predette cause estintive non impedisce al giudice civile di accertare la sussistenza del fatto. In tal caso si produrranno gli effetti civili (l'obbligo del risarcimento del danno, art. 1 85 c.p . ) . Ebbene, s e nel corso del processo penale s i manifesta una causa di estinzione del reato, il giudice deve dichiararla immediatamente ed il processo non può proseguire (art. 129, comma l c.p.p.). La causa di estinzione è dichiarata mediante una sentenza di non doversi procedere: al giudice è impedito di pronunciare un " accertamento " della esistenza del reato e della responsabilità dell'imputato.
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Dunque, la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato è una sorta di "sentenza in ipotesi" ; essa valuta la punibilità del fatto in astratto. Per tale motivo non vi è un vero e proprio " accertamento" ( 156) e, pertanto, la sentenza non è idonea a formare giudicato nei confronti dei processi civili, amministrativi e disciplinari che hanno ad oggetto il medesimo fatto (artt. 652-654). Né è idonea a incrinare la presunzione d'innocenza dell'imputato che è garantita dalla Costituzione (art. 27 comma 2) e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (art. 6 comma 2 ) . n giudice pronuncia sentenza dinon doversi procedere per estinzione del reato enunciandone la causa nel dispositivo (art. 53 1 , comma l ) che, pertanto, men zionerà la singola causa estintiva. Il giudice adotta tale pronuncia sia quando vi è la prova della esistenza della causa estintiva, sia quando vi è il dubbio sull'esistenza della medesima: si applica il principio in dubio pro reo (art. 53 1 , comma 2 ) .
29. Sentenza di non doversi procedere e interesse dell'imputato all'assolu ztone. Il codice tiene conto di un ulteriore aspetto. L'imputato ha interesse ad ottenere l'assoluzione nel merito perché questa formula è oggettivamente più vantaggiosa rispetto alla sentenza di non doversi procedere. Infatti, l'accerta mento che il fatto non sussiste, o che l'imputato non lo ha commesso, o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, vale a scagionare nel merito l'imputato. Di fronte all'opinione pubblica una sentenza di assoluzione con le formule menzionate ha un effetto ampiamente liberatorio. Il codice tende a contemperare l'interesse dell'imputato con le esigenze di economia processuale che impongono di non proseguire oltre col processo in presenza di una causa di improcedibilità. In tale situazione pone al giudice l'obbligo di pronunciare sentenza di assoluzione se « dagli atti risulta evidente » l'innocenza dell'imputato per uno dei motivi sopra elencati (art. 129, comma 2 ) . D a quanto esposto s i ricava che l'assoluzione nel merito rimane subordinata ad una situazione in cui l'innocenza sia evidente e ciò risulti dagli atti. Non è consentito al giudice acquisire ulteriori mezzi di prova, dovendo l'innocenza risultare dagli atti esistenti nel momento in cui si verifica il fatto estintivo, anche se sulle risultanze che derivano da tali atti sarà doveroso che il giudice compia le valutazioni logiche che si rendono necessarie. Per ovviare a questo stato di cose, il nuovo comma 7 dell'art. 157 c.p . , introdotto dalla legge 5 dicembre 2005 n. 25 1 , dispone che « l a prescrizione (del reato) è sempre espressamente rinunciabile dall'imputato ». ( 156) Cass. pen., sez. V, 1 5 aprile 1999, Barba, in Cass. pen., 2000, 2065, ritiene sufficiente una motivazione implicita.
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30. La sentenza di assoluzione. Con la sentenza di assoluzione il giudice compie un accertamento sull'esitenza o meno del fatto storico addebitato all'imputato. n codice impone al giudice di utilizzare una delle formule tipiche che costituiscono il "riassunto" dei motivi della decisione. Tali formule, previste dall'art. 530, sono tassative e derivano dalla necessità di precisare gli effetti del giudicato in altri processi civili, amministrativi e disciplinari (artt. 652-654). Nell'enunciare le formule terminative il codice segue una vera e propria gerarchia, perché inizia con quelle più favorevoli all'imputato e termina con le formule meno favorevoli, utilizzando come criterio il pregiudizio morale che può derivare dall'ammettere che comunque l'imputato ha commesso un deter minato fatto, anche se esso non è penalmente illecito o, in alcuni casi, è semplicemente non punibile. Nelle situazioni in cui sarebbe possibile applicare insieme più formule, il giudice deve pronunciare la formula più ampiamente liberatoria. La scelta del codice, di prevedere più formule di assoluzione, non appare ragionevole. L'accoglimento della presunzione di innocenza impone, a chi accusa, l'onere di eliminare ogni ragionevole dubbio sulla reità. Penamo, l'alternativa dovrebbe essere esclusivamente tra "colpevole" e "non colpevole" . Gli argomenti, che inducono a prosciogliere, dovrebbero essere contenuti nella motivazione della sentenza e non apparire nel dispositivo; altrimenti potrebbero costituire un pregiudizio quando la formula non è totalmente liberatoria ( 157). a ) Assoluzione perché "il fatto non sussiste". Tale formula deve essere adottata quando il fatto di reato, addebitato nell'imputazione, non trova conforto nelle risultanze processuali. Ciò significa che il fatto storico ricostruito mediante le prove non rientra nella fattispecie incriminatrice dal punto di vista degli elementi oggettivi, poiché non risultano presenti gli elementi di fatto che dovrebbero integrare la condotta, l'evento o il rapporto di causalità. b) Assoluzione perché "l'imputato non ha commesso il fatto". La formula è utilizzata quando il fatto, addebitato all'imputato, sussiste dal punto di vista del solo elemento oggettivo, ma il reato non è stato commesso dall'imputato, bensì da un'altra persona. c) Assoluzione perché "il fatto non costituisce reato". In questo caso il fatto addebitato nell'imputazione è stato commesso dall'imputato e sussiste nei suoi elementi oggettivi, previsti dalla fattispecie incriminatrice, e tuttavia il fatto non è un illecito penale ( ''non costituisce reato " ) . Possono mancare o quello specifico elemento soggettivo che è richiesto dalla ( 157) A ben vedere, infatti, il tema di prova del processo penale è la fondatezza del capo di imputazione e non le ipotesi alternative prospenate dalla difesa o comunque risultanti dall'esito dell'istruzione dibattimentale.
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norma incnmmatrice (dolo, colpa, preterintenzione) o uno degli elementi oggettivi che costituiscono il presupposto della condotta o dell'evento, come avviene quando è carente la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio (artt. 357 e 358 c.p.) quando questa è richiesta, o la situazione di "imprenditore fallito" nel delitto di bancarotta. n giudice utilizza la formula " il fatto non costituisce reato " anche quando sono integrati sia l'elemento oggettivo, sia quello soggettivo, ma il fatto è stato commesso in presenza di una delle cause di giustificazione. Infatti, queste eliminano l'antigiuridicità e rendono lecito il fatto sia ai fini del diritto penale, sia ai fini del diritto civile e amministrativo. Ad esempio, l'imputato ha volontariamente ucciso, ma lo ha fatto in situazione di legittima difesa. d) Assoluzione perché "il fatto non è previsto dalla legge come reato". In questo caso il fatto storico indicato nell'imputazione non rientra in alcuna fattispecie incriminatrice né sotto il profilo oggettivo, né sotto quello soggettivo. Siamo di fronte ad un'assoluzione in punto di diritto (in iure). n fatto contestato è stato commesso, ma è estraneo a qualsiasi norma incriminatrice: è stato attribuito all'imputato per un errore di valutazione giuridica del pubblico ministero. La formula è utilizzata anche quando il fatto era previsto come reato, ma la relativa norma di legge ha perso efficacia. Ciò avviene quando la Corte costituzionale dichiara illegittima una norma penale (v. in proposito la sentenza n. 126 del 19 dicembre 1 968, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il reato di adulterio previsto dall'art. 559 c.p.) o quando una legge depenalizza determinati reati, trasformandoli in illeciti amministrativi (come esempio, v. la legge 24 novembre 1 98 1 , n. 689) . e) Assoluzione perché "il reato è stato commesso da una persona non imputabile o non punibile per un 'altra ragione". La formula è utilizzata quando il giudice accerta che il fatto è stato commesso ed è penalmente illecito, ma l'imputato non è punibile in concreto. Infatti, egli può essere non imputabile (perché minore di quattordici anni o totalmente infermo di mente); può essere coperto da una causa di non punibilità (dovuta, ad esempio, al rapporto di parentela previsto in relazione ai delitti contro il patrimonio commessi senza violenza alle persone; art. 649 c.p . ) ; infine, può essere penalmente immune (ad esempio, gli agenti diplomatici accreditati presso lo Stato italiano) . L'immunità può essere limitata a determinati reati, come avviene nel caso dell'art. 68, comma l Cast. , secondo cui « i membri del parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni ». La presente formula terminativa è la più sfavorevole. Da un lato, il giudice riconosce che l'imputato ha commesso un fatto penalmente illecito, anche se lo dichiara esente da pena: l'opinione pubblica può percepire facilmente il giudi zio di disvalore sociale espresso dalla sentenza. Da un altro lato, se il giudice
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accerta che l'autore del reato è non imputabile, m a pericoloso socialmente, deve applicargli la misura di sicurezza prevista dalla legge (ad esempio, nel caso di infermo totale di mente, l'ospedale psichiatrico giudiziario; art. 222 c.p . ) . Parimenti avviene quando il giudice riconosce che l'imputato h a commesso un "quasi reato " , come avviene nel reato impossibile (art. 49, comma 4 c.p.) o nell'istigazione non accolta (art. 1 15 , comma 4 c.p.): con la sentenza di assoluzione il giudice può applicare la misura di sicurezza della libertà vigilata all'autore del fatto, se questi è pericoloso (art. 229 c.p.) .
31. La mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova di reità. Le formule assolutorie che abbiamo illustrato devono essere applicate dal giudice sia quando manca la prova della reità dell'imputato, sia quando tale prova è insufficiente o contraddittoria. Come abbiamo visto nel capitolo sui princìpi generali in tema di prova, ai sensi dell'art. 533 , comma l , mod. dalla legge n. 46 del 2006, l'accusa ha l'onere di eliminare ogni ragionevole dubbio. Dalla lettura simultanea dell'art. 530, comma 2 e dell'art. 533 si ricava che la prova di reità è insufficiente o contraddittoria quando lascia persistere un ragionevole dubbio sulla reità dell'imputato. È appena il caso di sottolineare che quella che appare una regola di giudizio asimmetrica, in realtà è una conseguenza della struttura e dello scopo del processo penale (C. CoNTI) . Quest'ultimo, infatti, in un sistema di tipo accusa torio è finalizzato ad accertare se i fatti si sono svolti così come l'accusa li ha ricostruiti nell'imputazione. Basta un ragionevole dubbio in merito a tale prospettazione perché il fatto di cui all'imputazione non possa ritenersi accer tato e, quindi, l'imputato debba essere assolto. Poiché l'innocenza dell'impu tato, come tale, non è tema di prova nel processo penale, il ragionevole dubbio sulla reità è necessario e sufficiente perché si pervenga all'assoluzione. n canone del ragionevole dubbio, lungi dal lasciare spazio all'intuizionismo del giudice, ha l'effetto di imbrigliare il libero convincimento. Occorre tenere presente quello che la dottrina definisce « modello normativa della motivazione in fatto » (G. CANzro) rappresentato dagli artt. 192 , comma l , 527, comma 2 , 546 comma l , lett. e c.p.p., nei quali si coglie un continuo richiamo ai « criteri » ed alle « ragioni » attraverso i quali il giudice ha preso una determinata decisione. È anche necessario considerare l'art. 606, lett. e, nel quale si menziona la « contraddittorietà » e la « illogicità » della motivazione come vizi che portano all'annullamento della sentenza. I canoni di razionalità impongono di oggettivare al massimo i passaggi logici della motivazione ed hanno lo scopo di rendere uniforme il criterio valutativo dei giudici, in conformità al principio di legalità, di uguaglianza e di ragionevolezza (v. supra, par. 27).
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32. Le disposizioni eventuali della sentenza di proscioglimento. Con la sentenza di proscioglimento (e cioè sia di non doversi procedere, sia di assoluzione) il giudice ordina la liberazione dell'imputato in stato di custodia cautelare e dichiara la cessazione delle altre misure cautelari personali eventual mente disposte (art. 532, comma 1 ) . Con la sentenza che assolve l'imputato « per cause diverse dal difetto di imputabilità » il giudice, se ne è fatta richiesta, condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile per effetto dell'azione civile, sempre che non ricorrano giustificati motivi per la compensazione totale o parziale. Se il danneggiato ha esercitato l'azione civile nel processo penale "per colpa grave" (equivalente alla lite temeraria nel processo civile; art. 96 c.p.c.) , il giudice può condannare la parte civile al risarcimento dei danni causati all'imputato assolto (ed all'eventuale responsa bile civile; art. 54 1 , comma 2 c.p.p.). Nel caso di assoluzione da un reato perseguibile a querela con le formule ampiamente liberatorie il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato ed alla rifusione delle spese e al risarcimento del danno a favore dell'imputato assolto (e dell'eventuale responsabile civile; art. 542, comma 1 ) . Con la sentenza di assoluzione il giudice applica le misure di sicurezza nei casi previsti dalla legge (art. 530, comma 4), ad esempio nelle ipotesi di quasi-reato (art. 49 c.p.) e nelle ipotesi di proscioglimento per infermità psichica (art. 222) . Con la sentenza di proscioglimento (ma lo stesso avviene con la sentenza di condanna) il giudice dichiara nel dispositivo la falsità di un atto o di un documento (art. 537) . Con lo stesso dispositivo è ordinata la cancellazione totale o parziale o la riforma dell'atto o del documento, con la prescrizione del modo con cui deve essere eseguita. La cancellazione o la riforma non è ordinata quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento.
33. La sentenza penale di condanna. Ai sensi dell'art. 533 comma l , così come integrato dalla legge n. 46 del 2006, il giudice pronuncia sentenza di condanna quando ritiene che l'imputato sia colpevole del reato contestatogli « al di là di ogni ragionevole dubbio » . Come abbiamo già precisato supra (parte Il, cap. 3) tale regola di giudizio costituisce applicazione della presunzione di innocenza dell'imputato e del l' onere della prova in capo al pubblico ministero.
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Lo standard probatorio richiesto per condannare è quello della probabilità gica (Cass., Sez. un., 1 0 luglio 2002, Franzese, in Foro it. , 2002 , 6 16 ) : per poter ,:;ermare la reità dell'imputato occorre che le risultanze probatorie determinino -:a certezza processuale al di là di ogni ragionevole dubbio in merito alla ndatezza della ricostruzione dell'accusa. I "punti" essenziali della sentenza di condanna sono l'accertamento della sistenza del fatto storico, la sua qualificazione come illecito penale, l' affer ::lazione che l'imputato lo ha commesso ed, infine, la determinazione della r-ena o di altra conseguenza penale. Inoltre, la sentenza pone a carico del .::ondannato il pagamento delle spese processuali e quella della eventuale :::ustodia cautelare (art. 535). Questo è il contenuto minimo della sentenza di .:ondanna. Vi sono poi altri " punti" eventuali che riguardano sia gli aspetti penali, sia -ingoli aspetti civili. Fra gli aspetti penali ricordiamo l'applicazione delle pene accessorie, delle misure di sicurezza, della sospensione condizionale (art. 163 c.p.), la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale art. 1 75 c.p.) e la dichiarazione di falsità di documenti o atti (art. 537). Vi sono leggi speciali che impongono di inserire nella sentenza di condanna ulteriori prescnzwm. Fra gli aspetti civili importante è la pronuncia sulla domanda di risarci mento del danno formulata dalla parte civile nelle sue conclusioni (art. 523 , comma 2). I "capi" della sentenza penale di condanna vengono in rilievo quando le imputazioni sono molteplici. Il codice regolamenta l'ipotesi in cui la condanna penale riguardi più reati (art. 533, comma 2 ) : il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e, quindi, ne determina la misura in osservanza delle norme sul concorso di reati o di pene e sulla continuazione. Facciamo un esempio per delineare la scansione logica della deliberazione della sentenza penale di condanna (v. tav. 5 .2 . 1 ) . Il giudice accerta la sussistenza di un fatto di reato, afferma la sua illiceità e la sua commissione da parte dell'imputato. Quindi il giudice determina la quantità della pena entro i limiti massimo e minimo previsti nella fattispecie incriminatrice (cosiddetta pena base); valuta se sono presenti aggravanti o attenuanti e, nel caso di contempo ranea presenza, se prevalgono le prime o le seconde ovvero se esse si equival gono (art. 69 c.p . ) . Una volta operato l'aggravamento o l'attenuazione entro i limiti di legge, risulta determinata la pena da applicare. A questo punto il giudice valuta se è possibile tramutare la pena in una sanzione sostitutiva (concedibile se la pena detentiva non è superiore a due anni; art. 53 , legge n. 689 del 1 98 1 e se può essere applicata la sospensione condizionale (concedibile, in estrema sintesi, se la pena detentiva non è supe-
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riore a due anni) ( 158). Le due valutazioni possono anche concorrere, ed allora il giudice applica una sanzione sostitutiva sospesa condizionalmente. Se nessuna delle due possibilità è praticabile, il giudice irroga la pena. Soltanto in fase esecutiva si porrà il problema di sostituire la pena detentiva con una misura alternativa. La separazione dei procedimenti in sede di condanna. Con il decreto legge n. 3 4 1 del 2000, convertito con modifìcazioni nella legge n. 4 del 200 1 , il legislatore ha introdotto un nuovo istituto che potremmo definire "separazione in sede di condanna" . n giudice nel pronunciare la sentenza di condanna può disporre la separazione dei procedimenti per i reati previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a (gravi delitti in materia di criminalità organizzata) anche se si tratta di più procedimenti a carico del medesimo imputato (v. tav. 3 .5 . 13 ) . La separa zione può essere disposta quando taluno dei condannati si trova in stato di custodia cautelare e sussiste il pericolo di scarcerazione per decorrenza dei termini (art. 533 , comma 3 -bis) . La questione relativa all'opportunità che sia disposta separazione in sede di condanna può essere affrontata dalle parti anche nel corso della discussione finale (art. 523 , mod. dalla legge n. 4 del 200 1 ) . Inoltre, il nuovo comma 3 -bis dell'art. 544 stabilisce che, nelle ipotesi di separazione in sede di condanna esaminate poc' anzi, il giudice deve provvedere alla stesura della motivazione separatamente per ciascuno dei procedimenti, accordando precedenza alla motivazione della condanna degli imputati in stato di custodia cautelare. In tal modo sarà possibile evitare la decorrenza dei termini, che è ricollegata all'avvenuto deposito della motivazione della sentenza della quale la parte abbia conoscenza ( 159). 34. Le statuizioni sulle questioni civili.
Quando pronuncia sentenza di condanna e vi è stata costituzione di parte civile, il giudice è tenuto a decidere sulla domanda relativa alle restituzioni ed ( 158) La legge 1 1 giugno 2004 n. 145 ha modilìcato, tra l'altro, l'art. 163 c.p. operando una complessa riforma. Anzitutto, è stato posto un primo limite di due anni, estendibile fino a tre nei confronti del minorenne e fino a due anni e sei mesi nei confronti della persona tra i diciotto e ventuno anni e oltre i settanta anni. Se questo primo limite non è superato dal cumulo tra pena detentiva e pena pecuniaria ragguagliata a detentiva (un giorno per euro 250,00), le due pene possono essere sospese condizionalmente. Se detto limite è superato, scatta un secondo limite di due anni per la sola pena detentiva: fino a tale soglia la pena detentiva può essere sospesa condizionalmente, a prescindere dalla entità della pena pecuniaria, che non può godere della sospensione. ( 159) La disposizione prevede altresì che il termine per il deposito della motivazione, pari a novanta giorni quando essa è particolarmente complessa, sia raddoppiato in relazione ai procedimenti che non hanno avuto la precedenza. Si veda, inoltre, il nuovo comma 4-bis dell'art. 154 disp. att., relativo alla redazione non immediata dei motivi della sentenza: « il presidente della corte d'appello può prorogare, su richiesta motivata del giudice che deve procedere alla redazione della motivazione, i termini previsti dall'articolo 544, comma 3 , del codice, per una sola volta e per un periodo massimo di novanta giorni, esonerando, se necessario, il giudice estensore da altri incarichi. Per i giudizi davanti al tribunale provvede il presidente del tribunale. In ogni caso del provvedimento è data comunicazione al Consiglio superiore della magistratura ».
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al risarcimento del danno. Tale pronuncia è possibile soltanto all'interno della sentenza penale di condanna, con un autonomo " capo" sulle questioni civili. La domanda risarcitoria non è accolta automaticamente. Il giudice deve valutare se il danneggiato era legittimato a costituirsi parte civile e se ha subito un danno derivante direttamente dal reato. La liquidazione del danno da reato. Se la parte civile ha subito un danno, il giudice condanna l'imputato a risarcirlo. Di regola, il giudice dovrebbe liquidarlo per intero, e cioè dovrebbe quantificare la somma dovuta a titolo di risarcimento (art. 538, comma 2 ) . Il "punto" della sentenza che liquida il danno non è prov visoriamente esecutivo; la provvisoria esecutività è dichiarata soltanto su richiesta di parte « quando ricorrono giustificati motivi » (art. 540, comma 1 ) . La condanna generica. Nella prassi giudiziaria raramente avviene la liqui dazione del quantum. Le prove sulla quantificazione del danno richiedono tempo e perizie, ed il processo penale non è la sede più adatta per svolgerle. Di conseguenza, quando le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, il giudice « pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile » (art. 539, comma 1 ) . La provvisionale immediatamente esecutiva. In previsione di una simile eventualità il difensore della parte civile, nelle conclusioni che presenta al termine del dibattimento, chiede che il giudice penale conceda una provvisio nale, e cioè liquidi una determinata somma « nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova » (art. 539, comma 2 ) . Se il giudice accoglie la richiesta, la condanna al pagamento della provvisionale è immediatamente esecutiva (art. 540, comma 2 ) . Inoltre, con l a sentenza che accoglie l a domanda sulle restituzioni e sul risarcimento del danno il giudice penale condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile « salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale » (art. 54 1 , comma 1 ) . Infine, il giudice s u richiesta della parte civile ordina la pubblicazione della sentenza di condanna (art. 543 ) qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato (art. 1 86 c.p.).
Parte Quarta I PROCEDIMENTI PENALI DIFFERENZIATI E SPECIALI
CAPITOLO I I PROCEDIMENTI SPECIALI
SoMMARio: l . Procedimenti penali differenziati e speciali. Il sistema accusatorio e la semplifica
zione del processo. - 2. La " specialità" dei procedimenti alternativi a quello ordinario. 3 . Il giudizio abbreviato. - 4. L'applicazione della pena su richiesta delle parti. -
5. Il
giudizio immediato. - 6. Il giudizio direttissimo. - 7. Il procedimento per decreto. - 8. L'oblazione.
l.
Procedimenti penali differenziati e speciali. D sistema accusatorio e la semplificazione del processo.
Fino a questo momento l'esposizione ha avuto ad oggetto il procedimento penale ordinario che si svolge presso il tribunale collegiale e la corte d'assise. Se assumiamo che detto procedimento costituisce il modello base, possiamo isolare due fondamentali "tipi" di modelli processuali che da esso si distinguono. I procedimenti differenziati. li primo tipo contiene quei riti che si staccano dal procedimento presso il tribunale collegiale nel senso che hanno una struttura completa (dalle indagini preliminari alle impugnazioni) , ma rispetto al modello base si caratterizzano per alcune particolarità. Possono essere definiti "procedimenti differenziati" i seguenti: quello presso il tribunale monocratico, quello presso il giudice di pace, quello presso il tribunale per i minorenni e quello che accerta la responsabilità amministrativa dell'ente. Essi si pongono come strutture parallele rispetto al procedimento presso il tribunale collegiale. I procedimenti speciali. Un secondo tipo ricomprende quei riti che si distaccano dal modello base perché si limitano ad omettere una delle fasi processuali, e cioè l'udienza preliminare o il dibattimento o entrambe. Il codice considera « speciali » i seguenti riti: il giudizio abbreviato ed il patteggiamento (che omettono il dibattimento); il giudizio immediato ed il procedimento direttissimo (che omettono l'udienza preliminare) ; ed infine, il procedimento per decreto (che omette entrambe le fasi) . Tra il modello base e tali riti è configurabile un rapporto tra genere e specie.
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I procedimenti penali differenziati e speciali
IV .I. l
Nell'ordine, tratteremo per primi i procedimenti speciali per un motivo che ci pare assorbente. Detti riti prevedono deroghe rispetto sia al modello base completo, sia ai singoli procedimenti differenziati che al loro interno li preve dono. Ad esempio, presso il tribunale monocratico e quello per i minorenni operano alcuni dei riti speciali che sono previsti per il tribunale collegiale (ad es. il giudizio abbreviato ed il procedimento direttissimo) ; ma lo stesso vale anche per il procedimento che accerta la responsabilità amministrativa degli enti. Pertanto, la trattazione dei riti speciali deve precedere quella sui procedimenti differenziati ( l ) . Un sistema processuale di tipo accusatorio impone che l'accertamento della responsabilità dell'imputato avvenga con il massimo delle garanzie e segnata mente con il rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova. Le garanzie comportano necessariamente una maggiore complessità delle forme e, quindi, un allungamento dei tempi complessivi del processo, ma soprattutto del dibattimento, nel quale le prove dichiarative devono essere assunte col metodo dell'esame incrociato (2) . Sistema accusatorio e procedimenti semplificati. Dall'esame del diritto comparato alcuni studiosi hanno tratto il convincimento che l'adozione del sistema accusatorio debba comportare l'accettazione di una pluralità di proce dimenti semplificati (3 ) . Se si vuole permettere l'affermarsi di un processo penale garantista, la celebrazione del dibattimento deve essere limitata ai pochi casi nei quali vi sia un serio contrasto tra accusa e difesa. La gran mole dei processi si deve svolgere con riti semplificati. Poiché in tali procedimenti l'imputato gode di minori garanzie e non ha il diritto al contraddittorio nella formazione della prova, l'unica soluzione è quella di offrirgli un qualche incentivo perché accetti un affievolimento del diritto di difesa. I vantaggi consistono prevalentemente in una diminuzione della pena che dovrebbe essere scontata in caso di condanna. ( l ) Vi sono poi alcuni istituti che operano all'interno sia del procedimento ordinario, sia di quelli speciali, sia di quelli differenziati. Si tratta di singole norme che regolano i procedimenti per reati di mafia, per i reati di terrorismo e per i reati di criminalità organizzata non mafiosa; l'insieme di queste norme ha creato una sorta di "doppio binario" processuale. In detti casi le deroghe non toccano la struttura base del procedimento (ordinario, speciale o differenziato), bensì alcuni aspetti al loro interno. Ad esempio, i delitti di cui all'art. 51 comma 3 -bis prevedono che i pubblici ministeri si coordinino nel compiere indagini e che vi sia un organo centrale (la procura nazionale antimafia) che li controlla. A questi istituti abbiamo già fatto cenno nell'esporre il modello base di procedimento presso il tribunale collegiale. (2) In base alla prima legge delega per l 'emanazione del nuovo codice di procedura penale (3 aprile 1974, n. 108) ed al relativo Progetto preliminare del l978, pressoché tutti i processi sarebbero dovuti pervenire alla fase del dibattimento. Ciò avrebbe comportato costi non sostenibili: il sistema non sarebbe stato gestibile. Questo è il principale tra i motivi per i quali il Progetto del 1978 non ha avuto successo e quel modello di riforma è stato abbandonato. (3 ) Sulla necessità di deflazionare il dibattimento penale e sulle prime ipotesi in tale senso, v. A. MALINVERNI, La n/orma del processo penale, Torino, 1970, 250 e 260; P. ToNTNT, La scelta del rito istruttorio nel processo penale, Milano, 1974, 301 ss.
IV.I.2
I procedimenti speciali
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Al tempo stesso, occorre tenere presente che negli ordinamenti angloame ricani i meccanismi di semplificazione sono spesso basati sul principio di opportunità dell'azione penale. Viceversa, il pubblico ministero italiano, vinco lato (almeno formalmente) al principio di obbligatorietà dell'azione penale, non può " cestinare" i casi di minore importanza, nei quali non vi è in concreto alcun interesse pubblico alla repressione penale; né esistono strumenti extrapenali da utilizzare in via alternativa. Pertanto, nell'ordinamento italiano i procedimenti semplificati devono rispettare il principio di obbligatorietà dell'azione penale; ciò vuol dire che la decisione sulla semplificazione deve intervenire ad opera di un giudice e dopo che sia stata comunque esercitata l'azione penale (4) . Occorre sottolineare che l a indispensabilità di strumenti deflativi del dibat timento è stata di recente recepita anche a livello costituzionale. n nuovo comma 5 dell'art. 1 1 1 permette di derogare con il consenso dell'imputato al principio del contraddittorio nella formazione della prova. La norma chiara mente si riferisce ai riti semplificati che omettono il dibattimento, e cioè al patteggiamento, al rito abbreviato e al decreto penale di condanna. 2.
La "specialità" dei procedimenti alternativi a quello ordinario.
Il codice intitola il libro sesto "procedimenti speciali" per sottolineare la differenza di questi ultimi rispetto al modello ordinario di primo grado, composto dalle fasi delle indagini, dell'udienza preliminare e del dibattimento. Da un punto di vista meramente formale i procedimenti speciali si dividono in due gruppi (v. tav. 4 . 1 . 1 ) .
(4) La legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 ha fatto una scelta contraddittoria, perché ha accolto princìpi contrastanti senza operare un ragionevole contemperamento tra gli stessi. Essa ha previsto sia riti semplificati basati sul consenso dell'imputato (e, quindi, riferibili al sistema accusatorio), sia riti semplifìcati che operano a prescindere dal consenso di questi (e, quindi, riferibili ai sistemi inquisitorio o misto). In più, nell'accogliere un rito semplificato tipico del sistema accusatorio, perché basato sul consenso dell'imputato (e cioè il giudizio abbreviato), lo aveva strutturato con modalità inquisitorie. Di modo che raramente gli imputati ne hanno chiesto l'adozione. Il risultato è stato catastrofico. Il giudizio abbreviato, che avrebbe dovuto evitare il dibattimento per i reati di gravità media ed alta e che, nelle intenzioni del legislatore, doveva costituire il rito semplificato maggiormente utilizzato al fine di deflazionare il dibattimento, è stato quello meno impiegato fra tutti i procedimenti basati sul consenso dell'imputato. In base ad una nostra elaborazione dei dati raccolti dal Ministero della Giustizia nel periodo 1989-1995, il giudizio abbreviato è stato utilizzato presso il tribunale e la corte d'assise nel 7% dei casi che sarebbero dovuti, teoricamente, pervenire al dibattimento. Molto meno del patteggiamento (40%) e perfino del decreto penale di condanna (9,5 % ) . Nel complesso, l'insieme dei riti semplificati ha raggiunto il 5 6,5 % dei procedimenti che sarebbero dovuti pervenire al dibattimento. Si pensi, invece, a come negli ordinamenti di common law oltre il 90% dei procedimenti segua itinerari semplificati rispetto a quello ordinario. La legge n. 479 del 1999 ha apponato rilevanti modifiche ai riti semplificati deflativi del dibattimento. In particolar modo è intervenuta sull'assetto del giudizio abbreviato. Ne daremo atto nel relativo paragrafo. 23
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IV. IJ .a
a) Il primo comprende quelli che si limitano ad eliminare l'udienza pre liminare per pervenire in modo più veloce al dibattimento. T ali procedimenti, che di regola prescindono dal consenso dell'imputato, sono il giudizio direttissimo ed il giudizio immediato. Si tratta di riti che appartengono al sistema processuale "misto" di tipo napoleonico; in essi viene eliminata l'udienza preliminare, e cioè il controllo operato dal giudice sul rinvio a giudizio. Nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato su richiesta del pubblico ministero l'eliminazione avviene in modo imperativo, e cioè in base ad un provvedimento emesso senza il consenso dell'imputato. La semplificazione, pur ammissibile in astratto sulla base del ri conoscimento costituzionale delle esigenze di « ragionevole durata » del processo penale (art. 1 1 1 , comma 2 ) , deve tuttavia assicurare un adeguato contempera mento con il diritto di difesa dell'imputato. b) Il secondo gruppo di procedimenti speciali comprende i riti che omettono il dibattimento. In questi casi la semplificazione opera solo con il consenso dell'imputato, poiché il diritto al dibattimento è un aspetto centrale del diritto di difesa. È ovvio che un sistema di tipo accusatorio ripone le sue speranze di buon funzionamento soprattutto su tali riti, perché soltanto l'eli minazione del dibattimento, e cioè della fase più lunga, è in grado di consentire un apprezzabile risparmio di tempo. Si tratta di vedere quali sono le rinunce che ragionevolmente si possono chiedere all'imputato e quale bilanciamento deve essere operato con i diritti costituzionalmente garantiti. I procedimenti speciali che sono fondati sul consenso dell'imputato sono il giudizio abbreviato, il c.d. patteggiamento e, in una qualche misura, il proce dimento per decreto, nel quale la mancata opposizione configura un implicito consenso. In questi riti il giudice compie le sue valutazioni utilizzando gli atti raccolti in modo unilaterale dalle parti. Il codice nel libro sesto inizia col trattare del giudizio abbreviato per far comprendere che in tale rito sono riposte le più forti speranze di ottenere la deflazione del dibattimento e, quindi, un migliore funzionamento dell'ammini strazione della Giustizia. In effetti, il rito predetto è applicabile a tutti i reati, compresi quelli p unibili con l'ergastolo. Inoltre, il giudizio immediato, il giudizio direttissimo ed il procedimento per decreto possono, su richiesta dell'imputato, trasformarsi in giudizio abbreviato. 3.
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Considerazioni generali.
Il giudizio abbreviato è quel procedimento speciale che consente al giudice, su richiesta dell'imputato, di pronunciare già al momento dell'udienza prelimi nare quella decisione di merito (condanna o proscioglimento) che di regola è
IV.IJ .a
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emanata al termine del dibattimento. Ai fini della decisione il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini (5) . Nel sistema attualmente vigente il rito abbreviato h a luogo sull'unico presupposto della richiesta dell'imputato (6) (v. tav. 4 . 1 .2 ) . Questi ha una duplice possibilità. Può formulare una richiesta non condizionata, limitandosi a chiedere che il processo sia definito nell'udienza preliminare sulla base degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini; oppure può presentare una richiesta condizionata, subordinando lo svolgimento del rito abbreviato alla assunzione di determinate prove (7) . All'esito del giudizio abbreviato il giudice, se ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, può disporre anche d'ufficio quella integrazione probatoria che ritiene necessaria (art. 44 1 comma 5 ) . li processo si conclude nell'udienza preliminare con una sentenza di condanna o di proscioglimento senza che sia necessario pervenire al dibattimento. In caso di condanna, la pena determinata dal giudice è ridotta di un terzo e all'ergastolo è sostituita la reclusione di anni trenta (art. 442, comma 2 ) (8). La (5) Nel testo originario del codice del 1988 il giudizio abbreviato poteva essere disposto soltanto in presenza di tre requisiti concorrenti: l) la richiesta dell'imputato; 2) il consenso del pubblico ministero; 3) la valutazione del giudice sulla possibilità di definire il processo "allo stato degli atti" senza alcuna integrazione probatoria. Così configurato, il procedimento era stato definito un "patteggiamento sul rito". La legge n. 479 del 1999 (c.d. legge Carotti) ha radicalmente modificato la struttura del procedimento. Da un lato, non è più necessario il consenso del pubblico ministero; da un altro lato, è stato eliminato il requisito della decidibilità allo stato degli atti. Con sentenza 9 maggio 2001 n. 1 15 , cit., la Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimità della nuova disciplina del giudizio abbreviato ritenendo non fondate le censure di incostituzionalità (in riferimento agli artt. 3, 24, 27 commi l e 3, 97, 1 0 1 , 102 e 1 1 1 Cost.) sollevate già all'indomani del varo della legge Carotti. Pertanto, la mancata attribuzione al giudice di un << potere di preliminare delibazione in ordine alla ammissibilità del rito >> non è in contrasto con la Costituzione e altresì legittima è da ritenersi la scelta di non prevedere << il contraddittorio delle parti nella ammissione al rito abbreviato ». (6) Si tratta di un atto personale che può essere compiuto anche da un procuratore speciale (art. 438 comma 3); la sottoscrizione è autenticata nelle forme ampie previste dall'art. 583 comma 3 . La natura di atto personale non esclude che il difensore possa essere considerato il nuncius dell'imputato presente, che nulla eccepisca alla richiesta formulata dal difensore medesimo. Tale considerazione si può ricavare da Cass., sez. un., 3 1 gennaio · 5 marzo 2008, n. 9977, Morini: << il giudizio abbreviato è legittimamente instaurato a seguito di richiesta del difensore, pur privo di procura speciale, qualora l'imputato sia presente e nulla eccepisca ». (7) Nel caso di imputato gravato da più imputazioni, la richiesta deve coinvolgere la totalità degli addebiti, altrimenti il processo non potrebbe essere definito nella sua interezza e l'effetto premiale sarebbe non giustificato. Così Cass. , sez. I, 19 novembre 1999, Favara, in Guida dir., 2000, 2, 1 1 1 . (8) È stato previsto che, nei casi di concorso di reati o di reato continuato, se risulta irrogabile l a pena dell'ergastolo con isolamento diurno, la scelta del rito abbreviato comporta la sostituzione di tale pena con quella dell'ergastolo (art. 442, comma 2, terzo periodo aggiunto dall'art. 7 decreto legge n. 3 4 1 del 2000, conv. dalla legge n. 4 del 2001). Cass., Sez. un., 25 ottobre · 6 dicembre 2007, n. 45583, Volpe, in www.dirittoegiustizia.it, 18 dicembre 2007, ha affermato il seguente principio di diritto. Quando la condanna concerne più reati, la riduzione della pena conseguente a giudizio abbreviato deve essere effettuata solo dopo la determinazione della sanzione irrogabile in concreto, operazione quest'ultima da attuarsi tenendo conto di tutti i limiti di natura sostanziale che sono posti dal codice e, perciò, anche nel rispetto del limite massimo di 30 anni di reclusione previsto dall'art. 78 c.p. Così, ad esempio, se per determinati delitti in continuazione la pena complessiva viene stabilita
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riduzione di pena costituisce un incentivo per l'imputato e lo compensa per la scelta di rinunciare ai diritti che gli spettano in dibattimento. In definitiva, il giudizio abbreviato comporta una modifica dell'udienza preliminare che, da "filtro" destinato ad accertare la necessità del dibattimento, diventa la sede in cui si deve decidere sulla responsabilità dell'imputato. Rispetto al testo originario del codice del 1988, il giudizio abbreviato ha subìto modifiche molto rilevanti. In sintesi, nel 1988 l'istituto era stato costruito come un giudizio "a prova contratta" , che si poneva come alternativa al dibattimento; il rito abbreviato necessitava del consenso del pubblico ministero. Poi, con la legge Carotti (n. 479 del 1 999) il Parlamento ha eliminato la necessità del consenso del pubblico ministero e ha strutturato il giudizio abbreviato come una "modalità semplificata di svolgimento del dibattimento" all'interno del l'udienza preliminare, attribuendo al giudice un limitato potere di integrazione probatoria (art. 44 1 , comma 5 ) .
b. n giudizio abbreviato su richiesta non condizionata. Come abbiamo anticipato, il presupposto per l'instaurazione del giudizio abbreviato è la richiesta dell'imputato. Tale richiesta può essere semplice oppure condizionata alla concessione di una integrazione probatoria. Ci occu peremo adesso specificamente del giudizio abbreviato disposto dal giudice a seguito della richiesta non condizionata. Il termine finale per la presentazione della stessa è la formulazione delle conclusioni nell'udienza preliminare (9). Come abbiamo accennato, a seguito della richiesta il giudice deve necessariamente disporre il giudizio abbreviato (art. 438, comma 4) ( 10). Il giudizio, di regola, si svolge in camera di consiglio; tuttavia è possibile procedere in pubblica udienza se tutti gli imputati ne fanno richiesta (art. 44 1 , comma 3 ) . La disposizione costituisce un bilanciamento tra interessi contra stanti ed accorda prevalenza al diritto alla riservatezza di quell'imputato che è contrario all'udienza pubblica ( 1 1 ) . Ai sensi dell'art. 44 1 , comma l , debbono osservarsi le disposizioni previste in anni 54 di reclusione e la stessa è limitata ad anni 30 ai sensi dell'art. 78 c.p., per effetto del rito abbreviato scatta una ulteriore riduzione ad anni 20. (9) << Il momento entro cui l'imputato può presentare la richiesta di giudizio abbreviato ai sensi dell'art. 438 comma 2 e 42 1 c.p.p. è quello in cui si esaurisce la discussione con la formulazione delle conclusioni di tutte le parti >>; così Cass., sez. l, 14 novembre 2002, n. 890/02 , Tinnirello. ( lO) L'accesso al giudizio abbreviato, << quando la richiesta non sia subordinata ad un'integrazione probatoria, costituisce un vero e proprio diritto dell'imputato >>; così Cass., sez. IV, 28 giugno 2000 n. 10738, in Cass. pen. , 200 1 , 5 5 1 ; Cass., sez. l, 1 1 dicembre 2000, in Foro it. , 200 1 , Il, 205. ( 1 1 ) Merita precisare che la Corte costituzionale con la sentenza n. 1 15 del 2001 ha ritenuto manifestamente inammissibile la questione di legittimità dell'art. 44 1 , comma 3 nella parte in cui stabilisce che il giudizio abbreviato si celebra in udienza camerale salvo che tutti gli imputati richiedano l'udienza pubblica.
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per l'udienza preliminare, fatta eccezione per quella sulla integrazione proba toria disposta dal giudice (art. 422) e per quella relativa alla modifica dell'im putazione (art. 423 ) . Da quest'ultima disposizione si ricava che il giudizio abbreviato non condizionato, di regola, non permette la modifica dell'imputa zione, salvo il caso in cui il giudice provveda all'integrazione probatoria, come esporremo in seguito. Al termine del procedimento, svoltosi con le predette forme, il giudice valuta discrezionalmente la possibilità di decidere allo stato degli atti. Qualora lo ritenga possibile, il giudice pronuncia sentenza utilizzando come base probatoria gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini e quelli eventualmente acquisiti nell'udienza preliminare fino a quel momento (documentazione delle indagini difensive, documenti ammessi, dichiarazioni rese dall'imputato) ( 12 ) . n giudice, qualora ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, assume su richiesta di parte o d'ufficio « gli elementi necessari ai fini della decisione » (art. 44 1 , comma 5) ( 1 3 ) . Quindi sollecita le parti a presentare le proprie conclusioni e decide. All'assunzione delle prove deve procedersi con le forme stabilite dall'art. 422 in relazione allo svolgin1ento eccezionale dell'udienza preliminare (art. 44 1 , comma 6) : e cioè, l'audizione delle persone è condotta, di regola, dal giudice, al quale il pubblico ministero e i difensori possono chiedere di porre determinate domande. Infine, sempre nel caso in cui il giudice disponga l'integrazione probatoria ai sensi dell'art. 44 1 , comma 5, si rende applicabile l'art. 423 . Di conseguenza il pubblico ministero potrà modificare l'imputazione ed effettuare nuove con testazioni in udienza con le regole previste per l'udienza preliminare. Sul punto, si veda meglio in/ra. c.
n giudizio abbreviato su richiesta condizionata.
L'imputato, anziché limitarsi a chiedere semplicemente il giudizio abbre( 12 ) È importante tenere presente che il giudice può decidere soltanto sulla base di quegli atti di indagine che non siano viziati da nullità assoluta o inutilizzabilità di tipo patologico. La Suprema corte, chiamata a risolvere un contrasto giurisprudenziale, ha infatti affermato che la richiesta di giudizio abbreviato, formulata dall'imputato, vale a rendere utilizzabili gli atti di indagine preliminare ma non costituisce sanatoria dei predetti vizi. Ad avviso della Corte, << una pretesa sanatoria del vizio, collide ( . . . ) con la formulazione letterale della disciplina positiva, che delinea il fenomeno dell'inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita e quello della nullità assoluta dell'atto in termini di radicale insanabilità e rilevabilità anche di ufficio "in ogni stato e grado del procedimento" (artt. 179 e 1 9 1 comma 2 c.p.p.) - forme di invalidità entrambe sottratte quindi al potere dispositivo o negoziale delle patti >>. Così Cass. , sez. un., 30 giugno 2000, Tammaro, in Cass. pen., 2000, 3259 e in Guida dir. , 2000, 3 1 , 73, nota di R. BRICCHETTI, La richiesta di accesso al rito semplificato non è una rinuncia ad eccepire gli atti vzzuztz, ivi, 8 1 . ( 1 3 ) Valgono in questa sede i limiti posti dalla giurisprudenza all'art. 507: il giudice non può utilizzare la integrazione probatoria << per verificare solo una propria ipotesi ricostruttiva sulla base di mezzi di prova non dotati di sicura concludenza >>.
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viato, può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione (art. 438, comma 5 ) ; di conseguenza deve indicare le prove di cui chiede l'ammissione. In tal caso il giudice, « tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili », dispone il giudizio abbreviato se l'integrazione pro batoria richiesta dall'imputato risulta: a) necessaria ai fini della decisione; b) compatibile con le finalità di economia processuale proprie del rito in questione. La Corte costituzionale (n. 1 15 del 200 1 ) ha neutralizzato sostanzialmente la portata del requisito della compatibilità con le finalità di economia proces suale quando ha precisato che il giudizio abbreviato va posto a raffronto con l'ordinario giudizio dibattimentale e, quindi, in relazione a quest'ultimo si traduce sempre e comunque in una considerevole economia processuale ri spetto alla più onerosa formazione della prova in contraddittorio. Quanto all'altro requisito ( "necessarietà ai fini della decisione" ) in base al l'insegnamento delle Sezioni unite, le ulteriori prove si devono configurare come integrative e non sostitutive del materiale già acquisito e utilizzabile come base cognitiva (es. il teste doveva essere sentito, e non lo è stato; oppure, non sono state poste determinate domande) . Pertanto, il giudice deve rigettare la richiesta se il mezzo di prova tende a far entrare in forma diversa un elemento già esistente negli atti scritti. Inoltre, l'integrazione deve configurarsi come oggettivamente e sicu ramente utile o idonea ad assicurare il completo accertamento di tutti quei fatti che sono oggetto di prova ai sensi dell'art. 1 87 (14). Accoglimento della richiesta condizionata. Se il giudice accoglie la richie sta, si fa luogo a giudizio abbreviato con assunzione di tutte quelle prove che sono state indicate dall'imputato ( 15 ) . In tal caso, il pubblico ministero « può chiedere l'ammissione di prova contraria » ( 16) .Quando, dopo aver proceduto all'assunzione delle prove richieste dall'imputato, il giudice ritiene ancora di non poter decidere, può assumere anche d'ufficio ulteriori prove (art. 44 1 , comma 5 , equivalente all'art. 507 , comma l ) ( 17 ) . Rigetto della richiesta condizionata. Ove il giudice rigetti l a richiesta ( 14 ) Cass., sez. un., 27 ottobre-18 novembre 2004, n. 447 1 1 , Wajib, in Guida dir., 2004, 49, 78: << la doverosità dell'ammissione della richiesta integrazione probatoria ne riflette il connotato di indispensabilità ai fini della decisione e trova il suo limite nella circostanza che un qualsiasi aspetto di rilievo della regiudicanda non rimanga privo di solido e decisivo supporto logico-valutativo >>. ( 1 5 ) La Corte di cassazione ha affermato che l'ordinanza, con la quale il giudice accolga la richiesta di rito abbreviato condizionato limitando l'attività di integrazione probatoria, è abnorme. Così, Cass., sez. V, 3 1 marzo 2003, in Dir. giust., 2003, 24, 1 12 . ( 16) È prevista inoltre l 'applicabilità dell'art. 423 , che consente l a modifica dell'imputazione. Pertanto l'imputato, che presenti richiesta condizionata di giudizio abbreviato, corre il rischio che, a seguito delle risultanze dell'istruzione, l'imputazione risulti più grave o emerga un fatto nuovo. ( 17 ) In giurisprudenza ci si è chiesti cosa accada quando l'imputato abbia presentato richiesta condizionata all'esame dell'imputato connesso, che ha reso dichiarazioni accusatorie nel corso delle indagini, e quest'ultimo si è sottratto all'escussione. La Cassazione ha escluso che in tal caso si applichi l'art. 526, comma l-bis (in base al quale la colpevolezza non può essere provata sulla base delle dichiarazioni rese da chi si è sempre volontariamente sottratto all'esame della difesa) sul rilievo che la collocazione sistematica del
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condizionata di giudizio abbreviato, l'imputato può proporre una nuova richie sta entro il termine ordinario e cioè fino alle conclusioni in udienza preliminare (art. 438, comma 6) ( 18 ) . La rinnovazione della richiesta di giudizio abbreviato. Qualora il rito proceda nelle forme ordinarie, l'originaria richiesta condizionata, rigettata dal giudice dell'udienza preliminare, può comunque essere rinnovata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. In tal caso il giudice del dibattimento in limine litis deve prendere visione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero (si applica per analogia la disposizione prevista per il patteggiamento, e cioè l'art. 135 disp. att. ) e, all'esito, verificare la doglianza relativa alla effettiva ed oggettiva necessità dell'integrazione proba toria; se la ritiene fondata, instaura giudizio abbreviato nella fase introduttiva del dibattimento ( 19) . n tutto sul presupposto che il rigetto della richiesta condizionata di giudizio abbreviato, se ingiustificato o illegittimo circa il profilo della necessità della prova ai fini della decisione, appare idoneo a pregiudicare definitivamente l'aspettativa di una riduzione premiale della pena in caso di condanna « essendo indubbio che il diniego del rito comporta effetti rilevanti in tema di individuazione della pena legale ». Se anche, in limine litis, il giudice rigetta la richiesta rinnovata dall'imputato e poi, al termine del dibattimento, accerta che esistevano i presupposti per accoglierla, egli deve applicare la riduzione di pena (20) . Occorre sottolineare disposto è nel libro sul giudizio e che il rito abbreviato si fonda per definizione sulla utilizzabilità degli atti di indagine (Cass. , sez. V, 23 settembre 2002, Einaudi, in Dir. pen. e processo, 2003 , 1370). ( 18) Potrebbe, teoricamente, trattarsi anche di una nuova richiesta condizionata; ma sarà più probabile che l'imputato chieda semplicemente il giudizio abbreviato. In tal caso il giudice dell'udienza preliminare sarà obbligato a disporlo; ove egli ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, dovrà procedere ad un'integrazione probatoria (art. 441, comma 5 ) . ( 19) Così C. cost., sent. 23 maggio 2003 , n. 169, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 43 8 comma 6 nella parte in cui non prevede tale possibilità. Per i medesimi motivi è stata dichiarata l'illegittimità degli articoli che non prevedevano la controllabilità del diniego di richiesta condizionata nel caso di giudizio immediato (art. 458 comma 2) o di procedimento per decreto (art. 464 comma 1 ) . (20) Cass., sez. un., 2 7 ottobre-18 novembre 2004, n. 447 1 1 , Wajib: << qualora s i sia proceduto al giudizio ordinario a seguito del reiterato rigetto anche da parte del giudice del dibattimento ( . . . ) non può seriamente dubitarsi che l'eventuale sentenza di condanna possa essere appellata, mediante uno specifico motivo di gravame, per l'eventuale profilo di "illegalità" della pena inflitta. L'imputato ha infatti il diritto di dedurre che, a causa del diniego di accesso al rito, asseritamente ingiustificato o erroneo, non ha conseguito lo sconto di pena previsto dall'articolo 442 comma 2 c.p.p., nonostante egli abbia assolto l'onere di attivare nelle forme e nei termini previsti dall'ordinamento le iniziative di volta in volta prescritte a suo carico. In tal caso, l'imputato postula ancora una volta il sindacato da parte del giudice dell'impugnazione delle ragioni poste a fondamento del provvedimento negative. ( . . . ) E però, una volta accertato che l'imputato ha ritualmente e fondatamente assolto l'onere di attivare nelle forme e nei termini previsti dall'ordinamento le iniziative di volta in volta poste a suo carico per indurre la forma economica del processo, deve convenirsi, per lineari ragioni logico-sistematiche, che dei requisiti di legalità nella quantificazione della pena non possa certo disinteressarsi - innanzitutto - il giudice che ne statuisce l'applicazione in caso di condanna, ancor prima che intervengano la censura dell'imputato e la revisione critica da parte del giudice dell'impugna zione >>. Dunque << anche il giudice del dibattimento, a conclusione dello stesso, considerati complessivamente gli esiti dell'istruzione probatoria e la portata degli atti delle indagini preliminari (dei quali, a norma dell'art.
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che in tal modo si è venuto configurando un vero e proprio diritto dell'imputato di difendersi "negoziando" la prova (2 1 ) . d.
Vicende del giudizio abbreviato a seguito di nuove contestazioni.
Come abbiamo accennato nei paragrafi precedenti, sia nel giudizio abbre viato su richiesta condizionata, sia in quello su richiesta non condizionata è possibile che, a seguito dell'integrazione probatoria, emerga la necessità di modificare l'imputazione (art. 44 1 -bis) (v. tav. 4 . 1 .3 ). Ove il pubblico ministero contesti un fatto "diverso" , un reato connesso o una circostanza aggravante, l'imputato ha la possibilità di attivarsi e di chiedere che « il procedimento prosegua nelle forme ordinarie » (art. 44 1 -bis, comma l ) (22 ) . Al fine di consentire tale scelta, è previsto che il giudice, s u istanza dell'imputato o del suo difensore, assegni un termine a difesa non superiore a dieci giorni, la cui durata è discrezionalmente determinata dal giudice stesso. Entro tale termine l'imputato ha la possibilità di comunicare la sua scelta (art. 44 1 -bis, comma 3 ) (23 ) . La richiesta di procedersi con il rito ordinario. S e l'imputato (personal mente o a mezzo di procuratore speciale) chiede che si prosegua con giudizio ordinario, il giudice revoca l'ordinanza con la quale ha disposto il giudizio abbreviato e fissa l'udienza preliminare o la prosecuzione della stessa (art. 44 1 -bis, comma 4). Le prove assunte nel giudizio abbreviato hanno la stessa efficacia di quelle acquisite nel corso dello svolgimento eccezionale dell'udienza preliminare. n codice precisa che, una volta scelta la prosecuzione con il rito ordinario, non è più possibile chiedere il giudizio abbreviato (24) . n proseguimento nelle forme del rito abbreviato. S e l'imputato non si è attivato chiedendo lo svolgimento del rito ordinario, il procedimento prosegue nelle forme del giudizio abbreviato (25) . Anche in tale eventualità alla difesa è stata 135 att. ha già preso visione prima dell'apertura del dibattimento, in vista della negativa delibazione della rinnovata richiesta di rito abbreviato), abbia il potere-dovere di rivalutare /unditus, nell'esercizio della piena cognitio di merito, i connotati del parametro della oggettiva necessità dell'integrazione probatoria, cui l'imputato abbia condizionato la richiesta di giudizio abbreviato >>. (2 1 ) Per un profilo analogo nell'applicazione della pena su richiesta delle parti, si veda il prossimo paragrafo. (22) Occorre ricordare che in udienza preliminare è possibile la contestazione suppletiva anche nei confronti dell'imputato non presente (e cioè assente o contumace) . (23) L a norma sembra attuare i l principio costituzionale in base al quale la legge deve assicurare all'imputato << i tempi e le condizioni necessari per preparare la sua difesa >> (art. 1 1 1 , comma 3 ) . (24) li decreto legge n. 341 del 2000, convertito nella legge n. 4 del 2001 h a modmcato l'art. 44 1 -bis, comma 4 ed ha stabilito che in caso di trasformazione del rito abbreviato in giudizio ordinario, con conseguente regressione alla fase dell'udienza preliminare, iniziano a decorrere ex nova i termini della custodia cautelare relativi alle indagini preliminari (pari ad un anno per i reati più gravi) . ( 2 5 ) Si tratta d i una forma d i silenzio assenso. Da una siffatta disciplina si desume che l a richiesta del
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riconosciuta una rilevante garanzia. Infatti, ai sensi dell'art. 44 1 -bis, comma 5 , l'imputato può chiedere l'ammissione di ulteriori prove in relazione alla nuova contestazione. In questa ipotesi non operano i limiti di ammissione stabiliti dal l'art. 438 , comma 5 in merito alla richiesta condizionata; non occorre, pertanto, che le prove siano « necessari( e) ai fini della decisione » e « compatibil(i) con le finalità di economia processuale » proprie del rito semplificato (26). Infine, l'art. 44 1 -bù, comma 5 riconosce al pubblico ministero il diritto alla prova contraria in relazione alle prove ammesse su richiesta dell'imputato. Resta salva, riteniamo, la possibilità per il giudice di assumere d'ufficio le ulteriori prove, che egli consideri necessarie ai fini della decisione, alla luce delle nuove risultanze (27) . e.
n ruolo della parte civile.
A differenza di quanto avviene nel patteggiamento, la parte civile non è completamente estromessa né al momento della decisione sull'adozione del rito abbreviato, né al momento delle conclusioni e della decisione, anche se allo stato della attuale normativa non gode di alcun diritto alla prova. Una volta che il giudice abbia accolto la richiesta di giudizio abbreviato, la parte civile può non accettare tale rito (artt. 44 1 , comma 4, 65 1 e 652) ; in questo caso, se il giudice pronuncia una sentenza di assoluzione, tale provvedimento non ha efficacia di giudicato (art. 652, comma 2 ) e la parte civile può esercitare l'azione risarcitoria davanti al giudice civile senza dover subire la sospensione del processo ex art. 75, comma 3 (art. 44 1 , comma 4 ) . Viceversa, la parte civile che ha accettato il giudizio abbreviato in modo espresso o implicito (es., si è costituita dopo l'ordinanza che ha disposto tale rito; art. 44 1 comma 2) subisce l'efficacia del giudicato di assoluzione (art. 652 comma 2 ) . Inoltre, la decisione di condanna nel giudizio abbreviato ha efficacia di giudicato, salva l'ipotesi in cui la parte civile, che non abbia accettato il rito, si opponga a tale efficacia (art. 65 1 , comma 2 ) . S e i l giudice procede a d integrazione probatoria d'ufficio (art. 44 1 comma 5) o in seguito all'accoglimento della richiesta condizionata dell'imputato (art. rito ordinario costituisce un onere per l'imputato. Se questi non vi adempie formulando espressa richiesta, il suo silenzio equivale ad accettazione del giudizio abbreviato. Nello stesso senso D. NEGRI, Garanzie dell'imputato e modifica dell'accusa, in Dir. pen. proc. , 2000, 6, 685. (26) La disposizione, ruttavia non può intendersi nel senso che qualsiasi prova possa essere ammessa. A nostro avviso, il giudice dovrà applicare gli ordinari criteri di ammissione stabiliti dall'art. 190: la prova deve essere pertinente e non manifestamente superflua o irrilevante. (27) La disciplina appena esposta ci sembra condivisibile, poiché riconosce diritti difensivi in una situazione particolarmente delicata: essa rappresenta un incentivo per l'imputato a chiedere la definizione del processo con rito semplificato. Egli infatti, anche nell'ipotesi di nuove contestazioni a seguito dell'integrazione probatoria, è messo in condizione di esercitare il diritto di difesa chiedendo il rito ordinario o l'assunzione di nuove prove.
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438 comma 5 ) o in seguito a nuova contestazione (art. 44 1 -bis), il diritto alla prova contraria è riconosciuto esclusivamente in capo al pubblico ministero. Allo stato attuale della normativa, la parte civile può soltanto sollecitare i poteri esercitabili dal giudice ai sensi del citato art. 44 1 comma 5 . L a sentenza d i condanna contiene il capo civile sul risarcimento dei danni; su richiesta della parte civile, può essere pronunciata la condanna provvisionale immediatamente esecutiva (artt. 539, comma 2 e 540, comma 2). f.
I giudizi abbreviati atipici.
L'imputato può chiedere il giudizio abbreviato non soltanto nell'udienza preliminare (e cioè, nel corso del procedimento ordinario) ma anche quando vengono disposti quei riti speciali che eliminano l'udienza preliminare, ossia il giudizio direttissimo, il giudizio immediato e il procedimento per decreto. Di questi tratteremo in prosieguo; adesso preme ricordare che al momento della loro instaurazione l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato e che tale rito manifesta aspetti di specialità rispetto al modello base appena esaminato. l) Ove sia stato disposto il giudizio direttissimo, l'imputato può chiedere il rito abbreviato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 452 comma 2 ) . Il giudice deve ordinare la prosecuzione del giudizio con il rito abbreviato se la richiesta è incondizionata; se è condizionata ad una integrazione probatoria, il giudice deve valutarne l'ammissibilità in base ai criteri esposti supra. Al fine della valutazione di ammissibilità il giudice del dibattimento può esaminare il fascicolo del pubblico ministero con applicazione analogica del l'art. 135 disp. att. Una volta che sia stato disposto il giudizio abbreviato, si osservano le forme previste per l'udienza preliminare anche se il processo si svolge davanti al giudice del dibattimento (art. 452 comma 2 , che rinvia agli artt. 43 8 commi 3 e 5 , 44 1 , 44 1 -bis, 442 e 443 in quanto applicabili) . Nel caso in cui, a seguito di sopravvenuta modifica dell'imputazione, l'imputato revochi la richiesta di giu dizio abbreviato, il giudice dispone che si proceda a rito direttissimo con applicazione delle norme del dibattimento. 2) Trattiamo adesso della instaurazione del rito abbreviato in caso di giudizio immediato chiesto dal pubblico ministero e disposto dal giudice per le indagini preliminari (28). In tale ipotesi l'imputato può chiedere il rito abbre viato depositando nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari la richiesta scritta con la prova della avvenuta notifica al pubblico ministero (art.
(28) Nel caso di giudizio immediato richiesto dall'imputato (art. 4 1 9 comma 5) non è ammessa la richiesta di giudizio abbreviato (art. 458 comma 3) perché l'imputato stesso avrebbe potuto chiedere tale rito in quella udienza preliminare che, viceversa, intende omettere.
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458 comma l ) ; ricordiamo che la fase di introduzione del giudizio immediato si svolge fuori udienza. Per il deposito della richiesta di giudizio abbreviato è posto il termine di quindici giorni dalla notifica del decreto che dispone il giudizio immediato. n giudice per le indagini preliminari valuta la ammissibilità della richiesta dell'imputato; se essa è condizionata ad una integrazione probatoria, il giudice la valuta adottando i criteri elaborati dalla sentenza delle Sezioni unite sopra menzionata. Una volta accolta la richiesta, il giudice per le indagini preliminari fissa con decreto l'udienza in camera di consiglio e ne dà avviso almeno cinque giorni prima al pubblico ministero, all'imputato, al difensore e alla persona offesa (art. 458 comma 2 ) . Se, a seguito di sopravvenuta modifica dell'imputa zione, l'imputato revochi la richiesta di giudizio abbreviato, il giudice dispone che si proceda al dibattimento nelle forme del giudizio immediato. Occorre evidenziare che la richiesta condizionata di giudizio abbreviato può essere rigettata dal giudice per le indagini preliminari che dispone il rito immediato; in tal caso, l'imputato può rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice dibatti mentale, ritenuto irragionevole il rigetto, può disporre il rito abbreviato (Corte cost. n. 169 del 2003 ) . 3 ) Quando è stato disposto il decreto penale di condanna, l'imputato può presentare opposizione scritta (v. in/ra) e, in tale atto, può chiedere il giudizio abbreviato (art. 461 comma 3 ) . Ricevuta la richiesta, il giudice fissa con decreto l'udienza in camera di consiglio dandone avviso almeno cinque giorni prima al pubblico ministero, all'imputato, al difensore e alla persona offesa. In detta udienza sarà valutata la richiesta; ove sia accolta, si procederà a giudizio abbreviato con le consuete norme dell'udienza preliminare in quanto applicabili (art. 464 comma 1 ) . S e si tratta di richiesta condizionata di giudizio abbreviato e d il giudice la rigetta, il medesimo emette il decreto di giudizio immediato; quindi, si proce derà al dibattimento. In tal caso, l'imputato può rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e il giudice, ritenuto irragio nevole il rigetto, può disporre il rito abbreviato (Corte cost. n. 169 del 2003 ). Al dibattimento si perviene anche quando, a seguito di sopravvenuta modifica dell'imputazione, l'imputato revochi la richiesta di giudizio abbreviato (art. 464 comma 1 ) . Particolari ipotesi di trasformazione del rito si realizzano nei procedimenti speciali davanti al tribunale in composizione monocratica ai sensi degli artt. 555 comma 2 , 556, 557 e 558 comma 8 . 4) Occorre evidenziare che nessuna disposizione disciplina l a trasforma zione del giudizio abbreviato nel rito dell'applicazione della pena su richiesta delle parti; pertanto, la scelta compiuta dall'imputato di scegliere il rito abbreviato è da considerarsi incompatibile con quella di chiedere il patteggia-
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mento. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la alternatività è evidenziata da quelle norme che, regolando la facoltà dell'imputato di operare una scelta tra i possibili giudizi speciali, gli impongono un'esplicita opzione tra l'uno o l'altro procedimento. Di conseguenza, la richiesta di giudizio abbreviato, avanzata dall'imputato ed accolta dal giudice, implica una rinuncia al rito dell'applica zione della pena su richiesta delle parti, dovendo escludersi la convertibilità dell'uno nell'altro (29) .
g.
Investigazioni difensive e giudizio abbreviato.
La normativa sul giudizio abbreviato, modificata dalla legge n. 479 del 1999, può dare luogo ad alcuni problemi di compatibilità con la nuova regolamentazione delle investigazioni difensive, così come modificate dalla legge n. 397 del 2000. Riteniamo utile dar conto di tali problemi per la importanza che assumono nella pratica; lo faremo seguendo una scansione temporale. La documentazione delle investigazioni difensive può essere presentata nel corso delle indagini preliminari; ave sia esercitata l'azione penale, la documen tazione delle medesime segue il fascicolo delle indagini, che viene depositato presso la cancelleria del giudice dell'udienza preliminare. In questo momento il pubblico ministero e il difensore (dell'imputato e dell'offeso) possono ancora svolgere un supplemento investigativo; il pubblico ministero è invitato a tra smettere la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio (art. 4 1 9 comma 3 ) . All'inizio dell'udienza preliminare i difensori (dell'imputato e della parte civile) possono chiedere l'ammissione di atti e documenti (art. 42 1 comma 3 ); tra questi vi può essere la documentazione delle investigazioni difensive. Dopo che il giudice ha ammesso la documentazione, questa diventa utilizzabile per la decisione sul rinvio a giudizio. Il pubblico ministero può avere la necessità di presentare prove contrarie, ma può ritenere che il quadro probatorio per il rinvio a giudizio sia sufficiente e, pertanto, può decidere di rinviare l'espleta mento di eventuali indagini ad un momento successivo ai sensi dell'art. 43 0. Se, prima che siano formulate le conclusioni nell'udienza preliminare (art. 43 8 comma 2 ) , l'imputato chiede il giudizio abbreviato non condizionato, il pubblico ministero può valutare il quadro probatorio non sufficiente per tale rito.
(29) In tal senso, Cass., sez. VI, 15 gennaio 2010, n. 1940/10, ricorrente T., in www.dirittoegiustizia.it, 13 gennaio 2010, che esprime un indirizzo awallato dalle Sezioni unite. Nel caso di specie il giudice dell'udienza preliminare, preso atto del disaccordo del P.M. sulla proposta di applicazione della pena presentata dall'imputato, aveva, all'esito del giudizio abbreviato poi richiesto, ritenuto ingiustificato il dissenso del P.M. ed applicato, ex art. 448 cod. proc. pen., la pena ab origine richiesta. La S.C. ha annullato la sentenza di patteggiamento.
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I n tale ipotesi, riteniamo che il pubblico ministero possa chiedere un rinvio per compiere indagini e soprattutto che egli sia titolare di un diritto alla prova contraria (30). Con la sentenza n. 1 84 del 2009 la Corte costituzionale ha valutato la compatibilità della disciplina appena esposta con i princìpi del giusto processo. In particolare, il Giudice delle leggi ha precisato che nell'ambito del giudizio abbreviato gli atti di investigazione difensiva acquistano valore solo come effetto della più generale rilevanza probatoria riconosciuta all'intera indagine prelimi nare. Essi sono equiparati agli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero in quanto vi è una rinuncia generalizzata al contraddittorio nella formazione della prova. In una simile cornice, l'utilizzabilità degli atti di investigazione difensiva in forza del consenso del solo imputato appare rispettosa del principio di parità tra le parti. Tale canone, come noto, non deve essere interpretato in modo aritmetico, bensì adeguato alla diversità dei ruoli e dei poteri delle stesse nell'ambito delle varie fasi del procedimento penale. Ad avviso della Corte, l'utilizzabilità degli atti di investigazione difensiva appare giustificata anche in una prospettiva di com plessivo riequilibrio dei poteri dei contendenti. Infatti, la fase delle indagini pre liminari è caratterizzata da un marcato squilibrio di partenza fra le posizioni delle parti, correlato alla funzione istituzionale del pubblico ministero: i poteri e i mezzi investigativi di cui dispone la parte pubblica restano largamente superiori a quelli di cui fruisce la difesa. Se, dopo una fase così congegnata, viene offerto all'im putato uno strumento che, nel quadro di un'acquisizione globale dei risultati di tale fase, renda utilizzabili ai fini della decisione anche gli atti di indagine della
(30) In tal senso, Corte cost. n. 245 del 2005 e Cass. , sez. III, 1 1 febbraio 2009, n. 15236, PM in proc. Galliano. La Corte costituzionale ha escluso l'incostituzionalità dell'omessa previsione di un potere di iniziativa probatoria del pubblico ministero in caso di richiesta di giudizio abbreviato non condizionata ad una integrazione probatoria. Ad avviso del rimettente sarebbe stato necessario riconoscere al pubblico ministero un diritto alla prova analogo a quello attribuito all'imputato che abbia presentato richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria. A parere della Consulta, la disciplina attuale non viola il canone della parità tra le parti perché << l'attribuzione all'imputato della facoltà di subordinare la richiesta di giudizio abbreviato ad un'integrazione probatoria è coerente con la posizione di tale soggetto processuale, che si trova ad affrontare il rischio di un giudizio (e di una possibile conseguente condanna) basato sugli atti raccolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari ed a cui va pertanto riconosciuta la facoltà di chiedere l'acquisizione di nuovi e ulteriori elementi di prova. Diversa è, invece, la posizione del pubblico ministero: tenuto conto del ruolo svolto nelle indagini preliminari, e fermo restando il suo diritto all'ammissione di prova contraria a norma dell'art. 438 comma 5 c.p.p., non è irragionevole la scelta legislativa di non riconoscergli il diritto di chiedere l'ammissione di prove a carico dell'imputato solo perché questi ha presentato richiesta di giudizio abbreviato ». Del resto, la pubblica accusa, da un lato deve comunque svolgere indagini complete (si veda C. cost., sent. n. 88 del 1991) al fine di non esercitare invano l'azione penale instaurando processi superflui; da un altro lato, nello svolgere indagini preliminari, terrà presente l'eventualità che successivamente l'imputato chieda il giudizio abbreviato sulla base di tali atti. C. cost., n. 1 15 del 200 1 , in Cass. pen., 2001, n. 1272, p. 2603 ; C. cost., ord. 3 dicembre 200 1 , n. 42 1 ; C. cost., 6 dicembre 2001, n. 425; ord. 6 dicembre 2001, n. 427.
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difesa, non può dunque ravvisarsi alcuna compromissione del principio costitu zionale in questione (3 1 ) . Prima di concludere sul punto, si deve dare conto di una ulteriore situazione. Può avvenire che l'imputato chieda il giudizio abbreviato presen tando contestualmente la documentazione di investigazioni difensive. In tal caso, si pone un problema di tutela del diritto al contraddittorio del pubblico ministero il quale soltanto in quel momento è messo a conoscenza di tali atti. Ci pare che l'atto compiuto dall'imputato sia equiparabile ad una richiesta condizionata di rito abbreviato; se il giudice la accoglie, il pubblico ministero ha diritto alla prova contraria, come riconosce espressamente l'art. 43 8 comma 5 (32) o
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I limiti all'appello nel giudizio abbreviato.
Per motivi sistematici, nel rito abbreviato valgono le disposizioni generali in materia di impugnazione e di appello, in quanto non siano derogate espressa mente o implicitamente dalle norme del codice. Ciò premesso, il legislatore ha posto limiti all'appellabilità della sentenza pronunciata a seguito di giudizio abbreviato. Descriviamo la situazione quale è attualmente, senza dare atto delle innumerevoli modifiche intervenute dal 1 988. Sentenze di condanna: in base alle regole generali, le sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria dell'ammenda non sono appellabili (art. 593 , comma 3 ) . Ciò premesso, l'imputato può proporre appello contro la condanna pronunciata nel rito abbreviato, purché la condanna non consista soltanto in un'ammenda (art. 593 , comma 1 ) . Viceversa, il pubblico ministero di regola non può proporre appello contro
(3 1 ) TI giudice rimettente aveva denunciato l'illegittimità della disciplina dal momento che il consenso dell'imputato non avrebbe potuto validamente operare nei confronti di atti compiuti dal proprio difensore. In questa situazione - a parere del giudice a qua - il consenso dell'imputato avrebbe dovuto operare soltanto verso i risultati delle indagini del pubblico ministero (definiti come "potenzialmente a carico " ) ; viceversa, non sarebbe stato idoneo a rendere utilizzabili le investigazioni difensive. In relazione a tali atti sarebbe stato necessario il consenso del pubblico ministero, in quanto portatore di un interesse contrario. A parere della Corte costituzionale, una simile lettura contrasta con il sistema e con la stessa configurazione del rito speciale. In primo luogo, dovere specifico del pubblico ministero è quello della completezza delle proprie indagini, che, dunque, dovrebbero includere anche la puntuale e rigorosa verifica e "tenuta" degli elementi "a carico" nel riscontro con quelli eventualmente "a discarico". In secondo luogo, non è di per sé accettabile la frammentazione dei risultati dei singoli atti di indagine. La richiesta di giudizio abbreviato implica accettazione complessiva di tutti gli atti e rinuncia del pari complessiva all'assunzione dialettica in contraddittorio dei dati di rilievo probatorio da essi recati. In questa prospettiva lo stesso imputato, rinunciando al contraddittorio nell'assunzione anche dei dati a sé favorevoli, rinuncia a consoli darne la valenza probatoria ad un livello più alto e certo, quale è indubbiamente quello del contraddittorio. (32) Per la necessità che in tal caso debba essere tutelato il diritto alla prova della parte pubblica, si veda Corte cost. n. 245 del 2005. Ad avviso della Corte il diritto al contraddittorio deve essere tutelato ogniqualvolta una parte introduca prove a sorpresa.
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la condanna; può farlo soltanto quando il giudice ha modificato il titolo di reato (art. 443 , comma 3 ) (33 ) . Sentenze di proscioglimento: in seguito a due dichiarazioni di illegittimità costituzionale dell'art. 443 , modificato dalla legge Pecorella n. 46 del 2006, la situazione è la seguente. n pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di proscio glimento pronunciate con qualsiasi formula (34). L'imputato di regola non può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento; ma può appellare le sentenze di assoluzione per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente (35 ) . Al d i fuori dei limiti menzionati, valgono le regole ordinarie sulle impu gnazioni. In particolare, la decisione emessa al termine del giudizio abbreviato è assimilabile a quella dibattimentale. Ne consegue che, ai fini delle impugna zioni, si osserva la disciplina sui termini prevista per le sentenze dibattimen tali (36). L'appello, quando è ammesso, si svolge in camera di consiglio e non in pubblica udienza (art. 443 comma 4) (37) . Le sentenze pronunciate nel giudizio abbreviato, quando non sono sotto-
(33) La disparità è stata ritenuta dalla Corte costituzionale << incensurabile sul piano della ragionevo lezza in quanto proporzionata al fine preminente della speditezza del processo >> sotteso al giudizio abbreviato; e ciò perché la sentenza di condanna pronunciata in tale rito implica, sia pure con una difformità di ordine << quantitativo >> rispetto alle richieste dell'accusa, la realizzazione della pretesa punitiva, affermando la responsabilità dell'imputato (sentenza n. 320 del 2007). (34) In base all'art. 443, comma l, mod. dalla legge Pecorella n. 46 del 2006, l'imputato ed il pubblico ministero non potevano proporre appello contro le sentenze di proscioglirnento pronunciate nel giudizio abbreviato. La Corte cost. con sentenza n. 320 del 20 luglio 2007 ha ritenuto contrastante con il principio di parità delle parti il divieto posto alla pubblica accusa di appellare il proscioglirnento. La disparità è apparsa non sorretta da una << adeguata ratio giustificatrice >> poiché l'imputato poteva appellare la condanna, mentre il pubblico ministero non poteva proporre doglianze di merito contro la pronuncia che disattendeva in modo integrale la pretesa punitiva. Per tali motivi, il Giudice delle leggi ha dichiarato la incostituzionalità del divieto, posto al pubblico ministero, di appellare il proscioglirnento pronunciato nel rito abbreviato. (35) La Corte cost. con sentenza 1 9-29 ottobre 2009, n. 274 ha dichiarato illegittimo l'art. 443, comma l perché il divieto di appello nel caso evidenziato sarebbe stato << intrinsecamente irrazionale >> in rapporto all'assetto complessivo delle preclusioni dell'appello nel giudizio abbreviato. Infatti l'imputato può appellare una sentenza di condanna alla sola pena della multa o di una sanzione sostitutiva; mentre non avrebbe potuto appellare una sentenza di assoluzione per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente, dalla quale possono derivare misure molto più afflittive. (36) Così Cass., sez.un., 15 dicembre 1992, Russo, in Giust. pen., 1 993 , III, 3 2 1 ; Cass., 8 aprile 1992, Macella, in Cass. pen., 1993, 2295: << nel giudizio abbreviato non sono applicabili le norme degli artt. 127 e 128 c.p.p. relativi alla comunicazione e notificazione dei provvedimenti emessi in camera di consiglio e di conseguenza il termine per impugnare la sentenza emessa nel giudizio abbreviato non coincide con quello stabilito per i procedimenti in camera di consiglio dall'art. 585 comma 2 lett. a, ma trova la sua decorrenza iniziale negli stessi momenti fissati dall'art. 585 comma 2 lett. b e c, per le impugnazioni delle sentenze dibattimentali pronunciate nel rito ordinario >>. (3 7) Resta valido il potere del giudice di appello di disporre d'ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l'accertamento dei fatti ai sensi dell'art. 603. In tal senso Cass., sez. un., 13 dicembre 1995, Clarke, in Dir. pen. proc., 1 996, 734.
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ponibili ad appello, sono comunque passibili di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 568, comma 2 (38) . Considerazioni conclusive sul giudizio abbreviato. È giunto il momento per valutare nel loro complesso le modifiche apportate al rito in oggetto tra il 1999 ed il 200 1 . Sul piano strutturale, nel quadro dell'intero sistema proces suale, le riforme hanno determinato la contemporanea presenza di due modelli con caratteristiche assolutamente opposte, anche se sono stati creati dal mede simo legislatore. Da una parte vi è il procedimento ordinario, che è regolato dai princìpi del "giusto processo" ; esso si svolge in dibattimento ed è fondato sul contraddit torio e sulla conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte in modo unilaterale. La decisione per i reati più gravi è affidata ad un giudice collegiale, dotato di scarsi poteri di iniziativa probatoria, e si fonda su elementi acquisiti con il metodo dell'esame incrociato in pubblica udienza. In relazione a tale rito il legislatore non è stato finora in grado di risolvere il problema della ragionevole durata. Dall'altra parte vi è il giudizio abbreviato, nel quale il consenso dell'impu tato permette lo svolgersi di un rito che si discosta dai princìpi del " giusto processo" . La decisione è presa nell'udienza preliminare, è fondata su prove raccolte in modo unilaterale dalle parti ed è affidata ad un giudice singolo che ha ampi poteri discrezionali di iniziativa probatoria d'ufficio. All'udienza, di regola, non è presente il pubblico e non si svolge l'esame incrociato. li rito abbreviato soddisfa l'esigenza di celerità e deflazione del dibattimento con un unico meccanismo di carattere "negoziale" , imperniato sulla riduzione della pena. Gli incentivi, che sono stati concessi all'imputato per rendere appetibile il rito in questione, possono determinare un ampliamento notevole della forbice edittale e, quindi, del potere discrezionale del giudice. Prima di concludere sul punto, occorre tenere presente che il giudizio abbreviato ha mostrato, specialmente negli ultimi anni, potenzialità applicative che sono cresciute parallelamente all'affermarsi della prova scientifica nel processo penale. Nei processi in cui il materiale probatorio consiste in atti irripetibili e indagini scientifiche compiute nell'ambito del sopralluogo o in un momento successivo, la scelta del rito abbreviato comporta una minima rinuncia al contraddittorio nella formazione della prova, giacché le indagini irripetibili sarebbero comunque utilizzabili in dibattimento. In tali situazioni, (38) Ai sensi dell'art. 576, comma l, la parte civile può proporre appello ai soli effetti della responsabilità civile contro la sentenza sia di proscioglimento, sia di condanna, pronunciata nel giudizio abbreviato << quando ha consentito alla abbreviazione del rito >>. Poiché le Sezioni unite (29 marzo-12 luglio 2007, Foggiali, in Cass. pen., 2007, 445 1 ) hanno interpretato l'art. 576, comma l, primo periodo, come legittimante la parte civile ad appellare le sentenze di condanna e di proscioglimento per gli interessi civili nel rito ordinario, è ragionevole ritenere che analoga posizione la Cassazione assumerà in materia di giudizio abbreviato, ammettendo l'appello della parte civile.
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il rito abbreviato risulta appetibile perché consente all'imputato di ottenere sia una sentenza di proscioglimento, sia, in caso di condanna, uno sconto di pena. Al tempo stesso, il giudice, che ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, ha il potere-dovere di assumere anche d'ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione (art. 44 1 , comma 5 ) . 4.
L'applicazione della pena su richiesta delle parti. a.
Considerazioni generali. La duplice configurazione del rito.
La denominazione del rito, così come è espressa nel codice, sta a significare che il giudice con sentenza applica quella pena che è stata precisata da una concorde " richiesta delle parti" , e cioè dell'imputato e del pubblico mini stero (3 9). Al giudice spetta di controllare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la congruità della pena richiesta. La decisione avviene allo
stato degli atti, e cioè sulla base del fascicolo delle indagini e dell'eventuale fascicolo del difensore (contenente la documentazione delle investigazioni difensive) . La semplificazione consiste nell'eliminare l'assunzione orale delle prove in dibattimento e nell'utilizzare i verbali degli atti di indagine ai fini della decisione. Una volta pronunciata la sentenza, questa di regola non è appellabile (art. 448, comma 2) ma può essere sottoposta a ricorso per cassazione. La legge prevede un incentivo per l'imputato che si accorda con il pubblico ministero. Nel determinare la pena, sulla quale si forma l'accordo, si deve applicare una diminuzione "fino a un terzo" ; la diminuzione opera dopo che è stato effettuato il computo delle circostanze (40) . La differenza tra patteggiamento e giudizio abbreviato. Sotto il profilo in questione il patteggiamento si distingue profondamente dal giudizio abbreviato. Infatti, l'imputato nel momento in cui chiede il rito abbreviato non conosce né l'esito del processo nel senso del proscioglimento o della condanna; né in quest'ultimo caso, l'entità della "pena base" che il giudice sceglierà e sulla quale sarà operata la riduzione di un terzo; la scelta del rito abbreviato avviene " al buio" . Viceversa, nel patteggiamento l'imputato sa in anticipo quale è la
(39)
La bibliografia in materia è molto ampia. Tra le monografie possiamo ricordare A. FURGIUELE,
L'applicazione di pena su richiesta delle parti, Napoli, 2000; F. PERONJ, La sentenza di patteggiamento, Padova, 1999; D. VrcoNI, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, Milano, 2000. (40) Si tratta di una diminuente che ha natura processuale. Ciò significa che la diminuzione di pena in questione viene applicata a prescindere da una qualsiasi connessione della diminuente stessa con la gravità del fatto di reato o con la personalità dell'imputato (caratteristica invece tipica delle "circostanze" in senso stretto). Una conseguenza di questa natura "processuale" della diminuente sta nel fatto che, se la pena risulta ridotta in modo tale da far scattare la prescrizione del reato, tale effetto non si verifica. Così Cass., Sez. un. 28 maggio 1 997 n. 5, Lisuzzo, in Cass. pen., 1997, 3 34 1 .
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quantità di pena che sarà applicata se il giudice accoglierà l' aq::ordo. n sacrificio del diritto alla prova è compensato dal fatto che l'imputato, accordandosi col pubblico ministero (ovviamente con l'assistenza del difensore), incide diretta mente sulla qualità e quantità della pena, in modo da poter valutare in concreto se gli convenga abbandonare le garanzie che il dibattimento offre. D'altra parte, i princìpi ispiratori del diritto penale non sono disconosciuti: una pena mite, ma applicata con prontezza dopo il fatto di reato, ha un'efficacia di prevenzione generale superiore a una pena più grave, ma applicata a distanza di tempo, sottoponibile al giudizio di appello, "incerta" non solo relativamente al quantum, ma anche in relazione alla effettiva irrogazione della stessa. L'introduzione legislativa del patteggiamento allargato. Proprio sul l' aspetto degli incentivi è intervenuto il Parlamento che con la legge 12 giugno 2003 n. 134 ha ampliato l'ambito di applicazione dell'istituto. In seguito alle modifiche intervenute, oggi sono configurabili due distinti tipi di patteggia mento, quello "tradizionale" e quello "allargato" . Il patteggiamento " tradizio nale" (così denominato perché conosciuto nel sistema, seppure in forma diversa, fin dal 198 1 ) permette all'imputato e al pubblico ministero di accordarsi su di una sanzione sostitutiva o pecuniaria o su di una pena detentiva che, al netto della riduzione fino a un terzo, non supera due anni sola o congiunta a pena pecuniaria (art. 444, comma 1 ) . n patteggiamento " allargato" (introdotto dalla legge n . 134 del 2003 ) consente all'imputato e al pubblico ministero di accordarsi su di una sanzione da due anni e un giorno fino a cinque anni di pena detentiva (sempre al netto della riduzione fino a un terzo) sola o congiunta a pena pecuniaria. Si tratta di due configurazioni distinte di un medesimo istituto. Patteggia mento tradizionale e allargato hanno un nucleo comune di disposizioni che regolano la disciplina procedimentale e gli effetti; ma hanno anche normative differenti per quanto concerne i requisiti ed i benefici. Di esse tratteremo specificamente.
b.
n patteggiamento "tradizionale": l'aspetto preponderante dei benefici.
Il patteggiamento tradizionale si configura come un rito semplificato nel quale i benefici assumono un peso notevole, in relazione alla scelta dell'impu tato di definire immediatamente la propria situazione processuale: tra i vari benefici che spettano all'imputato per aver scelto di "patteggiare" la propria pena, l'incentivo che più spicca è senza dubbio la riduzione fino ad un terzo sulla pena da irrogarsi in concreto. L'unico vero requisito di questo tipo di rito semplificato sta nel massimo di pena detentiva sulla quale l'imputato e il pubblico ministero possono accordarsi al netto della riduzione fino a un terzo; il tetto consiste in due anni di pena detentiva soli o congiunti con pena
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pecuniaria. Nessuna soglia massima è prevista in caso di sola pena pecunia ria (4 1 ) . Occorre evidenziare che non vi sono limiti oggettivi né soggettivi; di modo che il patteggiamento tradizionale si può applicare, almeno in linea teorica, non solo a reati indubbiamente "gravi" come quelli in materia di mafia e terrorismo, ma anche ai delinquenti abituali, professionali, per tendenza e recidivi reiterati di cui all'art. 99 comma 4 c.p. I benefici. Vari sono i benefici che si applicano all'imputato che stipuli il patteggiamento tradizionale con il pubblico ministero. In primo luogo, la parte (di regola l'imputato) può subordinare l'efficacia dell'accordo alla concessione della sospensione condizionale ad opera del giudice (art. 444, comma 3 ) . Questi, se ritiene di non concedere il beneficio (ad esempio perché è infausta la prognosi che l'imputato si astenga dal commettere altri reati) , deve rigettare la richiesta di patteggiamento. Fondamentale risulta, fin d'ora, sottolineare che il giudice del patteggiamento è vincolato ad una scelta secca: può solo irrogare la pena di cui si chiede l'applicazione oppure rigettare "in blocco" la relativa richiesta. n giudice del patteggiamento non può inter venire sul "progetto di sentenza" approntato dalle parti: gli è preclusa ogni modifica dell'accordo a cui sono giunti imputato e pubblico ministero, anche solo in relazione ad una singola clausola (come quella che subordina l'applica zione della pena richiesta alla concessione della sospensione condizionale, la quale è una clausola dell'accordo che riguarda "solo" l'esecuzione della pena "patteggiata") . In secondo luogo, l a sentenza che applica l a pena non comporta l a condanna al pagamento delle spese del procedimento penale; viceversa, l'imputato è tenuto al pagamento delle eventuali spese di mantenimento in custodia caute lare e al pagamento delle spese c.d. di giustizia, ad esempio di conservazione dei beni sequestrati. In terzo luogo, la sentenza che applica la pena non comporta l'irrogazione di pene accessorie (42) ; è evidente l'aspetto premiale poiché accade spesso che più della sanzione penale sia temibile, ad esempio, la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte. In quarto luogo, la sentenza che applica la pena non comporta l'applicazione (4 1 ) Le parti possono altresì chiedere una pena sostitutiva in luogo della pena detentiva già ridotta di un terzo (Cass., sez. un., 12 ottobre 1993, Bosco, in Foro it. , 1994, Il, 3 3 9). Oggi la sanzione sostitutiva può "sostituire" una pena detentiva fino a due anni; infatti l'art. 53 della legge n. 689 del 1981 è stato modificato in tal senso dalla legge n. 134 del 2003. In particolare, la semidetenzione può sostituire la pena detentiva fino a due anni; la libertà controllata può sostituire la pena detentiva fino ad un anno; la pena pecuniaria può sostituire la sanzione detentiva fino a sei mesi. (42) Si tratta delle pene accessorie di matrice penalistica disciplinate, tra l'altro, dall'art. 19 c.p. Viceversa ricordiamo che con la sentenza di patteggiamento deve essere sempre applicata la sanzione " amministrativa" accessoria che consegue alla condanna; ad esempio, la sospensione della patente di guida. Così Cass., sez. un., 27 maggio 1998, Bosio, in Giust. pen., 1999, III, 198.
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di misure di sicurezza; viceversa, consente di applicare la confisca nelle ipotesi nelle quali ai sensi dell'art. 240 c.p. è obbligatoria (es., prezzo del reato e quando la detenzione della cosa è illecito penale) o facoltativa (es., prodotto o profitto di reato o cosa utilizzata per commettere il reato). L'aspetto di novità contenuto nella legge n. 134 del 2003 sta nell'aver consentito al giudice di applicare la confisca di tipo facoltativo. In quinto luogo, il reato è estinto se l'imputato non commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole entro il termine di cinque anni (in caso di patteggiamento per delitto) o di due anni (in caso di patteggiamento per contravvenzione). Il comportamento penalmente corretto estingue "ogni effetto penale" (43 ) . c.
n patteggiamento "allargato".
Come abbiamo anticipato, il patteggiamento "allargato" consente all'impu tato e al pubblico ministero di accordarsi su di una sanzione da due anni e un giorno fino a cinque anni di pena detentiva in concreto, sempre al netto della riduzione fino a un terzo. Se il codice penale prevede una pena pecuniaria, anche questa deve essere ridotta fino ad un terzo: non vi è un limite massimo di quantità di pena pecuniaria né quando questa è sola, né quando è in aggiunta alla pena detentiva. In relazione a questo nuovo tipo di patteggiamento il legislatore ha posto un pesante vincolo: ai sensi dell'art. 444 comma l -bis il patteggiamento allargato è escluso nei casi che andiamo ad esporre (44 ) . Cause di esclusione oggettive. Sotto u n profilo oggettivo, una prima causa di esclusione concerne i procedimenti per i delitti di cui all'art. 5 1 comma 3 -bis c.p.p., e cioè i delitti consumati o tentati di associazione mafiosa (art. 4 16-bis c.p.), di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p . ) , di tratta di persone e i delitti commessi avvalendosi delle condizioni dell'associazione mafiosa o per agevolare tale associazione; e ancora, i delitti di associazione (43) Art. 445, comma 2, che così prosegue: << se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena ». (44) La legge 2 agosto 2004 n. 205 ha modilìcato alcuni aspetti del procedimento di esecuzione per adeguarli alla disciplina del patteggiamento allargato. In base al nuovo testo dell'art. 188 disp. att., quando occorre eseguire più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti pronunciate in procedimenti distinti contro la stessa persona, << questa e il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell'esecuzione l'applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato >> quando concordano sulla entità della sanzione sostitutiva o della pena detentiva, sempre che << quest'ultima non superi complessivamente cinque anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, ovvero due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, nei casi previsti nel comma l-bis dell'art. 444 del codice », e cioè, per i delitti di criminalità mafiosa o terroristica o commessi da delinquenti abituali, professionali o per tendenza o da recidivi reiterati. il giudice dell' esecu zione, se ritiene ingiustilìcato l'eventuale disaccordo del pubblico ministero, può comunque accogliere la richiesta.
IV.I.4.c
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finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 testo unico n. 309 del 1990), il delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, previsto dall'art. 291 -quater legge 23 gennaio 1 973 n. 43 , alcuni delitti di violenza sessuale e i delitti legati alla prostituzione e pornografia minorile (legge n. 3 8 del 2006). Infine, altra causa di esclusione oggettiva è data dai delitti « consumati o tentati con finalità di terrorismo » (art. 5 1 , comma 3 -quater) . Le cause di esclusione soggettive. Le cause di esclusione soggettive riguar dano determinati tipi di imputati, e cioè coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali, per tendenza ed i recidivi reiterati di cui all'art. 99 comma 4 c.p. Ambito di applicazione. Nonostante le menzionate cause di esclusione (45 ) , i reati che possono diventare oggetto di pena concordata sono numerosi; si tratta di tutti quei reati per i quali la pena da concordare, prima di operare la riduzione fino a un terzo, si colloca fino a sette anni e sei mesi. Ciò significa che, ove le attenuanti prevalgano sulle aggravanti, sono teoricamente negoziabili reati punibili con una pena base fino ad undici anni circa di reclusione. A conti fatti, rientrano nel patteggiamento allargato, almeno in astratto, il tentato omicidio, il peculato, la concussione, la rapina a mano armata: sono indubbia mente delitti di notevole gravità. Data l'ampiezza dell'ambito di applicazione del patteggiamento allargato, si può intuire come questo possa diventare uno strumento di deflazione dibattimentale di uso molto frequente nella prassi giudiziaria. Resta il limite in base al quale il patteggiamento allargato non può com portare i benefici della omonima figura tradizionale, poiché le modifiche apportate ai commi l e 2 dell'art. 445 escludono tale possibilità (46) . Viceversa, la disciplina procedimentale e gli effetti della sentenza sono comuni ai due istituti, e di questi veniamo a trattare (47 ) . (45)
Sulla ragionevolezza delle quali s i vedano i rilievi avanzati da R. BrucCHETTI e L . PISTORELLI,
Restano gli incentivi solo sull'accordo a due anni, in Guida dir., 2003, 25, 22. (46)
Infatti nel caso in cui la pena patteggiata sia compresa tra i due anni ed un giorno (di pena
detentiva) ed i cinque anni, il beneficio che ne ricaverà l'imputato sarà lo sconto fino ad un terzo sulla pena da irrogarsi in concreto oltre al beneficio della non menzione nei certificati richiesti dai privati (art. 24 comma
l lett. e T.U.C.G.). (47) Possiamo formulare un esempio di patteggiamento tradizionale ed uno di patteggiamento allargato.
?atteggiamento tradizionale: computo della pena per la imputazione di falsa attestazione continuata a pubblico ufficiale sulla propria identità, delitto punito dall'art. 495 c.p. con la reclusione da uno a sei anni, nei confronti di imputato cui siano concedibili le attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.). Pena base un anno e sei mesi; diminuzione per l'applicazione delle attenuanti generiche a un anno; aumento per la continuazione a un anno e tre mesi (art. 8 1 , comma 2 c.p.); diminuzione per il rito a dieci mesi.
?atteggiamento allargato: computo della pena nel patteggiamento per la imputazione di estorsione, delitto punito dall'art. 629 c.p. con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da € 5 16,00 ad €
2.065,00, nei confronti di imputato recidivo (art. 99, comma l c.p.) cui siano concedibili le attenuanti
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I procedimenti penali dz//erenziati e speciali d.
IV.l.4.d
La disciplina comune.
La regolamentazione. Possono prendere l'iniziativa tendente all'accordo sia l'imputato, sia il difensore munito di procura speciale (48), sia il pubblico ministero. L'imputato può rinunciare a difendersi nei confronti degli elementi raccolti durante le indagini e, quindi, ritenere preferibile un accordo con la pubblica accusa sulla quantità della pena (49). n pubblico ministero, al fine di evitare le incognite del dibattimento, può sondare la disponibilità dell'indagato. Una richiesta unilaterale, che provenga da una sola delle parti potenziali nel corso delle indagini preliminari, obbliga il giudice a fissare un termine perché la controparte esprima un eventuale consenso (art. 447 , comma 1 ) : prima della scadenza la richiesta non è revocabile (art. 447 , comma 3 ) . L a sede naturale per l'esplicarsi dell'accordo è l'udienza preliminare, quando già l'imputato ha avuto modo di conoscere l'intero fascicolo delle indagini e di ponderare la sua strategia difensiva (art. 4 15 �bis) . n termine finale per la presentazione della richiesta di patteggiamento (o per dare il consenso originariamente negato) è la "presentazione delle conclusioni" nell'udienza preliminare (art. 446, commi l e 4) (50) . È evidente come la soluzione si armonizzi con il nuovo assetto dell'udienza preliminare, quale sede di appro fondito vaglio dell'imputazione con possibilità di integrazione probatoria. Occorre precisare che la richiesta può essere presentata anche al termine della nuova udienza fissata con l'ordinanza per l'integrazione delle indagini (art. 42 1 -bù). generiche (an. 62-bir c.p.): pena base sei anni d i reclusione e d € 630,00 d i multa; diminuzione per l'applicazione delle attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla contestata recidiva (art. 69, comma 2 e 4 c.p.), a quattro anni ed € 420,00; diminuzione per il rito a due anni e otto mesi di reclusione ed € 280,00 di multa. (48) Ai sensi dell'art. 446, comma 3, << la volontà dell'imputato è espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'art. 583 , comma 3 >>. La natura di atto personale non esclude che il difensore possa essere considerato il nuncius dell'imputato presente, che nulla eccepisca alla richiesta formulata dal difensore medesimo. Tale considerazione si può ricavare dalla giurisprudenza: Cass., sez. IV, 17 giugno 1 99 1 , p.m. in c. Signorini, in Cass. pen., 1993 , 15 16, e in CED, 190154. (49) Si tratta di una scelta tecnica, che comporta il dovere deontologico del difensore di renderla comprensibile all'imputato. In ogni caso, ai sensi dell'art. 446, comma 5, << il giudice, se ritiene opportuno verilicare la volontarietà della richiesta o del consenso, dispone la comparizione dell'imputato >>. (50) Se si procede con giudizio direttissimo ovvero, di fronte al tribunale in composizione monocra tica, con le forme della citazione diretta a giudizio, la richiesta di patteggiamento può essere formulata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. In caso di giudizio immediato richiesto dal pubblico ministero, l'imputato può chiedere il patteggiamento entro quindici giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato (art. 446, comma 1 ) . In caso di procedimento per decreto, l'imputato può chiedere l'applicazione della pena con l'atto di opposizione al decreto penale di condanna (art. 461 comma 3 ) . Una particolare ipotesi di patteggiamento, che si può svolgere in dibattimento, è prevista dalla sentenza della Corte cost. n. 265 del 1994 nel caso di modifica dell'imputazione o di contestazione di un reato concorrente (art. 5 16), purché il fatto risulti già dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero l'imputato abbia tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione della pena in ordine all'originaria imputazione.
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n problema della ammissione di reità. n codice non impone all'imputato di riconoscere esplicitamente la propria responsabilità nel momento in cui chiede l'applicazione della pena o stipula l'accordo col pubblico ministero. Nel nostro ordinamento la richiesta di patteggiamento da parte dell'imputato non equivale ad una ammissione di reità. Se anche egli avesse reso una confessione, questa sarebbe liberamente valutabile dal giudice. Tra l'altro, l'art. 446 comma 5 permette al giudice di disporre la comparizione dell'imputato al fine di verifi care la volontarietà della richiesta o del consenso. n rigetto della richiesta di applicazione della pena. n pubblico ministero ed il giudice hanno una discrezionalità vincolata nel valutare la richiesta di patteggiamento proveniente dall'imputato. Le loro determinazioni sono sotto poste ad un successivo controllo. n pubblico ministero può dissentire rispetto ad una richiesta di accordo formulata dall'imputato, ma deve enunciarne le ragioni (art. 446, comma 6); queste possono consistere, ad esempio, nella esiguità della pena proposta (tenuto conto della gravità del reato o della colpevolezza) o nella non corretta qualificazione del fatto da parte del richiedente. n diniego del pubblico ministero impedisce al giudice dell'udienza preliminare di decidere sulla richie sta unilaterale dell'imputato (5 1 ) . n controllo operato dal giudice. n giudice valuta la legittimità e la fonda tezza dell'accordo delle parti sulla base di tutti gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini, e quindi anche sulla base della eventuale documentazione delle investigazioni difensive. n giudice deve valutare se sia « congrua la pena indicata ». Pertanto, sull'accordo intercorso tra il pubblico ministero e l'imputato il giudice svolge un controllo di carattere sostanziale; non si limita ad esercitare una funzione meramente "notarile" , di recepimento della volontà delle parti. La necessità di un simile controllo scaturisce dalla Costituzione che considera la libertà perso nale come "inviolabile" , e cioè non rinunciabile per lo stesso titolare. Pertanto, la Carta fondamentale impedisce di lasciare la quantificazione della pena nella piena disponibilità delle parti (52). Occorre, peraltro, tenere presente che quella applicata non è la cd. "pena giusta" determinata attraverso una valutazione esclusivamente penalistica sulla sola base dei parametri indicati dall'art. 133 c.p. La pena applicata su richiesta delle parti, infatti, tiene conto dell'incentivo che (5 1 ) In tal senso si è espressa l'ordinanza n. 225 del 2003 della Corte cost. (52) Il testo originario del codice del 1988 voleva che il giudice si limitasse a controllare la c.d. cornice giuridica dell'accordo, senza sindacare la congruità della pena. Il giudice avrebbe dovuto valutare soltanto la correttezza sia della qualificazione giuridica del fatto, sia del bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti, così come prospettato nell'accordo. Successivamente la Corte costituzionale 26 giugno 1990, n. 3 13 ha dichiarato illegittimo l'art. 444, comma 2 ed ha stabilito che il giudice deve << valutare la congruità della pena indicata dalle parti, rigettando la richiesta in ipotesi di sfavorevole valutazione >>.
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il legislatore ha concesso alla scelta dell'imputato di non esercitare il suo diritto a difendersi in dibattimento (53 ) . Le decisioni del giudice. In presenza di una concorde richiesta dell'impu tato e del pubblico ministero il giudice (di regola nell'udienza preliminare) pronuncia una delle seguenti decisioni (art. 444, comma 2). a) S e ritiene corrette l a qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti nonché congrua la pena richiesta, il giudice con sentenza dispone l'applicazione della pena ed enuncia nel dispositivo che vi è stata richiesta delle parti. b) In caso contrario, con ordinanza rigetta la richiesta e ordina di procedersi con il rito ordinario (54) . c) Infìne, può ritenere che, sulla base degli atti, l'imputato deve essere prosciolto; in tal caso pronuncia d'ufficio sentenza con una delle formule terminative previste dall'art. 129 perché riconosce « che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità ». n giudice deve prosciogliere soltanto se risulta provata una delle cause di non punibilità indicate nell'art. 129 comma l ed appena menzionate (in sostanza, se esiste la prova di innocenza) . Occorre evidenziare che il giudice, al quale è sottoposto il progetto di sentenza sul quale concordano l'accusa e la difesa, deve applicare una regola di giudizio differente da quella prevista dall'art. 530, comma 2 . In dibattimento il giudice proscioglie sia se vi sono prove dell'innocenza, sia in presenza del dubbio sulla reità. Viceversa, nel caso di concorde richiesta della pena, il giudice, se anche per ipotesi ritenesse che il pubblico ministero non ha eliminato ogni ragionevole dubbio sulla reità, deve pronunciare sentenza di patteggiamento perché l'art. 442, comma 2, non gli lascia alternative (55 ) . D comportamento dell'imputato. L a richiesta di applicazione di pena, formulata dall'imputato e non accolta dal pubblico ministero o dal giudice, non può essere utilizzata nella motivazione di una successiva sentenza come " argo mento" al fine di dimostrare la reità. n comportamento dell'imputato è soltanto una rinuncia a difendersi e può essere fondato sui più vari motivi, come quello di evitare i costi e la pubblicità del dibattimento. Pertanto è opportuno che al (53) Ai fini della valutazione della congruità della pena il giudice si ispirerà, è da ritenere, ai criteri di cui all'art. 133 c.p. Inoltre egli dovrà valutare anche la pericolosità sociale dell'imputato (Corte cost., ord. n. 27 1 del 1995). (54) n dissenso manifestato dal pubblico ministero o il rigetto della richiesta da parte del giudice dell'udienza preliminare comportano l'obbligatorio proseguimento del rito ordinario. In ciascuna delle due ipotesi l'imputato può rinnovare la richiesta prima dell'apertura del dibattimento di primo grado e in tal sede il giudice dibattimentale controllerà la correttezza del diniego del pubblico ministero e del rigetto del giudice. Sul punto si veda in/ra. (55) R. ORLANO!, Procedimenti speciali, in G. CoNSO - V. GREVI, Compendio di procedura penale, Padova, 2003, 572; P. FERRuA, Il 'giusto processo', 2 ed., Bologna, 2007, 75-78.
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giudice sia sempre consentito di valutare la possibilità di prosciogliere l'impu tato ai sensi dell'art. 129, anche se è stato perfezionato un patteggiamento tra accusa e difesa (art. 444, comma 2) (56) . La mancata tutela della parte civile. La parte civile è il soggetto maggior mente sacrificato dal patteggiamento. Ai sensi dell'art. 444 comma 2 il giudice, quando accoglie la concorde richiesta dell'imputato e del pubblico ministero, non può decidere sulla richiesta di risarcimento del danno derivante dal reato. Pertanto, la sentenza di patteggiamento non rende giustizia al danneggiato, che è costretto ad iniziare un defatigante processo civile (57 ) . In tal caso, il danneggiato può proporre l'azione di danno in sede civile senza che vi sia sospensione di tale processo, poiché l'art. 444 comma 2 deroga espressamente all'art. 75 comma 3 . Per espresso disposto dell'art. 444, comma 2 il giudice, quando accoglie la concorde richiesta di applicazione della pena, deve condannare l'imputato a risarcire le spese processuali sostenute dalla parte civile, salvo che ncorrano giusti motivi di compensazione totale o parziale. La non menzione nel certificato del casellario giudiziale richiesto dall'interessato. Nel certificato generale del casellario giudiziale richiesto dall'interessato non devono essere riportati i « provvedimenti previsti dall'art. 445 del codice di procedura penale » (58). Poiché il richiamo è fatto generica mente all'art. 445 , la non menzione si applica alle due forme di patteggia mento (59). e.
Natura ed effetti della sentenza di patteggiamento.
Problemi di compatibilità costituzionale. L'applicazione della pena su (56) Occorre tenere presente che il patteggiamento, pur ispirandosi al plea bargaining statunitense, se ne discosta sensibilmente sotto due punti di vista. Innanzitutto, non presuppone una ammissione di responsabilità. In secondo luogo, il giudice non è vincolato ad accogliere la richiesta delle parti: qualora ritenga la pena non congrua, egli può rigettare in blocco l'accordo delle parti. (57) All'interno del quale dovrà essere fornita nuovamente una prova della colpevolezza dell'imputato. Questo accade perché la sentenza che applica la pena "patteggiata" non costituisce titolo idoneo a provare la responsabilità del condannato-patteggiante nel giudizio civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno. Ad ogni modo, nella prassi spesso il pubblico ministero non presta il consenso al patteggiamento quando l'imputato non ha proweduto a risarcire il danno. Si tratta di una prassi contra legem, che si fa carico di un'esigenza che il legislatore non ha voluto considerare. Occorre tenere presente che l'aver risarcito il danno consente all'imputato di usufruire della attenuante prevista dall'art. 62 6 (lm c.p. ' (58) Art. 24 comma l lett. e d.p.r. novembre (lr 2002 3 13 ( ( unico � i del � casellario � giudiziale) che
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richiesta delle parti ha destato numerose perplessità in ordine alla sua compa tibilità con alcuni princìpi costituzionali. Le frizioni del patteggiamento con il dettato costituzionale sono dovute alla difficile conciliabilità tra le sue due componenti: quella negoziate e quella giurisdizionale. La compatibilità dell'isti tuto in esame con i princìpi costituzionali dipende da come vengono bilanciati questi due aspetti. In altre parole, si tratta di stabilire in maniera adeguata fino a che punto possano spingersi i poteri dispositivi delle parti che scelgono di accordarsi e quali sono i doveri accertativi del giudice. li nostro legislatore, però, non ha fissato con la dovuta chiarezza il punto di equilibrio tra la componente negoziale e quella giurisdizionale. Questo spiega perché una delle questioni maggiormente dibattute in materia di patteggiamento sia stata e continui ad essere quella relativa alla natura della sentenza che applica la pena richiesta dalle parti. La "equiparazione" tra la sentenza che applica la pena su richiesta e la condanna. Procedendo con ordine, merita ricordare il disposto dell'art. 445, comma l -bis, a mente del quale, « salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna » (60). Dal punto di vista dei contenuti, come si è accennato, l'art. 444 , comma 2 afferma solo che la sentenza in esame viene emessa quando « non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 » e « sulla base degli atti »; null' altro prevede la norma con riguardo al contenuto probatorio. Dalla lettura dell'art. 445 si ricava che il codice del 1 988 non ha voluto qualificare come condanna la sentenza di patteggiamento. La ragione della scelta originaria è resa palese dalla Relazione al progetto preliminare del codice: la decisione del giudice avrebbe dovuto prescindere, nelle intenzioni del legislatore, da « un positivo accertamento della responsabilità penale ». L'impostazione recepita dal codice del l988, peraltro, ha sollevato una serie di riserve di legittimità costituzionale soprattutto con riferimento al principio nulla poena sine iudicio. Infatti, saremmo in presenza di un meccanismo in virtù del quale la sanzione penale verrebbe applicata a prescindere da una condanna e, quindi, da un accertamento di responsabilità nei confronti di un imputato che è, ricordiamolo, presunto innocente (art. 27, comma 2 Cast.) (61 ) . Una simile lettura appare confliggere anche con il principio costituzionale relativo alla indisponibilità della libertà personale (art. 13 comma l Cast. ) . L e riserve appena menzionate s i sono aggravate negli anni a causa d i due fenomeni convergenti. Da un lato, come vedremo tra breve, si sono registrati (60) Il fatto che il codice utilizzi il termine << equiparata » induce a ritenere che non si tratti di una condanna in senso proprio. La equiparazione fa sì che la sentenza abbia gli effetti processuali e sostanziali della condanna, salvo che la legge disponga diversamente; ove la legge non disponga diversamente, gli effetti si applicano di diritto. ( 6 1 ) Si veda, per alcune considerazioni critiche, G. Lozz1, Il patteggiamento e l'accertamento di responsabilità: un equivoco che persiste, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 1396 ss.
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una serie di interventi legislativi e giurisprudenziali volti ad attribuire espres samente alla sentenza di patteggiamento alcuni tra i più rilevanti effetti che la legge riconosce alla sentenza di condanna. Da un altro lato, l'introduzione del patteggiamento allargato ha ampliato l'area applicativa del rito in parola, con ciò rendendo ancora più forte la frizione con i princìpi costituzionali. Le modifiche successive al 1 988. Dall'entrata in vigore del codice fino ad oggi sono intervenute numerose leggi che hanno disciplinato espressamente gli effetti sostanziali e processuali della sentenza di patteggiamento, con ciò eliminando le incertezze lasciate dall'ambiguo dettato normativa (62). Può essere utile dar conto delle modifiche più recenti, quasi tutte incidenti sulla sfera
(62) In relazione agli eHetti "penali" sono sorti maggiori problemi poiché sul concetto non vi è chiarezza né in dottrina né in giurisprudenza. Per di più, con la legge n. 81 del 1987 il governo era stato delegato dal parlamento ad incidere soltanto sul codice di procedura e, pertanto, non aveva potuto toccare le categorie penalistiche. Ne sono sorti vari problemi, che non possono essere approfonditi in questa sede. n vuoto interpretativo è stato colmato dallo stesso legislatore che successivamente al 1988 ha precisato in vari testi normativi che la sentenza di applicazione della pena su richiesta ha determinati effetti alla pari di una sentenza di condanna. L'art. 8 della legge n. 556 del 1996, che prevede norme sul personale dell'amm. finanziaria, contempla alcune esclusioni da incarichi per chi sia stato definitivamente riconosciuto colpevole di uno dei reati contro la pubblica amministrazione ovvero << abbia beneficiato dell'applicazione di pena ai sensi degli art. 444 e seguenti del codice di procedura penale >>. La legge n. 475 del l999 prevede, a tutela della trasparenza in materia di appalti pubblici, alcune cause di incapacità tra cui l'aver riportato sentenza di patteggiamento. n d.p.r. n. 34 del 2000, in materia di lavori pubblici, all'art. 7 comma 7 lett. e prevede che non possano svolgere attività di attestazione le società quando nei confronti degli amministratori delle stesse sia stata pronunciata << sentenza di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 >>. L'art. 10 del d.lgs. n. 65 del 2000 in relazione agli appalti pubblici di servizi prevede, fra le cause di esclusione dalla partecipazione alle gare, l'avere subito una sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444. La risoluzione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria n. 15 del 30 settembre 1998 riconosce efficacia alla sentenza penale di patteggiamento ai fini della nomina a giudice tributario e della decadenza dall'incarico. L'art. 7 lett. c del d.lgs. n. 545 del 1 992 prevede che la sentenza di patteggiamento precluda la nomina a componente delle commissioni tributarie. Il regolamento del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria del 15 giugno 1999 all'art. 12 prevede sia << dichiarata la decadenza del giudice tributario che abbia riportato una condanna, anche se pronunciata ai sensi dell'art. 444 c.p.p. >>. n decreto ministeriale n. 1 64 del l999 pone tra i requisiti soggettivi dei componenti del consiglio di amministrazione e dei collegi dei sindaci il non aver riportato condanne, anche non definitive, o sentenze ex art. 444 per reati finanziari. In materia di ambiente la legge n. 426 del 1999 ed il d.lgs. n. 152 del 1 999 sulla tutela delle acque richiamano, accomunandole, la sentenza applicativa di pena su richiesta delle parti e la sentenza di condanna. Nella normativa speciale antimafia lo status di condannato a norma dell'art. 444 è equiparato a quello di condannato con sentenza dibattimentale: si veda l'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306 convertito in legge 7 agosto 1992 n. 356. La legge n. 128 del 2001 ha previsto che la sospensione condizionale concessa con la sentenza di patteggiamento può essere revocata così come avviene per la sospensione concessa con la sentenza di condanna (art. 168, comma 3 c.p.). In base agli artt. 609-septies e 609-nonies c.p., mod. dalla legge n. 38 del 2006, la sentenza di patteggiamento comporta, alla pari della sentenza di condanna in relazione ad alcuni delitti di violenza sessuale, l'interdizione perpetua da ogni incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio e servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori. Per quanto riguarda gli eHetti "processuali" i problemi erano minori, perché il codice del 1 988 aveva disciplinato direttamente la materia. Si vedano le norme del codice di procedura penale in tema di esecuzione della pena (art. 656 comma l ) e di effetti nel procedimento cautelare personale (art. 3 00 comma 4); si veda anche la norma sulla iscrizione nel casellario giudiziale, e cioè l'art. 3 d.p.r. 14 novembre 2002, n. 3 13 (TUCG) che ha sostituito l'art. 686 comma l lett. a c.p.p.
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IV .I.4 . e
processuale, che hanno contribuito a rendere ineludibile la questione della natura della sentenza di patteggiamento. l) Anzitutto, la legge n. 97 del 200 1 ha sancito che la sentenza di patteggiamento è equiparata alla condanna ai fini degli effetti del giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità (art. 653 ; es. , presso il Consiglio dell'Ordine degli avvocati). Infatti, l'art. 445 , comma l -bis, stabilisce che la sentenza in oggetto non ha l'efficacia del giudicato nei giudizi civili o amministrativi « salvo quanto previsto dall'art. 653 ». Dalla lettura di quest'ultima norma, si ricava peraltro una indicazione dirimente. Infatti, l'efficacia di giudicato è riconosciuta soltanto a quelle sentenze di patteggiamento, che contengano un « accertamento » del fatto. 2) Inoltre, la legge n. 134 del 2003 ha equiparato la sentenza di patteggia mento alla condanna ai fini della possibilità di revisione (nuovo art. 629 c.p.p. ) (63 ) . Anche in relazione a tale materia, la modifica normativa sortisce effetti rilevanti. Infatti, come vedremo in/ra, la revisione può essere chiesta quando i « fatti stabiliti a fondamento » di una sentenza irrevocabile non possono conciliarsi con quelli accertati in altra sentenza (art. 63 0, lett. a) . In sostanza, la richiesta di revisione per contrasto tra giudicati postula che si verifichi un conflitto tra due sentenze che recano accertamenti contrastanti (64 ) . 3 ) Una ultima rilevante indicazione si trae d a una pronuncia delle Sezioni unite. TI Supremo collegio ha risolto un contrasto giurisprudenziale affermando che la sentenza di applicazione della pena è idonea a provocare la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena precedentemente concesso da altro giudice (65 ) . Dall'articolato percorso motivazionale della pronuncia si ricava che la Corte ha riconosciuto implicitamente la natura accertativa della sentenza di patteggiamento. L'effetto risolutivo della sospensione, infatti, ha come presupposto l'accertamento della commissione da parte dell'imputato di un nuovo reato che fa venir meno la prognosi di ravvedimento e mina le basi del giudizio di meritevolezza che aveva portato a concedere il beneficio. La natura della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Alla luce di quanto fin qui prospettato, è possibile affrontare il problema della natura accertativa o meno della sentenza di patteggiamento. Sulla configurabilità di un obbligo del giudice di operare un accertamento della responsabilità dell'imputato si registra una
(63) In passato la giurisprudenza aveva escluso che la sentenza di patteggiamento potesse essere sottoposta a revisione. Così Cass., sez. un., 25 marzo 1998, Giangrasso, in Cass. pen., 1999, 155. (64) In tal senso, G. Lozz1, Una sentenza sorprendente in tema di patteggiamento allargato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 67 1 . Contra, Cass., 4 marzo 2004, Anizi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 668: è infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. l, L 134 del 2003 (sul patteggiamento allargato) nella parte in cui, ampliando il patteggiamento, non indica l'obbligo che la sentenza << debba essere necessariamente motivata, anche in punto di responsabilità >>. (65) Cass., sez. un., 29 novembre 2005-23 maggio 2006, n. 17781 , Diop Oumar, in Cass. pen., 2006, 2769.
