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RICHARD NORTH PATTERSON GIUDIZIO FINALE (The Final Judgment, 1996) Ad Alison Porter Thomas PARTE PRIMA DUE DONNE 1. Due giorni dopo l'omicidio, ascoltando la versione, tutta innocenza e smarrimento, di Brett Allen, l'avvocato si dibatteva fra incredulità e stupore per la ricchezza del resoconto, tanto vivido da poterselo quasi raffigurare come vero. La scrutava in silenzio, come per registrarne l'ovale, la delicata curva del mento, i capelli ricci e spettinati, i seni piccoli e la corporatura fin troppo esile che la facevano sembrare molto più giovane dei suoi ventidue anni. Ma ciò che la colpiva maggiormente era il verde luminoso degli occhi, che la fissavano con uno sguardo così acuto e diretto da innervosirla. Stando a Brett, quella notte non c'era vento, ma l'aria era frizzante. La luna si rifletteva sulle acque immote e vetrose del lago e la sua luce delineava i pini, le betulle e gli olmi sulla riva. L'unico suono che lei udiva era il ritmo del respiro di James. Erano nudi. Brett stava sopra di lui: facevano sempre l'amore in quel modo. Il freddo notturno le gelava i capezzoli, le asciugava l'umido sulla pelle. Rabbrividì e James, addormentato, scivolò fuori di lei. La ragazza ebbe un moto di collera. Poi le tornò la nausea, in cui si mescolavano il gusto acre della marijuana e il torpore per il troppo vino. D'un tratto, la notte andò in frantumi: figure slegate, immagini piene di colore sorgevano da un guazzabuglio nero che non riusciva a ricordare. Questo spiegava il modo in cui si era comportata in seguito con la polizia, chiari all'avvocato: erba e vino, turbamento e paranoia. La roba, per la verità, era più un'abitudine di James. Mentre glielo diceva, la donna scorse il luccichio di una lacrima, come se la ragazza stesse rammentando un particolare che le era caro. Quell'istante tornò spesso a perseguitare l'avvocato nei giorni a venire, segnati dal suo progressivo convincimento della colpevolezza di Brett Allen.
I ricordi precedenti a quando aveva fumato l'erba, le disse, erano chiari. James le aveva telefonato a casa dei suoi genitori, dove lei era venuta a passare l'estate. Avevano chiacchierato un po', poi, per il timore che la madre potesse ascoltarli, Brett aveva proposto di andare al lago, portandosi un po' di formaggio e di vino. Aveva un posto tutto suo, là, e sarebbero stati soli. Sentiva che, qualsiasi cosa James avesse da dirle, nessuno doveva saperla. La ragazza avvisò la madre. Scorse l'espressione dipinta sul suo volto sottile, vide i freddi occhi grigi riempirsi di cose impossibili da esprimere a parole. Per un attimo, la figlia fu incerta tra la compassione e l'impulso di sfidarla ma, infine, decise che sarebbe stato tutto inutile. Uscì di casa, lasciandosi alle spalle il gigantesco edificio buio. Si diresse al college, da James. In auto, il giovane rimase in silenzio, pensieroso. Il suo volto pareva uno schizzo in bianco e nero: il pallore della pelle, i riccioli scuri, le ombre sul viso scolpito. L'insegnante di recitazione una volta l'aveva definito: «un giovane Lord Byron». E quell'insegnante, aveva puntualizzato Brett con asprezza, era una donna. Percorsero strade tortuose, alberate e silenziose, videro di tanto in tanto fari che tagliavano l'oscurità argentea, poi la luce continua di un'auto che viaggiava dietro di loro, alla stessa velocità. Di colpo, svoltarono per una strada sterrata, tanto stretta fra i pini torreggianti che l'oscurità diventò completa. I fari dell'auto che li seguiva oltrepassarono l'imbocco della carrareccia e sparirono. Brett accese gli abbaglianti e proseguì a passo d'uomo, seguendo la traccia scavata dai fari fra i tronchi dalla corteccia spessa. Giunsero finalmente al termine della strada. Brett fermò la macchina. Senza parlare, aprì il bagagliaio della vecchia e scassata jeep nera, prese la borsa da ginnastica con il formaggio e il vino e si mise sotto un braccio una coperta di lana ruvida. James la seguì nel folto degli alberi. All'improvviso, il cielo sopra di loro scomparve. Scesero, fra i tronchi e i rami bassi, lungo il pendio digradante di una collina, scivolando sul terreno indurito dalle precedenti due settimane di siccità, dopo una primavera piovosa. Un ramo frustò Brett in pieno viso e lei si sentì come una specie di essere primitivo in balia dei misteri della natura.
«Dove stiamo andando?» mormorò James dietro di lei. «A giocare a Dungeons and Dragons?» Per quale motivo, si era chiesta lei, la gente parla a bassa voce, quando è al buio? Raggiunsero la radura, uno spiazzo erboso che si apriva sul lago rischiarato dalla luna. Brett si fermò, rivolgendo lo sguardo al largo. Dietro di lei, James taceva. «È tuo, questo posto?» disse alla fine. La domanda che lei percepì fu: Te la senti di abbandonare questo posto? Ma rispose soltanto all'altra, a quella espressa ad alta voce. «Sì», disse semplicemente. «È mio. Se lo voglio ancora.» Non intendeva il lago. Era largo quasi un chilometro e mezzo e lungo quasi altrettanto; sulla riva opposta, c'erano alcune casette, usate come basi per le partite di pesca, e qualche villino per le vacanze estive, invisibili al buio. Ma, fin dalla nascita, la sua famiglia le aveva riservato l'appezzamento su cui si trovavano. Era un fatto tanto indiscutibile quanto l'amore di suo nonno. Brett scrutava il lago e, rimanendo immobile, allontanava il momento in cui avrebbero parlato. Non vedeva la piattaforma dalla quale aveva imparato a tuffarsi, però sapeva benissimo dove si trovava. Avrebbe potuto raggiungerla a nuoto con assoluta sicurezza, come se fosse giorno pieno. E con la medesima sicurezza ricordava il momento in cui, ritta sulla spiaggia di ciottoli fra il prato e il lago, aveva tenuto alta, in pieno sole, la trota arcobaleno, perché il nonno la vedesse. Si voltò verso James, posò la borsa da ginnastica e gli tese la coperta, in modo che l'aiutasse a stenderla. Mentre la posava a terra, sentì che l'erba era umida. Si sistemarono sulla coperta, Brett seduta a gambe incrociate, James disteso sul fianco. Su tre lati erano circondati dal bosco, di fronte avevano il levigato, cupo splendore dell'acqua. In lontananza, dall'altra parte del lago, Brett sentì il flebile richiamo di un airone. Erano completamente soli. «Che cosa c'è?» chiese. James si scostò i capelli dalla fronte. La ragazza sapeva che era un espediente per temporeggiare, un segno di esitazione. «Voglio che andiamo in California», disse infine. La voce di lei, nel rispondere, era priva di espressione. «Questo lo so.» «Intendo presto.»
Era difficile vederlo in volto. Ma, al di là di quella posa rilassata, così tipica di James, lei sentiva la sua angoscia. «Perché presto?» L'altro tacque. In quell'anno in cui erano stati insieme, Brett aveva appreso il significato di quei silenzi. Attese. «Quella roba che ho venduto», rispose lui. «Non l'ho mai pagata.» Disprezzava i traffici di James. Ci avevano litigato per due mesi: James era incrollabilmente convinto che quella fosse la strada giusta per lui, che si ritrovava senza soldi e senza una vera famiglia. L'unico modo per mantenersi e per farsi strada in quella che sardonicamente etichettava come la velenosa ivy league delle università. Le aveva promesso, comunque, che sarebbe stata una soluzione temporanea. «Mai pagata...» ripeté lei in tono piatto. «Non sapevo che i tuoi amici facessero credito.» «Ho bisogno di quei soldi. Noi ne abbiamo bisogno. Per andarcene di qui.» Alzò la voce. «Puoi star certa che la tua famiglia non te ne darà. Non certo per quello scopo.» «E perché dovrebbero?» «Per nessuna ragione.» Il tono di James si addolcì. «Però dovevo fare qualcosa... Dare inizio alla nostra vita.» Stava cercando di renderla complice, lei lo capiva. «Senza chiedermi nulla?» ribatté. «Tu puoi fare quello che vuoi, e l'unica cosa che posso fare io è adeguarmi?» Lui si levò a sedere e le si mise di fronte. «Gli devo circa tremila e cinque.» Si chinò verso di lei con un gesto di supplica. «Vendendo la roba ne ho ricavati quasi quattromila e trecento. Quanto basta per filare in macchina in California e pagarsi le prime spese.» Brett conosceva i sogni di James. Avrebbe lavorato part-time e, nel frattempo, avrebbe cercato scritture come attore. Lei avrebbe lasciato per sempre la sua famiglia e la sua casa, insieme con le opprimenti conseguenze di troppi anni di attesa, per scrivere finalmente i libri che credeva di saper scrivere. Ma quel quadro sembrava molto più vivido a James che a lei. «Io ho già una vita, James. Una vita vera. E in certe parti di questa vita tu non ci sei.» Scosse la testa, irritata. «I miei genitori sono un peso, d'accordo. Specie mia madre. Ma mi manca soltanto un anno di università e devo finirlo. Mi sento in obbligo verso di loro, e anche verso me stessa, se decido di prendermi poi un master. E mio nonno - cui voglio molto bene, anche se mi rendo conto che per te è difficile da capire - soffre di cuore.
Devo conviverci, con le scelte che faccio nei loro confronti. Inoltre devo convivere con me stessa. Non riguarda te, capisci? E nemmeno il fatto che io scriva un romanzo straordinario.» Fece una pausa, quindi riprese, con più calma. «Tu non hai mai avuto una famiglia, buona, cattiva o normale che fosse. È più complicato di quanto pensi.» Lui si lasciò sfuggire un sospiro. Le prese una mano e mormorò: «Sei tu la mia famiglia». L'intenzione era di commuoverla, lei lo sapeva bene. Ma percepiva anche qualcos'altro, qualcosa che James non avrebbe mai ammesso: sotto la superficie di quel tentativo calcolato c'era la solitudine di un bambino di sette anni al quale era morta la madre, dopo che il padre si era volatilizzato già da tempo. Un bambino il cui futuro era costituito da una serie di orfanotrofi che l'avrebbero accolto in cambio di denaro. Combattuta, Brett lo fissava negli occhi, cercando di scorgere la persona che viveva dietro quello schermo. All'improvviso, James si ritrasse. Prima che Brett riuscisse a sentire il rumore, lui era già in piedi. Un fruscio nel sottobosco, forse un ramo spezzato. James s'immobilizzò; in quel momento, lei comprese fino a che punto era terrorizzato. E quel terrore fu il vero motivo per cui le venne la pelle d'oca. «Che cos'è stato?» mormorò lui. Fissando il suo volto sottile e tirato, Brett si mise in ascolto. Nulla. Lentamente, la ragazza distolse lo sguardo da James e scorse qualche ramo chiaro sul limitare della radura. Più oltre, il buio. «Be', dicono che dal Canada stanno tornando i lupi», esclamò allora, con una punta di umorismo nella voce. «Di notte, i boschi sono pieni di ammali di ogni genere. C'è di tutto, tranne che uomini.» James non rispose. Brett abbassò la voce e chiese: «Fino a che punto sei nei guai?» Lui la prese per le spalle. «È venuto da me», rispose. «Quello che mi dà la roba.» «E allora?» «Vuole i suoi soldi. Gli ho detto che ancora non li avevo.» D'istinto, Brett chiuse gli occhi. Si rese conto di far parte di una sorta di ultimatum che James si era creato per sé. «Allora daglieli, i suoi soldi», ribatté. Lui sospirò. «Troppo tardi. Sa che gli ho mentito.» A Brett parve che la frase suonasse incompleta. Quando tornò a fissarlo,
si accorse che stava ancora scrutando il bosco. «Sono entrati in casa mia, sai. Ieri sera. Hanno distrutto tutto, hanno squarciato perfino le lenzuola.» Lei spalancò gli occhi. Senza pensarci, chiese: «Hai avvertito la polizia?» James le rivolse un sorrisetto storto. Con una strana miscela di cattiveria e di affetto, disse: «Sei sempre la nipotina del giudice, eh?» «Non può essere troppo tardi, James. Vogliono soltanto il loro denaro. Che ci guadagnano a farti del male?» «Non è così che funziona, Brett. Credimi.» La ragazza scosse la testa e gli voltò le spalle. «Troppe sorprese, e troppo ravvicinate. Non ci riesco, a fronteggiare una cosa...» La voce le venne meno. Lui era cresciuto imparando a proteggersi, pensò. Non era abituato all'intimità. Brett raggiunse da sola la riva del lago. Dopo un po', sentì i passi di lui alle sue spalle, e infine scorse nell'acqua, accanto al suo, il lieve riflesso di una figura snella con le mani in tasca. Brett si rese conto che una parte di lei stava ancora in ascolto, in direzione dei boschi alle loro spalle. «Che cosa farai?» chiese James. Brett si strinse nelle spalle. «Non lo so.» «Dobbiamo decidere.» «Tu hai deciso senza di me, James. Adesso sono io che devo decidere che cosa voglio. Senza di te.» L'ombra di lui sembrò vacillare. Dopo un lungo silenzio, lui disse: «Allora stai con me, almeno. D'accordo?» Comprese quella richiesta. James, per istinto, considerava il fare l'amore un rifugio dalle sue insicurezze. Così, accogliendolo dentro di sé, Brett non sapeva mai se James stesse cercando di raggiungere lei o di fuggire da se stesso. Lo fissò. «Cerchi di addomesticarmi con una scopata?» Di nuovo quel sorrisetto storto, al di là del quale lei scorse una traccia di vulnerabilità: James messo a nudo di fronte a se stesso. «No davvero.» Brett percepì la prima, dolorosa stretta del senso di colpa. «Bene», disse. «Perché ho una gran fame. E sete.» Titubante, lui la prese per mano. Tornarono verso la coperta e vi s'inginocchiarono sopra. James tolse dall'incarto il formaggio e si mise ad affettarlo con un coltello da tasca, Brett versò il vino in un bicchiere di carta. Non c'erano altri rumori se non quelli prodotti da loro.
Con il secondo bicchiere di vino, Brett cominciò a percepire l'ardore dell'alcol. Sentì le membra invase da un piacevole languore. Sedette fra le gambe di James, appoggiando la schiena sul petto di lui, in una silenziosa dichiarazione di armistizio. Si divisero un altro bicchiere, che lui prendeva dalle sue mani per poi restituirglielo. Brett non era abituata a bere; a ogni sorso, pareva che la notte si facesse più vicina, diventasse un bozzolo di calore. Il passare del tempo era un susseguirsi d'impressioni: il levarsi e placarsi del canto dei grilli, il luccichio dell'acqua, il gusto ricco del vino, il tocco ruvido e liscio al contempo del volto di James contro il suo. Cercò di scacciare lontano i loro problemi, riservando la sua decisione per il fresco e chiaro mattino che avrebbe illuminato il lago, rendendolo prima d'argento, poi d'oro. «A che pensi?» James chiese. «Esisto e basta», rispose lei, e vuotò il bicchiere. Il ragazzo capì che non doveva metterla sotto pressione. In silenzio, allungò un braccio e le riempì il bicchiere. «Ti va un po' d'erba?» chiese. «Ho portato una canna.» Era un errore, pensò lei. Non avrebbero dovuto lasciarsi andare a fare l'amore intontiti dalla roba e dal vino; avrebbe significato ben poco, al di là del semplice sollievo. Ma aveva bisogno di tempo per trovare la risposta che avrebbe potuto persino metter fine alla loro unione. Quando James accese la canna, mandando giù con un'aspirazione veloce e breve il primo tiro, Brett gliela sfilò dalle dita. Lo faceva di rado. Il primo tiro lo sentì acre e rovente. Ma con il secondo, più lento e profondo, si sistemò fra le braccia di lui. La notte cambiò di nuovo. Le stelle, non offuscate né dalle nuvole né dalle luci della città, avevano la lucentezza dei diamanti. Brett vi si perse. Rimasero così, a passarsi la canna, mentre finivano il vino. James sembrava più una presenza che una persona; Brett si sentiva profondamente immersa nel luogo, con quel cielo, l'acqua, lo strepito del vento fra gli alberi invisibili. Era tutto ciò che desiderava. E poi le mani di James, tenere e incerte, le accarezzarono il petto. Non portava il reggiseno. Attraverso la maglietta, sentì i capezzoli rizzarsi sotto le sue mani, le terminazioni nervose improvvisamente vive, un'onda di calore là dove James non l'aveva ancora toccata. Un silenzioso mormorio le riempiva la gola. In quel modo, lui la conosceva. In quel modo, le cose funzionavano.
James fece scorrere lentamente i polpastrelli sui capezzoli. E Brett sentì che il vino, l'erba, il fremito della sua pelle esplodevano in un impulso selvaggio. Bilanciandosi sulle ginocchia, si voltò verso di lui e si levò la maglietta. Con calma estrema, come fosse un rito, James le slacciò le scarpe da ginnastica e la spinse verso la coperta, sostenendole la schiena con una mano; poi le aprì la cerniera dei jeans e glieli sfilò. Il fatto che lui non si spogliasse le chiarì ciò che stava per accadere. Si stese supina, con gli occhi fissi sulle stelle, mentre James le infilava una mano sotto l'elastico delle mutandine. Brett aprì le gambe per lui. James chinò il viso sopra di lei. Per un attimo, Brett intuì che era un silenzioso offrirsi, una richiesta d'intimità. Poi, sentì soltanto il suo viso sulle cosce, la lingua che la cercava. Si accorse che il bacino cominciava a muoversi, ma lei non poteva, non voleva, farci nulla. I suoni emessi dalle sue labbra erano più grida che gemiti, si facevano sempre più rapidi, una guida per lui. Il sangue correva dove la sua lingua l'accarezzava, reso precipitoso dal calore della droga e del desiderio. I movimenti di Brett persero ogni ritmo. Un urlo nel buio. Mentre gli spasmi le attraversavano il corpo, chiuse forte gli occhi. Soltanto quando un formicolio le intorpidì le dita riuscì a sentire le grida femminili, a poco a poco più lente e sommesse, e le riconobbe come sue. Infine rimase immobile. Le sembrava di non potersi muovere. Al di là di quel torpore, sesso, erba e vino parevano ruotare in circolo nel suo cervello. Con un movimento impacciato, si mise in ginocchio. Sentiva il calore rifluire dalle cosce. La figura di James le sembrava un puzzle incompleto e irreale: occhi che la desideravano, una mano che l'attirava a sé. Sentiva l'erba e l'alcol salire dalla bocca dello stomaco. La notte cominciò a girare. «Dio mio», mormorò. Lui non diede segno di averla udita; d'un tratto, i suoi movimenti sembrarono governati dalla goffa concentrazione dell'ubriaco. Mentre si sfilava i pantaloni, oscillando da una parte e dall'altra, Brett ebbe la grottesca visione del mostro di un vecchio film, che avanzava barcollando verso Tokyo. Deglutì, cercando di controllare la nausea e il disgusto di sé. Quando
James le offrì il pene davanti al viso, scosse la testa. Non ti stendere, si disse. «Sdraiati sulla schiena», sussurrò a James, che obbedì. Incerta nei movimenti, si allontanò, dirigendosi carponi verso la borsa da ginnastica. «Dove vai?» chiese l'altro, senza capire. Lei rovistò nella borsa e ne tirò fuori un quadratino piatto. Tornò indietro e glielo porse. «Prendi già la pillola», obiettò lui. Brett lo squadrò. «Te lo metto io.» Vedendo l'espressione sul viso di lei, James non replicò. Altri frammenti: lo rivestiva di gomma, la superficie oleata e scivolosa fra le dita. Si metteva in qualche modo sulle ginocchia per cavalcarlo. La brusca sensazione di lui che la penetrava. Febbre sulla pelle, troppo bagnata per sentire male. Mentre James gemeva, cercando di raggiungere l'orgasmo, lei pensò a due cani che si accoppiavano. Lo montava in modo meccanico, resistendo alla nausea. James non veniva. Disperata, lei gli passò le mani sotto la schiena e lo sollevò. Lui si ritrasse; Brett si rese confusamente conto di averlo graffiato. James spalancò gli occhi. «Ti amo...» sussurrò. Lei smise di muoversi. La tenerezza la sopraffece, e sfiorò il volto di James. Si era addormentato. Nell'improvvisa consapevolezza del gelo notturno, Brett rabbrividì e James scivolò fuori di lei. Lei lo fissò, di nuovo istupidita e oppressa dalla nausea, con l'impulso di tirarlo su per i capelli. Poi, di colpo, la sua rabbia si trasformò in tristezza. In James c'era molto di buono, molto che ancora non si era guastato. Era dolce con lei, sempre. Anche quando Brett si arrabbiava, non reagiva mai con asprezza e sarcasmo; la fissava, perplesso, cercando di comprendere. Come se stesse in ascolto per cogliere una musica che ancora non riusciva a sentire. Con delicatezza, posò sull'erba la testa di lui, voltandola di lato. James dormiva con l'innocenza di un bimbo. Perduta nella droga e nel buio, Brett aveva scordato il lago. Improvvisamente pensò che l'acqua fredda avrebbe potuto schiarirle le idee. Si alzò e diresse lo sguardo sul lago.
Appariva opaco, una distesa di pietra vetrosa. Vacillando, si spostò dalla radura alla riva sassosa, gemendo per i ciottoli puntuti che le tagliavano i piedi. Un tonfo, l'aggressione del freddo al contatto con l'acqua. Le sembrava di nuotare con fatica, e lentamente. Di colpo si sentì avvolta dall'oscurità, inghiottita dal lago. In preda al panico, agitò le braccia per non annegare, si sentiva affondare... E poi, scossa dai brividi e ansimante, si ritrovò prona sulle ruvide tavole della piattaforma per i tuffi. Non ricordava come ci fosse arrivata, e la cosa dapprima la sorprese, poi la terrorizzò. Lentamente, come se fosse quasi annegata, si voltò a faccia in su. Aveva in bocca un sapore salato di alghe e di acqua stagnante. Il cuore le pulsava furiosamente in petto. A poco a poco, il suo respiro si placò. Non pensava a tornare. Il tempo continuava a sfuggirle. In un lampo, rivide un momento della sua infanzia: la madre, a quel tempo sicura e tranquilla, le insegnava a tuffarsi, il nonno l'osservava con quella sua aria di compiaciuto riserbo. Poi levò lo sguardo alla luna: pareva tanto vicina da poterne toccare i crateri. A quel punto l'assalì la sensazione, primordiale e istintiva, che non fossero soli. Scrutò l'acqua. Ma aveva perduto il senso delle distanze. Quando si voltò verso la radura dove James dormiva, le sembrò che lo spazio erboso si spostasse. La debole luce della luna sull'erba ricordava il bagliore del fosforo. Dall'erba, improvvisamente, sorse un'ombra. Brett si levò a sedere. «James...» Sorpresa, l'ombra si girò. La voce di Brett echeggiava sull'acqua. «James...» Di colpo, l'ombra svanì tra le ombre delle sue visioni... No. D'istinto, lei si alzò e si tuffò. La sensazione dell'acqua fredda le parve reale, quella seconda volta. Aveva meno paura di nuotare che di fermarsi e guardare lo spiazzo erboso. Uscì dall'acqua tremando di freddo. Il piccolo prato era buio e silenzioso. Procedette verso la coperta, sentendo l'erba sotto i piedi. L'ombra che aveva visto non era James. Il ragazzo giaceva come lo aveva lasciato, però adesso guardava la luna.
Dalla sua gola veniva un suono. Un po' come se russasse, rifletté Brett, avvicinandosi. Eppure non russava. Alla luce della luna, intravide che aveva la bocca aperta e lo sentì mandare qualche respiro faticoso. Di nuovo quel suono. Un gorgoglio, pensò lei. Come di un uomo con i polmoni pieni d'acqua. Sta annegando nel vomito! comprese con orrore. Gli s'inginocchiò accanto e, proprio mentre la luce lunare giungeva a illuminare il viso di lui, cominciò a praticargli la respirazione bocca a bocca. Si sentì le labbra bagnate e udì il suo stesso fiato gorgogliare nella gola di James. Chiuse gli occhi, stringendo forte. Allora, come se l'immagine fosse stata impressa sulla sua retina, scorse il volto di lui come l'aveva visto immediatamente prima di posare la bocca sulla sua. Non appena si ritrasse, dalle labbra del ragazzo zampillò un fiotto caldo che la investì sul viso, sulla gola e sui seni. Il corpo di James, sotto di lei, si contorse in uno spasmo. Anche il suo volto era coperto di macchioline, e gli occhi erano fissi nel nulla. Un ultimo, debole spruzzo di sangue si levò dalla gola tranciata. Dal costato sporgeva un coltello. Brett non emise un suono. Si alzò, tremante, sforzandosi di capire. Vide il sangue sulle proprie dita. Soltanto allora si rese conto di avergli levato il coltello dal petto. L'urlo di lei si propagò sull'acqua, portando con sé ogni traccia di raziocinio. Tutto diventò una sorta di collage da incubo: la sua mano stretta sul coltello, il portafoglio di James nel punto in cui era caduto mentre la spogliava, lo squarcio scuro che gli attraversava la gola. Girò su se stessa, fissando gli alberi con un lampo di follia negli occhi. I gemiti del vento erano gli stessi suoni dell'agonia di James. Alla cieca, corse incontro all'oscurità. Il buio l'avvolse. I rami la colpivano in faccia e sul corpo, e lei agitava le braccia nell'aria nera, strappandosi le foglie dal viso. Il buio sembrava penetrarle nella mente. L'agitare le braccia divenne un sogno, ogni attimo si confondeva con gli altri, la radura alle sue spalle era irreale come la luna, improvvisamente invisibile. Il tempo pareva eterno. Poi, d'un tratto, le apparve la sagoma di una jeep, illuminata dalla luna. Rallentò. Uscendo, nuda, dal bosco, non sapeva più che cosa credere. Incerta, posò una mano sulla jeep.
Era reale. Le chiavi erano rimaste all'interno. Aprì la portiera, gettando ciò che aveva in mano sul sedile del passeggero, e avviò il motore. Funzionava. Brett si chiuse dentro la macchina. Non sapeva dire quanto a lungo fosse rimasta ad ascoltare il lieve ronzio del motore. Accese i fari. Quando girò l'auto, i raggi luminosi rivelarono un sentiero fra i tronchi. Proprio come prima. Scalando le marce, cominciò a guidare. Si svegliò al buio. Sentì in bocca il sapore del sangue, poi del vomito. Aveva le labbra gonfie. Era accasciata sul volante, ancora nuda. L'odore del vomito riempiva la jeep. Le pulsava la testa e sentiva un vuoto allo stomaco. Con la nuca irrigidita, si appoggiò allo schienale e si guardò attorno. La banchina di una strada alberata. Non sapeva dove si trovava, come ci fosse arrivata, per quanto tempo fosse rimasta incosciente. Non era sicura del motivo per cui piangeva. Una luce si diresse su di lei. Strizzò gli occhi, girò la testa. La luce riempì il parabrezza. Dietro la torcia elettrica scorse la figura di un uomo. Il raggio luminoso fece il giro del cofano, spostandosi verso il lato del guidatore. Brett si rannicchiò sul fianco, con il viso premuto contro la portiera, le braccia incrociate sul petto, gli occhi e la bocca serrati. Sentì alcuni colpi sul finestrino. No, pensò. Non farmi del male. Piantandosi le unghie nella pelle, Brett si costrinse ad aprire gli occhi. Il picchiettare della torcia elettrica sul vetro cessò. Un raggio di luce le percorse il corpo, cogliendo i fianchi e un'ombra di pelo pubico. Lei si guardò, e un tremito la scosse. «Apra», ordinò una voce. È la voce di un giovane, lei pensò. Deglutì. «Apra», ripeté l'altro. «Polizia.» Polizia. Automaticamente, Brett afferrò la manovella del finestrino, coprendosi il seno con un braccio, e abbassò il vetro che la separava dall'uomo. Era giovane, con i capelli scuri tagliati corti, e pallido. Benché indossasse la divisa della polizia municipale, lei non lo conosceva.
Sembrava sorpreso, imbarazzato. «Che cos'è successo?» Lei scosse la testa. Non riusciva a parlare. «Stata male...» biascicò. Il poliziotto introdusse la torcia elettrica nell'auto, spostando qua e là il fascio luminoso. In tono teso, le domandò: «Qualcuno si è ferito?» Visioni. Lei a cavallo di James nella notte. Gli occhi di lui fissi nel vuoto. La sua mano che stringeva un coltello. «Signorina?» Un incubo. Doveva essere completamente fatta, e quelle terribili immagini erano soltanto un sogno. James era a casa sua, a letto. La voce di Brett era debole. «Mi porti a casa, per favore...» La torcia di lui illumino il sedile del passeggero. Un mucchio di vestiti, un portafoglio, un coltello insanguinato. «La porto dentro, signorina.» Dalla gola di lei eruppe un singhiozzo convulso. «Perché...» Un momento di silenzio. «Per guida in stato d'ebbrezza.» Il raggio di luce tornò su di lei. Brett vide del sangue sulle proprie mani, e altre macchioline di sangue sul torace. Si chinò, con i gomiti sulle ginocchia, e vomitò. L'agente le diede il proprio giubbotto. Del percorso fino alla stazione di polizia, lei non ricordava quasi nulla. Il fucile nell'auto, il gracchiare di una radio, nient'altro. Quando si ritrovò accucciata contro il muro di cemento di una cella fu come risvegliarsi da uno svenimento. Il poliziotto era in piedi davanti a lei. Distogliendo lo sguardo, Brett si tirò il giubbotto fino a metà coscia, e scorse alcune macchie di vomito sulle gambe. L'uomo aveva in mano il portafoglio di James, aperto sulla patente di guida. James, che la fissava dalla foto plastificata, sembrava teso e impaurito. Con agghiacciante lucidità, Brett vide lo squarcio nella gola di lui. La voce dell'agente era stranamente gentile. «Credo che, da qualche parte là fuori, qualcuno sia ferito, qualcuno che ha bisogno del nostro aiuto. Se non lo troviamo...» Gli occhi di lei si riempirono di lacrime. «Guardate in riva al lago», disse, stordita. «Forse è là.» «Il lago Heron?» Deglutendo, Brett annuì. L'agente corse via. Brett ne udì i passi sulle piastrelle, la voce al telefo-
no. Attese, senza più forze, finché l'altro non tornò. «La porto all'ospedale», disse l'agente. Una donna bionda, vestita con l'uniforme della polizia di Stato a cavallo, era già in attesa davanti alla porta del pronto soccorso. Con l'agente che la sorreggeva da un lato, e la poliziotta dall'altro, Brett fu condotta lungo una serie di corridoi spogli. Camminò sotto le lampade al neon con un passo da sonnambula. Alla fine di un ultimo corridoio, c'era una stanza deserta. La poliziotta la fece entrare. Brett, in piedi, fissava a occhi sgranati gli oggetti intorno a lei: un lettino, due sedie e un armadietto di metallo, un lavandino e uno specchio. Sentì che il giovane poliziotto si fermava nel vano della porta. «Tutto a posto?» chiese. La sua collega annuì. «Per attendere, sì. Finché non trovano qualcosa.» L'altro esitò, lanciando un'occhiata a Brett, poi se ne andò. La poliziotta chiuse la porta e si rivolse alla ragazza. «Mi spiace», disse, «ma devo levarle il giubbotto.» Lei se lo strinse addosso. «Perché?» «È la procedura.» Senza attendere risposta, abbassò la cerniera lampo e le sfilò il giubbotto. Brett rabbrividì per l'ennesima volta. «Posso ripulirmi?» chiese. «No. Non ancora.» Brett la fissò. Prendendo le manette dalla cintura, l'agente voltò una sedia in modo da metterla davanti all'armadietto e, in un tono asciutto, da insegnante, disse: «Sieda qui, per favore. Devo ammanettarla». D'un tratto, lei si arrabbiò. «Mi dica perché, maledizione.» La poliziotta le lanciò un'occhiata severa. «Perché non possa toccarsi.» In quell'istante, Brett provò il desiderio di chiamare i suoi genitori, suo nonno. Poi si vide riflessa nello specchio. Aveva il viso spruzzato di sangue. Si fece avanti, come attratta dalla sua immagine. Altre macchie di sangue secco le coprivano la gola, i seni. Allora sedette. Tendendo le mani, vide che aveva chiazze di sangue sulle dita. Dopo averle tirato le braccia dietro la schiena, l'agente l'ammanettò alla
sedia di metallo. Arrivò un'infermiera grassoccia. In silenzio, tirò fuori una siringa e fece a Brett una puntura nel braccio. Con singolare distacco, la ragazza osservò il tubicino di plastica che si riempiva del suo sangue. Anche l'ago, lo sentiva a malapena. L'infermiera la lasciò di nuovo con la poliziotta. «Per quanto dovrò rimanere qui?» chiese Brett. Non ci fu risposta. E tempo passava. Minuti, forse ore. Bussarono alla porta. Brett si voltò. Per non svelare la nudità della ragazza, la donna si limitò a socchiudere la porta. «Che cosa c'è?» chiese. Una voce maschile, sconosciuta a Brett. «L'hanno trovato. Al lago Heron.» «Sta bene?» Brett domandò. I due si erano messi a sussurrare. La poliziotta richiuse la porta e le mostrò alcuni fogli. «Questo è un mandato di perquisizione», disse. «Per lei.» «Per che cosa?» Una lunga, lenta occhiata. «È morto.» Brett prese a tremare. Tutto cambiò. Brett stava in piedi, muta. Un'altra donna poliziotto entrò con una Polaroid e le fotografò il viso, il torace, le dita. Un coltello in mano... Un'infermiera in camice le tagliò una ciocca di capelli e poi, dopo essersi inginocchiata, un ciuffo di peli pubici. Le immagini si susseguivano più veloci. Un'ombra che si voltava... L'infermiera le raschiò dalla pelle qualche macchia di sangue, facendola cadere su un pezzetto di plastica. Un debole spruzzo che si alzava dalla sua gola... Si rivolse alla poliziotta. «Devo vedere una persona.» Uno sguardo rapido e attento. «Chi?» «L'agente che mi ha portato qui.» La poliziotta scosse il capo. «Prima dobbiamo finire. Poi glielo troveremo.» A un cenno della poliziotta, un medico baffuto si accostò a Brett. Con
delicatezza, la condusse al lettino e le spiegò che le avrebbe fatto un prelievo dalla vagina con un tampone. Brett si stese e fissò le luci al neon sopra di lei. Aprendo le gambe, ricordò il tocco della lingua di James. «Tutto a posto.» La voce del dottore era consolante, come se stesse tranquillizzando una paziente. «È quasi fatto.» Si rimise in piedi, malferma sulle gambe. La poliziotta le diede una tuta militare. «Può vestirsi, adesso.» Non cercò di ripulirsi. Quando fu vestita, l'infermiera le prese prima una mano, poi l'altra, facendole passare una limetta sotto ogni unghia. James che si ritraeva mentre lei gli graffiava la schiena... Lo aveva lasciato là. Per vari minuti, forse per alcune ore, non aveva detto niente. «Per favore», pregò. «Devo parlare. Subito.» Le presero le impronte digitali e la riportarono in prigione. Il cielo si stava imporporando delle prime, tenui screziature dell'aurora. Vedendola per la seconda volta, Brett riconobbe la stazione di polizia. La condussero in uno stanzino con due scrivanie di metallo. A una di esse sedeva il poliziotto giovane; chissà come, aveva riavuto il suo giubbotto. All'altra sedeva uno sconosciuto, con un registratore davanti. Era grasso, rosso in viso, con gli occhi azzurri e un'aria serenamente autorevole. Comprendeva che lei avesse voglia di parlare. Sperava non le spiacesse per il registratore... «Lei ha diritto di non dire nulla...» Brett attese finché l'uomo grasso non ebbe terminato, poi cominciò a raccontare. Quando infine tacque, scrutò i loro occhi, ma non vi trovò nulla. La riportarono in cella, e fu di nuovo sola. Dalla stanza accanto arrivavano alcune voci. «Lo sai chi è suo nonno?» chiese qualcuno. Dopo un po', scorse l'uomo in piedi davanti alla sua cella. Era alto, quasi allampanato, i capelli neri appena brizzolati. La camicia e i pantaloni erano tutti sgualciti, e non si era ancora sbarbato. Due rughe gemelle sulle guance gli allungavano il viso, rendendo i grandi occhi castani intelligenti e un po' tristi. Sembrava gentile e, in un certo qual modo, le appariva familiare.
«Oh, Brett.» La voce era bassa e malinconica. «In nome di Dio, che cosa hai fatto?» La stessa domanda che avrei voluto farle anch'io, stava pensando l'avvocato di Brett. Ma era il suo difensore, e non poteva. «Chi era?» le chiese Brett. «Quell'uomo alla prigione, intendo.» La donna esitò, ancora immersa nello scenario descritto da Brett, ancora incapace di decidere fino a che punto si potesse credere a quella ragazza. Però il volto dell'uomo alto era ben vivo e reale, in lei. «Si tratta del pubblico ministero», spiegò. «Si chiama Jackson Watts. All'università eravamo amici.» «E adesso?» «Non so... L'ultima volta che l'ho visto è stato prima che tu nascessi.» L'altra la guardò, incuriosita. Ma non ribatté. «Dimmi», riprese la donna. «La polizia ti ha domandato nient'altro?» Brett esitava. «Credo mi abbiano chiesto se James avesse altre ragazze.» La donna chinò la testa di lato. «Al che tu hai risposto...» «No.» Il tono era pieno di rabbia. «No.» 2. Due giorni prima, l'onorevole Caroline Clark Masters stava allungando le gambe abbronzate sulla spiaggia, si levava la sabbia dalle dita dei piedi e fissava l'azzurro screziato di bianco delle acque del Nantucket Sound. Nel pomeriggio estivo, il sole scintillava sul mare. Il vento di nordest le scompigliava i capelli neri e ricciuti, che portava sciolti. L'oceano era punteggiato di barche, che veleggiavano nel vento di nordest verso Edgartown. Lungo la spiaggia, che sembrava proseguire all'infinito, le onde si frangevano sulla sabbia bruna fino ad assomigliare a una foschia bianca posata sull'acqua, in lontananza. La mente di Caroline era inondata di ricordi. Forse era a causa di quel ragazzo. Un universitario, in realtà. Ormai era soltanto una figura distante, che rimpiccioliva, allontanandosi sulla battigia. Le era sembrato un po' simile a David. Non tanto per i capelli, ma per qualcosa, negli occhi. Ecco, forse, il motivo per cui Caroline, piuttosto incline alla solitudine, gli aveva rivolto la parola. «Salve.» Il giovane si era fermato, fissando alternativamente lo sguardo su di lei e
sulla casa, adagiata sul promontorio alle spalle di lei. Magari si era sentito in colpa, credendosi in una spiaggia privata. «Salve.» Si era messo a oscillare, spostando il peso da un piede all'altro. Indossava soltanto un paio di calzoncini, era snello, abbronzato e non brutto. Con una certa soggezione, aveva chiesto: «È suo, questo posto?» Caroline aveva sorriso, scuotendo il capo. «L'ho affittato, per una settimana.» Il ragazzo aveva accolto la notizia annuendo. Già, aveva pensato lei, una certa malinconia nello sguardo, e gli occhi dello stesso colore grigioazzurro. Ma non la stessa prontezza. «Stavo riflettendo su questi luoghi», aveva dichiarato il giovane. «Dicono che la spiaggia è totalmente cambiata, per effetto dell'erosione e delle burrasche.» Aveva indicato con un cenno del capo le pietre e le traversine ferroviarie che, dietro di lei, s'innalzavano dalla spiaggia a protezione del promontorio. «Qualcuno mi ha raccontato che, qualche anno fa, quella casa è stata quasi portata via.» Caroline aveva nuovamente sorriso. «Trent'anni fa», aveva risposto, «qui dove siamo noi c'era un prato. Il proprietario e la sua famiglia ci giocavano a croquet.» «Li conosceva?» «Sì. Li conoscevo.» Il suo interlocutore l'aveva guardata con maggiore attenzione, e lei aveva compreso che stava cercando di darle un'età. Poi il ragazzo si era voltato a indicarle una lingua di sabbia a una certa distanza. «Ho visto alcuni massi, laggiù, qualche pilone. Sa di che cosa si trattasse?» «Di una casa galleggiante. Ma apparteneva ai vicini.» «E a che cosa serviva?» «Come magazzino, qualche volta.» Caroline aveva capito che c'era anche un'altra cosa: il modo in cui quel ragazzo reclinava la testa. «Per un anno ci è vissuto un custode.» «Se l'è portata via qualche uragano, immagino.» A quel punto, lei aveva assunto un tono di congedo. «Probabile. L'ultima volta che sono stata qui c'era.» Il giovane era rimasto per un po' in silenzio, come se stesse riflettendo sulla transitorietà delle cose. «Spero di non averla infastidita, con le mie domande.» «Per niente.» L'altro aveva reclinato il capo una seconda volta. «È possibile che io
l'abbia già vista da qualche parte?» Improvvisamente, Caroline si era resa conto che non se la sentiva di lasciarlo andare. Sorridendo, aveva deciso di lusingarlo un po'. «Credo che mi ricorderei di lei.» «Non intendo che ci siamo già incontrati.» Vagamente turbato, aveva ripreso a scrutarla. «Non ha fatto del cinema, o qualcosa del genere, in passato?» Quell'implicito riferimento alla sua età - che Caroline sentì di aver meritato - l'aveva fatta ridere di se stessa. Il sorriso che aveva fatto seguito alla risata rivelava una coloritura sardonica, attenuata da una fossetta a lato della bocca e da un lampo negli occhi marroni punteggiati di verde. «Non che io ricordi.» Il giovane le si era avvicinato. «No, sul serio.» Aveva levato lo sguardo su di lui, la bocca ancora atteggiata a un'espressione divertita. «No», era stata la sua ferma risposta. «Sul serio.» E adesso lo seguiva con gli occhi, mentre quello rimpiccioliva, finché non svani. Quarantacinque, pensò, spargendo un po' di sale sulle ferite della sua femminilità. Gli eventi che avevano formato Caroline Masters l'avevano resa davvero poco incline ai sentimentalismi. Eppure era tornata lì. A volte aveva la sensazione che gli avvenimenti centrali della sua esistenza non avessero avuto luogo nel New Hampshire, nella casa della sua adolescenza, bensì li, a Martha's Vineyard, sul mare. Fissò lo sguardo sullo stretto davanti a sé. Non sapeva neppure se David era ancora vivo: un uomo di oltre quarant'anni che a lei pensava di rado, magari con asprezza. Aveva ormai perduto ogni speranza di saperlo. Forse era la candidatura che aveva strappato il suo passato dal letargo. «C'è nulla che dovremmo sapere e che magari potrebbe mettere in imbarazzo la Casa Bianca?» le aveva chiesto il consigliere del presidente. «No, niente», era stata la replica di Caroline. Aveva trascorso vent'anni della sua vita, con intensità e ambizione crescenti, nell'attesa di quella domanda. Probabilmente era inevitabile, con la nomina a portata di mano, ripensare alle cose che l'avevano resa ciò che era. Il presidente aveva ridotto la scelta a due persone, cioè a lei e a un buon avvocato di origine ispanica. Alle cinque, il telefono avrebbe squillato e Caroline Clark Masters sarebbe diventata giudice federale della Corte d'Appello degli Stati Uniti d'America. Oppure no.
A un unico passo, anche se il semplice pensiero la rendeva superstiziosa, dalla Corte Suprema. Un passo enorme ma, forse, non meno grande della distanza che aveva già percorso. Era giunta in California a ventitré anni, apparentemente senza amici e senza una famiglia. Si era laureata in Giurisprudenza e aveva poi trascorso quindici durissimi anni nel ruolo di difensore d'ufficio, rappresentando assassini e piccoli spacciatori con un successo che era andato al di là di ogni aspettativa; aveva insegnato, tenuto conferenze e scritto articoli sulla giustizia penale per diffondere la sua fama e la sua buona reputazione; aveva allargato i suoi contatti personali mediante l'attivismo in gruppi femminili e un po' d'impegno politico, stando comunque ben attenta a difendere la sua privacy. Poi, finalmente, aveva ricevuto la nomina di giudice presso un tribunale secondario, la Corte Municipale di San Francisco. Fino a quel punto, aveva programmato tutto. Tutto ciò che era venuto dopo - il processo Carelli - era stato un caso. L'accusa era di omicidio. L'imputata, Mary Carelli, una notissima giornalista televisiva; la vittima, un famoso romanziere. Erano soli in una stanza d'albergo quando, a detta della Carelli, l'uomo aveva tentato di violentarla e lei l'aveva ucciso. Caroline presiedeva alle udienze preliminari. L'opinione del medico legale era che il tentativo di stupro denunciato dalla Carelli non quadrasse con la scena del delitto e le condizioni del cadavere. Ce n'era più che a sufficienza perché qualsiasi giudice di Tribunale Municipale rinviasse l'imputata davanti a una Corte di grado superiore, con l'accusa di omicidio. E questa, in qualsiasi altra circostanza, sarebbe stata l'unica incombenza di Caroline. A quel punto, l'avvocato della Carelli aveva deciso di opporsi al rinvio a giudizio e aveva richiesto la ripresa televisiva delle udienze preliminari. Per due settimane, Caroline aveva gestito le udienze più seguite della storia della televisione con abilità, con spirito e, come aveva ammesso la maggior parte degli osservatori, con impeccabile correttezza. E, al termine delle udienze, era diventata celebre almeno quanto la stessa Mary Carelli. Non aveva perso tempo. Era apparsa in televisione e, a giornalisti accuratamente selezionati, aveva concesso interviste che rivelavano il suo fascino e tagliavano corto sulla sua biografia. Le erano arrivate offerte a fiumi: quella che aveva accettato, l'associazione a un grosso studio di San Francisco, le offriva contatti con grosse società e più ampie credenziali.
Quando la presidenza degli Stati Uniti era passata di mano, e i democratici avevano cominciato a distribuire nomine a giudice federale, le persone che si occupavano della cosa avevano fiutato i vantaggi connessi con l'opportunità di sostenere una donna professionalmente qualificata, di vasta esperienza, e apprezzata come nessun'altra. Ed era proprio ciò che aveva sperato. Erano cominciati gli incontri. Prima con le femministe e con altri gruppi con cui lei simpatizzava. Poi con una commissione di avvocati che vagliava candidati per conto della senatrice anziana della California. Quindi con la senatrice in persona, un colloquio che, dopo l'iniziale nervosismo di Caroline, era andato particolarmente bene. La nomina era prerogativa del presidente, e la senatrice era in gara con i senatori di vari altri Stati, che sostenevano i loro candidati. Ma la lettera che la senatrice aveva indirizzato alla Casa Bianca era stata insolitamente forte, e il presidente era in debito con lei. Caroline si era concessa di sperare. In seguito, il silenzio. Erano passati mesi. Si era convinta che la sua nomina stesse slittando. Un movimento «per la legge e l'ordine» aveva scritto alla senatrice, con copia al presidente, per opporsi alla sua candidatura; un'organizzazione per il diritto alla vita l'aveva etichettata come «anti-figli» e «anti-famiglia». Si era riempita le giornate con impegni professionali, lunghi giri in bicicletta, qualche passeggiata in montagna. Si era persino detta che quello sarebbe stato il momento giusto per prendersi un cane o qualcosa del genere. Infine, però, la senatrice le aveva telefonato. «Sei sempre nell'elenco», aveva detto a Caroline. «Ti chiamerà Walter Farris, il consigliere della Casa Bianca. Preparati. E chiamami, dopo.» Farris in persona l'aveva chiamata due giorni più tardi. Aveva una voce stanca e catarrosa, e lei sapeva, dalle fotografie, che era bianco di capelli e sovrappeso. Rimanevano due candidati, era stata la sua spiegazione. E aveva qualche domanda da farle. Avevano ripercorso la sua formazione. Storia familiare e studi, ma in modo rapido. Un semplice preludio alla domanda finale: Ha qualcosa da nascondere? «Credo che il punto sia proprio quello», le aveva detto in seguito la senatrice. «L'altro candidato è una figura di spicco della comunità latinoamericana di Tucson; è anche lui molto qualificato e il senatore che lo raccomanda è praticamente a capo della Commissione finanze del senato. Se
uno di voi due ha qualche problema, risparmierà al presidente il compito di scegliere...» No, niente, aveva risposto a entrambi Caroline. Guardò l'orologio. Le quattro meno un quarto. Nel giro di poco più di un'ora, Farris avrebbe telefonato. Alzò lo sguardo sulla casa. Non sono ancora pronta a entrare, decise. Dalla spiaggia, una stretta banchina di legno si protendeva nell'oceano quanto bastava per raggiungere la profondità necessaria a un attracco. A piedi nudi, ne percorse le tavole fino al punto in cui aveva legato la barca a vela presa a nolo; tirò fuori una bottiglia di birra dal frigorifero portatile sottocoperta e sedette a prua con le gambe penzoloni sull'acqua. Sorseggiava la birra, pungente sulla lingua e fresca in mano, e fissava le gocce di condensa scorrere lungo la bottiglia. La birra era avanzata dal giorno prima, quando aveva riempito il frigo portatile con pane, formaggio, birra e acqua minerale, prima di salpare con il catboat verso Tarpaulin Cove, come faceva un tempo, quando aveva quattordici anni. Benché da parecchi anni non navigasse nello stretto, non aveva avuto bisogno di carte nautiche: ricordava ogni boa con la massima precisione. Il mattino della traversata il tempo era limpido. Durante la giornata - cielo e mare - soltanto vivaci sfumature d'azzurro. Caroline aveva sorriso nel vento. Il sole e il mare la rallegravano, la pioggia la deprimeva. Anche sua madre era stata così, sensibilissima al mutare della natura. Aveva veleggiato verso il faro di Tarpaulin Cove. Ormeggiata la barca, Caroline si era spinta a nuoto fino alla spiaggia, dove si era addormentata al sole. L'alta marea, lambendole i piedi, l'aveva risvegliata. Mentre tornava, un banco di nebbia leggera era corso sull'acqua e il vento aveva cambiato direzione. Si era trovata a lottare con il vento e il mare mosso. Non aveva corso un reale pericolo, ma il peso dei ricordi si era fatto sentire... Tornò a guardare la casa. Era una grande costruzione in legno sullo strapiombo, con vista aperta da tutti i lati, un amalgama di frontoni e di stili architettonici tipici della zona, circondata di rose e da uno steccato bianco. La parte più antica era stata costruita alla fine del Seicento, poi, circa duecento anni dopo, rimorchiata da un tiro di buoi dal centro di Edgartown fino a Eel Pond. Il resto della villa l'aveva aggiunto suo padre come pure, qualche tempo dopo, le rose. «Crescono bene vicino al mare», aveva spiegato alla piccola Caroline. «Come te.»