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marcata divaricazione tra due opposti filoni interpretativi. A quanti ritengono indispen sabile un accertamento del genere (66) si oppongono coloro che negano la configura bilità di un accertamento giudiziale, anche soltanto implicito, collegato all'irrogazione di una pena "patteggiata" (67 ) . L a tesi della natura accertativa, sostenuta dalla dottrina maggioritaria, ha sempre ribadito la necessità che la sentenza di patteggiamento contenga un accertamento di responsabilità, in quanto non è possibile applicare una pena in assenza di un giudizio di colpevolezza (nulla poena sine iudicio) . La negazione della natura accertativa rende rebbe la disciplina del rito speciale costituzionalmente illegittima sotto due profili. Anzitutto, come si è già accennato, in relazione alle norme della Costituzione che sanciscono l'indisponibilità dell'oggetto del processo penale (artt. 13 , 24, comma 2, 27, comma 2, 1 1 1 , commi 2, 4, 5 e 6 Cost.). Infatti, ammettere che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti possa prescindere da un accertamento di responsabilità significa riconoscere all'imputato la possibilità di disporre della propria libertà personale in aperto contrasto con l'art. 13 Cost., che ne sancisce l'inviolabilità intesa anche come irrinunciabilità. Si avrebbe, inoltre, una violazione dell'art. 27, comma 2 Cast. che stabilisce la presunzione di innocenza. Secondo altri, infine, si determinerebbe anche una violazione dell'obbligo di motivazione di cui all'art. 1 1 1 , comma 6 Cast., nella misura in cui la sentenza di patteggiamento sarebbe priva di motivazione. La tesi della natura non accertativa è stata a lungo suffragata dalla giurisprudenza sulla base di un dato letterale e cioè sul fatto che il codice parla della sentenza di patteggiamento come di un provvedimento autonomo e distinto dalla sentenza di condanna e ad essa soltanto equiparato con riguardo a determinati effetti. In partico lare, alla motivazione della sentenza di patteggiamento non potrebbe applicarsi inte gralmente il modello di cui all'art. 546 comma l lett. e c.p.p. (68). Pertanto, il giudice non sarebbe tenuto ad indicare le prove poste a base della decisione, né, tanto meno, ad enunciare le ragioni per cui ritiene non attendibili le prove contrarie (69).
(66) La necessità di un accertamento della responsabilità è stata ritenuta indispensabile già dalla sentenza della Corte costituzionale n. 3 13 del 1 990. Si è detto che il giudice non è vincolato alla volontà delle parti bensì soltanto alla legge (art. 101 Cost.); non può essere il notaio di scelte operate da altri. Pertanto la sua decisione di accoglimento dell'accordo deve contenere un accertamento della responsabilità dell'impu tato. Soltanto in presenza di un accertamento siffatto si può applicare una limitazione della libertà personale. La soluzione evita frizioni con i princìpi costituzionali in precedenza menzionati, ma ha il difetto di non avere riscontri nella lettera del codice, che anzi esclude la configurabilità di una condanna in senso proprio. (67) Cass., sez. un., 26 febbraio 1997, Bahrouni, in Dir. pen. proc., 1997, 1984; Cass., Sez. un., 28 maggio 1 997, Lisuzzo, in Foro it. , 1997, II, 670. L'affermata estraneità alla sentenza di condanna permetteva allora di evitare la revoca di una precedente sospensione condizionale, oggi invece imposta dal nuovo terzo comma dell'art. 168 c.p. mod. dalla legge n. 128 del 200 1 . (68) S i veda, Cass., sez. un., 2 7 marzo 1992, Di Benedetto, i n Cass. pen., 1 992, 2060. I n tale pronuncia si distinguono ambiti positivi e negativi della motivazione. Le delibazioni positive (quanto alla sussistenza dell'accordo, alla sua correttezza, alla congruità della pena ed alla concedibilità della sospensione, se richiesta) devono essere sorrette da concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di diritto; mentre per quelle negative (quanto alla esclusione di cause di non punibilità, improcedibilità o estinzione del reato) è sufficiente la semplice enunciazione, anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica richiesta dalla legge (salvo che dagli atti risultino elementi concreti in senso contrario) . (69) Secondo u n diverso orientamento dottrinale anche l a sentenza di patteggiamento deve sottostare
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La tesi appena menzionata, tuttavia, si è formata in un momento nel quale la pena patteggiata doveva essere contenuta fino a due anni e, di fatto, l'imputato la chiedeva subordinandola alla concessione della sospensione condizionale. In seguito alla legge n. 134 del 2003 la sentenza che accoglie il patteggiamento può applicare una pena detentiva fino a cinque anni: risulta più difficile sostenere che si possano irrogare anni di carcere senza un accertamento " neanche implicito" del fatto di reato e, conseguen temente, della colpevolezza dell'imputato. Inoltre, gli interventi normativi e giuri sprudenziali, già ricordati, nel riconoscere al patteggiamento effetti tipici della sentenza di condanna, sembrano partire dal presupposto che, anche a fronte dell'irrogazione di una pena "patteggiata " , un qualche accertamento del fatto di reato possa esserci. Non accettabilità delle tesi opposte. A nostro awiso, nessuna delle due tesi prospettate può essere condivisa nella loro affermazione più radicale. Da un lato, ove si abbia riguardo alle recenti evoluzioni appare innegabile la natura accertativa della sentenza di patteggiamento. Da un altro lato, il tipo di giudizio richiesto al giudice dalla disciplina normativa espressa e la natura deflativa del rito speciale, che impone rapide cadenze al procedimento, rendono illusorio e inattuabile un obbligo di motivazione coincidente con quello richiesto per la condanna.
L'accertamento incompleto su consenso dell'imputato. Appare convincente una tesi, più equilibrata, secondo la quale la sentenza che accoglie il patteggia mento contiene un accertamento incompleto (70) . Questa soluzione concilia le esigenze di rispetto dei princìpi costituzionali con la necessità di mantenere im mutato nella sua sostanza un rito speciale che dal 1988 ha dato buona prova della propria funzione deflativa. D'altronde, l'art. 1 1 1 comma 5 Cost. consente espres samente una deroga al principio del contradditorio nella formazione della prova in presenza del consenso dell'imputato. Da questa norma pare p otersi ricavare che l'accertamento della responsabilità sia una regola moderatamente disponibile, tale da ammettere che il giudice possa limitarsi alla verifica essenzialmente negativa della non esistenza di una causa di non punibilità. Insomma, l'art. 1 1 1 Cost. non impone un unico tipo di accertamento eguale per tutte le situazioni; permette che vi sia un accertamento incompleto su consenso dell'imputato, purché un minimo di accertamento ci sia comunque. Riteniamo accettabile questa ricostruzione sistematica. Con l'accordo delle parti si attua una forma di dialettica che non elimina, bensì attenua l'onere della prova in capo al pubblico ministero. La presunzione di innocenza resta, dunque, salva come regola probatoria. L'imputato rinuncia soltanto a quella garanzia che consiste nella regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio, rendendo più lieve l'onere del pubblico ministero (7 1 ) . In sostanza, il giudice non può rigettare la al modello normativo delineato negli artt. 192 e 546, comma l, lett. e c.p.p. Si veda per tutti F. CoRDERO, Procedura penale, 6a ed., Milano, 200 1 , 1 0 1 3 . (70) P. FERRUA, Il 'giusto processo' , 2 ed., Bologna, 2007, 75-78; M. GrALUZ, Applicazione della pena su richiesta delle parti, in Enc. Dir., Annali, II, tomo l , 2008, 13-25 . (7 1 ) Sulla distinzione tra onere sostanziale della prova e quantum si veda supra, Parte II, cap. 3, § 6.
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richiesta di patteggiamento "per incompletezza delle indagini" . In presenza di un minimo di prove di reità ed in mancanza di una prova piena di innocenza ai sensi dell'art. 129, il giudice, nel dubbio, non può rigettare la richiesta, né disporre l'acquisizione di nuove prove, ma deve emettere sentenza di patteg giamento. Se questa forma di dialettica oltre a soddisfare le reciproche esigenze delle parti, che ne sono protagoniste, attua anche le esigenze di ragionevole durata, è evidente che la si può utilizzare "a fin di bene" , nella misura in cui consente di ridurre i tempi del processo, come impone l'art. 1 1 1 , comma 2 Cost. La lettura che proponiamo ha, a nostro avviso, il pregio dell'onestà intellettuale: non si finge che ci sia un accertamento che in realtà non esiste, bensì si permette un accertamento di intensità minore. In sostanza, la differenza tra la sentenza di condanna e quella di patteggia mento risiede nel diverso grado di approfondimento della cognizione del giudice. li giudice del patteggiamento, infatti, non effettua un accertamento pieno della responsabilità dell'imputato; egli deve limitarsi a motivare sulla fondatezza degli elementi a carico risultanti all'esito delle indagini e sulla impossibilità di applicare l'art. 129. Su questo aspetto, riteniamo che la giurisprudenza sia chiamata ad operare: è necessario controllare che quell'obbligo di motivazione, che è imposto dalla Costituzione, sia attuato nel suo nucleo irrinunciabile (72) . f.
Il diritto di difendersi "negoziando": il controllo sulla ragionevolezza del rigetto della richiesta di pena.
Il dissenso manifestato dal pubblico ministero o il rigetto della richiesta da parte del giudice dell'udienza preliminare comportano l'obbligatorio proseguimento del rito (72) La motivazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti può risolversi, in buona sostanza, in una formula ridotta la cui esclusiva funzione consiste nell'esplicitare al corpo sociale le ragioni del provvedimento giurisdizionale emesso. In tal caso, dunque, la motivazione svolge precipuamente una funzione extraprocessuale, di giustificazione nei confronti del corpo sociale. Sulla base della soluzione interpretativa appena esposta, è possibile affermare che già attualmente la legge ordinaria consente al giudice per volontà delle parti, se non proprio di eludere la motivazione, comunque di formulare un apparato motivo alquanto sintetico, derogando esplicitamente al vincolo della " completezza". L'istituto è espressione di un metodo di amministrazione del processo penale che prende il nome di "giustizia consensuale" . Le parti possono consentire o accordarsi su determinati istituti processuali al fine di anticipare l'epilogo del procedimento penale: il giudice comunque conserva il potere di porre nel nulla le scelte processuali delle parti stesse e di far seguire al procedimento il suo svolgimento ordinario, se la forma "contratta" di composizione dell'illecito penale non consente di compiere un accertamento del fatto di reato e quindi non rende possibile un giudizio sulla responsabilità dell'imputato. L'organo giudicante è vincolato soltanto alla legge e svolge un controllo sugli atti di indagine che le parti concordemente gli forniscono al fine di giustificare l'irrogazione della pena "patteggiata" di cui chiedono l'applicazione. Si tratta degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero ed eventualmente delle risultanze delle investigazioni difensive poste in essere dal difensore. Gli elementi raccolti dalle parti costituiscono la "base probatoria" su cui il giudice è chiamato a verificare la legittimità e la fondatezza della pena di cui le parti chiedono l'applicazione.
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ordinario. In ciascuna delle due ipotesi l'imputato può « rinnovare » la richiesta prima dell'apertura del dibattimento di primo grado (art. 448 comma l ) (73 ) . La norma appena citata stabilisce altresì che « la richiesta non è ulteriormente rinnovabile dinanzi ad altro giudice ». n consenso del pubblico ministero in dibattimento. A questo punto, se il pubblico ministero presente in udienza consente, il giudice del dibattimento ha il potere di valutare la richiesta; « se la ritiene fondata, pronuncia immediatamente sentenza » (art. 448 comma 1). Una disciplina del genere, da un lato, consente il controllo sul precedente diniego o rigetto; da un altro lato, è ispirata ad una istanza di semplifica zione, perché non impone di celebrare comunque il dibattimento al fine di valutare se la richiesta è fondata o meno. Occorre sottolineare come la previsione che il giudice del dibattimento possa sindacare il rigetto del precedente giudice, sembri trasformare il controllo in una nuova delibazione della richiesta effettuata allo stato degli atti, senza il supporto delle risultanze dibattimentali (74) . In tal modo la rinnovazione della richiesta diviene una sorta di "gravame" sull'operato del giudice dell'udienza preliminare. n dissenso del pubblico ministero in dibattimento. Dobbiamo ora esaminare l'ipotesi in cui il magistrato del pubblico ministero, di fronte alla richiesta di pena " rinnovata" dall'imputato prima dell'apertura del dibattimento, neghi il proprio con senso. In tal caso il giudice del dibattimento non può accogliere immediatamente la richiesta formulata dall'imputato poiché sacrificherebbe il diritto alla prova spettante alla pubblica accusa (75) . n potere del giudice di pronunciare sentenza malgrado il dissenso del pubblico ministero può essere esercitato soltanto dopo la chiusura del dibattimento quando il giudice stesso è in grado di valutare, alla luce delle prove raccolte, se le ragioni del dissenso della pubblica accusa erano giustificate.
(73 ) Cass., sez. VI, 19 gennaio - 3 giugno 2010, n. 20794, Lazhar Hassene, in www.dirittoegiustizia, 10 giugno 2010: « il termine "rinnovare" di cui all'art. 448, primo comma secondo periodo, c.p.p. non può essere interpretato nel senso che la riproposizione della richiesta di patteggiamento sia formulata in termini identici ad altra precedente, ma evoca il significato di "nuova richiesta", secondo quanto osservato anche dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 426/200 1 . La richiamata norma, secondo cui, nel caso di dissenso del P.M., l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può "rinnovare" la richiesta di cui all'art. 444, co. l c.p.p., deve essere, pertanto, interpretata nel senso che la nuova domanda non deve reiterare quella precedente ( . . . ) . L a preclusione d i una "nuova richiesta", intesa come " diversa richiesta", è prevista unicamente in caso di opposizione a decreto penale, ipotesi nella quale l'istanza ex art. 444 c.p.p., proposta contestualmente all'opposizione al decreto penale di condanna, una volta rigettata dal giudice, può essere riproposta all'apertura del conseguente dibattimento, solo se reitera esattamente quella precedente. La preclusione di cui all'art. 464, co. 3 c.p.p., infatti, attiene alla richiesta di patteggiamento presentata per la prima volta nel giudizio conseguente all'opposizione al decreto penale, sicché la fedele reiterazione di una precedente richiesta costituisce il presupposto perché possa esercitarsi il sindacato del giudice del dibattimento sulla precedente decisione di rigetto >>. (74) Cfr. F. PERONI, La sentenza dipatteggiamento, cit. , 23 1 . Si veda l'art. 135 disp. att., introdotto dalla legge n. 479 del 1999: << il giudice, per decidere sulla richiesta di applicazione della pena rinnovata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ordina l'esibizione degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero. Se la richiesta è accolta, gli atti esibiti vengono inseriti nel fascicolo per il dibattimento; altrimenti gli atti sono immediatamente restituiti al pubblico ministero >>. (75) Così Corte cost. 2003 n. 100.
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Ai sensi dell'art. 448 comma 2 « in caso di dissenso, il pubblico ministero può proporre appello; negli altri casi la sentenza è inappellabile » . Il controllo da parte del giudice dell'impugnazione. L'art. 448 comma l prevede altresì che il giudice dell'impugnazione possa emettere sentenza di applicazione della pena se ed in quanto ritenga ingiustificato il precedente rigetto da parte del giudice di primo grado. Ciò significa che l'ordinanza di rigetto emessa dal giudice del dibattimento di primo grado può diventare oggetto di impugnazione da parte dell'imputato unita mente alla sentenza di condanna. Motivo del gravame sarà la non ragionevolezza del diniego (7 6). Le norme, che abbiamo esposto fino a questo momento e che sono frutto in parte di elaborazione giurisprudenziale, costituiscono una attuazione della c.d. giustizia consensuale sotto un profilo ulteriore rispetto a quello già menzionato. In base all'art. 24 comma 2 Cost. l'imputato ha ottenuto in passato il riconoscimento del diritto di difendersi "provando " . Oggi l'esigenza di una durata ragionevole del processo (art. 111 comma 2 Cost.) porta ad uno sviluppo nuovo. Varie norme del codice riconoscono all'imputato il diritto di difendersi "negoziando " (77 ) . L'accordo sulla quantità della pena, con i conseguenti incentivi di carattere sostanziale, costituisce un diritto che deve essere riconosciuto all'imputato sia dal pubblico ministero, sia dal giudice. Ove costoro lo neghino irragionevolmente, vi sarà un controllo in dibattimento e nel corso delle impugnazioni circa la fondatezza della richiesta, da parte dell'imputato, di applicazione immediata di una determinata pena. I processi devono essere fatti e la durata ragionevole degli stessi è un valore imposto dalla Costituzione: tutti i soggetti del procedimento ne devono tenere conto. La risposta dell'ordinamento sembra essere l'unica accettabile in un sistema che nega l'azione penale discrezionale e nel quale non si vuole un controllo politico sulle scelte spettanti al pubblico ministero. Unico sindacato è quello tecnico operato dal giudice. Possiamo tracciare una conclusione dal punto di vista sistematico. L'applicazione della pena su richiesta delle parti è un istituto che assume varie forme. La natura del patteggiamento pare essere plurimodulare. L'istituto opera in presenza di un accordo tra pubblico ministero e imputato, ma è efficace anche se il giudice rigetta ingiustamente l'accordo; e ancora, se il pubblico ministero si oppone irragionevolmente alla richiesta avanzata dall'imputato. li tratto comune resta quello della semplificazione del procedi mento penale (78).
(76) Una volta che la sentenza di applicazione della pena su richiesta è stata pronunciata nel giudizio di impugnazione, il giudice deve decidere sull'azione civile alla pari di quanto awiene se in appello viene accertata l'estinzione del reato (art. 448 comma 3 che rinvia all'art. 578). La eventuale condanna anche generica al risarcimento dei danni, pronunciata dal giudice di primo grado, può essere confermata dal giudice di appello. (77) Per l'impiego di tale locuzione, M. PISANI, Italia n style: figure e forme del nuovo processo penale, Padova, 1 998, 9 1 . (78) Con la sentenza 9 luglio 2004, n. 2 19, l a Corte costituzionale ha dichiarato infondata l a questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo alla nuova disciplina del patteggiamento allargato. li Giudice delle leggi ha affermato che l'innalzamento da due a cinque anni della pena detentiva patteggiabile << costituisce certamente un notevole potenziamento di questa forma di "giustizia negoziata" >>. Tuttavia, per un verso << rimangono ( . . . ) fermi i meccanismi di "filtro" e di controllo rispettivamente affidati al pubblico ministero, che continua ad essere chiamato ad esprimere il consenso in caso di richiesta presentata 24
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IV .I.5 . a
n giudizio immediato. a.
Considerazioni introduttive.
Il giudizio immediato ha la caratteristica di eliminare l'udienza preliminare; pertanto, dalle indagini preliminari si transita direttamente all'udienza dibatti mentale. Sotto un'unica denominazione sono ricompresi due procedimenti assai diversi: il giudizio immediato chiesto dal pubblico ministero (art. 453 comma l ) e quello chiesto dall'imputato (art. 453 comma 3 ) . Pare, quindi, opportuno esaminarli separatamente in quanto essi costituiscono l'espressione di due differenti sistemi processuali. A ben vedere, la semplificazione apportata dal giudizio immediato non è indolore, bensì comporta il sacrificio del diritto al controllo giurisdizionale sulla necessità del rinvio a giudizio. Tale diritto, di cui è titolare l'imputato, ha la sua origine nel common law inglese, è previsto nel quinto Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti ( 17 9 1 ) ed è stato parimenti riconosciuto dalla Costituzione più garantista tra quelle che sono state approvate durante la Rivoluzione francese (79). È noto che la pubblicità del dibattimento costituisce una sofferenza che è ingiustamente inflitta all'imputato, quando questi è innocente. Da ciò deriva che i sistemi processuali garantisti prevedono un'udienza preliminare nella quale una giuria popolare o un collegio formato da giudici di carriera controlla la fondatezza dell'accusa formulata dal pubblico ministero. Come si è visto, nel nostro sistema tale compito spetta, viceversa, ad un giudice singolo. Il diritto al controllo giurisdizionale sul rinvio a giudizio è tradizionalmente ritenuto rinunciabile da parte dell'imputato. Sotto questo profilo, quella sotto specie di giudizio immediato su richiesta dell'imputato, che è stata introdotta nel codice italiano del l 988 (artt. 4 1 9, comma 5 e 453 , comma 3 ) , appartiene sicuramente al sistema accusatorio. Un diverso discorso deve essere fatto per quel tipo di giudizio immediato che si svolge in mancanza del consenso dell'imputato, e cioè sulla base della richiesta presentata dal pubblico ministero al giudice (art. 453 , comma l e l -bis) . Come vedremo tra breve, a seguito della riforma apportata con il decreto-legge sulla sicurezza pubblica (n. 92 del 2008) , il giudizio immediato deve essere chiesto dal pubblico ministero sia quando è stata raccolta una prova dall'imputato, e al giudice, deputato a verificare, a norma dell'art. 444 comma 2, non solo la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e dell'applicazione e della comparazione delle circostanze, ma anche la congruità della pena indicata dalle parti >>. Per un altro verso, il legislatore ha adottato opportune « cautele ( . . . ) nel prevedere le ipotesi di esclusione oggettiva e soggettiva in relazione alla gravità dei reati ed ai casi di pericolosità qualificata e la non operatività di importanti effetti premiali >>. Ad avviso della Corte ciò consente di concludere che la scelta di ampliare l'ambito di operatività del patteggiamento, in deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova, appare ragionevole. (79) Art. 9, cap. V, Cost. 3 settembre 1791.
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evidente di re1ta, sia quando è stata applicata una misura cautelare di tipo custodiale. Mentre in quest'ultima ipotesi il giudice è tenuto a disporre il rito immediato senza margini di discrezionalità, in caso di prova evidente egli esercita una valutazione più penetrante sulla richiesta del pubblico ministero. Il giudice opera tale controllo soltanto sulla base degli atti scritti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari; ma soprattutto effettua una valutazione senza che l'imputato sia stato messo in grado di contraddire. Sulla base di quanto abbiamo osservato, il giudizio immediato richiesto dal pubblico ministero è un rito speciale che si pone in tensione con i princìpi del sistema accusatorio: il giudice decide inaudita altera parte.
b.
n giudizio immediato chiesto dall'imputato.
L'imputato può disporre della garanzia dell'udienza preliminare rinun ciando al controllo giurisdizionale sulla necessità del rinvio a giudizio (v. tavola 4 . 1 .8). Egli può presentare richiesta di giudizio immediato soltanto dopo che il pubblico ministero ha formulato l'imputazione ed il giudice ha fissato l'udienza preliminare (art. 4 19, comma 5 ) . Pertanto, il difensore dell'imputato ha già avuto la possibilità di prendere visione del fascicolo degli atti di indagine (art. 415-bis). La richiesta dell'imputato. La richiesta di giudizio immediato va presentata nella cancelleria del giudice almeno tre giorni prima della udienza preliminare e deve essere notificata al pubblico ministero e alla persona offesa. Con la richiesta di giudizio immediato l'imputato perde la possibilità di ottenere il rito abbreviato o il patteggiamento (artt. 458, comma 3 ; 446, comma 1 ) . Di fronte alla richiesta formulata dall'imputato, il giudice è obbligato a disporre il giudizio immediato (art. 4 19, comma 6). La scelta dell'imputato, di rinunciare alla garanzia dell'udienza preliminare, è libera ed insindacabile e può essere determinata da varie ragioni: può darsi, ad esempio, che l'imputato non voglia scoprire in anticipo la strategia difensiva; oppure, ritenendo molto probabile il proscioglimento, preferisca passare subito all'udienza pubblica per motivi di immagine o, ancora, per ottenere l'effetto preclusivo del giudicato (80) .
(80) La novità del rito non è stata compresa da alcuni magistrati, che pretendevano che la richiesta dell'imputato dovesse subire un controllo da parte del giudice così come accade per la richiesta di giudizio immediato formulata dal pubblico ministero. La Corte costituzionale (n. 234 del 199 1 ) ha precisato che l'udienza preliminare è stata posta allo scopo di garantire l'imputato contro un avventato rinvio a giudizio; pertanto, quando l'imputato rinuncia a tale garanzia, nessun controllo può essere fatto sulla sua scelta. Per gli stessi motivi, a detta della Corte, la richiesta dell'imputato, a differenza di quella del pubblico ministero, non deve essere subordinata al presupposto dell'evidenza della prova.
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n giudizio immediato chiesto dal pubblico ministero.
In base al testo originario del codice, il pubblico ministero poteva chiedere il giudizio immediato qualora la prova fosse apparsa evidente. L'iniziativa nell'instaurazione del rito immediato era lasciata ad una valutazione ampia mente discrezionale della pubblica accusa. n pubblico ministero anche a fronte di una situazione di evidenza probatoria avrebbe potuto optare per la prose cuzione del rito nelle forme ordinarie. Il decreto-legge sulla sicurezza pubblica n. 92 del 2008, da un lato, ha reso obbligatoria per il pubblico ministero la richiesta di giudizio immediato nel l'ipotesi appena ricordata di evidenza della prova. Da un altro lato, ha intro dotto un nuovo caso di giudizio immediato: come si è accennato, la pubblica accusa è tenuta a chiedere il rito speciale qualora l'imputato si trovi in stato di custodia cautelare. Nelle due ipotesi, comunque, il pubblico ministero è esentato dal dovere di chiedere il rito immediato quando « ciò pregiudichi gravemente le indagini ». Occorre tenere presente che, di regola, la richiesta di giudizio immediato deve essere presentata entro un termine inferiore rispetto a quello ordinario per le indagini. Così, può esservi pregiudizio quando la completa ricostruzione del fatto di reato richiede tempi più ampi di quelli che sono concessi dalla legge per instaurare il giudizio immediato. Allo stesso modo, le indagini di criminalità organizzata potrebbero subire un pregiudizio quando il deposito degli atti nei confronti di un indagato può compromettere la segretezza di altre inchieste relative a procedimenti collegati nei confronti di altri indagati. Esaminiamo adesso partitamente i presupposti delle due ipotesi appena ricordate (v. schema n. 4 . 1 .8). 1) La ipotesi tradizionale è caratterizzata dalla brevità delle indagini unita all'evidenza della prova di reità. Il pubblico ministero deve chiedere al giudice per le indagini preliminari il rito immediato se concorrono i seguenti presup posti (art. 453 , comma 1 ) : a ) che la prova appare evidente. n requisito è inteso in dottrina nel senso che già esistono " elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio" (argomen tando a contrario dall'art. 425) (8 1 ) (81) In giurisprudenza il requisito dell'evidenza della prova è interpretato nel senso (più blando) che l'udienza preliminare appare inutile perché mancano gli << elementi che possano condurre alla pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere >> (Cass., sez. III, 17 aprile 200 1 , Cornejo Pedroza, in CED, n. 2 1 8674). Per intendere il signilìcato dell'espressione "prova evidente" si deve tener presente che lo scopo della richiesta di giudizio immediato è quello di evitare l'udienza preliminare, e cioè un controllo giurisdizionale in contraddittorio sulla richiesta di rinvio a giudizio. In sostanza, l'ordinamento chiede ad un giudice di effettuare una valutazione che sia tale da far ritenere inutile il controllo dialettico sulla fondatezza dell'accusa. Qualora, viceversa, il criterio della "evidenza della prova" sia interpretato come una prognosi di reità allo stato degli atti, esso dimostra di essere un retaggio del passato sistema misto prevalentemente inquisito rio, nel quale non si avevano scrupoli ad anticipare un giudizio gravemente pregiudizievole per l'imputato sulla base di elementi raccolti fuori del contraddittorio; si veda P. ToNINI, La scelta, cit., 178 ss.
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b) che la persona sottoposta alle indagini sia stata interrogata sui fatti dai quali emerge l'evidenza della prova o comunque sia stata invitata a presentarsi per rendere interrogatorio ai sensi dell'art. 375, comma 3 , e la stessa abbia omesso di comparire, sempre che non sia stato addotto un legittimo impedi mento e che non si tratti di persona irreperibile (art. 453 , comma 1 ) . Ricordiamo che nell'invito a presentarsi doveva essere inserita la sommaria enunciazione del fatto addebitato con l'indicazione degli elementi e delle fonti di prova e con l'avvertimento che poteva essere presentata richiesta di giudizio immediato (82 ) ; c) che non siano decorsi più di novanta giorni dall'iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335 c.p.p. (art. 454 , comma 1 ) . 2) n giudizio immediato "custodiale". Il decreto-legge sulla sicurezza pubblica (n. 92 del 2008) ha introdotto l'obbligo per il pubblico ministero (quando non vi siano gravi pregiudizi per le indagini) di chiedere il giudizio immediato per quel reato per il quale la custodia cautelare a carico di un indagato ha assunto un determinato grado di stabilità, dovuto alla conferma del tribunale della libertà o alla mancata proposizione della richiesta di riesame. È chiaro che la situazione probatoria sottostante è costituita dalla esistenza di gravi indizi di reità dell'indagato tali da giustificare l'applicazione della misura custodiale; si tratta di un quantum di prova che è superiore a quello che nell'udienza preliminare determina il rinvio a giudizio (art. 425) . Quest'ultimo standard probatorio consiste, ricordiamo, nella presenza di elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio. Per questo motivo, il legislatore ha considerato superfluo quel controllo sulla fondatezza dell'accusa che si svolge nell'udienza preliminare perché assorbito nella valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi (83 ). I termini per la richiesta di giudizio immediato custodiale decorrono non dall'iscrizione della notizia di reato, bensì dalla esecuzione della misura. Per tanto, a seconda del momento in cui la custodia è stata applicata, è possibile che si svolgano indagini di una durata anche considerevole. Ciò premesso, il pubblico ministero deve chiedere al giudice per le indagini preliminari il rito immediato se concorrono i seguenti presupposti (art. 453 , comma l -bis) : a) che al momento della richiesta l'indagato sia in stato di custodia (82) La giurisprudenza ritiene che il requisito de qua sia rispettato quando il giudice per le indagini preliminari ha proceduto all'interrogatorio in sede di convalida dell'arresto in flagranza, alla condizione che siano stati correttamente contestati i fatti addebitati e gli elementi di prova a carico; in tal senso Cass., sez. VI, 1° luglio 2003 , in Cass. pen., 2004, 4126; Cass., sez. ill, 7 dicembre 2005, Tiam, CED 233258. (83) In giurisprudenza si è affermato che il giudizio immediato custodiale è ipotesi autonoma da quella tradizionale e non richiede la contemporanea sussistenza del requisito dell'evidenza della prova. In tal senso, Cass., sez. II, 1° luglio - 6 ottobre 2009, M.A., n. 38727: « il giudizio immediato di cui all'art. 453 , comma l -bis, c.p.p. [. . . ] è ipotesi autonoma alla quale non si applicano i presupposti di quella di cui al comma l del medesimo articolo, tra i quali !'"evidenza" della prova >>. Per una articolata ricostruzione degli antefatti della disciplina si rinvia a S. LoRusso, Il giudizio immediato (apparentemente) obbligatorio e la nuova ipotesi riservata all'imputato in vinculis, in Le nuove norme sulla sicurezza pubblica, a cura di S. LoRusso, Padova, 2008, 148.
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cautelare (e cioè, si trovi in carcere, in arresto domiciliare o in ricovero in casa di cura) per il medesimo « reato » per il quale è chiesto il rito immediato; b) che il provvedimento custodiale, adottato nel relativo procedimento, abbia raggiunto un determinato grado di stabilità, e cioè sia stato confermato dalla decisione in sede di riesame (art. 309) o siano decorsi i « termini per la proposizione » di tale rimedio; c) che non siano decorsi « centottanta giorni dall'esecuzione della mi sura » (84). d) Infine, costituisce presupposto del rito immediato il permanere della valutazione dei gravi indizi nel procedimento incidentale de libertate. Il codice precisa che il giudice deve rigettare la richiesta di giudizio immediato « se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza » (art. 455 , comma l -bis) (85 ) . Da tale norma si ricava che lo stato di custodia cautelare deve essere presente al momento della richiesta del rito immediato, ma potrebbe non esserlo al momento in cui il giudice decide sulla richiesta: è irrilevante a tal fine che la custodia sia revocata per sopravvenuta attenuazione o insussistenza delle esigenze cautelari. (84) Poiché il termine decorre non dalla iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'art. 335, bensì dalla esecuzione della misura custodiale, il rito immediato nella nuova ipotesi custodiale non può essere promosso contro il latitante. È utile considerare se la violazione del termine di centottanta giorni comporti una qualche conseguenza giuridica. Si ritiene che si possano applicare i medesimi criteri che la dottrina e la giurisprudenza hanno accolto a proposito del termine di novanta giorni per l'ipotesi di rito immediato basato sull'evidenza. In tale ipotesi, secondo la prevalente giurisprudenza, la violazione di detto termine non sarebbe riconducibile alla previsione di cui all'art. 178, lett b, concernente la nullità generale provocata dalla violazione delle disposizioni inerenti all'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale ed alla sua partecipazione al procedimento, in quanto la tardività della richiesta non incide né sul potere di iniziativa né sul suo diritto di partecipazione. E' parimenti esclusa la violazione delle norme concernenti l'intervento dell'imputato, ritenendosi configurabile un mera irregolarità. In base ad un'altra opinione, il termine imposto per la richiesta di giudizio immediato avrebbe una natura perentoria per quanto concerne il completamento delle indagini, ma assumerebbe carattere meramente ordinatorio relativamente alla materiale presentazione della richiesta. Peraltro, in base ad un'ulteriore tesi, sarebbe configurabile una nullità intermedia per la violazione del diritto dell'imputato a vedere esaminata nell'udienza preliminare la richiesta di passaggio alla fase dibatti· mentale. (85) TI giudizio immediato custodiale, di cui all'art. 453 comma l ·bis c.p.p., risponde ad un nuovo modo di vedere il procedimento. Nell'ottica del legislatore, la persona soggetta ad una misura custodiale deve essere sottoposta a giudizio nel più breve tempo possibile. La lettura più logica della norma è considerare il comma l ·bis sganciato dal presupposto dell'evidenza della prova. I gravi indizi alludono ad una situazione probatoria ancora in evoluzione ma già sufficiente per permettere al giudice di effettuare una prognosi sulla responsabilità dell'imputato. Occorre dare atto che alcuni giudici ritengono di poter esercitare un controllo ulteriore e richiedono, in aggiunta ai gravi indizi, anche l'evidenza della prova. Poiché la decisione sull'essere in grado di affrontare il dibattimento è rimessa alla competenza tecnica del pubblico ministero, che ha svolto le indagini, il giudice che si arroghi tale potere dimostra nei fatti di voler cumulare in sè funzioni decidenti e di accusa. Mentre il senso del nuovo codice è quello di separare le funzioni predette allo scopo di garantire sia la difesa, sia l'accusa.
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La richiesta del pubblico ministero. Sulla richiesta di rito immediato, sia nell'ipotesi tradizionale, sia in quella custodiale, decide il giudice per le indagini preliminari in segreto sulla sola base degli atti trasmessi dal pubblico ministero (art. 454 , comma 2) e senza sentire la difesa. Infatti, il codice non prevede che il pubblico ministero debba aver previamente inviato all'indagato l'avviso di conclusione delle indagini (art. 415-bù) (86) . Di conseguenza il giudice per le indagini preliminari sente esclusivamente la parte pubblica e, sulla base di verbali di atti che possono essere conosciuti solo in parte dal difensore dell'imputato, decide il rinvio a giudizio nella forma del rito im mediato. Il pubblico ministero può avere una remora a disporre il giudizio imme diato quando vi sono procedimenti connessi e per alcuni di essi manchino i presupposti che legittimano il rito speciale. È vero che egli può separare i procedimenti e chiedere il giudizio immediato soltanto per quello (o per quelli) per i quali sussistono i presupposti; ma ciò può pregiudicare gravemente le indagini. Se i procedimenti restano riuniti, per legge deve prevalere il rito ordinario (art. 453 , comma 2 ) . Il controllo operato dal giudice. Il giudice per le indagini preliminari, dopo aver esaminato gli atti contenuti nel fascicolo, se non ritiene sussistenti i requisiti sopra indicati, rigetta la richiesta con decreto non motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero. Viceversa, ove ritenga esistenti i presupposti, il giudice dispone con decreto il rito immediato (art. 455 ) . Il decreto, non motivato, « è comunicato al pubblico ministero e notificato all'imputato e alla persona offesa almeno trenta giorni prima della data fissata per il giudizio » (art. 456, comma 3 ) . Entro lo stesso termine al difensore dell'imputato è notificato avviso della data fissata per il giudizio. Ai sensi dell'art. 139 disp. att., le parti e i difensori hanno facoltà di prendere visione ed estrarre copia, nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari, del fascicolo trasmesso dal pubblico ministero con la richiesta di giudizio immediato. (86) È stata sollevata questione di legittimità costituzionale della normativa relativa al giudizio immediato "tradizionale" nella parte in cui non è previsto l'obbligo per il pubblico ministero di inviare l'avviso di conclusione delle indagini prima di presentare richiesta di rito immediato. Si è affermato che in tal caso all'imputato è inibito di esercitare in modo tempestivo il suo diritto di difesa, alla cui attivazione è finalizzato l'avviso di conclusione delle indagini (an. 4 1 5-bis). La Corte costituzionale, con ordinanza 16 maggio 2002 n. 203, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione affermando che l'art. 415-bù c.p.p. non riconosce all'indagato poteri diversi da quelli che lo stesso può esercitare durante le indagini preliminari. Ha anche sostenuto che la mancanza dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari è giusrilicata dalla particolarità del giudizio immediato caratterizzato dall'evidenza della prova. In definitiva, secondo la Corte il procedimento speciale porta, come unica conseguenza a carico dell'indagato, quella di dm-er anticipare le attività difensive prima della formale conclusione delle indagini preliminari, differenza questa comunque giustificabile alla luce della peculiarità del rito che presuppone appunto l'evidenza della prova.
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All'imputato è dato l'ulteriore avviso che egli può chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta (artt. 456, comma 2; 458, comma l ) (87 ) . n termine di quindici giorni per la richiesta di rito semplificato decorre dall'ultima notificazione intervenuta tra quella concernente il decreto comunicato all'imputato e quella concernente l'avviso al difensore (88). Spetta al giudice per le indagini preliminari decidere sulla domanda di patteggiamento presentata dall'imputato (89) e sulla eventuale richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria. Se il giudice per le indagini preliminari ha rigettato tale richiesta, l'imputato può rinnovarla prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (C. cost. n. 1 69 del 2003 ) . Per costante giurisprudenza, il giudice del dibattimento non può sindacare l'evidenza della prova ritenuta dal giudice per le indagini preliminari (90). Un eventuale provvedimento del giudice dibattimentale, che restituisce gli atti al pubblico ministero per l'ordinario esercizio dell'azione penale, è ritenuto abnorme. 6.
n giudizio direttissimo. a.
n giudizio direttissimo previsto dal codice.
Sotto il profilo strutturale, il rito direttissimo presenta una forte somiglianza con il giudizio immediato chiesto dal pubblico ministero. In entrambi i casi l'iniziativa della pubblica accusa consente di passare rapidamente dalla fase delle indagini a quella del dibattimento, omettendo l'udienza preliminare. La diversità tra i suddetti procedimenti attiene ai presupposti. L'instaura zione del giudizio immediato consegue, in alternativa, o ad una valutazione giurisdizionale di esistenza dei gravi indizi che fondano una misura custodiale, o ad una valutazione del pubblico ministero, che ritenga evidente la prova di reità; la richiesta di rito immediato è controllata dal giudice per le indagini preliminari, che decide in segreto sulla base di atti scritti. Viceversa, per instaurare il rito direttissimo sono richiesti presupposti di tipo oggettivo che consistono nell'arresto in flagranza o nella confessione resa dall'indagato; sull'esistenza di tali presupposti, ritenuti presenti dal pubblico ministero, il giudice si pronuncia in udienza nel pieno del contraddittorio. Ciò premesso, il decreto-legge sulla sicurezza pubblica (n. 92 del 2008, (87) Ai sensi dell'art. 458, comma 2, l'imputato può presentare richiesta di giudizio abbreviato anche condizionandola ad un'integrazione probatoria. (88) In tal senso dispone la sentenza della Corte cast. 16 aprile 2002, n. 120, che ha dichiarato illegittimo l'art. 458, comma l c.p.p. (89) Cass., sez. un., 17-25 gennaio 2005, n. 3087, Novak. (90) Cass., sez. III, 15 novembre 2007, Di Donato, in CED 238603.
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conv. in legge n. 125 del 2008) ha ridisciplinato il rito direttissimo prevedendo due ipotesi obbligatorie ed una facoltativa (v. schema n. 4 . 1 .6) (91 ) . L e ipotesi di rito direttissimo sono le seguenti. l ) n pubblico ministero deve procedere con giudizio direttissimo (salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini) quando l'indagato è stato arrestato in flagranza di reato e l'arresto è stato convalidato dal giudice per le indagini preliminari (art. 449, comma 4). Come ulteriore condizione di ammissibilità, la giurisprudenza richiede che all'arrestato sia stata applicata una misura cautelare custodiale (92). L'interpretazione giurisprudenziale si fonda sul fatto che, in questa ipotesi, il pubblico ministero instaura il rito direttissimo facendo con durre l'accusato in udienza; e ciò deve avvenire entro trenta giorni dall'arresto. 2) Il pubblico ministero deve procedere con giudizio direttissimo anche quando l'indagato abbia reso confessione all'autorità giudiziaria nel corso di un interrogatorio (art. 449, comma 5 ) . L'imputato libero è citato a comparire ad una udienza entro il trentesimo giorno dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato (93 ) . 3 ) n pubblico ministero h a la facoltà di procedere con giudizio direttissimo con la modalità della presentazione al giudice del dibattimento quando ritiene di chiedere a quest'ultimo la convalida dell'arresto (art. 449, comma 1 ) . In tal caso, l'arrestato in flagranza deve essere condotto direttamente nell'aula dibat timentale non oltre il termine di quarantotto ore dall'inizio della limitazione della libertà personale (art. 449, comma 1 ) . La convalida dell'arresto è un presupposto del rito. Pertanto, se l'arresto è convalidato, si procede a giudizio direttissimo. Se l'arresto non viene convalidato, il giudizio direttissimo non ha luogo e gli atti sono restituiti al pubblico ministero che procederà secondo il rito ordinario oppure mediante il giudizio immediato se sono presenti i requisiti di quest'ultimo. Il codice, peraltro, prevede una ulteriore possibilità che il rito direttissimo si instauri pur in mancanza della convalida. Ai sensi dell'art. 449 comma 2 , si deve procedere con il predetto rito quando la pubblica accusa e l'imputato vi consentono. In tal caso, l'esistenza di una base consensuale costituisce il presupposto per la omissione della udienza preliminare. Il pubblico ministero può avere una remota a disporre il giudizio direttis simo quando vi sono procedimenti connessi e per alcuni di questi manchino i (91) L'obbligo viene meno se l'instaurazione del rito direttissimo pregiudica gravemente le indagini. Ad esempio, le indagini di criminalità organizzata potrebbero subire un pregiudizio quando il deposito degli atti nei confronti di un indagato può compromettere la segretezza di altre inchieste relative a procedimenti collegati nei confronti di altri indagati. (92) Cass., sez. un., 23 novembre 1990, Colombo, in Giust. pen., 1 99 1 , III, 3 19. (93) La giurisprudenza ritiene che cosùruiscano confessione tutte quelle dichiarazioni che siano state rese in sede di interrogatorio e che componino l'ammissione di fatti costituenti la base sostanziale dell'imputazione, con esclusione di eventuali aggravanti e senza riguardo alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi.
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presupposti che legittimano il rito speciale. È vero che egli può separare i procedimenti e disporre il giudizio direttissimo soltanto per quello (o per quelli) per i quali sussistono i presupposti; ma ciò può pregiudicare gravemente le indagini (art. 449, comma 6). Infatti, se i procedimenti restano riuniti, per legge deve prevalere il rito ordinario. L'instaurazione del giudizio direttissimo. All'instaurazione del rito prov vede il pubblico ministero, seguendo forme diverse a seconda che l'accusato si trovi in stato di arresto o di custodia cautelare, oppure sia libero o sottoposto a misure cautelari non custodiali. li pubblico ministero, nei primi due casi, fa condurre la persona in vinculis direttamente in udienza, ove gli contesta oralmente l'imputazione (art. 45 1 , comma 4); nelle altre ipotesi fa notificare all'imputato una citazione a comparire, nella quale deve essere enunciato il fatto addebitato (art. 450, commi 2 e 3 ) . In tutti i casi di giudizio direttissimo è la pubblica accusa a formare il fascicolo per il dibattimento, che viene trasmesso alla cancelleria del giudice competente (art. 138 disp. att.). Gli atti delle indagini restano depositati presso la segreteria del pubblico ministero, in modo da consentire al difensore di prenderne visione (art. 450, comma 6). Una volta introdotto il rito direttissimo, il giudice del dibattimento ha il potere-dovere di valutare la sussistenza dei presupposti del medesimo: se la verifica dà esito negativo, egli deve rimettere gli atti al pubblico ministero con ordinanza (art. 452, comma l ) ; altrimenti, il giudice è vincolato a procedere al dibattimento. Le forme del dibattimento. In linea di massima il dibattimento si svolge nelle forme ordinarie, anche se vi sono alcune particolarità. Così, quando non si pro cede a seguito di citazione, il pubblico ministero contesta oralmente l'accusa all'imputato presente (art. 45 1 , comma 4); inoltre, per esigenze di celerità, si prevede che le parti possano far citare oralmente la persona offesa e i testimoni, ovvero possano presentarli direttamente in udienza (art. 45 1 , comma 2). In ogni caso, il presidente avverte l'imputato della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento (art. 45 1 , comma 5), oppure, in alter nativa, un termine (non superiore a dieci giorni) per preparare la difesa. Se l'imputato si avvale di tale facoltà, il giudice deve sospendere il dibattimento sino all'udienza successiva alla scadenza del termine (art. 45 1 , comma 6) (94).
b.
n giudizio direttissimo previsto da leggi speciali.
Alcune leggi, successive all'emanazione del codice, hanno introdotto nel(94) Ai sensi dell'art. 452, comma 2, << se l'imputato chiede il giudizio abbreviato, il giudice, prima che sia dichiarato aperto il dibattimento, dispone con ordinanza la prosecuzione del giudizio con il rito abbreviato >>.
IV.I.7
I procedimenti speciali
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l'ordinamento figure particolari di giudizio direttissimo obbligatorio (95 ) . Quando s i perseguono reati concernenti armi e d esplosivi (art. 12-bis, l . 7 agosto 1992, n. 356), oppure i più gravi reati finalizzati alla discriminazione razziale, etnica e religiosa (art. 6, comma 5 , l. 25 giugno 1 993 , n. 205 ) , il ricorso al rito direttissimo è obbligatorio e si prescinde dall'esistenza dei presupposti sopra indicati; tuttavia, se vi è la necessità di compiere speciali indagini, il pubblico ministero deve procedere nei modi ordinari. Nuove ipotesi di giudizio direttissimo obbligatorio sono previste dall'art. 8-bis della legge n. 40 l del 1989, modificato dal decreto-legge 8 febbraio 2007 , n. 8 « Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche », conv. in legge 4 aprile 2007 n. 4 1 . Tale rito si applica ai reati di inosservanza delle prescrizioni del questore, di lancio di materiale pericoloso ed invasione di campo, di possesso di artifici pirotecnici, nonché ai reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive. Non si procede a giudizio direttissimo se risultano « necessarie speciali indagini » (96). 7.
n procedimento per decreto.
n procedimento per decreto ha lo scopo di evitare sia l'udienza preliminare, sia il dibattimento. Si tratta di un rito che è stato profondamente modificato dalla legge n. 479 del l 999. Il pubblico ministero, se ritiene che possa irrogarsi una pena pecuniaria, sia pure in sostituzione di pena detentiva (e salvo che risulti la necessità di applicare una misura di sicurezza personale; art. 459, commi l e 5 ) , può eser citare l'azione penale, chiedendo al giudice per le indagini preliminari l'emissione di un decreto di condanna nei confronti dell'imputato (97 ) . La richiesta deve (95) Le norme di coordinamento al codice (art. 233, comma 2 ) avevano voluto mantenere in vita soltanto due casi di giudizio direttissimo obbligatorio: per i reati concernenti le armi e per i reati commessi a mezzo stampa. La Corte costituzionale (n. 68 del 199 1 ) ha ritenuto che la scelta non fosse compatibile con la legge delega che limitava l'utilizzo del rito all'arresto in flagranza convalidato e alla confessione. Successivamente il legislatore ha introdotto nuovi casi di giudizio direttissimo obbligatorio. (96) Ulteriori ipotesi di rito direttissimo sono quelle previste dall'art. 12 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico sull'immigrazione) in tema di favoreggiamento dell'ingresso illegale degli stranieri nel territorio dello Stato; dall'art. 13, comma 13-ter, introdotto dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 e modificato dalla legge 12 novembre 2004, n. 271 in tema di violazione del divieto di reingresso da parte dello straniero espulso dallo Stato; infine dall'art. 14, comma 5 -quinquies per i reati di permanenza illegale nel territorio dello Stato. La prima disposizione, al comma 4, prevede per i reati relativi al compimento di attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri in violazione delle disposizioni del Testo Unico << si procede comunque con giudizio direttissimo, salvo che siano necessarie speciali indagini ». La seconda disposizione stabilisce che << è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto anche fuori dei casi di flagranza e si procede con rito direttissimo >>. La terza disposizione, infine, dispone che per i reati previsti si deve procedere con rito direttissimo. Ed ancora, il rito direttissimo è imposto per il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice ai sensi degli articoli 235, comma 3 , e 3 12 , comma 2 c.p., modificati dal d.l. n. 92 del 2008, conv. in legge n. 125 del 2008. (97) La Corte costituzionale, con l'ordinanza del 4 febbraio 2003 n. 32, ha affermato che la richiesta
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essere motivata e va formulata entro sei mesi dall'iscrizione del nome dell'indagato nel registro delle notizie di reato; il termine è ritenuto ordinatorio dalla giuri sprudenza. Sulla richiesta decide il giudice per le indagini preliminari, senza sen tire la difesa (v. tavola 4 . 1 .9) . Pertanto, la decisione si fonda unicamente sugli elementi di prova raccolti dall'accusa, che deve trasmettere al giudice il fascicolo delle indagini (art. 459, comma 1 ) . Gli incentivi. Per "indurre" l'imputato ad accettare la condanna, il codice consente al pubblico ministero di chiedere l'applicazione di una pena diminuita sino alla metà rispetto al minimo edittale (art. 459, comma 2 ) . n giudice può concedere la sospensione condizionale della pena. Per accentuare il carattere premiale del rito, è previsto: a) che il decreto penale esecutivo non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo (art. 460, comma 5 ) ; b) che non possono essere applicate pene accessorie e può essere disposta soltanto la confisca obbligatoria; c) che il decreto non comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento ed il reato è estinto se « nel termine di cinque anni, quando il decreto concerne un delitto, ovvero di due anni, quando il decreto concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravven zione della stessa indole »; d) che la condanna non deve essere menzionata nei certificati richiesti dai privati (art. 24 comma 1 lett. e T.U.C.G. ) . n procedimento per decreto è applicabile anche ai reati « perseguibili a querela se questa è stata validamente presentata e se il querelante non ha nella stessa dichiarato di opporvisi » (art. 459, comma 1 ) . n querelante, con la sua opposizione, ottiene la possibilità di costituirsi parte civile. D controllo ad opera del giudice. La richiesta di decreto penale di con danna può essere rigettata dal giudice per insussistenza dei presupposti oppure perché la pena risulta eccessiva o inadeguata (Corte cost., sentenza n. 447 del 1990) . Ove ricorra una delle ipotesi indicate dall'art. 129 c.p.p. (innocenza o improcedibilità) il giudice deve prosciogliere l'imputato (art. 459, comma 3 ) . Quando accoglie la domanda, il giudice emette decreto di condanna, applicando la pena pecuniaria nella misura proposta dal pubblico ministero. n giudice non ha la possibilità di modificare la pena indicata dalla pubblica accusa (art. 460, comma 2 ) . L'opposizione. Contro il decreto, che deve essere motivato, il condannato e la persona civilmente obbligata, anche tramite il difensore, possono formulare un'opposizione; questa va presentata, a pena di inammissibilità, entro quindici giorni dalla notificazione del decreto (v. atto 4 . 1 .5 ) (98 ) . Se l'opposizione non è del decreto di condanna da parte del pubblico ministero non debba essere preceduta dall'awiso di conclusione delle indagini ai sensi dell'art. 4 1 5-bis c.p.p. (98) Segnaliamo che l'opposizione al decreto penale ha un effetto totalmente devolutivo, simile a quello che ha la richiesta di riesame di una misura cautelare.
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proposta o è dichiarata inammissibile, il giudice ordina l'esecuzione del decreto (art. 46 1 , comma 5) (99). D'altra parte, proponendo l'opposizione il condannato corre il rischio di subire un trattamento sanzionatorio diverso e più rigoroso, rispetto a quel lo stabilito nel decreto, e di perdere i benefici concessi (art. 464 , comma 4) ( 100) . Con la dichiarazione di opposizione si può chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento, oppure il giudizio immediato (art. 464, comma l ) ( 10 1 ) . L'imputato contestualmente all'opposizione può altresì presentare domanda di ablazione (art. 464 , comma 2). In mancanza di una specifica richiesta, l'impu tato è citato per il dibattimento mediante l'istituto del giudizio immediato (art. 464, comma 1 ) . Pertanto, lo sbocco procedurale dell'opposizione è ammesso soltanto nell'ambito dei riti speciali. Vi è una rilevante preclusione alla mancata richiesta di un rito speciale nell'atto di opposizione. Infatti, ai sensi dell'art. 464, comma 3 « nel giudizio conseguente all'opposizione l'imputato non può chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta, né presentare domanda di ablazione ». È chiaro che una simile disciplina non riconosce all'imputato un tempo sufficiente per preparare la sua strategia difensiva: dalla notifica del decre to decorre, infatti, il breve termine di quindici giorni per presentare l' oppo sizione. Irrevocabilità del decreto penale. n decreto penale notificato e non opposto diventa irrevocabile (art. 648, comma 3 ) e non è ricorribile per cassazione (per il principio di tassatività delle impugnazioni); esso è esecutivo ai sensi dell'art. 650, comma l . n decreto penale, a differenza dalla sentenza, ha l'efficacia del giudicato soltanto ai fini penali, e non per fini extrapenali. Pertanto, ai sensi dell'art. 649, comma l , ha l'efficacia preclusiva del giudicato (ne bis in idem) . Ma non costituisce accertamento ai fini extrapenali, ad es. per la responsabilità civile (art. 460, comma 5 ) ( 102) .
(99) L'ordinanza del giudice, che dichiara inammissibile l'opposizione, può essere oggetto di ricorso per cassazione da parte dell'opponente (art. 461, comma 6). ( 1 00) In questi casi non opera il divieto di re/ormatio in peius, che vale soltanto per l'appello (art. 597 comma 3 ) . ( 1 0 1 ) Con la sentenza n. 1 6 9 del 2003 l a Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 464, comma l, secondo periodo << nella parte in cui non prevede che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l'imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato >>. ( 102) Ciò non esclude che singole disposizioni di legge possano prevedere un qualche effetto del decreto penale divenuto irrevocabile; si veda, ad es., l'art. 38, lett. c, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 , secondo cui sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori pubblici coloro nei confronti dei quali sia stato emesso un decreto penale di condanna divenuto irrevocabile << per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale ».
I procedimenti penali differenziati e speciali
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IV.I.8
L'oblazione.
Tra i procedimenti speciali che hanno la funzione di deflazionare il dibat timento può essere ricompresa l'ablazione, e cioè quel pagamento volontario di una somma che produce l'effetto di estinguere il reato (artt. 162 e 162-bis c.p.) . I n verità, tutte le cause di estinzione del reato ottengono u n qualche effetto di deflazione relativo all'intero procedimento penale perché esse, in qualsiasi fase o grado intervengano, costringono il giudice a dichiararle immediatamente e a prosciogliere l'imputato con sentenza di non doversi procedere (art. 129 c.p.p.). Ciò vale per la morte del reo (art. 150 c.p . ) , per l'amnistia (art. 1 5 1 c.p.) , per la prescrizione del reato (art. 157 c.p.) , per il perdono giudiziale del minorenne (art. 1 69 c.p.) . Tuttavia, dalle predette ipotesi si stacca l'ablazione che, oltre ad essere una causa di estinzione del reato, ha ulteriori effetti processuali: a cagione di essi conviene trattarne autonomamente tra i procedimenti speciali. La finalità di deflazione processuale. Tra tutte le cause di estinzione del reato previste dal codice penale, l'ablazione è l'unica che è legata alla iniziativa volontaria dell'imputato e che deve necessariamente intervenire « prima del l'apertura del dibattimento », come specificato dagli artt. 162 e 1 62 -bis c.p. L'ablazione, infatti, ha una prevalente finalità di deflazione processuale: lo Stato soddisfa la pretesa punitiva con il pagamento di una somma di denaro prima dell'apertura del dibattimento. Si distinguono due forme di ablazione: quella obbligatoria (art. 162 c.p.) e quella facoltativa (rectius, discrezionale: art. 162-bis c.p.) . a ) L'ablazione obbligatoria concerne le contravvenzioni punite con la sola ammenda. Il contravventore è ammesso a pagare una somma pari ad un terzo del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione che gli è addebitata, oltre alle spese del procedimento. b) L'ablazione facoltativa si applica alle contravvenzioni punite alternati vamente con la pena dell'arresto o dell'ammenda; il contravventore può essere ammesso a pagare una somma corrispondente alla metà del massimo dell'am menda, oltre alle spese del procedimento (ad es. , l'inosservanza di un provve dimento legalmente dato dall'autorità è punibile con l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a euro 206; art. 650 c.p.). a) Nel caso di ablazione obbligatoria, il giudice è tenuto ad accogliere la richiesta se l'imputato l'ha presentata entro il termine prescritto. Fa eccezione il caso del reato permanente, che la giurisprudenza considera non suscettibile di ablazione. b) La disciplina dell'ablazione facoltativa è più rigorosa: essa comporta un maggiore onere per l'imputato, che già all'atto della richiesta deve depositare una somma corrispondente alla metà del massimo dell'ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione (ad es. euro 103 nell'ipotesi precedente) . Inoltre, l'ablazione facoltativa è subordinata alla discrezionalità del giudice che la
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I procedimenti speciali
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concede. Questi può, infatti, respingere la richiesta se ntlene che il fatto sia grave, che l'imputato si trovi in condizioni soggettive tali da farne presumere la pericolosità (recidivo reiterato, delinquente abituale o professionale) o che permangano le conseguenze dannose o pericolose del reato. Così, nell'ipotesi considerata il giudice può chiedere che l'imputato fornisca la prova di avere ottemperato al provvedimento dato dall'autorità ed eliminato gli effetti prodotti con il reato (art. 162 -bis c.p.) ( 103 ) . Aspetti processuali. L'indagato può proporre domanda di ablazione già nel corso delle indagini preliminari ( 104) : in tal caso il pubblico ministero trasmette la domanda, unitamente agli atti del procedimento, al giudice per le indagini preliminari che decide (art. 1 4 1 comma l disp. att. c.p.p.). Iniziato il processo (e cioè, dopo l'esercizio dell'azione penale) la domanda di ablazione deve essere presentata direttamente al giudice, che decide dopo aver sentito il pubblico ministero (art. 1 4 1 comma 2 disp. att. c.p.p.). La richiesta di ablazione può essere presentata sia a seguito di citazione diretta a giudizio di fronte al tribunale (art. 552 c.p.p.) ( 105) , sia in caso di citazione a giudizio di fronte al giudice di pace (art. 20 d.lgs. n. 274 del 2000) ( 1 06). In ogni caso, l'istanza di ablazione deve essere presentata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento ( 107) . n giudice, quando ammette l'ablazione, fissa con ordinanza l'ammontare della somma che l'imputato è tenuto a versare e ne dà avviso all'interessato. n ( 1 03) Nonostante queste differenze, il fondamento giuridico delle due figure di ablazione (obbliga toria e facoltativa) è unitario e risiede nella finalità di snellimento delle procedure giudiziarie: lo Stato soddisfa la pretesa punitiva mediante il pagamento di una somma da parte dell'imputato. ( 104) La richiesta di ablazione può essere presentata anche dal difensore non munito di procura speciale. In tal senso, Cass., Sez. un., 29 ottobre - 15 dicembre 2009, n. 47923, D'Agostino, in www.diritto egiustizia.it 24 dicembre 2009, secondo cui << non è dato rinvenire indicazioni normative, né espresse né ricavabili in via interpretativa, che ostino alla proposizione della domanda di ablazione da parte del difensore, pur in mancanza di conferimento di procura ad actum, in base alla generale abilitazione conferita dall'art. 99, comma l, c.p.p., trattandosi di un atto di mero impulso processuale; ed essendo solo l'atto del pagamento della somma dovuta a titolo di ablazione, questo sì "personalissimo" , pur se certamente delegabile, idoneo a incidere irreversibilmente sull'esito del procedimento e sulle relative regole di giudizio >>. ( 1 05) L'avviso della possibilità di chiedere ablazione deve essere inserito a pena di nullità nel decreto Ji citazione diretta a giudizio di fronte al giudice monocratico (art. 552); nessun avviso è prescritto in caso di citazione a giudizio di fronte al giudice di pace (art. 20 d.lgs. n. 274 del 2000). ( 106) La possibilità di presentare istanza di ablazione a seguito di citazione a giudizio di fronte al giudice di pace non è stata espressamente prevista dal legislatore; tale carenza ha comportato difficoltà mterpretative oggi definitivamente risolte dalla giurisprudenza di legittimità nel senso della possibilità di accedere all'ablazione anche in caso di citazione a giudizio di fronte al giudice di pace. Si veda Cass., Sez. IV, 30 ottobre 2002, Cassetti, in Cass. pen., 2003, 1496. ( 1 07) Il pubblico ministero, anche prima della richiesta di decreto penale può avvisare l'interessato, ave ne ricorrano i presupposti (am. 162 e !62-bzs c.p.) che ha facoltà di chiedere di essere ammesso all'ablazione e che l'ablazione estingue il rearo (an. l·H, comma 3 disp. att. c.p.p.). L'avviso della possibilità di chiedere ablazione è previsto come obbligarono quando viene emesso il decreto penale di condanna (art. 1 4 1 comma 3 disp. att. c.p.p.) ma non a pena di nullità. Una volta che è stato disposto il decreto penale di condanna, la richiesta di ablazione deve es..<ere presentata congiuntamente alla proposizione della opposizione (art. 464 comma 2 e art. 557 c.p.p. ).
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I procedimenti penali differenziati e speciali
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medesimo giudice, verificato il pagamento della somma in questione, pronuncia sentenza di proscioglimento dichiarando il reato estinto per intervenuta abla zione (art. 14 1 comma 4 disp. att. c.p.p.). Il giudice che ritenga inammissibile l'istanza di ablazione deve indicarne i motivi pronunciando ordinanza e disponendo la restituzione degli atti al pubblico ministero ( 108) . Il procedimento prosegue nella forma ordinaria, ma l'imputato può riproporre la domanda fino all'inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado (art. 1 62 -bù comma 4 c.p.) ( 109).
( 1 08) In tal caso il giudice diventa incompatibile con la funzione di giudizio ai sensi dell'art. 34 c.p.p. (Corte cost. 15 dicembre 1 994 n. 453 e 3 0 dicembre 1 994 n. 455). ( 109) In caso di modifica dell'originaria imputazione in altra per la quale sia ammissibile l'ablazione, l'imputato è rimesso in termini per chiedere la medesima. ll giudice, se accoglie la domanda, fissa un termine non superiore a dieci giorni per il pagamento della somma dovuta (art. 1 4 1 comma 4-bis disp. att. c.p.p.). Contro il rigetto della richiesta di ablazione può essere presentato appello (art. 604 comma 7 ) .
CAPITOLO II IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE MONOCRATICO
SoMMARIO: l . Considerazioni introduttive.
-
2. Il procedimento monocratico con udienza
preliminare. - 3 . Il procedimento monocratico con citazione diretta. - 4. I riti speciali nel procedimento monocratico.
l.
Considerazioni introduttive.
Nell'ambito dei reati che appartengono alla cognizione del giudice mono cratico il legislatore ha distinto due /asce di gravità alle quali sono correlate due differenti tipi di procedimento penale (v. tav. 2 . 1 . 12 ) . In questa sede richia miamo quanto abbiamo esposto a proposito della competenza del tribunale (parte Il, cap. l , § 2 lett. c) . Nella prima fascia rientrano i seguenti reati (art. 550) : a) le contravvenzioni, purché non siano di competenza del giudice di pace; b) i delitti puniti con la sola multa, purché non siano di competenza del giudice di pace; c) i delitti puniti con pena detentiva fino a quattro anni nel massimo, anche congiunta a multa, purché non siano di competenza del giudice di pace; d) altri reati puniti con pena superiore, indicati nominativamente nel l'art. 550 comma 2 ( 1 ) . In relazione a questa prima fascia di reati, è predisposto un rito apposito, caratterizzato dalla mancanza dell'udienza preliminare: in esso il pubblico mi nistero esercita l'azione penale mediante decreto di citazione diretta a giudizio. Nella seconda fascia, determinata in via residuale, rientrano tutti gli altri reati che appartengono alla cognizione del tribunale in composizione monocra tica, e cioè i delitti puniti, nel massimo, con pena detentiva superiore a quattro anni e fino a dieci anni (2) . Per tali delitti è predisposto un procedimento che (l) Si tratta della violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.); della resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.); dell'oltraggio a magistrato in udienza aggravato ai sensi dell'art. 334, comma 2 c.p.; della violazione di sigilli aggravata a norma dell'art. 349, comma 2 c.p.; della rissa aggravata a norma dell'art 588, comma 2 c.p., escluso il caso in cui taluno sia rimasto ucciso o abbia subìto lesioni gravi o gravissime; del furto aggravato a norma dell'art. 625 c.p.; della ricettazione (art. 648 c.p.). (2) Ai sensi dell'art. 550, comma l (che rinvia all'art. 4) per la determinazione della pena si ha riguardo alla comminatoria edittale, senza tener conto delle circostanze,
«
fatta eccezione delle circostanze aggravanti
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I procedimenti penali differenziati e speciali
IV.II.2
è eguale a quello collegiale (salvo alcune marginali differenze) e che prevede lo svolgimento dell'udienza preliminare. Ai sensi dell'art. 55 1 , quando vi è connessione tra reati rientranti nella prima fascia e reati rientranti nella seconda, trova applicazione per tutti il procedimento che prevede lo svolgimento dell'udienza preliminare. 2.
n procedimento monocratico con udienza preliminare.
Sia il procedimento monocratico predisposto per i reati più gravi, sia quello predisposto per i reati meno gravi sono modellati sul procedimento dinanzi al tribunale in composizione collegiale, che nel codice è concepito come il rito ordinario. Nell'art. 549 il codice opera un generale rinvio al rito ordinario nei seguenti termini: « per tutto ciò che non è previsto nel presente libro (settimo) o in altre disposizioni, si osservano le norme contenute nei libri che precedono, in quanto applicabili ». Il procedimento monocratico per i reati più gravi. È opportuno ricostruire, in prima battuta, il procedimento monocratico predisposto per i reati più gravi, perché questo comporta minori deroghe rispetto al procedimento ordinario. Una volta tratteggiata la relativa disciplina, daremo conto, per differenza, delle disposizioni concernenti il procedimento per i reati meno gravi (v. tav. 4.2 . 1 ). Poiché non viene dettata alcuna regolamentazione specifica in merito alla fase che precede il giudizio, trovano integrale applicazione le norme sul procedimento collegiale. Pertanto, si applica la disciplina comune relativa: alle indagini preliminari (compreso l'obbligo di invio dell'avviso di conclusione delle indagini previsto dall'art. 415-bis); alla proroga dei relativi termini; all'incidente probatorio; all'archiviazione e all'esercizio dell'azione penale; non ché, infine, all'udienza preliminare. Il dibattimento. li dibattimento si svolge secondo le norme stabilite per il procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale, in quanto appli cabili (art. 559, comma 1 ) . Sono previste alcune peculiarità. Di regola, i dichiaranti sono sentiti con esame incrociato; tuttavia, su concorde richiesta delle parti, l'esame può essere « condotto direttamente dal giudice sulla base delle domande e contestazioni proposte dal pubblico mini stero e dai difensori » (art. 559, comma 3 ) . per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale >>. A seguito dell'emanazione del decreto-legge 27 luglio 2005 n. 144, recante « Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale >>, conv. in legge 3 1 luglio 2005 n. 155, la cognizione del tribunale in composizione monocratica risulta essere ampliata. Infatti, alcuni dei nuovi reati, introdotti dal provvedimento menzionato, rientrano nei limiti edittali che comportano la cognizione del giudice singolo; essi sono: a) l'addestramento e l'istruzione all'uso di materiali esplosivi, armi da fuoco, aggressivi chimici o sostanze batteriologiche nocive o pericolose ed altri congegni micidiali (art. 270-quinquies c.p.); b) il possesso e la falsificazione di documenti di identificazione falsi (art. 497-bis c.p.).
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Il procedimento davanti al tribunale monocratico
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Inoltre, il verbale di udienza è redatto soltanto in forma riassuntiva « se le parti vi consentono e il giudice non ritiene necessaria la redazione in forma integrale » (art. 559, comma 2) (3 ) . D i fatto molti procedimenti d i fronte al tribunale i n composizione mono cratica presentano un rilevante grado di complessità dal punto di vista istrut torio (si pensi ad esempio all'omicidio colposo o lesioni gravi dovute a colpa medica, ipotesi queste particolarmente delicate in punto di accertamento del nesso causale fra condotta ed evento e della sussistenza dell'elemento sogget tivo) ovvero suscitano un considerevole allarme sociale (si pensi all'omicidio colposo a seguito di violazione delle norme in materia di circolazione stradale o di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro) . 3.
Il procedimento monocratico con citazione diretta.
Considerazioni preliminari. Si tratta di un procedimento che ha una disciplina identica a quella finora tratteggiata in relazione al rito monocratico predisposto per i reati più gravi (la maggior parte delle norme, che abbiamo commentato, sono dettate indistintamente per entrambi i procedimenti) . Vi è una differenza: nel rito con citazione diretta non è previsto lo svolgimento dell'udienza preliminare. La peculiarità si riflette, ovviamente, sugli istituti che sono collegati con tale udienza. Il pubblico ministero esercita l'azione penale con citazione diretta a giudi zio. Non è previsto alcun controllo del giudice sulla fondatezza dell'iniziativa del pubblico ministero. Quest'ultimo emette il decreto di citazione a giudizio (art. 552) e lo fa notificare all'imputato e alla persona offesa almeno sessanta giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione (4) . La formazione del fascicolo per il dibattimento. Immediatamente dopo la notificazione, il pubblico ministero forma il fascicolo per il dibattimento e lo trasmette al giudice (del dibattimento) unitamente al decreto (art. 553 , comma (3 ) Le disposizioni, che abbiamo appena riportato, erano già previste nel procedimento pretorile. Tuttavia, mentre potevano ritenersi accettabili con riguardo alla natura dei reati attribuiti alla competenza del pretore, appaiono difficilmente compatibili con i più gravi reati che attualmente rientrano nelle attribuzioni del tribunale in composizione monocratica. Attualmente in molti uffici giudiziari, accanto al verbale redatto dal cancelliere è prevista la fonoregistrazione delle deposizioni dei dichiaranti e la loro successiva trascrizione integrale anche per i procedimenti di competenza del tribunale in composizione monocratica. Tale attività risulta essenziale ove si consideri che nella maggior parte dei casi l'istruttoria dibattimentale si protrae per più udienze che si svolgono anche a diversi mesi l'una dall'altra. Le trascrizioni delle udienze costituiscono quindi uno strumento essenziale sia per le parti durante il prosieguo dell'istruttoria dibattimentale ed in sede di conclusioni, sia per il giudice al momento della pronuncia della sentenza e redazione delle motivazioni. (4) La competenza a disporre il sequestro preventivo o conservativo, una volta che il pubblico ministero ha emesso il decreto di citazione a giudizio, spetta al giudice per le indagini preliminari sino a quando il decreto, unitamente al fascicolo per il dibattimento, non è trasmesso al giudice dibattimentale (Cass. Sez. II, 19 dicembre 2008, n. 2388, in CED n. 243034; Cass, sez. II, 19 dicembre 2008, n. 1 1740, in CED n. 239742).
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I procedimenti penali differenziati e speciali
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1 ) . All'imputato non è riconosciuta la garanzia dell'udienza preliminare che consente un vaglio preventivo sulla idoneità degli elementi raccolti nel corso delle indagini a sostenere l'accusa in giudizio. Inoltre, l'imputato è estromesso dalla formazione del fascicolo per il dibattimento. Infatti, in questa procedura il fascicolo per il dibattimento è formato unilateralmente dal pubblico mini stero. Comunque, l'imputato ed il suo difensore possono, in sede di questioni preliminari prima che venga dichiarato aperto il dibattimento, chiedere che vengano esclusi dal fascicolo del dibattimento tutti quegli atti che non potevano esservi inseriti (art. 491 in base al richiamo operato dall'art. 549). Prima di emettere il decreto di citazione a giudizio, il pubblico ministero, a pena di nullità, deve aver fatto notificare all'indagato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 4 15 -bis) nonché, ove l'indagato abbia chiesto di essere interrogato, l'invito a presentarsi per rendere interrogatorio (art. 552, comma 2). n decreto di citazione a giudizio. Il decreto di citazione a giudizio ha un contenuto più complesso rispetto al decreto che dispone il giudizio nel rito collegiale e nel rito monocratico per i reati più gravi (art. 429). In particolare, deve contenere tre elementi ulteriori: l ) l'avviso all'imputato che ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore d'ufficio (art. 552, comma l , lett. e); 2) l'avviso all'imputato che prima della dichiarazione di apertura del dibattimento può chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento, o presen tare domanda di ablazione (art. 552, comma l , lett. f) ; 3 ) l'avviso che il fascicolo delle indagini è depositato nella segreteria del pubblico ministero e che le parti e i loro difensori possono prenderne visione ed estrarne copia (att. 552, comma l , lett. g) . L'udienza di comparizione. Il legislatore del l 999 ha previsto una apposita udienza, denominata udienza di comparizione (art. 555) . Si tratta di un istituto polifunzionale, che potrebbe essere definito come una sorta di trait d'un ion tra la fase delle indagini preliminari e quella del giudizio. L'udienza di compari zione ha almeno due funzioni: da un lato, essa costituisce la sede nella quale l'imputato ha la possibilità di scegliere un rito alternativo. Da un altro lato, ove comunque si vada al dibattimento, nell'udienza di comparizione le parti svol gono una serie di attività, che altrimenti troverebbero la loro sede nell'udienza dibattimentale. In ogni caso è previsto che le parti, a pena di inammissibilità, debbano de positare sette giorni prima della data fissata per l'udienza, le liste « dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell'art. 2 10 di cui in tendono chiedere l'esame » (art. 555 , comma 1 ) . Ove infatti non si instauri alcun rito speciale, l'udienza di comparizione può sfociare nel dibattimento. La disciplina dell'udienza di comparizione è alquanto scarna e la dinamica di svolgimento necessita di una ricostruzione in via ermeneutica. Una volta
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Il procedimento davanti al tribunale monocratico
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accertata l a regolare costituzione delle parti, ultimo momento per l a costitu zione di parte civile, ha luogo la discussione delle questioni preliminari. Terminata la discussione, le parti hanno la possibilità di richiedere un rito speciale. Prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l'imputato o il pubblico ministero possono chiedere l'applicazione della pena su richiesta delle parti. L'imputato può altresì chiedere il giudizio abbreviato o presentare domanda di ablazione (art. 555 , comma 2). Inoltre, quando il reato è persegui bile a querela, il giudice deve procedere ad un tentativo obbligatorio di conciliazione verificando « se il querelante è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione » (art. 555 , comma 3 ) . Ove non si pervenga ad uno degli epiloghi suddetti, il giudice dichiara aperto il dibattimento. Le parti « indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove » (art. 555, comma 4 ) . È altresì possibile l'acquisizione concordata al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o raccolti nel corso delle investigazioni difen sive. Successivamente, il dibattimento si svolge con le forme, che abbiamo esaminato supra, analizzando il procedimento monocratico per i reati più gravi. Le funzioni del pubblico ministero. Una particolarità concerne le funzioni del pubblico ministero, che dinanzi al tribunale in composizione monocratica sono svolte dal procuratore della repubblica presso il tribunale. Questi può delegare lo svolgimento delle sue funzioni nell'udienza dibattimentale ad uditori giudiziari, a vice procuratori onorari addetti all'ufficio, a personale in quie scenza da non più di due anni che nei cinque anni precedenti abbia svolto le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria, o a laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola biennale di specializzazione per le professioni legali (art. 72 comma l ord. giud. mod. dal decreto-legge antiter rorismo n. 144 del 2005 , conv. in legge n. 155 ) . Il comma 3 della medesima disposizione stabilisce, tuttavia, che deve seguirsi il criterio di non delegare le funzioni di pubblico ministero in relazione a " reati diversi da quelli per cui si procede con citazione diretta a giudizio" . Di conseguenza, la delega delle funzioni, di regola, è possibile soltanto nei procedimenti relativi ai reati meno gravi (5) . L'art. 7 2 ord. giud. attribuisce al soggetto delegato gli stessi poteri spettanti al pubblico ministero togato, ivi compresa dunque la modifica della imputa zione (art. 5 16), la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza (5 ) Cass., sez. V, 27 maggio 2003, Gattafoni, in CED n. 224834, ha affermato che << il criterio della non delegabilità delle funzioni di pubblico ministero nei procedimenti per reati diversi da quelli per i quali si procede con citazione diretta, stabilito dall'art. 72 ord. giudiziario, come modificato dall'art. 58 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, costituisce una prescrizione per i dirigenti degli uffici requirenti, relativa all'organiz zazione del lavoro nelle procure, ma non ha rilievo esterno all'ufficio e non incide sulla validità delle deleghe conferite e degli atti compiuti >>.
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I procedimenti penali dzf/erenziati e speciali
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aggravante (art. 5 17) e, con il consenso dell'imputato, la contestazione di un fatto nuovo (art. 5 18) non enunciato nel decreto di citazione a giudizio (6). Ulteriori particolarità incidono sull'udienza di convalida dell'arresto nel rito direttissimo, sulla richiesta di decreto di condanna (artt. 459 comma l e 565 ) e sui procedimenti in camera di consiglio (art. 127 ) , salvo alcune eccezioni. L'art. 72 cit. consente al procuratore della repubblica di conferire la delega a vice procuratori onorari addetti all'ufficio; e ciò in relazione ad una determinata udienza o a un singolo procedimento. 4.
I riti speciali nel procedimento monocratico.
I procedimenti speciali. Anche con riferimento ai riti semplificati la disci plina è quasi interamente modellata su quella prevista nell'ambito del procedi mento dinanzi al tribunale collegiale. Soltanto per il giudizio direttissimo è predisposta una regolamentazione speciale, che esamineremo subito infra. n giudizio abbreviato e il patteggiamento. Per entrambi i riti l'art. 556 effettua un totale rinvio alla disciplina predisposta dal libro sesto con riguardo al tribunale in composizione collegiale, che abbiamo analizzato in precedenza. n procedimento per decreto. Anche in relazione al procedimento in oggetto il codice effettua un rinvio alle disposizioni del libro sesto (art. 557 , comma 3 ) . Tuttavia, l'art. 557 precisa che con l'atto di opposizione l'imputato può presentare domanda di ablazione, ovvero chiedere il giudizio abbreviato, il patteggiamento, o l'emissione del decreto di citazione a giudizio. Quest'ultima ipotesi differisce dall'opposizione a decreto penale effettuata nell'ambito del rito collegiale, perché in tal caso l'imputato può chiedere il giudizio immediato. In entrambe le ipotesi, tuttavia, la richiesta sortisce un effetto identico e cioè il passaggio immediato al dibattimento, senza che abbia luogo l'udienza prelimi nare. n giudizio direttissimo. In caso di arresto in flagranza, l'imputato deve essere condotto davanti al giudice del dibattimento per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio, direttamente dagli ufficiali o agenti che hanno eseguito l'arresto o che hanno avuto in consegna l'arrestato (artt. 558, comma l e 163 disp. att.). La formulazione dell'imputazione è comunque riservata al pubblico ministero. Se il giudice non tiene udienza, la polizia giudiziaria è obbligata a fornirgli immediata notizia dell'arresto in modo che egli possa fissare l'udienza entro quarantotto ore dalla avvenuta limitazione della libertà perso nale (art. 558, comma 2 ) . I testimoni e la persona offesa sono citati anche (6) La Corte cost., sent. 13 luglio 1 990 n. 333, in Cass. pen., 1 99 1 , II, 75, con nota di E. SELVAGGI, ha affermato che << l'art. 72 r. d. 30 gennaio 1941 n. 12, ( . . . ) non è in contrasto con gli artt. 107 e 76 Cost. poiché il soggetto cui sono affidate le funzioni di pubblico ministero viene a trovarsi nella stessa posizione di indipendenza e con i medesimi obblighi del magistrato che esercita quelle funzioni >>.
IV.II.4
Il procedimento davanti al tribunale monocratico
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oralmente; il difensore, di fiducia o di ufficio, deve essere avvisato (7) . In udienza, l'ufficiale o agente che presenta l'arrestato è autorizzato dal giudice ad una relazione orale che non ha carattere di testimonianza (8); successivamente viene sentito l'arrestato con le forme previste per l'interrogatorio. Spetta alla pubblica accusa il potere di ordinare che l'arrestato sia posto a propria disposizione (art. 3 86) (9) ; in tal caso il pubblico ministero presenta direttamente in udienza l'imputato entro quarantotto ore dall'arresto per la convalida ed il contestuale giudizio. Se il giudice non tiene udienza, il pubblico ministero ne presenta richiesta entro il termine suddetto ed il giudice deve fissarla entro le successive quarantotto ore. Il giudizio di convalida segue la normativa ordinaria di cui all'art. 3 9 1 in quanto compatibile (art. 558, comma 4) ( 10). Svolgimento del rito direttissimo. Se l'arresto non è convalidato, il giudice deve restituire gli atti al pubblico ministero, salvo che questi e l'imputato consentano al giudizio direttissimo (art. 558, comma 5 ) . In caso di mancata convalida il pubblico ministero potrà comunque esercitare l'azione penale nelle forme ordinarie. Se l'arresto è convalidato, si deve svolgere il rito direttissimo. Subito dopo l'udienza di convalida, l'imputato può chiedere il rito abbreviato o il patteggiamento; in tal caso « il giudizio si svolge davanti allo stesso giudice del dibattimento » (art. 558, comma 8). Se l'imputato intende affrontare il dibatti mento, può chiedere un termine non superiore a cinque giorni per preparare la difesa (art. 558, comma 7 ) . (7 ) A causa della ristrettezza dei tempi del procedimento, l a giurisprudenza ritiene che l'avviso al difensore non debba necessariamente consistere in una notifica formale, bensì che sia sufficiente un avviso orale: Cass. pen., sez. VI, 28 febbraio 2001, Nallo, in Cass. pen., 2002, 2 145. (8) La relazione è ritenuta dalla giurisprudenza utilizzabile soltanto per la decisione sulla convalida dell'arresto e per l'eventuale applicazione di misure cautelari. (9) Il procuratore della repubblica a questo punto è tenuto a valutare se l'indagato debba essere sottoposto o meno ad una misura cautelare coercitiva. Infatti il pubblico ministero, se ritiene di non dover chiedere al giudice l'applicazione di una misura coercitiva, ha l'obbligo di porre immediatamente in libertà l'arrestato con decreto motivato. In questo caso il giudice, a seguito della richiesta del pubblico ministero, dovrà fissare l'udienza per la convalida dell'arresto e contestuale giudizio e dovrà darne avviso all'imputato libero il quale ha diritto a parteciparvi (art. 12 1 disp. att.). Se al contrario la pubblica accusa ritiene di dover richiedere al giudice una misura cautelare coercitiva nei confronti dell'arrestato, non si procede alla sua liberazione, ma il pubblico ministero è tenuto a presentarlo di fronte al giudice in udienza entro quarantotto ore dall'arresto per richiederne la convalida; il pubblico ministero chiederà inoltre l'applicazione della misura cautelare che riterrà opportuna, nonché lo svolgimento del contestuale giudizio (art. 558 comma 4 ) . ( lO) Anche i n assenza d i un'espressa previsione legislativa, quando il pubblico ministero chiede l a messa a disposizione del soggetto arrestato, è possibile che i l giudizio d i convalida e quello sulla responsabilità seguano strade separate. Il pubblico ministero, infatti, potrebbe optare per la sola convalida dell'arresto davanti al giudice per le indagini preliminari, per poi eventualmente chiedere, in un momento successivo, il giudizio immediato in tribunale. Qualora, invece, intenda presentare l'arrestato davanti al giudice del dibattimento per la convalida ed il contesruale giudizio, è obbligato a farlo all'udienza che risulti già fissata entro le quarantotto ore dall'arresto; la possibilità di chiedere la fissazione di un'udienza successiva deve ritenersi limitata al caso in cui il giudice non tenga udienza enuo quel termine (Cass. pen., sez. VI, 14 maggio 2004, n. 3 1 043, in Cass. pen., 2006, 157).
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Ai sensi dell'art. 558, comma 9, è possibile procedere a giudizio direttissimo dinanzi al tribunale in composizione monocratica anche nelle altre due ipotesi previste nel libro sesto: e cioè quando l'arresto in flagranza è già stato conva lidato dal giudice per le indagini preliminari, entro trenta giorni dall'arresto medesimo (art. 449, comma 4) e quando l'indagato ha reso confessione nel corso dell'interrogatorio (art. 449, comma 5 ) . Il decreto-legge n. 9 2 del 2008 sulla sicurezza pubblica, convertito in legge 24 luglio 2008, n. 125, ha dimenticato di inserire nel procedimento monocratico quel principio di obbligatorietà del giudizio direttissimo che nel procedimento collegiale è stato introdotto in caso di confessione e di arresto in flagranza convalidato: nel rito monocratico il giudizio direttissimo è rimasto anche in questi casi una "facoltà" per il pubblico ministero (art. 558, comma 9). Il giudizio immediato. Nel titolo terzo del libro ottavo, che disciplina i procedimenti speciali nell'ambito del rito monocratico (artt. 556-558 ) , non è dato rinvenire alcuna menzione del giudizio immediato. Tuttavia, deve ritenersi applicabile il giudizio immediato nel procedimento monocratico con udienza preliminare in forza del rinvio, contenuto nell'art. 549, alle disposizioni relative al tribunale in composizione collegiale « in quanto applicabili ». Pertanto, nel giudizio immediato per procedimenti di competenza del tribunale monocratico per i quali è prevista l'udienza preliminare, se il pubblico ministero decide di accedere al giudizio immediato, non deve essere inviato l'avviso di conclusione delle indagini (art. 4 15 -bis) . Il problema della applicabilità del giudizio immediato si pone differente mente nel procedimento monocratico senza udienza preliminare, e cioè con citazione diretta. Il punto di partenza del ragionamento sta nella constatazione che la specialità del giudizio immediato consiste proprio nella possibilità di far transitare immediatamente il procedimento dalle indagini preliminari alla fase del giudizio, senza il necessario passaggio attraverso l'udienza preliminare. Poiché il procedimento monocratico per citazione diretta si atteggia già per sua natura come "immediato" , pervenendo direttamente alla fase processuale, deve ritenersi con esso incompatibile la normativa sul giudizio immediato, che ottiene il medesimo effetto. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità è ormai costante ( 1 1 ) : il giudizio immediato non è applicabile nel procedimento monocratico a citazione diretta.
( 1 1 ) Si veda Cass., sez. IV, 16 gennaio 2004, n. 7295, Bellin , in CED, n. 227834; Cass., sez. V, 5 novembre 2002, n. 40489, Zagami, in CED, n. 225706.
CAPITOLO III IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE
SoMMARIO: l . Considerazioni introduttive. - 2. Le indagini preliminari. - 3 . La conclusione
delle indagini preliminari. - 4. La citazione a giudizio su ricorso della persona offesa. - 5 .
n giudizio: l e definizioni alternative del procedimento. - 6 . n dibattimento davanti giudice di pace.
l.
-
al
7. Le impugnazioni.
Considerazioni introduttive.
I caratteri del sistema sanzionatorio e del sistema processuale. Il giudice di pace è una figura che trova il suo fondamento nell'articolo 106, comma 2 Cost. , il quale prevede l a possibilità « di nomina, anche elettiva, di magistrati onorari, per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli ». Con l'attribuzione di una competenza penale al giudice di pace il legislatore ha perseguito lo scopo pratico di diminuire il carico di lavoro del giudice professionale: l'effetto è stato quello di sottrarre al tribunale monocratico un consistente numero di procedi menti. Per la nomina a giudice di pace è necessario aver superato l'esame da avvocato o, in sostituzione, l'aver svolto funzioni giudiziarie, anche onorarie, per almeno due anni, o funzioni notarili o, infine, aver insegnato materie giuridiche nelle università o svolto funzioni inerenti alle qualifiche dirigenziali e all'ex carriera direttiva delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie. Il procedimento e le sanzioni applicabili dal giudice di pace sono regolate dal decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274. Al magistrato onorario è stata affidata la cognizione di quei reati non gravi che sono prevalentemente espres sione di una micro conflittualità tra privati. La peculiarità delle materie attri buite al giudice di pace ha reso necessaria la predisposizione di un apposito sistema sia sotto il profilo sanzionatorio, sia sotto il profilo processuale. Merita farne un rapido cenno. Le sanzioni applicabili dal giudice di pace. Il sistema sanzionatorio si caratterizza, da un lato, per l'eliminazione della pena detentiva e, da un altro lato, per la valorizzazione della pena pecuniaria e di pene alternative a quella detentiva. Sebbene la pena irrogata dal giudice di pace sia mite, essa si ispira al principio di effettività: infatti, non è mai ammessa la sospensione condizionale della pena (art. 60) . L'applicazione della sanzione penale non rappresenta la
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IV.III . l
finalità primaria per il giudice di pace che è chiamato principalmente a favorire la conciliazione delle parti, come è enunciato nell'art. 2 comma 2 . n giudice di pace può irrogare quattro specie di pene: la multa e l'ammenda (pene pecuniarie) , l'obbligo di permanenza domiciliare (art. 53) ed il lavoro di pubblica utilità (art. 54); queste ultime sono pene limitative della libertà personale ( 1 ). n procedimento presso il giudice di pace. Per quanto concerne il sistema processuale, la mitezza delle sanzioni e la finalità conciliativa hanno ispirato un criterio di massima semplificazione del rito. Il procedimento davanti al giudice di pace, però, non è un sottoinsieme ridotto del procedimento ordinario. Tra i due riti esiste un rapporto di specialità reciproca: entrambi hanno un nucleo di elementi comuni ed una serie di istituti speciali, funzionali alle esigenze proprie di ciascuno (v. tav. 4.3 . 1 ) . Merita precisare che l'art. 2 , comma l del decreto disciplina il procedi mento davanti al giudice di pace attraverso il richiamo delle disposizioni contenute nel codice di procedura penale e nelle relative norme di attuazione « in quanto applicabili » e per tutto ciò che non è previsto dal decreto. Viene espressamente esclusa l'applicabilità di una serie di istituti ritenuti ex lege incompatibili con il processo davanti al giudice di pace. Si tratta dell'arresto in flagranza e del fermo; delle misure cautelari personali; della proroga del termine per le indagini; dell'udienza preliminare; del giudizio abbreviato; dell'applica zione della pena su richiesta; del giudizio direttissimo; del giudizio immediato; del decreto penale di condanna; ed infine, dell'incidente probatorio, sostituito da un procedimento più agile e snello (art. 18). La semplificazione del procedimento. La semplificazione del procedimento davanti al giudice di pace è stata attuata: a) mediante l'eliminazione dell'udienza preliminare e della figura del giu dice per le indagini preliminari; al posto di tale organo vi è la figura del "giudice di pace circondariale" , il quale è competente a decidere in merito alla assunzione di prove non rinviabili al dibattimento, sulla richiesta di archiviazione del pub blico ministero e sulla opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dalla persona offesa (v. in/ra, nel paragrafo sulle indagini preliminari); b) attraverso l'ampliamento dei poteri della polizia giudiziaria, con una corrispondente riduzione dell'intervento del pubblico ministero; c) mediante l'estensione dei poteri spettanti alla persona offesa che acquisisce un ruolo di primo piano sia in sede di attivazione del giudizio, sia ( l ) La permanenza domiciliare comporta l'<< obbligo di rimanere presso la propria abitazione o in altro luogo di privata dimora owero in luogo di cura, assistenza o accoglienza nei giorni di sabato e domenica >> (art. 53). li lavoro di pubblica utilità consiste << nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere >> presso un ente pubblico territoriale o presso organizzazioni di assistenza sociale o volontariato (art. 54). Si tratta di una pena che può essere applicata soltanto su richiesta del condannato.
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quando il giudice di pace cerca di definire il procedimento senza arrivare alla condanna. Come ulteriori esempi dai quali è desumibile la semplificazione che connota il rito in esame, possiamo ricordare lo snellimento della procedura di archivia zione, che non prevede lo svolgimento di alcuna udienza; la possibilità di ridurre l' oralità in dibattimento; la previsione di riti deflattivi del dibattimento diversi da quelli ordinari e più aderenti al meccanismo sanzionatorio ed alla finalità conciliativa del rito; l'estrema limitazione della connessione, che è stata ridotta, in sintesi, al solo concorso di persone nel reato e al concorso formale di reati. È importante sottolineare che l'adeguamento ai prindpi del "giusto pro cesso" (art. 1 1 1 Cost.) ha imposto la necessità di garantire l'imparzialità del giudice, la parità delle parti, la ragionevole durata dei processi e la formazione della prova in contraddittorio. La competenza per materia. Il giudice di pace conosce una serie di fattispecie attribuite qualitativamente. L'elenco dei reati è riportato nell'art. 4 d.lgs. n. 274 del 2000. Si tratta di alcuni delitti e contravvenzioni disciplinati nel codice penale e di un ricco elenco di reati previsti da leggi speciali, che presentano la caratteristica di costituire espressione di situazioni di microcon flittualità individuale; ma vi sono anche reati che tutelano interessi di tipo eminentemente pubblicistico. Il denominatore comune è costituito dalla tenuità della sanzione e dalla semplicità dell'accertamento (2) . (2) Riportiamo l'elenco dei reati attribuiti alla competenza del giudice di pace (desumibile dall'art. 4 del decreto legislativo) . l delitti di percosse (art. 5 8 1 c.p.); di lesioni volontarie procedibili a querela, che consistono nell'aver cagionato una malattia di durata non superiore a venti giorni (art. 582 c.p.); di lesioni colpose, salvo che, in ipotesi di colpa professionale o di violazione di norme antinfortunistiche, sia stata cagionata una malattia di durata superiore a venti giorni e salvo che le lesioni personali colpose siano state commesse in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale quando il responsabile guidava in stato di ebbrezza alcolica con tasso alcolemico nel sangue superiore a 1,5 gr/l oppure sotto l'effetto di stupefacenti (competente a giudicare dei reati di cui sopra è, perciò, il tribunale in composizione monocra tica); di ingiuria (art. 594 c.p.) ; di diffamazione (art. 595 c.p.); di minaccia semplice (art. 612, comma l c.p.); di furto lieve (art. 626 c.p.); di sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.); di usurpazione (art. 63 1 c.p.); di deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi (art. 632 c.p.); di invasione di terreni o edifici (art. 633 c.p.); di danneggiamento semplice (art. 635, comma l c.p.); di introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui o pascolo abusivo (art. 636 c.p.); di ingresso abusivo nel fondo altrui (art. 637 c.p.); di uccisione o danneggiamento di animali altrui (art. 638 c.p.); di deturpamento o imbrattamento di cose altrui (art. 639 c.p.); di appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito (art. 647 c.p.). Vanno poi ricordate le seguenti fattispecie contravvenzionali previste dal codice penale: la sommini strazione di bevande alcoliche a minori o infermi di mente (art. 689 c.p.); la determinazione in altri dello stato di ubriachezza (art. 690 c.p.); la somministrazione di bevande alcoliche a persona in stato di manifesta ubriachezza (art. 691 c.p.); gli atti contrari alla pubblica decenza (art. 726, comma l c.p.); l'inosservanza dell'obbligo di istruzione elementare dei minorenni (art. 73 1 c.p.). Vi sono infine le contravvenzioni previste dalle leggi speciali: celebrazione di cerimonie religiose fuori dei templi e processioni ecclesiastiche o civili (art. 25, r.d. n. 773 del l 93 1 ) ; prevenzione di infortuni o disastri (art. 62, comma 3, r.d. n. 773 del l 93 1 ) ; inosservanza di ordine da parre di componente dell'equipaggio (art. 1 094 cod. nav. ) ; inosservanza di ordine di arresto (art. 1096 cod. nav.) ; componente dell'equipaggio che si
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L a competenza per territorio. L a competenza per territorio è determinata mediante il tradizionale criterio costituito dal luogo nel quale il reato è stato consumato (art. 5). Nel caso che più reati connessi siano stati compiuti in luoghi diversi, la competenza per territorio spetta al giudice del luogo nel quale è stato commesso il primo reato. Se non è possibile determinare in tal modo la competenza, essa appartiene al giudice di pace del luogo nel quale è iniziato il primo dei procedimenti connessi (art. 8). La competenza per connessione. Nel rito dinanzi al giudice di pace viene accolto un principio di tendenziale irrilevanza della connessione tra procedi menti. A tale regola si deroga soltanto in presenza di eccezioni tassative (v. tavola 4.3.2). l ) Quando i procedimenti sono tutti di competenza del giudice di pace, la connessione opera soltanto in due casi (art. 7 ) : quando il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione tra loro; quando una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (con corso formale di reati; ad es. lesioni colpose in danno di più persone); se i reati sono stati commessi in luoghi diversi, la competenza appartiene al giudice di pace del luogo in cui è stato commesso il primo reato (art. 8). 2) Quando un procedimento è di competenza del giudice di pace ed un altro è di competenza del giudice professionale (corte d'assise o tribunale) , la connessione opera soltanto se si tratta di reati commessi con una sola azione o omissione ed unicamente se è possibile in concreto la riunione dei procedimenti (art. 6). La competenza spetta al giudice superiore (3 ) .
addormenta (art. 1 1 1 9 cod. nav. ); autorizzazione e approvazione della costruzione di rifugi alpini (art. 3 d.p.r. n. 918 del 1957); sicurezza delle operazioni elettorali nazionali (art. 102 d.p.r. n. 361 del 1957); sottoscrizione di più candidature o liste (art. 106 d.p.r. n. 361 del 1957); sicurezza delle operazioni elettorali locali (art. 92 d.p.r. n. 570 del 1960); alterazione del contrassegno (art. 15, comma 2 l. n. 1329 del 1965 ) ; apertura di farmacia in assenza di autorizzazione (art. 3 l. n. 3 62 del 1991); reati in materia di referendum (art. 5 1 l. n. 352 del 1970); realizzazione di ferrovie in assenza di autorizzazione (art. 3, commi 3 e 4 d.p.r. n. 753 del 1980); sradicamento e taglio dei boschi (art. 46, commi 3 e 4 d.p.r. n. 753 del 1980); manovra abusiva dei passaggi a livello (art. 65, comma 3 d.p.r. n. 753 del 1980); riffa (art. 18 1. n. 528 del 1982); raccolta di scommesse senza concessione (art. 20 l. n. 528 del 1982); cessione di sangue a fini di lucro (art. 17, comma 3 , l. n. 107 del 1990); vendita di recipienti mancanti di autorizzazione (art. 15, comma 3 d.lgs. n. 3 1 1 del 1991); vendita di giocattoli privi del marchio CE (art. 1 1 , comma l d.lgs. n. 3 13 del 1991); reati in materia di pubblicità ingannevole (art. 7, comma 9 d.lgs. n. 74 del 1992); guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti (art. 187 d.lgs. n. 285 del 1992); vendita di medicinali privi del marchio CE (art. 10, comma l d.lgs. n. 507 del 1992); pubblicità abusiva di dispositivi medici (art. 2 3 , comma 2, d.lgs. n. 46 del 1997; ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato (art. lO-bis d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 introdotto dall'art. 16 1. 15 luglio 2009, n. 94). (3) In relazione a tale ipotesi, l'art. 63 stabilisce che il giudice ordinario deve applicare le disposizioni relative alle sanzioni irrogabili dal giudice di pace, nonché, in quanto compatibili, le disposizioni relative alla sentenza di condanna alla pena della permanenza domiciliare (art. 33 ); alla esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto (art. 34); alla estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie (art. 35); alla esecuzione della pena della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità (art. 43 ); alla modifica delle modalità di esecuzione della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità (art. 44).
IV.III.2
Il procedimento davanti al giudice di pace
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Infine, la connessione non opera in relazione a procedimenti di competenza di un giudice speciale (art. 6, comma 3 ). 2.
L e indagini preliminari.
L'ufficio del pubblico ministero. Dinanzi al giudice di pace, le funzioni di pubblico ministero sono svolte dal procuratore della repubblica presso il tribunale nel cui circondario ha sede il giudice di pace. La scelta di non istituire un apposito ufficio del pubblico ministero ha reso necessario prevedere un potenziamento dell'attività della polizia giudiziaria per evitare che gli uffici del pubblico ministero presso il giudice "professionale" , già oberati di lavoro, fossero costretti a dedicare tempo e risorse per trattare lievi offese tra privati. n giudice di pace circondariale. Allo stesso modo, non è stato creato un apposito ufficio del giudice per le indagini preliminari. Ai sensi dell'art. 5 , comma 2 , « competente per gli atti d a compiere nella fase delle indagini preliminari è il giudice di pace del luogo ave ha sede il tribunale del circondario in cui è compreso il giudice territorialmente competente ». n ruolo della polizia giudiziaria. Vero perno delle indagini preliminari, nel procedimento in esame, è la polizia giudiziaria, alla quale viene attribuita una attività investigativa tendenzialmente completa. Il problema che si è trovato ad affrontare il legislatore delegato sul punto in questione riguarda il corretto coordinamento tra l'attività della polizia giudiziaria e quella del magistrato inquirente, nel rispetto delle disposizioni costituzionali che riguardano la diretta disponibilità della polizia giudiziaria da parte dell'autorità giudiziaria e l'obbli gatorietà dell'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero (rispettivamente, artt. 109 e 1 12 Cast.) . La disciplina delle indagini preliminari è prevista in modo alquanto sinte tico dal decreto legislativo e necessita di una ricostruzione interpretativa (v. tavola 4.3 .3 ) . Anzitutto, occorre distinguere tra le ipotesi nelle quali la notizia di reato è stata acquisita dalla polizia giudiziaria (art. 1 1 ) e le ipotesi nelle quali essa è stata acquisita dal pubblico ministero (art. 12). La notizia di reato acquisita dalla polizia giudiziaria. La polizia giudiziaria, una volta acquisita la notizia di reato, svolge direttamente le indagini di propria iniziativa (art. 1 1 , comma 1 ) . La polizia di regola compie autonomamente i propri atti di indagine; una differente normativa è prevista quando è necessario procedere ad accertamenti tecnici irripetibili, ad interrogatori o confronti ai quali partecipi l'indagato o alle perquisizioni e sequestri fuori dei casi di flagranza o urgenza (artt. 352 e 354 c.p.p.). Per compiere tali atti la polizia giudiziaria deve chiedere l'autorizzazione al pubblico ministero (art. 1 3 ) . Rice vuta la richiesta, il pubblico ministero può prendere le seguenti decisioni: a) può limitarsi a concedere o a negare l'autorizzazione; b) può compiere personal mente il singolo atto; c) può trattenere le indagini.
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I procedimenti penali differenziati e speciali
IV.III.2
La autorizzazione. Merita precisare che la norma fa riferimento ad un'au torizzazione e non ad una delega. Infatti, mentre quest'ultima presuppone che il delegante sia il titolare del potere delegato, la prima è complementare ad una facoltà propria dell'organo autorizzato. Se la polizia non ritiene di compiere atti soggetti ad autorizzazione, il primo contatto con l'ufficio dell'accusa pubblica ha luogo soltanto al momento in cui la polizia giudiziaria trasmette al pubblico ministero la relazione prevista dall'art. 1 1 . Occorre tuttavia precisare che, ai sensi dell'art. 5 del regolamento di esecuzione (d.m. n. 204 del 200 1 ) , « prima della trasmissione della relazione di cui all'art. 1 1 del decreto legislativo, il pubblico ministero può chiedere alla polizia giudiziaria la trasmissione degli atti compiuti ». Le indagini compiute dalla polizia giudiziaria devono concludersi con una relazione al pubblico ministero entro il termine di quattro mesi dalla acquisi zione della notizia di reato (art. 1 1 comma l ; termine ordinatorio) . La notizia di reato acquisita direttamente dal pubblico ministero. Passiamo adesso all'esame delle ipotesi nelle quali è il pubblico ministero ad avere acquisito direttamente la notizia di reato (art. 12). Se il magistrato non ritiene necessari atti di indagine, può immediatamente esercitare l'azione penale o chiedere l'archiviazione (4 ) . In caso contrario, il pubblico ministero non può procedere personalmente alle indagini, ma deve trasmettere la notizia di reato alla polizia giudiziaria; in ogni caso egli ha la possibilità di impartire, se necessario, le sue direttive alla polizia. Una volta che la polizia giudiziaria ha ricevuto gli atti, la disciplina delle indagini è identica a quella che abbiamo esposto supra in relazione alle ipotesi nelle quali la notizia di reato sia stata acquisita direttamente dalla polizia. L'iscrizione nel registro delle notizie di reato avviene al momento in cui il pubblico ministero riceve la relazione, e quindi non immediatamente, come previsto nel procedimento ordinario in base all'art. 335. L'assunzione di prove non rinviabili. Il principio della massima semplifi cazione del procedimento soccombe davanti al diritto all'assunzione della prova urgente. Le parti, in base all'art. 18, possono chiedere al giudice di pace l'assunzione di prove non rinviabili al dibattimento; se ciò non fosse possibile, vi sarebbe una perdita di conoscenza per la decisione. La predetta norma prevede la possibilità di assunzione di prove sulla base del meccanismo previsto dall'articolo 467 del codice di procedura penale: si tratta di uno strumento più agile e snello dell'incidente probatorio. Infatti, davanti al giudice di pace non esistono casi tassativi di non rinviabilità, né è richiesto l'accertamento in contraddittorio della necessità dell'incidente probatorio. Competente all'assunzione delle prove non rinviabili nel corso delle inda(4) All'uopo è necessario che il pubblico ministero iscriva la notizia di reato nell'apposito registro (art. 7, comma 2, reg. esec.).
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gini è il giudice di pace circondariale, mentre dopo l a chiusura delle indagini stesse e nel procedimento avviato su ricorso della persona offesa è competente il giudice di pace del dibattimento. L'assunzione avviene nel pieno contraddittorio delle parti, secondo le forme previste per il dibattimento. Deve essere dato avviso del compimento dell'atto al pubblico ministero, alla persona offesa e ai difensori almeno ventiquattro ore prima (art. 467 comma 2 c.p.p) . I verbali degli atti compiuti devono essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento e pertanto sono utiliz zabili dal giudice (art. 467 comma 3 c.p.p. ) . 3.
La conclusione delle indagini preliminari.
La relazione al pubblico ministero. li termine posto per le indagini effettuate dalla polizia giudiziaria è di quattro mesi dalla acquisizione della notizia di reato (art. 1 1 comma 1 ) . Entro detto termine la polizia giudiziaria trasmette al pubblico ministero una relazione che può avere differenti conte nuti. Quando la notizia di reato appare in/ondata, la polizia espone i motivi per i quali deve essere chiesta l'archiviazione. Quando la notizia di reato appare /ondata, la relazione è una comunicazione funzionale all'esercizio dell'azione penale; la polizia deve enunciare il fatto storico in forma chiara e precisa, con l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (art. 1 1 comma 2 ) . La iscrizione nel registro delle notizie di reato. Una volta ricevuta la rela zione, il pubblico ministero deve provvedere all'iscrizione nel registro delle notizie di reato (art. 14); alla iscrizione il pubblico ministero deve provvedere anche prima di aver ricevuto la relazione, fin dal primo atto di indagine svolto personalmente. Quindi, il pubblico ministero prende una delle seguenti decisioni: a) dispone ulteriori indagini (art. 15, comma 2); b) chiede l'archiviazione al giudice d i pace circondariale (artt. 15 comma l e 17); c) decide di esercitare l'azione penale formulando l'imputazione e di sponendo la citazione a giudizio dell'imputato (artt. 15 comma l e 20); a) Le ulteriori indagini. In quest'ultima ipotesi, il pubblico ministero può trasmettere il fascicolo alla polizia giudiziaria, se del caso, impartendo direttive o delegando il compimento di specifici atti; oppure può trattenere il fascicolo e svolgere le indagini personalmente (art. 15, comma 2 ) . L e ulteriori indagini compiute dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero (o svolte personalmente da questi) devono concludersi entro il termine di quattro mesi dalla iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro (art. 16, comma 1 ) . Si tratta di un termine differente da quello previsto nell'art. 1 1 comma l che, ricordiamo, decorre dalla acquisizione della notizia di reato. La proroga del termine. Nei casi di particolare complessità il pubblico ministero dispone, con provvedimento motivato, la prosecuzione delle indagini
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IV.III.3
per un periodo di tempo non superiore a due mesi (art. 16 comma 2 ) . Il provvedimento è comunicato al giudice di pace circondariale che, se non ritiene sussistenti le ragioni addotte, dichiara entro cinque giorni la chiusura delle indagini o riduce il termine indicato. Le indagini preliminari devono essere completate, a pena di inutilizzabilità (art. 1 6 comma 4), nei termini indicati (quattro mesi dall'iscrizione della notizia di reato prorogabili dal giudice) . Esaminiamo adesso le altre decisioni che possono essere prese da pubblico ministero. b) L'archiviazione. In base all'articolo 17, il pubblico ministero presenta richiesta di archiviazione al giudice quando la notizia di reato è infondata, quando mancano i presupposti di diritto e nel caso di particolare tenuità del fatto (art. 34 comma 2 ) . Competente a disporre l'archiviazione è il giudice di pace circondariale. Nel caso in cui decida di chiedere l'archiviazione, il pubblico ministero deve notificare alla persona offesa, che abbia dichiarato di volerne essere informata, copia della richiesta. Nei successivi dieci giorni dalla notifica, l'offeso può pre sentare al giudice di pace circondariale una richiesta di prosecuzione delle in dagini, indicando a pena di inammissibilità gli elementi di prova che giustificano il rigetto della richiesta di archiviazione o le ulteriori indagini da compiere. L' ar ticolo 17 del decreto si limita a prevedere un contraddittorio cartolare, probabil mente in omaggio al principio di semplificazione. Il giudice può accogliere la richiesta del pubblico ministero e, allora, dispone l'archiviazione con decreto; oppure può rigettarla. In tal caso restituisce con ordinanza gli atti al pubblico ministero, indicando le ulteriori indagini necessarie e fissando il termine indi spensabile per il loro compimento, ovvero disponendo che entro dieci giorni il pubblico ministero formuli l'imputazione (art. 17, comma 4). c) La citazione a giudizio. Spetta al pubblico ministero redigere la citazione a giudizio (art. 20); assume la qualità di imputato la persona alla quale il reato è attribuito nella citazione (art. 3 ) . Il controllo giurisdizionale sulla fondatezza dell'esercizio dell'azione penale non è previsto. Considerata l'esiguità dei reati di competenza del giudice di pace, il legislatore ha ritenuto poco probabile che l'imputato, poi dimostratosi innocente, riceva un danno rilevante dal dibattimento, al quale sia stato sottoposto ingiustamente. Merita segnalare che nel procedimento davanti al giudice di pace non vi è l'obbligo di inviare all'indagato l'avviso della conclusione delle indagini preli minari (art. 4 15-bis) poiché il decreto legislativo n. 274 non prevede tale adempimento (5) . (5)
In questo senso, Cass. pen., sez. IV, 2 9 gennaio 2009,
n.
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La citazione a giudizio deve essere sottoscritta, a pena di nullità, dal pubblico ministero o dall'assistente giudiziario; essa è notificata, a cura dell'uf ficiale giudiziario, all'imputato, al suo difensore e alla parte offesa almeno trenta giorni prima della data dell'udienza (art. 20 commi 3 e 4 m od. dall'art. 17 decreto-legge antiterrorismo n. 144 del 2005 , conv. in legge n. 155). d) La presentazione immediata dell'imputato a giudizio in casi particolari. La legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) ha introdotto due ulteriori modalità di presentazione dell'imputato davanti al giudice di pace particolarmente snelle e veloci. Tale disciplina si applica ai reati procedibili d'ufficio, in caso di flagranza di reato o di prova evidente, nonché, comunque, al reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato (art. 10-bis d.lgs. 25 luglio 1 998, n. 286 introdotto dalla legge n. 94 del 2009). Sulla base dei suddetti presupposti esistono due possibili modalità di presentazione immediata dell'imputato al giudice di pace. I. La polizia giudiziaria chiede al pubblico ministero l'autorizzazione a presentare immediatamente l'imputato a giudizio dinanzi al giudice di pace (art. 20-bis e ss. d.lgs. 274 introdotti dalla legge n. 94 del 2009) (6). Tale richiesta deve essere depositata presso la segreteria del pubblico ministero, il quale può prendere le seguenti decisioni: può chiedere l'archiviazione; può autorizzare la presentazione immediata nei quindici giorni successivi, fissando la data e l'ora del giudizio e nominando un difensore d'ufficio all'imputato che ne è privo; può esprimere parere contrario alla citazione, nel caso in cui non ritenga sussistenti i presupposti per la presentazione immediata oppure qualora ritenga la richiesta manifestamente infondata o presentata ad un giudice di pace incompetente per territorio (art. 20-bis, comma 3 ) . S e il pubblico ministero autorizza l a presentazione immediata, copia della richiesta e della autorizzazione vengono notificate senza ritardo all'imputato ed al suo difensore (art. 20-bis, comma 4). La modalità di presentazione immediata appena descritta ha molte caratteristiche che la avvicinano al giudizio immediato. II. Nel caso in cui sussistano gravi e comprovate ragioni di urgenza che non consentano di attendere la fissazione dell'udienza secondo la procedura sopra esposta, oppure quando l'imputato sia sottoposto a misure di limitazione o privazione della libertà personale, la polizia giudiziaria può presentare al pubblico ministero anche la richiesta di citazione contestuale per l'udienza (art. 20-ter). In tal caso, il pubblico ministero, valutati i presupposti che caratterizzano il rito e quelli di urgenza, può esprimere parere contrario alla citazione, come si (6) L'istanza della polizia giudiziaria è caratterizzata da un ampio contenuto che comprende, tra l'altro, la descrizione in forma chiara e precisa del fatto e la richiesta di fissazione dell'udienza (art. 20-bis, comma 2). 25
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è visto sopra, oppure può emanare contestualmente l'autorizzazione alla pre sentazione immediata e la citazione (art. 20-ter, comma 2 ) . Nel caso in cui il pubblico ministero conceda l'autorizzazione e la conte stuale citazione dinanzi al giudice di pace, spettano alla polizia giudiziaria ulteriori adempimenti. Se l'imputato è sottoposto a misura limitativa o privativa della libertà personale, la polizia giudiziaria lo conduce direttamente davanti al giudice per la trattazione del procedimento, eccetto che l'imputato medesimo espressamente rinunzi a partecipare all'udienza. Qualora, invece, l'imputato sia libero, la polizia giudiziaria notifica al medesimo copia della richiesta e del provvedimento del pubblico ministero, comunicandoli immediatamente anche al difensore (art. 20-ter, comma 3 ) . La modalità di presentazione immediata appena descritta ha molte caratteristiche che la avvicinano al giudizio direttis szmo. Regolamentazione comune. In ciascuna delle due ipotesi di presentazione immediata (l e Il) , il giudizio si svolge ai sensi dell'art. 32, come si vedrà in seguito, con la particolarità che la persona offesa e i testimoni possono essere citati anche oralmente dall'ufficiale giudiziario (e dalla polizia giudiziaria, ma ciò solo per il giudizio a citazione contestuale, art. 32-bis, comma 2, e non per il giudizio a presentazione immediata) . Pubblico ministero, imputato e parte civile possono presentare direttamente a dibattimento i propri testimoni e consulenti tecnici (art. 32-bis, comma 3 ) . Il pubblico ministero dà lettura dell'imputazione (art. 32-bis, comma 4) e l'imputato è avvisato della facoltà di chiedere un termine a difesa non superiore a sette giorni, in caso di presenta zione immediata, o a quarantotto ore, nel caso di citazione contestuale (art. 32-bis, comma 5 ) . 4.
L a citazione a giudizio s u ricorso della persona offesa.
Considerazioni preliminari. Per tutti i reati che sono di competenza del giudice di pace e che sono procedibili a querela, è ammesso l'istituto della citazione a giudizio su ricorso della persona offesa (art. 2 1 ) . La presentazione del ricorso sortisce gli stessi effetti sostanziali e processuali della presentazione della querela (art. 2 1 , comma 5 ) . Il decreto legislativo stabilisce che l'avvenuta presentazione della querela non preclude la possibilità di presentare ricorso (art. 22, comma 2 ) . Il legislatore delegato ha probabilmente tenuto conto di una realtà empirica: spesso la persona offesa sporge querela nella immediatezza del fatto, senza avere piena cognizione delle facoltà riconosciutele dalla legge. La preclusione di una successiva presentazione del ricorso avrebbe limitato l'applicazione dell'istituto. fl ricorso. L'offeso chiede con ricorso al giudice di pace la fissazione dell'udienza (art. 2 1 ) . I termini per la presentazione del ricorso sono coincidenti con quelli previsti per la querela dall'articolo 124 c.p.: tre mesi da quando la
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persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce reato (art. 22, comma 1 ) . n ricorso attiva un primo contatto con il magistrato e non con l a persona citata; il ricorrente non ha il potere di far fissare immediatamente l'udienza di comparizione (v. tavola 4.3 .5) . In linea con questa soluzione, il ricorso non deve essere comunicato subito alla persona nei cui confronti il ricorrente chiede che si proceda. La legge impone all'offeso la previa comunicazione del ricorso al pubblico ministero ed il suo deposito nella cancelleria del giudice di pace. La notifica alla persona citata avviene successivamente soltanto se il giudice di pace ne dispone la convocazione (art. 27, comma 4). La scelta del legislatore delegato è stata, quindi, nel senso di prevedere il filtro operato dal giudice di pace. Merita precisare che la persona alla quale il fatto è addebitato non assume la qualifica di imputato. L'art. 3 del decreto legislativo precisa che tale status si acquisisce soltanto allorché il giudice, ritenuta la fondatezza del ricorso, emette decreto di convocazione per l'udienza dibattimentale. Contenuto del ricorso. In base all'articolo 2 1 il ricorso della persona offesa deve contenere, a pena di inammissibilità: a) l'indicazione del giudice; b) le generalità del ricorrente e se si tratta di persona giuridica o di associazione non riconosciuta la denominazione dell'ente, con l'indicazione del legale rappresen tante; c) l'indicazione del suo difensore e la relativa nomina; d) l'indicazione delle altre persone offese dal medesimo reato, delle quali il ricorrente conosca l'identità; e) le generalità della persona citata a giudizio; /) la descrizione, in forma chiara e precisa, del fatto che si addebita alla persona citata a giudizio, con l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati; g) i documenti di cui si chiede l'acquisizione; h) l'indicazione delle fonti di prova a sostegno della richiesta nonché delle circostanze su cui deve vertere l'esame dei testimoni e dei consulenti tecnici; i) la richiesta di fissazione dell'udienza per procedere nei confronti della persona citata a giudizio. Il ricorrente manifesta in questo modo la volontà che si proceda contro il soggetto cui è addebitato il fatto previsto dalla legge come reato; non lo può citare direttamente a giudizio, come nel processo civile, ma è obbligato a chiedere al giudice la fissazione dell'udienza e l'emissione del decreto di convocazione. La richiesta esplica una funzione di impulso processuale. Il ricorso deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, sia dalla persona offesa (o dal suo legale rappresentante) sia dal difensore, che inoltre autentica la sottoscrizione del ricorrente. Se il ricorrente intende chiedere il risarcimento del danno deve, a pena di decadenza, costituirsi parte civile con la presentazione del ricorso. n ruolo del pubblico ministero. Il ricorrente deve dare comunicazione del ricorso al pubblico ministero prima di depositarlo nella cancelleria del giudice di pace (art. 22) . Il pubblico ministero, nel caso in cui ritenga il ricorso manifestamente infondato, inammissibile, ovvero presentato di fronte a giudice incompetente per territorio, trasmette al giudice di pace, entro dieci giorni dalla
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comunicazione del ricorso, parere contrario alla citazione; altrimenti formula l'imputazione confermando o modificando l'addebito contenuto nel ricorso. n pubblico ministero non è titolare di un potere di veto. n suo parere negativo non vincola infatti la successiva valutazione del giudice di pace sull'inammissibilità e sulla manifesta infondatezza. In questa sede, la pubblica accusa non può chiedere l'archiviazione, ma al massimo esprimere un parere contrario alla citazione (art. 25 ) . n fìltro operato dal giudice di pace. I l giudice di pace h a diritto d i sapere fin dall'inizio se e quando il pubblico ministero ha ricevuto copia del ricorso: la mancata presentazione della prova dell'avvenuta comunicazione è causa di inammissibilità (art. 24 lett. e). Il giudice, trascorsi i dieci giorni entro i quali il pubblico ministero può depositare il proprio parere, decide de plano sul ricorso della persona offesa « a norma dei commi 2, 3 e 4 » dell'art. 26. l) Nel caso in cui il giudice ritenga il ricorso manifestamente infondato o inammissibile, ne dispone la trasmissione al pubblico ministero « per l'ulteriore corso del procedimento » (comma 2 ) da intendersi con le forme ordinarie. 2) Se il ricorso risulta presentato per un reato che appartiene alla compe tenza di altro giudice, il giudice di pace ne dispone la trasmissione al pubblico ministero con ordinanza (comma 3 ) . 3 ) S e riconosce la propria incompetenza per territorio, il giudice di pace la dichiara con ordinanza e restituisce gli atti al ricorrente che, nel termine di venti giorni, ha facoltà di reiterare il ricorso davanti al giudice competente; l'inosser vanza del termine è causa di inammissibilità del ricorso (comma 4). 4) Ove non decida in alcuno dei modi menzionati, il giudice deve emettere il decreto di convocazione (art. 27, comma l : « se non deve provvedere ai sensi dell'art. 26, il giudice di pace, entro venti giorni dal deposito del ricorso, convoca le parti in udienza con decreto »). Come si può dedurre dal testo del decreto legislativo, perché il giudice di pace emetta decreto di convocazione è sufficiente che il ricorso non appaia infondato ad un esame superficiale sulla base delle indicazioni contenute nel ricorso e nei documenti allegati. La problematica configurazione di un 'azione penale privata. Si pone il problema di come debba essere risolto un eventuale contrasto tra il giudice ed il pubblico ministero. Quando la pubblica accusa non ha fatto pervenire alcun parere, può il giudice recepire come imputazione quell'addebito che è stato precisato dall'offeso nel ricorso? O invece, deve restituire gli atti al pubblico ministero perché si proceda in via ordinaria? Sul punto dobbiamo registrare un contrasto insanabile tra la giurisprudenza prevalente, ancora legata agli schemi tradizionali che ritengono esistente il monopolio pubblico dell'azione penale, e una parte della dottrina, secondo la quale la persona offesa dal reato è titolare di una vera e propria azione penale privata, sia pure sussidiaria alla inattività del pubblico ministero.
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La dottrina ritiene, sulla base dell'art. 17 lett. c della legge delega n. 468 del 1999, che il potere decisorio del giudice non possa tollerare un potere di veto del pubblico ministero, che con la sua inerzia bloccherebbe l'attività della persona offesa. T ale interpretazione trova la sua base testuale nella circostanza che, dal testo definitivo dell'attuale art. 27 coma 3 lett. c, è stata eliminata l'espressione (contenuta nel testo preliminare) secondo cui l'imputazione do veva essere quella « formulata dal pubblico ministero ». Pertanto, nel caso di omesso parere da parte della pubblica accusa, l'imputazione ammessa dal giudice di pace consiste nell'addebito che è stato precisato dall'offeso nel ricorso e che è stato ritenuto dal medesimo giudice non manifestamente infondato (7) . L a giurisprudenza di legittimità, ancora legata al mito della titolarità esclusiva dell'azione penale in capo alla parte pubblica, risolve differentemente il caso dell'inerzia del pubblico ministero. Il giudice di pace non può trascrivere l'addebito formulato dalla persona offesa nel ricorso, ma deve restituire gli atti alla pubblica accusa affinché proceda nelle forme ordinarie. In tal senso, Cass. , sez. V , 17 gennaio 2006, Bellisario, in CED 234 186; Cass., sez. V , 2 5 ottobre 2005, P.m. in proc. Lasa, in CED 23350 1 . L'assunto è condiviso dalla giuri sprudenza costituzionale (ord. 28 settembre-7 ottobre 2005 , n. 3 8 1 ; ord. 28 settembre- 4 ottobre 2005 , n. 3 6 1 ) , nonostante che la medesima Corte abbia precisato in passato che dall'art. 1 12 della Carta fondamentale non si può ricavare il monopolio pubblico dell'azione penale (sent. 24 maggio 1 967 n. 61 e sent. 26 luglio 1979 n. 84). Il decreto di convocazione. Il giudice di pace emette il decreto di convo cazione quando non valuta inammissibile o manifestamente infondato il ricorso della persona offesa e, al tempo stesso, ritiene che il fatto addebitato rientri nella '0'�1pl;1h "-.rm?ltf"-!"ét.';'">.'h . T� �f�8� Ù-ew: nuétrn.:are 'l1 Ù-et:rero �ù t:UIIVDl.11LIUn-e ·mffi.1:L mente al proprio ricorso almeno venti giorni prima dell'udienza al pubblico ministero, all'imputato e al suo difensore. Da questo momento la persona citata a giudizio assume la qualità di imputato (art. 3 ) . Destinatari della notificazione del solo decreto sono le altre persone offese di cui il ricorrente conosca l'identità. Queste ultime hanno la possibilità di intervenire nel processo con l'assistenza di un difensore, aderendo al ricorso e godendo degli stessi diritti del ricorrente principale (art. 28). La mancata comparizione delle persone offese alle quali è stato notificato il decreto di convocazione ai sensi dell'art. 27 comma 4 viene
(7) Il ricorso immediato presentato dall'offeso integra i canoni definitori dell'azione penale, sia pure "privata"; infatti, siamo in presenza di una richiesta diretta al giudice di decidere sull'imputazione. Si tratta di un'azione penale non esclusiva, bensì sussidiaria in quanto dipende dalla inazione del pubblico ministero. L'iniziativa del privato non preclude l'azione della pubblica accusa, alla quale è anzi accordata preferenza. Naturalmente, resta ferma la presenza obbligatoria del pubblico ministero nel dibattimento.
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considerata rinuncia tacita al diritto di querela ovvero remissione della stessa, se già presentata (art. 28, comma 3 ) . La costituzione di parte civile. L a citazione a giudizio s u ricorso dell'offeso è istituto a tendenziale natura mista: mira all'attivazione del procedimento penale e allo stesso tempo può svolgere una funzione di tutela civilistica. È sufficiente a tal fine che il ricorso contenga la semplice richiesta motivata di risarcimento del danno (artt. 2 1 e 23 ) . Occorre sottolineare la singolarità secondo cui l'eventuale costituzione di parte civile deve avvenire, a pena di decadenza, con la presentazione del ricorso. Non è ammessa la possibilità di costituirsi in un momento successivo, contra riamente a quanto è consentito nel procedimento penale ordinario (art. 79 c.p.p.). Le persone offese intervenute possono costituirsi parte civile prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, in linea con le ordinarie modalità previste dal codice di procedura penale. Si vuole così evitare che il termine perentorio, stabilito per il ricorrente dali; articolo 23 , possa impedire, a coloro che non hanno esperito il ricorso, di costituirsi parte civile nel processo penale. 5.
n giudizio: le definizioni alternative del procedimento.
L'udienza di comparizione. L'udienza di comparizione è il momento processuale di raccordo tra la chiusura delle indagini e la fase del giudizio. Lo scopo dell'udienza è quello di consentire alle parti di scegliere i riti di defini zione alternativa del procedimento o, nel caso di reati procedibili a querela, di aderire all'attività di conciliazione svolta dal giudice di pace (v. tavola 4.3 .4) . La mancata comparizione del querelante nel processo non configura una rimes sione tacita di querela, esclusi i casi espressamente disciplinati dalla legge (artt. 28, comma 3 e 3 0, comma l) (8). L'ufficio del pubblico ministero. Il procuratore della repubblica può delegare lo svolgimento delle sue funzioni nell'udienza dibattimentale ad uditori giudiziari, a vice procuratori onorari addetti all'ufficio, a personale in quie scenza da non più di due anni che nei cinque anni precedenti abbia svolto le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria, o a laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola biennale di specializzazione per le professioni legali (art. 50 comma 1 lett. a, mod. dall'art. 17 decreto-legge n. 144 del 2005, conv. in legge n. 155) . L a fase antecedente alla celebrazione dell'udienza di comparizione è rego lata dai primi tre commi dell'articolo 29. Spetta alla parte, che ha attivato il procedimento (pubblico ministero o difensore della persona offesa) , l'onere di depositare nella cancelleria del giudice di pace l'atto di citazione a giudizio con (8)
Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2008,
n.
46088, in Cass. pen., 2009, 1404.
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le relative notifiche almeno sette giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione (art. 29, comma 1 ) . In tal modo il giudice è messo in condizione di verificare la regolarità delle notifiche dell'atto introduttivo del giudizio e di conoscere l'oggetto del contendere, anche al fine di attivare i propri poteri in ordine alla riunione dei processi. Le liste testimoniali. Nello stesso termine di sette giorni (art. 29, comma 2 ) l e parti diverse d a quella che h a attivato il procedimento devono depositare le liste testimoniali con l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame. L'operazione è funzionale all'attuazione della discovery probatoria e permette alle parti un compiuto esercizio del diritto alla prova principale. La norma non riguarda la parte che ha attivato il procedimento; infatti il ricorrente o il pubblico ministero dovevano aver già indicato i propri testi (e le relative circostanze) direttamente nell'atto di vocatio in ius, secondo quanto previsto dagli articoli 2 1 , comma 2 , lett. h e 20, comma 2, lett. c. Ne consegue che l'imputato al momento della notificazione della citazione viene a conoscenza delle prove indicate dal ricorrente o dal pubblico ministero, mentre egli scopre le sue carte soltanto sette giorni prima dell'udienza di comparizione. Ciò è dovuto ad esigenze di rapidità e concentrazione del nuovo rito. Nel rispettare tali esigenze, il legislatore ha prestato una particolare attenzione alla tutela del diritto di difesa. L'imputato viene, infatti, posto in una posizione di netto vantaggio nei confronti del pubblico ministero e del ricorrente, i quali invece vedono stringersi i termini a loro disposizione per indicare i testimoni. Il tentativo di conciliazione. Aperta l'udienza di comparizione, il giudice deve promuovere la conciliazione tra le parti nel caso in cui il reato sia perseguibile a querela (art. 29, comma 4). Non deve semplicemente accertarsi che il querelante sia disposto a rimettere la querela, come nel caso di cui all'articolo 555 c.p.p. ; l'attività del giudice è più penetrante. Gli viene attribuita una vera e propria funzione promozionale della mediazione, per svolgere la quale può ricorrere anche a centri o strutture pubbliche o private presenti sul territorio. Si tratta di un vero e proprio dovere: egli non può sottrarsi a tale incombenza. La norma prevede che le dichiarazioni, rese dalle parti nel corso dell'attività di conciliazione, non possano essere utilizzate in alcun modo ai fini della decisione: il giudice non può basarsi su di esse per motivare la sentenza né altri provvedimenti. Nel caso in cui sia raggiunta la conciliazione, viene redatto verbale in cui si attesta la remissione della querela e la relativa accettazione da parte dell'impu tato (art. 29, comma 5 ) . La rinuncia al ricorso produce gli stessi effetti della remissione della querela. Le definizioni alternative del procedimento. li decreto legislativo appronta, nel suo capo quinto, un autonomo sistema di " definizioni alternative" che poco o niente hanno a che vedere con le figure a noi già note del giudizio abbreviato, immediato, direttissimo, del patteggiamento e del procedimento per decreto.
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Esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto. L' ar ticolo 34 del decreto legislativo disciplina l'esclusione della procedibzùtà nei casi di particolare tenuità delfatto. Ai sensi del comma l il fatto è di particolare tenuità quando, rispetto all'interesse tutelato, l'esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l'esercizio dell'azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato. li rito semplificato può trovare applicazione sia nel corso delle indagini, sia nel dibattimento. Nel corso delle indagini il pubblico ministero, che rileva la tenuità del fatto, presenta una richiesta di archiviazione. Il giudice può disporre l'archiviazione con la formula di « non doversi procedere »: si tratta di una particolare forma di archiviazione. Tale provvedimento non può essere pronun ciato quando risulti un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento (art. 34, comma 2 ) . L'offeso, che abbia chiesto di essere infor mato dell'eventuale richiesta di archiviazione, potrà anche con atto successivo manifestare la propria contrarietà alla formula liberatoria. Nel corso delle indagini non è richiesto il consenso dell'indagato, perché si ritiene che egli non possa essere pregiudicato dal decreto di archiviazione. Dopo l'esercizio del l' azione penale, viceversa, il giudice di pace può dichiarare con sentenza la particolare tenuità del fatto soltanto se l'imputato e l'offeso non si oppon gono (9). In particolare, l'imputato deve essere sentito perché ha il diritto di rinunciare alla causa di non procedibilità e di ottenere un esito processuale più favorevole nel merito. Estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie. Il giudice, sentite le parti e la persona offesa, dichiara l'estinzione del reato quando l'imputato dimostra di aver proceduto, prima dell'udienza di comparizione, alla riparazione del danno o alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose (art. 35, comma 1). Il legislatore non si limita a prevedere una semplice reintegrazione dell'interesse leso; al contrario, richiede che la riparazione sia realizzata attra verso modalità che il giudice di pace ritenga idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione (art. 35, comma 2 ) . Il giudice non forma il suo convincimento soltanto sulla base della riparazione in se stessa, ma deve anche accertare che l'imputato abbia tratto, dall'esperienza di reintegra zione dell'interesse leso, forti motivazioni per non reiterare l'illecito. Il fatto di non aver potuto procedere alla riparazione prima dell'udienza di (9) A tal proposito, ha affermato la Corte di cassazione, contrariamente a quanto detto in precedenza, che << la mancata comparizione in giudizio della persona offesa non può equivalere in termini univoci a non opposizione della stessa alla dichiarazione d'improcedibilità per particolare tenuità del fatto, potendo unicamente significare la volontà della parte di non innestare l'azione civile nel processo penale >> (Cass. pen., sez. V, 7 maggio 2009, n. 33689).
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comparizione non preclude all'imputato l a possibilità di ottenere l'estinzione, ma rende più ardua la via per raggiungerla. Il giudice, se verifica che le attività risarcitorie o riparatorie hanno avuto esito positivo, sentite le parti, dichiara con sentenza l'estinzione del reato enunciandone la causa nel dispositivo; altrimenti dispone la prosecuzione del procedimento (art. 35, commi 4 e 5 ) . Merita precisare che non occorre il consenso delle parti; pertanto è possibile che il giudice dichiari l'estinzione anche se l'offeso si oppone. 6.
n dibattimento davanti al giudice di pace.
Il dibattimento. La normativa relativa al dibattimento presenta profili di ulteriore semplificazione, rispetto a quella dettata per il giudizio monocratico. Terminata senza esito la fase dedicata alle definizioni anticipate del procedi mento, il giudice di pace dichiara aperto il dibattimento (art. 29, comma 7 ) . Le parti presentano le richieste di prova; è questo il momento per chiedere l'ammissione della prova contraria. Nel caso in cui sia possibile procedervi immediatamente, il giudice di pace ammette le prove richieste dalle parti; egli rigetta soltanto quelle che sono vietate dalla legge, superflue o irrilevanti (v. tav. 4.3.7). La prova della rilevanza e della non superfluità della prova richiesta. A differenza di quanto previsto dagli articoli 1 90 e 495 del codice di procedura penale per il giudice professionale, il giudice di pace nega l'ammissione quando le parti non sono in grado di dimostrare la rilevanza e la non superfluità della prova richiesta. È evidente che si è voluto ampliare il vaglio del magistrato onorario in ordine all'ammissione dei mezzi di prova, tenuto conto delle esigenze di snellezza del procedimento in questione. Successivamente il giudice invita le parti ad indicare gli atti da inserire nel fascicolo per il dibattimento. In tale sede è possibile che le parti si accordino per l'acquisizione di atti delle indagini preliminari e delle investigazioni difensive (art. 29, comma 7 ) . Ove non sia possibile procedere immediatamente al dibattimento, il giudice di pace fissa un'altra udienza e autorizza le parti alla citazione dei testimoni e dei consulenti tecnici (art. 29 comma 8). Il magistrato onorario può negare l'auto rizzazione soltanto per quelle testimonianze che sono vietate dalla legge o manz/estamente sovrabbondanti, in linea con quanto stabilito dall'articolo 468, comma 2 del codice di procedura penale. La decadenza dalla prova. Nel caso in cui omettano la citazione, le parti decadono dalla prova (art. 29, comma 8). Quest'ultima previsione concretizza un affermato orientamento giurisprudenziale, cui il legislatore delegato ha scelto di aderire: si presuppone per/acta concludentia la carenza di interesse della parte che ha omesso la citazione. Ad ogni modo il giudice, nel caso in cui successi-
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I procedimenti penali differenziati e speciali
IV.III.6
vamente reputi l'assunzione delle prove assolutamente necessaria, vi può prov vedere d'ufficio ex art. 32, comma 2 . S e sussiste l'accordo delle parti (art. 32 comma l ) l'esame dei testimoni, periti e consulenti tecnici può essere condotto direttamente dal giudice sulla base delle domande e delle contestazioni proposte dal pubblico ministero e dai difensori. La disposizione non prevede la « concorde richiesta delle parti », come invece è stabilito dall'articolo 559 del codice di procedura penale per il dibattimento di fronte al giudice monocratico. È sufficiente il semplice accordo, raggiungibile anche attraverso un tacito consenso. Inoltre la " richiesta" presup pone un'attivazione delle parti, mentre "l'accordo" può anche essere accertato su iniziativa del giudice. Il verbale di udienza è redatto di regola in forma riassuntiva (art. 32, comma 3 ) . Il giudice, per particolari esigenze, può procedere alla verbalizzazione in forma integrale. La sentenza. La motivazione della sentenza è redatta dal giudice in forma abbreviata e deve essere depositata entro quindici giorni (art. 32 comma 4). Può essere addirittura dettata direttamente a verbale. La permanenza domiciliare. L'articolo 33 disciplina la sentenza di con danna alla pena della permanenza domiciliare. T ale sanzione di regola consiste nell'obbligo di restare nella propria abitazione durante il fine settimana; tuttavia è possibile richiedere l'esecuzione continuativa della detenzione domiciliare anche durante i giorni feriali. Il giudice può disporre l'esecuzione continuativa soltanto su richiesta del condannato. L'imputato è chiamato a esprimere la propria volontà subito dopo la condanna alla permanenza domiciliare (art. 33 ) . Il giudice, sentite l e motivazioni esposte dal condannato, può sempre rigettare quella domanda di esecuzione continuativa, che egli ritenga difettare di con gruità. D lavoro di pubblica utilità. Se il giudice ritiene applicabile il lavoro di pubblica utilità in alternativa alla permanenza domiciliare, ne indica il tipo e la durata. In tal caso l'imputato può scegliere tra la permanenza domiciliare ed il lavoro di pubblica utilità. Il magistrato onorario è obbligato ad accettare la richiesta dell'imputato. Infatti, proponendo in precedenza l'alternativa, egli ne aveva già ritenuto ammissibile l'applicazione. Se il giudice ritiene la permanenza domiciliare non surrogabile con il lavoro di pubblica utilità, l'imputato può soltanto esprimere la propria preferenza per l'esecuzione continuativa (art. 3 3 , comma 1 ) . Una volta acquisite l e richieste del condannato, il giudice integra il dispo sitivo e ne dà lettura (art. 3 3 , comma 4). La sentenza si perfeziona quindi in un momento successivo alla sua pronuncia, quando può essere completata con la concreta individuazione della pena. La rappresentanza volontaria del difensore. Le richieste di cui sopra sono veri e propri atti personali del condannato. Riguardano infatti la natura e la
IV.III.7
Il procedimento davanti al giudice di pace
783
modalità applicativa delle sanzioni. Conseguentemente, soltanto il difensore munito di procura speciale può presentarle (art. 33 ) . In proposito, alcuni problemi possono sorgere per l'imputato contumace, che non potrà usufruire dell'istituto dell'esecuzione continuativa né scegliere il lavoro di pubblica utilità, a meno che non abbia conferito la procura speciale al proprio avvocato. 7.
Le impugnazioni.
La disciplina delle impugnazioni, predisposta per il procedimento dinanzi al giudice di pace, si ricava integrando le norme espressamente previste nel decreto legislativo (artt. 36-39) con le disposizioni contenute nel codice in materia di impugnazioni; ciò comporta, ad esempio, la vigenza del principio di tassatività delle impugnazioni (art. 568 c.p.p . ) . La materia è stata modificata dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46. Sentenze sottoponibili ad appello. Il pubblico ministero e l'imputato possono proporre appello soltanto contro le sentenze di condanna che appli cano una pena diversa da quella pecuniaria (es. permanenza domiciliare o lavoro gratuito) (artt. 3 6 e 37). La condanna alla sola pena pecuniaria può essere sottoposta ad appello da parte dell'imputato « se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno » (art. 3 7 , comma l ) . Il pubblico ministero e l'imputato non possono mai proporre appello contro le sentenze di proscioglimento (art. 3 6 mod. dalla legge n. 46 del 2006) , neanche se sono sopravvenute o scoperte nuove prove ( 10 ) . Occorre anche tenere presente che, in base alla sentenza della Cassazione Sez. un. , 29 marzo - 12 luglio 2007, n. 27614, in www.dirittoegiustizia.it, 20 luglio 2007 , è stato riconosciuto esistente il potere della parte civile di appellare, ai soli fini della responsabilità civile, le sentenze rese nel giudizio di primo grado (art. 576; si veda, in/ra, Parte V, cap. 2, § 3 , lett. c) . Si ritiene che il principio si estenda al procedimento davanti al giudice di pace ( 1 1 ) . Sentenze sottoponibili a ricorso per cassazione. In estrema sintesi, tutte le ( 1 0) La Corte Cost. con sentenza 25 luglio 2008, n. 298 ha preso in esame la regola in base alla quale le sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice di pace non sono appellabili dal pubblico ministero e ha dichiarato non fondata la relativa questione di legittimità. La scelta del legislatore - ha affermato la Corte - è compatibile con il principio di parità delle parti per vari motivi. In primo luogo, perché si tratta di reati « di fascia bassa >>. In secondo luogo, perché il procedimento davanti al giudice di pace è improntato a marcata rapidità e semplificazione di forme. Infine, perché prima della legge n. 46 del 2006 colui che si trovava in una posizione di svantaggio, rispetto ai poteri di appello della pubblica accusa, era l'imputato, << ossia, proprio la parte il cui diritto d'appello ha una maggiore "forza di resistenza" rispetto a spinte di segno soppressivo >>. ( 1 1 ) In tal senso, Cass., sez. V, 5 dicembre 2008, n. 4695; Cass., sez. IV, 17 aprile 2007, n. 15223, C.R., in Giudice dipace, 2007, n. 3, 257. Questa conclusione trova la sua base testuale nell'art. 2 d.lgs. n. 274 del2000, in forza del quale deve ritenersi applicabile anche nel procedimento davanti al giudice di pace la regola di cui all'art. 576 c.p.p. Pertanto, nell'ipotesi di citazione a giudizio dell'imputato a norma dell'art. 20, d.lgs. n. 274 del 2000, la persona offesa può presentare appello ai soli effetti civili contro la sentenza di proscioglimento. Al contrario, la persona offesa che ha proposto la citazione in giudizio dell'imputato mediante ricorso immediato
7 84
I procedimenti penali differenziati e speciali
IV.III.7
sentenze di condanna e di proscioglimento possono essere sottoposte a ricorso per cassazione (art. 606 c.p.p.) dal pubblico ministero, dall'imputato (artt. 36 e 37 d.lgs n. 274) e dalla parte civile (art. 568 comma 2 c.p.p.) (12). L a persona offesa ricorrente, nei casi i n cui h a chiesto l a citazione in giudizio dell'imputato, può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro le sentenze di proscioglimento del giudice di pace negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione da parte del pubblico ministero (art. 38); pertanto, può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze di proscioglimento. Giudizio di appello. Competente a giudicare sull'appello avverso le sen tenze del giudice di pace, nei casi tassativi sopra menzionati, è il tribunale del circondario in cui ha sede il giudice che ha emesso la sentenza. Il tribunale giudica in composizione monocratica (art. 39, comma 1 ) . Per il giudizio di appello si applicano le norme sulle impugnazioni ordina rie, eccettuata un'ipotesi. Se l'imputato contumace in primo grado prova di non essere potuto comparire dinanzi al giudice di pace senza sua colpa, il tribunale non procede a rinnovazione del dibattimento, come avviene nel rito ordinario, bensì annulla la sentenza impugnata con regressione del procedimento dinanzi al giudice di pace (art. 39, comma 2 ) . A detta della Relazione, una disciplina siffatta è imposta dalla peculiarità del procedimento dinanzi al giudice di pace, che dà ampio spazio a meccanismi conciliativi e di definizione alternativa del giudizio.
ex art. 2 1 , può esperire contro la sentenza di proscioglimento il ricorso per cassazione, analogamente a quanto è stabilito per il pubblico ministero (art. 38 comma l, 36 comma 2, d.lgs. 274/2000). (12) L'imputato può ricorrere per cassazione contro le sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria e contro le sentenze di proscioglimento (art. 37, comma 2). Non sfugge come la norma taccia circa la possibilità per l'imputato di ricorrere per cassazione contro le sentenze di condanna a pena diversa da quella pecuniaria. All'uopo è possibile invocare l'art. 1 1 1 , comma 7 Cast. e l'art. 568, comma 2 c.p.p. , in base ai quali contro le sentenze è sempre ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge.
CAPITOLO IV IL PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE PER I MINORENNI
SoMMARJo: l . Premessa. - 2. Gli organi della giustizia penale minorile. - 3 . I princìpi guida del
5. La definizione del procedimento 6. L'intervento penale senza la condanna. - 7. Le attenuazioni
sistema. - 4. Le indagini sull'età e sulla personalità. in udienza preliminare. -
del sistema sanzionatorio in caso di condanna.
l.
Premessa.
Per lungo tempo una scarsa sensibilità per i diritti dell'individuo, in generale, e per le esigenze specifiche dei soggetti in giovane età, in particolare, ha impedito l'istituzione di un sistema di giustizia penale differenziato. Ancora nel XIX secolo i fanciulli erano sottoposti al giudizio dei tribunali ordinari, secondo le comuni leggi penali, e subivano le stesse sanzioni degli adulti, anche se irrogate con un certo contenimento. L'esecuzione delle condanne in carcere non prevedeva differenziazioni: le pene venivano scontate in promiscuità con gli adulti. Solo nel 1 899 è stata istituita a Chicago la juvenile court, primo organismo giurisdizionale specializzato, incaricato di giudicare solo minorenni, secondo regole che tenessero conto delle esigenze specifiche degli stessi. L'evento è stato accolto come una « conquista di civiltà giuridica » ( l ) e ha innescato un processo che ha rapidamente coinvolto anche il continente europeo. Nel 1904 a Birmingham è nato un analogo tribunale; quattro anni dopo il Children Act ha previsto l'istituzione di corti giovanili in Inghilterra, Scozia e Irlanda; lo stesso è accaduto nel 1912 in Francia e Belgio; nel 192 1 in Olanda; nel 1922 in Germania e nel 1 934 in Italia (2) . Intanto i vari sistemi procedevano agli opportuni adattamenti delle legisla zioni. Ben più lento è stato il processo di modifica del trattamento penitenziario.
( l ) È un'espressione di P. MARruccJ, Il procedimento penale minori/e, in AA.Vv., Diritto penale per operatori sociali, a cura di G. FLORA e P. ToN!Nl, vol. Il, Milano, 2002, 194. (2) Per i riferimenti storici si vedano G. LA GRECA, La giustizia minori/e compie cent'anni, in Dir. pen. proc. , 1999, 1459; I. BAVIERA, Diritto minori/e, Milano, 1976, l, 170.
786
I procedimenti penali dzf/erenziati e speciali
IV.IV . 1
L'attenzione per l a specificità dell'amministrazione della giustizia nei con fronti dei minori ha trovato un riconoscimento anche a livello internazionale attraverso fondamentali documenti quali la risoluzione delle Nazioni Unite concernente le "Regole minime per l'amministrazione della giustizia dei mi nori" (3 ) (c.d. "Regole di Pechino" ) e la raccomandazione del Consiglio d'Europa su "Le reazioni sociali alla delinquenza minorile" (4) . Tali documenti, assieme alle direttive costituzionali, hanno guidato il nostro legislatore nel momento in cui questi ha iniziato l'opera di riforma e ha delegato il governo a disciplinare il processo a carico di imputati minorenni con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche di costoro, dalla loro maturità e dalle esigenze della loro educazione (5) . L a legge delega 16 febbraio 1987 n . 8 1 s i è mossa nel senso dell'attuazione del disposto dell'art. 3 1 comma 2 Cost. che impone alla Repubblica di proteg gere la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. T ale norma è concordemente ritenuta indicativa della centralità della finalità rieducativa della pena nei confronti del minorenne, a discapito delle esigenze di punizione e di difesa sociale, specificando, ma soprattutto arricchendo con contenuti di tutela, quanto già previsto dall'art. 27 comma 3 Cost. Invero, come si desume dallo stesso art. 3 della legge delega, la finalità rieducativa non deve essere veicolo per l'introduzione di pratiche deresponsabilizzanti, tipiche di un'ottica paternali stica che oggi non si concilia più con la consolidata visione del minorenne come soggetto titolare di diritti da far valere in un processo giusto e non oggetto di provvedimenti benevoli concessi per spirito di solidarietà. L'equilibrio tra le esigenze di tutela e di responsabilizzazione, rapportate ai bisogni di un soggetto ancora in fieri, rende irrinunciabili approfonditi accertamenti sulla personalità dello stesso durante tutto lo svolgersi del procedimento, configurando così una contemporaneità del "processo sull'autore" e del "processo sul fatto" che certamente non si ritrova all'interno del procedimento penale a carico degli adulti. La delega è stata attuata con il d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448, recante « Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni » (6), inte grato dal d.p.r. 22 settembre 1 988, n. 449, relativo all'adeguamento dell'ordi namento giudiziario al nuovo processo penale e a quello minorile, e dal d.lgs. 2 8 luglio 1 989, n. 272 per l e norme d i attuazione, d i coordinamento e transitorie del c.p.p.m.
(3) (4) (5)
Risoluzione n. 40/3 3 , approvata dall'Assemblea generale del 29 novembre 1985. Raccomandazione n. 87/20, approvata dal Comitato dei Ministri in data 17 settembre 1987. In proposito si veda V. PATANÈ, L'individualizzazione nel processo penale minori/e, Milano, 1999,
(6)
Nel prosieguo del capitolo sarà indicato con l'abbreviazione "c.p.p.m.".
131.
IV.IV.2 2.
Il procedimento davanti al tribunale per i minorenni
787
Gli organi della giustizia penale minorile.
Presso ogni sede di corte d'appello, o sezione distaccata, è situato il tribunale per i minorenni. Si tratta di un organo collegiale composto da due magistrati togati, cioè un magistrato d'appello, in qualità di presidente, e uno di tribunale, e da due giudici onorari (membri laici) , un uomo e una donna, benemeriti dell'assistenza sociale, scelti tra i cultori della biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia, che abbiano compiuto il trente simo anno di età (7) . La nomina dei giudici onorari avviene con decreto del presidente della repubblica, su conforme deliberazione del consiglio superiore della magistratura; essa ha durata triennale e può essere rinnovata. li tribunale per i minorenni è competente per i reati commessi nel distretto di corte d'appello o sezione distaccata da chi, al momento del fatto, non aveva ancora compiuto il diciottesimo anno di età (art. 3 c.p.p.m.) (8). È irrilevante l'eventuale connessione con procedimenti contro imputati maggiorenni; la connessione non opera nemmeno tra procedimenti per reati commessi quando l'imputato era minorenne e procedimenti per reati commessi quando era maggiorenne. In tal modo si configura una significativa eccezione agli effetti della connessione in punto di competenza, poiché i procedimenti saranno trattati da giudici diversi e si svolgeranno separatamente (art. 14 c.p.p.) (9). Un organo monocratico adempie alle funzioni di giudice per le indagini preliminari, mentre per l'udienza preliminare è competente un collegio com posto da un magistrato togato e da due giudici laici (art. 50-bis ord. giud., introdotto dall'art. 14 d.p.r. 2 settembre 1 988, n. 449) ( 10). In secondo grado il giudizio spetta alla sezione per i minorenni presso la corte d'appello, costituita da un magistrato di cassazione, in qualità di presi dente, da due giudici d'appello e da due giudici onorari (artt. 5 r.d.l. 1404 del 1 934 e 58 ord. giud.). Con riguardo al difensore l'art. 1 1 stabilisce, a carico del consiglio dell'or dine forense, la predisposizione di elenchi di difensori con specifica prepara zione nel diritto penale minorile, ai fini della difesa d'ufficio (art. 15 att. min.). (7) L a composizione del tribunale per i minorenni è regolata dall'art. 2 r.d.l. 2 0 luglio 1934, n . 1404 come modificato dall'art. 4 , L 27 dicembre 1956, n. 144 1 (cfr. art. 50 ord. giud. ) . ( 8 ) D i conseguenza permane la competenza del tribunale per i minorenni qualora il soggetto divenga maggiorenne all'epoca del processo. (9) il tribunale per i minorenni è competente anche per i reati che, se commessi da adulti, sono attribuiti al giudice di pace, come riconosce espressamente l'art. 4 comma 4, d.lgs. n. 274 del 2000. In base all'art. 16 della legge delega n. 468 del 1999, l'apparato sanzionatorio dei reati attribuiti al giudice di pace segue lo spostamento della competenza; pertanto le sanzioni che può disporre il giudice di pace non possono essere irrogate dal tribunale per i minorenni. In questo quadro l'art. 63 del d.lgs. n. 274 del 2000 si limita a toccare il caso in cui il tribunale ordinario per adulti è competente per connessione nell'ipotesi di concorso formale di reati. ( 10) Si noti la peculiarità del g.u.p. minorile che, a differenza di quello ordinario, è organo collegiale. Su questo tema, F. PALOMBA, Il sistema del nuovo processo penale minori/e, Milano, 1991, 212.
788
I procedimenti penali differenziati e speciali
IV.IV.2
Le funzioni di pubblico ministero sono svolte in primo grado dal procu ratore della repubblica presso il tribunale per i minorenni. Tale ufficio si avvale di una sezione specializzata di polizia giudiziaria il cui personale è « dotato di specifiche attitudini e preparazione » (art. 5 c.p.p.m.). In secondo grado le stesse funzioni sono esercitate dal procuratore generale presso la corte d' ap pello. Le attribuzioni della magistratura di sorveglianza, nei confronti di chi, al momento della commissione del reato, non aveva ancora compiuto gli anni diciotto e fino al compimento del venticinquesimo anno di età, sono esercitate dal magistrato di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni e dal tribunale stesso (art. 3 comma 2 c.p.p.m.). Dalla tipologia degli organi coinvolti nel procedimento a carico di mino renni emerge, quale principio informatore, una istanza di adeguamento alle particolari esigenze di un soggetto in così giovane età: tutti gli organi dovranno essere idonei a tale finalità, quanto a preparazione e attitudini. In particolare il principio trova realizzazione anzitutto nella predisposizione di organi giudiziari specializzati, ai quali, ai sensi dell'art. 1 02 comma 2 Cost. , partecipano anche cittadini idonei, estranei alla magistratura. Tuttavia, onde evitare squilibri all'interno dello stesso organo giudicante, la preparazione specifica non può esaurirsi in capo ai giudici onorari: sarà necessario che anche i magistrati togati siano dotati di un bagaglio culturale che permetta loro di svolgere le proprie funzioni con piena consapevolezza. La loro formazione deve essere tale da permettere un corretto esercizio della giurisdizione minorile (artt. 2, 3 , 4, 5 att. min. ) . Infine s i tenga presente che, a i sensi dell'art.
6 c.p.p.m., l'autorità giudiziaria, in
ogni stato e grado del procedimento, si avvale della collaborazione dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia e dei servizi di assistenza istituiti dagli enti locali.
I servizi minorili assolvono, attraverso l'opera di un personale specificamente preparato e con la collaborazione di esperti esterni, una funzione composita: in primo luogo, essi forniscono all'autorità giudiziaria le informazioni necessarie per la cono scenza della personalità del minorenne; in secondo luogo, prestano assistenza al minore, aiutandolo ad affrontare il procedimento penale; infine, si occupano della mediazione tra imputato e persona offesa e dell'applicazione del progetto formativo. Per un altro verso, i servizi istituiti dagli enti locali, godendo di una maggiore vicinanza all'ambiente in cui il minorenne si è formato, svolgono soprattutto un'opera di risocializzazione volta al reinserimento del soggetto nella comunità ( 1 1 ) .
( 1 1 ) Per una ricognizione degli organi della giustizia minorile si vedano, G . SPANGHER, sub art. 2. Organi giudiziari nel procedimento a carico di minorenni, in M. CHIAVARlO (a cura di), Commento al codice di procedura penale. Leggi collegate I. Il processo minori/e, Padova, 1994, 36; S. GIAMBRUNO, Il processo penale minori/e, Padova, 200 l , 17.
IV.IV.3 .a 3.
Il procedimento davanti al tribunale per i minorenni
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I princìpi guida del sistema. a.
La finalità rieducativa.
L'educazione dei minori è una funzione che spetta in primo luogo alla famiglia; tuttavia, anche l'ordinamento è tenuto a provvedere in tal senso. Qualora intervenga la commissione di un reato ad opera del minorenne, la cura del percorso formativo di quest'ultimo non potrà certo essere tralasciata; anzi, come si è accennato, dovrà essere accentuata la finalità rieducativa della pena. La realizzazione della pretesa punitiva è subordinata all'interesse-dovere dello Stato al recupero del minorenne, poiché la funzione rieducativa è da conside rarsi, se non esclusiva, certamente preminente (12), senza che ciò significhi rinunciare, in nome di generici fini educativi, all'accertamento della responsa bilità penale del minore nel rispetto della presunzione di innocenza. Tale finalità emerge innanzitutto dall'art. l comma l c.p.p.m. nella parte in cui prevede che le disposizioni del processo minorile prevalgano su quelle del codice di procedura penale; inoltre, le norme del codice "per gli adulti" sono utilizzabili solo per quanto non previsto dalla normativa specifica per i mino renni e devono essere applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative di costoro. Fondamentale, in tale ottica, anche il disposto del secondo comma dello stesso articolo. La norma sancisce l'obbligo per il giudice di illustrare al minorenne « il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza, nonché il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle deci sioni » ( 13 ) . Ciò significa che l'imputato, anche se in giovane età, deve essere coinvolto nel procedimento in modo tale da potervi partecipare consapevol mente, in quanto egli deve essere considerato titolare di diritti soggettivi perfetti. N e consegue la necessaria presenza del minorenne alle udienze e, quindi, la possibilità dell'accompagnamento coattivo dell'imputato non com parso (art. 3 1 comma 1 ) . L a necessità della valenza educativa esclude, nel processo penale minorile, l'esercizio dell'azione civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno: la presenza di una " accusa privata" potrebbe pregiudicare le finalità rieducative e di protezione del minorenne ( 14); inoltre tale azione andrebbe a colpire, dal punto di vista economico, i genitori dell'imputato. Di conseguenza la sentenza non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni e il risarci(12) in Giur. it., l , 983. (13) informato. ( 14 )
A tal proposito si vedano: Corte cast. n. 49 del l973, in Giur. cast. , 1973 , l, 425; n. 125 del l992, 1993, I, l, 558; n. 168 del l994, in Giur. it. , 1994, I, l, 357; n. 109 del l997, in Foro it. , 1998, I, A fronte di tale obbligo si configura, in capo al minore, un vero e proprio diritto ad essere Corte cast., n. 433 del l997, in Cass. pen., 1998, 1305.
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I procedimenti penali differenziati e speciali
IV.IV.3 .b
mento del danno derivante dal reato (art. lO commi l e 2 ) . Per lo stesso motivo sono a carico dello Stato le spese per interventi sul minorenne, quelle proces suali e quelle per il suo mantenimento in carcere (artt. 28 e 29 att. min.). L'imprescindibile valutazione della personalità del minorenne rende inoltre non esperibile il decreto penale di condanna, poiché esso non permette la completezza di tale analisi; inoltre, il pubblico ministero « non può procedere al giudizio direttissimo o richiedere il giudizio immediato nei casi in cui ciò pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore » (comma 2-ter introdotto nell'art. 25 d.p.r. n. 448 del 1 988 dal decreto-legge sulla sicurezza pubblica n. 92 del 2008, conv. in legge n. 125 del 2008) ( 1 5 ) . L'esigenza d i rieducazione si manifesta anche in punto d i misure cautelari. Difatti l'art. 1 9 comma 2 stabilisce che il giudice, nel disporre le misure, tenga conto anche « dell'esigenza di non interrompere i processi educativi in atto ». Ne consegue, inoltre, il rispetto delle necessità inerenti alle attività di studio o di lavoro nell'applicazione della singola misura cautelare. Infine la finalità rieducativa ha ispirato la Corte costituzionale nel momento in cui ha escluso l'applicazione della pena dell'ergastolo al minorenne. Tale sentenza deve essere letta alla luce non solo dell'art. 27 comma 3 Cost. , ma anche dell'art. 3 1 Cost. che impone la protezione dell'infanzia e della gioventù ( 16).
b. La minima offensività del processo. Le misure cautelari. Nei confronti di un soggetto in giovane età, la cui personalità è esposta alle influenze esterne ben più di quanto accada per un adulto, si rende necessario ridurre il più possibile le conseguenze negative derivanti dal processo. Il coinvolgimento nella vicenda processuale potrebbe altrimenti risultare irrime diabilmente dannoso per il minore. Sono riconducibili a tale finalità tutti quegli strumenti che permettono al giudice di evitare la prosecuzione del processo, qualora essa non risulti neces saria. Si pensi alla sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 c.p.p.m.) , ma anche all'affidamento ai servizi sociali prima della sentenza, con sospensione del processo ed eventuale estinzione del reato in caso di esito positivo della prova (art. 28 c.p.p.m.) . Le misure pre-cautelari. È inoltre rilevante osservare come, nell'ottica della minima offensività del processo, per i minori siano stabilite specifiche regole anche in materia di misure precautelari e cautelari. Per quanto riguarda le misure precautelari, all'arresto e al fermo si aggiunge l'accompagnamento a ( 15) Pertanto, non potranno essere applicate con automatismo quelle innovazioni che sono state apportate dal decreto-legge sulla sicurezza pubblica e che rendono obbligatorio il rito direttissimo e il giudizio immediato. Nei confronti del minorenne si potrà procedere con i predetti riti soltanto se in concreto si potranno compiere i necessari accertamenti sulla personalità. ( 16) Corte cost., n. 168 del 1994, cit., 357.
IV.IV.3 .b
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seguito di flagranza (art. 1 8-bis), che consiste nell'accompagnare il minorenne presso gli uffici di polizia giudiziaria e trattenerlo sino ad un massimo di dodici ore al fine di consegnarlo all'esercente la potestà dei genitori o all'affidatario. Le misure in esame sono caratterizzate dalla facoltatività che spetta alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero, i quali, nell'adottare tali provvedi menti, devono previamente valutare la gravità del fatto, l'età e la personalità del minorenne. A ciò si aggiunga che i delitti, in relazione ai quali sono consentite le misure precautelari, sono espressamente previsti dalla legge (artt. 16 e 17 che rinviano all'art. 23 ; art. 18-bis) con il risultato di un innalzamento della soglia edittale di applicazione rispetto a quanto accade per gli adulti (art. 3 8 1 c.p.p.). Le misure cautelari. Il catalogo delle misure cautelati minorili si arricchisce, rispetto agli adulti, con l'introduzione delle misure coercitive delle "prescri zioni" (art. 20) e del " collocamento in comunità" (art. 22) . L a prima è una misura non detentiva che rivela chiaramente anche uno stretto legame con la finalità rieducativa, dato che le prescrizioni che il giudice può legittimamente imporre devono riguardare lo studio, il lavoro o altre attività utili per l'educazione del minore. Quanto alla misura del collocamento in comunità, che non ha corrispondenti tra le misure previste per gli adulti, essa è certamente volta a limitare il più possibile l'applicazione della custodia cautelare. Quest'ultima può essere disposta, ai sensi dell'art. 23 , solo quando si procede per delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni. Fuori da tali casi, la custodia cautelare in carcere può essere applicata quando si procede per altri gravi delitti previsti dalla legge ( 17 ) Inoltre, tra l e esigenze cautelati non è previsto i l pericolo d i fuga (art. 23 ; Corte cost. n. 359 del 2000).
(17) S i tratta dei delitti, consumati o tentati, previsti dall'art. 380, comma 2 lettere e (furto aggravato) , f (rapina ed estorsione), g (reati concernenti armi ed esplosivi) , h (reati concernenti sostanze stupefacenti) e per il delitto di violenza sessuale. Le modifiche legislative introdotte in materia hanno notevolmente complicato il quadro normativo, ma la Corte di cassazione ha affermato che << In tema di custodia cautelare nei confronti di imputati minorenni, l'art. 23 d.P.R. n. 448 del l988 non prevede, tra i casi in cui può essere applicata la custodia cautelare, l'ipotesi di cui all'art. 380, comma 2, lett. e-bis (delitti di furto in abitazione e con strappo, ex art. 624-bis c.p.); tuttavia, detto art. 23 richiama l'art. 380, comma 2, lett. e) che prevede l'ipotesi del reato di furto aggravato ex art. 625, comma l , n. 2, prima parte, c.p., che corrisponde esattamente all'ipotesi di cui all'art. 624-bis, comma 3 , c.p. (furto in abitazione o con strappo aggravato da una o più delle circostanze di cui all'art. 625, comma l, c.p.). Ne consegue che nell'ipotesi di furto aggravato in abitazione sono applicabili nei confronti di imputati minorenni l'arresto in flagranza e la custodia cautelare >> (Cass. pen., sez. V, 13 luglio 2007, n. 4043 1 ) . Successivamente l a Corte h a ribadito che << Sono applicabili l'arresto i n flagranza e l a custodia cautelare in carcere nei confronti di indagati minorenni per il reato di furto aggravato in abitazione anche dopo le modifiche introdotte dalla L. 26 marzo 2001, n. 128, in quanto il rinvio operato dall'art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988 all'art. 380, comma secondo, lett. e) c.p.p. deve ritenersi, a seguito delle menzionate modifiche legislative, ora riferito alla lett. e) bis della stessa norma >> (Cass. pen., sez. IV, 9 aprile 2009, n. 19680).
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Infine, con riferimento alle misure cautelari della permanenza in casa (art. 2 1 ) e del collocamento in comunità (art. 22), è significativo il fatto che l'allontanamento ingiustificato del minorenne dall'abitazione o dalla comunità non costituisca evasione. I termini di durata massima della custodia cautelare, previsti per gli adulti dall'art. 3 03 c.p.p., sono ridotti della metà per i reati commessi da minori degli anni diciotto e di due terzi per quelli commessi da minori degli anni sedici. Qualora, decorsi i termini, permangano le esigenze cautelari, il giudice può imporre le prescrizioni di cui all'art. 20 c.p.p.m. c.
La tutela della personalità e della riservatezza del minorenne.
La particolare invasività del processo penale è dovuta anche alla possibilità che questo comporti una svalutazione dell'immagine del minorenne agli occhi della comunità. La disciplina relativa al processo penale minorile cerca di ridurre al minimo tale effetto stigmatizzante, poiché questo potrebbe condizio nare l'intera esistenza del soggetto coinvolto, che rimarrebbe segnato da una siffatta esperienza anche in età adulta. A tale fine si segnalano: il divieto di pubblicare o divulgare notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione del minorenne comunque coin volto nel procedimento (art. 13) ( 18); le cautele previste per proteggere i minorenni dalla curiosità del pubblico nell'esecuzione dell'arresto e del fermo, nell'accompagnamento e nella traduzione (art. 20 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272); la eliminazione delle iscrizioni relative ai provvedimenti giudiziari diversi da quelli di condanna a pena detentiva, al compimento del diciottesimo anno di età (art. 5 comma 4 d.p.r. 14 novembre 2002, n. 3 13 ); lo svolgimento dell'udienza dibattimentale a porte chiuse (art. 33 c.p. p.m.) a meno che l'imputato sedicenne chieda che l'udienza sia pubblica. In tal caso il tribunale, valutate le ragioni addotte e l'opportunità di procedere in udienza pubblica alla luce dell'esclusivo interesse del minore, decide sulla richiesta. In ogni caso quest'ultima non può essere accolta qualora vi siano coimputati minori degli anni sedici ovvero se uno o più dei coimputati non vi consentano. Tuttavia, per una protezione piena della personalità del minorenne coin volto nella vicenda processuale, non può essere sufficiente una tutela " in negativo" che si limiti a ridurre al minimo gli aspetti pregiudizievoli; si rendono necessarie anche disposizioni idonee a configurare la partecipazione al processo come strumentale al positivo sviluppo della personalità del minorenne. Assolve questa funzione innanzitutto la previsione dell'assistenza affettiva e psicologica che deve essere assicurata al minorenne grazie alla presenza dei genitori o di (18) Tuttavia, si ricordi che il secondo comma dell'articolo in esame stabilisce che il divieto non si applica dopo l'inizio del dibattimento, qualora il tribunale proceda in udienza pubblica.
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altra persona idonea, indicata dal minorenne ed ammessa dal giudice che procede (art. 12 c.p.p.m.) . È inoltre assicurato il sostegno morale dei servizi minorili dell'amministra zione della giustizia e dei servizi di assistenza degli enti locali. I primi, infatti, vengono tempestivamente informati dell'arresto, del fermo e dell'accompagna mento negli uffici di polizia giudiziaria eseguiti nei confronti del minorenne (artt. 1 8 e 18-bis c.p.p.m. ) , lo assistono e lo controllano quando è sottoposto a misura cautelare o messo alla prova (artt. 1 9 comma 3 e 28 comma 2 c.p. p.m.), concorrono all'esecuzione delle sanzioni sostitutive (art. 30 comma 2 c.p.p.m.) e sono sentiti nell'udienza preliminare e nel dibattimento per fornire notizie sulla personalità dell'imputato (artt. 3 1 comma 5 e 33 comma 4 c.p.p.m.). Le disposizioni relative alla partecipazione dei suddetti soggetti debbono intendersi come poste nell'interesse del minorenne; pertanto, nel caso in cui inderogabili esigenze processuali o l'interesse del minorenne stesso lo richie dano, tali soggetti potranno essere esclusi (art. 12 comma 3 c.p. p.m.). Allo stesso scopo potrà essere allontanato il minorenne qualora si proceda all'assunzione di dichiarazioni e alla discussione su fatti e circostanze inerenti alla sua personalità (art. 3 1 comma 2 c.p.p.m.). d.
La distinzione tra norme sull'imputabilità e norme di adattamento.
Le norme sull'imputabilità sono quelle disposizioni che si occupano, in primo luogo, di delimitare dall'esterno la fascia dei destinatari della disciplina derogatoria rispetto a quella per gli adulti, ma anche di precisare, all'interno della categoria così individuata, quali soggetti siano penalmente capaci. Il sistema prevede che al di sopra dei diciotto anni il soggetto abbia raggiunto la maggiore età e, quindi, che sia imputabile se non ricorrono cause di esclusione della capacità di intendere e di volere. Al di sotto dei quattordici anni il minore è considerato per legge non imputabile: si presume che non abbia la capacità di intendere e di volere necessaria per essere ritenuto responsabile di un reato (art. 97 c.p.). All'interno di questa fascia di età, cioè tra i quattordici e diciotto anni, non vige alcuna presunzione; di conseguenza il giudice dovrà accertare caso per caso la sussistenza, al momento del fatto, della capacità di intendere e di volere (art. 98 c.p . ) . L a previsione d i tale accertamento rende opportuno definire i l concetto di "maturità" , al fine di comprendere meglio quale sia realmente l'oggetto della valutazione del giudice in questa sede preliminare. La maturità indica, infatti, quel complesso di condizioni fisiche e psichiche che, in quanto abbiano raggiunto un livello sufficiente di sviluppo, consentono al minore di compren dere il mondo circostante e autodeterminarsi. Dunque, da un lato, è necessario che il soggetto si renda conto del disvalore sociale del fatto compiuto, poiché il reato non è soltanto una fattispecie perseguita dall'ordinamento, ma è anche
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un'esternazione di giudizi qualitativi appartenenti alla comunità. Dall'altro lato, è opportuno verificare con particolare attenzione che il minore abbia la capacità di dirigere consapevolmente le proprie azioni verso determinati fini. Per porre in essere siffatti accertamenti è evidente l'importanza fondamentale della veri fica dello sviluppo non solo biologico, ma anche intellettuale e morale del minore, connesso all'analisi del contesto socio-culturale in cui lo stesso è inserito. La valutazione non dovrà essere compiuta in modo astratto, bensì sarà necessario che tenga conto anche degli eventuali condizionamenti negativi subiti dal minore a causa della situazione concreta in cui si trova ( 1 9) . In questo modo l'accertamento si carica di irrinunciabili aspetti soggettivi, la cui consi derazione porterà il giudice a cogliere il rapporto instauratosi tra quel deter minato fatto ed il suo autore (20). Le norme di adattamento. Le norme sull'imputabilità esauriscono qui la loro funzione. Ma a questo punto, una volta individuati i soggetti che, nono stante la giovane età (compresa tra i quattordici e i diciotto anni) , sono ritenuti maturi e, quindi, penalmente capaci, si impongono esigenze di differenziazione della disciplina ad essi applicabile. Queste esigenze sono espresse dalle norme di adattamento del sistema, cioè dalle disposizioni che danno vita ad un ordinamento penale minorile differenziato in nome delle specificità connesse alle caratteristiche ed alle necessità della personalità del minorenne. Le norme di adattamento configurano le particolarità del processo penale minorile e consistono: a) nel ruolo fondamentale svolto dalle indagini sull'età e sulla personalità; b) nella più ampia possibilità di definizione del processo in udienza preliminare; c) nelle modifiche del sistema sanzionatorio, rilevanti sia al momento della pronuncia della sentenza, sia durante l'esecuzione della pena. 4.
Le indagini sull'età e sulla personalità.
L'analisi delle norme sull'imputabilità rivela il ruolo fondamentale dell'ac certamento dell'età dell'imputato al momento della commissione del fatto: qualora egli non abbia ancora compiuto il quattordicesimo anno di età, si impone il proscioglimento per non imputabilità (artt. 97 c.p. e 26 c.p. p.m.) (2 1 ) ; ( 19) È necessario che l'accertamento sia compiuto volta per volta con riferimento al singolo episodio criminoso; in questo senso, Cass., sez. I, 13 luglio 2006, n. 2427 1 , in Guida dir., 2007, l, 70. (20) A tal proposito si veda G. PIGHI, Le disposizioni sul reato commesso dal minorenne, in AA.Vv., Diritto penale per operatori sociali, a cura di G. FLORA e P. ToNINI, vol. II, Milano, 2002, 132. (2 1 ) Più precisamente l'art. 26 individua, quale conseguenza necessaria dell'accertamento dell'età minore degli anni quattordici, una sentenza di non luogo a procedere per mancanza di imputabilità, da emettersi in ogni stato e grado del procedimento, anche d'ufficio.
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nel caso, invece, che si trovi nella fascia compresa tra i quattordici e i diciotto anni, allora il giudice deve accertare la sussistenza della capacità di intendere e di volere (art. 98 c.p.). Alla luce di ciò, l'art. 8 c.p.p.m. disciplina l'ipotesi dell'incertezza sull'età dell'imputato stabilendo che il giudice, anche d'ufficio, deve disporre perizia. Nel caso in cui l'accertamento sull'età si renda necessario in fase di indagini preliminari, si ritiene che si debba procedere a perizia mediante incidente probatorio (22). In ogni caso, qualora permanga il dubbio, la minore età deve essere presunta ad ogni effetto; di conseguenza l'imputato è ritenuto infradiciottenne o infraquattordicenne a seconda che il dubbio riguardi il compimento del diciottesimo o del quattordicesimo anno di età. Inoltre l'art. 9 c.p.p.m. stabilisce che il pubblico ministero e il giudice acquisiscano elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne; essi possono assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e acquisire il parere di esperti « anche senza alcuna formalità » (art. 9 comma 2 c.p. p.m.). Tali strumenti devono essere utilizzati per il raggiungimento delle seguenti finalità: accertare l'imputabilità e il grado di responsabilità del minore; valutare la rilevanza sociale del fatto; disporre un trattamento penale adeguato e gli eventuali provvedimenti di natura civile. In via interpretativa si ritiene che gli accertamenti di cui al primo comma della norma in esame abbiano il carattere dell'obbligatorietà, ma il legislatore non ne specifica le modalità; al contrario, certamente facoltativa è l'assunzione di informazioni e il parere di esperti. È evidente che la norma è particolarmente ampia e comporta significative deroghe a quanto previsto per gli adulti: nel codice l'art. 1 94 comma l vieta le deposizioni sulla moralità dell'imputato « salvo che si tratti di fatti specifici idonei a qualificarne la personalità in relazione al reato e alla pericolosità sociale »; l'art. 220 comma 2 esclude perizie volte a determinare il carattere, la personalità dell'imputato o le sue qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Le deroghe si impongono a causa della particolare importanza che l'accertamento delle caratteristiche della personalità del minorenne imputato riveste nel processo penale; la preminenza della finalità rieducativa richiede un'approfondita conoscenza dei problemi evolutivi e di adattamento del sog getto, onde poter intervenire immediatamente e nel modo più adegua to (23 ) . In questo senso si esprime P. PrrrARo, sub art. 8. Accertamento sull'età del minorenne, in M. Commento al codice di procedura penale. Leggi collegate I. Il processo minori/e, Padova, 1994, 77. Contra, F. PALOMBA, Il sistema del nuovo processo penale minori/e, cit., 155. (23) LA GRECA, Accertamenti sulla personalità del minorenne, in AA.Vv., Il processo penale minori/e, a cura di G. GIOSTRA, Milano, 2001, 89. (22)
CHIAVARlO (a cura di),
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IV.IV.5
La definizione del procedimento in udienza preliminare.
Nel processo penale minorile l'udienza preliminare assolve un ruolo fon damentale, poiché, oltre alle ordinarie funzioni di garanzia (consistenti nel controllo giurisdizionale della fondatezza dell'accusa) essa permette di applicare tutti i provvedimenti previsti dalla legge nei confronti del minorenne e, così, si configura come la sede primaria di definizione del procedimento (24) . Per tale motivo il legislatore ha optato per la composizione collegiale dell'organo giudicante. Nell'udienza preliminare il giudice può, come accade per gli adulti, emet tere il decreto che dispone il giudizio (ai sensi dell'art. 429 c.p.p.) o pronunciare sentenza di non luogo a procedere, qualora ricorrano le ipotesi di cui all'art. 425 c.p.p. , o disporre il giudizio abbreviato. Ma le possibilità del giudice dell'udienza preliminare minorile si spingono ben oltre. Egli può, infatti, emettere sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 c.p.p.m.) o per concessione del perdono giudiziale (art. 1 69 c.p.); può disporre con ordinanza la sospensione del processo e la messa alla prova del minorenne (art. 28 c.p.p.m.); può condannare l'imputato ad una pena pecuniaria, diminuibile fino alla metà del minimo edittale, o ad una sanzione sostitutiva su richiesta del pubblico ministero (art. 32 comma 2 c.p.p.m.). Avverso tale sentenza è espressamente prevista, dal comma succes sivo, la possibilità che l'imputato o il difensore, munito di procura speciale, propongano opposizione, al fine di instaurare il giudizio ordinario (art. 32-bis) . L a Corte costituzionale h a dichiarato l'illegittimità del comma in esame nella parte in cui non prevede la possibilità di opporsi anche a quelle sentenze di non luogo a procedere che presuppongono la responsabilità dell'imputato (25) . L'ingresso nel sistema della legge l o marzo 200 1 , n . 63 sul giusto processo ha comportato l'introduzione di una fondamentale modifica: nell'udienza pre liminare, prima dell'inizio della discussione, il giudice deve chiedere all'impu tato se consente alla definizione del procedimento in quella fase. L'eventuale consenso è riferito in via generale alla possibilità di definire il processo nell'udienza preliminare e non ad uno specifico esito dell'udienza stessa. Pertanto, ai sensi dell'art. 32 comma l c.p.p.m., qualora il minore abbia prestato il consenso, il giudice può pronunciare anche « sentenza di non luogo a procedere ( . . . ) per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto ». Si è inoltre ritenuto necessario il consenso per la condanna a pena pecuniaria o a sanzione sostitutiva (Corte cost. n. 208 del 2003 ) . Anche in mancanza del consenso dell'imputato, il giudice ha facoltà di definire il processo con una sentenza di non luogo a procedere nel merito con formula ampiamente (24) (25)
F. PALOMBA, Il sistema del nuovo processo penale minori/e, Milano, 1991, 258.
Corte cost. 1 1 marzo 1993, n. 77, in Giur. cast. , 1993, 702.
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liberatoria, oppure può emettere una pronuncia che, comunque, non presup ponga un accertamento di responsabilità, come accade, ad esempio, in caso di difetto di una condizione di procedibilità o di remissione di querela (Corte cost. n. 195 del 2002) (26) . 6.
L'intervento penale senza la condanna. a.
La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto.
Si discute sulla natura giuridica dell'irrilevanza del fatto (27) , ma v1 e accordo sul fatto che si tratti di uno strumento volto al fine di non pregiudicare, attraverso un processo penale non indispensabile, il percorso educativo del minorenne ed evitare l'effetto stigmatizzante tipico di tale processo. A tale finalità primaria si aggiunge la funzione deflattiva che l'istituto svolge. Qualora ricorrano la tenuità del fatto, l'occasionalità del comportamento e il pregiudizio per le esigenze educative del minore a causa dell'ulteriore corso del procedimento, le istanze di prevenzione generale e di tutela della comunità sono ritenute soccombenti; di conseguenza il giudice emette sentenza di non luogo a procedere su richiesta del pubblico ministero, durante le indagini preliminari, o d'ufficio, nell'udienza preliminare, nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato (art. 27 c.p.p.m.) (28) e in dibattimento (29) . La prima condizione richiesta ha natura oggettiva e consiste nel fatto che l'offesa o il pericolo cagionati dal reato siano di modesta entità. La valutazione deve attenersi a quanto in concreto si è realizzato. La seconda condizione, invece, ha natura soggettiva e richiede una prognosi (26) Ai sensi dell'ordinanza della Corte cost. n. 1 17 del 2009, occorre un preventivo awiso all'impu tato e una qualche forma di contraddittorio quando deve essere emessa una sentenza di non luogo a procedere che presuppone un accertamento della responsabilità penale: ciò avviene quando l'imputato minorenne è prosciolto per difetto di imputabilità, pronuncia dalla quale può derivare l'applicazione di una misura di sicurezza. (27) Ritiene che si tratti di una causa personale di esenzione dalla pena, M. CoLAMUSSI, La sentenza dz non luogo a procedere per irrilevanza del/atto: punti controversi della disciplina e prospettive di n/orma, in Cass. pen., 1996, I, 1673; secondo F. BrucaLA, Riforma del processo penale e profili di diritto penale sostanziale, in Ind. pen., 1989, 339, siamo di fronte ad una causa di esclusione della punibilità, al limite della improcedibilità; infine per S. ERAMo, Irrilevanza penale del /atto e garanzie difensive, in Giust. pen., 1998, III, 668, il provvedimento in esame ha natura di causa di non punibilità. (28) Sull'argomento si veda G. PrGHl, L'irrilevanza del/atto nel diritto penale minori/e, in Studium luris, 1999, I, 7 1 . (29) L a Corte costituzionale h a dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 2 7 comma 4 nella parte in cui prevede che la sentenza possa essere pronunciata solo nell'udienza preliminare, nel giudizio immediato e nel direttissimo. Tale limitazione configura un'irragionevole disparità di trattamento e contrasta con l'art. 3 1 comma 2 Cost. poiché impedisce al minore di avere la possibilità d i ottenere la formula di proscioglimento più idonea rispetto ai profili oggettivi e soggettivi del suo comportamento. In argomento, S. LARIZZA, Tutela
del minore dal processo o nel processo? La scelta della Corte costituzionale nella sentenza che estende alla fase dibattimentale l'applicabilità della irrilevanza del/atto, in Cass. pen., 2003, 3687.
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favorevole quanto alla non reiterazione del reato, nonché con riguardo al pregiudizio per le esigenze educative. La decisione sulla richiesta è pronunciata a seguito del procedimento in camera di consiglio disciplinato dall'art. 127 c.p.p.; pur non essendo richiesto il consenso delle parti, il giudice è tenuto a sentire il minorenne, l'esercente la potestà dei genitori e la persona offesa dal reato. Nel caso in cui non ritenga di accogliere la richiesta, dispone con ordinanza la restituzione degli atti al pubblico ministero (art. 27 comma 2 c.p.p.m.).
b.
n perdono giudiziale.
Il perdono giudiziale è una causa di estinzione del reato e può essere applicato solo ai minorenni, che abbiano compiuto gli anni quattordici. Ai sensi dell'art. 169 c.p. e dell'art. 1 9 del r.d. 20 luglio 1 934, n. 1404 (e successive modi:ficazioni) , il giudice può disporre il perdono qualora concorrano le seguenti condizioni: innanzitutto è necessario che per il reato commesso si possa applicare in concreto una pena restrittiva della libertà personale non superiore a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore a 1549 euro, anche se congiunta a detta pena; può beneficiarne solo il minore che non sia già stato condannato a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, e che non sia stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o profes sionale; inoltre il giudice, tenendo conto delle circostanze di cui all'art. 133 c.p., deve ritenere favorevole la prognosi di rieducazione, deve cioè presumere che il colpevole si asterrà dal commettere nuovi reati. Il perdono giudiziale non può essere concesso più di una volta, tuttavia la Corte costituzionale ha introdotto la possibilità di estenderne l'applicabilità ad altri reati che si legano con il vincolo della continuazione a quelli per i quali è stato concesso il beneficio (C. cost. 5 luglio 1 973 , n. 108), nonché in caso di reato commesso anteriormente alla prima sentenza di perdono qualora la pena, cumulata con quella prece dente, non superi i limiti per l'applicazione del beneficio (C. cost. 7 luglio 1976, n. 154). L'istituto del perdono giudiziale è particolarmente rilevante nel perseguire la finalità rieducativa e quella di protezione della gioventù, perché estende il potere discrezionale del giudice alla valutazione della opportunità della pena. Ciò significa che il giudice dovrà attentamente valutare quanto siano ancora forti le spinte delinquenziali e se il soggetto, in virtù del grado di crescita psico-sociale raggiunto, sia o meno in grado di respingerle. Dal punto di vista applicativo, si rileva che il d.p.r. 22 settembre 1 988, n. 448 non prevede per il perdono giudiziale, a differenza dell'irrilevanza del fatto (art. 27 comma 1 ) , la possibilità di disporlo anche durante le indagini prelimi nan.
IV.IV . 6. c c.
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La sospensione del processo con messa alla prova.
Nel rito minorile il giudice, sentite le parti, ha la possibilità di sospendere il processo con ordinanza « quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne » all'esito di una prova (artt. 28 e 29 c.p.p.m.) . Ciò significa che, nei confronti dei minorenni, è possibile porre in essere una forma di probation che non configura una misura alternativa alla detenzione, bensì si inserisce nella vicenda processuale prima della decisione, qualora la prognosi di rieducazione sia positiva (30). Il giudice nell'udienza preliminare o nel dibattimento in primo grado o in appello (3 1 ) , sentite le parti, dispone la sospensione con ordinanza, anche d'ufficio, e il minore viene affidato ai servizi sociali minorili, in collaborazione con i servizi locali per l'osservazione, il trattamento e il sostegno. Il giudice può impartire prescrizioni volte a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con la persona offesa. La sospensione ha una durata non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi la durata non può superare un anno. Da ciò si ricava che, ai fini della applicabilità dell'istituto, non ha importanza che tipo di reato sia stato commesso: la sospensione con messa alla prova è applicabile a tutti i reati e il giudice gode di un'ampia discrezionalità in quanto è soggetto solo all'obbligo di sentire le parti. L'adozione dell'ordinanza di sospensione non è subordinata al consenso dell'imputato o del pubblico ministero. La formulazione originaria dell'art. 28, al comma 4, impediva al giudice di applicare la sospensione nel caso in cui il minore avesse presentato richiesta di accedere al giudizio abbreviato o immediato. L'intero comma ha perso efficacia a seguito dell'intervento della Corte costituzionale (sent. n. 125 del 14 aprile 1995 ) . Riconosciuta la particolare importanza e significatività dell'istituto della sospensione per messa alla prova sotto l'aspetto rieducativo, la Corte ne ha sancito l'applicabilità anche quando l'imputato chieda il giudizio abbreviato o immediato. Mentre è in atto la sospensione del procedimento, che comporta anche la sospensione del corso della prescrizione, la minaccia della pena rimane sullo sfondo e funge da incentivo alla risocializzazione nei confronti di un soggetto (30) La Corte di cassazione ha stabilito che l'accesso alla misura è subordinato alle stesse valutazioni che presiedono alla concessione dell'affidamento in prova al condannato adulto, seppur con i dovuti adattamenti. Di conseguenza, è necessario che il soggetto mostri la propria rimeditazione critica del passato e la disponibilità al riadattamento (Cass. pen., sez. I, 23 febbraio 2006, n. 778 1 ) . (3 1 ) Per l'applicabilità della sospensione con messa alla prova nel giudizio d i appello, Cass. pen., sez. I, l febbraio 2006, n. 6965.
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IV.IV.7. a
rispetto al quale il giudice non ha potuto pronunciare il perdono giudiziale, a causa del permanere di dubbi sulle prospettive di reiterazione del reato. La prova potrà avere esito positivo o negativo: nel primo caso, che si verifica quando il comportamento e l'evoluzione della personalità del minorenne dimo strino l'avvenuta risocializzazione, il giudice dichiara estinto il reato con sen tenza (art. 29 c.p. p.m.) ; nel secondo caso, invece, il processo deve andare avanti e può essere definito anticipatamente in udienza preliminare (art. 32 c.p.p.m.) o pervenire al dibattimento (art. 33 c.p.p.m.) . Tuttavia, anche prima che sia decorso il periodo d i sospensione stabilito, il beneficio può essere revocato qualora il minore ponga in essere ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni impostegli (art. 28 comma 5 ) . 7.
Le attenuazioni del sistema sanzionatorio in caso di condanna. a.
Gli interventi al momento della pronuncia della sentenza.
Una volta che la condanna appaia inevitabile, il sistema non rinuncia alla tutela e alla rieducazione del minorenne. L'ordinamento cerca di fare in modo che la pena abbia la durata più breve possibile e sia conforme alle esigenze di prevenzione speciale. L'art. 98 del codice penale prevede una prima importante deroga a quanto stabilito per gli adulti: per i soggetti che, al momento della commissione del reato, avevano un'età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, la pena è diminuita fino ad un terzo. La norma è espressione dei timori relativi al condizionamento negativo che l'ambiente carcerario potrebbe avere nei con fronti di un soggetto ancora in formazione, ma si fonda anche sul convincimento che si debba muovere un rimprovero attenuato al minore. Un'ulteriore particolarità del sistema è costituita dalla maggiore ampiezza della pena detentiva massima sospendibile. Infatti, il tetto massimo di pena detentiva che può essere oggetto di sospensione condizionale per i minorenni è di tre anni (32 ) ; le altre condizioni di accesso a tale beneficio sono le stesse degli adulti, di conseguenza sarà necessario, prima di tutto, che il giudice, avuto riguardo alle circostanze di cui all'art. 133 c.p., ritenga che il condannato si asterrà dal delinquere (art. 164 comma l c.p.). Sono di regola esclusi dall'ambito di applicabilità del beneficio coloro che sono già stati precedentemente con dannati per delitto a pena detentiva, anche se è intervenuta la riabilitazione, e i delinquenti o contravventori abituali o professionali. La sospensione può essere concessa una sola volta. Tuttavia, il giudice nell'irrogare una nuova condanna, può, ai fini della sospensione, cumularla con la precedente, qualora (32) Per i soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventuno anni (c.d. giovani adulti) il tetto massimo di pena sospendibile è di due anni e sei mesi (art. 163 comma 3 c.p.).
IV.IV.7 .b
Il procedimento davamz al tribunale per i minorenni
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non venga superato il suddetto limite di pena (art. 164 comma 4 c.p.) . Se il soggetto non pone in essere altri reati per un periodo di cinque anni, in caso di condanna per delitto, o di due anni . in caso di contravvenzione, e adempie gli obblighi impostigli, il reato si estingue art. 167 c.p. ) . Prima dell'entrata in vigore della l . 1 2 giugno 2003 , n. 1 3 4 , il sistema si caratterizzava anche per la più estesa applicabilità delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, in quanto potevano essere sostituite pene fino a due anni, mentre per gli adulti il limite era di un anno. La suddetta legge, intervenendo sul disposto dell'art. 53 della l. 24 novembre 1 98 1 , n. 689, ha ampliato anche per gli adulti i confini di applicabilità delle sanzioni sostitutive fino a due anni. Resta comunque il fatto che, nei confronti del minorenne, le scelte del giudice, anche in questo caso, dovranno essere guidate dalla considerazione della personalità, delle condizioni sociali, familiari e ambientali e delle esigenze di lavoro o di studio. Si ritiene, inoltre, che non operino, nei confronti dei minorenni, i limiti soggettivi di cui all'art. 59, l. 24 novembre 198 1 , n. 689 e che, in caso di revoca, siano applicabili le misure alternative alla detenzione (33 ) .
b.
Gli interventi durante l'esecuzione della pena.
Nei confronti dei minorenni la pena detentiva deve essere utilizzata come extrema ratio, poiché essa tende a valorizzare le istanze di prevenzione generale e potrebbe mal conciliarsi con le esigenze di un soggetto in giovane età. Tuttavia, qualora gli altri strumenti risultino inidonei, la pena detentiva dovrà essere eseguita. A tale fine, l'ordinamento ha previsto la creazione di istituti carcerari specifici, facenti parte dei centri per la giustizia minorile, dove è privilegiata la formazione scolastica e professionale (artt. 7 e 8 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272). I centri per la giustizia minorile sono, inoltre, sede degli istituti di semili bertà, che forniscono anche servizi diurni per l'esecuzione, tra l'altro, delle ulteriori misure alternative che prevedono il trattamento in libertà. L'organiz zazione e gestione di tali istituti persegue l'effettiva reintegrazione nella comu nità esterna per i soggetti sottoposti a semilibertà (art. 1 1 ) e attua, anche per coloro che scontano altre misure alternative, programmi educativi di studio e di formazione lavoro, di tempo libero e di animazione (art. 12). Per quanto riguarda le condizioni di concessione delle misure alternative, si consideri innanzitutto che la disciplina dell'affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 e ss., l. 26 luglio 1 975 , n. 354) e della semilibertà (art. 50 e ss.) non presenta deroghe rispetto a quanto previsto per gli adulti. La detenzione domiciliare, invece, è regolata da disposizioni specifiche ed è applicabile più ampiamente: per comprovate esigenze di salute, studio, lavoro, famiglia, pos(33)
Corte cost., 9 aprile 1997,
n.
109, cit., 983.
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I procedimenti penali differenziati e speciali
IV.IV.7.b
sono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, le pene fino a quattro anni, quando trattasi di persona minore degli anni ventuno (art. 47 -ter comma l , lett. e). La misura è inoltre applicabile per le pene fino a due anni quando non può essere accolta la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale (art. 47-ter comma 2 ) . Si aggiunga infine che l a liberazione condizionale, che permette di trascor rere in libertà vigilata la residua pena, qualora il condannato abbia tenuto un comportamento che faccia ritenere sicuro il ravvedimento (art. 176 c.p.), può essere ordinata dal tribunale per i minorenni in qualunque momento dell' ese cuzione e qualunque sia la durata della pena detentiva inflitta (art. 2 1 , r. d.l. 20 luglio 1 934, n. 1404).
CAPITOLO v IL PROCEDIMENTO NEI CONFRONTI DEGLI ENTI PER ILLECITI AMMINISTRATIVI DIPENDENTI DA REATO
SoMMARIO: l . Qualificazione e struttura dell'illecito dell'ente. - 2. Le sanzioni applicabili. - 3 .
5 . L e misure 6. Indagini preliminari e udienza preliminare. - 7. I procedimenti speciali. -
L'accertamento della responsabilità dell'ente. - 4 . Il regime delle prove. cautelari. -
8. Il giudizio. - 9. Le impugnazioni. - 10. L'esecuzione.
l.
Qualificazione e struttura dell'illecito dell'ente.
Il d.lgs. 8 giugno 2001 , n. 23 1 ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità degli enti per illecito amministrativo dipendente da reato. Più specificamente sono destinatari delle norme in questione gli enti forniti di personalità giuridica, nonché le società e le associazioni anche prive di perso nalità giuridica (art. l comma 2 ) ; restano, invece, esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti pubblici non economici e quelli che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (art. l comma 3 ) ( 1 ). Nonostante la qualificazione formale della responsabilità come amministra tiva, l'analisi delle modalità di accertamento dell'illecito amministrativo e la struttura dello stesso, rivelano indici inconfutabili di uno stretto parallelismo con la disciplina del reato. In primo luogo si consideri la scelta dell'utilizzo dello strumento del processo penale: l'accertamento della responsabilità e l'applicazione delle sanzioni sono affidati al giudice penale competente a conoscere il reato presupposto (art. 36). Le regole del procedimento sono quelle del codice di procedura penale, in quanto compatibili (art. 34) e l'ente è equiparato all'imputato (art. 35). La struttura dell'illecito dell'ente. La responsabilità del soggetto collettivo è configurabile in presenza di requisiti oggettivi e soggettivi. Dal punto di vista oggettivo, si richiede la presenza di un reato che sia stato commesso nell'interesse o a vantaggio dell'ente (2) . Il reato, infatti, deve essere ( l ) In merito all'ambito soggettivo di applicazione della normativa, è inoltre opportuno sottolineare che la giurisprudenza ha chiarito che la disciplina in esame non si applica alle imprese individuali (Cass. pen., Sez. VI, 22 aprile 2004, n. 1894 1 , in Dir. & Giust., 2004, 30, 25). (2) Questo requisito assume una rilevanza particolare nell'ambito del sempre più crescente fenomeno dei gruppi di imprese. In tale ambito è configurabile un interesse comune di tutti i soggetti che ne fanno parte,
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IV.V. l
stato commesso da una persona fisica avente i requisiti per impegnare la responsabilità dell'ente. A tale fine, l'art. 5 stabilisce che deve trattarsi di persona che rivesta una posizione apicale, di diritto (esercitando funzioni di rappresentanza, di amministrazione o direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale) o di fatto (eserci tando funzioni di gestione e controllo dell'ente) , oppure che sia sottoposta alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti precedenti. L'ente è esente da respon sabilità se la persona fisica ha agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi. I reati che sono in grado di far scaturire la responsabilità del soggetto collettivo sono tassativamente indicati dal decreto (art. 24 e ss.) . A causa di numerosi interventi legislativi, il catalogo dei reati presupposto è molto più ampio di quanto fosse in origine (3 ). Dal punto di vista soggettivo, i criteri si differenziano a seconda che il reato sia stato posto in essere da un soggetto in posizione apicale o da un subordinato, data la diversa significatività dell'agire di tali soggetti rispetto all'ente (C.E. PALIERO). L'art. 6 detta la disciplina relativa alla prima ipotesi e stabilisce che l'ente non risponde se prova che sono stati adottati ed efficacemente attuati, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della stessa specie (modelli che devono rispondere ai requisiti indicati nel comma 2 del medesimo art. 6); che è stato affidato ad un organismo dell'ente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, il compito di vigilare sul funzionamento, l'osservanza e l'aggiornamento dei suddetti modelli; cioè il c.d. interesse di gruppo; ciò comporta, in astratto, maggiori possibilità di coinvolgimento della società che di tale gruppo sta a capo, purché si possa affermare che essa eserciti, seppur indirettamente, l'attività di impresa e non si limiti a dirigere le società operanti. Tuttavia, in concreto, la responsabilità della holding è limitata dalla necessaria e puntuale verifica degli ulteriori elementi di imputazione dell'atto all'ente (sul punto, v. Trib. Milano, ord. 20 settembre 2004 e 14 dicembre 2004, in Foro it. , 2005, II, 527 e ss.). (3) Infatti, nel J.lgs. n. 23 1 del 200 1 , accanto ad un prin10 nucleo di reati comprendente le ipotesi di indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (art. 24), concussione e corruzione (art. 25), si sono aggiunti ulteriori articoli che ricordiamo in modo sintetico, rinviando ai commenti specialistici in materia: art. 25-bis, falsità in monete; art. 25-ter, reati societari; art. 25-quater, delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico; art. 25-quater. 1 , pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili; art. 25-quinquies, delitti contro la personalità individuale; art. 25-sexies, abusi di mercato; art. 25-septies, omicidio colposo e lesioni colpose gravi e gravissime, commessi con violazione di norme antinfortunistiche; art. 10 della legge n. 146 del 2006, che fa scaturire la responsabilità dell'ente qualora i reati in essa previsti presentino il carattere della transnazionalità; art. 25-octies, reati di ricettazione, riciclaggio e impiego di beni di provenienza illecita; art. 24-bis, delitti informatici; art. 24-ter, delitti di associazione mafiosa ed assimilati; art. 25-bis. 1 , delitti contro l'industria e il commercio; art. 25-novies, delitti in materia di violazione del diritto d'autore. Infine, la legge 3 agosto 2009, n. 1 16, Ratifica ed esecuzione della Convenzione ONU contro la corruzione, ha inserito, per un difetto di coordinamento legislativo, un nuovo art. 25-novies che ha considerato come presupposto della responsabilità dell'ente anche il reato di cui all'art. 377-bis c.p. (induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria).
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che gli autori materiali del reato lo hanno commesso eludendo fraudolente mente i modelli di organizzazione e di gestione; infine, che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte del sopradetto organismo di controllo. La norma è costruita in termini di inversione dell'onere della prova a carico dell'ente, configurando una presunzione di colpevolezza non assoluta (v. tavola 4.5 . 1 ). Alla luce dei princìpi del processo penale, si ritiene che anche il dubbio sul fatto impeditivo di cui all'art. 6 comporti l'assoluzione dell'ente. Difatti il quantum di prova a carico dell'imputato è più leggero rispetto a quello a carico della pubblica accusa (art. 533 ) . Qualora, invece, il reato sia stato posto in essere d a un soggetto in posizione subordinata (art. 7 ) , si ha responsabilità dell'ente nel caso in cui la commissione del reato derivi dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza, cioè da un deficit di controllo, da parte dei soggetti a ciò preposti. Anche in questo caso l'adozione ed efficace attuazione dei modelli organizzativi e gestionali permette all'ente di andare esente da responsabilità, ma non si prevede alcuna presun zione di colpevolezza. Autonomia della responsabilità dell'ente. La responsabilità dell'ente è autonoma (art. 8), in quanto prescinde dalla punibilità in concreto della persona fisica autrice del reato presupposto. Ciò significa che, per quanto riguarda la sussistenza della responsabilità dell'ente, non ha rilevanza il fatto che l'autore del reato non sia stato identificato o non sia imputabile oppure che il reato si sia estinto per causa diversa dall'amnistia (4) . L'esercizio dell'azione civile. S i è posto il problema se, all'interno del processo penale che accerta la responsabilità amministrativa per la c.d. " colpa di organizzazione" , sia ammissibile l'esercizio di una qualche azione civile tendente ad ottenere il risarcimento del danno cagionato dall'illecito commesso dall'ente. La tesi prevalente esclude che l'illecito amministrativo commesso dall'ente possa fondare una pretesa risarcitoria esercitabile nel processo penale, mentre una tesi minoritaria ritiene ammissibile la costituzione di parte civile nei confronti dell'ente (5) . (4) Qualora, invece, l'estinzione del reato sia intervenuta a causa della concessione dell'amnistia, non si procede nei confronti dell'ente, neanche nel caso in cui l'imputato persona fisica vi abbia rinunciato. In ogni caso è fatta salva anche per l'ente la possibilità di rinunciare. Per ulteriori osservazioni in merito alle conseguenze processuali dell'estinzione del reato, si rinvia al § 8. (5 ) n punto di partenza, dal quale partire per illustrare la problematica, è costituito sia dall'assenza di una disposizione sostanziale specifica sulla quale poter fondare un'azione tendente ad ottenere il risarcimento del danno cagionato dall'illecito amministrativo commesso dall'ente, sia dalla mancanza di una qualsiasi norma processuale che preveda la costituzione di parte civile nel processo per responsabilità amministrativa. Pur in presenza di tale situazione, una giurisprudenza assolutamente minoritaria (es., Gip Trib. Milano, ord. 24 gennaio 2008, in Guida Dir., 2008, 1 1 , 80, con nota contraria di A. ScALFATI) ha ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile sulla base di una argomentazione che si può così riassumere. n fatto che la legge n. 23 1 dia una qualche rilevanza all'accertamento di condotte lato sensu riparatorie del danno cagionato dal 26
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I procedimenti penali differenziati e speciali
IV.V.2
Le sanzioni applicabili.
La sanzione principale è quella pecuniaria, che si applica sempre e vie ne commisurata con un sistema "per quote" a struttura bifasica (artt. 10 e 1 1) (6). Inoltre, l'art. 9 comma 2 prevede un ricco catalogo di sanzioni interdittive (v. tavola 4.5.2). L'analisi di questo tipo di sanzioni ne rivela subito il carattere particolarmente afflittivo; per questo motivo l'applicazione è subordinata a rigide condizioni (art. 13 ) . In primo luogo, è necessario che esse siano state espressamente previste dal legislatore in relazione al reato che è stato posto in essere dalla persona fisica; inoltre, l'analisi della situazione concreta deve rivelare una particolare gravità derivante dall'aver tratto dal reato un profitto di rilevante entità ovvero dalla reiterazione degli illeciti. Le suddette condizioni, che si aggiungono alla necessaria previsione di legge, sono alternative (7). reato (es. al fine d i evitare l e sanzioni interdittive; art. 1 7 ) comporterebbe l a necessità d i ammettere l'esercizio dell'azione di danno contro l'ente in qualità non di responsabile civile per il fatto di reato, bensì come responsabile amministrativo della c.d. "colpa di organizzazione " . In sostanza, la rilevanza del comportamento riparatorio, unito ad altri elementi dei quali il giudice deve tenere conto per non irrogare le sanzioni interdittive, comporterebbe la necessità di permettere al danneggiato di esercitare una inedita azione civile con funzione pubblicistica in alternativa alla sanzione penale. In verità, un simile ragionamento disconosce i fondamentali princìpi che regolano il processo penale. La previsione legislativa dell'esercizio dell'azione civile di danno nel processo penale deriva dalla esigenza di permettere al danneggiato di difendersi dagli effetti pregiudizievoli del giudicato penale di assoluzione, come ha riconosciuto una nota sentenza della Corte cast. (n. 165 del 1975). Al di fuori di tale situazione, la regola è quella della separazione delle giurisdizioni, rispetto alla quale le eccezioni devono essere previste espres samente dalla legge (come afferma una giurisprudenza pacifica). In svariate disposizioni contenute in leggi speciali la condotta riparatoria, nella quale è compreso il risarcimento del danno, influisce sulla quantità della sanzione penale, per attenuarla, e perfino sulla punibilità, per escluderla; e ciò awiene anche quando le legge non permette alla parte civile di inserirsi nel processo penale (es. art. 28, comma 2, della normativa sul processo minorile). Pertanto, giustamente la giurisprudenza maggioritaria non ammette la costituzione di parte civile all'interno del processo penale che accerta la responsabilità amministrativa dell'ente (v. per tutte Trib. Milano, ord. 9 marzo 2004, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 1335; Trib. Milano, 25 gennaio 2005, in Le Società, 2005, 1 1 , 144 1 ) . (6) TI numero delle quote è determinato dal giudice, nel rispetto del minimo e del massimo stabilito dalla legge (art. lO comma 2), in base alla gravità del fatto, al grado di responsabilità dell'ente, all'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e prevenire la commissione di ulteriori illeciti. La seconda fase della determinazione della sanzione è data dalla quantificazione dell'importo della singola quota, che, sempre nel rispetto dei limiti posti dal legislatore (art. lO comma 3 ), deve tener conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente. Il sistema di commisurazione della sanzione pecuniaria si completa con la previsione di alcuni casi di riduzione dell'importo della stessa (art. 12), che attribuiscono particolare rilievo all'entità delle conseguenze derivate dal fatto (comma l ) ovvero ad eventuali condotte riparatorie o riorganizzative dell'ente stesso, successive al fatto, ma anteriori all'apertura del dibattimento (comma 2). (7) Le sanzioni interdittive, che devono essere ben calibrate in relazione alla specifica attività a cui si riferisce l'illecito dell'ente (art. 14), hanno, di regola, durata temporanea, ma, in casi particolarmente gravi, possono essere applicate in via definitiva (art. 16). In ogni caso non si applicano in alcuni dei casi in cui è prevista la riduzione della pena pecuniaria (art. 12 comma 1 ) , cioè quando il fatto è stato commesso nel prevalente interesse della persona fisica o di terzi e l'ente ne ha ricavato un vantaggio nullo o minimo Oett. a) ovvero quando il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità Oett. b). Un'ulteriore situazione impeditiva dell'applicazione delle sanzioni interdittive è la riparazione delle " conseguenze del reato" di cui all'art. 17. Si tratta di un'articolata condotta riparatoria, da porre in essere prima dell'apertura del dibattimento, che comprende il risarcimento integrale del danno, l'eliminazione delle
IV.V.3
Il procedimento nei confronti degli enti
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Il commissario giudiziale. In luogo dell'applicazione di una sanzione inter dittiva, che comporti l'interruzione dell'attività dell'ente, il giudice dispone l'in tervento di un commissario giudiziale (art. 15 ) . Ciò consente il proseguimento dell'attività dell'ente, anche se con alcuni limiti e senza la possibilità, per l'ente stesso, di conseguirne il profitto. Il commissariamento ha una durata pari a quella della pena interdittiva che sarebbe stata applicata. La disciplina in questione ha un'evidente finalità di utilità sociale ed è dunque subordinata allo svolgimento, da parte dell'ente, di un servizio la cui interruzione potrebbe provocare un grave pregiudizio alla società ovvero rilevanti ripercussioni sull'occupazione (8). 3.
L'accertamento della responsabilità dell'ente.
L'art. 34 dispone che in questa sede si osservino, oltre alle norme del decreto, quelle del codice di procedura penale in quanto compatibili. n richiamo a tale disciplina è giustificato da esigenze di effettività e di garanzia, che si è ritenuto di poter meglio perseguire attraverso gli strumenti offerti dal procedimento penale. Oltre al rinvio generale disposto dalla norma sopra citata, il decreto contempla anche una serie di rinvii specifici; tra questi merita una considera zione particolare il già accennato art. 35, che estende all'ente la disciplina processuale relativa all'imputato. Esso è volto a mettere l'ente nella condizione di poter fruire di tutte le garanzie che spettano all'imputato ed è quindi orientato alla massima tutela del diritto di difesa. Nel rispetto di tale direttiva, non essendo una persona fisica, l'ente parte cipa al procedimento attraverso il proprio rappresentante legale (art. 3 9, comma 1 ) , da intendersi come colui che risulta tale dalla legge o dallo statuto societario. Tuttavia, qualora il rappresentante suddetto sia imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo, si realizza un conflitto d'interessi tale da richiedere che l'ente, il quale voglia partecipare ugualmente al procedimento, nomini un rappresentante per il processo (9). conseguenze del reato, per quanto possibile, e delle carenze organizzative; l'adozione e attuazione d i validi modelli organizzativi; la messa a disposizione del profitto conseguito ai fini della confisca. (8) Oltre alla sanzione pecuniaria e alle sanzioni interdittive, il sistema sanzionatorio del decreto prevede anche la pubblicazione della sentenza di condanna (art. 18) e la confisca (art. 19). La prima viene disposta facoltativamente qualora sia applicata una sanzione interdittiva. La confisca, invece, è sempre disposta con la sentenza di condanna. L'oggetto è costituito dal prezzo o profitto del reato, esclusa la parte che può essere restituita al danneggiato e salvi i diritti acquisiti da terzi in buona fede. In via residuale è previsto un meccanismo di confisca per equivalente. (9) In questo senso, Cass. pen, sez. VI, 19 giugno 2009, F.C., n. 41398, la quale afferma inoltre che anche la semplice nomina del difensore di fiducia dell'ente da parte del rappresentante legale "incompatibile" deve considerarsi ricompresa nel divieto posto dall'art. 39, comma l , in quanto realizzata da un soggetto che non è legittimato a rappresentare l'ente, cioè ad esprimere la volontà del soggetto collettivo nel procedimento che lo riguarda. Peraltro, la nomina del difensore non può essere considerata un atto neutro, ma anzi è
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I procedimenti penali differenziati e speciali
IV.V.4
La partecipazione dell'ente al procedimento si realizza attraverso il deposito della dichiarazione di costituzione avente i requisiti indicati dalla legge a pena di inammissibilità (art. 39 comma 2 ) . n deposito avviene nella segreteria del pubblico ministero, se la costituzione si realizza durante le indagini preliminari, o, successivamente, nella cancelleria del giudice che procede. Diversa dalla rappresentanza è la difesa tecnica dell'ente; il difensore di fiducia è nominato con procura speciale ad litem, come accade per le parti private diverse dall'imputato nel processo penale (art. 100 comma l c.p.p.), ma è prevista anche la possibilità della difesa d'ufficio (art. 40) . In ogni caso, il difensore provvede anche alla rappresentanza dell'ente costituito, qualora il legale rappresentante non compaia. Nel caso in cui l'ente non si costituisca nel processo, si dichiara la sua contumacia (art. 4 1 ) . La competenza. n giudice destinato a conoscere l'illecito dell'ente è quello competente, per materia, territorio e connessione, in ordine al reato da cui l'illecito amministrativo dipende. Si tratta dunque di una competenza che si ricava per derivazione. Quanto ai rapporti tra il procedimento a carico della persona fisica e quello a carico dell'ente, l'art. 3 8 comma l stabilisce il principio generale del simul taneus processus, cioè la riunione dei procedimenti ( 10).
4.
n regime delle prove.
Come abbiamo visto, il procedimento di accertamento della responsabilità dell'ente si presenta quasi integralmente debitore, quanto alla disciplina pro batoria, nei confronti della normativa codicistica. Una regola apposita, che si differenzia da quella prevista dall'art. 1 97 c.p.p. , è stata dettata solo in punto di limiti alla testimonianza dall'art. 44 del decreto. L'articolo prevede espressa mente due casi di incompatibilità con l'ufficio di testimone (v. tavola 4.5.3 ) . Il primo caso è quello della « persona imputata del reato da cui dipende l'illecito amministrativo » (art. 44 comma l lett. a). n dichiarante sarà sentito, di regola, nel procedimento riunito, secondo le disposizioni dettate per l'impustrettamente connessa alla partecipazione nel processo, anche in considerazione dei maggiori poteri rappre sentativi che il difensore ha nel processo a carico dell'ente ex art. 3 9, comma 4. ( lO) In deroga alla regola generale, il secondo comma enuncia i casi in cui si procede separatamente per l'illecito amministrativo dell'ente, configurando così un temperamento alla rigidità di quanto disposto precedentemente. La separazione è prevista nelle seguenti ipotesi: a) quando è stata ordinata la sospensione del procedimento penale a causa del perdurante stato d'incapacità dell'imputato di partecipare cosciente mente al processo (art. 71 c.p.p.); b) quando il procedimento è stato definito con il giudizio abbreviato o con l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, owero è stato emesso il decreto penale di condanna; c) quando l'osservanza delle disposizioni processuali lo rende necessario. Questa ultima previsione svolge una funzione di chiusura del sistema, tuttavia non deve essere interpretata in base a criteri di semplice opportunità di gestione dei procedimenti. Ad esempio sono riconducibili ad essa le ipotesi di sospensione o anticipata definizione del procedimento riguardante l'illecito amministrativo (G. GARun).
IV.V.5
Il procedimento nei confronti degli enti
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tato dall'art. 208 c.p.p. Qualora, invece, i due procedimenti siano separati, la disciplina alla quale riferirsi per l'esame della persona fisica nel procedimento contro l'ente è l'art. 2 10 comma l c.p.p. Successivamente il dichiarante assume la qualifica di testimone, sia pur assistito ai sensi dell'art. 197-bis c.p.p. La disciplina dettata dal decreto deve essere coordinata con le regole stabilite dalla l. l o marzo 200 1 , n. 63 sul giusto processo, dunque l'incompati bilità a testimoniare si estende alle ipotesi dell'imputato di un reato connesso o collegato a quello presupposto e il contributo probatorio di tale soggetto si assume attraverso i mezzi dell'esame delle parti (art. 208 c.p.p . ) , dell'imputato connesso (art. 2 1 0 c.p.p.) e della testimonianza assistita (art. 1 97-bis c.p.p.). La seconda ipotesi espressa di incompatibilità con l'ufficio di testimone è prevista dalla lett. b dell'art. 44 comma l ed investe la persona che rappresenta l'ente indicata nella dichiarazione di cui all'art. 3 9 comma 2 , e che rivestiva tale funzione anche al momento della commissione del reato. Per una piena tutela del diritto di difesa, appare ragionevole generalizzare l'incompatibilità nei confronti della figura del rappresentante dell'ente nel processo, indipendente mente dal fatto che egli ricoprisse o meno la carica anche al momento della commissione del reato. il soggetto sarà, di regola, sentito ai sensi dell'art. 208 c.p.p. Nel procedi mento contro tale persona fisica, nel caso in cui sia separato, il rappresentante dell'ente renderà le proprie dichiarazioni ai sensi dell'art. 210 comma l c.p.p. (art. 44 comma 2 ) . Resta d a esaminare la situazione del rappresentante dell'ente al momento della commissione del fatto, ma non durante il procedimento. In questo caso non può che applicarsi la regolare disciplina della testimonianza, poiché non sussiste alcuna disposizione che potrebbe giustificare un'eccezione, purché non si tratti della persona fisica imputata del reato presupposto o di un reato connesso o collegato (S. CHIMICHI) . 5.
L e misure cautelari.
Le sanzioni interdittive applicate come misure cautelari. Il sistema caute lare è incentrato sull'utilizzo di misure interdittive che corrispondono agli strumenti usati in sede sanzionatoria (art. 9 comma 2 ) . L'applicazione di una misura cautelare interdittiva ad un soggetto collettivo richiede anzitutto la presenza « di gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell'ente per un illecito amministrativo dipendente da reato » (art. 45) ( 1 1 ) . ( 1 1) Così formulata, cioè con riferimento alla responsabilità dell'ente e non al semplice illecito, la norma rende necessario un accertamento che, seppur limitato allo stato degli atti, si estenda anzitutto ai requisiti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 5, 6 e 7. Inoltre, poiché la misura che si applica ha carattere interdittivo, bisogna tener conto anche di quelle disposizioni che permettono l'applicazione di una sanzione
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Quanto alle esigenze cautelati, il decreto si limita alla previsione del solo pericolo concreto che vengano commessi illeciti della stessa indole, purché tale ipotesi sia sorretta da fondati e specifici elementi. L'emergere di quest'unico periculum in mora dimostra la forte impronta specialpreventiva che caratterizza il decreto. I criteri di scelta delle misure cautelari sono chiaramente ispirati alla normativa codicistica (art. 275 c.p.p.) in quanto il decreto enuncia i seguenti parametri: idoneità, proporzionalità e adeguatezza. Quest'ultimo criterio allude all'utilizzabilità della misura dell'interdizione dall'attività solo come extrema rafia, parallelamente a quanto accade per la custodia cautelare in carcere. n procedimento applicativo. Passiamo adesso ad esaminare il procedi mento di applicazione delle misure cautelati. Quanto al giudice competente, non sussistono novità rispetto all'art. 279 c.p.p. : si tratta, infatti, del giudice che procede, cioè l'autorità competente per il reato della persona fisica dal quale dipende l'illecito dell'ente. Nel corso delle indagini provvede il giudice per le indagini preliminari (art. 47 comma 1 ) . L'impulso che d à inizio al procedimento spetta naturalmente al pubblico ministero, il quale è tenuto a presentare al giudice la richiesta di applicazione di una delle sanzioni interdittive in sede cautelare. T ale richiesta deve essere accompagnata dagli elementi su cui la stessa si fonda, nonché quelli a favore dell'ente e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate (art. 45 comma 1). S i prevede, secondo uno schema innovativo, che, qualora l a richiesta sia presentata fuori udienza, il giudice fissi la data e ne faccia dare avviso al pubblico ministero, all'ente e ai difensori; l'avviso contiene anche l'indicazione della facoltà di esaminare la richiesta del pubblico ministero e gli elementi sui quali la stessa si fonda. L'udienza si svolge con le forme del procedimento camerale, ma i termini sono ridotti e l'ordinanza può essere motivata per relationem al provvedimento cautelare nei confronti della persona fisica solo con riguardo al quadro indiziario relativo alla commissione del reato (12). di questo tipo. D i conseguenza, oltre a doversi trattare d i u n reato per il quale questa sanzione è espressamente prevista, deve essere presente almeno una delle condizioni previste dall'art. 13 comma l lett. a e b (profitto di rilevante entità o recidiva), mentre non devono ricorrere le circostanze indicate dall'art. 12 comma l lett. a e b (commissione del reato nel prevalente interesse della persona fis ica o di terzi e assenza, o vantaggio minimo dell'ente; danno patrimoniale cagionato di particolare tenuità). La Corte di cassazione, infatti, ha affermato che << in tema di responsabilità da reato degli enti, nel prowedimento applicativo di una misura cautelare interdittiva è consentito il ricorso alla tecnica di motivazione "per relationem", con rinvio all'ordinanza cautelare emessa nei confronti della persona fisica che ha commesso il reato, solo in riferimento alla sussistenza dei gravi indizi circa la sua effettiva consumazione, dovendo invece il giudice fornire autonoma motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza degli ulteriori presupposti che fondano la responsabilità dell'ente >> (Cass., sez. II, 26 giugno 2008, M. et al., n. 304 12). ( 12 ) In questo senso, Cass., sez. VI, 2 ottobre 2006, n. 32627, in Guida dir., 2006, 42, 66, la quale precisa che, per tutto ciò che non riguarda la commissione del reato, l'ordinanza relativa all'ente deve contenere una motivazione esplicita in merito agli elementi dell'illecito amministrativo dipendente da reato.
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L'ordinanza è soggetta al regime di impugnazione dei provvedimenti applicativi delle misure cautelari (art. 47 commi 2 e 3 ). Il commissario giudiziale. n giudice, al posto dell'applicazione della misura cautelare interdittiva, può nominare un commissario giudiziale a norma dell'art. 15 per un periodo pari all a durata della misura che sarebbe stata applicata ( 13 ) . L a sospensione delle misure cautelari. Del tutto eterogenea rispetto alla disciplina codicistica è, inoltre, la previsione, della possibilità di sospensione delle misure cautelari (art. 49) . n caso ricorre qualora l'ente chieda di poter realizzare gli adempimenti riparatori e riorganizzativi cui la legge condiziona l'esclusione delle sanzioni interdittive (art. 17). Alla luce della funzione special preventiva dell'istituto della sospensione dell a misura, è ragionevole ritenere che la richiesta debba essere accompagnata dall'esposizione di un piano di inter vento concreto e oggettivamente realizzabile, soprattutto relativamente ai mo delli organizzativi da adottare, in modo tale da convincere il giudice in merito all'effettiva opportunità della sospensione. n primo momento utile per presen tare la richiesta è l'udienza che precede l'applicazione della misura cautelare. Qualora il giudice, sentito il pubblico ministero, ritenga di accogliere la richiesta dell'ente, dopo aver emesso il provvedimento applicativo della misura con contestuale sospensione (se la richiesta è stata presentata in quella sede), è tenuto a determinare l'importo della somma che il soggetto collettivo, a titolo di cauzione, dovrà depositare presso la Cassa delle ammende. Il giudice, inoltre, stabilisce il termine entro il quale devono essere realizzate le condotte di cui all'art. 17, rispetto alle quali l'ente si è impegnato con la richiesta. In alternativa al deposito della somma, che non può essere inferiore alla metà della sanzione pecuniaria minima prevista per l'illecito, è possibile prestare garanzia mediante ipoteca o fideiussione solidale ( 14). Le vicende successive all'applicazione della misura cautelare. Non è particolarmente innovativa la disciplina relativa alla revoca e alla sostituzione delle misure cautelari (art. 50) e necessita di integrazioni provenienti dal ( 1 3 ) La sostituzione è operabile qualora la misura in questione sia tra quelle che determinano l'interruzione dell'attività dell'ente e ricorra almeno una delle seguenti condizioni: che l'ente svolga un servizio pubblico o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione possa provocare un grave pregiudizio alla collettività; che l'interruzione dell'attività dell'ente possa provocare, alla luce dei fattori contingenti, rilevanti ripercussioni sull'occupazione. La disciplina corrisponde a quella esaminata nel paragrafo relativo alle sanzioni applicabili (§ 2). ( 14) Due sono i possibili esiti del trattamento cautelare sospeso: s e l'ente esegue l e attività dovute puntualmente e completamente, la misura cautelare è revocata e la somma depositata viene restituita owero, qualora fosse stata iscritta ipoteca o prestata fideiussione, esse, rispettivamente, vengono cancellate o si estinguono. Se, invece, l'ente non pone in essere la condotta a cui è tenuto o lo fa in modo incompleto o inefficace, allora si ha la reviviscenza della misura precedentemente adottata, senza bisogno dell'iniziativa del pubblico ministero. In tal caso la somma depositata, o per la quale è stata prestata garanzia, è devoluta alla Cassa delle ammende. Non sono previsti limiti alla riproposizione della richiesta.
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procedimento ordinario (art. 299 c.p.p.), in quanto compatibile, in forza del generale rinvio contenuto nell'art. 34. Tuttavia si segnala, in punto di revoca, la possibilità di iniziativa d'ufficio da parte del giudice, nonché l'ipotesi dell'adem pimento degli oneri che escludono l'applicabilità delle sanzioni interdittive (art. 17) come ulteriore caso di revoca, legata alla peculiarità della materia. È espressamente prevista la valenza estintiva della sentenza di esclusione della responsabilità dell'ente e della sentenza di non doversi procedere (art. 68) , m a è evidente che tale effetto debba riconoscersi anche all'archiviazione e alla sentenza di non luogo a procedere (cfr. art. 3 00 c.p.p.) ( 15 ) . Le impugnazioni. Resta, infine, d a esaminare l a disciplina delle impugna zioni, che presenta alcuni profili di novità. L'unico mezzo utilizzabile in prima battuta è l'appello: l'art. 52 prevede che il pubblico ministero e l'ente, per mezzo del suo difensore, possano proporre appello contro tutti i provvedimenti in materia di misure cautelari, indicandone contestualmente i motivi. La norma poi rinvia all'art. 322-bis, commi l-bis e 2 c.p.p. Ciò significa che tutte le ordinanze che applicano, sospendono, revocano, sostituiscono o dichiarano la cessazione, ed anche quelle di rigetto, sono appellabili. La disciplina richiamata è quella delle impugnazioni in tema di cautele reali, quindi la competenza a decidere spetta al tribunale, in composizione collegiale, del capoluogo della provincia in cui ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento. L'appello non sospende l'esecuzione del provvedimento. Contro l'ordinanza emessa in sede di appello, il pubblico ministero e l'ente, per mezzo del suo difensore, possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge. È esclusa l'esperibilità di forme di ricorso per saltum, poiché il decreto, nel delineare l'oggetto dell'eventuale ricorso, è chiaro nel riferirsi ai soli provvedimenti emessi in sede di appello (art. 52 comma 2) ( 16) . Le misure cautelari reali. Come si è già avuto modo di osservare, il sistema delle cautele è incentrato sulle misure di tipo interdittivo; tuttavia il legislatore ha previsto anche l'applicabilità del sequestro preventivo e conservativo (artt. 53 e 54). Il sequestro preventivo è disposto in relazione alle cose di cui è consentita la confisca ai sensi dell'art. 19, cioè il prezzo o il profitto del reato, esclusa la ( 15) In materia di vicende estintive merita di essere, infine, segnalata la disciplina dei termini di durata massima: l'art. 51 stabilisce che tale durata non possa superare la metà del termine massimo indicato dall'art. 13 comma 2, cioè un anno; nel caso in cui la misura intervenga dopo la sentenza di condanna di primo grado, potrà avere la stessa durata della corrispondente sanzione applicata con la sentenza, ma non potrà superare i due terzi del termine massimo indicato dall'art. 13 comma 2, cioè un anno e quattro mesi. Il termine decorre dalla notifica dell'ordinanza e la durata della misura è detratta da quella della successiva sanzione. Emerge chiaramente che il decreto, a differenza di quanto disposto dal codice, non prevede termini massimi intermedi (o di fase). Il decorso dei termini massimi comporta la perdita di efficacia della misura cautelare; si applica l'art. 306 comma 2 c.p.p. ( 16) In questo senso, Cass., sez. VI, 22-27 settembre 2004, n. 37985, in Guida dir. , 2004, 41, 5 1 .
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parte che può essere restituita al danneggiato e salvi i diritti dei terzi di buona fede; è previsto anche un meccanismo di confisca per equivalente (17). n sequestro conservativo, invece, è vòlto a far fronte all'esigenza che non vengano a mancare o si disperdano le garanzie del pagamento della sanzione pecuniaria, delle spese del procedimento, e di ogni altra somma dovuta all'era rio dello Stato. La richiesta del pubblico ministero può essere presentata solo dopo l'esercizio dell'azione penale, come previsto per le persone fisiche (art. 3 16 c.p.p.). Nel silenzio della legge, è ragionevole ritenere che anche l'applicazione delle misure cautelari reali sia subordinato all'esistenza di gravi indizi di responsabilità dell'ente ( 18). 6.
Indagini preliminari e udienza preliminare.
Le indagini preliminari prendono avvio dalla acqulSlZlOne della notlZla dell'illecito dell'ente, non necessariamente corrispondente, ma certamente suc cessiva, al momento in cui l'Autorità giudiziaria viene a conoscenza del reato presupposto. Nel registro di cui all'art. 335 c.p.p., il pubblico ministero deve annotare il reato da cui l'illecito dipende, nonché gli elementi identificativi dell'ente e, se possibile, le generalità del suo legale rappresentante (art. 55 comma 1 ) . Le modalità e i limiti delle comunicazioni effettuabili su richiesta dell'ente o del suo difensore sono le stesse di quelle previste nel procedimento ordinario (art. 55 comma 2). L'art. 58, invece, presenta u n evidente profìlo d i difformità rispetto al procedimento relativo alle persone fisiche. Esso prevede, infatti, che il pubblico ministero, qualora non ritenga di dover provvedere alla contestazione dell'illecito, emetta decreto motivato di archiviazione e lo comunichi al procuratore generale presso la corte d'appello. Quest'ultimo, svolti gli accer tamenti indispensabili, può contestare l'illecito all'ente entro sei mesi dalla comunicazione. In questo modo il pubblico ministero dispone direttamente il provvedimento senza essere sottoposto al sindacato giurisdizionale. Ciò ha sollevato in dottrina dubbi di legittimità costituzionale con riferimento all'art. 1 12 Cost. (P. FERRUA) . (17) Evidentemente il legislatore h a ritenuto opportuno escludere dall'ambito di applicabilità del sequestro, in questa sede, tutte quelle ipotesi che sono invece contemplate dall'art. 321 comma l c.p.p. e che si riferiscono all'aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato owero all'agevolazione della commissione di altri reati. ( 1 8) La disciplina delle misure cautelari si awale di un ampio rinvio alle norme codicistiche, richiamate in quanto compatibili. Quindi, a tali norme bisogna far riferimento in materia di forma dei prowedimenti e competenza, vicende modifìcative delle misure, perdita di efficacia. Quanto alle impugna zioni il rinvio deve essere utilizzato tenendo presente il disposto dell'art. 52 del decreto, che deve ritenersi prevalente (F. PERoNI).
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La contestazione dell'illecito, come l'imputazione per le persone fisiche, è contenuta in uno degli atti di cui all'art. 405 comma l c.p.p., cioè gli atti di esercizio dell'azione penale. n contenuto della contestazione è evidentemente modellato su quello della richiesta di rinvio a giudizio (art. 59). Proprio in base al confronto con la disciplina ordinaria, la giurisprudenza, nel silenzio del legislatore, ha ritenuto che la contestazione dell'illecito debba essere preceduta, a pena di nullità, dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bù c.p.p. ( 1 9) . Merita, inoltre, di essere segnalato il divieto di procedere alla contestazione nel caso in cui il reato dal quale l'illecito dipende si sia estinto per prescrizione (art. 60). A seguito dell'udienza preliminare, parallelamente a quanto previsto dal codice, il giudice può pronunciare sentenza di non luogo a procedere o disporre il giudizio. La regola che deve guidare la decisione è la medesima che si utilizza in dibattimento, cioè la necessità che il dubbio sia considerato a favore dell'imputato (20). 7.
I procedimenti speciali.
Anche il procedimento a carico degli enti può essere definito in via anticipata attraverso i riti speciali disciplinati dal codice di procedura penale, con gli opportuni adattamenti (artt. 62, 63 , 64) . In particolare, per quanto riguarda il patteggiamento il legislatore ne ha circoscritto l'applicabilità ai casi in cui anche il giudizio nei confronti della persona fisica possa essere definito con tale rito. A questa ipotesi si aggiunge il caso in cui l'illecito amministrativo dell'ente sia punito con la sola sanzione pecuniaria. Infine, merita di essere ricordato il limite secondo il quale l'applicabilità di una sanzione interdittiva in via definitiva esclude l' esperibilità del giudizio abbreviato e del patteggiamento. Tuttavia nel primo caso si fa riferimento alla sanzione prevista, mentre nel secondo alla sanzione che in concreto il giudice ritiene debba essere applicata. La dottrina e la giurisprudenza ritengono che la mancata menzione nel decreto del giudizio immediato e direttissimo non sia finalizzata ad escluderne l'applicazione in questa sede. L'omissione è invece da ascriversi al fatto che
( 19) (20)
Trib. Torino, ord. 1 1 giugno 2004, in Dir. e Giust. , 2004, 30, 28. Alla luce delle brevi osservazioni che precedono è evidente che la disciplina necessita di essere integrata con le disposizioni del codice di procedura penale, in quanto compatibili. Si pensi, ad esempio, ai poteri del giudice dell'udienza preliminare che ritenga di non poter decidere allo stato degli atti (artt. 421-bis e 422 c.p.p.); alla non appellabilità della sentenza di non luogo a procedere (art. 428 c.p.p. come modificato dalla l. 20 febbraio 2006, n. 46).
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nessuna particolare specificazione si rende necessaria rispetto alla disciplina dettata per le persone fisiche (P. PAOLOZZI; M. CERESA-GASTALDO) (2 1 ) . 8.
n giudizio.