Ciononostante, quando aveva affittato la casa dagli attuali proprietari, essi avevano associato il cognome Masters soltanto a Caroline. Non conoscevano la sua famiglia; lei aveva semplicemente spiegato che «conosceva la casa». E ogni stanza contiene ricordi per me, era quello che non aveva detto. Percorse i gradini che risalivano il promontorio ed entrò in casa. L'orologio a pendolo del nonno segnava le quattro e venti. Quaranta minuti. Oltrepassò la camera da letto dove, in quell'ultima estate, stavano Betty e Larry; attraversò la luminosa sala dove la sua famiglia cenava a lume di candela, con il padre a capotavola e, infine, la stanza soleggiata che continuava a identificare con la camera della madre. Entrando nel bagno, ricordò uno specchio che non c'era più e rivide, per l'ennesima volta, l'ultima, tenace immagine della madre in vita: stupenda e minuta, tutta intenta a studiare la sua immagine riflessa mentre si applicava il mascara, pensando alla serata che l'attendeva... Ma lo specchio del bagno rifletteva soltanto Caroline, una donna sei anni più vecchia di quanto quell'altra donna allo specchio sarebbe mai diventata. Un avvocato, presto forse un magistrato, che somigliava poco alla madre. Eccetto per la vanità, ammise con un lieve sorriso. Il resto, con suo grande rammarico, le veniva dal padre. L'altezza, superiore al metro e settanta, una decina di centimetri più della madre. I capelli neri, a volte tinti di biondo rame, e, di solito, costretti a star dritti dalla spazzola e dal casco. Un volto aquilino di cui i suoi antenati yankee avrebbero forse detto che «aveva carattere»: attaccatura dei capelli a punta, zigomi alti, naso lungo, bocca piena, il mento forte diviso da una fossetta. Se non avessero inventato la televisione, quelle caratteristiche sarebbero apparse un po' troppo decise, confessò a se stessa; invece erano stati proprio gli esperti di media a lodare la classe di Caroline, nonché il suo aspetto affascinante e aristocratico, suscitando in lei pubblica indifferenza e segreto compiacimento. Dopotutto, aveva riflettuto, quei giudizi erano assai più consolanti rispetto a una descrizione del tipo: «Caroline Masters: prossima alla menopausa e all'attacco della cellulite». Non era esattamente il ritratto più appropriato per un giudice federale, insomma. Le cinque meno venti. Perché, si chiese, quella carica era tanto importante? Che cosa sarebbe stato di lei se le sue ambizioni fossero finite nella polvere?
In realtà, nel profondo del cuore, non voleva saperlo. La sua ambizione lavorava per lei, e funzionava: le riempiva la vita d'interessi e di sfide. Le riempiva la vita, punto e basta. Su certe cose, non bisognava mettersi ad arzigogolare. Forse era stato stupido venire lì. Nonostante tutto, era ancora un'imprudente. Aveva soltanto imparato a irrigidire i suoi impulsi o, nella peggiore delle ipotesi, a nasconderli. E la decisione di tornare in quei luoghi era stata presa d'impulso: quasi nessuno, oltre alla sua segretaria, sapeva dove si trovava; assolutamente nessuno sapeva che quella casa, un tempo, era stata la sua casa. Lentamente, si diresse verso la veranda. Si affacciava sul mare, a ovest. Fuori, una brezza proveniente dall'oceano sibilava tra le rose del padre. Lì accanto, sul prato, si trovava la pietra piatta, più grande di un tavolo, che il padre aveva fatto portare fin lassù. Quando veniva in vacanza dal New Hampshire, si sedeva su quella pietra davanti al mare, e metteva sulla carta i suoi pensieri... Quasi le cinque. Sedette su una sedia di vimini, vicino al tavolino dal piano in vetro su cui stava il telefono. Sollevò il ricevitore una, due volte, per controllare che la linea fosse collegata. Le cinque e dieci, poi le cinque e un quarto. Le cinque e sedici. Il telefono squillò. «Caroline?» La voce catarrosa suonava lontana. «Parla Walter Farris.» Lei si controllò, cercando d'interpretare il tono di voce del suo interlocutore. «Walter, come stai?» «Bene. Mi sento da favola, a dire la verità. Dimmi, hai un momento per parlare con il presidente?» Scoppiò in una risata stupefatta. «Be', veramente stavo pensando di tagliare l'erba del prato...» «Un istante. È qui, accanto a me.» Lei si sentì arrossire. «Caroline», esordì la ben nota voce strascicata. «Sì, signor presidente?» «Walter mi dice che lei vuole andare alla Corte d'Appello.» Un attimo di silenzio. «Devo, signor presidente. Non ho mai atteso con tanta ansia che un uomo mi chiamasse fin dai tempi del ballo di fine anno.» Una risata genuina; la battuta era stata compresa e apprezzata.
«Bene, Caroline... La nomina è sua.» Lei si sentì attraversare da un sospiro. Ogni finzione di disinvoltura si dissolse. «Non è facile dirle, signor presidente, quanto significhi per me.» Tacque un attimo e poi riprese, a voce più bassa: «Ho lavorato per questo fin dal primo giorno alla facoltà di Giurisprudenza. E lavorerò anche più duramente per meritarlo, quando ci sarò arrivata». «Lo so. Comunque, Walter vuole parlarle. Quando torna per le udienze di ratifica si fermi qui e venga a trovarci, d'accordo?» E, dopo una pausa: «Congratulazioni, giudice Masters». «Caroline?» Di nuovo Farris. «Dovrà dare il massimo, alle udienze di ratifica. Jennifer Doran, del ministero della Giustizia, si metterà in contatto con lei per aiutarla a prepararsi. Lo ha già fatto varie volte...» Posando il ricevitore, ricordava a stento in che modo la conversazione si fosse conclusa. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Com'è strano, pensò, desiderare una cosa così profondamente e tanto a lungo da non riuscire a credere di averla... Le lacrime cominciarono a scorrerle sulle guance, e fu davvero lieta che nessuno potesse vederla, in quel momento. Non sapeva che cosa fare. Un brindisi, pensò. Un brindisi in mio onore. Andò in cucina, finalmente allegra, e si preparò una caraffa di martini. Il primo martini, secco, lo mandò giù in due sorsate. Al diavolo la cena. In un momento come quello, è d'obbligo per chiunque fare sciocchezze. Il giorno seguente, sarebbe stata l'unica a saperlo. Alle sette era ancora in veranda, a guardare l'oceano che ingrigiva nella sera, al calare della luce del sole. I ricordi amari l'avevano lasciata. In quel preciso momento, non desiderava essere da nessun'altra parte. Al tramonto, suonò il telefono. Esitò, cercando di riordinare i pensieri. Passò qualche istante, prima che rispondesse alla chiamata. «Pronto?» «Caroline?» A tutta prima, la mente non riuscì ad assorbirla. Ma la sentì sulla pelle: era una voce che non udiva da vent'anni, eppure nessun'altra le era altrettanto familiare. Una voce che apparteneva a quella casa. Si alzò, improvvisamente allarmata. Non riusciva a rispondere. «Caroline.» La voce di lui era invecchiata, e forse il tremendo sforzo psicologico che quella telefonata gli stava costando la rendeva ancora più roca. «Ci sono stati problemi, qui, con Brett. Devi venire a casa.»
PARTE SECONDA IL RITORNO 1. Il mattino seguente, Caroline Masters prese l'aereo per Boston e, noleggiata una jeep, si diresse a nord. Dopo un'ora di guida, attraversò il confine del New Hampshire e si sentì oppressa dai presentimenti, come se qualcosa l'avesse strappata al suo futuro, trascinandola di nuovo nel passato. Ventitré anni prima aveva lasciato definitivamente quei luoghi. Ricordava poco di quell'occasione: seduta in auto dietro Betty e suo marito Larry, mentre viaggiavano verso Martha's Vineyard per quella che sarebbe stata la loro ultima estate trascorsa in famiglia, non aveva avvertito il minimo segno che le indicasse l'importanza del momento. Alla fine di quell'estate, aveva giurato di non tornare mai più. E invece stava tornando. Prima di lasciare l'isola aveva telefonato a Walter Farris, dicendogli semplicemente che c'era stata un'emergenza familiare, una faccenda che avrebbe potuto richiedere qualche giorno per essere sbrigata. Farris si era mostrato disponibile e comprensivo; forse Caroline si era soltanto immaginata il tono vagamente circospetto e le domande inespresse: quale emergenza può essere tanto grave da distrarti in un momento simile? E per quale motivo non ne parli apertamente? Ma il rifiuto di dare spiegazioni era la scelta su cui aveva fondato la sua vita da adulta. Era già fin troppo impegnata a opporsi alla convinzione superstiziosa (quindi stupida ed egocentrica, si ripeteva) secondo la quale, recandosi a Martha's Vineyard, avrebbe portato alla luce un passato che adesso attendeva sia lei sia una ragazza che non conosceva. In ogni caso, lui sapeva bene che sarebbe tornata. Inoltrandosi nel New Hampshire, Caroline cominciò a sentire la sua presenza. Le fattorie e le cittadine sparse qua e là erano i resti di una prosperità da lungo tempo trascorsa, che aveva contribuito a fare di lui ciò che era. Inerpicandosi con l'auto sulle White Mountains - gli scoscesi dirupi, i ruscelli tortuosi, i precipizi, i chilometri e chilometri di alberi fitti, interrotti soltanto da superfici di granito spaccate dal tempo e dall'asprezza delle bufere -, Caroline ripensò al profondo convincimento che lo portava a definire il New England un luogo unico, ai suoi ammonimenti sulla natura e sul-
le virtù dell'inverno, che infondevano intraprendenza e risolutezza, rammentando all'uomo le sfide che lo attendevano e la cautela necessaria ad affrontarle senza l'aiuto di Dio. E lei capiva che, nonostante gli anni e i suoi immensi sforzi, quell'uomo e quel luogo avevano formato la parte più profonda del suo essere. Discendendo dalla cima incappucciata di nubi, si diresse ancora a nord e poi a ovest, in direzione del Vermont, sotto una pioggia fitta e grigia. Gli avvenimenti del giorno precedente sembravano lontanissimi. Le città si erano diradate, le strade parevano migliori, qualche segheria aveva chiuso, ma poco altro era cambiato. Quello era un luogo dove i rapporti umani contavano, dove l'esistenza si viveva con riserbo però i ricordi duravano a lungo, dove il rispetto, per un uomo o per la famiglia da cui proveniva, una volta conquistato, rimaneva profondo. Perché non era una zona frequentata da forestieri: i fuggiaschi dal Massachusetts, i cercatori di residenze estive, tendevano a fermarsi ben prima di quell'angolo del New Hampshire. La gente che ci viveva era lì da sempre: il loro numero magari diminuiva leggermente, qualche figlio se ne andava alla ricerca di un lavoro migliore, mentre altri decidevano di rimanere. E la vita sembrava senza tempo, come i laghi, i fiumi e le grandi, silenti foreste. La campagna che Caroline attraversava era un susseguirsi di valli ondulate, ruscelli, colline dal profilo scosceso contro la vastità del cielo. Le strade si fecero più strette. A un incrocio, nei pressi di una chiesa malandata, svoltò in direzione di Resolve, scendendo per una strada asfaltata. A poco più di un chilometro dalla cittadina, abbandonò la strada e imboccò una carrareccia in salita, attraverso boschi che un tempo erano stati pascoli, fino a raggiungere una radura nota come Masters Hill. Caroline non si rendeva conto della lentezza della sua guida. Prestava più attenzione agli elementi del paesaggio, al masso frastagliato su cui una volta si era arrampicata, all'apparizione grigioazzurra del lago Heron in lontananza che non ai suoi sentimenti nell'attraversare luoghi tanto familiari, eppure appartenenti a un'altra vita. Poi, di colpo, si fermò. Irrigidita dalla lunga guida, scese dall'auto. Una pioggerella grigia la investì. Sul pendio della collina, in un'area diboscata dalle betulle, c'era una chiesa bianca, in legno. I primi Masters del luogo l'avevano edificata centocinquant'anni prima, a uso della loro famiglia e di quelle vicine. Le guglie e le vetrate piombate appartenevano a un'altra epoca. In quel luogo, lui
aveva preso moglie una prima e una seconda volta. Lì si erano sposati Betty e Larry, e Caroline aveva fatto da testimone. Lì Caroline aveva fantasticato di sposarsi, un giorno. In quella chiesa, lei aveva trascorso quasi tutte le mattinate domenicali della sua giovinezza, seduta con i genitori e la sorella in prima fila, dove i Masters stavano per tradizione e per diritto. Ricordava bene le semplici panche di legno e l'arredo spartano nonché le disadorne liturgie di una religione troppo radicata per cedere a isterismi. Pur sapendo, per lunga consuetudine con quel luogo, che la porta di certo non era chiusa a chiave, non entrò. Dietro la chiesa c'era il cimitero, dove riposavano generazioni e generazioni di Masters. Fu verso quel luogo che Caroline, bagnata e infreddolita, si diresse, dopo aver girato intorno all'edificio di legno. Un intreccio di rami, incombente sulle pietre consunte dal tempo ai margini del cimitero, impediva alla luce di penetrarvi. Le lapidi di granito erano state logorate dalla pioggia e dal vento. Una pietra tombale, ricordo di un bambino da lungo tempo strappato anche alla memoria, era addirittura caduta a terra. La tomba di famiglia si trovava al centro del cimitero. Sulla lapide più grande, un rettangolo di granito che s'innalzava in mezzo agli altri, erano incisi i nomi dei suoi familiari: Channing Masters; Elizabeth Brett Masters; poi Elizabeth Wells Masters. In fondo, lesse le parole: CAROLINE CLARK MASTERS, NATA IL 17 GIUGNO 1950. Soltanto per Elizabeth Brett Masters c'era anche la data di morte. Di fronte a quella lapide se ne scorgeva un'altra, piantata in terra sulla tomba di Elizabeth Brett Masters, che la tramandava alla posterità come ADORATA MOGLIE DI CHANNING E MADRE DI ELIZABETH. Lei voltò le spalle, e raggiunse il fondo del cimitero. La lapide che trovò era sporca e coperta di foglie. Inginocchiatasi sul terreno umido di pioggia, Caroline la ripulì con le dita tremanti. Vide l'iscrizione: NICOLE DESSALIERS MASTERS 1925-1964. Lesse poi le asciutte parole che riaccendevano il suo dolore: MOGLIE DI CHANNING, MADRE DI CAROLINE. Sempre più bagnata e intirizzita, Caroline si alzò e rimase immobile, in una silenziosa richiesta di perdono per le tante cose che allora non aveva capito. Soltanto quando si allontanò dalla tomba si accorse che la pioggia era cessata.
Un chilometro più oltre, Caroline si fermò sul ciglio della strada. Alla sua destra, dietro un bosco che digradava dolcemente dalla collina, scorse in lontananza Resolve: un campanile, un incrocio, bianche e secolari case di legno. Al di là dell'abitato, altri alberi. Quand'era bambina, lui le descriveva quel paesaggio in modo tale che lei riusciva a immaginare una campagna disseminata di muri a secco e punteggiata dalle opere dell'uomo. Un'epoca in cui il New England era in pieno sviluppo; e il Masters vissuto a quel tempo era un senatore degli Stati Uniti. Allora si voltò, ritrovandosi di fronte alla casa in cui era nata. A tre piani e con i suoi venti locali, s'innalzava maestosa fino a una cupola ottagonale, da cui i Masters godevano di una vista che spaziava per chilometri all'intorno. Tavole di legno dipinte di bianco, finestre ad arco... un'imponenza che non cercava il minimo appoggio nei fronzoli di un qualche stile architettonico. Era l'interno, a rivelare la volontà di stupire: i soffitti alti oltre quattro metri, i sette caminetti in granito, lo scalone a quattro pianerottoli, la sala da ballo. Per lui, quella casa era un simbolo del suo diritto di nascita e dei doveri che gli imponeva, una dimora che, a differenza di ciò che succedeva a tante altre, non bisognava abbandonare ma custodire e tramandare ai posteri, come la vita stessa dei Masters. Nonostante questo, però, quando si trovava in famiglia, lui riusciva anche a scherzare sulle proprie origini. Il primo Masters, Adam, si era perdutamente innamorato di una giovane donna proveniente dalla cosmopolita Portland, nel Maine. Assolutamente deciso a sposarla, Adam aveva edificato quella villa come monumento alla sua passione, nella speranza di sorprendere la donna, di abbagliarla. Tuttavia, una settimana dopo il completamento dei lavori, anche Adam ebbe la sua sorpresa: una lettera di lei che annunciava la rottura del fidanzamento. La casa - aveva spiegato il padre alla piccola Caroline - era quindi un perenne monumento all'abilità posseduta da certe donne nel rincretinire certi uomini, nonché una follia che aveva riversato sulle spalle di generazioni di Masters immani costi di riscaldamento. A Caroline era sembrato tutto piuttosto divertente, allora. E lui continuava a sostenerne i costi, ovviamente. Gli edifici collaterali un granaio, il garage che era stato in precedenza una scuderia - erano ridipinti di fresco. Percorrendo il viottolo lastricato che risaliva dolcemente la collina, all'ombra di alti alberi, Caroline notò che i prati erano ben tenuti e che l'acqua del laghetto vicino al granaio era fresca e limpida. Ogni cosa
aveva l'aspetto del giorno in cui l'aveva vista per l'ultima volta. Si fermò, inspirando profondamente. Poi, la porta d'ingresso si aprì. Un attimo prima di scoprire chi l'avesse aperta, Caroline s'irrigidì. In quel momento, nel vano della porta, apparve Betty che, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni kaki, si mise a fissare la sorellastra. E la fissava da una distanza di anni e anni. Si avviò verso Betty, studiandola, confrontandola con l'ultima volta in cui l'aveva vista. Betty avanzò nel portico coperto. «Ciao, Caroline.» È una donna di mezza età, pensò Caroline, dapprima sorpresa, ma subito dopo consapevole della stupidità di quella riflessione. La sorella portava occhiali cerchiati di metallo, e il colore castano dei capelli, adesso tenuti corti, si era ridotto a un luccichio scuro in mezzo al grigio. L'età aveva portato alla luce i tratti segaligni che erano sempre stati in attesa, sotto la superficie del suo viso; il naso si era fatto ancor più pronunciato, le guance più incavate, gli occhi grigi in qualche modo più intensi, in contrasto con le zampe di gallina e con il pallore della pelle. Negli anni litigiosi della loro giovinezza, Caroline aveva spesso pensato, con la tacita crudeltà delle adolescenti, che Betty somigliava alle fotografie della madre, la quale aveva contemporaneamente ottenuto la santificazione e schivato una poco allettante mezza età, essendo provvidenzialmente morta di parto. In quel momento, invece, per un istante, la vista di Betty la rese triste, benché non sapesse perché. Senza preamboli, chiese: «Come sta?» Betty le scoccò un'occhiata cattiva. Come credi che stia? fu la frase che lesse nello sguardo della sorella. Abbassando la voce, Caroline spiegò: «Come ricorderai, non la conosco». Un'altra rapida occhiata, come se Betty se ne fosse dimenticata, poi un cenno di assenso. «È emotiva, a volte caparbia, ma viva. In questi due giorni, però, si è trasformata in un relitto. Passa dalla più stoica sopportazione del dolore alla paura o all'incredulità nel volgere di pochi istanti.» Caroline annuì. «La marijuana non le ha certo giovato. In qualche misura, potrà anche non essere del tutto certa di quanto è accaduto.» Un altro sguardo, tagliente come una coltellata. Poi, d'un tratto, nella sorella si palesarono il tormento e la paura. «Non l'ha ucciso lei...» In silenzio, Caroline osservò Betty e comprese che la sorella si era resa
conto di aver risposto a una domanda non formulata. Poi Caroline scrutò più a fondo, nei complessi intrecci del loro passato comune. Seccamente, Betty dichiarò: «È stata un'idea di nostro padre, quella di chiamare te». Caroline annuì di nuovo. «Questo lo so bene.» Betty sbiancò. Era spiazzata, e cercava di cogliere il significato di quella risposta. Placidamente, Caroline soggiunse: «Siamo tutt'e due fuori allenamento, Betty. E, in fin dei conti, fra noi è andata come è andata». L'altra abbassò lo sguardo, abbandonandosi a un sospiro. Quando levò nuovamente gli occhi su Caroline, la tensione si era un po' allentata. «Ti trovo bene. Ma questa non è una sorpresa, almeno da quando ti abbiamo vista in televisione.» «Mi avete vista?» Un fulmineo lampo negli occhi di Betty: una traccia di gelosia e d'ironia. Dunque ancora t'importa? lesse Caroline in quel lampo, e si rimproverò per aver posto la domanda. Per un po', Betty parve studiarla. «Sei diventata famosa, Caroline. E ci sei arrivata da sola, senza di lui e nessun altro di noi. È questo che volevi?» Tu lo sai bene che cosa volevo, pensò Caroline con un subitaneo moto d'asprezza. Facendo uno sforzo immenso per trattenersi, disse soltanto: «Come puoi anche soltanto chiederla, una cosa del genere?» Betty distolse lo sguardo. Dopo un momento di silenzio, mormoro: «Brett è di sopra». Caroline scosse la testa. «Non sono ancora pronta. No.» «E allora perché sei venuta?» esclamò la sorellastra, sorpresa. «Ti rendi conto che potrebbe essere accusata di omicidio?» L'altra non si curò nemmeno di spiegare. «Dov'è lui?» chiese, invece. 2. Indossando un giaccone preso a prestito da Betty, Caroline risali il tortuoso sentiero che costeggiava Masters Hill. Anche lui ci saliva sempre, rammentò. Andava a riflettere. «Non ti aspettava così presto», Betty le aveva spiegato. «E non sono riuscita a trattenerlo.» A Caroline era occorso un istante per ricordare che aveva passato i settanta da un pezzo. Aveva inarcato un sopracciglio. «Ha qualche problema di cuore», le aveva chiarito Betty, come se parlasse a un'estranea. «Ha avuto un attacco, l'anno scorso. Lieve, ma è stato
un segnale. Comunque non vuole rinunciare alla montagna. Non vuole neppure sentirne parlare, di rinuncia.» Inerpicandosi sul colle, Caroline rammentò i tempi in cui lui la portava con sé fino in cima: la bambina di allora ma anche la donna che era diventata non riuscivano a immaginarlo tanto vulnerabile. Vedeva bene, però, che ormai ci saliva di rado. Il sentiero, un tempo ben battuto dalla famiglia Masters che seguiva la sua alta e snella figura, adesso veniva a tratti inghiottito dal sottobosco o era coperto di aghi di pino: soltanto il sentiero dei suoi ricordi aiutava Caroline a ritrovare quello reale. Il tracciato s'inoltrava ripido in mezzo a un fitto bosco di pini, costringendola a salire lateralmente, tra scivoloni e frequenti fermate per riprendere fiato. Sono fuori allenamento, pensò, con una fitta di rimorso. Ma non era quella la ragione per il forte pulsare alle tempie. In parte c'entrava Betty; in proporzioni ancora maggiori, la ragazza non vista. Ma la ragione più grande l'attendeva a qualche minuto di cammino. Raggiunse una radura: un ciglione di granito nudo, levigato dal vento e dalla pioggia. Da bambina, quand'era ancora troppo piccola per arrivare in cima, si fermavano a quel punto, il padre e lei. Anche allora si fermò, quasi aspettandosi di trovarlo lì. Nessuno. Sedette sulla pietra a riposare. Da quel punto, il panorama sembrava estendersi all'infinito. Gli spazi liberi dal bosco erano più radi che in passato; la natura aveva reclamato i suoi diritti su quella terra, seppellendo le fattorie abbandonate e i vecchi muri a secco a mano a mano che gli uomini si erano allontanati, spingendosi a ovest. L'area era ridivenuta incolta ed era stato allora che l'avevano comprata i Masters, le cui fortune si erano accresciute dapprima con il legname e poi con la vendita alle ferrovie di Boston e del Maine delle strade ferrate che un tempo collegavano le loro segherie. Non era stato un investimento nel senso comune del termine, bensì un'affermazione, con una sfumatura d'implicita arroganza: i Masters arrivavano in quella regione e ci sarebbero rimasti, eterni al pari della terra. Invece non andò così. Qualche anno più tardi, avevano venduto quasi tutti i terreni; Caroline sospettava che l'altera magnificenza di casa Masters fosse costata cara al padre e che, in fondo al cuore, Channing Masters temesse di rappresentare l'ultima generazione che sarebbe vissuta e morta in quella dimora. Per questo Caroline, partendo, aveva abbandonato qualcosa
di più di una famiglia. Ma lui se ne sarebbe andato con orgoglio, e nessun estraneo avrebbe mai potuto leggere il declino della sua famiglia nell'aspetto della casa. Quel luogo faceva parte di lui e lui faceva parte di quel luogo. La collina era rimasta di sua proprietà. Di lì si vedeva l'intero abitato di Resolve, paese-giocattolo immerso in una radura del New England. Lei rammentava ancora quella volta in cui, seduti proprio lì, aveva domandato spiegazioni sull'origine del nome della cittadina. Com'era stato possibile che un luogo venisse chiamato «risolutezza»? Si era immaginata un travagliato episodio di storia patria in cui quel gruppetto di case si era eretto come fermo baluardo contro gli indiani o per difendere l'indipendenza. Ma quando il padre le aveva risposto, nei suoi occhi scintillava il sorriso. «Resolve», aveva detto, con scherzosa solennità, «si guadagnò il suo nome separandosi dal comune di Connaughton Falls, nel corso del leggendario conflitto fra i battisti favorevoli all'immersione totale e quelli favorevoli all'immersione parziale. A quei tempi, Caroline, gli abitanti del New England portavano la loro religione nel cuore.» Lei si era accorta che non scherzava più. «E noi da che parte stavamo?» «Con gli immersionisti totali, ovviamente.» Come sempre, il sorriso rivolto a Caroline aveva addolcito l'espressione un po' arcigna che lo caratterizzava. «Noi cittadini di Resolve non tolleriamo mezze misure.» Pur avendo soltanto otto anni, lei aveva avvertito l'ironia della frase. Il giudice Channing Masters era infatti il cittadino più importante di Resolve, e poteva tranquillamente parlare anche per gli altri. In seguito aveva compreso che Channing - il quale, come giudice, non poteva impegnarsi direttamente - influiva sulla scelta dei consiglieri comunali, del capo della polizia, dei membri del consiglio scolastico e dell'assemblea parrocchiale della sua chiesa, nonché, ovviamente, sulla scelta del pastore. Lui non le aveva mai detto niente. Era una cosa nota, tutto li. E non si trattava di un privilegio, bensì di un dovere; il suo interesse risiedeva nel reperire uomini probi e saggi. Ma gli uomini che Channing Masters sceglieva lo trattavano diversamente dagli altri. Quando gli sedeva accanto su quella pietra, le pareva che il padre vegliasse sulla cittadina. Caroline non pensava che dovesse essere molto cambiata, da allora. In quell'angolino del New England, il tempo passava lentamente. Channing, con il suo fastidio per qualsiasi moda, nel pensare come nel vestire, riteneva che fosse giusto così. La madre di Caroline no. Rialzandosi, fissò lo sguardo sul costone della montagna, poi riprese a
salire. Giunta sulla vetta, Caroline trovò il padre. Dal tronco caduto su cui sedeva, Channing Masters la guardò. Lei lo vide lottare con un turbine di sentimenti contrastanti: dolore, amore frustrato, istintivo piacere di vederla, collera perché lo coglieva impreparato. La sua voce, nel tentativo di suonare composta, rivelava anche una sfumatura di qualcos'altro. «Caroline», disse. Lei si fermò a una certa distanza, preservando uno spazio che entrambi sembravano richiedere, e cercò di contrastare lo stordimento provato nello scorgere l'opera del tempo su di lui: gli occhi penetranti apparivano incavati e pesti; rughe profonde gli incidevano i contorni della bocca; la fronte adesso pareva risalire fino a metà del cranio; i capelli, i baffi e le sopracciglia irrequiete erano grigi. La vecchiaia aveva provocato una sorta di aderenza fra pelle e ossa, evidenziando la struttura esile. Ma la linea della mascella era rimasta netta, lo sguardo degli occhi neri era tuttora vivace, quasi crudele. Era come se l'era immaginato. Non riuscì a chiamarlo «papà». «Volevi che venissi», disse invece. «Eccomi.» Il vecchio la fissò, come se desiderasse riaprire ciò che per lui era chiuso. Poi, a bassa voce, chiese: «Che cosa ci facevi a Martha's Vineyard, e nella nostra vecchia casa?» «Un po' di vela», rispose lei, e aggiunse: «Che altro motivo avrei avuto?» La consapevolezza del muro che li separava lo fece trasalire. E fu soltanto in quell'istante che a Caroline parve di riacquistare il suo equilibrio. Raggiunse l'estremità opposta del tronco e sedette a un metro dal padre, con lo sguardo fisso sulla distesa di colline e di vallate che sembravano svanire, più che terminare, in lontananza. Quando si sentì pronta, riprese: «Mi hai convocato qui in qualità di avvocato. Non riesco a immaginare niente di peggio, per tutti noi, che superare i limiti di un rapporto professionale. E, forse, sarà un inferno anche così». Channing si voltò a guardarla. «Brett è innocente.» La sua voce si era inasprita. «Tu pensa pure di me quello che vuoi. Ma lei non sarà semplicemente un caso fra tanti, per te.» Lei lo studiò attentamente. «Potresti arrivare ad augurarti che lo fosse.» L'altro parve riflettere sul significato della frase. Poi, con tranquillità, ri-
spose: «Sei troppo intelligente per una cosa del genere». Caroline avvertì quel peso che le era stato tanto familiare nell'infanzia: le aspettative del padre che venivano presentate come certezze. «Allora è meglio che tu sappia che non sono affatto sicura di trattenermi più di due giorni. Per non parlare di accettare la sua difesa, se si dovesse arrivarci.» Gli occhi di lui si riempirono di stupore. «Come puoi rifiutarti di...» «Ma come puoi rifiutarti tu, di capire?» scattò lei. Poi abbassò la voce. «Credevo che avessi imparato, da quello che è successo a me, come il sentimento possa agire sul raziocinio. Non intendo punire lei per questo.» Channing la guardò a lungo, impassibile. Ma Caroline gli lesse negli occhi sia la speranza sia l'apprensione. «L'hai conosciuta, allora.» Caroline respirò profondamente. «No, non l'ho vista.» Lo sguardo di lui si fece più pungente. «Lei ti aspettava...» «E io, invece, vorrei sapere che cosa sa la polizia. Se non altro, prima di sollecitarla io stessa a raccontarmi qualsiasi storia le passi per la mente.» Il volto del vecchio s'indurì. «Non farebbe mai una cosa del genere a...» «Chi è terrorizzato fa esattamente questo genere di cose», lo interruppe lei, sardonica. «Compresi gli innocenti. E sono praticamente certa che, di quanto ha scoperto la polizia, tu ne sai molto più della ragazza.» Un primo, lieve sorriso apparve a un angolo della bocca del padre, al piacevole ricordo di come sapevano intendersi. Ma quell'espressione sparì e lui ritornò serio, quasi rispettoso. «Da dove dovrei cominciare?» «Dalla prima telefonata di Jackson. Subito dopo essersi accorto che la fermata era Brett.» Channing intrecciò le mani, pensoso. «Jackson ha chiamato verso l'alba», disse infine. «Ha risposto Betty. Era già alzata, e preoccupata.» «Dove pensava che fosse, Brett?» «Con quello, presumo.» La sua voce aveva perso ogni intonazione. «Già da parecchio tempo, Brett aveva la mania di rimanere fuori tutta la notte, e non sentiva il bisogno di spiegare...» Tacque di colpo e soltanto allora Caroline si rese conto del gelido sorriso che le era affiorato sul volto. I loro occhi s'incontrarono. Infine, il padre riprese, in tono pacato: «Betty era troppo scossa, non si riusciva a capire che cos'era accaduto. Qualche minuto più tardi, dovetti richiamare Jackson. Mi riferì i particolari nudi e crudi: il corpo, le condizioni di Brett, il sangue, il coltello e il portafoglio, il fatto che lei avesse rilasciato una specie di deposizione. Poi si dichiarò d'accordo che venissimo a prenderla, in cambio della consegna del suo passaporto».
«Il che mi lascia perplessa. Possibile che Jackson abbia dubbi, sul fatto che l'abbia ucciso lei? O forse si aspetta che commetta qualche errore?» Il padre le scoccò uno sguardo tagliente. «Jackson conosce la nostra famiglia, conosce Brett da quando era bambina, anche se lei non si ricordava bene di lui. Non è facile che creda una cosa del genere.» Tacque per un momento. «Naturalmente, però, non può dirmi nulla.» Caroline piegò la testa di lato. «E il capo della polizia?» Il vecchio diede una scrollata di spalle. «Mi ha raccontato, come atto di cortesia, che Jackson è in attesa dei risultati della scientifica: gruppo sanguigno, impronte e tutto il resto. Nel frattempo, lui indaga sul passato del ragazzo morto. A mio parere, ciò che turba Jackson è che Brett abbia atteso tanto a spiegare quello che era successo. Ma, d'altra parte, James Case le aveva dato vino e marijuana. E lei non è abituata né all'uno né all'altra.» Era infastidita dalla collera di lui. Le rendeva difficile pensare con chiarezza. «Consolante», rispose in tono asciutto. «E inoltre esclude la premeditazione.» L'altro si alzò di scatto, una torre incombente su di lei. La voce gli si riempì d'ira. «Non è stata Brett, maledizione a te. Quella ragazza trabocca di pietà per tutti, fin troppo. Dagli animali randagi a quel... giovane, randagio pure lui.» Caroline alzò gli occhi e lo squadrò. Anche la sua espressione si era irrigidita, la voce aveva perduto ogni coloritura. «Una volta ho difeso un serial killer che tagliava la gola alle vittime e poi le violentava mentre morivano dissanguate.» Il suo tono cambiò, divenne più pacato. «Dopo, tornava a casa e andava a letto con il suo spaniel. La sua maggior paura, quando venne beccato, era che nessuno avrebbe più dato da mangiare al cane.» Nella voce di lui si avvertì un tremito. «Ma questa è la tua carne e il tuo sangue...» «E io adesso sono un avvocato. Per questo mi hai chiesto di venire, suppongo. Quindi risparmiami le storielle sulla sua infanzia, per favore. È già abbastanza penoso così.» La donna si alzò e gli si mise di fronte. «Quando ci incontreremo, manifesterò a Brett tutta la compassione che zia Caroline le deve. Adesso, però, torniamo al nostro problema. Hanno scoperto da dove viene il coltello?» Il padre distolse lo sguardo, e prese a fissare le montagne. Caroline vide che la pioggia di mezzogiorno era diventata un'umida foschia, acquattata nelle vallate. «Non che io sappia», disse infine Channing.
«Hanno perquisito la casa?» «Sì.» «E che cos'hanno trovato?» «Niente. Almeno niente che abbiano portato via.» «E a proposito di eventuali testimoni?» L'uomo tornò a guardarla. «A quel che ho capito, nessuno nella zona ha visto andare o venire nessuno, dall'imbocco del sentiero. Nemmeno un'auto o un camion. Nemmeno l'auto di Brett.» Caroline fece un sorrisetto. «Il tuo amico, il capo della polizia, non è esattamente una sfinge, vero?» Il sorriso si spense. «Immagino che vi abbiano interrogati tutti, a proposito del coltello.» «La polizia di Stato. Ho detto loro che non l'avevo mai visto... Però suppongono che ce l'abbia portato lei.» Lei alzò le spalle. «Per fare un'altra ipotesi, dovrebbero supporre che qualcuno si trovasse da quelle parti, decidesse di fare a pezzi James Case, e poi lasciasse il suo coltello come biglietto da visita. Il che significa supporre parecchio, se sei la polizia.» Channing si raddrizzò in tutta la sua altezza. «Non è andata così. Qualcuno li ha seguiti.» «Nei boschi, di notte? Fino al mio vecchio appezzamento di terra?» Il vecchio strinse le labbra. «Appartiene a Brett, adesso, e da parecchio tempo tu non abiti più nel New Hampshire. Non abbiamo omicidi casuali, qui. Qualcuno voleva ammazzare quel ragazzo e aspettava l'occasione giusta.» Caroline sentì che la testa ricominciava a pulsare. Si sfregò le tempie. «Non è facile che se la bevano, senza prove. È stata Brett a portarlo là, in un luogo isolato, di proprietà della nostra famiglia. Per loro, questo potrebbe significare premeditazione...» «Se non fosse andata a nuotare potrebbe essere morta anche lei. È stata fortunata a spaventarlo...» «Ma chi, maledizione?» Channing scosse lentamente il capo. «Non lo so. Forse un vagabondo, che aveva preso il portafoglio del ragazzo ucciso, lasciandolo poi cadere al rumore prodotto da Brett. O forse, come ha detto lei, per una questione di droga.» «Lei conosce il suo fornitore?» «Ovviamente no.» Toccò a Caroline scuotere la testa. «I professionisti non ammazzano per
qualche migliaio di dollari.» Tacque per un attimo, poi riprese. «Dimmi, c'è qualche prova che ci sia stato qualcuno? Al di là della parola di Brett, intendo.» Notò che l'uomo non si era adombrato; sembrava aver messo da parte il suo tormento, accettando di limitarsi ai fatti. «Non lo sappiamo ancora. La perlustrazione sulla scena del delitto è stata fatta dagli uomini di Jackson, cioè dalla polizia di Stato.» «Chi ha trovato il corpo?» «La polizia di Resolve. Due giovani agenti di pattuglia che controllavano i sentieri della zona.» «E di questo che cosa sai?» «Ciò che mi hanno detto gli agenti locali. I due poliziotti, dopo aver scoperto il cadavere, hanno immediatamente perlustrato la zona circostante. Non trovando nulla e nessuno, hanno chiamato subito il medico legale e la polizia di Stato. Il medico legale ha dichiarato morto Case e la polizia di Stato ha telefonato a Jackson, a casa sua a Concord. A seguito di tutto ciò, lui e la squadra omicidi hanno ottenuto il mandato di perquisire Brett - con umiliante accuratezza - nonché di raccoglierne la deposizione.» Caroline vedeva tutto molto chiaramente, come se si stesse svolgendo davanti ai suoi occhi. «Soltanto che, a quel punto», intervenne, «quattro o cinque dilettanti avevano avuto tutto il tempo di gironzolare in lungo e in largo sulla scena del delitto, lasciando impronte, maneggiando il corpo e, in generale, facendo un gran casino. Senza contare che, molto probabilmente, si sono dimenticati di leggerle i suoi diritti.» «Più o meno, è andata così.» Incrociando le braccia, Channing fece una pausa, per dare enfasi a ciò che era stato detto. «Ma quelli della polizia di Stato sono bravissimi, e lo stesso vale per Jackson Watts. Non credere che sia rimasto il ragazzo con cui uscivi.» Un'altra pausa. «O, per quel che importa, che hai piantato in asso.» Lei non reagì. «Com'è oggi Jackson?» «Sveglio e restio a fare supposizioni, il che costituisce un elemento importante del suo carisma. È a capo della squadra omicidi della procura generale e potrebbe diventare un giudice di Corte superiore. Di questo, in altre circostanze, sarei felicissimo, perché è davvero una persona per bene.» La sua voce s'intristì. «In effetti, vorrei proprio che si trovasse già sullo scranno del giudice. E sono sicuro che lo preferirebbe anche lui.» Il colorito del vecchio si era fatto cinereo; le spalle sottili si erano incurvate di nuovo, la passione era svanita.
«Magari», azzardò Caroline, «Jackson si rifiuterà di seguire il caso.» Channing scosse lentamente la testa. «Non mi deve niente, Caroline. Ho sempre saputo che sarebbe diventato un uomo giusto e, forse, l'unica cosa che può fare per me è rimanere così.» Nella voce del padre, lei cercò qualche sottinteso, un muto rimprovero. Ma tutto ciò che avvertiva era il forte pulsare alle tempie. Quasi con gentilezza, lui disse: «Hai l'aria stanca, Caroline». Non ho dormito, stava quasi per rispondere. Invece sospirò: «Il volo, poi la guida. Una giornata lunga, e non è ancora finita». Channing colse l'allusione. «Ti piacerà, Caroline.» Poi, sempre a bassa voce: «Perfino in queste circostanze». Lei si massaggiò le tempie. «Dimmi, com'era... James Case?» «Molto bello.» Tacque, poi riprese in tono più aspro. «Un tipo instabile, debole ed egoista, con quel ripiegamento narcisistico che le donne sembrano trovare tanto attraente.» Caroline socchiuse gli occhi. «Quante volte l'hai incontrato?» «Per più di qualche istante? Due o tre.» La donna lo guardò di traverso. «E hai capito tutte quelle cose...» commentò. «Oltre all'influenza che aveva su Brett, naturalmente.» Channing sbiancò. «È questo che ti ha spinto ad andare avanti per tutti questi anni, vero? È questo che sta per fare di te un giudice federale.» Caroline sentì il gelo che le saliva in viso; qualcosa nel suo sguardo spinse l'uomo ad alzare una mano, chiedendo il silenzio. «Per diverse che siate, Caroline, Betty è stata una buona madre. Grazie a questo, Brett è una brava ragazza...» «E, in fin dei conti, si può valere tanto quanto la propria madre, mai di più.» Il padre rimase impassibile. «Sai come essere crudele, Caroline. Ma io non l'ho mai pensato. Né allora, né oggi.» Lasciò ricadere la mano lungo il fianco e la sua voce si addolcì fino a diventare un'implorazione: «L'aiuterai, vero?» Lei lo fissò. «Rimanendo qui oppure andando via», rispose infine. «Rimani, Caroline. Ti prego. Ti sto chiedendo di fare la pace. Soltanto per un certo tempo, e non per me... o per Betty. Ma per lei.» Si raddrizzò di nuovo. «Tu non potrai mai conoscerla quanto la conosco io. So bene com'è fatta mia nipote. Ma, soprattutto, so che è innocente.» 3.
Giunta all'ingresso della casa, si fermò, cercando di raffigurarsi la giovane donna all'interno. In silenzio, Channing Masters aprì la porta e Caroline entrò nella casa di suo padre. In salotto si bloccò, con le mani affondate nelle tasche, guardandosi attorno. Era tutto come lo ricordava: i mobili antichi, i tappeti cinesi, perfino l'odore di cose d'altri tempi. Nell'ingresso c'era il pendolo del nonno, costruito a metà del secolo scorso. Alle pareti della sala erano appesi i quadri a olio degli antenati, ritratti nelle convenzionali pose eroiche: un generale, un senatore, un magnate del legname, un prete dalle sopracciglia cespugliose. I libri di suo padre erano sempre nella biblioteca: le prime edizioni di Kipling e Poe, le opere complete di Dickens e Henry James, le Lettere di Plinio. In quell'angolo, il padre era solito leggerle alcuni brani. Che ci faccio in questa casa? Lentamente, Caroline si diresse in sala da pranzo. La sua famiglia aveva consumato ogni pasto su quel tavolo di mogano perfettamente lucido, in stoviglie di porcellana estratte dalla credenza a vetri dagli angoli smussati. A seguito della partenza di Betty per Smith e, successivamente, della morte della madre di Caroline, per qualche mese erano rimasti soltanto loro due, Channing e la figlia minore, a cenare discutendo del suo lavoro, degli studi di lei o delle notizie del giorno. Erano qualcosa di più di semplici conversazioni, nel ricordo di Caroline. Era un corso sulla politica e sulla natura umana e su come le due forze interagissero, con lezioni tratte dal grande dominio della storia - Jefferson e l'economia dello schiavismo - oppure da quello piccolissimo di Resolve, con i punti deboli degli abitanti e delle loro vicende messi a nudo dall'occhio vigile, eppure non privo di carità, di Channing. Lei vi si era crogiolata. Tutto ciò che desiderava a quell'epoca era sistemarsi lì come avvocato e seguire il cammino del padre fin dove avesse potuto. Alla vigilia della sua partenza per il collegio, a Dana Hall, Caroline aveva sentito chiaramente la solitudine del padre, aveva letto la tristezza nei suoi occhi. Afferrandogli una manica, gli aveva chiesto per l'ennesima volta se poteva rimanere. Lui aveva scosso la testa. «Adesso si occuperanno loro della tua istruzione», disse. «Meglio di me o di qualsiasi altra scuola nelle vicinanze. La vita dei figli non deve sempre compiacere i genitori, né i genitori devono sempre compiacere se stessi...» Ma era stata proprio quella frase, più di qualsiasi altra cosa, che le aveva
fatto desiderare di compiacerlo. Caroline si rese conto che era al suo fianco. La casa pareva vuota. A bassa voce, chiese: «Dov'è?» «La sua camera è di sopra.» Lei non si voltò. «Quale?» «La tua.» Caroline si avviò verso le scale, sempre sentendo su di sé lo sguardo del padre. Si fermò, con le dita sul corrimano. Volgendo la testa, scorse la sala da musica e immaginò la madre seduta a un piano che non c'era più. Anche allora, ben prima che Caroline sapesse dove il destino avrebbe condotto Nicole, quella donna era sembrata fuori posto nella grande casa: troppo febbrile e animata, troppo mutevole e vivace. Caroline ricordò come la madre avesse programmato vari viaggi e poi, dato che nessuno di quei progetti si tramutava in realtà, avesse abbandonato del tutto l'idea; quindi le tornò alla mente l'immagine dei genitori che litigavano per questioni politiche. Nicole aveva nutrito un'irrazionale passione prima per Adlai Stevenson e poi per John Kennedy, entrambi colpiti dall'anatema del marito repubblicano. Appena adolescente, Caroline aveva percepito in quel conflitto la metafora di un altro scontro, troppo profondo per essere portato alla luce: il desiderio della madre di lasciare una vita che non le apparteneva. Aveva cominciato a notare che, certe sere, Channing aveva un'aria distante. In quelle stesse sere, la madre si ritirava nella sala da musica e, seduta al pianoforte a coda, sussurrava le canzoni di Edith Piaf. Non si era mai presa la briga d'insegnare a Caroline il francese e nessun altro, in casa loro, lo parlava o lo capiva. Ma neppure quella lingua, Caroline era poi venuta a sapere, era davvero propria della madre. La storia l'aveva lasciata senza famiglia e senza patria, senza una casa che non fosse quella. Perfino La vie en rose, interpretata da lei, suonava ironica. La testa scura ben eretta, gli occhi semichiusi, Nicole Dessaliers Masters cantava con un vago sorrisetto... Distogliendo lo sguardo dalla sala da musica, salì lentamente le scale, verso la camera di Brett. Brett sedeva davanti alla finestra. Inizialmente, Caroline poté scorgerne
soltanto il dorso: vide una figurina snella, dai capelli castani e ricci. Poi la ragazza si voltò, con una rapida rotazione del corpo, come se fosse stata colta sovrappensiero. Caroline la fissò per un tempo che le parve lungo e imbarazzante, sebbene non si trattasse che di qualche secondo. Vide il mento delicato, la bocca piena e regolare, il viso sottile, la fronte alta. Comprese che Brett era più che graziosa. Individuò le occhiaie, intuì le ore di veglia. Gli occhi verdi sorprendentemente vividi - la fissavano però in modo diretto. «Tu sei Caroline, vero? Mia zia.» La voce era bassa, ma chiara. Per un istante, la donna ne riascoltò il suono. «Sono Caroline, sì.» Chiuse la porta e si sforzò di distogliere lo sguardo da Brett, osservando invece la stanza, il disordine tipico degli adolescenti: una tuta rossa su una sedia, vari CD di Tori Amos, Backlash di Susan Faludi, in cima a una pila di altri libri. Infine riuscì a mormorare: «Non è proprio come la ricordavo». «Era la tua camera, questa, vero?» Dalla nascita fino al giorno in cui sono partita, pensò Caroline. Ogni sera della sua infanzia, il padre era salito a darle un bacio sulla fronte. E poi c'erano le sere, tanto più rare, sorprendenti e inestimabili, in cui Nicole Masters le leggeva qualcosa, con una traccia lieve di chiaretto nell'alito e il suo vivace inglese dall'accento francese, che conferiva a ogni storia un tocco esotico. Una volta spenta la luce, Nicole chinava il volto su quello di Caroline... Caroline si accorse che aveva lo sguardo fisso su Brett. «Che c'è?» chiese la giovane. «Niente, davvero», rispose l'altra. «Soltanto uno stupido ricordo... Il mio primo atto di sfida, da bambina. La sera, ascoltavo le partite dei Red Sox. Dopo che i miei genitori avevano spento la luce e la radio, io facevo scivolare una radiolina a transistor sotto le coperte e mi rimettevo all'ascolto, felice di prenderli in giro e di cavarmela.» Sorrise appena. «Ripensandoci, sono sicura che mio padre sapeva. Forse gli faceva perfino piacere.» Negli occhi della ragazza si accese il flebile bagliore di chi riconosce una somiglianza. «Il nonno mi portava sempre al Fenway Park a vedere i Red Sox.» Poi una veloce occhiata di sbieco. «Portava anche te?» Caroline annuì. Poi, d'un tratto, rammentò il motivo per cui era giunta in quel luogo. Il fatto di averlo dimenticato per qualche istante la sbalordì. Attraversò la camera e si sedette a pochi centimetri da Brett. Ciò che accadde subito dopo fu una vera sorpresa per lei. Per metà della
sua vita, si era seduta a quella stessa distanza da clienti accusati di stupro, di abuso di minori, di assassinio con sevizie e mutilazioni. Il serial killer che aveva descritto al padre, un uomo butterato con gli occhi da furetto, l'avrebbe violentata e ammazzata per il gusto di farlo, se non fosse stato per la lastra di plexiglas che li separava. Caroline aveva dunque imparato a tenere a freno la sua immaginazione. Eppure, non appena Brett la guardò, con gli occhi che si riempivano di speranza e di paura, lei immaginò le sue dita sporche di sangue. Si sfregò gli occhi. «Perdonami se sembrerò un avvocato molto più di una zia. Ma abbiamo parecchie cose da esaminare.» All'istante, lei sembrò afflosciarsi. Caroline cercò di ricacciare indietro la comprensione: sapeva fin troppo bene che i sentimenti più intensi - l'innocenza angosciata e l'orrore della colpa - erano del tutto simili sul viso dei clienti. «A dire la verità», riprese, «la cosa che m'interessa di più è ciò che hai detto alla polizia. Con quello bisogna fare i conti.» Brett si appoggiò allo schienale. Il suo tono di voce diventò teso: «Ho detto la verità. Come la sto dicendo a te, adesso». Aveva intuito chiaramente le premesse da cui partiva Caroline Masters, di professione avvocato difensore. Che lei fosse colpevole. Che avesse mentito. Che il compito di Caroline non fosse di apprendere la verità ma di precluderla all'accusa. «La verità è spesso utile», rispose quietamente la donna. «Ma non si può prescindere da quello che hai detto alla polizia. E pare proprio che di domande da fare quelli ne abbiano.» Brett deglutì. Scrutandola, a Caroline parve di vedere, sotto quella maschera di donna, una bambina terrorizzata e sola. A quel punto, Brett Allen si mosse lentamente incontro al silenzio di Caroline e le toccò una mano. «Ma tu credimi», mormorò. «Ti prego.» L'altra abbassò gli occhi e vide le dita della ragazza, bianche a contrasto con la sua pelle abbronzata. Sentì la leggerezza di quelle dita. D'impulso, a dispetto di anni di pratica, Caroline annuì. «D'accordo», disse. «Raccontami tutto.» Quando Brett terminò, era il tramonto; nella stanza silenziosa c'era una luce fioca, un grigiore che presto si sarebbe tramutato in oscurità. Caroline era esausta. A bassa voce, chiese: «Lo sapeva qualcuno che sareste andati al lago?»
«Nessuno.» Brett sembrava sempre persa nei ricordi; le sue reazioni erano lentissime. «È stata una decisione dell'ultimo minuto. In modo che potessimo parlare in privato.» «Perché avevate paura di essere ascoltati?» Un breve cenno d'assenso. «Mi era parso di aver sentito qualcuno sollevare un altro ricevitore. Magari me lo sono immaginato.» «Qualcuno?» La voce perse ogni intonazione. «Mia madre.» Caroline la studiava in viso. «Non tuo padre? O tuo nonno?» Brett scosse il capo. «Mio padre non era a casa. E il nonno ha la sua linea telefonica personale nello studio. È una cosa che non avrebbe mai fatto...» «Ma tua madre sì», completò l'altra. «Per via di James.» Tornò a guardare dalla finestra e soggiunse, a voce più bassa: «Mia madre lo odiava. Sapeva che spacciava». «Glielo avevi detto tu?» «Ovviamente no. Però mio padre aveva sentito alcune voci, dalla polizia del campus.» La guardò. «Insegna lì, come sai.» Naturale, pensò Caroline. Dunque li aveva convinti a tornare: un impiego per un ricercatore che si faceva strada a fatica, una casa per la sua famiglia, una nipotina per riempire il vuoto. E tutto ciò che Larry aveva da perdere era se stesso. «Allora avrebbe dovuto essere tuo padre a nutrire certi sentimenti per James», osservò. «Non come mia madre.» La rabbia passò sul suo volto e svanì, come se la ragazza fosse troppo debole per reggerla. Terminò la frase con voce stanca e monotona. «Mamma voleva offrirmi un mondo perfetto, come se fosse possibile! Per cui aveva paura di chiunque minacciasse quel mondo. Anche adesso...» Caroline si appoggiò allo schienale della sedia. In poche parole, quella ragazza aveva descritto la Betty che anche lei aveva conosciuto. Ci fu il rapido insorgere di un ricordo amaro - vecchio di due decadi - che tuttavia represse. Avrebbe potuto fare i conti con la sua Betty, a tempo debito; tuttavia, al momento, Caroline Masters l'avvocato aveva ragioni più pratiche per distogliere l'attenzione di Brett dalla madre. «Quel trafficante di droga», disse. «Quello che minacciava James. Sai chi è, o dove trovarlo?» Lei scosse la testa. «James sapeva che detestavo ciò che faceva.» L'e-
spressione cambiò di nuovo; adesso rivelava una certa cocciutaggine mista a lealtà. «Diceva che ne stava uscendo. Che lo faceva soltanto perché non aveva soldi. Dio sa se volevo credergli. Se volevo credere in lui.» Nel silenzio che seguì, Caroline mise un po' d'ordine nei suoi pensieri. Il modo in cui quella ragazza parlava di James non faceva pensare a un omicidio. A meno che, naturalmente, non fosse un'attrice di talento. «James aveva un compagno di stanza?» domandò. «O amici che potessero conoscere questo trafficante?» «Compagni di stanza, no. A parte me, James amava starsene per conto suo.» «Vicini?» Brett esitò. «Ho conosciuto un tizio, che si chiamava Daniel Suarez», disse infine. «Sembrava una brava persona. Ma non credo che lui e James fossero intimi.» «E come donne?» La ragazza parve sbalordita, poi si mise sulla difensiva. Con una punta di risentimento, rispose: «Stavamo insieme». Caroline tacque, chiedendosi che cosa potesse averla turbata: il dubbio, qualche problema con lui, il bisogno di santificare un amante morto o, magari, la collera di fronte alle domande su una relazione insudiciata a tal punto dalla morte di James da indurre la polizia a pensare che l'avesse ucciso lei. «Dunque non c'erano altre ragazze», ribadì. «Esattamente come hai detto ai poliziotti, vero?» «Non che io sappia.» Brett incrociò le braccia. «Devi sapere che James era molto bello. Non so che cosa facesse prima che lo conoscessi. O se qualcun'altra fosse attratta da lui, che a James importasse o no.» Caroline portò un indice alle labbra, fissandola. A bassa voce, chiese: «C'è qualcosa - qualsiasi cosa - che potrebbe indurre la polizia a ritenere che tu avessi una ragione per ucciderlo?» Brett si alzò lentamente dalla sedia, a occhi sbarrati. La voce le tremava per l'improvviso accesso d'ira e per l'emozione. «Lo sai, zia Caroline, che aspetto aveva James quando l'ho trovato? Perché io lo ricordo fin troppo bene...» Aveva gli occhi pieni di lacrime. «Gli avevano tagliato la gola. Stava soffocando nel suo stesso sangue e, quando ho provato a toccarlo, la testa gli si è staccata dal collo e il suo sangue mi ha spruzzato la faccia...» Per un attimo si fermò, poi riprese: «Nonostante i suoi difetti, lo amavo. Se non riesci a crederci, o a rispettare questo amore, qui non ti voglio».
Caroline si costrinse a rimanere assolutamente immobile. «Ciò che ti ho chiesto», disse, gelida, «è se la polizia può aver ragione di credere che l'abbia ucciso tu.» Brett rimase in piedi, sola nella sua rabbia. Caroline attese. Qualsiasi cosa dicesse o facesse a quel punto avrebbe potuto allontanarla. Voleva evitare quel distacco, lo paventava a tal punto da esserne sorpresa lei stessa. Brett alzò la testa. «Non c'è nessuna ragione.» «Allora siediti, per favore.» La ragazza obbedì. Al di là dello sfinimento, le lanciò un'occhiata colma di rinnovata fermezza. Le tempie di Caroline ripresero a pulsare. «Ci sono cose che dirò o chiederò che non piaceranno né a me né a te», disse. «A partire dalla mia prossima domanda.» Brett si raddrizzò. Qualcosa, in quel gesto, colpì Caroline nel profondo del cuore. Tuttavia non riuscì a non chiedersi quanto, nella mutevolezza di quella ragazza - i cambiamenti d'umore, i subitanei scoppi di collera -, derivasse da colpa e quanto, invece, da semplice tensione e insonnia. «Quello zampillo di sangue... come lo descriveresti?» Brett spalancò gli occhi; a parte quello, però, non cambiò espressione. «Non era uno zampillo.» «Quando ti hanno fotografato, avevi sangue sul viso, sul collo e sul torace.» Nessuna espressione. «Macchioline di sangue.» Caroline si appoggiò allo schienale. «Per cui lo zampillo, o lo spruzzo, non è stato forte.» «No.» Si attendeva che Brett chiedesse perché fosse importante. Ma l'accesso di collera sembrava averla svuotata. Anche gli occhi non manifestavano la minima curiosità. Allora si alzò e accese una lampada sul tavolo accanto. La notte calava rapidamente. Come risvegliata dal movimento di Caroline, Brett si voltò, con gli occhi fissi sulle tenebre incombenti, fuori della finestra. «Quella notte... quanto vino hai bevuto?» Una leggera scrollata di spalle. «Una bottiglia in due.» «Prima di fumare la canna?» La ragazza continuava a fissare fuori della finestra. «Sì.» «Quante volte, all'incirca, avevi fumato prima di quella notte?» «Nella vita?»
«Sì.» «Cinque o sei.» Caroline si lasciò sfuggire un sorriso. «E come facevi ad ascoltare musica?» Un'altra scrollata di spalle. Di profilo nella penombra, Brett adesso sembrava lontana, incorniciata dal vetro. Dopo un po', disse: «Mi bruciava la gola e avevo la sensazione di perdere il controllo. Non mi piaceva». «Riesci a descrivere l'effetto che ti fece quella notte?» L'altra parve guardarsi dentro, come in una pozza di dubbi. «È difficile da descrivere», cominciò, poi strinse gli occhi in uno sforzo di concentrazione. «Hai mai visto un film muto? Era così: immagini guizzanti, intervallate da spazi neri. Non riesco a ricordare nessun sonoro...» «Che cosa rammenti dell'arresto da parte di quel poliziotto?» Brett chiuse gli occhi. «Il coltello.» «Dov'era?» «Sul sedile.» «In vista del poliziotto?» «Sì.» Caroline si chinò verso di lei. «Il poliziotto che ti ha arrestato ti ha informato di nulla? Del diritto a un avvocato, del diritto di non parlare, che qualsiasi tua dichiarazione avrebbe potuto essere usata contro di te?» «Non credo...» rispose, aggrottando le sopracciglia. «Tutto ciò che ricordo è che fissavo il coltello. Ogni cosa sembrava isolata, a sé stante.» «In seguito, perché hai detto loro di cercare James vicino al lago?» «È andata proprio come ho appena spiegato... Il tizio che mi ha prelevato ha detto che poteva esserci qualcun altro, un ferito, ed è stato come vedere James morente. Ero ancora molto confusa.» Impallidì. «Capisco che impressione può fare, quello che dico...» «E a quel punto te li ha letti, i tuoi diritti?» Brett deglutì e Caroline temette che non avesse sentito la domanda. Invece, a bassa voce, rispose: «Non ricordo che me li abbia comunicati allora. Più tardi sì, mi ricordo... con quegli altri due tìzi del registratore». Caroline tacque, immersa nei suoi pensieri. «Che importanza può avere tutto questo?» domandò Brett, come se il silenzio dell'altra l'avesse scossa. Sembrava più stanca che curiosa, come se avesse perso l'orientamento, e nessun fatto avesse, per lei, un peso maggiore di altri. La donna si chiese quanto dovesse rivelarle. Ma Brett era sveglia e Caro-
line avvertiva che, pur sotto la sferza delle emozioni, conservava una grande elasticità. «È una questione di procedure», rispose. «Il primo poliziotto, probabilmente, avrebbe dovuto informarti dei tuoi diritti prima che tu gli dicessi dove cercare James. Il che significa che un avvocato decente dovrebbe essere in grado di far escludere la tua deposizione dalle prove...» Brett si alzò di scatto. «Ma io voglio spiegare che cosa successe...» «E come fai», la interruppe, «a essere sicura di ciò che successe?» Brett parve stupefatta. «Che cosa intendi?» «Che droga e alcol fanno strane cose alla memoria. In particolare, capita che ci siano alcuni vuoti, vuoti che potresti non essere mai più in grado di riempire. Così le persone finiscono per confondere un ricordo primario ciò che è effettivamente accaduto - con un ricordo secondario. E cioè con quanto vogliono ricordare, o sperano di aver fatto. Oppure, più semplicemente, con ciò che considerano logico.» Nella tenue luce della camera, Brett cominciò a camminare avanti e indietro. «Suona quasi come se tu non volessi che mi ricordassi i fatti.» «Suona come un avvertimento, invece», rispose Caroline con forza e con un certo distacco. «Un avvertimento a non ricordare, con le migliori intenzioni, cose che non sono mai accadute. Perché potrebbero inchiodarti, per quelle cose.» L'altra si voltò. «E come?» Caroline si alzò e si avvicinò a Brett finché non si trovarono a faccia a faccia. Con delicatezza, la prese per le spalle. Sembrava così fragile... La ragazza levò uno sguardo pieno di esausta sorpresa; qualcosa nel viso di Caroline parve costringerla a rimanere con gli occhi fissi su di lei. «Brett», le mormorò, «tu non mi conosci. Tuttavia voglio che mi ascolti, per favore, ancora per qualche minuto, per quanto duro possa essere. Mi occupo di cose come questa da quando tu eri bambina. E chiunque ti segua al processo - se mai ce ne sarà uno - avrà bisogno che tu sappia riflettere con chiarezza.» Brett la fissò. «Non sarai tu?» «Sarebbe meglio di no.» L'espressione impaurita e desolata che si dipinse sul viso di Brett costrinse l'altra a stringerla forte. «Noi siamo parenti. Penso che questo renda le cose più difficili di quanto credessimo. Più difficili per entrambe, intendo.» Brett si staccò da lei. Dolcemente, Caroline la ricondusse alla sedia. Quando le si risedette davanti, vide che la ragazza cercava di ricomporsi.
Maledetto, pensò Caroline. Maledetto. Il mal di testa si era trasformato in nausea. Si rese conto che, dalla telefonata del padre fino a quel momento, non aveva mangiato nulla. «Lascia che ti spieghi che ipotesi di reato formula la polizia», riprese, scandendo le parole. «Purtroppo so già che cosa pensano. In realtà, le ipotesi sono due. La prima è omicidio premeditato e, secondo questa ipotesi, tu avevi deciso di uccidere James già da parecchio. Ma lui era molto più grosso e forte di te. Per cui l'hai portato in un luogo isolato - un lago, di notte - che tu conoscevi e lui no. Hai portato il coltello e gli hai detto che serviva per il pane e il formaggio. Lo hai incoraggiato a bere vino e a fumare una canna, sapendo che lo avrebbero intontito. E sei stata tu che, facendo l'amore, gli sei montata sopra e...» Brett, con la bocca semiaperta, aveva un'espressione straziata. Caroline si costrinse a proseguire. «Non hai mai udito rumori prodotti da una terza persona. La storia del trafficante di droga è assurda. Non sei mai andata a nuotare.» Si fermò, riprese fiato e concluse: «Ciò che invece hai fatto, prima che potesse raggiungere l'orgasmo, è stato tagliar la gola al tuo amante...» Pallidissima, Brett chiuse gli occhi. «Forse», Caroline riprese, «non avevi messo in conto di essere investita dallo spruzzo di sangue. Ecco perché hai messo insieme quella storia della respirazione bocca a bocca a un uomo praticamente decapitato. Ma, quanto al resto, avevi programmato che sembrasse una rapina. Questa è la ragione per cui ti sei portata via il coltello e il portafoglio: con l'intenzione di gettarli entrambi. Però eri stordita dal fumo anche tu, e stavi male per quello che avevi commesso. Ti sei fatta prendere dal panico e sei corsa alla jeep, resa folle dal desiderio di scappare. Ma hai potuto allontanarti soltanto di pochi metri dall'imbocco di quel sentiero, poi hai dovuto fermarti a vomitare...» «No!» Brett, sulla sedia, pareva impietrita. «Non è vero...» L'altra dovette quasi farsi violenza per finire. «Sei stata presa con il coltello e il portafoglio, coperta di sangue. Ti serviva una storia e non eri abbastanza in forma per inventartela. Per questo ti sei finta così drogata da soffrire di amnesia, e hai trascorso le successive otto ore nel tentativo di mettere insieme un alibi che coprisse i fatti descritti. Eppure, dopo tutto quello che avevi passato, il meglio che sei riuscita a inventare è stato il trafficante, che avrebbe seguito James Case fino al lago Heron in piena notte, in modo da potergli tagliare la gola per qualche migliaio di dollari.»
Brett si ripiegò su se stessa, i gomiti sulle ginocchia. «Sei assolutamente sicura di aver preso il portafoglio?» mormorò Caroline. «Forse James l'aveva lasciato nella jeep. Non sarebbe affatto male, se fosse andata così. Come non sarebbe male se alla polizia fosse fatto divieto di usare le tue tre distinte deposizioni: 'Non è accaduto niente', 'Guardate in riva al lago Heron' e: 'Deve averlo ammazzato un trafficante di droga'. Ancora meglio sarebbe se non fosse consentito loro di testimoniare che ti ci sono volute otto ore per rilasciare l'ultima. Per cui, spero con tutta me stessa che il primo poliziotto non ti abbia informato dei tuoi diritti.» Tacque, per accrescere la forza delle sue argomentazioni. Poi riprese: «Infatti, se quello se n'è scordato e tu sei molto fortunata, non potranno neppure usare il mandato ottenuto dopo che li hai spediti al lago. E questo significa niente macchie di sangue, niente tracce sotto le unghie... in buona sostanza, niente prove». Nascondendosi il viso fra le mani, la ragazza non si mosse né disse parola. Piano, Caroline chiese: «Mi ascolti, Brett?» Lentamente, lei sollevò il capo e la guardò. Era terrea. «Saresti pulita e la polizia non avrebbe altro che te, un coltello, un cadavere. È non basta. Ma anche se Jackson Watts pensasse che è sufficiente, tu potrai decidere allora se testimoniare, sapendo che tutto ciò che hai detto prima non potrebbe più essere usato contro di te. E questo - nella peggiore delle ipotesi - è ciò che io vorrei per te.» La ragazza sembrò cercare di ricomporsi. «È come se mi accusassi.» «Non ti sto accusando. Sto spiegando.» Brett alzò la voce. «Non avevo ragione di farlo...» «Nessun movente.» Caroline accennò un sorriso. «Questo effettivamente è il problema dell'ipotesi numero uno. Ed è il motivo per cui la prima ipotesi non verrà dibattuta in aula... Il che mi porta all'ipotesi di reato numero due.» Dopo qualche istante di silenzio, riprese a parlare con un tono diverso, rasserenante e partecipe. «Riesci a tener duro ancora un po'? È importante.» Brett parve tornare in sé. «Mi sa che devo», mormorò. Caroline si sistemò meglio sulla sedia. «La seconda ipotesi di reato è omicidio preterintenzionale. Ma, in qualche modo, sentirne parlare ti sarà ancora più gravoso.» Immobile, la ragazza la fissò. «È molto semplice.» La voce di Caroline era tornata ad abbassarsi. «Tu non hai mai progettato di ucciderlo. Ti sei ubriacata, poi ti sei fatta la can-
na. Avete litigato per qualcosa. Hai perso il controllo. Non eri in te, insomma. Presa da un impulso di chissà quale genere, gli hai semplicemente tagliato la gola prima ancora di renderti conto di ciò che facevi.» Brett aveva gli occhi spalancati, fissi davanti a sé. In tono più cauto, Caroline terminò: «Può anche darsi che non ricordi di averlo ammazzato. O, forse, non vuoi ricordare. Per cui hai raccontato alla polizia una storia cui tu stessa devi disperatamente credere». L'altra distolse gli occhi. «Non abbiamo mai litigato...» «Il coltello», la interruppe Caroline. Lentamente, con riluttanza, tornò a guardarla. «Il coltello?» «Il coltello è l'elemento critico. Se riescono a ricollegarlo a James o a te, allora lo scenario che ti ho appena descritto potrebbe non essere l'ipotesi di reato dell'accusa. Potrebbe diventare la tua miglior difesa, di fronte a un'accusa di omicidio premeditato.» Le sfiorò un braccio e, a voce bassa, riprese: «Prima che tu mi risponda, Brett, devo dirti un'altra cosa. Mi hai chiesto di crederti. Io ti sto offrendo qualcosa di meglio». La sua voce si abbassò ulteriormente: «Non m'interessa quello che è successo. L'unica cosa che m'importa è che non ti facciano del male». Brett si raddrizzò sulla sedia, e piantò gli occhi in quelli di Caroline. A voce ugualmente bassa, rispose: «Non avevo ragione di ucciderlo e non ho mai visto quel coltello in vita mia. Sono innocente». 4. Caroline scese stancamente le scale. E quando vide Larry, comprese di essere del tutto impreparata ad affrontare quell'incontro. L'uomo si stava allontanando dal tavolo da pranzo, con un piatto in mano. Si bloccò, illuminato soltanto dalla luce delle candele, e Caroline vide affiorare, sotto lo sguardo circospetto del cinquantenne, il giovane appena sposato, gentile e dalla voce dolce, che aveva conosciuto. Era sempre magro, i capelli s'erano ingrigiti, eppure l'espressione cortese del suo volto serbava ben poco della divertita ironia del ricercatore di un tempo, dello studioso consapevole di quanto fosse irresponsabile la sua scelta di specializzarsi in Letteratura inglese, e tuttavia convinto che la vita lo avrebbe in qualche modo premiato per la sua idiozia, procurandogli il lavoro di cui aveva bisogno e che la piccola, cara Betty desiderava tanto ardentemente. Per un fuggevole attimo, Caroline rimpianse di non aver potuto fermare quella famosa estate, in modo da non essere costretta a leggerne la fine sul
volto di Larry. «Caro», l'apostrofò Larry a bassa voce. Lei si limitò a un cenno del capo. Non c'era davvero nulla da dire. L'uomo si avvicinò di un passo, sempre incerto, come per verificare la presenza di lei. Ma Caroline non gli venne in aiuto. Allora si fermò, guardandola finché non comprese ciò che la donna portava scritto in faccia. «Perché?» mormorò la donna. «Perché l'hai portata qui?» Larry rimase impassibile e lei capì che si era preparato a quella domanda. «L'unica cosa che importa, Caroline, è come sta adesso.» Tra le righe del suo atteggiamento difensivo, Caroline parve scorgere una traccia di rimprovero, come se la famiglia che viveva in quella casa stesse pagando un prezzo che lei non avrebbe mai potuto comprendere. «Già», disse, in tono gelido. «Sono profondamente dispiaciuta per voi, naturalmente.» Larry gettò un'occhiata alle sue spalle. «Caroline, ri prego...» «La verità, Larry, è che non lo so, come sta. So soltanto che è terrorizzata, intelligente, e cerca di reggere.» La lotta per tenere a freno le proprie emozioni le stava costando parecchio, Caroline se ne rese improvvisamente conto: una parte di lei si sentiva come sventrata. Per un po', lui si limitò a guardarla. «Ti abbiamo aspettato, per cenare.» Il tono di Larry sembrava un'offerta di scuse. «Sei pallida, Caro. Ti farebbe bene mangiare qualcosa.» Caroline si sentiva mancare, per la debolezza e la fame. Sì, pensò, quello era il Larry che ricordava: sollecito, sempre pronto a immedesimarsi negli altri. L'unico cui aveva aperto il cuore quando ormai non poteva più rivolgersi alla sua famiglia. Scosse la testa. «Sono successe tante cose, oggi...» Come se la sua ammissione gli desse fiducia, lui le posò delicatamente una mano sulla spalla. «Rimani», disse. «Per favore. Abbiamo preparato una camera per te.» Lei lo guardò. Soltanto allora si accorse che Betty li sorvegliava dalla porta della cucina. Seguendo lo sguardo di Caroline, Larry si voltò verso la moglie. Per Caroline, il volto della sorella era una maschera imperscrutabile. Larry raggiunse Betty. «Ti do una mano con la pasta.» Il suo tono cercava d'imitare la normalità. «Saremo soltanto noi tre.» Nella mente di Caroline si formò una scena grottesca, la visione distorta di una famigliola televisiva. Sì, immaginò che dicesse una trillante Betty, papà mangia in camera sua, stasera. Si emoziona sempre tanto quando
vede la sua Caroline. Si accorse di squadrare Betty con un sorrisetto minaccioso. La sorella sembrò raddrizzarsi in tutta la sua altezza. Con la coda dell'occhio, Caroline vide Larry scoccare un'occhiata ammonitrice alla moglie, e poi formare con le labbra qualche parola inudibile. Sparirono insieme in cucina. Meccanicamente, Caroline sedette al posto che una volta era stato il suo. Mangiarono a lume di candela, nella tradizione del padre di Caroline e di suo padre prima di lui. Questo particolare fece strani scherzi alla memoria di Caroline. La luce che danzava sul candelabro di cristallo sembrava provenire da un'altra serata; il bagliore riflesso nello specchio pareva giungere dall'infanzia di Caroline. Fissando la sorella di fronte a sé, ricordava il padre a capotavola, se stessa davanti a Betty, Nicole Masters - piccola, scura e bella - all'altro capo del tavolo, di fronte al marito. E fu allora che rammentò con singolare precisione l'immagine di Betty che sedeva tra la matrigna indifferente e la sorellastra per cui il padre stravedeva. Immaginò allora che gli occhi di Betty, incontrando i suoi, fossero ancora pieni della gelosia e della confusione di quella ragazzina che, senza capire il motivo, aveva perso sia la madre sia il suo primato. E invece ciò che, in quel momento, si stendeva sul volto di Betty era il prezzo della sua maternità. Fu Larry a rompere il silenzio. Tranquillamente, disse: «Grazie di essere venuta, Caro». Lei si voltò, studiandolo finché lo sguardo di lui non vacillò. Scusami, lo sentì dire, con l'immaginazione. Quasi a coprire questo pensiero, Larry mormorò: «Sappiamo che non è stato facile». Ciò che so io, pensò Caroline, è che nessuno di voi due mi vuole qui. Il volto di Betty era chiuso, duro. Non si scompose di un millimetro, non si unì alle lusinghe del marito. Caroline posò la forchetta. «Forse la miglior cosa da fare è parlare di quanto è accaduto.» Betty rimase zitta. Dopo qualche momento, Larry disse: «Io ero via, Caro. Ero nel Vermont, in tenda». Una fugacissima occhiata a Betty. «Ero andato a pesca di trote, su un ruscello che mi aveva indicato un amico dell'università.» «Da solo?» Un lento cenno d'assenso, poi Larry scosse la testa, come meravigliato.
«Non credevo che sarei stato irraggiungibile...» Betty strinse le labbra. Caroline prese il suo bicchiere e sorseggiò un po' di vino rosso, studiando la sorella al di sopra del bordo del calice. «Ma tu eri qui», disse. La donna annuì quasi impercettibilmente. C'era qualcosa di più della tensione dovuta alla sua presenza, e Caroline se ne accorse. Larry e Betty sembravano entrambi torturati da un evento che ancora non riuscivano neppure ad accettare. Quando Larry prese una mano alla moglie, Betty parve non avvertirlo. «Chi altro c'era?» Caroline domandò. Betty fissò la mano di Larry come se fosse un oggetto sconosciuto. «Soltanto nostro padre», rispose. «Di sopra.» «A che ora è uscita Brett?» «Verso le otto, credo.» Una lieve nota d'impazienza. «Davvero, non ricordo.» «E nessuno di voi due è uscito, né tu né nostro padre?» «No.» «Sapevi dove andava Brett?» Un'occhiataccia. «Ovviamente, no.» «Ovviamente?» ripeté Caroline. La mano di Larry, sul dorso di Betty, si chiuse. «C'era una grande tensione a proposito della relazione fra Brett e James. E Betty ne sosteneva il peso maggiore.» «Il che significa...» «Che abbiamo litigato.» La voce di Betty era diventata sorda. «Perché quel ragazzo faceva parte di un giro di droga... Immagino che tu lo sappia. Perché... Per quel ragazzo, insomma.» Betty si appoggiò allo schienale, squadrando Caroline. Sei venuta qui per giudicarmi? diceva il suo sguardo. Poi, con una sfumatura di sfida, concluse: «Essere genitori è difficile, sai». Caroline vide Larry stringere la mano della moglie, nel tentativo di trattenerla. In tono gelido, rispose: «Così pare». Betty arrossì leggermente. Quindi, con maggiore pacatezza, riprese: «James Case era tutto ciò di cui Brett non aveva bisogno: ripiegato su se stesso e irresponsabile, la vedeva soltanto come un'opportunità da spremere. Portava scritto dentro il fallimento. Il fallimento e l'infelicità. Non era certo quello che desideravo per lei, e non sopportavo di rimanere a guardare». Con lentezza, sottrasse la mano da quella del marito. «Brett», riprese
con fervore a stento trattenuto, «si aspetta sempre il meglio dalle persone, molto più di quanto dovrebbe. Invece di un giovane vacuo che aspirava a una professione insignificante, vedeva un ragazzo cui era stato fatto del male, che avrebbe potuto diventare migliore, se soltanto lei avesse pazientato. Ma lui voleva che Brett abbandonasse tutto...» S'interruppe, come sorpresa di se stessa. Lo sguardo angosciato di Larry passava alternativamente da Betty a Caroline. Ma quest'ultima taceva e il suo volto non tradiva la minima emozione. Betty la fronteggiò direttamente, recuperando un'espressione orgogliosa. «Ciò che le dissi a proposito di James», spiegò, «è che doveva augurarsi che non avesse successo. Perché allora l'avrebbe lasciata. Dopo averle stravolto la vita.» Caroline si sentì stringere alla gola. Con calma, chiese: «E quale fu la risposta di Brett?» La sorella parve studiarla. «Sostenne di essere grande abbastanza per decidere che cos'era meglio per lei. E aggiunse che così avrebbe fatto.» A quel punto il suo tono divenne severo. «Lei crede che io sia una madre iperprotettiva, incapace di lasciarla vivere perché la mia ossessione per lei è tutto ciò che ho, nella mia esistenza gretta e limitata. Ciò che credo io è che lei non sia ancora in grado di riconoscere il confine tra romanticismo e autodistruzione.» Caroline le lanciò una lunga, fredda occhiata. «Pensi davvero che abbia una visione così parziale di se stessa?» Betty la guardò negli occhi. «E tu davvero credi che sia un'assassina?» L'altra si sentì spiazzata. «Non lo so», ribatté. «Ma, d'altra parte, non l'ho cresciuta io, no?» Larry sospirò e Betty rimase a bocca aperta. Allora Caroline, con una calma che non provava affatto, soggiunse: «L'hai cresciuta tu, naturalmente. Il che mi porta a chiederti se hai mai ascoltato le sue telefonate». Betty s'irrigidì sulla sedia. «Perché mi chiedi questo?» «Lei crede che tu l'abbia fatto. In particolare, quella sera. Quando lei e James hanno deciso di andare al lago Heron.» Betty sbiancò. «Perché lo dice?» «Perché ha sentito qualcuno sollevare un altro ricevitore.» La sorella si passò una mano sugli occhi. «No», mormorò. «No?» «No.» Betty incrociò le braccia, inchiodando lo sguardo sul piano luci-
dato del tavolo. «E, comunque, come mai è tanto importante? Interessa a te o a lei?» «Perché è importante per Brett? Perché le ventiduenni, inclusa lei, non amano essere spiate. Per me, invece, è importante perché non posso fare a meno di chiedermi se l'hai raccontato ad altri.» Betty sembrò diventare di sale. Larry posò una mano sul braccio di Caroline e, in tono per metà angosciato e per metà brusco, le chiese: «Di che cosa parli, Caroline? Del presente o del passato?» Caroline non distolse lo sguardo dalla sorella. «Del presente, puoi esserne certo. Mi piacerebbe sapere se uno di voi conosce un modo qualsiasi in cui altri abbiano potuto scoprire dove Brett e James stavano andando.» Betty tornò a guardarla negli occhi. «Io non ho spiato mia figlia.» Caroline soppesò quella risposta. «E non hai idea», riprese, «di come qualcun altro possa aver saputo dove si trovavano?» «No.» Poi, dopo un attimo di silenzio, aggiunse: «Forse James lo ha detto a qualcuno. Forse li hanno semplicemente seguiti». Caroline alzò le spalle. «Forse.» «Non l'ha ucciso lei», replicò Betty, a voce alta. Con ostentazione, Caroline sollevò il calice e lo vuotò. Betty chiuse gli occhi e Caroline sentì su di sé lo sguardo di Larry. Le parve che il vino cominciasse a intorpidirla. «E poi c'è quel coltello», riprese. «Mi dicono che la polizia vi ha interrogato tutti sull'argomento.» Betty socchiuse gli occhi e fece un lento cenno d'assenso. Caroline si rivolse allora a Larry. «E tu?» Larry scosse il capo. «Non mi hanno ancora interrogato.» Lei si chinò in avanti e li guardò entrambi. «Perché è molto importante che il coltello non venga collegato a lei. O a questa casa.» Betty s'irrigidì. «Tu pensi davvero che l'abbia ucciso lei.» «Io non penso niente», rispose Caroline con asprezza. «Ma chiunque rappresenti Brett in futuro vorrà certamente fare a meno di sorprese di questo genere. È molto importante che nulla induca la polizia a pensare che il coltello l'abbia portato Brett... Non si tratta semplicemente del fatto che nostro padre e voi dichiariate di non saperne niente o che da casa non mancano coltelli. Si tratta di essere sicuri che nessuno possa affermare qualcosa di diverso. E che nessuno venga scoperto a mentire.» Fece una pausa. «Avete capito bene, tutt'e due, quello che sto dicendo?» Betty serrò le labbra. «Io ho capito perfettamente. Brett sostiene di non
aver mai visto quel coltello. Se mente, tu vuoi essere sicura che noi siamo ben preparati a coprirla. A meno che non sappiamo fare di meglio.» «Nel qual caso», Caroline proseguì, pacata, «non avresti problemi, vero? Comunque, quanto hai appena detto è molto stupido. Non il pensiero in se stesso, bensì il fatto di averlo espresso ad alta voce.» Betty si alzò da tavola con gli occhi fissi sulla sorella. «Mi hanno mostrato alcune foto del coltello, Caroline. E io non l'avevo mai visto prima.» Lanciò un'occhiata a Larry, poi tornò a rivolgersi a Caroline. «Se vuoi scusarmi, Brett è da sola.» E lasciò la sala. Mentre Larry taceva, pensieroso, Caroline udì la sorella salire le scale. Prese la bottiglia del vino e ne versò un po' nel suo bicchiere e in quello di Larry. Soltanto allora si voltò a guardarlo. A lume di candela, l'uomo aveva il volto segnato, gli occhi pieni di stanchezza, di desolazione e, forse, vergogna. Eppure continuò a fissarla. «Allora?» sussurrò Caroline. Larry sospirò, guardando con gli occhi socchiusi le fiammelle tremolanti delle candele. Caroline si limitò ad attendere. Dati i suoi sentimenti, era la cosa migliore da farsi. «Per parecchio tempo», cominciò lui, «non trovai cattedre vacanti. Infine accettai l'unico posto che riuscii a trovare: un incarico in un liceo del Connecticut.» «Questo lo ricordo, dalla tua lettera. Qualcosa a proposito di trovare una casa, proprio come avevi sempre detto di voler fare.» I lineamenti di lui si fecero tesi. «Lo so che cosa ti dicevo. Non c'è bisogno che me lo ricordi.» Si voltò a guardarla, e concluse, a voce più bassa: «Non ero bravo abbastanza, Caro. Li annoiavo, e mi licenziarono». «Già», rispose freddamente lei. «Fin qui c'ero arrivata.» Larry alzò le mani in un gesto di supplica. «Ero senza lavoro...» «Ma avevi una bambina, e una tua vita.» Per la prima volta, Caroline alzò la voce: «Come hai potuto permettergli di fare una cosa simile?» «Non è andata così. Tuo padre mi ha offerto un lavoro in cui riuscivo a credere... Non gli è stato difficile, visto che è nel consiglio d'amministrazione di un'università che la sua famiglia sovvenziona da sempre, tant'è vero che il suo edificio più antico è la Channing Library. E Betty aveva desi-
derio - o aveva bisogno - di stargli vicino. Da quando te n'eri andata, noi eravamo tutto ciò che aveva...» «Appunto.» Lui scattò. «Maledizione, Caroline, avevo Brett cui badare. So come ti sentivi tu, e perché, ma quelli erano i tuoi sentimenti, non i miei.» Caroline si appoggiò allo schienale, e prese a guardarsi le dita. «E lo sono diventati, adesso?» «Se l'ho pagata, intendi? Ti farebbe sentire meglio se dicessi di sì?» «Meglio? Niente mi farebbe sentire meglio. Specialmente adesso.» Scosse il capo. «No, provo soltanto una certa curiosità morbosa per qualcuno che una volta mi piaceva molto.» Lui arrossì, e distolse lo sguardo. Quando tornò a guardarla, qualche istante dopo, aveva in viso un'espressione di silenzioso dolore, di muto appello. «Davvero», riprese Caroline. «Tutto ciò è così incredibile.» Larry non rispose. «Allora», riprese lei, «com'è stato, per te?» Lui parve contemplare il suo vino. Infine bevve, con lo sguardo ancora distante, e posò il bicchiere. «Prima che accadesse questa cosa a Brett», disse infine, «ti avrei risposto che era una sensazione composita. A esaminarla obiettivamente, si sarebbe potuta definire una vita di serena disperazione. Ma proprio adesso sto arrivando a capire la verità, ammesso che la verità su di me possa importare qualcosa. E comincia a sembrarmi molto più triste dell'essere semplicemente suo genero, il docente la cui cattedra viene confermata d'ufficio.» «In che senso?» «In realtà non sono altro che lo spettatore della mia vita. Anche se Channing adesso vive al piano di sopra, questa casa non è mia: io sono soltanto l'amministratore. E, negli aspetti più importanti, questa famiglia non è la mia.» Tacque un attimo, poi aggiunse sottovoce: «Proprio come avevi previsto tanti anni fa». Continuando a fissarlo, Caroline mantenne il suo silenzio. «Avrei dovuto capire», riprese lui, «come stavano le cose con Betty. Prima lui aveva amato tua madre, e poi te. Brett fu una sorta di regalo che Betty gli offri, perché lui non l'avrebbe mai amata per se stessa.» «Dio mio...» «Lo so, lo so. Ma allora non lo sapevo. È tutto così intricato... Betty lo adora e, al contempo, si sente ferita da lui. Buona parte dell'ansia che ha
allontanato Brett, una volta cresciuta, dalla madre - il suo essere intrusiva e iperprotettiva - è stata generata dal fatto che Betty smaniava per dare alla figlia quell'amore per cui aveva dovuto inutilmente lottare da bambina. Il genitore pieno di affetto e di comprensione che...» «... ho avuto io, e che mi ha quasi distrutto», lo interruppe Caroline, e poi concluse, a voce più bassa: «E che, forse, in qualche modo, mi ha distrutto». Larry parve incapace di reagire. «Quello è l'altro regalo di Betty a suo padre», disse infine. «A un certo punto, mi resi conto che parlava di Brett più con lui che con me. E quando Channing andò in pensione - Brett aveva allora sette anni - prese a trascorrere sempre più tempo con lei.» Tornò a guardare Caroline. «Ecco la catena», finì sottovoce. «Da tua madre, a te, a Brett.» Caroline si limitò a guardare le porcellane, i ritratti a olio, il bicchiere da brandy in argento sulla tavola. Sentì il dolore crescere lentamente. «Quel ragazzo», disse infine. «Com'era?» Lui la fissò. «Più o meno come lo ha descritto Betty, fatte le dovute concessioni alla sua veemenza. Era troppo bacato, credo, per non intaccare anche Brett, se fosse rimasta con lui. Ciò che mi preoccupava - ma Betty e io non siamo mai riusciti a parlarne - era che lei potesse condizionare il giudizio di Brett, giudizio che, diversamente, sarebbe stato quello giusto.» Lei si passò un dito sulla bocca. «È possibile che Betty la spiasse?» Larry parve in imbarazzo. «Credo di sì. Anche se si vergognerebbe troppo ad ammetterlo. Per Brett, poi, questa sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso... Betty è rabbiosa perché ha paura. E le persone atterrite fanno spesso cose sbagliate, compreso cercare di tenere sotto controllo il proprio mondo finché non l'hanno reso perfetto. Ma c'è un lato ironico: Betty desiderava ardentemente che lei rimanesse nel New Hampshire, eppure ha aumentato le possibilità che sua figlia, dopo la laurea (e cioè quest'autunno), si trasferisse altrove. Così almeno la vedo io.» Larry lanciò uno sguardo al di là di Caroline, come per assicurarsi che fossero sempre soli, poi chiese, piano: «Brett ti ha raccontato dello scontro?» «Tra chi?» «Tra Betty e James. Un giorno, quel ragazzo si presentò qui. Tieni conto che avevo già scoperto che spacciava. Alla porta andò Betty. Quando entrai in salotto, gli stava chiedendo di andarsene.» Aveva lo sguardo perso nel vuoto. «Il suo tono di voce era basso e severo, segno che era sul punto di perdere il controllo, che ci mancava poco. Prima che potessi intervenire,
James fece la peggior cosa che potesse fare. Le sorrise. Avresti dovuto vederlo: scuro di capelli e di carnagione, bello, con un sorriso superiore e vagamente derisorio stampato in faccia. Mentre fissava Betty dall'alto in basso, il suo sorriso pareva quello di un antropologo che si fosse imbattuto in un bizzarro pigmeo.» Scrutò Caroline. «Per Betty fu come uno schiaffo in pieno viso. Allora si girò, afferrò un vaso di cristallo e glielo scagliò addosso. Quello non si chinò neppure. Mosse appena la testa di lato e il vaso andò a frantumarsi sulla parete. M'interposi fra i due... James non aveva mutato quel sorriso beffardo e Betty era così rabbiosa da essere sul punto di scoppiare in lacrime. A quel punto, Brett scese le scale, guardandoci a occhi spalancati. 'Tua madre ha avuto un piccolo incidente', disse James in tono disinvolto. 'Telefonami.' Quindi girò sui tacchi e uscì.» Larry tacque per un istante, poi riprese: «Si lasciò alle spalle un disastro sul pavimento e un disastro tra mia moglie e mia figlia. Ci sarebbero voluti anni, per ricomporlo». La voce di lui si abbassò, riempiendosi di dolore. «Oh, Caroline. Come vorrei che questo fosse ancora il peggiore dei nostri problemi.» Lei rimase in silenzio per un po', attratta nel vortice della scenata che le era stata descritta. «E non sei riuscito a farla ragionare?» «Betty?» L'uomo abbassò gli occhi, come per valutare che cosa fosse opportuno rivelare. «Ci sono stati alcuni guai, Caro. In questo momento, Betty è vulnerabile, e io non ho un gran capitale in banca. Per di più, Channing la pensava come lei.» «Già.» Il tono di Caroline divenne freddo come i suoi sentimenti. «È difficile modificare un'abitudine.» Rimasero per un po' silenziosi, nella luce vacillante. Larry incrociò le braccia. «Com'è andata con lui?» «Con mio padre? Tutto uguale. Le medesime sensazioni di allora, come se fosse appena accaduto. Sennonché, invece di avere ventidue anni, ne ho trascorsi ventidue a convivere con quanto era successo.» Diede una scrollata di spalle che precludeva ogni ulteriore commento. «Adesso sono un avvocato e sono qui per svolgere un incarico. Anche se per breve tempo.» «Per breve tempo?» «È evidente che non devo essere io l'avvocato difensore di Brett. Quantomeno se si arriva al processo.» Lui si fece teso in volto. «Credi che ci sarà?» «Ancora non lo so. Ma cercherò d'incontrare Jackson Watts, domani. Voglio vedere se riesco a scoprire che cosa sta architettando.»
«Jackson?» Scosse il capo. Caroline lo fissò. «Come ti dicevo, sarebbe meglio che non la difendessi io.» Lui si lasciò andare contro lo schienale della sedia. Sembrava stanco al pari di Caroline. Da quando, si chiese lei, i capelli gli si erano fatti così radi e le rughe gli avevano piegato all'ingiù gli angoli della bocca? Da quando quell'espressione delusa gli si era insinuata negli occhi? Un tempo sorrideva così facilmente... Quel giorno, Caroline non l'aveva ancora visto, il sorriso di Larry. D'altra parte, neppure riusciva a immaginare di sorridere a sua volta. Le spalle di lui erano curve sotto il fardello invisibile della preoccupazione. «Su», disse lei. «Ti do una mano a sparecchiare.» Lui tornò a guardarla. E allora, come lei desiderava, le rivolse il primo, vago sorriso. I piatti erano stati la loro incombenza di quell'estate. Betty cucinava. Lavando i piatti dopo cena, contenti di stare in compagnia l'uno dell'altra, Larry e Caroline discutevano di politica, di film o di letteratura: a Larry era piaciuto Silos Marner; Caroline invece aveva trovato la lettura di George Eliot peggio di una condanna a vita. Oppure guardavano dalla finestra il tramonto che tingeva di rosso le acque del Nantucket Sound. Pur essendo di cinque anni più vecchio, e impegnato nel dottorato, Larry la prendeva sul serio, anche se gli piaceva irriderla e provocarla. Una sera, dopo aver asciugato l'ultimo piatto e portato a termine una discussione particolarmente iperbolica su George McGovern, lui l'aveva baciata sulla guancia e aveva detto, con leggerezza scherzosa: «Ho sposato la sorella sbagliata...» Ventitré anni più tardi, quello stesso Larry riapparve improvvisamente negli occhi di un uomo di mezza età. «Sei sicura...» Caroline alzò le spalle. «Avrete la lavastoviglie, no?» Lui le sorrise di nuovo. In silenzio, presero a far la spola dalla sala alla cucina con i piatti. Per Caroline, in un certo senso, quello era il locale più strano della casa; non era più come lo ricordava ma, al contrario, era pieno di oggettini raccolti dalla sorella - presine da forno dai colori vivaci, un ricamo incorniciato, alcune statuette, un gallo di porcellana -, gli allegri manufatti di una madre che desidera farsi la sua casa. Accanto a lei, Larry sciacquava i piatti e glieli passava al ritmo di due decenni prima. Soltanto che Caroline adesso li sistemava nella lavastoviglie di sua sorella, nella cucina di sua so-
rella. Gli prese un piatto di mano. «È tutto?» chiese. «Più o meno», rispose Larry. E poi si fermò a guardarla, nella luce accecante della cucina. Quasi con ritrosia, come se fosse sorpreso lui stesso da quel che diceva, soggiunse: «Sei ancora bella, Caro». Con un vago sorriso, lo guardò negli occhi. «'Ancora'», ripeté. «Non credi che ci sia qualcosa di triste, in questo?» L'altro scosse la testa. «Per me è quasi l'unica cosa che non lo è.» Lei abbassò lo sguardo. «C'è ancora una cosa che devo dirti.» «E cioè?» «Non stavo scherzando, Larry. A proposito del coltello.» «Che intendi?» Lei alzò gli occhi. «Noi siamo state allevate in mezzo a fucili e coltelli: coltelli da caccia, coltelli da pesca, coltelli di ogni genere. Mio padre ne aveva una vera collezione, nella scuderia.» Larry arretrò di un passo, come per guardarla meglio. «Che cosa stai dicendo?» E tu, che cosa stai pensando? Caroline si domandò. «Voglio essere certissima che il coltello non sia riconducibile alla casa. E che tu sia preparato quando la polizia verrà a interrogarti.» «Caroline», ribatté lui, con voce più ferma. «Rifletti un momento. Brett è alta un metro e sessanta. Non arriva a cinquanta chili neppure con i vestiti inzuppati d'acqua. La trachea di James è stata tagliata di netto...» «All'età di dieci anni», Caroline lo interruppe, «io ero in grado di sfilettare un pesce. E Betty altrettanto. Con il coltello giusto e ben affilato, ciascuna di noi avrebbe potuto tagliare la gola a quel ragazzo fin dal primo giorno di scuola media.» Gli toccò un braccio. «Per favore, non illuderti che esista qualche facile via d'uscita. Non c'è.» Larry strinse le labbra. «Credo di non essere stato sufficientemente chiaro, con te. Qualunque problema possiamo aver avuto nella nostra famiglia, non abbiamo allevato un'assassina. E, con tutte le riserve possibili, Brett era molto legata a quel ragazzo. Ma se anche fosse vero il contrario, ascoltami bene: lei non sa neppure che cosa sia la violenza. Non importa quanto drogata fosse.» Caroline distolse lo sguardo. «Tuttavia può farsi prendere dalla collera, Larry. Questo l'ho visto con i miei occhi.» «Tutto ciò che hai visto è una persona logorata dallo shock e dalla tragedia», ribatté lui. Poi, alzando la voce, soggiunse: «E chi non lo sarebbe?»