La sospensione del dibattimento. Si osservi preliminarmente che l'art. 65 del decreto presenta un profilo di novità nel prevedere una peculiare ipotesi di so spensione facoltativa del dibattimento. n giudice può, infatti, disporre la sospen sione del processo se l'ente, prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, chiede di provvedere alle già menzionate condotte riparatorie di cui all'art. 17, dimostrando di esser stato nell'impossibilità di effettuarle prima. La mancata realizzazione di tali condotte entro il termine ordinario deve essere riconducibile a ragioni oggettive. Poiché la sospensione congela anche il decorso dei termini di prescrizione del reato, può ritenersi necessario procedere alla separazione dei procedimenti ai sensi dell'art. 3 8 comma 2 lett. c (A. Sc:ALFATI) . Se il giudice ritiene di accogliere la richiesta, determina una somma a titolo di cauzione. La disciplina che si osserva è la stessa che si è esaminata in sede di sospensione delle misure cautelari; si rinvia al paragrafo ad essa dedicato ( § 5 ) . L a conclusione del procedimento. Qualora non si sospenda il processo, il giudizio andrà avanti e potrà poi concludersi con una sentenza di condanna o di proscioglimento (che comprende la sentenza di esclusione della responsabi lità e quella di non doversi procedere) . Alla sentenza di esclusione della responsabilità è dedicato l'art. 66, che contempla, a differenza dell'art. 530 c.p.p. , un'unica formula di assoluzione: l'insussistenza dell'illecito. Tale esito si raggiungerà nel caso in cui l'illecito amministrativo contestato all'ente non sussista, ma anche qualora manchi, sia insufficiente o contraddittoria la prova dello stesso illecito. La sentenza di non doversi procedere è pronunciata, ai sensi dell'art. 67 , quando il reato da cui dipende l'illecito amministrativo sia estinto per prescri zione o quando ciò si verifichi in relazione alla sanzione (amministrativa) . Si ritiene che comportino una pronuncia di questo tipo anche: la mancanza di una condizione di procedibilità relativa al reato da cui l'illecito dipende; l'estinzione di tale reato per amnistia; l'eventualità del bis in idem riguardante la vicenda giudiziaria amministrativa. Infine l'art. 69 prevede che la sentenza di condanna venga emessa qualora risulti provata la responsabilità dell'ente. All'ente saranno applicate le sanzioni previste dalla legge e sarà condannato al pagamento delle spese processuali. In particolare, come si è già avuto modo di esporre, si applica sempre la sanzione pecuniaria, che viene commisurata con un sistema "per quote" a (2 1 )
G.i.p. Trib. Milano, ord. 23 marzo 2004, in Giur. merito, 2004, 3789.
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struttura bifasica (artt. 10 e 1 1 ) , ma l'art. 9 comma 2 prevede, per ipotesi specifiche, anche un ricco catalogo di sanzioni interdittive. Esse hanno, di regola, durata temporanea, ma, in casi particolarmente gravi, possono essere applicate in via definitiva (art. 16). 9.
Le impugnazioni.
Impugnazione dell'ente. Nei confronti della sentenza che applica una sanzione diversa da quella interdittiva, l'ente può proporre impugnazione secondo la disciplina stabilita per l'imputato del reato presupposto, cioè con i mezzi che spettano in astratto all'imputato persona fisica (art. 7 1 comma 1 ) . Viceversa, nel caso in cui l a sentenza applichi una o più sanzioni interdit tive, l'ente può sempre proporre appello, anche a prescindere dai limiti che valgono per la persona fisica (art. 7 1 comma 2 ) . La maggiore ampiezza delle possibilità di appello offerte all'ente è dovuta, evidentemente, alla particolare afflittività della sanzione irrogata. In questo contesto, l'ente e la persona fisica possono utilizzare, anche nel procedimento cumulativo, due mezzi di impugna zione diversi, cioè l'appello e il ricorso per cassazione. Come osserva la Relazione Governativa al decreto, l'asimmetria si risolve attraverso la conver sione del ricorso in appello (art. 580 c.p.p.) (22 ). In ogni caso, le ipotesi in cui possono essere effettivamente superati i limiti di appellabilità delle sentenze (di condanna) sono molto ridotti. Difatti si tratta, in primo luogo, della situazione che consegue all'applicazione della pena su richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado o a seguito della chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione (art. 448 c.p.p.). In tal caso, poiché l'inappellabilità perde la connotazione di limite oggettivo e si concentra in capo al solo imputato, emerge la possibilità per l'ente di superare questo ostacolo ex art. 7 1 comma 2 . Inoltre, s i deve considerare l'ipotesi d i cui all'art. 593 comma 3 c.p.p. La norma citata prevede l'inappellabilità delle sentenze di condanna che applicano la sola pena dell'ammenda; tuttavia, nell'attuale catalogo dei reati dai quali può scaturire la responsabilità dell'ente, la presenza delle contravvenzioni è molto limitata e, per di più, si tratta di contravvenzioni punite con la sola pena dell'arresto (es. art. 262 1 c.c. falso in bilancio) . Impugnazione del pubblico ministero. Il pubblico ministero può proporre le stesse impugnazioni consentite per il reato da cui l'illecito amministrativo dipende (art. 7 1 comma 3 ) . (22) Nonostante che il meccanismo della conversione dei mezzi di impugnazione sia stato recente· mente ristretto ai soli casi di connessione di cui all'art. 12 c.p.p. (!. 20 febbraio 2006, n. 46), la sua operatività non pare incontrare preclusioni in questa sede, dato che le responsabilità dell'ente e della persona fisica scaturiscono dal medesimo fatto.
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Estensione delle impugnazioni. Poiché, come s i è già osservato, l a respon sabilità dell'ente e quella dell'imputato scaturiscono da un unico fatto materiale, le impugnazioni proposte dall'uno giovano anche all'altro, purché non fondate su motivi esclusivamente personali (art. 72). Il meccanismo estensivo trova la propria ragion d'essere nella intenzione di evitare giudicati contrastanti, ma può esplicare il proprio effetto solo all'interno del procedimento cumulativo. Revisione. Si applicano, in quanto compatibili, le norme relative alla revisione delle condanne, verosimilmente anche con riferimento all'applicazione della pena su richiesta e al decreto penale (artt. 629 e ss. ) , ma non quelle in materia di riparazione dell'errore giudiziario (artt. 643 e ss. c.p.p.).
10. L'esecuzione.
L'esecuzione delle sanzioni irrogate all'ente si differenzia a seconda che si tratti di sanzioni pecuniarie o interdittive. Nel primo caso la disciplina (art. 75 ) è stata modificata dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 1 15 (T.U. spese di giustizia) che ha uniformato le regole relative al recupero delle spese processuali penali, pene pecuniarie, sanzioni amministra tive pecuniarie, spese di mantenimento dei detenuti e spese nelle ipotesi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art. 200 e ss) . In particolare si segnala la possibilità di applicare meccanismi di dilazione e rateizzazione del pagamento di cui all'art. 240 del Testo Unico. Per quanto riguarda le sanzioni interdittive, l'esecuzione, e quindi il termine di durata della misura, comincia a decorrere dalla data di notificazione del l'estratto della sentenza, che avviene a cura del pubblico ministero (art. 77) . Si segnala, inoltre, la possibilità che la sanzione interdittiva sia convertita in pecuniaria, qualora l'ente lo richieda, a seguito della realizzazione, entro venti giorni dalla notifica dell'estratto della sentenza, delle condotte riparatorie di cui all'art. 17. La richiesta deve essere accompagnata dalla documentazione degli adempimenti di cui è causa e la conversione è comunque subordinata allo svolgimento di un'udienza in camera di consiglio presieduta dal giudice del l' esecuzione, che ha facoltà di sospendere l'esecuzione della sanzione (art. 78) (23 ) . Il giudice dell'esecuzione è, di regola colui che h a deliberato il provvedi mento. L'art. 74 del decreto rinvia alle regole di individuazione del giudice poste dall'art. 665 c.p.p.; dunque sono valide anche in questa sede le conside(23) L'applicazione delle sanzioni interdittive previste dal decreto esclude ulteriori sanzioni ammini· strative, dal contenuto identico o analogo, eventualmente previste da altre disposizioni di legge quali conseguenze della sentenza di condanna per il reato. Nel caso in cui tale sanzione sia stata già applicata è necessario procedere alla detrazione della sua durata da quella della sanzione amministrativa che ci si accinge ad applicare (art. 83 disp. att.) .
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razioni fatte in merito a tale norma e ad esse si rinvia. La competenza dell'organo in questione deve comunque adattarsi alle peculiarità del procedi mento a carico dell'ente, come sottolineato dall'art. 74 comma 2 (cessazione dell'esecuzione della sanzione; determinazione della sanzione applicabile in caso di pluralità di illeciti; confisca e restituzione delle cose sequestrate) . Inoltre, il giudice dell'esecuzione è competente ad autorizzare, su richiesta dell'ente, il compimento di atti di gestione ordinaria quando è stata applicata la sanzione dell'interdizione dall'esercizio dell'attività (art. 74 comma 4). Infine spetta al giudice dell'esecuzione anche la nomina del commissario giudiziale, su richiesta del pubblico ministero, qualora sia stata emessa sentenza che dispone la prosecuzione dell'attività ai sensi dell'art. 15. Successivamente lo stesso giudice riceve le relazioni periodiche e il resoconto finale del commissario e decide in merito alla confisca del profitto (art. 79). Al di là delle suddette competenze del giudice dell'esecuzione, testualmente indicate dal decreto, è necessario rifarsi alle disposizioni del codice di rito per quanto non previsto dalla disciplina speciale. In particolare, il riferimento va alle decisioni in materia di conflitto pratico di giudicati (art. 669 c.p.p.) e alle questioni sul titolo esecutivo (art. 670 c.p.p.) (G. DEAN). Il procedimento di esecuzione è quello disciplinato dall'art 666 c.p.p., ma in alcune ipotesi è prevista l'adozione della procedura de plano di cui all'art. 667 comma 4 (cessazione dell'esecuzione per estinzione del reato per amnistia; confisca e restituzione delle cose sequestrate; autorizzazione al compimento di atti di gestione ordinaria; confisca del profitto dell'attività dell'ente sottoposto a commissariamento giudiziale). Le disposizioni relative all'anagrafe delle sanzioni amministrative dipen denti da reato sono state integralmente abrogate dal d.p.r. 14 novembre 2002, n. 3 13 e la disciplina della materia è confluita nel suddetto Testo Unico agli artt. 9 e ss. , che prevedono l'iscrizione per estratto dei provvedimenti definitivi e dei carichi pendenti.
Parte Quinta LE IMPUGNAZIONI
CAPITOLO I I PRINCÌPI GENERALI SULLE IMPUGNAZIONI PENALI
SoMMARio: l . Impugnazioni ordinarie e straordinarie.
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gnazioni. 3 . I soggetti legittimati ad impugnare. 5. L'inammissibilità dell'impugnazione. -
2. Le disposizioni generali sulle impu
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4. Regole generali sulle impugnazioni.
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Impugnazioni ordinarie e straordinarie.
Per comprendere il senso e la portata delle disposizioni generali che nel codice precedono la disciplina dei singoli mezzi di impugnazione, dobbiamo prendere le mosse dal concetto stesso di impugnazione. n termine, dal punto di vista etimologico, viene dal latino pugnare, che significa lottare. L'oggetto contro cui si lotta, in questo caso, è una sentenza. Ciò premesso, è possibile dare in prima approssimazione una definizione, che sarà poi meglio precisata attraverso l'esame delle norme previste dal codice. Impugnazione è quel rimedio esperibile da una parte al fine di rimuovere un provvedimento giurisdizionale svantaggioso, che si assume errato, mediante il controllo operato da un giudice differente da quello che ha emesso il provve dimento medesimo. Impugnazioni ordinarie. Dal punto di vista pratico, il fattore temporale (o, più propriamente, la intervenuta irrevocabilità) è il criterio che meglio permette di distinguere le impugnazioni in ordinarie e straordinarie. Le impugnazioni ordinarie sono quelle che possono essere esperite entro un termine stabilito a pena di decadenza (art. 5 85 comma 5); decorso tale termine senza che sia stata proposta impugnazione, la sentenza diventa irrevocabile. Sono impugnazioni ordinarie l'appello ed il ricorso per cassazione. Impugnazioni straordinarie. Le impugnazioni straordinarie sono quelle che hanno ad oggetto provvedimenti divenuti irrevocabili. Sono impugnazioni straordinarie la revisione (art. 629 ss.) ed il ricorso per cassazione per errore materiale o di fatto (art. 625-bzs). Impugnazioni ordinarie: l'appello. La cognizione del giudice di appello è la
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Le impugnazioni
V .I.2 . a
più completa, perché egli può riesaminare il caso sotto il profilo della legittimità e del merito nei limiti dei motivi addotti dalle parti appellanti; i motivi sono tendenzialmente illimitati. n ricorso per cassazione è istituto completamente diverso dall'appello. In cassazione " accusata" è la sentenza impugnata. Essa può essere fatta oggetto di ricorso per vizi di legittimità e soltanto nei casi tassativamente previsti dalla legge; i motivi del ricorso per cassazione sono tassativi, come appare dall'elenco dell'art. 606. In sintesi, il giudice di appello è giudice del merito e della legittimità in funzione della riforma o della conferma della sentenza di primo grado. La sentenza della corte d'appello è soggetta a ricorso per cassazione. Viceversa, la corte di cassazione è giudice della sola legalità processuale e sostanziale, con esclusione di ogni sindacato sulla valutazione dei fatti. La corte di cassazione, di regola, non può riformare la sentenza ma solo pronunciarne l'annullamento. Il compito di riformare la sentenza impugnata è demandato al giudice di rinvio dopo l'annullamento da parte della cassazione (v. tav. 5 .2 .5 ) . L a materia delle impugnazioni è stata oggetto di recenti interventi d a parte del Legislatore (legge 20 febbraio 2006 n. 46, c.d. legge Pecorella) e della Corte costituzionale (sentenze n. 26 del 2007 e n. 85 del 2008). Di tali modifiche tratteremo nella presente parte a proposito dei singoli istituti interessati. 2.
Le disposizioni generali sulle impugnazioni.
Secondo quanto abbiamo premesso, e salve deroghe specifiche contenute nella disciplina dei singoli mezzi di impugnazione, le disposizioni generali si applicano a tutte le impugnazioni. I princìpi generali che regolano le impugnazioni ordinarie sono: il principio di tassatività; l'effetto sospensivo dell'impugnazione; l'effetto estensivo; l'effetto devolutivo. a.
n principio di tassatività.
n principio di tassatività emerge dall'art. 568, comma l , secondo cm e soltanto la legge che stabilisce « i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti ad impugnazione e determina il mezzo con cui possono essere impu gnati ». Dal principio di tassatività deriva un duplice effetto: la necessità che la legge preveda espressamente un provvedimento come impugnabile e che la medesima precisi il mezzo di impugnazione. In mancanza di ciò, il provvedi mento non è impugnabile ( l ) . n principio di tassatività investe anche le parti che (l)
Quando viene proposta impugnazione contro un provvedimento privo del requisito della
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Prindpi generali sulle impugnazioni penali
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sono ammesse a proporre impugnazione; vi sono regole particolari che saranno esposte nel paragrafo 3 . Sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze; ciò in base all'art. 568 comma 2 che attua l'art. 1 1 1 comma 7 Cast. Pertanto le sentenze sono appellabili soltanto se tale mezzo è previsto espres samente dalla legge. È principio pacifico che la Costituzione non impone l'esistenza di un doppio grado di merito. Per le ordinanze che non decidono sulla libertà vale la regola della tassatività: non sono impugnabili se non quando ciò è previsto per legge. Le ordinanze emesse negli atti preliminari al dibattimento e nel dibattimento sono impugnabili soltanto unitamente alla sentenza (art. 586 comma 1 ) . Nei confronti delle ordinanze in materia di libertà personale è ammessa una impugnazione immediata, indipendentemente dall'impugnazione contro la sen tenza (art. 586 comma 3 ) . La conservazione dell'impugnazione. n principio di tassatività delle impu gnazioni viene inteso dal codice non in senso formalistico: esso è limitato dal generale principio di conservazione del valore degli atti giuridici. Ai sensi dell'art. 568 comma 5, « l'impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l'ha proposta. Se l'impugnazione è proposta ad un giudice incompetente, questi trasmette gli atti al giudice competente ». Da ciò consegue che sono irrilevanti le qualificazioni erronee date dalla parte impugnante, quando il provvedimento è oggettivamente impugnabile. n principio è stato esteso dalla giurisprudenza: se anche una parte ha consapevol mente proposto una impugnazione diversa da quella consentita dalla legge, l'impugnazione stessa si converte in quella che la legge prevede espressa mente (2) . Ad esempio, se l'imputato ha proposto appello contro una sentenza di patteggiamento, l'impugnazione stessa deve essere qualificata come ricorso per cassazione e il giudice di appello deve trasmetterla alla Suprema corte.
b.
L'effetto sospensivo.
L'esecuzione della sentenza, di regola, è sospesa durante il corso dei termini per impugnare e fino all'esito dell'ultimo giudizio di impugnazione concretamente esperito (art. 588 comma 1 ) . L'esecuzione della sentenza è, quindi, sempre dif ferita, sia durante il decorso del termine per impugnare, sia durante lo svolgimento dell'impugnazione, sino al giudicato (v. tav. 5 . 1 .3 ) . Ciò è coerente con la dispoimpugnabilità, il giudice dell'impugnazione dichiara l'inammissibilità della stessa ai sensi dell'art. 591 comma l lett. b. (2) Cass., sez. u n . 26 giugno 2002, Del Re, i n Giur.it., 2003 , 738.
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sizione dell'art. 650, comma l , in base alla quale, di regola, le sentenze hanno forza esecutiva quando sono divenute "irrevocabili" (3 ) . L'effetto sospensivo dell'impugnazione deriva dall'art. 27 comma 2 Cost. , i n base al quale « l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva ». Pertanto, l'effetto sospensivo si produce anche quando vi è una pluralità di sentenze di condanna (una in primo ed una in secondo grado: c.d. doppia conforme) ed è presentato ricorso per cassazione contro la condanna in secondo grado. Impugnazioni contro le misure cautelari. La regola dell'effetto sospensivo trova la sua eccezione per le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale (riesame, appello e ricorso per cassazione) : tali impugnazioni « non hanno in alcun caso effetto sospensivo » (art. 588, comma 2 ) . Pertanto, ad esempio, la richiesta di riesame al tribunale della libertà non impedisce l' ese cuzione della misura cautelare. c.
L'effetto estensivo.
In base all'art. 587, comma l , nel caso di concorso di più persone nel reato, l'impugnazione proposta da uno degli imputati giova anche agli altri purché non fondata su motivi esclusivamente personali. Allo stesso modo, nel caso di riunione di procedimenti per reati diversi (art. 587, comma 2), l'impugnazione proposta da un imputato giova a tutti gli altri imputati soltanto se i motivi riguardano violazioni della legge processuale e non sono esclusivamente personali (4). L'effetto estensivo consiste nel consentire ad una parte, che non ha proposto impugnazione, di partecipare al giudizio e di giovarsi degli effetti favorevoli derivanti da una impugnazione proposta da altra parte, con la quale la prima abbia un interesse identico o collegato (v. tav. 5 . 1 .4). Infatti, sono motivi non esclusivamente personali quelli che si riferiscono, anche parzialmente, a que stioni sostanziali o processuali di tipo oggettivo, comuni al soggetto impugnante e agli altri coimputati (es. sussistenza del fatto; utilizzabilità di una prova) . Sono motivi esclusivamente personali quelli che riguardano la qualità e le condizioni soggettive della persona che li ha proposti (es. erronea dichiarazione di recidiva) (3) La regola soffre di eccezioni previste espressamente dalla legge. In particolare, le sentenze di proscioglimento (pronunciate in giudizio) e le sentenze di non luogo a procedere (pronunciate nell'udienza preliminare) sono immediatamente eseguite per la parte in cui dispongono la necessaria revoca delle misure cautelari. Tali misure perdono efficacia anche a seguito della pronuncia della sentenza di condanna, qualora la pena irrogata sia dichiarata estinta ovvero condizionalmente sospesa (artt. 300, commi l e 3 c.p.p.; 1 3 1 -bù disp. att.). Inoltre, l'impugnazione per i soli interessi civili non sospende l'esecuzione delle disposizioni penali del provvedimento impugnato (art. 573, comma 2 c.p.p. ) . ( 4 ) L'art. 5 8 7 c.p.p. prevede anche ulteriori parti a vantaggio delle quali s i produce l'effetto estensivo: l'impugnazione proposta dall'imputato giova anche al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria; l'impugnazione proposta, invece, dal responsabile civile o dal civilmente obbligato per la pena pecuniaria giova all'imputato anche agli effetti penali, purché non fondata su motivi esclusivamente personali.
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oppure questioni processuali concernenti la posizione di un solo imputato (es. dichiarazione di contumacia). Occorre distinguere tra effetto estensivo dell'impugnazione ed effetto estensivo della sentenza. L'effetto estensivo dell'impugnazione permette alla parte non impugnante di partecipare al giudizio di impugnazione promosso da altra parte con la quale abbia un interesse identico o collegato (an. 60 1 , comma l ) ; ciò consente alla parte non impugnante di sostenere di fronte al giudice l'accoglimento e l'estensione a suo favore dei motivi non esclusivamente personali da altra parte proposti. L'effetto estensivo della sentenza comporta che il giudice dell'impugna zione, nell'accogliere un motivo di carattere non personale, dispone la modifica o l'annullamento della sentenza impugnata anche nei confronti del coimputato nel medesimo procedimento, che non ha presentato impugnazione o che non ha partecipato al giudizio di impugnazione. Infatti, per motivi di giustizia è ragionevole estendere al coimputato, ad esempio, il proscioglimento "perché il fatto non sussiste" in quanto è carente l'elemento oggettivo del reato (5) . d.
L'effetto devolutivo dell'impugnazione: capi e punti della sentenza.
Per devoluzione si intende il trasferimento della cognizione al giudice del l'impugnazione, e cioè ad un giudice diverso rispetto a quello che ha pronunciato il provvedimento impugnato. Per capire il concetto di effetto devolutivo, occorre prendere le mosse da quelli di " capo" e di "punto" della sentenza. Come abbiamo visto a suo tempo, il " capo" della sentenza è identificabile con la decisione emessa in relazione alla singola imputazione; il "punto" è costituito da una tematica di fatto o di diritto che deve essere trattata e risolta per giungere alla decisione in merito ad una o più imputazioni (ad esempio, la ricostruzione del rapporto di causalità, l'elemento psicologico, l'esistenza di una scriminante) (6) . I "capi" della sentenza. Nel processo penale la contestazione della o delle imputazioni avviene per " capi di accusa" , riferiti al fatto storico, a sua volta posto in relazione con la fattispecie incriminatrice (7). Normalmente, i capi di accusa contestati sono numerati o accompagnati da (5) È utile ricordare che gli effetti estensivi menzionati si verificano anche nei rapporti tra l'imputato, il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria (art. 587, commi 3 e 4). (6) In giurisprudenza, Cass., sez. I, 25 giugno 1999, Gusinu, in CED Cass. , n. 2 14 1 1 1 . (7) Accanto ai capi di accusa contestati dal pubblico ministero vi sono quelli "ritenuti dal primo giudice", il quale può stabilire che il fatto storico è provato ed è stato commesso dall'imputato, ma è qualifìcabile in relazione ad una fattispecie incriminatrice diversa da quella contestata (ad es., per diversità dell'elemento psicologico: dolo di truffa, anziché dolo di circonvenzione di incapace), qualora, ovviamente, non sia superata la competenza per materia del primo giudice. È il principio di correlazione tra il chiesto ed il pronunciato, statuito dall'art. 52 1 .
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lettere ed il giudice di primo grado si pronuncia in ordine a ciascuno di essi, ai sensi dell'art. 527 comma 2. Riepilogando: per " capo" deve intendersi la decisione emessa relativamente a uno dei reati attribuiti all'imputato « tanto da poter costituire da solo, anche separatamente, il contenuto di una sentenza » (in tal senso, Cass., sez. un. , 17 ottobre 2006 - 9 marzo 2007 , n . 1 025 1 , Michaeler) . I "punti" della sentenza. I punti della sentenza sono, invece, le tematiche generali che devono necessariamente essere affrontate dal giudice per decidere su ciascuna imputazione: l'accertamento della condotta, dell'evento, del rapporto di causalità, l'attribuzione del fatto all'imputato, l'accertamento dell'elemento soggettivo, la qualificazione giuridica, l'insussistenza delle cause di giustificazione, le circostanze e la loro comparazione, la determinazione della pena. Più preci samente, il punto è ogni statuizione della decisione che può essere considerata in modo autonomo; essa può comprendere una o più questioni. Occorre tenere presente che un unico punto della decisione può sorreggere più capi di imputazione nei confronti di un unico imputato (ad es., la prova dell'aggravante della rapina a mano armata, può dimostrare il porto illegale di arma da fuoco) . Allo stesso modo, i punti della decisione (o l'unico punto) possono essere comuni a più capi di imputazione nei confronti di più imputati nel processo soggettivamente cumulativo (es. la prova dell'omicidio addebitato all'imputato A può dimostrare l'occultamento di cadavere addebitato all'imputato B). La parte che impugna deve enunciare a pena di inammissibilità, ai sensi dell'art. 5 8 1 , oltre al provvedimento impugnato, alla data del medesimo ed al giudice che lo ha emesso: a) i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione; b) le richieste; c) i motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. I motivi della impugnazione. I motivi che stanno alla base della richiesta di riforma o di annullamento, si riferiscono ai capi ed ai punti della sentenza e precisano quale sia l'aspetto che viene criticato e sottoposto al giudice dell'im pugnazione. Ovviamente, una parte può impugnare uno o più capi della sentenza e soltanto per le disposizioni penali o soltanto per quelle civili o per entrambe. Ciò premesso, l'impugnazione è interamente devolutiva quando la legge attribuisce al giudice dell'impugnazione il potere di conoscere tutta la materia decisa dal primo giudice (ciò avviene, ad es., nel riesame della misura cautelare) ; è limitatamente devolutiva quando la legge consente al giudice dell'impugna zione di conoscere soltanto quella parte della materia che è stata oggetto dei motivi proposti dalla parte impugnante (ad es. nell'appello e nel ricorso per cassazione) . L'impugnazione per i soli interessi civili. L'impugnazione che concerne
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soltanto i capi civili della sentenza non sospende l'esecuzione delle disposizioni penali del provvedimento impugnato (art. 573 comma 2 ) . In tal caso, i capi penali, non impugnati, diventano irrevocabili (arg. ex art. 648 comma 1 ) . L'impugnazione per i soli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale (art. 573 comma 1 ) . 3.
I soggetti legittimati ad impugnare.
Dal principio di tassatività deriva che non chiunque può proporre impu gnazione, ma unicamente le "parti" , le quali sono soltanto quelle espressamente indicate dalla legge; se la legge non distingue tra le diverse parti, il diritto di impugnazione spetta a ciascuna di esse (art. 568 comma 3 ) (8). L'impugnabilità, sotto il profilo soggettivo, si compone di due aspetti: la legittimazione ad impugnare (e cioè la titolarità astratta del diritto di impugnazione, conferita dalla legge) e l'interesse ad impugnare. n difetto di uno dei due aspetti è causa di inammissibilità dell'atto di impugnazione (art. 591 comma l lett. a). Interesse ad impugnare. Perché l'impugnazione sia ammissibile, è neces sario che la parte abbia un interesse ad impugnare (art. 568, comma 4: « per proporre impugnazione è necessario avervi interesse »). Ciò accade quando l'impugnazione è diretta ad eliminare un provvedimento pregiudizievole per la parte impugnante e a sostituirlo con un altro dal quale derivi un risultato vantaggioso per la medesima. n requisito è soddisfatto quando il provvedimento richiesto comporta una situazione pratica più vantaggiosa per la predetta parte e non soltanto un risultato teoricamente più corretto (9). n principio trova una deroga apparente nella potestà di impugnazione conferita al pubblico ministero. Infatti, la funzione del pubblico ministero è quella di far osservare la legge; sicché egli può avere interesse anche ad impugnare in favore dell'imputato (pro reo) , se nella sentenza vi è un errore o viene irrogata una pena iniqua. (8) Il giudice ad quem verifìca in via preliminare che la persona impugnante possieda la legittimazione ad impugnare, la quale è richiesta a pena di inammissibilità dall'art. 591 comma l lett. a. (9) Un esempio può chiarire il concetto. A Tizio, condannato a pena detentiva, viene concesso il beneficio della sospensione condizionale. Il destinatario della sentenza di condanna, considerando l'oppor· tunità di riservare il beneficio ottenuto all'eventualità che in futuro possa essere condannato ad una pena più grave, in sede di impugnazione domanda la revoca dell'anzidetto beneficio. Tale impugnazione, tuttavia, si presenta carente di interesse ad impugnare, e perciò inammissibile, in quanto la valutazione dell'interesse ad impugnare deve prendere in considerazione il caso in cui l'eliminazione del beneficio produca in capo all'impugnante una situazione giuridica più vantaggiosa, ma tale valutazione non potrà essere meramente soggettiva, bensì dovrà prendere in considerazione interessi giuridicamente apprezzabili, in quanto correlati alla funzione giuridica del beneficio concesso. Nel caso prospettato il vantaggio prospettato dal condannato è del tutto soggettivo, meramente eventuale e in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale imposta dalla legge per la concessione della sospensione condizionale della pena (Così, Cass., sez. un., 16 marzo-2 giugno 1994, Rusconi, in Cass. pen., 1995, 2 1 0 1 ) .
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Impugnazioni del pubblico ministero. In base all'art. 570, quando la legge ammette che un provvedimento sia impugnabile dal pubblico ministero, si deve intendere che il provvedimento medesimo può essere impugnato sia dal pubblico ministero presso il giudice di primo grado (procuratore della repub blica presso il tribunale o rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni), sia dal pubblico ministero presso la corte d'appello. Il capo dell'ufficio del pubblico ministero può proporre impugnazione « quali che siano state le conclusioni del [suo] rappresentante [in udienza] ». Inoltre, il procuratore generale presso la corte di appello può proporre impugnazione nonostante l'impugnazione o l'acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento (10). La parte civile e la persona offesa, anche se non costituita parte civile, nonché gli enti e le associazioni intervenute ai sensi degli artt. 93 e 94 a presidio degli interessi collettivi o diffusi, possono chiedere al pubblico ministero di proporre impugnazione agli effetti penali. « Il pubblico ministero, quando non propone impugnazione, provvede con decreto motivato » (art. 572 ) . Impugnazioni dell'imputato. Purché n e abbia interesse (art. 568 comma 4), l'imputato può proporre impugnazione penale, personalmente o per mezzo di un procuratore speciale nominato anche prima della emissione del provvedi mento da impugnare (art. 57 1 comma 1 ) . Per la persona incapace di intendere e di volere provvede il tutore; se la persona è inabilitata, la sua dichiarazione di volontà deve essere integrata dal curatore. L'imputato, il suo procuratore speciale ed il tutore possono impugnare, oltre che di persona, anche per mezzo del ministero tecnico del difensore, purché questi fosse tale al momento del deposito del provvedimento ovvero sia nominato allo scopo di impugnare (art. 5 7 1 comma 3 c.p.p.). Se l'imputato, che abbia appellato personalmente, è sprovvisto di difensore, quest'ultimo è nominato nel decreto di citazione per l'udienza d'appello e, se non compare, altro difensore d'ufficio è nominato in udienza e può chiedere il termine a difesa, come in primo grado. Impugnazione del difensore dell'imputato. Ai sensi dell'art. 57 1 comma 3 , il difensore dell'imputato al momento del deposito del provvedimento o il difensore nominato allo scopo di impugnare, può proporre gravame avverso il provvedimento medesimo anche quando l'imputato non lo abbia fatto. Si tratta di un potere che il difensore esercita autonomamente rispetto all'assistito: la legge vuole che, se anche l'imputato si trova in una situazione psichica negativa,
( lO) « li rappresentante del pubblico ministero, che ha presentato le conclusioni e ne ha fatto richiesta nell'atto di appello, può partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore generale presso la corte di appello; la partecipazione è disposta dal procuratore generale qualora lo ritenga oppor tuno >> (art. 570 comma 3 ) .
V.I.3
Princìpi generali sulle impugnazioni penali
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tuttavia un soggetto tecnicamente qualificato possa valutare per lui l'opportu nità dell'impugnazione. In applicazione delle regole generali, i rapporti tra l'impugnazione dell'im putato e quella del suo difensore sono risolti nel senso della prevalenza dell'impugnazione dell'imputato rispetto a quella del difensore tecnico: « l'im putato, nei modi previsti per la rinuncia, può togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore » (art. 57 1 comma 4) ( 1 1 ) . Impugnazione della parte civile. Il codice riconosce alla parte civile un autonomo potere di impugnazione limitatamente alla tutela dei propri interessi civili (art. 576); occorre naturalmente che costei abbia conservato tale posizione fino al termine del dibattimento ed abbia presentato le proprie conclusioni scritte (artt. 523 comma 2 e 82 comma 2 ) . La legge n. 46 del 2006 ha eliminato l'inciso in base al quale la parte civile aveva il diritto di proporre impugnazione « con il mezzo previsto per il pubblico ministero » (art. 576 mod.). Come vedremo nel prosieguo, tale modifica ha dato luogo ad accesi contrasti interpretativi in relazione alla legittimazione della parte civile a proporre ap pello. La parte civile può proporre impugnazione, per i soli interessi civili, contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile (art. 576 comma 1 ) . Ad esempio, può proporre impugnazione nel caso in cui il risarcimento sia stato negato o riconosciuto in misura inferiore a quella dovuta. La parte civile può impugnare, per i soli interessi civili, la sentenza di proscioglimento pronunciata in giudizio (art. 576 comma 1 ) . Ai sensi dell'art. (l l) Con la sentenza 4 dicembre 2009, n. 3 17, la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità dell'art. 175, comma 2 nella parte in cui, così come interpretato nel diritto vivente, non consente all'imputato la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, quando analoga impugnazione sia stata già proposta dal difensore. In precedenza, infatti, le Sezioni unite avevano ritenuto che l'impugnazione del difensore avesse l'effetto di precludere la restituzione nel termine per impugnare in favore dell'imputato. Ad avviso del Supremo collegio una simile conclusione era imposta dal principio di unicità del diritto di impugnazione e da quello della ragionevole durata del processo (così Cass., sez. un., 3 1 gennaio - 7 febbraio 2008, n. 6026, Huzuneanu, in Cass. pen., 2008, 2358, e in Guida dir. , 2008, 15, 86 e, successivamente, Cass., sez. I, 1 1 novembre 2008, n. 33 del 2009; Cass., sez. I, 10 dicembre 2008, n. 8429 del 2009). La Corte costituzionale ha utilizzato come parametri gli artt. 24, 1 1 1 , comma l, e 1 17, comma l Cost. In particolare quest'ultima norma è stata posta in relazione all'art. 6 CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo. li Giudice delle leggi ha messo in rilievo <>, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. In conclusione « l'esercizio di un diritto fondamentale non può essere sottratto al suo titolare, che può essere sostituito solo nei limiti strettamente necessari a sopperire alla sua impossibilità di esercitarlo e non deve trovarsi di fronte all'effetto irreparabile di una scelta altrui, non voluta e non concordata, potenzialmente dannosa per la sua persona >>.
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573 , comma l, l'impugnazione a presidio dei soli interessi civili « è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale ». Inoltre, la parte civile può impugnare la sentenza nei capi in cui stabilisce la propria condanna ai danni ed alle spese (art. 54 1 , comma 2 ) . L a facoltà di impugnare l a sentenza d i proscioglimento s i rivela di partico lare importanza per la parte civile, che ha interesse a evitare il formarsi del giudicato di assoluzione. Come vedremo più avanti (Parte VI, cap. l , § 9), ai sensi dell' art. 652 c.p.p. la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pro nunciata con formule ampiamente liberatorie, è idonea ad avere un'efficacia vincolante nei giudizi di danno. Infatti, il giudice civile o amministrativo, qualora sia chiamato a pronunciarsi sulla condanna al risarcimento dei danni, sarà vincolato dalla decisione del giudice penale, e cioè dovrà ritenere vero l'accertamento che "il fatto non sussiste" o che esiste una causa di giustifica zione; la parte civile può impugnare il proscioglimento proprio per evitare tale effetto del giudicato ( 12 ) . Impugnazioni del responsabile civile. A differenza della parte civile, il responsabile civile può proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza riguardanti la responsabilità dell'imputato e contro quelle relative alla condanna di questi e del responsabile civile alle restituzioni, al risarcimento e alla rifusione delle spese processuali. Questa impugnazione è di tipo "penali stico" ed è proposta col mezzo che la legge attribuisce all'imputato (art. 575 comma l) ( 1 3 ) . Impugnazioni della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Il comma 2 dell'art. 575 estende la portata dell'impugnazione quoad accusatum del responsabile civile (art. 575 comma l ) alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Pertanto, questa può presentare impugnazione soltanto se è stata condannata. Impugnazioni del querelante. Il querelante (art. 576 comma 2) può pro porre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento che lo ha condan nato al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato nonché alle spese e al risarcimento del danno in favore dell'imputato e del responsabile civile (artt. 427 e 542 ) . Il mezzo di impugnazione è quello previsto per la parte civile e l'impugnazione è limitata agli interessi civili.
( 12) L'art. 9 della legge n. 46 del 2006 ha abrogato l'art. 577, che permetteva alla parte civile, che era anche persona offesa, di proporre impugnazione pure agli effetti penali contro le sentenze di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione. ( 1 3 ) n responsabile civile ha anche facoltà di proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza di assoluzione che riguardano le domande da lui proposte, nei confronti della parte civile o del querelante, per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali (art. 575 comma 3 c.p.p.).
V . l 4 .a .
4.
Princz'p i generali sulle impugnazioni penali
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Regole generali sulle impugnazioni. a.
Dichiarazione di impugnazione.
L'impugnazione si propone con atto scritto, nel quale ai sensi dell'art. 5 8 1 devono essere indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo e d il giudice che lo ha emesso (v. tav. 5 . 1 .5). Inoltre, devono essere enunciati: a) i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione; b) le richieste; c) i motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Sicché l'indicazione "approssimativa" di tali elementi (ad esempio, la richiesta diretta ad ottenere la riforma o l'annul lamento perché si prospetta genericamente l'innocenza) comporta l'inammis sibilità dell'impugnazione per difetto del requisito di specificità (art. 591 comma l lett. c) . Forma della presentazione. Salvo che la legge disponga altrimenti, l'impu gnazione scritta deve essere presentata, personalmente o a mezzo di « incari cato », nella cancelleria del giudice a qua (art. 582, comma 1 ) . L'impugnazione presentata in luogo diverso dalla cancelleria (ad es., come talora accade, presso la stazione dei carabinieri) è inammissibile. L'imputato detenuto o internato può proporre impugnazione personale con dichiarazione ricevuta dal direttore dell'istituto penitenziario, iscritta in apposito registro e immediatamente comu nicata alla cancelleria del giudice a qua (per i motivi nuovi ex art. 5 85 comma 4 alla cancelleria del giudice ad quem). Occorre tenere presente che gli artt. 582, comma 2 e 583 prevedono una disciplina destinata ad agevolare l'impugnazione. In particolare, ai sensi dell'art. 583 , comma l , l'atto di impugnazione può anche essere spedito dalle parti private o dal difensore, purché la spedizione avvenga con telegramma o con raccomandata, diretti alla cancelleria del giudice a qua. L'impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata o del tele gramma (art. 583 , comma 2). Se si tratta di parti private, la sottoscrizione dell'atto deve essere autenticata da un notaio o da altra persona autorizzata che può essere, con notevole agevolazione per la difesa, il difensore (art. 583 , comma 3 ) . La copia del telegramma equivale all'attestazione della ricezione dell'impugnazione da parte del cancelliere. La cancelleria del giudice a qua cura la comunicazione dell'impugnazione alle parti non impugnanti. In particolare, l'atto di impugnazione è comunicato al pubblico ministero presso il giudice che ha pronunciato la sentenza, nonché al procuratore generale. Alle parti private, invece, l'atto di impugnazione è notificato senza ritardo a cura della cancelleria (art. 5 84). Tali adempimenti sono funzionali alla eventuale presentazione dell'appello incidentale (sul quale si veda il prossimo capitolo) .
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Le impugnazioni
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V.l.4.b
Termini per impugnare.
I termini per impugnare sono stabiliti a pena di decadenza (art. 5 85 comma 5) e variano in base alle modalità con le quali si è provveduto a redigere la motivazione della sentenza (v. tav. 5 . 1 . 1 ) . Ai sensi dell'art. 585, comma l , il termine per impugnare è: a) di quindici giorni per i provvedimenti emessi in seguito a procedi mento in camera di consiglio; il termine decorre dalla notifica dell'avviso di deposito del provvedimento; b) di quindici giorni quando la motivazione è eccezionalmente redatta insieme al dispositivo. n termine decorre dalla lettura del provvedimento in udienza per tutte le parti che sono state o che debbono considerarsi presenti nel giudizio, anche se non sono presenti alla lettura; c) di trenta giorni quando la motivazione è depositata non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia. Il termine per impugnare decorre dalla scadenza del quindicesimo giorno, appena menzionato; d) di quarantacinque giorni quando la motivazione, come quasi sempre accade, è depositata successivamente al quindicesimo giorno da quello della pronuncia. Si ricorda che in tal caso il termine per il deposito deve essere indicato dal giudice nel dispositivo della sentenza e non può eccedere i novanta giorni dalla pronuncia. Qualora il giudice depositi in tempo la motivazione, il termine per impugnare decorre dalla scadenza determinata dal giudice nel dispositivo. Mancato rispetto del termine per redigere la motivazione della sentenza. Nel caso in cui la motivazione non sia redatta contestualmente al dispositivo, accade sovente che il giudice non rispetti il termine stabilito dalla legge o da lui stesso indicato per la redazione della motivazione della sentenza (14). In tal caso, a cura della cancelleria viene comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti private ed ai difensori avviso del deposito della sentenza (art. 548, comma 2 ) . I termini per impugnare decorrono alla data dell'ultima di tali comunicazioni o notificazioni. Decorrenza diversa per l'imputato ed il difensore. Quando la decorrenza del termine per impugnare è diversa per l'imputato e per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo (art. 585 , comma 3 ) . Ad esempio, se il provvedimento è notificato per primo all'imputato e, successivamente, al ( 14 ) Nel caso in cui il giudice non indichi nel dispositivo alcun termine per il deposito, tale termine è fissato dalla legge in quindici giorni (C. cost., 30 luglio 1993, n. 364, in Giust. pen., 1994, I, 82; Cass., sez. un . , 20 aprile 1994, Vigorito, in Cass. pen. , 1994, 2410). ll diverso limite di trenta giorni, indicato nell'art. 548, comma 2, è dovuto ad un difetto di coordinamento tra differenti interventi normativi che hanno modificato sia quest'ultima norma, sia l'art. 544. Nel caso in cui il giudice indichi nel dispositivo un termine superiore a quindici giorni, esso non può comunque eccedere il novantesimo giorno dalla pronuncia (art. 544).
V.I.4.d
Principi generali sulle impugnazioni penali
83 1
difensore, dalla data della seconda notifica decorre il termine per il ricorso che ciascuno dei due può presentare. Imputato contumace. Quando l'imputato è contumace, deve essergli in ogni caso notificato l'avviso di deposito della sentenza con l'estratto della stessa (art. 548 comma 3 ) ; il termine per impugnare decorre dal giorno della notifi cazione (art. 585 , lett. d). Impugnazioni nel giudizio abbreviato. L a decisione emessa al termine del giudizio abbreviato è assimilabile a quella dibattimentale. Ne consegue che, ai fini delle impugnazioni, si osserva la disciplina sui termini prevista per le sentenze dibattimentali ( 15 ) . c.
I motivi nuovi.
È possibile presentare nuovi motivi di impugnazione fino a quindici giorni prima dell'udienza davanti al giudice ad quem, nella cancelleria di questi, al quale, nel frattempo, la cancelleria del giudice a quo ha trasmesso gli atti (art. 585 comma 4). Assai dibattuto è il possibile oggetto dei motivi nuovi. Sul tema sono intervenute le Sezioni unite affermando che i motivi nuovi devono investire i capi e i punti della decisione che sono stati enunciati nell'originario atto di impugnazione. Ciò si ricava sia da un argomento letterale, sia da un rilievo sistematico. L'argomento letterale è costituito dall'art. 1 67 att. , in base al quale quando si presentano nuovi motivi « devono essere specificati i capi e i punti enunciati a norma dell'art. 5 8 1 comma l lett. a c.p.p., ai quali i motivi si riferiscono ». n rilievo sistematico è che, se si consentisse di presentare motivi riferiti a capi e punti non impugnati, verrebbero aggirati i termini per proporre impugnazione, previsti a pena di inammissibilità dall'art. 585 ( 16). Da segnalare che l'inammissibilità dell'impugnazione originaria si estende ai motivi nuovi, i quali, pertanto, non hanno carattere sostitutivo, perché, se lo avessero, sarebbero fuori del termine per l'impugnazione previsto dall'art. 585 .
d.
n giudice competente a conoscere l'impugnazione.
n giudice competente per l'appello contro le sentenze del tribunale è la corte di appello. Le sentenze dell'assise sono appellate davanti alla corte di assise d'appello, costituita all'interno della corte d'appello con l'apporto di sei giudici popolari e due magistrati di carriera. Competente per l'appello contro le sentenze del tribunale per i minorenni è la sezione per i minorenni costituita ( 1 5 ) Così, Cass., sez. un., 15 dicembre 1992, Russo, in Giust. pen., 1993, III, 32 1 ; Cass., 8 aprile 1992, Mascella, in Cass. pen . , 1993, 2295. ( 16) Così Cass., sez. un., 25 febbraio 1998, Bono, in Cass. pen., 1998, 2583.
Le impugnazioni
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V.I.5
presso la corte di appello ( 17 ) . Competente per l'appello contro le sentenze del giudice di pace è il tribunale in composizione monocratica. Le disposizioni generali sulle impugnazioni niente dicono circa la cognizione dei giudici delle impugnazioni, che abbiamo già anticipato per grandi linee. Per comprendere quale sia la cognizione dei giudici delle impugnazioni ordinarie dovremo, quindi, scendere nell'analisi dell'appello e del ricorso per cassazione. e.
La rinuncia all'impugnazione.
La rinuncia è un atto con il quale la parte, che ha proposto impugnazione, dichiara di non volersene più avvalere (art. 589). La rinuncia presuppone che l'impugnazione sia stata proposta e sia ammissibile. La rinuncia, ai sensi dell'art. 5 9 1 , è causa di inammissibilità dell'impugnazione. L'art. 589 prevede, inoltre, che il pubblico ministero proponente possa rinunciare all'impugnazione « fino all'apertura del dibattimento ». Successiva mente, la rinuncia all'impugnazione può essere proposta solo dal pubblico ministero presso il giudice ad quem, « prima dell'inizio della discussione », anche se l'impugnazione è stata proposta da altro pubblico ministero. Le parti private, sempre a tenore dell'art. 5 89, possono rinunciare all'im pugnazione anche a mezzo di procuratore speciale, purché la dichiarazione di rinuncia sia presentata nelle forme e nei modi previsti dagli artt. 5 8 1 , 582 e 583 , ovvero « in dibattimento, prima dell'inizio della discussione ». 5.
L'inammissibilità dell'impugnazione.
n provvedimento impugnato, l'atto di impugnazione e gli atti del procedi mento sono trasmessi senza ritardo al giudice competente a conoscere l'impu gnazione (giudice ad quem). Questi verifica preliminarmente tanto l'ammissibi lità dell'impugnazione, quanto la regolarità delle notificazioni. Può essere utile ricordare che l'inammissibilità è una causa di invalidità che impedisce al giudice di esaminare nel merito la domanda presentata da una parte. L'art. 591 comma l prevede le cause di inammissibilità generali, comuni a tutti i mezzi di . . unpugnazwne. L'impugnazione è inammissibile: a) quando è proposta da un soggetto non legittimato o che non vi ha interesse; b) quando il provvedimento non è impugnabile; c) quando non sono state osservate le disposizioni relative alla forma, alla presentazione, alla spedizione e ai termini; ( 17 ) Si tratta di un giudice specializzato composto di tre magistrati di carriera e di due "esperti". Così dispone l'art. 58 dell'ordinamento giudiziario (r.d. n. 12 del 194 1 ) .
V I.5 .
Prindpi generali sulle impugnazioni penali
833
d) quando vi è stata rinuncia all'impugnazione ( 18). L'impugnazione delle ordinanze predibattimentali o dibattimentali deve essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l'impugnazione contro la sentenza, « quando non è diversamente stabilito dalla legge ». L'impugna zione è tuttavia ammissibile anche se la sentenza è impugnata soltanto per connessione con l'ordinanza (art. 5 86 commi l e 2). Veniamo ora a trattare degli aspetti più propriamente "procedimentali" . Il giudice dell'impugnazione (ad quem) dichiara con ordinanza l'inammissibilità dell'impugnazione e dispone l'esecuzione del provvedimento impugnato. L'or dinanza di inammissibilità è pronunciata de plano anche d'ufficio (art. 591 comma 2). Essa è notificata a chi ha proposto l'impugnazione affinché la parte possa presentare ricorso per cassazione (art. 591 comma 3 ) . Anche s e non è stata rilevata e dichiarata al momento della verifica preliminare, l'inammissibilità dell'impugnazione può comunque essere rilevata, anche con sentenza, « in ogni stato e grado del procedimento » (art. 591 comma 4 ) . Ovviamente, l'inammissibilità dichiarata dalla suprema corte è senza rime dio. Il principio di soccombenza. Nel giudizio di impugnazione, vale il principio di soccombenza nei confronti delle parti private (art. 592). Pertanto, quella parte privata che ha visto confermata la sentenza, rigettato il ricorso per cassazione o dichiarata inammissibile l'impugnazione, è condannata alle spese di Giustizia. Nessuna regola analoga vale quando sia stata la pubblica accusa a vedere rigettata la propria impugnazione. Merita precisare che l'imputato, condannato all'esito del giudizio di impu gnazione, è condannato alle spese dei precedenti giudizi, anche se in questi sia stato prosciolto (art. 592, comma 3 ) . Qualora vi siano più imputati, essi sono condannati in solido al pagamento delle spese di Giustizia (art. 592, comma 2), ma ciascuno è condannato individualmente al pagamento di quelle della propria custodia cautelare.
(18) Un orientamento giurisprudenziale nega qualsiasi valore alla tradizionale distinzione tra cause originarie e cause soprawenute di inammissibilità, sostenendo che tutte le fattispecie di inammissibilità formano una categoria unitaria e producono il medesimo risultato di impedire un giudizio di merito; così Cass., Sez. un., 2 1 dicembre 2000, De Luca, in Cass. pen., 200 1 , 2988. Sul rapporto tra inammissibilità e declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, v. in/ra cap. 3, § 2 .
CAPITOLO II L'APPELLO
SoMMARIO: l. Considerazioni preliminari. - 2. Appello principale ed incidentale. - 3 . Casi di
appello. - 4 . La cognizione del giudice di appello. - 5. li predibattimento in appello. 6. Provvedimenti in ordine all'esecuzione delle condanne civili.
-
7. Lo svolgimento del
giudizio di appello. L 'udienza pubblica. - 8. L 'udienza in camera di consiglio. - 9. Questioni di nullità e natura della giurisdizione d'appello. - 10. La sentenza del giudice di appello.
l.
Considerazioni preliminari.
L'appello è un mezzo di impugnazione ordinario, mediante il quale le parti chiedono al giudice di secondo grado di controllare una decisione di primo grado che ritengono viziata per motivi di fatto o di diritto. Da questa definizione si traggono le caratteristiche essenziali dell'appello. a) L'appello è un gravame parzialmente devolutivo, nel senso che la cognizione del giudice di appello è limitata dai motivi della impugnazione; ma il giudice di appello ha la medesima ampiezza di poteri decisori che caratterizza il giudice di primo grado. b) L'appello è una impugnazione "a critica libera" : non vi sono limiti alle censure che le parti rivolgono alla sentenza e che possono essere di fatto o di diritto e riferirsi ad errori sia in iudicando, sia in procedendo (v. atto 5 .2 .4). c) L'appello è uno strumento d i controllo e non un nuovo giudizio, perché non presuppone necessariamente una nuova istruzione dibattimentale. Le risultanze probatorie del giudizio di primo grado entrano nel patrimonio di conoscenza del giudice di appello; la rinnovazione del dibattimento per assu mere prove ha caratteri di eccezionalità (art. 603 ). d) Di regola il giudice di appello conferma o riforma (e cioè modifica) la decisione impugnata; i casi di annullamento sono eccezionali. Al di fuori di tali casi, la decisione di appello dà luogo ad una nuova sentenza che si sostituisce a quella impugnata e che, a sua volta, può essere oggetto di ricorso per cassazione (v. tav. 5 .2 .5 ) . Procedimento cartolare. Occorre tenere presente che il processo d'appello è " cartolare" . In altri termini, il giudice di appello "legge" gli atti probatori del giudizio di primo grado nei limiti delle richieste e dei motivi degli appellanti,
V.II.2
L'appello
835
senza, di regola, assumere prove. Ciò comporta la perdita, di non poco peso, del rilievo psicologico che ha la fisionomia del teste, soprattutto in un processo che dovrebbe essere fondato sul principio di immediatezza: il giudice di appello non ha un contatto diretto con le fonti di prova. È essenziale, peraltro, rilevare la garanzia (sia pur limitata) che l'appello rap presenta per le parti: esso è deciso da un giudice diverso (art. 34 comma l ) e di regola collegiale, che inoltre dispone di poteri di ufficio. Infatti, alla pari del giudice di primo grado, il giudice di appello può, ad esempio, rilevare il difetto di giurisdizione, l'incompetenza per materia, l'inutilizzabilità delle prove, le nul lità assolute e quelle a regime intermedio, purché quest'ultime non si siano sanate (art. 604 comma 4), l'applicabilità del principio del ne bis in idem. Inoltre, se i motivi d'appello hanno criticato una questione attinente alla responsabilità dell'imputato, il giudice d'appello può prosciogliere, anche al di fuori dei motivi di impugnazione, se riconosce che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso, che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità (art. 129) ( 1 ) . Giudice competente. Sull'appello proposto contro le sentenze pronunciate dal tribunale e dalla corte d'assise decidono, rispettivamente, la corte di appello e la corte di assise di appello (art. 596 commi l e 2). Sull'appello contro le sentenze pronunciate dal giudice per le indagini preliminari in sede di giudizio abbreviato decidono, rispettivamente, la corte di appello e la corte di assise di appello, a seconda che si tratti di reato di competenza del tribunale o della corte di assise (art. 596 comma 3 ) . Sull'appello proposto contro le sentenze pronun ciate dal giudice di pace è competente il tribunale del circondario in cui ha sede il giudice di pace che ha pronunciato la sentenza impugnata; il tribunale decide in composizione monocratica (art. 39 comma l d.lgs. n. 274 del 2000). 2.
Appello principale ed incidentale.
Appello principale. L'appello principale, qualora sia ammissibile (art. 5 9 1 ) , determina il dovere del giudice d i secondo grado di riesaminare il fatto nei limiti dei punti ai quali si riferiscono i motivi proposti. Diverso è l'istituto dell'appello incidentale (art. 595 ) . Appello incidentale. Una volta che una parte abbia presentato appello ( l ) Viceversa, se i motivi hanno criticato una questione che non ha connessione essenziale con la responsabilità dell'imputato (es., attenuanti o quantificazione della pena) il giudice d'appello può decidere soltanto su questioni che non attengono alla responsabilità in quanto si è verificata una preclusione dovuta all'effetto limitatamente devolutivo (Cass., sez. un., 19 gennaio 28 giugno 2000, Tuzzolino, in Cass. pen. , 2000, 2697) . Vi sono questioni rilevabili d'ufficio specificamente nel giudizio d'appello ex art. 597, comma 5 : a d es., l a condizionale, l a non menzione nel certificato, l e attenuanti e l a relativa comparazione con le aggravanti (v. tav. 5.2.6). -
83 6
Le impugnazioni
V.II.2
principale, le altre parti che erano legittimate ad appellare, ma non lo hanno fatto, hanno la possibilità di proporre il cosiddetto appello incidentale entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'appello principale (art. 595 comma 1 ) . L a funzione dell'appello incidentale è quella di integrare il contraddittorio nel giudizio di appello. Non si vuole tanto rimettere in termini la parte che non ha impugnato, quanto consentire all'appellante incidentale di sottoporre al giudice una tesi alternativa sullo stesso tema oggetto di controllo a seguito dell'appello principale. Pertanto, l'appello incidentale si deve limitare ai capi della decisione oggetto dell'appello principale e ai punti che hanno connessione essenziale con quelli denunciati con l'appello principale (2) . Ad es. , se l'impu tato ha appellato richiedendo la riforma dell'errata sentenza di condanna, il pubblico ministero non può appellare incidentalmente deducendo l'esiguità della pena. Limiti dell'appello incidentale. Chiunque sia la parte che ha proposto l'appello incidentale, la sorte di questo segue quella dell'appello principale, come dispone il quarto comma dell'art. 595, secondo il quale « l'appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell'appello principale o di rinuncia allo stesso ». Merita ricordare che il presupposto dell'appello incidentale è che una parte sia legittimata all'appello e che non abbia proposto tale impugnazione. Ne con segue che la parte non legittimata all'appello principale non può proporre appello incidentale; se mai, può proporre ricorso per cassazione. In tal caso, a norma dell'art. 580, qualora sussista la connessione ex art. 12, il ricorso si converte in appello, senza che ciò modifichi i contenuti dell'impugnazione, che restano quelli del ricorso per cassazione, limitati ai motivi di legittimità (3 ) . Occorre sottolineare che a i sensi dell'articolo 595 comma 3 , l'appello incidentale proposto dal pubblico ministero (e da lui soltanto) fa cadere il divieto di re/ormatio in peius che opera quando appella il solo imputato (art. 597 comma 3 ) . Si ritiene che un effetto del genere sia dovuto alla finalità di disincentivare le impugnazioni meramente dilatorie dell'imputato (4) . L'appello incidentale, proposto dal pubblico ministero, non ha effetti nei confronti del coimputato non appellante che non ha partecipato al giudizio di appello. (2) In tal senso, Cass., sez. un., 17 ottobre 2006 - 9 marzo 2007, n.1025 1 , Michaeler. Per un quadro generale dell'istituto, v. L. FILIPPI, L'appello incidentale nel processo penale, Padova, 2000. (3) In tal senso, Cass., sez. un., 18 giugno 1993, Rabiti, in Cass. pen., 1994, 556; Corte cost., n. 98 del 1994. (4) La Corte costituzionale ha ritenuto non fondata una questione di legittimità relativa all'articolo 1 12 Cost. Secondo alcuni, l'appello incidentale consentirebbe al pubblico ministero scelte contraddittorie. Questi, infatti, potrebbe in un primo momento fare acquiescenza alla sentenza non impugnandola e successivamente proporre appello incidentale a seguito di appello principale di altra parte. Una simile ipotesi confliggerebbe con l'obbligatorietà dell'azione penale. Tuttavia la Corte costituzionale con la sentenza n. 280 del 1995 ha dichiarato manifestamente infondata tale questione.
V.II.3 3.
L'appello
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Casi di appello.
La legge 20 febbraio 2006 n. 46 aveva modificato il regime di appellabilità delle sentenze pronunciate nel giudizio di primo grado (art. 593 ) . In sintesi, era rimasta inalterata la facoltà, spettante all'imputato e al pubblico ministero, di appellare la sentenza di condanna; era stata eliminata, di regola, la facoltà di appellare la sentenza di proscioglimento. Le successive decisioni della Corte cast. n. 26 del 2007 e n. 85 del 2008 hanno ripristinato la facoltà, spettante al pubblico ministero e all'imputato, di appellare le sentenze di proscioglimento pronunciate dal tribunale e dalla corte d'assise. Da tutto ciò è derivato un sistema complesso e sbilanciato, che veniamo ad esporre (v. tav. 5 .2 . 1 ) . In un primo approccio, consideriamo la legittimazione del pubblico ministero e dell'imputato a proporre appello; successivamente prenderemo in esame la legittimazione delle altre parti. a) Appello contro le sentenze di condanna. L'art. 593 , comma l pone come regola generale la appellabilità delle sentenze di condanna da parte del pubblico ministero e dell'imputato, naturalmente ove sussista l'interesse ad impugnare. La regola è affiancata da eccezioni in base alle quali alcune sentenze non possono essere sottoposte ad appello; ciò avviene nei casi seguenti. l ) Sono « inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda » (art. 593 , comma 3 ) , da intendersi come pena ori ginaria e non sostitutiva della detenzione. Pertanto, può essere oggetto di appello la sentenza che applica una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva; così, Cass., sez. un. , 3 febbraio 1995 , Bonifazi, in Cass. pen., 1995 , 3302 . 2) Sono inappellabili le sentenze di applicazione della pena s u richiesta delle parti (art. 448, comma 2 ) , ma il pubblico ministero può proporre appello se non ha consentito al patteggiamento (5) . 3 ) Non si può proporre appello contro l a sola misura di sicurezza quando la parte non ha impugnato agli effetti penali un altro capo della sentenza di condanna (art. 579); sull'impuganzione contro la sola misura di sicurezza decide il tribunale di sorveglianza (art. 680). 4) Il solo pubblico ministero non può proporre appello contro la condanna pronunciata nel giudizio abbreviato, ma ha tale potere quando il giudice nella sentenza ha modificato il titolo di reato (art. 443 , comma 3 ) . b) Appello contro le sentenze di proscioglimento. Sulla situazione, che ha determinato l'intervento normativa con la legge n. 46 del 2006, vi è stata un'ampia convergenza da parte di giuristi di opposte tendenze ideologiche ed (5) n codice si riferisce al caso in cui vi è stato il dissenso da parte del pubblico ministero rispetto alla richiesta di patteggiamento. In tal caso, l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può rinnovare la richiesta; di fronte al dissenso del pubblico ministero, il giudice, quando lo ritiene ingiustificato, dispone l'applicazione della pena richiesta (art. 448, comma 1 ) . In detta ipotesi, la pubblica accusa può proporre appello. 27
83 8
Le impugnazioni
V.IIJ
un avallo della Corte di cassazione (sez. un., 24 novembre 2003 , Andreotti, in Cass. pen . , 2004, 8 1 1 ) . Il testo originario del codice del 1988 non offriva una soddisfacente tutela all'imputato prosciolto in primo grado, se il pubblico ministero proponeva appello. In tal caso, l'imputato, presunto innocente e riconosciuto tale in un dibattimento svoltosi nel contraddittorio orale, incon trava molte difficoltà nell'esercitare i propri diritti di difesa nel giudizio di appello promosso dalla pubblica accusa. L'imputato non aveva il diritto di ottenere la rinnovazione dell'istruzione per contrastare i motivi di appello presentati dal pubblico ministero; inoltre, non aveva il diritto di far convocare l'accusatore per dimostrarne la scarsa credibilità e attendibilità. La decisione di appello era (ed è tuttora) pronunciata sulla base di atti scritti, senza il contrad dittorio nella formazione della prova. Una eventuale condanna in secondo grado non poteva essere oggetto di una impugnazione nel merito, bensì soltanto di un ricorso per cassazione per motivi di legittimità. Era ritenuto inaccettabile che una assoluzione, pronunciata in primo grado in seguito ad un ampio contraddittorio, potesse essere ribaltata da una condanna emessa in un giudizio privo di garanzie. Ebbene, in tutta la XIV legislatura questa è stata forse l'unica legge che è scaturita da una situazione sulla quale non vi era controversia tra opposte posizioni ideologiche. La vera spaccatura vi è stata sulle soluzioni escogitate per rimediare agli inconvenienti lamentati. In base ad una prima impostazione, il pubblico ministero avrebbe avuto un potere di appello soltanto rescindente. In secondo grado il giudice avrebbe potuto, in alternativa, confermare la sentenza di assoluzione oppure annullare e rinviare in primo grado, sede nella quale si sarebbe dovuto rinnovare il giudizio. In base ad una seconda soluzione, il giudizio di appello successivo ad una sentenza di proscioglimento avrebbe dovuto tutelare il contraddittorio in modo simile a quanto avviene in primo grado. Le due soluzioni menzionate avrebbero comportato un allungamento rilevante dei tempi del processo e sono state scartate. La legge n. 46 del 2006 aveva accolto una opzione che privilegiava la ragionevole durata del processo. La legge aveva posto come regola generale la non appellabilità delle sentenze di proscioglimento salvo un caso eccezionale espressamente previsto dall'art. 593 , comma 2: l'appello poteva essere proposto soltanto in presenza di una nuova prova decisiva emersa dopo la chiusura del giudizio di primo grado. In sostanza, la legge aveva sottratto al pubblico ministero la facoltà di appellare il proscioglimento; alla pubblica accusa e all'imputato era rimasta la possibilità di proporre il ricorso per cassazione. Al tempo stesso il legislatore aveva ampliato i motivi di ricorso per cassazione. La asserita lesione del principio di parità delle parti. La sentenza della Corte cost. 6 febbraio 2007 n. 26 ha dichiarato illegittimo il divieto, posto al pubblico ministero, di presentare appello contro il proscioglimento dell'impu tato (art. 593 comma 2 c.p.p., mod. dalla legge n. 46 del 2006). A giudizio della
V.II.3
L'appello
839
Corte, la norma censurata era in contrasto con il principio di parità delle parti nel processo penale (art. 1 1 1 comma 2 Cost.), anche se tale principio non comporta necessariamente « l'identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato ». Anzi, è stata la stessa Corte a ricordare, richiamando un indirizzo costante, come il potere di appello del pubblico ministero presenti margini di cedevolezza maggiori rispetto all'analogo potere dell'imputato, il quale si àncora solidamente al principio dell'inviolabilità della difesa (art. 24 Cost.). Tuttavia, nel caso in esame, il divieto di appellare il proscioglimento provocava, secondo la Consulta, una diseguaglianza non sor retta da ragionevole giustificazione. La diseguaglianza è apparsa alla Corte irragionevole perché l'imputato poteva appellare la « soccombenza » (e cioè la condanna) , mentre altrettanto non poteva fare il pubblico ministero (in caso di « soccombenza » rispetto al proscioglimento); ed inoltre è stata ritenuta « unilaterale » perché non trovava contropartita nelle caratteristiche del rito. Inoltre, la sperequazione non risultava attenuata dalla possibilità di appel lare il proscioglimento in presenza di nuove prove decisive perché una simile possibilità presentava « connotati di eccezionalità », tali da relegarla ai margini della esperienza applicativa. In definitiva, secondo il Giudice delle leggi, « l'alterazione del trattamento paritario dei contendenti, indotta dalla norma in esame, non (poteva) essere giustificata, in termini di adeguatezza e proporzio nalità » sulla base delle finalità della riforma. n ripristino del potere del pubblico ministero di appellare il prosciogli mento. Sulla base di tali motivi la Corte costituzionale, con la sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. l della legge n. 46 del 2006 e, di conseguenza, ha restituito al pubblico ministero il potere di proporre appello contro tutte le sentenze di proscioglimento pronunciate dal tribunale e dalla corte d'assise; in particolare, ha eliminato la condizione della sopravvenienza di una nuova prova decisiva (art. 593 , comma 2). L a singolarità sta nel fatto che l a sentenza ha voluto ripristinare l'appello del pubblico ministero contro il proscioglimento, ma al tempo stesso ha ammesso che tale soluzione comporta qualche aspetto di insoddisfazione. In un passo della motivazione la Corte ha affermato che l'appello della sentenza di proscio glimento non è persecutorio contro l'imputato perché in secondo grado vi è una « verifica piena della correttezza delle valutazioni del giudice di primo grado » (§ 7 . 1 ) . Successivamente la motivazione ha ammesso che nell'appello vi è una situazione di « diminuita garanzia » in rapporto ai princìpi di oralità e imme diatezza. Infatti, il Giudice delle leggi ha affermato che un proscioglimento in primo grado, fondato sul contraddittorio nella formazione della prova, può essere « ribaltato » da una condanna in secondo grado fondata « su una prova prevalentemente scritta » (§ 7 .3 ) . Così facendo, la sentenza costituzionale ha contraddetto se stessa in quello che aveva affermato qualche pagina prima.
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Soprattutto, la Corte non ha dedicato alcun cenno a quei profili di incostituzionalità della normativa del 1988 che erano stati formulati dalla dottrina (G. FruGo; T. PADOVANI; G. SPANGHER) e che avevano determinato l'intervento del legislatore nel 2006. La legittimazione ad impugnare la sentenza di proscioglimento da parte dell'imputato. La declaratoria di parziale illegittimità dell'art. 593 , comma 2 , aveva lasciato sostanzialmente inalterato il divieto, posto all'imputato, di pre sentare appello contro le sentenze di proscioglimento, se si eccettuava quel caso, che la stessa Corte aveva giudicato "eccezionale" , di nuova prova decisiva sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado. La situazione era tale che l'imputato non poteva lamentare errori di merito nei confronti di quelle sentenze di proscioglimento che avevano riconosciuto implicitamente la sua responsabilità penale (es. perdono giudiziale) o che avevano adottato formule non completamente liberatorie dalle quali potevano derivare a suo carico conseguenze pregiudizievoli sul piano civilistico (es. proscioglimento perché il fatto non è previsto dalla legge come reato) o anche soltanto dal punto di vista morale (es. proscioglimento per totale infermità di mente di persona non pericolosa). Queste limitazioni sono state prese in considerazione dalla successiva sentenza della Corte cost. 4 aprile 2008, n. 85 , che le ha ritenute tali da provocare una disparità non giustificata e non ragionevole (art. 1 1 1 , co. 2 Cost. ) rispetto al pubblico ministero che, nel frattempo, aveva riottenuto l a possibilità di impugnare in ogni caso il proscioglimento. Una situazione siffatta è apparsa lesiva del diritto di difesa dell'imputato, diritto « al quale la facoltà di appello ( . . . ) risulta collegata come strumento di esercizio ». Per tali motivi la Consulta con la sentenza n. 85 del 2008 ha dichiarato illegittimo l'art. l della legge n. 46 del 2006, ripristinando la situazione anteriore alla riforma; di conseguenza, ha restituito all'imputato il potere di appellare le sentenze di proscioglimento pronunciate dal tribunale e dalla corte d'assise, salvo quelle relative a contravvenzioni punibili con la sola ammenda o con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda. Pertanto, sempre limitatamente al procedimento presso il tribunale e la corte d'assise, l'imputato può proporre appello (naturalmente, ove vi sia interesse ad impugnare) contro le sentenze di proscioglimento per tutti i delitti e per quelle contravvenzioni che sono punibili con l'arresto solo o unito ad ammenda (es. possesso ingiustificato di grimaldelli, art. 707 c.p.; fabbricazione di materie esplodenti, art. 678 c.p.) . I casi espressi di inappellabilità del proscioglimento. Vi sono singoli casi nei quali la legge pone un espresso divieto di presentare appello contro sentenze di proscioglimento. Ai sensi dell'art. 443 , comma l , l'imputato non può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio abbreviato. Inoltre, l'art. 469 dichiara non appellabile la sentenza predibatti-
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mentale di proscioglimento pronunciata in mancanza di una opposizione del pubblico ministero e dell'imputato. L'impugnazione contro la misura di sicurezza. L'art. 579, richiamato dal comma l dell'art. 593 , impedisce di impugnare separatamente l'applicazione di una misura di sicurezza quando la parte non propone una impugnazione contro un altro capo penale della sentenza di condanna o di proscioglimento. Pertanto, per effetto della sentenza costituzionale n. 85 del 2008, l'imputato è legittimato a presentare appello anche quando egli impugna una misura di sicurezza unitamente ad un capo della sentenza di proscioglimento agli effetti della responsabilità penale; ad es., quando propone appello contro la misura di sicurezza dell'ospedale psichiatrico giudiziario unitamente al proscioglimento per totale vizio di mente. Viceversa, quando è impugnata la sola misura di sicurezza, sull'impugnazione decide il tribunale di sorveglianza (art. 680; ad eccezione della confisca, che è impugnabile con i mezzi previsti per i capi penali: v. art. 579, comma 3 ) . L'appello del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. La legittimazione all'appello del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria deriva dall'art. 575 , che consente a tali soggetti l'impugnazione « con il mezzo che la legge attribuisce all'imputato ». c) L'impugnazione della parte civile. In base ad una delle norme generali contenute nel libro nono del codice, la parte civile può " impugnare " , agli effetti della responsabilità civile, la sentenza di condanna e quella di proscio glimento. La Corte di cassazione (Sez. un. , 29 marzo 12 luglio 2007 , Poggiali, in Cass. pen. , 2007 , 445 1 ) è intervenuta sul punto enunciando il seguente principio: « la parte civile, anche dopo l'intervento sull'art. 576 c.p.p. ad opera dell'art. 6 della legge n. 46 del 2006, può proporre appello, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di primo grado ». Sulla base della decisione appena citata, possiamo trarre la conclusione che la giurisprudenza di legittimità è attualmente orientata a ritenere che la parte civile può appellare la sentenza che conclude il giudizw di primo grado, sia essa di condanna o di proscioglimento. -
La motivazione della sentenza della Cassazione. La portata della decisione delle Sezioni unite si può cogliere agevolmente ripercorrendo i lavori preparatori della legge n. 46, così come esposto nella motivazione della sentenza. il Parlamento ha espresso chiaramente la volontà di mantenere il potere di appello della parte civile. L'intento è stato attuato eliminando dall'originario testo dell'art. 576 l'inciso « con il mezzo previsto per il pubblico ministero ». La caduta del ricordato inciso ha creato problemi perché doveva essere interpretata alla luce del principio di tassatività, che fonda l'intero sistema delle impugnazioni (art. 568, comma 1 ) . Poiché l'art. 576 non attribuisce espressamente alla parte civile il potere di appello, in base al principio di tassatività la parte civile non avrebbe potuto proporre tale gravame né contro la sentenza di condanna, né contro
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quella di proscioglimento. Se mai, la parte civile sarebbe restata titolare dell'unico rimedio concesso a tutte le parti contro le sentenze, e cioè del ricorso per cassazione per soli motivi di legittimità (art. 568, commi 2 e 3 ) . In definitiva, il Parlamento avrebbe ottenuto inconsapevolmente un effetto opposto a quello che voleva perseguire. Quella, che è stata definita dalle Sezioni unite « macroscopica divaricazione tra la voluntas legis e l'apparente portata prescrittiva » dell'art. 57 6, avrebbe portato ad una soluzione inaccettabile. Una volta che il codice ammette il danneggiato a costituirsi parte civile, pare « irragionevole precludergli radicalmente la possibilità di appello con possibili effetti pregiudizievoli per la sua pretesa di risarcimento danni da reato ». Sulla base di questa considerazione, le Sezioni unite hanno accolto una esegesi « costituzio nalmente orientata », che ricostruisce il sistema dando al principio di tassatività una interpretazione « meno rigida e restrittiva » ed attribuendo rilevanza alla volontà del legislatore, ricavabile con certezza dai lavori preparatori. In tal modo l'art. 57 6 è stato letto nel senso che alla parte civile « è consentita ogni forma di impugnazione ordina ria ». Questa interpretazione, secondo le Sezioni unite, troverebbe conforto in altre disposizioni che diventerebbero irragionevoli ove alla parte civile fosse negato il potere di appellare le sentenze di condanna e di proscioglimento.
L'appello della sola parte civile. Nel caso in cui, all'esito del giudizio, sia pronunciata una sentenza di assoluzione, può accadere che la parte civile faccia appello avverso la decisione medesima mentre, al contrario, il pubblico mini stero resti inerte e non proponga appello. In questa eventualità, poiché quella della parte civile è un'impugnazione ai soli effetti della responsabilità civile, la sentenza di assoluzione non appelata dal pubblico ministero diventa irrevoca bile sotto il profilo penale. Sia ben chiaro: la parte civile impugna la decisione di assoluzione per ottenere la condanna alle restituzioni e al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali. Ma tale condanna ha un presupposto logico: l'accertamento della responsabilità penale dell'imputato. Peraltro, la parte civile non può limitarsi soltanto alla richiesta di una declaratoria di colpevolezza sulla responsabilità penale, perché il petitum in questo caso sarebbe diverso da quello consentito dalla legge e, di conseguenza, l'impugnazione sarebbe inammissibile. La domanda civile deve, invece, a pena di inammissibilità, fare riferimento specifico e diretto agli effetti civilistici che si intendono ottenere, cioè la condanna al risarcimento del danno. Da tale disciplina consegue che il giudice, chiamato a decidere sull'appello della parte civile, dovendo pronunciarsi su una domanda civile che dipende da un accertamento sul fatto di reato, può, in via incidentale, affermare la responsabilità penale dell'imputato. In tal caso, il giudicato si sdoppia, e si avranno due differenti decisioni: un giudicato di assoluzione ai fini penali ed una sentenza di appello che afferma la responsabilità dell'imputato come presupposto della condanna al risarcimento e che è idonea a diventare un giudicato se confermata in cassazione.
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Sopravvenuta prescrizione del reato e decisione ai soli effetti civili. Oc corre sottolineare che il codice tutela la parte civile contro gli effetti della dichiarazione di non doversi procedere per sopravvenuta amnistia o prescri zione. Infatti, ai sensi dell'art. 578, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione (o per amnistia), decidono sull'im pugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Pertanto, il danneggiato con la sua impugnazione può ottenere una condanna in sede di appello anche se, ai fini penali, la medesima corte dichiara di non doversi procedere per prescrizione del reato. d) L'appello del querelante. Il querelante (art. 576, comma 2) può pro porre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento che lo ha condan nato al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato, nonché alle spese e al risarcimento del danno in favore dell'imputato e del responsabile civile (artt. 427 e 542). Il mezzo di impugnazione è quello previsto per la parte civile (e cioè, in base alla giurisprudenza, l'appello) ; l'impugnazione è limitata agli interessi civili. e) La conversione del ricorso in appello. Come abbiamo accennato nel precedente capitolo (parte V, cap. l , § 2, lett. d) una sentenza può contenere pronunce su più reati: ogni capo contiene una decisione su di una imputazione. Sulla singola imputazione il giudice può pronunciare una condanna o un proscioglimento. Contro i singoli capi della sentenza il codice può prevedere differenti tipi di impugnazioni; ad esempio, la condanna pronunciata nel rito abbreviato può essere sottoposta ad appello da parte dell'imputato e a ricorso per cassazione da parte del pubblico ministero (art. 443 ). Ove ciò avvenga, la legge vuole evitare che siano resi giudizi contrastanti in sede di impugnazione in relazione al medesimo fatto di reato e a reati connessi (art. 12). La finalità è perseguita mediante l'istituto della conversione del ricorso per cassazione nell'appello. Ai sensi dell'art. 580, mod. dalla legge n. 46 del 2006, « quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi, nel caso in cui sussista la connessione di cui all'articolo 12, il ricorso per cassazione si converte nell'appello ». La disposizione configura un rimedio preventivo contro il sorgere di giudicati contrastanti sul medesimo reato o su reati connessi; si vuole garantire l'unità della regiudicanda nel corso dei gradi del processo. Regolamentazione. La conversione opera automaticamente ape legis, quando su almeno un capo è stato proposto appello. Così, può accadere che da parte di uno dei soggetti legittimati sia stato proposto l'appello e da almeno un altro soggetto il ricorso per cassazione: quest'ultima impugnazione si converte in appello. Ma può anche avvenire che una medesima parte abbia proposto un appello e un ricorso per cassazione
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contro capi aventi ad oggetto reati connessi: egualmente, il ricorso per cassazione si converte in appello. La conversione non comporta una modifica del contenuto dell'impugnazione, che resta quello originariamente previsto dalla legge (Cass., sez. un., 18 giugno 1 993 , Rabiti, in Cass. pen. , 1994 , 556). Ciò significa che la corte d'appello ha un potere di cognizione limitato alla censura di legittimità. Qualora l'appello, originariamente proposto, avesse investito anche pro@i di merito, la corte d'appello dovrà ovviamente giudicare anche su di quelli. In ogni caso, la corte d'appello mantiene i propri originari poteri; e cioè non deve annullare, come farebbe la corte di cassazione, bensì deve confermare o riformare la sentenza; può annullare soltanto se ricorra una delle ipotesi di nullità tassativamente previste dall'art. 604.
4.
La cognizione del giudice di appello.
Come abbiamo anticipato descrivendo i capi e punti della decisione e l'effetto devolutivo delle impugnazioni in generale, « l'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti » (art. 597 comma 1 ) . L'appello può essere definito un gravame nel senso che in astratto è idoneo a devolvere al giudice superiore l'intera causa; in concreto la cognizione del giudice superiore è limitata ai punti indicati dai motivi di impugnazione formulati dalla parte: tantum devolutum quantum appellatum. È bene precisare che oggetto del giudizio di appello non è il motivo bensì, come si desume dalla lettera dell'art. 597 comma l , il punto della decisione al quale il motivo si riferisce (e cioè una tematica che deve essere trattata per decidere su di un capo di imputazione; v. supra, cap. I, par. 2 , lett. d). Pertanto, il giudice di appello, nell'accertamento della correttezza dell'operato del giudice di primo grado in relazione al punto impugnato, non è obbligato a limitarsi alle prospet tazioni effettuate dall'appellante nella proposizione dei motivi. Ad esempio, in relazione all'elemento psicologico, se il giudice di primo grado aveva ritenuto che sussistesse dolo, mentre l'impugnante aveva affermato la sussistenza della colpa, il giudice d'appello può concludere per la preterintenzione. L'appello del pubblico ministero. In particolare, quando appellante è il pubblico ministero (art. 597 comma 2 ) : a) s e l'appello riguarda una sentenza d i condanna, il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una defini zione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge; b) se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a, ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;
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c) se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza. L'appello del solo imputato: il divieto di reformatio in peius. Veniamo alla cognizione del giudice quando appellante è il solo imputato (art. 597 comma 3 ). In tal caso, il giudice non può riformare in peius la sentenza appellata (v. tav. 5 .2.3). S e l a sentenza impugnata è di condanna, il giudice d i appello « non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave »; tuttavia, entro i limiti dei motivi di impugnazione, il giudice di appello può dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado (6). Se la sentenza di primo grado è di proscioglimento, il giudice di appello non può « prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici ». In caso di appello del solo imputato, sempre e comunque il giudice di secondo grado ha la potestà di ufficio (cioè, anche se non richiesto dall'appello dell'imputato) di applicare la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti (art. 597 , comma 5 ) . È chiaro che il divieto di re/ormatio in peius non concerne le disposizioni civili della condanna di primo grado (ovviamente in caso di conferma della sentenza appellata), così come esso non impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza obbligatorie ex lege. Se non sono impugnati tutti i punti della sentenza, la cognizione del giudice di secondo grado può estendersi ai punti legati da un vincolo di connessione essenziale di tipo logico con quelli impugnati (art. 597 comma 1 ) . È naturale che, quando sono appellanti tanto il pubblico ministero quanto l'imputato e sono appellati tutti i capi di sentenza e tutti i punti della decisione, la cognizione del giudice sia la più completa, comprendendo sia i provvedimenti in peius (contra reum) , sia quelli in melius (pro reo). 5.
n predibattimento in appello.
Gli atti preliminari al dibattimento sono destinati a far conoscere al procuratore generale, al presidente ed al consigliere relatore nonché al difensore il fascicolo processuale, la sentenza e l'appello o gli appelli ed a preparare il contraddittorio dibattimentale. A tal fine, l'art. 601 prescrive che il presidente della sezione della corte (6) il giudice è tenuto a diminuire la pena « se è accolto l'appello (. .. ) relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per continuazione >> (art. 597, comma 4).
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ordini senza ritardo la citazione dell'imputato appellante, nonché dell'imputato non appellante se vi è appello del pubblico ministero, se è possibile l'effetto estensivo dell'impugnazione a favore dell'imputato non appellante « o se l'ap pello è proposto per i soli interessi civili ». n presidente, inoltre, deve fissare l'udienza dibattimentale, formare il turno giudicante ed assegnare il caso ad un relatore. Da notare che il decreto di citazione per il giudizio di appello ha un contenuto assai più limitato del decreto di citazione di primo grado, in quanto contiene solo alcuni dei requisiti previsti dall'art. 429 (più specificamente, le lettere a, f e g; es., la data ed il luogo dell'udienza) , con in più l'indicazione del giudice competente. Il termine per comparire, anche per il difensore, non può essere inferiore a venti giorni (art. 601 comma 3 ) . « È ordinata in ogni caso la citazione del responsabile civile e della parte civile; questa è citata anche quando ha appellato il solo imputato contro una sentenza di proscioglimento » (art. 601 comma 4). Il decreto di citazione è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dall'art. 429 comma l lett. /; nonché se la notificazione è nulla (v. artt. 1 7 1 e 1 6 1 comma 4). Nel decreto sono riportati gli estremi della sentenza appellata, ma non il capo di imputazione. Se l'imputato è detenuto, anche per altra causa, il presidente deve disporne la traduzione per l'udienza, facendo scrivere alla direzione del carcere. 6.
Provvedimenti in ordine all'esecuzione delle condanne civili.
L'art. 600 comma l prevede che, se il giudice di primo grado ha omesso di provvedere sulla richiesta di provvisoria esecuzione del capo civile contenente la pronuncia riparatoria (provvisionale compresa) ovvero l'ha rigettata, la parte ci vile può riproporre la richiesta, la quale deve essere sorretta da giustificati motivi (art. 540, comma 1 ) , mediante appello. n giudice di secondo grado provvede con ordinanza in camera di consiglio. n rinvio all'art. 127 fa capire, ovviamente, che devono essere citati, oltre al procuratore generale, il responsabile civile e l'im putato, nonché i loro difensori. È da segnalare che tale provvedimento può essere emesso prima della discussione dell'appello principale. L'inibitoria civile. L'art. 600, commi 2 e 3 prevede quell'istituto che, con parallelismo con il processo civile, è chiamato " inibitoria civile" , prescrivendo che, sempre con le forme camerali del comma l , il responsabile civile e l'imputato possano chiedere la revoca o la sospensione della provvisoria esecu zione « quando ricorrono gravi motivi » (7) . (7)
Corte cost., 19-27 luglio 1994, n . 353, in Cass. pen., 1995, 267.
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La richiesta della parte civile o l'inibitoria del responsabile civile debbono essere proposte mediante l'appello e, concorrendo "giustificati motivi" o "gravi motivi" , devono essere decise prima del dibattimento. Occorre chiederci quali siano i giustificati motivi che legittimano il giudice di appello ad accogliere la domanda della parte civile e quali i gravi motivi che legittimano l'imputato o il responsabile civile a chiedere, pregiudizialmente rispetto alla discussione del l'intera causa, la revoca o la sospensione della provvisoria esecuzione. Ad esempio, su un fronte, si tratterà di operazioni simulate che, nelle more, stanno compiendo l'imputato od il responsabile civile; sull'altro, si tratterà del possibile fallimento dell'imputato o del responsabile civile, quando sia prevedibile che la parte civile, dopo la decisione sfavorevole contenuta nella successiva sentenza di appello, possa non restituire quanto corrispostole. L'ordinanza, qualunque ne sia il contenuto, è, ai sensi dell'art. 127 comma 7, impugnabile in cassazione. Da segnalare che, comunque, le pronunce del giudice di appello sull'azione civile, contenute nella sentenza, sono immediatamente esecutive (art. 605 comma 2 ) . 7.
Lo svolgimento del giudizio d i appello. L'udienza pubblica.
L'art. 598 prescrive che « in grado di appello si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni relative al giudizio di primo grado », salvo quanto previsto dall'art. 599 e dall'art. 603 . Il primo atto del dibattimento in appello è la relazione della causa, che è svolta dal presidente o dal consigliere da lui delegato (art. 602) . Nel dibattimento di appello può essere data lettura, anche d'ufficio, di atti del giudizio di primo grado e degli atti del fascicolo per il dibattimento (art. 602 comma 3 ) . Dalla natura di " controllo" , che il legislatore attribuisce al grado di appello, deriva come conseguenza che l'assunzione di prove è configurata come ecce zionale; pertanto, essa è prevista espressamente dal codice. In base al sistema, il luogo naturale dell'assunzione della prova è il giudizio di primo grado, carat terizzato dall' oralità; di regola, l'assunzione in appello è lasciata al potere ampiamente discrezionale del giudice, che in ogni caso si avvale della lettura degli atti del fascicolo per il dibattimento (art. 602 , comma 3 , cit.) . L e ipotesi eccezionali di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, con tenute nell'art. 603 , prevedono attenuazioni più o meno significative del potere discrezionale del giudice (v. tav. 5 .2.2) e dimostrano che è sempre presente una situazione di tensione con il diritto alla prova, riconosciuto dalla Costituzione in favore di tutte le parti (art. 24) e precipuamente dell'imputato (art. 1 1 1 , comma 3 ) . La rinnovazione dell'istruzione può essere disposta sia su richiesta di parte, sia dal giudice d'ufficio. La rinnovazione dell'istruzione su richiesta di parte. La rinnovazione dell'istruzione dibattimentale deve essere chiesta espressamente dalla parte
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nell'atto di appello o nei motivi nuovi (presentati a norma dell'art. 5 85 , comma 4): tuttavia, può essere chiesta anche dopo detto termine, ove l'interessato venga a conoscenza dell'elemento di prova soltanto in un momento successivo. Prove già acquisite. Quando la richiesta ha per oggetto l'assunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o di nuove prove (qui intese come prove già note all'interessato nel giudizio precedente, ma non acquisite in quella sede), il giudice di appello dispone la rinnovazione dell'istruzione qualora ritenga di « non essere in grado di decidere allo stato degli atti » (art. 603 , comma 1 ) . Le prove sopravvenute o scoperte. Diversa è la situazione nella quale « le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado »: in tale ipotesi, « il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale con ordinanza, sentite le parti » (art. 603 , comma 2). Dunque, in caso di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, la rinnovazione deve essere disposta dal giudice di appello e ciò avviene secondo i parametri validi per l'ammissione dei mezzi di prova nel giudizio di primo grado: pertinenza e non manifesta irrilevanza (art. 190) . La rinnovazione d'ufficio. Come si è accennato, la rinnovazione può essere disposta anche dal giudice d'ufficio. Egli può esercitare tale potere quando ritiene la rinnovazione assolutamente necessaria per l'accertamento del fatto (art. 603 comma 3 ) . In tale norma riappare quel potere di iniziativa probatoria del giudice, che è espresso in primo grado dall'art. 507 e che caratterizza il sistema di disponibilità attenuata del processo penale italiano. La rinnovazione dell'istruzione in caso di contumacia. Una disciplina particolare è prevista in caso di contumacia. Il comma 4 dell'art. 603 prevede la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale quando l'imputato, contumace in primo grado, nel corso del giudizio di appello ne fa richiesta. L'imputato ha l'onere della prova dei presupposti, e cioè che egli « non è potuto comparire nel giudizio di primo grado per caso fortuito o forza maggiore, ovvero per incolpevole ignoranza della citazione a giudizio, salvo che egli non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti processuali ». Sulla richiesta di rinnovazione « il giudice provvede con ordinanza, nel contraddittorio delle parti » e si procede immediatamente. In caso di impossibilità, il dibattimento è sospeso per un termine non superiore a dieci giorni (art. 603 , commi 5 e 6). Le modalità di assunzione della prova in appello. C'è dibattito in giuri sprudenza sulle modalità di escussione dei testi in caso di rinnovazione del dibattimento in appello. Malgrado l'articolo 598 richiami le norme sul dibatti mento in primo grado « in quanto compatibili », si è talora ritenuto che la conoscenza degli atti da parte del giudice di appello renda inutile l'esame incrociato del teste. A nostro avviso non ci sono limiti all'oggetto delle conte stazioni; ed allora, in considerazione del fatto che il diritto ad esaminare il dichiarante rientra nel diritto di difesa garantito « in ogni stato e grado del
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procedimento » (art. 24 Cost. ) e che il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova (art. 1 1 1 comma 4 Cost.), riteniamo che anche in grado di appello debba farsi luogo ad esame incrociato. La discussione in appello. Nell'udienza di appello, che di regola è pubblica, la parola passa nell'ordine consueto al procuratore generale, al difensore della parte civile, al difensore del responsabile civile ed a quello della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. L'ultima parola spetta al difensore dell'imputato (art. 602 comma 4). Esaurita la discussione, il presidente dichiara chiuso il dibattimento (art. 524) ed il collegio si ritira in camera di consiglio. La deliberazione avviene ai sensi dell'art. 527 , sotto la direzione del presidente. Dopodiché viene redatto e sottoscritto dal presidente il dispositivo. n collegio rientra in aula ed il presi dente pubblica il dispositivo dandone lettura. 8.
L'udienza in camera di consiglio.
Vi sono ipotesi nelle quali il giudizio di appello si svolge in camera di consiglio nelle forme dell'art. 127; in detti casi di regola non è necessaria la presenza del pubblico ministero, dei difensori e dell'imputato. La presenza dell'imputato è necessaria quando questi abbia manifestato la volontà di comparire; la presenza del pubblico ministero e dei difensori è necessaria quando si proceda ad acquisizioni probatorie ex art. 603 . L'udienza in forma camerale ha luogo: a) nel caso di appello contro le sentenze emesse nel giudizio abbreviato (art. 443 comma 4 ) ; b ) quando l'appello h a esclusivamente per oggetto l a specie o l a misura della pena o l'applicabilità delle attenuanti generiche, di sanzioni sostitutive, della sospensione condizionale della pena, della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale (art. 599 comma l ) ; c) quando oggetto dell'appello sono i provvedimenti in ordine all' esecu zione delle condanne civili (art. 600), e cioè se la parte civile ripropone la richiesta di provvisoria esecuzione della condanna (art. 600 comma l ) o se l'imputato chiede la revoca o la sospensione della stessa (art. 600 comma 2 ) ; ed inoltre se viene chiesta la sospensione dell'esecuzione della provvisionale (art. 600 comma 3 ) ; n concordato in appello. n d.l. n . 92 del 2008, conv. in legge 24 luglio 2008, n. 125, ha abrogato quell'istituto che era denominato " concordato in appello" . Il codice (art. 599, commi 4 e 5 ) consentiva al pubblico ministero e all'imputato di mettersi d'accordo sull'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello di qualsiasi genere, anche di quelli in punto di responsabilità. Il patto poteva comportare l'accoglimento di alcuni motivi e la rinuncia ad altri ed era perfezionato nelle medesime forme che disciplinano la rinuncia all'impugna-
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zione (art. 589). In sostanza, le parti indicavano al giudice quali motivi ritene vano che dovessero essere accolti; se tale accoglimento comportava una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero e l'imputato indicavano al giudice anche la sanzione sulla quale erano d'accordo (art. 599 comma 4) (8). Il giudice non era vincolato dall'accordo: lo recepiva soltanto se riteneva di poterlo accogliere. In caso contrario, rigettava la richiesta congiunta e disponeva che il processo proseguisse. L'abrogazione con il decreto sicurezza. L'istituto aveva una qualche fun zione di riduzione dei tempi dell'appello e, di fatto, deflazionava anche i ricorsi per cassazione, che erano destinati ad essere dichiarati inammissibili. La sua eliminazione può spiegarsi con la tendenza a rendere più severi i trattamenti sanzionatori, ma ciò avverrà allungando i tempi della definizione dei pro cessi (9). L'abrogazione dei commi 4 e 5 dell'art. 599 non ha impedito che, di fatto, si continui a patteggiare la pena in appello. Se il giudice assicura la sua disponibilità ad accogliere il concordato tra accusa e difesa, l'imputato rinuncia a quei motivi che ritiene pretestuosi. 9.
Questioni di nullità e natura della giurisdizione d'appello.
L'art. 604, norma di cardinale importanza per comprendere l'essenza stessa del giudizio di appello, esprime il divieto di regresso del processo di appello al primo grado. Sicché, quando sono state ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti o sono state applicate circostanze aggravanti diverse da quelle previste dal comma l (ad efficacia o ad effetto speciale), il giudice di appello esclude le circostanze aggravanti, effettua, se occorre, un nuovo giudizio e ridetermina la pena (art. 604 comma 2). S e s i tratta di nullità relative, eccepite m a non sanate, i l giudice d i secondo grado « può ordinare la rinnovazione degli atti nulli o anche, dichiarata la nullità, decidere nel merito, qualora riconosca che l'atto non fornisce elementi necessari al giudizio » (art. 604 comma 5 ) . Quando il giudice di primo grado ha dichiarato (8) n concordato in appello non aveva niente in comune con il patteggiamento: non erano previsti benefici né la riduzione della pena fino ad un terzo. Si trattava di un concordato sulla riduzione della pena concretamente inflitta, ma comunque non sotto il livello del minimo edittale e supponeva la rinuncia dell'appellante agli altri motivi dell'appello. La definizione più appropriata era dunque quella di "concordato sui motivi e sulla pena". L'istituto stimolava le parti ad un comportamento responsabile, attraverso l'abbandono dei motivi pretestuosi e il riconoscimento, con conseguente accordo, di quelli di qualche effettivo spessore. n vantaggio consisteva nel concordare la misura ed il tipo di pena. (9) Un collegamento tra concordato e patteggiamento è stato prospettato dalla Relazione al Dd! di conversione del decreto-legge n. 92 del 2008, nella quale si è sostenuto che la possibilità del concordato in appello aveva in pratica vanificato la deflazione del procedimento mediante l'istituto del patteggiamento. Infatti - si è affermato - gli imputati erano indotti a non presentare la richiesta di applicazione della pena in udienza preliminare poiché erano certi di poter ottenere comunque una riduzione della sanzione in appello.
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che il reato è estinto o che l'azione non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rin novazione del dibattimento e decide nel merito (art. 604 comma 6). Quando vi è stata condanna per un reato concorrente o per un fatto nuovo, il giudice di appello dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena corri spondente, disponendo che del provvedimento sia data notizia al pubblico mi nistero per le sue determinazioni (art. 604 comma 3 ) . In tal caso, il regresso del dibattimento è evitato mediante separazione dei capi di imputazione e dei relativi procedimenti. Infine, quando il giudice di primo grado ha respinto la domanda di ablazione, il giudice di appello, se riconosce erronea tale decisione, accoglie la domanda e sospende il dibattimento, fissando un termine non superiore a dieci giorni per il pagamento delle somme dovute. Se il pagamento avviene nel termine, il giudice di appello pronuncia sentenza di proscioglimento (art. 604 comma 7 ) . n regresso del dibattimento di appello al primo grado è istituto eccezionale, consentito in primo luogo quando il giudice di secondo grado dichiara la nullità della sentenza per difetto di contestazione nei casi previsti dall'art. 522, dispo nendo la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Deve essersi verificata, in primo grado, la condanna per fatto diverso o l'applicazione di una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa od una circostanza aggravante ad effetto speciale, e sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti, nel quale ultimo caso non si ha regresso del procedimento (art. 604, comma l ) ( 10). Inoltre il regresso si verifica nel caso in cui il giudice di appello accerti una nullità assoluta, o intermedia che non sia stata sanata, da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado. In tal caso, dichiarata la nullità con sentenza, rinvia gli atti al giudice che procedeva al momento in cui la stessa si è verificata (art. 604 comma 4). In caso di regressione di cui al comma l della norma in esame, il giudice di appello trasmette gli atti ad altra sezione della corte di assise o dello stesso tribunale ovvero, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini. Se annulla una sentenza di un giudice monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, dispone la trasmissione degli atti al medesimo tribunale: « tuttavia il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata » (art. 604 comma 8). ( 10) Qualora, invece, il difetto d i contestazione riguardi un reato concorrente o un fatto nuovo, il giudice di appello, dopo aver dichiarato « la nullità del relativo capo della sentenza e eliminato la pena corrispondente, ne dà notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni >> relative all'esercizio dell'azione penale (art. 604 comma 3 ) .
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10. L a sentenza del giudice di appello.
Di regola il giudice di appello pronuncia sentenza con la quale conferma o riforma (e cioè, modifica) la sentenza appellata (art. 605, comma 1 ) . I casi nei quali il giudice annulla la sentenza appellata sono eccezionali e sono previsti nell'art. 604, del quale abbiamo già trattato. Le pronunce del giudice di appello sull'azione civile sono immediatamente esecutive (art. 605 , comma 2). Copia della sentenza di appello, con gli atti del procedimento, è trasmessa senza ritardo, a cura della cancelleria, al giudice di primo grado, quando questi è competente per l'esecuzione e non è stato proposto ricorso per cassazione (art. 605, comma 3 ) . n ragionamento giuridico del giudice di appello. Posto che non vi sia stata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, il giudice di appello ha a disposi zione, sia pure in via " cartolare" , le stesse prove di cui disponeva il giudice di primo grado. Se conferma la sentenza, ciò significa che il giudice di primo grado non ha commesso errori. Se in secondo grado, invece, si riforma la sentenza, vuoi dire che il giudice di appello ha ragionato diversamente, sul piano probatorio o su quello giuri dico, dal giudice di primo grado. n giudice di appello ha tutti gli strumenti del ragionamento probatorio per criticare la sentenza di primo grado sulla base, si noti, degli stessi elementi di prova. Altrettanto deve dirsi per il ragionamento giuridico, una volta che il giudice d'appello abbia convenuto sulla ricostruzione del fatto compiuta in primo grado, ma ne modifichi la qualificazione giuridica (ad es., da omicidio volontario ad omicidio preterintenzionale) . Giudice d i primo grado e giudice d i appello hanno, dunque, gli stessi strumenti logico-argomentativi, ma possono ragionare in modo diverso. Ciò dipende dai motivi addotti dalle parti. Si potrebbe dire, in modo figurato, che nel giudizio d'appello non è l'imputato, ma la sentenza ad essere la protagonista. In altri termini, il contraddittorio d'appello comporta una nuova verifica e, quindi, la scoperta dell'eventuale errore. Un esempio di errore di fatto è una testimonianza giudicata inattendibile; un esempio di errore di diritto è la considerazione della sufficienza del dolo generico nella ricettazione. In definitiva, l'appello rientra nei " gravami" , che costituiscono gli strumenti attraverso i quali si realizza il doppio grado di giurisdizione. La loro funzione è quella non soltanto di denunciare un vizio della sentenza, ma di provocare un nuovo giudizio sul rapporto sostanziale sulla base, eventualmente, di nuove prove. Se l'impugnazione è accolta, la sentenza di appello ha carattere sostitu tivo rispetto a quella impugnata.
CAPITOLO III IL RICORSO PER CASSAZIONE
SoMMARIO: l. La corte di cassazione come supremo organo giurisdizionale. - 2. I motivi del
ricorso per cassazione. - 3. La inammissibilità del ricorso per cassazione. - 4. Cognizione e ragionamento giuridico della corte di cassazione.
-
6. La tipologia delle sentenze della suprema corte.
5. Il procedimento in cassazione. -
7. Il giudizio di rinvio.
-
-
8. Il
provvedimento abnorme.
l.
La corte di cassazione come supremo organo giurisdizionale.
L'art. 1 1 1 Cast., premesso che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati (comma 6), prescrive che contro le sentenze e contro i provve dimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge (comma 7 ) . Dalla norma appena menzionata s i comprende che i l ricorso per cassazione è ammesso per motivi di legittimità. In altri termini, di regola è bandito dal giudizio di cassazione il giudizio di fatto. La corte di cassazione, quale giudice di legittimità, è giudice di solo diritto: essa, più che criticare la ricostruzione del fatto (come fa il giudice di secondo grado) , controlla la sentenza di appello limitatamente ai motivi formulati dalla parte che ha proposto ricorso. Inoltre, a differenza dell'appello, i motivi del ricorso per cassazione costi tuiscono un "numero chiuso" , come vedremo quando esamineremo l'art. 606; viceversa, ricordiamo che i motivi di appello sono tendenzialmente illimi tati. In sintesi, seguendo il pensiero processuale di stampo liberale che ispira l'istituto, la corte di cassazione svolge una funzione di controllo sul giudice di merito, perché egli rispetti il principio di legalità penale e processuale, e costituisce un presidio non solo per l'imputato, ma anche per la collettività, garantita dal ricorso del pubblico ministero presso il giudice a qua. Funzioni della corte di cassazione. Secondo l'art. 65 dell'ordinamento giudiziario, la corte di cassazione, quale « organo supremo della Giustizia », svolge le seguenti funzioni: l ) assicura l'esatta osservanza della legge eliminando gli errori di interpre tazione della medesima (questa funzione è denominata nomofilachia);
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2) assicura l'uniforme interpretazione della legge sul territorio nazionale; 3 ) assicura il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni e regola i conflitti di competenza e di attribuzione (art. 28); 4) adempie agli altri compiti ad essa conferiti dalla legge (ad es. , in materia di raccolta delle sottoscrizioni referendarie) . L a corte suprema di cassazione h a sede in Roma e d h a giurisdizione s u tutto il territorio della Repubblica e su ogni altro territorio soggetto alla sovranità dello Stato. La corte è divisa in sezioni; queste sono composte da un presidente e da quattro consiglieri ciascuna, con attribuzioni differenziate per materia. L'organico è formato dal primo presidente, da presidenti di sezione e da circa trecentocinquanta consiglieri. Le sezioni unite. Quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni o quando le questioni proposte sono di speciale importanza (ad es., perché si tratta di una questione che si presenta per la prima volta) il presidente della corte, su richiesta del procuratore generale, dei difensori delle parti o anche d'ufficio, assegna il ricorso alle sezioni unite (art. 610 comma 2). L a singola sezione può rimettere il ricorso alle sezioni unite s e rileva che la questione di diritto, sottoposta al suo esame, ha dato luogo (o può dar luogo) ad un contrasto giurisprudenziale (art. 618). Le sezioni unite sono composte da otto consiglieri e presiedute dal primo presidente. Questi può restituire il ricorso alla sezione semplice qualora siano stati assegnati alle sezioni unite altri ricorsi sulla medesima materia, ovvero il contrasto giurisprudenziale sia superato (art. 172 disp. att.) . L'autorevolezza della sentenza delle sezioni unite è maggiore di quella della sezione semplice. I provvedimenti impugnabili con ricorso per cassazione. Ai sensi dell'art. 568 comma 2, sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze. Da tale disposizione si ricava che sono ricorribili per cassazione le sentenze non appellabili e le sentenze pronunciate in grado di appello. In particolare, non sono sottoponibili a ricorso per cassazione le ordinanze che possono dar luogo ad un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell'art. 28 perchè detti provvedimenti hanno una natura meramente processuale e non sono definitivi (si veda, supra, parte II, cap. l , § 2, lett. g) . La legittimazione ad impugnare. L'imputato può ricorrere per cassazione contro la sentenza di condanna o di proscioglimento (art. 607) ovvero contro la sentenza di non luogo a procedere salvo che con la stessa sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso (art. 428 comma l lett. b) ; può, inoltre, ricorrere contro le sole disposizioni della sentenza che riguar dano le spese processuali (art. 607 ) . Il procuratore generale presso l a corte di appello può ricorrere per cassa-
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zione contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento, pronunciata in grado di appello nel distretto, o inappellabile ( 1 ) . Ricorso in cassazione per saltum. S e tutte le parti sono consenzienti, è possibile "saltare" l'appello e ricorrere per cassazione contro la sentenza di primo grado. In base all'art. 569, la parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione. Si tratta del c.d. ricorso per saltum, in base al quale appunto una parte, col consenso delle altre, decide di chiedere subito e solo il sindacato di mera legittimità ad opera della corte di cassazione. Quando non vi è accordo delle parti, ove una di esse proponga ricorso per saltum e un'altra invece proponga appello, il ricorso si converte in appello (art. 569 comma 2, che rinvia all'art. 5 80). Il ricorso per saltum non è ammesso per i motivi di cui alle lettere d ed e dell'art. 606, e cioè quando si lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva o si addebita alla sentenza impugnata il vizio di omessa, contraddittoria o illogica motivazione. In detti casi il ricorso, eventualmente proposto, si converte in appello (569 comma 3 ). La ragione della limitazione dei motivi è dovuta al rilievo che, in tali ipotesi, se la cassazione accogliesse il ricorso, dovrebbe essere disposto l'annullamento con rinvio; viceversa, proponendo l'appello si permette al giudice di secondo grado di decidere direttamente nel merito e si risparmia un grado di giudizio. La difesa nel giudizio di legittimità. Davanti alla corte di cassazione vi è una normativa peculiare che concerne i difensori. La normativa tiene conto sia della particolare competenza richiesta, sia della norma costituzionale che attribuisce alle parti un generale potere di ricorso contro le sentenze e contro i provvedi menti sulla libertà personale (art. 1 1 1 , comma 7). In materia vige il principio secondo cui tutte le parti (anche l'imputato) sono rappresentate dai difensori che sono iscritti all'albo speciale della corte di cassazione (art. 6 1 3 , comma 1 ) . Ciò comporta due corollari: a ) le parti compaiono in udienza non personal mente bensì mediante i propri difensori, che svolgono funzioni di " rappresen tanza tecnica"; b) i medesimi devono essere iscritti presso l'albo speciale, pena la inammissibilità del ricorso o delle memorie da loro sottoscritte. Vi è anche una eccezione al principio: l'atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi possono essere sottoscritti personalmente dalla " parte" (es., imputato, parte civile) . In alternativa, i medesimi atti possono essere compiuti dai difen sori iscritti all'albo speciale. Fermo restando il requisito menzionato della iscrizione, il difensore nel procedimento di cassazione è quello che ha assistito la parte nell'ultimo giudizio ( l ) C'è, poi, una serie di ipotesi "speciali" di impugnazione. Esse hanno ad oggetto sentenze inappellabili e sono previste dall'art. 608. Il· procuratore della repubblica presso il tribunale può proporre ricorso per cassazione contro ogni sentenza inappellabile di condanna o di proscioglimento pronunciata dalla corte di assise, o dal tribunale, o dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale.
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o quello che è stato nominato per la proposizione del ricorso o successivamente (art. 613, comma 2 ) . Se l'imputato è privo del difensore di fiducia, il presidente del collegio provvede alla designazione del difensore d'ufficio a norma dell'art. 97 (art. 6 13 , comma 3 ) . Altra normativa peculiare concerne le notifiche degli avvisi. Per tutti gli atti che si compiono nel procedimento davanti alla corte, il domicilio delle parti è presso i rispettivi difensori (art. 6 1 3 , comma 2 ) ; soltanto nel caso di difensore d'ufficio, gli avvisi sono notificati, oltre al predetto, anche all'imputato (art. 6 13 , comma 4). 2.
I motivi del ricorso per cassazione.
Il ricorso per cassazione può proporsi soltanto per i seguenti motivi tassativamente indicati nell'art. 606 comma l (v. tav. 5 .3 .3 ) . lett. a ) Esercizio d a parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi o non consentita a pubblici poteri. Si tratta del vizio di eccesso di potere (nel senso di straripamento del medesimo) che si verifica quando il giudice ha usurpato un potere amministrativo (es. ha revocato o annullato un atto amministrativo) o quando ha esercitato un potere non consentito agli organi dello Stato (es. ha condannato una persona penalmente immune) . lett. b) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altra norma giuridica della quale si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale. Si tratta di errori in iudicando, che si verificano, ad esempio, quando il giudice ha qualificato erroneamente il fatto (es. ha definito insolvenza fraudo lenta, e non furto, lo scrocco in danno del benzinaio) . lett. c) Inosservanza delle norme processuali penali stabilite a pena di nullità, di inammissibilità, di inutilizzabilità o di decadenza. Non ogni errore in procedendo costituisce un vizio rilevabile in cassazione. Si può dedurre non l'inosservanza di norme processuali che diano luogo ad una mera irregolarità dell'atto, ma soltanto l'inosservanza di quelle norme che costituiscano una causa di invalidità prevista espressamente dall'art. 606 comma l lett. c: nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza. lett. cl) Mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell'istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall'art. 495 comma 2. Il motivo di ricorso per cassazione è ammissibile alle seguenti condizioni. In primo luogo deve trattarsi di prova contraria a quella che sia stata ammessa, a prescindere dal modo di ammissione: richiesta di parte o d'ufficio ad opera del giudice ai sensi dell'art. 507 . In base all'art. 495 comma 2, è contraria quella prova che ha per oggetto il medesimo fatto ed è finalizzata a dimostrare che lo stesso non è avvenuto o che si è verificato con una differente
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modalità. La dimostrazione contraria può essere data anche con un mezzo di prova differente; così, la dichiarazione di un teste potrebbe essere smentita da un altro dichiarante, ma anche da un documento, ad esempio una foto. In definitiva, il codice presume che la prova contraria sia pertinente; ovviamente, resta il vaglio sulla rilevanza ai sensi dell'art. 190. In secondo luogo deve trattarsi di prova decisiva. È tale quella prova che è idonea ad « incidere in modo significativo sul procedimento decisionale seguito dal giudice e da determinare, di conseguenza, una differente valutazione complessiva dei fatti e portare in concreto a una decisione diversa » (2 ). Pertanto, della prova " decisiva" la parte impugnante deve documentare l'ido neità a determinare la modifica della decisione sottoposta a gravame. In terzo luogo occorre che l'assunzione della prova contraria, sia stata chiesta al momento delle richieste di prova all'inizio del dibattimento (art. 493 ) o « anche nel corso dell'istruzione dibattimentale ». Quest'ultima possibilità è stata aggiunta dalla legge n. 46 del 2006 e può applicarsi al caso in cui la decisività sia emersa successivamente alle richieste di prova (art. 507 e, nel giudizio di appello, art. 603 comma 2). Ove vi sia stato appello e la mancata assunzione sia avvenuta in primo grado, l'art. 606 comma 3 impone che il vizio sia stato prospettato preceden temente nei motivi di appello con indicazione degli elementi fondanti. Ricor diamo che, ai sensi dell'art. 569 comma 3 , non è consentito il ricorso per saltum in caso di omessa assunzione di prova contraria decisiva. lett. e) Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motiva zione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. Si tratta del motivo di ricorso più discusso: il legislatore ha inteso disciplinare il controllo sui vizi di motivazione al fine di evitare che la corte di cassazione eserciti un accertamento di merito. Sono ricompresi tre vizi della motivazione, ciascuno dei quali autorizza il ricorso per cassazione. Vi è un requisito comune, del quale tratteremo successivamente: i vizi di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impu gnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. l ) Mancanza della motivazione. Si fa riferimento non tanto al deficit grafico della motivazione (mancanza in senso formale), che configurerebbe una nullità per omessa motivazione ai sensi dell'art. 125 comma 3 ; tale nullità sarebbe ricompresa nei motivi di cui all'art. 606, lett. c. Per la « mancanza della motivazione » la lettera e ricomprende la carenza sostanziale del discorso logico. Questo deve considerare gli elementi necessari che sono indispensabili ai fini del (2)
Cass., 24 giugno 2003, Sangalli, in Arch. n. proc. pen., 2004, 575.
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giudizio e che sono prescritti dall'art. 546 comma l lett. e: « esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie ». In base a tale criterio, la motivazione è carente ai sensi della lettera e quando manca l'argomentazione su uno degli imputati, o su una delle imputazioni, o su un punto necessario ai fini del giudizio. La motivazione per relationem ad un altro atto del processo è ammessa dalla giurisprudenza purché rispetti i seguenti requisiti: a) che vi sia la medesima provenienza soggettiva (ciò non accade se si tratta di atto del pubblico mini stero); b) che l'atto abbia la medesima struttura (non è possibile un rinvio a un atto che non contiene una valutazione) ; c) che l'atto, a cui si rinvia, sia precedente e non successivo (es. non è possibile il rinvio alla futura sentenza) ; d) che le parti siano state messe in grado di conoscere l'atto (è ammesso il rinvio dalla ordinanza di riesame alla applicazione della misura cautelare); e) che la parte impugnante non abbia introdotto un nuovo motivo di lagnanza rispetto alla precedente decisione. 2) Manifesta illogicità della motivazione. In questo caso, la argomentazione esiste, ma manca la logicità del contenuto: è un vizio della logica argomentativa. La cassazione deve controllare la correttezza della inferenza probatoria, e cioè il rapporto tra la premessa (fatto noto) e le conclusioni (fatto accertato) . Si ha manifesta illogicità quando la sentenza ha fatto pessimo uso delle massime di esperienza o delle leggi scientifiche. Ciò avviene, ad esempio, quando il giudice ha utilizzato come massima di esperienza una mera regola sociologica che non risulta accertata nel caso singolo (3 ) . Può essere difficile individuare l a illogicità perché l a razionalità deve essere rapportata alle conoscenze del momento storico: ad esempio, è stato utilizzato un metodo che non è scientifico. Inoltre, da una premessa assurda può derivare una conclusione coerente, ma illogica. Ciò avviene quando si accolgono come premesse affermazioni poco probabili (4) . All'interno della manifesta illogicità s i ritiene che si collochi il vizio di con traddittorietà logica della decisione: si tratta di un vizio di logica formale, che prescinde dal contenuto della motivazione. Si ha contraddittorietà logica quando vi è un contrasto tra le argomentazioni, a prescindere dal contenuto di queste, (3) Cass., 14 dicembre 1994 - 4 aprile 1995, n. 3566, in Guida dir. , 1995, 20, 73 (4) Sul requisito della "manifesta" illogicità, v. da ultimo Cass., sez. III, 1 1 marzo - 28 aprile 2003, Pace, in Cass. pen., 2004, 1288, secondo la quale << l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici >>.
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perché il giudice non ha fatto uso della logica comune, e cioè del princìpi di non contraddizione, di identità, del terzo escluso. Una argomentazione contraddit toria è di per se stessa errata. Ad esempio: il teste è valutato attendibile e inat tendibile rispetto alla affermazione sul medesimo fatto; vi è inconciliabilità tra motivazione e dispositivo (c.d. sentenza suicida); vi è inconciliabilità tra capi di una sentenza. In questi casi, non occorre conoscere gli atti del processo: il vizio appare dal testo. 3) Contraddittorietà processuale della motivazione. Poiché la contraddit torietà logica è un vizio interno alla illogicità, la contraddittorietà, che è stata aggiunta dalla legge n. 46 del 2006, deve intendersi in senso processuale: essa esiste quando vi è un contrasto tra gli atti processuali e la motivazione della sentenza impugnata. Si tratta di tutti quei casi nei quali la motivazione non "fotografa" fedel mente le prove acquisite nel processo. n vizio di contraddittorietà processuale si ha quando la motivazione non rispetta le acquisizioni processuali perché distorce i risultati probatori acquisiti (c.d. travisamento delle risultanze proba torie) (5 ). O anche quando si motiva su di una prova non risultante dagli atti (c.d. travisamento degli atti per invenzione) (6). O ancora, quando la sentenza non motiva su di una prova che è stata acquisita (c.d. mancata valutazione di una prova o travisamento per omissione) . In definitiva, il codice vuole impedire la infedeltà della motivazione rispetto al processo. Occorre tenere presente, tuttavia, che la giurisprudenza più recente riconosce il vizio di prova " omessa" o "travisata" soltanto quando l'accertata distorsione disarticoli effettivamente l'intero ragionamento probatorio per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale trascurato o travisato (7). fl vizio risultante dal testo del provvedimento impugnato. In base al testo originario del codice del 1 988, i vizi di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione dovevano risultare « dal testo del provvedimento impugnato ». Il legislatore aveva introdotto il limite per una ragione di carattere pratico poiché, se fosse possibile sindacare tutti gli atti del processo, il giudizio di cassazione si trasformerebbe in un rerzo grado di merito. La dottrina aveva fatto rilevare che alcuni casi di motivazione mancante, contraddittoria o mani festamente illogica richiedevano necessariamente il confronto con gli atti per (5) Ad es., alla dichiarazione negativa del teste si dà valore di dichiarazione affermativa; oppure, il teste ha detto "bianco" e la motivazione afferma che egli ha detto "nero". In questo caso il giudice verifica il significato dell'atto probatorio, non l'esistenza. (6) Es. condanna che è basata su di una testimonianza che non risulta dagli atti del processo. (7) È ammessa << la verifica di conformità delle rappresentazioni dell'elemento probatorio nella motivazione e, rispettivamente, nel relativo atto del processo per evidenziarne l'eventuale incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e avalutativa, del "significante" e non anche del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell'elemento di prova >>. Così Cass., sez. I, 20 luglio 2006 (dep.), n. 25 1 17, in Il Sole 24 ore, 30 agosto 2006.
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poter essere rilevati; altrimenti, il giudice controllato poteva sfuggire al sinda cato della cassazione confezionando una sentenza che non rispecchiava il processo. La legge n. 46 del 2006 ha aggiunto una possibilità che già si era manifestata nella giurisprudenza: il vizio può risultare « da altri atti del processo specifica mente indicati nei motivi di gravame », da intendersi nel senso atecnico di im pugnazione. n limite può essere così sintetizzato: gli atti del processo devono essere indicati specificamente nei motivi di impugnazione (l'originario appello, se il vizio già allora risultava; altrimenti, il ricorso per cassazione) ; occorre indicare i brani nei quali è contenuta la informazione probatoria (elemento di prova) che è omessa o travisata nella motivazione (c.d. principio di autosufficienza del ricorso) . Pur con tale limite, è stato affermato il principio che la corte di cassazione giudica una sentenza che deve rispecchiare il contenuto del processo (8). La valutazione del merito preclusa alla cassazione. Possiamo chiederci: cosa resta fuori dei motivi del ricorso per cassazione? Ciò che resta fuori è una valutazione di merito: il giudizio sulla credibilità della fonte e sulla attendibilità della dichiarazione. A ben vedere, si tratta del rapporto tra elemento di prova e risultato probatorio. Per valutare credibilità e attendibilità occorre sentire il dichiarante o, quanto meno, conoscere tutti gli atti del processo al fine di controllare i riscontri. Una errata valutazione della credibilità e della attendi bilità dà luogo ad un vizio che non è valutabile in cassazione perché richiede il coordinamento tra più fatti: occorre conoscere il contesto probatorio. Il limite è giustificato dalla natura stessa del ricorso per cassazione, che è non un terzo grado di giudizio, bensì un controllo di legittimità a presidio dell'imputato e della collettività, in attuazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Fin da ora segnaliamo che, ove la corte di cassazione debba procedere all'annullamento della decisione impugnata per uno dei motivi menzionati (ad esempio, per manifesta illogicità della motiva zione) e, in seguito a tale annullamento, si renda necessario compiere una nuova valutazione dei fatti, la corte medesima (di regola) deve rinviare al giudice a quo per una nuova decisione di merito. 3.
La inammissibilità del ricorso per cassazione.
La tassatività dei motivi trova una sanzione nell'art. 606 comma 3 : il ricorso è inammissibile se è proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente infondati ed inoltre se è proposto per violazioni di legge non dedotte nei motivi d'appello (fuori dei casi di cui agli artt. 569 e 609, comma 2 ) . In particolare, il ricorso è manifestamente infondato quando il ricorrente (8) Cass., sez. I, 20 aprile 2006, Simonetti, in CED Cass., n. 233778; Cass., sez. I, 2 maggio 2006, Scognamiglio, ivi, n. 2337 1 .
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denuncia vizi ictu oculi insussistenti, cioè la cui infondatezza sia di palmare evidenza, come ad esempio nel caso in cui il ricorso sia basato su norme dell'ordinamento inesistenti. L'avverbio "manifestamente" ha quindi la fun zione di limitare l'indagine che il giudice è chiamato a svolgere, ai fini della valutazione di ammissibilità, circa la fondatezza dei motivi di ricorso. li ricorso per cassazione può essere dichiarato inammissibile sia per una di queste cause "speciali" , proprie del ricorso per cassazione, sia in presenza di una delle cause "generali" di inammissibilità, previste per tutte le impugnazioni dall'art. 591 c.p.p. (sulle quali si veda, in precedenza, parte VI, cap. l , § 5 ) . Inammissibilità del ricorso per cassazione e prescrizione del reato. Si è posto il problema di stabilire se, in caso di contemporanea presenza di una causa di inammissibilità dell'impugnazione e di una causa di estinzione del reato (art. 129), il giudice debba dichiarare l'una o l'altra. Le conseguenze non sono indifferenti. Infatti, la pronuncia d'inammissibilità, se corretta, provoca il passaggio in giudicato della sentenza, determinando così la tendenziale "defi nitività" dell'eventuale pronuncia di condanna; se invece il giudice dichiara la prescrizione, intervenuta nelle more del giudizio di impugnazione, il reato si estingue, con le conseguenze stabilite dal codice penale. Per contenere la prassi delle impugnazioni meramente dilatorie, la giuri sprudenza dell'ultimo decennio ha limitato l'area di operatività della declara toria ex art. 129 c.p.p., escludendola laddove l'atto di impugnazione risulti inammissibile per una delle cause previste dall'art. 591, ad eccezione della rinuncia (art. 591 lett. d) (9) . Nel caso specifico del ricorso per cassazione, la suprema corte è intervenuta a più riprese escludendo che un ricorso inammissibile per uno dei motivi previsti dall'art. 606 comma 3 (motivi non consentiti dalla legge, o manifestamente in fondati, o violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello) possa attribuire al giudice il potere di valutare l'esistenza di una delle cause di non punibilità previste dall'art. 129 c.p.p. ( 10). Infatti, in ciascuno dei casi contemplati dall'art. 606 comma 3 l'inammissibilità attiene specificamente al rispetto della tassatività dei motivi di ricorso. Se, ad esempio, il ricorso è proposto sulla base di argomenti palesemente inconsistenti, avanzati per prolungare artificiosamente il processo fino all'estinzione del reato, non ci si trova in alcuna delle ipotesi indicate dal comma l dell'art. 606 ed il giudice deve senz'altro dichiarare la inammissibilità della impugnazione, restando preclusa ogni ulteriore indagine ( 1 1 ) . Così, Cass., sez. un., 1 1 novembre 1994, Cresci, in Cass. pen., 1995, 1 165. Cass., sez. un., 30 giugno 1999, Piepoli, in Cass. pen . , 2000, 843, n. 526; In., sez. un., 22 novembre 2000, De Luca, in Giust. pen., 200 1 , III, 567 ss., e in Dir. giust., 200 1 , n. 5, 2 1 . ( 1 1 ) Un esempio può chiarire il concetto. Tizio, essendosi visto confermare in grado d'appello la condanna per diffamazione inflittagli dal giudice di prime cure, propone ricorso per cassazione con un unico motivo, in cui domanda la dichiarazione di estinzione del reato, dal momento che nelle more del gravame è maturata la prescrizione. (9)
( lO)
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Cognizione e ragionamento giuridico della corte di cassazione.
Ai sensi dell'art. 609, comma l « il ricorso attribuisce alla corte di cassa zione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti » ex art. 606, comma l , con l'implicita prescrizione che tali motivi debbano già essere stati presentati al giudice di merito. Le questioni non contestate in grado di appello, viceversa, passano nel giudicato interno. Sicché, ovviamente, l'intem pestiva deduzione del motivo nel giudizio di appello lo rende indeducibile nel giudizio di cassazione (12). T ale prescrizione conosce l'eccezione delle questioni che l a corte può rilevare di ufficio e di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello (art. 609, comma 2 ) . È del pari rilevabile lo ius superveniens, dovendosi ricordare, in materia penale, il disposto dell'art. 2 c.p. a proposito della successione delle leggi penali nel tempo. Dalle considerazioni svolte emerge che tra ricorso per cassazione e giudizio d'appello esiste una profonda differenza. n giudice di appello non è vincolato strettamente al motivo proposto da una parte e può decidere liberamente su tutte le questioni ipotizzabili in relazione al punto che è stato impugnato (art. 597 comma 1 ) . Viceversa, la cognizione della corte di cassazione è limitata ai motivi addotti dalle parti (art. 609 comma 1 ) : il giudice di legittimità può soltanto accoglierli o rigettarli, salve le ricordate eccezioni in merito alle questioni rilevabili d'ufficio o non deducibili in appello (art. 609 comma 2 ) (v. atto 5 .3 .2). I n conclusione, il ricorso per cassazione è definibile come una azione di annullamento della sentenza impugnata: se sono ritenuti validi i motivi dedotti, la corte si limita ad annullare la sentenza impugnata con o senza rinvio al giudice che l'ha emessa. Le azioni di annullamento mirano innanzitutto ad accertare l'esistenza del vizio della sentenza e, in caso positivo, ad eliminare la sentenza viziata (v. tav. 5 .2.5). 5.
n procedimento in cassazione.
La fase degli atti preliminari al giudizio in cassazione è finalizzata alla verifica della ammissibilità del ricorso ed alla assegnazione dello stesso alla sezione competente per materia, in base alle regole stabilite dall'ordinamento giudiziario. n ricorso per cassazione, proposto unicamente al fine di far valere la prescrizione intervenuta dopo la pronuncia d'appello, ma prima della presentazione del ricorso, deve essere dichiarato inammissibile qualora non contempli ulteriori doglianze relative alla decisione impugnata, perché la prescrizione del reato esula dai casi tassativi previsti dall'art. 606 in relazione ai quali è consentito ricorrere in sede di legittimità (Cass., sez. un., 27 giugno 2001, Cavalera, in Cass. pen . , 2002, 8 1 ) . ( 12) Cass., sez. IV, 1 8 maggio 1994, Bentam, in Mass. Cass. pen., 1995, l, 19.
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Il ricorso per cassazione
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La cancelleria del giudice a qua trasmette senza ritardo alla corte di cassazione il fascicolo processuale ( 1 3 ) . TI presidente della corte deve verificare se sussiste una causa di inammissibilità del ricorso ( 14). In tale ipotesi assegna il ricorso ad « apposita sezione » (la settima) che è competente a dichiarare l'inammissibilità; il presidente della sezione « fissa la data per la decisione in camera di consiglio » (art. 610 comma l, mod. dalla legge n. 128 del 200 1 ) ( 15 ) . Al di fuori del'ipotesi menzionata, il presidente della corte, se ritiene che il ricorso sia ammissibile, o comunque se l'apposita sezione non ha dichiarato l'inammissibilità, assegna il ricorso medesimo ad una singola sezione (art. 610 comma l -bis c.p.p.; art. 7-ter o.g.) . Inoltre il presidente della corte, d'ufficio o su richiesta di parte, può assegnare il ricorso alle sezioni unite « quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni » (art. 610 comma 2 ) . Il presidente di sezione dispone l a riunione dei giudizi (riunione che costituisce una salutare innovazione del codice del 1 988) nei casi previsti dall'art. 17 e fissa la data per la trattazione in udienza pubblica o in camera di consiglio. Almeno trenta giorni prima della data dell'udienza, la cancelleria ne dà avviso al procuratore generale e ai difensori, « indicando se il ricorso sarà deciso ( 1 3 ) Ai sensi della circolare 6 febbraio 2001 del Ministero della Giustizia (in Guida dir. , 200 1 , 2 1 , 98), il fascicolo trasmesso alla corte di cassazione ai fini del giudizio di cognizione deve contenere: l ) l'atto di impugnazione; 2) la sentenza impugnata recante in calce, a cura della cancelleria, le attestazioni necessarie per verificare la tempestività del ricorso a norma dell'art. 585 c.p.p.; 3 ) la sentenza di primo grado e l'atto d'appello; 4) la (eventuale) sentenza annullata con rinvio dalla corte di cassazione; 5) le ordinanze emesse dal giudice di merito nel dibattimento e impugnate con la sentenza; 6) una nota con le imputazioni contestate all'imputato, ove queste non siano già state specificate nell'epigrafe della sentenza. In dottrina si è rilevato che una disciplina così rigida e restrittiva degli atti, dei quali la suprema corte può prendere cognizione, rischia di precludere alle parti la possibilità di dedurre il vizio di travisamento del fatto. Così A. DI SALvo, Con i tagli aifascicoli per i ricorsi penali l'errore giudiziario è dietro l'angolo, ivi, 100 ss. ( 14) La prassi ha creato il procedimento che veniamo ad esporre. Il presidente assegna il ricorso ad una sezione; la verifica di ammissibilità viene svolta da alcuni consiglieri a ciò delegati, addetti all'esame preliminare dei ricorsi assegnati alle singole sezioni. In base a tale selezione, sono assegnati alla settima sezione i ricorsi che appaiono inammissibili. Cfr. G. CoNTI, Le nuove norme sul giudizio di carsazione, in Processo penale: nuove norme sulla sicurezza dei cittadini, a cura di P. GAETA, Padova, 200 1 , 186. (15) Taie comma ha introdotto ex nova una sorta di "filtro" preventivo ai ricorsi in cassazione, al fine di centralizzare l'esame preliminare dei ricorsi, in modo da guadagnare economie di scala ed evitare incertezze giurisprudenziali in tema di inammissibilità. La riforma sembra preordinata alla deflazione del numero dei ricorsi che gravano sulle altre sezioni, per ridurre i tempi del processo. Sempre la legge n. 128 del 2001 (c.d. pacchetto sicurezza) ha introdotto l'art. 169-bù disp. att., in base al quale la sezione competente a pronunciarsi sulla ammissibilità del ricorso << è predeterminata con rotazione biennale dal provvedimento tabellare riguardante la corte di cassazione ». In passato non era previsto un vaglio preliminare sull'ammissibilità dei ricorsi ad opera del presidente della corte di cassazione. L'iniziativa in merito spettava al procuratore generale al quale la cancelleria doveva dare immediata comunicazione del deposito degli atti; inoltre la declaratoria di inammissibilità spettava alla sezione alla quale il ricorso era stato attribuito. La legge n. 128 del 2001 ha modificato la disciplina previgente al fine di rendere più celere e spedita la definizione dei ricorsi ammissibili e di concentrare il potere di iniziativa sul presidente della corte. Cfr. V. SANTORO, Carsazione: sezione ad hoc per i ricorsi inammùsibili, in Guida dir. , 200 1 , 16, 5 1 .
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a seguito di udienza pubblica ovvero in camera di consiglio » (art. 610 comma 5 ) . Quando il presidente ha rimesso gli atti alla sezione deputata a vagliare l'inammissibilità del ricorso, l'avviso contiene l'enunciazione della causa di inammissibilità rilevata (art. 610 comma 1 ) . Distinguiamo ora i casi di udienza camerale da quelli di udienza pubblica. L'udienza in camera di consiglio. Il procedimento si svolge in camera di consiglio nei casi espressamente previsti dalla legge. Ad esempio, la corte procede in camera di consiglio, di regola, quando deve decidere sul ricorso contro provvedimenti non emessi nel dibattimento (art. 6 1 1 comma 1 ) . In camera di consiglio la suprema corte decide esaminando i motivi, le richieste del procuratore generale e le memorie delle altre parti, senza intervento dei difensori in deroga all'art. 127; in sintesi, il contraddittorio camerale è cartolare. Fino a quindici giorni prima dell'udienza, tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie e, fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di replica. In determinate ipotesi previste dalla legge è ammesso l'intervento orale dei difensori e del procuratore generale ai sensi dell'art. 127 ( 16). La corte, con ordinanza camerale, a richiesta dell'imputato o del respon sabile civile, può sospendere l'esecuzione della condanna civile in pendenza del ricorso « quando può derivarne grave e irreparabile danno » (art. 612) ( 17 ) . L'udienza pubblica. D i regola l a corte di cassazione procede in udienza pubblica. L'imputato e le altre parti private non sono citate, perché non sono protagoniste del giudizio di cassazione; esse sono rappresentate dai difensori (art. 613 comma l ) e possono comparire in udienza per mezzo degli stessi (art. 614 comma 2 ) . Nell'udienza pubblica, il presidente prima di tutto verifica l a costituzione delle parti e la regolarità degli avvisi, dandone atto a verbale; quindi, il presidente (ma di solito è il consigliere delegato) fa la relazione della causa (art. 614 comma 3 ). Dopo la requisitoria del procuratore generale, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato espongono, nell'ordine (che è quello consueto) , le loro difese. Non sono ammesse repliche salvo che la questione sia dedotta per la prima volta nel corso della discussione (art. 1 7 1 disp. att.). Di solito, la corte esamina tutti i ricorsi insieme. Poi si ritira in camera di consiglio e, nel tardo pomeriggio, viene data lettura di tutti i dispositivi, salvo che, per la molteplicità o per l'importanza delle questioni da decidere, il presidente ritenga indispensabile differire la deliberazione ad altra udienza. ( 16) Si applica l'art. 127 nei casi richiamati dagli artt. 32 comma l, 4 1 comma 3, 48 comma l, 3 1 1 comma 5 , 428 comma 3 , 624 comma 3 e 706 comma 2. ( 17) Va segnalato che, quando il ricorso concerne gli interessi civili, il presidente nomina un difensore secondo le norme istitutive del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti.
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La discussione in camera di consiglio segue le cadenze consuete: il relatore spiega il suo orientamento e, sotto la direzione del presidente, si esaminano le varie questioni nell'ordine consueto passando, in caso di dissenso, ai voti (art. 527) . Pure i requisiti formali della sentenza, intestata « in nome del popolo italiano », sono quelli ordinari (art. 546) . La pubblicazione della sentenza avviene subito dopo la deliberazione mediante lettura del dispositivo in udienza, da parte del presidente o di un consigliere da lui delegato (art. 615). La motivazione, redatta dal presidente o dal consigliere da lui designato, deve essere depositata in cancelleria non oltre il trentesimo giorno dalla deliberazione. 6.
La tipologia delle sentenze della suprema corte.
n giudizio in cassazione si può concludere con le seguenti sentenze: l ) inammissibilità; 2 ) rigetto; 3 ) rettificazione; 4) annullamento (v. tav. 5 .3 . 1) . l ) Inammissibilità. La corte dichiara inammissibile il ricorso quando accerta una causa di inammissibilità che non è stata preliminarmente dichiarata in camera di consiglio (art. 615 comma 2 ) ; ricordiamo, infatti, che l'inammis sibilità può essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento (art. 591 comma 4) (18). Con tale provvedimento la parte privata, che ha proposto il ricorso, è condannata alle spese del procedimento e al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende (art. 616) salvo che la causa di inammissi bilità si sia verificata senza sua colpa (Corte cost., n. 1 86 del 2000). 2) Rigetto. La corte pronuncia sentenza di rigetto quando il ricorso è infondato, non essendo stato accolto alcuno dei motivi proposti (art. 615 comma 2). La parte è condannata al pagamento delle spese del procedimento e solo eccezionalmente al pagamento della somma sopra menzionata (art. 616). 3 ) Rettifìcazione. La corte pronuncia sentenza di rettificazione nei casi indicati dall'art. 619. n comma l prevede, invero, che « gli errori di diritto nella motivazione e le erronee indicazioni di testi di legge non producono l'annullamento della sentenza impugnata, se non hanno avuto influenza decisiva sul dispositivo » ed aggiunge che « la corte tuttavia specifica nella sentenza le censure e le rettifi cazioni occorrenti ». n comma 2 dell'art. 619 prescrive che, « quando nella sentenza impugnata si deve soltanto rettificare la specie o la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la corte di cassazione vi provvede senza pronunciare annullamento ». Sempre mediante rettificazione, la corte provvede quando si deve applicare una legge più favorevole all'imputato (art. 2 comma 4 c.p.) , anche se sopravvenuta dopo la proposizione del ricorso, con un ( 18) In generale l'inammissibilità può essere rilevata fino al formarsi del giudicato, salvo il limite temporale posto dall'art. 627 comma 4.
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limite (che dà luogo all'annullamento con rinvio) : non debbono essere necessari nuovi accertamenti di fatto. La rettifìcazione è un istituto che discende dal principio di conservazione degli atti giuridici e che evita il regresso del procedimento, definendolo una volta per tutte. 4) Annullamento. La corte pronuncia sentenza di annullamento quando accoglie uno o più motivi di ricorso o quando deve emettere tale pronuncia d'ufficio. L'annullamento è disposto con o senza rinvio al giudice di merito. L'an nullamento senza rinvio è disposto nei casi in cui l'accoglimento del ricorso non impone di procedere ad un nuovo giudizio di merito. L'annullamento con rinvio è disposto quando l'accoglimento del ricorso impone un nuovo giudizio di merito, che è precluso al giudice di legittimità. Annullamento senza rinvio. L'annullamento senza rinvio è pronunciato se il fatto non è previsto dalla legge come reato, o se il reato è estinto, o se l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita ( 19) (art. 620 comma l lett. a). Si ha annullamento senza rinvio pure se il reato non appartiene alla giuri sdizione del giudice ordinario (ad es. , reato previsto dal codice penale militare) , ovvero s e il provvedimento impugnato contiene disposizioni che eccedono i poteri della giurisdizione, limitatamente alle medesime (art. 620 comma l lett. b e c). È disposto altresì annullamento senza rinvio se la decisione impugnata consiste in un provvedimento non consentito dalla legge, tema sul quale torneremo successivamente trattando dei provvedimenti abnormi (art. 620 comma l lett. d). Si ha, inoltre, annullamento senza rinvio se la sentenza è nulla a norma dell'art. 522 in relazione ad un reato concorrente, ad un fatto nuovo, ovvero se la condanna è stata pronunciata per errore di persona (art. 620 comma l, lett. e, /, g). È del pari annullata senza rinvio la sentenza o l'ordinanza impugnata, se è in contrasto con altra anteriore concernente la stessa persona ed il medesimo oggetto, pronunciata dallo stesso o da un altro giudice penale (principio del ne bis in idem, art. 620 comma l , lett. h). Infine, è annullata senza rinvio la sentenza impugnata che ha deciso in secondo grado su materia per la quale non è previsto l'appello (20) e in ogni altro caso in cui la corte ritiene superfluo il rinvio ovvero può essa medesima procedere alla determinazione della pena o dare i provvedimenti necessari (art. 620 comma l lett. l). .La corte può ritenere superfluo il rinvio quando la ( 19) L'articolo non indica espressamente anche le formule di assoluzione piena (il fatto non sussiste; l'imputato non lo ha commesso) , tuttavia si ritiene che correttamente tali ipotesi possano dar luogo ad un annullamento senza rinvio. A conferma di ciò si consideri non solo l'ampia formulazione dell'art. 620, comma l, lett. l, ma anche l'applicabilità dell'art. 129 comma l. In questo senso, M. BARGIS, Impugnazioni, in AA.Vv., Compendio di procedura penale, Padova, 2003, 858; A. GALATI, Le impugnazioni, in D. SIRACUSANO, A. GALATI, G. TRANCHINA, E. ZAPPALA, Diritto processuale penale, II, Milano, 2004, 537. (20) Artt. 428 comma l lett. b, 443 commi l e 3, 448 comma 2, 469 e 593 .
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sentenza impugnata manifesta una situazione di vuoto probatorio che si prevede impossibile da colmare in sede di rinvio. Annullamento ai soli effetti civili. Fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, rinvia, " quando occorre" , al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annulla mento ha per oggetto una sentenza inappellabile (art. 622) . Annullamento con rinvio. L a corte di cassazione annulla con rinvio al giudice di merito il capo od i capi penali della sentenza viziata, fissando il principio di diritto vincolante per tale giudice (art. 627 comma 3 ) . Questi, tuttavia, resta libero, nei limiti della devoluzione originaria, di riesaminare i fatti. I casi di annullamento con rinvio sono i seguenti: a) se è annullata un'ordinanza, la corte dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, « il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento »; b) se è annullata una sentenza di condanna nei casi previsti dall'art. 604 comma l , la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di primo grado; c) se è annullata la sentenza di una corte di assise di appello o di una corte di appello, ovvero di una corte di assise o di un tribunale in composizione collegiale, il giudizio è rinviato rispettivamente a un'altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini. Ad esempio, poiché la corte di appello di Perugia è a sezione unica, il giudizio viene rinviato alla corte di appello di Firenze. L'art. 175 disp. att. precisa che, per determinare la vicinanza, si tiene conto della distanza ferroviaria e, se del caso, marittima, tra i capoluoghi di distretto, o, rispettivamente, del circolo o del circondario; d) se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia (ai sensi dell'art. 34 in materia di incompatibilità) il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata (art. 623 comma l lett. d) . In caso di annullamento con rinvio, la cancelleria della corte di cassazione trasmette, senza ritardo, gli atti del processo con la copia della sentenza al giudice che deve procedere al nuovo giudizio (art. 625 comma l ) ; in caso di rigetto o di inammissibilità trasmette al giudice che ha emesso la decisione gli atti e la copia del solo dispositivo (art. 625 comma 2 ) ; in caso di annullamento senza rinvio o di rettifìcazione, trasmette al medesimo giudice gli atti e la copia della sentenza (art. 624 comma 3 ). In ogni caso la cancelleria del giudice che ha emesso la decisione impugnata fa annotazione del dispositivo della corte di
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cassaziOne m calce alla sentenza, divenuta irrevocabile o soggetta a nuovo giudizio. Annullamento parziale. Se l'annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata (art. 624 comma 1 ) : ed è proprio la corte di cassazione che, nel dispositivo della propria sentenza, indica, se occorre, « quali parti della sentenza [impugnata] diventano irrevoca bili ». La stessa corte provvede a riparare l'eventuale omissione di tale dichia razione (anche su sollecitazione informale del giudice del rinvio, del pubblico ministero o della parte privata interessata) ai sensi dell'art. 130, con ordinanza camerale de plano (art. 624 comma 3 ) . Nel caso in cui ometta tale dichiarazione, la corte, su domanda o d'ufficio, pronuncia un'ordinanza integrativa che deve essere trascritta in margine o in calce alla sentenza e ad ogni copia di essa successivamente rilasciata (art. 624 comma 2). Annullamento parziale e giudicato nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata. Occorre approfondire ulteriormente il signi ficato dell'art. 624 comma l , in base al quale « se l'annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annul lata ». Ammettiamo che la corte di cassazione abbia annullato con rinvio la sentenza di condanna limitatamente alle statuizioni concernenti l'entità della pena o il giudizio di comparazione tra circostanze e non abbia accolto l'impu gnazione relativa alla sussistenza del fatto o alla responsabilità. Ebbene, sulle parti non toccate dall'annullamento (accertamento del fatto e responsabilità) la sentenza ha autorità di giudicato: con il termine « parte » la legge intende riferirsi a qualsiasi statuizione avente autonomia logico-formale. Siamo in presenza di un fenomeno che viene denominato "giudicato progressivo" e che comporta la consunzione del potere di decisione del giudice dell'impugnazione. Ne deriva una ulteriore conseguenza: il giudice di rinvio non può accertare la prescrizione del reato né quando questa sia sopravvenuta, né quando sia preesistente e non sia stata accertata dalla corte di cassazione (2 1 ) . Quanto al concetto di " connessione essenziale" , la giurisprudenza ritiene che tale vincolo sussista quando la parte annullata costituisce una premessa indispensabile rispetto a quella non annullata. Si fa l'esempio dell'annullamento parziale di una sentenza per negata esistenza di una circostanza attenuante. Il giudice di rinvio, che ritenga esistente tale circostanza, dovrà provvedere anche a un nuovo giudizio di comparazione tra le circostanze, non essendosi sul punto formato il giudicato, in virtù della connessione essenziale (22) . (2 1 ) V . per tutte Cass., sez. un., 2 6 marzo - 2 3 maggio 1997, Attinà, in Dir. pen. proc., 1997, 679 con nota di precedenti. (22) Cass., sez. I, 1° giugno 2000, Palombarini, in CED 2 1 6427.
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n giudizio di rinvio.
Quando annulla la sentenza con rinvio, la corte di cassazione fissa il principio di diritto e demanda al giudice di merito di riesaminare i fatti alla luce di quel principio. n giudice del rinvio ha i poteri probatori del giudice la cui sentenza è stata annullata, compresi quelli di rinnovare l'istruzione probatoria in dibattimento. Tuttavia vi sono alcuni limiti stabiliti dalla legge. Innanzitutto nel giudizio di rinvio non è ammessa la discussione sulla competenza attribuita dalla sentenza di annullamento, salvo quanto previsto dall'art. 25 se risultino « nuovi fatti » da cui derivi la competenza di un giudice superiore (ad es. , se l'omicidio da colposo risulta preterintenzionale, con competenza della corte di assise, la quale è definita " giudice superiore" ) . La sentenza della corte di cassazione è, quindi, come si dice, irrevocabilmente attributiva della competenza al giudice di merito salva, appunto, l'applicabilità dell'art. 25 , al quale rinvia l'art. 627 comma l . n giudice di rinvio è, pertanto, dominus delle prove. Occorre sottolineare che, se si tratta di un giudice di appello, l'oggetto della cognizione è la sentenza di primo grado, da confermare o riformare alla luce del principio di diritto espresso dalla corte di cassazione, al quale il giudice di appello deve unifor marsi. La sentenza di secondo grado è tamquam non esset, salvo ad essere consultata dal giudice di appello in sede di rinvio per esaminare come superare il vizio che ha determinato l'annullamento. Tuttavia, il giudice di rinvio non può rilevare nullità, anche se assolute, o inammissibilità verifìcatesi nei predetti giudizi o nel corso delle indagini preli minari (art. 627 comma 4). Infatti, la sentenza di annullamento copre la deduzione delle nullità, anche se assolute, o delle inammissibilità non attestate dalla suprema corte (23 ) . Viceversa, argomentando dall'art. 627 , comma 4 e dall'art. 1 9 1 , comma 2 , la inutilizzabilità può essere ancora dichiarata nel giudizio di rinvio (24). (23 ) I poteri attribuiti a l giudice d i rinvio sono diversi, a seconda che l'annullamento sia pronunciato per violazione od erronea applicazione della legge penale, oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Nella prima ipotesi, resta ferma la valutazione dei fatti come accertati dal prowedimento annullato (giudicato interno sui farti); nella seconda ipotesi, invece, l'annullamento travolge gli accertamenti e le valutazioni già operate ed autorizza il giudice ad un nuovo esame dei fatti. E con l'ulteriore conseguenza che il giudice di rinvio può, dunque, giudicare con gli stessi poteri di accertamento, a meno che la corte di cassazione, nella sentenza di annullamento, per risolvere la questione di diritto, non abbia implicitamente statuito sul punto concernente l'accertamento del fatto, considerandolo quale premessa necessaria. Ne consegue che, nel caso di annullamento della sentenza di appello su ricorso del procuratore generale, il giudice di rinvio ha l'obbligo di prendere in esame tutti i motivi eventualmente dedotti dall'imputato contro la sentenza di primo grado. Invero, il giudice di appello, salvo il vincolo del principio di diritto, riassume i suoi originari poteri di cognizione. La formula del dispositivo, infatti, è la seguente: << visti gli artt. 605 e 627 c.p.p., la corte di appello, decidendo a seguito di rinvio disposto dalla suprema corte, conferma (o riforma) la sentenza di primo grado >>. (24) In giurisprudenza, tuttavia, si è affermato che l'inutilizzabilità non può più essere rilevata se sul punto si è formato il giudicato parziale (Cass., sez. un., 2 1 giugno 2000, Tammaro, in Cass. pen., 200 1 , 3269; Cass., sez. V, 3 ottobre 2006, Caruso e altri, in CED Cass. , n. 235015 ) . V. altresì Cass., sez. I, 18 aprile 2006, 28
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Le impugnazioni
V.III.8
La inosservanza del principio di diritto. Occorre chiedersi cosa avvenga se il giudice di rinvio si distacca dal principio di diritto impostogli dalla corte di cassazione. La risposta è data dal combinato disposto degli artt. 627 comma 3 e 628: la sentenza del giudice di rinvio è impugnabile (all'infinito, finché egli non si uniforma) con nuovo ricorso per cassazione. In ogni caso, la sentenza del giudice di rinvio può essere impugnata soltanto « per motivi non riguardanti i punti già decisi dalla corte di cassazione ovvero per inosservanza della dispo sizione dell'art. 627 comma 3 » (art. 628 comma 2 ) . Cioè, la sentenza del giudice di rinvio non può essere impugnata in cassazione se il giudizio riguarda motivi già decisi dalla suprema corte ed ai quali il giudice si è uniformato.
8.
Il provvedimento abnorme.
La sequenza degli atti processuali deve essere regolare, nel senso che ogni presupposto, ogni atto ed ogni effetto giuridico debbono essere conformi al modello legale. Poiché, peraltro, le invalidità sono previste in forma tassativa, le mere irregolarità non influiscono sugli effetti giuridici dell'atto processuale penale e, quindi, sulla seriazione causale, che costituisce il procedimento. Pur in presenza del principio di tassatività, si è ritenuto ingiusto che fosse impedito al giudice di accertare quelle clamorose violazioni della legge proces suale che non sono espressamente previste dal legislatore proprio a causa della loro eccezionalità. A fronte di simili provvedimenti, si è ritenuto ingiusto che il principio di tassatività delle cause di invalidità e dei casi di impugnazione impedisse alle parti di far valere il vizio. Per introdurre un correttivo a tale situazione, la giurisprudenza ha escogi tato la categoria del " provvedimento abnorme" , cioè non rispondente, per la sua singolarità o stranezza, ai tipi previsti dall'ordinamento processuale. n ricorso per cassazione contro i provvedimenti abnormi. Il provvedi mento giudiziario abnorme, proprio per la sua "stravaganza" è considerato ricorribile direttamente per cassazione in applicazione dei princìpi desumibili dall'art. 1 1 1 , comma 7 Cost. (25) . La abnormità costituisce, dunque, un vizio in CED Cass., n. 235274, secondo cui << nel giudizio di rinvio, la regola per la quale non possono essere proposte nullità, anche assolute, o inammissibilità, verifìcatesi nei precedenti gradi del giudizio o nelle indagini preliminari, si estende anche alle inutilizzabilità, perché è espressione di un principio generale dell'ordinamento, che conferisce definitività alle decisioni della cassazione, che coprono il dedotto e il deducibile ». Secondo il Supremo collegio, tuttavia, il limite non si applica alle inutilizzabilità che siano state dedotte nei motivi di appello e che non siano state esaminate perché ritenute assorbite dalla decisione pronunciata per altre ragioni. Infatti il giudizio circa l'assorbimento ne ha impedito l'esame da parte della Corte di cassazione anche in via implicita. (25) il problema delle abnormità processuali si era già presentato nel vigore del codice Rocco. Tale concetto, tuttavia, non ha trovato una definizione legislativa nel codice del 1988. In proposito, si veda la Relazione al progetto preliminare (pag. 126): « è rimasta esclusa l'espressa previsione dell'impugnazione dei
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Il ricorso per cassazione
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non tipizzato, creato in via interpretativa allo scopo dichiarato di consentire il ricorso immediato per cassazione nei confronti dell'atto che ne è colpito (26) . La costruzione giurisprudenziale del provvedimento abnorme è potuta avvenire cogliendo la portata diretta dell'art. 1 1 1 comma 7 Cost. , secondo il quale ogni provvedimento, in quanto motivato, deve essere legale e cioè corrispondente al modello della fattispecie processuale penale; ciò comporta la necessità di espungere dal procedimento quei provvedimenti che violano manifestamente, per ragioni di struttura o di funzione, il principio di legalità processuale penale (27) . Il provvedimento abnorme. L a singolarità del provvedimento giudiziario abnorme può essere dovuta a ragioni di struttura oppure a ragioni funzio nali (28). Le Sezioni unite hanno precisato di recente che l' abnormità struttu rale consiste nell'esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall'ordinamento processuale (carenza di potere in astratto: es. giudice che esercita l'azione penale) ovvero nella deviazione del provvedimento rispetto allo scopo del modello legale (carenza di potere in concreto). In quest'ultimo caso, si è dinanzi all'esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite. Il Supremo collegio ha altresì sottolineato che, qualora un provvedimento del giudice determini la stasi del processo e l'impossibilità di provvedimenti abnormi, attesa la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di rileva me l'esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini dell'impugnabilità. Se, in fatto, proprio per il principio di tassatività, dovrebbe essere esclusa ogni impugnazione non prevista, è vero pure che il generale rimedio del ricorso per cassazione consente comunque l'esperimento di un gravame atto a rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema processuale o adottato a fini diversi da quelli previsti dall'ordinamento >>. L'emissione di un provvedimento "abnorme" configura oggi un'ipotesi di illecito disciplinare per il magistrato, ai sensi dell'art. 2 lett. ff d.lgs.n. 109 del 2006 come modificato dalla l. 269 del 2006 ( " adozione di provvedimento non previsto da norme vigenti " ) . Così Cass., sez. un., 22 giugno 2009, Toni, n. 25957. (26)
Occorre sottolineare che l'abnormità concerne non solo i provvedimenti del giudice, ma anche
quelli del pubblico ministero. Per questa ragione, parliamo di abnormità del provvedimento "giudiziario" , aggettivo che abbraccia tanto i provvedimenti del giudice quanto, appunto, quelli del pubblico ministero. (27)
Da questa norma la giurisprudenza costante della corte di cassazione ha tratto un principio
rivoluzionario: l'impugnabilità per cassazione del provvedimento abnorme dipende non dalla sua conoscenza
legale (la quale può mancare) ma dalla sua conoscenza concreta. Ovviamente, il termine per ricorrere, pur partendo dalla conoscenza concreta, è quello ordinario. Si veda Cass., sez. VI, 15 aprile 1996, Mammato, in
Giust. pen., 1997, III, 680, secondo cui << tale impugnazione è consentita in deroga al principio di tassatività, tuttavia essa deve essere proposta prima del passaggio in giudicato della sentenza >>. (28)
Dalla lettura della giurisprudenza delle Sezioni unite si ricavano le seguenti indicazioni.
È affetto
da vizio di abnormità, sotto un primo profilo, il provvedimento che, per singolarità e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, si è detto che l'abnormità può discendere da ragioni di struttura allorché l'atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, ovvero può riguardare l'aspetto funzionale nel senso che l'atto stesso, pur non essendo estraneo al sistema normativa, determini la sta si del processo e l'impossibilità di proseguirlo. Per tale sintesi, Cass., sez. un., 22 giugno 2009, Toni, n. 25957.
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Le impugnazioni
V.III.8
proseguirlo si verifica una abnormità funzionale. Per contro, non determina abnormità la regressione del procedimento quando essa sia dovuta ad un provvedimento del giudice compiuto nell'esercizio di un potere riconosciutogli dall'ordinamento, anche se i presupposti che ne legittimano l'emanazione siano stati valutati dal giudice stesso in modo errato. Non importa che il potere sia stato male esercitato, giacché in tal caso esso sfocia in un atto illegittimo, ma non in un atto abnorme (29) . La giurisprudenza in materia è ricchissima. Volendo esemplificare, i casi di provvedimento abnorme più eclatanti sono rinvenuti nei rapporti tra giudice e pubblico ministero. Così, è abnorme il prowedimento del giudice il quale, pur ritenendo il fatto diverso e disponendo con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero, emetta, tuttavia, anche sentenza di assoluzione in ordine all'imputazione contestata (30). Inoltre, a presidio della obbligatorietà dell'azione penale è posto il principio che il giudice per le indagini preliminari è chiamato ad evitare ingiustifìcate azioni penali (apparenti o fittizie) , sicché è abnorme il prowedimento col quale tale giudice, fuoriuscendo dall'alternativa dell'art. 409, abbia dichiarato la nullità, per mancanza di motivazione, della richiesta di archiviazione ed ordinata la trasmissione degli atti al pubblico ministero senza alcuna ulteriore indicazione (3 1 ) . Continuiamo a d esemplificare. È d a considerare abnorme il prowedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta di archiviazione del procedimento per essere ignoto l'autore del reato, ordini al pubblico ministero di formulare l'imputazione (32) . In tema d i modifica dell'imputazione nel corso dell'udienza preliminare (art. 423 ) nessun potere spetta al giudice, neppure quando egli ritenga che sussista la necessità di "integrazioni" ed intenda aggiungere, alla contestazione fatta dal pubblico ministero, eventuali precisazioni: ne consegue che la modificazione dell'imputazione compiuta dal giudice dell'udienza preliminare è prowedimento abnorme, contro il quale è ammesso il ricorso per cassazione (3 3 ) . Con riferimento alla medesima ipotesi, le Sezioni unite hanno ritenuto abnorme anche il prowedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare dispone la restitu-
(29) Cass., sez. un., 22 giugno 2009, Toni, n. 25957. Le Sezioni unite hanno prospettato una interpretazione restrittiva della categoria, giacché essa presenta indubbi caratteri di eccezionalità, in relazione alla deroga che viene attuata al principio di tassatività delle nullità (art. 177) e dei mezzi di impugnazione (art.568). Fuori da tali ipotesi si è dinanzi ai c.d. vizi innocui, che si riscontrano nei casi in cui vi é una irrilevanza soprawenuta dell'anomalia, dovuta ad un successivo prowedimento o ad una situazione proces suale che ne ha fatto venir meno la rilevanza: sono ipotesi in cui il giudice ha esercitato un potere che non gli spettava, ma non si è comunque realizzata alcuna stasi del processo, anche se vi sia stata indebita regressione, ma le cui conseguenze siano rimediabili con attività propulsive legittime. (30) Cass., sez. II, 4 aprile 1997, n. 4980, Guarnieri, in CED, n. 207847. (3 1 ) Cass., sez. VI, 8 febbraio 1996, A., in Giust. pen., 1997, III, 167. (32) Cass., sez. IV, 26 gennaio 1996, n. 244, Ignoti, in Cass. pen., 1997, 2465. (33) Cass., sez. V, 4 dicembre 1996, n. 53 16, Mieli, in Giust. pen., 1997, III, 648.
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Il ricorso per cassazione
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zione degli atti al pubblico ministero per la genericità o l'indeterminatezza dell'impu tazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla (34). Allo stesso modo, è abnorme il "decreto di non luogo a procedere" emesso dal giudice per le indagini preliminari a seguito della richiesta di archiviazione (35) . Viceversa, la Sezioni unite hanno affermato che non è abnorme, perché espressione di un potere riconosciuto dall'ordinamento, il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, rilevata la mancata notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari invero regolarmente notificato, dispone la restituzione degli atti dichiarando erroneamente la nullità del decreto di citazione a giudizio (36) . Potremmo esemplificare all'infinito, ma ci preme sottolineare solo come sia oscil lante la giurisprudenza dinanzi al ricorso per cassazione della persona offesa, in caso di archiviazione non preceduta dall'avviso previsto dall'art. 408, comma 2. L a disciplina del ricorso in cassazione. li ricorso per cassazione contro i l provve dimento abnorme si distingue perché è trattato in camera di consiglio de plano, cioè senza l'applicazione dell'art. 127 . Proposto personalmente o da un avvocato iscritto nell'albo speciale, tale ricorso può essere illustrato con motivi nuovi e memorie, necessari non fosse altro per documentare l'evoluzione della giurisprudenza e la presenza di altro caso simile, definito come provvedimento abnorme nelle more del ricorso. Se considerato abnorme, il provvedimento giudiziario viene espunto dal procedimento: la corte di cassazione annulla senza rinvio e la stasi processuale è evitata con la restituzione degli atti al pubblico ministero od al giudice competente per la prosecuzione del procedimento (ovvero, per la valutazione dell'improcedibilità del l' azione penale) .
(34) Cass. , sez. un., l o febbraio 2008, Battistella. La sentenza ha prospettato un concetto di abnormità funzionale più ampio rispetto a quello accolto dalle Sezioni unite Toni del 2009, sul quale ci siamo soffermati supra nel testo. Infatti, hanno ritenuto il provvedimento abnorme per il solo fatto che determinasse una indebita regressione, a prescindere dal fatto che il pubblico ministero avrebbe potuto comunque superare la stasi esercitando nuovamente l'azione penale. (35) Cass., sez. I, 27 novembre 1 99 1 , Puri, in Foro it. , Repertorio, 1992, voce Indagini preliminari, 5 1 . (36) Cass., sez. un., 22 giugno 2009, Toni, n . 25957.
CAPITOLO IV LE IMPUGNAZIONI STRAORDINARIE
di fatto ed errore di diritto. - 3 . I casi di n procedimento. La fase di delibazione. - 5. n giudizio di revisione. - 6. La riparazione dell'errore giudiziario. - 7. n ricorso straordinario per errore materiale o di
SoMMARIO: l . Considerazioni preliminari. - 2. Errore
revisione. - 4.
fatto.
l.
Considerazioni preliminari.
Ove vi sia stata sentenza irrevocabile, il giudicato comporta la non modi ficabilità dell'accertamento del fatto: si impone un'esigenza di certezza dei rapporti giuridici (si veda, in/ra, Parte VI, cap. 1 ) . Il giudicato ha un effetto denominato preclusivo; e ciò sia in caso di condanna, sia in caso di assoluzione. Di regola, non può esserci un nuovo processo penale nei confronti del mede simo imputato per il medesimo fatto storico (art. 649, comma 1 ) . Il legislatore vuole evitare che il medesimo imputato sia sottoponibile indefinitamente a successivi procedimenti penali che abbiano ad oggetto il medesimo fatto storico per il quale è stato condannato o prosciolto. Gli effetti del giudicato possono venir meno in un caso. È ammessa un'impugnazione straordinaria (la revisione; artt. 629 ss.) contro la sola sentenza di condanna, purché (in sintesi) dopo l'intervenuta irrevocabilità sopravvengano o si scoprano nuove prove che dimostrino che il condannato deve essere prosciolto (art. 630). In tale evenienza, il legislatore ritiene prevalente l'esigenza di giustizia sull'esigenza di certezza. La straordinarietà della revisione sta nel fatto che la relativa richiesta non deve essere presentata entro limiti temporali determinati: essa, infatti, può " aggredire" il giudicato. Al di fuori della revisione, vale la regola dell'effetto preclusivo del giudicato secondo cui l'accertamento del giudice penale non è modificabile anche se successivamente si scopre che egli ha commesso errori di fatto o di diritto, ivi compresi gli errori in procedendo. Ad esempio, non è ammessa revisione per dimostrare che l'imputato doveva essere condannato ad una pena inferiore. Allo stesso modo, dati i limiti della revisione, un errore di fatto che non può essere corretto è quello del giudice che ha assolto un imputato successivamente risultato colpevole. La legge n. 128 del 2001 ha creato un istituto inedito nel diritto processuale
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Le impugnazioni straordinarie
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penale, che consiste nella possibilità, riconosciuta « a favore del condannato », di chiedere « la correzione dell'errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla corte di cassazione » (art. 625-bis). Si tratta di un vero e proprio ricorso straordinario, e cioè esperibile nei confronti di provvedimenti che sono divenuti irrevocabili; il rimedio, del quale tratteremo in fondo al presente capitolo, è diretto a correggere soltanto errori materiali o di fatto contenuti nella sentenza di condanna della cassazione. Ciò premesso, la revisione è quella impugnazione straordinaria che ha per oggetto una sentenza di condanna divenuta irrevocabile (art. 629); in base alla legge n. 134 del 2003 oggetto di revisione può essere anche la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento). Competente, sia per la fase di delibazione preliminare della richiesta, sia per il giudizio di revisione, è esclusivamente la corte di appello determinata in base alla medesima tabella con cui si individua la competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati (art. 633 comma l , che rinvia all'art. 1 1 ) . Pertanto, si tratta della corte d'appello di un distretto diverso da quello in cui si è svolto il giudizio divenuto irrevocabile. n motivo di tale peculiare competenza per territorio, introdotta dalla legge n. 405 del 1998, è rappresentato dalla esigenza di evitare influenze ambientali e, di conseguenza, di tutelare la serenità del giudice chiamato ad un compito così delicato quale quello di "travolgere" un giudicato. 2.
Errore di fatto ed errore di diritto.
Nella revisione il solo errore che può essere corretto investe il "fatto" con riguardo alla condotta, al nesso causale, all'evento, nonché all'attribuzione soggettiva di colpevolezza e di imputabilità. Poiché l'art. 63 1 rinvia agli artt. 529 , 530 e 53 1 , se ne ricava che l'unico errore emendabile è quello che, se corretto, permette il proscioglimento dell'imputato perché il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato o si trattava di persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione. Errore sul fatto, dunque, si contrappone ad errore di diritto. L'errore rilevante, lo ripetiamo per la decisività del concetto, è solo quello intervenuto nella ricostruzione storica del fatto di reato: è errore di fatto qualsiasi errore che non può definirsi, per quanto sembri ovvio, errore di diritto, con la conseguenza che la sfera degli errori di fatto è amplissima. A seguito del giudizio di revisione, possono essere pronunciate due opposte decisioni: il rigetto dell'istanza di revisione o il proscioglimento dell'imputato (art. 637 ) . La sentenza impugnata, in caso di proscioglimento, è revocata: vi è una nuova verità legale ( 1 ) . (l)
In questa sede, è sufficiente osservare, prima di soffermarci sulla delimitazione dell'errore di fatto
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L'errore che determina il proscioglimento. A questo punto, resta da esa minare l'ultimo presupposto oggettivo della revisione: gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere tali da dimostrare, se accertati, che il con dannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 53 1 . L'art. 63 1 , rinviando all'art. 53 0, ne ricomprende anche i commi 2 e 3 ; pertanto il giudizio di revisione è ammesso « anche se può semplicemente ipotizzarsi che al suo esito si manifesti un ragionevole dubbio circa la colpevolezza dell'imputato » (2) . La revisione è prevista anche a d espiazione di pena esaurita e nei confronti dei condannati defunti. La sua funzione è, dunque, non soltanto di restituire la libertà, ma anche la dignità all'innocente erroneamente giudicato colpevole in via irrevocabile. T anto premesso, occorre convenire che l'oggetto dell'errore giudiziario è assai contenuto rispetto all'oggetto del processo. Inoltre, la sentenza della quale si chiede la revisione deve essere di condanna, perché non è previsto il caso di proscioglimento per perdono giudiziale o per infermità di mente.
3.
I casi di revisione.
La revisione può essere chiesta nei casi seguenti (art. 63 0): a) Fatti incompatibili con quelli accertati da altra sentenza: il conflitto teorico tra giudicati penali. La revisione può essere chiesta quando i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli accertati in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o del giudice speciale. Si tratta della ipotesi di conflitto correggibile, che la revisione è anche strumento per la risoluzione dei conflitti tra giudicati. Diciamo "anche" perché, nel caso di sopravvenienza di nuove prove a favore del condannato (art. 630 comma l lett. c), prima del giudizio di revisione non vi è un conflitto tra accertamenti giurisdizionali contrastanti. L'errore sul fatto integrante una circostanza del reato (ad es. la premeditazione) non può essere oggetto di revisione. Non si tratta di un limite imposto dalla logica. La limitazione della revisione ai soli elementi essenziali della struttura del reato, quale si evince dall'art. 63 1 , è un confine di diritto positivo, non un effetto "naturale" dell'istituto. L'art. 63 1 prevede la revisione solo per l'ipotesi in cui nel giudizio apposito si possa prosciogliere perché il fatto non sussiste, perché l'imputato non lo ha commesso, perché il fatto è stato commesso da persona non imputabile o da persona non punibile, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato (art. 530 comma 1 ) , perché il reato era estinto (art. 53 1 comma 1 ) , ovvero perché l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (art. 529 comma 1). n mutamento del "titolo" del reato (volendo esemplifìcare, da percosse a lesioni) o del "grado" del reato (ad es. da reato consumato a reato tentato) non è ragione sufficiente, de iure condito, per proporre od ammettere (art. 634 comma l) la revisione. n fondamento del divieto di impugnazione straordinaria per modifìcazione del titolo o del grado è, ovviamente, di diritto positivo. Da un punto di vista logico, tra l'accertamento della sussistenza del dolo e quello della sussistenza della colpa c'è una enorme differenza. Dal punto di vista teleologico, poiché la revisione, quale istituto, è destinata a restituire il buon nome al condannato e poiché la coscienza sociale è incline a guardare con indulgenza i reati colposi, il mutamento del grado realizzerebbe una situazione di quasi-innocenza. (2) Così Cass., sez. l, 13 maggio - 8 giugno 2004, n. 25678, Contena, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 679.
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teorico tra giudicati. L'imputato A è stato condannato in via definitiva per una rapina e successivamente interviene una sentenza irrevocabile di condanna nei confronti di B come unico autore della stessa rapina. Dal punto di vista probatorio, dunque, non è sufficiente indicare un altro autore: occorre che l'altro autore sia stato irrevocabilmente condannato (3 ) . b ) La revoca di una sentenza definitiva, che h a risolto una questione pregiudiziale all'esistenza del reato. La revisione può essere chiesta se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'art. 3 (es. stato di famiglia o di cittadinanza) ovvero una delle questioni previste dall'art. 479 (ad es., revoca di sentenza dichiarativa di fallimento). Merita precisare che la sentenza di revoca deve essere passata in giudicato. c) Nuove prove che determinano il proscioglimento. La revisione può essere chiesta se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o congiunte a quelle già valutate, dimostrino che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'art. 63 1 . Dal punto di vista probatorio, ed in funzione del giudizio preliminare di ammissibilità della revisione, è sufficiente che le nuove prove siano allegate documentalmente. Secondo le Sezioni unite debbono considerarsi prove "nuove" ai sensi del l'art. 63 0 lett. c, non soltanto quelle sopravvenute rispetto alla sentenza irrevo cabile e quelle preesistenti e sconosciute alle parti, ma anche le prove comunque non acquisite nel precedente processo o acquisite ma non valutate (4) . (3) Cass., sez. V , 1 8 gennaio 2006, n . 7205 in CED 233635, secondo cui: « in tema d i revisione è legittima la decisione con cui il giudice d'appello rawisi la sussistenza dell'inconciliabilità tra giudicati nella sentenza di applicazione della pena per il reato di false comunicazioni sociali, sub specie di concorso per omissione del controllo di competenza, in qualità di presidente del collegio sindacale di una ditta fallita, e la sentenza irrevocabile di assoluzione di altri soggetti, componenti dello stesso collegio sindacale, per essere stata accertata l'insussistenza del fatto oggettivo della falsità >> (fattispecie in cui la pronuncia di revisione indica quali fatti inconciliabili l'insanabile conflitto tra la relazione di segno accusatorio del curatore fallimentare e le risultanze oggettive o documentali di segno totalmente opposto acquisite nel giudizio definito nei confronti dei sindaci, così da rendere adeguatamente conto di una inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non già in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni ma in riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti su cui sono fondate le due decisioni). (4) n tutto indipendentemente dalla circostanza che l'omessa valutazione sia imputabile a comporta mento processuale negligente o addirittura doloso del condannato. Questo comportamento rileva in sede di riparazione dell'errore giudiziario (art. 643) ma, argomentando a contrario, proprio da quest'ultima norma, non viene in gioco in sede di ammissibilità della revisione. L'unico limite è costituito dall'ipotesi in cui il giudice avesse valutato le prove quanto meno implicitamente, owero le avesse dichiarate inammissibili o ritenute superflue. Così Cass., sez. un., 26 settembre 2001 - 9 gennaio 2002, n. 28, P.m. in c. Pisano, in Dir. pen. proc. , 2002, 194. Secondo Cass., sez. VI, 4 dicembre 2006, n. 2 1 1 1 , la lettura del concetto di « nuove prove >> effettuata dalla sentenza Pisano non può essere ritenuta estensibile alla revisione della sentenza di patteggiamento. Infatti, « la valorizzazione - ai fini della revisione - di prove "non acquisite nel precedente giudizio owero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente" (valida ed opportuna in relazione al rito ordinario o comunque a riti diversi dall'applicazione della pena su richiesta delle parti) non è logicamente
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Le impugnazioni
V.IV.3
d) Sentenza pronunciata in conseguenza di un fatto previsto dalla legge come reato. La revisione può essere chiesta se è dimostrato che la sentenza venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio (ad es., per falsa testimonianza) o di un altro fatto previsto dalla legge come reato (ad es., calunnia, simulazione di reato, frode processuale) . Dal punto di vista probato rio, la sentenza che accerta la falsità deve essere passata in giudicato (5) . Come si vede, il cuore della revisione è rappresentato dalla lett. c dell'art. 630: basta allegare la notizia delle nuove prove perché la corte di appello, se le ritiene decisive, ammetta la revisione ed il suo presidente disponga il decreto di citazione a giudizio. Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il con dannato doveva essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 o 53 1 (art. 63 1 ) . Pertanto, è consentita l a revisione anche al fine di ottenere l'assoluzione perché vi è un ragionevole dubbio sulla reità o sull'esistenza di una causa di
conciliabile con la struttura del patteggiamento >>. In tale rito, infatti, non vi è spazio per la acquisizione di prove, salva la rilevabilità delle situazioni elencate nell'art. 129. Pertanto, la revisione del patteggiamento è ammessa soltanto se soprawengono nuove prove d'innocenza idonee a determinare un proscioglimento con le formule previste da quest'ultima norma. (5) L'art. 630 non prevede la possibilità di chiedere la revisione di quella condanna che sia stata pronunciata a seguito di una violazione delle norme della Convenzione europea sui diritti dell'uomo in tema di giusto processo (art. 6), acclarata con una sentenza della Corte europea. Questo rende l'Italia inadempiente rispetto all'art. 46 della Convenzione europea che impone agli stati aderenti di prevedere una idonea procedura per la restitutio in integrum del soggetto che sia stato condannato all'esito di una procedura ritenuta ingiusta dalla Corte europea e oggetto di condanna per lo Stato parte. Con rapporto 9 settembre 1998 della Commissione europea dei diritti dell'uomo, fatto proprio dal Comitato dei Ministri con Risoluzione adottata il 15 aprile 1999, è stato dichiarato che Dorigo è stato condannato in Italia a seguito di un processo nel quale si era violato l'art. 6 par. 3 lett. d della Convenzione, che sancisce il diritto a confrontarsi con l'accusatore. A seguito di una istanza proposta dal medesimo condannato Dorigo, la Corte d'Appello di Bologna il 15 marzo 2006 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 630 nella parte in cui non prevede una ipotesi di revisione in caso di condanna del nostro ordinamento da parte della Corte europea che acclari una violazione dell'art. 6. Al tempo stesso, la Cassazione, sez. I, l o dicembre 2006, sempre sollecitata da Dorigo, ha affermato che deve essere sospesa, ai sensi dell'art. 670, l'esecuzione della pena nei confronti del detenuto condannato, sulla base di una affermazione di responsabilità ottenuta per effetto della violazione dell'art. 6 lett. d della Conven zione. Ad avviso della Cassazione, la scarcerazione è la conseguenza della << immediata precettività nell'ordi namento interno delle norme della Convenzione europea >> e del valore obbligatorio per il giudice italiano delle decisioni della Corte europea. La decisione si colloca sull'onda di quel principio di diretta applicabilità delle sentenze della Corte europea affermato anche da Cass. , 12 luglio-3 ottobre 2006, n. 32678, in relazione ai giudizi pronunciati in contumacia. li principio della sospensione dell'esecuzione era già stato applicato, ad esempio, dal Tribunale di Roma in funzione di giudice dell'esecuzione, sez. VIII, 9 novembre 2006. La Corte cast. (sentenza n. 129 del 2008) ha affermato che l'istituto della revisione (art. 629 c.p.p.) è sorto per porre rimedio a eventuali errori di giudizio alla luce di fatti soprawenuti, e non può diventare uno strumento per controllare la sentenza di condanna in tutti i casi in cui si sia realizzata nel processo una invalidità in rito, che ne abbia contaminato !"'equità" . Per questo motivo ha dichiarato infondata una questione di costituzionalità, che tendeva ad estendere i casi di revisione (in particolare l'art. 630, lett. a) al fine di ricomprendere tra di essi anche il soprawenire di una sentenza di condanna della Corte europea nei confronti dell'Italia.
V.IV.4
Le impugnazioni straordinarie
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giustificazione (art. 530 commi 2 e 3 , al quale rinvia l'art. 63 1 sui limiti della revisione) (6). 4.
TI procedimento. La fase di delibazione.
Venendo agli aspetti procedimentali dell'istituto, cominciamo dal potere di iniziativa. Esso spetta, innanzitutto, al condannato o a un suo prossimo con giunto ovvero alla persona che ha sul condannato l'autorità tutoria; se il condannato è morto, esso spetta all'erede od a un suo prossimo congiunto (art. 632 comma l lett. a). Il potere di iniziativa è conferito anche al procuratore generale presso la corte di appello nella cui circoscrizione fu pronunciata la condanna. Gli interessati possono unire la loro richiesta a quella del procuratore generale (art. 632 comma l lett. b). I privati interessati possono proporre la richiesta personalmente o a mezzo di procuratore speciale. La richiesta deve contenere l'indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano. Essa deve essere presentata, unitamente ad eventuali atti e documenti, nella cancelleria della corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 1 1 . La delibazione. La fase preliminare di delibazione è segreta (arg. ex art. 634 ) , anche se, per ragioni d i ordinamento giudiziario, la delibazione deve essere pre ceduta dal parere del procuratore generale presso la corte di appello. L'inam missibilità è pronunciata se la richiesta è proposta fuori dei casi previsti dagli artt. 629 e 630, ovvero senza le forme previste dagli artt. 63 1 , 632 , 633 e 64 1 . In tale fase, in particolare, la corte d'appello è chiamata a valutare la "novità" della prova, che giustifica l'apertura del giudizio di revisione (v. tav. 5 .4 . 1 ) . Si tratta, come è facile intuire, di una valutazione delicatissima, intorno alla quale finisce per ruotare l'intero giudizio di revisione. Pertanto, poiché la fase della delibazione è sguarnita di garanzie, la giurisprudenza ha affermato che la fase preliminare di vaglio sulla inammissibilità deve essere estremamente sommaria. Sarà il successivo dibattimento a mostrare la effettiva novità della prova. In qualunque momento, se risulta che la prova non era nuova, può essere emessa sentenza di inammissibilità. Si tratta, naturalmente, di una sentenza, perché è il provvedimento proprio della fase nella quale ci si trova (7) . In tal Cass., sez. I, 12 maggio 2004, Contena, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 679. Per una conferma in tal senso, si veda Cass., sez. V, 18 maggio 2006, Reggiani e altri, in www.dirittoegiustizia.it, 15 novembre 2006, che si è pronunciata in relazione alla asserita "novità" della prova costituita da un esame cerebrale (tomoscintigrafìa), frutto di tecnologia elaborata successivamente alla chiusura del processo. Tale prova era finalizzata a dimostrare l'incapacità di intendere e di volere dell'impu tata al momento del fatto. Ebbene, la Corte d'appello ha ammesso il giudizio di revisione sul rilievo che la tomoscintigrafìa costituiva in astratto un nuovo strumento scientifico. Tuttavia, all'esito del dibattimento nel corso del quale erano state assunte perizie medico-legali, ha rigettato l'istanza di revisione affermando che la (6) (7)
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V.IV.5
modo, si evita uno spreco di attività inutile e al tempo stesso, si permette l'esplicazione del contraddittorio delle parti su di una questione cruciale (la novità della prova) intorno alla quale ruota la tutela dell'innocente. Tra le cause di inammissibilità si colloca la manz/esta in/ondatezza della richiesta. Anche questo è un controllo peculiare. Ad avviso della giuri sprudenza, il giudizio di manifesta infondatezza è una delibazione sommaria del merito della richiesta. Si tratta di una prognosi in concreto sulla idoneità delle nuove prove a ribaltare la sentenza di primo grado. Non si deve valutare la credibilità e l'attendibilità della prova, poiché siamo in una fase in cui manca il contraddittorio. La prova, di regola, è ancora da assumere e lo si farà con le regole previste per il dibattimento, con l'esame incrociato. Naturalmente, in base alle regole di giudizio, richiamate dall'art. 63 1 , sarà sufficiente che le prove inducano un ragionevole dubbio sulla innocenza dell'imputato (8). Se riconosce inammissibile la richiesta, la corte di appello provvede con ordinanza e "può" condannare il richiedente privato al pagamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma da 258 euro a 2065 euro (art. 634 comma l ) (9) . Con l'ammissione della richiesta di revisione, si apre il predibat timento del giudizio di revisione. La parte privata "interessata", una volta ammessa al giudizio di revisione, riacquista lo status di imputato (art. 60 comma 3 ) . La corte di appello può in qualunque momento disporre, con ordinanza, la sospensione dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, applicando, se del caso, una delle misure cautelari coercitive previste dagli artt. 2 8 1 , 2 82 , 283 e 284 (come puntualmente precisa l'art. 635 comma 1 ) . 5.
Il giudizio di revisione.
Il presidente della corte d'appello emette il medesimo decreto di citazione che è previsto per il giudizio d'appello (art. 636, comma l ) ( 10). È obbligatoria la citazione del responsabile civile e della parte civile. Si osservano le norme tomoscintigrafia risultava in concreto inidonea a produrre nuovi dati probatori dai quali potesse emergere l'incapacità di intendere e di volere. Pertanto, la Corte, non ha neppure proceduto alla valutazione dei risultati dell'esame nel contesto del panorama probatorio. (8) n giudice, investito della richiesta di revisione, è chiamato a verificare l'idoneità degli assunti difensivi ad incidere sull'efficacia del giudicato di condanna, anche nella prospettiva di un proscioglimento dell'imputato per insufficienza, incertezza o contraddittorietà dell'originario quadro accusatorio, secondo la regola di giudizio dell"'oltre il ragionevole dubbio" (in tal senso, Cass. , sez. I, 12 maggio 2004, Contena, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 679). (9) L'ordinanza di inammissibilità è comunicata al procuratore generale e notificata al privato richiedente, titolari, entrambi, del diritto a ricorrere per cassazione. n ricorso alla suprema corte si svolge secondo le forme ordinarie, in sede camerale, ma è esteso al merito della richiesta. ( lO) n decreto deve rispettare i requisiti previsti dall'art. 429 comma l lett. a, / e g, con esclusione (la più significativa) dell'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l 'applicazione di misure di sicurezza (art. 429 comma l lett. c).
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disposte per il giudizio di primo grado in quanto applicabili ( 1 1 ) e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta (art. 63 6, comma 2 ) ; ciò dimostra come il giudizio di revisione, pur svolgendosi dinanzi alla corte di appello, non sia un giudizio di appello, anche se esso è vincolato alla devoluzione contenuta nella richiesta. L'assunzione e la valutazione delle prove. Quindi, il giudizio inizia con le richieste che siano assunte quelle prove a discarico che già in precedenza erano state indicate o allegate. Peraltro, non è prevista la rinnovazione obbligatoria dell'istruzione con riguardo alle prove già assunte nel dibattimento di primo grado. Pertanto, possiamo concludere che il fulcro del giudizio di revisione è rappresentato dall'efficacia persuasiva delle prove di innocenza. È la "novità" delle prove che deve convincere dell'innocenza o, quanto meno, far sorgere il ragionevole dubbio (art. 530 comma 2 richiamato dall'art. 63 1 ) . Se questa efficacia persuasiva non si palesa, la richiesta di revisione è rigettata. In caso di accoglimento della richiesta di revisione, il giudice revoca la sentenza di condanna e pronuncia il proscioglimento indicandone la causa nel dispositivo (art. 637 , comma 2 ) . Gli effetti della sentenza di revisione. Per l'art. 63 9 « la corte di appello, quando pronuncia sentenza di proscioglimento a seguito di accoglimento della richiesta di revisione, anche nel caso previsto dall'art. 638 , ordina la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna per le pene pecuniarie, per le misure di sicurezza patrimoniali, per le spese processuali e di mantenimento in carcere e per il risarcimento dei danni a favore della parte civile citata per il giudizio di revisione. Ordina altresì la restituzione delle cose che sono state confiscate, ad eccezione di quelle previste dall'art. 240 comma 2 , n. 2 , del codice penale » (si tratta di alcune cose oggetto di confisca obbligatoria come, ad es., le armi) . Inoltre, la sentenza di accoglimento, a richiesta dell'interessato, è affissa per estratto, a cura della cancelleria, nel comune in cui la sentenza era stata pronunciata e in quello dell'ultima residenza del condannato (art. 642 comma 1 ) . Infine, sempre su richiesta dell'interessato, « il presidente della corte di appello dispone con ordinanza che l'estratto della sentenza sia pubblicato a cura della cancelleria in un giornale, indicato nella richiesta; le spese della pubbli cazione sono a carico della cassa delle ammende » (art. 642 comma 2 ) . Si tratta delle forme di riparazione morale. Il pubblico impiegato (ma, oggi, è da intendersi anche il dipendente privato) è reintegrato nel posto di lavoro. D ricorso per cassazione. La decisione che chiude ciascuna delle due fasi (delibazione e revisione) è assoggettabile a ricorso per cassazione (artt. 634 comma 2 e 640). Questo conferisce alla suprema corte il potere di scendere nel merito della ( 1 1 ) Tra quelle applicabili vi sono la pubblicità dell'udienza, la contumacia o l'assenza per rinuncia a comparire.
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fondatezza delle prove nuove. Si realizza, così, un doppio grado di giurisdizione. La revisione in peius. Per completezza, segnaliamo che vi sono norme speciali che prevedono ipotesi eccezionali di revisione in peius nei confronti di coloro che hanno collaborato con la giustizia. La materia concerne i delitti di mafia e assimilati previsti dall'art. 5 1 comma 3 -bis. Ai sensi dell'art. 16-septies, inserito con legge n. 45 del 2001 nel d.l. 15 gennaio 1991 n. 8, convertito in legge 15 marzo 1991 n. 82, quando i benefici previsti per i collaboratori di giustizia sono stati applicati « per effetto di dichiarazioni false o reticenti », o quando chi ha ottenuto detti vantaggi « commette, entro dieci anni dal passag gio in giudicato della sentenza, un delitto per il quale l'arresto in flagranza è obbligatorio » e che è indicativo « della permanenza del soggetto nel circuito criminale », è ammessa la revisione in peius. Il procedimento si svolge con l'osservanza delle disposizioni del codice sulla revisione, in quanto applicabili; in caso di accoglimento della richiesta, il giudice riforma la sentenza di condanna e determina la nuova misura della pena (art. 1 6-septies commi 4 e 5 ) . 6.
La riparazione dell'errore giudiziario.
L'errore giudiziario consiste nella scoperta, mediante la revisione, dell'in giustizia sostanziale di una sentenza irrevocabile di condanna. È importante ri cordare che è la stessa Costituzione a richiedere che il legislatore determini le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari (art. 24 comma 4 Cost.) . Nell'ambito dei presupposti della riparazione dell'errore giudiziario oc corre distinguere tra quelli positivi e quelli negativi. In positivo, è presupposto della riparazione la revisione del giudicato di condanna, con conseguente riconoscimento dell'errore giudiziario. Non occorre che il giudicato di con danna sia stato eseguito, vuoi perché ineseguibile (ad es., per sospensione condizionale della pena), vuoi per sottrazione all'esecuzione mediante protra zione della latitanza od evasione. La ratio della riparazione consiste soltanto nell'accertamento dell'ingiustizia del giudicato di condanna. In negativo, occorre che chi è stato prosciolto in sede di revisione non abbia dato causa « per dolo o colpa grave » all'errore giudiziario: l'ipotesi postula che l'errore sia riferibile "in via esclusiva" alla condotta del condannato poi prosciolto, non rilevando il semplice concorso causale della sua condotta fraudolenta o negligente. Sempre in negativo, « il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della pena detentiva che sia computata nella determinazione della pena da espiare per un reato diverso, a norma dell'articolo 657 comma 2 » (art. 643 comma 3 ) . L'azione riparatoria. L'azione d'indole civile, con la quale l'innocente fa valere il suo diritto alla riparazione dell'errore giudiziario, è proponibile esclu sivamente davanti alla corte di appello in sede penale. Legittimati a richiedere
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Le impugnazioni straordinarie
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la riparazione dell'errore giudiziario sono. se il prosciolto è morto « anche prima del procedimento di revisione ». il coniuge, i discendenti e gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, gli affini entro il primo grado e le persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta · an. 6-t-t comma 1 ) , salvo che siano « indegni » (art. 644 comma 3 ) . Il termine per la proposizione della domanda scritta di riparazione è lo scadere del secondo anno dal passaggio in giudicato della sentenza di revisione (art. 645 comma l . Il procedimento ripara torio. La domanda scritta di riparazione è presen tata, unitamente ai documenti ritenuti utili, nella cancelleria penale della corte di appello che ha pronunciato la sentenza di revisione, personalmente o per mezzo di procuratore speciale (art. 645 comma 1 ) . Sulla domanda di riparazione la corte di appello decide in camera di consiglio, osservando le forme previste dall'art. 127 . La domanda, con in calce il provvedimento che fissa l'udienza, è notificata, a cura della cancelleria, al ministro dell'economia, domiciliato presso l'avvocatura distrettuale dello Stato, al procuratore generale ed a tutti gli interessati (art. 646 commi l e 2) almeno dieci giorni prima della data dell'udienza; fino a cinque giorni prima del l'udienza possono essere presentate memorie (art. 127 comma 2 ) . Nell'udienza camerale il presidente o il consigliere delegato svolge l a rela zione, dopo la quale ha luogo la discussione, verbalizzata in forma riassuntiva. I destinatari dell'avviso « sono sentiti se compaiono » in base alla ordinaria nor mativa sul procedimento in camera di consiglio (art. 127 ) . La corte di appello pronuncia ordinanza, che è comunicata al procuratore generale e notificata, in vista del ricorso per cassazione, all'avvocatura distrettuale ed a tutti gli interessati. Secondo la tipologia di tale provvedimento ordinatorio, la decisione può essere di inammissibilità, di rigetto o di accoglimento, anche parziale. Le prestazioni riparatorie. La prima (e statisticamente più frequente) forma di riparazione è quella pecuniaria, la quale è indeterminata nel massimo (a differenza dalla riparazione per l'ingiusta detenzione; art. 3 15 comma 2 ) e deve essere « commisurata alla durata dell'eventuale espiazione della pena o inter namento e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla [ingiusta] condanna » (art. 643 comma 1 ) . Le altre forme di riparazione sono l a rendita vitalizia e d il ricovero in un istituto, a spese dello Stato. La riparazione si attua, in alternativa al pagamento di una somma di denaro, mediante costituzione - s'intende, sempre a carico del ministero del tesoro - di una rendita vitalizia, « tenuto conto delle condizioni dell'avente diritto e della natura del danno ». 7.
Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto.
L'art. 625-bis, introdotto dalla legge n. 128 del 200 1 , ha creato un istituto inedito nel diritto processuale penale, che consiste nella possibilità, riconosciuta
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Le impugnazioni
V.IV.7
« a favore del condannato », di chiedere « la correzione dell'errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla corte di cassazione ». L'istituto è assai simile alla revocazione che è disciplinata dagli artt. 3 9 1 -bis e 3 95 c.p.c. per le sentenze della cassazione civile ( 12 ) . S i tratta d i u n vero e proprio ricorso straordinario e cioè esperibile nei confronti di provvedimenti che sono divenuti irrevocabili. Gli errori materiali sono definiti nell'art. 13 O come « errori od omissioni che non determinano nullità e la cui eliminazione non comporta una modifica essenziale del l'atto » ( 1 3 ) . L'errore di fatto consiste in un "errore ostativo" e cioè in una falsa percezione di ciò che emerge in modo chiaro ed inequivoco dagli atti; l'errore deve aver indotto la cassazione ad affermare l'esistenza (o l'inesistenza) di un fatto decisivo, la cui insussistenza (o, rispettivamente, sussistenza) risulti invece in modo incontrovertibile dagli atti interni al giudizio di legittimità (Cass. , sez. II, 23 maggio- 1 4 giugno 2007, Previti, in Guida dir., 2007 , 29, 93 ) . L a correzione dell'errore può essere richiesta soltanto a favore del condan nato. Pertanto l'istituto sembra rispondere ad esigenze di /avor rei piuttosto che di giustizia sostanziale. Regolamentazione. La legittimazione a presentare la richiesta spetta al procuratore generale ed al condannato, entro centottanta giorni dal deposito del provvedimento impugnato (art. 625 -bis, comma 2) ( 1 4 ) . Inoltre, la corte di cassazione, in ogni momento, può rilevare d'ufficio l'errore materiale (art. 625-bis, comma 3 ) . L a presentazione del ricorso non h a effetto sospensivo; tuttavia, il supremo collegio « in casi di eccezionale gravità » può disporre la sospensione con ordinanza (art. 625 -bis, comma 2 ) . n ricorso è inammissibile s e è presentato per motivi diversi dall'errore materiale o di fatto ( 15 ) ; se è presentato fuori termine (quando ha per oggetto ( 12) In passato il codice di procedura penale non recava alcun istituto analogo. La Corte di cassazione, sez. VI, con ordinanza 5 maggio 1999, n. 485, Cervati, in Foro it., 1 999, II, 499, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 629 e 630 nella parte in cui non consentivano la revisione delle decisioni della corte di cassazione che fossero affette da un errore di fatto. La Corte costituzionale, con sentenza n. 395 del 2000, aveva dichiarato l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza. Tuttavia, il Giudice delle leggi aveva affermato che l'errore di tipo percettivo in cui sia incorsa la corte di cassazione è evenienza in palese contrasto con gli artt. 3 e 24 Cast. e necessitava di un rimedio. ( 13 ) Le Sezioni unite della Corte di cassazione, 30 aprile 2002, Basile, in Dir. pen. proc. , 2002, 986, hanno precisato che « sono certamente estranei al campo di applicazione dell'art. 625-bts c.p.p. gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l'attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche quando siano dovuti all'ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati. Ne consegue che l'errar iuris, al pari dell'errore di giudizio o valutativo, non può mai essere fatto valere a mezzo del ricorso straordinario, dato che, rispetto ad esso, resta intatto il rigore del principio dell'intangibilità delle decisioni della Corte di cassazione >>. ( 14) Merita sottolineare che la legittimazione a ricorrere non è riconosciuta al soggetto prosciolto. ( 1 5 ) La Cassazione ha chiarito che le disposizioni regolatrici del nuovo mezzo di impugnazione, in quanto deroganti al principio di inoppugnabilità delle decisioni della S.C., « non sono suscettibili di applicazione analogica >>. Pertanto il mezzo in esame si applica alle sole sentenze di condanna, con esclusione
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l'errore di fatto) o, infine, se è manifestamente infondato. L'inammissibilità è dichiarata dalla corte anche d'ufficio (art. 625-bis, comma 4 ) . S e il ricorso è ammissibile, l a corte decide in camera di consiglio ai sensi dell'art. 127, con la partecipazione facoltativa delle parti. Se accoglie la richiesta, il supremo collegio adotta i provvedimenti necessari per correggere l'errore (art. 625-bis, comma 4 ) .
quindi delle decisioni relative a procedimenti incidentali, quali, ad es., quelli in tema di libertà personale. Inoltre secondo la Corte, nella nozione di "errore di fatto" non si possono ricondurre « gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali >>. Ancora, l'omesso esame di un motivo di ricorso è riconducibile alla figura dell'errore di fatto << quando sia dipeso da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l'erronea supposi zione dell'inesistenza della censura, la cui presenza, viceversa, sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso >>. In tal senso Cass., sez. un., 30 aprile 2002, De Lorenzo; Cass., sez. un., 30 aprile 2002, Basile.
Parte Sesta IL GIUDICATO E L'ESECUZIONE PENALE
CAPITOLO I GLI EFFETTI DEL GIUDICATO PENALE
SOMMARIO: l. L'irrevocabilità. - 2. L'esecutività. - 3 .
n giudicato. - 4. I limiti dell'efficacia
preclusiva della sentenza irrevocabile. - 5. Il giudicato penale in relazione ad altri processi penali.
-
6. La sentenza penale irrevocabile ed il processo per il risarcimento del danno
cagionato dal reato. - 7. L'esercizio tempestivo dell'azione di danno e la separazione delle giurisdizioni. - 8. Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno.
-
9. Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio
civile o amministrativo di danno. - 1 0 . Efficacia della sentenza penale di assoluzione o di condanna nel giudizio disciplinare davanti alle pubbliche autorità. - 1 1 . Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi.
l.
L'irrevocabilità.
In generale, per irrevocabilità si intende la non impugnabilità del provve dimento emesso dal giudice. T ale caratteristica può derivare sia dal fatto che la legge non prevede la possibilità di impugnare il provvedimento con un mezzo ordinario, sia dal fatto che nessuna parte ha presentato impugnazione nei termini o, se l'ha presentata, si sono ormai esauriti tutti i mezzi di impugnazione ordinari previsti dal codice. La irrevocabilità comporta la tendenziale non modificabilità del provvedimento stesso; e cioè l'impossibilità di ripetere il giudizio che ha condotto all'accertamento in esso contenuto. Il codice di procedura penale nell'art. 648 , comma l , ha voluto utilizzare il termine "irrevocabilità" in un significato ristretto, perché lo ha voluto riferire alla sentenza resa in giudizio, e non ad altri tipi di provvedimenti emessi dal giudice. Pertanto, in base al codice sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa una impugnazione ordinaria. Ciò premesso, l'art. 648 pone le seguenti condizioni al realizzarsi della situazione di irrevocabilità. a) La decisione deve consistere in una sentenza pronunciata in giudizio. Con tale termine si ricomprende sia la sentenza dibattimentale, sia quella
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Il giudicato e l'esecuzione penale
VI I.2 .
che,seppure resa prima del dibattimento, consegua comunque ad un giudizio abbreviato o sia stata pronunciata su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) . b ) La sentenza deve essere non impugnabile in concreto con gli ordinari mezzi di impugnazione. Ciò può avvenire alternativamente o perché nessuna parte ha proposto impugnazione nei termini, o perché sono stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione ordinari previsti dalla legge. In dettaglio: la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporre impugna zione o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile; se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata la sentenza che rigetta il ricorso o l'ordinanza che lo dichiara inammissibile (art. 648 , comma 2 ) . c) Il decreto penale di condanna viene assimilato alla sentenza resa in giudizio sotto il profilo della irrevocabilità. Il decreto penale diventa irrevoca bile quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile (art. 648, comma 3 ) . 2.
L'esecutività.
L'esecutività è l'idoneità del provvedimento ad essere attuato coattivamente, e cioè anche contro la volontà della persona interessata. Di regola ogni provvedimento emanato dal giudice ha la caratteristica della esecutività (v. tav. 6.2 .2) . Ciò deriva dall'art. 13 1 del codice, secondo cui « il giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, può chiedere l'intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica, prescrivendo tutto ciò che occorre per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede ». Da quanto appena esposto discende l'ulteriore regola secondo cui il provvedimento cautelare pronunciato dal giudice è esecutivo anche se è ancora impugnabile o se è in corso l'impugnazione del medesimo. Ciò si ricava, ad esempio, dal fatto che la richiesta di riesame al tribunale della libertà non sospende l'esecuzione della misura cautelare (art. 588, comma 2 ) . La deroga per le sentenzepronunciate in giudizio. Alla regola della immediata esecutività il codice pone un'importante deroga. Ai sensi dell'art. 650, comma l , non sono immediatamente esecutive le sentenze rese in giudizio, quando sono ancora soggette a impugnazione. Ciò può essere giustificato dal fatto che tali prov vedimenti possono irrogare in modo definitivo sanzioni che limitano direttamente o indirettamente la libertà personale; pertanto si vuole che prima della esecuzione delle sanzioni si siano potuti attivare i controlli mediante le impugnazioni. Sono esecutive soltanto le sentenze irrevocabili (e cioè, ai sensi dell'art. 648, secondo il significato ristretto utilizzato dal codice, le sentenze rese in giudizio e non più impugnabili) . Alla sentenza l'art. 650, comma l parifica il decreto penale di condanna che sia diventato irrevocabile. A questo punto il codice introduce una precisazione ed una eccezione.
VI. I.3
Gli effetti del giudicato penale
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La precisazione è che le sentenze di non luogo a procedere (pronunciate, ricordiamo, nell'udienza preliminare) « hanno forza esecutiva quando non sono più soggette a impugnazione » (art. 650, comma 2). In realtà, tale precisazione si rende necessaria soltanto per un motivo nominale. Poiché l'art. 434 disciplina l'istituto della "revoca" delle sentenze di non luogo a procedere, per tali sentenze il codice non può parlare di "irrevocabilità " . Tuttavia, dal punto di vista della esecutività, in relazione a tali sentenze vale la stessa disciplina prevista per le sentenze pronunciate in giudizio: esse divengono esecutive quando non sono più soggette a impugnazione. L'eccezione si rinviene nell'art. 3 00 e riguarda le sentenze di non luogo a procedere e di proscioglimento (queste ultime sono pronunciate in giudizio). Esse comportano di diritto la immediata perdita di efficacia delle misure cautelari personali che eventualmente siano state disposte per il medesimo fatto dal quale l'imputato è scagionato. Pertanto tali sentenze, anche se impugnabili o se sottoposte a impugnazione, sono esecutive immediatamente quanto meno nel determinare la perdita di efficacia della misura cautelare personale: ad esempio, l'imputato è immediatamente liberato. 3.
n giudicato.
Contro ogni sentenza di proscioglimento o di condanna la legge accorda al pubblico ministero e all'imputato il diritto di proporre impugnazione quanto meno mediante il ricorso per cassazione (art. 1 1 1 , comma 7 Cost.), ma in vari casi anche mediante appello. Se per i motivi menzionati (esaurimento dei mezzi di impugnazione previsti dalla legge o inerzia delle parti) la sentenza resa in giudizio diventa non più impugnabile, ne consegue che la decisione sul fatto storico addebitato all'imputato non è più modificabile: il potere di accertamento spettante al giudice si è ormai estinto. Altri affermano che il potere di azione penale si è " consumato" . I controlli ordinari sono stati esperiti (o non sono stati attivati per inerzia delle parti) : ormai il giudice ha "giudicato" . Da ciò deriva il principio secondo cui la sentenza irrevocabile ha l'autorità della cosa giudicata: esso esprime un'esigenza di certezza dei rapporti giuridici. n codice pone una fondamentale distinzione tra i due effetti del giudicato: quello preclusivo e quello vincolante (v. tav. 6. 1 .4). L'effetto preclusivo del giudicato comporta che l'imputato prosciolto o condannato non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto storico (art. 649, comma 1 ) : torneremo subito sul punto. L'effetto vincolante del giudicato impone ad altri giudici di ritenere "vero" il fatto accertato. Occorre tracciare la seguente distinzione tra l'effetto vinco lante ai fini penali e quello ai fini civili o amministrativi. Ai fini della giustizia penale, ove vi sia stata condanna irrevocabile, il giudicato comporta la non modifìcabilità dell'accertamento della sussistenza del
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fatto illecito e della responsabilità dell'imputato. Su questo punto, il giudicato ha un effetto vincolante sul giudice penale in relazione soltanto a quel fatto e a quell'imputato: l'accertamento della responsabilità deve essere considerato giuridicamente "vero" (si veda, in/ra, § 5 ) . Quando l'esistenza del fatto di reato deve essere accertata in via pregiudi ziale in un processo civile o amministrativo, la sentenza irrevocabile di con danna o di proscioglimento comporta una efficacia vincolante soltanto in casi eccezionali e tassativi previsti espressamente dagli articoli 65 1 -654 (si vedano i successivi § § 6- 1 1 ) . Il signiiìcato dell'effetto preclusivo. Come abbiamo anticipato, l'effetto preclusivo del giudicato comporta che l'imputato prosciolto o condannato non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto storico (art. 649, comma 1 ) . Precludere, infatti, significa bloccare, impedire. Ciò non vuoi dire che s'impone ad un altro giudice di ritenere vero un determinato fatto, ma piuttosto che non si può iniziare un processo penale nei confronti del medesimo imputato per lo stesso fatto storico. La revisione della sentenza di condanna. Gli effetti del giudicato possono venir meno in un caso importante, che merita segnalare subito. È ammessa un'impugnazione straordinaria (la revisione; artt. 629 ss.) contro la sentenza di condanna, purché (in sintesi) dopo l'intervenuta irrevocabilità sopravvengano o si scoprano nuove prove che dimostrino che il condannato deve essere pro sciolto (art. 630). In tal caso il legislatore ritiene prevalente l'esigenza di giustizia sull'esigenza di certezza. La straordinarietà della revisione sta nel fatto che la relativa richiesta non deve essere presentata entro limiti temporali determinati: essa, infatti, può "aggredire" il giudicato. Viceversa, se la sentenza irrevocabile è di proscioglimento (e cioè, di assoluzione o di non doversi procedere) non vi sono deroghe; l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici prevale sempre sulle esigenze di giustizia. Infatti anche se si scoprono nuove prove tali da dimostrare che l'imputato, prosciolto con sentenza irrevocabile, è colpevole, questi non può essere nuovamente sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto (v. tav. 6. 1 . 1 ) . 4.
I limiti dell'efficacia preclusiva della sentenza irrevocabile.
Come abbiamo accennato, il legislatore vuole evitare che un imputato sia sottoponibile indefinitamente a successivi procedimenti penali che abbiano ad oggetto il medesimo fatto storico per il quale è stato condannato o prosciolto. Per evitare ciò, l'art. 649 pone il principio dell'effetto preclusivo della sentenza irrevocabile: il principio assume la denominazione latina di ne bis in idem. Sappiamo che si tratta di un effetto meramente negativo: ove un pubblico ministero inizi un nuovo procedimento per il medesimo fatto attribuito al medesimo imputato, il giudice ha l'obbligo di pronunciare sentenza di non
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luogo a procedere (nell'udienza preliminare) o di proscioglimento per impro cedibilità (in dibattimento) . n principio è rinvenibile i n tutti gli ordinamenti processuali sia d i tradizione continentale, ove assume la denominazione latina di ne bis in idem, sia di tradizione angloamericana, nei quali è espresso col divieto del double jeo pardy ( 1 ) . In estrema sintesi, si tratta della regola in base alla quale nessuno può essere processato due volte per lo stesso fatto (2) . Nel nostro codice il principio assume la seguente configurazione in base all'art. 649, comma 1 : « l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69, comma 2 , e 345 ». La disposizione prosegue indicando che l'inizio di un nuovo procedimento penale comporta l'obbligo per il giudice, in ogni stato e grado del processo, di pronunciare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enun ciandone la causa nel dispositivo (art. 649 comma 2 ) . Il divieto di un secondo giudizio è ricollegato alla presenza di requisiti che sono indicati dalla legge (v. tav. 6 . 1 .8). Il requisito soggettivo. Il requisito soggettivo del ne bis in idem è dato dalla identità tra la persona già giudicata e quella che si vorrebbe sottoporre a procedimento penale; pertanto possono essere sottoposte a processo penale persone diverse dall'imputato, anche se sono accusate di aver commesso (sole o con altri) quel medesimo fatto storico sul quale si è formato il giudicato. Parimenti, chi ha assunto la veste di imputato in un procedimento definito con sentenza irrevocabile può essere sottoposto ad altro procedimento per il medesimo fatto storico come responsabile civile o civilmente obbligato per la pena pecumana. La giurisprudenza afferma che il giudicato penale, formatosi nei confronti di un imputato per un determinato fatto, non vincola il giudice che è chiamato a accertare il medesimo fatto nei confronti di altri imputati. Il divieto di bis in idem esplica una funzione di garanzia per la persona imputata nel nuovo processo e ne postula l'identità con il soggetto irrevocabilmente condannato o prosciolto. Per tanto, il giudice del procedimento a carico del concorrente può rivalutare il com portamento del soggetto già giudicato, ma unicamente al fine di accertare la sus sistenza e il grado della responsabilità dell'imputato da giudicare (3 ) . Il requisito oggettivo. Il requisito oggettivo del n e bis in idem è rappresentato dal medesimo fatto storico. Il divieto di un nuovo procedimento penale scatta non ( l ) Per l'ordinamento statunitense, si veda il quinto Emendamento alla Costituzione federale ( 1 7 9 1 ) . ( 2 ) Sui limiti i n cui rileva i l ne bis in idem i n ambito internazionale, v . infra, parte VII, cap. 2, § 6. (3 ) Cass., sez. I, 1 6 novembre-1° dicembre 1 998, Hass e Priebke, in Cass. pen., 1999, 2 176, e in Foro it. , 1999, Il, 273 .
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soltanto quando il fatto storico appare "identico" ; esso opera anche quando co munque il fatto storico è il « medesimo », nonostante che sia rappresentato dif ferentemente, e cioè secondo modalità temporali e spaziali diverse. Come precisa l'art. 649, l'imputato prosciolto o condannato con sentenza irrevocabile non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto « se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circo stanze » (4 ) . In particolare, il « titolo » è la definizione giuridica del fatto; il « grado » è la maggiore o minore gravità concreta del reato (5 ) ; le « circostanze » si riferiscono alle aggravanti e alle attenuanti, nonché alle circostanze inerenti alla persona del colpevole (come l'intensità del dolo, il grado della colpa, l'imputa bilità) ed agli altri elementi accidentali del reato. Concetto di "medesimo fatto". La giurisprudenza ritiene che il medesimo /atto sussista soltanto se sono identici la condotta, l'evento ed il rapporto di causalità (6) . Tali elementi, come di seguito si preciserà, debbono essere intesi non soltanto nella loro dimensione storico-naturalistica, ma anche in quella giuridica come espressione di una medesima offesa. Pertanto, quando almeno uno dei predetti profili risulti diverso, il fatto può essere diversamente consi derato in un nuovo procedimento penale a carico del medesimo imputato, con possibilità di una ulteriore decisione (7). ( 4 ) La problematica richiama alla mente l a disciplina dell'art. 52 1 , relativo alla correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Come è noto, tale norma stabilisce il principio in base al quale il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione (c.d. principio iura novit curia). Se, tuttavia, il fatto accertato risulta diverso rispetto a quello descritto nel decreto, che dispone il giudizio, il giudice è obbligato a disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero. Ebbene, vi è una differente ratio tra l'art. 521 e l'art. 649: una differente " descrizione" del tempo, del luogo o dei mezzi dell'azione rispetto al fatto contestato impone al giudice del dibattimento la trasmissione degli atti al pubblico ministero; viceversa, situazioni del genere, qualora emergano successivamente alla irrevocabilità della sen tenza, fanno ritenere che il fatto è "medesimo" e quindi vietano un secondo procedimento ai sensi dell'art. 649. Quello che conta è la medesimezza del fatto, a prescindere dalla "descrizione" delle modalità di tempo, di luogo o dei mezzi. Così F. CoRBI - F. Nuzzo, Guida pratica all'esecuzione penale, Torino, 2003 , 3 7 . ( 5 ) E s . condanna per omicidio commesso con un colpo d i coltello e nuovo procedimento per il medesimo omicidio commesso con tre colpi di coltello. (6) Cass., sez. II, 18 gennaio 2005, Romito, in CED, n. 230791. Secondo Cass., sez. un. , 28 giugno 2005, Donati, ivi, n. 23 1799, la locuzione "medesimo fatto" va intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, onde tale espressione fa riferimento all'<< identità storico-naturalistica del reato, in tutti i suoi elementi costitutivi identificati nella condotta, nell'evento e nel rapporto di causalità, in riferimento alle stesse condizioni di tempo, di luogo e di persona ». (7) Merita precisare che l'indirizzo giurisprudenziale appena ricordato ha ridotto l'area operativa del principio del ne bis in idem rispetto all'intenzione dei codificatori. A tale conclusione conducono alcune considerazioni " storiche" . La formulazione letterale dell'art. 649 impedisce un nuovo processo qualora il fatto sia diversamente considerato per il "grado" . Tale locuzione, come si ricava dalla Relazione al progetto preliminare del codice del 1930, doveva riferirsi al passaggio dal delitto tentato al delitto consumato. Poiché in simile ipotesi ciò che si modifica è l'evento (assente nell'ipotesi del tentativo) è evidente che, nell'idea originaria, il fatto era considerato essenzialmente per la condotta; e il mutamento di altri elementi (evento e rapporto di causalità) non faceva venir meno l'effetto preclusivo. È chiaro, dunque, che la giurisprudenza ha effettuato una interpretazione abrogatrice del concetto di "grado" inteso come passaggio da tentativo a consumazione. Infatti, la Cassazione considera non operante il ne bis in idem qualora vi sia una modifica del
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Giurisprudenza. Dalla giurisprudenza si ricavano i seguenti esempi di applicazione del principio del ne bis in idem. Intervenuta una condanna per omicidio doloso, non può esservi un nuovo processo penale per omicidio colposo: il fatto sarebbe considerato soltanto per un diverso titolo. Allo stesso modo, una volta che l'imputato è stato assolto con sentenza irrevocabile dall'accusa di omicidio colposo, non è ammissibile un nuovo procedimento basato su una diversità degli elementi della colpa (8). E ancora, una volta che l'imputato è stato prosciolto per abuso d'ufficio, non può essere processato per peculato con riferimento al medesimo fatto (9). Viceversa, in giurisprudenza si ritiene che il fatto sia diverso nei seguenti casi: intervenuta una condanna irrevocabile per lesioni colpose e sopravvenuta la morte successivamente alla sentenza, può iniziare un nuovo procedimento penale per omicidio colposo ( 10). Una volta che l'imputato è stato condannato in un primo giudizio per violenza e resistenza a pubblico ufficiale, egli può essere successivamente processato per lesioni volontarie ( 1 1 ) . Infine, dopo che una persona è stata assolta per il reato di corruzione passiva, può procedersi contro la medesima per il reato di concussione ( 12 ) . Non operatività del ne bis in idem. Ai sensi dell'art. 649, comma 1 l'effetto preclusivo non opera nel caso di sentenza che abbia dichiarato estinto il reato per morte dell'imputato, quando successivamente si accerti che la morte è stata erroneamente dichiarata; né q�ando una sentenza abbia prosciolto l'imputato per difetto di una condizione di procedibilità qualora successivamente soprav venga tale condizione. D concorso formale di reati. Inoltre, è opportuno segnalare che qualora si verifichi un concorso formale di reati per la violazione di precetti distinti attraverso la medesima condotta, non opera la preclusione di cui all'art. 649 c.p.p. poiché il giudicato formatosi relativamente ad uno degli eventi giuridici cagionati non impedisce la possibilità di esercitare l'azione penale in merito all'altro. In tal caso, infatti, ciascuna delle due incriminazioni in concorso rapporto di causalità o dell'evento; e, quindi, è possibile un nuovo processo quando dal tentativo si passa al reato consumato (in tal senso, Cass., 3 dicembre 1993, Voce, in CED, n. 195750; in senso contrario la prevalente dottrina). Al fine di conservare comunque un significato autonomo alla parola "grado", si potrebbe a nostro awiso affermare che essa esprime il livello di gravità concreta che si raggiunge dopo la perfezione del reato (es. la quantità di colpi inferti alla vittima dell'omicidio), senza che mutino gli elementi costitutivi e le circostanze e senza che si rendano applicabili altre fattispecie incriminatrici in concorso formale. Si tratta di quella gravità dell'offesa che rileva esclusivamente ai fini della determinazione della pena. (8) Cass., sez. IV, 2 aprile 1987, Lasala, in Cass. pen . , 1988, 1460. (9) Cass., 8 novembre 1996, Privitera, in Cass. pen., 1998, 838. (lO) Cass., 27 giugno 1979, in Riv. pen. , 1980, 373; Cass., 8 maggio 1987, Mari, in Cass. pen., 1989, 620, 565. ( 1 1 ) Cass., sez. V, 3 dicembre 1992, Bellicoso, in CED 194324; Cass., sez. I, 24 gennaio 1995, Sorgano, in Mass. Cass. pen., 1995, 5, 124. (12) Cass., sez. VI, 3 giugno 1993, Necchi, in CED 194979 e in Mass. Cass. pen., 1993, 1 1 , 123.
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formale serve a reprimere una parte della offesa cagionata dal fatto storico ai beni giuridici protetti dalle norme penali violate. Pertanto, è necessario appli carle entrambe per punire il fatto in tutta la sua antigiuridicità. Ad avviso della giurisprudenza, tuttavia, affinché il medesimo soggetto possa essere sottoposto ad un nuovo procedimento in caso di concorso formale, occorre una ulteriore condizione, e cioè che il giudizio sul secondo evento sia compatibile logicamente con il primo (es. di incompatibilità: una sentenza irrevocabile accerta che il fatto non sussiste e successivamente si apre un secondo giudizio per un reato in concorso formale sul presupposto della sussistenza del fatto) ( 1 3 ) . n principio di preclusione nella recente giurisprudenza. Da ultimo, occorre sottolineare che vi è stata una importante evoluzione sistematica: la giuri sprudenza ha interpretato il ne bis in idem come un principio generale dell'intero sistema processuale e ha ritenuto precluso un secondo giudizio in relazione al medesimo fatto attribuito alla stessa persona anche in presenza di un processo ancora pendente e non definito con sentenza irrevocabile. In ogni caso, è neces sario che i due processi siano pendenti contemporaneamente, che siano stati instaurati ad iniziativa dello stesso ufficio del pubblico ministero, che non siano riconducibili nell'ambito dei conflitti di competenza di cui all'art. 28 c.p.p. e che siano stati devoluti, anche se in fasi o gradi diversi, alla cognizione di giudici appartenenti alla stessa sede giudiziaria (14). Il principio di preclusione, che nella sua accezione più generale è finalizzato ad evitare una duplicazione di attività, è oggi da più parti considerato il baluardo da porre a presidio dei princìpi della ragionevole durata, dell' effi cienza e della economia processuale (15). È significativo il fatto che la giuri sprudenza delle Sezioni unite lo sta elevando a canone interpretativo di generale
( 13 ) Un esempio può chiarire il concetto. Tizio è stato condannato, con sentenza irrevocabile, per il delitto di incendio tentato (artt. 56 e 423 comma l c.p.) avendo appiccato il fuoco nell'abitazione di Caia e Sempronio i quali, all'interno, stavano dormendo. Più precisamente, Tizio era riuscito a far penetrare nella casa un liquido infiammabile attraverso le fessure delle finestre e al di sotto della porta di ingresso, ma, a causa dell'odore del liquido e del rumore prodotto, Sempronio si era svegliato ed aveva dato l'allarme, mettendo in fuga Tizio. Successivamente, inizia un ulteriore procedimento per tentato omicidio (artt. 56 e 575 c.p.) e Tizio viene ritenuto colpevole. Si tratta di una ipotesi di concorso formale di reati; la pena complessiva viene rideterminata in base all'art. 81 c.p. Deve riconoscersi, infatti, che, attraverso la suddetta condotta sono stati cagionati due eventi diversi, l'uno consistente nel pericolo arrecato all'incolumità pubblica, l'altro nel pericolo arrecato al bene della vita e dell'incolumità individuale (Cass. , 18 maggio 2004, n. 27717, in Arch. n. proc. pen., 2005, 508). Se nel primo processo Tizio fosse stato assolto per insussistenza del fatto in quanto l'incendio si era verificato per un guasto, il secondo giudizio sul tentato omicidio si sarebbe posto in rapporto di incompa tibilità logica con il primo. ( 14) Cass. pen., sez. un., 28 giugno 2005, Donati, in Guida dir. , 2005, 40, 66, e in Casr. pen. , 2006, 28. (15) Classici gli studi di G. CHJOVENDA, Cosa giudicata e preclusione, in Riv. it. scien. giur. , 1933, 3 ss., ora in Io., Saggi di diritto procesruale civile ( 1 894-1937), vol. III, Milano, 1993, 23 1 ss.
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applicazione, attraverso il quale assicurare il rispetto dell'ordinata sequenza degli atti processuali evitando inutili reiterazioni (16). 5.
n giudicato penale in relazione ad altri processi penali.
È necessario avere ben chiari i limiti del giudicato con riferimento al processo penale. n giudicato penale nei confronti della persona condannata. Consideriamo in primo luogo quanto avviene in relazione ad un determinato fatto storico accertato nei confronti di un imputato. Ove vi sia stata condanna irrevocabile, il giudicato comporta la immodificabilità dell'accertamento della responsabilità dell'imputato. Su questo punto il giudicato penale ha un effetto vincolante in relazione all'imputato medesimo: l'accertamento della responsabilità deve essere considerato giuridicamente "vero" . Soltanto se sopravvengono nuove prove, tali da dimostrare che il condannato doveva essere prosciolto, potrà iniziare un processo di revisione; questo potrà portare al proscioglimento o al rigetto della richiesta di revisione (art. 637 ) . Occorre precisare che, d i regola, il giudicato di condanna è immodificabile con riferimento alla pena formalmente irrogata. Tuttavia, durante la fase del l' esecuzione la pena applicata in concreto può essere modificata nelle sue modalità esecutive (mediante la concessione di misure alternative alla pena detentiva) . Inoltre, la quantità di pena applicata in concreto può essere differente da quella irrogata nella sentenza perché il condannato può beneficiare della liberazione anticipata (art. 54 ord. pen.) e cioè di un abbuono di quarantacinque giorni per ogni sei mesi di pena eseguita in presenza di buona condotta. La decisione irrevocabile in rapporto con altri processi penali. Conside riamo adesso altri eventuali processi penali che possano instaurarsi a carico sia del medesimo, sia di altri imputati. In entrambi i casi la sentenza penale non ha alcun effetto vincolante. Il punto è importante e merita di essere approfondito. In un processo contro altri imputati il giudice potrà accertare nuovamente il medesimo fatto storico e potrà ritenere che è stato commesso con diverse modalità o, perfino, che non è esistito. Non vi è effetto preclusivo poiché manca il requisito del "medesimo imputato" ( 17 ) . Similmente, i n u n successivo processo penale contro il medesimo imputato, ma per un fatto storico diverso (B), il giudice può valutare diversamente le prove già considerate nella sentenza irrevocabile sul fatto accertato (A). Non vi è ( 16) Si veda G. CANZIO nella nota introduttiva al dibattito su ?reclusioni processuali e ragionevole durata del processo, in Criminalia, 2008, 24 1 ss. ( 1 7 ) Per evitare il contrasto logico di giudicati il legislatore ha previsto gli istituti della connessione, della riunione dei procedimenti e l'effetto estensivo dell'impugnazione.
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effetto preclusivo perché nel nuovo processo si sta accertando un fatto storico diverso, seppure commesso dal medesimo imputato (v. tavola 5 . 1 .4 ) . Riepilogo. Occorre sottolineare nuovamente il concetto: l a sentenza penale irrevocabile non ha, nei confronti di altri processi penali, alcun effetto vinco lante. Essa non ha accertato definitivamente l'esistenza di un fatto storico in senso oggettivo, bensì soggettivo: ha valutato se esso era attribuibile, o meno, a quel determinato imputato. Pertanto, un altro giudice penale è libero di valutare se quel fatto storico è esistito o meno, e se si è svolto con diverse modalità, perché si tratta di decidere se è attribuibile ad un altro imputato ( 1 8 ) . Certa mente, può accadere che si verifichi il cd. conflitto teorico tra giudicati, e cioè che due sentenze irrevocabili nei confronti di due differenti soggetti accertino fatti tra di loro incompatibili (v. tav. 6 . 1 . 10). In tal caso, resta la possibilità di esperire il rimedio eccezionale della revisione nella ipotesi di oggettiva incon ciliabilità tra fatti su cui si fondano le sentenze ( 19). La sentenza irrevocabile ha soltanto un'efficacia p reelusiva nei confronti del medesimo imputato per quel medesimo fatto: non potrà esservi un nuovo processo penale (art. 649) e se dovesse essere pronunciata erroneamente una ulteriore sentenza irrevocabile, in sede esecutiva si deve porre un rimedio del quale trat teremo nel prossimo capitolo (20) . Eventuale uso di prove in altri procedimenti penali. Le prove, formate in un procedimento penale, potranno essere utilizzate sia nei confronti di altri imputati per il medesimo fatto (ad esempio, per dimostrare che hanno concorso in quel determinato omicidio) , sia nei confronti del medesimo imputato per fatti storici diversi: ad esempio, perché ha commesso un ulteriore omicidio (2 1 ) . Ma ( 18) Cass., sez. VI, 4 marzo 1996, Barletta, in CED 204983, ha affermato che non esiste nell'ordina mento processuale alcuna disciplina in ordine all'efficacia del giudicato nell'ambito di un altro procedimento penale, a differenza di quanto awiene per i rapporti tra il giudizio penale e quello civile, amministrativo e disciplinare ex artt. 65 1 -654. ( 1 9) Art. 630 comma l lett. a; in giurisprudenza: Cass. pen., sez. IV, 25 ottobre 200 1 , Pisano, in Arch. n. proc. pen., 2002, 7 14 ; in Dir. pen. proc. , 2002, 194. (20) Ai sensi dell'art. 669, se più sentenze divenute irrevocabili sono state pronunciate contro la me desima persona per il medesimo fatto in violazione del ne bis in idem, il codice prevede vari criteri per individuare quale è la sentenza che deve essere eseguita in base al principio del /avor rei. Se si tratta di due sentenze di condanna, il giudice ordina, di regola, l'esecuzione della sentenza in cui è stata pronunciata la condanna meno grave, revocando l'altra sentenza. Se si tratta di una condanna e di un proscioglimento, il giudice di regola ordina l'esecuzione del proscioglimento, revocando la decisione di condanna. Se si tratta di due sentenze di proscio glimento, l'interessato ha la facoltà di indicare quale sentenza deve essere eseguita; se non prowede entro il termine fissato dalla legge, il giudice ordina l'esecuzione della sentenza più favorevole, revocando l'altra. (2 1 ) La sentenza delle Sezioni unite, 23 novembre 1995, Fachini, in Cass. pen., 1996, II, 2 1 3 1 , n. 1206, ha precisato quali sono i limiti dell'effetto preclusivo. << È legittimo assumere, come elemento di giudizio autonomo, circostanze di fatto raccolte nel corso di altri procedimenti penali, pur quando questi si sono conclusi con sentenze irrevocabili di assoluzione, perché la preclusione del giudizio impedisce soltanto l'esercizio dell'azione penale per il /atto-reato che di quel giudicato ha formato oggetto, ma nulla ha a che vedere con la possibilità di una rinnovata valutazione delle risultanze probatorie acquisite nei processi ormai conclusisi, una volta stabilito che quelle risultanze probatorie possono essere rilevanti per l'accertamento di reati diversi da quelli già giudicati. Ed invero l'inammissibilità di un secondo giudizio per lo stesso fatto non
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l'utilizzo può awenire nei limiti previsti dall'art. 238; si veda, supra, parte II, cap. 4, § 6, lett. f La sentenza irrevocabile utilizzata come prova. L'art. 238-bis, introdotto dalla legge 7 agosto 1 992, n. 356, disciplina un ulteriore effetto derivante dalla sentenza irrevocabile. Tale effetto non consiste nell'efficacia vincolante del giudicato, bensì nella possibilità di utilizzare la sentenza irrevocabile sia di proscioglimento, sia di condanna, come prova in un diverso procedimento penale. Anzi, la predetta possibilità è estesa ad una sentenza irrevocabile pronunciata anche da un giudice civile o amministrativo, perché l'art. 238-bis non pone differenze. L'unico vincolo sta nel fatto che, se il giudice penale vuole utilizzare la sentenza come prova, occorre che vi siano riscontri derivanti da altri elementi di prova ai sensi dell'art. 192 , comma 3 . È salvo comunque il diritto delle parti ad ottenere l' am missione di prove contrarie (si veda supra, Parte II, cap. 4, § 6, lett. /) .
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La sentenza penale irrevocabile ed il processo per il risarcimento del danno cagionato dal reato.
Occorre esaminare quali effetti possa avere il giudicato penale nei confronti dei processi civili ed amministrativi che hanno ad oggetto il danno derivante dal reato. n problema si pone per i seguenti motivi. La questione risolta dal processo, e cioè l'esistenza o meno della respon sabilità penale dell'imputato in relazione ad un fatto di reato, è pregiudiziale rispetto alla questione dell'esistenza di un danno patrimoniale o non patrimo niale derivante dal reato stesso. n giudice civile (o amministrativo), potrà condannare al risarcimento il colpevole soltanto se risulta accertata la respon sabilità penale dell'imputato. Si tratta di vedere se tale accertamento spetta in esclusiva, o meno, al giudice penale. Sui rapporti tra processo penale e processi civili o amministrativi, che abbiano ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni derivanti dal reato, sono possibili in astratto le tre seguenti soluzioni (v. tav. 6. 1 .2). a) Totale efficacia del giudicato penale di condanna o di assoluzione, nel senso che esso ha un effetto vincolante sul potere di accertamento spettante al giudice civile o amministrativo. n giudicato penale "fa stato" nel senso che il fatto accertato dal giudice penale (e cioè la responsabilità, o meno, dell'impu tato) deve essere considerato "vero" dagli altri giudici. Tale sistema è denomi nato unità della giurisdizione in quanto soltanto il giudice penale può accertare l'esistenza o meno della responsabilità per un fatto di reato. b) Completa separazione tra le giurisdizioni, con la conseguenza che il vieta di prendere in considerazione lo stesso fatto storico, o particolari suoi aspetti, per valutarli liberamente ai fini della prova concernente un reato diverso da quello giudicato, in quanto ciò che diviene irretrattabile è la verità legale del /atto·reato, non quella reale del fatto storico >>.
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giudicato penale di assoluzione o di condanna non esplica alcun effetto né preclusivo, né vincolante nei confronti dei processi civili o amministrativi. c) Efficacia parziale del giudicato penale in casi determinati, e cioè soltanto per specifici oggetti che sono stati accertati dal giudice penale. In tale ipotesi siamo in presenza di un sistema composito con possibilità ampie di varianti. Dal punto di vista storico possiamo rilevare che: a) la soluzione dell'unità della giurisdizione è prevalentemente accolta dai sistemi processuali inquisitori; b) viceversa, la separazione è tipica dei sistemi processuali totalmente accusa tori; c) infine, la soluzione dell'efficacia parziale del giudicato è adottata dai sistemi processuali misti. a) I sistemi processuali inquisitori accolgono l'unità della giurisdizione per motivi squisitamente politici. Essi non possono ammettere che due giudici (uno penale ed uno civile) assumano contemporaneamente e separatamente le prove del medesimo fatto ed, eventualmente, arrivino a decidere in modo difforme: si rischierebbe l'eventualità che il giudice penale condanni l'imputato e, contem poraneamente, il giudice civile lo ritenga non responsabile, o viceversa. n regime totalitario vuole che sia affermata una sola "verità di Stato" ; ed allora dispone che soltanto il giudice penale abbia la capacità di accertarla con poteri di tipo inquisitorio e senza limitazioni alla prova. Il danneggiato dal reato è vincolato dall'esito del processo penale; poiché egli ha comunque diritto di difendersi, gli è permesso di esercitare l'azione civile nel processo penale. Ed infatti l'istituto della "parte civile" è nato nel seicento al tempo del fiorire del sistema inquisitorio (22). L a soluzione della completa separazione delle giurisdizioni è tipica degli ordinamenti totalmente accusatori. Le sentenze penali che riconoscono la colpevolezza o la "non colpevolezza" dell'imputato non hanno alcuna efficacia di giudicato nel processo civile. Spetta al danneggiato dal reato far valere la propria pretesa risarcitoria davanti al giudice civile prima, durante o dopo il processo penale. b) La soluzione della separazione assoluta delle giurisdizioni ha un aspetto vantaggioso in quanto permette al processo penale di concentrarsi sul problema dell'accertamento della reità senza essere condizionato dalle conseguenze civi listiche derivanti dalla decisione. Tra l'altro, nel processo penale si applica il principio della presunzione di innocenza fino a che l'accusa non dimostri la reità al di fuori di ogni ragionevole dubbio. Nel processo civile avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno derivante dal reato la presunzione non (22) li codice italiano del 1930, nel suo testo originario e nella giurisprudenza che lo ha attuato, ha accolto il sistema della unità della giurisdizione. Il giudicato penale aveva efficacia in tutti gli altri processi civili ed amministrativi. Quanto ai soggetti, il giudicato penale vincolava anche coloro che non erano stati "parti" nel processo penale: l'accertamento della esistenza (o meno) della responsabilità penale dell'imputato si imponeva alle parti di qualsiasi processo civile o amministrativo (valeva erga omnes).
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opera (23 ) ed, anzi, vi sono norme che invertono l'onere della prova in merito all'accertamento della colpa (24 ) . Vi può essere, tuttavia, un aspetto svantaggioso derivante dal sistema del l'assoluta separazione delle giurisdizioni. n danneggiato viene lasciato solo nel l' affrontare le difficoltà probatorie e le spese di un processo civile, nel quale spettano a lui tutte le iniziative. Soltanto il danneggiato con mezzi economici può essere in grado di accedere al giudice; questo non pare accettabile. c) n codice del 1 988 accoglie una soluzione di tipo misto. Da un lato, pone come regola la separazione delle giurisdizioni; da un altro lato, prevede casi eccezionali nei quali il giudicato penale ha efficacia su determinati oggetti accertati o soltanto contro determinati soggetti. n sistema che ne deriva è composito. Poiché il danneggiato dal reato in alcuni casi può "subire" l'efficacia del giudicato penale in relazione alla sua azione risarcitoria, il codice gli permette di esercitare il diritto di difesa già nel processo penale mediante la costituzione di parte civile (25 ) . In definitiva, il codice del 1 988 accoglie la soluzione mista sotto vari profili. Accetta come regola il principio della separazione, ma non in modo " assoluto" come avviene nel sistema accusatorio. Al tempo stesso, permette al danneggiato di costituirsi parte civile come avviene nel sistema inquisitorio. La scelta può essere accettabile soltanto se le sue modalità di attuazione risultano ragionevoli. 7.
L'esercizio tempestivo dell'azione di danno e la separazione delle giuri sdizioni.
n codice del 1988 non prevede un'unica norma sull'efficacia del giudicato penale nei processi civili e amministrativi: si incontrano tante singole disposi zioni che elencano con meticolosità i casi nei quali il giudicato penale ha efficacia extrapenale (artt. 65 1 -654 ) . Viceversa, il codice contiene una disposizione generale secondo cui l'azione civile per il risarcimento del danno derivante dal reato può essere proposta (23) n giudice civile accoglie il criterio del "più probabile che no" ; v. in tal senso Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004, Bellasio, in Corriere giur., 2004, n. 8, 1018. (24) In conseguenza dell'accoglimento del sistema della separazione assoluta delle giurisdizioni può verificarsi il fenomeno del contrasto tra decisione penale e civile. Come esempio, si può ricordare il caso 0.]. Simpson, verifìcatosi negli Stati Uniti. n famoso giocatore è stato assolto nel processo penale relativo all'omicidio della moglie, mentre nel processo civile è stato condannato a risarcire, ai genitori di lei, i danni derivanti dal reato. In un sistema di libertà politica non ci si scandalizza del fatto che due giudici possano valutare diversamente le prove dell'esistenza di un medesimo fatto illecito. (25) Non è tutelato soltanto il diritto di difesa del danneggiato. Il codice anche riguardo ad altri soggetti permette che essi possano subire l'efficacia del giudicato penale soltanto se sono stati parti nel processo penale. n loro diritto al contraddittorio deve essere rispettato (artt. 24, comma 2 e 1 1 1 , comma 2 Cost.).