«Naturalmente», mormorò lei. Quella pronta ammissione sembrò prosciugare l'ira di Larry. «Brett ha del fegato, questo sì. È dotata di coraggio, di forza d'animo e d'indipendenza di giudizio, a dispetto di tutta l'ansia di protezione di Betty.» Di nuovo, accennò un sorriso. «A volte penso a tutti noi, e mi chiedo da dove le vengano quelle qualità.» Caroline lo fissò, e poi gli rivolse la domanda che non avrebbe mai fatto alla sorella. «Dimmi di lei... Voglio sapere tutto.» 5. Il mattino seguente, Caroline fece una doccia, si vestì e guidò per due ore, dense di pensieri, fino a Concord, la capitale dello Stato. Dopo che Larry le aveva indicato la sua camera, Caroline, troppo agitata per dormire, aveva cercato di focalizzare la mente sull'incontro con Jackson Watts. Da un lato non si sentiva pronta; dall'altro era tanto ansiosa da non vedere l'ora. Alle otto e mezzo aveva telefonato all'ufficio di Jackson dal telefono di cucina, tesa non soltanto per via di Brett ma anche per il semplice fatto di parlargli. Era in riunione, le aveva risposto la sua segretaria. Lei aveva detto il suo nome e spiegato il motivo della sua richiesta; era seguita una lunga pausa, durante la quale Caroline si era agitata anche di più. Poi la segretaria era tornata all'apparecchio con un cortese messaggio: poteva mettersi in viaggio subito. Con l'animo colmo d'ansia e di sollievo, era stata un po' lenta a posare il ricevitore. E un attimo prima di farlo aveva sentito, o forse soltanto immaginato, un clic sulla linea. Stringendo le palpebre, si era bloccata con il ricevitore in mano, in ascolto. La casa era immersa nel silenzio. Tornando in camera, non aveva visto nessuno. Aveva cominciato a prepararsi. La sera precedente, aveva appeso un abito rosso nell'armadio: non era l'ideale per quel che doveva fare, ma non ne aveva altri con sé. Inoltre, aveva riflettuto, non era neppure troppo stropicciato. Nel truccarsi, si era resa conto che lo stava facendo con cura eccessiva; allora si era rimproverata, dicendosi che non esisteva guaio abbastanza serio da cancellare la sua vanità. E poi aveva osservato, per l'ennesima volta, che quell'atteggiamento era da mettere in relazione con l'imminente incontro con Jackson Watts. Il suo viso e il suo corpo erano così diversi, allora; lei era diversa. Era
più che stupido - era una perversione - sperare che in una qualsiasi circostanza, per non parlare di quella, qualcuno che aveva ferito profondamente potesse trovarla ancora attraente. Eppure era proprio ciò che sperava. Chissà com'era diventato, si era chiesta Caroline. Si era domandata se avesse moglie, o figli; e che cosa doveva aver provato quando la segretaria gli aveva riferito il messaggio di quel mattino: Caroline Masters desiderava vederlo, per parlare dell'omicidio di James Case. Mentre applicava accuratamente l'eyeliner si era ammonita: ricordati che sei prima di tutto una professionista. Ammesso che tu sia anche altro, cosa piuttosto improbabile... Quindi aveva afferrato la ventiquattrore e lasciato la stanza. Sulle scale si era fermata, cercando di ricordare com'erano disposte le camere degli altri. Al primo piano, sopra di lei, c'era la stanza di Brett, la sua vecchia camera. Non aveva potuto fare a meno di chiedersi chi le avesse assegnato quella stanza, e di come fosse stata la vita, per Brett, in quella casa. Per un istante si era immaginata Brett come un'altra Caroline giovane: una ragazzina che scendeva le scale di corsa per andare a scuola, innocente per il passato, immemore del futuro, con il sorriso sulle labbra... Si era diretta verso la camera di Brett, per vedere come stava. No, si era detta. Non è compito tuo. Il tuo compito è andare a Concord e incontrare Jackson Watts. E per le due ore di quel viaggio fra luci e ombre, concentrò i suoi pensieri sull'istruttoria in corso contro Brett Allen. Concord non era cambiata granché. Le insegne dei negozi sulla Main Street erano più luminose. I palazzi in pietra e mattoni leggermente più sporchi; la città si era forse un po' impoverita. Ma le strade laterali erano eleganti, fiancheggiate da alberi. E c'era, naturalmente - come c'era stato per Caroline bambina -, l'edificio cui tuttora pensava quando udiva la parola «Campidoglio». Dopo aver parcheggiato, attraversò i giardini del Campidoglio di Concord: una distesa di prati disseminati di alberi fronzuti e ombrosi, la statua di Daniel Webster. E infine, sul fondo, ecco l'edificio in granito, con la sua architettura nordista a colonne, coronato da una cupola dorata. Un altro ricordo di Channing Masters. Caroline aveva compiuto da poco nove anni quando il padre l'aveva condotta in quel palazzo a conoscere il suo amico governatore. Avevano fatto un giro nei corridoi di marmo, lei per mano al padre, poi erano entrati nella tribuna del senato e infine nell'ampia e riccamente decorata camera
dei rappresentanti, i cui quattrocento legislatori, Channing le aveva spiegato, costituivano il terzo corpo rappresentativo per grandezza nel mondo occidentale, sebbene, altruisticamente, prestassero servizio allo Stato per soltanto duecento dollari al biennio. Dopo la visita, avevano chiacchierato con il governatore Powell - solenne ma caloroso con Caroline, confidenziale ma rispettoso con Channing - nella spaziosa sala da ricevimento del governatore, zeppa di ritratti a olio dei suoi predecessori, con il camino di marmo nero sovrastato da una mensola in legno intagliato a mano, soffitti altissimi e un lungo tavolo di mogano. Seduta in braccio a Channing su una poltrona imbottita, mentre il padre discorreva con il governatore di argomenti che non comprendeva ancora, lei aveva avuto la certezza che non ci fosse uomo più grande del proprio padre e uno Stato migliore del New Hampshire. Non riusciva neppure a immaginare un'altra famiglia, un'altra casa... Con il pensiero rivolto a Brett, Caroline percorse i due isolati che la separavano dal vecchio palazzo della banca, che adesso ospitava la procura generale. Salì con l'ascensore al secondo piano, seguì la freccia che indicava la SEZIONE OMICIDI e chiese di Jackson Watts. L'impiegata lo avvertì all'interfono. Caroline si accomodò nella sala d'attesa, accavallò le gambe e compose il viso a un'espressione di calma distaccata. Una porta si aprì. «Salve, Caroline», disse una voce maschile. Lei alzò lo sguardo e lo vide. Meccanicamente, Caroline si lasciò sfuggire un sorriso. L'uomo in piedi davanti a lei era molto simile al Jackson dei suoi ricordi: alto e slanciato, i capelli ancora neri, soltanto un po' brizzolati sopra le orecchie. Anche le orecchie erano sempre le stesse, un po' troppo grandi, ma adesso gli stavano meglio perché il viso si era un po' riempito. Il volto era rimasto praticamente uguale: la mascella forte, le guance scavate, il naso pronunciato e i luminosi occhi marroni che costituivano da sempre la sua maggiore attrattiva. Mentre anche lui la studiava, Caroline si rese conto che era diventato quasi bello, una specie di Abramo Lincoln bello. «Salve, Jackson», lo salutò, alzandosi. Non senza un certo disagio, gli tese una mano. Un uomo di legge salutato da una collega. La stretta di lui le parve formale. «Grazie per avermi ricevuto così presto», disse. Uno sguardo perplesso. Così presto? diceva quello sguardo. Sono passa-
ti ventitré anni da quando sei svanita nel nulla. Ma tutto ciò che Jackson disse fu: «Sono certo che sei molto preoccupata. Ti prego, entra». Lo seguì lungo un corridoio, dall'aspetto rigido e un po' stalinista del moderno stile governativo, fino a un bell'ufficio rettangolare con una scrivania in finto legno coperta di pratiche. Jackson sedette alla scrivania, con la cravatta storta e le maniche rimboccate, e la invitò ad accomodarsi davanti a lui. Poi tacque, guardandola con aria interrogativa. «Mi sono chiesta a lungo», esordì lei, «quale fosse la prima cosa da dirti. Dal momento che la pratica di mia nipote si trova sulla tua scrivania e tu adesso sei a capo della sezione omicidi...» Aveva sperato di scorgere una scintilla negli occhi di lui. Ma non vide nulla. «Ho un sacco di ragioni, Caroline, per essere dispiaciuto di questa faccenda.» Emise un sospiro. «Non soltanto provo un enorme rispetto per tuo padre, ma ricordo anche di aver conosciuto Brett, quando aveva otto o nove anni...» Alzò le spalle. Non c'era altro di cui desiderasse parlare. «Lascia che ricominci da capo», Caroline propose, in tono sommesso. «Come stai, Jackson?» «Bene. E male.» Lui la osservò. «I fatti essenziali sono questi: una figlia adolescente che adoro, un cane, niente più moglie. Una casetta sul lago Heron, per quando vado a pesca, una discreta speranza di diventare giudice, e una certa soddisfazione di base. Suona piuttosto sorprendente, ma una buona parte della mia vita è andata proprio come me l'aspettavo.» Un'altra alzata di spalle. «Però, forse, questa per te non è una sorpresa.» Oh, Jackson, pensò lei, non è stato per questo, è stato per un sacco di altre ragioni che non avevano nulla a che fare con te. Sommessamente, disse: «Ho pensato molto a te. A volte, ti penso ancora». Jackson si passò una mano sul mento, e studiò a lungo la sua interlocutrice. «Non ti sei mai fatta viva, dopo quella lettera da Martha's Vineyard.» Caroline si sentì pugnalare dal senso di colpa. Ma era troppo tardi per chiedere perdono, lo sapeva, e non avrebbe mai saputo spiegare. «Lo so», rispose. «Nessuno ti ha mai detto nulla.» «E adesso eccoti qui. Per Brett.» «Sì.» Lui si appoggiò allo schienale della sedia. «È un brutto caso, Caroline.» Ci volle un momento perché fosse pronta ad affrontarlo. Si sentì la gola stretta. «Brutto? O sembra soltanto tale?» «Brutto.» Parve esitare. «Non sono tenuto a dirti nulla, è ovvio, non c'è
ancora un'accusa ufficiale. Ma i fatti essenziali non cambieranno. Posso ripercorrere con te quello che probabilmente già sai o immagini.» «Te ne sarei grata.» «D'accordo.» Prese a esprimersi in tono molto asciutto: si era trasformato nella pubblica accusa. «Cominciamo dall'idea della premeditazione. Lo ha portato là, in un luogo isolato, noto a lei ma non a lui. E poi lo ha drogato...» Lei alzò una mano. «Con l'intenzione di ucciderlo? Sulla sua proprietà? Con un coltello?» Jackson parve studiarla con attenzione. «Sul coltello c'erano le sue impronte. Come sulla gola di lui. E c'erano soltanto quelle.» «Quindi avete concluso gli esami di laboratorio?» L'altro tacque per un po'. «Quasi», rispose infine. «Non ho mai sentito che si potessero lasciare impronte sul corpo umano.» Lui si accigliò. «Al momento, quel che posso dirti è che loro le hanno trovate.» Caroline ebbe la sensazione che non fosse pronto per un interrogatorio serrato. A bassa voce, chiese: «La scientifica ha scoperto nient'altro?» «Sì. Brett era coperta del sangue di lui, e la disposizione delle macchie si adatta allo zampillo del sangue arterioso. Sotto le unghie, inoltre, le hanno trovato tracce della pelle del ragazzo. E ci sono le sue impronte anche sul portafoglio. Ancora una volta, soltanto le sue... A questo punto le avrai di certo parlato, Caroline. Non è una stupida; anche nelle peggiori circostanze, ti accorgi che la sua mente funziona benissimo. Pare abbia avuto la presenza di spirito di prendere con sé il portafoglio, il coltello e i suoi vestiti, forse perché sembrasse una rapina o, magari, per far credere che non fosse mai stata sul luogo. Eppure, per ore, almeno in teoria, era troppo drogata perfino per raccontare alla polizia quanto era accaduto.» Scosse la testa come per respingere quell'ipotesi. «Come si fa a crederci? È sin troppo facile argomentare che non si aspettava di essere trovata da un poliziotto e che ha speso le ore successive riflettendo su come adattarsi alla nuova situazione. Ecco perché non abbiamo avuto un vero resoconto fin quasi all'alba.» La sua relazione era insopportabilmente identica a quella che Caroline aveva fatto a Brett. Invece di controbattere, lei si limitò a chiedere: «Hai qui l'incartamento del mandato di perquisizione?» Jackson annuì lentamente ed estrasse un raccoglitore da uno dei cassetti.
Lei scorse rapidamente il documento. «Secondo l'agente che ha operato l'arresto, la ragazza aveva i capelli bagnati», osservò. «E allora?» «Se era bagnata ma anche coperta di sangue, allora era andata a nuotare. Proprio come ha detto lei.» Alzò lo sguardo su Jackson. «Non ci sono indizi che James abbia fatto un bagno, vero?» Lui la fissò lungamente. «No, per quel che ne so.» «Vedi, nei capelli ricci che l'agente descrive riconosco la maledizione di famiglia. Venivano anche a me quando andavamo a nuotare, ricordi? E se Brett è andata a nuotare da sola, qualcun altro può aver avuto il tempo di ammazzare James. Proprio come ha detto lei.» Si fermò per un istante, poi chiese: «Dimmi, Jackson, a che livello d'ebbrezza era arrivata?» «Zero punto sedici.» «Notevole.» Jackson chinò la testa di lato. «Stai dicendo che questo esclude la premeditazione?» «Sto dicendo che questo esclude tutta la tua istruttoria.» Caroline si raddrizzò sulla sedia. «La versione di Brett potrà anche non piacerti, eppure spiega tutto: il sangue, le impronte, la pelle sotto le unghie, perfino la mancata eiaculazione. E non ci sono zone oscure. Tutto ciò che è successo potrebbe essere successo come dice lei.» Fece una pausa enfatica. «O dice la verità o è un genio criminale, che non soltanto riesce a progettare e a portare a termine il sanguinoso omicidio di un giovane molto più grosso di lei e forte il doppio, ma è anche capace d'inventare la più intricata delle storie, nascondendo prove documentarie cui forse soltanto un criminologo potrebbe pensare, il tutto poche ore dopo aver squarciato la gola al suo ragazzo. Ed essendo ubriaca e drogata. Se non fosse per le implicazioni morali e legali, sarei fiera di lei.» Lo sguardo di Jackson si fece cauto, poi profondamente assorto. Sembrava provare qualcosa di più del semplice orgoglio professionale... forse desiderava semplicemente che la donna seduta davanti a lui non lo umiliasse mai più. «Otto ore dopo.» Il tono, adesso, era secco. «Molto più del tempo necessario a tornare sobria.» «Ne dubito fortemente.» Come è possibile parlare così senza assumere un atteggiamento presuntuoso? si chiese Caroline. «Scusa se ti ho inflitto la mia arringa», aggiunse quindi. «No, è stata interessante. E utile. Allora: perché ne dubiti fortemente?»
«Vedi, la droga è un problema enorme a San Francisco, e io ho fatto il difensore d'ufficio in quella città. Il che significa che un sacco di miei clienti erano pieni fino al collo di droga o alcol. Per necessità, ho cominciato a interessarmi, da dilettante, di farmacologia. Ora, Jackson, la roba che fumano questi ragazzi non è come l'erba che abbiamo provato noi.» L'altro sollevò un sopracciglio. «No?» «No. L'erba di oggi contiene il quindici per cento di THC, da tre a cinque volte più di quella dei nostri anni mitici. Se Brett si faceva soltanto di tanto in tanto - come credo - una canna potrebbe farle cose che tu e io non riusciremmo nemmeno a riconoscere come effetti del fumo. Inoltre, se prima ha bevuto vino - come credo - la droga ha avuto un effetto aggravante. In questi casi, lo stato d'ebbrezza s'intensifica: nella memoria si formano buchi neri - alcuni dei quali possono non riempirsi mai - e si può avere l'impressione di trovarsi in una sorta di sogno, in cui le immagini sono percepite più come diapositive che come scene reali. Ciò ti spinge a dubitare perfino delle tue stesse esperienze.» Tacque per un istante, poi concluse: «E di un'esperienza così terribile chiunque vorrebbe dubitare». Jackson la guardò con aria scettica. «E un'unica canna spiegherebbe tutto questo?» «Potrebbe spiegare un sacco di cose. Che dapprima lei abbia cercato di somministrargli la respirazione bocca a bocca. Che, in seguito, abbia avuto difficoltà a ricordare - o a credere - che quella cosa tremenda fosse accaduta. La nausea e il vomito, inoltre, sono conseguenze tipiche dell'effetto combinato droga-alcol, che, - come le difficoltà percettive - è intensificato dall'orgasmo. Probabilmente puoi confermarlo anche tu, attingendo ai ricordi della tua giovinezza.» D'un tratto, lui parve farsi guardingo, come se non sapesse che cosa rispondere. Che stai facendo? diceva con gli occhi. Poi diede una scrollata di spalle, seguita da un lievissimo sorriso. «Io non sapevo che cosa fosse. Magari dei movimenti tellurici, pensavo.» Quali erano le regole del gioco? si chiedeva Caroline. Si affrettò a concludere. «Il punto è che non avrebbe potuto uscirne rapidamente. L'effetto dura non per ore, bensì per giorni. Ciò che la ragazza descrive così bene l'amnesia, le immagini del corpo di lui, la parziale ripresa che le ha consentito di raccontarvi l'accaduto - è in perfetto accordo con le reazioni chimiche che avvengono nella mente sotto l'effetto di droghe. Fidati di me, Jackson: queste non sono le solite stronzate da avvocato difensore.» Poi, quasi con riluttanza e a bassa voce, soggiunse: «Il che mi conduce alla
questione dei diritti dell'arrestato». «In qualche modo me l'aspettavo.» Il suo sguardo si era fatto penetrante. «Avanti. Ti ascolto.» «Hai già capito tutto, Jackson. Anzi, sono io che ho capito in quale punto hai preso il comando tu: quando hanno trattenuto Brett all'ospedale, in attesa dei mandati per la perquisizione personale e per la perlustrazione del suo terreno sul lago. Da quel momento, infatti, hanno cominciato a fare le cose per bene. Ma forse era troppo tardi.» Fece una pausa. Poi, sempre mantenendo un tono pacato e rispettoso, proseguì: «Quando hanno telefonato per dirti che avevano trovato una ragazza nuda, spruzzata di sangue e con un coltello insanguinato, che l'avevano portata in prigione e poi indotta a indirizzarli al lago, che cosa ti hanno detto della lettura dei diritti?» Il cauto mezzo sorriso di Jackson non era affatto un sorriso. «Dimmelo tu.» «Ti hanno rivelato che non glieli avevano letti. E ciò significa che, con buona probabilità, l'avvocato di Brett - chiunque sia - può eliminare dal dibattimento la sua prima deposizione su dove si trovava il cadavere di James nonché tutte le prove basate su quella deposizione; forse può eliminare il cadavere stesso e, certamente, la perlustrazione vicino al lago, la perquisizione della ragazza e la sua successiva deposizione sulle circostanze della morte di James.» Schioccò le dita. «Tutto sparito, così. E a te non rimane niente.» Il sorriso di Jackson era svanito. «Caroline», disse con voce colma di stupore, «avevo ipotizzato mille diverse conversazioni con te, ma non quella che stiamo facendo... Anche tu sbagli. Il coltello insanguinato era perfettamente visibile; è stato dunque per fondati motivi che la polizia ha supposto che qualcun altro potesse essersi fatto del male. Ma non sapevano chi, che cosa o perché, e nemmeno se Brett (o chiunque altro) fosse stata aggredita da terzi. Nessuna Corte punirà mai i poliziotti che hanno chiesto se da qualche parte c'era un ferito, un uomo la cui vita poteva ancora essere salvata. È ciò che si definisce disciplina delle situazioni di emergenza.» Si chinò in avanti. «Permettimi di chiederti una cosa: sei disposta a suggerirle di sottoporsi alla macchina della verità, a un test condotto da uno dei nostri esperti?» Era molto furbo, Caroline si disse. In tono pacato, rispose: «Non credo in quel test. Senza contare che un investigatore sveglio può usare la macchina della verità per interrogarla». Lo guardò e si rese conto che lui stava pensando: è in Brett, che non credi, Caroline. Ma la cosa non sembrava
rallegrarlo. «Allora», riprese lui, «parlando da professionista, devo dirti che i guai di Brett sono reali. Per ragioni che già conosci e per altre che, ne sono certo, non conosci. La vostra difesa, ammesso che ne abbiate una, si basa sul fatto che qualcuno li abbia seguiti al lago. Mi sembra però che si chieda un po' troppo, a questo vostro immaginario assassino: per cominciare, avrebbe dovuto sapere che lei avrebbe lasciato solo James. Dopotutto, chi potrebbe illudersi di squartare due universitari in buona forma fisica? In secondo luogo, avrebbe dovuto sapere che James sarebbe stato troppo ubriaco e fatto per difendersi.» Le rivolse un'occhiata penetrante. «Infine, avrebbe dovuto sapere come sparire nei boschi senza lasciare traccia.» Caroline accusò il colpo. «È questo che ti ha detto la scientifica?» Jackson giunse le mani davanti a sé. «Quando Brett è fuggita dalla scena del delitto, si è lasciata alle spalle varie tracce: cespugli calpestati, rami rotti, foglie macchiate del sangue di James... Se lei sta dicendo la verità, allora è impossibile che l'assassino non abbia lasciato una traccia analoga. Eppure finora non abbiamo trovato nulla...» «E la polizia locale? E il medico legale? No, non puoi dirmi che non ci sono impronte tutt'intorno al lago né segni lasciati dai poliziotti - o da qualcun altro - battendo il bosco. Dubito comunque che gli esperti della scientifica possano chiarire chi altro sia stato li.» Si chinò verso di lei. «Pare proprio che non ci siano altre vie di fuga, oltre a quella tracciata da Brett. Anche l'assassino quindi dovrebbe essersi coperto del sangue di James, proprio come Brett. Invece non abbiamo trovato altre tracce di sangue, se non quelle lasciate da lei... Nient'altro e nessun altro. Ma chi sarebbe stato, secondo te? Un barbone, che cercava di fregare il portafoglio a uno studente? Non è credibile.» Il suo tono di voce si alzò. «È stato un fatto personale, Caroline. Qualcuno che lo conosceva. L'assassino ha fatto a pezzi quel ragazzo come un animale, usando un coltello affilatissimo. Citami un caso in cui qualcuno abbia fatto una cosa del genere a un estraneo.» Caroline lo fissò. «Charles Manson, per dirne uno. Comunque tu non sai darmi un'unica ragione per cui lei avrebbe dovuto ucciderlo. A quel modo, poi.» Lui tacque: una muta ammissione. Quindi pareggiò il conto. «Tu però non hai altri responsabili da offrirmi.» «Dimentichi chi forniva la droga a James.» Jackson alzò un sopracciglio. «Può darsi che non sia aggiornato sugli ef-
fetti della droga, ma so bene che in questa storia non c'entra nessun trafficante da strapazzo.» Si bloccò, e parve incerto se tacere o dire di più. «Abbiamo perquisito l'appartamento di James, Caroline. Non c'era il minimo segno di effrazione, per non parlare di lenzuola strappate. Quanto Brett ci ha detto, a proposito di qualcuno che gli aveva messo sottosopra la casa, non è mai avvenuto.» Lei si sentì di nuovo scossa. «Magari le ha mentito. A proposito del trafficante...» Il mezzo sorriso di Jackson era pieno di malinconia. «E quindi, con chi rimaniamo? Con una ragazza che, nel momento del delitto, forse era abbastanza rimbambita dalla droga da permetterti di passare da omicidio premeditato a omicidio preterintenzionale.» Caroline lo osservò attentamente. Sottovoce, gli domandò: «Non avete collegato a lei il coltello, vero?» Un momento di silenzio. «No.» «Che genere di coltello è?» «Un coltello da pesca... un Cahill. Piuttosto bello.» In silenzio, la studiò a lungo. «Come riconosci tu stessa, Caroline, non hai diritti da esercitare, qui. Ma, forse, ti piacerebbe vederlo.» «Vorrei, sì.» Cercando in un secondo cassetto, Jackson tirò fuori una busta di plastica trasparente che conteneva un coltello, e la posò sullo scrittoio. Il coltello era un bel manufatto. Manico d'osso, lama lunga, dorso della lama seghettato. Il coltello per un pescatore che sa apprezzare certe cose. La lama era incrostata di sangue. Caroline sentì un nodo allo stomaco. Le occorse un po' di tempo per accorgersi dell'attento esame cui Jackson la stava sottoponendo, e si chiese da quanto tempo stesse fissando il coltello. Girando la busta vide, come si aspettava, i numeri di serie sulla lama. Il sangue li copriva parzialmente. Caroline dovette stringere le palpebre. Gli occhiali da lettura erano nella ventiquattrore. Ma non voleva che Jackson capisse che cosa stava facendo. Fin da bambina, aveva avuto il dono di memorizzare i numeri con estrema facilità. Lentamente, gli ripassò la busta. «Bello. Come avevi detto.» Lui posò il coltello sulla scrivania. «È tutto?» chiese. «O c'è altro che vuoi discutere?» «Non adesso.» Esitava. «Grazie.» Si alzò. In un certo senso, le pareva di essere lontanissima da quel luogo. E un po' stordita.
Jackson si alzò dalla scrivania, mise le mani sui fianchi. «Ho capito bene? Forse non sarai tu a gestire il caso?» Quelle domande la fecero tornare in sé. Lo guardò negli occhi. «Se non c'è rinvio a giudizio, importa poco.» Lui non rispose, limitandosi a scrutarla con occhi attenti e curiosi. «Ho sentito che diventerai giudice federale.» «Così pare.» Per un altro istante, Jackson parve valutarla con lo sguardo. «Ebbene», disse infine, «mi spiace molto per quanto è successo. Mi spiace per Brett e per tutti coloro che vi sono coinvolti.» Le tese una mano. Caroline la prese, per una rapida stretta. «Grazie», mormorò. «Troverò l'uscita da sola.» Si voltò e uscì dall'ufficio. Più tardi, avrebbe faticato a ricordare come aveva raggiunto l'auto. Non aveva guardato il Campidoglio né altrove, fissando invece lo sguardo davanti a sé. Entrata in macchina, era rimasta seduta per un po', immobile. La ventiquattrore si trovava sul sedile accanto a lei. Ci rovistò dentro, trovò una penna e un foglio e trascrisse i numeri di serie letti sulla lama del coltello Cahill. 6. Al suo ritorno, Caroline non incontrò nessuno. Era ciò che aveva desiderato. Voleva rimanere un po' sola. Tuttavia, salite le scale e raggiunta la stanza in cui teneva le sue cose, trovò un messaggio sulla porta. Fissò l'ordinata grafia di Betty. Aveva telefonato Bob Carrow. Del Patriot-Ledger di Manchester. Caroline sedette sul letto. Non si sentiva pronta. Unico quotidiano a diffusione statale, il PatriotLedger dominava da lungo tempo il New Hampshire; politicamente, era orientato parecchio a destra, e manifestava un'aperta avversione per i democratici e le femministe nonché per quel tipo di giudici ai quali invece s'ispiravano i principi di Caroline. Fin dai tempi in cui era ragazza, ricordava come quel quotidiano fosse sempre in prima fila nelle crociate per aumentare il numero degli arresti e per l'inasprimento delle condanne. Non c'era nulla da guadagnare, richiamando quel giornalista; certamente non per Caroline, il cui coinvolgimento in faccende criminali riguardanti la sua
famiglia - se reso pubblico - sarebbe di sicuro arrivato alla Casa Bianca. Rabbiosa ed esausta, fece per appallottolare il messaggio. Ma la sua mano si bloccò. Riaprì il palmo, e rimase a guardare il foglio accartocciato. Chi, si chiese, l'aveva fatta diventare così? Bisognava pensare anche a Brett. Se si fosse arrivati al processo, quella ragazza sarebbe finita sulle prime pagine di tutti i giornali del New Hampshire; in particolare, sul Patriot-Ledger. Caroline, come avvocato difensore, considerava importante ottenere per il suo cliente un trattamento corretto da parte della stampa. Più che corretto, se ci riusciva. E non si arrivava a simili risultati ignorando il più grande giornale dello Stato. Per un'altra mezz'ora, rimase assorta nei suoi pensieri. Pensò alle ragioni per cui aveva lasciato quel luogo. Ai vent'anni spesi nel tentativo di diventare giudice. A una ragazza che conosceva appena. Scese in cucina a telefonare. «Bob Carrow.» Una voce come ne aveva sentito a decine, in ogni sala stampa in cui era stata: tagliente, concitata, aggressiva. Dentro di sé, lo disprezzò. Adottò comunque un tono cortese, perplesso, leggermente annoiato. «Sono Caroline Masters.» «Ah, sì. Grazie per avermi richiamato. Ho sentito che Brett Allen è sua nipote.» «Sì.» Il tono di lei si fece asciutto. «L'ho sentito anch'io.» Un momento di esitazione. «Potrebbe essere accusata di omicidio.» «Davvero? Chi ha ammazzato?» «Be', James Case...» «Chi gliel'ha detto? Non certo la procura generale, credo.» Il tono di Caroline diventò fermo e chiaro: «Brett è una giovane donna che ha appena perduto la persona che amava nelle circostanze più sconvolgenti, compreso l'orribile trauma del ritrovamento del corpo. E nessuno - assolutamente nessuno - ha motivo anche soltanto di pensare che sia collegata alla sua morte. Per non parlare di un qualsiasi movente». S'interruppe. L'indomani stesso, si redarguì, la polizia avrebbe potuto trovare qualcosa. Non era da lei spingersi così oltre. «Per cui lei crede che sia innocente», disse Carrow. «Ma di che cosa? Avrebbe potuto rimanere uccisa lei stessa. Da questo punto di vista, almeno, è stata molto fortunata.»
«Allora chi crede che abbia ucciso James Case?» «Qualcuno che non aveva ventidue anni e che non era innamorato di lui.» Abbassò la voce e diede alle sue parole un tono conclusivo: «Spero che Brett possa contare sulla sua correttezza». «Un'altra domanda», si affrettò a dire Carrow. «La Casa Bianca ha appena annunciato la sua candidatura alla Corte d'Appello degli Stati Uniti. Ritiene conveniente che una candidata al seggio di giudice federale sia coinvolta in una faccenda criminale?» Di colpo, Caroline s'innervosì. Da chi le veniva, si chiese, quell'attacco? «Temo che lei abbia frainteso il mio ruolo nella vicenda. Io mi trovo qui perché ho un legame familiare con la ragazza.» «Ma è anche andata a trovare il viceprocuratore Watts, stamattina. Qual era il motivo dell'incontro?» «Esprimergli la preoccupazione della mia famiglia. Compresa la richiesta che, chiunque abbia commesso il delitto, venga presto identificato.» Si concesse una sfumatura d'irritazione: «Vorrei che ci pensasse anche lei, Mr Carrow. Qualcuno ha ucciso il ragazzo di mia nipote e per di più è ancora libero. Può certo immaginare quanto ciò sia spaventoso». Dall'altro capo del filo giunse un lungo silenzio. Poi Carrow riprese: «Sarà lei l'avvocato di Miss Allen?» «Avvocato? Non le serve un avvocato. Tutto ciò che le serve è il sostegno della sua famiglia.» Tacque, poi soggiunse: «Penso di tornare a San Francisco tra poco, per dedicarmi a ciò che questa tragedia ha interrotto: la preparazione per le udienze di conferma. Della qual cosa sono, ovviamente, onorarissima. C'è altro?» Il tono delle ultime frasi era una combinazione di garbo e di falsità. «So che è difficile», riprese il giornalista. «Però credo che potrebbe essere utile a Miss Allen parlare direttamente con noi.» Caroline trasse un lungo sospiro. «Comprenderà che Brett non ha affatto voglia di parlare. Temo che, per il momento, si dovrà accontentare di me. Comunque, se mia nipote dovesse sentire l'esigenza di parlarne - con altri al di fuori della ristretta cerchia dei suoi, intendo - glielo faremo sicuramente sapere.» «Okay.» Sembrava rabbonito, poi tornò impaziente. «Per primo, se possibile... D'accordo?» «Sì. Se possibile.» Caroline sospirò ancora una volta. «In famiglia teniamo in grande considerazione il Patriot-Ledger.» «Bene.» Nella titubanza dell'altro, lei lesse la decisione di non forzare.
«Grazie, avvocato Masters.» «Di niente.» Posando il ricevitore, Caroline si scoprì nuovamente in attesa di udire il rumore di un secondo apparecchio. Ma non accadde nulla. La scuderia era fiocamente illuminata e ariosa, pareva quasi un granaio. Il sole penetrava da finestre molto alte, disegnando ombre negli angoli. Su un lato della costruzione era parcheggiata una jeep bianca che pareva minuscola rispetto alla vastità dello spazio circostante. L'avvocato Caroline Masters sapeva che avrebbe dovuto girare i tacchi e andarsene. Eppure rimase dov'era. Il banco da lavoro di Channing, con i suoi attrezzi e il morsetto per fissare il legno da segare, si trovava in fondo al locale. Channing Masters credeva nell'autarchia. Quante volte, si chiese Caroline, le era rimasta accanto, a osservarlo costruire o riparare qualcosa, determinato (lei lo sapeva bene) a non tollerare sconfitte? La pendola dell'ingresso era stata costruita verso la metà del secolo scorso da un famoso orologiaio, Tim Candler; sebbene all'epoca avesse più o meno sette anni, Caroline ricordava ancora quella domenica pomeriggio trascorsa in compagnia del padre che, chino sull'orologio deposto a terra, studiava i complessi meccanismi e compiva una lunga serie di piccole regolazioni con vari attrezzi da gioielliere. Poi, d'un tratto, la pesante catena aveva ripreso a oscillare, la campana aveva suonato e lei aveva visto nascere, negli occhi del padre, una luce d'intimo piacere. Oltrepassò il banco da lavoro, diretta alla rastrelliera dei fucili. Ogni cosa si trovava al suo posto di sempre: fucili da caccia e da tiro al volo; una rivoltella; una balestra; varie canne per la pesca con la mosca. I fucili erano tuttora puliti e oliati, con il calcio ben lustro, le canne e i mulinelli erano armati di lenza. A Caroline parve di ricordare quasi tutto. Il padre era legato a quelle cose; per affetto e senso pratico, teneva bène ciò che aveva e gettava via ben poco. Non amava le cose nuove. Accanto alle canne da pesca c'era un pannello a pioli. A dieci anni, Caroline lo aveva aiutato a costruirlo, stendendo la lacca sul legno. Non vedeva l'ora che la lacca asciugasse, in modo da poterlo attaccare al muro e appendervi i coltelli del padre. E, in seguito, ce li avevano appesi a uno a uno, nei loro foderi di cuoio. In fondo al pannello, vide un piolo vuoto. Di colpo, la scuderia le parve gelida e piena di spifferi.
Allora si voltò, tornò alla casa e si chiuse la porta alle spalle. Si appoggiò alla porta. Forse doveva a Betty e a Larry un resoconto della giornata. Di sicuro lo doveva a Brett. Ma sentiva che avrebbe dovuto lasciare immediatamente quella casa. Andò al telefono, fissò una camera al Resolve Inn e parti. 7. Caroline si risvegliò a fatica, la mente ancora screziata di sogni, in una stanza sconosciuta dalla cui finestra filtrava la luce grigia che precede l'alba. Le occorse un momento per riconoscere le anticaglie sistemate qua e là e la finestra a telaio scorrevole, e un altro momento per rendersi conto che si trovava a Resolve, il paese della sua adolescenza. Si sentiva alla deriva, come se le ci fossero voluti vent'anni per farsi una vita e fossero bastati tre giorni per abbandonarla. Indossò un paio di jeans e un maglione, scese in sala da pranzo e bevve una grossa tazza di caffè nero. Poi uscì in veranda e, di li, raggiunse la via principale del paese. Da un lato si ergeva una collina dal pendio dolce; dall'altro invece il colle digradava verso un ruscello impetuoso. La carreggiata non era più di ghiaino ma asfaltata; quanto al resto, però, i cambiamenti erano stati minimi. Caroline imboccò la strada fiancheggiata dagli alberi, passando davanti alle case bianche in legno, costruite nel XIX secolo, cioè all'epoca di maggiore sviluppo della zona; la chiesa tutta guglie, ma dallo stile sobrio, in cui si tenevano le riunioni cittadine; la biblioteca gialla a un unico piano (a giudicare dall'insegna, gli orari di apertura erano ancora dettati dal capriccio del bibliotecario); la sala massonica, con la struttura in legno un po' cadente, su un piccolo poggio discosto dalla strada. Channing Masters era entrato a far parte della loggia più per dovere sociale che per entusiasmo; Caroline ricordava ancora le caustiche fantasticherie della madre sui rituali segreti, con tanto di corna ramificate, grembiuli e giuramenti di sangue contro i non-massoni. Channing sopportava in silenzio. C'era soltanto una struttura nuova - una casa prefabbricata - e scarsi segni di attività commerciale. Il negozio di generi vari era addirittura sigillato da assi inchiodate, la pompa di benzina aveva chiuso; Caroline immaginò un nuovo negozio e una stazione di rifornimento su una strada a maggior traffico. Dove la via faceva una curva, incrociando all'improvviso il ponte sul ru-
scello, Caroline tornò indietro. Sul paese sembrava aleggiare una lieve depressione. Risalì in camera, telefonò a Brett e le chiese se voleva andare con lei in barca a vela, sul lago Winnipesauk.ee. Per qualche motivo, quando la ragazza rispose di sì, per Caroline non fu una sorpresa. L'aria era tiepida, e c'era brezza. Brett manovrava agevolmente la barra del catboat a nolo. La vela l'aveva trasformata. Durante il viaggio in auto verso Winnipesauk.ee aveva tenuto un atteggiamento riservato. Una volta in barca, dove si muoveva da velista esperta eppure istintiva, il viso aveva preso colore e gli occhi si erano accesi di una luce nuova. Pareva che l'attività fisica liberasse una parte di lei, come, del resto, succedeva anche a Caroline. Brett possedeva una sensualità che non aveva notato prima. Dato che la casa di Martha's Vineyard era stata venduta quando Brett era molto piccola, era stato sul lago Winnipesaukee che Channing aveva insegnato a navigare alla nipotina che, infatti, sembrava conoscere ogni insenatura di quella distesa azzurra, e scrutava le colline coperte di foreste con un'aria di assoluta familiarità. Caroline pensò che doveva serbarne ricordi felici; quando una raffica improvvisa sferzò le vele e uno spruzzo investì Brett impegnata nella virata, lei reagì sorridendo nel sole, con improvviso, sorprendente piacere. Decise di lasciarla veleggiare finché volesse. Fu soltanto verso le due, dopo tre ore sull'acqua, che Brett e Caroline si ancorarono nei pressi di Woodsman's Cove. L'aria si era fatta umida, il sole rovente. Caroline aprì una lattina e bevve. «Acquosa birra americana da quattro soldi», disse. «Perfetta, per un giorno così.» Sedevano a poppa, l'una di fronte all'altra, con gli occhi fissi sull'acqua e sulle colline, mentre la barca all'ancora beccheggiava capricciosamente. La ragazza, con una lattina in mano, cercò di sorridere. Ma era tornata nel regno della realtà e della tragedia; in lei s'intuiva una sorta di muto allarme. Caroline attendeva che scegliesse il momento per parlare. «Com'è andata con il pubblico ministero?» le chiese infine. L'altra rifletté. «È incerto su due cose, entrambe fondamentali. Non riesce a far risalire a te il coltello e, fatto ancor più importante, a scovare una ragione per cui volessi uccidere il tuo ragazzo.» «Non ce n'è», commentò semplicemente Brett. A Caroline parve di nuovo fragile. «L'avresti seguito in California?»
domandò. Negli occhi di Brett si accese un bagliore. Poi, con grande sorpresa di Caroline, la ragazza rispose tranquillamente: «Non credo». «Qualcosa non andava?» «Qualcosa di grosso.» La guardò dritto negli occhi. «A volte avevo la sensazione di non riuscire a capire che cosa James pensasse o quali progetti avesse. Essendo cresciuto con la preoccupazione di doversi continuamente difendere, non era abituato all'intimità. Questo potevo anche capirlo. Ma così non si può vivere.» E allora perché tenevi tanto a lui? stava per chiederle. Ma non era una domanda da avvocato. Si accorse che Brett la studiava con un'attenzione nuova. «Perché te ne sei andata?» le domandò. «Nessuno ne parla mai.» Tacque un attimo, come se temesse di diventare invadente, poi soggiunse: «Né di te, né di tua madre». Caroline sorrise. «Da autentici figli del New England.» «Da autentici repressi», ribatté Brett, secca. «Prima che tu finissi in televisione praticamente tutti i giorni, non ho udito il tuo nome per anni. E poi, in quel periodo della TV, il nonno si chiudeva in camera sua a seguire il processo, e non parlava mai. E mamma, pure lei sempre silenziosa, andava su tutte le furie per certe sciocchezze...» L'alzata di spalle di Caroline intendeva porre fine a quell'argomento. «A volte il silenzio è soltanto silenzio. E l'assenza soltanto assenza.» Ma l'espressione della ragazza non mutò. «Non si tratta di silenzio, zia Caroline. È qualcosa di più, per il nonno e mia madre.» Forse, rifletté Caroline, Brett stava analizzando i suoi rapporti con la famiglia, e si rivolgeva a lei per avere qualche indizio. Si lasciò sfuggire un vago sorriso. «Per prima cosa, potresti piantarla di chiamarmi 'zia Caroline'. Fa pensare a una distinta vedova in menopausa, in un orrendo musical di Broadway. Caroline va più che bene. Quanto alla nostra famiglia, immagino che la miglior spiegazione sul mio comportamento sia che volevo essere indipendente, ed ero assolutamente certa che partire fosse l'unica strada possibile. Che cosa gli altri provassero a tale proposito, posso soltanto supporlo: avevo ventidue anni, allora, e - diversamente da te, a quanto pare - non riflettevo granché sui sentimenti altrui.» «Dove sei andata?» «Ho trascorso un anno a Martha's Vineyard.» Prese un tono disinvolto, distaccato. «Quindi sono partita per San Francisco, mi sono iscritta alla fa-
coltà di Giurisprudenza, e sono rimasta in quella città. È tutto.» «Ma perché San Francisco? C'eri mai stata?» Scosse la testa. «Suonava bene, e sembrava il posto più lontano dove potessi andare.» «Come facevi a tirare avanti?» «Lavorando. Inoltre mia madre mi aveva lasciato un po' di soldi. Da un'assicurazione sulla vita.» La studiò, come se fosse incerta fra la curiosità e il rispetto della reticenza della zia. Sottovoce, soggiunse: «Non ho mai visto una foto di tua madre». Caroline rispose con un leggero sorriso. «Non mi sorprende. È morta da trent'anni.» Tacque, sgradevolmente colpita dal suo stesso tono di voce. Con maggiore dolcezza, riprese: «Era piccola, scura e molto graziosa. Per me, allora, aveva un aspetto piuttosto... esotico». Scorgendo l'espressione dipinta sul viso della donna, Brett parve esitare. «Scusami», disse infine. «Ma voi due siete il mistero della famiglia. Di lei so soltanto che era francese e che è morta in un incidente.» Caroline rimase in silenzio per qualche istante. Ma comprese che le era più facile parlare della madre che di se stessa. «Francese ed ebrea», la corresse. «Quello fu il primo incidente, e l'unico davvero determinante, per lei.» Era sera. Caroline aveva nove o dieci anni. La madre era salita a darle la buonanotte. Sorpresa e felice, la bimba le aveva chiesto d'inventare una storia. Allegramente, con finta esasperazione, Nicole le aveva risposto: «Ma non ne ho di storie, per stasera». Aveva bevuto. Lo si capiva dall'alito, dall'umore spensierato, dall'impaccio nel pronunciare l'inglese. Imbaldanzita, Caroline aveva replicato: «Allora parlami della tua famiglia. Dei tuoi genitori e di tuo fratello». La bambina sapeva soltanto che erano morti. Tuttavia, in quel momento, nell'oscurità della camera, lei aveva sentito il silenzio della madre come un peso sul petto. Nicole era rimasta perfettamente immobile. «Davvero vuoi sapere, Caroline?» La voce della madre era diventata chiarissima; in un certo senso, quel cambiamento di tono aveva impaurito Caroline. Ma non poteva tirarsi indietro. «Sì», rispose. Dopo un lungo silenzio, Nicole aveva esordito: «Vivevamo a Parigi.
Mio padre insegnava alla facoltà di Giurisprudenza. Mia madre stava a casa con mio fratello Bernard e me». Qualche istante di pausa, poi una sfumatura d'ironia: «Ricordo che pensavo parlasse il francese in modo strano. Era russa, non cittadina francese, ed era arrivata in Francia quand'era adolescente. Ma, allora, l'unica mia sensazione in proposito fu un imbarazzo infantile. Era ebrea, come mio padre. Ma la famiglia di lui era profondamente francese. Certo, andavamo in sinagoga, osservavamo le festività ma, a parte questo, non mi sentivo molto diversa dai bambini dei suoi amici della facoltà. Oh, un po' diversi, forse lo eravamo... Ma certo non minacciati». In tono sommesso, chiese: «Tu capisci che cosa significasse essere ebrei, vero, Caroline? E che cosa è successo durante la guerra?» Lei aveva annuito. Qualcosa nella domanda della madre aveva spinto Caroline a prenderle una mano. Apparentemente la donna non ci aveva fatto caso. «Quando i tedeschi ci invasero», aveva ripreso in tono tranquillo, «avevo quindici anni; Bernard, dodici. Il maresciallo Pétain divenne il capo del governo-fantoccio della Francia e io cominciai a capire che cosa significasse essere ebrea. Prima di compiere diciassette anni già portavo la stella di David. E a causa di leggi razziali approvate non dai tedeschi, bensì dai nostri compatrioti francesi. Mio padre protestò, sostenendo che quelle leggi erano immorali. Quando perse il posto all'università, qualche amico ci telefonò per esprimerci la propria solidarietà. Nessuno venne a trovarci... E non abbiamo più visto nessuno di loro.» Caroline aveva cercato d'immaginarsi la madre isolata, e la sua famiglia - Channing, Nicole e Betty - messa al bando. «Che cosa avete fatto?» aveva chiesto. «Mio padre vendette la casa e tutte le sue proprietà e ci trasferimmo in un appartamento nel quartiere ebraico di Parigi. Nei miei ricordi più vividi ci sono i miei, seduti al tavolo di quella stanza buia. Mio padre, piccolo, baffuto e vigile. Mio fratello, anche lui scuro e con gli stessi occhi luminosi di mio padre. Soltanto mia madre appariva consunta e smarrita... Ma lei era russa, dopotutto. Ci era già passata. Per tutto il 1942 si susseguirono le retate. Ebrei stranieri prelevati dalle loro case dalla polizia francese e dai soldati tedeschi, raggruppati in centri di raccolta e poi spediti via, sui treni. Dove, non l'abbiamo mai saputo. Tuttavia io non perdevo la speranza... Idolatravo mio padre, capisci. Se lui nutriva una speranza, lo imitavo. Insomma, eravamo francesi. E papà credeva che nessun governo di Francia, nemmeno quel governo, avrebbe abbandonato i suoi stessi cittadini. Se non
altro per orgoglio.» Caroline aveva tenuto gli occhi fissi sul volto della madre, nella camera illuminata dalla luna. Il suo viso era opaco, assente; pareva che la donna stesse narrando una storia di cui ormai si era stancata. «Quando compii diciotto anni», aveva proseguito, «mi mandarono all'università. Come se questa rivendicazione di normalità potesse proteggermi. E, in un certo senso, fu così. Una sera, alla fine delle lezioni, trovai mio fratello Bernard che mi aspettava. Stavano per fare una retata di ebrei. Un ex collega di mio padre lo aveva saputo e lo aveva fatto avvertire. Per cui mio padre mi chiedeva di rimanere da Catherine, un'amica non ebrea. Io pregai Bernard di venire con me. Ma lui doveva tornare.» Il tono di voce di Nicole era tornato calmo e venato d'ironia. «Per far sapere ai miei genitori di essere al sicuro.» Senza sapere perché, Caroline si era stretta le braccia al petto. La madre non se n'era accorta. Anzi sembrava essersi scordata della presenza della bambina. «Quella notte rimasi da Catherine», aveva ripreso. «Ma, il mattino seguente, non riuscii a trattenermi dal tornare a casa. La zona in cui vivevamo apparteneva a un quartiere medioevale, le strade erano strette e buie, pavimentate a ciottoli. Svoltai l'angolo della mia strada e vidi un poliziotto in uniforme, un francese, che portava due valigie e piangeva. Non avevo mai visto piangere un poliziotto prima di allora. Dietro di lui, insieme con altri poliziotti, c'era una fila confusa di bambini e di adulti che si tiravano dietro le loro valigie. In fondo alla fila c'erano mio padre, mia madre e mio fratello. Attesi il loro passaggio. Mia madre non mi vide. Guardava dritto davanti a sé, tenendo per mano Bernard da un lato e dall'altro mio padre. Aveva il viso rigato di lacrime. Allora papà mi scorse alla fine della strada. Feci per parlare, per tendergli le braccia. Le sue labbra formarono la parola 'no'; mi fissò per un istante, si assicurò che obbedissi e poi, di scatto, distolse gli occhi. Fu allora che compresi. Mia madre non era francese, ma mio padre non l'avrebbe mai abbandonata. Così Bernard. Rimasi a guardare finché non svoltarono l'angolo e sparirono.» La voce di Nicole si era spenta di colpo. Nella camera immersa nel silenzio, Caroline aveva immaginato i suoi genitori - Channing e Nicole sparire dalla sua vista. Le era mancato il respiro. Poi, con la voce velata, aveva chiesto: «E che cos'è stato di te, mamma?» Nel buio, Nicole era parsa scrollare le spalle. «Il padre di Catherine conosceva qualcuno», aveva risposto infine. «Fui mandata a Le Chambon, nelle Cévennes. C'era una tradizione di resistenza,
da quelle parti... Molti contadini erano protestanti e i loro progenitori avevano patito varie persecuzioni. Sino alla fine della guerra rimasi con la famiglia di un agricoltore. Erano molto gentili, come gli altri abitanti del villaggio. Ma, per tutto quel tempo, sognai ogni notte i miei genitori e Bernard. Mi chiedevo come stessero e dove fossero. Pregavo per loro in qualsiasi modo mi sembrasse più efficace. Dopo la guerra, tornai a Parigi. Lavorai come traduttrice per gli americani. Tormentavo tutti per avere elenchi dei deportati, notizie, qualche informazione sulla mia famiglia. Infine, seppi di loro da un gentile ufficiale americano, un giudice militare...» La madre si era di nuovo interrotta e gli occhi le si erano riempiti di lacrime. Impaurita, Caroline le aveva stretto una mano: «Che cosa, mamma?» Soltanto allora Nicole l'aveva guardata. «I tuoi nonni sono morti ad Auschwitz. E con loro il ragazzo che sarebbe stato tuo zio», aveva risposto in un soffio. Istintivamente, la bambina aveva teso le braccia per stringersi a lei. Ma Nicole l'aveva fermata, guardandola negli occhi finché le sue stesse lacrime non erano cessate. «Tu sei ebrea, Caroline. Non esiste governo, o persona, di cui ci si possa davvero fidare. Ti prego, ricordalo.» Per parecchio tempo, Brett tacque. Sedevano in silenzio, con le birre in mano. La ragazza pareva studiarla. Infine, chiese: «Come fu che sposò il nonno?» Caroline riordinò i suoi pensieri. «Dopo la scomparsa della sua prima moglie, morta dando alla luce tua madre, ritengo che tuo nonno si sentisse come perduto. Si arruolò nella magistratura militare americana. Nella Parigi postbellica, ricevette l'incarico d'investigare sui crimini di guerra dei tedeschi per il tribunale di Norimberga.» Abbassò la voce e concluse: «Era lui il 'gentile ufficiale' che raccontò a mia madre dei suoi genitori. Dopo aver appreso quelle notizie, lei probabilmente pensò che il New Hampshire fosse sufficientemente sicuro. E mio padre si era innamorato di lei». Brett, con voce piena di pietà, chiese: «Credi che lo amasse?» Caroline puntò lo sguardo sulle montagne alle spalle di Brett. «Mia madre morì quando avevo quattordici anni», rispose. «Ero troppo giovane per capirlo davvero.» La ragazza mantenne la sua espressione vagamente interrogativa. «Dev'essere stato terribile, per te.»