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davanti al giudice civile (art. 75 , comma 2 ) e sfugge all'efficacia del giudicato (art. 652 ) . Ciò dimostra che il codice accoglie la soluzione della separazione delle giurisdizioni come regola, alla quale pone singole eccezioni. Ne consegue che il giurista deve interpretare queste ultime in modo restrittivo. Ciò premesso, occorre esaminare la normativa nei dettagli (v. tav. 6 . 1 . 3 ) . a ) L'azione risarcitoria è esercitata tempestivamente davanti al giudice civile. n danneggiato può esercitare l'azione risarcitoria in sede civile senza subire l'efficacia del giudicato penale di assoluzione, se si rivolge al giudice civile in modo "tempestivo" , e cioè prima della pronuncia della sentenza penale di primo grado (artt. 75 , comma 2 e 652 , comma 1 ) . n processo civile, che sia iniziato prima di tale momento, può proseguire in pendenza del processo penale senza essere sospeso. Il processo civile può iniziare e proseguire liberamente anche quando la parte civile è stata estromessa dal processo penale (26) o vi sono situazioni analoghe alla estromissione, previste dal codice (27) . In definitiva, se l'azione risarcitoria è stata esercitata tempestivamente nel processo civile (o comunque nei casi previsti dalla legge) , quest'ultimo può proseguire e l'eventuale sentenza penale irrevocabile di assoluzione non ha alcuna efficacia di giudicato nei confronti del danneggiato dal reato (28). b) L'azione risarcitoria è esercitata tardivamente davanti al giudice civile. Viceversa se l'azione risarcitoria inizia tardivamente (e cioè dopo la pronuncia della sentenza penale di primo grado) oppure se il danneggiato si è costituito in precedenza parte civile nel processo penale e, poi, ha trasferito l'azione in sede civile, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale irrevocabile (art. 75 , comma 3 ) e subisce l'efficacia del giudicato penale nei limiti che preciseremo in seguito (artt. 65 1 e 652) . La norma h a un evidente scopo punitivo nei confronti del danneggiato che non abbia scelto di percorrere subito la strada " suggerita" dal legislatore, e cioè l'azione risarcitoria in sede civile. Richiamiamo tutte le considerazioni che abbiamo svolto trattando della parte civile e dello sfavore che il legislatore dimostra nei suoi confronti. In questa sede ci limitiamo ad osservare che le (26) Si tratta del caso in cui la parte civile è stata esclusa dal processo penale in base ad una decisione del giudice che accerta la mancanza di legittimazione (artt. 80 e 83 ) . (27) Sono analoghe l e ipotesi nelle quali il giudice dichiara estinto i l reato per intervenuta ablazione ai sensi dell'art. 1 4 1 , comma 4 disp. att.; o quando la parte civile non ha accettato il rito abbreviato (art. 44 1 , comma 4 ) ; o quando vi è stata sentenza d i applicazione della pena s u richiesta delle parti (c.d. patteggiamento; art. 444, comma 2 ) ; o quando il processo penale sia stato sospeso per incapacità mentale dell'imputato (art. 7 1 , comma 6); o quando viene accertato un impedimento fisico permanente dell'imputato che non gli permetta di comparire in udienza e questi non consenta a che il dibattimento prosegua in sua assenza (C. cost., 14-22 ottobre 1996, n. 354). (28) In tal senso C. cast. 11 luglio 2003 n. 23 3 , che ammette la << possibilità di giudicati contrastanti in relazione al medesimo fatto >>.
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disposizioni punitive non appaiono ragionevoli perché comportano una ingiu stificata lesione del diritto al contraddittorio e del diritto di azione. c) n danneggiato non esercita l'azione civile né in sede civile, né in sede penale. In questo caso il danneggiato, che sia stato in concreto messo in condizione di costituirsi parte civile perché è stato avvisato della data del l'udienza preliminare o dibattimentale, subisce gli effetti del giudicato penale nei limiti che preciseremo in seguito (artt. 65 1 e 652) . Valgono anche in questo caso le considerazioni appena esposte. 8.
Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o ammini strativo di danno.
L'art. 651, comma 1 regola una delle ipotesi di efficacia della sentenza penale irrevocabile di condanna, e cioè della sentenza che sia stata « pronun ciata in seguito a dibattimento » e che sia non più impugnabile con mezzi ordinari. La sentenza di condanna gode dell'efficacia di giudicato in limiti molto ristretti: l'art. 65 1 è preciso in proposito (29) (v. tav. 6. 1 .5 ) . Limiti soggettivi. L'efficacia del giudicato opera nei confronti del processo civile o amministrativo che abbia per oggetto le restituzioni e il risarcimento del danno (non altri oggetti) e che sia stato promosso nei confronti « del condan nato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale ». Pertanto, i soggetti vincolati dal giudicato sono il condan nato ed il responsabile civile. Il danneggiato è assoggettato all'effetto vincolante della sentenza penale quando si è costituito parte civile; in caso contrario, può utilizzare tale effetto ave gli sia giovevole (in utilibus). Limiti oggettivi. l) L'accertamento della sussistenza del fatto. Il giudicato copre « l'accer tamento della sussistenza del fatto » da intendersi in senso naturalistico, come fatto materiale nella sua riferibilità all'imputato. 2) La illiceità penale del fatto. Il giudicato ha per oggetto la "illiceità penale" del fatto; resta fuori, dunque, il tema della illiceità civile, che non può essere esaminato nel processo penale. Infatti nel processo penale non può essere formulata la c.d. domanda riconvenzionale, né si può valutare l'esistenza di
(29) Art. 65 1 . Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno. l. La sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale. 2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata a norma dell'art. 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato. -
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esimenti civilistiche quale è quella prevista nell'art. 1227, comma 2 c.c. (danno evitabile con la ordinaria diligenza del creditore) . J) La responsabilità dell'imputato. I n terzo luogo, il giudicato copre l'accertamento che « l'imputato (. . . ) ha commesso » il fatto, da intendersi come condotta materiale, rapporto di causalità ed evento. Resta pertanto escluso dal giudicato il tema del concorso di colpa della persona offesa negli aspetti non esaminati dal giudice penale (30). Rispetto al codice previgente vi sono rilevanti modifiche. Quel codice stabiliva che tutti gli accertamenti che erano contenuti nella motivazione, e che costituivano i presupposti logici della decisione, dovevano essere compresi nel vincolo del giudicato (art. 27 c.p.p. 1 930). n codice del 1 988 limita l'effetto del giudicato all'accertamento del solo fatto naturalistico di reato limitatamente ai suoi profili normativi di illiceità penale. Inoltre, occorre che il giudice penale abbia effettivamente " accertato" il fatto. Sia ben chiaro che gli altri "punti" che siano stati considerati nella sentenza penale, ma che non sono coperti dal giudicato, potranno avere una qualche influenza nel successivo giudizio di danno, perché le relative prove potranno essere valutate dal giudice civile o amministrativo come elementi di prova; ma in tale sede sarà anche possibile introdurre una prova contraria, poiché tali accertamenti non sono coperti dall'efficacia del giudicato (3 1 ) .
(30) In senso sostanzialmente adesivo si veda Cass. civ., sez. III, 1 8 giugno-28 settembre 2004, n. 19387: << nel giudizio civile per il risarcimento del danno il fatto accertato dal giudice penale con sentenza irrevocabile di condanna ha efficacia vincolante nei confronti dell'imputato danneggiante per quanto attiene alla sua realtà fenomenica >>. (3 1 ) Possiamo formulare il seguente esempio. Tizio viene condannato per il delitto di lesioni colpose gravi ex art. 590, comma 2 c.p. per aver investito, con la propria auto, il ciclista Caio che attraversava un incrocio cittadino. La responsabilità di Tizio viene riconosciuta poiché, a causa del violento urto, Caio viene sbalzato contro il marciapiede procurandosi la frattura di un arto inferiore. Dal punto di vista soggettivo, il giudice ravvisa la sussistenza della colpa di Tizio, dato che egli procedeva a velocità eccessiva, come dimostrato dalla lunghezza della frenata, in ora notturna nel centro abitato. La sentenza dibattimentale viene confermata in appello e, scaduto il termine per proporre ricorso per Cassazione, la pronuncia diviene irrevocabile. Non essendosi costituito parte civile nel processo penale, Caio decide di esercitare l'azione civile nella sede propria e cita in giudizio Tizio per ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivati dal sinistro stradale, adducendo la responsabilità esclusiva del conducente dell'auto. TI giudice civile, vincolato dalla sentenza penale di condanna quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (art. 65 1 c.p.p.), non può procedere ad una nuova e diversa ricostruzione storico dinamica degli eventi; tuttavia ritiene opportuno considerare diversamente il compor tamento del danneggiato. Ciò è possibile con riferimento a quelle modalità del fatto che il giudice penale non ha considerato e che possono influire sulla distribuzione della colpa tra danneggiante e danneggiato. In particolare, il giudice osserva che Caio procedeva sul proprio mezzo senza alcuna segnalazione luminosa di posizione e al di fuori della pista ciclabile; ciò assume rilevanza per poter valutare la sussistenza del concorso di colpa del danneggiato. Tale circostanza, nei limiti della realtà fenomenica ricostruita dal giudice penale, può essere liberamente valutata dal giudice civile, onde quantificare correttamente la misura dei danni risarcibili da Tizio (art. 1227, comma l c.c. ).
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Giudizio abbreviato ed effetti vincolanti della condanna. Per quanto riguarda la sentenza di condanna che sia stata resa nel giudizio abbreviato, il codice pone un limite alla sua efficacia (art. 65 1 , comma 2 ) . Infarti la parte civile che non abbia accettato tale rito può opporsi all'efficacia di giudicato della sentenza di condanna nei suoi confronti. Ma di regola la parte civile avrà interesse ad utilizzare a suo favore il giudicato di condanna. In ogni caso, la non accettazione del rito permette al danneggiato di esercitare immediatamente l'azione civile davanti al giudice civile (art. 44 1 , comma 4), evitando l a sospensione del processo. Da ciò si deduce che la condanna ha effetto di giudicato nei confronti della parte civile quando essa ha accettato tale rito espressamente o tacitamente ( art. 44 1 , comma 2 ) ; con l'inconveniente che il giudizio civile è sospeso finché è pendente il processo penale. Nessuna efficacia di giudicato in tema di danno dal reato ha la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) , poiché tale effetto è escluso espressamente dall'art. 445 , comma l -bis.
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Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o ammi nistrativo di danno.
La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha, rispetto ai giudizi di danno, una efficacia vincolante con vari limiti. L'efficacia vincolante comporta che il giudice nel processo di danno, promosso dal danneggiato, debba ritenere "vero" il fatto accertato dal giudice penale. I limiti sono di tipo oggettivo e soggettivo (32) (v. tav. 6 . 1 .6). Le formule terminative ampiamente liberatorie. Un primo limite di tipo oggettivo riguarda le formule terminative: hanno efficacia di giudicato soltanto quelle che assolvono l'imputato in modo ampio, e cioè perché il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso o il fatto è stato compiuto nell'adem pimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima. L'accertamento del fatto. Un secondo limite di tipo oggettivo richiede che la sentenza contenga un accertamento. Occorre cioè che l'innocenza risulti provata; non è sufficiente che il giudice dichiari l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla reità dell'imputato. Il danneggiato messo in grado di difendersi. Un terzo limite è di tipo soggettivo ed esclude l'efficacia del giudicato sia nei confronti di quel danneg(32) Art. 652. Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno. l. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizioni di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l'azione in sede civile a norma dell'art. 75, comma 2 . 2 . La stessa efficacia h a l a sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell'art. 442, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato. -
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giato che abbia iniziato l'azione risarcitoria in modo tempestivo davanti al giudice civile, sia nei confronti di quello che non sia stato posto, in concreto, in condizione di costituirsi parte civile nel processo penale (3 3 ) . In definitiva, l'efficacia del giudicato è condizionata al rispetto del diritto al contraddittorio spettante al danneggiato. Tale diritto risulta tutelato quando quest'ultimo, nella sua qualità di o/feso, abbia avuto la possibilità sia giuridica, sia di /atto di costituirsi parte civile; ciò avviene quando l'offeso sia stato regolarmente avvisato per partecipare all'udienza preliminare (art. 4 19, comma l ) o al dibattimento (art. 429, comma 4) (34). Assoluzione perché il fatto non sussiste. Come è noto, questa formula è utilizzata quando è assente l'elemento oggettivo del reato, poiché manca la condotta, o il rapporto di causalità, o l'evento (35 ) . La sentenza di assoluzione con la predetta formula ha un effetto vincolante sul giudice civile o ammini strativo al quale sia chiesto il risarcimento del danno: il risarcimento non potrà essere concesso (3 6). ( 3 3 ) L'efficacia del giudicato deve essere eccepita dalla parte interessata (Pret. Torino, 2 2 ottobre 1993, Fontebasso, in Gius , 1994, 4, 96) a carico della quale è posto anche l'onere di provare che la parte awersa è stata messa in grado di partecipare al processo penale. (34) La legge 27 marzo 2001 n. 97 ha modificato l'art. 652 c.p.p. prevedendo l'efficacia della sentenza penale irrevocabile di assoluzione, nei limiti sopra indicati, anche quando il giudizio civile o amministrativo di danno non è avviato direttamente dal danneggiato ma è promosso nell'interesse di questi. Probabilmente il legislatore ha introdotto tale modifica con l'intenzione di estendere l'efficacia del giudicato penale di assoluzione ai giudizi pendenti di fronte alla Corte dei Conti in materia di responsabilità amministrativo-contabile per danno erariale. Tuttavia, la Corte dei Conti, sez. I, nella sentenza n. 221 dell' l l luglio 200 1 , ha escluso l'applicabilità dell'art. 652 c.p.p., così come modificato, nei giudizi di fronte ad essa. Infatti, a parere di quest'ultima, << nel giudizio penale il Procuratore regionale della Corte dei Conti >>, unico soggetto competente all'esercizio del l'azione di responsabilità amministrativo-contabile, << non è, né può essere, parte necessaria od eventuale del giudizio, dal momento che davanti al giudice penale può essere esercitata esclusivamente l'azione civile per la restituzione ed il risarcimento del danno di cui all'art. 1 85 c.p. (cfr. art. 74 c.p.p.) e non anche l'azione di responsabilità amministrativo-contabile ». Secondo l'insegnamento della Corte dei Conti, poiché l'ammini strazione danneggiata sotto il profilo amministrativo-contabile non ha alcun potere di agire nel giudizio penale per la tutela di detto interesse, nessun effetto produce la modifica all'art. 652 c.p.p. apportata dall'art. 9 della legge 27 marzo 2001 n. 97 che ha esteso la propria efficacia all'azione civile promossa nell'interesse del dan neggiato. (35) Possiamo formulare il seguente esempio. Tizio viene condannato in primo grado per essersi appropriato indebitamente di beni, di cui aveva il possesso, facenti parte del patrimonio ereditario del defunto padre (art. 646 c.p.). In favore del fratello Caio, costituitosi parte civile, il giudice dispone il risarcimento del danno rimettendo le parti al giudice civile per la liquidazione e concedendo la provvisionale immediatamente esecutiva (artt. 539 comma 2; 540 comma 2 c.p.p.). Tuttavia, Tizio decide di proporre appello awerso la sentenza del Tribunale in composizione monocratica, che l'aveva condannato, e viene assolto dal reato ascrittogli con formula ampiamente liberatoria in quanto il fatto non sussiste. In virtù di tale pronuncia, divenuta irrevocabile, Tizio chiede, in sede civile, la restituzione della somma versata a titolo di provvisionale, dato che la sua assoluzione piena dal reato di appropriazione indebita ha comportato il venir meno della causa debendi del pagamento effettuato. Il giudice civile è vincolato dall'accertamento dell'insussistenza del fatto effettuato nel processo penale al quale Caio ha partecipato in qualità di parte civile (art. 652 c.p.p.). L'azione risarcitoria per lo stesso fatto preso in considerazione in sede penale è del tutto preclusa e Caio è tenuto alla restituzione della somma ottenuta che, a causa dell'assoluzione di Tizio, costituisce un indebito oggettivo (art. 2033 c.c.). (36) Se il giudice penale ha errato nell'adottare questa (o altre) formule terminative, il giudice civile
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Assoluzione perché il fatto non è stato commesso dall'imputato. L'effica cia del giudicato opera soltanto nei confronti di quel determinato imputato; resta la possibilità di agire in sede civile contro altri soggetti che vengano ritenuti responsabili del fatto (art. 2043 c.c.). Assoluzione per adempimento del dovere o per esercizio di una facoltà legittima. La formula terminativa si riferisce alle cause di giustificazione previste nel codice penale o in leggi speciali, purché di esse sia " accertata" l'esistenza. Le scriminanti eliminano la illiceità del fatto; esse hanno rilevanza in tutti i rami dell'ordinamento, perché in loro presenza l'atto è lecito, e non soltanto tolle rato. Per tale motivo il loro accertamento esplica l'efficacia vincolante del giudicato penale. Diversamente accade se il giudice penale si sia limitato ad accertare l'esistenza dell'errore sul fatto, che esclude il dolo (art. 47 c.p.). Infatti il giudicato di assoluzione non ha effetto vincolante quanto all'esistenza dell' ele mento soggettivo, poiché nell'art. 652 non è citata la formula terminativa « il fatto non costituisce reato » (37 ) . Si tratta di una scelta non casuale, bensì dovuta ai differenti princìpi che regolano l'illecito penale e l'illecito civile con riferimento all'elemento soggettivo. Nel diritto penale occorre il dolo, salvo che la singola norma preveda espressamente la punibilità a titolo di colpa o di preterintenzione. Viceversa, in base all'art. 2043 c.c. qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto costituisce illecito civile ed obbliga al risarcimento. Pertanto, una sentenza penale che assolve perché il fatto non costituisce reato per carenza del dolo non vincola il giudice civile, il quale resta libero di valutare l'elemento soggettivo a fini civilistici. Considerazioni sistematiche. Pur con i limiti precisati, l'art. 652 comporta che il danneggiato, messo in grado di costituirsi parte civile, risulta svantaggiato in modo non rimediabile dalla pronuncia di una sentenza irrevocabile di assoluzione con formula ampia (quali sono i tre tipi di dispositivo che abbiamo in precedenza menzionato) . Appare evidente che il sistema costringe il danneg giato ad agire nel processo penale allo scopo di evitare comunque la pronuncia assolutoria ampia, perché da essa deriverebbe l'impossibilità di ottenere il risarcimento del danno. n legislatore spinge il danneggiato a trasformarsi a tutti i costi in un accusatore irremovibile che, anche come testimone, può influire può esaminare la motivazione per indagare quale è stata la vera ragione dell'assoluzione. Ad esempio, potrà accertare che l'imputato doveva essere assolto « perché il fatto non costituisce reato >> per carenza dell'elemento soggettivo. In tal caso non vi è nessuna efficacia di giudicato. (37 ) Alcuni studiosi sostengono che nell'art. 652 non sia incluso lo stato di necessità. Riteniamo invece che la formula utilizzata ( "esercizio di una facoltà legittima") sia sufficientemente ampia da ricomprendere tale causa di giustificazione. Se viene accertato lo stato di necessità, l'esistenza dell'effetto vincolante del giudicato non impedisce al giudice civile di attribuire al danneggiato una indennità (determinata equitativamente) a carico del responsabile del fatto. Ciò è oggetto di un autonomo diritto avente il suo titolo nel compimento di un atto lecito, quale è quello commesso in stato di necessità (art. 2045 c.c.).
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sull'accertamento dei fatti. L a soluzione non appare coerente con l a scelta di un sistema di separazione delle giurisdizioni. Giudizio abbreviato ed effetti vincolanti dell'assoluzione. La sentenza di assoluzione pronunciata al termine del rito abbreviato ha la medesima efficacia della sentenza resa in dibattimento, a condizione che la parte civile abbia accettato tale rito (art. 652 , comma 2 ) . Se questa non ha accettato il rito abbreviato, può iniziare (o proseguire) il processo civile senza che questo sia sospeso (art. 44 1 , comma 4) e, anche se non esercita l'azione risarcitoria, non è vincolata dal giudicato di assoluzione. Sempre in relazione alla parte civile è prevista una ulteriore esclusione dell'efficacia del giudicato di assoluzione. Costei non è vincolata dalla sentenza irrevocabile pronun ciata sulla base di una prova assunta con incidente probatorio al quale non sia stata posta in grado di partecipare, sempre che la stessa non abbia fatto accettazione anche soltanto tacita (art. 404).
10. Efficacia della sentenza penale di assoluzione o di condanna nel giudizio disciplinare davanti alle pubbliche autorità.
Nel codice previgente il giudicato penale godeva della efficacia erga omnes in tutti i processi civili o amministrativi, a prescindere dal fatto che avessero ad oggetto il danno derivante dal reato (art. 28 c.p.p. 1 930). Nel codice del 1988 la regola è la separazione delle giurisdizioni; pertanto i casi di efficacia del giudicato penale, in quanto eccezionali, devono essere previsti espressamente. A tal fine l'art. 653 dispone che, in determinati casi, la sentenza penale irrevocabile ha efficacia di giudicato nel giudizio sulla responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità (v. tav. 6 . 1 .9) . Sentenza penale di assoluzione. L'efficacia della sentenza penale irrevoca bile di assoluzione è limitata ad alcune formule terminative. Essa ha per oggetto soltanto l'accertamento che « il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale o che l'imputato non lo ha commesso » (art. 653 , comma l , mod. dalla legge n. 97 del 200 1 ) . L'espressione "il fatto non costituisce illecito penale" è piuttosto ambigua e non sembra sovrapponibile ad alcuna delle formule termi native richiamate dall'art. 652 in relazione agli effetti della sentenza di assolu zione nei giudizi civili e amministrativi di danno. A nostro avviso, fuori dalle ipotesi ampiamente liberatorie in cui la sentenza di assoluzione accerta che "il fatto non sussiste" o "l'imputato non lo ha commesso" , la pubblica autorità è vincolata soltanto a ritenere che il fatto non è penalmente illecito, ma può autonomamente valutario sotto il profilo della responsabilità disciplinare. Oc corre precisare che il giudicato è limitato all'accertamento di un fatto: l' assolu zione che sia dovuta alla esistenza di un ragionevole dubbio non gode di efficacia vincolante nel giudizio disciplinare davanti alla pubblica autorità. Sentenza penale di condanna. La sentenza irrevocabile di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ha efficacia di giudicato nel
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giudizio disciplinare, in casi tassativamente indicati. Il giudicato copre l' accer tamento « della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale » e l'affermazione « che l'imputato lo ha commesso » (art. 653 , comma l -bis, anche con riferi mento all'art. 445 , comma l -bis) . Occorre precisare che la responsabilità disciplinare da accertare deve essere fondata sul medesimo fatto che è stato oggetto del giudizio penale, conclusosi con condanna o assoluzione, e non su fatti diversi che possono essere accertati liberamente dalla pubblica autorità. n procedimento disciplinare davanti alla pubblica autorità. Come abbiamo accennato, il procedimento disciplinare toccato dal giudicato è soltanto quello che si svolge davanti ad una pubblica autorità, e non davanti a privati (3 8). La pubblica autorità resta vincolata anche se non è stata messa in grado di partecipare al processo penale; probabilmente il legislatore ritiene che i suoi interessi siano rappresentati dal pubblico ministero. D'altra parte, il pubblico ministero è ob bligato ad informare la pubblica autorità quando egli abbia esercitato l'azione penale contro un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico o quando l'im piegato sia stato arrestato o si trovi in custodia cautelare (art. 129 disp. att.). Sulla base di tale informazione l'autorità può valutare se costituirsi parte civile, ove l'imputato abbia cagionato un danno alla pubblica amministrazione. La medesima informazione permette alla pubblica autorità di valutare se occorra iniziare il procedimento disciplinare contro l'imputato o l'indagato. Il procedimento disciplinare può svolgersi nonostante la pendenza del processo penale; ma varie leggi speciali lasciano alla pubblica autorità la facoltà di sospenderlo. Ove la sospensione sia prevista come necessaria, l'art. 2 1 1 disp. att. detta una normativa apposita nel senso che, ad esempio, l'obbligo di sospendere scatta soltanto dopo l'esercizio dell'azione penale. Efficacia della sentenza di applicazione della pena su richiesta. Occorre ricordare che l'art. 445 comma l -bis fa salvo « quanto previsto dall'art. 653 »; di conseguenza, la sentenza irrevocabile di patteggiamento ha efficacia nei giudizi disciplinari alla pari della sentenza di condanna, ma a condizione che nella sentenza di patteggiamento sia contenuto un « accertamento », come è richiesto nell'art. 653 . Riparazione per il dipendente pubblico ingiustamente sottoposto a procedimento penale. La legge 1 1 maggio 2004 n. 126, che ha convertito il decreto-legge n. 66 del
medesimo anno, ha introdotto una sorta di riparazione in favore del dipendente pubblico che ha subito una ingiusta sospensione cautelare o che sia stato indotto ad
(38) Per "pubbliche autorità" si intendono soggetti riconducibili direttamente o indirettamente allo Stato, genericamente inteso, dotati di potestà pubbliche, consistenti nella capacità di produrre atti idonei a modificare la sfera giuridica dei destinatari indipendentemente dal loro consenso o contro la loro volontà. Tali potestà, nel caso in esame, consistono nel potere di comminare sanzioni disciplinari. È quindi autorità pubblica, ad esempio, il consiglio dell'ordine degli avvocati.
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abbandonare il servizio a causa della instaurazione, nei suoi confronti, di un procedi mento penale poi conclusosi con un proscioglimento. La riparazione consiste nel ripristino del rapporto di pubblico impiego (o beneficio analogo) per una durata pari alla sospensione cautelare o al servizio non espletato a causa dell'anticipata collocazione in pensione (cumulabili tra loro) . Danno titolo alla ricostruzione obbligatoria del rapporto un primo gruppo di prov vedimenti. Si tratta delle sentenze definitive di assoluzione con formula ampia, e cioè perché il fatto non sussiste, o l'imputato non lo ha commesso, o il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato; a detti provvedimenti sono equiparati quelli che dichiarano di non doversi procedere per una causa estintiva del reato quando sono pronunciati dopo una delle sentenze di assoluzione sopra menzionate. È equiparato altresì il decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato. Un secondo gruppo di provvedimenti rimette la ricostruzione del rapporto di impiego alla discrezionalità della amministrazione di appartenenza, la quale deve provvedervi a condizione che non risultino elementi di responsabilità disciplinare o contabile all'esito di una specifica valutazione. A tale gruppo appartengono le sentenze di proscioglimento con formule diverse da quelle sopra menzionate. La ricostruzione del rapporto di impiego è condizionata a limiti temporali che decorrono dalla emissione del provvedimento di proscioglimento; inoltre occorre la domanda dell'interessato.
1 1 . Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi.
L'art. 654 prevede, con molte condizioni, l'efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile in altri giudizi civili e amministrativi. L'ambito di applicazione è doppiamente limitato. La disposizione, in primo luogo, si pone come eccezione alla regola della separazione delle giurisdizioni; in secondo luogo, concerne altri giudizi civili o amministrativi, da intendersi diversi da quelli previsti dai precedenti articoli del codice. Ne deriva che l'art. 654 non riguarda né i procedimenti civili e amministrativi concernenti il risarcimento del danno cagionato dal reato (artt. 65 1 e 652) , né il procedimento per responsa bilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità (art. 653 ) . Pertanto l'art. 654 non si può applicare nelle materie regolamentate dagli artt. 65 1 -653 , nei casi nei quali tali articoli non prevedano l'efficacia del giudicato penale (Relazione al prog. prel. , p. 143 ). Occorre anche precisare che, al di fuori delle ipotesi tassative di giudicato penale ai sensi degli artt. 65 1 -653 , resta comunque la possibilità che il giudice civile o amministrativo rivaluti autonomamente e liberamente la sentenza penale come documento quando un fatto in essa accertato sia pregiudiziale ad una questione da risolvere. Fatte tali premesse sull'ambito di applicazione dell'art. 654, occorre sotto lineare i limiti che in tale disposizione sono posti rispetto all'esplicazione
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dell'efficacia del giudicato penale. L'elencazione può apparire arida, ma dà un preciso senso alla constatazione che il nuovo codice non accetta più il principio dell'unità della giurisdizione, accolto dal codice del 193 0 (v. tav. 6. 1 .7 ) . La sentenza pronunciata in dibattimento. I n primo luogo, l a sentenza, che viene considerata nell'art. 654, è soltanto quella irrevocabile di condanna o di assoluzione che sia stata pronunciata in dibattimento. Pertanto restano escluse le sentenze rese in dibattimento con altre formule terminative (ad esempio, di non doversi procedere) (39) o rese prima del dibattimento (ad esempio, la sentenza di non luogo a procedere pronunciata nell'udienza preliminare e la sentenza pronunciata nel giudizio abbreviato o a seguito di patteggiamento). L'accertamento dei fatti materiali. In secondo luogo, l'efficacia del giudi cato concerne soltanto l'accertamento dei /atti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale e che siano stati ritenuti rilevanti ai fini di quella decisione. Con ciò si vuole precisare che il vincolo riguarda la materialità del fatto storico che è stato addebitato nell'imputazione e rispetto al quale il dispositivo si è pronunciato. Pertanto il giudicato si riferisce unicamente ai fatti ricompresi nell'elemento oggettivo del reato e non in quello soggettivo; non concerne la qualificazione giuridica né i fatti che sono stati utilizzati ai fini del convinci mento o che sono stati accertati per risolvere questioni pregiudiziali o inciden tali. Ad esempio, la giurisprudenza ritiene che l'accertamento della deficienza psichica nel reato di circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.) vincoli il giudice civile che conosce dell'azione di annullamento di un contratto viziato da incapacità naturale (art. 428 c.c.). E ancora, l'accertamento degli artifìzi e raggiri nella truffa (art. 640 c.p.) vincola il giudice che conosce l'azione di annulla mento del contratto per dolo (art. 1439 c.c.). D vincolo di pregiudizialità. In terzo luogo, è necessaria l'esistenza di un vincolo di pregiudizialità tra l'accertamento penale ed il giudizio civile o amministrativo: il riconoscimento di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo deve dipendere dall'accertamento degli stessi fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale. Ad esempio, la condanna di un pubblico impiegato ha efficacia vincolante sull'accertamento di un comportamento che oggettivamente è contrario ai doveri d'ufficio, ai fini di un giudizio per responsabilità erariale davanti alla corte dei conti (40). (39) C. conti, reg. Sicilia, sez. giurisd., 27 luglio 1994, Caracciolo, in Foro amm., 1995, 7 3 0 . In senso sostanzialmente conforme si veda anche Cass., 15 aprile 1996, n. 3 5 19, in Foro it., 1996, I, 2 123 . In senso parzialmente difforme Cass., 18 aprile 1998, n. 3937, in Rass. avv. Stato, 1998, I, 495. (40) Corte dei conti, sez. II, 1° luglio 1991, n. 263, in Foro amm., 1992, 678. Un esempio analogo può essere fatto in relazione al rapporto di impiego privato. Tizia viene licenziata in base al ritenuto imposses samento di somme di denaro provenienti dalla cassa del negozio dove è impiegata. I fatti costituiscono oggetto di un giudizio penale e, in tale sede, Tizia viene condannata. Quando la sentenza penale diviene irrevocabile, nel giudizio civile relativo alla legittimità del licenzia mento di Tizia, il giudice ritiene l'efficacia di giudicato della decisione penale e ravvisa la sussistenza della
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L'assenza di limitazioni alla prova della posizione giuridica controversa. In quarto luogo, non vi è efficacia di giudicato quando la legge civile pone limitazioni alla prova della posizione giuridica controversa. Si tratta di limiti di tipo sostan ziale che sono previsti, ad esempio, quando il codice civile non permette che il fatto sia accertato mediante prove testimoniali o presunzioni (artt. 272 1 -2726 e 2729 c.c.). In tali situazioni l'accertamento penale non ha efficacia di giudicato. Le parti effettive. Per quanto concerne l'ambito soggettivo, l'art. 654 estende l'efficacia del giudicato « nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale »; si tratta delle sole parti effettive (e non potenziali). Il giudicato può essere fatto valere "nei loro confronti" anche da persone che non siano state parti in quel processo penale. Ad esempio, la condanna di un utente per furto di corrente elettrica è stata fatta valere dall'ente che somministrava tale energia nel giudizio civile per la risoluzione del contratto, perché il comportamento accertato era tale da menomare la fiducia nella futura corretta esecuzione del contratto stesso (4 1 ) .
giusta causa di licenziamento. Tale accertamento, infatti, è logicamente vincolato alla valutazione dei fatti materiali oggetto dell'imputazione penale. (4 1 ) Trib. Taranto, 22 giugno 1994, Enel in c. Colamia, in Gius, 1995, 349.
CAPITOLO II L'ESECUZIONE PENALE
SoMMARIO: l . L'oggetto dell'esecuzione. - 2. I soggetti dell'esecuzione. - 3. L'attività esecutiva.
- 4 . L'esecuzione delle pene detentive. - 5 . L'esecuzione delle pene pecuniarie. - 6. La giurisdizione esecutiva. - 7. La magistratura
di sorveglianza. - 8. li casellario giudiziale. -
9. Le spese.
l.
L'oggetto dell'esecuzione.
Il momento finale del procedimento penale è rappresentato dall'esecuzione, alla quale il codice di procedura penale dedica un intero libro, il decimo. Il rilievo che assume tale momento nell'ambito del procedimento penale è legato alla logica necessità che i provvedimenti emessi sia nell'ambito, sia a conclusione di un processo penale non rimangano lettera morta, ma abbiano una loro effettività. Del resto, non avrebbe alcun significato compiere un accertamento giurisdizionale sull'imputazione se non si fosse poi in grado di assicurare l'efficacia e l'esecuzione dei provvedimenti presi sul punto dal giudice. Allo stesso modo, sarebbe anomalo assicurare le garanzie difensive per tutto il procedimento penale lasciando ad una fase meramente amministrativa e priva di controlli l'esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza. Il punto di partenza obbligato è quindi l'individuazione dell'oggetto del l' esecuzione: si tratta cioè di verificare quali provvedimenti abbiano l'attitudine ad essere eseguiti ed in quale momento assumano tale caratteristica. n titolo esecutivo. Quando nel processo penale un provvedimento ha acquisito l'idoneità ad essere eseguito, si dice che costituisce titolo esecutivo. Si denomina forza esecutiva (art. 650) quella caratteristica di un provvedimento che impone come giuridicamente necessaria la sua attuazione. La forza esecutiva, nel processo penale, appartiene ad ogni atto emesso dal giudice e dal pubblico ministero, in quanto è proprio di ogni provvedimento che il suo contenuto debba essere eseguito. La regola generale è che tutti i provvedimenti emessi dall'autorità giudizia ria nel processo debbono essere attuati esclusivamente in forza della loro avvenuta emissione. Occorre tuttavia segnalare che il legislatore ha disciplinato in modo specifico nel libro decimo l'esecuzione delle sentenze e dei decreti penali. Essi costituiscono
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una eccezione perché, a differenza degli altri provvedimenti disposti nell'ambito del procedimento penale, che normalmente hanno in sé il carattere dell'esecutività anche quando sono ancora impugnabili, le sentenze e i decreti penali divengono esecutivi, ai sensi dell'art. 650, solo quando sono divenuti irrevocabili (v. tav. 6.2.2). Infatti, soltanto l'irrevocabilità comporta che l'accertamento sulla respon sabilità sia tendenzialmente definitivo (salve le ipotesi di revisione) . Sentenze e decreti penali irrevocabili. Ricordiamo che ai sensi dell'art. 648, le sentenze pronunciate in giudizio divengono irrevocabili quando non sono più sottoponibili ad una impugnazione ordinaria perché sono stati già esperiti tutti i mezzi di impugnazione o perché nessuna delle parti ha presentato impugna zione entro i termini; i decreti penali diventano irrevocabili allorché sia decorso inutilmente il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l'ordinanza che ne dichiara l'inammissibilità. Si può quindi parlare di esecuzione penale, così come disciplinata dal libro decimo, con riferimento alla necessità di dare attuazione alle sentenze ed ai decreti penali divenuti irrevocabili. Dal punto di vista dell'oggetto, costitui scono titolo esecutivo e devono conseguentemente essere eseguite tutte le sentenze irrevocabili che contengano un comando da attuare: tali sono sia le sentenze di condanna, sia quelle di proscioglimento. Esecuzione delle sentenze di condanna. Con riguardo alle sentenze di condanna l'affermazione non richiede ulteriori spiegazioni: è infatti evidente come una sentenza irrevocabile che disponga, ad esempio, una pena detentiva, comporti la necessità di darvi attuazione attraverso il compimento di attività che portino a limitare la libertà personale del condannato. Esecuzione delle sentenze di proscioglimento. Viceversa, per le sentenze di proscioglimento sono opportune alcune osservazioni. Normalmente, infatti, la sentenza di proscioglimento non ha necessità di essere eseguita in forme particolari. Quando essa afferma semplicemente l'innocenza dell'imputato non contiene specifici comandi da attuare; in taluni casi, tuttavia, anche la sentenza di proscioglimento comporta la attuazione di specifiche prescrizioni. Si pensi alle ipotesi relative ad esempio alla cessazione di misure cautelari personali (art. 532, comma l) o a quelle in cui la sentenza di assoluzione applichi misure di sicurezza (art. 530, comma 4). La disciplina delle misure cautelari è peraltro contenuta in una diversa parte del codice (v. art. 3 00 per le misure personali), in quanto la sentenza di proscio glimento per tali effetti è immediatamente esecutiva. Viceversa, le attività ese cutive, relative alle misure di sicurezza o alle sanzioni civili, presuppongono l'ir revocabilità della sentenza e sono disciplinate dal libro decimo. 2.
I soggetti dell'esecuzione.
a) n pubblico ministero. Nella fase dell'esecuzione la figura del pubblico
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ministero ha un ruolo primario; infatti, tra i suoi compiti istituzionali, indicati dall'art. 73 ord. giud., è compreso il dovere di « far eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice ( . . . ) ». Ciò trova conferma nell'art. 655 comma l , che sancisce il dovere del pubblico ministero di curare d'ufficio l'esecuzione dei provvedimenti. L'attività del pubblico ministero, come si vedrà successivamente, si atteggia in modo diverso a seconda che questi debba emanare veri e propri provvedi menti (artt. 656; 657 ; 659; 663 ) oppure debba semplicemente svolgere compiti materiali di trasmissione di atti (artt. 658; 660; 661 ; 662 ; 664). L'art. 655 stabilisce, inoltre, quale è l'ufficio del pubblico ministero com petente per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali. In base al principio generale per cui la legittimazione della pubblica accusa si determina in relazione alla competenza del giudice (art. 5 1 , comma 3 ) , il legislatore ha individuato nel pubblico ministero presso il giudice dell'esecuzione l'organo competente ad esercitare i poteri di iniziativa in relazione all'esecuzione penale. b) n giudice dell'esecuzione. Anche la fase dell'esecuzione deve essere assistita dalle garanzie della giurisdizione (direttiva n. 96 legge delega). L'esi genza è stata soddisfatta attraverso la previsione di un eventuale controllo giurisdizionale affidato al giudice dell'esecuzione; detto organo si occupa di ogni aspetto che riguarda l'efficacia esecutiva del provvedimento giuri sdizionale, al fine di assicurare adeguate garanzie ai diritti fondamentali dell'in teressato, inevitabilmente coinvolti nell'esecuzione. La competenza del giudice dell'esecuzione ha evidentemente natura funzionale, poiché comprende ogni oggetto che afferisca alla funzione svolta dal giudice in questa fase. L'art. 665 dispone, come regola generale, che il giudice competente a conoscere dell'ese cuzione di un provvedimento è lo stesso giudice che lo ha emesso, ma la norma individua anche regole specifiche nel caso in cui il provvedimento sia stato impugnato e diversi siano stati gli esiti dei gravami. Le disposizioni specifiche saranno esaminate successivamente (v. § 6). c) La magistratura di sorveglianza. A differenza del giudice dell'esecu zione, la magistratura di sorveglianza si occupa di materie che attengono principalmente al settore del diritto penale sostanziale, poiché ad essa è affidato il controllo sulla funzionalità ed efficienza della pena in relazione al fine della rieducazione del condannato e l'accertamento della pericolosità del soggetto. I compiti della magistratura di sorveglianza sono distribuiti tra un organo monocratico, il magistrato di sorveglianza, ed un organo collegiale, il tribunale di sorveglianza. È possibile fin d'ora affermare che all'organo monocratico competono anche compiti di tipo amministrativo; viceversa, al tribunale di sorveglianza è attribuita una attività giurisdizionale, concernente i provvedi menti che richiedono valutazioni più complesse come la concessione di misure alternative alla detenzione.
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d) L'amministrazione penitenziaria. Presso il ministero della giustizia è istituito il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che si occupa, in generale, dell'esecuzione delle pene (anche alternative) , delle misure di sicu rezza detentive e della custodia cautelare in carcere. Meritano di essere men zionati i compiti specifici del dipartimento in merito all'ordine e alla sicurezza negli istituti penitenziari; al trattamento dei condannati e internati, anche se ammessi a fruire delle misure alternative; alla gestione del personale peniten ziario e alla collaborazione con il personale esterno; alla organizzazione dei supporti tecnici necessari. Il dipartimento si articola in cinque direzioni generali, alle quali si è aggiunto nel 1992 l'istituto superiore di studi penitenziari. A livello decentrato sono istituiti i provveditorati regionali dell'amministra zione penitenziaria. Più precisamente, le sedi di tali organi sono indicate dalla tabella E allegata alla l. 15 dicembre 1990, n. 3 95 . Ogni provveditorato, nell'ambito della propria circoscrizione e secondo le direttive del dipartimento, si occupa, tra l'altro, della gestione delle risorse e del personale; sicurezza degli istituti; servizi di traduzione e piantonamento; trattamento intramurale ed esecuzione penale esterna; programmazione e controllo amministrativo contabile (v. d.lgs. 3 0 ottobre 1 992, n. 444 ) . Inoltre, i provveditorati svolgono le funzioni che precedentemente spettavano agli ispettorati distrettuali; si tratta, ad esempio, di compiti ispettivi, di vigilanza e controllo sul funzionamento dei singoli istituti penitenziari e degli uffici dipendenti dal dipartimento. Ad ogni singolo istituto penitenziario è preposto un direttore, che ricopre il ruolo di funzionario di carriera dirigenziale (recentemente modificata dal d. lgs. 15 febbraio 2006, n. 63 , emanato in attuazione della delega contenuta nella legge 27 luglio 2005, n. 154). Il direttore si avvale della collaborazione di personale amministrativo-contabile e di educatori (artt. 80 e ss., l. 26 luglio 1 975, n. 354), rispetto ai quali si trova in posizione di superiorità gerarchica. e) Gli uffici locali di esecuzione penale esterna. A livello decentrato operano anche gli uffici locali di esecuzione penale esterna, subentrati ai centri di servizio sociale per adulti e istituiti dall'art. 3 lett. b della legge 27 luglio 2005, n. 154, che ha sostituito l'art. 72 ord. pen. Gli uffici, che dipendono dal ministero della giustizia, si occupano delle inchieste funzionali all'applicazione delle misure alternative e di sicurezza; propongono all'autorità giudiziaria il programma di trattamento, nonché le eventuali modifiche e revoche in un momento successivo, dei condannati che presentano istanza di affidamento in prova e di detenzione domiciliare; controllano la corretta esecuzione del programma e ne riferiscono all'autorità giudiziaria; prestano consulenza relati vamente al trattamento penitenziario, su richiesta delle direzioni degli istituti. Gli uffici di esecuzione penale esterna si coordinano con le istituzioni e i servizi sociali che operano sul territorio.
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L'attività esecutiva.
Una volta accertato quali sono i provvedimenti suscettibili di esecuzione e quali soggetti sono i protagonisti di questa fase, è necessario valutare, più in particolare, in cosa si sostanzia la loro attività. È possibile distinguere un momento prettamente attuativo del comando contenuto nel provvedimento giurisdizionale divenuto esecutivo (artt. 65 5-664), da un diverso momento, eventuale, di controllo giurisdizionale su tale attività (artt. 665 -684) . n momento attuativo del comando. Quanto al momento attuativo del comando, come si è già osservato precedentemente, il protagonista è il pubblico ministero. Gli artt. 655 ss., oltre a stabilire a chi competa l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali, ne individuano le concrete modalità. Preliminarmente è possibile affermare che l'attività del pubblico ministero in questa fase ha peculiarità che richiamano quelle proprie dell'esercizio dell'azione penale. Dalla lettura dell'art. 655 è possibile individuare le seguenti caratteristiche. a) L'obbligatorietà dell'esecuzione. Essa si ricava anzitutto dall'uso dell'in dicativo presente « cura »; ma è la logica stessa che la impone, per evitare che l'ordinamento cada in contraddizione con se stesso, prevedendo da un lato l'obbligatorio esercizio dell'azione penale, e dall'altro la discrezionale valuta zione del pubblico ministero circa l'opportunità di dare esecuzione al provve dimento conclusivo del processo penale. b) L'ofiiciosità dell'esecuzione. Essa è sancita testualmente dallo stesso art. 655 : « il pubblico ministero ( . . . ) cura di ufficio l'esecuzione dei provvedimenti ». Ciò comporta che il pubblico ministero, quando procede all'esecuzione, si attivi automaticamente, senza attendere che la relativa iniziativa consegua ad una istanza di chi vi abbia interesse. c) L'irretrattabilità dell'esecuzione. Una volta dato corso all'azione esecu tiva, il pubblico ministero non può interromperla: occorrerà che il giudice dell'esecuzione, nei casi espressamente previsti dalla legge, emetta uno specifico provvedimento. d) n monopolio dell'iniziativa nell'esecuzione. La presente caratteristica è ricavabile dalla circostanza che il pubblico ministero è l'unico soggetto legitti mato dalla legge a dare esecuzione ai provvedimenti del giudice (non lo sono, ad esempio, il direttore delle carceri o la persona offesa dal reato). Il codice prevede poi tutta una serie di norme, che si esamineranno tra breve, volte a disciplinare le diverse modalità attraverso cui deve avvenire l'esecuzione delle pene detentive (artt. 656 ss., anche con il calcolo del presof ferto in esecuzione di misure cautelari custodiali o del cumulo fra più pene detentive derivanti da diverse sentenze di condanna) , delle pene pecuniarie (art. 660), delle misure di sicurezza (artt. 658 e 659), delle sanzioni sostitutive (art.
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661 ) , delle pene accessorie (art. 662 ) ; ma anche l'esecuzione disciplinare e civile nell'ambito penale (art. 664). L'attivazione del controllo giurisdizionale. Quanto all'altro momento della fase esecutiva, rappresentato dall'intervento eventuale del giudice, il legislatore ha previsto un apposito procedimento con le garanzie della giuridizione al fine di verificare la validità dei presupposti e la legittimità del titolo esecutivo. Come è evidente, l'effettuazione di un controllo su materie coperte da riserva di giurisdizione come la pena e la libertà personale deve necessariamente estrinsecarsi in forme che assicurino la presenza di un giudice imparziale, il diritto di difesa, il contraddittorio delle parti e una decisione motivata ricorri bile per cassazione (art. 1 1 1 Cost.) . Oggetto del controllo. Circa l'oggetto del controllo giurisdizionale si devono distinguere: l ) la verifica dei presupposti e delle condizioni di legittimità del titolo esecutivo e dell'attività di attuazione del medesimo; 2) la verifica del permanere della rispondenza tra il contenuto sanzionatorio del titolo e il fine rieducativo assegnato alla pena (art. 27, comma 3 Cost.). In relazione a tali differenti materie, sono previsti procedimenti distinti di nanzi a due differenti giudici: nel primo caso, il procedimento di esecuzione davanti al giudice dell'esecuzione (art. 666) ; nel secondo caso, il procedimento di sorveglianza davanti alla magistratura di sorveglianza (art. 678). 4.
L'esecuzione delle pene detentive.
a) L'ordine di esecuzione. L'atto propulsivo dell'esecuzione delle pene detentive è l'ordine di esecuzione (art. 656). Il pubblico ministero lo emette quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva; l'ordine impone alla polizia giudiziaria di condurre immediatamente in carcere il condannato (v. tav. 6.2 .4). Copia dell'ordine deve essere consegnata perso nalmente nelle mani dell'interessato (art. 656, comma 1 ) , sempre che questi non sia già detenuto. In tale ultima ipotesi, l'ordine di esecuzione sarà comunicato al ministero della giustizia e notificato al condannato in carcere (art. 656, comma 2 ) . In ogni caso, l'ordine deve essere notificato, entro trenta giorni, al difensore nominato espressamente dall'interessato per la fase dell'esecuzione, oppure, qualora tale nomina non sia stata effettuata, a quello designato dal pubblico ministero secondo quanto disposto dall'art. 97 (art. 655 comma 5 ) . L'ordine d i esecuzione deve indicare l e generalità della persona nei cui confronti il provvedimento deve essere eseguito e tutto ciò che sia utile per identificarla; l'imputazione; il dispositivo; le ulteriori disposizioni necessarie per l'esecuzione (art. 656 comma 3 ) . Qualora il destinatario del provvedimento da eseguire sia uno straniero, l'ordine di esecuzione deve essere tradotto, a pena di nullità, in una lingua che sia nota al soggetto. Tuttavia, ciò non è necessario nel caso in cui risulti dagli atti
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L'esecuzione penale
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del procedimento che egli comprenda la lingua italiana. Tale circostanza si presume se si rileva che il soggetto si è sempre reso conto della portata dell'accusa, contrapponendovi un'adeguata difesa ( 1 ) . b) Le pene detentive brevi: l'eventuale sospensione dell'esecuzione. Se gnaliamo che esamineremo a parte l'esecuzione della condanna nei confronti di tossicodipendenti o alcooldipendenti. Ciò premesso, nel caso di esecuzione di condanna a pena detentiva non superiore a tre anni (anche se costituente residuo di maggior pena) la legge considera la possibilità per il condannato di ottenere l'applicazione di misure alternative alla detenzione prima dell'inizio della stessa esecuzione della pena (v. tav. 6.2 .8). Per tale motivo, il pubblico ministero è tenuto a porre in essere adempimenti ulteriori, valutando subito la presenza di situazioni che escludono il beneficio (art. 656 commi 7 e 9). Se non sono presenti tali situazioni di esclusione (sulle quali torneremo alla fine di questo sottoparagrafo), il pubblico ministero deve emettere insieme l'ordine di esecuzione ed un decreto di sospensione dell'esecuzione stessa (art. 656 comma 5 ) . L a sospensione dell'esecuzione è finalizzata ad evitare l'ingresso in carcere a tutti quei soggetti che verosimilmente potranno usufruire delle misure alter native. Il meccanismo permette al condannato a pena detentiva breve di non entrare in contatto con la realtà carceraria, usufruendo fin dall'inizio di una modalità di espiazione meno afflittiva e più adeguata in vista della rieducazione. Inoltre, l'evitare il transito in carcere dei soggetti condannati a pena detentiva breve risponde anche ad evidenti finalità di deflazione della popolazione carceraria. Di conseguenza, l'istituto della sospensione non può essere invocato dal soggetto che già si trovi in esecuzione di pena per altra causa (2) . La notifica. Entrambi i provvedimenti (l'ordine di esecuzione e la sospen sione), spesso contenuti nel medesimo decreto, devono essere « notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio ». Deve essere dato l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza volta ad ottenere la concessione di una delle seguenti misure alternative alla detenzione: l'affida mento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà (quando la pena è l'arresto o la reclusione non superiore a sei mesi) , l'affida mento in prova in casi particolari e la sospensione dell'esecuzione per tossico dipendenti (art. 656, comma 5 ) . La giurisprudenza ha ammesso che l'istanza può indicare, in via alternativa, più di una misura (3 ) . L'istanza di concessione della misura. Sono legittimati alla presentazione dell'istanza il condannato ed il suo difensore. Di regola, la nomina del difensore (l) (2) (3)
Cass., sez. I, 20 maggio 2004, 25688, in Arch. n. proc. pen. , 2005, 370. Da ultimo Cass., sez. I, 27 gennaio 2005, n . 4845, in CED 230963. Cass., sez. I, 26 febbraio 200 1 , Barbagallo, in CED 2 1 8925 e in Cass. pen. , 2002, 1093.
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di fiducia per la fase di cognizione non ha alcun valore ai fini del giudizio di esecuzione; dunque, in mancanza di apposito difensore fiduciario, al condan nato sarà assegnato un difensore d'ufficio. Tuttavia, questo principio incontra un'importante deroga in questa sede. Difatti, in mancanza di un difensore di fiducia appositamente nominato per la fase di esecuzione, l'ordine di esecuzione e la contestuale sospensione devono essere notificati al difensore che aveva assistito il condannato nella fase del giudizio (art. 656 comma 5 ) . Se per la prosecuzione della fase di esecuzione il condannato intende mantenere il medesimo difensore, è opportuno che provveda a nominarlo quale proprio difensore di fiducia. n termine per presentare l'istanza. n termine di trenta giorni per la presentazione dell'istanza decorre dalla valida notificazione dell'ordine di ese cuzione (e contestuale sospensione) al condannato e al difensore (4) . n destinatario dell'istanza. L'istanza deve essere presentata al pubblico ministero che ha emesso l'ordine di esecuzione con contestuale sospensione; questi trasmette l'istanza, con la relativa documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero stesso. n tribunale di sorveglianza (di cui daremo conto infra, § 7), decide nei quarantacinque giorni dal ricevimento dell'istanza (art. 656 comma 6). La documentazione. La documentazione utile alla decisione può essere depositata, fino a cinque giorni prima dell'udienza, nella cancelleria del tribu nale di sorveglianza. Tale integrazione, tuttavia, non è possibile nei casi in cui la mancanza della documentazione comporti l'inammissibilità della richiesta (art. 656 comma 6 c.p.p. mod. dall'art. 4-undevicies, d.l. 30 dicembre 2005 , n. 272 convertito con modifiche dalla l. 2 1 febbraio 2006, n. 49). Nel caso in cui l'istanza non sia tempestivamente presentata o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione e procede all'esecuzione nelle forme ordinarie (art. 656, comma 8). I divieti di sospensione. Come già accennato sopra, il legislatore ha previsto alcuni casi in cui la sospensione dell'esecuzione non può essere disposta. In primo luogo, il condannato può beneficiare della sospensione una sola volta in relazione alla medesima condanna (art. 656 comma 7 ) . (4) Merita precisare che, come afferma la giurisprudenza, è nulla la notifica al condannato presso lo studio del difensore qualora egli abbia ivi eletto domicilio nella sola fase di cognizione. L'intervento della sentenza irrevocabile, infatti, priva di ogni effetto tale dichiarazione che, dunque, non ha alcun valore in sede esecutiva; così, Cass., sez. IV, 25 ottobre 2002, Banecko Picka, in Riv. pen . , 2003, 450. Conseguentemente, il soggetto che abbia eletto domicilio presso il difensore durante il solo processo di merito può essere considerato irreperibile ai fini della notifica dell'ordine di esecuzione (Cass., sez. III, 24 maggio 2006, n. 33028, in Guida dir. , 2006, 43, 83) .
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In secondo luogo, l'esecuzione della pena non può essere sospesa nel confronti di coloro che siano stati condannati (art. 656, comma, 9 lett. a): - sia per quei delitti più gravi, che non ammettono comunque misure alternative (art. 4-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354); - sia per quei delitti che non permettono l'applicazione di misure alter native con il meccanismo della sospensione dell'esecuzione, ma per i quali la misura potrebbe essere astrattamente applicata con gli strumenti ordinari, una volta iniziata l'esecuzione stessa (5) . In terzo luogo, sono esclusi dalla sospensione anche coloro che si trovano in custodia cautelare in carcere, per lo stesso reato in relazione al quale è stata irrogata la pena da eseguire, al momento in cui diviene definitiva la condanna (art. 656 comma lett. b) . In quarto luogo, il legislatore ha stabilito che la sospensione dell'esecuzione non può essere disposta nei confronti dei condannati, ai quali sia stata applicata la recidiva di cui all'art. 99 comma 4 c.p., cioè nei casi di recidiva reiterata (art. 656, comma 9, lett. c) (6) . I casi in cui la sospensione non può essere disposta sono tassativi; dunque il beneficio non è escluso nel caso in cui il condannato si trovi in custodia cautelare in carcere per un reato diverso da quello in relazione al quale è stato emesso l'ordine di esecuzione. Tuttavia, l'eventuale misura alternativa, che venga concessa, deve essere posposta al momento della cessazione della misura cautelare (7) . In generale, ciò significa che la sopravvenienza di un titolo esecutivo durante il corso di una misura cautelare, relativa ad un reato diverso, non esclude l' ope ratività della sospensione dell'esecuzione della pena e della conseguente valuta zione nel merito relativa alla concessione di una misura alternativa. La misura alternativa e quella cautelare possono anche essere applicate contestualmente, ma è necessario verificarne in concreto l'effettiva compatibilità, attribuendo preva lenza, nei casi di contrasto, alla misura cautelare. Tale valutazione non spetta al (5) Si tratta dei delitti previsti dal d.l. n. 92 del 2008, conv. in legge n. 125 del 2008 (sicurezza pubblica), che ha introdotto nella lett. a dell'art. 656, comma 9, l'ulteriore divieto di sospensione a carico di coloro che sono stati condannati per i seguenti delitti: l) incendio boschivo (art. 423 ·bz5 c.p.); 2) furto, quando ricorrono due o più aggravanti di quelle previste dall'art. 625 c.p.; 3 ) furto in abitazione o furto con strappo (art. 624·bz5 c.p.); 4) delitti per i quali ricorre l'aggravante dell'avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale (art. 6 1 , comma l , n. 1 1 -bis c.p.). Con riferimento a tutti i reati di cui alla lett. a, è prevista la sospensione dell'esecuzione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari in quanto tossicodipendenti o alcoldipendenti che hanno in corso programmi terapeutici di recupero, ai sensi dell'art. 89 T.U. stupefacenti. (6) La Corte di cassazione ha precisato che la recidiva deve essere stata contestata ed aver esplicato i propri effetti nella determinazione di quella pena che costituisce oggetto dell'ordine di esecuzione (Cass. pen., sez. l, 27 febbraio 2007, n. 8 152). (7) Cass., 12 gennaio 2005, n. 2 87 1 , in CED 230556.
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tribunale di sorveglianza, il quale si occupa solo della verifica dell'esistenza delle condizioni per la concessione della misura alternativa (8). La sospensione dell'esecuzione può assumere una ulteriore forma, che presenta una qualche singolarità. Nel caso in cui il condannato, in condizione di beneficiare della sospensione ai sensi del comma 5 dell'art. 656 c.p.p., si trovi agli arresti domiciliari per il medesimo fatto oggetto della condanna da eseguire, la limitazione della libertà personale perdura nella stessa forma, ma il pubblico ministero, sospesa l' ese cuzione della pena, trasmette gli atti al tribunale di sorveglianza. n tempo corrispondente allo stato detentivo fino alla decisione del tribunale è conside rato come pena espiata (art. 656 comma 10 c.p.p. ) . c ) La sospensione dell'esecuzione nei confronti di condannati tossicodipendenti e alcooldipendenti. n limite di pena sospendibile, in questi casi, è stato innalzato da
quattro a sei anni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 che ha convertito con modifìcazioni il d.l. 30 dicembre 2005, n. 272. La modifica deve essere letta parallelamente al corrispondente ampliamento di applicabilità delle misure alternative. Il condannato può presentare istanza di sospensione o affidamento in prova. Tale istanza è inammissibile se non è accompagnata dalla certificazione, avente il contenuto richiesto dalla legge, rilasciata dal servizio pubblico o da una struttura privata autorizzata ai sensi del novellato art. 1 1 6 d.p.r. 9 ottobre 1 990, n. 3 09 (T.U. stupefacenti). Inoltre, l'istanza di sospensione, di cui all'art. 90 del suddetto testo unico, è inammissibile nel caso in cui, nel periodo compreso tra l'inizio del programma e la pronuncia della sospensione, il condannato abbia commesso altro delitto non colposo punibile con la reclusione (art. 90 comma 2 T.U. stupefacenti mod. art. 4-septies d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 convertito con modifiche dalla l. 2 1 febbraio 2006, n. 49). Gli avvisi. n condannato e il difensore sono avvertiti del fatto che l'inammissibilità dell'istanza, ai sensi degli artt. 90 e ss. T.U. stupefacenti, nonché la mancata presenta zione della stessa comportano l'esecuzione immediata della pena (art. 656 comma 5 modificato dall'art. 4-undevicies d.l. 30 dicembre 2005 , n. 272 convertito con modifiche dalla legge 2 1 febbraio 2006, n. 49). n pubblico ministero, al quale deve essere presentata l'istanza e la documentazione allegata, la trasmette al tribunale di sorve glianza, determinato in base al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero stesso. La documentazione mancante, ai fini dell'ammissibilità della richiesta, non può essere utilmente presentata in un momento successivo; di conseguenza, il pubblico ministero è tenuto a revocare il decreto di sospensione e procedere all'esecuzione non solo nel caso in cui l'istanza non sia tempestivamente presentata o il tribunale la dichiari inammissibile o la respinga, bensì anche quando l'istanza sia inammissibile ai sensi degli artt. 90 e ss. d.p.r. 9 ottobre 1 990. L'inammissibilità, in quest'ultimo caso, è apprezzata dal pubblico ministero senza l'intervento del tribunale di sorveglianza. n pubblico ministero revoca la sospensione anche quando, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza a cui ha
(8)
Cass., sez. I, 14 giugno 2002, Rigoli, in Cass. pen . , 2003, 2788.
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trasmesso l'istanza ammissibile, il programma di cui all'art. 94 non risulti iniziato entro cinque giorni dalla presentazione dell'istanza o quando sia stato interrotto. Per essere in grado di constatare questa evenienza in modo tempestivo, il pubblico ministero, nel trasmettere l'istanza al tribunale di sorveglianza, dispone anche gli opportuni accerta menti (art. 656, comma 8 mod. art. 4-undevicies d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 convertito con modifiche dalla L 2 1 febbraio 2006, n. 49). Divieti di sospensione dell'esecuzione nei confronti di condannati tossicodipen denti. Una disciplina singolare vale anche in punto di divieti di sospensione dell'ese
cuzione. Difatti, ai tossicodipendenti può essere applicata la sospensione dell'esecu zione della pena, anche se relativa ai reati di cui all'art. 4-bis ord. pen., qualora si trovino agli arresti domiciliari ai sensi dell'art. 89 T.V. stupefacenti (eccezione introdotta nell'art. 656 comma 9 lett. a dall'art. 4-undevicies d.l. 3 0 dicembre 2005, n. 272 convertito con modifiche dalla L 2 1 febbraio 2006, n. 49). Inoltre, il divieto di applicazione della sospensione in caso di recidiva reiterata non si estende ai condannati tossicodipendenti o alcooldipendenti, in presenza di determinate condizioni. Nei confronti di tali soggetti, la sospensione dell'esecuzione, oltre ad essere subordinata alle condizioni ordinarie, richiede anche che sia in corso, nel momento in cui la sentenza diviene irrevocabile, un programma terapeutico di recupero presso i servizi pubblici per l'assistenza owero nell'ambito di una struttura autorizzata. Tuttavia, l'aver semplicemente awiato il suddetto programma non è sufficiente; è necessario inoltre che il percorso intrapreso abbia una dimensione effettiva e, dunque, si richiede di valutare anche se l'eventuale interruzione, derivante dall'esecuzione della pena, comporta un pregiudizio per la disintossicazione. Disposta la sospensione, il pro gramma di recupero deve essere proseguito fino alla decisione del tribunale di sorve glianza sulla misura alternativa; il pubblico ministero dispone i controlli per verificare che il programma non venga interrotto dal condannato e revoca la sospensione se accerta tale circostanza (art. 4, d.l. 3 0 dicembre 2005, n. 272, convertito con modifica zioni dalla l. 2 1 febbraio 2006, n. 49).
d) n computo del presofferto. L'art 657 c.p.p. prevede il caso in cui il condannato abbia già scontato periodi di custodia cautelare o espiato pene per sentenze revocate o per le quali siano intervenuti provvedimenti di amnistia o indulto: in tutti questi casi si rende necessario un intervento di calcolo per detrarre il presofferto (o l'indebitamente sofferto) e determinare così la pena ancora effettivamente da espiare (v. tav. 6.2.5 ) . L'art. 657 prevede, infatti, che il pubblico ministero debba computare il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per altro reato, anche se la custodia è ancora in corso, e debba computare altresì il periodo di pena detentiva espiata per un reato diverso, quando la relativa condanna sia stata revocata, o quando per il reato sia stata concessa amnistia o indulto (nei limiti dello stesso) (9). (9) Dal testo della norma emerge chiaramente come il legislatore s i sia ispirato a d u n ampio criterio di fungibilità della pena; tuttavia, è opportuno sottolineare che la fungibilità riguarda le sole misure coercitive custodiali, cioè la custodia in carcere (o in luogo di cura o custodia) e gli arresti domiciliari (cfr. art. 284
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Oggetto della detrazione. Oltre alla custodia cautelare subita, costituisce oggetto della detrazione anche la misura di sicurezza detentiva applicata in via provvisoria (art. 3 12 ) . Tuttavia la detrazione non può aver luogo se la misura viene poi applicata definitivamente con la sentenza poiché, in tal caso, il tempo dell'esecuzione provvisoria della misura è computato nella durata minima della stessa (art. 206 c.p.) . Il secondo comma dell'art. 657 estende l'oggetto della detrazione anche alle c.d. pene espiate senza titolo, naturalmente relative a reati diversi da quello per cui si deve determinare la pena. Si tratta dei casi in cui la condanna viene revocata (revisione o abolitio criminis) ; viene concessa l'amnistia (amnistia impropria) ; viene concesso l'indulto, nei limiti della quantità di pena che viene condonata. Le ipotesi previste dall'articolo in esame sono da considerare tassative; tuttavia, sono indifferenti le modalità con cui la condanna è stata espiata, purché la limitazione della libertà sia stata effettiva (nel senso della fungibilità della pena scontata in regime di affidamento in prova al servizio sociale, v. Cass. pen., sez. I, 23 gennaio 2004, n. 765 1 , in CED. , 227 1 16 e in Cass. pen. , 2005 , 1 06). In ogni caso, onde evitare che un periodo di limitazione della libertà personale possa costituire incentivo alla futura commissione di reati, è previsto che siano computate soltanto la custodia cautelare subita e le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire (art. 657 comma 4). Altrimenti l'ordinamento riconoscerebbe la pos sibilità di precostituirsi un credito penale valido per delinquere impunemente nel periodo successivo (F. CoRDERO) . Ai sensi del comma 5 dell'art. 657 il « pubblico ministero provvede con decreto, che deve essere notificato al condannato e al suo difensore ». e) L'esecuzione di pene concorrenti: il provvedimento di cumulo. L'art. 663 prevede l'ipotesi di esecuzione di pene concorrenti, che si realizza quando la stessa persona sia stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi. Si tratta in questi casi di effettuare un nuovo calcolo per determinare la pena in relazione all'intervenuto passaggio in giudicato di una nuova sentenza di con danna. Il provvedimento di cumulo ha la forma del decreto; esso deve essere notificato al condannato e al suo difensore (v. tav. 6.2.6). A procedere è il pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo; si osserva quella normativa relativa al concorso di pene che è prevista nel codice penale (art. 80) . È opportuno precisare che il c.d. provvedimento di cumulo, con il quale il pubblico ministero determina la pena da eseguire in presenza di più sentenze irrevocabili, unifica le sole "pene concorrenti" , cioè quelle effettivamente comma 5 ) . Si è ritenuto, infatti, che le limitazioni derivanti dalle altre misure cautelari (e, quindi, il relativo quoziente di afflittività) non fossero tali da poter essere equiparate alla detenzione per pena definitiva (Cass., sez. VI, 23 marzo 1995, Dhaoudi, in Cass. pen . , 1996, 1859) .
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cumulabili fra loro. Si tratta delle pene che scaturiscono da sentenze esecutive relative a reati compiuti prima dell'inizio dell'esecuzione di almeno una di esse (L. KALB) e comportanti una pena da scontare alla data di commissione dell'ultimo reato, anche se eseguite in anticipo rispetto all'effettuazione del cumulo da parte del pubblico ministero. Ciò significa che non è possibile includere indiscriminatamente nel cumulo tutte le pene relative a reati com messi prima dell'inizio dell'esecuzione: non si può infatti tener conto di quelle che risultino già espiate all'atto in cui sia stato commesso il reato, al quale va ricondotta la pena da cumulare con la precedente (G. TRANCHINA) . Tuttavia, nella realtà delle cose, è molto probabile che i titoli esecutivi sopravvengano durante l'espiazione di un periodo di carcerazione, cioè di un cumulo già effettuato (v. atto 6.2 .7) . In tal caso, è necessario verificare se il nuovo titolo si riferisca ad un reato commesso prima dell'inizio dell'esecuzione del cumulo, oppure ad un reato commesso durante l'espiazione del cumulo stesso, eventualmente per il venir meno dello stato detentivo attraverso la concessione di misure alternative, permessi, o anche in caso di evasione. Nel primo caso, la nuova pena deve essere considerata legittimamente con corrente con quelle già entrate in esecuzione; pertanto, l'attuale cumulo deve essere sciolto per formarne uno nuovo comprendente anche l'ultimo titolo ese cutivo. Nel secondo caso, invece, è necessario effettuare un cumulo parziale, comprendente la parte di sanzione ancora da scontare al momento della com missione del nuovo reato e la condanna inflitta per quest'ultimo. Il pubblico ministero, ogni volta che forma un nuovo cumulo, deve rispettare i temperamenti di cui all'art. 78 c.p., ma tali limiti ben possono essere superati nell'arco della vita del condannato attraverso la successiva formazione di cumuli diversi, poiché hanno valore solo nei confronti di pene che sono fra loro concorrenti. Sono escluse dal cumulo: la condanna sospesa, quella condonata, quella amnistiata, purché non sia intervenuta la revoca del beneficio, ed infine quella per cui non si è ottenuta l'estradizione dall'estero. La detrazione del presofferto e delle pene espiate senza titolo. Attraverso la formazione del provvedimento di cumulo si realizza la completa unificazione delle sanzioni e quindi la perdita di individualità dei singoli titoli esecutivi. Ciò com porta la necessità di una unitaria detrazione del presofferto e delle pene espiate senza titolo. Ciascun periodo di carcerazione sofferto prima dell'effettuazione del cumulo va imputato unitariamente al cumulo stesso, essendo impossibile riferire la detenzione sofferta a singoli reati. Tuttavia è necessario tener presente il basilare principio di cui all'art. 657 comma 4, secondo il quale per la detrazione sono computate soltanto la custodia cautelare subìta o le pene espiate dopo la com missione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire. Dunque, in presenza di una pluralità di reati e di periodi di carcerazione sofferti in tempi diversi, bisogna ordinare cronologicamente da una parte i reati
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e dall'altra i periodi di carcerazione, quindi procedere ad operazioni successive, scadenzate dai susseguenti momenti concorsuali (dare eli commissione dei reati) , detraendo ogni periodo eli presofferto dal cumulo parziale delle pene inflitte per i reati commessi in precedenza, fino a giungere al cumulo aggiornato ( 1 0). Infine, giova sottolineare che la formazione del cumulo delle pene concor renti non deve mai risolversi in un danno per il condannato; qualora ciò accada (es. impossibilità di fruire di benefici penitenziari), il provvedimento deve essere sciolto attraverso una pronuncia incidentale ( 1 1 ) . 5.
L'esecuzione delle pene pecuniarie.
L'esecuzione delle pene pecuniarie e delle spese del procedimento, rientra nella " attività materiale del pubblico ministero" , cioè in quelle ipotesi in cui « il pubblico ministero attiva la procedura esecutiva mediante la trasmissione degli atti ad altre autorità ». In questo caso, è la stessa cancelleria del giudice dell'ese cuzione ad attivarsi, invitando il debitore al pagamento (art. 208 Testo unico delle spese di giustizia - d.p.r. 3 0 maggio 2002 n. 1 15 ) (v. tav. 6.2 . 17). Ove il pagamento non venga effettuato, l'ufficio di cancelleria procede alla iscrizione a ruolo e consegna detto ruolo al concessionario della riscossione (art. 2 13 T.U.S.G.). Questi procede in base alle norme che valgono in generale per i tributi (art. 223 T.U.S.G.). Quando è accertata la impossibilità di esazione della pena pecuniaria, il pub blico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente per la conversione, il quale provvede previo accertamento dell'effettiva insolvibilità del condannato (art. 660 c.p.p.; si veda Corte cost. 4 - 1 8 giugno 2003 n. 2 12 ) . La pena pecuniaria insoluta è convertita nella sanzione della libertà controllata o del lavoro sostitutivo (artt. 136 c.p. e 102 ss. legge n. 689 del 1 98 1 ) . 6.
La giurisdizione esecutiva.
a) D giudice dell'esecuzione. Come si è già visto precedentemente, l'art. 665 dispone che il giudice competente a conoscere dell'esecuzione eli un provvedimento è lo stesso giudice che lo ha emesso. Vi sono regole specifiche nel caso in cui il provvedimento sia stato impugnato e diversi siano stati gli esiti dei gravami. È opportuno ora esaminare tali disposizioni particolari. Il giudice dell'esecuzione è il giudice di primo grado se il provvedimento non è stato impugnato o se, a seguito di impugnazione, è stato confermato in ( l O)
(11) Cass.
pen.,
Cass., sez. I, 14 febbraio 1997, Della Torre, in Cass. pen . , 1998, 534. Cass., sez. I, 31 maggio 2005, n. 24981, in CED 23 1667; Cass., sez. I, 7 giugno 2000, n. 4208, in 200 1 , 1 842.
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appello o ha subìto modifiche solamente in punto di pena, misure di sicurezza e disposizioni civili. Viceversa, competente per l'esecuzione sarà il giudice di appello se questi ha riformato la sentenza di primo grado in punto di responsabilità (art. 665, comma 2 ) . S e vi è stato ricorso per cassazione, in caso di annullamento con rinvio è competente il giudice del rinvio; se il ricorso è stato dichiarato inammissibile, è stato rigettato o è stato annullato senza rinvio, la competenza spetterà al giudice di primo grado o al giudice d'appello secondo i criteri appena descritti (art. 665, comma 3 ) . In sintesi, il giudice dell'esecuzione può essere definito come l'ultimo giudice di merito che ha deciso sulla responsabilità penale del condannato. Esecuzione di più provvedimenti emessi da giudici diversi. Il codice prevede altresì l'ipotesi in cui debbano essere eseguiti più provvedimenti emessi da giudici diversi. Di regola è competente il giudice che ha pronunciato il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo. Se si tratta di giudici ordinari e giudici speciali, è competente il giudice ordinario (art. 665, comma 4 ) . S e s i tratta di provvedimenti emessi dal tribunale in composizione collegiale e monocratica, l'esecuzione spetta al collegio (art. 665 , comma 4-bis) . Questo criterio deve essere interpretato come attributivo di una sorta di competenza interna, in sede esecutiva, nell'ambito dello stesso tribunale. Di conseguenza, si riferisce all'ipotesi di più provvedimenti emessi dal medesimo tribunale, inteso come ufficio giudiziario; la disposizione non è norma attributiva di competenza territoriale ( 12 ) . b) L'oggetto del controllo giurisdizionale. L'attività di controllo assegnata al giudice dell'esecuzione si riferisce alla verifica delle condizioni formali che consentono al comando di divenire, continuare o cessare di essere operativo nei suoi limiti originari. Si tratta, in sostanza, di una giurisdizione sul titolo e sul relativo procedimento di attuazione, laddove si renda necessario compiere accer tamenti sulla effettiva presenza dei requisiti di forma e di sostanza del titolo stesso; è anche una giurisdizione sull'interpretazione del titolo esecutivo, quando deter minati fatti, preesistenti o successivi al giudicato, impongono di rivalutarne mo dalità e termini di attuazione. Come regola, il giudice, che ha deliberato un provvedimento è competente a conoscere le questioni che attengono alla esecuzione del provvedimento stesso (art. 665 comma l ) ; a tale competenza generale si aggiungono casi previsti espressamente dal codice. Tipi di intervento del giudice dell'esecuzione. Volendo effettuare una distinzione fra i casi disciplinati dal codice, è possibile distinguere: ( 12 )
Cass., sez. I, 9 maggio 200 1 , Corso, in Cass. pen., 2002, 1090.
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gli interventi che richiedono la fissazione di una udienza in camera di consiglio: questa è la " regola" prevista dall'art. 666 (artt. 669, 670, 67 1 , 673 , 674, 675) (v. la successiva lettera d); - l e ipotesi i n cui il giudice dell'esecuzione provvede senza formalità: occorre che la singola norma disponga espressamente in tal senso (artt. 667, 672, 676) (v. la successiva lettera e) . - le ipotesi, non espressamente previste dal codice, nelle quali l'interes sato ha facoltà di rivolgersi al giudice dell'esecuzione poiché è sorta una questione che comunque rientra nel concetto di « esecuzione di un provvedi mento » ai sensi dell'art. 665: si applica la " regola" della udienza in camera di consiglio (art. 666). Ciò avviene, ad esempio, quando sorgano questioni circa il computo della pena effettuato dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 657 e 663 o, più semplicemente, per sollecitare un intervento di computo non effettuato dal pubblico ministero. In tali casi l'udienza si svolge in camera di consiglio (v. la successiva lettera j) . c) Il procedimento di esecuzione (c.d. incidente di esecuzione). Circa le forme del controllo, l'art. 666 dispone una apposita disciplina per il procedimento di esecuzione, impostata sullo schema del procedimento in camera di consiglio di cui all'art. 127, ma con alcune significative modificazioni (v. tav. 6.2 .9). L'iniziativa del procedimento è rimessa alle parti, secondo il principio ne procedat iudex ex o/ficio. Sono legittimati a presentare richiesta il pubblico ministero e quel soggetto passivo del provvedimento giurisdizionale (o il suo difensore) che nella fase esecutiva abbiano concreto interesse all'instaurazione del procedimento di esecuzione; ovviamente, titolare di un interesse del genere è il condannato (art. 666 comma 1 ) . La richiesta è presentata in forma scritta al giudice dell'esecuzione (art. 1 2 1 c.p.p . ) . Tale richiesta subisce u n primo vaglio d a parte del giudice ( o del presidente del collegio) . Ove questi la consideri manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge, o mera riproposizione di un'istanza già rigettata, sentito il pubblico ministero, ne dichiara l'inammissibilità con decreto motivato, ricorri bile in cassazione (art. 666, comma 2 ) . In caso contrario, il giudice fissa la data dell'udienza curando che il provvedimento venga notificato all'imputato, al pubblico ministero e al difensore di fiducia o, in mancanza, d'ufficio (art. 666, comma 3 ) entro dieci giorni dalla data predetta. Fino a cinque giorni dal l'udienza, le parti hanno facoltà di depositare memorie in cancelleria. L'udienza del procedimento di esecuzione. L'udienza, a differenza dell'or dinario procedimento in camera di consiglio, si svolge con la necessaria partecipazione del difensore e del pubblico ministero. La presenza del difensore è necessaria; tuttavia, il suo legittimo impedimento a comparire non determina il rinvio dell'udienza. In tal caso, infatti, il giudice designa, come suo sostituto, un altro difensore immediatamente reperibile (art. 97, comma 4 c.p.p.) al quale può essere concesso un congruo termine per preparare la difesa (Cass., sez. un.,
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22 settembre 2006, n. 3 1461 , in Guida dir. , 2006, 46, 78). L'interessato ha facoltà di intervenire e di essere sentito personalmente, se ne fa richiesta, ma, nel caso in cui sia detenuto o internato in un luogo situato all'esterno della circoscrizione del giudice, sarà sentito dal magistrato di sorveglianza di tale luogo. Resta salva la possibilità del giudice di disporre la traduzione (art. 666, comma 4). L'assunzione di prove. n giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno. Se occorre assumere prove, il giudice procede in udienza nel rispetto del contraddittorio ai sensi dell'art. 666 comma 5. Occorre tuttavia ricordare una disposizione di attuazione, l'art. 1 85 , secondo la quale « il giudice, nell'assumere le prove (. .. ) procede senza particolari formalità anche per quanto concerne la citazione e l'esame dei testimoni e l'espletamento della perizia ». n giudice assume la decisione con ordinanza ricorribile per cassazione (art. 666, comma 6); l'impugnazione di regola non ha effetto sospensivo (art. 666, comma 7 ) . D giudicato allo stato degli atti. Una volta decorso il termine d i impugna zione o comunque esperiti i mezzi di impugnazione, l'ordinanza emessa in sede di esecuzione gode di un limitato effetto preclusivo; è cioè, dà luogo ad un giudicato allo stato degli atti « nel senso di non consentire il bis in idem, salvo che siano cambiate le condizioni in base alle quali fu emessa la precedente decisione » ( 1 3 ) . Ai sensi dell'art. 666 comma l , se una successiva richiesta è « basata sui medesimi elementi », il giudice la dichiara inammissibile. d) Gli interventi che richiedono la fissazione di una udienza in camera di consiglio. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di un'attività di controllo assegnata al giudice dell'esecuzione sulle questioni attinenti al titolo esecutivo. - d. l. Questioni sul titolo esecutivo. La materia più importante sulla quale è chiamato a decidere il giudice dell'esecuzione è quella attinente alle questioni sul titolo esecutivo (v. tav. 6.2 . 12 ) : il condannato può lamentare che il titolo manca o non è divenuto esecutivo (art. 670). Il titolo manca quando il provvedimento da eseguire è giuridicamente inesistente, come accade ad esem pio se si tratta di una sentenza che è stata pronunciata da un organo non giurisdizionale (es. amministrativo) . Il titolo non è esecutivo quando non si è attuata quella conoscenza legale che permette all'imputato di impugnarlo; da cui deriva che il titolo non è irrevocabile e non può essere eseguito (14). A disposizione del condannato vi sono due rimedi che possono essere ( 1 3 ) Cass. , sez. un. , 12 novembre 1993, Gallucci, in Cass. pen. , 1994, 1487. (14) In tempi recentissimi, la Cassazione ha iniziato ad applicare l'istituto della sospensione dell'ese cuzione con una finalità del tutto inedita. In estrema sintesi, deve essere disposta ex art. 670 la sospensione dell'esecuzione di quelle pene detentive irrogate a seguito di un processo in relazione al quale lo Stato italiano è stato condannato dalla Corte europea dei diritti umani per violazione di una norma della Convenzione europea. Si veda, Cass., sez. I, sent. 1° dicembre 2006 - 25 gennaio 2007, n. 2800, Dorigo.
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esperiti singolarmente o cumulativamente (art. 670, commi l e 2). Egli può: a) proporre incidente d'esecuzione; b) presentare impugnazione tardiva; c) pro porre i due rimedi contemporaneamente. d.l.a) n condannato propone incidente di esecuzione sostenendo che il titolo non esiste o non è esecutivo; in tal caso il giudice può emettere i seguenti provvedimenti (previsti dall'art. 670, comma 1 ) . In primo luogo, può dichiarare l'inesistenza del titolo e, quindi, sospenderne l'esecuzione. In secondo luogo, il giudice dell'esecuzione può accertare l'esecutività del titolo e rigettare la richiesta; ma la sua decisione non ha effetto preclusivo. Pertanto è possibile che il condannato si rivolga al giudice dell'impugnazione (v. subito in/ra) . Infine, il giudice dell'esecuzione può dichiarare la non esecutività del titolo e, di conse guenza, sospendere l'esecuzione; in tal caso, il giudice dell'esecuzione dispone la rinnovazione della notificazione non validamente eseguita, dalla quale de corre nuovamente il termine per impugnare; per evitare che il provvedimento diventi irrevocabile, il condannato deve presentare impugnazione. d. l .b) n condannato può presentare una impugnazione tardiva ai sensi dell'art. 670, comma 2 . Il giudice dell'impugnazione può accertare che del titolo l'imputato non ha avuto quella conoscenza legale che gli avrebbe permesso di presentare una impugnazione. Di conseguenza, il giudice sospende l'esecuzione e decide nel merito; nel caso in cui sia stato proposto appello, il giudice conferma o riforma la condanna. d.l.c) n condannato può scegliere di adire contemporaneamente il giudice dell'esecuzione e quello della impugnazione (art. 670, comma 2 ) . Il giudice dell'esecuzione valuta la questione attinente al titolo e, se accoglie la richiesta del condannato, dichiara la non esecutività della sentenza e ne sospende l'esecuzione. Poiché il condannato ha già presentato impugnazione apparente mente tardiva, il giudice dell'esecuzione trasmette direttamente gli atti al giudice dell'impugnazione. La questione attinente al titolo è preclusa alla cognizione del giudice dell'impugnazione, che deve limitarsi a decidere nel merito del gravame (Cass., sez. un., 24 giugno 2005 , in Cass. pen., 2005, 3725 ) . Nel caso in cui ritenga esecutiva l a sentenza, il giudice dell'incidente rigetta la richiesta del condannato e trasmette gli atti al giudice dell'impugnazione che è già stato adìto; la decisione pronunciata non vincola il giudice dell'impugnazione per espresso disposto legislativo (art. 670, comma 2 ) . Quest'ultimo può andare di contrario avviso rispetto al giudice dell'esecuzione; pertanto, se ritiene che ne ricorrano i presupposti, può sospendere l'esecuzione e decidere nel merito. d. l.d) La restituzione nel termine per impugnare la sentenza contuma ciale. La situazione è diventata più complessa dopo che il legislatore ha introdotto quel nuovo tipo di restituzione nel termine che è diretto ad impu gnare la sentenza contumaciale (o il decreto di condanna non opposto). In base alla legge n. 60 del 2005 il condannato può lamentare di non aver avuto
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conoscenza effettiva della sentenza contumaciale e di non aver rinunciato volontariamente ad impugnare il provvedimento. La differenza tra la questione sulla non esecutività del titolo e la richiesta di restituzione nel termine è che, nel primo caso, si eccepisce un errore procedurale che non ha permesso l'attuazione della conoscenza legale del provvedimento (es. mancato rispetto della disciplina legale delle notificazioni ex artt. 157 ss). Nel secondo caso, viceversa, si eccepisce la mancata conoscenza effettiva del titolo (v. tav. 6.2 . 13 ). Quest'ultimo difetto può verificarsi anche se, formalmente, le noti fiche sono state fatte nel rispetto della legge (es. notifica a mani del coniuge convivente, che non abbia successivamente consegnato l'atto al destinatario) . Quando sussistono i presupposti per ottenere la restituzione nel termine, il codice consente al condannato di percorrere due strade che si escludono a vicenda. Se ne ricorrono le condizioni, il condannato può chiedere al giudice dell'esecuzione di dichiarare la non esecutività del titolo e, al tempo stesso, può eccepire l'esistenza dei presupposti per ottenere la restituzione nel termine (art. 670, comma 3 ). In alternativa, il condannato può chiedere la restituzione nel termine al giudice dell'impugnazione (art. 175, comma 4). n termine per la richiesta di restituzione è pari a trenta giorni e decorre dalla conoscenza effettiva della sentenza di condanna. n condannato si rivolge al giudice dell'esecuzione; questi in via pregiudi ziale deve valutare la questione dell'esistenza e della esecutività del titolo. Se, tuttavia, il condannato presenta la richiesta di restituzione anche al giudice dell'impugnazione, il giudice dell'esecuzione non può pronunciarsi sulla stessa questione (art. 670, comma 3 ). Ove non si sia verificata tale preclusione, il giudice dell'esecuzione ha tre possibilità. - Se il giudice dell'esecuzione accerta la esecutività del titolo e, al tempo stesso, rigetta la richiesta di restituzione nel termine, al condannato non resta altro se non proporre ricorso per cassazione contro l'ordinanza che respinge la richiesta di restituzione, ai sensi dell'art. 175 comma 6. La richiesta di restitu zione non può più essere presentata al giudice dell'impugnazione. - Se il giudice riconosce che il titolo è esecutivo, ma ritiene esistenti i presupposti per la restituzione nel termine, la concede (art. 670, comma 3 ); ottenuta la restituzione nel termine, il condannato può presentare impugna ZIOne. - Infine, il giudice dell'esecuzione può dichiarare non esecutivo il titolo; in tal caso sospende l'esecuzione e dispone la rinnovazione della notificazione non validamente effettuata (art. 670, comma 1 ) . Il giudice non si pronuncia sulla restituzione perché il termine non è mai decorso. Spetta all'imputato presentare impugnazione tempestiva. Il condannato può chiedere la restituzione nel termine direttamente al giudice della impugnazione. Questi valuta l'esistenza dei presupposti; soltanto se il giudice dell'esecuzione ha già deciso sulla restituzione, al giudice dell'im-
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pugnazione è preclusa una pronuncia sulla medesima questione (art. 670, comma 3 ) . Il giudice dell'impugnazione rigetta la richiesta di restituzione quando viene provato che il condannato ha avuto effettiva conoscenza della sentenza contu maciale e ha volontariamente rinunciato ad impugnarla (art. 175 , comma 2 ) . S e non viene accertata l a conoscenza effettiva e la volontarietà della rinuncia al gravame, il giudice dell'impugnazione accoglie la richiesta di restituzione e, se occorre, ordina la scarcerazione dell'imputato detenuto (art. 175, comma 7); adotta altresì tutti i provvedimenti necessari per far cessare gli effetti determi nati dalla scadenza del termine. All'esito dell'appello vi sarà una conferma o una riforma della sentenza di condanna. Una volta che abbiamo esaminato la regolamentazione contenuta nel codice, possiamo concludere quanto segue. È assolutamente esclusa la possibi lità di far decidere contemporaneamente, sulla richiesta di restituzione nel termine, il giudice dell'esecuzione e il giudice dell'impugnazione. Infatti, il solo aver presentato la richiesta nella forma dell'impugnazione impedisce al giudice dell'esecuzione di provvedere sulla domanda. Il meccanismo invoglia il condannato ad adire immediatamente il giudice dell'esecuzione perché, in tale sede, la decisione è presa in camera di consiglio e, quindi, il difensore ha la possibilità di illustrare anche oralmente la propria tesi. Viceversa, se la richiesta di restituzione è presentata all'interno dell'impu gnazione, il giudice del gravame decide de plano, come afferma la giuri sprudenza delle sezioni unite ( 1 5 ) . Sotto questo profilo, la procedura davanti al giudice dell'esecuzione tutela maggiormente la posizione del richiedente. - d.2. Conflitto pratico di giudicati. Sempre un controllo sull'esistenza del titolo esecutivo, ed in particolare sulla sua esatta individuazione, è quello previsto dall'art. 669 relativo al caso in cui siano state emesse una pluralità di sentenze per il medesimo fatto nei confronti della stessa persona (v. tav. 6.2 . 10). Si tratta, in sostanza, di una violazione del principio del ne bis in idem, che spingerà l'inte ressato a sollevare la questione davanti al giudice dell'esecuzione. È possibile che a concorrere siano due sentenze di condanna, ma anche due sentenze di pro scioglimento o di non luogo a procedere o una sentenza di condanna ed una di proscioglimento. In ogni caso, comunque, il giudice, compiute le opportune ve rifiche, ordinerà l'esecuzione della sentenza più favorevole; quanto alle altre, non costituendo valido titolo esecutivo, saranno revocate. Vi sono alcune interessanti eccezioni. Anzitutto, il caso in cui il prosciogli( 1 5 ) La Cassazione, dopo alcune oscillazioni, si è pronunciata sulla procedibilità de plano. Le Sezioni unite sono partite dal presupposto che il legislatore, laddove << vuole che si proceda nel contraddittorio delle parti, lo dice prevedendo espressamente il procedimento in camera di consiglio >>; e poiché nell'art. 175, comma 4 , non è stato operato alcun richiamo alle forme dell'art. 127, ne deriva che alla deliberazione sulla richiesta di restituzione si deve provvedere de plano. Così, Cass. , sez. un., 1 1 aprile 2006, D.P., in CED 233418.
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mento sia stato pronunciato per estinzione del reato verificatasi successivamente alla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di condanna: è allora que st'ultima a dover essere eseguita (art. 669 comma 8). Inoltre, nel caso in cui più sentenze di condanna per il medesimo fatto abbiano disposto pene diverse, fermo restando un criterio analiticamente descritto al comma 3 , l'interessato ha co munque facoltà di indicare la pena che deve essere eseguita (art. 669 comma 2 ) . - d.3. Concorso formale e reato continuato. Fra gli interventi modificativi del titolo esecutivo, un ruolo nella prassi assai importante è svolto dalla disposizione contenuta nell'art. 67 1 , che consente l'applicazione in fase di esecuzione della disciplina del concorso formale e del reato continuato fra più sentenze o decreti penali divenuti irrevocabili (v. tav. 6.2 . 14). Tale previsione risulta di grande importanza perché permette di evitare sperequazioni fra chi viene giudicato in un unico processo per diversi episodi riuniti in continuazione o in concorso formale e chi, al contrario, per analoghi episodi subisce più processi. Infatti, ove il processo sia stato riunito, la pena è stata determinata dal giudice di cognizione aumentando fino al triplo la pena che dovrebbe essere inflitta per la violazione più grave; ove i processi si siano svolti separatamente, in sede di esecuzione dovrebbe essere disposto il cumulo materiale fra le pene indicate nelle varie sentenze. L'art. 67 1 prevede che il giudice, qualora ritenga presenti i presupposti del reato continuato o del concorso formale di reati, e questi non siano stati esclusi dal giudice della cognizione, applichi la disciplina del concorso formale e del reato continuato determinando la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascun provvedimento (art. 8 1 c.p.); a tal fine deve essere instaurato a richiesta di parte il procedimento di esecuzione. Assume grande rilievo la circostanza che in questa sede il giudice possa, ove ricorrano i presupposti, disporre la sospensione condizionale della pena e la non menzione nel certificato del casellario giudiziale. In base ad una modifica legislativa (legge 5 dicembre 2005 n. 25 1 ) che ha investito il codice penale e conseguentemente quello di procedura, l'aumento di pena non può essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, quando al soggetto è stata applicata la recidiva reiterata, di cui all'art. 99 comma 4 c.p. n legislatore ha sottolineato il fatto che, fra gli elementi che incidono sul l' applicazione della disciplina del reato continuato, vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza (d.l. 30 dicembre 2005 , n. 272 art. 4-vicies, introdotto in sede di conversione dalla l. 2 1 febbraio 2006, n. 49). - d.4. Revoca di altri provvedimenti. L'art. 674 prevede il potere del giu dice dell'esecuzione di disporre la revoca di una serie di benefici già concessi ma condizionati (sospensione condizionale della pena, grazia, amnistia e indulto con dizionati, non menzione nel certificato del casellario giudiziale), quando la revoca medesima non sia stata disposta con la sentenza di condanna per altro reato.
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d.5. Falsità di documenti. li giudice dell'esecuzione è inoltre compe tente a dichiarare la falsità di un atto o di un documento quando questa, pure accertata nella sentenza a norma dell'art. 53 7 , non sia stata dichiarata nel dispositivo della sentenza (art. 675) . - d.6. Revoca della sentenza per abrogazione del reato (art. 673). Dopo che una sentenza è divenuta irrevocabile, può accadere che una legge abroghi quella norma penale incriminatrice sulla base della quale il giudice aveva pronunciato la sua decisione. Può anche accadere che la Corte costituzionale dichiari illegittima la norma incriminatrice, come è avvenuto con la sentenza n. 126 del 1968 in relazione all'adulterio. In detti casi, « se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali » (art. 2 comma 2 c.p. e art. 30 comma 4 legge n. 87 del 1 953 ) . Il codice di procedura penale non si limita, come affermano le disposizioni citate, ad eliminare l'esecuzione e gli effetti della decisione, bensì incide diret tamente sulla sentenza, imponendone la cancellazione (v. tav. 6.2. 1 1 ) . In base all'art. 673 , il giudice dell'esecuzione deve revocare la sentenza e adottare i prov vedimenti conseguenti, tra i quali l'eliminazione della iscrizione nel casellario giudiziale. Una simile disciplina è una novità introdotta dal codice del 1988 ed è coerente con i più penetranti poteri riconosciuti al giudice dell'esecuzione e con il carattere giurisdizionale di tale fase (Corte cast. n. 96 del 1996) . Presupposti per la revoca della sentenza. Un presupposto per la revoca è la esistenza di una sentenza di condanna irrevocabile per un reato che è stato abrogato; ad essa è equiparato il decreto penale di condanna divenuto esecutivo (art. 673 comma 1 ) . La giurisprudenza ritiene equiparabile anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ( 16) . Altro presupposto per la revoca è la esistenza di una abolitio criminis, che può essere totale in quanto il reato è stato depenalizzato (es., legge n. 689 del 1 98 1 ) o in quanto una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo un articolo del codice penale (es. delitto di plagio previsto dall'art. 603 c.p.; C. cast. n. 96 del 198 1 ) . L a abolitio criminis parziale è rilevante ave in concreto l a condotta accertata dalla sentenza risulti non più punibile in base alla nuova norma. Ciò può avvenire, ad esempio, a seguito del d.lgs. n. 61 del 2002 che ha modificato la fattispecie incriminatrice del reato di false comunicazioni sociali (art. 262 1 c.c.). La giurisprudenza più recente afferma che il giudice dell'esecuzione deve interpretare il giudicato e renderne esplicito il contenuto ed i limiti, desumendo dalla decisione tutti gli elementi già accertati; non può ricostruire la vicenda in termini differenti, né può valutare i fatti accertati in modo difforme da quanto ritenuto dal giudice di cognizione, perché ciò è impedito dal giudicato. ( 16)
Cass., 15 gennaio 2002, Candido, in Cass. pen. , 2003 , 94 1 .
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Procedimento. n procedimento è attivabile da una richiesta del pubblico ministero, della persona interessata o del suo difensore (art. 666). La competenza a provvedere spetta al giudice dell'esecuzione, che procede in camera di consiglio ai sensi dell'art. 666. Ove la richiesta non sia respinta, il giudice dell'esecuzione dispone la revoca della sentenza e dichiara che « il fatto non è previsto dalla legge come reato »; quindi « adotta i provvedimenti conseguenti », e cioè ordina che siano eliminate le pene principali, quelle accessorie, le misure di sicurezza e ogni altro effetto penale. Inoltre, il giudice ordina la annotazione della propria deci sione sull'originale della sentenza di condanna a cura della cancelleria (art. 1 93 disp. att.); infine, dispone che sia eliminata la relativa iscrizione nel casellario giudiziale ai sensi dell'art. 5 comma 2 lett. a del Testo unico. Limiti della revoca della condanna. La giurisprudenza afferma che la confisca non può essere travolta, poiché si tratta di una situazione giuridica da considerarsi ormai esaurita ( 17 ) . Non è possibile, per carenza dei relativi presupposti, la riparazione dell'errore giudiziario, né la riparazione per ingiusta detenzione. La revoca di determinate sentenze di proscioglimento. Tra le sentenze di proscioglimento ne esistono due tipi che possono comportare effetti pregiudi zievoli per l'imputato: si tratta di quelle sentenze di proscioglimento e di non luogo a procedere che abbiano affermato la estinzione del reato o la mancanza della imputabilità; si pensi, in quest'ultimo caso, che residua la possibilità di applicare misure di sicurezza. Ai sensi dell'art. 673 comma 2, la abolitio criminis impone al giudice dell'esecuzione di ordinare la revoca della sentenza di proscioglimento pronunciata con una delle formule menzionate; il giudice emanerà la più favo revole declaratoria che « il fatto non è previsto dalla legge come reato ». - e. I casi in cui il giudice provvede senza formalità. In alcuni casi espres samente previsti dalla legge (artt. 667 , 672 e 676) il procedimento garantito di cui all'art. 666 è sostituito da un procedimento semplificato, c.d. a contraddittorio differito, disciplinato dal comma 4 dell'art. 667 . In questi casi il giudice, una volta ricevuta la richiesta, decide senza formalità con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata all'interessato. Solo se le parti faranno opposizione davanti allo stesso giudice - entro quindici giorni dalla comunicazione o notificazione - si attiverà l'ordinaria procedura di cui all'art. 666. - e. l. Dubbio sull'identità fisica della persona detenuta. L'art. 667 disciplina l'ipotesi in cui emergano dubbi sull'identità della persona arrestata per l'esecuzione di una pena. n rischio che possa essere limitata la libertà personale di una persona differente dal condannato impone al giudice anzitutto il dovere di interrogarla e comunque di compiere ogni indagine utile alla sua identificazione, avvalendosi, se del caso, anche della polizia giudiziaria. Se poi è ( 17) 30
Cass. , sez. un. 28 gennaio 1998, Maiolo, in Cass. pen., 1998, 1947.
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riconosciuto l'errore, il giudice dispone l'immediata liberazione; per il principio del /avor rei, il giudice procede analogamente anche quando l'identità della persona rimanga incerta: in questo caso, però, l'esecuzione è solamente sospesa ed il pubblico ministero è tenuto al compimento di ulteriori indagini. Onde evitare inutili e dannose limitazioni alla libertà personale, il comma 3 attribuisce al pubblico ministero il potere di ordinare in via provvisoria la liberazione della persona che sia stata arrestata quando l'errore risulti evidente. n decreto motivato del pubblico ministero ha effetto fino a quando non provveda il giudice competente. - e.2. L'applicazione dell'amnistia e dell'indulto. L'art. 672 prevede la competenza del giudice dell'esecuzione per l'applicazione dell'amnistia e del l'indulto ed attribuisce al pubblico ministero il potere di sospendere l'esecu zione della pena nella pendenza del procedimento necessario per riconoscere tali benefici. Il giudice dell'esecuzione, inoltre, ha l'obbligo di trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza quando, in conseguenza, occorra applicare o modificare una misura di sicurezza. - e.3. Dichiarazione di estinzione del reato dopo la condanna. L'art. 676, che assieme all'art. 673 fa parte degli interventi estintivi del titolo, prevede la competenza del giudice dell'esecuzione a pronunciarsi nel caso di estinzione del reato dopo la condanna o di estinzione della pena, quando la stessa non consegua alla liberazione condizionale o all'affidamento in prova al servizio sociale, poiché, in tal caso, è competente il tribunale di sorveglianza. - f. Altre questioni concernenti la « esecuzione di un provvedimento » . Infine, come abbiamo accennato, vi sono anche casi, non espressamente previsti dal codice, nei quali l'interessato ha facoltà di rivolgersi al giudice dell'esecu zione quando sono sorte questioni concernenti la « esecuzione di un provvedi mento » ai sensi dell'art. 665 . Ad esempio, l'interessato ha facoltà di rivolgersi al giudice dell'esecuzione quando sorgano questioni circa il computo della pena effettuato dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 657 e 663 , o per sollecitare un intervento di computo non effettuato dal medesimo. In tali casi, l'udienza si svolge in camera di consiglio poiché questa è la regola. - g. Persona condannata per err01·e di nome. In realtà, l'art. 668 regola due distinte ipotesi. Nella prima ipotesi, il condannato è la persona fisica che ha commesso il reato, ma è stato indicato in sentenza con generalità errate. Poiché il processo nei suoi confronti si è svolto con una regolare citazione, il giudice dell'esecu zione compie gli accertamenti necessari e procede alla correzione dell'errore materiale ai sensi dell'art. 130 (che rinvia all'art. 127 c.p.p. : udienza in camera di consiglio; così prescrive l'art. 668) . Non vi è sospensione dell'esecuzione. In una seconda ipotesi, il condannato è differente dalla persona fisica che ha commesso il reato. Ad esempio, Tizio, identificato dalla polizia, ha dichiarato di chiamarsi Caio (estraneo al fatto) , contro cui si è proceduto con il rito degli
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irreperibili. La condanna contro Caio è stata pronunciata contro una persona fisica differente dall'autore del reato (Tizio), contro cui invece si doveva procedere. In questo caso "l'errore di nome" nasconde un errore nella identi ficazione fisica dell'autore del reato. Caio, condannato erroneamente, oltre a presentare denuncia contro ignoti per calunnia, deve chiedere la revisione della condanna ai sensi dell'art. 63 O, comma l , lett. c (come prescrive l'art. 668). Ad esempio, potrà essere provato che colui, che ha dato il nome "Caio " , non era Caio poiché non era di questi la firma sul verbale o l'impronta ricavabile dal documento medesimo. In presenza di que ste nuove prove, l'esecuzione contro Caio deve essere sospesa. All'esito della revisione, dovrà essere revocata la sentenza pronunciata a carico di Caio ( 18). 7.
La magistratura di sorveglianza.
a) Considerazioni preliminari. La caratterizzazione polifunzionale della pena, che non si limita soltanto ad una funzione retributiva o generai preventiva, ma è anche e soprattutto rieducativa ai sensi dell'art. 27, comma 3 Cost. , comporta necessariamente un frequente controllo sulla esecuzione della stessa. Ciò al fine di verificare sia la congruità della pena rispetto alla personalità del condannato, sia l'opportunità che vengano adottati strumenti sanzionatori diversi, tali da permettere una reintegrazione del condannato nella società. Per realizzare questo costante controllo sull'aspetto concreto dell'esecuzione, il legislatore ha ritenuto opportuno individuare una giurisdizione specializzata, denominata magistratura di sorveglianza. Essa si articola nel magistrato di sor veglianza, organo monocratico, e nel tribunale di sorveglianza, organo collegiale. Il tribunale di sorveglianza. È opportuno precisare che il tribunale di sor veglianza ha sede presso ogni distretto di corte d'appello ed in ciascuna circo scrizione territoriale di sezione distaccata di corte d'appello. li tribunale di sor veglianza è composto da due magistrati ordinari di sorveglianza e da due " esperti" nominati dal C.S.M.; nel momento in cui decide, l'organo collegiale deve avere come componente quel magistrato di sorveglianza, sotto la cui giurisdizione è posto il soggetto sulla cui posizione si deve provvedere (art. 70 ord. pen.). Il magistrato di sorveglianza. In qualità di organo monocratico, il magi strato di sorveglianza opera presso l'ufficio di sorveglianza che è istituito in ciascuna delle sedi di tribunale indicate nella tabella A, allegata alla l. 26 luglio 1 975 n. 354. ( 18) Cass., sez. VI, 7 novembre 1996, Doghmann Ahmed, i n Cass. pen. 1998, 859; Cass., sez. V, 28 marzo 1996, p.m. in c. Juric, in CED 204239. La procedura prevista dall'art. 668 c.p.p. per il caso di persona condannata per errore di nome scoperto dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, può essere attivata anche più di una volta, quando vi siano più errori scoperti in tempi diversi, ed anche nell'ipotesi in cui si tratti di correggere un errore contenuto proprio in una precedente ordinanza di correzione. In questo senso, Cass., sez. I, 10 luglio 2000, Monzer, in Arch. n. proc. pen., 2000, 669.
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Il giudicato e l'esecuzione penale
VI.II.7
Il magistrato di sorveglianza ha funzioni amministrative e giurisdizionali. In particolare, svolge compiti di vigilanza (es. in merito all'organizzazione degli istituti con particolare riguardo all'attuazione del trattamento rieducativo), consultivi (parere motivato in merito alla domanda di concessione della grazia), amministrativi (es. approvazione del programma di trattamento; permessi; prescrizioni comportamentali a chi è sottoposto a misura alternativa; autoriz zazione alla corrispondenza; eliminazioni di violazioni dei diritti dei condannati e internati) e giurisdizionali (dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere; accertamento e riesame della pericolosità sociale al fine dell'applicazione delle misure di sicurezza; esecuzione delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e libertà controllata; rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie; ricovero del condannato per sopravvenuta infermità psichica; remissione del debito; particolari reclami dei detenuti e internati). n reclamo. Il magistrato di sorveglianza ha il dovere di rispettare le modalità del procedimento di sorveglianza, del quale tratteremo appresso, solo nelle materie tassativamente indicate dall'art. 678 comma l . Negli altri casi, la procedura è più snella ed è disciplinata nella forma del procedimento giuri sdizionale per reclamo (art. 14-ter, richiamato dall'art. 69 comma 6 ord. pen.) o addirittura senza formalità (art. 35 ord. pen.). In ogni caso, la tutela giuri sdizionale si impone ogni volta che un atto dell'amministrazione penitenziaria leda un diritto di chi è sottoposto a restrizione della libertà personale (C. cost. 1 1 febbraio 1999, n. 26) . Le funzioni del pubblico ministero. Le funzioni della pubblica accusa sono esercitate, davanti al tribunale di sorveglianza, dal procuratore generale presso la corte d'appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza (art. 678 comma 3 ). Tuttavia, qualora un provvedimento del giudice di sorveglianza comporti la carcerazione o scarcerazione del condannato, è competente il pubblico ministero presso il giudice dell'esecuzione (art. 659 comma 1 ) . b ) La competenza. L a competenza della magistratura di sorveglianza si determina in base a regole attinenti alla materia e al territorio. Nell'ambito delle materie, che si esamineranno fra breve, assegnate dalla legge al magistrato o al tribunale di sorveglianza, si rinvengono interventi che attengono alla condizione penitenziaria dell'interessato e interventi che riguardano più propriamente il contenuto sanzionatorio del titolo esecutivo. Nell'ambito delle rispettive competenze, il magistrato e il tribunale hanno una competenza territoriale che si differenzia a seconda che l'interessato sia detenuto o libero. Quando il condannato è detenuto, la competenza appartiene all'organo che ha giurisdizione sull'istituto in cui si trova il soggetto al momento della presentazione della richiesta, della proposta o dell'inizio d'ufficio del procedimento (art. 677 comma 1 ) . Quando il condannato è libero, la compe tenza si determina, di regola, in base al luogo di residenza o domicilio. In via
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L'esecuzione penale
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suppletiva e nel caso di più sentenze di condanna o proscioglimento, è competente il tribunale o il magistrato del luogo in cui è stata pronunciata la sentenza divenuta irrevocabile per ultima (art. 677 comma 2) ( 19). c) n procedimento di sorveglianza. Al fine di attuare la giurisdizione sul contenuto sanzionatorio del titolo, il legislatore ha disciplinato un procedi mento apposito, il « procedimento di sorveglianza » (art. 678), che riprende le linee organizzative e procedurali previste per quello di esecuzione di cui all'art. 666, ma con alcune integrazioni dovute all'oggetto da accertare, che è la personalità dell'autore di un reato (v. tav. 6.2 . 15 ) . In primo luogo, le giurisdizioni di sorveglianza agiscono anche d'ufficio (art. 678 comma 1 ) , oltre che su richiesta del pubblico ministero, dell'interessato e del difensore. In secondo luogo, quando si procede nei confronti di una persona sotto posta a osservazione scientifica della personalità, il giudice deve acquisire la relativa documentazione e si avvale, se occorre, della consulenza dei tecnici del trattamento (art. 678 comma 2 ) . d) L'oggetto del procedimento di sorveglianza. Il magistrato d i sorve glianza ed il tribunale di sorveglianza svolgono le loro funzioni in relazione a specifiche attribuzioni conferite ratione materiae dalla legge (v. artt. 69 e 70 ordinamento penitenziario) . n magistrato di sorveglianza. In materia di misure alternative, il magistrato di sorveglianza ha una limitata competenza che gli permette di applicare e revocare, ma soltanto in via provvisoria, le misure dell'affidamento in prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare (20). La decisione definitiva è pronunciata dal tribunale di sorveglianza. ( 1 9) Quando l'interessato intende chiedere un provvedimento che rientra nella competenza della magistratura di sorveglianza, ad esempio una misura alternativa, il condannato non detenuto è obbligato a fare la dichiarazione o l'elezione di domicilio << con la domanda con la quale chiede una misura alternativa alla detenzione o altro provvedimento attribuito dalla legge alla magistratura di sorveglianza >> a pena di inammissibilità della domanda stessa (art. 677, comma 2-bis, introdotto dalla legge n. 438 del 200 1 ) . Ai sensi del medesimo comma 2-bis, il condannato non detenuto ha altresì l'obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato od eletto. La procedura di elezione di domicilio è disciplinata dall'art. 161, che concerne l'omologa attività in tema di notificazioni. (20) In particolare, la concessione provvisoria della singola misura è subordinata al fatto che l'istanza sia proposta dopo l'inizio dell'esecuzione, in presenza di concrete indicazioni riguardo ai presupposti della misura stessa; grave pregiudizio derivante dalla protrazione della detenzione; assenza di pericolo di fuga (art. 47 , comma 4 ord. pen., per l'affidamento in prova; art. 47-ter, comma 1-quater ord. pen., per la detenzione domiciliare). Per quanto riguarda, invece, la sospensione cautelativa, il magistrato di sorveglianza può disporla con decreto motivato nel caso in cui l'affidato in prova, l'ammesso al regime di semilibertà o di detenzione domiciliare (anche speciale), ponga in essere comportamenti tali da determinare la revoca della misura. In questi casi il trasgressore è accompagnato in istituto, ma il provvedimento cessa di avere efficacia se non interviene, entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, la decisione definitiva del tribunale di sorveglianza (art. 5 1 -ter ord. pen. ) . Infine, sempre i n via provvisoria, i l magistrato di sorveglianza può disporre con decreto l a prosecuzione della misura in corso nel caso in cui sopravvenga un nuovo titolo di esecuzione durante l'attuazione
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Il giudicato e l'esecuzione penale
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La legge 19 dicembre 2002 n. 277, perseguendo lo scopo di snellire il meccanismo di concessione della liberazione anticipata (c.d. abbuono di qua rantacinque giorni di pena per ogni semestre di « partecipazione all'opera di rieducazione »), ne ha trasferito la competenza al magistrato di sorveglianza, che decide de plano emanando un provvedimento reclamabile di fronte al tribunale di sorveglianza. D tribunale di sorveglianza ha soltanto compiti giurisdizionali e li esplica in primo grado oppure in sede di appello con riferimento ad alcuni provvedimenti del magistrato di sorveglianza. In primo grado il tribunale adotta le decisioni che concernono le misure alternative alla detenzione (v. tav. 6.2 . 16); la concessione e revoca della libera zione condizionale; il rinvio facoltativo o obbligatorio delle pene detentive e delle sanzioni sostitutive; la riabilitazione. In grado di appello, il tribunale di sorveglianza decide in merito ai provvedimenti del magistrato relativi alle misure di sicurezza ed alla dichiara zione di abitualità, professionalità e tendenza a delinquere. Inoltre, nel caso in cui una sentenza di condanna o di proscioglimento sia impugnata con riferi mento alle sole disposizioni che riguardano misure di sicurezza diverse dalla confisca, è competente il tribunale di sorveglianza (art. 680 comma 2 ) . 8.
n casellario giudiziale.
Il Testo unico delle disposizioni in materia di casellario giudiziale (d.p.r. 14 novembre 2002, n. 3 13 , d'ora in avanti indicato come T.U.C.G.) sostituisce la regolamentazione contenuta in origine nel codice di procedura penale. Il casellario è una sorta di anagrafe giudiziaria, ove vengono annotati vari prov vedimenti in materia penale, civile ed amministrativa. I provvedimenti iscrivibili. L'art. 3 T.U.C.G. stabilisce quali sono i prov vedimenti oggetto di iscrizione. L'iscrizione avviene per estratto; volendo fare qualche esempio, in materia penale vengono iscritti i provvedimenti giudiziari di condanna definitivi (sentenze e decreti penali) , eccetto quelli, per i quali non sia stata concessa la sospensione condizionale, relativi a contravvenzioni per cui è ammessa la definizione in via amministrativa o l'ablazione di cui all'art. 162 c.p.; i provvedimenti di proscioglimento definitivi che hanno dichiarato il difetto di imputabilità o hanno applicato una misura di sicurezza; i provvedimenti giudi ziari definitivi concernenti le pene (es. sospensione condizionale) , le misure di sicurezza, le pene accessorie, gli effetti penali della condanna e la dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere; i provvedimenti giudiziari dell'affidamento in prova, della detenzione domiciliare (anche speciale), o del regime di semilibertà, qualora il cumulo delle pene si mantenga al di sotto del tetto richiesto per la singola misura considerata. In caso contrario dispone la sospensione. Anche in questo caso la decisione definitiva spetta al tribunale di sorveglianza che è tenuto a pronunciarsi entro venti giorni dalla trasmissione degli atti (art. 5 1 -bis ord. pen . ) .
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concernenti le misure alternative, la liberazione condizionale e la conversione delle pene pecuniarie; i provvedimenti, emanati dal pubblico ministero, di sospensione dell'ordine di esecuzione. detrazione del presofferto, cumulo di pene concorrenti; in materia civile i provvedimenti relativi all'interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno, nonché i principali provvedimenti relativi alle vicende fallimentari; in materia amministrativa i provvedimenti in tema di cittadinanza ed espulsione dello straniero. Il sistema informativo automatizzato. Abrogate le norme del c.p.p. che prevedevano la compilazione di una scheda cartacea e la successiva annotazione negli appositi registri dell'estratto del provvedimento da iscrivere, il T.U.C.G. ha creato un sistema informativo automatizzato per raccogliere i dati relativi a provvedimenti giudiziari e amministrativi riferiti a soggetti determinati. La banca dati del casellario giudiziale confluisce in un sistema unico, assieme al casellario dei carichi pendenti, all'anagrafe delle sanzioni amministrative dipen denti da reato e all'anagrafe dei carichi pendenti degli illeciti amministrativi dipendenti da reato. L'iscrizione spetta all'ufficio iscrizione situato presso l'autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento. L'ufficio centrale, istituito presso il ministero della giustizia, compie attività tra le quali meritano di essere menzionate la raccolta e conservazione dei dati immessi nel sistema; il controllo sull'attività dei singoli uffici. Recentemente è stato attribuito all'ufficio centrale anche il compito di iscrivere l'estratto delle decisioni definitive della Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato italiano, concernenti i provvedimenti giu diziali ed amministrativi definitivi delle autorità nazionali già iscritti, di seguito alla preesistente iscrizione alla quale si riferiscono, su richiesta del dipartimento per gli affari di giustizia del ministero della giustizia (art. 19 comma 2-bis T.U.C.G. introdotto dal d.p.r. 28 novembre 2005 , n. 2 89) . L'iscrizione può avvenire anche su richiesta dell'interessato. L'istanza deve essere presentata direttamente all'ufficio centrale oppure, in caso di provvedimenti giudiziari, all'ufficio iscrizione. L'iscrizione è subordinata al parere del dipartimento per gli affari di giustizia del ministero della giustizia (art. 1 9 comma 2 -ter T.U.C.G. introdotto dal d.p.r. 28 novembre 2005, n . 289) . Le iscrizioni devono essere eliminate, innanzitutto, al compimento dell'ot tantesimo anno di età o per morte della persona alla quale si riferiscono. La legge prevede ulteriori ipotesi che danno luogo all'eliminazione dell'iscrizione; in particolare, si segnalano la revoca a· seguito di revisione o a norma dell'art. 673 c.p.p. (art. 5 T.U.C.G.). I servizi certificativi. Ogni organo giurisdizionale, e il relativo ufficio del pubblico ministero, può acquisire per ragioni di giustizia un certificato con l'indicazione delle iscrizioni relative alla persona nei cui confronti procedono. Previa autorizzazione del giudice, il pubblico ministero e il difensore hanno inoltre il diritto di ottenere analoga certificazione relativa alle persone che
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Il giudicato e l'esecuzione penale
VI.II.9
acquisiscano la qualifica di persona offesa o testimone, per le finalità ricono sciute dal codice di procedura penale (artt. 2 1 e 22 T.U.C.G.). n singolo interessato può ottenere il certificato (generale, solo con riferi mento alla materia penale o solo con riferimento alla materia civile) relativo alla propria posizione. In questo caso, tuttavia, a tutela dell'interessato che debba presentare il certificato (ad es. , per l'assunzione in un posto di lavoro), i certificati non faranno menzione di una serie di provvedimenti iscritti che l'art. 25 T.U.C.G. espressamente esclude (ad esempio, sia le sentenze per le quali è stato concesso il beneficio della non iscrizione nel certificato del casellario giudiziale ai sensi dell'art. 175 c.p., sia le sentenze di patteggiamento). Le amministrazioni pubbliche e gli enti incaricati di servizi pubblici hanno il diritto di ottenere tali certificati (con i limiti appena menzionati) quando questi siano necessari per provvedere ad un atto delle loro funzioni (art. 28 T.U.C.G.) . n rilascio dei certificati spetta all'ufficio territoriale e all' ufficio locale che sono collocati, rispettivamente, presso il giudice di pace (art. 17 T.U.C.G.) e presso tutti i tribunali (art. 18 T.U.C.G. ) . Nel caso in cui sorgano questioni concernenti l e iscrizioni o i certificati, l'art. 40 T.U.C.G. prevede che a decidere sia il tribunale in composizione monocratica del luogo ove ha sede l'ufficio locale, nel cui ambito territoriale è nata la persona alla quale è riferita l'iscrizione o il certificato. 9.
Le spese.
In base al principio per cui l'imputato non è considerato colpevole fino alla sentenza definitiva, le spese processuali vengono anticipate dallo Stato (art. 4 d.p.r. 3 0 maggio 2002 n. 1 15 , d'ora in avanti indicato come T.U.S.G.) . Ad irrevocabilità intervenuta, si pone tuttavia il problema di recuperare dette somme: la disciplina, prevista dal codice, è stata parzialmente modificata dal Testo unico. È la cancelleria del giudice dell'esecuzione (art. 665 c.p.p.) ad attivarsi, invitando il debitore al pagamento (art. 208 T.U.S.G. ) . Ove il paga mento non venga effettuato, l'ufficio di cancelleria procede alla iscrizione a ruolo e lo trasmette al concessionario della riscossione (art. 2 1 3 T.U.S.G.) . Questi procede alla riscossione coattiva in base alle norme che valgono in generale per i tributi in favore dello Stato (art. 223 T.U.S.G.). Occorre segnalare che il debito per le spese del processo è rimesso nei confronti di chi si trova in disagiate condizioni economiche e ha tenuto una regolare condotta in libertà o, se detenuto, negli istituti di pena (art. 6 T.U.S.G.).
Parte Settima I RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITÀ STRANIERE
CAPITOLO I L'ESTRADIZIONE
SOMMARIO: l . Considerazioni generali.
l.
-
2. L'estradizione.
Considerazioni generali.
n libro undicesimo del codice disciplina i rapporti giurisdizionali con autorità straniere in materia penale. Di tali rapporti l'art. 696 dà un elenco non esaustivo: cita l'estradizione, le rogatorie internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane. La stessa disposizione ricorda che vi sono anche « altri rapporti con le autorità straniere » oltre a quelli appena menzionati; ad esempio il mandato di arresto europeo, regolato dalla legge n. 69 del 2005 . L'art. 696, inoltre, esprime due princìpi fondamentali che disciplinano la materia. Nel primo comma si afferma il principio di prevalenza delle norme di diritto internazionale generale su quelle interne. Nel secondo comma si stabi lisce il principio di sussidiarietà delle norme contenute nel codice: queste operano se le norme internazionali « mancano o non dispongono diversa mente ». n principio di prevalenza sulla normativa interna trova applicazione in primo luogo in relazione alle fonti di diritto internazionale generale ( 1 ) . Sotto questo profilo l'art. 696 nulla aggiunge rispetto a quanto già risulta dall'art. 1 0 ( l ) il diritto internazionale generale è costituito dall'insieme delle consuetudini internazionali e dei principi del diritto internazionale generalmente riconosciuti che formano la base stessa della convivenza internazionale fra Stati e per questo si differenziano dalle norme pattizie, contenute nei singoli trattati internazionali (in tal senso, Corte cost. , sentenza n. 68 del 1 96 1 ) . La sentenza della Corte cost. 26 febbraio 1993 , n. 75, ha affermato che il principio di adeguamento automatico dell'ordinamento italiano deve intendersi riferito soltanto alle norme consuetudinarie. Tale adeguamento, comunque, non può consentire in alcun modo la violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale; così Corte cost. 1 8 giugno 1979, n. 48.
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I rapporti giurisdizionali con autorità straniere
VII.!. l
comma l Cost. , in base al quale « l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute ». n principio di prevalenza opera anche, e soprattutto, nei confronti delle convenzioni internazionali; l'art. 696 precisa che la prevalenza sul diritto interno vale in favore delle convenzioni che sono « in vigore per lo Stato » italiano (2) . Con riferimento alle norme pattizie sovranazionali l'art. 696 comma l è stato recentemente modificato dalla legge 5 ottobre 2001 n. 367 . Essa ha inserito uno specifico richiamo alla « Convenzione europea di assistenza giudiziaria ( . . . ) firmata a Strasburgo il 20 aprile 1 959 » (3 ) . n principio di sussidiarietà. Come abbiamo anticipato, il principio di sussidiarietà fa sì che le disposizioni contenute nel codice operino soltanto se le norme internazionali pattizie « mancano o non dispongono diversamente » (art. 696, comma 2 ) . Nonostante il loro carattere sussidiario rispetto al diritto internazionale pattizio, le norme del codice sui rapporti giurisdizionali con le autorità straniere mantengono tuttavia un autonomo valore perché danno luogo ad una disciplina completa ed ordinata della materia; pertanto esse rivestono un particolare rilievo sistematico (4).
(2) S i ricordano i n questa sede l e convenzioni più importanti a livello europeo: l ) l a Convenzione europea di estradizione, Parigi, 13 dicembre 1957, resa esecutiva con legge n. 300 del 1963; 2) la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, Strasburgo, 20 aprile 1959, resa esecutiva con legge n. 2 15 del 1 96 1 ; 3) la Convenzione europea per la sorveglianza di persone condannate o liberate sotto condizione, Strasburgo, 30 novembre 1964, resa esecutiva con legge n. 772 del 1973; 4) la Convenzione europea per la repressione del terrorismo, Strasburgo, 27 gennaio 1977, resa esecutiva con legge n. 7 1 9 del 1985; 5) la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, Strasburgo, 21 marzo 1983, resa esecutiva con legge n. 334 del 1988; 6) la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi del reato, Strasburgo, 18 novembre 1990, resa esecutiva con legge n. 328 del 1993; 7) la Convenzione fra gli stati membri della comunità europea relativa all'applicazione del ne bis in idem, Bruxelles, 25 maggio 1987, resa esecutiva con legge n. 350 del 1989. Per ulteriori approfondimenti v. M. PISANI-F. MoscoNI, Codice delle convenzioni di estradizione e di assistenza giudiziana in matena penale, 3• ed., Milano, 1996. Sulle regole vigenti in materia di interpretazione dei trattati internazionali si veda, per tutti, G. GAJA, Trattati internazionali, in Dig. disc. pubbl., vol. XV, Torino, 2000, 344. (3) Secondo una parte della dottrina lo specifico richiamo alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria ha una precisa funzione pedagogica, in risposta ad una prassi che si era instaurata specialmente in alcuni uffici giudiziari di accettare la trasmissione, in luogo degli originali, di copie o fotocopie dei fascicoli o documenti richiesti, inviati senza alcuna autenticazione, accompagnati solamente dalla mera attestazione da parte dell'autorità giudiziaria dello Stato richiesto della " evasione" della rogatoria stessa. Altra parte della dottrina ritiene, al contrario, che il richiamo alla Convenzione del 1959 rivesta un carattere meramente esplicativo e comunque sia "superfluo", in quanto la normativa in essa contenuta risulta oramai obsoleta e superata da una prevalente prassi internazionale consistente nella semplificazione delle forme sia di esecuzione della rogatoria sia di trasmissione degli atti. Tale interpretazione è stata accolta da Cass., sez. I, 20 settembre- 15 ottobre 2002, in Guida dir. , 2002, 46, 59 e da Cass., sez. I, 16 ottobre-8 novembre 2002, ivi, 62. (4) Nel libro XI alcune norme, che disciplinano il regime di utilizzabilità delle prove acquisite all'estero nell'ambito dei procedimenti penali pendenti su territorio nazionale (es. art. 729), hanno un loro autonomo ambito di applicazione indipendentemente da qualsiasi riferimento a fonti internazionali, al pari delle altre norme che disciplinano le modalità di acquisizione delle prove all'interno del nostro procedimento penale.
VII.I.2 2.
L'estradizione
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L'estradizione.
L'estradizione può essere definita come la consegna di una persona da parte di uno Stato, nel cui territorio questa si trova, ad un altro Stato (detto "richie dente" ) che ne abbia fatto domanda per sottoporre detta persona a giudizio o per dare esecuzione nei suoi confronti ad « una sentenza di condanna o altro prov vedimento restrittivo della libertà personale » (artt. 697 e 720 c.p.p.) (5 ). Le fonti normative interne che disciplinano l'istituto in esame non sono contenute soltanto nel codice di procedura penale (artt. 697 e ss. c.p.p.) e nel codice penale (art. 13 c.p.) . Infatti l'estradando è titolare di diritti e non è semplice "oggetto" da consegnare. La stessa Costituzione consente l'estradi zione del cittadino solo nelle ipotesi espressamente previste dalle convenzioni internazionali e in ogni caso la vieta quando la richiesta ha per oggetto reati politici (artt. 26 e 10, comma 4 Cost. con riferimento allo straniero) . Dal canto suo il codice di procedura penale non consente l'estradizione quando « vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori » ovvero a « pene o trattamenti crudeli, di sumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione dei diritti fondamentali della persona » (art. 698, comma l c.p.p.) (6) . In riferimento all'istituto dell'estradizione sono individuabili alcuni princìpi che informano la disciplina codicistica e le convenzioni internazionali. lnnanzitutto, il principio della doppia incriminabilità (o punibilità), codifi cato nell'art. 1 3 , comma 2 c.p., in base al quale « l'estradizione non è ammessa se il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione non è preveduto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera » (7). ( 5 ) I n ambito europeo l a materia dell'estradizione è regolata dalla Convenzione europea di estradizione adottata a Parigi il 13 dicembre 1957. Ad essa si sono aggiunti due protocolli addizionali: a) Protocollo addizionale di Strasburgo, 15 ottobre 1975; b) Protocollo addizionale di Strasburgo, 17 marzo 1978. Sono quindi seguiti due testi, che attualmente non sono ancora in vigore: la Convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea firmata a Bruxelles il 10 marzo 1 995 e la Convenzione di estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea, adottata a Dublino il 27 settembre 1996. Questi testi, benché costituiscano un reale progresso nell'ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale, sono destinati ad essere affiancati dal mandato di arresto europeo, in ossequio al principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie. V. in/ra, capitolo terzo, paragrafo quarto. (6) È da ricordare la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali aperta alla firma a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge n. 848 del 1955, nonché il Patto internazionale sui diritti civili e politici aperto alla firma a New York il 19 dicembre 1966 e ratificato con legge n. 88 1 del 1977. Per un commento si veda per tutti M. PisANI, La ratifica italiana della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in Riv. int. dir. dell'uomo, 1992, 506 e ss. (7) Afferma F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, 4• ed., Padova, 2001 , 959, che << il principio della doppia incriminazione ( . .. ) è considerato requisito intrinseco, connaturato, dell'estradizione. La coope razione tra gli Stati può rispondere ad esigenze di comune difesa solo quando il fatto violi un interesse parimenti tutelato nei due Stati. E, comunque, solo in questo caso si giustifica il sacrificio della propria sovranità ».
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I rapporti giurisdizionali con autorità straniere
VII.I.2
In secondo luogo, il principio di specialità: lo Stato che ha ottenuto l'estradizione di un accusato o condannato non può procedere nei suoi con fronti per fatti anteriori e diversi rispetto a quello per il quale l'estradizione è stata concessa (8), a meno che non ottenga in merito il consenso dello Stato estradante (c.d. estradizione suppletiva, art. 7 10 c.p.p. ) o si verifichi la c.d. "purgazione dell'estradizione" , consistente nel mancato allontanamento del l' estradato dal territorio dello Stato richiedente entro un determinato termine ovvero nel suo rientro volontario nello stesso territorio (v. in/ra) (9). Anche in relazione all'istituto dell'estradizione trova applicazione il princi pio del ne bis in idem: chi è già stato giudicato in Italia non può essere estradato per essere nuovamente processato in un altro Paese per lo stesso fatto (art. 705 , comma l c.p.p.) ( 1 0) . Minore rilevanza hanno altri princìpi. I n base al principio di sussidarietà lo Stato richiesto non concede l'estradizione qualora l'interessato sia sottoposto a procedimento penale nel proprio territorio o vi debba scontare una pena. Tale principio trova varie deroghe sia nel nostro ordinamento (si pensi all'istituto dell'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane) , sia nelle più importanti convenzioni internazionali: oggi gli Stati possono scegliere se procedere al l'estradizione ovvero trattenere la persona richiesta per giudicarla (o punirla) nel proprio territorio. Il principio di reciprocità, pur avendo avuto in passato una notevole impor tanza, è oggi meno rilevante, in quanto l'estradizione è sempre più vista come mezzo per una efficace persecuzione dei reati piuttosto che come mero strumento di contrattazione politica e di concessione di favori reciproci fra Stati ( 1 1 ) . (8) Questa è la formula utilizzata, il più delle volte, nelle convenzioni, che riportano varie espressioni, mentre gli artt. 699 e 721 impediscono soltanto l'esecuzione di atti coercitivi o di pene detentive. (9) n principio di specialità è inteso come garanzia per l'estradato alla quale quest'ultimo può sempre rinunciare; così, Cass., sez. un., 18 marzo 2008, n. 1 197 1 , F.P. ( 10) n principio, in tal caso, ha validità soltanto a fini estradizionali. V. però l'art. 54 della Convenzione di applicazione ( 1 9 giugno 1990) dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985: legge 3 0 novembre 1993, n . 388. ( 1 1 ) Se mai, oggi il principio è utilizzato per evitare un vincolo verso Stati che non hanno il medesimo obbligo nei nostri confronti. Anche se la condizione di reciprocità non è apposta in una convenzione, si ritiene che uno Stato non possa pretendere l'applicazione di un accordo se non nella stessa misura in cui lo abbia accolto. Nelle convenzioni plurilaterali lo Stato, che ha formulato una riserva, limitando così l'operatività della con venzione, non può pretendere l'applicazione integrale dell'accordo (in tal senso, Cass. pen., sez., VI, 1 luglio 2003 , Tumino, n. 36550, in Dir. e Giust., 2003, fase. 36, 2 1 ) . Inoltre, in mancanza di convenzione può sempre essere concessa assistenza su base di reciprocità. Anzi ad oggi è sempre più diffusa la convinzione della necessità di superare il concetto tradizionale di assistenza giudiziaria intesa come aiuto fornito da uno Stato ad un altro in condizioni di reciprocità per consentire l'attuazione di fin alità di Giustizia esclusivamente proprie dello Stato richiedente. In vista della lotta alla criminalità transnazionale l'aiuto, fornito da uno Stato ad un altro per la persecuzione dei reati, viene avvertito dallo Stato richiesto anche come tutela dei propri interessi e di quelli dell'intera comunità internazionale. In quest'ottica sempre più sentita è la necessità di approntare strumenti nuovi di collaborazione internazionale (quali ad esempio, squadre investigative comuni, magistrati di collega mento, videoconferenze per l'attuazione di esami di testi, imputati o periti all'estero). Si veda P. LASZLOCZKY,
VII.I.2.a
L'estradizione
945
Il nostro ordinamento prevede due distinte discipline dell'estradizione: quella per l'estero (o passiva), nella quale è uno Stato estero a chiedere l'estra dizione allo Stato italiano, e quella dall'estero (o attiva) che si ha quando è l'Italia a presentare domanda di estradizione ad un altro Paese (12). L'estradizione può essere di cognizione (o processuale) quando l'estradando è richiesto per essere sottoposto a processo; o esecutiva, se l'estradizione ha come fine quello di per mettere l'esecuzione di una sentenza e, quindi, l'applicazione della relativa pena.
a.
L'estradizione per l'estero (o passiva).
Poiché l'ordinamento italiano riconosce all'estradando specifici diritti, la legge stabilisce una serie di limiti alla concessione dell'estradizione. Innanzitutto si individuano limiti sostanziali previsti sia a livello costituzio nale, sia dal codice di procedura penale. L'estradizione è vietata:
a) se è richiesta per reati politici (artt. 10, comma 4 e 26, comma 2 Cost.; art. 698, comma l c.p.p.);
b) se vi è ragione di ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori (c.d. clausola di non discriminazione) o che verrà sottoposta a trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano la violazione di uno dei diritti fondamentali della persona (art. 698, comma l c.p.p.);
c) se, per il fatto per il quale è domandata l'estradizione, è prevista la pena di morte dalla legge dello Stato richiedente (13 ). L'estradizione è subordinata alla condizione espressa che, per un fatto anteriore e diverso da quello per il quale l'estradizione è concessa, l'estradando non sia né
«
sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una
pena o di una misura di sicurezza né assoggettato ad altra misura restrittiva della libertà personale né consegnato ad altro Stato» (art. 699, comma l c.p.p.;
principio di specialità). Sono inoltre previsti vincoli formali consistenti nella necessità di una espressa "domanda" da parte dello Stato estero (14) (art. 700, comma l c.p.p.)
Rogatoria, dir. proc. pen., in Enc. Dir., XLI, 1989, 128; G. LATIANZI, E. SELVAGGI, Formalismi inutili e assenza di semplificazioni: il Bel Paese fuori dal solco della cooperazione, in Guida dir., 2001,42, 30 e ss. (12) M.R. MARcHETTI, L'estradizione: profili processuali e principio di specialità, Padova, 1990; in generale, P. LASZLOCZKY, Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, in Dig. disc. pen., XI, Torino, 1996,23. (13) Con sentenza 27 giugno 1996 n. 223 la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità del comma 2 dell'art. 698 c.p.p. in quanto non prevede\·a una esclusione assoluta dell'estradizione quando la pena di morte poteva essere inflitta o eseguita secondo l'ordinamento dello Stato richiedente, non essendo ammissibile, in rapporto all'art. 27, comma 4 Cost., « una nonna che demanda a valutazioni discrezionali, caso per caso, il giudizio sul grado di attendibilità e di effettività delle garanzie accordato
(14) del 1930.
>>
da tale Paese.
Infatti oggi non è più prevista quell'offerta di estradizione, che invece era disciplinata nel codice
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I rapporti giurisdizionali con autorità straniere
VII .I.2 . a
e nell'effettuazione dell'apposito procedimento di estradizione previsto dal codice (art. 701 e ss. c.p.p.). Il procedimento per la concessione dell'estradizione ha carattere misto, es sendo composto da tre fasi: la prima e la terza di natura amministrativa, la seconda giurisdizionale (v. tav. 7 . 1 . 1 ) . Quest'ultima fase è prevista come garanzia per l'estradando, anche se egli può rinunciarvi acconsentendo all'estradizione ( 1 5 ) . Fase amministrativa. I l procedimento s i apre con l'invio della domanda di estradizione da parte dello Stato estero, unitamente ai relativi documenti, al ministro della Giustizia italiano (art. 700 c.p.p . ) . Questi può respingere la domanda di estradizione ( 16) oppure trasmetterla con i relativi documenti al procuratore generale presso quella corte d'appello che risulta individuata m base ai criteri dettati dall'art. 7 0 1 , comma 4 c.p.p. ( 17 ) . Fase giurisdizionale. All'inizio di tale fase occorre procedere al compi mento di alcuni atti: a) il procuratore generale deve disporre la comparizione dell'estradando per provvedere alla sua identificazione ed alla raccolta del suo eventuale consenso all'estradizione (art. 703 , comma 2 c.p.p.) ( 1 8) . La persona richiesta è ( 15 ) TI consenso espresso dell'interessato in una procedura di cooperazione giudiziaria penale è attual mente disciplinato dall'art. 205-bis disp. att., introdotto con la l. n. 367 del 200 1 . La norma in parola riconosce e disciplina la facoltà di revoca del consenso, stabilendo che tale facoltà può essere esercitata solo quando l'interessato, al tempo in cui ha prestato il consenso, ignorava circostanze di fatto rilevanti ai fini della sua decisione o quando queste si siano successivamente modificate. Prima della recente riforma la revoca del consenso da parte dell'interessato non era né prevista né disciplinata espressamente dal codice di procedura, pertanto la giurisprudenza maggioritaria si era pronunciata per l'irrevocabilità del consenso (per tutti si veda Cass., 20 dicembre 1999, Alvarez Munoz, in CED, n. 2 15287). Sull'argomento si veda amplius Z. SECCHI, Il detenuto oltre confine va in videoconferenza, in Guida dir. , 200 1 , 42, 58 e ss. L'art. 205-bis disp. att. trova applicazione non solo in materia di estradizione (artt. 701, 7 1 7 ) ma anche in altre ipotesi previste dal codice di procedura penale quali, ad esempio, l'estensione dell'estradizione, la riestradizione (artt. 7 1 0 e 7 1 1 ) , il transito di un estradando sul territorio dello Stato (art. 7 12, comma 3 ) , le rogatorie dall'estero (art. 624, comma 5, lett. b e c) e la partecipazione all'udienza dell'imputato detenuto all'estero tramite collegamento audiovisivo (art. 205-ter disp. att.), l'esecuzione all'estero di una sentenza penale italiana di condanna a pena detentiva (art. 742, comma 3 ) . L'art. 205-bis disp. att. esplica la sua efficacia anche quando il consenso dell'interessato non sia richiesto da una norma del nostro codice di procedura penale bensì in virtù di un accordo internazionale. ( 16) In tal caso l'eventuale rifiuto del ministro è espressione di un vero e proprio potere discrezionale basato su considerazioni politiche. Tuttavia frequenti sono le convenzioni che regolamentano la materia: si veda ad esempio l'art. 18, comma l della Convenzione europea di estradizione (che impone un obbligo di motivazione); artt. 4 - 1 1 della Convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea, Bruxelles, lO marzo 1995; artt. 13-15 della Convenzione relativa all'estradizione tra Stati membri dell'Unione europea, Dublino, 27 settembre 1996. ( 17) La competenza a decidere appartiene, nell'ordine, alla corte d'appello nel cui distretto l'imputato o il condannato ha la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui la domanda di estradizione perviene al ministro della Giustizia ovvero alla corte d'appello che ha ordinato l'arresto provvisorio previsto dall'art. 7 1 5 c.p.p. o alla corte d'appello il cui presidente ha provveduto alla convalida dell'arresto previsto dall'art. 716 c.p.p. Se la competenza non può essere determinata nei modi così indicati, è competente la corte d'appello di Roma. ( 18) Quando è stata applicata una misura coercitiva anche il presidente della corte d'appello procede sia all'identificazione sia all'audizione dell'interessato per raccoglierne il consenso all'estradizione (art. 7 1 7 c.p.p.).
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L'estradizione
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avvisata che è assistita da un difensore d'ufficio ma che può nominarne uno di fiducia. Il difensore ha diritto di assistere all'audizione dell'estradando e, per questo, deve essere preavvisato almeno ventiquattro ore prima (art. 703 , comma 2 c.p.p. ). La prestazione del consenso all'estradizione deve avvenire alla pre senza necessaria del magistrato e del difensore (art. 701, comma 2 c.p.p.; art. 202 disp. att. c.p.p . ) ( 1 9) . n consenso all'estradizione da parte della persona richiesta rende inutile l'ulteriore corso del procedimento giurisdizionale (si configura la c.d. estradizione consensuale) e permette al guardasigilli (senza obbligarlo) di concedere l'estradizione facendo a meno della necessaria preven tiva deliberazione dell'organo giudicante. b) Il procuratore generale provvede ad altri accertamenti, richiedendo, se occorre, ulteriore documentazione allo Stato richiedente attraverso il mini stro della Giustizia (art. 703 , comma 3 c.p.p. ) . c) Il procuratore generale presenta alla corte d'appello (20) l a requisito da entro tre mesi dalla ricezione della domanda di estradizione, allegando gli atti compiuti (art. 703 , comma 4 c.p.p.) e le cose sequestrate. L'avvenuto deposito di questi atti in cancelleria va notificato alla persona da estradare, al suo difensore e all'eventuale rappresentante dello Stato richiedente (se quest'ul timo esercita la facoltà prevista dall'art. 702 c.p.p.). Tali soggetti hanno la facoltà, entro dieci giorni, di prendere visione e di estrarre copia della requisi toria e degli atti, nonché di esaminare le cose sequestrate e di presentare memorie (art. 703 , comma 5 c.p.p.). Il presidente della corte d'appello fissa la data dell'udienza per la decisione e (almeno dieci giorni prima, a pena di nullità) ne dispone comunicazione al pubblico ministero, all'estradando, al suo difensore ed al rappresentante dello Stato richiedente. Questi ultimi fino a cinque giorni prima dell'udienza possono presentare memorie (art. 704, comma l c.p.p . ) . La corte decide i n camera di consiglio, assunte d'ufficio l e informazioni e disposti gli accertamenti necessari; la corte non può pronunciarsi prima di sentire il pubblico ministero ed il difensore dell'estradando, che hanno l'obbligo di essere presenti, nonché, « se compaiono », la persona richiesta e il rappre sentante dello Stato estero (art. 704, comma 2 c.p.p . ) . La decisione deve essere presa tenendo conto dei presupposti indicati dall'art. 705 c.p.p. Infatti la corte può emettere sentenza favorevole all'estradi zione solamente: a) se - quando non sussista una convenzione o questa non disponga ( 19) Tali norme rispondono infatti alla necessità di garantire la spontaneità del consenso. Attualmente il consenso all'estradizione è revocabile nei casi previsti dall'art. 205·bis disp. att., introdotto con la l. n. 367 del 200 1 . Sull'argomento si veda supra. (20) La corte d'appello nei rapporti con le autorità straniere opera come giudice di primo grado.
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diversamente (2 1 ) - vi sono gravi indizi di colpevolezza (nel caso di estradi zione di cognizione) , ovvero se vi è una sentenza irrevocabile di condanna che non contiene disposizioni contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento italiano (nel caso di estradizione di esecuzione); o se per lo stesso fatto non è in corso procedimento penale in Italia (22) né è stata pronunciata sentenza irrevocabile nello Stato italiano; b) se l'estradando sarà sottoposto a procedimento che garantisce il rispetto dei diritti fondamentali; c) se non vi è motivo di ritenere che l'estradando sarà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona. Quando la decisione è favorevole all'estradizione la corte, se vi è una richiesta del ministro della Giustizia, dispone la custodia cautelare in carcere dell'estra dando e l'eventuale sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato (art. 704 , comma 3 c.p.p . ) . Al contrario, se la decisione è contraria all'estradizione, la corte revoca le eventuali misure cautelari e dispone in ordine alla restituzione delle cose sequestrate. La sentenza sfavorevole ha inoltre un effetto preclusivo, in quanto lo stesso Stato estero non potrà presentare una nuova domanda di estradizione riguardante la medesima persona per lo stesso fatto. La preclusione non opera se vengono presentati dallo Stato richiedente elementi « che non siano già stati valutati dall'autorità giudiziaria » (art. 707 c.p.p.). È comunque possibile presentare ricorso in cassazione contro la decisione della corte d'appello. In questo caso la cassazione decide « anche per il merito », assumendo così anche le funzioni di giudice di secondo grado (art. 706 c.p.p.) . Legittimati a d impugnare la sentenza della corte d'appello sono l'estradando, il suo difensore, il procuratore generale e il rappresentante dello Stato richie dente. Anche il giudizio in cassazione si svolge secondo le modalità di cui all'art. 704 c.p.p. (2 1 ) D a sottolineare che, nel caso d i estradizione i n regime convenzionale, giurisprudenza pressoché univoca ritiene che il giudice sia tenuto soltanto ad un esame estrinseco e formale della documentazione ricevuta (v. Cass., sez. VI, 3 marzo 2000, Odigie Obeide, CED, n. 2 1585 1 ) senza neppure dover verificare l'efficacia dei titoli esecutivi in base ai quali viene domandata l'estradizione (Cass., sez. VI, 16 febbraio 1999, Motger, in Riv. pen., 2000, 92 ) . In particolare, nell'ipotesi in cui uno Stato aderente alla Convenzione europea di estradizione, adottata a Parigi il 13 febbraio 1957, richieda l'estradizione del cittadino italiano, all'autorità giudiziaria italiana non è consentita alcuna valutazione circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell'estradando, dovendo l'autorità italiana accertare unicamente l'identità di quest'ultimo e la sussistenza di un valido titolo giustificativo della domanda di estradizione (Cass. pen., sez. VI, 1 luglio 2003, Turnino, 36550, in Dir. giust. 2003, n. 36, 2 1 , con nota di CALVANESE) . All'esame degli indizi s i fa luogo quando l a convenzione l o prevede espressamente, come nel caso dell'art. X del Trattato ltalia-U.S.A. (Cass., sez. l, 14 settembre 1995, Aramini, in Riv. pen., 1996, 530). (22) Con riferimento all'ipotesi del simultaneus processus v. Corte cost., 14 febbraio-13 marzo 1997, n. 58, che ha ritenuto applicabile l'art. 705 c.p.p. con conseguente rifiuto di estradizione anche nel caso disciplinato dall'art. 8 Conv. europea di estradizione.
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Se la fase giurisdizionale si chiude con una sentenza favorevole all'estradi zione (ovvero se essa viene omessa in caso di estradizione consensuale) , si apre una successiva fase del procedimento. Fase amministrativa. li ministro della Giustizia con valutazione discrezio nale decide entro quarantacinque giorni se concedere o meno l'estradi zione (23 ) ; il termine decorre dalla ricezione del verbale che contiene il consenso dell'estradando (art. 202 disp. att. c.p.p.) ovvero dalla comunicazione da parte della cancelleria del decorso del termine per l'impugnazione o del deposito della sentenza della cassazione (art. 203 disp. att. c.p.p.; art. 708, comma l c.p.p.). Se il ministro non si pronuncia entro tale termine o rifiuta l'estradizione, l'eventuale misura cautelare decade e la persona richiesta è rimessa in libertà (art. 708, comma 2 e 3 c.p.p.) (24). Se, invece, la decisione del guardasigilli è favorevole all'estradizione, questa deve essere comunicata senza indugio allo Stato richie dente, indicando il luogo e la data a partire dalla quale è possibile la consegna dell'estradando (art. 708, comma 4 c.p.p . ) . Entro quindici giorni dalla data in dicata deve avvenire la consegna dell'estradando, anche se questo termine può essere prorogato a richiesta dello Stato estero di altri venti giorni. La consegna è sospesa se nei confronti dell'estradando in Italia pende un procedimento penale o deve essere applicata una pena per reati diversi da quelli per i quali è stata richiesta l'estradizione (c.d. sospensione " a soddisfatta giustizia italiana"; art. 709 c.p.p.) (25) . In alternativa alla sospensione, è prevista la consegna temporanea o l'esecuzione all'estero della pena secondo modalità concordate con lo Stato richiedente. b.
L'estradizione suppletiva, la riestradizione e l'estradizione in transito.
L'estradizione suppletiva e la riestradizione rappresentano ulteriori seg menti procedimentali che riaprono i canali di collaborazione successivamente (23) La decisione è presa con decreto. Sulla natura non politica di tale atto si veda Corte cost., 27 giugno 1996, n. 223 , in Foro it., 1996, I, 2526, con nota di G. DI CHIARA; Cons. di Stato, 1 1 maggio 1 966 n . 3 4 4 , i n Riv. it. dir. pen. proc., 1968, 5 3 3 , con nota d i M. CHIAVARlO. (24) Il termine di quarantacinque giorni di cui all'art. 708 c.p.p. è perentorio solamente in relazione allo status libertatis dell'estradando, mentre il mancato rispetto di tale termine non influisce sulla legittimità del prowedimento che dispone l 'estradizione (in tal senso Cons. di Stato, 20 gennaio 1997, n. 353; Cons. di Stato, 16 ottobre 1996, n. 1 154). (25) << Qualora il Ministro della Giustizia sospenda, a norma dell'art. 709 c.p.p., l'esecuzione della estradizione "a soddisfatta giustizia", non sono applicabili alle misure coercitive in corso di esecuzione, i termini di durata massima previsti dagli artt. 303 comma 4 e 308 c.p.p. Tali misure devono pertanto essere revocate per l'assenza di una previsione normativa che ne legittimi il permanere anche durante il periodo in cui l'esecuzione della estradizione resta sospesa; ferma restando, peraltro, la possibilità di adottare nuova mente misure coercitive, una volta cessata la sospensione, nei limiti delle esigenze cautelari connesse all'accompagnamento dell'estradando ed alla sua consegna allo Stato richiedente, e con l'osservanza dei termini previsti dall'art. 708 c.p.p. >>. Così Cass., sez. un., 18 dicembre 2006, Stosic, in www.dirittoegiustizia.it, 19 dicembre 2006.
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alla consegna della persona richiesta e che hanno lo scopo di garantire il rispetto del principio di specialità (art. 699 c.p.p.). L'estradizione suppletiva (art. 710 c.p.p.) si realizza quando lo Stato richie dente, che ha già ottenuto la consegna di una persona, voglia sottoporla a procedimento anche per un fatto anteriore e diverso da quello per il quale era stata concessa l'estradizione. La domanda per l'estradizione suppletiva segue lo stesso iter stabilito per l'estradizione ordinaria, ma in sostituzione dell'audizione dell'estradando da parte dell'autorità giudiziaria italiana (la persona non si trova più sul territorio italiano) è prevista l'obbligatoria allegazione alla domanda delle dichiarazioni rese dall'interessato all'autorità giudiziaria estera in merito all'estensione dell'estradizione. La riestradizione (art. 7 1 1 c.p.p.) consiste nella richiesta di consenso allo Stato italiano da parte del Paese che ha ottenuto la consegna della persona affinché l'Italia acconsenta alla sua ulteriore estradizione verso un terzo Stato. Si applica la medesima disciplina prevista per l'estradizione suppletiva. Diversa dai due istituti appena menzionati, in quanto prescinde da un rapporto estradizionale precedente, è l'estradizione in transito (art. 7 12 c.p.p.) che si ha quando la persona estradata da uno Stato estero ad un altro deve passare attraverso il territorio italiano. L'art. 7 12 c.p.p. prevede in proposito una serie di limiti. Questa forma di estradizione non è richiesta se il transito avviene per via aerea senza alcuno scalo sul territorio italiano. c.
I provvedimenti cautelari.
Dall'analisi della normativa del codice (artt. 7 14-7 19 c.p.p.) si possono individuare i princìpi che regolano l'attuale disciplina delle misure cautelari applicabili all'estradando (26). In primo luogo si abbandona l'idea che la custodia in carcere sia un elemento indispensabile per il procedimento di estradizione. Per poter appli care la misura cautelare sono necessarie tanto la richiesta del ministro della Giustizia (che potrebbe infatti negare l'estradizione) quanto la decisione favo revole da parte di un organo giurisdizionale. Particolare importanza riveste inoltre la disposizione di cui all'art. 7 14, comma 3 c.p.p.: le misure coercitive e il sequestro non possono essere disposti se « vi sono ragioni per ritenere che non sussistono le condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione ». In secondo luogo nel codice di procedura penale si dispone la completa equiparazione dell'estradando all'imputato, di modo che l'autorità giudiziaria (26) Trovano applicazione anche per l'estradando le direttive imposte dalla legge delega in materia di misure cautelari; si veda art. 2 della legge 16 febbraio 1987 n. 8 1 , il "preambolo", nonché i criteri direttivi 32 e ss., 59 e ss. e 104. Trova altresì applicazione in materia la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, art. 5, paragrafo l, lett. /, e paragrafo 4. In dottrina v., per tutti, E. MARzADURI, Libertà personale e garanzie giurisdiZionali nel procedimento di estradizione passiva, Milano, 1993.
VII.I.2.c
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applica le misure cautelari all'estradando in base a parametri simili a quelli previsti per l'imputato. Naturalmente vi sono differenze legate alle peculiarità dell'istituto dell'estradizione. Non trovano infatti applicazione né l'art. 273 c.p.p., (in merito alle condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari) né l'art. 2 80 c.p.p. (riguardante le condizioni di applicabilità delle misure coercitive) né le disposizioni di cui al capo III, titolo III, libro III in materia di sequestri. Particolare rilevanza è data all'esigenza di garantire che la persona da estradare non si sottragga all'eventuale consegna. Le misure applicabili anche nei confronti dell'estradando sono quelle di tipo coercitivo previste dagli artt. 2 8 1 -286 c.p.p. nonché il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato di cui agli artt. 3 2 1 e ss. c.p.p. Sono stabiliti, in base alla riserva di legge prevista dall'art. 13 Cost., termini di durata massima delle misure coercitive, trascorsi i quali la persona deve essere rimessa in libertà (art. 7 14, comma 4 c.p.p . ) . Infatti la persona sottoposta alla misura cautelare deve essere liberata se: a) è trascorso un anno « senza che la corte d'appello abbia pronunciato sentenza favorevole all'estradizione »; b) sono trascorsi un anno e sei mesi, qualora sia stato presentato ricorso in cassazione, senza che si sia concluso l'intero « procedimento davanti all'au torità giudiziaria ». A richiesta del procuratore generale detti termini sono prorogabili una o più volte per un « periodo complessivamente non superiore a tre mesi » qualora sia necessario « procedere ad accertamenti di particolare complessità » (27) . La competenza a provvedere all'applicazione della misura cautelare appar tiene alla corte di appello (art. 7 1 4 comma 5 ) . Il presidente della corte d'appello, entro cinque giorni dall'esecuzione della misura coercitiva, provvede all'audi zione della persona che vi è sottoposta (art. 7 17 ) . A tal fine invita l'interessato a nominare un difensore di fiducia e in difetto designa un difensore d'ufficio ai sensi dell'art. 97, comma 3 c.p.p. Il difensore deve essere avvisato almeno ventiquattro ore prima della data fissata per la predetta audizione ed ha la facoltà di assistervi. Anche per la misura cautelare applicata all'estradando è possibile sia la revoca, sia la sostituzione con un'altra (art. 7 18 c.p.p.) (28). In conformità con l'art. 1 1 1 Cost., contro la decisione della corte d'appello in merito all'applicazione della misura cautelare è ammesso ricorso in cassazione (27) Articolo così modificato dal d.lgs. 14 gennaio 1991 n. 12; prima di tale modifica la durata massima era pari a nove mesi, prorogabile di altri tre mesi. (28) li procedimento in camera di consiglio davanti alla corte d'appello chiamata a deliberare sulla richiesta di revoca o sostituzione della misura coercitiva disposta nei confronti dell'estradando deve svolgersi nelle forme "partecipate" previste dall'art. 127 c.p.p. e non secondo la procedura de plano stabilita in via ordinaria dall'art. 299 c.p.p.; in tal senso Cass. pen., sez. un . , 28 maggio 2003, Di Filippo, n. 26156, in Cass. pen., 2003, 2978, con nota di A. CIAMPI.
I rapporti giurisdizionali con autorità straniere
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per violazione di legge. Possono presentare ricorso il procuratore generale presso la corte d'appello, l'estradando e il suo difensore (art. 7 1 9 c.p.p.) (29). Oltre che durante il procedimento di estradizione, « l'applicazione provvi soria di misure cautelari » è possibile (c.d. arresto provvisorio) anche « prima che la domanda di estradizione sia pervenuta » (art. 7 15 c.p.p.) . Saranno in tal caso necessarie una specifica domanda dello Stato estero e la richiesta del ministro della Giustizia. La misura può essere applicata - sempre dalla corte d'appello - solo se vi sono i requisiti previsti dall'art. 7 15 , comma 2 c.p.p. (30) e, comunque, è revocata se entro quaranta giorni dalla sua comunicazione allo Stato richiedente, quest'ultimo non fa pervenire regolare domanda di estradi zione. In casi di particolare urgenza anche la polizia giudiziaria può procedere all'arresto della persona nei cui confronti è stata presentata domanda (3 1 ) . A tale atto devono seguire alcuni adempimenti da eseguirsi entro termini perentori (art. 7 16 c.p.p.) . d.
L'estradizione dall'estero (o attiva).
Si ha l'estradizione dall'estero (o attiva) quando l'Italia presenta richiesta di estradizione. n nostro codice contiene solo le norme che attengono alla do manda da rivolgersi all'autorità straniera, in quanto la restante parte del procedimento sarà disciplinata dall'ordinamento dello Stato a cui l'estradizione è chiesta. Anche l'estradizione attiva può essere di esecuzione o di cognizione. Ruolo centrale è svolto dal ministro della Giustizia, che presenta la do manda di estradizione al Paese estero. n ministro può agire sia di propria iniziativa, sia su domanda del procuratore generale presso la corte d'appello nel cui distretto si procede o è stata emessa sentenza di condanna (32 ) . Al guardasigilli è riconosciuta una serie di poteri: a) può chiedere alla autorità giudiziaria straniera l'arresto provvisorio dell'estradando; b) può richiedere lo svolgimento di ricerche all'estero dell'imputato o del condannato; c) può accettare le condizioni che lo Stato estero pone per l'estradizione, con l'unico limite del rispetto dei princìpi fondamentali dell'ordinamento. Le (29) Non sono invece esperibili né il riesame né l'appello, previsti come mezzi di impugnazione per le misure cautelari applicate all'imputato (Cass., sez. VI, 18 novembre 1997, Madero, in C.E.D., n. 2 1 005 1 ) . (30) L a misura può essere disposta se: a) lo Stato estero ha dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso provvedimento restrittivo della libertà personale ovvero sentenza di condanna a pena detentiva e che intende presentare domanda di estradizione; b) lo Stato estero ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e gli elementi sufficienti per l'esatta identificazione della persona; c) vi è pericolo di fuga. ( 3 1 ) In realtà, si tratta di un atto sostanzialmente equivalente al fermo di cui all'art. 384 c.p.p. (32) ll ministro, peraltro, può anche ritenere di non presentare la richiesta di estradizione nonostante la domanda del procuratore generale.
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eventuali condizioni accettate dal ministro della Giustizia vincolano l'autorità giudiziaria italiana per espressa previsione di legge (art. 720, comma 4, ultimo periodo c.p.p.). Vige anche per l'estradizione attiva il principio di specialità (art. 72 1 c.p.p.) con le stesse caratteristiche illustrate per l'estradizione passiva. Questo principio è derogabile in virtù di un « espresso consenso dello Stato estero » o a seguito di un comportamento volontario dell'estradato. La c.d. "purgazione dell'estra dizione" si ha, infatti, quando l'interessato non abbandoni il territorio dello Stato entro un termine che l'art. 72 1 individua in quarantacinque giorni (3 3 ) oppure, avendolo lasciato, vi faccia volontariamente ritorno. L'eventuale custodia cautelare all'estero subita dall'estradando è computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 3 03 commi 1 -3 , oltre che agli effetti della durata complessiva stabilita dall'art. 3 03 comma 4 ; in tal senso si è espressa la sentenza della Corte cast. n. 253 del 2004 che ha dichiarato illegittimo l'art. 722 c.p.p.
(33 ) Naturalmente, è necessario che l'estradato possa lasciare il territorio dello Stato, sicché l'istituto non opera quando gli manchi un documento ,-alido per l'espatrio ovvero se debba difendersi io altro procedimento, purché benioteso sia un procedimemo non rientrante nell'operatività del priocipio de qua (Cass., sez. VI, 13 marzo 1986, Luparini, io Cass. pen., 1987, 1945 ) .
CAPITOLO II GLI ALTRI STRUMENTI DI COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE
SoMMARIO: l . Le rogatorie internazionali. - 2. L'inutilizzabilità degli atti raccolti tramite rogatoria internazionale. - 3 . La partecipazione e l'esame "a distanza". - 4 . ll riconosci mento degli effetti delle sentenze penali straniere. - 5 . L'esecuzione all'estero di sentenze penali italiane. - 6. L'efficacia preclusiva della sentenza penale straniera. Il ne bis in idem internazionale.
1.
Le rogatorie internazionali.
Le rogatorie sono quelle richieste che uno Stato presenta ad un altro per il compimento di determinati atti (comunicazioni, notificazioni, attività di acqui sizione probatoria) . S i distinguono: a ) le rogatorie dall'estero ( o passive), quando è uno Stato estero a chiedere al nostro Paese il compimento di un atto; b) le rogatorie all'estero (o attive) , quando è l'Italia a domandare ad un altro Stato lo svolgimento di una determinata attività ( 1 ) . a.
Le rogatorie internazionali dall'estero (o passive).
Il procedimento di rogatoria passiva si compone di due fasi, una ammi nistrativa ed una giurisdizionale. Quest'ultima, a sua volta, si distingue in due "sottofasi" , la prima di " cognizione" e la seconda di "esecuzione" (v. tavola 7 .2 . 1 ) . Durante l a fase amministrativa la figura centrale è il ministro della Giusti zia, il quale ha un potere di blocco ex ante della rogatoria nelle seguenti situazioni (art. 723 ) : a ) quando gli atti richiesti compromettono l a sovranità, l a sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato italiano; b) quando risulta evidente che gli atti richiesti sono espressamente vietati dalla legge italiana o contrari ai princìpi fondamentali dell'ordinamento; ( l ) P. LASZLOCZKY, La cooperazione internazionale negli atti d'istruzione penale, Padova, 1980; In., L'assistenza giudiziaria internazionale ed il nuovo codice di procedura penale, in Riv. dir. internaz. priv. proc. , 1990, 43 s . ; C. VALENTINI, L'acquisizione della prova tra limiti territoriali e cooperazione con autorità straniere, Padova, 1988; A. CIAMPI, L'assunzione di prove all'estero in materia penale, Padova, 2003 .
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c) quando vi sono fondate ragioni per ritenere che le considerazioni relative alla razza, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche, alle condizioni personali o sociali possano influire negativamente sullo svolgi mento o sull'esito del processo, a meno che non vi sia il consenso liberamente espresso dall'interessato (2) ; d) quando l a rogatoria h a per oggetto l a citazione di un testimone, perito o imputato e lo Stato estero non fornisce idonee garanzie in ordine all'immunità della persona citata (si tratta della c.d. immunità temporanea che ha la stessa portata stabilita per l'equivalente istituto previsto dall'art. 728 c.p.p. in relazione alle rogatorie internazionali attive) (3 ) . Qualora, in base ad un accordo internazionale, venga effettuata la trasmis sione diretta della richiesta di assistenza all'autorità giudiziaria italiana compe tente in base alle norme del codice di procedura penale, la fase amministrativa, in luogo di quella sopra illustrata, si riduce all'invio « senza ritardo », al ministero della Giustizia, di una copia della richiesta di rogatoria da parte della medesima autorità giudiziaria (art. 204-bù disp. att. c.p.p.) (4). La fase giurisdizionale si articola in modo diverso a seconda del tipo di atto richiesto dallo Stato estero alle autorità italiane. Nel caso di citazione di testimoni, periti o imputati (artt 726 e 726-bis c.p.p.) (5) , si ha una procedura semplificata consistente nella trasmissione della richiesta dell'autorità straniera al procuratore generale presso la corte d'appello . .
(2) L'eccezione in esame è stata prevista per salvaguardare comunque il diritto alla prova contraria dell'imputato all'estero, il quale potrebbe avere interesse a procurarsi questo tipo di informazioni per esercitare al meglio il suo diritto di difesa. Attualmente la revocabilità del consenso è disciplinata dall'art. 205-bis disp. att. Sull'argomento si veda sopra, capitolo I, nota 14. (3) n ministro ha inoltre la facoltà di << non dare corso alla rogatoria quando lo Stato richiedente non dia idonee garanzie di reciprocità » (art. 723, comma 4). (4) La disposizione in parola, già presente in alcune Convenzioni (assistenza giudiziaria Italia-Francia, Roma, 12 gennaio 1955, art. 1 1) , è stata introdotta con la legge n. 367 del 2001 al fine di codificare l'istituto della comunicazione diretta fra autorità competenti in materia di assistenza giudiziaria nato sulla base di accordi internazionali. In particolare, a livello europeo la trasmissione diretta di atti costituisce la forma ordinaria di svolgimento delle rogatorie, in virtù sia dell'art. 53 della Convenzione di applicazione dell' ac cordo di Scbengen firmata a Parigi il 27 novembre 1990, sia dell'art. 6 della Convenzione di mutua assistenza dell'Unione europea, firmata nel maggio 2000. n ministro della Giustizia mantiene comunque il potere di blocco della rogatoria, qualora questa non rispetti i requisiti richiesti dall'art. 723 , comma 2 c.p.p. A tal fine, come abbiamo già osservato, è prevista la comunicazione della richiesta di rogatoria al ministero della Giustizia, che deve avvenire "senza ritardo" . I tempi per la comunicazione della copia della richiesta di rogatoria lasciano ampi margini di discrezionalità all'autorità giudiziaria richiesta; tuttavia può essere individuato un limite massimo che l'autorità procedente non può comunque superare: la comunicazione prevista dal nuovo art. 204-bis disp. att. non può avvenire in tempi e modalità tali da rendere di fatto impossibile o eccessivamente arduo l'eventuale esercizio del potere di blocco da parte del ministro. Sull'argomento si veda amplius, Z. SECCHI, Il detenuto oltre confine va in videoconferenza, in Guida dir. , 200 1 , 4 2 , 5 7 e s s . Circa l e problematiche inerenti l a concreta applicazione del metodo della trasmissione diretta delle richieste di rogatoria si veda amplius E. SELVAGGI, Noi e gli altri: appunti e divagazioni in tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, in Cass. pen., 2001, 1388 e ss. (5) L'art. 726-bis è stato inserito nel codice grazie alla riforma operata con la legge n. 367 del 200 1 . Precedentemente i l codice contemplava l a procedura semplificata per l a citazione del solo testimone. In materia
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nel cui distretto tale atto deve essere compiuto. Si seguono le forme ordinarie previste per le notificazioni. Un'ulteriore ipotesi di procedimento semplificato è stata introdotta dalla legge n. 3 67 del 200 1 , quando la rogatoria internazionale è richiesta da una autorità amministrativa straniera (art. 726-ter c.p.p.). La norma in parola risponde alla crescente esigenza avvertita nella prassi di rispondere a richieste di rogatoria provenienti da autorità diverse da quelle giudiziarie (6) . In tal caso la competenza per la fase giurisdizionale non spetta alla corte d'appello, bensì al giudice per le indagini preliminari del luogo in cui devono compiersi gli atti richiesti, il quale opera su istanza del pubblico ministero presso il tribunale (7). Per le richieste di rogatoria provenienti da una autorità giudiziaria ed aventi ad oggetto attività diversa dalla citazione (ad esempio, l'acquisizione probatoria) si instaura una procedura più articolata, in quanto è necessaria una decisione favorevole della corte d'appello nel cui distretto devono svolgersi gli atti (8). In questo caso si hanno due sottofasi, una di " cognizione" e la successiva di "esecuzione" . La fase di cognizione. Durante l a prima sottofase il procuratore generale, una volta ricevuti gli atti dal ministro della Giustizia, presenta la requisitoria alla corte d'appello e, qualora la rogatoria si riferisca a delitti di cui all'art. 5 1 , comma 3 -bis c.p.p., trasmette senza ritardo copia delle rogatorie dell'autorità straniera al procuratore nazionale antimafia (9). Quindi il presidente della corte si veda G. CAPALOO, sub art. 726, in Commento al nuovo c.p.p., coord. da M. CHIAVARlO, VI, Torino, 199 1 , 790; M. R. MARCHETTI, Autorità amministrative: la competenza va al GIP, in Guida dir. , 2001, 42, 49 e ss. (6) Peraltro questa esigenza trova riscontro anche nell'art. 3 della Convenzione di mutua assistenza dell'Unione europea, firmata nel maggio 2000. (7) Quest'ultima autorità giudiziaria prowede alla verifica della sussistenza delle condizioni di cui all'art. 724, comma 5. L'esecuzione della rogatoria è sospesa qualora questa possa pregiudicare indagini o procedimenti penali in corso sul territorio nazionale. Per il compimento degli atti richiesti si osservano le norme del codice di procedura penale, salvo che l'autorità straniera non richieda l'applicazione di particolari forme. In tal caso gli atti saranno acquisiti con le modalità indicate dallo Stato richiedente a condizione che queste siano conformi ai princìpi fondamentali dell'ordinamento italiano. Sull'argomento si veda amplius M. R. MARCHEITI, Autorità amministrative, cit., 50 e ss. (8) Ai sensi del nuovo comma l-bis dell'art. 724 c.p.p., quando la domanda di assistenza giudiziaria ha ad oggetto atti che devono essere eseguiti in più distretti di corte d'appello, la domanda deve essere trasmessa alla corte di cassazione. Quest'ultima stabilisce la corte d'appello competente a svolgere l'intera rogatoria, deliberando in camera di consiglio dopo aver assunto le informazioni e gli atti ed i documenti che ritiene necessari. Nel decidere quale debba essere la corte d'appello competente la corte di cassazione deve tenere conto sia della tipologia ed importanza degli atti da assumere sia del dislocamento delle sedi giudiziarie interessate. L'awiso della data di svolgimento dell'udienza in camera di consiglio è comunicato almeno dieci giorni prima del suo svolgimento al solo procuratore generale presso la corte di cassazione. La suprema corte, una volta deciso sulla competenza, trasmette gli atti alla corte d'appello designata comunicando la sua decisione al ministero della Giustizia. (9) L'obbligo di comunicazione al procuratore nazionale antimafia delle rogatorie aventi ad oggetto i reati di cui all'art. 5 1 , comma 3-bis è stato introdotto con la recente legge n. 367 del 200 1 . L'attuale formulazione dell'art. 724, comma 2 è da mettersi in relazione con il nuovo comma 5-ter dell'art. 727 c.p.p., anch'esso introdotto con la legge n. 367 del 200 1 . Quest'ultima disposizione prevede l'obbligo di trasmettere senza ritardo al procuratore nazionale antimafia una copia delle rogatorie dei pubblici ministeri avente ad
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d'appello fissa la data dell'udienza e ne dà comunicazione al procuratore generale (non è previsto né l'intervento dello Stato richiedente né quello dell'interessato o del suo difensore). La corte d'appello nega la rogatoria quando ad un esame più approfondito, rispetto a quello operato dal ministro, risulta (art. 724, comma 5 c.p.p . ) : a) che gli atti richiesti sono vietati dalla legge o contrari a i princìpi fondamentali dell'ordinamento; b) che il fatto, per cui procede l'autorità straniera, non è previsto dalla legge italiana come reato e non risulta che l'imputato abbia liberamente espresso il suo consenso alla rogatoria; c) che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla na zionalità, alla lingua, alle opinioni politiche ed alle condizioni personali o sociali possono influire sullo svolgimento o sull'esito del procedimento, salvo il caso in cui l'interessato vi abbia dato il proprio assenso liberamente espresso ( 1 0) . L a corte d'appello sospende l'esecuzione della rogatoria s e questa può pregiudicare le indagini o i procedimenti penali in corso nel nostro Stato. Se non vi sono i suddetti ostacoli, la corte d'appello dispone l'exequatur con ordinanza. La fase di esecuzione. In questo caso si apre la seconda delle sottofasi, quella "esecutiva" , che è retta dal principio tradizionale del locus regit actum: uno degli stessi componenti della corte d'appello (o il giudice delle indagini preliminari del luogo in cui devono essere eseguiti gli atti richiesti) dà esecuzione all'ordinanza. Non è prevista espressamente la partecipazione né del rappresentante dello Stato richiedente, né delle parti private del processo che si svolge all'estero. Tuttavia l'autorità straniera richiedente può ottenere che l'esecuzione dell'attività richiesta avvenga secondo particolari modalità di svolgimento, sempre che queste « non siano contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato » (art. 725 c.p.p.). Inoltre, sebbene l'ordinanza di exequatur non sia impugnabile, è tuttavia ammesso incidente di esecuzione da proporre contro gli atti compiuti in esecuzione della rogatoria ( 1 1 ) . b.
Le rogatorie internazionali all'estero (o attive).
Possono promuovere la rogatoria per l'estero sia la magistratura giudicante sia quella requirente. Si distinguono un procedimento ordinario e un procedimento di uroggetto uno dei reati di cui all'art. 5 1 , comma 3 -bis. Entrambe le previsioni sono funzionali al ruolo di coordinamento e controllo assegnato al procuratore nazionale antimafia dall'art. 3 7 1-bis. ( lO) G. CAPALDO, sub art. 724, in Commento al nuovo c.p.p . , coord. da M. CHIAVARlO, VI, Torino, 1 99 1 , 784. I n materia d i revoca del consenso dell'interessato s i veda sopra, capitolo I . ( l l ) Cass., sez. IV, 1 6 maggio 1995, i n CED, 201880; Cass., sez. V, 2 7 ottobre 1994, Menegatti, i n Cass. pen., 1996, 157 1 .
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genza ( 12 ) . Nel primo la figura centrale è il ministro della Giustizia, al quale devono essere inviate le richieste di rogatoria delle autorità giudiziarie italiane (v. tav. 7 .2 .2 ) . Il ministro, quindi, entro i trenta giorni successivi può: a) bloccare subito la richiesta di rogatoria qualora ritenga che « possano essere compromessi la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato ». In tal caso comunica la data di ricezione della domanda e il decreto di blocco della rogatoria all'autorità giudiziaria che l'aveva richiesta; b) inoltrare la richiesta di rogatoria all'agente diplomatico o consolare italiano del Paese in cui deve essere effettuata la rogatoria; c) rimanere inerte, facendo scadere il termine senza né inviare la roga toria né bloccarla con decreto. In tal caso l'autorità giudiziaria può provvedere direttamente all'inoltro della rogatoria all'agente diplomatico o consolare ita liano nel Paese estero in cui questa deve essere effettuata, informandone il ministro. Quest'ultimo può ancora bloccare la rogatoria fino a quando l'agente diplomatico o consolare italiano non ha a sua volta trasmesso la richiesta alla competente autorità straniera. In caso di urgenza l'autorità giudiziaria trasmette direttamente la richiesta di rogatoria all'agente diplomatico o consolare italiano ( 1 3 ) , previa comunica zione della stessa al ministro della Giustizia, il quale può sempre esercitare il potere di blocco della rogatoria. Nel caso di citazione di testimoni, periti o imputati vige il divieto di sottoporre la persona citata a misure restrittive della libertà personale per fatti anteriori alla notifica della citazione (si tratta della c.d. immunità temporanea) . L'immunità cessa se « il testimone, il perito o l'imputato avendone avuta la possibilità non ha lasciato il territorio dello Stato trascorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta dall'autorità giudiziaria, ovvero, avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno » (art. 728, comma 2 c.p.p.) ( 14 ) . L e risultanze delle rogatorie entrano a far parte del fascicolo per il dibattimento (art. 43 1 , comma l , lett. d ed / c.p.p.) ( 1 5 ) . ( 12) L'art. 407 comma 2, lett. c c.p.p. stabilisce un termine di due anni per l a durata massima delle indagini preliminari che richiedono il compimento di atti all'estero. In merito all'idoneità di questo termine rispetto all'attività da svolgere tramite rogatoria si veda M. PISANI, Indagini all'estero: appena due anni, in In d. pen., 1989, 540; Io., Blocchi delle rogatorie, corsie preferenziali, prescrizioni, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 364. ( 13 ) Come abbiamo accennato, vi sono alcune convenzioni che prevedono la possibilità di contatto diretto fra le autorità giudiziarie dei singoli Paesi: tale possibilità è sempre più diffusa e ormai costituisce la regola nell'ambito dell'Unione europea. Nel caso di trasmissione diretta degli atti all'autorità giudiziaria straniera l'art. 204-bù disp. att. prevede la comunicazione "senza ritardo" al ministero della Giustizia della copia della richiesta di assistenza giudiziaria. ( 14) La legge n. 479 del 1999, con il nuovo art. 5 12-bù c.p.p., ha introdotto una ulteriore ipotesi di lettura per le dichiarazioni rese da persone residenti all'estero. Tale lettura potrà aver luogo solamente qualora il dichiarante residente all'estero, pur essendo stato regolarmente citato, non è comparso e sia assolutamente impossibile il suo esame dibattimentale. ( 1 5 ) A seguito della legge n. 479 del 1999 si ha una nuova formulazione dell'art. 43 1 , comma l c.p.p.
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L'inutilizzabilità degli atti raccolti tramite rogatoria internazionale.
La legge n. 367 del 200 1 ha ampliato le ipotesi espresse di inutilizzabilità degli atti raccolti per mezzo di rogatoria internazionale. Attualmente il codice di procedura contempla quattro ipotesi di inutilizza bilità, tutte disciplinate nell'art. 729 c.p.p. ( 16). Innanzitutto, qualora lo Stato estero abbia posto delle condizioni all'utiliz zabilità degli atti richiesti, l'autorità giudiziaria italiana è vincolata dalla legge (art. 729, comma 2 c.p.p.) al rispetto di tali condizioni a pena di inutilizzabilità (art. 1 9 1 , comma 2 c.p.p.). In secondo luogo, la legge n. 3 67 ha introdotto nell'art. 729, comma l, prima parte, il divieto di utilizzare atti acquisiti o trasmessi, a sèguito di rogatoria all'estero, in violazione delle norme di cui all'art. 696 c.p.p., che rinviano alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria firmata a Strasburgo nel 195 9 ( 17 ) . Altra ipotesi d ì ìnutìlìzzabìlìtà è quella prevista dall'art. 7 2 9 comma 1-bìs c.p.p. nel caso in cui lo Stato estero dia esecuzione alla rogatoria con modalità diverse da quelle indicate dall'autorità giudiziaria italiana. La previsione in esame è strettamente correlata con quanto disposto nel comma 5-bis dell'art. 727 c.p.p. , anch'esso introdotto con la legge n. 367 del 200 1 . Quest'ultima norma stabilisce l'obbligo per l'autorità giudiziaria italiana, ogni volta che gli accordi internazionali lo consentono ( 18), di richiedere nella domanda di Le nuove lett. d ed f dell'articolo in parola comportano una limitazione rispetto al regime previgente nella acquisizione al fascicolo del dibattimento degli atti assunti con rogatoria internazionale. Infatti non vengono più acquisiti indistintamente tutti i verbali degli atti assunti con rogatoria internazionale, ma solo i documenti, nonché i verbali di atti che sono o irripetibili owero compiuti con modalità tali da consentire ai difensori di assistere al loro compimento e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana. ( 16) Sulla loro genesi nonché sulla prima prassi di applicazione, si veda A. CIAMPI, L'assunzione di prove all'estero, cit., 601-632; A. PREsum, Legge sulle rogatorie internazionali e inutilizzabilità della prova, in Riv. it. dir. proe. pen., 2003, 1 164 ss .. ( 17 ) Per la lettura correttiva del rinvio operato dall'art. 696 c.p.p., si veda Cass., sez. I, 16 ottobre-8 novembre 2002, Strangio, in Cass. pen., 2003, 755, secondo cui la Convenzione citata << non impone allo Stato richiesto una l?rescrizione a carattere cogente di trasmettere co�;>ie o fotoco�;>ie dei fascicoli e documenti, richiesti per rogatoria, muniti di attestazione di conformità all'originale, ma facoltizza tale Stato, là dove sia richiesto l'invio di atti in originale, di trasmettere solo copie o fotocopie autenticate >>. Inoltre << è sufficiente, come si desume dalle prassi consolidate in materia, l'atto formale di trasmissione dell'autorità straniera per garantire l'autenticità e la conformità degli atti trasmessi in semplice copia >>. (18) Secondo il principio del focus regit actum in materia di assistenza giudiziaria, l'atto richiesto tramite rogatoria internazionale è acquisito con le modalità e con le forme previste dall'ordinamento dello Stato nel quale deve svolgersi la rogatoria stessa. Peraltro la regola, che non è imposta da alcuna norma di diritto internazionale, è superata dalle più recenti convenzioni di assistenza giudiziaria; ad esempio l'art. 4, paragrafo l , della nuova Convenzione di assistenza giudiziaria tra gli stati membri dell'Unione europea (Bruxelles 29 maggio 2000, ma non ancora in vigore: il testo è riportato in Guida dir., 2000, n. 22), stabilisce espressamente che << lo Stato membro richiesto osserva le formalità e le procedure indicate dallo Stato membro richiedente, salvo che la presente convenzione disponga altrimenti e sempreché le formalità e le procedure indicate non siano in conflitto con i princìpi fondamentali dello Stato membro richiesto >>. Anche nei rapporti Italia-Usa l'art. 4, comma 2 del Trattato di mutua assistenza in materia penale
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assistenza giudiziaria che gli atti, per i quali si procede a rogatoria, siano acquisiti con le modalità previste dal nostro ordinamento giuridico. A tal fine l'autorità giudiziaria deve altresì indicare gli eventuali limiti di utilizzabilità previsti dal nostro codice di procedura ( 19) . Le due norme in esame trovano applicazione solo quando gli accordi internazionali prevedono la possibilità di derogare al principio del locus regit actum (20) Infine, un'ulteriore ipotesi di inutilizzabilità è prevista dal comma l -ter dell'art. 729 c.p.p. (2 1 ) . Quest'ultima disposizione prevede che siano inutiliz zabili le dichiarazioni, da chiunque rese, aventi ad oggetto il contenuto degli atti assunti tramite rogatoria ma inutilizzabili ai sensi dei commi l e l -bis del medesimo articolo. La disposizione ha lo scopo di evitare che la sanzione dell'inutilizzabilità prevista dai primi due commi dell'art. 729 sia aggirata attraverso la trasposizione del contenuto dell'atto viziato in una dichiarazione da chiunque resa (22) . 3.
La partecipazione e l'esame " a distanza".
La legge n. 367 del 200 1 , nel nuovo art. 205-ter disp. att. , ha introdotto due nuovi istituti: la partecipazione al processo dell'imputato detenuto all'estero tramite videoconferenza e l'audizione, sempre col mezzo della videoconferenza, di testimoni o periti che si trovano all'estero (23 ) . L a partecipazione a distanza dell'imputato detenuto all'estero può aver (Roma, 9 novembre 1982; legge n. 224 del 1984) dispone che << la richiesta sarà eseguita in conformità con le disposizioni del presente Trattato e con le leggi dello Stato richiesto. Si dovranno osservare le modalità indicate nella richiesta, a meno che non siano vietate dalla legislazione dello Stato richiesto >>. ( 1 9) Spesso l'acquisizione di un atto tramite rogatoria aweniva in violazione di regole processuali il cui mancato rispetto, secondo la normativa interna, comportava l'inutilizzabilità dell'atto stesso. Ciò si è verificato ad esempio quando si richiedeva all'estero l'audizione di un imputato in processo connesso o collegato; molte volte l'autorità straniera deduceva che la persona da sottoporre ad esame era da considerarsi teste, con la conseguenza che la sua audizione aweniva senza le garanzie riconosciute a tale soggetto dal nostro ordinamento, prima fra tutte il diritto ad una difesa tecnica (sull'argomento si veda amplius E. SELVAGGI , Noi e gli altri, cit., 1392). A tale proposito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 379 del 1995, aveva affermato che << se è vero che l'atto probatorio assunto all'estero non può che essere espletato nelle forme proprie dello Stato richiesto, ove sono ovviamente inapplicabili le regole processuali proprie dello Stato richiedente, occorre tuttavia distinguere tra norme che regolano l'assunzione della prova e norme che ne disciplinano l'utilizzazione », con la conseguenza che il giudice italiano potrà procedere alla valutazione dell'eventuale contrarietà ai princìpi fondamentali ed alle norme interne di procedura dell'atto assunto con rogatoria, accertando di volta in volta se l'atto possa essere utilizzato. Pertanto la norma in parola, se correttamente applicata, si presume consentirà una maggiore utilizzabilità delle rogatorie svolte all'estero. (20) Sull'argomento si veda amplius, D. CARCANO, L'irregolarità dello Stato estero blocca la prova, in Guida dir. , 2001 , 42, 55 ss. (2 1 ) Anche questa ipotesi di inutilizzabilità è stata introdotta con la legge n . 367 del 200 1 . (22) Cfr., ancora D . CARCANO, L'irregolarità dello Stato, cit., 56. Sulle problematiche legate a questo tema si veda amplius, M. PISANI, Rogatorie internazionali e (23) videoconferenze, in Riv. dir. proc. , 2002, 981 ; B. PIAITOLI, Videoconferenze e cooperazione nel processo penale, Milano, 2005.
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luogo ogni volta che non sia possibile il suo trasferimento sul territorio italiano. Primo presupposto per l'attuazione della partecipazione a distanza dell'impu tato è che tale istituto sia previsto dagli accordi internazionali. In secondo luogo è necessario che l'imputato presti il proprio consenso a tale forma di partecipazione. Tuttavia, qualora quest'ultimo non dia il consenso al collega mento audiovisivo o rifiuti di assistere, la sola detenzione dell'imputato all'estero non può essere considerata come legittimo impedimento a parteci pare al processo ai sensi dell'art. 420-ter c.p.p. e, quindi, non comporta alcun rinvio del processo stesso (24 ) . Infine, quale ulteriore condizione per lo svolgimento della partecipazione dell'imputato al processo tramite collega mento audiovisivo, lo Stato estero deve assicurare la presenza di un difensore, garantendo la possibilità per lo stesso difensore di colloquiare riservatamente con il proprio assistito. Lo Stato estero deve altresì assicurare la presenza di un interprete qualora l'imputato non conosca la lingua del luogo in cui l'atto è compiuto o quella usata per rivolgergli le domande. Per quanto non espressamente disciplinato trova applicazione la regolamentazione disposta dall'art. 146-bis disp. att. c.p.p. Altro istituto previsto dal nuovo art. 205-ter disp. att. è l'audizione di un testimone o di un perito attraverso collegamento audiovisivo. In tal caso l'audi zione si svolge secondo le modalità ed i presupposti stabiliti dagli accordi inter nazionali (25 ) . I delitti commessi nel corso di una rogatoria all'estero tramite l'uso di collegamento audiovisivo sono sanzionati in virtù del nuovo art. 3 84-bis c.p.; quest'ultima norma stabilisce che il rifiuto di atti legalmente dovuti, la simula zione di reato, la calunnia, la autocalunnia, le false informazioni al pubblico ministero, la falsa perizia o interpretazione compiuti in occasione di un colle gamento audiovisivo nel corso di rogatoria all'estero si considerano commessi nel territorio dello Stato italiano e pertanto sono puniti secondo il nostro ordinamento (26) . 4.
Il riconoscimento degli effetti delle sentenze penali straniere. li codice di procedura penale al titolo IV capo I disciplina due tipi di
(24) Tuttavia qualora la detenzione all'estero sia conseguente alla domanda di estradizione presentata dallo Stato italiano, questa costituisce legittimo impedimento a comparire nel procedimento pendente in Italia nei suoi confronti e preclude, pertanto, la celebrazione del giudizio in contumacia, a nulla rilevando che egli non abbia prestato consenso all'estradizione, in quanto dall'esercizio del relativo diritto non può derivargli, nel predetto procedimento, alcun pregiudizio; in tal senso Cass. pen., sez. un., 26 marzo 2003, Caridi, n. 2 1035, in Cass. pen., 2003 , 2549. (25) Anche in questo caso, per quanto non espressamente previsto si rinvia alla disciplina predisposta dalle norme già vigenti in tema di esame a distanza (an. 147-bis disp. att. c.p.p.) . (26) Sull'argomento s i veda amplius, Z. SECCHI, Il detenuto oltre confine, cit., 60 e ss.
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riconoscimento degli effetti delle sentenze penali straniere: quello ai sensi dell'art. 12 c.p. e quello a norma dei trattati internazionali (27 ) . L'art. 12 del codice penale prevede l a possibilità d i riconoscere effetti alle sentenze penali straniere solo per le seguenti finalità: a) per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna, ovvero per dichiarare l'abitualità, la professionalità o la tendenza a delinquere; b) per infliggere una pena accessoria; c) per applicare misure di sicurezza personali; d) per le restituzioni, il risarcimento del danno o altri effetti civili. Tali effetti possono trovare applicazione nei confronti sia di cittadini italiani, sia di cittadini stranieri o apolidi residenti in Italia, sia di persone nei cui confronti vi è un procedimento penale nello Stato italiano. Lo stesso art. 12 c.p. stabilisce alcuni limiti al riconoscimento delle sentenze straniere; in primo luogo, queste devono avere ad oggetto un delitto (art. 12, comma l c.p.). Inoltre, la sentenza deve essere stata pronunciata dall'autorità giudiziaria di uno Stato con il quale l'Italia ha un trattato di estradizione o, in subordine, vi deve essere la richiesta del ministro della Giustizia o l'istanza per il riconoscimento degli effetti civili della sentenza straniera (art. 12, comma 2, n. 4 c.p.) (28). Il ministro della Giustizia, quando riceve la richiesta di riconoscimento degli effetti di una sentenza da parte dello Stato estero, la trasmette senza ritardo al procuratore generale presso la corte d'appello competente ai sensi dell'art. 730, comma l c.p.p. , insieme agli atti che vi sono allegati. Il procuratore generale, se si tratta del riconoscimento degli effetti di cui ai n. l , 2 e 3 del comma l dell'art. 12 c.p. (29) , promuove il procedimento di riconoscimento della sentenza straniera con apposita richiesta alla corte d'appello (3 0). La richiesta deve contenere la specificazione degli effetti per cui si chiede il riconoscimento. Quando il procuratore generale è informato dall'autorità stra niera, anche tramite il ministero della Giustizia, dell'esistenza di una sentenza penale di condanna pronunciata all'estero, ne richiede la trasmissione all'auto-
(27)
M.R. MARcHETIT, Valore ed effetti della sentenza penale straniera, in Dig. disc. pen., XV, Torino,
1999, 179.
(28) Accanto a questi limiti previsti per il riconoscimento degli effetti delle sentenze straniere secondo l'art. 12 c.p., ve ne sono altri che valgono anche per il riconoscimento delle sentenze straniere in base ai trattati internazionali, previsti dall'art. 733 c.p.p. (29) Si tratta dei seguenti casi: a) per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna owero per dichiarare l'abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere; b) quando la condanna importerebbe, secondo la legge italiana, una pena accessoria; c) quando, secondo la legge italiana, si dovrebbe sottoporre la persona condannata o prosciolta, che si trova nel territorio dello Stato, a misure di sicurezza personali. (30) A tale scopo, anche a mezzo del ministro della Giustizia, può richiedere all'autorità straniera opportune informazioni.
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rità giudiziaria straniera, ai fini del riconoscimento degli effetti di cui ai commi l , 2 , 3 dell'art. 12 c.p. (art. 730, comma 2-bis c.p.p.) (3 1 ) . S e si tratta degli effetti civili di cui al n. 4 , comma l , dell'art. 12 c.p. (32) è necessaria la domanda dell'interessato (artt. 732 e 741 c.p.p.). La corte d'appello decide in camera di consiglio ai sensi dell'art. 127 c.p.p. con sentenza nella quale enuncia espressamente gli effetti che conseguono al riconoscimento. La predetta sentenza è ricorribile in cassazione da parte del procuratore generale e dell'interessato. Non è invece menzionato espressamente il difensore dell'interessato; nondimeno sembra possibile ritenere che egli sia legittimato ad impugnare anche sulla base dell'elaborazione giurisprudenziale relativa al codice abrogato, che gli riconosceva tale diritto, seppure con riferi mento alla diversa disciplina degli incidenti di esecuzione (33 ). Il riconoscimento delle sentenze penali straniere può avvenire anche a norma delle disposizioni dei trattati internazionali (art. 73 1 c.p.p.), quando si vuole che tali sentenze producano effetti diversi o ulteriori rispetto a quelli indicati nell'art. 12 c.p. (34). In tali casi al ministro della Giustizia spetta una preventiva valutazione sulla richiesta di riconoscimento, al fine di verificare se la sentenza straniera debba avere esecuzione in Italia o se comunque ad essa debbano essere attribuiti effetti a norma di un determinato accordo internazionale; se tale controllo ha esito favorevole, il guardasigilli trasmette al procuratore generale la richiesta di riconoscimento unitamente alla relativa documentazione (35). Esistono limiti al riconoscimento delle sentenze penali straniere secondo gli
(3 1 ) TI comma 2-bis dell'art. 730 c.p.p. è stato inserito con la legge n. 367 del 200 1 . L'innovazione in esame ha lo scopo di far convogliare alle procure generali competenti le notizie riguardanti sentenze di condanna all'estero di cittadini italiani ricevute dal ministero della Giustizia. Infatti a livello europeo, soprattutto in forza sia della Convenzione europea di mutua assistenza del 1959 sia del protocollo aggiuntivo alla stessa convenzione del 1978, pervengono al ministero della Giustizia dei "bollettini" inviati dalle autorità straniere ed aventi come contenuto estratti di sentenze penali di condanna pronunciate all'estero nei confronti di cittadini italiani. Sull'argomento si veda E. CALVANESE, Procedura ad hoc per richiedere le sentenze penali, in Guida dir., 200 1 , 42, 55. (32) Quando la sentenza straniera condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno, ovvero deve, comunque, esser fatta valere in giudizio nel territorio dello Stato, agli effetti delle restituzioni o del risarcimento del danno, o ad altri effetti civili. (33) V., in proposito, P. PnTARO, sub art. 734, in Commento al nuovo c.p.p., coord. da M. CHIAVARlO, VI, Torino, 199 1 , 834. (34) La materia è regolata anche dalla legge 3 luglio 1989, n. 278, contenente le « disposizioni per l'attuazione di convenzioni internazionali aventi ad oggetto l'esecuzione delle sentenze penali straniere », con la quale sono state ratificate le seguenti convenzioni: la convenzione europea per la sorveglianza di persone condannate o liberate con la condizionale ( 1 964); la convenzione sul trasferimento delle persone condannate ( 1 983 ); il trattato di cooperazione per l'esecuzione delle sentenze penali tra Italia e Thailandia ( 1 984). (35) Con l'art. 7 della legge 9 agosto 1993 , n. 328 (c.d. normativa anti-riciclaggio) è stato aggiunto all'art. 73 1 c.p.p. il comma 1-bù, in base al quale le disposizioni sul riconoscimento delle sentenze straniere secondo i trattati internazionali si applicano << anche quando si tratta dell'esecuzione di una confisca ed il relativo provvedimento è stato adottato dall'autorità straniera con atto diverso dalla sentenza di condanna >>.
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accordi internazionali che vigono anche per il riconoscimento operato in base all'art. 12 c.p. Infatti non può procedersi al riconoscimento qualora: a) la sentenza non è diventata irrevocabile secondo le leggi dello Stato in cui è stata pronunciata; b) la sentenza contiene disposizioni contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano; c) la sentenza non rispetta i princìpi del "giusto processo" , non essendo stata pronunciata da un giudice indipendente ed imparziale ovvero quando non è stato rispettato il diritto di difesa dell'imputato (non essendogli stato ricono sciuto il diritto ad avere un difensore) o il diritto al contraddittorio del medesimo (non permettendogli di comparire in giudizio davanti all'autorità straniera o di essere interrogato in una lingua a lui comprensibile); d) se vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni discrimina torie o persecutorie abbiano influito sullo svolgimento o sull'esito del processo; e) se il fatto oggetto della sentenza non è previsto come reato dalla legge italiana (in base al principio della doppia incriminazione); /) se per lo stesso fatto nei confronti della stessa persona è già stata pronunciata sentenza irrevocabile nel nostro Stato o è in corso nel medesimo un procedimento penale (in virtù del principio del ne bis in idem) ; g ) agli effetti della esecuzione della confisca, l a sentenza straniera non può essere riconosciuta se « ha per oggetto beni la cui confisca non sarebbe possibile secondo la legge italiana qualora per lo stesso fatto si procedesse nello Stato » (si veda in proposito l'art. 240, comma 3 e 4 c.p.p . ) , salvo i casi previsti dall'art. 735-bis c.p.p. (confisca consistente nella imposizione del pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore del prezzo, del profitto o del prodotto di un reato) (3 6) . Particolare rilevanza ha inoltre l'art. 739 c.p.p. che, in conformità al principio del ne bis in idem, stabilisce il divieto sia di estradizione, sia di nuovo procedimento per lo stesso fatto nei confronti della persona condannata con la sentenza straniera riconosciuta. L'esecuzione conseguente al riconoscimento è disciplinata dagli artt. 738 e 740 c.p.p. Le altre norme dello stesso capo contengono disposizioni funzionali all'esecuzione delle sentenze straniere: le norme sulla determinazione della pena (art. 735 c.p.p . ) , che avviene in base a criteri identici a quelli previsti dagli artt. 133, 133 -bis, 133-ter c.p.; la disciplina di un particolare tipo di confisca che consiste nella imposizione del pagamento di una somma di denaro corrispon dente al valore del prezzo, profitto, prodotto del reato (art. 735-bis c.p.p.) ; la normativa sulle misure coercitive applicabili a quel condannato con sentenza straniera che si trova nel nostro territorio (art. 736 c.p.p.), nonché quella (36)
Articolo introdotto con la legge 9 agosto 1993 , n. 328 (c.d. normativa anti-riciclaggio) .
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riguardante i sequestri di beni assoggettabili a confisca (art. 737 c.p.p.); infine, la disciplina sulle indagini ed il sequestro ai fini della confisca nei casi previsti da specifici accordi internazionali (art. 737-bis c.p.p.). 5.
L'esecuzione all'estero di sentenze penali italiane.
L'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane è condizionata dalla disciplina esistente nei singoli Paesi stranieri ed anche dagli accordi internazio nali. Si tratta di un istituto che può essere alternativo sia rispetto all'esecuzione dell'estradizione quando « il condannato si trova nel territorio dello Stato richiesto e l'estradizione è stata negata o non è comunque possibile » (art. 742, comma 3 c.p.p.), sia alla sua sospensione (art. 709, comma 2 c.p.p.) (37 ) . li nostro ordinamento stabilisce alcuni limiti all'esecuzione all'estero di una sentenza penale di condanna restrittiva della libertà personale, in quanto quest'ultima può essere richiesta solo se « il condannato, reso edotto delle conseguenze », vi acconsente liberamente (38) e se l'esecuzione all'estero è comunque idonea a favorire il reinserimento sociale del reo (art. 742, comma 2 c.p.p.) (3 9). L'iniziativa per chiedere l'esecuzione all'estero della sentenza penale ita liana spetta al ministro della Giustizia, il quale deve attivare il procedimento presso la corte d'appello, nel cui distretto è stata emessa la sentenza di condanna, attraverso la trasmissione dei relativi atti al procuratore generale. Questi, a sua volta, promuove il procedimento di fronte alla corte d'appello che delibera con sentenza in camera di consiglio. La corte deve accertare se vi sono tutti i presupposti previsti dalla legge per l'esecuzione all'estero della sentenza italiana, ed in particolare: se sussiste il consenso dell'interessato, quando questo è richiesto; se l'esecuzione della pena all'estero risulti idonea al reinserimento sociale del reo; se non vi sia motivo per ritenere che il condannato venga sottoposto ad atti persecutori o discriminatori. La sentenza della corte d'appello è soggetta a ricorso in cassazione da parte del procuratore generale e dell'interessato. In mancanza di decisione favorevole, il ministro della Giustizia non può chiedere l'esecuzione della sentenza all'estero. n ministro può anche richiedere, in virtù dell'art. 745 c.p.p., sia l'applica zione di una misura cautelare (qualora la sentenza di condanna da eseguire (37) Sull'istituto, v. P. LASZLOCZKY, L'esecuzione extraterritoriale del giudicato secondo il nuovo codice di procedura penale, in Indice pen., 1 99 1 , 70; R Fms, Esecuzione all'estero della sentenza penale italiana, in Dig. disc. pen., Appendice, Torino, 2000, 252. (38) Il consenso deve essere prestato di fronte all'autorità giudiziaria italiana; se il condannato si trova all'estero il consenso è rilasciato all'autorità consolare italiana o all'autorità giudiziaria dello Stato estero (art. 743 , comma 3 c.p.p.). (39) L'unica eccezione a queste condizioni è prevista dall'art. 742, comma 3 c.p.p., quando il condannato si trova nel territorio dello Stato richiesto e l'estradizione non è possibile.
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preveda l'applicazione di una pena detentiva), sia l'esecuzione di un sequestro (quando la richiesta di esecuzione abbia per oggetto una confisca o quando, nei casi previsti dagli accordi internazionali, venga domandato lo svolgimento di indagini per l'identificazione e la ricerca di beni che si trovano all'estero) . Sono, inoltre, previste misure volte a d evitare una duplicazione nell'esecu zione della pena (art. 746 c.p.p . ) . 6.
L'efficacia preclusiva della sentenza penale straniera. Il n e bis in idem internazionale.
L'argomento che ci accingiamo a trattare si pone a mezza strada tra il tema della cooperazione giudiziaria internazionale e quello, più generale, del giudi cato penale e dei suoi effetti. Come è noto, quasi tutti gli ordinamenti ricono scono il principio del ne bis in idem nei rapporti processuali interni. In base al nostro codice un imputato, che sia stato giudicato definitivamente, non può essere sottoposto a successivi procedimenti penali per il medesimo fatto storico neppure quando questo venga diversamente considerato per il titolo, il grado e le circostanze (art. 649) (v. Parte VI, cap. l , § 4). In ambito internazionale il principio del ne bis in idem non gode, tuttavia, della stessa rilevanza che assume in ambito interno (40), perché ciascun ordinamento giuridico è autonomo ed indipendente rispetto agli altri; pertanto, alla luce dell'attuale diritto internazionale consuetudinario, la sentenza penale definitiva pronunciata all'estero non costituisce una preclusione a procedere in un altro Stato. Le Convenzioni che riconoscono il ne bis in idem. Se questo è vero in teoria, occorre altresì tenere presente che l'esigenza di garantire il reo da una pluralità di giudizi per il medesimo reato ha portato all'adozione di numerose Convenzioni che riconoscono il principio del ne bis in idem in ambito interna zionale (4 1 ) . A questo riguardo, parte della dottrina distingue diverse categorie di trattati a seconda che contengano una previsione generale del principio quale (40) li principio del ne bis in idem internazionale non è al momento considerato quale principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto. In questo senso si è espressa la Corte costituzionale nella sentenza n. 48 del 18 aprile del 1967, in Giur. cast., 1 967 p. 3 0 1 ss., con nota di M. CHIAVARlO, La compatibilità del ne bis in idem previsto dall'art. 1 1 comma primo c.p. con il diritto internazionale generalmente riconosciuto. Inoltre, con la decisione del 2 novembre 1987, lo stesso Comitato dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite ha precisato che il divieto del ne bis in idem, espresso all'art. 14, par. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici di New York, considera esclusivamente << i rapporti interni tra le decisioni giudiziarie di un medesimo Stato e non tra quelle di Stati diversi >>, in Ind. pen., 1988, p. 124 ss. (4 1 ) Tra i più importanti accordi, che disciplinano il principio del ne bis in idem a livello internazio nale, si segnalano: la Convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord Atlantico sullo statuto delle loro forze armate, firmata a Londra nel 1 95 1 ; la Convenzione unica sugli stupefacenti del 1 96 1 ; la Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi del 1970; la Convenzione europea sul trasferimento dei procedimenti penali del 1972.
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condizione di improcedibilità O\'Yero ne ricolleghino gli effetti in rapporto a specifici istituti del diritto penale internazionale (42 ) . Per quanto concerne l'Europa, l'art. 5 4 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen [CAAS] stabilisce che una persona giudicata con sentenza definitiva in uno Stato aderente alla citata convenzione non può essere sottoposta a procedimento penale, per i medesimi fatti, in un altro Paese contraente (43 ) . In forza di questa disposizione, pertanto, nel contesto politico-geografico di Schengen una sentenza definitiva emessa dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro gode di un'efficacia preclusiva analoga a quella della sentenza irrevo cabile pronunciata da un giudice nazionale. Merita comunque notare che l'art. 54 della Convenzione non equipara propriamente il giudicato interno ed estero per quanto concerne il divieto di bis in idem; la disposizione in discorso, piuttosto, obbliga gli Stati membri della Convenzione ad attribuire alla sentenza estera una determinata efficacia preclusiva, uguale per tutti gli Stati ed oggetto di interpre tazione da parte della Corte di giustizia, ma non necessariamente corrispondente all'efficacia negativa del giudicato sancita dai sistemi processuali nazionali. Per completezza occorre ricordare che il riconoscimento del principio del ne bis in idem in ambito europeo è significativo per la costruzione di uno spazio giudiziario unitario e rappresenta indubbiamente una garanzia per la libera circolazione delle persone. Ciononostante, vi sono numerosi problemi interpre tativi legati al significato da attribuire a concetti quali "identità del fatto" ovvero "sentenza definitiva" di cui all'art. 54 [CAAS] . La nozione di sentenza definitiva. Di recente, la Corte di giustizia delle Comunità europee - con alcune importanti sentenze rese a titolo pregiudiziale ex art. 35 TUE (44) - ha fornito una interpretazione della nozione di " sentenza definitiva" ai fini dell'applicazione dell'art. 54 [CAAS] . In primo luogo, nella nozione di "decisione finale" devono essere compresi anche i provvedimenti emessi a seguito di "mediazione penale" (45 ) . Si tratta (42) Per questa distinzione si veda N. GALANTINI, Evoluzione del principio del ne bis in idem europeo tra norme convenzionali e norme interne di attuazione, in Dir. pen. proc. , 2005, n. 12, 1567. (43 ) Si riporta di seguito il testo dell'art. 54 della Convezione di applicazione di Schengen: << una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un'altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita >>. (44) Per quanto concerne la competenza pregiudiziale della Corte di giustizia delle Comunità europee sancita dall'art. 35 del TUE, cfr., tra i molti, L. SALAZAR, Il principio del ne bis in idem all'attenzione della Corte di Lussemburgo (1), in Dir. pen. proc. , 2003 , 906 ss. (45) Cfr., Corte di giustizia delle Comunità europee, 1 1 febbraio 2003 , Goziitok e Brugge. Molteplici sono i commenti a questa decisione; tra i tanti si veda: A. CIAMPI, La nozione di "persona giudicata con sentenza definitiva" e le "condanne patteggiate" in In t'l Lis, supplemento di documentazione e discussione sul diritto giudiziario internazionale, fase. 3 -4 , 2003 , 1 15 e ss.
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delle decisioni con le quali il pubblico ministero dispone la chiusura di un procedimento penale senza l'intervento di un giudice mediante un accordo con l'imputato ed a seguito dell'adempimento degli obblighi previsti dalla legge. In secondo luogo, non può rientrare nel concetto di " sentenza definitiva" la decisione dell'autorità giudiziaria di uno Stato membro « che dichiara chiusa una causa dopo che il Pubblico Ministero ha deciso di non proseguire l'azione penale per il solo motivo che è stato avviato un procedimento penale in un altro Stato membro a carico dello stesso imputato e per gli stessi fatti, senza alcuna valutazione nel merito » (46) . In terzo luogo, il divieto di doppio processo opera anche nei casi di sentenze definitive di assoluzione per insufficienza di prove. Ed invero, secondo la Corte, non solo l'art. 54 della CAAS non fa alcun riferimento al contenuto della sentenza passata in giudicato, ma nei casi di assoluzione per insufficienza probatoria la pronuncia giudiziale si fonda comunque su una valutazione nel merito dei fatti oggetto di giudizio (47) . Infine, il principio del n e bis in idem trova applicazione anche nel caso di sentenza definitiva di assoluzione per prescrizione del reato che ha dato luogo al procedimento penale (48). La nozione di "medesimi fatti". La Corte di giustizia delle Comunità europee ha affermato che il significato di "identità dei fatti" di cui all'art. 54 CAAS deve essere « inteso come esistenza di un insieme di accadimenti inscindibilmente collegati tra loro, indipendentemente dalla qualificazione giu ridica degli stessi o dell'interesse giuridico tutelato » (49). Pertanto, data l'assenza di una armonizzazione delle legislazioni penali nazionali, ai fini dell'applicazione del ne bis in idem europeo occorre fare riferimento al concetto di "identità dei fatti materiali" e non alla fattispecie astratta di reato (50). (46) Così la Corte di giustizia delle Comunità europee nella sentenza del lO marzo 2005, Miraglia, in Dir. pen e proc., 2005, 1 17 1 e ss., con nota di A. FABBRJCATORE, Il ne bis in idem e Corte di giustizia: ancora un chiarimento sulla nozione di "sentenza definitiva". (47) Cfr. la sentenza della Corte di giustizia del 28 settembre 2006, Van Straaten. La sentenza è pubblicata in Guida dir. , 2006, n. 44, 90, con un commento di M. CASTELLANETA, La Corte di giustizia europea rafforza il garantismo del principio. (48) Sentenza della CGCE del 28 settembre 2006, Gasparini, in Guida dir. , n. 44, 2006, 96 ss. con commento di M. CASTELLANETA, La Corte di giustizia europea, cit. (49) Sentenza della CGCE del 9 marzo 2006, Van Esbroeck, dove al par. 34 si evidenzia come il diritto alla libera circolazione nello spazio Schengen << è efficacemente tutelato soltanto qualora l'autore di un reato sappia che, una volta condannato e scontata la pena - o, se del caso, una volta definitivamente assolto in uno Stato membro -, può circolare all'interno dello spazio Schengen senza dover temere di essere perseguito in un altro Stato membro nel cui ordinamento giuridico tale atto integri una distinta infrazione >>. Sul punto, cfr. R. CAL6, Ne bis in idem. L'art. 54 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen tra garanzùz dei diritti dell'uomo ed istanze di sovranità nazionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1 120. (50) Questa interpretazione particolarmente ampia del sintagma "medesimi fatti" contenuto nell'art. 54 CAAS è stata ribadita dalla Corte in una serie di pronunce successive. In particolare, nella sentenza 28 settembre 2006, Van Straaten, i giudici del Lussemburgo, dopo aver evidenziato che la valutazione definitiva in merito all'identità dei fatti oggetto dei due procedimenti spetta << ai giudici nazionali competenti, che
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La c.d. condizione dell'esecuzione. L'art. 54 CAAS subordina l'efficacia del ne bis in idem alla « condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita ». Pertanto, la pre clusione opera anche quando un imputato, conformemente al diritto dello Stato che per primo è addivenuto ad una condanna, è stato condannato ad una pena detentiva condizionalmente sospesa; di contro la pena inflitta non può conside rarsi " eseguita" né " in corso di esecuzione" « quando l'imputato è stato posto brevemente in stato di arresto di polizia e/o di custodia cautelare e quando, secondo il diritto dello Stato di condanna, di tale privazione della libertà si deve tener conto nell'esecuzione successiva della pena detentiva » (5 1). I n conclusione, il principio del ne bis in idem europeo, sancito dall'art. 54 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen [CAAS] , ha contribuito a creare in Europa un'area giudiziaria comune. In relazione a tale area, il giudice italiano non può rinnovare il giudizio nei confronti di colui che è già stato giudicato (52) . Ne bis in idem ed estradizione. li n e bis in idem internazionale non deve essere confuso con il ne bis in idem estradizionale. Questo principio, infatti, individua un limite all'estradizione, che deriva dall'esistenza di un precedente giudicato sul fatto che forma oggetto della domanda di consegna (53 ) . Il ne bis in idem estradizionale è riconosciuto dalla Convenzione europea di estradizione del 1 957 (art. 9) ed è presente nella Decisione quadro sul mandato di arresto europeo (artt. 3 , n. 2 e 4 , nn. 2 e 3 e 5) e nella legge italiana attuativa di questo (art. 18, comma l , lett. m e o). Il valore preclusivo della sentenza penale europea è stato riconosciuto - se pur ancora in via di principio - anche dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
debbono accertare se i fatti materiali di cui trattasi costituiscano un insieme di fatti inscindibilmente collegati nel tempo, nello spazio nonché per oggetto >>, hanno affermato che, per quanto concerne i reati relativi agli stupefacenti, ai fini dell'applicazione dell'art. 54 della Convenzione non è necessario che << siano identici i quantitativi di droga di cui trattasi nei due Stati contraenti interessati né i soggetti che si presume abbiano partecipato alla fattispecie nei due Stati >>. Inoltre, nella stesso dispositivo, la Corte ha statuito che, in via di principio, i fatti consistenti nell'esportazione ed importazione degli stessi stupefacenti in diversi Stati contraenti della Convenzione devono essere considerati "i medesimi fatti" ai sensi dell'art. 54 CAAS. Analoghe considerazioni sono state poi svolte dalla Corte nella sentenza 18 luglio 2007, Kretzinger, concernente il contrabbando di sigarette. Infine, nella sentenza 18 luglio 2007, Kraijenbrink, la Corte ha chiarito che per affermare l'esistenza dei "medesimi fatti" non è sufficiente che il giudice nazionale competente abbia accertato che detti fatti sono collegati dal medesimo disegno criminoso, poiché l'unico criterio rilevante ai fini dell'applicazione della preclusione processuale sancita dalla Convenzione è l'esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra di loro. (5 1 ) Cfr. l a sentenza della CGCE del 1 8 luglio 2007, Kretzinger. (52) Cfr. Cass., sez. I, 3 giugno 2004, Desiderio, e Cass., sez. V, 2 febbraio 2005, Boheim, entrambe in Cass. pen., 2006, 985 ss. (53) Sulla distinzione tra questi istituti, cfr. E. AMomo-O. DoMINION!, L'estradizione e il problema del ne bis in idem, in Riv. dir. matr., 1968, p. 362. 31
CAPITOLO III LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE NELL'AMBITO DEL CONSIGLIO D'EUROPA E DELL'UNIONE EUROPEA
SoMMARIO: l. Considerazioni generali.
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2. Le convenzioni del Consiglio d'Europa.
cooperazione giudiziaria nell'ambito dell'Unione europea.
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3 . La
4 . li mandato d'arresto
europeo.
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Considerazioni generali.
L'espressione " cooperazione internazionale in materia penale" individua l'at tività di collaborazione internazionale nella lotta contro il crimine. Per secoli l'estradizione ha rappresentato la forma principale di collaborazione tra Stati. A partire dal secondo dopoguerra la maturata consapevolezza del carattere tran snazionale della criminalità ha indotto, tuttavia, gli Stati ad elaborare nuovi e più sofisticati strumenti convenzionali aventi un carattere realmente multilaterale. Un ruolo centrale nel processo di ammodernamento e di sensibilizzazione verso i problemi legati alla giustizia penale è stato svolto dal Consiglio d'Europa. Parallelamente, a livello comunitario, i Trattati di Maastricht, di Amster dam e di Lisbona hanno posto come obbiettivo essenziale la creazione di uno "spazio giudiziario europeo" ( 1 ) . In campo penale questo implica il persegui mento di tre linee guida fondamentali (2) : a ) rafforzamento della lotta contro l e forme d i criminalità grave (crimi nalità organizzata, corruzione, traffico di droga e terrorismo) . b) Creazione di uno spazio comune di giustizia, mediante il progressivo mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. c) Riavvicinamento degli ordinamenti giuridici nazionali. ( l ) L'idea di creare uno "spazio giudiziario europeo" emerse già nel lontano 1977. Il presidente francese Giscard d'Estaing fu tra i primi a parlare di "espacejudiciaire unique". Per ulteriori approfondimenti R. DE GouiTES, De l'espace judiciare pénal européen à l'espace judiciare pan-européen, in Mélanges offerts à Georges Levasseur, Paris, 1992, 4 . (2) I l Consiglio europeo tenutosi a Tampere il 15, 16 ottobre 1999, ha segnato un passo importante nella creazione dello spazio giudiziario europeo. In tale sede i Capi di Stato e di Governo si sono impegnati a seguire delle linee di intervento prioritarie nella realizzazione di questo obbiettivo. Le conclusioni del vertice di Tampere sono pubblicate in Cass. pen., 2000, 302 e ss.
Vll.III.3 2.
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97 1
Le Convenzioni del Consiglio d'Europa.
Il Consiglio d'Europa è la più antica organizzazione intergovernativa europea, di cui fanno parte ben quarantacinque paesi. Si compone di due organi: il Co mitato dei Ministri e l'Assemblea parlamentare. Il Consiglio d'Europa, secondo quanto dispone l'articolo l dello Statuto istitutivo, ha come scopo quello di creare una maggiore unità tra i paesi membri, attraverso una progressiva armonizzazione dei rispettivi sistemi giuridici. All'interno del Consiglio d'Europa, la Commissione europea per i problemi criminali (CDPC) è deputata a svolgere compiti di ap profondimento e di ricerca nei settori del diritto, della procedura penale ed in generale nell'ambito dei problemi legati alla criminalità. Nel corso di circa quaranta anni il Consiglio d'Europa ha elaborato numerose convenzioni finalizzate al rafforzamento della cooperazione giudizia ria in materia penale, a cui si sono aggiunte altrettante risoluzioni e raccoman dazioni, volte all'interpretazione ed alla corretta applicazione di questo ingente corpo normativa. Nonostante l'importanza di tale contributo teorico, sul piano dell'effettività l'attuale sistema convenzionale risulta ancora carente. Molte convenzioni non sono state ratificate a causa del loro contenuto fortemente innovativo e della diffidenza dei paesi membri del Consiglio d'Europa ad apportare modifiche radicali alla propria legislazione interna (3 ) . Tra le più importanti convenzioni attualmente ratificate dal nostro paese ricordiamo: la Convenzione europea di estradizione del 1957, comprensiva dei Protocolli addizionali del 1975 e del 1 978; la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 1 959 ed il Protocollo del 1978; la Convenzione europea per la sorveglianza delle persone condannate e liberate con la condi zionale del 1 964; la Convenzione europea per la repressione del terrorismo del 1 977; la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 1983 ; la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi del reato del 1 990. 3.
La cooperazione giudiziaria nell'ambito dell'Unione europea.
I trattati di Maastricht, di Amsterdam e di Lisbona hanno aperto nuove prospettive in merito alle problematiche concernenti la sicurezza interna di ogni Stato. In particolare l'art. 29 TUE (ora art. 67 del testo consolidato) stabilisce che « l'Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei (3) Si veda M. PisANI-F. MoscONI, Codice delle convenzioni di estradizione e di assistenza giudiziaria in materia penale, 4• ed., Milano, 2004; S. BozzELLI-O. MAZZA, Codice di procedura penale europea, Milano, 2005. V. inoltre E. M. RAPPARD, Inter- State Cooperation in Pena! Matters within the Council ofEurope Framework, in M.C. BASSIOUNI, International Criminal Law, 2• ed., New York, 1999, 33 1-357.
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VII.IIIJ .a
diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri ». A tale scopo deve essere incremen tata una più stretta collaborazione tra le forze di polizia, tra le autorità giudiziarie degli Stati membri e, ove necessario, deve essere favorito il riavvici namento delle rispettive normative in materia penale. Sono stati adottati importanti provvedimenti volti a consentire un rafforzamento della coopera zione giudiziaria. Per ragioni sistematiche e di economia espositiva verrà dato atto solo di alcune tra le più importanti misure attualmente in vigore (4). a.
L'Accordo di Schengen e la sua integrazione nell'Unione.
L'Accordo di Schengen ha avuto origine da una serie di iniziative volte all'eliminazione delle frontiere interne tra alcuni paesi della Comunità europea. In proposito è opportuno ricordare, brevemente, come i primi anni '80 abbiano segnato l'inizio di un intenso dibattito sul concetto di "libera circolazione delle persone" . Per alcuni Stati la libera circolazione doveva riguardare esclusiva mente i cittadini europei. Da qui, la necessità di mantenere i controlli alle frontiere per distinguere tali soggetti da quelli provenienti da paesi terzi. In altri Stati si auspicava, al contrario, un riconoscimento della libertà di circolazione senza alcuna limitazione. Vista l'impossibilità di giungere ad un accordo in sede di Comunità europea, nel 1 985 , i Governi degli Stati dell'Unione Economica del Benelux, della Repubblica Federale di Germania e della Repubblica francese decisero di creare al loro interno un territorio senza frontiere, il c.d. " spazio Schengen" . Inizialmente, questo sistema si configurava come una dichiarazione di intenti tra i paesi firmatari. Conseguentemente fu necessario prevedere delle regole che ne consentissero la pratica attuazione: il 1 9 giugno 1 990 venne, perciò, stipulata una convenzione che ha concretamente permesso di abolire le frontiere interne tra gli Stati firmatari ed ha creato, nel contempo, un'unica frontiera esterna, lungo la quale i controlli sono effettuati secondo procedure identiche. In seguito, altri Stati comunitari hanno aderito a questo Accordo. li Trattato di Amsterdam ha inserito ufficialmente lo spazio Schengen, unitamente (4) Per il testo delle Convenzioni e lo stato delle ratifiche, si veda M. PrsANI-F. MoscoNI, Codice delle convenzioni di estradizione e di assistenza giudiziaria in materia penale, cit.; S. Buzzau-0. MAzzA , Codice di procedura penale europea, cit. Per un quadro generale delle problematiche, si veda M. PISANI, Il « processo penale europeo »: problemi e prospettive, in Riv. dir. proc., 2004, 653; AA.Vv., Equo processo: normativa italiana ed europea a confronto, a cura di L. FILIPPI, Padova, 2006; M. BARGIS, Studi di dir. proc. penale, vol. Il, Questioni europee e "ricadute" italiane, Torino, 2007; E. APRILE, Diritto processuale penale europeo e internazionale, Padova, 2007; AA.Vv., Prova penale e Unione europea, a cura di G. ILLUMINATI, Bologna, 2009; G. UBERTIS, Principi di procedura penale europea, 2 ed., Milano, 2009.
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alle misure costituenti il c.d. acquis comunitario, nel quadro giuridico istituzio nale dell'Unione europea. Alla soppressione dei controlli alle frontiere interne si sono aggiunte una serie di misure c.d. " compensative" , volte a bilanciare il " deficit di sicurezza" in conseguenza della maggiore libertà di circolazione. L'Accordo di Schengen ha previsto, a tale scopo, un quadro articolato di misure di cooperazione giudizia ria. T ali misure sono divise in quattro diversi capitoli, relativi all'assistenza giudiziaria in materia penale (artt. 48-53 ) , all'applicazione del principio del ne bis in idem (artt. 54-58) , all'estradizione (artt. 59-66) ed alla trasmissione delle sentenze penali (artt. 67-69).
b. D Sistema di informazione Schengen. La più rilevante novità introdotta da Schengen riguarda, tuttavia, il Sistema di Informazione Schengen (S.I.S.) . Si tratta di una banca dati che ha lo scopo di garantire, tramite un meccanismo di segnalazioni, che determinati soggetti non possano circolare liberamente all'interno del territorio europeo. Esso si com pone di una direzione centrale situata a Strasburgo (C-SIS) e tante sezioni nazionali (N-SIS) aventi sede in ogni Stato. Queste operano secondo un sistema c.d. "a stella" , nel quale i dati inseriti sono trasmessi in senso orizzontale. L'informazione, una volta immessa nel sistema da parte di un'autorità nazionale, transita attraverso un'unità centrale per essere successivamente messa a dispo sizione degli altri Stati, senza che avvenga alcuna rielaborazione del dato (5) . L a funzione principale del sistema consiste nel facilitare i contatti tra le forze di polizia in occasione dell'arresto di una persona. In pratica tutte le volte che viene effettuato un controllo sul territorio, la questura (o altra forza di polizia) è tenuta a verificare, tramite il proprio terminale, se il soggetto interessato risulta segnalato nel SIS ed il motivo di detta segnalazione. Ogni sezione nazionale del SIS è emanazione di un ufficio che è denominato " Sirene" ed è collegato con una centrale a Strasburgo. Il S.I.S. consente alle autorità competenti, attraverso una procedura d'in terrogazione automatizzata, di disporre delle segnalazioni di persone ed oggetti, inseriti in occasione di controlli alle frontiere, verifiche e altri controlli di polizia e doganali, effettuati all'interno del paese come quelli eseguiti ai fini della procedura della concessione di visti, del rilascio dei documenti di soggiorno e dell'amministrazione degli stranieri (6). Il Sistema di Informazione Schengen è disciplinato dalla Convenzione di Applicazione degli Accordi di Schengen (C.A.A.S.), la quale prevede la possi(5) A. MARANDOLA, I sistemi centralizzati di informazione nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria, relazione all'Incontro di Studi su "Protezione dei dati personali e processo penale", Trieste 3 -4 aprile 2008. (6) Art. 92 C.A.A.S.
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bilità di disporre una segnalazione relativamente ad una persona o un oggetto. Nel primo caso, la segnalazione può essere inserita per le finalità espressamente indicate dalla Convenzione, ovvero: persone ricercate per l'arresto ai fini di estradizione (art. 95 C.A.A.S.); cittadini di stati terzi al fine della non ammis sione degli stessi nel territorio europeo (art. 96 C.A.A.S.); persone scomparse o coloro che devono essere poste sotto protezione per garantire la loro sicurezza o prevenire minacce (art. 97 C.A.AS . ) ; comunicazione del luogo di soggiorno o del domicilio (art. 98 C.A.A.S.) (7) applicazione della c.d. "sorveglianza di screta" (art. 99 C.A.A.S.) (8). Il Sistema fornisce in tempo reale indicazioni circa l'azione che l'autorità procedente dovrà tenere nei confronti della persona segnalata. Soltanto nei casi di cui all'art. 95 C.A.A.S. tale autorità potrà procedere all'arresto una volta sentita la persona interessata e previa comuni cazione all'autorità richiedente. Nelle altre ipotesi il comportamento da tenere consisterà rispettivamente nel negare l'ingresso al cittadino straniero; comuni care il luogo di soggiorno della persona scomparsa e dei soggetti di cui all'art. 98 C .A.A.S.; consegnare all'ufficiale di polizia giudiziaria il soggetto da porre sotto protezione; raccogliere e trasmettere tutte le informazioni utili all'autorità richiedente nei casi di " sorveglianza discreta" (9). Il Sistema di Informazione Schengen ha conosciuto negli anni un grande sviluppo. Adottato inizialmente da soli cinque Stati, si è ulteriormente esteso alla maggior parte dei paesi membri dell'Unione anche attraverso la sua integrazione nel Trattato sull'Unione Europea. Questo incremento, su cui ha inciso ulteriormente l'adesione di nuovi Stati alla Comunità europea avvenuta nel 2004, unita all'impulso dettato dalle nuove esigenze di una più efficace lotta contro il terrorismo e la criminalità transnazionale, ha spinto il legislatore comunitario alla creazione di un sistema di "seconda generazione" . n S.I.S. II è stato istituito con il Regolamento del Consiglio n. 2424 del 2001 e successivamente modificato dai Regolamenti n. 1 987 e 1988 del 2006, nonché dalla Decisione 2001/886/GAI ( 10), ma è con la Decisione del Consiglio 533/2007/GAI che il Sistema di Informazione Schengen di seconda generazione trova una disciplina compiuta. Gli elementi di novità del S.I.S. II attengono (7) Quando si tratta: a) di testimoni e persone citate a comparire davanti all'autorità giudiziaria per rispondere di fatti che sono stati loro ascritti; b) di persone a cui deve essere notificata una sentenza penale o una richiesta di presentarsi per l'esecuzione di una pena privativa della libertà. (8) Ciò awiene: a) qualora esistano indizi concreti che facciano supporre che la persona in questione intende commettere o commette numerosi fatti punibili di estrema gravità; b) qualora la valutazione globale dell'interessato, sulla base dei reati commessi, faccia supporre la reiterazione da parte del soggetto. (9) Con riferimento alle segnalazioni di veicoli ed oggetti la Convenzione prevede due diversi tipi di controlli. Da un lato è possibile operare, anche nel caso di veicoli, la "sorveglianza discreta" di cui sopra. Dall'altro lato, l'art. 100 C.A.A.S. prevede anche un altro tipo di segnalazione comune sia ai veicoli che ad altri oggetti. Lo scopo perseguito in questo caso è la ricerca ai fini di sequestro o di prova in un procedimento penale. ( 10) Come modificata dalla Decisione 2006/1007/GAI.
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principalmente all'introduzione di nuove categorie di dati, alle modalità di utilizzo delle segnalazioni e al diritto di accesso ai dati. Con riferimento al primo aspetto, tra le informazioni relative alle persone segnalate compaiono adesso anche i dati biometrici ( 1 1 ) . In particolare, l'art. 22 limita l'utilizzo di fotografie e impronte digitali ai soli casi in cui siano necessarie per confermare l'identità della persona già individuata attraverso l'interroga zione del S.I.S. II con i dati alfanumerici. Tuttavia, la lett. c) , dell'art. 22 pare ammettere in futuro un uso più ampio di queste informazioni laddove afferma che « potranno essere usate impronte digitali, non appena diventi possibile tecnicamente, anche per identificare una persona in base al suo identificatore biometrico ». Un'ulteriore novità introdotta con la Decisione 533/2007/GAI consiste nel prevedere, tra i dati complementari, relativi alle segnalazioni di persone ricer cate per l'arresto ai fini di consegna, sulla scorta di un mandato di arresto europeo, anche la « copia del mandato di arresto europeo originale » ( 12 ) . In questo caso, l'art. 3 1 specifica che la segnalazione, unitamente ai dati comple mentari, costituisce ed ha lo stesso effetto di un « mandato di arresto europeo emesso a norma della Decisione quadro 2002/584/GAI ove si applichi tale Decisione ». Al di fuori di questi casi la segnalazione inserita nel S.I.S. II continuerà invece a costituire una richiesta di arresto provvisorio a norma dell'art. 16 della Convenzione europea di estradizione 13 dicembre 1957 e si applicheranno pertanto le relative disposizioni. Quanto previsto dalla Decisione 2007 /533/GAI in merito alla pubblica zione del mandato nel S.I.S. costituisce un'importante novità, poiché questa previsione determina una garanzia ulteriore per la persona segnalata, dato che l'autorità che procede al riconoscimento ha immediatamente visione del prov vedimento emesso dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro in vista del l' arresto, senza dover attendere la trasmissione della copia del mandato, come era invece stabilito in precedenza, determinando altresì uno snellimento della procedura e quindi anche una maggiore velocità nella cognizione di tutte le informazioni riguardanti la persona segnalata. Infine, anche le disposizioni che regolano il diritto di accesso al sistema sono state modificate con l'adozione del S.I.S. II. La nuova disciplina, infatti, oltre a ricomprendere le autorità competenti in materia di controlli alle fron tiere, controlli di polizia e doganali, rilascio dei visti e dei documenti di
( 1 1 ) Le tecniche biometriche di identificazione sono finalizzate a identificare un individuo sulla base delle sue peculiari caratteristiche fisiologiche o comportamentali. In particolare le variabili prese in esame sono: impronte digitali, geometria della mano e del volto, conformazione della retina o dell'iride, timbro e tonalità di voce. (12) Art. 27 Decisione 533/2007/GAI.
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soggiorno, estende il diritto di accedere ai dati e di consultarli anche alle autorità giudiziarie ( 1 3 ) , ad Europol ed Eurojust. c.
La Convenzione Europol: l'ufficio europeo di polizia.
Con l'Atto del Consiglio del 26 luglio 1 995 è stata stabilita la convenzione che istituisce un Ufficio europeo di polizia (Europa{) con sede all'Aia. Questo organismo è preposto al miglioramento dei servizi di polizia degli Stati membri, nonché alla loro cooperazione nei seguenti settori: l ) prevenzione e lotta contro il terrorismo; 2 ) traffico illecito di stupefacenti; 3 ) tratta di esseri umani; 4) immigrazione clandestina; 5 ) traffico illecito di materie radioattive e nucleari; 6) traffico illecito di autoveicoli; 7 ) lotta contro la falsificazione dell'euro; 8) riciclaggio dei proventi di attività criminali internazionali (14). Ogni Stato membro invia ad Europa! almeno un ufficiale di collegamento, che diviene un organo di raccordo tra il suddetto organismo ed i servizi nazionali competenti. Gli organi di Europa! sono: a) il consiglio di amministrazione, composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro. La presidenza del consiglio di amministrazione è assunta dal rappresentante dello Stato membro che esercita la presidenza del Consiglio; b) il direttore, nominato dal consiglio per un periodo di quattro anni; c) il controllore finanziario, nominato dal consiglio di amministrazione e responsabile dinanzi ad esso; d) il comitato finanziario, composto da un rappresentante per ciascuno Stato membro. Per svolgere le sue funzioni Europa! gestisce un sistema elettronico di informazione, che viene alimentato direttamente dagli Stati membri ed è accessibile alla consultazione da parte delle unità nazionali e degli agenti di Europa! appositamente autorizzati. Parallelamente è istituita un'autorità di controllo, indipendente, che ha il compito di vigilare che il trattamento dei dati raccolti non leda i diritti delle persone. Europa! ha iniziato le sue attività il l o luglio 1 999, sostituendo l'Unità Droghe di Europa! (UDE), costituita provviso riamente nel 1995 ( 15 ) .
( 1 3 ) Queste in precedenza potevano accedere solo indirettamente tramite l a polizia giudiziaria. ( 14) Il 29 aprile 1999, il Consiglio ha adottato una decisione che estende il mandato di Europa! alla lotta contro la falsificazione di monete e altri mezzi di pagamento (Gazz. Uff C 149 del 28 maggio 1999). Il 3 0 novembre 2000, il Consiglio ha adottato l'Atto che stabilisce un protocollo che modifica l'articolo 2 e l'allegato di detta convenzione (Gazz. Uff C 358 del 13 dicembre 2000). L'Atto estende la competenza dell'Europa! al riciclaggio in generale, a prescindere dal tipo di reato da cui i proventi riciclati derivano. ( 15) Il Protocollo modificativo dell'art. 2 e l'Allegato alla Convenzione EUROPOL è stato ratificato dall'Italia con la legge 29 luglio 2004, n. 22 1 , in G.U. 21 agosto 2004 n. 196.
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I magistrati di collegamento.