Più di quanto potresti mai immaginare. «Sì, è stato difficile.» Un'ombra di sorriso. «Ma i quattordici anni sono un'età difficile comunque.» Brett non replicò. Caroline, osservandola, ebbe la sensazione quasi tangibile che stesse mettendo insieme i pezzi mancanti della sua famiglia, chiedendosi quali recessi, e quali cuori, ancora non comprendesse. Ma Caroline era un'estranea per lei, e Nicole una lapide al cimitero. Soltanto Channing Masters era reale. «Quando è morta», riprese Brett, «come ha reagito il nonno?» Caroline colse anche la domanda inespressa: come hai potuto fargli del male? A quella, almeno, decise di rispondere senza omettere nulla. «Oh», disse in tono pacato, «sono sicura che gli si spezzò il cuore.» Erano forse le quattro; la luce del sole calava dolcemente sulle acque azzurre del lago. Brett era immersa in un silenzio pensoso. Ma la storia di Caroline pareva averla distratta un po' dal suo presente. Di ciò, quantomeno, Caroline fu contenta. «Sei mai stata sposata?» s'informò la ragazza. La zia sorrise. «Nemmeno una volta.» «Non ti capita mai di sentirti sola?» La donna la studiò. In parte, la curiosità di quella ragazza scaturiva da un bisogno di risposte per se stessa. Aveva discusso con la madre di ciò che le era successo? «In realtà, no», le spiegò. «Ti abitui a farti compagnia, per così dire. Naturalmente, nella nostra società, l'idea che una donna sola debba sentirsi sterile, letteralmente e metaforicamente, è ancora radicata. Specie», soggiunse con un guizzo sardonico, «se quella donna compensa la sua infelicità con il successo.» Brett chinò la testa di lato. «Allora non hai mai desiderato un figlio?» Lei alzò le spalle. «Come ha detto una volta una mia amica: 'Amo già troppo i miei figli per dar loro una madre come me'.» S'interruppe. Brett meritava di meglio. «Forse mi sarebbe piaciuto. Ma le cose per cui non c'è niente da fare, te le levi dalla mente. È meglio così.» Brett annuì, fissandola con maggiore attenzione. Era chiaro che non avrebbe più chiesto nulla. Il sole moriva all'orizzonte, e la frescura si diffuse nell'aria. Caroline si mise una giacca a vento sulle spalle. «Che farai quando questa storia sarà finita?» chiese. La domanda parve sorprendere Brett. «Non lo so», disse. «Non c'è più
nulla di vero, adesso. Prima volevo scrivere. Racconti, romanzi.» Caroline rifletté che poteva farle bene parlare del futuro, di qualsiasi cosa diversa da James Case. «Perché proprio scrivere?» «Perché ho talento... almeno così pensano i miei docenti. E un vero lavoro... in una ditta, per capirci, non riesco a concepirlo, per me, nell'immediato. Anche se ho pensato di prendere un master, in modo da insegnare poi a scrivere.» Si accalorò. «La scrittura sembra l'unica attività in cui quello che pensi e senti sia davvero importante.» «Hai già scritto molto?» «Un sacco.» Un sorrisetto. «Scrivo da sempre. Anche da piccola, inventavo continuamente storie immaginando persone, luoghi, cose che non avevo mai visto. Papà sosteneva che non riuscivo a distinguere la realtà dalla fantasia...» S'interruppe e rivolse a Caroline una rapida occhiata. L'altra finse di non accorgersene. «E i tuoi genitori come la pensavano, in proposito?» «Quanto a quello, sono stati perfetti, specie papà. E il nonno diceva sempre che uno scrittore ha bisogno di un suo luogo... come Faulkner e la Yoknapatawapha County. Che io il mio luogo l'avevo. E che era questo.» «Be'», commentò Caroline senza asprezza, «è certo molto comodo. Per tutti.» Brett accennò un sorriso. «Capivo perfettamente che c'era anche questo aspetto... il desiderio che rimanessi qui. Ma, d'altro canto, il nonno ha fatto la sua parte, nel crescermi: passeggiate in montagna, compiti o anche soltanto discutere di libri o della scrittura. Quasi tutti i pomeriggi, quando tornavo a casa, trovavo il nonno ad aspettarmi. Per fare qualcosa insieme o per sapere come mi era andata la giornata.» Il sorriso si spense. «Lo capisco tuttora... Era come se io fossi l'unica persona importante rimastagli.» Caroline ne fu sorpresa; quella ragazza riusciva a passare in un lampo dall'assoluto candore alla più acuta perspicacia. «Che cosa intendi?» Brett la guardò dritto negli occhi. «Che mia madre non è mai stata la sua preferita. La sua preferita eri tu, Caroline.» «Non credo che sia così. O che lo fosse una volta.» La ragazza scosse la testa. «Una volta, durante un'escursione in montagna, gli chiesi di te. Diventò così triste che non gli ho mai più domandato nulla.» Esitò un attimo, poi chiese: «È per questo che sei tornata? Per lui?» «Non è che il mondo intero giri attorno a 'lui'.» Cercò di assumere un tono più gentile. «A dire la verità, sono venuta qui per te.» La ragazza parve dapprima sorpresa, poi scettica. «E perché?»
«Perché siamo parenti, sai?» Caroline quasi sbuffò. «Sono un avvocato e desidero aiutarti. I miei problemi con la famiglia non ti riguardano.» «Scusami... Non volevo farti incazzare.» La donna fece un gesto rassicurante. «E non l'hai fatto. Dico davvero.» La sua voce assunse una sfumatura di curiosità. «Dimmi, però: quale parte ha avuto tuo padre in tutto quanto?» L'altra assunse una posizione più rilassata. «Tu e papà eravate amici, vero?» «Sì, eravamo amici.» Brett annuì. «Papà è un enigma, a volte... Più o meno, ha incaricato mamma di educarmi.» La voce assunse una sfumatura sardonica. «È un tipico caso di vittoria del genitore di più forte sentire. Considerando come è fatta mia madre, non c'è stata lotta... E mio padre non voleva certo affrontare le complicazioni che sarebbero nate, se avesse accennato a lottare.» Come se si vergognasse, Brett tacque. Caroline si sentì pervadere, una volta di più, dall'argento vivo delle proprie emozioni. «Per la verità», riprese la ragazza, «non dovrei parlare così. Papà mi vuole bene, lo so, e, a volte, sa essere dolcissimo. È soltanto che odia i conflitti, e credo che l'intensità dei sentimenti di mamma lo terrorizzi. A volte sembrava che fosse piuttosto il nonno - il quale, se non altro, intimidisce mamma - a farmi da padre.» Caroline ricordò Larry dallo sguardo gentile e dal lento, caldo sorriso, il primo a chiamarla 'Caro', l'unico che ancora riusciva a parlarle, mentre lei e Betty non potevano più rivolgersi la parola. Lo ricordò quando reggeva tra le braccia Brett neonata, e spostava gli occhi da Caroline alla bambina addormentata, quasi sorpreso di quella paternità improvvisa. Provò tristezza e collera al pensiero che si fosse ritirato ai margini della vita di quella ragazza, soppiantato da Betty e dal nonno. «Ti sei mai ribellata?» domandò. Un lieve sorriso, poi Brett rispose, con voce ironica: «Hai visto l'antenna per il satellite sul retro della casa? È stata quella la mia ribellione. Lo minacciai: se non avessi potuto rimanere in contatto con il mondo esterno contatti tipo Beverly Hills 90210 e simili - sarei partita per il collegio». La vita dei figli non deve sempre compiacere i genitori, aveva detto lui quando Caroline era partita per il collegio, né i genitori devono sempre compiacere se stessi. Sottovoce, la donna chiese: «Non ti ha mandato in collegio?» Nessuna delle due, pensò, aveva definito la persona di cui stavano par-
lando: non ce n'era bisogno. «No», rispose Brett, nello stesso tono. «Mi ha comprato l'antenna satellitare.» «Non è stata un granché, come ribellione.» «Come se non lo sapessi... Ho perfino consentito loro di mandarmi all'università al Chase College, dove insegna papà, perché avrei potuto entrarci senza spendere troppo. Mia madre mi fece intendere che c'erano problemi di soldi, e io non volli chiederli al nonno. Così, invece di fare come mamma, che era andata a Smith, sono rimasta qui, dietro l'angolo.» Tacque, come ricordando la sua rabbia d'allora. «Naturalmente, mamma mi ha detto che la mia ribellione era James. Soprattutto dopo la scoperta che spacciava.» Caroline rimase in silenzio, riflettendo sul quadro che la nipote le aveva fatto di quella famiglia (che poi era anche la sua, anche se l'aveva lasciata da tanto tempo) e sui propri dubbi riguardo all'innocenza della ragazza. Dopo un po', con grande stupore, vide il volto di Brett rigato di lacrime. Allora mormorò: «Che cosa c'è?» «È per quello che mi hai chiesto prima. Se sarei partita con lui.» S'interruppe, nel tentativo di riprendere il controllo della voce. «Insomma, adesso, sto sveglia la notte perché vorrei essere partita, nonostante tutte le perplessità che avevo. Vorrei essere tornata alla jeep e partita per l'ovest con lui quella notte stessa.» Chiuse gli occhi e concluse: «Oggi saremmo arrivati in California, e James sarebbe vivo». Caroline non riuscì a tornare alla sua stanza prima delle undici. In auto, Brett si era addormentata. Caroline aveva guidato senza fermarsi, lanciando brevi occhiate al viso della ragazza contro il poggiatesta. Ma, anche se si fosse svegliata, non sarebbe riuscita a chiederle del coltello. In quel momento, nella sua camera d'albergo, fissava il messaggio che ancora stringeva in mano: Walter Farris, dalla Casa Bianca. Sul comodino accanto a lei, il Patriot-Ledger di Manchester era aperto su un articolo che citava le dichiarazioni di Caroline. Perché, si chiese, non ho telefonato io stessa a Farris, stamattina? Una brezza gelida entrò dalla finestra, investendola. Caroline si alzò e socchiuse i battenti, lasciando tuttavia uno spiraglio che l'avrebbe aiutata a dormire. Quindi rifletté sulle espressioni di Brett, sulla sua voce, sul modo in cui aveva detto certe cose. L'avvocato che era in lei sapeva bene che nessuno
poteva pensare di leggere l'innocenza o la colpa sul viso di un'estranea. Ma un'altra Caroline, di cui l'avvocato disprezzava perfino l'esistenza, patrocinava la causa della sincerità di Brett, sostenendo che la ragazza con cui aveva passato la giornata non poteva aver tagliato la gola del suo amante, per quanto drogata potesse essere. Eppure, le aveva spiegato Jackson Watts, non c'era la minima possibilità che fosse presente una terza persona. L'indomani avrebbe chiamato Walter Farris. E poi, per dare soddisfazione alle due parti di lei in conflitto, avrebbe telefonato a Jackson Watts, chiedendogli il permesso di vedere la scena del delitto. Un appezzamento di terreno che, un tempo, il padre aveva riservato a lei. 8. La prima novità che colse fu una certa riserva nel tono di Farris. «Avrei dovuto telefonarti», disse Caroline. «Ma le cose sono successe tanto rapidamente che... Come puoi immaginare, è terribilmente duro per Brett e per la famiglia.» «Questo lo capisco, Caroline. Per essere precisi, non mi è chiaro se tu lì agisci in qualità di avvocato di tua nipote.» «Più come zia...» «Perché quell'incontro con un funzionario della procura generale mi turba parecchio. Quale che fosse la tua intenzione, potrebbe dare l'idea che la nostra candidata alla carica di giudice federale stia cercando di usare la sua futura influenza a vantaggio di una parente. Oppure, ancor peggio, di modificare il corso dell'istruttoria in un caso d'omicidio.» Caroline si spazienti. «Ti prego di prendere atto, Walter, che, vista da qui, la cosa non fa assolutamente quell'impressione. Quanto all'essere avvocato, continuerò a esercitare finché il senato non mi confermerà. E questa è la procedura normale.» «Naturalmente.» Il tono di lui sembrava far appello a tutta la sua pazienza. «Non è normale, però, difendere un membro della propria famiglia in un caso di omicidio appena avviato e, almeno in potenza, di grosso impatto sull'opinione pubblica. Anche senza la candidatura di mezzo, non sarebbe certo saggio... Ti faresti coinvolgere emotivamente, comportandoti quindi nella maniera meno adatta in assoluto per un buon difensore. Se tua nipote ha bisogno di un avvocato, la miglior cosa che tu possa fare è trovargliene uno.» Era esattamente quello che avrebbe detto lei, Caroline lo sapeva bene.
«Se mai dovesse essere accusata del delitto, è ciò che intendo fare. Ma tutti qui speriamo che non succederà.» «Ammesso che non succeda», ribatté Farris, «le udienze per la tua conferma potrebbero sollevare domande che nessuno di noi ha voglia di sentire.» Il suo tono divenne gelido. «Viviamo in un mondo crudele, Caroline. I repubblicani hanno ormai il controllo del senato e - sebbene ci rimanga ampia libertà di scelta per le nomine - le avvocatesse femministe non sono davvero la merce più richiesta. Non abbiamo proprio bisogno di qualche parruccone che tiri fuori l'obiezione di 'apparente scorrettezza' come scusa per affondarti. Insomma, per essere espliciti, il capitale politico che il presidente può investire in questa vicenda è limitato. Per cui, tieni presente che qualsiasi cosa tu stia facendo lì, oltre a dare un aiuto psicologico a quella ragazza, sei sola, a farla.» «Naturale», rispose lei, con una calma che non provava. «E io sarò molto cauta. Come ho spiegato al presidente, questa candidatura per me significa più di quanto riesca a esprimere. Come la sua fiducia... e la tua.» «So che è così.» Come se volesse chiudere la conversazione, Farris cercò di assumere un tono rassicurante. «Comunque non è ancora una cosa grossa. Desideriamo soltanto che non lo diventi.» Tacque per sottolineare quanto aveva detto. «D'accordo?» Nella quiete della sua stanza, Caroline annuì. «D'accordo.» Per mezz'ora, rimase sdraiata sul letto, a pensare. Dalla finestra filtrava un debole sole mattutino. Il paese, che conosceva dall'infanzia, le risultava più estraneo del giorno precedente. Eppure, quando risollevò il ricevitore, le parve in qualche modo inevitabile. «Jackson Watts», rispose una voce in tono asciutto. «Sono Caroline», disse lei, senza preamboli. «Sei stato tu, per caso, a dire al Patriot-Ledger che ero venuta da te?» «No. D'altronde, la mia regola è: 'non parlare con la stampa', punto e basta. Se non per qualche ragione irrinunciabile. E in questo caso non ce n'erano.» Benché il suo tono non fosse adirato, lei si sentì redarguita. «Scusami», mormorò. «È tutto a posto.» Poi, dopo un attimo di pausa, Jackson aggiunse: «Per questo hai chiamato?» «Non esattamente...» «Sai, anch'io volevo parlarti.»
Toccò a Caroline essere sorpresa. «A proposito di Brett?» «No.» Aveva abbassato la voce, sembrava quasi riluttante. «Di tutto, tranne che di Brett.» Lei si appoggiò alla testiera del letto, allungando le gambe. «È una scelta saggia?» chiese, in un soffio. «Non ho in programma violazioni del codice etico, se è questo che intendi.» Un altro silenzio. «Dopo che hai lasciato il mio ufficio, Caroline, ho avuto una sensazione d'incompiutezza. D'improvviso eri li, poi, un istante dopo, eri sparita. Senza che ci dicessimo quasi nulla, se non riguardo a Brett.» La sua voce cambiò di tono. «Veder tornare alla mente tutti i ricordi di te, e non essere abbastanza saggio da...» Caroline si passò una mano sugli occhi. Poi rispose: «Quando e dove?» «È un sì?» «Lo è.» «Stasera vado alla mia casetta sul lago. Passerò lì il fine settimana.» Sembrava sollevato, aveva quasi il tono di un ragazzo. «Andrebbe bene domani? Magari ti porto a pescare.» «D'accordo.» Esitò, poi soggiunse: «In effetti, c'era un'altra cosa, Jackson». «E quale?» «La scena del delitto. Mi piacerebbe vederla. Oggi, se è possibile.» Aveva parlato sottovoce. «Dopotutto, è di proprietà di mio padre.» Prima di recarsi al lago, Caroline fece un'altra telefonata. Nel primo pomeriggio, raggiunse l'imbocco della carrareccia. Un'auto della polizia di Stato era parcheggiata nei pressi e il nastro giallo che vietava l'accesso era già stato tagliato. «È già qui», le disse l'agente. «In riva al lago.» Caroline percorse in auto la stradina e parcheggiò vicino al camioncino di lui. Rimase in auto e si guardò intorno. Dopo un po' uscì e si voltò verso il fitto fronte di pini che bloccava del tutto la vista del lago Heron, inspirando il denso e acre odore di legno, aghi di pino e foglie in decomposizione. Quell'odore, rifletté, sembrava impresso nei suoi sensi. Non era più stata lì da quell'ultima notte di primavera con Jackson, ventitré anni prima. Il padre aveva comprato quel terreno per lei. Avrebbe dovuto costruirci un bungalow, magari una casa... un pezzo del suo passato sarebbe rimasto di sua proprietà, per sempre. Invece lei, quel passato, se l'era lasciato alle
spalle; e, nell'insondabile concatenazione delle conseguenze, Brett Allen vi aveva portato il suo amante. A morire. Caroline entrò nel bosco. Gli alberi fitti schermavano il sole, filtrando la luce come in una cattedrale. Ciononostante non era difficile seguire il percorso della fuga della ragazza, uno zigzagare a caso, segnato da pezzi di nastro adesivo giallo sui rami. Caroline ne prese uno fra le dita, e vide su una foglia una leggera striscia purpurea. Era sangue, ne era certa; sangue lasciato mentre Brett si allontanava dal cadavere di James Case. Il bosco era folto e gelido. Lei accelerò l'andatura. Sul limitare del bosco, i fasci di luce erano più larghi e, tra le foglie, facevano la loro comparsa i primi squarci d'acqua azzurra. Caroline inspirò profondamente. Poi, uscendo dal bosco, lo vide. Se ne stava in piedi vicino all'acqua, con lo sguardo fisso al di là del lago, a poco più di un chilometro di distanza, in direzione della casetta costruita dal padre negli anni '30. Era immobile, e Caroline fu colpita da quella postura così eretta. Si fermò ai margini della radura. Freddamente, disse: «Ciao, papà». Lui si voltò. Senza attendere risposta, lei s'inginocchiò. Per uno strano istante, riandando col pensiero a Jackson e al loro primo, inibito rapporto amoroso, rammentò che, all'epoca, l'idea che suo padre potesse vederli si era trasformata per lei in una vera ossessione, tanto irrazionale quanto sintomatica del senso di colpa che provava. Ma poi si concentrò sul lavoro da compiere. L'erba sembrava tutta schiacciata, Caroline lo vide subito. Che fosse una traccia utile a localizzare il punto in cui avevano fatto l'amore e, forse, dove si trovava il corpo? Ma nei giorni successivi alla notte dell'omicidio aveva piovuto, e ciò escludeva ogni certezza. Sentì che il padre era alle sue spalle. «Ebbene?» chiese lui. «Jackson è piuttosto perentorio.» Alzò lo sguardo e fissò i penetranti occhi neri di Channing. «Afferma che nessun segno sta a indicare la presenza di altri, qui.» L'altro strinse le palpebre. «Non ci sono tracce di sangue?» «A parte quelle trovate addosso a Brett, no.» Con una certa difficoltà e rigidezza, Channing s'inginocchiò davanti a lei, con gli occhi puntati sull'erba. «Naturalmente, presumono che lui fosse inzuppato di sangue.» «Lui chi?»
«L'assassino.» L'uomo allungò una mano, come se stesse sostenendo una testa immaginaria. «Supponiamo che si sia inginocchiato al di là della testa di Case e poi...» In silenzio, spinse lentamente l'altra mano sull'erba davanti a sé, impugnando un coltello invisibile per tagliare una gola che non era più lì. «Ecco com'è andata», mormorò. «Era qui, dall'altra parte. Lo zampillo di sangue non lo ha neppure sfiorato.» Caroline fu percorsa da un brivido. In tono pacato, osservò: «Jackson dice anche che non ci sono foglie calpestate, nessun'altra via di fuga aperta nel bosco». «E perché dovrebbe esserci? Brett afferma di aver sentito qualcosa, in proposito?» «Non me ne ha fatto cenno.» «Bene.» Channing era diventato brusco, insofferente. «E, allora, non se n'è andato attraverso il bosco.» Si levò, per un attimo malfermo sulle gambe, con una smorfia di fastidio per la sua vecchiaia. Con un gesto risoluto, le fece cenno di seguirlo. In silenzio, raggiunsero la riva. Parliamo soltanto di ciò che è successo a Brett, e di nient'altro, rifletté Caroline. Il vecchio si fermò, con gli occhi fissi su un tratto fangoso. «Ecco che cosa stavo guardando, prima.» Ai suoi piedi c'erano alcune impronte di stivali; accanto, due diverse serie d'impronte di scarpa, di misure differenti, e più spaziate. «Direi che le impronte delle scarpe appartengono ai poliziotti che corrono verso il lago alla ricerca dell'assassino.» La voce non tradiva emozioni di sorta. «Quella dello stivale, invece, potrebbe essere dell'assassino. Che è entrato in acqua parecchio tempo prima.» Lei continuava a non guardarlo. «Per andarsene lungo la riva?» «Sì, o magari fino a una canoa.» Questa osservazione scosse Caroline, strappandola a quel mondo immaginario in cui quasi era riuscita a credere a quella versione. «Una canoa?» sbottò. «Impossibile.» Channing aggrottò le sopracciglia. «Noi venivamo qui in canoa, dalla casetta.» Indicò la piattaforma per i tuffi e, con voce improvvisamente roca, soggiunse: «Facevamo i picnic laggiù, ricordi?» Sotto quelle parole si celava una ferita, e lei lo sapeva. A bassa voce, replicò: «Lo ricordo perfettamente. Ma, se qualcuno ci passava vicino in canoa, lo vedevamo e lo sentivamo, allora. E così pure Brett, quella notte».
«Davvero? Anche drogata? Anche al buio?» Caroline scosse il capo. «Mi spiace, papà, ma non ha senso. Secondo la tua versione, un uomo ha pagaiato silenziosamente sull'acqua, sicuro che la vittima intontita gli avrebbe offerto la gola, mentre la sua ragazza era a farsi una nuotata. Non chiedermi, per favore, di andare a raccontarla in giro.» Il vecchio si chiuse nel silenzio. Caroline gli voltò le spalle, fissando lo sguardo sulla linea della battigia, che si allontanava con un tracciato irregolare. «No, io preferisco la via di fuga lungo la riva, nell'acqua... Se non altro perché non siamo costretti a mostrare a Jackson altre impronte. Ma, qui, come ci è arrivato?» Pieno di malanimo, il padre quasi l'aggredì: «Per la stessa strada da cui se n'è andato, Caroline. O l'unica cosa che t'interessa è litigare con me?» La domanda la irritò. «Osservazione di un egocentrismo sbalorditivo. Sto cercando una difesa per Brett... possibilmente, una difesa che funzioni.» Gli occhi di Channing mandavano lampi. «E allora cercala davvero!» esplose. Lei lo fissò a lungo. «Questo è il motivo per cui ti ho chiesto di venire», disse, e gli voltò le spalle, avviandosi verso una zona di terra nuda vicino alla riva, separata dalla radura soltanto da una striscia sottile di alberi e cespugli. Anche dopo le piogge dei giorni precedenti, il fango era duro, in quel punto. Sentì il padre sopraggiungere alle sue spalle. «In teoria», gli disse, «'lui' avrebbe potuto attendere qui: nessun ramo da spezzare, e un terreno forse troppo duro per lasciare impronte. È qualcosa, può almeno servire a controinterrogare quelli della scientifica.» Channing rimase in silenzio per un po'. «E quindi sei tornata al punto di partenza, eh? L'avvocato difensore che cerca di architettare una storiella plausibile, per un cliente colpevole.» «Tornata? Non ho mai avuto un simile punto di partenza, se non, forse, nella tua mente.» Poi, con voce più controllata, soggiunse: «Sembra più che evidente a tutti, tranne a te, che non dovrei essere io a occuparmi del processo a Brett, se mai ve ne sarà uno. E la pensano così anche i miei amici alla Casa Bianca... Particolare interessante, vero?» «Che vuoi dire?» Con le mani affondate nelle tasche, Caroline si mise a scrutare il lago: le nuvole vi si specchiavano e, spinte dal vento, parevano scorrere leggere tra le brevi onde sciabordanti. «Oggi mi ha telefonato il consulente legale della Casa Bianca», spiegò
lei. «Hanno letto il pezzo sul Patriot-Ledger.» «Già.» Il tono di lui si era fatto indifferente. «L'ho visto.» «Il punto è che qualcuno ha raccontato a quel giornalista della mia visita a Jackson... È diventato un problema, per me, papà. Soprattutto perché ci tengo a diventare giudice federale.» Channing incrociò le braccia sul petto. «Anch'io nutrivo ambizioni, un tempo. Almeno la Corte Suprema dello Stato, magari qualcosa più in alto. Ma, dopo la morte di tua madre, le ho scordate. Per te.» Senza alzare la voce, lei chiese: «Per me? O per lei?» Channing parve impallidire. Tuttavia, sempre con lo stesso tono di voce, ribatté: «Tu che ne pensi, Caroline?» Lei distolse lo sguardo. «In un modo o nell'altro», dichiarò, «la mia situazione è parecchio diversa.» Il vecchio la squadrò. «Ah, sì?» «Per me, sì. Non posso tollerare altra pubblicità.» «Davvero...» Nella sua voce si sentiva una lieve nota di disprezzo. Lei tornò a scrutarlo. A occhi socchiusi, Channing guardava l'acqua, come se fosse del tutto indifferente alle preoccupazioni della figlia. Fu allora che Caroline, in un lampo, comprese. Sei stato tu a dirglielo... pensò. Per costringermi a scegliere. E rimase incerta tra il dubbio e l'accusa. Placidamente, lui disse: «Che cosa c'è?» Caroline taceva, esitante. Però, quando si decise a parlare, la domanda che le venne alle labbra fu un'altra: «Ricordi il coltello che ti ho regalato?» Il volto di lui sembrò farsi di ghiaccio. «Allora?» «Non sta più dove lo tenevi.» Channing le lanciò uno sguardo raggelante. Aveva capito benissimo la domanda implicita in quell'osservazione. Ma, quando parlò, lo fece nel tono sommesso e tranquillo di sempre. «All'inizio, prima che mi abituassi alla situazione, qualsiasi cosa collegata con te mi risultava dolorosa. Un ricordo di tutte le speranze che avevo nutrito.» Il tono divenne indifferente: «L'ho dato via, quel coltello, Caroline. Anni fa». Caroline esitava ancora. «Ricordi a chi?» «No. Ma, allora, non era quello l'importante.» L'espressione del volto s'indurì. «C'è altro?» Senza attendere risposta, Channing Masters si voltò e tornò al suo camioncino.
Caroline passò il pomeriggio da sola. Sapeva che gran parte di quanto stava facendo - telefonare in ufficio, scorrere la posta, rispondere alle congratulazioni degli amici per la candidatura - non era che un modo per prendere tempo. Alle sue orecchie, perfino la gratitudine che esprimeva suonava vuota, come le battute recitate da un'attrice in una commedia. Quasi per rassicurare se stessa, comunicò alla segretaria che contava di tornare entro quattro giorni. Eppure, anche mentre diceva così, non riusciva a distogliere la mente da Brett. Vide la borsetta sul comodino. Posò il telefono e la prese. Dentro, c'era il foglietto con i numeri di serie del coltello. Lo tirò fuori. Dopo una caccia interurbana durata dieci minuti, riuscì a farsi dare il numero telefonico della Cahill Knife Company. Altri cinque minuti, e si trovò in comunicazione con un'impiegata che forse avrebbe potuto aiutarla. La donna dava l'impressione di essere un po' seccata. «Com'era, quel numero di serie?» Lentamente, lei lo ripeté. All'altro capo del filo, il silenzio. Per qualche ragione, probabilmente perché conosceva la professionalità di Jackson Watts, avverti di non essere la prima a chiamare, per quel motivo. In tono guardingo, l'impiegata l'interrogò di nuovo: «E che cosa desidera, esattamente?» «Vorrei sapere se vi è possibile rintracciare il coltello. Almeno fino al punto vendita.» «E per che cos'è, questa richiesta?» Caroline esitò. D'un tratto, sentiva tutta la tensione. «Sono un avvocato», rispose, scandendo le parole. «Il coltello potrebbe diventare una prova in un processo penale.» «E come si chiama, lei?» Un'altra pausa. «Masters. Caroline Masters.» «Mmm.» Ancora silenzio. «Be', non so... Sa, arrivare fine al punto vendita...» «Può provare, almeno?» Il suo tono di voce era stranamente implorante, se ne rendeva conto. «Anche l'anno di produzione mi potrebbe essere d'aiuto.» «Ascolti. Mi dia due o tre giorni e poi richiami. Per allora potrei avere qualcosa.» L'impiegata tacque, come se fosse pentita di ciò che aveva det-
to. Quindi aggiunse: «Ma... perché l'anno potrebbe esserle utile?» «È un'informazione riservata, mi creda. Però l'anno potrebbe spiegarmi parecchie cose. La prego, è importante.» L'impiegata rispose soltanto dopo qualche momento di riflessione. «Va be', d'accordo», concluse. Educatamente, lei ringraziò e riappese. 9. Caroline e Jackson Watts incrociavano lentamente verso il centro del lago Heron. A poppa del gommone nero, che pareva un mezzo da sbarco, il motore fuori bordo li spingeva al largo senza troppo rumore. Il cielo era incredibilmente azzurro, la luce del sole faceva scintillare come mica la superficie del lago. La giornata pareva giungere direttamente dalla giovinezza di Caroline. Avevano parlato poco, fino a quel momento. Jackson era passato a prenderla in un pickup verde con il piano di carico ingombro di canne da pesca. Erano arrivati al campo, un piccolo spazio rettangolare risalente agli anni '30, molto simile a quello del padre di Caroline, dove li attendeva una vera e propria casetta, con una piccola cucina e una bella vista del lago, fra gli alberi. Jackson le aveva mostrato il luogo con qualche imbarazzo; Caroline aveva notato un pastore tedesco addormentato accanto al camino in pietra e, sulla mensola, la foto incorniciata di una graziosa ragazza dai capelli castani, di circa tredici anni. Poi, come tante altre volte in passato, avevano disceso la scala in legno fino al gommone e, imbarcate due canne, avevano avviato la barca. Era proprio quello che facevano un tempo, quando volevano stare insieme, senza però sentirsi costretti a parlare finché non ne avessero avuto voglia. Sul lago non c'erano altre barche. Con un guizzo indolente ed esperto del polso, Jackson lanciò la lenza nell'acqua. Caroline appoggiò la schiena e lasciò penzolare le braccia dai due bordi del battello, godendosi il bel tempo. Dalla costa s'inerpicavano, su per le ripide colline, pini, betulle e aceri, creando attorno a loro una specie di nido. Il luogo dove era morto James Case era lontano - da lì non si vedeva - e lei intuì che Jackson non si sarebbe spinto da quella parte. L'aria era fresca e immobile. Lui abbassò il motore al minimo. Il gommone si muoveva appena e la lenza fluttuava pigramente nell'acqua. «Insomma, ci sei andata», disse infine.
Caroline guardava il cielo. «Sulla 'scena del delitto', come si dice? Sì. Mi ha fatto uno strano effetto, nel complesso.» Jackson abbozzò un cenno d'assenso. «Anche a me.» Entrambi tacquero nuovamente. Era stato così dolce, allora, pensò lei. Troppo precipitoso e ardente, certo, ma anche pieno di attenzioni. Si trattava della prima volta per entrambi e, di quello, non si poteva incolpare nessuno. Né aveva senso rammaricarsi che soltanto in seguito, e quindi non con Jackson Watts, desiderio e appagamento fossero diventati una cosa sola anche per lei. Vent'anni dopo, Caroline esaminò il volto di lui: le rughe ai lati degli occhi mentre sorvegliava la lenza; le guance, ancor più incavate sotto gli zigomi. Rammentò anche il suo sorriso di un tempo, beffardo e malizioso, e si rese conto di non averlo ancora rivisto. «Quella lettera», disse infine. Jackson assunse un'espressione tesa. «Sì?» «Ho sempre provato rimorso, per quella lettera», spiegò lei, titubante. «E, rivedendoti, il mio rimorso è diventato immenso.» Lui la guardò. «Perché?» «Perché ho ripensato a quanto ti volevo bene.» Jackson strinse le palpebre, chiuso nei suoi pensieri o, forse, nel ricordo delle sue sofferenze. «Non capivo come prenderla: 'Non telefonare, non scrivere, non cercare di raggiungermi... Non tornerò mai più'. Mi sentivo confuso.» Alzò le spalle. «Confuso e inadeguato.» Aveva pronunciato quelle parole senza enfasi o intonazioni particolari. Ma lei sentì di averlo ferito profondamente. Scosse il capo. «La cosa per me più difficile da spiegare, ancora oggi, è che non si trattava di te... Anche se questo, me ne rendo conto, non fa che peggiorare le cose. Perché il modo in cui ho agito non è stato tenero. Ma, allora, non ero una persona tenera. Forse, non lo sono nemmeno adesso.» Jackson le rivolse uno sguardo interrogativo. «Ti limitasti a scrivere che era necessario. Come se, per qualche motivo, non avessi altra scelta, se non comportarti così.» Tacque, quasi per riflettere. Poi mormorò: «Per tutti questi anni, mi sono domandato che cos'era successo. Tu non hai semplicemente lasciato me. Hai lasciato un luogo, una famiglia, una vita che tu stessa avevi pianificato in tutto e per tutto». «E proprio questo è il motivo per cui puoi credermi quando dico che non si trattava di te.» Lui distolse lo sguardo, posandolo sulla superficie lucente del lago.
«Andai da tuo padre, per sapere. Non resistevo più.» Caroline provò una stretta al petto. «E lui, che cosa ti disse?» «Che avevi le tue ragioni ma che, appunto, erano tue. E che neppure lui avrebbe potuto farti tornare, ne era convinto. Pareva che gli facessi tornare in mente qualcuno che voleva soltanto dimenticare. Da quella volta, l'ho visto molto di rado.» Tornò a guardarla e chiese: «Che cosa ti ha cambiata, Caroline?» «Ti prego», rispose lei con un sorriso amaro. «Non voglio diventare una di quelle single egocentriche che reputano materia da romanzo ogni loro palpito adolescenziale. Questo m'imbarazzerebbe ancor più della vergogna che provo.» Jackson non sorrise. Si limitò a osservarla per un po', poi disse, piano: «Non sei stata tu ad avviare questa conversazione. L'ho fatto io». Lo sguardo di lei si fece serio. «Se parlarti della mia famiglia avesse il minimo senso, lo farei. Ma non ne ha. Ti domando soltanto di credermi e di accettare le mie scuse. Se non è troppo tardi.» Lui parve studiarla. «No», disse infine. «Non è troppo tardi.» Si guardarono a lungo, in silenzio. Poi Caroline disse: «Credo che proverò a mettere in acqua la lenza». Pescarono insieme. Per Caroline, quei momenti possedevano una qualità atemporale, erano un rito celebrato insieme con un amico, una cosa in cui ci si poteva ritrovare nel breve volgere di un istante, anche dopo anni di separazione. Fu lei a parlare per prima. «Dunque vuoi diventare giudice...» esordì. «Già. Mi sto convincendo che il mestiere del procuratore sia più adatto ai giovani. E credo - spero - di avere il carattere giusto per condurre un processo.» Un breve sorriso. «Non come il tuo, naturalmente.» Lei alzò un sopracciglio. «Esibizionista, vuoi dire?» Per la prima volta, le rivolse un mezzo sorriso simile a quello che Caroline ricordava. «No, stavo pensando alla tua ammirevole correttezza. E alla tua erudizione. Così mirabilmente messe in mostra dalla TV.» Le lanciò un'occhiata di sbieco. «Ti ricordi quando hai deciso che avresti fatto il giudice? Una grande ambizione per una donna, allora. Per un'adolescente, poi...» «Sì», rispose schiettamente Caroline. «Ero troppo sicura di tutto, all'epoca. Compreso il diritto assoluto a qualsiasi cosa desiderassi.» «Vivere a Masters Hill può contribuire a formare opinioni del genere»,
ribatté lui con identica schiettezza. In silenzio, condivisero un ricordo piacevole, uno scherzo degli anni ormai lontani. Figlio del pastore congregazionista di Connaughton Falls, Jackson non aveva mai avuto molti soldi; mentre Caroline studiava a Dana Hall, lui frequentava il liceo locale, lottando, un anno dopo l'altro, per ottenere la borsa di studio e andare al Williams College. Ogni estate, al ritorno di Caroline, Jackson s'informava con aria solenne sulla vita nell'alta società. Eppure, anche nell'adolescenza, lui sembrava felicemente libero da invidia e rancori... Tra loro era sempre stato soltanto un gioco affettuoso. «Mi sono sempre chiesto», riprese lui, «quanta parte della tua ambizione di diventare giudice derivasse in realtà da Channing.» «A quei tempi? Un bel po', forse. Comunque, già parecchi anni fa, è diventata la mia ambizione. Per cui non lo so più e non ha più importanza, per me.» Jackson agitò la lenza nell'acqua, nella speranza di attrarre un'immaginaria trota. «Significa molto per te, dunque.» Caroline lasciò vagare lo sguardo. «Più di quanto riesca a dirti», confessò infine. «Tanto che il semplice parlarne mi terrorizza. Come se potessi perderla.» Il volto di lui assunse un'espressione grave. «Questa faccenda di Brett... Parli sul serio, quando dici che non la tratterai tu?» Sentì che il calore di prima l'abbandonava. «Sì», rispose. «Parlo sul serio.» Poi lo studiò a lungo, in silenzio, e infine disse: «Sarai un buon giudice, Jackson. Sei sempre stato corretto. E lo sei tuttora, è chiaro». Lui parve voler controllare il mulinello. In quel momento, Caroline percepì l'assenza di una donna nella sua vita. Quindi si sentì a disagio, al pensiero di quanto poco ormai sapeva di lui, e del fatto che non gli aveva chiesto quasi nulla di sé. In particolare perché Jackson, in qualche modo, aveva continuato a interessarsi di lei. «Dimmi del tuo matrimonio», chiese allora. Jackson recuperò qualche metro di lenza. «Così, tutto in una volta?» Lei sorrise. «No, se non ci hai mai pensato su. Anche se ritengo che, ormai, tu un po' debba averci riflettuto.» «Be', quantomeno mi sono fatto le mie belle razionalizzazioni.» Si appoggiò all'indietro, sul bordo dell'imbarcazione. «Carole è una di quelle persone che si definiscono 'l'anima della festa': ha un gran sorriso, la risata pronta, i posti e le persone nuove le fanno da stimolante. Dapprima, ne rimasi affascinato. In seguito, mi scoprii a pensare che, più che una qualità,
fosse un sintomo.» «Che cosa vuoi dire?» «La mia attuale immagine di Carole, tirata a lucido grazie a una lunga serie di sedute da un terapeuta, è che sia insoddisfatta: qualsiasi sorpresa riservi il futuro sarà migliore, perché nel presente c'è sempre qualcosa che non va. Ricordi che, una volta, anche tu hai detto una cosa del genere a proposito di tua madre?» Per Caroline si trattava di un ricordo doloroso. «Lo credevo allora. Non sono certa di pensarla ancora così.» Si sforzò di assumere un tono ironico: «Comunque, sul tema della tua ex moglie, Jackson, sei un adulto qualificato a parlare». Lui diede una scrollata di spalle. «In ogni caso, eravamo diversi. La mia vita mi soddisfaceva. Lei pensava che mi divertissi soltanto io, per cui decise d'iscriversi a Giurisprudenza. Tuttavia, una volta trovato il modo di raggranellare i soldi necessari - erano i primi anni di matrimonio -, decise che disprezzava tutti gli uomini di legge. Temo di essermela presa.» Si lasciò sfuggire un sospiro. «Forse non avrei dovuto. Ho capito più tardi che Carole era fatta così: si lasciava affascinare da un mestiere, lo provava, lo trovava deprimente, se ne cercava un altro, lo lasciava. Questa, credo, divenne la mia colpa... I fine settimana erano tragicomici: Carole poltriva a letto, poi si alzava e rimaneva in accappatoio fino a mezzogiorno, completamente apatica. Finché non andavamo a qualche festa e, allora, si accendeva come una lampadina. Più sorrideva a tutti quegli estranei, più covavo la mia rabbia silenziosa, per la falsità di mia moglie. E, naturalmente, avevo troppa paura perfino per parlarne. Come quasi tutti gli uomini di legge, detesto i conflitti che hanno luogo fuori dei tribunali. Quantomeno quei conflitti in cui non esistono regole.» Tacque per un po', e concluse in tono più calmo: «Sai, Carole aveva anche un pessimo carattere, con violenti scoppi di collera. Le regole per quel genere di scontri non le ho mai imparate». «Che cosa è successo, infine?» Jackson rifletté per qualche secondo, poi disse: «Da un certo punto di vista, è stata una specie di barzelletta. Una di quelle cose che leggi sul New Yorker. Un giorno, dopo colazione, mi sentii male di stomaco, tornai a casa inaspettatamente e la trovai a letto con il suo personal trainer. Nel più classico stile Carole, sempre all'ultimissima moda... Voglio dire, era troppo trendy per scoparsi il vicino di casa, e perfino il suo terapeuta». Nella sua voce riecheggiava ancora lo stupore di allora. «Sai che cos'ho pensato?
Che non la vedevo farlo da sopra da anni...» Caroline cominciò a ridere. «Scusami», riuscì a balbettare. «Ma, insomma, perché non il giardiniere...» «Perché il giardiniere non ce lo potevamo permettere, soprattutto dovendo già pagare il personal trainer. Comunque, in quella occasione, ho capito che mi mancava l'energia per salvare il mio matrimonio... Non mi era rimasta neppure una goccia di buona volontà.» Un accenno di sorriso non arrivò a rallegrargli lo sguardo. «Per cui, l'unica cosa che mi rimase fu una bella storiella che, prima d'oggi, non avevo mai raccontato ad anima viva.» Lei lo guardò, senza più sorridere. «Immagino avessi la sensazione di uno scherzo... vuoto.» «'Vuoto' è la parola giusta. Mi sentivo svuotato: l'avevo amata tanto da sposarla e, a quel punto, non provavo più nulla. Neppure quel tanto che mi avrebbe permesso di fare un tentativo, per nostra figlia.» Caroline attese, in silenzio. «Sai che cosa mi turba, adesso?» riprese Jackson. «Ricordare quanto ero preso dalla carriera. Probabilmente è stata la mia indifferenza a rovinare Carole e il nostro matrimonio. Penso che all'inizio, quando la nostra unione era ancora importante, avrei potuto fare qualcosa. Forse ero proprio io, la maggior causa della sua infelicità.» Caroline lo studiò per un po'. «Io non c'ero, Jackson... Ma direi di no.» Jackson alzò le spalle. «Be'», concluse, «quel che è fatto è fatto.» Lei prese la canna con una mano, sempre guardandolo. «Quanti anni aveva tua figlia?» «Otto. Un'età non facile.» Manovrando la barra, fece disegnare al gommone un pigro circolo, per allontanarlo da riva. «Ha sedici anni, adesso. E non sembra un'età tanto facile neppure questa, almeno per noi.» «Come mai?» La fissò. «Suvvia, Caroline... Quante cene sgradevoli avrai già dovuto sopportare, con padri divorziati che ti raccontavano di bambini che non conoscevi e dei quali, dopo aver ascoltato le loro storie, non t'importava nulla?» «Non abbastanza», rispose lei con un sorriso. «La farò breve, allora: non c'è niente di originale, per cui non mi sarà difficile. Carole fece di Jenny la sua piccola confidente, un surrogato di adulta. Allora non ero per lei una presenza abbastanza forte o, forse, abbastanza sollecita da contrastare quello stato di cose.» Scrollò le spalle. «Og-
gi abbiamo un rapporto più cordiale. Ma ha pur sempre sedici anni: le sue priorità sono la scuola, le amiche, il ragazzo e, necessariamente, una madre con cui fare i conti. Il che, è ovvio, relega papà un po' in fondo alla lista.» Fece un sorrisetto. «Sarai contenta di aver domandato, eh?» «A dir la verità, sì... Mi sono sempre chiesta che cosa perdevo, rinunciando ad avere un figlio. Suppongo che dipenda dalle circostanze.» Il sorriso di lui fu più autentico. «Dipende dai giorni. Ma, anche così, non so che cosa farei senza di lei.» Ma perché? si chiese Caroline. Per un istante, a dispetto di tutto, invidiò a Jackson quel sentimento. Ma era un pensiero che non riusciva a esprimere. Di nuovo, tacquero entrambi. Lei recuperò la lenza, effettuò un nuovo lancio. L'istintiva facilità delle cose la sorprese. Il silenzio tra loro le parve più profondo, più triste, più definitivo. D'un tratto, la lenza ebbe un sussulto. «Gesù», esclamò lei, «un pesce.» Mentre la lenza filava, lui si voltò a guardarla, sorridendo. «Be', era questa l'idea, no? Ricordi ancora come fare?» «Certo», lo rimbeccò lei, e diede uno strattone di lato alla canna, tenendo ben stretto il mulinello. Al suo fianco, Jackson osservava la scena con divertito interesse. Caroline si rese conto che il pesce, di qualsiasi pesce si trattasse, era forte. Rammentò le insidie di quell'istante cruciale - la rottura della lenza, il pericolo che la preda si slamasse - e, con la canna che si piegava per la resistenza opposta dal pesce, recuperò la lenza, chiedendosi se avesse preso un persico o una trota. «Piano», mormorò Jackson. La lenza era più vicina alla barca, più corta nell'acqua. A un certo punto, il pesce in lotta emerse in superficie. I suoi colori scintillarono al sole. Caroline sorrise. «Trota.» Lui spense il motore. Caroline si gettò all'indietro e la canna si piegò sull'acqua. Un secondo salto, poi un terzo mentre lei lavorava al mulinello, rapidissima. Un improvviso spostamento della canna, e la trota giacque ai suoi piedi, a occhi spalancati, sussultando e tremando per lo shock della sconfitta e la terribile assenza dell'acqua. «Una bellezza», si congratulò Jackson. Caroline abbassò lo sguardo sulla trota e, con un abile movimento delle dita, rimosse con cura l'amo.
Per un attimo, tenne la trota vibrante in entrambe le mani. Poi si alzò un poco dal sedile e, a metà altezza, la gettò nell'acqua: un lampo scintillante d'arcobaleno e argento, che poi scomparve. Insieme, rimasero a fissare i cerchi che si propagavano sulla superficie del lago. «Sono contenta d'essere venuta», disse lei. Jackson le sorrise. «Ti andrebbe di cenare con me? Al Trout Club, naturalmente. Per onorare il tuo gesto umanitario.» Caroline tacque, pensierosa. «Sì», rispose infine. «Mi andrebbe.» 10. Il Trout Club era una costruzione irregolare a un unico piano, risalente alla fine del secolo scorso, con una spiaggia privata ingombra di canoe e kayak, sedie a sdraio sul prato di fronte al lago e una veranda con altre sedie, poltrone e tavolini per l'aperitivo. Il bisnonno di Caroline aveva contribuito alla sua edificazione con una offerta in denaro: su una parete della sala principale campeggiava un suo ritratto con tanto di fiero cipiglio e baffi irti. Tutt'intorno a lui, vecchie canne di bambù si alternavano a foto di soci da lungo tempo dimenticati, molti dei quali celebravano l'antico legame fra uomo e pesce: gentiluomini trionfanti e qualche occasionale dama del passato tenevano ben in mostra un persico, una trota o un salmone, alcuni dei quali di dimensioni straordinarie. Caroline aveva frequentato il club fin da quand'era bambina e, una volta, aveva commentato che, per finire su quella parete, le persone dovevano essere morte quanto i loro pesci. Channing, divertito da quell'uscita della ragazza, aveva risposto che sperava di non dover mai vedere la sua foto in mezzo alle altre. «Non preoccuparti», aveva dichiarato lei. «Non c'è pericolo.» Caroline si fermò nel vestibolo. «Niente è cambiato», disse. Jackson sorrise. «Siamo nel New England. Il cardine del nostro stile di vita è l'ostentazione... al contrario.» Aveva ragione, pensò lei. Ci voleva una specie di genio per fare in modo che quel posto avesse sempre l'aria di aver bisogno di una buona mano di pittura. «Vuoi assaporare l'atmosfera o preferiresti bere qualcosa qui fuori?» chiese lui. «Andiamo fuori, grazie. Che scelta ho?» «Scotch. E scotch.»
Caroline sorrise. Non c'era bar. I soci tenevano i liquori nei loro armadietti privati, mentre la birra e il vino bianco stavano vicino alla cucina, in un enorme frigorifero il cui uso era regolato soltanto dalla parola d'onore dei membri del club. In veranda, c'era una macchina per il ghiaccio. «Berrei uno scotch», disse lei, accomodandosi su una sedia di tela. Jackson gettò la giacca a vento sulla spalliera della sedia di fronte, si rimboccò le maniche della camicia di jeans e andò a prendere da bere. Tornò dopo qualche minuto, con un secchiello per il ghiaccio, due bicchieri sbeccati e una bottiglia di Glenlivet. «È un buon whisky», commentò lei. Quando le riempì il bicchiere, non protestò. Rimasero seduti nell'ormai consueto silenzio. Caroline bevve un primo sorso e sentì il whisky ardere. Ne bevve un secondo, con lo sguardo fisso sulle canoe e sui kayak al di là del prato, e sul lago, che il tardo sole di quella serata d'inizio estate tingeva di un azzurro acciaio. «Incredibile», disse infine. «Che cosa?» «Essere qui.» Lui si voltò, come se volesse decifrare il suo tono di voce. «Ti sembra così strano?» «Sì, molto strano... Sai, andarmene mi ha richiesto parecchie energie.» «Dove abiti ora?» «Ho un attico.» Nell'evocarne l'immagine, Caroline la trovò spaventosamente distante. «Su, a Telegraph Hill. Molto moderno, tutto a vetrate, con un giardino pensile sul tetto. Se è la giornata giusta vedo non soltanto la baia e la città, ma anche il mare aperto.» Jackson sembrò figurarselo. «Alquanto diverso dal New Hampshire.» «Decisamente.» Terminò il suo whisky. «Sei mai stato a San Francisco?» «Una volta, con Carole. Mi è sembrata piuttosto bella.» «Sì e no.» Cercò d'immaginarlo a San Francisco: all'opera o invitato a qualche cena di gala oppure mentre mangiava calamari in un ristorante alla moda. Ma non riuscì a scorgere che un uomo pratico, concreto, che si guardava intorno con interesse e con un certo ironico distacco. In un certo senso, il New Hampshire era davvero una parte importante di quell'uomo. Assorta nelle sue riflessioni, Caroline fissava il prato davanti a sé. Dal lago, un uomo solo sul suo kayak si diresse verso riva, poi smise di pagaiare e lasciò che l'imbarcazione proseguisse fino a scivolare sui ciotto-
li della spiaggia. Quindi tirò il kayak in secco e si diresse a passo spedito verso il club. Era sui sessant'anni, magro, con una frangia di capelli bianchi. Mentre si avvicinava, e sebbene portasse gli occhiali, lei notò che aveva gli occhi di un azzurro luminoso. Vedendo Jackson, sorrise e li raggiunse. «Salve, Hugh», Jackson lo salutò cordialmente. Poi, sul punto di presentargli Caroline, parve bloccarsi. Ma l'uomo le si era già rivolto. «Salve», le disse, in tono perplesso. Ma poi, non senza qualche titubanza, le sorrise. «Scusi, ma lei non è Caroline, la figlia di Channing?» Anche lei gli rivolse un sorriso. «Proprio così.» Lui le tese una mano. «Sono Hugh Askew, presidente della Connaughton County Bank... Faccio affari con Channing da parecchi anni.» Tacque, poi riprese: «Scusi se le ho fatto l'esame. Non credo l'avrei riconosciuta... se non fosse stato per la TV. Mi pare che manchi da un pezzo, vero?» «Infatti, è da un po' che non venivo qui.» Il sorriso del visitatore si spense. Caroline pensò che doveva aver capito - o almeno sospettato - che cosa facesse da quelle parti, ma fosse troppo educato per parlarne. In particolare, data la presenza di Jackson Watts. «Bene», disse Hugh con voce pacata. «Bentornata. Sono certo che suo padre è orgoglioso di lei.» «Grazie.» L'uomo rivolse un breve cenno del capo a Jackson e se ne andò. Caroline era imbarazzata, molto meno a suo agio di prima. «Forse non avremmo dovuto venir qui.» Jackson le lanciò uno sguardo comprensivo, poi scrollò le spalle. «Non credere che questa gente intenda giudicarti, Caroline. E poi, tu e io ci conosciamo da molti anni.» «Com'è stato, per te, vivere qui?» Lui parve soppesare la domanda. «Questo è il mondo che conosco. Forse questo la dice lunga su di me... Fatto sta che mi è sempre bastato. Mi basta tuttora.» Bevve un sorso. «Se facessi fuori abbastanza scotch, magari me ne uscirei con una tirata di pura filosofia jeffersoniana: che questo luogo è l'ultima fucina della civiltà, dove le persone sono per bene e riservate, dove i villaggi regolano da sé le loro faccende e dove persino i politici possono vivere senza mentire troppo.» Le sorrise di nuovo. «Ma dovrei aver bevuto...»
«E il Patriot-Ledger dove lo metti, in questo quadretto?» «Ah, per sistemarci anche quello mi toccherebbe bere davvero tanto.» Il suo sorriso si spense. «Ce ne andiamo, allora? Davvero, come vuoi...» Ma che cosa voglio, in realtà? si chiese Caroline. Infine, si accorse che Jackson, ma forse anche il whisky, aveva mitigato le sue ansie. «Rimaniamo ancora un po'», rispose e versò a entrambi un altro dito di whisky. Cenarono in veranda. Jackson trovò una candela, tirò fuori dal frigorifero una bottiglia di chardonnay e portò due piatti caldi dalla cucina. «Trota», annunciò. «L'equilibrio naturale è ristabilito.» Lei sorrise, finì il terzo scotch e fissò lo sguardo sul lago. Stava calando l'oscurità: l'ultima luce del giorno pareva fumo sospeso sulle acque nere. Si sentirono i primi grilli e, involontariamente, Caroline pensò alla notte descritta da Brett, chiedendosi di nuovo quanto di vero ci fosse, nelle sue parole. Fu sul punto di chiedere a Jackson notizie degli spacciatori di droga, ma - per tatto e per tattica al contempo - soffocò l'impulso: se non fosse emerso nulla, la difesa fondata sul trafficante di droga avrebbe perso credibilità. Era molto meglio, per l'avvocato di Brett, tenersi la possibilità di rimproverare un agente per non aver indagato in quella direzione quando se lo fosse trovato davanti come testimone al processo. «A che pensi?» Jackson chiese. «Perché?» «Perché avevi quel tuo sguardo velato e pensoso di quando discutevamo di politica, e stavi per ficcarmi un pugnale retorico nelle costole. Metaforiche, per fortuna.» A Caroline tornò il sorriso. «Stavo pensando di ficcare la forchetta in questa trota, letterale, per fortuna», rispose, e così fece. Era freschissima, saltata al burro... perfetta con un po' di limone. «È eccezionale», commentò. «Sono secoli che non mangio una trota così fresca.» Jackson le versò il vino. Sorseggiandolo, e assaporandone il retrogusto secco, Caroline si rese conto di aver superato di gran lunga i limiti alcolici che si era autoimposta. Da un lato, se ne preoccupava; dall'altro, era addirittura sorpresa di quanto fosse piacevole. «Quando ti ho domandato dove abitavi», disse Jackson, cauto, «intendevo anche se, con te, vive qualcuno.» Lei scosse la testa. «Nemmeno una trota.»
In tono ancor più cauto, lui riprese: «Mi sembra di aver letto da qualche parte che non ti sei mai sposata...» Caroline gli scoccò un'occhiata di traverso e Jackson abbassò lo sguardo, neanche fosse stato colto in flagrante. Allora, improvvisamente, scoppiò a ridere. «Perché non mi chiedi se sono sempre dalla parte giusta, Jackson?» Lui la fissò, sbalordito, si prese la testa tra le mani e cominciò a scuoterla, come se avesse commesso una gaffe imperdonabile. «Voglio dire, ho considerato ogni sorta di possibilità. Se mi avevi voltato le spalle così di colpo...» Caroline rise di nuovo. «Vuoi dire che, magari, me ne sono andata a Martha's Vineyard per le vacanze estive e sono diventata lesbica?» Jackson alzò le mani. «Per favore, mi arrendo. Aiutami a uscirne.» «Eterosessuali o lesbiche, le donne che vivono sole, senza legami evidenti, sono abituate a sentirsi chiedere cose del genere, per quanto, di solito, la domanda venga formulata da perfetti idioti. Ricordo una splendida battuta di Martina Navratilova: quando un giornalista imbecille le chiese se era 'sempre gay', lei ribatté: 'L'alternativa sei sempre tu?'» Lui sorrise, imbarazzato. «Scusami. Comunque, era soltanto un pensiero estemporaneo.» Il suo sguardo, tuttavia, si accese di curiosità: «A sentirti parlare, Caroline, sembri molto determinata nel tuo essere single». Lei bevve un sorso di vino, riflettendo sulla risposta da dare. Da parecchio tempo aveva preso l'abitudine - un'abitudine che confinava con la superstizione - di non rivelare granché di quelle cose che riteneva più intime. Ma in quel momento e, magari, soltanto per quella notte, la sua scelta le sembrava un po' troppo solitaria. Guardò, all'altro capo della tavola, il volto gentile di Jackson Watts, un amico ritrovato, non importava se per breve tempo e in modo ancora fragile. Attraverso Jackson, perlomeno, una parte del suo passato riusciva ancora a comunicare calore al presente. «Determinata?» ripeté in tono sommesso. «Credo piuttosto che una simile scelta, fatta inizialmente magari per proteggersi, diventi poi un'abitudine. Così, anche se pensi di voler fare di meglio, poi scopri che il tuo equipaggiamento emotivo si è arrugginito. Che non sei più abituata all'intimità. Ti scopri incapace di piccoli compromessi.» Alzò le spalle. «O, forse, non te ne importa più...» Lui la guardò, serio. «E allora, che cosa fai? Vivi sola e basta?» Forse, pensò Caroline, era colpa del vino, della protezione offerta dall'oscurità. Forse era il bisogno di dirgli la verità su qualcosa. Di sperare che non la giudicasse male. Allora, con gli occhi fissi sul bicchiere, chiarì:
«Quello che faccio, Jackson, è avere qualche breve relazione. A volte, in vacanza, per un'unica notte... Se dura di più, finisce sempre per andare a cozzare con il lavoro o con chissà che». La sua voce prese una sfumatura ironica. «Recentemente, pare abbia sviluppato un debole per gli uomini sposati da tempo. Con un paio di questi sono stata davvero bene e, soprattutto, non c'è la minima possibilità che entrino nella mia vita. E che neppure lo vogliano, se sono sensibili a sufficienza.» Le sue dichiarazioni lo ammutolirono. Caroline concentrò di nuovo lo sguardo sul lago, una distesa nera sotto la cresta dei monti illuminati dalla luna, poi lo vide riempire i bicchieri. «Be'», disse lui, meditabondo, «tutti tiriamo avanti, in qualche modo.» Quando Caroline alzò lo sguardo su di lui, il suo volto era serio, ma sempre dolce. Levò il bicchiere e toccò quello di lei. «Brindo a te, Caroline.» Lei si appoggiò allo schienale. In silenzio, terminarono la cena e la bottiglia. Quando se ne andarono, la notte era fresca e senza vento. Salirono sull'imbarcazione, e Jackson avviò il motore; il suo basso ronzio mentre traversavano era l'unico suono, sul lago invaso dalle tenebre. Caroline sedette comodamente, godendosi l'aria della notte sul viso. Il calore del vino scemò a poco a poco, il senso del tempo tornò ad affacciarsi alla mente. La tregua di cui aveva goduto stava volgendo al termine. Osservò Jackson che pilotava, concentrato nella ricerca della sua casa di pesca. «Là», indicò. Una volta arrivati, Jackson saltò giù, Caroline gli gettò la cima e lui la legò a un palo. Le porse una mano mentre saliva sulla banchina. Con sorpresa di Caroline, non gliela lasciò subito. Abbassò lo sguardo sulle loro mani unite, come se si sorprendesse a sua volta e, infine, lasciò che le dita di lei scorressero via. Jackson si ficcò le mani in tasca. «Posso offrirti qualcosa prima che te ne vada? Caffè, brandy...» Una pausa di silenzio, poi Caroline annuì. «Brandy.» «Bene.»Jackson si voltò e prese a salire gli scalini. Lei lo seguì. Le cime degli alberi erano agitate dal vento e nell'aria si diffondeva il pieno aroma dei pini; ricordò di quando dormiva al campo di pesca del padre, il senso di benessere che le dava il bosco intorno alla casetta. Vide che in cielo brillavano le stelle.
Entrarono nella costruzione. Jackson si diresse verso il camino, vi gettò un po' di legna, s'inginocchiò, sparse l'esca e accese un fiammifero. Il fuoco prese vita. Caroline era in cucina, in piedi, e guardava le prime fiammelle blu e arancioni salire dal ciocco che bruciava. Jackson si rialzò. «Adesso ti verso il brandy.» Senza guardare Caroline, attraversò la cucina, aprì un armadietto, ne tirò fuori due bicchieri da brandy e una bottiglia di cognac. Poi, con attenzione, a testa china, versò il liquido nei bicchieri. Voltatosi, ne porse uno a Caroline, e alzò il suo. Lei reggeva il bicchiere nelle due mani, a coppa. «Be', non so... Ecco, non voglio andarmene senza dirti qualcosa. Cioè grazie.» «Ma per che cosa?» «Per avermi perdonato, facendomi capire che mi eri ancora amico.» Lui la guardò con un'espressione strana, vulnerabile e sorpresa. In un soffio, disse: «Dio mio, Caroline...» Lei sentì una stretta al petto. Senza pensare a nulla, lo raggiunse, gli prese il brandy di mano e posò i due bicchieri sul bancone. Poi tornò a guardarlo, incerta. «Che succede?» chiese lui. Caroline gli prese il volto fra le mani. La sua camicetta gli sfiorava il petto. Jackson la scrutò, come per essere sicuro di aver capito. «Credo di ricordarmi...» mormorò. Caroline stava ancora sorridendo quando lui la baciò. La bocca di Jackson era calda e, in qualche modo, familiare. Caroline chiuse gli occhi, e si strinse a lui. In silenzio, con dolcezza, lui la tenne fra le braccia, baciandole i capelli. Ma com'è possibile? si chiese Caroline. Cominciò a sentire un fremito d'eccitazione. Jackson si staccò da lei e, quando Caroline alzò lo sguardo, chinò il capo di lato, in muta domanda. Sempre tacendo, lei annuì. Con lentezza, Jackson le sbottonò la camicetta. Lei non staccava gli occhi dal suo viso. Quando ebbe terminato, Caroline si slacciò il reggiseno, che cadde a terra, e poi si tolse il resto. «Sei sempre bella», disse lui. Con un fugace sorriso, Caroline cominciò a slacciargli la camicia. Il corpo pareva immutato. Ancora snello, non più così solido, però lo
stesso. Quando la sua pelle venne a contatto con quella di lui, Caroline la sentì calda. Lui la guidò verso il fuoco. Lì vicino c'era un divano. Sempre tenendola per mano, Jackson glielo indicò con un cenno interrogativo del capo. Caroline alzò le spalle. Si stesero insieme, sistemandosi l'uno accanto all'altra. Jackson la baciò sulla fronte. «Non ho niente, con me», mormorò. «Ma sono a posto.» «Anch'io.» Dolcemente, Jackson prese a baciarle la gola. Caroline scivolò sotto di lui. Era sempre attento, ma adesso era diventato anche esperto. Esperto nel tocco delle labbra, delle mani, delle dita. Caroline sentì che il bacino aveva preso a muoversi indipendentemente dalla sua volontà. Lo afferrò alla nuca, d'un tratto affamata di lui, e premette la bocca contro la sua. Quando la penetrò, fu differente. Caroline si spinse contro di lui. Allora, non avevano mai avuto quella calda, fiduciosa tranquillità, la sicurezza che tutto sarebbe andato per il meglio. Caroline perse coscienza di ogni cosa, tranne che del calore dei loro corpi, del lento, persistente impeto di Jackson che si muoveva dentro di lei, del suo muoversi con lui... in fretta. Sempre più in fretta. Caroline gridò il suo nome, e poi esplose, sentendolo entrare una volta di più. Con le dita intorpidite, e il mondo ancora buio e chiuso, si aggrappò a lui mentre le veniva dentro. Dopo, rimasero sdraiati uno accanto all'altra, senza né voglia né bisogno di parlare. Guardavano la danza delle ombre proiettate dal fuoco. Siamo nella categoria seniores, pensò lei con affetto: ciò che perdiamo in giovinezza, lo guadagniamo in grazia e benessere. Almeno, così pareva con Jackson. Sempre in silenzio, gli diede un bacio di tenerezza e approvazione. Lui le sorrise. «Meglio?» «Meglio.» Lo baciò di nuovo. «Cara, vecchia Carole.» La frase lo fece ridere. Quando rifecero l'amore, un'ora dopo, Caroline gli montò sopra. Al mattino, Caroline si svegliò nel letto di Jackson. Le tempie le scoppiavano a causa dello scotch e del vino.
«Salve», disse lui. «Ciao.» Lui posò la testa nell'incavo del braccio e rimase a studiarla, come per valutare di quale umore fosse. «Stai bene?» chiese. «Non è che mi sia trasformato in una zucca, vero?» Lei non sorrise. «No. Per niente.» Jackson alzò un sopracciglio. Parla, se vuoi, diceva la sua espressione, io non ti spingerò di certo. D'un tratto, Caroline si sentì profondamente disgustata di se stessa. «Questa notte ho agito egoisticamente... Mi piaceva stare con te e non volevo che finisse. Ma, alla luce del mattino, sono di nuovo il... quasiavvocato di Brett. Che ha pensato bene di accrescere la sua confusione etica scopando con il pubblico ministero.» L'espressione di Jackson diventò seria. «Se può esserti d'aiuto, pensa a me come a un ex fidanzato, Caroline.» Ma, per lei, la realtà di Brett riempiva ormai tutta la stanza. «Vorrei che così fosse.» «Sia che tu la difenda sia che rinunci?» Si sfregò gli occhi. «Non lo so, Jackson. Ti prego, devo ripensare per bene a tutto quanto.» S'interruppe, e soggiunse: «Questo, fra l'altro, non va assolutamente inteso come riferimento alla colpevolezza o all'innocenza della ragazza. Tuttavia il fatto stesso che debba dirtelo chiarisce il problema». Jackson taceva. Caroline si sedette sul letto. «Credo proprio che farei meglio ad andarmene», mormorò lei. «D'accordo.» Si rivestirono in silenzio. «Pronta?» lui chiese e si diresse, svelto, alla porta. Lei si fermò, toccandolo su un gomito. Jackson si voltò. Caroline cercò di sorridere. «Pensavo di darti un bacio d'addio. Qui, dove nessuno può vederci.» Lui rimase in silenzio, a guardarla, serio in volto. Lentamente e con decisione, lei lo baciò. «Come vorrei che non fossi la pubblica accusa!» Lui accennò un sorriso. «Come vorrei che tua nipote fosse un'altra!» Raggiunsero il pickup. Durante i dieci minuti di strada fino al paese, chiacchierarono del più e del meno. Di quello che Jackson avrebbe fatto quel giorno. Di quanto poco
era cambiata Resolve. Di tutto, tranne che di Brett. Quando si fermarono davanti all'albergo, Jackson decise di non scendere. «Mi piacerebbe vederti ancora, prima che tu parta», disse. Caroline gli sfiorò una mano. «Quantomeno, parleremmo un po'.» Lentamente, Jackson annuì. Lei si costrinse a scendere. Prima ancora che il pickup sparisse dalla sua vista, era già entrata in albergo. Era di nuovo un avvocato che dava inizio alla sua giornata di lavoro. 11. In realtà, prima che l'avvocato Caroline Masters stabilisse il da farsi, passarono alcune ore. Impiegò un'altra ora nel trasferimento in auto fino al Chase College. Jackson Watts, nel frattempo, non le era affatto uscito di mente. Il campus era ricco di alberi, ondulato e cinto da colline. Un fiumicello, attraversato da un ponte coperto, serpeggiava in mezzo agli edifici di mattoni in stile gotico (tra i quali spiccava la torre dell'orologio sormontata da una guglia) e proseguiva verso un ampio spazio verde. La costruzione dove aveva abitato James Case, un piccolo condominio a due piani in periferia, era invece figlia dell'epoca di Eisenhower, e lo si capiva anche dal fatto che il rivestimento esterno di mattoni era stato dipinto. Daniel Suarez abitava al secondo piano. Caroline salì le scale, trovò la camera 203, e bussò. Il ragazzo che venne ad aprire (non poteva avere più di vent'anni) era alto, snello, con gli occhi marroni e luminosi. La sua aria sensibile, un po' meditabonda, lo rendeva piuttosto attraente. «Lei è la zia di Brett?» chiese. «Sì. È stata Brett a parlarmi di te.» Le fece cenno di entrare. La stanza dalle pareti di calcestruzzo ricordò a Caroline tante altre stanze, di molto tempo addietro, a Harvard o a Radcliffe: abiti sparsi ovunque, pile di libri e riviste, odore di cibi stantii dal cucinino. Perfino i poster - gli Stones e i Led Zeppelin - non erano cambiati poi granché. Caroline si scoprì a sorridere di fronte a un Charlie Watts dai capelli grigi. «Le piacciono, gli Stones?» Daniel chiese. «Un tempo, sì», rispose distrattamente. «Adesso sono più per Sheryl Crow e i REM. Oggigiorno, la nostalgia fa male.»
Una scintilla di divertito apprezzamento. «Specie a mio padre. Impazzisce ancora per i Grateful Dead.» «Ah, be'...» Lei scrollò le spalle. «Comunque, grazie per aver accettato di vedermi.» «Certo. Posso offrirle qualcosa?» «Hai una Coca-Cola?» «Credo di sì.» Andò in cucina, setacciò il frigo e tornò con una lattina gelata di Pepsi. «Va benissimo», lo rassicurò. Si mise a sedere in cucina e Daniel si piazzò su una sedia di fronte a lei, con un'espressione incerta. «Allora: hai visto Brett, qui», Caroline esordì. «Già.» Fece un cenno con il capo verso l'appartamento vicino. «James stava qui accanto, lei ci veniva spesso e, sa, era un continuo andirivieni per chiedere in prestito questo o quello... Latte, roba da mangiare, qualsiasi cosa. Due o tre volte abbiamo finito per chiacchierare un po'.» «Com'era, lei?» Daniel annuì, guardingo, come se confermasse qualcosa a se stesso. «Era molto simpatica. Si stava bene in sua compagnia... sembrava una giusta, insomma. E poi si poteva parlare di tutto.» «E James?» Daniel tacque per un po', fissando con gli occhi socchiusi il tappeto macchiato. «Era diverso», rispose infine. «Anche lui era sveglio e aveva talento, credo. Ma sembrava più chiuso in se stesso, rispetto a lei.» «Quali amici aveva?» Il ragazzo si concesse un attimo di riflessione; se meditasse sulla verità o soltanto sulla risposta da dare, Caroline non seppe stabilirlo. «Essenzialmente, Brett.» La fissò negli occhi, con uno sguardo limpido. «I poliziotti davvero pensano che l'abbia ucciso lei?» «Non vedo come possano crederlo.» Lei lo scrutò. «Ne deduco che sono stati qui.» Daniel alzò le spalle, ma parve quasi un tic. «Già.» «Che cosa volevano sapere?» «Praticamente le stesse cose che mi ha chiesto lei. Chi frequentava James, se conoscevo Brett, com'era la loro relazione...» «Se spacciava...» «Anche.» «E che cos'hai risposto?»
«Che non spacciava a me.» «Ci ha mai provato, James?» «No.» E, dopo una pausa, precisò: «Non m'interessa, quella roba». Lo sguardo era fermo. Ma lei era certa che un'accurata perquisizione dell'appartamento avrebbe rivelato la presenza di un po' di marijuana, magari nel cassetto delle calze. Soltanto che Daniel Suarez non voleva ammetterlo. Caroline si limitò a fissarlo. L'altro incrociò le braccia sul petto, a disagio sotto lo sguardo deciso della donna. «Comunque che importanza può avere 'sta storia della droga?» Lei sapeva che, se gli avesse detto la verità, si sarebbe chiuso ancora di più in se stesso. Ma non c'era altra scelta. «Prova a immaginare che James avesse problemi con quelli della droga. Che avesse bidonato chi lo riforniva, per un qualsiasi motivo...» Daniel parve riflettere. «Di una cosa del genere non avrebbe mai parlato con me», rispose. Ancora una volta, si guardarono dritto negli occhi. Caroline ebbe l'improvvisa certezza che quella risposta fosse veritiera, e l'ammissione che James spacciava - implicita nelle sue parole - fosse un segnale voluto. Considerò la possibilità che James Case avesse mentito a Brett sull'effrazione nel suo appartamento, per dare un tocco di drammaticità al racconto, ma non sul problema in sé. Si rese allora conto che leggeva nell'animo di Daniel Suarez con una facilità maggiore di quanto non le accadesse con Brett, e quella scoperta la addolorò. Approfittando del silenzio di Caroline, Daniel si chinò verso di lei. «Se potessi aiutarla, lo farei», disse in un soffio. La miglior linea di condotta, stabili lei, era di farlo uscire allo scoperto. In tono scettico, ribatté: «Ah, davvero? E perché mai?» «Perché non mi piaceva come James si comportava con lei. Anche se credo che Brett avesse deciso di sopportarlo.» Caroline sentì crescere in lei la sorpresa e la tensione. «Che cosa intendi, in particolare?» chiese, con fare disinvolto. Daniel le scoccò un'occhiataccia, poi alzò le spalle. «Può anche darsi che Brett non sapesse.» «Che lui la trattava male?» S'interruppe ma, subito dopo, quasi contro la sua volontà, chiese: «Come si fa a non sapere una cosa del genere?» Daniel intrecciò le dita. Ma allora, dicevano i suoi occhi marroni, non lo
sai neanche tu. «C'era una ragazza che veniva qui... Una bionda. So soltanto che si chiamava Megan.» «'Qui'?» «A trovare James.» «Sarà stata un'amica.» Caroline tacque, ostentando un disinteresse che era ben lontana dal provare. «Veniva spesso?» «Qualche volta... Un mattino, è venuta a bussare alla mia porta. Aveva indosso una maglietta di James. Voleva che le prestassi un po' di latte.» Lei si appoggiò allo schienale della sedia. «Ti ha detto qualcosa di particolare, questa ragazza?» Il volto di Daniel si era fatto serio. «Mi colpì soprattutto il suo atteggiamento: era sopra le righe, compiaciuto, una specie di esibizione. Come se volesse far sapere a tutti, perfino a me, che si scopava James.» Rifletti, si ordinò Caroline. Tacque un istante, formulando con cura la domanda successiva. «Quando la polizia ri ha chiesto della relazione fra Brett e James», disse infine, scandendo le parole, «che cos'hai risposto?» Si guardarono negli occhi. L'improvvisa sensazione di arrivare a capirsi senza bisogno di parole attraversò Caroline come un brivido. «Ho raccontato che andava tutto bene.» Il primo, vago sorriso. «E, per quel che ne so, era così.» Quando squillò il telefono, Caroline stava camminando avanti e indietro nella camera. Afferrò il ricevitore. La nasale cantilena di una segretaria annunciò che la senatrice anziana della California chiamava Caroline Masters. Udì un clic, e poi fu in linea con la senatrice. «Caroline?» Il tono era secco, professionale. «Al tuo ufficio mi hanno detto dove ti avrei trovato. Come stai?» Lei inspirò profondamente. «Potrei stare meglio... Abbiamo una specie di problema familiare.» «Così mi dicono. Oggi ha telefonato Walter Farris. Per segnare un punto a suo favore e, ho scoperto poi, nella speranza che facessi da cassa di risonanza alle sue ansie. Ed eccomi qui.» Caroline chiuse gli occhi. «Grazie», disse, anche se forse non era la risposta più adatta. «Oh, figurati.» Dopo qualche istante di silenzio, la senatrice riprese, in tono comprensivo: «Di certo è terribile per te, e per tutti voi. E so che desideri fare tutto ciò che è opportuno per aiutare tua nipote».
A Caroline non sfuggì l'accento sulla parola «opportuno». «È così, naturalmente. Ma non c'è poi molto che possa fare.» «Lo immagino. Speriamo, comunque, che la cosa non approdi a nulla, e tua nipote ne esca per il meglio... E, allora, quando conti di riuscire a tornare?» «Fra tre o quattro giorni, penso.» «Bene.» Una pausa. «Dopotutto, un buon numero di persone ha lavorato sodo per questa candidatura. Tu più di chiunque altro.» «Grazie», rispose Caroline. «Apprezzo molto quanto hai detto.» «Allora, arrivederci a presto», disse la senatrice e chiuse la comunicazione. 12. Il mattino dopo, l'impiegata della reception chiamò Caroline in camera per avvisarla che, nell'atrio, l'attendeva Mr Watts. La notizia la meravigliò: non si aspettava di vederlo. Si guardò nello specchio, dandosi un'occhiata distratta ai capelli, poi scese. Era seduto in poltrona. Vedendola si alzò, ma non le rivolse il sorriso che Caroline, in qualche misura, si aspettava. Lo sguardo era tetro. In tono casuale, lei chiese: «Che c'è?» Lui gettò un'occhiata in direzione della reception. «Usciamo, che ne dici?» Uscirono in veranda, e sedettero, l'uno accanto all'altra, sul divano a dondolo. A eccezione di un ragazzino in bicicletta, la strada era deserta. «Credevo che fossi tornato a Concord», gli disse. Jackson le rivolse uno sguardo obliquo e profondamente infelice. «Dovrei essere a Concord, e vorrei esserci in questo momento», dichiarò. Lei si sentì mancare. «Brett», mormorò. «Dovrai trovarle un avvocato, Caroline.»Jackson emise un sospiro. «Abbiamo richiesto un mandato di arresto. E lo avremo nel primo pomeriggio.» «Per che cosa?» «Omicidio di primo grado.» Ieri mattina, pensò Caroline, mi sono svegliata al suo fianco. «È successo qualcosa», disse. Jackson annuì lentamente. «Ieri mattina, una nuova testimone si è messa in contatto con la polizia di Stato. L'ho incontrata ieri sera.»
Caroline ebbe una premonizione. «Che cos'ha detto?» Lui si alzò, con gli occhi fissi sulla strada. «Dichiara di essere l'amante di James. Stando alla sua deposizione, James le aveva chiesto di partire con lui per la California...» La frase suonava incompleta. «E...» «E Brett era ossessivamente gelosa. Anzi, per meglio dire, era ossessionata da James. Sorvegliava l'appartamento di lui per scoprire se aveva altre donne. Una sera, James ha portato a casa questa donna. E lei dichiara che Brett, usando la sua chiave, è entrata e li ha trovati a letto insieme. Ha minacciato di ucciderli entrambi.» Anche lei si alzò dal dondolo e gli si mise al fianco. «Ti suona convincente, tutto questo?» Senza distogliere gli occhi dalla strada, lui rispose: «Questa donna fa una buona impressione. Non è la solita pazza». «E allora perché ci ha messo tanto?» «Non è passato poi tanto tempo», ribatté lui. Poi, guardandola, aggiunse: «Quanta voglia avresti, tu, di diventare il testimone chiave in un processo per omicidio di cui si parlerà fin troppo?» Caroline posò le mani sulla balaustra della veranda. A bassa voce osservò: «Non ci vedo gli estremi per un omicidio premeditato. Anche se credi a quella donna». «Se ci credi, Caroline, allora Brett ha minacciato Case parecchio prima che fosse ammazzato. Delle due l'una: o Brett lo ha portato al lago con l'intenzione di ucciderlo oppure, trascinata dalla droga e dal vino, ha avuto un'esplosione di gelosia e gli ha tagliato la gola senza pensare a quel che stava facendo. E immagino che questa sarà l'argomentazione del suo avvocato difensore.» Lei chiuse gli occhi. «Come si chiama questa ragazza?» Jackson scosse lentamente il capo. «Devo proteggere la sua privacy. Qualora l'avvocato di Brett desideri leggere la sua deposizione, a tempo debito gliela farò avere. Ma non adesso.» Raddrizzandosi, Caroline incrociò le braccia e cercò di controllare la sensazione d'impotenza che l'aveva assalita. «E la libertà su cauzione?» Lui si accigliò, e rispose in un tono da pubblico ministero, concreto e ben preparato. «Dovrei oppormi, e vincerei. Nel New Hampshire, l'omicidio di primo grado esclude virtualmente la cauzione.» Caroline cercò di figurarsi Brett in prigione, però la sua mente si opponeva a quell'immagine. «In nome di Dio, Jackson, non c'è rischio di fuga.»
Lui la studiò. «Non c'è ragione di discutere, su questo punto. Ti prego di credere che mi dispiace.» «È questo che sei venuto a dirmi?» «Sono venuto per prendere accordi, in modo che Brett si presenti spontaneamente. E, sebbene mi risulti difficile, per dirtelo di persona.» «Quali accordi?» «Non la metteremo sotto accusa fino a domani pomeriggio, in modo che abbia un po' di tempo per stare con la sua famiglia. Seppure con la scorta di un'auto della polizia, sarete voi ad accompagnarla al carcere di Connaughton Falls, dove le visite sono più facili da ottenere. Cercherò di tenere lontana la stampa.» Lei sapeva bene che Jackson non avrebbe potuto concedere di più. «È tutto?» Per un istante, Jackson la guardò in silenzio. «È tutto.» Caroline annuì. «Grazie.» Lui fece per andarsene, poi le si fermò accanto, posandole una mano su un braccio. Lei fissò lo sguardo sul braccio finché Jackson non lasciò ricadere la mano. «Arrivederci, Caroline.»Jackson raggiunse il pickup e partì. Caroline si diresse in auto verso Masters Hill, sotto un'acquerugiola non dissimile da quella che l'aveva accolta il giorno del suo arrivo. Larry era in biblioteca. Senza preamboli, Caroline chiese: «Dov'è Brett?» «È fuori per una passeggiata.» Larry parve analizzare la sua espressione. «Qualcosa non va?» «Va' a cercare Betty.» Lui si alzò, allarmato. «È meglio che sia presente anche Channing?» «Trovami Betty, per amor del cielo!» Quando Larry tornò con la moglie, Betty era pallida. «Che c'è, Caroline?» «Per favore, sedetevi.» Sedettero entrambi. Caroline osservò la sorella e il cognato; nelle poltrone imbottite sembravano piccoli piccoli, come se si fossero ritirati. Larry cercava di mantenere la calma; il volto di Betty si era fatto giallastro. «Non c'è un modo gentile per comunicarvi quanto ho saputo», esordì Caroline, a bassa voce. «Ho appena visto Jackson. Brett sarà messa in stato d'accusa, per omicidio premeditato.» Betty dischiuse le labbra, ma non emise suono.
«Perché?» riuscì a dire Larry. «C'è una testimone... una donna che sostiene di aver avuto una relazione con James. Brett li ha scoperti e ha minacciato di ucciderli entrambi.» Betty strinse i pugni. «Ma è ridicolo. Lei non minaccerebbe mai...» S'interruppe, e Caroline vide, negli occhi grigi della sorella, la rabbia trasformarsi in angoscia. «Chi è questa donna, Caroline?» «Non lo so.» Per un attimo, considerò l'eventualità di chiedere a Larry se conosceva una studentessa di nome Megan, ma poi vi rinunciò: troppo grave era il rischio che Betty - e perfino Larry - facesse un gesto sconsiderato. «Jackson non me l'ha detto, perché...» «Perché è una bugiarda.» C'era qualcosa di commovente nella rabbia di Betty. Non era la prima volta che Caroline vedeva l'espressione di una madre che si rendeva conto di come il figlio fosse intrappolato in un sistema legale che lei non poteva controllare o che magari non riusciva neppure a comprendere. Prima d'allora, però, la madre era sempre stata un'estranea, e il figlio nulla più di un cliente. «L'avvocato di Brett lo saprà presto, comunque», precisò Caroline, pacata. E si accorse che Larry aveva afferrato all'istante l'affermazione implicita nella sua frase. Betty, invece, fu più lenta ma, quando capì, il suo volto s'imporporò. «Non vuoi aiutarla tu?» chiese. Caroline si costrinse a mantenere il controllo. «Non pensavo che lo volessi. E non dovrei comunque. Per il bene di Brett.» «Per il bene di Brett.» Betty si alzò, e nella sua voce si mescolarono turbamento e scherno. «È questo che chiami altruismo?» La sorella incrociò le braccia sul petto. «Sì», rispose, gelida. «In mancanza di altri termini, possiamo intenderci con quello.» Larry attraversò la stanza e prese Betty per un braccio. «È una decisione che spetta a Caro. Noi dobbiamo guardare avanti, adesso.» «Suggerirei qualcuno di questo Stato, uno che conosca le leggi di qui, scritte e non scritte», riprese Caroline in tono più calmo. «Papà conosce di certo qualche bravo avvocato.» Betty la squadrò. «E che cosa farai tu per lei?» «Oltre a dare al suo avvocato la migliore consulenza che potrò fornirgli?» Caroline trasse un sospiro, e concluse: «Tornare a casa. Per il bene di tutti, e per tutte le ragioni che mi hanno impedito di far parte di questa famiglia per oltre vent'anni».
Sul volto di Betty passò un'intera gamma di sentimenti: esitazione, disgusto e, infine, la paura per Brett, una paura tale da annullare ogni altra emozione. «Betty», mormorò Caroline. «È la cosa più onesta che io possa fare, a questo punto. Tutto è stato stabilito molto tempo fa, quando ho deciso di andarmene. Non c'entra quello che hai fatto, o quello che posso provare al riguardo.» La donna si appoggiò all'indietro sulla poltrona, pesantemente e senza grazia, il volto istupidito dal timore e dalla confusione. Larry le posò la destra su una gamba. Entrambi tenevano gli occhi bassi. «C'è comunque un'ultima cosa che, per il bene di Brett, mi piacerebbe molto discutere», disse Caroline. Larry impiegò qualche istante prima di riuscire ad alzare il capo. «Sì?» «Mio padre aveva un coltello da pesca... Un Cahill con l'impugnatura d'osso, che teneva nella rimessa. Dov'è?» Il volto di Larry si rannuvolò. «Che vuoi dire?» «Betty?» Caroline attese che la sorella alzasse gli occhi. «Nostro padre dice che lo ha regalato a qualcuno. Anni fa.» Betty le lanciò uno sguardo tagliente. «E tu che cosa dici?» «Che la questione potrebbe essere sollevata», disse Caroline in tono neutro, «e che, se ciò accade, sarebbe nell'interesse di Brett che tutta la famiglia avesse gli stessi ricordi, in proposito. O che, quantomeno, nessuno desse risposte avventate.» L'espressione di Larry si fece dura. «Caroline, io non ho risposte. Non ne so niente delle cose di Channing.» «Maledetta!» esplose Betty. «Tu pensi che l'abbia ucciso Brett.» Caroline si mantenne impassibile, e rispose in tono calmo: «Io non penso niente. È a voi che consiglio di pensare». Betty strinse le labbra. «Qualsiasi cosa dica nostro padre, Caroline, è la verità. Se questa è la tua domanda.» Caroline la fissò, poi si rivolse a entrambi. «Lo dirò io stessa a Brett. Ci sono cose che devo spiegarle. Sono certa che non vi dispiacerà se l'aspetto in veranda.» 13. Caroline la vide in lontananza: sotto la pioggerella, Brett non era che una sagoma incappucciata che avanzava a testa bassa.
Prima di alzarsi e di uscire dalla veranda, lanciò un'occhiata al cielo. Poi andò incontro alla ragazza. Finché non fu abbastanza vicina da udire lo scricchiolio dei passi di Caroline sulla ghiaia del vialetto, Brett non parve accorgersi della sua presenza. Si fermò a studiarne il volto, con le mani nelle tasche dell'incerata gialla. «Che fai, Caroline? Cerchi di beccarti la polmonite?» disse, ma senza sorridere. Sul volto serio, l'angoscia era visibile. Per un tempo spaventosamente lungo, Caroline si limitò a fissarla. Infine, sottovoce, osservò: «I clienti mentono continuamente ai loro avvocati. Dovrei essermi abituata». La ragazza le rivolse uno sguardo strano, come se si sentisse in trappola, divisa tra senso di colpa e sorpresa. Dischiuse le labbra, ma non emise suoni. «No», riprese Caroline. «Quello di liberarti dai tuoi tormenti è compito mio. Ti prego di dirmi chi è Megan.» Brett abbassò gli occhi. Poi si raddrizzò e, guardandola, rispose: «Una donna che stava con James». L'altra annuì. «È ciò che lei stessa ha dichiarato a Jackson.» Gli occhi verdi di Brett si specchiarono in quelli di Caroline. «Era una storia finita.» «Davvero? Forse non ti seccherà parlarmene.» Lentamente, la ragazza assentì. Quando riprese, la voce le si era arrochita. «James era così attraente... Per uno come lui, era una debolezza. Questa ragazza, questa Megan, cominciò a corrergli dietro per tutto il campus... in biblioteca, all'unione studentesca, fuori dell'aula alla fine delle lezioni. Sembrava quasi che avesse ricostruito i suoi spostamenti.» Sul volto di Brett apparve una strana inquietudine. «C'era qualcosa nel suo comportamento che dava i brividi...» «E quale fu la reazione di James?» Brett fece per rispondere, poi, come colta da un pensiero improvviso, mormorò: «Scusami, Caroline. Vorrei che non fossi tanto arrabbiata con me». La donna piegò la testa di lato. «Sono arrabbiata?» «Sì. Nel tuo modo particolare, lo sei.» E, nel dir così, gli occhi verdi di Brett parvero riempirsi di sfida e di vulnerabilità al contempo. «I miei sentimenti, quali che siano, non hanno la minima importanza», rispose infine. «I tuoi sì. E quelli di James ancora di più.» La ragazza incrociò le braccia sul petto. «Credo che, all'inizio, James
fosse attratto da lei. Essere praticamente pedinato può lusingare parecchio.» «Così la vedevi tu? Era lei che lo... pedinava?» Brett annuì. «Fin lì potevo perdonarlo. Non era lui l'aggressore...» La voce si smorzò. Caroline sentì i capelli umidi, il viso bagnato. Vedeva il fiato evaporare nell'aria. «E che cosa fu invece più difficile perdonargli?» chiese sommessamente. Brett deglutì e abbassò gli occhi per rialzarli però un istante dopo. «Una sera sono andata da lui a riprendere alcuni appunti che avevo lasciato in camera sua. Pensavo fosse fuori. Invece trovai Megan.» «Trovai?» «Sì.» La voce aveva perso ogni intonazione. «A letto con lui.» «Che cosa accadde, dopo?» «Rimasi a guardarli a occhi sbarrati. James sembrava vergognarsi, si sentiva colto in fallo... almeno in apparenza. Lei invece quasi mi sorrise, con una luce stranissima negli occhi, come se mi avesse battuto in una gara. Non ho mai odiato tanto una donna.» Caroline registrò un dato importante: l'impressione che Megan aveva fatto a Brett era identica a quella che aveva fatto a Daniel. Seccamente, chiese: «E allora che cosa hai fatto?» Brett emise un sospiro, poi proseguì nel racconto. «Sapevo che mi sarebbe stato impossibile rimanere... Mi sarei messa a gridare o a piangere, avrei fatto la figura della stupida davanti a lui e a quella donna. Per cui levai la chiave dalla mia catenella, la gettai sul letto e dissi a James, nel tono più calmo che riuscii a trovare: 'Se vuoi parlarmi di questo, puoi venire da me'.» Tacque per un istante e poi, con la voce ridotta a un mormorio per il dolore che ancora provava, concluse: «A quel punto me ne andai». «Hai detto nient'altro? A lui o a lei?» «Un sacco di cose a lui. Ma a lei non ho mai rivolto la parola. Né allora né mai.» «No?» «No. Perché darle una simile soddisfazione?» «E James?» «Venne quella sera stessa.» Scosse la testa, e continuò a voce bassissima: «Mi promise che non sarebbe più successo, che era stata lei a inseguirlo dappertutto. Ma poi, forse, si rese conto di essere patetico, e scoppiò a piangere...» «E tu intanto che cosa facevi?»
«Me ne stavo seduta a scuotere la testa, credo. Gli dissi che probabilmente lui aveva qualche problema, e che io non riuscivo a conviverci. E che non avevo nessuna voglia di provarci...» Quindi, con voce piena di meraviglia al ricordo, soggiunse: «Voleva fare l'amore con me». Contro la sua volontà, Caroline scoppiò in una breve risata, che parve crudele perfino a lei. Brett la guardò. Nel tono sprezzante e rabbioso che doveva aver avuto allora, concluse: «Gli dissi che non l'avrei più fatto senza preservativo». La donna si mise le mani sui fianchi. «Ecco perché ne hai portato uno con te, quella notte. E perché non saresti andata con lui in California.» «Sì. In parte era per quello. Magari altre donne possono vivere con un dubbio del genere. Io non credo che ce l'avrei fatta.» Caroline la fissò intensamente. «Ma perché sei rimasta con lui?» Brett parve riprendere il controllo di sé. «Perché mi aveva fatto una promessa, e perché tenevo a lui quanto bastava per ritentare.» Distolse lo sguardo e soggiunse: «Per quel che ne so, ha mantenuto la parola». «Quando è accaduto, tutto ciò?» «In aprile.» La ragazza aveva di nuovo abbassato la voce. «Lo so perché mancavano due giorni al mio compleanno.» Dopo qualche istante di riflessione, Caroline chiese: «Lo hai mai minacciato? O hai minacciato lei?» «Minacciato?» Le lanciò uno sguardo penetrante, però il tono di voce era allarmato. «No. Mai. Chi lo dice?» «Megan, credo. Anche se Jackson non vuole dirmi...» «Ma sono stronzate...» Caroline si limitò a risponderle con lo sguardo. «Tu vuoi sapere perché non te l'ho raccontato», riprese Brett. «E perché dovresti credermi adesso.» Era giunto il momento di dirglielo, pensò Caroline. «Non ha più molta importanza...» «No», la interruppe Brett. «Voglio spiegare.» Caroline si sentiva stanca. «Lo so già», mormorò. «Hai pensato che saresti sembrata colpevole...» «È vero, ma soltanto in parte.» Gli occhi le si riempirono di apprensione. «In realtà c'è un'altra cosa che non ti ho detto...» «Che cosa?» «Quella notte abbiamo litigato.» S'interruppe, poi concluse: «Abbiamo litigato a causa di quella donna...»
Di fronte a James, nell'oscurità, Brett scosse la testa, come per schiarirsi le idee. «Troppe sorprese, e troppo ravvicinate. Non so più che cosa fare.» «Ma di che cosa parli?» Aveva un'espressione addolorata e, per qualche motivo, la cosa la faceva arrabbiare. «Di che cosa parlo? A parte quest'ultima faccenda?» James la studiò con rinnovata intensità. «Lei? Ma è tutto finito.» Brett s'irrigidì. «Hai un'idea di quanto profondamente mi hai ferita? Credi che l'averti trovato a scopare con quella puttana sia stato qualcosa di triste accaduta a te?» Poi, in tono sbalordito, aggiunse: «Ma esisto io, per te, al di là di quello che ti serve da me?» Lui tese le mani. «Ti prego, Brett. Smetterai mai di punirmi?» La voce di lei diventò gelida. «Non ti ho punito abbastanza. Ecco perché hai il coraggio di fare l'offeso. E perché il dolore e la rabbia che provo sono ancora così forti che, la notte, mi sveglio e mi sembra di vederti a letto con lei.» La sua voce echeggiava sull'acqua. James si guardò attorno, come se qualcuno potesse sentirli. In tono più pacato, rispose: «Lo so di averti ferito. Te lo si leggeva in viso. Quando scoppiai in lacrime, quella sera, per la vergogna di ciò che avevo fatto, hai pensato che piangessi soltanto per me?» In tono piatto, lei rispose: «Chi lo sa». James le si avvicinò. «Io lo so.» «Bene, io no. Non posso. Non ancora.» Scosse il capo. «Ho bisogno di tempo per capire se posso di nuovo fidarmi di te, capisci? E adesso mi dici che di tempo non ce n'è più. E per via dell'ennesima cosa in cui non posso mettere il becco. Ma non è che un problemino di droga, un problemino che ti fa saltar su a ogni minimo rumore nel bosco. Almeno così dici...» Volgendogli le spalle, Brett si diresse in riva al lago. Dopo un po', sentì i suoi passi che si avvicinavano, e vide riflessa nell'acqua accanto alla sua la snella figura di lui, di profilo, con le mani in tasca. Non cercò di toccarla. «Che farai?» Lei si strinse nelle spalle, disarmata. «Non so...» Perfino sotto la pioggia, il viso di Brett era rigato di lacrime. «Avevo paura di dirtelo», sussurrò. «Di dirti che ero così arrabbiata con lui.»
«Perché pensavi che avrebbe dato una cattiva impressione?» Scosse la testa. «Perché mi sembrava equivalente all'aver fatto qualcosa di male. Come se fosse stata la mia rabbia a ucciderlo...» Quell'affermazione turbò Caroline. «È questo che pensi sia accaduto?» chiese in un soffio. «No», rispose Brett con decisione. «Ma, per la polizia, rimaneva l'ipotesi che io avessi agito sotto l'influsso della droga - ricordi? Fosti tu a dirmi questo - e io mi spaventai. Mi dissi che non avrei mai potuto confessare il nostro litigio.» La donna la guardò. «Bene», disse sottovoce. «E non dovrai confessarlo. Neppure al tuo avvocato.» La ragazza spalancò gli occhi. Prima che potesse formulare una domanda, Caroline disse: «Hanno deciso di arrestarti, Brett. Per omicidio premeditato». Sconvolta, Brett parve arretrare di un passo. «Perché?» «Per via di Megan. Dichiara che eri tu a pedinare James per gelosia e che hai minacciato di morte entrambi. Nella posizione in cui è, Jackson non aveva molta scelta.» Non ci furono lacrime, né proteste. In tono depresso, Brett commentò: «Deve odiarmi proprio...» Caroline la scrutò, cercando di decifrare il significato di quella frase. Poi si fece forza e spiegò: «Jackson vuole che ti presenti spontaneamente. Ti tratterrà a Connaughton Falls. E credo che dovrai rimanerci fino al processo». La ragazza chiuse gli occhi. «Ascoltami, Brett», riprese Caroline con dolcezza. «I tuoi genitori già sanno. Prima che tu prenda qualsiasi decisione, dovete parlare, di tutto. Io vi darò una mano a trovare un avvocato.» L'altra annuì con un lento cenno del capo. In quel gesto, Caroline lesse qualcosa di straziante. Come se Brett pensasse di meritare il suo abbandono, perché aveva mentito. La ragazza deglutì e riaprì gli occhi. «Domani ci sarai?» chiese semplicemente. Caroline era indecisa, ma, nel vedere l'espressione sul viso di Brett, rispose: «Sì, naturalmente». In silenzio si voltarono e, con le mani affondate nelle tasche, si diressero insieme verso la villa.
Il pomeriggio successivo, quando venne a prendere Brett, Caroline trovò assurdo che il tempo fosse così bello. La ragazza l'attendeva in veranda, con un borsone accanto a sé. I genitori e il nonno erano accanto a lei, riuniti in un bizzarro gruppetto. Channing appariva scosso, afflitto e molto invecchiato; era come se la sua stessa mortalità fosse affiorata in superficie, sulla pelle. Betty e Larry erano tetri, non sapevano che cosa dire o fare. Betty aveva negli occhi la ferita di un colpo troppo pesante e improvviso da assorbire; fissava Brett con uno sguardo così pieno di paura e di amore inespressi che Caroline non riusciva a guardarla. Si fermò davanti a Brett e le parlò con calma. «Dobbiamo andare.» La ragazza annuì e si voltò verso la sua famiglia. Caroline arretrò. Osservò Betty accoglierla con un abbraccio formale e baciarla sulla guancia senza versare neppure una lacrima; poi la donna si mise a fissare la veranda, a braccia conserte. Scorse quindi il pallido sorriso di Larry mentre le stringeva le spalle. E poi fu la volta di Channing, l'unico con gli occhi pieni di lacrime. Parlò con voce roca e forte. «Non preoccuparti. Ti farò uscire presto. Credimi, Brett.» Vane promesse di un vecchio, pensò Caroline. L'epoca del suo potere era ormai ben lontana. Allora, come se se ne rendesse conto, Brett attirò a sé il nonno. Con movimenti rigidi e goffi, la ragazza voltò loro le spalle, raggiunse Caroline e le fece un cenno d'assenso. Mentre si avviavano, Betty squadrava la sorella come se le avesse rapito la figlia. Nell'auto, Brett le spiegò: «Ho chiesto che non venissero. Avrebbe soltanto peggiorato le cose». Caroline annuì. «Ti sei portata qualche libro?» «Sì.» Mentre Caroline accendeva il motore, la ragazza mormorò: «Come sarà, questo posto?» «Sostanzialmente un po' squallido.» Cercava di apparire pratica e obiettiva. «C'è di buono che è un ospedale riconvertito in carcere, per cui non è stato progettato come prigione. Una scelta d'economia, nella grande tradizione del New Hampshire.» Per qualche istante, il tormento scomparve dagli occhi di Brett. Caroline supponeva che la ragazza avesse bisogno di un po' di tranquillità, per cui, nei venti minuti del tragitto, rimase in silenzio. Ma, per lei, furono i venti
minuti più lunghi degli ultimi anni. Anche la messa in stato d'accusa, in sé rapida e senza tensioni, si svolse per Caroline in una specie di nebbia; l'impressione più limpida che ne serbò fu lo stoicismo di Brett. Infine, come promesso, Jackson lasciò che accompagnasse Brett alla prigione di Stato. L'ex ospedale di Connaughton Falls - un edificio a tre piani in mattoni rossi, della fine del secolo scorso - ospitava anche la centrale di polizia. Caroline e Brett attraversarono il piazzale affiancate da due agenti. La ragazza teneva lo sguardo fisso sulle finestre dei piani superiori. «È lassù che starò?» chiese. «Sì. In una cella da sola.» Brett allungò il passo. Si voltò a guardare il piazzale illuminato dal sole. Caroline attese, con una mano sulla porta, finché la nipote non entrò. In mezzo a un rettangolo verde c'era la scrivania per la schedatura. Accanto al giovane agente seduto allo scrittoio, attendeva Jackson Watts, affiancato da una poliziotta con i capelli corti. A Caroline disse soltanto: «Sono pronti per lei». Il giovane agente la registrò, le prese le impronte e inserì in un vecchio computer i dati anagrafici. Jackson stava in piedi in un angolo; Caroline, accanto a Brett. L'espressione stoica che la ragazza si sforzava di mantenere rischiava di spezzare il cuore a Caroline. Era possibile che non l'avesse ucciso lei? si chiese. Forse, però, si disse, ho semplicemente attraversato la linea che separa un avvocato da... qualcos'altro. Il poliziotto la stava guardando. «Abbiamo finito», annunciò. Strappata ai suoi pensieri, la donna si rivolse a Brett, mormorando: «È ora». Qualcosa mutò nell'espressione della ragazza. Per rinfrancarla, Caroline la prese per le spalle. «Andrà tutto bene.» Uno sguardo implorante fu l'unica risposta; a quel punto, Caroline aveva già capito che Brett non le avrebbe chiesto di rimanere. In silenzio, la ragazza voltò la testa di lato. «Andrà tutto bene», ripeté Caroline, e la strinse a sé. «Non l'ho ucciso io...» Com'era minuta, pensò. Poi, al di sopra della spalla di Brett, fece segno a Jackson di aspettare. Lui annuì, con gli occhi fissi su di lei. Lei teneva fra le braccia Brett, che piangeva silenziosamente.