Il Consiglio dell'Unione europea ha adottato il 22 aprile 1 996 un'Azione comune relativa al quadro di scambio di "magistrati di collegamento" (961277l GAI). L'art. l comma 3 della Azione comune stabilisce che la funzione dei "magistrati di collegamento" è quella di accrescere la rapidità e l'efficacia della cooperazione giudiziaria, nonché di contribuire allo scambio di informazioni sui sistemi giuridici e giudiziari degli Stati membri e sul loro funzionamento. Ai magistrati spetta il compito di agevolare le richieste di assistenza giudiziaria, fornendo chiarimenti circa le regole processuali e sostanziali vigenti nel paese in cui si trovano ad operare. I magistrati di collegamento, grazie alla loro esperienza nel settore della comparazione, possono inoltre essere incaricati dai paesi di appartenenza o dagli organi UE di svolgere attività di studio, finalizzata all'elaborazione di testi normativi. Ogni anno gli Stati membri comunicano al Segretariato generale del Consiglio le informazioni relative agli scambi di magistrati (art. 3 ) . L'art. 2 , comma 4, dell'Azione comune sulla Rete giudiziaria europea prevede che i magistrati di collegamento siano associati alla struttura della Rete giudiziaria europea. Per il momento, l'Italia ha effettuato questa esperienza di scambio con la Francia, la Spagna ed il Regno Unito. e.
La Rete giudiziaria europea.
La rete giudiziaria europea è una rete di punti di contatto giudiziari tra gli Stati membri dell'Unione europea. La sua istituzione ad opera dell'Azione comune del 29 giugno 1998 (98/428/GAn nasce dall'esigenza di migliorare sul piano giuridico e pratico la cooperazione giudiziaria, specie per quanto riguarda la lotta contro le gravi forme di criminalità (art. 1 ) . L a rete giudiziaria europea s i compone dei seguenti elementi (art. 2 ) : a) le autorità centrali responsabili in ciascuno Stato membro della cooperazione giudiziaria internazionale (in Italia, il ministero della giustizia) ; b) una o più persone di contatto, che abbiano una conoscenza sufficiente di una delle lingue dell'Unione europea diversa da quella nazionale (in Italia, i punti di contatto sono presso le corti d'appello e la procura nazionale antimafia); c) i magistrati di collegamento, che possono venire associati a questa struttura dagli Stati membri che li designano; d) una persona di contatto designata dalla Commissione per i settori di sua competenza. La rete giudiziaria europea facilita le relazioni tra i diversi " membri di contatto" provenienti dai vari paesi dell'Unione. A tale scopo organizza riunioni periodiche tra i rappresentanti delegati dagli Stati e cura lo scambio di infor mazioni attraverso adeguati mezzi di comunicazione (art. 3 ) . Nel corso delle riunioni, che vengono svolte generalmente a Bruxelles, sono affrontati i pro-
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blemi relativi alla cooperazione giudiziaria, soprattutto con riferimento agli strumenti adottati a livello dell'Unione europea. L'art. 12 dell'Azione comune stabilisce che ogni tre anni il Consiglio sarà chiamato a valutare il funzionamento della rete giudiziaria europea, sulla base di una relazione svolta dalla rete stessa. In occasione della prima relazione triennale potrà essere, inoltre, valutata la collocazione di questa struttura rispetto a Europa! ( 1 6) .
f.
L'istituzione di Eurojust per rafforzare la lotta contro le gravi forme di criminalità.
il Consiglio europeo ha istituito Eurojust quale organismo sopranazionale indipendente da altre istituzioni comunitarie di livello politico o amministrativo; queste non possono interferire nelle sue funzioni né accedere ai dossier giudi ziari. Eurojust si compone di membri nazionali, aventi titolo di magistrato o funzionario di polizia con particolari prerogative, e di un collegio. Il collegio, composto a sua volta di 25 membri nazionali (uno per ciascuno Stato del l'Unione europea) ha sede a L'Aja ed è responsabile dell'organizzazione e del funzionamento di Eurojust. Le fonti. Fonte istitutiva di Eurojust è una Decisione, e cioè un atto che ha valore vincolante per gli Stati membri, ma nel contempo non è preposto al riavvicinamento delle legislazioni nazionali. Si tratta della Decisione 28 febbraio 2002 n. 2002/1 87/GAI del Consiglio dell'Unione. L'Italia ha dato attuazione alla citata Decisione mediante la legge 14 marzo 2005 n. 4 1 ; in particolare, ha previsto il meccanismo di nomina del membro italiano e i poteri che gli sono attribuiti. L'istituzione di Eurojust rappresenta il primo passo verso un sistema di cooperazione internazionale basato su un organo verticistico di coordinamento centrale. Questa particolare forma di coordinamento si ispira alla esperienza italiana della procura nazionale antimafia, della quale non accoglie, tuttavia, il potere di avocazione. Vale peraltro la pena di sottolineare come l'attuale modello organizzativo di Eurojust non sembra destinato a rimanere definitivo. L'art. 274 Cost. eur. lascia infatti presagire la sostituzione di questo organismo con la procura europea da istituirsi mediante una legge. ( 16) Il 29 giugno 1998, il Consiglio ha adottato l'Azione comune sulla buona prassi nell'assistenza giudiziaria in materia penale, 98/427/GAI (Gazz. Uff L. 1 9 1 del 7 luglio 1998). Questa Azione comune è collegata al funzionamento della rete giudiziaria europea in quanto il Segretariato generale del Consiglio mette a disposizione della rete stessa le dichiarazioni di buona prassi. A sua volta la rete può fare delle proposte idonee a migliorare l'assistenza giudiziaria in campo penale, anche rispetto agli impegni presi in sede internazionale per combattere la criminalità organizzata.
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Eurojust opera sia in composizione collegiale, sia in composizione mono cratica attraverso i singoli membri nazionali interessati. La competenza. La competenza è delineata nell'art. 4 della Decisione e comprende: a) le forme di criminalità per le quali è competente l'Europol (ossia, traffico di stupefacenti e di materiali nucleari e radioattivi, tratta di esseri umani, terrorismo ed immigrazioni clandestine, omicidio volontario, sequestro, razzi smo e xenofobia ecc.); b) forme gravi di criminalità anche individuale, quali i reati informatici, i reati che colpiscono gli interessi finanziari dell'Unione, il riciclaggio dei proventi di reato; c) la partecipazione ad una organizzazione criminale. Le funzioni dell'organo collegiale. Varie sono le funzioni di coordinamento che spettano a Eurojust come organo collegiale. Ai sensi dell'art. 7 della Decisione, Eurojust può chiedere alle autorità competenti degli Stati membri interessati di: l ) avviare un'indagine o azioni penali per fatti precisi; 2) accettare che una di esse sia più indicata per avviare un'indagine o azioni penali per fatti precisi; 3 ) porre in essere un coordinamento tra di esse; 4) istituire una squadra investigativa comune conformemente ai pertinenti strumenti di cooperazione; 5) fornirle le informazioni necessarie per svolgere le sue funzioni. Eurojust inoltre svolge quegli altri compiti di informazione e di assistenza delle autorità nazionali competenti che sono descritti nell'art. 7 della Decisione e che sono richiamati nell'art. 6 della legge n. 4 1 . fl membro italiano di Eurojust. Particolarmente interessanti sono le dispo sizioni della legge n. 4 1 che prevedono la nomina ed i poteri del membro italiano di Eurojust. li membro nazionale italiano, distaccato presso Eurojust, è nominato con decreto del ministro della giustizia tra i giudici o i magistrati del pubblico ministero. Il ministro della giustizia propone una rosa di candidati; sui medesimi il consiglio superiore della magistratura formula le sue valutazioni. Quindi il ministro comunica al consiglio superiore la propria designazione (art. 2 commi l e 2 legge n. 4 1 ) . Già nel meccanismo di nomina appare la scelta del legislatore di considerare amministrativa la funzione del membro italiano di Eurojust, come del resto si ricava espressamente dalla relazione al disegno di legge. La scelta è confermata dalla disposizione che attribuisce al ministro della giustizia di indirizzare al membro nazionale « direttive per l'esercizio delle sue funzioni » (art. 2 comma 3 legge n. 4 1 ) . I poteri del membro italiano di Eurojust. In base all'art. 5 della legge n . 4 1 ,
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il membro italiano di Eurojust ha poteri paralleli a quelli dell'organo colle giale ( 1 7 ) . Molto importanti sono i poteri che i n base all'art. 7 comma l della legge spettano al membro italiano di Eurojust nei confronti delle nostre autorità. Fra questi menzioniamo: a) il potere di richiedere e scambiare con l'autorità giudiziaria compe tente, anche in deroga al divieto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, informazioni scritte in ordine a procedimenti penali e al contenuto di atti degli stessi; b) il potere di accedere alle informazioni contenute nel casellario giudi ziale, nel casellario dei carichi pendenti, nell'anagrafe dei carichi pendenti degli illeciti amministrativi e consimili. È regolamentata in modo dettagliato la procedura che segue alla richiesta formulata dal membro italiano di Eurojust nei confronti della autorità giudi ziaria competente. Ai sensi dell'art. 7 comma 2, il decreto che accoglie o rigetta la richiesta è impugnabile dal pubblico ministero e dal membro italiano di Eurojust nel termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento dinanzi alla corte di cassazione. L'impugnazione sospende l'esecuzione del provvedimento di accoglimento della richiesta. E ancora: è stato posto un obbligo di informativa in favore del membro nazionale di Eurojust quando un pubblico ministero italiano procede ad indagini per talune delle forme di criminalità o dei reati di competenza di Eurojust (art. 7 comma 3 ) . I corrispondenti nazionali di Eurojust. Infine, nell'art. 9 della legge sono designati, quali corrispondenti nazionali di Eurojust, quegli stessi organi giudi ziari ed amministrativi che sono stati già individuati quali riferimenti territoriali della rete giudiziaria europea (G. DE AMICis), ossia le procure generali della (17) In particolare: può assicurare l'informazione reciproca tra le autorità giudiziarie competenti degli Stati membri interessati in ordine alle indagini e alle azioni penali di cui l'Eurojust ha conoscenza. Può assistere, su loro richiesta, le autorità nazionali competenti e quelle degli altri Stati membri per assicurare un coordinamento ottimale delle indagini e delle azioni penali. Può prestare assistenza per migliorare la cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri. Può collaborare e consultarsi con la rete giudiziaria europea, anche utilizzando e contribuendo ad arricchire la sua base di dati documentali. Può ricevere dalle autorità giudiziarie, attraverso i corrispondenti nazionali o direttamente nei casi di urgenza, e trasmettere alle autorità competenti degli altri Stati membri, richieste di assistenza giudiziaria, quando queste riguardano indagini o azioni penali relative alle forme di criminalità e ai reati di competenza di Eurojust. Può prestare sostegno, con l'accordo del collegio di Eurojust e su richiesta dell'autorità giudiziaria competente, anche nel caso in cui le indagini e le azioni penali interessino unicamente lo Stato italiano e un Paese terzo o nel caso in cui le indagini e le azioni penali interessino unicamente lo Stato italiano e la Comunità. Può partecipare, con funzioni di assistenza, alle attività di una squadra investigativa comune costituita conformemente ai pertinenti strumenti di cooperazione. Occorre notare che la legge italiana permette soltanto l'attività di assistenza e non quella investigativa.
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repubblica presso le corti d'appello (stante la loro tipica competenza in materia di cooperazione giudiziaria), la direzione nazionale antimafia (in ragione delle sue competenze di coordinamento per le indagini in materia di criminalità organizzata) e l'ufficio secondo della direzione generale della giustizia penale del dipartimento per gli affari di giustizia del ministero della giustizia (quale autorità centrale in materia di cooperazione giudiziaria). 4.
n mandato di arresto europeo. a.
Considerazioni generali.
n mandato d'arresto europeo è, nella sostanza, una forma di estradizione semplificata, che è affidata alle autorità giudiziarie dei Paesi membri dell'Unione europea e che si basa sulla "fiducia reciproca" tra gli Stati ( 18). La semplifica zione si manifesta nei seguenti aspetti. a) È eliminato il filtro del potere politico: il ministro della giustizia è un mero organo di assistenza amministrativa. b) I motivi di rifiuto possono essere soltanto quelli previsti in modo uniforme per i Paesi membri dell'Unione. c) Per un gruppo di trentadue tipi di reati di gravità medio-alta non è richiesto il requisito della doppia incriminazione. d) I tempi della procedura di consegna devono restare entro sessanta giorni, prorogabili di altri trenta ( 1 9) . Fonti normative europee. Il mandato è previsto dalla Decisione quadro 1 3 giugno 2002 del Consiglio dell'Unione europea (20). In generale, l a Decisione quadro non ha efficacia diretta; essa si propone il ravvicinamento delle dispo sizioni legislative dei Paesi membri; è vincolante per gli Stati quanto ai risultati da ottenere, salva restando la competenza nazionale in merito alla forma ed ai mezzi (art. 34 comma 2 lett. b Trattato istitutivo dell'Unione). In concreto, al n. 12 dei Considerando la Decisione quadro del 2002 riconosce che gli Stati membri applichino le proprie norme costituzionali relative al giusto processo.
( 18) Le principali fonti del diritto convenzionale europeo in materia di estradizione sono: la Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 e i due Protocolli addizionali, la Convenzione europea per la repressione del terrorismo del 27 gennaio 1977, la Convenzione di Applicazione degli Accordi di Schengen del 19 giugno 1990, la Convenzione di Bruxelles del l O marzo 1995 e la Convenzione di Dublino del 27 settembre 1996 (quest'ultime due non ancora ratificate dall'Italia e non ancora entrate in vigore a livello europeo) . ( 1 9) Un sistema omologo a quello delineato dalla decisione quadro sul mandato d i arresto europeo si è avuto con il Trattato Italia-Spagna, firmato a Roma il 28 novembre 2000, in Doc. giust., 2000, n. 6. (20) Decisione-quadro del Consiglio del 1 3 giugno 2002 relativa al mandato di arresto europeo ed alle procedure di consegna tra Stati membri 2002/584/GAI, pubblicata in CUCE 18 luglio 2002 L 190.
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VII.III.4.a
Fonte normativa italiana. La legge 22 aprile 2005 n. 69 ha attuato le Decisione quadro con ritardo rispetto ai tempi programmati in sede europea. Ciò è dovuto alla circostanza, difficilmente contestabile, che l'ordinamento italiano prevede garanzie più elevate rispetto allo standard degli altri Stati dell'Unione. Le polemiche partitiche hanno avuto la loro parte nel determinare il ritardo. Il punto di partenza è stato un Disegno di legge che prevedeva il mero recepimento della Decisione quadro senza che fosse dettata una normativa procedimentale. Il punto di arrivo è stata una legge che, nel prevedere una procedura garantista, ha cercato di evitare contrasti con la disciplina costitu zionale del giusto processo e della libertà personale (2 1 ) . La definizione legislativa. I n base all'art. l comma 2 della legge n. 69 del 2005 « il mandato d'arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell'Unione europea ( . . . ) in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro ( . . . ) di una persona, al fine dell'esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale » (22 ) . Requisiti per la consegna. Vari sono i requisiti imposti dalla legge (v. tav. 7 .3 .2) . Quello minimo richiede che la decisione giudiziaria estera, sulla base della quale è emesso il mandato da eseguirsi in Italia, consista alternativamente o in una sentenza irrevocabile di condanna, o in un provvedimento cautelare sottoscritto da un giudice e motivato (art. l comma 3 legge n. 69) . Sulla base della decisione giudiziaria, la autorità dello Stato emittente deve formulare una " richiesta" con un contenuto prefìssato dalla Decisione quadro e dalla legge italiana. La richiesta (che prende il nome di "mandato d'arresto europeo" ) è valutata dalla corte d' ap pello italiana, che in seguito ad una procedura in contraddittorio decide se re spingere la richiesta o disporre la consegna dell'interessato. Ove sia disposta la consegna, questa è eseguita dal ministro della giustizia. L'art. 6 della legge 69 del 2005 prevede che il mandato di arresto europeo debba contenere: identità e cittadinanza del ricercato; indicazione della autorità
(2 1 ) Ricordiamo che il XII considerandum precisa che << la presente Decisione-quadro non osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo, al rispetto del diritto alla libertà di associazione, alla libertà di stampa e alla libertà di espressione negli altri mezzi di comunicazione >>. (22) Per i commenti alla legge italiana di attuazione si veda: G. DE AMrcrs - G. IuzzoLINO, Al via in Italia il mandato di arresto UE, in Dir. giust., 2005, n. 19 (inserto speciale), p. 1 1 ; E. SELVAGGI - G. DE AMicis, La legge sul mandato europeo di arresto tra inadeguatezze attuative e incertezze applicative, in Cass. pen., 2005, p. 1814; AA.Vv., Il mandato d'arresto europeo, a cura di G. PANSINI - A. ScALFATI, Napoli, 2005; AA.Vv., Mandato di arresto europeo e procedure di consegna: commento alla L. 22 aprile 2005, n. 69, a cura di L. KALB, Milano, 2005; AA.Vv., Mandato d'arresto europeo, a cura di M. BARCIS - E. SELVAGGI, Torino, 2005; AA.Vv., Il mandato d'arresto europeo, a cura di M. CHIAVARlO, G. DE FRANCESCO, D. MANZIONE, E. MARZADURI, Torino, 2006; G. Fruco, Il mandato d'arresto europeo: profili generali e primi problemi applicativi della legge interna d'attuazione, in AA.Vv., Equo processo: normativa italiana ed europea a confronto, a cura di L. FILIPPI, Padova, 2006, 245.
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giudiziaria emittente; indicazione del provvedimento giurisdizionale emesso dal paese estero, che rientri nel campo di applicazione degli artt. 7 e 8 della legge; natura e qualificazione giuridica del reato; descrizione delle circostanze in cui il fatto è stato commesso; pena inflitta ovvero pena massima e minima stabilita dalla legge dello Stato di emissione; altre conseguenze del reato. Inoltre, al mandato di arresto devono essere allegati: una relazione dei fatti addebitati alla persona, con l'indicazione delle fonti di prova; il testo delle disposizioni di legge applicabili; i dati segnaletici e ogni altra informazione utile alla identificazione del soggetto ricercato. b.
L'ambito di applicazione del mandato di arresto europeo.
Il mandato di arresto europeo è uno strumento giuridico complesso, che ha al suo interno due anime fondate su logiche differenti, a volte contrapposte. L'anima originaria è la " accelerazione" della procedura di estradizione; l'anima innovativa è la consegna di un ricercato fondata su di un preteso " diritto unificato" , e cioè comune agli Stati dell'Unione europea. I reati sottoposti alla condizione della doppia incriminazione. La "accele razione" della procedura di estradizione (prevista dall'art. 3 l lett. b del Trattato di Amsterdam del 1997) si manifesta nell'ampia categoria di reati per i quali la consegna può essere subordinata alla condizione della doppia incrimina zione (23 ) ; in base a tale principio la consegna è ammessa per un'ampia categoriadi fatti che costituiscono reato non soltanto nello Stato richiedente, ma anche in Italia (art. 7 legge n. 69). La categoria ricomprende tutte le condanne penali di almeno quattro mesi e tutte le misure cautelari per quei reati che nello Stato richiedente sono puniti con una pena privativa della libertà della durata massima non inferiore a dodici mesi (24). I reati che prescindono dalla condizione della doppia incriminazione. L'anima innovativa del mandato d'arresto europeo si coglie nella ipotesi, qualitativamente delimitata, che è contenuta nell'art. 8 legge n. 69 e che ricomprende trentadue tipi di reato. Per essi la consegna è obbligatoria « indi pendentemente dalla doppia incriminazione », a condizione che per il singolo reato nello Stato richiedente sia previsto il massimo della pena di almeno tre anni. In definitiva, si parte dal presupposto che le trentadue categorie di reato (23) Il principio della doppia incriminazione è ritenuto uno dei più importanti in materia di estradizione; oltre ad essere previsto in quasi tutte le Convenzioni, è sancito anche dall'art. 13 comma 2 c.p. Secondo la prevalente dottrina il principio della doppia incriminazione si fonda su esigenze garantistiche. Per suo tramite il principio di legalità (nullum crimen sine lege) viene esteso dall'ordinamento interno al settore dell'estradizione. In tal senso si veda P. PrsA, Previsione bilaterale del fatto nell'estradizione, in Annali della facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Genova, Milano, 1973, 147 ss. (24) La legge di attuazione ha precisato che ai fini del calcolo della pena non si tiene conto delle circostanze aggravanti, riducendo in questo modo l'ambito di applicazione del mandato di arresto europeo (art. 7 comma 3 ) .
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assumano una identica rilevanza penale all'interno di tutti gli Stati dell'Unione europea. Sotto questo profilo, il mandato di arresto europeo si colloca in quella logica di unificazione del diritto penale, che era stata prevista dall'art. 3 1 lett. e del Trattato di Amsterdam (25) ; ma in tale testo si auspicava l'introduzione, tuttora non avvenuta, di « norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e delle sanzioni per quanto riguarda la criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico di stupefacenti » (26) . Vale l a pena di ricordare che l'art. 2 par. 2 della Decisione quadro si limitava a fornire una indicazione meramente nominale delle trentadue fatti specie di reato per le quali era prevista la consegna obbligatoria, senza precisare gli elementi costitutivi minimi aventi rilevanza penale (27) . Tale indetermina(25) Amplius, S. MANACORDA, Il mandato di arresto europeo nella prospettiva sostanzial-penalistica: implicazioni e ricadute politico criminali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 800 ss. (26) La strada maestra da percorrere avrebbe dovuto essere quella di configurare norme penali comuni secondo l'esempio del Corpus Juris elaborato nel 1997 da una commissione di studiosi (Bacigalupo, Delmas-Marty, Grasso, Jareborg, Tiedemann, Spencer, Van den Wyngaert) , appositamente incaricati dalla Direzione generale per il controllo finanziario della Commissione europea (la nuova versione del progetto è commentata in Il Corpus Juris 2000. Un modello di tutela penale dei beni giuridici comunitarz; a cura di G. Grasso e R. Sicurella, Milano, 2003 ) . I fatti dell'l l settembre 2001 sembrano essere stati presi a pretesto dal Consiglio europeo per aggirare la fase della predisposizione degli elementi costitutivi comuni dei reati e per operare "come se" tali elementi fossero stati già codificati. Per giustificare l'anima innovativa del mandato di arresto europeo si è fatto ricorso ad un "principio di fiducia reciproca" tra gli Stati, che in realtà avrebbe richiesto la elaborazione di norme minime comuni. Seguendo questa logica, la Decisione-quadro del 2002 ha imposto la consegna in relazione ai trentadue tipi di reati a prescindere dalla doppia incriminazione. Ed ha previsto il mandato di arresto europeo non soltanto per le condanne definitive, bensì anche per le misure cautelari emesse nel corso del procedimento penale. In sostanza, la Decisione-quadro ha operato "come se" fosse già esistente un comune diritto penale sostanziale e processuale; cosa che nei fatti non è esistente, poiché molte sono le differenze tra gli Stati anche in punto di parte generale del diritto penale e di normativa sulla prova. Prima si sarebbe dovuto predisporre un minimo di garanzie comuni, e poi su questo si sarebbe potuta fondare la fiducia reciproca tra gli Stati. In definitiva, di europeo nel mandato vi è soltanto il territorio nel quale deve essere eseguito, e non una comune normativa penale sostanziale e processuale che, come abbiamo accennato, non esiste. (27) I reati previsti dall'articolo 2, par. 2 DQ sono i seguenti: - partecipazione ad una organizzazione criminale, - terrorismo, - tratta di esseri umani, - sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile, - traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, - traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi, - corruzione, - frode, compresa la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee ai sensi della convenzione del 26 luglio 1 995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, - riciclaggio dei proventi del reato, - falsificazione di monete, compresa la contraffazione dell'euro, - criminalità informatica, - criminalità ambientale, compreso il traffico illecito di specie animali protette ed il traffico illecito di specie e di essenze vegetali protette, - favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno illegali, - omicidio volontario e lesioni personali gravi, - traffico illecito di organi e tessuti umani,
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tezza ha suscitato polemiche in dottrina (28) ed in àmbito politico. Conseguen temente il legislatore italiano ha operato una sostanziale riscrittura dei casi indicati nella Decisione quadro, in modo da rendere compatibile con il princi pio di legalità l'eliminazione del principio della doppia incriminazione. Spetta alla autorità giudiziaria italiana di verificare se la qualificazione del reato, per il quale è richiesta la consegna, corrisponde ad una delle fattispecie descritte dall'art 8 della legge n. 69 (29) . Ai sensi del comma 3 dell'art. 8 della predetta legge, se il fatto non è previsto come reato dalla legge italiana, non si dà luogo alla consegna del cittadino italiano se risulta che lo stesso non era a conoscenza, senza propria colpa, della norma penale dello Stato membro di emissione in base alla quale è stato emesso il mandato d'arresto europeo. c.
La procedura di esecuzione passiva.
Il procedimento passivo di consegna può essere attivato con due differenti modalità (v. tav. 7 .3 .3 ) . In primo luogo, con una richiesta ricevuta dal presidente della corte di appello competente ai sensi dell'art. 5 (o dal ministro della giustizia, che la trasmette al predetto) (30); in tal caso, la eventuale misura cautelare è applicata dalla corte d'appello (art. 9). In secondo luogo, il procedimento passivo di consegna è attivato diretta- rapimento, sequestro e presa di ostaggi, - razzismo e xenofobia, - furti organizzati o con l'uso di armi, - traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti di antiquariato e le opere d'arte, - truffa, - racket e estorsioni, - contraffazione e pirateria in materia di prodotti, - falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi, - falsificazione di mezzi di pagamento, - traffico illecito di sostanze ormonali ed altri fattori di crescita, - traffico illecito di materie nucleari e radioattive, - traffico di veicoli rubati, - stupro, - incendio volontario, - reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale, - dirottamento di aereo/nave, - sabotaggio. (28) Si vedano le opinioni espresse da V. CAJANIELLO e G. VASSALLI, Parere sulla proposta di Decisione· quadro sul mandato di arresto europeo, in Cass. pen., 2002, 462; S. MANACORDA, Il mandato di arresto europeo, cit., 789. (29) Secondo parte della dottrina in tal modo viene reintrodotto un meccanismo di exequatur che la Decisione-quadro aveva voluto eliminare in virtù del principio del mutuo riconoscimento. Si veda E. CALvANESE e G. DE AMicrs, Riaffermata la doppia incriminabilità, in Guida dir. , 2005, 19, 79. (30) Si veda sul punto, A. S cALFATI , Misure coercitive in attesa della pronuncia, in AA.Vv., Il mandato di arresto europeo, cit., p. 79 ss.; in generale sul tema della procedura passiva di consegna, A. FAMIGLIETII, Il procedimento passivo di consegna, ivi, p. 5 3 .
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mente in sèguito ad un arresto operato dalla polizia giudiziaria sulla base di una segnalazione inserita nel sistema informativo Schengen (SIS) (3 1 ) . La convalida dell'arresto e l'applicazione di un'eventuale misura cautelare coercitiva è ri messa al presidente della corte d'appello (art. 1.3 ) (32) . In questa ipotesi, che probabilmente sarà quella più utilizzata nella pratica, la polizia giudiziaria è obbligata ad arrestare il soggetto ricercato (3 3 ) . n giudice competente a dare esecuzione ad un mandato di arresto europeo è, di regola, la corte di appello nel cui distretto l'imputato o il condannato ha rispettivamente la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui il provvedimento giunge alla autorità giudiziaria italiana. Quando la competenza non può essere stabilita nel modo predetto, è competente la corte d'appello di Roma (art. 5 ) . L'audizione della persona ricercata. n presidente della corte d'appello procede all'audizione della persona ricercata. L'audizione ha una funzione meramente informativa, in quanto il magistrato si limita ad avvisare la persona interessata del contenuto del mandato d'arresto europeo e della procedura di esecuzione, nonché della possibilità di acconsentire alla consegna all'autorità richiedente (art. 10 legge n. 69) . Durante tale audizione è comunque necessaria ( 3 1 ) La segnalazione del ricercato nel SIS equivale ad un mandato di arresto europeo: così l'art. 3 paragrafo 3 della Decisione-quadro 2002/584/GAI e l'art. 1 1 legge n. 69. (32) L'art. 5, comma 5 legge n. 69 precisa che, nel caso in cui la persona sia stata arrestata, la competenza spetta alla corte d'appello del distretto in cui è awenuto l'arresto. (33 ) Conformemente ai princìpi contenuti nella nostra Carta costituzionale (art. 13 ), la legge di attuazione n. 69 ha previsto una serie di importanti adempimenti che devono obbligatoriamente svolgersi (sul punto si veda, M. RoMANo, L'arresto di polizia e la convalida, in AA.Vv., Il mandato di arresto europeo, Napoli, 2005, p. 65 ss.; P. TROrsr, L'arresto operato dalla polizia giudiziaria a seguito della segnalazione nel sistema di informazione Schengen, in AA.Vv., Mandato di arresto europeo e procedure di consegna, cit., p. 2 1 4 ) . Innanzitutto, a l momento dell'arresto l a polizia giudiziaria deve fornire alla persona arrestata determi nate informazioni: in particolare, in una lingua a lui comprensibile il soggetto deve essere reso edotto del contenuto del mandato, della facoltà di prestare il proprio consenso alla consegna, nonché del diritto di farsi assistere da un difensore. Gli adempimenti menzionati sono obbligatori e devono essere verbalizzati a pena di nullità. La persona arrestata deve quindi essere immediatamente, e comunque non oltre ventiquattro ore, posta a disposizione del presidente della corte d'appello competente (art. 1 1 legge n. 69); contestualmente a tale adempimento viene quindi informato anche il ministro della giustizia il quale, a sua volta, prowede ad awisare lo Stato membro richiedente dell'awenuto arresto. Tale comunicazione è funzionale a che il guardasigilli chieda allo Stato emittente di inviare il mandato di arresto comprensivo dei necessari documenti. L'art. 13 legge n. 69 stabilisce che, entro quarantotto ore dalla ricezione del verbale di arresto, il presidente della corte d'appello (o un magistrato da lui delegato) proceda all'interrogatorio della persona arrestata; deve essere presente un difensore nominato di fiducia o d'ufficio. Entro il medesimo termine di quarantotto ore, se non risulta che la cattura ad opera della polizia giudiziaria è awenuta per errore di personao fuori dai casi previsti dalla legge (art. 13 comma 2 legge n. 69), il presidente della corte di appello deve convalidare l'arresto con ordinanza e deve eventualmente applicare una misura coercitiva (così, Cass., sez. VI, 26 gennaio 2006, n. 172 ) . La minore garanzia dovuta alla perdita della collegialità si giustifica in ragione dell'esiguità dei tempi entro i quali occorre prowedere alla convalida dell'arresto e al mantenimento in custodia.
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la presenza di un difensore di fiducia o di ufficio, il quale deve essere avvisato almeno ventiquattro ore prima della data fissata per lo svolgimento delle predette attività (comma 2). Qualora il ricercato presti i l proprio consenso alla consegna, l'ordine di esecuzione viene emanato dal presidente della corte entro dieci giorni con ordinanza (art. 14) (34). Nel caso di mancato consenso, il presidente della corte d'appello deve fissare con decreto l'udienza per la decisione sulla esecuzione del mandato di arresto europeo. T ale decisione, che assume la forma della sentenza, viene pronunciata dalla corte d'appello in camera di consiglio (entro sessanta giorni prorogabili di trenta) sentiti il procuratore generale, il difensore del ricercato e, se comparso, anche il rappresentante dello Stato richiedente (art. 17 comma l legge n. 69) (35 ) . Le cause di rifiuto. Premesso che l a consegna di un ricercato non può mai avvenire in violazione delle garanzie costituzionali e dei diritti uma ni, l'accoglimento della richiesta di esecuzione presuppone l'assenza di cause di rifiuto di cui all'art. 1 8 legge n. 69 (36). In questa sede non (34) Si veda L. KALB, Il consenso alla consegna, in AA.Vv., Mandato di arresto europeo e procedure di consegna: commento alla L. 22 aprile 2005, n. 69, Milano 2005, 285. Occorre segnalare Cass., sez. VI, 6 maggio 2009, Istrate, che ha affermato che il prowedirnento è di competenza del collegio. (35) L'obiettivo di assicurare il più possibile una rapida conclusione della procedura esecutiva impone una scansione temporale molto rapida del procedimento: la corte d'appello, infatti, deve emettere la sentenza di accoglimento o di rifiuto di esecuzione del mandato necessariamente entro sessanta giorni. Tuttavia, ove non sia possibile rispettare questo termine, la corte di appello dispone la proroga di trenta giorni e ne dà motivata comunicazione alla autorità emittente (art. 17 comma 2 legge n. 69). Precisiamo che la scadenza dei termini di consegna complessivamente intesi determina il rilascio della persona che si trovi in stato di custodia (art. 2 1 legge n. 69). (36) Si riporta l'elenco delle cause di rifiuto. La consegna è rifiutata: a) se vi sono motivi per ritenere che il mandato è stato emesso per motivi discriminatori; b) se il diritto è stato leso con il consenso di chi può validamente disporne; c) se per la legge italiana il fatto costituisce esercizio di un diritto, adempimento di un dovere o è stato determinato da caso fortuito o forza maggiore; d) se il fatto è manifestazione della libertà di stampa o di associazione; e) qualora la legislazione dello Stato membro di emissione non preveda limiti massimi alla carcera zione preventiva; /J se il mandato di arresto europeo ha per oggetto un reato politico; g) nel caso in cui risulti che la sentenza irrevocabile è stata disposta in violazione delle regole del giusto processo; h) qualora vi sia un serio pericolo che la persona ricercata sia sottoposta alla pena di morte o a trattamenti inumani o degradanti; i) in caso di minore età dell'autore del reato; l) se il reato contestato nel mandato di arresto è estinto per amnistia; m) nel caso in cui operi il ne bis in idem comunitario (la persona è già stata giudicata, per lo stesso fatto e con sentenza definitiva, in uno degli Stati membri dell'Unione europea); n) nel caso in cui i fatti per i quali è stato emesso il mandato di arresto potevano essere giudicati in Italia e si sia già verificata la prescrizione del reato o della pena; o) se per lo stesso fatto e nei confronti del ricercato è in corso un procedimento penale in Italia; p) laddove si tratti di fatti commessi fuori dal territorio dello Stato di emissione, quando la legge italiana non riconosce per gli stessi fatti la giurisdizione extraterritoriale;
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è possibile operare una analisi dettagliata di ognuna delle suddette ipote Sl (3 7 ) . Ricordiamo, infine, che una ulteriore causa di rifiuto della richiesta di consegna è determinata dalla mancanza di gravi indizi di colpevolezza (art. 1 7 comma 4 legge n . 69). Tale presupposto è necessario solo quando il mandato di arresto sia stato emesso in esecuzione di una misura cautelare in pendenza del procedimento penale; non in esecuzione di una sentenza. In proposito, occorre osservare che l'accertamento della responsabilità penale, sia pure allo stato degli atti, è fondamentale nel nostro ordinamento per consentire la limitazione della libertà personale. Abbiamo già rilevato che tale requisito non è richiesto al momento dell'applicazione della misura coercitiva ad opera della corte d'appello (art. 9 comma 5 legge n. 69). Tuttavia, sotto la forma dei gravi indizi l'accertamento della responsabilità penale ricompare nel luogo sistematico, che è costituito dai casi di rifiuto della richiesta originata da un provvedimento cautelare estero (38). q) nel caso di pronuncia in Italia di una sentenza di non luogo a procedere; r) se il mandato di arresto europeo è stato emesso per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale e la persona ricercata sia cittadino italiano, sempre che la corte d'appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia; s) quando la persona oggetto di mandato di arresto è una donna incinta o con prole convivente di età inferiore ai tre anni; t) se il prowedimento cautelare in base al quale il mandato è stato emesso risulta privo di motivazione; u) in caso di immunità che limitino l'esercizio o il perseguimento dell'azione penale; v) se la sentenza in base alla quale è stata disposta la domanda di consegna contiene disposizioni contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano. (3 7) Per un approfondimento sul tema generale del rifiuto di consegna si veda, M. DEL TuFo, Il rifiuto della consegna motivato da esigenze di diritto sostanziale, in AA.Vv., Il mandato di arresto europeo, cit., p. 137 ss.; C. PANSINI, Il rifiuto della consegna motivato da esigenze processuali, ivi, p. 157 ss. In relazione alla causa di rifiuto di cui alla lettera e dell'art. 18, si veda Cass. , sez. un., 5 febbraio 2007, n. 4614, in Guida dir., 2007, 10, 43: se la legislazione dello Stato di emissione non prevede i limiti massimi della << carcerazione preventiva >>, l'autorità giudiziaria italiana deve verificare, ai fini della consegna, se nella legislazione predetta sia espressamente fissato un termine di durata della custodia cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado o, in mancanza, se un limite temporale implicito sia comunque desumibile da altri meccanismi processuali che instaurino obbligatoriamente e con cadenze predeterminate un controllo giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia cautelare o, in alternativa, all'estinzione della stessa. La successiva ordinanza della Corte cost. n. 1 09 del 2008 ha affermato che spetta al giudice di merito verificare se la norma interna, sopra citata, possa essere considerata << "cedevole" di fronte all'obbligo di rispetto dei vincoli scaturenti dall'ordinamento comunitario e dalle convenzioni internazionali sancito a carico del legislatore nazionale dall'art. 1 17 Cost. >>. (38) Vale la pena di sottolineare come i primi orientamenti giurisprudenziali relativi alla applicazione del legge n. 69 hanno riguardato proprio le disposizioni relative ai presupposti dei gravi indizi di colpevolezza. A questo proposito si veda innanzitutto, Cass. 23-26 settembre 2005, Ilie Petre, n. 34355, secondo cui << i gravi indizi di colpevolezza devono essere riconoscibili dall'autorità giudiziaria italiana. Ma questa si deve limitare a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa o processuale, fondato su un compendio indiziario che l'autorità giudiziaria emittente ha ritenuto "seriamente evocativo" di un fatto di reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna >> (in Dir. giust., 2005, n. 37, p. 4 1 , e in Guida dir., 2005, n. 4 1 , p. 79).
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L'impugnazione della decisione sulla richiesta di consegna. L'art. 22 della legge n. 69 stabilisce che contro i provvedimenti che decidono sulla consegna della persona ricercata è possibile proporre ricorso per cassazione, anche per motivi di merito, entro dieci giorni da quando le parti hanno avuto conoscenza legale dei provvedimenti stessi (39). Ciò significa che la corte di cassazione, se regolarmente investita con i motivi di impugnazione, può verificare - oltre agli eventuali vizi in procedendo - anche l'esistenza dei presupposti legittimanti la decisione favorevole alla esecuzione del mandato (art. 17 comma 4), nonché l'assenza dei motivi di rifiuto indicati all'art. 18 legge n. 69. li ricorso in cassazione viene deciso in camera di consiglio entro quindici giorni dalla ricezione degli atti ed ha un effetto sospensivo sulla esecuzione della sentenza (art. 22 , comma 2 , legge n. 69) . Legittimati all'impugnazione sono: la persona interessata, il suo difensore ed il procuratore generale presso la corte d'appello (40). La corte di cassazione, quale giudice di merito, ha ampi poteri di con/erma o riforma della sentenza impugnata. Il comma 6 dell'art. 22 legge n. 69 prevede anche l'ipotesi dell'annullamento con rinvio, che dovrà essere deciso dal giudice competente entro venti giorni dalla ricezione degli atti. La procedura di consegna. Nell'ipotesi in cui sia pronunciata una sentenza di accoglimento della richiesta di consegna, la persona ricercata deve essere trasferita nello Stato di emissione entro dieci giorni da quando la decisione è divenuta irrevocabile (art. 23 ) .
d.
La procedura di esecuzione attiva.
La procedura attiva viene utilizzata quando un magistrato italiano chiede ad uno Stato membro dell'Unione europea la consegna di una persona ricer cata (4 1 ) (v. tav. 7 .3 .4 ) . È previsto che in Italia il mandato di arresto sia emesso (art. 28 legge n. 69) : In senso parzialmente contrario, Cass., sez. VI, 3 7 aprile 2006, n. 12453, Pg in proc. Nocera, in Dir. giust., 2006, n. 28, p. 79: << in tema di mandato di arresto europeo, ai fini dell'articolo 17, quarto comma legge 69/2005, la valutazione delle dichiarazioni accusatorie rese dal coimputato del medesimo reato, o da persona imputata in un procedimento connesso, deve avere ad oggetto la verifica della credibilità del dichiarante, in particolare in relazione al suo passato, alla sua personalità, ai suoi rapporti con l'accusato, alle ragioni che lo hanno indotto alla confessione, nonché della loro attendibilità, sulla base dell'esistenza di riscontri proba· tori >>. (39) Questa disposizione richiama il contenuto dell'art. 706 del c.p.p., il quale, com'è noto, disciplina il ricorso per cassazione contro le decisioni della corte d'appello in materia di estradizione per l'estero. In particolare, sia l'art. 706 c.p.p., sia l'art. 22 legge n. 69 prevedono che i giudici di legittimità possano svolgere, nel giudizio di impugnazione, un controllo di merito sulla richiesta di consegna. (40) Rispetto al ricorso per cassazione previsto nel procedimento di estradizione vi è però una importante differenza: il rappresentante dello Stato richiedente non gode di un autonomo potere di impugnazione, ma può unicamente intervenire all'udienza ed ha diritto di essere awisato, qualora abbia partecipato al giudizio dinanzi alla corte d'appello (art. 17 comma 6 legge n. 69). (41 ) In generale sul tema, M.R. MARcHEm, La fase dell'esecuzione nella procedura passiva di consegna. ·
32
990
I rapporti giurisdizionali con autorità straniere
VII.III.4.d
a) dal giudice che ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere o degli arresti domiciliari (nel caso di mandato di arresto emesso per finalità processuali) ; b ) dal pubblico ministero presso il giudice dell'esecuzione che h a emesso, ex artt. 656 ss. c.p.p . , l'ordine di esecuzione della pena detentiva o della misura di sicurezza (nel caso di mandato di arresto emesso per finalità esecutive). Il mandato di arresto europeo emesso dall'Italia deve contenere determi nate informazioni che riguardano: a) identità e cittadinanza del ricercato; b) nome, indirizzo, numero di telefono e fax, indirizzo di posta elettronica della autorità emittente; c) indicazione dei provvedimenti che giustificano la richiesta di consegna; d) natura e qualificazione giuridica del reato; e) descrizione del fatto contestato, compresi l'epoca ed il luogo di commissione, nonché in caso di concorso di persone, il grado di partecipazione del ricercato; /J pena inflitta, se vi è sentenza irrevocabile, ovvero, nel caso di mandato di arresto emesso per finalità processuali, la pena minima e massima stabilita dalla legge; g) eventuali conseguenze del reato (art. 30 legge n. 69). Nella fase attiva di esecuzione il ministro della giustizia svolge compiti di carattere amministrativo; in particolare questo organo ha il compito di tradurre il mandato di arresto europeo nella lingua dello Stato membro di esecuzione e di provvedere al relativo invio (art. 28). Il mandato di arresto europeo, non essendo autonomo, bensì dipendente dal provvedimento nazionale, perde efficacia allorché la misura cautelare limi tativa della libertà personale viene revocata o diventa inefficace, ovviamente in base alle nostre regole processuali (di cui agli art. 272 ss. c.p.p.) . In tal caso, l'art. 3 1 legge n. 69 stabilisce che il procuratore generale presso la corte d'appello deve avvisare il ministro della giustizia che, a sua volta, ha il compito di dare notizia allo Stato membro di esecuzione della perdita di efficacia del man dato (42 ) . L a custodia all'estero in esecuzione del mandato di arresto europeo è computata in Italia ai sensi e per gli effetti dell'art. 3 03 , comma 4 (durata complessiva della custodia cautelare), dell'art. 304 (sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare) e dell'art. 657 (computo della custodia cautelare in fase di esecuzione della pena) (art. 3 3 ) .
La procedura attiva e le misure caute/ari reali, in Dir. pen. proc., 2005, p . 957.; C . Cuoco, Disciplina della procedura attiva di consegna, in AA.Vv., Il mandato di arresto europeo, cit., p. 201 . (42) Occorre segnalare che nella legge di attuazione non si rinviene alcuna norma di coordinamento che preveda un obbligo, da parte dei magistrati del distretto di corte d'appello, di avvisare il procuratore generale dell'avvenuta revoca del titolo cautelare. Di conseguenza, il procuratore generale potrebbe anche non riuscire ad essere informato del venir meno dell'ordinanza di custodia cautelare e della conseguente sopravvenuta inefficacia del mandato di arresto europeo.
APPENDICE CONSIDERAZIONI SULLA PSICOLOGIA DELLA TESTIMONIANZA
SOMMARIO: l . Le Scuole penalistiche e le teorie sulla testimonianza. - 2. I momenti della testimonianza.
- 3 . La testimonianza dei minorenni.
l.
Le Scuole penalistiche e le teorie sulla testimonianza.
La normativa del codice di procedura penale risente ancora oggi dello scontro che vi è stato tra le due opposte concezioni, che hanno avuto ad oggetto la te stimonianza e che sono riferibili alla Scuola Classica e a quella Positiva. La Scuola Classica ha ricostruito la teoria della testimonianza sulla base di tre postulati: l ) la completezza della testimonianza; 2) la volontarietà della narrazione del vero; 3 ) la neutralità psichi ca del testimone. Da tali postulati si deduce che il testimone vede e percepisce tutto quello che gli sta davanti. Se egli vuole essere sincero, è in grado di riferire tutto quello che è awenuto in sua presenza. Ne consegue che il testimone dice il falso soltanto quando vi ha interesse. Viceversa, se non ha interesse a mentire, allora dirà il vero, perché egli è psichicamente neutrale rispetto al fatto a cui assiste. Sul punto, è ben noto quello che affermava Francesco Carrara nel Programma del Corso di diritto criminale pubblicato ori ginariamente a Lucca nel 1 874 ( 1 ) : « L'esperienza mostra che l'uomo per regola percepisce e narra il vero e solo eccezionalmente si inganna e mente. Codesta regola si avvalora perciò di due pre sunzioni: 1) presunzione che i sensi non abbiano ingannato il testimone; 2) pre sunzione di veridicità che assiste ogni uomo, la quale porta a ritenere che egli non voglia ingannare ». Accolti i predetti postulati, è soltanto necessario che il magistrato indaghi sugli eventuali legami di interesse che il testimone ha con le parti del processo: ove non vi siano legami di interesse, il testimone deve presumersi veritiero. Quante volte si sente ripetere: il testimone non aveva alcun interesse a mentire; perché avrebbe dovuto farlo? E la giurisprudenza tradizionale, formatasi su questi pre(l)
Parte generale, II, 2• ed., Firenze, 1 902, 464.
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Appendice
supposti teorici, ancora ogg1 nuene non necessario cercare i riscontri di una deposizione testimoniale (2) . I n quanto postulati, l e affermazioni della Scuola Classica non necessitavano di dimostrazioni. Ma non appena gli studiosi hanno iniziato a condurre esperi menti, i postulati hanno dimostrato tutta la loro fallacia. n merito di tale rivo luzione deve essere attribuito alla Scuola Positiva, che ha applicato agli studi sull'uomo il metodo scientifico, che si era venuto perfezionando dai tempi di Galileo Galilei. Lo scopo era quello, evidentemente, di scoprire le leggi naturali dell'essere umano. Nei primi anni del '900 alcuni sperimentatori (3 ) hanno potuto dimostrare che non è vero che il testimone vede tutto quello che ha di fronte. Poiché le sue capacità di percezione sono limitate, egli non è in grado di immagazzinare e riferire tutto quello che può osservare. Successivamente si è accertato che la deposizione non è un atto completamente volontario, poiché è influenzabile dall'inconscio. Gli studiosi sono arrivati alla conclusione che il testimone può dire il falso per motivi completamente diversi dal suo interesse nel processo; infatti, possono intervenire vari difetti nei momenti fondamentali della testimonianza (4) . Inoltre, non esi stono mai testimonianze neutrali su di un reato, perché il fatto a cui si assiste è un evento drammatico che lede o pone in pericolo l'interesse di tutti i cittadini. Dagli inizi del '900 gli studi in questa materia si sono moltiplicati e sono oggi pervenuti ad un grado elevato di raffinatezza (5) . Le presenti pagine vogliono essere soltanto un primo approccio alla materia ed un invito ai giuristi ad ap profondire quelle problematiche che sono utili per la loro formazione e la loro attività pratica e che, purtroppo, non sono considerate nei corsi delle Facoltà di giurisprudenza. Con la precisazione che, quando comunemente si parla di psi cologia della " testimonianza " , con tale termine si usa ricomprendere anche quel racconto che è stato fatto dall'imputato. In definitiva, gli studi in questione hanno per oggetto tutte quelle narrazioni che sono effettuate per le finalità di un pro cedimento giurisdizionale, da chiunque siano rese. (2) Sulla presunzione di attendibilità del testimone << fino a prova contraria », la giurisprudenza è mo nolitica; si veda, come esempi, Cass. 1 1 giugno 1998, Di Salvo, in Cass. pen., 1999, 3206; Cass. 6 aprile 1999, Tagliapietra, in Cass. pen., 2000, 2382. Per l'affermazione che non sono necessari riscontri esterni, essendo sufficiente il controllo intrinseco di attendibilità della dichiarazione, v. Cass., 15 aprile 199 1 , Piredda, in Riv. pen., 1992, 5 19. Si è arrivati a sostenere che lo stato di tossicodipendenza del testimone non rileva sotto il profilo della sua credibilità; in tal senso Cass. 17 febbraio 1997, in Guida dir. , 1997, 20, 67. (3) A. BINET, L'étude expérimentale de l'intelligence, Paris, 1903. (4) Si veda, come esponente della Scuola positiva, E. ALTAVILLA, Psicologia giudiziaria, ( 1 923), Torino, 1955. (5) L. DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della testimonianza e prova testimonia/e, Milano, 1988; AA.Vv., Psicologia e processo: lo scenario dinuoviequilibri, a cura di L. DE CATALDO NEUBURGER, Padova, 1989; G. GuwTTA, Strumenti concettualiperagire nel nuovo processo penale, Milano, 1990; AA.Vv., Ilprocesso invisibile. Le dinamiche psicologiche nel processo penale, a cura di A. FoRZA, Venezia, 1997; G. GuLOTTA e M. ZETTIN, Psicologia giuridica e responsabilità, Milano, 1999; G. GuwTTA, Elementi di psicologia giuridica e di diritto psicologico, Milano, 2000.
Considerazioni sulla psicologia della testimonianza 2.
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I momenti della testimonianza.
Anche se la testimonianza è da intendersi come un processo unitario che va dalla sensazione fino alla narrazione, gli studiosi preferiscono isolare almeno sei momenti fondamentali di tale procedimento ( 6). Lo scopo è quello di una migliore valutazione dei fenomeni che incidono sulla mente umana. Pertanto, si è soliti isolare i seguenti momenti fondamentali: a) la sensazione; b) la percezione; c) la rielaborazione; d) la memoria; e) la rievocazione; j) l'espressione. a.
La sensazione.
La sensazione è la risposta dei recettori sensoriali situati nei nostri organi di senso agli stimoli ambientali. Mfìnché lo stimolo sia percepibile, deve avere una sufficiente durata ed intensità. Inoltre la persona deve essere fisiologicamente in grado di avere sensazioni. I recettori sensoriali producono segnali che sono tra smessi, sotto forma di messaggio nervoso, alla corteccia cerebrale. I segnali, una volta raggiunta la corteccia cerebrale, attivano neuroni sensibili alle caratteristiche fisiche dello stimolo. :t'. a questo livello che si ha una percezione. b.
La percezione.
La percezione è un processo che implica il riconoscimento e l'interpretazione degli stimoli che colpiscono i nostri sensi. La percezione può essere definita come l'elaborazione cosciente dell'informazione sensoriale che perviene al cervello (7). L'oggetto individuato nella sua forma e nelle sue caratteristiche fisiche viene confrontato con le tracce depositate in memoria (tracce mnestiche) e viene iden tificato come oggetto ignoto o come appartenente ad una categoria già nota di oggetti con caratteri simili. A questo punto possiamo già incontrare i primi difetti della conoscenza, derivanti dalla limitatezza delle capacità umane. In particolare: a) ciascuno di noi può raccogliere dall'ambiente esterno solo un numero determinato di stimoli contemporaneamente; b) abbiamo, inoltre, una percezione d'insieme e non di singoli particolari; c) abbiamo emozioni, pregiudizi o aspettative che derivano da precedenti esperienze e che influiscono sulla nostra conoscenza. Infatti, il nostro cervello opera automaticamente una selezione tra le sensa zioni che gli arrivano. Esistono varie teorie riguardo all'opera interpretativa che esso compie (8) . Ad esempio, quando giungono sensazioni incomplete, il cervello (6) A. MALINVERNI, Vero e falso nella testimonianza, in AA.Vv., La testimonianza nel processo penale, Atti dell'VIII Convegno "Enrico De Nicola", Milano, 1974, 186. (7) P. RoOKES & }. WILLSON, La percezione, Bologna, 2002, 7 . (8) Si veda S. RoNCATO & G. M. Zucca, I labirinti della memoria, Bologna, 1993.
994
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tende a colmare le lacune. Quando arriva una pluralità di sensazioni in contrasto tra loro, il cervello tende prevalentemente ad escludere quella che in modo sog gettivo ritiene contraddittoria. Infine, il cervello tende a percepire quello che desidera o quello che teme fortemente che avvenga. Questo dà luogo a fenomeni di illusione. Il momento della percezione è interno alla psiche dell'uomo; perciò non è controllabile da parte del sistema giudiziario. Non possiamo, quindi, intervenire preventivamente su quelle variabili che potrebbero inquinare la testimonianza; possiamo solo operare una diagnosi riguardo ad esse. Anche più persone possono, infatti, cadere in errore se ci sono circostanze che lo provocano. Comunemente, ad esempio, viene fatto un errore sulla stima della "durata" di un evento (9). Gli eventi piacevoli appaiono, di regola, più brevi perché l'attenzione viene rivolta alla gradevolezza dei contenuti. Viceversa, gli eventi spiacevoli appaiono più lunghi di quanto lo siano in realtà perché l'attenzione viene concentrata sulla durata, e cioè sull'attesa che cessi la situazione dolorosa. Tutto questo potrebbe non essere vero in concreto. Per fare un esempio, l'attenzione della vittima di un'aggressione sarà comprensibilmente catturata dal l'attesa che l'evento cessi (allungamento soggettivo dell'impressione di durata); ma se lo spazio di quell'evento è riempito da una serie continua di situazioni di pericolo che la vittima cerca di fronteggiare, ecco che questa può spostarsi at tentivamente anche sui contenuti. Si ha così un accorciamento soggettivo del l'impressione di durata. Il perito può soltanto fare una diagnosi sulle circostanze ambientali e le disposizioni psicologiche in cui si trovava il testimone. c.
La rielahorazione.
È ciò che avviene tra il momento in cui immagazziniamo in memoria delle informazioni ed il momento in cui le richiamiamo alla nostra consapevolezza. I ricordi vengono conservati in memoria non come un "peso morto", bensì vengono rielaborati a livello inconscio. Abbiamo almeno due meccanismi che possono introdurre difetti ed inquinare le originarie rappresentazioni: l ) Il processo di rimozione: si tendono a scordare i momenti dolorosi. Si tratta di un meccanismo automatico di difesa della salute psichica del soggetto. 2) Il processo di integrazione: l'immagine non completa crea una situazione di conflittualità interna; questa deve cessare, perché la mente umana vuole tornare in situazione di equilibrio. In questo caso il cervello tende a eliminare la con traddizione e a colmare la lacuna. (9) D.M. THOMSON, Eyewitness testimony and identi/ication tests, in N. BREWER & C. WILSoN, Psychology and Policing, Lawrence Erlbaum Associates, Hillsdale, New Jersey, 1995, 1 1 9-154.
Considerazioni sulla psicologia della testimonianza
995
n processo di rimozione può dar luogo ad un fenomeno molto insidioso: le amnesie. Queste possono essere proattive (riguardano momenti successivi al l'evento) o retroattive (si riferiscono a momenti precedenti allo stesso). Le più insidiose sono le amnesie selettive; ad esempio, un teste ricorda solo gli elementi secondari del fatto e rimuove il nucleo che gli risulta più doloroso ricordare. d.
La memoria.
Può essere definita come la facoltà di conservare e riprodurre contenuti di coscienza provati in passato ( 10). È una caratteristica dell'essere umano. I difetti principali riguardanti la memoria sono legati non solo a traumi e a malattie, ma anche al passaggio del tempo ( 1 1 ) . La memoria è pienamente effi ciente solo nelle ore immediatamente successive al fatto. Non è molto corretto generalizzare questo principio perché i tempi ottimali di efficienza della memoria variano in relazione al contenuto di ciò che dobbiamo ricordare. Per quanto riguarda la memoria di riconoscimento (ad esempio, nelle ricognizioni di persona) non si riscontrano variazioni significative nell'arco della prima settimana; la memoria resta abbastanza stabile anche a distanza di mesi, ma solo per volti atipici. In sede sperimentale è stato dimostrato che si ricorda più a lungo una lista di vocaboli a cui possiamo dare un significato unitario (es. gatto, coda, baffi) che non una lista di vocaboli difficilmente associabili fra loro (es. casa, presso, verde). Ciò vale anche per una serie di numeri e caratteri. Ad es. la targa di un'auto sarà dimenticata molto facilmente anche a brevissima distanza dal verificarsi di un fatto in quanto gli elementi che la compongono sono tra loro difficilmente associabili. Viceversa, la ritenzione di materiale significativo riferito ad eventi reali decade più lentamente. Resta comunque valido il principio generale che il tempo erode inevitabil mente il ricordo degli eventi ( 12). Se consideriamo che il dibattimento si svolge molto tempo dopo il fatto (gli incidenti probatori sono rari) e che quando il testimone viene sentito dalla polizia giudiziaria non vi è la garanzia del contrad dittorio, comprendiamo l'importanza e la complessità del problema. Occorre distinguere due diversi tipi di memoria: a) la memoria episodica, che fa riferimento ad informazioni relative a fatti specifici collocabili in un preciso contesto spazio-temporale; b) la memoria semantica, che consente di interpretare un episodio alla luce di uno schema generale di comprensione. Come suggerisce il nome, la memoria semantica conserva solo il significato delle informazioni e delle ( l O) A. MALINVERNI, Vero e falso nella testimonianza, cit., 189. ( 1 1 ) A. WARDIS, Psychology and the Law, Cambridge University Press, New York, 1997, 74-75. (12) G. MAZzoNI, Si può credere a un testimone? La testimonianza e le trappole della memoria, ed. li Mulino, Bologna, 2003 , 1 17.
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conoscenze, perdendo completamente il riferimento alle coordinate spaziali e temporali di ciò che si è appreso. In questo caso intervengono gli elementi per sonali che tendono a deformare la realtà (passate esperienze, bisogni, interessi, aspettative). In particolare sono presenti nella memoria i c.d. copioni (scripts) , e cioè quegli schemi mentali che ogni persona ha tratto da esperienze precedenti e che poi utilizza per interpretare e comprendere un nuovo evento. Creato lo schema, ogni esperienza rischia di essere inserita nel copione di un'esperienza simile. Questo meccanismo può comportare che una persona, quando non ricorda il dato ori ginario, tende a proporre come testimonianza lo schema già acquisito ( 13 ) . Inoltre, d i fronte a d un fatto d i reato c ' è un'emozione forte, che può bloccare la sensazione: a causa di forti emozioni la successione degli eventi può essere ricordata in modo alterato ( 14 ) . e.
La rievocazione.
Consiste nell'attività di richiamo consapevole del materiale immagazzinato in memoria. È quel lavorìo mentale di " ripasso" , che il testimone compie con par ticolare intensità quando sa di essere stato citato per deporre. Possono presentarsi anche a tale proposito vari fattori che influenzano il contenuto della futura deposizione. Ad esempio, il testimone può aggiustare gli eventi che ricorda, temendo con la sua deposizione di subire un danno perso nalmente o di arrecarne ad altri. La situazione ottimale sarebbe intervenire a sorpresa, chiedendo "a caldo" al testimone cosa si ricorda. Un importante ruolo è giocato dagli stessi meccanismi inconsci che interfe riscono nella conservazione (ad es. , il processo di integrazione) . Altra variabile che può contaminare il ricordo originario degli eventi in questa fase, è l'eventuale interrogatorio a cui può essere sottoposto il teste prima del dibattimento (15). Infatti, l a polizia sente i l testimone i n segreto e in tale sede può cercare d i fare pressione su di lui. In che modo l'inquirente può influenzare il ricordo del teste? Gli studi a tale riguardo indagano sia sulla forma che sul contenuto della domanda. Ad esempio, nel caso in cui siano formulate domande chiuse con due sole possibilità alternative di risposta (ad es. , " aveva o non aveva la cravatta? " ) s i è rilevato che viene generalmente scelta quella posta i n forma positiva. ( 13 ) F.C. BARTELETI, Remembering, Cambridge, 1932;}. PIAGET, La causalitè physique chez l'en/ant, Paris, 1950; R.P. ABELSON, The psychological status o/ the script concept, in American Psych. 1981, 36, 7 15 -729; L. DE CATALDO NEUBURGER, Esame e controesame nel processo penale, Padova, 2000, 80. (14) J. YUILLE & P. ToLLESTRUP, A mode! o/ the diverse el/ects o/ emotion on eyewitness memory, in S.A. Ci-IRISTIANSON, The Handbook o/ Emotion and Memory: Research and Theory, Erlbaum, Hillsdale, New Jersey, 1992, 201-2 15. ( 15 ) E. GoRRA & I. RAMroLDI, Come nell'interrogatorio la domanda può influenzare la risposta, in G. GuLOTIA (cura di) , Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano, 1987, 539-548.
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Considerazioni sulla psicologia della testimonianza
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Infestanti sono, inoltre, le domande implicative per presupposizione con le quali, inserendo nella domanda alcuni dettagli, si contamina il ricordo del teste che tende a considerare questi ultimi come pacifici. Ad es.: "ha visto la valigia sul portapacchi? " ; il testimone dà per scontato che c'era un portapacchi. Nelle domande disgiuntive parziali (es. "l'uomo era vestito di bianco o di nero ? " ) si condiziona il teste, che ricorda un uomo vestito di grigio, a scegliere la risposta che più si avvicina al proprio ricordo. Anche l'uso di determinati termini può influenzare la testimonianza. Ad esempio, alla domanda "può dire a che velocità viaggiavano le due auto che si sono andate a fracassare? " è indicata una velocità superiore di circa 40 km/h rispetto a quella data in risposta a chi chiede " a che velocità procedevano le due auto che si sono urtate? " . L e domande implicative per presupposizione sono infestanti i n due sensi. li testimone in situazione di disagio e incalzato dalle domande tende a formulare la risposta prima del termine della domanda. In questo modo sottovaluta gli elementi proposti nella domanda e tende a farli propri inserendoli nel proprio ricordo. Si instaura un meccanismo a catena, poiché in un momento successivo questi ele menti passeranno nel verbale, che spesso riporta solo la risposta. Un'altra categoria di domande dotate di notevole forza suggestiva è quella delle domande condizionali. In particolare, una domanda condizionale affermativa è posta come segue: "non era forse bianca l'auto dell'imputato? " ; mentre una domanda condizionale negativa è posta con una sfumatura diversa: "era forse bianca l'auto dell'imputato? " . Da come sono formulate le domande, il teste av verte implicitamente che nel primo caso ci si attende una risposta positiva e nel secondo caso una risposta negativa ( 16). Tra le domande indirette, quelle che hanno maggiore forza suggestiva sono le domande indirette di tipo dubitativo, nelle quali il suggerimento è mascherato dalla forma indiretta e condizionale. Per esempio, una domanda del tipo: "mi domando se lei ricorda se l'auto posseduta dall'imputato fosse una Fiat o un'Alfa Romeo . " , è una domanda che è presentata in modo da comunicare al teste una sensazione di libertà di scelta che invece è illusoria ( 1 7 ) . Condizionano l a testimonianza anche l e affermazioni di dubbio spesso uti lizzate per esercitare pressioni sul teste (ad esempio: "non si sta sbagliando? " ) . Tali affermazioni richiamano lo spauracchio della falsa testimonianza. L a paura è molto più forte in colui che è in buona fede, piuttosto che nel bugiardo. Un avvocato (ma lo stesso vale per il pubblico ministero) deve stare ben attento ad adoperare tali strumenti perché potrebbero ritorcersi contro di lui; una risoluta risposta in senso opposto può far perdere un processo. ( 16) E. GoRRA & I. RAMPOLDI, Come nell'interrogatorio la domanda può influenzare la risposta, cit., 543 . (17) L. DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della testimonianza, ci t., 188; E. GoRRA & I. RAMPoLDI, Come nell'inte"ogatorio la domanda può influenzare la risposta, cit., 543 .
Appendice
998 f.
L'espressione.
È il racconto orale in dibattimento. Anche in questa fase si hanno difficoltà in quanto non tutte le persone sanno tradurre correttamente in linguaggio ciò che ricordano. Nel passaggio all'esposizione orale il linguaggio comporta una inevi tabile semplificazione e generalizzazione. Problemi sono posti anche dalla narrazione libera, che segue ad una domanda aperta (ad esempio: " dica cosa ricorda di quel fatto" ) . Di regola, la risposta è più accurata ma anche meno completa; essa contiene meno errori, ma anche meno particolari. Il testimone tende, infatti, a semplificare. Determinati dettagli, invece, sono importanti per il giurista. La narrazione guidata è condotta con domande puntuali. Solitamente essa risulta più completa, ma contiene più errori. D'altra parte, al giurista interessano quei dettagli che possono far inquadrare il fatto in una differente fattispecie in criminatrice. Occorre sottolineare che non ci sono mai due testimonianze identiche sul medesimo fatto; se due testimoni usano le medesime parole, possiamo essere certi che essi si sono preventivamente accordati. Altro tema interessante è quello dell'utilità o meno delle domande suggeri mento ai fini della ricerca della verità. Sappiamo che tali domande sono vietate in sede di esame principale, perché la parte che cita un testimone deve dimostrare che questi è attendibile. Viceversa, nel controesame le domande suggerimento sono ammesse perché esse servono a valutare la credibilità del dichiarante. Nel controesame, sede in cui si cerca di far cadere il testimone in contrad dizione, è fisiologico l'incalzare delle domande. Si tende a screditare il testimone di fronte al giudice; di conseguenza l'esame potrà non essere molto "leale" . Anche il tono della voce con cui si pongono le domande è importante e, riguardo a questo, il confine tra stimolo e suggestione è soggettivo. Tuttavia, è buona regola con troesaminare il testimone soltanto quando si conosce ciò che potrà dire; altrimenti è troppo rischioso: la risposta potrebbe portare a risultati controproducenti. Per conoscere gli elementi, che il testimone può esporre, il difensore si può basare sui verbali della polizia; egli ha, inoltre, il dovere di svolgere un'indagine difensiva. Il metodo migliore per controinterrogare è incalzare il testimone con do mande brevi, ma secondo una scaletta in ordine di intensità e importanza cre scente. In questo modo risulta più difficile mentire, poiché il testimone tenderà a confermare quanto detto in precedenza. In sede di controesame si rivelano particolarmente efficaci le c.d. leading questions, ossia le domande guidanti. Occorre fare un'osservazione: nella lingua giuridica inglese alla locuzione " domande suggestive" corrisponde la locuzione "leading questions" . Entrambe le definizioni esprimono sostanzialmente il me desimo concetto e tuttavia nessuna delle due è in grado di indicare tutti i contenuti
Considerazioni sulla psicologia della testimonianza
999
dell'altra ( 18). Sicuramente, le leading questions e le domande suggestive hanno in comune una struttura sin tattica in cui sono presenti elementi che condizionano la risposta in un senso determinato ( 19). Ma sotto altri aspetti presentano delle differenze. Le leading questions consentono un grado di controllo sulle risposte del teste che le domande suggestive in senso stretto non possono assicurare. La domanda guidante è formulata in modo da indurre il teste a rispondere "sì" o "no " . La domanda suggestiva in senso stretto attiva l'immaginazione, opera sulla memoria dei fatti e incide sul contenuto della risposta ma non chiude il teste nella sola alternativa fra il "sì" e il "no " (20). Per esempio, la domanda: "può riferire che manovra stava facendo con la sua autovettura quando ha sentito gli spari ? " è suggestiva, in quanto implica che al momento degli spari il teste fosse alla guida della macchina. La domanda: "al momento degli spari lei era in macchina? " è una domanda guidante, in quanto induce il teste a limitarsi a un "sì" o a un "no " . L e domande guidanti devono essere articolate in una sequenza e ogni do manda deve contenere un solo fatto o un solo concetto. In questo modo si può ricostruire un determinato evento, anche se complesso, tenendo sotto controllo il teste (2 1 ) . Nel sistema accusatorio, dove controesame e riesame si susseguono senza soluzione di continuità, ad un avvocato (e al pubblico ministero) sono richieste doti di abilità metodica, immediatezza della controffensiva, conoscenza appro fondita dei meccanismi che regolano la comunicazione (22) . 3.
L a testimonianza dei minorenni.
Alcuni studiosi sono scettici riguardo alla capacità dei minori di testimoniare a causa dei seguenti fattori: a) la maggiore suggestionabilità dei minori; b) la maturità insufficiente per compiere operazioni cognitive complesse; c) la tendenza a completare ricordi lacunosi con elementi fantastici (23 ) . a ) Sicuramente la suggestionabilità incide pesantemente sulla testimonianza dei bambini. Tale fattore è amplificato dai motivi per cui si trovano a deporre: è (18) D. CARPONI ScHIITAR, Modi dell'esame e del controesame, 2• ed., Milano, 200 1 , 337. ( 19) G. CAROFIGLIO, Il controesame, Milano, 1997, 97. (20) G. CAROFIGLIO, Il controesame, cit., 98; D. CARPONI ScHIITAR, L. HARvEY CARPONI ScHIITAR, Modi dell'esame e del controesame. Riflessioni - suggerimenti - esempi, Milano, 1992, 82. (2 1 ) G. CAROFIGLIO, Il controesame, cit., 100; D. CARPONI SCHIITAR, Modi dell'esame e del controesame, cit., 344. (22) Nella dottrina italiana, le prime indicazioni in proposito sono state tracciate da A. MALINVERNI, La riforma del processo penale, Torino, 1970, 2 16 ss. (23 ) E. ALTAVILLA, Psicologia giudiziaria, ( 1 923 ), Torino, 1955, 4 1 ss.; C.L. MusAm, Elementidipsicologia della testimonianza, ed. Cedam, Padova, 1 93 1 , ripubblicato nel 1989 dall'ed. Liviana; G. GuLOITA, Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano, 1987, 5 13 .
1000
Appendice
frequente che vengano ascoltati in qualità di vittime di una violenza. È com prensibile che in queste situazioni il minore (spesso sottoposto a pressioni anche dagli stessi familiari) non collabori o, viceversa, tenda a deformare la realtà per renderla meno dolorosa. b) Le competenze cognitive dei minori non possono essere considerate, in se stesse, né superiori né inferiori a quelle degli adulti; esse sono qualitativamente diverse. Alcune caratteristiche variano con l'età; ad esempio, i bambini molto piccoli hanno anche un problema di utilizzo del linguaggio espressivo (sia per riferire i fatti, sia per la comprensione delle domande). La valutazione del ricordo del minore deve poggiare, oggi, su nuove basi (24) . Recentemente, infatti, molti ricercatori hanno affermato che anche il bambino può avere un ricordo accurato, al pari di un adulto (25 ) . È stato difatti rilevato che il ricordo libero, cioè narrato dall'individuo senza alcuna domanda da parte dell'interlocutore, permette al bambino di ricostruire un ricordo dettagliato seb bene povero di particolari rispetto a quello di un adulto (26). Va però ricordata, a tale proposito, la difficoltà che i bambini hanno a ri cordare dettagli non salienti. Ciò è dovuto al fatto che il bambino tende a codificare ciò che richiama la sua attenzione al momento dell'evento; quindi ricorderà meglio l'elemento che ha maggiormente attirato la sua attenzione. In ogni caso gli studiosi sono concordi nel ritenere che ciò che definisce la competenza nella rievocazione dei bambini non è tanto la qualità del ricordo in sé, ma, piuttosto, le tecniche di recupero utilizzate a fronte di ciò, sono basilari le modalità con le quali vengono poste le domande (27 ) . (24) I n materia è fondamentale il riferimento alla Carta d i Noto, documento nato dalla collaborazione interdisciplinare tra avvocati, magistrati, psicologi, psichiatri, criminologi e medici legali dopo il convegno "Abuso sessuale sui minori e processo penale" , tenutosi a Noto il 9 giugno 1996 ed organizzato dalla Prof.ssa De Cataldo Neuburger e dall'Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali. La Carta di Noto è stata successivamente aggiornata il 7 luglio 2002. Per un commento si veda L. DE CATALDO NEuBURGER, G. GuLOTTA, La Carta di Noto e le linee deontologiche per lo psicologo giuridico, Milano, 2004. La Carta, che definisce le lince guida per l'indagine e l'esame psicologico del minore, evidenzia l'imprescindibilità di una formazione specifica e di un costante aggiornamento professionale per i soggetti che si trovino ad operare con il minore nell'ambito del procedimento penale e l'obbligo in capo ad essi di adottare metodologie e criteri di valutazione riconosciuti come affidabili dalla comunità scientifica di riferimento ed esplicitare i modelli teorici utilizzati, in modo da permettere la valutazione critica dei risultati. La difficoltà maggiore, infatti, nell'ambito dei procedimenti per abusi sessuali sui minori è spesso l'assenza di riscontri obiettivi ai fatti riferiti dall'offeso. L'autorità giudiziaria dipende in modo totale dalle sole dichiarazioni del bambino, che devono dunque essere correttamente raccolte da un esperto con precise competenze sia nel campo dell'età evolutiva sia nel campo della psicologia forense. L'esperto, inoltre, è chiamato ad esplicitare metodologie e criteri utilizzati nel colloquio con il minore in modo da consentire al giudice e alle parti di verificare la correttezza e l'affidabilità del metodo impiegato. (25) G. VALVO, L'ascolto giudiziario del minore vittima di abuso sessuale, in Minori e giustizia, 1998, 2, 9 1 ; P. MICHIELIN, Comunicare con il minore, in AA.Vv., Dt/endere, valutare e giudicare il minore, a cura di A. FoRZA, P. MICHIELIN, G. SERGIO, Milano, 2002. (26) A. CAVEDON , Tecniche di intervista, in AA .Vv ., Dt/endere, valutare e giudicare il minore, cit.; L. DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della testimonianza e prova testimoniate, Milano, 1988. (27) E. BALDINI, Le caratteristiche delle testimonianze di minorz; in www.vertici.com, 2006.
Considerazioni sulla psicologia della testimonianza
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Appare, pertanto, superata l'idea che il minore, una volta oltrepassate de terminate tappe dello sviluppo, aggiunga elementi fantastici o invenzioni al pro prio ricordo. Secondo recenti studi, infatti, questo può accadere solo se il contesto in cui il minore fornisce il resoconto è da lui percepito come una situazione di gioco fantastico (28). Tutto questo vale però solo nel caso in cui il bambino non sia sottoposto a interviste "incalzanti" , in quanto il resoconto successivo risentirà dei colloqui precedentemente fatti e tenderà così a contenere nuove informazioni ricevute dal minore in tali conversazioni (29). Quest'ultimo aspetto pone in risalto un altro problema che emerge nell'analisi della testimonianza del minore, e cioè quello della suggestionabilità, la quale si manifesta soprattutto attraverso particolari tipi di domande e nei modi in cui esse possono essere poste (30). Si è notato, infatti, che davanti a domande che pre vedono una risposta "sì/no" , il minore manifesta la tendenza a rispondere "sì" anche quando avrebbe dovuto rispondere "no " . Inoltre, si è potuto constatare che i bambini risultano più suggestionabili se la domanda gli viene posta da un adulto anziché da un bambino (3 1 ) . L a conoscenza di questi elementi può sicuramente condurci ad una migliore valutazione del ricordo fornito dal bambino, in quanto permette una più precisa ricerca della verità nella testimonianza da lui prodotta. Le deficienze relative alla scarsa comprensione e proprietà di linguaggio sono compensate da altre poten zialità che più raramente ritroviamo negli adulti, quale, ad esempio, la scarsa propensione a lasciarsi influenzare dai pregiudizi. Nella ricognizione di persona sembra non interferire il fattore età, anche se la spiccata tendenza dei bambini a venire incontro alle aspettative degli altri, rispondendo con più facilità anche quando non sono sicuri, aumenta il numero di "falsi riconoscimenti" di persone assolutamente non implicate nel fatto (32) . Alla luce delle conoscenze attuali occorre ridimensionare il convincimento che i minori tendano a confondere elementi reali con elementi immaginari. Se mai, il fenomeno deve essere principalmente messo in relazione con la natura stressante (28) Cfr. G. MAzzoNr, La psicologia della testimonianza nei casi di presunto abuso sessuale su soggetti minori, in La testimonianza nei casi di abuso sessuale sui minori, a cura di G. MAzzoNr, Milano, 2000, 96. (29) L. DE CATALDO NEUBURGER, L'zdoneità del minore a rendere testimonianza, in AA.Vv., Difendere, valutare e giudicare il minore, cit. (30) Per escludere, o accertare, che le domande, a prescindere dalla formulazione suggestiva, siano state percepite come tali dal minore per il tono di voce, la postura, lo sguardo, l'espressione con cui sono state rivolte, la Carta di Noto suggerisce di ricorrere in ogni caso possibile alla videoregistrazione o quanto meno all'au dioregistrazione dei colloqui con il minore. Se mancano tali forme di documentazione, il parere dell'esperto non può più essere considerato come un contributo scientifico all'accertamento della verità. (3 1 ) L. DE CATALDO NEUBURGER, L'idoneità del minore a rendere testimonianza, cit. (32) J.D. PozzuoLO & R. C. LINDSAY, Identification accuracy o/ children versus adults: a meta-analysis, in Law and Human Behavior, 1998, 22, 549-570.
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Appendice
del contesto processuale, che può facilitare proiezioni e fantasie di vario tipo. In sintesi, possiamo affermare che l'aspetto più problematico della deposizione dei minori sembra essere non tanto una questione cognitiva, quanto una questione emotiva. c) Quanto alla competenza a livello di esame della realtà, si deve procedere ad una valutazione delle capacità individuali. n codice di procedura penale pre vede misure tendenti ad evitare che si determinino situazioni ulteriormente trau matiche ai danni del minore. In base all'art. 498, commi 4 e 4-bis, deve essere evitato l'esame incrociato del minorenne; se il giudice lo ritiene opportuno, può essere presente in aula uno psicologo. L'esame può avvenire in una stanza separata da uno specchio unidirezionale, in modo che il minore si senta al sicuro e possa parlare liberamente (33 ) . Particolarmente delicato è procedere a d interrogare un bambino vittima di una violenza sessuale. Alcuni periti danno molto valore agli indicatori di abuso, retaggi di un orientamento psicologico molto diffuso negli Stati Uniti negli anni '60. In realtà, si è visto come tali indicatori (ad esempio disturbi nel sonno, nel l'alimentazione, nello studio) siano aspecifici: essi possono avere i più vari signi ficati e, quindi, non sono decisivi. Soltanto due di questi indicatori (purché as sociati agli altri che segnalano uno stato di sofferenza) sembra che siano più direttamente collegabili ad una situazione di abuso sessuale: la paura e l'avversione per un determinato sesso; gli atteggiamenti ipersessualizzati. In particolare, la cosiddetta validation, ossia quella tecnica d'indagine psicologica secondo cui le vittime degli abusi graduerebbero le loro accuse da quelle meno gravi a quelle più gravi, è soltanto un metro di valutazione che non ha alcuna valenza di certezza scientifica (34). Essa può costituire, in un quadro probatorio completo e certo, una chiave di interpretazione delle (33 ) Si veda parte III, cap. V, § 20. (34) La c.d. valzdation, denominata Statement Validity Analysis, consiste in un'intervista condotta con particolari modalità al fine di accertare la credibilità delle accuse d abuso sessuale provenienti da minori. Questo metodo impone di organizzare le domande secondo una precisa scansione: si pongono prima domande generali o aperte per giungere a domande specifiche o chiuse. Occorre evitare di porre domande in forma suggestiva. La durata complessiva dovrebbe esser compresa tra i 20 e i 45 minuti. L'intervista viene videoregistrata. Conclusa l'intervista, il contenuto delle risposte viene esaminato sulla base di criteri predeterminati. L'assunto di base di questo tipo di analisi è l'ipotesi secondo la quale le deposizioni basate sull'esperienza diretta di un evento differiscono qualitativamente da quelle prodotte dall'invenzione o dalla coercizione. Le differenze qualitative sono definite criteri di realtà perché servono a controllare la "realtà" di una determinata affermazione al fine di valutarne l'attendibilità. Sono stati individuati 19 criteri di contenuto suddivisi in 5 categorie: caratteristiche generali (struttura logica del discorso, assenza di struttura, quantità di dettagli); contenuti specifici (inserimento delle informazioni nel contesto temporale e spaziale, descrizione di interazioni tra azioni, reazioni, conversazioni, riproduzione di discorsi, imprevisti awenuti durante il fatto); particolarità di contenuto (dettagli inusuali, superflui, particolari riportati accuratamente ma fraintesi, associazioni esterne al fatto ma correlate ad esso, pensieri e emozioni provate dalla vittima, attribuzioni all'autore del fatto di pensieri e emozioni); contenuti relativi alla motivazione (correzioni spontanee, ammissioni di dimenticanze, dubbi sulla propria testimonianza, critica del proprio comportamento, "giustificare" l'autore del fatto); elementi specifici dell'evento (dettagli tipici
Considerazioni sulla psicologia della testimonianza
1003
difficoltà delle vittime delle violenze nel rivelare le vicende più riservate. Detto criterio, però, non è applicabile in ogni situazione e comunque non è sostitutivo della prova (35). Gli studiosi sostengono che tale strumento non può accertare la credibilità del minore ma serve soltanto ad investigare alcuni parametri (storia personale, presenza o assenza di indicatori, stile e contenuto della narrazione) dai quali, al massimo, si può dedurre che il minore vive una situazione generica di malessere le cui cause sono tutte da accertare (36). L'abuso sessuale non è un « disturbo psichico ». La diagnosi relativa al benessere del bambino non può essere confusa con la prova del comporta mento abusante. Spetta al magistrato, non all'esperto, stabilire se s1 s1a verificato o meno un abuso sessuale (3 7 ) . I n genere, s i cerca d i raccogliere informazioni dai minori tramite un'in tervista cognitiva (38), che consiste in un colloquio strutturato in modo tale da evitare domande suggerimento e altre forme di induzione e suggestione, anche nella comunicazione non verbale. In tale intervista, l'esperto deve prestare particolare attenzione alla sequenza delle domande ed ai tempi di risposta da parte del minore, che sono generalmente più dilatati rispetto a quelli di un adulto. Risulta di fondamentale importanza che l'esperto ponga le domande con la mente libera, senza idee preconcette o pregiudizi, in modo tale da evitare di dar vita a "falsi positivi" , ossia dare per avvenuti abusi che in realtà non lo sono. Prima di procedere all'intervista, l'esperto deve identificare il problema, gli individui coinvolti, le loro personali caratteristiche e le caratteristiche del contesto, soprattutto familiare, in cui vive il minore. Inoltre è necessario chiarire all'intervistato lo scopo del colloquio, poiché alcuni bambini tendono del tipo di crimine di cui si tratta). Di regola, la valutazione si compie su una scala a 3 punti attribuendo il punteggio di O se il criterio è assente, l se è presente, 2 se è fortemente presente. (35) Cass., sez. III, 6 dicembre 1995, Sblendido, in CED, n. 204090, e in Cass. pen., 1997, 1 1 1 1 . (36) L. DE CATALDO NEUBURGER, « Validation »: quanto vale e in cosa consiste, in www.aipgitalia.org, 2002, newsletter n. 8. (3 7) L'attività demandata allo psicologo o allo psichiatra chiamato ad effettuare una valutazione sul minore è ben diversa da quella dell'inquirente, dovendo quest'ultimo procedere all'accertamento dei fatti oggetto di denuncia, mentre l'altro limitarsi, attraverso l'osservazione ed i colloqui con il minore, a stabilire se egli sia idoneo a rendere testimonianza e se le sue dichiarazioni siano attendibili. La stessa Carta di Noto, all'art. 2, stabilisce che l'esperto non può compiere indagini relative ai fatti per i quali si procede, ma deve limitarsi ad esprimere giudizi di natura psicologica. La stretta delimitazione dei compiti, oltre che a rispondere a logiche processuali, trova giustificazione nella inidoneità degli strumenti a disposizione dello psicologo, che non con sentono di raggiungere conclusioni sul merito della vicenda, in quanto offrono risposte meramente sul piano della realtà interna dell'esaminato, non su quello della realtà esterna. Se l'esperto soprawaluta la portata dei suoi strumenti e si addentra in non dimostrabili conclusioni sull'esistenza del fatto storico di reato, trascura il compito, certo, più modesto, ma sicuramente raggiungibile, di garantire al giudice la qualità della narrazione raccolta. (38) K.J. SAYWITZ, RE. GEJSELMAN & G.K. BoRNSTEIN, Effects of cognitive interviewing and practice on children's reca!! performance, in ]ournal of Applied Psychology, 1992, 77, 774-756.
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a pensare di essere sottoposti al colloquio perché in qualche modo colpe voli (39). In ogni caso è fondamentale curare l'ambiente fisico e psicologico in cui ha luogo l'intervista: molti studiosi, infatti ritengono che l'ambiente non sia solo il luogo in cui avviene il colloquio, ma anche un elemento costituente del processo di ricordo stesso (40). Sempre prima di iniziare il colloquio, l'esperto deve accertare il livello linguistico e cognitivo del minore, la sua maturità sociale, fisica e sessuale, per adattare l'intervista al singolo che ha di fronte. Quando poi l'argomento sessuale è stato introdotto, al minore deve essere chiesto di raccontare con parole proprie l'accaduto, senza porre domande sui fatti, per non influenzare la testimonianza ed evitare che il bambino risponda in base alle aspettative dell'adulto (4 1 ) . I n genere però i minori non forniscono nel racconto libero una quantità di informazioni sufficiente agli scopi giudiziari: a questo proposito può essere utile porre domande aperte, che servono per ottenere maggiori indicazioni, ma ciò deve avvenire nel modo meno guidante o presupponente possibile; inoltre le domande devono contenere solo elementi che il minore abbia già riferito nel racconto libero. Nel caso in cui le domande aperte non siano state sufficientemente produttive, l'intervistatore può porre domande chiuse, che forniscano al minore alternative di risposta tra cui scegliere (42). Al termine dell'incontro, l'esperto deve accertarsi d i aver capito corretta mente tutto ciò che il bambino intendeva esprimere, ricapitolando le infor mazioni emerse attraverso l'utilizzo di termini comprensibili per quest'ultimo, oppure domandando allo stesso minore di ripetere ancora una volta quanto riferito, senza però dargli l'impressione di mettere in dubbio la sua testimo manza. La conclusione vera e propria va condotta in modo da limitare il turbamento dell'intervistato; indipendentemente dalle informazioni ottenute, il minore deve essere ringraziato per aver partecipato al colloquio. In ogni caso, occorre adoperarsi affinché il bambino non percepisca di non essere stato all'altezza del compito, nemmeno nel caso in cui l'intervista non sia stata informativa come ci si aspettava (43 ) .
(39) l. CuncA, L'intervista investigativa nelle valutazioni di abuso sessuale su minori: stato dell'arte, in Psicologia giuridica e responsabilità, Collana diretta da A. GuLOTIA, Milano, 1999, 422. ( 40) S. CEci, J. BRONFENBRENNER, U. BAKER, Memory in context: the case o/prospective remembering, 1998, 453 . (41) I. CuncA, L'intervista investigativa, loc. ult. cit. (42) I. CuncA, L'intervista investigativa, loc. ult. cit. (43) I. CuncA, L'intervista investigativa, loc. ult. cit.
INDICE ANALITICO (I numeri e le lettere indicano, rispettivamente, parte, capitolo, paragrafo ed eventuale sottoparagra/o)
A Abnorme (provvedimento), V.3 .8; 11.2.2.g Accertamenti tecnici - del pubblico ministero, III . l .6j
- convalida, 111 . 1 .7.d
- della difesa, 111.4 . 1 0 e III.4 . 1 1 - idonei ad incidere sulla libertà personale, 111 . 1 .6.g Accertamenti urgenti, III. 1 .5 f Accompagnamento coattivo, 11.2 . l .b; 11.4.2.a; 11.4.5.b; III . l .6.d; III . l .6.g Accusatorio (sistema) , 1 . 1 . 3 ; 1. 1 .5 Acquisizione (della prova), 11.3 .4.c; 111.5 . 1 0 Acquisizione concordata, 111.3.9; 111.5 . 15 Addebito provvisorio, 11. 1 . 1 .b; 111. 1 . 1 .a Aids, 11.6.2.d Alibi, 11.3 .3 ; 11.3 .5 Alte cariche dello Stato, 111.2.2.e Analogico (metodo), 11.4.6.a Anonimo (documento), 11.4.6.d Appello - casi, V.2.3 - cognizione del giudice, V.2.4
- divieto di re/ormatio in peius, V.2.4
dibattimen-
IV. l .4; 1.2.4.d Archiviazione, 111.2.3 - imputazione coatta, III.2 .3.b - opposizione alla richiesta di, III.2 . 3 .b essere
111.2.3 .c
ignoto
l'autore
- invalidità del, 11.2.2 - irripetibile, III.3.9 - lingua, 11.2 . l .a .
dell'indagato, 11.1 .5 .b;
Ill . l .6.d Avviso di conclusione delle indagini, III . l .6./ Azione penale, ll. l . l .b; III.2.2.a - irretrattabilità, 111.2.2.e - monopolio, 111.2.2.c - obbligatorietà, 111.2.2.b
tale, V.2.7 Applicazione della pena su richiesta delle parti,
- per
- copia, 11.2 . l .a . - del giudice, 11.2 . l .b - delle parti, 11.2 . l .c
- nell'interrogatorio
- concordato, V.2.8 - decisioni del giudice di, V.2.9; V.2 . 1 0 incidentale, V.2.2 inibitoria civile, V.2.6 predibattimento, V.2.5 rinnovazione dell'istruzione
Assenza dell'imputato, III.3 .2.b; 111.5 . 1 3 Assunzione (della prova), 11.3 .4.c Astensione - del giudice, 11 . 1 .2.n - del pubblico ministero 11. 1 . 3 .e Atto, 11.2 . l .a
- sottoscrizione 11.2 . l .a. Autorizzazione a procedere, 111 . 1 .3 Avocazione, 11. 1 .3 .e; III.2 . l .e; III.2.3.b; - del procuratore nazionale antimafia, 11. 1 .3 ] Avvertimento
Ammissione (della prova), 11.3 .4.b
-
- riapertura delle indagini, 111.2 .3.d Arresto in flagranza, III. l . 7 - adempimenti successivi, III. l .7 .b
del
reato,
B Banca dati nazionale del DNA, III. l .9 Braccialetto elettronico, 11.6. l .b
c
Camera di consiglio (procedimento in), 11.2 . l .d
1006 Campione
Indice analitico biologico,
II.4.5 .b;
III. l .6.g;
III. 1 .9.a Capacità (del giudice), II. 1 .2.m Carcerazione preventiva, I . 1 .4 Casellario giudiziale, VI.2.8 Cassazione, v. Ricorso per cassazione Caso (dell'accusa e della difesa), III.5 .16; III.5 . 17 Causa di non punibilità (art. 3 84 c.p.), II. l .5 .b; II.4.2.e Cause di non punibilità (declaratoria Immediata), II.2 . l .b Chiamata di còrreo, II.4 .3 / Circolazione probatoria, II.4.6/ Circostanza indiziante, IIJ .3
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, I.2.6.a; II.3 .5 - valore sul piano delle fonti, I.2.9 e 10 Convincimento del giudice, 11.3 .4.d Copia (degli atti), II.2 . l .a. Corpo del reato, II.4.6.e Correlazione tra imputazione contestata e sentenza, 111.5.23 Correzione degli errori materiali, III.5 .27 Corte d'assise, II. 1 .2 .c Corte di Cassazione, 11. 1 .2.a; V.3 . 1 Corte Europea dei diritti umani, I.2.10 - effetti delle sentenze, I.2 . 1 0 Criminalità informatica, Prova informatica.
11. 1 .3 !;
v.
anche
Civilmente obbligato per la pena pecuniaria, II.l .8.c Code d'instruction crimine/le, I . l . 12 Codice in materia di dati personali, V.4 . 13 Coimputato, II.4.3 .b Collaboratore di Giustizia, II.4.3 .h Competenza (del giudice) - per connessione, II. l .2.e - per materia, II. l .2.c - per territorio, II. 1 .2.d Computer generated evidence, II.4.4.d Concentrazione, III.5 . 1 1 Condizione di procedibilità, III . 1 .3 Condotta illecita, III.5 .20.b; III.5 .20.e Confessione, 11.3 .4 .d Conflitti (di giurisdizione e di competenza), II. l .2 .g Confronto, II.4.4.b Connessione, II. l .2 .e Consiglio d'Europa, VII.3 .2 Consulente tecnico - del pubblico ministero, II.4.5 .d; I II . l .6/ - di parte, II.4 .5 .c - nelle investigazioni difensive, III.4.9
D Data Retention, 11.5.6 Dati - non « sensibili », 11!.4 .14 - « sensibili » , 11!.4 . 15 Decadenza, II.2.2.d Declaratoria immediata di causa di non punibilità, 11.2 . l .b; III.3.7 Decreto, II.2 . l .b - decreto che dispone il giudizio, 111.3 .8 - decreto penale di condanna, IV. l .7 Deduttivo (ragionamento), II.3 .3 Denuncia, III. 1 .2 - informativa della polizia giudiziaria al pubblico ministero, III . 1 .2.d Dialettico (principio), 1 . 1 .5 ; IIJ .8 Dibattimento, III.5 . l - a porte chiuse, 111.5. 7 .b - atti preliminari al, III.5 .2 - atti urgenti, III.5 .4 - costituzione delle parti, III.5 . 12 - deliberazione della sentenza, 11!.5.26
Consultazione dei documenti in aiuto alla memoria, III.5.20.d Contestazione dell'imputazione, III.5.23 Contestazione di altre risultanze, III.5 .20.g Contestazione probatoria, III.5 .20.e Contraddittorio, 11.3 .8; III.5 .8; III.5 .20.b
- discussione finale, III.5 .24 - proscioglimento anticipato, 111.5.4
- nella formazione della prova, I.2.6.c Contrasti (tra pubblici ministeri), II. l .3 .d
- sul fatto altrui, III. l .6.d - sul fatto inscindibile, II.4.3 .g Difensore, 11. 1 .6 - della persona offesa, II.l .6.c
Controesame, III.5 . 1 9 Contumacia, III.5 . 1 3 ; III.3 .2.c
- riprese televisive del, III.5 .7 .c Dichiaranti - le tipologie dei, I.2.7.a; II.4 .3.e Dichiarazioni
1007
Indice analitico - delle parti private diverse dall'imputato, 11. 1 .6.d - dell'imputato, II.1 .6.b - d'ufficio, 11.1 .6.b - incompatibilità, II. 1 .6j - sostituzione, II. 1 .6.b - violazione dei doveri del difensore, 11. 1 .6.g Digitale (metodo di incorporamento), 11.4.6.a Diritto a confrontarsi con l'accusatore, 11.3 .4.c; 11.4.3 .d Diritto alla prova, 11.3 .4 Diritto al silenzio, II.4.3 .d Diritto processuale penale, I. l. l Divieto probatorio, 11.2 .2 } D.N.A., v. Prelievo Documentazione (degli atti), 11.2 . 1 .e Documento, II.4.6 - documento informatico, 11.4.6.a Dubbio ragionevole, 11.3 .5 e II.3 .6; III.5 .3 1 Durata ragionevole, I.2.6.b
F Fascicolo del difensore, III.4.7 Fascicolo del pubblico ministero, III.3 .9 Fascicolo per il dibattimento, III.3 .9 Fatto - altrui, II.4.3.e; II.4 . 3 .g - diverso dalle precedenti II.4.3 .e
dichiarazioni,
- inscindibile, II.4.3.g - notorio, IIJ .5 - pacifico, IIJ .5 - principale, IIJ .3 - proprio, II.4 .3.b - secondario, IIJ .3 Fermo, III. 1 .7 .c - convalida, III. 1 .7 .d Flagranza, III. 1 .5 .e; III . 1 .7.b Fonte di prova, II.3.3
G E Efficacia (del sistema processuale), I . l .7 Elemento di prova, IIJ .3 Enti rappresentativi di interessi lesi dal reato, II. 1 .8.a Enti responsabili in via amministrativa per i reati commessi da loro rappresentanti o dirigenti, 11. 1 .8.d; IV.5 Errori materiali (correzione) , II.2 . 1 .b Esame a distanza, III.5 .22 Esame delle parti, II.4.3 Esame incrociato, III.5 . 1 9 Esecuzione, VI.2 . 1 - all'estero di sentenze italiane, VII.2.5 -
delle pene detentive, VI.2.4 delle pene pecuniarie, VI.2.5 forza esecutiva, VI. 1 .2 giudice della, VI.2.2
- procedimento di, VI.2.6 - titolo esecutivo, VI.2 . 1 Esperimento giudiziale, II.4.4.d Esposizione introduttiva, III.5 . 15 Estradizione - attiva, VII. 1 .2 .d - passiva, VII . 1 .2.a Eurojust, VIIJ .3 f Europol, VIIJ .3 .c
Giornalista, II.4.2.h Giudicato, VI. l . l - double jeopardy, VI. 1 .5 - effetto preclusivo, VI. l . l ; VI. l .4 - effetto vincolante, VI. l . l ; VI. 1 .3 - interno, V.3 .3 e 6 - ne bis in idem, VI. l .4 - nei giudizi civili o amministrativi, VI. l .8; VI. l. 9; VI. l . l l - giudicato progressivo, V.3.5 Giudicato cautelare, II.6.5.e Giudice, II. 1 .2 .a - collegiale e monocratico, II. l .2.c - inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica, II. 1 .2.i - naturale e precostituito per legge, II. 1 .2 j - poteri coercitivi, II.2 . 1 .b - terzo e imparziale, I.2.6.b - unico, II. l .2.c; IV.2 . 1 Giudice dell'esecuzione, v . Esecuzione (giu dice dell' ) Giudice dell'udienza preliminare, II. 1 .2.c; III.3 . 1 Giudice di pace - citazione diretta, IV.3.3 - competenza, IVJ . l - definizioni alternative, IV.3.5
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Indice analitico
- impugnazioni, IV.3 .7
- rinuncia all'impugnazione, V . l .4.e
- indagini preliminari, IV.3.2
- soccombenza, V . l .5
- ricorso immediato della persona offesa, IV.3.4 - sanzioni irrogabili dal, IV.3 . 1
- termini per impugnare, V. 1 .4.b Imputato, 11. 1 .5 - accusatore ed accusato, 11.4 . 3 .d
- udienza di comparizione, IV.3.5 Giudice istruttore (nel c.p.p. 1930), 1 . 1 . 1 3 Giudice per l e indagini preliminari, III. l . l . c
- distinzione
Giudizio abbreviato, IV. 1 . 3 - integrazione probatoria, IV. 1 .3 ./
- distinzione tra indagato e possibile testi
- investigazioni difensive, IV. U .g. - limiti all'appello, IV. U .h - nuove contestazioni, IV. l . 3 .d
- tipologia dei dichiaranti, 11.4 .3.e
- richiesta condizionata, IV. 1 .3 .c - richiesta non condizionata, IV. l .3 .b - giudizi abbreviati atipici, IV. 1 .3 ./ Giudizio direttissimo, IV. 1 . 6 Giudizio (fase) , 111.5 . 1
Imputazione, Il. l . l .b; III. l . l . a
Giudizio immediato, IV. 1 .5 - chiesto dall'imputato, IV. l .5.b - chiesto dal pubblico ministero, IV. 1 .5 . c Giurisdizione, 11. 1 .2 .a Giusto processo, 1.2.6.a Gravi indizi (cautelari) , 11.6.2.b
I
- diritto di difesa, 1.2 . 1 ; 11. 1 .6.c; tra
imputato
ed
indagato,
11. 1 .5 .a mone, 11. 1 .5 .c Imputato in procedimento connesso o collegato, 11.4.3 .e Inammissibilità, 11.2.2.c - dell'impugnazione, v. Impugnazioni Incidente probatorio, 111. 1 . 8 - casi, 111. 1 .8.b - svolgimento, lll. l .S.e Incompatibilità (del giudice) , 11. 1 .2.n Incompatibilità a testimoniare, 11.4.2.d Incompetenza, 11. 1 .2 .h lncorporamento, 11.4.6.b Indagini preliminari, 1.2.4.b; lll. l . l .a - finalità, lll . l . l .b - termini per lo svolgimento delle, 111.2 . 1 - riapertura a seguito dell'archiviazione,
Identificazione, III . l .5 .d Ignoti - archiviazione, 111.2.3.c - termini per le indagini, 111.2 . l .d
III.2 . 3 .d Indipendenza (del giudice) , 11. 1 .2 .b
illegale (documento), 11.4.6.g Immediatezza (principio di), 11.3 .8; 111.5 .l O Imparzialità (del giudice) , 1.2.6.b; II. l .2.n Impedimento a comparire (imputato e difensore), III.3 .2.b Impugnazioni, V. l . l - atto d i impugnazione, V . 1 .4
Indizio grave (misure cautelari), 11.4 .2.b In dubio pro reo, 11.3.6 Induttivo (ragionamento) , 11.3.3 Inesistenza, 11.2.2.g Inferenza, 11.3 .3 Infiltrato, III . l .6.h Informatori di polizia, 11.4.2.i Informazione di garanzia, 11. 1 .5 .b; 111 . 1 .6.a Informazioni - assunte dalla polizia giudiziaria (sommarie
- capi e punti, V . 1 .2.d - disposizioni generali sulle, V . 1 .2 - effetto estensivo, V . 1 .2.c -
effetto sospensivo, V . l .2 .b inammissibilità, V. l .5 interesse ad impugnare, V. 1 .3 legittimazione, V . 1 .3
- motivi aggiunti, V. 1 .4.c - ordinarie e straordinarie, V. l . l ; V.4 . 1 - principio devolutivo, V. l .2.d - principio di tassatività, V . l .2 .a
lndividuazione (di persone o di cose) , III. 1 .6.h Indizio, 11.3 .3
informazioni), III. l .5 .b; III . l .5 .c - assunte dal pubblico ministero, 111. 1 .6.c Iniziativa probatoria del giudice, 111.3 .4 e 5 ; 111.5 .2 1 ; IV. U .b Inquisitorio (sistema) , 1 . 1 . 3 ; 1. 1 .4 Integrazione probatoria - nel giudizio abbreviato, IV. U .b; IV. 1 . 3 . c - nell'udienza preliminare, 111.3 .5
1009
Indice analitico Intercettazioni di conversazioni o comunica zioni, IL5 .5 Interprete, 11.2 . l .g Interrogatorio (dell'imputato connesso) , III . l .6.e Il. 1 .5.b; Interrogatorio (dell'indagato) , IIL 1 .6.d - interrogatorio di garanzia, 11.6.3 .c Intervista (difensiva) , v. Investigazioni difen Slve Intralcio alla giustizia, IIL5 .20.e nn. l e 4 ; III.5.20.h Inutilizzabilità, 11.2.2/ Investigatore privato, II.4.2.h; 111.4.4 Investigazioni difensive, 111.4 . l - accesso ai luoghi, III.4.8 -
atti non ripetibili, III.4 . 1 1 diritto di difendersi provando, III.4 . 1 false dichiarazioni al difensore, III.4.5 fascicolo del difensore, 111.4.7
-
intervista, IIL4.5 preventive, 111.4.4 privacy, III.4 . 13 richiesta di documenti alla pubblica ammi-
nistrazione, 111.4.8 - titolarità del potere di indagine, 111.4.4 Ipnosi, 11.4 . 1 Irrevocabilità, VI. 1 .2 lrripetibilità, III.5 .2 l . e Ispezione, 11.5 .2; III. 1 .5 ./; III . 1 .6.b Istanza (di procedimento) , III. 1 .3 Istruzione dibattimentale, 111.5 . 1 6
L Laboratorio centrale del DNA, III. 1 .9.a Legalità processuale, L2.7.c Legalità processuale in materia probatoria, 11. 3 .4 Legge scientifica, 11.3 .3 ; 11.4.5 .a Leggi civili, 11.3 . 9 Letture - in generale, III.5.20.h - di atti di altri procedimenti, IIL5.20.h - di atti per sopravvenuta irripetibilità, III.5.20.h - di dichiarazioni rese dall'imputato, III.5.20.h - di dichiarazioni rese dall'imputato connesso o collegato, III.5.20.h
- di dichiarazioni rese da persone residenti all'estero, III.5.20.h - di dichiarazioni rese dal testimone, III.5.20.h Libero convincimento del giudice, 11.3.4.d Libertà morale, II.4.2.a Lie detector, 11.4 . 1 Limiti di prova, 11.3 .9 Lista testimoniale, III.5 .3 Logica, Il.3 .2; 11.3 .3
M Magistrati di collegamento, Vll.3 .3.d Magistratura di sorveglianza, VL2.7 Magna Charta, 1. 1 . 1 0 Mandato d'arresto europeo, VII.3.4 - decisione quadro, VTI.3.4.a - procedimento di esecuz10ne attiva, Vll.3 .4.d - procedimento di esecuz10ne passiva, VII.3 . 4 .c Massima d'esperienza, 11.3 .3 Materiale biologico, v. Prelievo ematico Medici, II.4.2.h; III . 1 .2.c Medioevo, I . 1 .8.c Mezzo di prova, 11. 3 . 3 ; 11. 4 . 1 Mezzo d i ricerca della prova, 11.5 . 1 Ministri del culto, 11.4.2.h Minorenni - esame dibattimentale, III.5 .7.b; 111.5 . 1 9 - procedimento a carico dei, IV.4 . 1 - psicologia della testimonianza, Appendice Misto (sistema) , 1. 1 . 12 Misure cautelari personali, 11.6. 1 .c - appello, 11.6.5.c - condizioni di applicabilità, 11.6.2.b - criteri di scelta, 11.6.2.d - esigenze cautelari, II.6.2.c - estinzione, 11.6.4.b - gravi indizi, 11.6.2.b - interrogatorio di garanzia, 11.6.3 .c -
provvedimento cautelare, II.6. 1 .a revoca, 11.6.4.a ricorso per cassazione, 11.6.5.d riesarne, 11.6.5.b sospensione dei termini, 11.6.4.d
- sostituzione, 11.6.4.a - termini di durata, 11.6.4.c
Indice analitico
1010 Misure cautelaci reali, 11.6.6 Modifì.cazione dell'imputazione,
Presidente del collegio, III.5.6 111.3 .6;
11!.5.23 Motivazione, 11.3.2 e 3; 11.3.4.d; III.5.27 Muto, II.2 . 1 .a
Presunzione di innocenza, 11.3.5; 11.6. 1 .c Princìpi costiruzionali in materia di diritto processuale penale, ! .2 . 1 ; I.2.6.c Principio
di
completezza
delle
indagini,
III. 1 .6./ N
Principio di non dispersione dei mezzi di prova, III.5.20.a
Narcoanalisi 1!.4 . 1 Ne bis in idem, Vl. 1 .5 - internazionale, Vll.2.6
Priorità nella trattazione dei processi, 111.5 . 1 1
Nemo tenetur se detegere, 11.4.2] Norme transitorie, !.2.8
Privilegio contro l'autoincriminazione, II.4.2.e
Notai, 11.4.2.h Notificazione, II.2 . 1 j Notizia di reato, 111.1 .2.a; 111. 1 .6.a - anonima, III. 1 .6.a - registro delle, III . 1 .6.a Nullità, II.2 . 1 .a; 11.2 .2.e
Principio dispositivo, III.5 .21 Privacy, III.4 . 13 - 1 5 Probabilità logica, 11.3 .3 Procedimenti differenziati, IV . 1 . 1 Procedimenti speciali, I.2 .4 .d; IV. l . l Procedimento (nozione) , 11. 1 . 1 Procedimento davanti al tribunale monocratico, IV.2. 1 - con citazione diretta, IV.2.3 - con udienza preliminare, IV.2.2
o
Oblazione, IV. 1 .8 Oggetto di prova, 11.3 .3 Onere della prova, 11.3 .5 Oralità, 11.3 .8; III.5 .9 Ordinamento giudiziario, 11. 1 .2 Ordinanza, 11.2 . 1 .b
p
Parte civile, 11. 1 .7 .b - difensore, 11. 1 .6.d Parte processuale (nozione), II. l . l .c Partecipazione a distanza, 11!.5.22 Patteggiamento, IV. 1 .4 Patrocinio per i non abbienti, 11. 1 .6.e Perizia, 11.4.5.b Perizia coattiva, II.4.5.b Perquisizione, 11.5 .3 ; III. 1 .5 f; III . 1 .6.h - perquisizione informatica, 11.5 .3 Persona offesa dal reato, 11.1 .7.a Persona sottoposta alle indagini, 11. 1 .5 .a Pertinenza, 11.3 .4.b Polizia giudiziaria, 11.1 .4.a; III. 1 .5 Preclusione (principio di), Vl. 1 .4 Prelievo - di materiale biologico, 11.1 .5 .d; 11.4.5.b; III . 1 .5 .e; III. 1 .6j e g; 111. 1 .9.b
Procedimento incidentale, 11.6.3 .a Procedimento davanti al tribunale per i minorenni, IV.4 . 1 Procedimento nei confronti degli enti per ille citi amministrativi dipendenti da reato, IV.5 . 1 - esecuzione, IV.5 . 1 0 - giudizio, IV.5 .8. - illecito commesso dall'ente, IV.5 . 1 - impugnazioni, IV.5 .9 - indagini preliminari, IV.5.6 - misure cautelari, IV.5 .5 . - procedimenti speciali, IV.5.7 - prove, IV.5.4 - sanzioni applicabili, IV.5.2 - udienza preliminare, IV.5.6 Procedimento probatorio, 11.3 .4 Processo (nozione), ll. l . l . a Processo civile, I.2.6.b Processo penale francese (storia) , 1. 1 . 9 Processo penale inglese (storia), 1 . 1 . 1 0 Procure antimafia, 11. 1 .3 f Procura della repubblica, 11. 1 .3 Professione sanitaria, 11.4.2.h Profilo del DNA, 11.4.5.b; III . 1 .6.g; III. 1 .9.d Prossimo congiunto, 11.4.2] Prova, 11.3 .3 - atipica, 11.4 . 1
101 1
Indice analitico - critica, 11.3 .3
- errore di fatto, V.4.2
- di altro procedimento penale, II.4.6./
- procedimento, V.4.4 Richiesta (di procedimento), III . l J Richiesta di rinvio a giudizio, III . l .6./; III.2.2.a
- documentale, II.4.6 - prova informatica, II.4.6.a; II.5 .2; 1I.5 .3 ;
Richieste di prova, III.5 . 15
1!.5 .4; III . l .5 . e - logica, 11.3 .3 - precostituita, IIJ .4.c; III.5 .20.e - rappresentativa, 11.3 .3 - scientifica, 1I.4.5.a; II.3 . 1 0 e IIJ . l l Psicologia della testimonianza, Appendice Pubblicazione (degli atti processuali penali), III. l .4.d Pubblicità, I . 1 .6; III.5. 7 .a Pubblico ministero, II. l J ; - attività di indagine, III. 1 .6 - collegamento investigativo, 11. 1 .3 .d - controllo sulla legittimazione, III. l .6.i
Q Quaestiones perpetuae, I . l .8.b Quantum della prova, 11.3 .6 Querela, III. l J Questioni pregiudiziali, 1I. l .2 .p Questioni pregiudiziali (limiti di prova), 11.3.9 Questioni preliminari, III.5 . 1 4
R Ragionamento inferenziale, 11.3 .3 Rapporti giurisdizionali con le autorità straniere, V1I . l . l . Rapporto di causalità (prova del), II.3 . 13 Rappresentazione, II.4.6.b Referto, III. l .2 .c Registro delle notizie di reato, 1II . l .6.a Relativismo probatorio, II.2 .2./ Reperto biologico, II.4.5.b; III. l .9.b e d Res gestae, Il.4.2.c Responsabile civile, II. l .8.b Responsabilità in via amministrativa per i reati commessi da rappresentanti di enti, II.l .8.d; IV.5 . 1 Restituzione nel termine, II.2.2 .d, n . 2 Rete giudiziaria europea, VIU .3 .e Revisione, V.4 . 1 - casi, V.4.3
Ricognizione, II.2.2/; II.4.4.c. Ricorso immediato al giudice di pace, 1V.3.4 Ricorso per cassazione, V.3 . 1 - annullamento con rinvio, V.3 .5 - cognizione della Corte, V.3 .4 - giudicato progressivo, V.3 .5 - giudizio di rinvio, V.3 .7 - inammissibilità del ricorso e prescrizione, V.3.3 -
legittimazione al ricorso, V.3 . 1 motivi di ricorso, V.3 .2 principio di autosufficienza del, V.3 .2 ricorso per saltum, V.3 . 1 ruolo della corte di cassazione, V.3 . 1
- tipologia delle sentenze, V.3 .6 Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, V.4.7 Ricusazione (del giudice), II. 1 .2.n Riesame, v. Misure cautelari Riesame, v. Esame incrociato Rifiuto di sottoporsi all'esame, III.5.20./ Rilevanza probatoria, IIJ .4.b Rimessione (del processo), II.l .2.o Rinuncia alla prova, III.5 .2 l .d Rinvio della trattazione dei processi, III.5 . 1 1 Riparazione dell'errore giudiziario, V.4.6 - azione riparatoria, V.4.6 Riparazione dell'ingiusta detenzione, II.6.5./ Riprese televisive del dibattimento, III.5 .7 .c Riscontro, 1I.4.3 ./ Risultato proba torio, 11.3 .3 Riunione (dei processi), II. l .2 .e; II.4.3.e Rivoluzione francese, I. l . l l Rogatoria - all'estero, VII.2 . l .b - dall'estero, VII.2 . l .a - partecipazione e esame
"a
distanza " ,
VII.2.3 - utilizzabilità degli atti raccolti, VII.2.2 Ruoli di udienza, III.5 . 1 1
s
Salute, III.4 . 1 5
1012
Indice analitico
Schengen (accordo di), VII.3 .3 .a
Spese, VI.2.9
Scienza, Il.3 . 1 0- 1 2 ; Il.4.5.a
Stato assoluto, I. l. 9
Scrittura, 1 . 1 .4 ; Il.3 .8
Storico, Il.3 . 10
Segreto, 1 . 1 .4
Subornazione, v. Intralcio alla giustizia.
- di Stato, II.4.2.i
Successione delle norme processuali nel tempo,
- d'ufficio, Il.4.2.i
I.2.8
- investigativo, III. 1 .4.c - professionale, II.4.2.h T
- rivelazione di segreti inerenti ad un procedimento penale, III . 1 .4.c
Tabulati telefonici, Il.5.6
Sentenza, II.2 . 1 .b; III.5.27
Televisione in aula, III.5 . 7 .c
- capi e punti, III.5.27; V . 1 .2.d
Tempus regit actum, I.2.8
- di assoluzione, III.5.30
Termini, II.2.2.c
- di condanna, III.5.33 - di non doversi procedere, III.5 .28; III.5 .29 - motivazione, v. Motivazione Sentenza di non luogo a procedere, III.3.7 - impugnazione della, III.3 . 1 0 straniera
( riconoscimento
- per le indagini preliminari, v. Indagini preliminari - restituzione nei, Il.2.2.d Terzietà del giudice, I.2.6.b; II. l .2 . n
- revoca della, III.3 . 1 1 Sentenza
- di custodia cautelare, v. Misure cautelari
della),
VII.2.4 Separazione (di processi) , Il. 1 .2 .e; II.4 .3.e Sequestro - conservativo, II.6.6.b - diritto del difensore di visionare le cose sequestrate, III.4.8 - preventivo, II.6.6.c - probatorio, Il.5 .4 Sezioni distaccate, II. 1 .2.l Silenzio - rinuncia irrevocabile al, II.4 .3 .d e h Sillogismo, II.3 .2 Sistema accusatorio, I . 1 .3 ; I . 1 .5 Sistema inquisitorio, 1. 1 . 3 ; 1 . 1 .4 Sistema misto, I . 1 . 12 Soggetti processuali, II. l . l .c Sommarie informazioni - dall'indagato, III . 1 .5 . b
Testimone - in generale, Il.4.2.a - ad atti processuali, II.2 . 1 .a - ad intermittenza, Il.4.3.h - assistito, II.4.3.g - incompatibilità con l'ufficio di, Il.4.2.d - la compatibilità « condizionata - rifiuto
dell'esame
di
una
»,
II.4.3.g
delle
parti,
III.5.20j Testimonianza, II.4.2.a - coatta e volontaria, Il.4.3.h - obblighi del teste, Il.4.2.g - oggetto e forma della deposizione, Il.4.2.b - psicologia della, Appendice - testimone di riferimento, II.4.2.c - testimonianza indiretta, II.4.2.c Thema probandum, II.3 .3 Traduzione degli atti, Il.2 . 1 .g Tribunale, II. 1 .2.c
- dalla persona informata, III . 1 .5.c Sordo, sordomuto, Il.2 . 1 .a Sospensione - del processo per le alte cariche dello Stato, III.5 . 1 1 ; III.2 .2 .e - del processo per incapacità dell'imputato, Il. 1 .5.e
u
Udienza dibattimentale, III.5 .6 Udienza preliminare, III.3 . 1 - decreto che dispone il giudizio, III.3 .8 - indagini su iniziativa del giudice, III.3 .4
Sostituto del difensore, II.l .6.b
- integrazione probatoria, III.3 . 1 ; III.3.5
Sostituto procuratore della repubblica, II. 1 .3
- svolgimento ordinario, III.3 .3
Indice analitico Ufficiale giudiziario, 11.2 . 1 ./ Unione europea, Vll.3.3
Verbale, 11.2 . l .e Verità, 1 . 1 . 3 ; Il.3 . 1 Video riprese, 11.5 .7
v
Valutazione della prova, 11.3.4 .d; 11 .3.9
Violenza sessuale, 11.4.2.b; III. 5 . 1 9 Vita sessuale, III.4 . 1 5
1013
Al presente Manuale si può affiancare come complemento la Guida allo studio del processo penale. Tavole sinottiche ed atti, dello stesso autore, ed. Giuffrè. La Guida riporta schemi ed esempi di atti processuali; essa è suddivisa in base alle stesse parti e capitoli che appaiono nel Manuale così da permettere un continuo collega mento con lo studio del medesimo.
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