Passò così qualche minuto. La ragazza sembrò aver scaricato la tensione. Ma era Caroline che, a quel punto, non sapeva più come andarsene. Lentamente, Brett alzò lo sguardo su di lei. Nei suoi occhi brillavano sia la paura sia la risolutezza. «È passata...» Caroline sentì su di sé lo sguardo di Jackson, ultimo richiamo alla ragionevolezza. Poi, però, contro la sua volontà, prese fra le mani il viso della ragazza. «Starò qui finché non ti servirà un avvocato», mormorò. Al di là dell'espressione sorpresa e grata di Brett, la donna scorse lo sbalordimento di Jackson. Mentre l'agente la conduceva via, la ragazza non staccò gli occhi da Caroline. Jackson le studiava entrambe. Caroline si voltò e uscì dal portoncino di legno. Ormai era fatta. Sola in camera sua, Caroline non chiamò Masters Hill. Non parlò con nessuno. Accanto a lei, sul letto, c'era il biglietto con il numero della Cahill Knife Company. Con la sensazione di una definitiva perdita di volontà, Caroline prese il telefono. «Cahill», rispose la centralinista. Lei lesse il nome che aveva trascritto, e chiese di parlare con l'impiegata. Quando rispose, riuscì a sembrare abbastanza calma. «Parla Caroline Masters. Forse ricorderà che le ho telefonato l'altro giorno. A proposito del numero di serie di un coltello della Cahill.» Un attimo di silenzio. Poi l'impiegata disse, in tono gelido: «Come pensavo, non siamo in grado di dirle dove sia stato spedito, chi l'abbia comprato e neppure chi ne abbia curato la vendita». «Capisco... Tuttavia lei pensava che avrebbe forse potuto risalire all'anno di produzione.» «Sì.» La voce aveva assunto un tono più rilassato. «È tutto ciò che posso dirle.» Al telefono si udì, attutito, il rumore di un breve scartabellare. «Eccolo qui. A giudicare dai miei appunti, è stato prodotto nel 1964. All'inizio dell'anno.» Carolme riuscì a controllarsi e, con voce ancora ferma, ripeté: «Nel '64». «Come le ho detto.» «La ringrazio», disse cortesemente, e posò il ricevitore. Con uno strano distacco, alzò le mani davanti al viso, e vide che tremavano.
PARTE TERZA ESTATE 1964 1. Quando Nicole Masters le aveva proposto di portarla a Martha's Vineyard tre settimane prima del previsto, Caroline era rimasta sorpresa. «Saremo noi due sole», la madre aveva spiegato, con un sorriso. «Forse per poco, prima che ti esiliamo in collegio.» Caroline adorava il padre, e le sarebbe mancato. Tuttavia amava molto la casa a Eel Pond e le giornate in barca a vela, sul catboat che Channing le aveva comprato l'estate precedente. L'eccitazione della madre la compiaceva. Nicole era spesso distante, e d'umore tanto mutevole che la figlia non sapeva mai con certezza che cosa la madre provasse per lei, o per lo stesso Channing. Avviandosi a diventare una giovane donna, Caroline aveva sviluppato un'eccezionale sensibilità per i silenzi fra i genitori (sempre più frequenti), presagendo un complesso sistema di cause e di effetti: nell'affetto del padre per lei, Caroline percepiva il chiudersi in se stessa della madre. I segnali di chiusura che aveva colto erano, come spesso accadeva con la madre, taciti. Gli occasionali viaggi a New York con Channing - che un tempo sembravano il maggiore divertimento di Nicole - non avevano più luogo, anche se Caroline non sapeva perché. La reazione di Nicole era stata un calo d'interesse nei confronti della sua casa e del paese. Passava intere giornate in camera; con le altre signore del suo ceto - mogli di avvocati, medici e banchieri - manteneva rapporti di cortese frequentazione (un semplice sottoprodotto dell'importanza dei loro mariti), da cui recentemente era sparita qualsiasi parvenza d'mtimità. Quella primavera, inoltre, Caroline aveva notato che la madre, pur essendo un'amante della bellezza anche nelle piccole cose, non aveva piantato i fiori coloratissimi che di solito coltivava nel giardino retrostante la casa. E, guidata da un'istintiva cautela, si era astenuta dal chiederne il motivo. Il viaggio a Martha's Vineyard fu deciso all'improvviso. Erano seduti a tavola, per la cena; Channing stava raccontando, apparentemente soltanto alla figlia, come suo nonno avesse fatto trainare dai buoi, fino a Eel Pond, la loro casa per le vacanze. Seduta di fronte al marito, Nicole ascoltava con garbata attenzione, e aveva un'aria così impassibile che a Caroline pareva
di sentire i minuti passare nella mente della donna. A mo' di ricompensa per la storia, Caroline disse al padre: «Non vedo l'ora di tornarci. Quando partiamo?» Lui sorrise. «A luglio. Manca soltanto un mese.» «Forse potrai tornarci prima.» La madre non parlava da un po' e, quando le si rivolse, Caroline sobbalzò. «Può darsi che riesca a sbrigare i miei numerosi impegni, Caroline, e quindi a partire prima. Con il consenso di tuo padre, naturalmente.» La freddezza di quel tocco ironico costrinse la ragazza a lanciare una rapida occhiata al padre. Ma lo sguardo impenetrabile dell'uomo era fisso su Nicole che, a sua volta, non distoglieva gli occhi da lui. Forse soltanto Caroline avrebbe potuto leggere, nella reazione della madre, una sfida. A disagio, chiese: «Credi che potremmo, papà? Potrei uscire in mare con la barca nuova». Channing continuava a studiare la moglie. Poi si rivolse alla figlia, con un breve e pensoso sorriso. «Naturalmente, Caroline. È stato un lungo inverno. Per entrambe.» Guardandolo, la ragazza comprese che il fatto di avere la madre tutta per sé, lontano da casa, era sia un gesto di diserzione sia un motivo di sollievo. E si accorse che anche il padre lo aveva capito. Partirono il giorno successivo alla fine della scuola. Fecero tappa a Boston, dove comprarono qualche vestito estivo e cenarono al Ritz-Carlton. Il giorno seguente, Nicole, con gli occhi che le brillavano, regalò a Caroline un piccolo braccialetto d'oro e il suo primo paio di orecchini importanti. «Siamo diventate così provinciali», commentò la donna in tono divertito, «che rischiamo entrambe di fare la fine delle eroine di qualche romanzo gotico, tanto schiette e disadorne da dissuadere chiunque a sfogliare le pagine in cui appariamo. Una vera tragedia, per noi e per il mondo intero.» Quando arrivarono a Martha's Vineyard, quel viaggio aveva preso ormai il colore di una scappatella, di un'eccitante rivolta contro una tetraggine che soltanto la madre percepiva. Ma Caroline era ben lieta di assecondare il rinnovato buonumore della madre. Un pomeriggio, dopo aver giocato a tennis all'Edgartown Yacht Club, si fermarono a cena nello stesso club, noto per essere un bastione incrollabile del pensiero repubblicano. Dopo molte risate e, forse, troppo champagne, Nicole si chiese ad alta voce perché mai Barry Goldwater avesse tanto a cuore i negri del Sud da volerli liberare del difficile fardello del voto. Qualche testa si voltò verso il loro tavolo, ma Nicole non se ne
curò. «Questa gente», sussurrò mentre se ne andavano, «continuerà a chiedersi per tutta la vita perché gli altri non riescano a essere un po' più simili a loro, mentre io continuerò a chiedermi perché si vestano con quegli idioti pantaloni a quadri...» Sotto la superficie, però, i sentimenti della madre erano più seri. L'isola era percorsa da un gran fermento per i diritti civili: riti religiosi, raduni, interventi di giovani che venivano lì per le vacanze ma che, durante l'anno, lavoravano nel Sud. La domenica successiva a quell'episodio, Nicole condusse Caroline a una funzione in memoria di Medgar Evis, il leader del movimento per i diritti civili, che era stato assassinato. Benché la madre non le avesse detto nulla, non poté fare a meno di chiedersi se pensasse alla sua famiglia. Quando le sfiorò una mano, Nicole gliela strinse forte. Tuttavia, per la maggior parte del tempo, entrambe erano allegre, quasi euforiche. Quando decisero di andare al cinema, invece di Il giorno più lungo, Nicole scelse un film d'amore con Liz Taylor e Richard Burton, come aveva scelto un album dei Beades per la collezione di dischi. Se giocavano a croquet sul prato a picco sul Nantucket Sound, la donna, dopo essersi versata l'ennesimo bicchiere di vino, cambiava le regole: la gara diventava quindi così grottesca da porsi come antitesi al gioco geometrico di Channing, e loro si vedevano costrette a chiudere la partita per il gran ridere, e finivano per dividersi quel che rimaneva del vino. Ciononostante Nicole seguiva la campagna per le presidenziali con un'attenzione che non lasciava spazio alle battute di spirito: la sera in cui, alla convention repubblicana, Nelson Rockefeller venne zittito a furia di grida, la donna scosse la testa e mormorò: «È agghiacciante. Se penso che soltanto l'anno scorso c'era Kennedy...» Qualche tempo dopo, inoltre, disse: «Dunque anche gli americani avranno la loro guerra razzista». «Che vuoi dire?» «Il Vietnam. È atroce - e incredibilmente provinciale - che non imparino niente dall'unica cosa in cui i francesi siano davvero maestri: l'etnocentrismo.» Furono quei commenti a far scoprire a Caroline che cosa si nascondesse sotto la superficie dei mutevoli umori della madre: una donna caustica e disperata. E la possibilità di affacciarsi a quella finestra aperta sull'anima di Nicole si rivelò eccitante e sconvolgente al contempo perché permise alla giovane di comprendere, al di là dei pesanti silenzi della madre, l'incolmabile distanza che separava quest'ultima dalla famiglia. E infatti, durante quei primi giorni insieme, Nicole non accennò neppure una volta al marito.
Caroline ne fu particolarmente turbata. Poi, una sera, squillò il telefono e, da come Nicole rispose, la ragazza comprese che la chiamata non veniva da Channing Masters. Forse fu perché la voce di Nicole si era innalzata di tono, o per un lievissimo mutamento nel suo corpo snello, che si era bloccato in una immobilità felina. «Chi era?» chiese Caroline. Si trovavano in veranda; il tramonto pareva distendersi sul mare. Nicole posò il bicchiere; lo sguardo velato e pensoso che rivolse a Caroline pareva giungere direttamente dal New Hampshire, tanto era lontano dall'atmosfera degli ultimi giorni. «Oh, era un amico», rispose, in tono colloquiale. «Ricordi Paul Nerheim? Ha detto che spera di vederci, una volta o l'altra.» «Tutti?» Seguì un attimo di silenzio e la madre le rivolse un'occhiata penetrante, cancellata poi dal gesto di una mano. «Immagino che dipenda da quando ci vedremo.» La sua voce prese un tono asciutto: «Comunque ti darò tutte le informazioni del caso». Allora sa come mi sento, pensò Caroline. Ma non riuscì a decidere se fosse una consolazione. Ancora prima di capire come la pensava suo padre, Caroline aveva trovato sgradevole il sorriso di Paul Nerheim. C'era qualcosa in quel sorriso che lei non sopportava. Forse, rifletté in occasione di quella telefonata, era a causa dell'insistenza che quell'uomo dimostrava nel rivolgerlo alla madre. «Sei molto alta», aveva detto a Caroline. «Come una ballerina o un'adeta...» Era l'estate precedente e lei aveva tredici anni. Ancora non si era abituata al fatto di essere più alta di Nicole; i seni non erano pienamente sbocciati e temeva di somigliare troppo al padre. Consapevole di ciò, la madre aveva aggiunto: «O come la modella che io non avrei mai potuto diventare», risparmiando così alla ragazza l'obbligo di dire qualcosa. Channing Masters non aveva sorriso, quasi che volesse solidarizzare con la figlia. La famiglia - Channing, Nicole e Caroline - si trovava nell'ingresso della casa per le vacanze di Nerheim a Martha's Vineyard. Caroline interpretava la loro presenza in quel luogo come una sorta di rito sociale arbitrario, tipico degli adulti: per qualche motivo, Nerheim aveva chiesto loro di andare; qualcuno (Caroline immaginava fosse stata la madre) aveva accettato; e lei si chiedeva perché tutti avessero dovuto prendersi la briga di partecipare a
una cosa del genere. Aveva capito vagamente che Nerheim era un finanziere di New York; che aveva conosciuto i suoi genitori la sera in cui Nicole aveva convinto un riluttante Channing a portarla a un ballo a Edgartown; che Nerheim conosceva John F. Kennedy. Ma ciò che aveva sentito, con assoluta chiarezza, era che quell'uomo e suo padre non sarebbero mai stati amici. Erano diversi perfino nell'aspetto: Nerheim, abbronzato, indossava un maglioncino bianco da tennis e un orologio dal bracciale d'oro; Channing invece indossava una semplice camicia, un paio di pantalonacci larghi e scarpe comode, da montagna. Anche il volto sottile, gli occhi irrequieti e il vivace gesticolare di Nerheim parevano l'opposto della calma dignità di Channing, della sua aria di vigile discernimento. Nicole, sorridente, si era messa tra i due e aveva sfiorato un braccio di Nerheim. «Sei stato gentile a invitarci, Paul. E la tua 'casa di campagna', come la chiami tu, è incantevole.» Lo era davvero, a suo modo. Per arrivarci, avevano percorso una tortuosa strada sterrata che attraversava i boschi di Chilmark ed erano inaspettatamente sbucati su un prato immenso e curatissimo, davanti a una costruzione tanto eccentrica che Caroline ne era rimasta sbalordita. Era una struttura disordinata e bizzarra, con comignoli, finestre e abbaini sparsi ovunque, e una veranda chiusa da vetrate a forma di onde, che sembravano scorrere e accavallarsi nella veranda stessa. Nicole aveva fatto in modo di apparirne entusiasta. «Ma è meraviglioso!» aveva dichiarato. «E pensare che tante persone vivono in comunione perenne con i loro progenitori.» Caroline aveva lanciato un'occhiata furtiva al padre, che stava osservando la moglie con un mezzo sorriso. «Questa casa li farebbe ammattire, i miei progenitori», Nerheim aveva ribattuto, rivolgendo a Nicole un sorriso complice che pareva voler escludere Channing. «Se sapessi chi erano... Venite, vi mostro l'attico.» Avviandosi con loro, Caroline era capitata a fianco del padre. L'attico, tutto in tek lucido, aveva la forma della prua di una nave. A dispetto di se stessa, Caroline ne era rimasta impressionata. «Il primo proprietario aveva ingaggiato un mastro d'ascia, ma poi gli erano finiti i soldi», aveva spiegato Nerheim. «Il lavoro è rimasto a metà per anni, finché non l'ho fatto terminare io l'estate scorsa. Un capolavoro dell'artigianato navale.» «Galleggia?» aveva chiesto Channing, senza asprezza.
Il suo interlocutore era scoppiato in una breve risata. «Magari lo scopriremo con il prossimo uragano...» aveva risposto. «Ma dov'è la sala da ballo?» s'era intromessa Nicole. «Paul, tu che ami tanto danzare...» «Oh», aveva replicato lui, «adesso vi verso un po' di champagne e vi ci porto.» Con il bicchiere in mano, i genitori di Caroline avevano seguito Nerheim sul prato fino a un sentiero accuratamente lastricato e serpeggiante tra gli alberi. Giunsero così a una radura e a un campo da tennis in terra rossa. Si erano fermati accanto alla rete. Circondati da ogni parte dal bosco, non potevano essere visti né sentiti, dalla casa. Nerheim aveva fatto un buffonesco inchino. «È questo il salone delle danze?» aveva domandato Nicole. Nerheim aveva sorriso. «Naturalmente.» Durante la cena, servita da due camerieri silenziosi, Nerheim aveva parlato della stagione operistica di New York, dell'orchestra sinfonica, dei locali di jazz che conosceva. Nicole l'ascoltava, annuendo. Le sue domande avevano consentito all'altro di esibirsi in sapienti monologhi che, Caroline aveva notato, interessavano soltanto la madre. Tutte le domande che Nerheim aveva rivolto al padre, invece, erano state così abilmente cordiali da riuscire soltanto a evidenziare l'incapacità di Channing di condividere il benché minimo interesse con la moglie. Quanto alla ragazza, Nerheim non le aveva quasi rivolto la parola. «Posso andare a fare due passi?» aveva chiesto Caroline, prima del dessert. «Mi piacerebbe vedere l'oceano da qui.» «Naturalmente», aveva risposto il padre, consentendole di alzarsi da tavola senza degnare di uno sguardo il loro ospite. Fuori, nell'aria fresca della prima sera, la ragazza aveva respirato profondamente. Il sole stava calando dietro gli alberi. Caroline aveva percorso il sentiero nell'oscurità crescente del bosco, finché non era giunta a un bivio; incerta, si era fermata, poi aveva seguito il tracciato che, a suo parere, l'avrebbe condotta al mare. Ma gli alberi erano diventati via via sempre più fitti e nodosi. Soltanto dopo una ripida salita, guidata da uno squarcio di cielo serale inaspettatamente visibile nel folto, si era trovata all'improvviso su uno strapiombo, sopra l'eterno rifluire dell'azzurro Atlantico. La sorpresa le aveva procurato un attimo di vertigine, accelerandole furiosamente i battiti del cuore. Una cinquantina di metri più in basso aveva
visto una spiaggia sabbiosa; la scogliera d'arenaria arancione, segnata dal vento e dalle piogge, era così scoscesa che pareva precipitare da sotto i suoi piedi. Lungo il costone, una scalinata scendeva a zigzag fino alla base; attorno a essa, erano disseminati i resti scheletrici di altre scale, distrutte dalle tempeste. Caroline si era seduta a scrutare il mare. Aveva provato una strana sensazione. Prima d'allora, aveva sempre guardato all'oceano con timore reverenziale, mai con paura. Invece, quella sera, al di sotto della superficie grigioazzurra dell'acqua, aveva sentito il selvaggio tumultuare di una tempesta altrimenti invisibile, se non per i segni lasciati sulla tormentata parete a strapiombo. Passata quella curiosa impressione si era alzata, un po' malferma sulle gambe, ed era tornata indietro. Aveva trovato gli adulti in salotto, impegnati in una conversazione sulla lirica. Il padre aveva alzato lo sguardo su di lei, dalla poltrona. «Stanca?» le aveva chiesto dolcemente. Con grande sorpresa di Caroline, Nerheim aveva sfoggiato uno sguardo colmo di garbata sollecitudine per Channing, e a lei aveva rivolto un sorriso quasi addolorato. «Dovrebbe quantomeno sentirsi annoiata», era stato il suo commento. «Recentemente sono stato così solo che vaneggio su qualsiasi cosa m'interessi, senza preoccuparmi dei miei ospiti. Ti faccio le mie scuse, Caroline.» La ragazza non sapeva che dire. Ma l'espressione della madre era cambiata, come se quell'ultima considerazione l'avesse affascinata più di tutto ciò che quell'uomo aveva detto fino ad allora. «Quella che può sembrare noia, in Caroline è senso d'indipendenza», si era sentita in dovere di precisare. «Per quel che riguarda noi, a Resolve la rappresentazione di un'opera lirica è un evento quanto mai raro. Sei molto gentile a rammentarci ciò che accade nel vasto mondo.» Nel rivolgersi a Nicole, il sorriso di Nerheim si era acceso di nuovo calore. Forse soltanto a Caroline tutta quell'umiltà era parsa un indizio di eccessiva sicurezza. «Ti ringrazio, Nicole. Sono certo che Resolve sa offrire altri incanti. La prossima volta - e mi auguro che ci sia una prossima volta - ti lascerò spazio perché tu me li descriva.» La donna gli aveva risposto con un sorriso ambiguo. Per Caroline, avrebbe potuto significare qualsiasi cosa, da: naturalmente, sappiamo tutti benissimo che non rifaremo una cosa del genere... fino a: ti prego, dammi almeno un paio di giorni per trovarli, questi incanti di Resolve. Quando
Channing aveva posato la tazza di caffè e si era messo a studiare la moglie, Caroline aveva percepito una tacita umiliazione. La ragazza si era rivolta alla madre. «Sono un po' stanca. Se non ti rincresce...» «Ma naturalmente», aveva risposto Nerheim, con un sorriso indulgente, alzandosi. Sulla porta, il padrone di casa aveva posato una mano sulla spalla di suo padre, in un gesto cordiale, da uomo a uomo. Sapendo quanto il padre odiasse essere toccato da estranei, Caroline si era lasciata sfuggire una smorfia. Il viso di Channing, invece, non aveva mutato espressione. «Channing», aveva detto Nerheim, «ti ringrazio molto per avermi prestato la tua famiglia. Come dicevo, ho passato troppo tempo da solo, ultimamente.» L'altro gli aveva teso una mano, ristabilendo le distanze. «Grazie a te», gli aveva risposto con garbo. «Sei stato gentile a invitarci.» Nerheim aveva socchiuso gli occhi, poi si era rivolto a Nicole, prendendole una mano fra le sue. «Spero di rivederti. Di rivedervi tutti.» La madre aveva reclinato il capo; il movimento aveva suggerito a Caroline che, se non fosse stato per Channing, gli avrebbe offerto la guancia. «Oh, ma certo, Paul.» Nicole aveva dato un'occhiatala intorno a sé e aveva concluso: «La solitudine, in un posto come questo, dev'essere una vera croce, per te». Nerheim era scoppiato a ridere. «Oh, lo è, lo è», aveva ribattuto, lasciandole la mano. Il ritorno a casa si era svolto in silenzio. Dopo aver percorso un breve tratto, Channing si era fermato a un bivio, con gli abbaglianti fissi su un albero tutto contorto. «A sinistra», aveva mormorato Nicole. Per il resto del viaggio, era rimasta in silenzio. Più tardi, quella stessa sera, Caroline si era recata in cucina per prendere un po' di succo d'arancia, e aveva udito parlare nella camera dei genitori. L'ultima voce a levarsi era stata quella del padre. Pur consapevole di non doverlo fare, si era avvicinata furtivamente alla porta della camera. «È un uomo dozzinale e subdolo», stava dicendo il padre. «E tu lo hai lusingato tutta la sera.» «È un uomo educato, Channing. E io sono stata educata con lui. Facendo anche la tua parte.» «Tu sei mia moglie.» La collera che arrochiva la voce del padre era stata
una novità, per Caroline. «Non c'era bisogno che compensassi per me. Sono certo che esistono altre donne in grado di dare a Paul Nerheim tutta l'ammirazione di cui, evidentemente, necessita.» «L'ammirazione», aveva risposto lei a bassa voce, «è tutto ciò che mi rimane.» Nel buio di quel corridoio, Caroline si era sentita arrossire per la vergogna di aver ascoltato. Se n'era andata. Il mattino seguente avevano lasciato l'isola, quattro giorni prima del previsto. Un anno dopo, quel ricordo cadde come un'ombra fra Caroline e Nicole. «Non mi sento di vederlo», confessò Caroline alla madre. Nicole finì il vino. «Non sei obbligata a farlo», rispose distrattamente. «Nemmeno io so se lo vedrò.» 2. Con il passare dei giorni, Nicole divenne sempre più irrequieta. Le interessava meno giocare a tennis e non propose nuove escursioni. Si rifugiò nella lettura. Incoraggiò Caroline a mettersi in contatto con le figlie di altri villeggianti, sue amiche dagli anni passati. Per due sere di seguito, Nicole andò a camminare sulla spiaggia; mentre fissava il mare, con le mani affondate nelle tasche del cardigan bianco, Caroline la osservava, avvertendo un senso di perdita. Quando la madre tornò dalla spiaggia, la seconda sera, trovò Caroline ad attenderla. Con una schiettezza del tutto nuova in lei, chiese: «Stai bene, mamma?» Nicole parve sobbalzare, come strappata ai suoi pensieri. «Ti sembra di no?» La ragazza esitò. Temeva di esprimere ciò che sentiva. «Non so...» Lei le rivolse un fugace sorriso, poi, dolcemente, disse: «Non dipende da te, Caroline. Se è questo che hai percepito». Quel fragile rinnovarsi del loro legame portò un vago sollievo a Caroline. «Che cosa c'è, allora?» La madre scrollò le spalle. «Dev'esserci per forza qualcosa? Qualcosa che non sia, semplicemente, come sono fatta io?» Il tono era freddo, ma non scortese. «Anch'io ho i miei malumori, ecco tutto. Forse tu li noti di più adesso, dato che non c'è tuo padre a distrarti. Se è così, scusami.» Ma più che un'offerta di scuse era l'affermazione di un dato di fatto; Ni-
cole aveva ormai accettato il suo distacco dalla famiglia e chiedeva che l'accettassero anche gli altri. Ma Caroline non voleva. «Ho pensato... Domani, perché non passiamo la giornata fuori in barca?» propose la ragazza in tono vivace, come per infondere entusiasmo nella madre. «Raggiungiamo Tarpaulin Cove, dove mi ha portato papà l'anno scorso... Facciamo un picnic sulla spiaggia e andiamo a nuotare. Sul serio, ti divertirai.» Il sorriso di Nicole non riusciva a celare la tristezza dei suoi occhi. «Davvero?» «Certo», rispose Caroline. «Farò io i panini e governerò da me il catboat. Tutto quello che devi fare tu è venire.» L'altra la osservò, sempre con un vago sorriso sulle labbra. «D'accordo, allora. Come si fa a rifiutare, se la metti così?» Prima che la madre cambiasse idea, Caroline corse in cucina e cominciò i preparativi per il picnic. Quando squillò il telefono rispose Nicole, da un'altra stanza. Caroline uscì dalla cucina. «Il picnic è pronto», disse. «Era papà?» La donna parve studiarla. «Tuo padre avrebbe chiesto di te. Ma puoi chiamarlo tu, se lo desideri.» Il biasimo inespresso ammutolì Caroline. Scoprì che non voleva parlare con Channing. Il mattino seguente, a Nicole era passata la voglia di andare in barca. «Mi spiace, Caroline», mormorò. «Temo di non sentirmi bene.» Negli occhi della madre, la ragazza lesse una silenziosa preghiera, una richiesta di comprendere... Che cosa dovesse comprendere, però, non lo sapeva. Nicole, comunque, non aggiunse altro. La rabbia di Caroline esplose, incontrollata. «È una giornata stupenda», esclamò. «Non ho nessuna intenzione di ciondolare tutto il tempo per casa o di andare in quello stramaledetto Yacht Club a parlare di ragazzi.» La madre la guardò, severa. «Che linguaggio, Caroline. Ma per lo 'stramaledetto Yacht Club' ti do ragione. Allora, che cosa proponi?» «Di andare in barca a vela. E, se devo farlo da sola, ci andrò da sola.» Nicole abbassò lo sguardo, come se sapesse che soltanto la sua decisione di seguire la figlia avrebbe reso felice quest'ultima. Sottovoce, chiese: «Tuo padre te lo permetterebbe?» Caroline incrociò le braccia. «L'estate scorsa mi ha detto che avrei potuto farlo, quando mi fossi sentita.»
«E adesso te la senti?» «Sì.» La ragazza esitava, sperando di cogliere un segnale dalla madre. Ma non vide nulla. Seccamente, concluse: «Allora, posso andare?» Riparandosi gli occhi con una mano, Nicole scrutò il cielo. «A che ora torni?» «Verso le sei», rispose Caroline, cercando di assumere un tono indifferente. «Non ha senso tornare prima.» Gli occhi della donna erano di nuovo tristi. «D'accordo», rispose. «Puoi andare.» La giornata era tersa. Il bel tempo rincuorava Caroline e rafforzava la sua scelta di disobbedire al padre. Per un momento scordò che lui, ben conoscendo le insidie degli oceani, non le avrebbe mai permesso di uscire in barca da sola. Senza guardarsi indietro, e a passo deciso, si diresse verso il catboat. La barca era bella e in condizioni perfette... Un Crosby da sei metri, varato nel 1909. Quando il padre glielo aveva mostrato, offrendoglielo come regalo per il tredicesimo compleanno, lei aveva dovuto ricacciare indietro le lacrime per la sorpresa. «Il tuo compleanno è una ricorrenza speciale, per me», le aveva detto Channing, con dolcezza. «Usalo pure, ma con tutta l'attenzione che la tua sicurezza merita.» Piena d'entusiasmo per quel ricordo, e sentendosi in colpa per la sua testardaggine, Caroline alzò le vele. Il cielo era privo di nuvole, la brezza tesa e costante. Non stette a informarsi sulle previsioni meteorologiche. La traversata fino a Tarpaulin Cove fu rapida e sicura. Caroline si rese conto di possedere una certa abilità. Con il vento in poppa, fece rotta sul faro. Giunta al riparo dell'insenatura, ancorò la barca e si voltò, per misurare il tratto d'oceano che aveva attraversato con tanta facilità. La giornata era così limpida e scintillante che si riusciva a scorgere Martha's Vineyard. Se la sarebbe presa comoda, si disse, facendo tutto ciò che avrebbe fatto se la madre non avesse disertato la gita. Con le gambe penzoloni dalla prua, mangiò i panini e bevve la Coca-Cola. Poi si tuffò nell'acqua fredda e corroborante, nuotando con sicurezza fino a terra. La spiaggia era deserta, la sabbia calda. Si sdraiò, persa nei suoi pensieri, mentre le onde dell'oceano le lambivano i piedi e le gambe. Non doveva arrabbiarsi con la madre, rifletté. Ben prima che lei nasces-
se, nella vita di Nicole erano accadute cose che non aveva potuto né evitare né contrastare. Decise che avrebbe goduto dei giorni buoni, ricacciando indietro la delusione quando la madre si fosse nuovamente allontanata da lei. Se fosse stato altrettanto facile per suo padre, comportarsi così... Quando Caroline tornò a guardare l'oceano, una lunga striscia di nebbia si era insinuata all'orizzonte, sulla linea che divideva mare e cielo. La ragazza si levò a sedere, sorpresa. Comprese che avrebbe dovuto tornare ben prima di quanto stabilito e raggiunse rapidamente a nuoto il catboat. Salendo da poppa vide che la nebbia si era ispessita, trasformandosi in un denso banco che saliva dall'acqua, interponendosi tra Caroline e casa sua. Fece vela in direzione della nebbia. Il lucido ponte del catboat ancora scintillava al sole. La ragazza si rinfrancò al pensiero che, attraversando la nebbia, avrebbe rivisto Martha's Vineyard, illuminata dal sole, dall'altra parte del banco. Con le vele che stridevano, Caroline raggiunse le prime foschie striscianti. L'acqua si fece di colpo grigia, poi la nebbia e la solitudine si chiusero attorno a lei. Si sentiva il viso umido e gelato. Il catboat solcava le onde, tagliando l'acqua che Caroline vedeva a stento. Ma era in mare aperto, si disse; a meno che qualcuno non andasse a speronarla, non c'era pericolo. D'un tratto la nebbia, che prima era bassa sull'acqua, prese a sibilarle contro, disperdendosi davanti ai suoi occhi. In preda allo sbalordimento, cercò di ricordare che cosa le aveva spiegato Channing a proposito di quel fenomeno. Lo capì un attimo prima di scorgere la nera fila di nuvole che le correvano incontro dall'orizzonte. Un piovasco. Le rimaneva soltanto qualche minuto. Adesso ricordava con chiarezza ciò che il padre le aveva detto: il temporale si sarebbe manifestato con una pioggia battente e venti furiosi da ogni direzione. Sull'acqua non vedeva altre imbarcazioni. Per un attimo, rimase come paralizzata. Poi le tornò alla mente l'altra cosa che le aveva spiegato Channing: i venti avrebbero potuto capovolgere la barca. In preda al panico, aggrappata al corrimano, strisciò verso prua. Mentre la burrasca le si faceva incontro, ammainò le vele. In quel momento, il piovasco la investì. La prima ondata la fece cadere sul fianco, ma lei riuscì ad afferrare la
drizza. Gridò. La pioggia le sferzava il volto. Ancora un istante, e i venti da oltre cento chilometri all'ora l'avrebbero raggiunta. La barca già ballava come un sughero, e le onde spazzavano la timoniera. Caroline si gettò sul ponte. L'ondata successiva sommerse il catboat. Afferrò il timone in ferro battuto, e un cavallone parve strapparglielo di mano, piegando l'imbarcazione sul fianco. Sentì i muscoli tesi vibrare di dolore. Sotto di lei, sorse un'altra ondata e la barca si raddrizzò, in preda a vibrazioni spasmodiche. Accecata dall'acqua, Caroline si sentì avvolgere dall'oceano. Il cavallone successivo rischiava di staccarle le mani dal timone, trascinandola in mare. Strinse entrambe le mani sul timone, con gli occhi che le bruciavano per il sale e per la violenza della pioggia sul viso. Con gli occhi ridotti a due fessure, vide una cima fluttuare nella timoniera allagata. Mentalmente, udì Channing Masters ordinarle di legarsi al timone. Afferrò la fune con la destra. La barca si gettò in avanti, fendendo l'aria con la prua. Caroline cadde all'indietro, battendo la testa sul tavolato. Il fragore della caduta le riempì le orecchie, poi tutto divenne nero. L'unica sensazione che rimase viva in lei fu la nausea alla bocca dello stomaco. Come per volontà propria, le dita della mano libera rimanevano strette al timone. L'acqua la flagellava in volto, e torceva la fune sulla sua mano. Caroline riuscì a mettersi a sedere. Lontanissima, le giunse la voce del padre che le ripeté di passarsi la cima attorno alla vita e di legarsi al timone. Con la barca che girava in tondo, Caroline fece passare la corda fra i raggi del timone e poi attorno alla vita. Strinse un nodo, fatto d'istinto, e poi fu un tutt'uno con la sua barca. Una muraglia d'acqua la investì. Fu scagliata in alto, la corda la trattenne e la ragazza andò a schiacciarsi sulla ruota cui era legata. Pregò che il nodo tenesse, che il catboat non si ribaltasse intrappolandola sotto l'oceano, una prigioniera i cui polmoni si sarebbero riempiti d'acqua. Un lampo colpì l'albero; il ruggito del tuono, per un istante, l'assordò. Caroline chiuse gli occhi e non pregò più. Mentre la barca si sollevava e scendeva in picchiata, in balia di se stessa, il vento le fischiava nelle orecchie, la pioggia la colpiva in viso. Poi, d'improvviso, tutto finì. Caroline riaprì gli occhi. Sopra di lei passò un ultimo velo nero, poi l'aria ridivenne frizzante e limpida. La ragazza scoppiò a piangere.
No, si disse. Con mani tremanti e frenetiche si liberò. La testa le pulsava, il torace era tutto un dolore. Non riusciva più a muoversi. Si sentiva impotente. Con uno sforzo enorme, reagì alla paralisi e raggiunse a tentoni le sartie. Alzò le vele e un vento fresco prima le fece schioccare, poi le riempì. Davanti a sé, la ragazza vedeva Martha's Vineyard. Allora, sebbene intontita, riprese il timone. Aveva gli occhi arrossati per il sale. Poi vide che sullo stretto si stava dispiegando un nuovo banco di nebbia. Spinta dal vento di sudest, Caroline gli andò incontro. Il banco si moveva lentamente, allargandosi sul mare. E lei presentì che quella seconda volta non ci sarebbe stata burrasca, bensì silenzio. Inspirando profondamente, prese il massimo vantaggio possibile dagli ultimi dieci minuti di sole, poi rientrò nella nebbia. Fu un'esperienza del tutto diversa. Silenzio assoluto, calma piatta e totale assenza di vento. La vela sbatteva e tremava contro l'albero. Caroline andò alla deriva, lungo una corrente che poteva soltanto percepire. Sapeva bene che la corrente avrebbe potuto spingerla a riva, mandando il catboat a fracassarsi sugli scogli. Filtrato dalla nebbia, le giunse il rintocco della prima boa a campana. Non sapeva dove si trovava. Andava alla deriva, senza più potersi orientare. Rimase ad ascoltare come cambiava il suono misterioso delle boe, sempre più vicino, finché non capì che le aveva oltrepassate, che era ormai vicina alla costa. Sedette al timone: doveva cercare di tenere il catboat lontano dalle secche di West Chop, e sperare nelle brezze che di solito arrivavano a metà pomeriggio. Percepiva l'avvicinarsi delle scogliere, sentiva le onde tipiche dei bassi fondali. A quel punto - come se fosse tutto programmato - le vele si animarono per una prima raffica di vento. Caroline abbrancò il timone. Piegando sottovento, il catboat tornò al sole, doppiando il promontorio di West Chop. Era come se l'isola fosse apparsa per magia da dietro un sipario. Poi vide le dimore di West Chop e, in lontananza, il porto, a Vineyard Haven. Debolissima ma euforica, Caroline non riusciva a smettere di ridere. Non vedeva l'ora di raccontarlo alla madre, di vedere la madre. Anche il ricordo della rabbia di quel mattino era stato spazzato via dalla burrasca, dal vento, dall'atroce lotta per sopravvivere. La traversata fino a casa le
parve interminabile, e trascorse in una specie di torpore. Ormeggiando il catboat, dovette fare violenza a se stessa per compiere i mille rituali del velista, perché scoppiava dalla voglia di raccontare tutto a Nicole. Finalmente si avviò verso casa, tutta rigida, contusa e graffiata, ma piena d'amore e di gratitudine. «Mamma», gridò. La villa era immersa in un silenzio totale. «Mamma», chiamò di nuovo. Forse dormiva. Caroline percorse senza far rumore il corridoio che conduceva alla camera della madre. E soltanto mentre abbassava la maniglia, troppo tardi per fermarsi, capì quello che avrebbe visto. Accanto al viso della madre, che aveva gli occhi sbarrati per la sorpresa, c'era la testa di Paul Nerheim, voltata a fissare Caroline. I loro corpi erano perfettamente immobili. Nerheim si sosteneva sui gomiti, e le lenzuola lo coprivano fino alla vita; Nicole era sotto di lui, le gambe spalancate, i capezzoli che ancora sfioravano il petto dell'uomo. Caroline non riusciva a muoversi. «Ti prego.» Gli occhi di Nicole la supplicavano. «Esci subito.» La ragazza sentì che le gambe rischiavano di non reggerla. «Mio padre...» Nicole chiuse gli occhi. «Ti prego.» Caroline, lentamente, arretrò dal vano della porta. Vagò nella sala, si accasciò su una poltrona e rimase in attesa. Non capiva se la nausea che sentiva era per sé o per il padre. Poi, d'un tratto, davanti a lei vide Paul Nerheim. Aveva i capelli arruffati, gli abiti in disordine. Parlò a voce bassa e incerta. «Mi dispiace, Caroline. Anche a lei dispiace.» Lei si limitò a squadrarlo. L'uomo alzò le spalle, disarmato. «Tua madre vuole vederti.» Caroline si raddrizzò. Con una freddezza che non sapeva di possedere, disse: «Se ne vada immediatamente». Si guardarono negli occhi. Nerheim annuì, si voltò e uscì dalla casa. 3. Qualche secondo più tardi, apparve Nicole. Indossava una vestaglia di seta e mostrava una compostezza che pareva sul punto di sgretolarsi. Si sedette di fronte alla ragazza, la studiò attentamente e, infine, parve registrare lo stato in cui si trovava.
«Che ti è successo, Caroline? Hai il viso tutto graffiato.» In silenzio, lei incrociò le braccia sul petto. Ormai non aveva più senso che la madre si preoccupasse di lei... inoltre l'idea che stesse cercando di ammansirla, la riempì di disprezzo e di collera. Nicole parve capirlo. «Va bene», mormorò. «Tu vuoi che mi spieghi-» Caroline non ne era affatto sicura: ciò che voleva più di ogni altra cosa era che l'ultima mezz'ora svanisse come un incubo. Perché quello sembrava: un incubo. Ma non trovava le parole per dire una cosa del genere. Nicole accavallò le gambe, sistemandosi la vestaglia con aria distratta. «Ciò che ho fatto è sbagliato», disse infine. «Più che altro perché tu mi hai visto.» «Scusa se ti ho colto di sorpresa, mamma. So che non mi aspettavi», rispose in tono gelido. Le parole della figlia parvero colpire Nicole come uno schiaffo. Spalancò gli occhi e si appoggiò allo schienale, intrecciando le dita in grembo. «Ti aspetti che mi batta il petto, Caroline? Credi che questo migliorerebbe la situazione?» Silenzio. «No?» Nella voce di Nicole c'era una sfumatura d'ironia. «Allora posso pregarti di ascoltarmi?» Caroline alzò le spalle, ma il cuore le batteva forte, come impazzito. «Non mi aspettavo una conversazione del genere», proseguì Nicole in tono pacato, «e non ho pronto un discorso. Specialmente per una figlia che ama il padre quanto tu ami Channing. Per cui, se mancherò di tatto o di eleganza, ti prego di scusarmi.» La ragazza si sentì invadere da una sorta di terrore. Il suo viso era impietrito. Nicole tacque, e deglutì. «Non c'è nulla che non vada in Channing, Caroline, tranne una cosa: che ha sposato me. Forse ha fatto un errore a chiedermi di sposarlo. Certamente è stato un errore da parte mia accettare.» Caroline s'irrigidì sulla poltrona. «Ti ha dato una vita, mamma.» Negli occhi della donna si accese una scintilla di animosità. «Mi ha dato la sua vita...» Si fermò, si costrinse ad abbassare il tono, e riprese: «Vidi soltanto il suo lato dolce, Caroline. Forse paternalista, però gentile. Ciò che non vidi era l'altro lato, quello che appartiene a un uomo terrorizzato. Terrorizzato dalle donne. Terrorizzato da qualsiasi cosa non possa controllare...» «Papà non è terrorizzato», ribatté Caroline, sentendo lo sconcerto tra-
sformarsi in rabbia. «La gente lo ammira. Tutti quelli che conosco lo ammirano.» Lentamente, Nicole annuì. «Nel suo mondo, sì. E quella è la sua forza.» Caroline scoccò alla madre uno sguardo gelido, di ripulsa. La voce della donna si mantenne bassa. «Io sono stata la prescelta di un uomo terrorizzato. Giovane e senza radici, straniera nella mia stessa patria, distrutta dentro, per ciò che avevo perduto: una famiglia, certo, ma anche il mondo che, un tempo, avevo potuto comprendere. Non avevo più un mio mondo...» Nicole tacque. Era chiaro, dal tono in cui aveva parlato, che non stava chiedendo comprensione. Eppure Caroline, o almeno una parte di lei, si sentiva sporca e complice per il semplice fatto di ascoltarla. Fissò la madre in silenzio. «Channing», riprese Nicole con apparente tranquillità, «credeva nella sua dolcezza. Ma credeva anche che io non avrei mai osato sfidarlo, lasciarlo, e neppure metterlo in discussione.» Abbassò lo sguardo. «Come uomo o come amante...» Caroline s'irrigidì e allora la donna la guardò dritto negli occhi. «Da tutti i punti di vista sono stata una delusione. Per questo, tu forse potresti dire che Channing mi ha guarita.» Nella voce di Nicole c'era una sfumatura d'acredine, ma era così lieve che Caroline non riuscì a capire se fosse diretta contro il padre o contro se stessa. Tuttavia vi si aggrappò. «Non cercare di farmi rivoltare contro mio padre. Tu non lo meriti», esclamò. «Davvero?» sbottò Nicole. «Con tutte le sue paure, la sua possessività e la sua ira? Credevo dicessi che lo meritavo, eccome...» Stranamente, quello sfogo improvviso cambiò qualcosa tra loro. Caroline sentì che la confusione in cui si dibatteva si trasformava in gelido autocontrollo. «Non avrei mai detto una cosa del genere, mamma, prima di averti visto a letto con quello. Per cui devo dedurne che papà ti ha sempre capita meglio di me.» L'altra parve vacillare. «So bene di non essere stata una madre modello», ribatté in tono brusco. «Ma, per favore, prendi tutto il buono che c'è in tuo padre senza permettergli di controllarti. Perché c'è il rischio che lo faccia... Che tenga sotto controllo la tua vita e i tuoi pensieri.» La ragazza provò l'impulso di colpire la madre, per farla smettere. «Maledetta», urlò. «Credi che abbia bisogno di papà per capire che ti ho appena vista scopare con Nerheim...» «Caroline, ti prego.» Pallida in volto, Nicole si alzò. «Se è di questo che
dobbiamo parlare, mi capirai almeno come donna. Devi aver cominciato a provare tu stessa certe cose...» Caroline arrossì. La madre la guardò con profonda attenzione. «Mi è rimasto davvero poco di mio. Però rimango una donna, con i bisogni di una donna.» Aveva di nuovo assunto un tono pacato. «È un ambito per cui tuo padre nutre scarso interesse. Contrariamente a Paul Nerheim, per gravi che siano i suoi difetti. Un ambito che, per Channing, è lo specchio stesso della sua inadeguatezza.» Sentire la madre pronunciare il nome di Nerheim rese ancora più insopportabile per Caroline quel tentativo di svergognare il padre. «Non parlare così. Non di papà», gridò. «Lui ti ha salvata. Credi che quanto è successo ai tuoi genitori sia una scusante? È così che la pensi: 'siccome sono stati ammazzati, allora io posso ferire chiunque...'» S'interruppe. L'espressione di Nicole era così terribile che non riusciva a sostenerla. Allora, incrociando le braccia, Caroline distolse lo sguardo. La voce della madre, sommessa eppure chiarissima, sembrò provenire da una distanza siderale. «Dunque ti ho fatto male fino a questo punto...» La ragazzina fu incapace di rispondere, e perfino di alzare gli occhi. Ci fu un lungo silenzio, poi Caroline sentì le dita di Nicole posarsi delicatamente sulla sua spalla. Quando la madre parlò, la sua voce si era ulteriormente abbassata. «So che non lo dirai mai a tuo padre, Caroline. Tuttavia non ti renderò mia complice. Paul Nerheim non metterà mai più piede in questa casa.» La ragazza non rispose. Dopo qualche istante, si rese conto che la madre se n'era andata. Rimasta sola, Caroline uscì sulla veranda che si apriva sull'oceano, e pianse tutte le sue lacrime. Nei tre giorni seguenti, avevano scambiato a malapena qualche parola. Caroline non aveva voglia di stare in compagnia della madre, né delle amiche. Usciva presto di casa. Il primo giorno, facendosi coraggio, aveva ripetuto la traversata fino a Tarpaulin Cove e ritorno. Gli altri due giorni era andata a fare escursioni a piedi e in bicicletta, da sola. Nicole non aveva fatto il minimo tentativo di riavvicinamento. Caroline non sapeva, né desiderava sapere, come Nicole Masters trascorresse le sue giornate. Durante le cene consumate in silenzio, aveva la sensazione che quella donna si fosse ritirata chissà dove, in un mondo lonta-
nissimo; quindi, all'improvviso, scopriva che la madre la stava fissando con velata curiosità. Di notte, poi, la sentiva camminare avanti e indietro per la casa. Nel giro di una settimana, Channing le avrebbe raggiunte. Caroline lo sapeva, ma trovava insopportabile anche il semplice pensiero. Non riusciva a immaginare le loro cene insieme, i silenzi resi ancora più cupi dall'ignara fiducia di Channing, la colpa della madre e, per quel che la riguardava direttamente, una consapevolezza che avrebbe voluto cancellare. Ma l'unica persona con cui avrebbe potuto parlarne era Nicole. Infine, la ragazza non poté reggere oltre quel silenzio. Il pomeriggio del quarto giorno, di ritorno da un giro in bicicletta, si recò in camera della madre. Nel momento stesso in cui vide Nicole, si arrestò. La madre era seduta al tavolo da toeletta, il viso dall'ossatura minuta riflesso nello specchio da trucco. Con la mano sinistra, applicava attentamente l'eyeliner sugli occhi verdi e luminosi. In tono indifferente, Caroline chiese: «Esci?» «Sì.» La madre non mutò espressione. «Tornerò verso mezzanotte, più o meno. Per cui non è necessario che mi aspetti alzata.» La ragazza trovò strano tutto quanto: l'ironia nella voce di Nicole, l'espressione intenta dei suoi occhi, il viso acceso. Non si era neppure voltata. Ebbe la sensazione che la madre fosse, per lei, definitivamente perduta. «Che cosa faremo quando arriverà papà?» domandò allora. La donna mosse l'eyeliner di qualche millimetro, continuando a fissarsi nello specchio. «Non ci ho pensato. Quello che facciamo sempre, immagino.» A Caroline non parve sincera, anche il suo tono pareva evasivo. «'Quello che facciamo sempre'», ripeté, al colmo della disperazione. «Ma non sarà mai più come prima, per me. Non credo che ce la farò.» Finalmente Nicole si voltò verso di lei, mormorando: «Ma che posso fare io, Caroline, adesso che lo sai? Dirglielo per te? O lasciarlo, semplicemente? Questo, una volta che Channing avesse finito di distruggermi, significherebbe che dovrei lasciare anche te. Perché non mi permetterebbe mai di portarti via». Caroline si sentì pervadere da un tremito in tutto il corpo. «Allora non uscire, almeno. Per favore.» Nicole la guardò a lungo. «Devo», disse infine. «Almeno stasera.» La ragazza fu incapace di ribattere. La donna tornò al suo specchio, più concentrata di prima. Come se non
le importasse di guardare in viso la figlia. Caroline se ne andò in veranda. Fissò a lungo le onde che si gonfiavano, si rompevano e andavano a morire sulla spiaggia sotto di loro. Il mare aveva qualcosa d'ipnotico, pensò. L'oceano sapeva incutere terrore, ma la sua immensità la calmava. In veranda risuonarono i passi della madre. Caroline si voltò. Per un momento, gli occhi di Nicole s'intenerirono, poi la donna si chinò a baciarla sulla guancia. La ragazza rimase immobile, in silenzio, senza accogliere né respingere quel contatto. Le labbra di Nicole si posarono su di lei, leggere e rapide. Poi la madre si raddrizzò e si allontanò. Giunta sulla porta si fermò e, con grande sorpresa di Caroline, si voltò a fissarla. «Scusami», disse soltanto, e se ne andò. 4. Caroline l'attese alzata. Non poté evitarlo, non riusciva a dormire. Immaginava la serata della madre, pregava che il padre non telefonasse. La casa era buia e immota. All'una, la madre non era ancora rientrata. La ragazza uscì, raggiunse il ciglio del promontorio e rimase ad ascoltare il lento, profondo frangersi delle acque contro la scogliera. La notte era nera, senza luna. Il vento teso e gelido le sferzava il volto. Sentì un brivido e, per proteggersi dal freddo, incrociò le braccia sul petto. Quindi si mise in ascolto per cogliere il rumore dei pneumatici sulla ghiaia, il rumore di quella Porsche bianca che la madre adorava e che Channing trovava pretenziosa. Nulla. Cercò di figurarsi la madre in quel momento, ma fu un tentativo doloroso. Forse, si disse, aveva bevuto un po' più del solito e si era dimenticata della sua promessa di tornare. Forse avevano fatto l'amore più di una volta. Le cifre luminose dell'orologio da polso segnavano l'una in punto. Alle due farò qualcosa, si ripromise Caroline. Che cosa, non lo sapeva. In qualche modo aveva la sensazione che, stabilendo un limite, avrebbe provocato il ritorno di Nicole. A volte la madre beveva troppo. Se lo confessò così, bruscamente e schiettamente, come non aveva mai fatto prima. L'ammissione le fece percepire il suo cambiamento, il suo do-
lore ormai palese. Ma l'idea di chiamare Nerheim le ripugnava. Profondamente sola, Caroline tornò in casa. Entrò in cucina. Nella tenue luce, guardò l'orologio a muro. Ammise con se stessa che se una cosa del genere - controllare l'ora del rientro - l'avessero fatta i suoi, li avrebbe odiati. Ma il pensiero dei suoi genitori le infuse una rinnovata tristezza. Maledetto Paul Nerheim. Non aveva diritto... Quando furono le due, Caroline scopri che non ce la faceva a chiamarlo. Come si sarebbe sentita se li avesse interrotti mentre facevano l'amore, nemmeno fosse una bambina con il viso incollato alla finestra? Peggio ancora, una bambina che non comprendeva il mondo adulto, che aveva soltanto bisogno della loro attenzione... Si preparò un tè. Udì un rumore. Caroline si alzò, raggiunse in fretta la porta principale, aprì uno spiraglio, in modo che la madre non la vedesse. Il viale d'accesso era vuoto. Richiuse la porta e vi si appoggiò. Infine tornò in cucina e aprì la guida telefonica. Per lunghi minuti rimase a fissare il numero di Paul Nerheim, finché non lo seppe a memoria. Poi si alzò e si costrinse a formarlo. «Pronto?» Era Nerheim, con la voce torpida, perplesso. Lei trasse un profondo respiro, poi disse: «Mia madre è lì?» «Caroline?» «Sì.» Un attimo di silenzio. «Se n'è andata.» La voce di Nerheim era chiara, adesso. «Da qualche ora.» Lei sentì una stretta al petto. «Quando?» «Un po' prima di mezzanotte.» Il suo tono era stranamente gentile. «Voleva tornare a casa, da te.» Caroline si accorse di aver serrato gli occhi. A voce bassa, spiegò: «Qui non c'è». Nerheim tacque per un tempo che parve interminabile. Quando riprese, parlò sommessamente e, nella sua voce, Caroline udì sia la preoccupazione sia l'efficienza. «Telefono alla polizia di Chilmark. E alla polizia di Stato.» La ragazza taceva. Impiegò qualche momento a rendersi conto del perché non voleva che fosse lui a farlo.
«No», ribatté. «Lo farò io.» Un'ora più tardi, squillò il telefono. Caroline afferrò la cornetta. «Miss Masters?» Si accasciò per la delusione. «Sì?» La voce maschile era tranquilla e piana, con uno spiccato accento del Massachusetts. «Parla il sergente Mannion, della polizia di Stato. La polizia locale sostiene che sua madre potrebbe risultare dispersa. O, quantomeno, che lei non sa dove sia.» «No. Nessuno lo sa.» L'altro parve avvertire la disperazione della ragazza. «Mi hanno detto che stava venendo via da Windy Gates, a Chilmark. È così?» «Sì... Era andata a trovare un amico.» «Lei sa se avesse intenzione di recarsi altrove?» «No. Doveva tornare qui.» Nel tono dell'agente si avvertì una certa esitazione. «C'è suo padre?» «Mio padre è nel New Hampshire.» Sulla difensiva, soggiunse: «A casa nostra». «Capisco.» La voce si era fatta cauta. «Non può essere andata fin laggiù...» «Per favore», lo interruppe Caroline. «Può cercarla subito? Ho paura che abbia avuto un incidente...» Nel dirlo, sentì torcersi lo stomaco. Avrebbe voluto dirgli: se non fosse per me, mia madre sarebbe a casa. Lui non poteva saperlo; tuttavia, quando riprese con maggior gentilezza, sembrava l'avesse sentita. «Che auto ha?» «Una Porsche bianca.» «D'accordo», rispose l'agente. «La cercherò. Quando la richiamerò, sua madre sarà probabilmente già a casa.» Per due ore, il telefono non suonò e non arrivò nessuna auto. Caroline vagava per la casa vuota, incapace di arginare le sue fantasie. Non si era mai sentita così sola. Poco prima delle cinque, un primo accenno d'aurora trasformò il nero dell'oceano in un blu grigiastro. Guardando fuori della finestra, si rese conto che la notte aveva mantenuto in vita le sue speranze. Nella fredda luce del mattino, comprese che la madre non sarebbe tornata. Poi sentì lo scricchiolio della ghiaia, la frenata sul vialetto.
Eccitatissima, corse alla porta. Mentre apriva, vide mentalmente Nicole Masters: era viva e scendeva dalla sua Porsche. Quando scorse la macchina nera della polizia, rimase di sasso. Ne uscì un uomo in uniforme, e si diresse verso di lei. Caroline ne registrò in qualche modo i capelli fulvi, il colorito acceso, i placidi occhi azzurri. Aveva un accenno di piedi piatti, notò. Forse per quello camminava così piano. «Tu devi essere Caroline, vero?» Era la voce dell'agente che aveva chiamato, soltanto più sommessa. Come inebetita, gli fece segno di sì. «Sono Frank Mannion.» Il tono era pacato, ma gli occhi rimanevano fissi sul suo volto. «Hanno trovato un'auto... una Porsche bianca. A questo punto, dovrei chiamare tuo padre.» Caroline si mise nel vano della porta, come volesse impedire all'uomo di raggiungere il telefono. «Dov'è?» Il poliziotto si rannuvolò. «Sulla spiaggia. Sotto Windy Gates.» Il cuore di Caroline sembrò fermarsi, mentre il suo corpo veniva scosso dai tremiti. «Ma come...» L'uomo inspirò profondamente. «C'è un corpo accanto alla macchina. Il corpo di una donna.» Lei chiuse gli occhi, chinò il capo. Senti Mannion che ripeteva: «Per favore, lascia che chiami tuo padre». Lentamente, sempre a occhi chiusi, Caroline scosse la testa. «Ma qualcuno deve identificarla», spiegò l'agente, sempre in tono pacato. «E poi tuo padre deve venirti a prendere.» Aprì gli occhi. «No.» «Caroline, mi dispiace...» «Non le darò il suo numero», ribadì con voce strozzata. «Non posso permettere che sappia.» Mannion scosse la testa. «Ma lui deve pur sapere che...» cominciò. Poi i suoi occhi s'illuminarono: aveva capito. In tono tranquillo, Caroline disse: «Mi porti là». Il viaggio fu un susseguirsi d'immagini slegate. L'alba che irrompeva sull'isola; le case bianche e gli steccati di Edgartown; boschi e coltivazioni; pali telefonici; muri a secco; distese sterminate come le brughiere scozzesi e che sembravano scorrere fino al mare. A mano a mano che si avvicinavano a Chilmark, Caroline percepiva sempre più nettamente la riluttanza di
Mannion, il silenzio opprimente calato fra loro. «Lei ha sempre abitato qui?» gli chiese. Avvertì la sorpresa del sergente, un attimo di esitazione. «No, sono nuovo. Prima di me, non c'era nessuno della polizia di Stato sull'isola.» «Le piace?» chiese lei dopo qualche istante. Mannion si voltò a guardarla, come per accertarsi di che cosa avesse bisogno. «Gli isolani non si fidano tanto», rispose infine. «Sono abituati, da sempre, a fare le cose a modo loro. Però a mia moglie piace, e fa bene ai bambini.» Caroline annuì. «Quanti ne ha?» «Tre.» Lasciarono la strada, immettendosi nella carrareccia che conduceva a Windy Gates. Caroline non riuscì ad aggiungere altro. Furono inghiottiti dagli alberi, fitti, antichi ed enormi. Si chiudevano a volta sulla stradina e il sole del mattino penetrava soltanto a chiazze, sulla terra rossa del fondo. Caroline si sentì stringere il petto e la gola. Si vide davanti agli occhi la madre, la sera prima, mentre danzava con Paul Nerheim sul campo da tennis al suono di una musica che soltanto loro potevano sentire, con lo champagne ghiacciato nel secchiello... Giunsero in prossimità del bivio: una strada conduceva alla proprietà di Nerheim e l'altra direttamente al mare. Mannion rallentò. Teneva le labbra serrate. Volgendosi, Caroline guardò in direzione della villa. Immaginò la madre che guidava per quel tracciato tortuoso, come aveva fatto il padre la sera in cui erano stati a cena da Nerheim. Vide Nicole stringere le palpebre mentre i fari illuminavano i tronchi, facendole strada nella notte nera come la pece fino al bivio, segnato dall'albero contorto: verso l'oceano o verso casa. Ricordò il tono sommesso in cui aveva suggerito a Channing: «A sinistra». La vide, sola nelle tenebre, svoltare invece verso il mare. Mormorò: «Conosceva la strada...» Lo sguardo che Mannion le rivolse pareva dettato dalla superstizione, come se avesse paura di parlare. Superarono il bivio, salendo lentamente per la carrareccia tortuosa che anche Caroline aveva seguito, a piedi, finché non le era stato impossibile proseguire. Rallentarono ulteriormente Mentre il ricordo riaffiorava, e subito prima di giungere sul posto, Caroline si sentì percorrere la pelle da un brivido: un'ultima curva a destra, per aggirare uno sperone e infine una salita che, dal bosco, sembrava dirigersi dove il cielo era libero...
Sul ciglio dello strapiombo c'era un'ambulanza. Mannion parcheggiò, e lei disse: «Dovrebbero chiuderla, questa strada». Mannion non riusciva più a guardarla. Scesero. Lui rimase accanto alla macchina; Caroline raggiunse il punto in cui la strada finiva bruscamente, come se quello fosse il limite estremo del mondo. Trasse un profondo sospiro, poi, con uno sforzo di volontà, guardò giù, verso la spiaggia, cinquanta metri sotto di lei. La prima cosa che vide fu la Porsche bianca. Era rovesciata, vicina all'acqua, con il muso nella sabbia bruna, e le onde scintillanti si frangevano sul cofano. Accanto all'auto, le figurine di tre uomini si muovevano a scatti, fissando di tanto in tanto il mare, come naturalisti che avessero atteso l'alba. Caroline deglutì, e seguì con gli occhi una delle figurine che, lentamente, si staccò dalle altre e si avviò sulla sabbia. L'uomo si fermò, abbassò lo sguardo. Ai suoi piedi giaceva un'altra figurina, che indossava il vestito da sera di Nicole, con le braccia spalancate, i capelli neri sparsi sulla sabbia come alghe spinte a riva dalla marea. Sulla sabbia circostante si scorgeva un tracciato di linee curve, più scuro là dov'era arrivata a spegnersi l'ultima ondata. A Caroline mancò il respiro. Sentì che Frank Mannion l'aveva raggiunta. Lentamente, si staccò da lui e si avviò verso le scale. Immaginò la madre che lasciava questa terra, in caduta libera nelle tenebre. Sono stata io a mandarla laggiù, pensò. Cominciò a scendere. Fece i gradini a testa bassa, senza guardare la spiaggia. Mannion la seguiva. Forse non è mamma, si disse, in muta preghiera; dall'alto, la donna pareva troppo piccola e fragile per essere la persona che Caroline conosceva. Gli scalini alle sue spalle gemevano sotto i passi pesanti di Mannion. Terminò la prima rampa, poi ne fece un'altra e un'altra ancora, finché i suoi piedi non affondarono nella sabbia. Davanti a lei giacevano i resti di altre scale. Si fermò, alzando lo sguardo sulla scogliera. Vide, quasi alla base, l'argilla segnata nel punto in cui l'auto della madre aveva toccato una prima volta. L'acqua fredda le lambì i piedi. Capì che la marea si stava alzando. Nel momento in cui si voltò, per dirigersi lentamente verso il corpo, una prima onda investì i capelli della madre, svelandone il viso bianco. Come un automa, Caroline percorse gli ultimi metri e raggiunse il corpo
di Nicole Masters. Il viso pareva di porcellana. Dalla bocca scendeva un filo di sangue e il collo aveva un'angolazione strana. Per il resto, sembrava intatta. Ma lo spirito che un tempo aveva animato Nicole Masters era svanito. Per la figlia, quella cerea sagoma nella sabbia aveva cessato di essere la madre, la donna il cui puro profilo aveva visto per l'ultima volta nello specchio e che l'aveva baciata per salutarla. Senza una lacrima, Caroline sedette accanto al corpo. «Lasciatela», udì mormorare a Mannion, rivolto ai colleghi. E lei rimase a fissare la madre, desiderando con tutte le sue forze di poter ritirare le parole dette, quelle parole che non avrebbero più potuto ferire Nicole. Dopo un po' si accorse che, in piedi accanto a lei, c'era Mannion. Non alzò gli occhi. «È mia madre.» Allora il sergente le s'inginocchiò accanto, con le mani giunte. Sommessamente, disse: «Ha frenato, Caroline. Su in cima ci sono i segni della slittata». Lei chiuse gli occhi. Soltanto allora le lacrime le rigarono le guance. «Per cui... Be', hai capito?» Caroline, come stordita, fece segno di sì. Non riusciva a parlare. Mannion, sempre con dolcezza, concluse: «Adesso dobbiamo portarla via». La ragazza si alzò. Si riempì i polmoni d'aria di mare e guardò di nuovo lo strapiombo da cui era precipitata la madre. Sul ciglio, riconobbe la figura di Paul Nerheim. «Telefono io a tuo padre», stava dicendo Mannion. Caroline continuava a fissare l'uomo sopra di loro. «No», ribatté. «Lo farò io.» Seppellirono la madre a Masters Hill, a poca distanza dal luogo in cui, un giorno, avrebbe riposato il marito. Il servizio funebre fu breve: nessuno ricordò che era francese ed ebrea, oppure come era arrivata in America. Anche le circostanze della morte passarono sotto silenzio. Caroline però non aveva risparmiato nulla al padre. Quando era venuto a prenderla, l'aveva abbracciata e le aveva detto, con voce roca e dolce: «Sono i padri che debbono proteggere le figlie, non viceversa. Che cosa ti ha fatto pensare che avessi bisogno di una cosa del genere?» Lei non aveva saputo rispondere. Quando però aveva distolto lo sguardo
non era stato per proteggerlo, bensì per proteggere se stessa dal dolore del padre. Nei giorni successivi al funerale, rimasero soli; sollecitata dal padre, Betty interruppe il suo giro in Europa per tornare. Channing trattava Caroline con cupa gentilezza. Una volta, non riuscendo a dormire, scese e trovò il padre nella sala da musica, a mezzanotte. «Vuoi parlare un po'?» gli chiese. «No, Caroline», le rispose aspramente. «Non con te.» In quel momento, Caroline sentì la sua solitudine, comprese che la sua durezza era rivolta non contro di lei, ma contro se stesso. Di Nicole non si parlò mai più. E Channing non volle neppure discutere l'eventualità che Caroline rimanesse a Masters Hill. Era stata iscritta a Dana Hall. Nulla, insisteva il padre, avrebbe cambiato i loro programmi. Al pensiero di lasciarlo solo, Caroline si sentiva sanguinare il cuore. Piangeva la madre quando era sicura che Channing non potesse vederla. Nelle settimane che seguirono, cercarono di allestire una sorta di simulacro di vita normale. Il compleanno di Channing cadeva tre giorni prima della partenza di Caroline. In segreto, lei scelse un regalo per il padre. Il mattino del compleanno insistette perché la portasse a pescare sul lago Heron. Il tempo era variabile: prima si rannuvolava, quindi il sole tornava a risplendere sulle acque del lago, poi si copriva ancora. Nella barca a remi, Caroline sedette di fronte al padre. «Mi piace questo posto», mormorò. «Vorrei non doverlo lasciare.» Channing le sorrise. «Non lo stai lasciando, Caroline... Questa è casa tua. Stai semplicemente andando via per un po'.» Lo guardò: i capelli neri, gli occhi neri e infossati, il volto forte sul quale soltanto lei riusciva a leggere il dolore. Impulsivamente, disse: «Vorrei potermi prendere cura di te». Negli occhi di lui parve aprirsi una ferita, ma non fu che un lampo. Tornò a sorridere. «Temo di non essere abbastanza vecchio, Caroline. Dovrai aspettare il tuo momento.» La ragazza si sentì strana; si rese conto che non avrebbe dovuto fargli capire che gli leggeva dentro. Come per nascondergli quel pensiero, dichiarò: «Ho deciso che cosa voglio fare». «Davvero? Che cosa?» «L'avvocato. Se tu non fai più il giudice, posso far pratica con te.»
Il padre reclinò il capo. «E poi?» Caroline esitava; forse era un'aspirazione sciocca, però voleva che lui sapesse. «Diventerò giudice. Anche se sono una donna.» Per un lungo momento, Channing sì limitò a guardarla. «Caroline», disse poi con voce sommessa, «questa sarebbe, per me, un'immensa soddisfazione.» Lei sentì un groppo in gola. Per un attimo, si dimenticò quasi del regalo. Poi rovistò nello zaino e ne tirò fuori l'astuccio nero, che aveva legato con un nastro. «Che cos'è?» chiese lui. Glielo porse. «Buon compleanno.» Lui guardò l'astuccio con uno strano mezzo sorriso. «Devo aprirlo?» «L'ho comprato per questo.» Con attenzione, Channing disfece il fiocco. Nell'astuccio c'era un bel coltello da pesca, un Cahill. Lui lo tenne alto davanti agli occhi, ammirandone il fodero in cuoio, il manico in osso, la lama d'acciaio dalla forma slanciata. «Caroline...» mormorò, poi s'interruppe. La ragazza già pensava che non riuscisse a finire la frase, e invece lui concluse: «È il più bel coltello che abbia mai visto». Lei tentò di sorridere. «Così riuscirai a sfilettare un pesce anche senza di me.» Channing Masters le prese una mano fra le sue. Alla festa del Ringraziamento, quando Caroline tornò dal collegio, trovò il coltello appeso al loro pannello, nella vecchia scuderia. Il padre lo aveva tenuto come nuovo. PARTE QUARTA IL TESTIMONE 1. Caroline era davanti alla tomba della madre. Il cielo mattutino era limpido, la temperatura cominciava a salire; soltanto in quell'angolo del cimitero, all'ombra degli alberi, sull'erba c'era ancora la rugiada. I bordi della lapide di Nicole erano coperti di muschio. Due giorni prima della telefonata che l'aveva richiamata a Masters Hill,
Caroline era tornata nel luogo in cui la madre era morta. La carrareccia che portava a Windy Gates era quasi coperta di vegetazione, e ci si poteva passare soltanto a piedi; il muro a secco risultava a malapena visibile, sotto un intrico di vite e di arbusti. Alla fine del sentiero, c'era una barriera di tavole, poi lo strapiombo. Una trentina di metri o anche più erano stati erosi dal tempo; la scogliera pareva frantumarsi sotto i piedi. Eppure i suoi ricordi erano ancora così vividi che, guardando dal ciglio, era rimasta sorpresa di non vedere né una macchina né un corpo. Non era scesa sulla spiaggia. Tornando, aveva imboccato la strada che portava alla villa di Nerheim. Era buia, umida e mezza in rovina. All'esterno erano parcheggiati alcuni camion; Caroline aveva saputo che la villa era stata acquistata da un cantante rock californiano, che intendeva ristrutturarla e riportarla al massimo del suo splendore. Ma il campo da tennis era sepolto dalle erbacce... Con gli occhi fissi sulla tomba della madre, Caroline udì una serie di passi alle sue spalle. Non si voltò. «Che c'è?» chiese. «Dobbiamo parlare, Caroline.» «Allora non avresti potuto scegliere un momento - e un luogo - peggiore.» Il padre tacque per qualche istante, poi mormorò: «Nei vent'anni in cui sei stata via, ho continuato a venire qui. Quei ricordi, quali che siano, appartengono a entrambi». Lei si allontanò di qualche passo dalla tomba, e si mise di fronte al padre. Gli lesse in volto lo shock dell'arresto di Brett, e negli occhi neri scorse un'intensità febbrile. «Sapevo che saresti rimasta, Caroline.» L'istinto di scappare, l'imperativo a fuggire da quel luogo e da quell'uomo tornarono ad animarla, come se risorgessero dai decenni trascorsi. Incrociò le braccia. «Sei venuto per dirmi questo?» La luce negli occhi di lui si spense. «Betty sostiene che andrai a Concord, a studiare gli incartamenti istruttori. Voglio accompagnarti.» «No. Grazie.» Channing s'irrigidì. «Brett è mia nipote.» «Ogni volta si ritorna al punto di partenza?» sibilò lei, incollerita. «A ciò che è o non è tuo?» «Parli di me, Caroline? O di te stessa?» Nella voce dell'uomo si avvertiva un misto di orgoglio e disperazione. «Nessuno è più adatto di me, per consigliarti. Te lo sei scordato? Dopo Norimberga ho ricoperto l'incarico che adesso è di Jackson, poi ho fatto il giudice per venticinque anni. Cono-
sco la legge, gli avvocati, i giudici, e tutte quelle cose che non stanno scritte da nessuna parte. Se io non fossi tuo padre, mi pregheresti di aiutarti.» S'interruppe, per ammantare le sue parole conclusive con un tono di supplica: «C'è stato un tempo, Caroline, in cui questo era tutto ciò che desideravi...» «Ecco perché, per te, è tanto importante», ribatté lei gelida, fissandolo. «Attraverso Brett, alla fine, l'avrai vinta. Tutto quello che doveva fare era ammazzare qualcuno.» Due chiazze rosse apparvero sulle guance di Channing. «Come puoi dire una cosa del genere?» «Che l'ha ammazzato lei?» Caroline alzò le spalle. «Già, non posso esserne certa. Però, adesso che sono il suo avvocato, m'interessa poco che abbia ammazzato quel ragazzo oppure no. E i tuoi sentimenti al riguardo m'interessano anche meno.» Il padre le si avvicinò. Per un attimo diede quasi l'impressione di volerla toccare. Teneva le mani rigidamente lungo i fianchi, in una positura goffa. «Ti prego», disse con voce roca. «Potrei morire presto. Voglio vederla riabilitata.» D'un tratto, lei si sentì sfinita. «Non sarà facile, papà. Può darsi che tu sia costretto a vivere ancora per un po'.» Il vecchio sembrò perdere le forze. «Come sta?» mormorò. «Date le circostanze, bene. È terrorizzata, ovvio, e soffre di sbalzi d'umore. Ma sembra possedere una certa capacità di recupero.» Channing distolse lo sguardo. «Credi che possa reggere?» «Sì. Per qualche tempo.» Lui tornò a fissarla e, con voce pacata, ammise: «So di averti chiesto molto». «Tu? Io sono rimasta per lei.» «Questa candidatura a giudice federale», le chiese, dopo un lungo silenzio. «A che punto sta?» La domanda la sorprese. Per un attimo, senti di trovarsi su un terreno infido. «Veramente, non riesco a pensarci molto, adesso...» «Posso esserti d'aiuto, Caroline.» La sua voce aveva ripreso forza. «Tim Braddock fa parte della commissione di giustizia del senato, ed è in lizza per la presidenza. Potrei telefonargli...» Lei scosse la testa. «È l'ultima cosa di cui ho bisogno. E l'ultima che desidero. Riesci a capirlo?» Il padre apparve per un istante più vulnerabile. «Sì», rispose in tono
fermo, «ci riesco.» «Quella parte della nostra vita è finita, papà», commentò lei, con un sospiro. «Ma se vuoi esaminare a fondo la questione di Brett insieme con me - senza sentimenti di mezzo - sono disposta a metter tutto da parte. Almeno per il momento.» Il vecchio alzò la testa. «Grazie», disse semplicemente, e se ne andò. Dalla fotografia, James Case la fissava. Lo squarcio letale che gli attraversava la gola era una linea scura, e la testa era piegata a un'angolazione impossibile in vita. Gli occhi erano asciutti, avevano un aspetto vetroso. Il volto era macchiato di sangue; fra le labbra, leggermente dischiuse, c'era una bolla rossa. Caroline piazzò la foto accanto alle altre, sul tavolo da riunione. I tecnici della scientifica avevano fatto un lavoro accurato. C'erano circa venti foto a colori. Le stazioni dell'agonia di James Case, pensò. Il corpo nudo, sdraiato scompostamente sulla coperta. Il tronco spruzzato di sangue. Il pene flaccido, rivestito da un preservativo. Il taglio sul petto. Una foto della gola così ravvicinata che lei riusciva a scorgere le corde vocali. Fu incapace di non pensare a Brett. «Chi ti ha ammazzato non ha voluto lasciarti la minima possibilità di sopravvivere ai suoi colpi.» Dietro di lei, Channing studiava le foto, lievemente disgustato. «Certa gente non è destinata a vivere a lungo», mormorò. «Ma come può esserci andata a letto?» Senza rispondere, Caroline distolse lo sguardo da lui. Si trovavano in un'asettica sala riunioni nella sede della polizia di Stato a Concord, ed entrambi erano impegnati a scorrere documenti. Il padre lasciò passare qualche minuto, poi, come se nulla fosse, dichiarò: «Jackson non ha nulla da opporre all'ipotesi che l'assassino sia arrivato dal lago. O che abbia camminato lungo la riva». «E chi avrebbe potuto essere? L'assassino, intendo.» «Il fornitore di droga. O anche un vagabondo.» «Ho controllato i rapporti della polizia. Nella zona nessuno ha notato vagabondi, né ci sono state rapine. Quanto al trafficante furioso con James... Be', pare che quella storia dell'effrazione in casa sua sia inventata.» Tacque e riprese a studiare la foto del tronco del ragazzo. «No, la cosa migliore da fare è tenerci i barboni e gli spacciatori come un'oscura minaccia che la polizia non ha preso sul serio. Ma più investighiamo, più forniamo loro la prova che hanno fatto benissimo a non farlo.»
Channing si alzò, incapace di star fermo. «Ti serve un indiziato, Caroline.» Senza ribattere, lei aprì una busta a soffietto e ne estrasse un'altra, quest'ultima di plastica e sigillata. Il padre inchiodò gli occhi sul reperto. Caroline glielo porse. L'uomo tenne la busta sospesa fra le dita e gli occhi fissi sul coltello Cahill dal manico d'osso. L'elsa era ancora incrostata di sangue. In tono sommesso, lei chiese: «Sai dov'era Betty?» Il padre la scrutò freddamente. «A casa», rispose. «Con me.» Si guardarono negli occhi. Poi Caroline, facendo un cenno con il capo in direzione della busta, riprese: «Brutta cosa, vero? Ma, come dici, Jackson non arriverà mai a collegare il coltello con Brett. Ammesso che la ragazza sia innocente». Senza rispondere, Channing ripose il coltello nella busta a soffietto. «Per cui», continuò lei a bassa voce, «possiamo concentrare altrove la nostra attenzione.» Gli passò la foto del tronco di James. «Per esempio, che cosa c'è che non va in questa foto?» Distrattamente, l'uomo la prese. «Il sangue è poco», commentò, dopo una lunga pausa. Caroline annuì. «Già, le macchie sono davvero poche... Dovrebbero essercene molte di più, per via del fiotto di sangue arterioso. Specialmente se l'assassino gli ha tagliato la gola da dietro la testa, come suggerisci tu, in modo da non essere investito dallo zampillo.» Channing osservava la foto. «E se Brett fosse stata sopra di lui, come ritiene la polizia?» «Allora anche lei si sarebbe coperta di sangue, ma le sue foto dimostrano il contrario. E noi possiamo supporre che gli sia andata sopra... Hanno rilevato le sue impronte sulla gola e sul petto di James, grazie alle macchie di sangue.» Tacque, pensosa. «Jackson sarà di diverso avviso, ovviamente. Avrò bisogno di periti.» «Di un sierologo?» «Forse. Di certo mi saranno utili un criminologo, un medico legale e un investigatore. Inoltre - e sarà fondamentale - qualcuno che possa testimoniare sugli effetti operati dalla droga e dall'alcol sulla memoria.» Channing tornò a sedere. «Quanto costerà tutto questo?» «Se andiamo in giudizio, centomila dollari. Forse più.» Lui abbassò lo sguardo sul tavolo. «Caroline», mormorò. «Eccettuata la mia pensione, ho pochissimi soldi.»
La cosa la sbalordì. Ricordò la giovane Caroline Masters, i cui desideri erano invariabilmente esauditi. «Come può essere?» Il padre intrecciò le dita. «Può essere, e da parecchio. Però non te l'ho mai detto.» Il tono era stanco. «C'è stato un tempo in cui ho pensato che tu avresti potuto mantenere in vita Masters Hill. Poi sei partita...» Riprendendo il controllo di sé, concluse, con una sfumatura fatalistica nella voce: «Tutti i miei investimenti sono stati un disastro, e Betty e Larry non hanno soldi da parte. Insomma, tutto ciò che abbiamo è la casa e quel che rimane del nostro buon nome». L'ultima frase, Caroline lo sapeva bene, era stata pronunciata senza la minima ironia. Di profilo, la mascella del padre spiccava netta, il volto era pieno d'orgoglio. «È per questo che non hai mandato Brett in collegio per il liceo, e poi in un'università più prestigiosa?» Il padre aggrottò le sopracciglia. «Abbiamo fatto quel che era meglio. Quale che fosse il costo.» Lo studiò per qualche istante. Quindi, in tono pacato, commentò: «Bella risposta». Channing guardava fisso davanti a sé, in silenzio. «Se sarà necessario», riprese lei, «puoi ipotecare Masters Hill.» L'uomo non batté ciglio. «L'ho già fatto. E i valori immobiliari sono crollati, da queste parti...» Si accorse che lo stava torturando. «D'accordo», disse allora. «Posso ricavare un po' di soldi da casa mia. Ma ho bisogno di ventimila dollari subito. O da te o da Betty.» «Per che cosa?» «Per l'udienza di causa probabile. L'ho richiesta a Jackson ed è fissata tra soli dieci giorni. Nel caso decida di confermarla, avrò bisogno dell'aiuto di qualche esperto.» Channing si voltò verso di lei. «Come ha fatto la difesa nel processo a O.J. Simpson?» «Precisamente, e per le stesse ragioni. Come gli avvocati di Simpson, non ho probabilità di vincere... La Corte troverà la causa probabile. Ma se il giudice mi lascia fare, potrò interrogare i testimoni di Jackson prima che siano preparati - per esempio il medico legale e quelli della scientifica - e inchiodarli a una precisa versione.» Channing la studiò. «O magari», disse in tono tagliente, «potrai mettere Brett davanti al complesso di prove raccolte contro di lei, e convincerla a
patteggiare.» Caroline s'irrigidì. «Naturalmente, potrei anche non riuscire a intimidire Brett nel tempo utile per salvare la mia nomina a giudice federale... È piuttosto cocciuta.» Il tono era aspro e sardonico. «Ma non mancano altri vantaggi. Come, per esempio, vincere la battaglia propagandistica nella fase predibattimentale o - meglio ancora - bombardare a tal punto l'opinione pubblica di prove contro Brett da non farle più ritenere così scioccanti. Come ben sai, è più semplice convincere una giuria del ragionevole dubbio se il peggio l'ha già annoiata.» Alzò le spalle. «Dopotutto, se dovrò riprendere la professione, un'inattesa vittoria potrebbe mantenermi sulla cresta dell'onda. Potrebbe perfino aiutarmi a coprire le spese della difesa di Brett.» Channing arrossì. «Non ti permetterò di spingerla a patteggiare...» «Non mi 'permetterai'? Allora considera che un ergastolo per Brett durerebbe sensibilmente più a lungo che per te.» Poi, con minore asprezza, soggiunse: «Non mi dire mai più, papà, che cosa tu permetterai o non permetterai. Perché io farò o dirò tutto quello che credo sia nell'interesse di Brett. Incluso imporre a Jackson questa udienza per la causa probabile... sebbene non abbia ancora deciso se questa sia la strada migliore». Channing parve studiarla; per uno strano momento, lei pensò di aver visto passare sul suo volto un lievissimo sorriso. «Posso mettere assieme ventimila dollari in tre-quattro giorni», disse tranquillamente. La donna non rispose. Rimase per un istante come sospesa, per schiarirsi le idee, poi inforcò gli occhiali da lettura. Si era riservata la deposizione di Megan Race per ultima. La lesse una prima volta per il semplice contenuto, cercando di non farsi coinvolgere emotivamente dalle parole scritte sulla pagina. La seconda volta, invece, prese minuziosi appunti. Quando terminò, fece scivolare il documento sul tavolo. «Leggi questo.» Quasi imitasse Caroline, Channing inforcò gli occhiali con la montatura in corno. Il fatto la sorprese. Non ricordava che ne avesse mai avuto bisogno. Lesse in silenzio, poi, quando ebbe terminato, posò il documento. Era pallido in volto. «Mente.» «Perché?» «Deve mentire... Senza questa ragazza, Jackson non ha abbastanza elementi per andare in giudizio. Quantomeno, se i tuoi periti faranno il loro lavoro.» «Proprio così.»
Channing pareva a disagio. A bassa voce, domandò: «È per lei che vuoi l'udienza preliminare, vero?» Caroline si concesse un breve sorriso. «Supponi che Megan sia il classico tipo ossessivo. Supponi che sia stata lei a seguirli, a spiarli.» Sempre fissandolo soggiunse, con un tocco d'ironia: «Supponi che sia stata lei, papà, a ucciderlo». Il vecchio fissava le carte posate davanti a lui. «E se fosse stata con alcuni amici, quella sera? Ammesso che tu stia parlando sul serio...» La voce parve mancargli. «Oppure, più realisticamente, se godesse di una buona reputazione?» Il sorriso di Caroline divenne gelido. «Allora dovrò distruggerla, giusto? Per il bene di tutti noi.» 2. «Ho tutto quello che mi serve per l'omicidio premeditato», le disse Jackson. Caroline l'aveva trovato vicino alla sua casetta. In piedi, sul molo, si stagliava nella luce del mattino, una luce grigia che filtrava da un leggero strato di nuvole. Il lago pareva immobile. Ficcò le mani nelle tasche dei jeans. «Tranne la prova che il coltello appartiene a Brett.» Lui le rivolse uno sguardo ironico. «Nessuno registra i coltelli. Non mi serve sapere da dove salta fuori.» «È un'accusa eccessiva», insistette lei, innervosendosi. «In ogni caso, se tu ci vedi la premeditazione, io vedo una magnifica tesi difensiva e cioè quella dell'infermità mentale: Brett che progetta di correre per i boschi, nuda e coperta di sangue, e poi organizza la fuga sempre interpretando la parte della donna nuda in preda a una crisi isterica. Il tutto dopo essersi accuratamente sbarazzata del cadavere, lasciato in bella vista sulla sua proprietà.» Jackson le scoccò un'altra occhiata, a mezzo tra l'interesse e la pietà. Poi sedette sul pontile, con le gambe penzoloni nel vuoto, e le fece cenno di raggiungerlo. Lei obbedì. «Tu mi stai sondando», disse Jackson sottovoce. «In particolare, speri che ci mettiamo d'accordo sull'omicidio colposo. Che permetterebbe a Brett di essere fuori prima che compia trent'anni.»
Era bravo, pensò Caroline. O forse lei era diventata meno brava. «Non fa mai male fare i conti con la realtà.» Con gli occhi fissi sul lago, lui scosse la testa. «Nel tuo mondo - a San Francisco - 'realtà' significa circa duecento omicidi all'anno: la pubblica accusa deve patteggiare, o l'intero sistema crolla. Ma qui siamo nel New Hampshire, con meno di quaranta omicidi in tutto lo Stato, e l'opinione pubblica vuole che i processi vengano celebrati.» La guardò. «Non voglio fare giochetti con te, Caroline. Dal nostro punto di vista, l'omicidio colposo è escluso. Il massimo cui posso arrivare è omicidio volontario: vent'anni, almeno.» Per un attimo, lei rimase senza parole, poi ribatté: «È una posizione da Medioevo... Uscirà a quarantadue anni». Jackson si mise sulla difensiva. «È una posizione da New Hampshire. James Case non compirà mai ventiquattro anni. Mi stai chiedendo di... svendertelo.» «Sei sicuro che sia io a fare una cosa del genere?» replicò lei, voltandosi bruscamente a guardarlo. «Oppure sei tu che ti senti in dovere di esagerare, per compensazione?» «Chiedendo vent'anni di galera per una vita?» Negli occhi dell'uomo lampeggiò una collera improvvisa, subito controllata eppure intensa. Si costrinse a un tono più pacato. «E per che cosa starei compensando?» Caroline tacque, rimpiangendo le parole dette, e senza sapere come ribattere. Osservò la collera di Jackson spegnersi, rimpiazzata da un senso di assoluto distacco da lei. «Bene.» Lui congiunse le mani, intrecciò le dita, e fissò lo sguardo davanti a sé. «Se ti riferisci alle mie precedenti relazioni con Channing, be', gli altri membri della mia sezione non stanno meglio... I due più anziani li ha aiutati lui a ottenere l'incarico, e i due che rimangono li conosce per il loro impegno politico con i repubblicani.» Il tono diventò rilassato, come se l'uomo riferisse questioni di secondaria importanza: «Come ti ho già spiegato, non ho mai trascorso molto tempo libero con Channing, da quando sei partita. Era piuttosto penoso per entrambi». «Il che mi conduce a te.» Le rivolse uno sguardo così gelido da ferirla. «Se ho un problema, è certo quello di dover dibattere una causa con te dall'altra parte. Ma sei tu che non dovresti esserci, considerando quanto c'è stato - o c'è adesso - fra noi.» Le ultime parole, pronunciate in tono neutro, distaccato, colpirono Caroline come uno schiaffo. Si sforzò di apparire calma. «Per dire le cose come
stanno, Jackson, quella giornata insieme è stata molto piacevole. Ma non ha nulla a che fare con il motivo per cui sono venuta qui. L'unica mia preoccupazione è di assicurare alla mia cliente un trattamento corretto.» Lui incrociò le braccia. «Ti ho offerto un test con la macchina della verità.» «E io l'ho rifiutato per tutte le ragioni che ti ho già esposto. E anche perché è probabile che fosse confusa dalla droga al punto da non conservare ricordi precisi.» L'altro alzò le sopracciglia. «E che ne diresti di un'unica, semplice domanda? Come, per esempio: 'Ha ucciso James Case?' Che cosa potrà mai dire... 'Non ricordo...'?» Scrollò le spalle alla sua stessa ipotesi, per rimarcarne l'assurdità. «Che ti piaccia o no, sappiamo entrambi che lo ha ucciso Brett. L'unica questione aperta è il grado dell'omicidio. Quanto a questo, tu sei troppo coinvolta e troppo lontana al contempo: un avvocato californiano, che - con tutte le sue indubbie doti - non sa quasi nulla di come vanno le cose da queste parti.» L'ultima frase la inchiodò per un istante: l'osservazione ricalcava le sue paure inconfessate. «Ma posso imparare, Jackson. Con tutte le mie indubbie doti...» «Perché lo fai?» la interruppe. «Insomma, non l'hai vista per vent'anni e, per dirla chiara, non te ne fregava nulla...» «Non sta a te dirlo.» «No?» Scosse la testa, meravigliato. «Che cosa stai cercando di dimostrare, adesso, e a chi? Pensavo che ti fossi lasciata alle spalle questo paese...» «Cristo.» Caroline si chinò all'indietro, poggiando il peso sulle mani, con gli occhi fissi su di lui. Concluse la frase a bassa voce: «Non cercare di psicoanalizzarmi. Non ne sei capace». Jackson strinse le labbra. «Perdonami, ma ci sono un sacco di ottimi avvocati difensori in questo Stato: liberi dal fardello che ti sei portata dietro tu - qualunque esso sia - e senza nomine in vista alla Corte d'Appello.» Tacque, e riprese in tono più gentile: «Questa è già una tragedia per Brett e per la sua famiglia. Non vorrei che diventasse una tragedia anche per te. Né - e questa è la mia vera debolezza - vorrei esserci coinvolto io». Caroline sentì che ogni emozione l'abbandonava. «Gliel'ho promesso», si limitò a dire. Lui la studiò. «Niente omicidio colposo, Caroline. Se è questo che vuoi, dovrai affrontare il tribunale.»
Lentamente, lei annuì. «Ma posso contare sull'udienza, d'accordo?» Il viceprocuratore reclinò la testa di lato. «È tutto?» «È tutto.» Caroline si alzò. «Grazie per avermi dedicato la tua attenzione.» Rimasero per un po' a guardarsi, in silenzio. Poi lei accennò un sorriso e si avviò. Jackson non l'accompagnò all'auto. «Megan Race», ripeté l'investigatore privato, e annotò il nome sulla prima riga di un blocco. Erano riuniti nell'ufficio del consulente legale scelto da Caroline. Carlton Grey, occhialuto veterano delle corti di giustizia del New Hampshire, sedeva alla sua scrivania in noce; Caroline e Joe Lemieux, il detective di Concord - bruno, trent'anni, dall'aspetto ascetico - sulle poltroncine di fronte a Grey. Lemieux si rivolse a Caroline: «Che cosa le serve?» «Tutto», rispose lei in tono brusco. «E in meno di dieci giorni. Da dove viene, se lavora e dove, quali corsi segue, com'è la sua famiglia, se è mai stata in terapia o c'è adesso, quali amici ha. E soprattutto i nomi degli ex fidanzati. Quest'ultima informazione è fondamentale.» Lemieux fu incuriosito. «Che cosa stiamo cercando, esattamente?» «Qualsiasi cosa utile a distruggere la sua credibilità... E qualcosa ci sarà, Joe. Tutti hanno qualcosa che non va.» Il detective annuì. «Poi», proseguì Caroline, «c'è la sua relazione con il ragazzo morto, James Case.» Carlton Grey si sporse in avanti. «Per come la vedo io, Caroline, vorrai sapere quando è finita.» «Stando alla sua deposizione, Megan e James sono stati amanti fino al momento della sua morte... Tanto che James avrebbe chiesto a lei di seguirlo in California. Invece, secondo Brett, James ruppe con Megan in aprile, due mesi e mezzo fa. Allora mi chiedo: c'è qualcuno che li abbia visti insieme, da allora?» Lemieux prese nota sul blocco. Aveva dita affusolate, notò Caroline, e possedeva una certa grazia. Non era certo il tipo da dare sui nervi alla gente. «E per gli ex fidanzati...» chiese. «Primo, verificare se ce ne sono. In caso affermativo, prenderemo in considerazione l'eventualità di contattarli... Ce ne vorrebbe uno che la definisse maligna, astiosa o - meglio ancora - squilibrata.» Grey assentì. «Ti serve una ragione per cui avrebbe mentito.»
«Già. E ci sarebbe di grande aiuto trovarla in tempo per l'udienza di causa probabile. Che poi la si usi o no, è indifferente.» «Lei non ci sarà», interloquì Grey. «Jackson non la chiamerà mai a testimoniare in quella sede.» Caroline sorrise. «Ma posso citarla io, vero? Supponendo che il giudice me lo consenta.» Grey alzò un sopracciglio. «Hai letto i nostri statuti.» «Sì, è una cosa che faccio sempre», rispose, ancora con quel mezzo sorriso sulle labbra. «È una delle mie doti.» «Me lo ha chiesto mia nipote», dichiarò Caroline. «E, con mia grande sorpresa, ho scoperto di non essere capace di rifiutare.» Era sera. Aveva chiamato Walter Farris a casa. Dapprima udì soltanto un disturbo sulla linea. Poi lui rispose: «Questo pone un problema». Si sforzò di apparire tranquilla. «Ma ne siamo proprio certi? Realisticamente, è fuori questione che io, qui, possa far uso della mia influenza. Davvero, Walter, nell'era dei valori della famiglia, spererei che la gente - senatori inclusi - mi comprendesse almeno un po'. A che servono vent'anni passati a difendere estranei se non puoi aiutare tua nipote?» Quella risposta, attentamente preparata, zittì Farris per un po'. Quando riprese, aveva assunto un tono neutro. «Siete molto unite, ne desumo.» Caroline considerò bene la risposta. «Lo siamo diventate», disse e tornò al suo appello, forgiato con tanta cura in precedenza. «Se dovesse giovare, sono pronta a scrivere al presidente della Commissione giustizia per spiegargli le mie difficoltà, confermargli il mio interesse nella cosa ed esprimere la speranza che le udienze di conferma si possano tenere immediatamente dopo la conclusione del processo.» Nel silenzio che seguì, lei sentì crescere la sua ansia. Infine, Farris chiese: «Quanto potrebbe durare?» Lei esitò. «Forse sei mesi.» «Penso che sia troppo.» La voce di Farris si era fatta brusca. «Una volta arrivati tanto vicini alle elezioni, i repubblicani potranno contrastare la nomina, nella speranza di avere presto un loro presidente. E tu sei un bersaglio fin troppo ovvio.» Al massimo della tensione, Caroline si sforzò di pensare in fretta. «Perché sono una donna?» chiese. «O, come dici tu, una femminista? Perché allora il problema esiste davvero... Comunque ritengo che potrebbe esserci anche un altro modo di vedere la faccenda, e cioè considerandola un'op-
portunità per dimostrare che il presidente sa mantenere i propri impegni. A meno che non ci siano ragioni più gravi del semplice dare un dispiacere a un parruccone, come hai detto una volta.» Aveva parlato in tono così calmo che Farris non poté affrontarla di petto. «E che cosa vorresti che facessi?» chiese allora, vagamente seccato. «Vorrei che comunicassi al presidente che farò qualsiasi cosa desideri. Dopotutto, sono candidata unicamente per suo desiderio.» Farris ammutolì di nuovo. Lei riusciva a immaginarselo: messo alle strette ma incapace di ammetterlo, si stava chiedendo fino a che punto quella mossa fosse calcolata. «D'accordo», disse infine. «Lascerò che decida lui.» Sola nella sua camera, Caroline chiuse gli occhi. «Grazie», mormorò. 3. Una poliziotta scortò Brett nella squallida sala colloqui dai muri gialli, fino a un tavolo in compensato che a Caroline parve preso a prestito da qualche ufficio. Brett le sedette di fronte; l'agente uscì dalla sala, limitandosi a guardare di tanto in tanto da uno spioncino nella porta di metallo. Negli occhi della ragazza una sorta di luce aveva preso il posto della fissità dei primi momenti. «Grazie per essere venuta», le disse. «Ormai conto soltanto su questo.» L'altra sorrise. «Oh, ma è normale: un posto così ti porta a vedere la mia compagnia sotto una luce nuova e molto più gradevole. Può essere inebriante, una cosa del genere, per una zia abituata a trascurarti come me.» Il sorriso di Brett faticò un po' a nascere, e fu meccanico; a Caroline parve di vederla ripercorrere una serie infinita di giornate tutte uguali. «Sei riuscita a darti una certa regola di vita?» chiese. «Abbastanza, sì.» Scrollò le spalle. «Mi ricorda qualcosa che disse una volta il mio professore di filosofia... Che la vita è un modo per ammazzare il tempo.» Sembrava lontana, pensò Caroline, quasi distaccata. «Che genere di cose fai?» le chiese. «Un po' di yoga, qualche lettura... Il personale di guardia è sostanzialmente gentile, e in cella sono ancora sola.» Si sistemò meglio sulla sedia. «Sono venute a trovarmi un paio di amiche... compagne di liceo, perché quelli dell'università sono ormai partiti, in maggioranza. Ma non sanno che dirmi, e io non so che cosa dire loro.» Alzò di nuovo le spalle,
disarmata. «Voglio dire, mica posso raccontare i miei incubi, o che mi manca James, o della fantasia, che faccio spesso, di essere insieme con lui in California. Sarebbe troppo bizzarro per loro, capisci?» Abbassò lo sguardo sul tavolo. «Non ne hanno colpa. Non sono molte le persone che abbiano vissuto un'esperienza simile. Di sicuro non possono dirmi cose tipo: 'So che cosa provi'.» Tacque per un po', quindi riprese: «Sai che cos'è davvero strano? Questa è la prima volta, da che mi ricordi, in cui sono veramente sola: senza il nonno o i miei genitori o una compagna di stanza o magari James. Ed è un altro dei motivi per cui non so se sarei partita con lui. Sentivo che era tempo di stare un po' per conto mio». Il tono della voce era pieno di meraviglia. «E adesso ci sono, da sola...» Sta parlando a se stessa, rifletté Caroline. Avvertì una strana intimità stabilirsi fra loro. «C'è stata un'epoca nella mia vita, più o meno alla tua età, in cui decisi di trascorrere un po' di tempo da sola», mormorò. «Durò per qualche mese... Mi dedicai persino a scrivere. Quando quel periodo terminò, scoprii che ero giunta ad alcune conclusioni a proposito del mio futuro, comunque andasse. E a proposito del prezzo che avrei dovuto pagare.» Brett la studiò con attenzione e curiosità. Infine, disse semplicemente: «Mi stai dicendo che dovrei farlo anch'io... Usare questo tempo per pensare. E magari per scrivere». Caroline alzò le spalle. «A che altro potrebbe servire, se no?» La ragazza prese ad accarezzarsi oziosamente una ciocca di capelli. «Tutto ciò a cui io riesco a pensare», rispose, «è come ho fatto a finire qui.» Sotto la superficie di quella dichiarazione, espressa con la semplicità delle cose vere, Caroline percepì una sorta di sfida. Ci penso, la ragazza le diceva, perché sono innocente. Ma lo sguardo della donna non vacillò. «Pensa pure a qualsiasi cosa ti venga in mente», mormorò. «Ma qui puoi parlare - o scrivere - di tutto tranne che di quello. O di James...» Brett la guardò con il gelo negli occhi. «Perché leggeranno tutto», completò. «O ti sentiranno. E potrebbero darne un'interpretazione sbagliata.» Brett si appoggiò allo schienale della sedia e parve riflettere, prima di parlare. «Perché sei rimasta, Caroline? Dato che tu non credi alla mia innocenza, voglio dire.»
Colta di sorpresa, lei ebbe, in un lampo, la visione del coltello insanguinato. Mantenne tuttavia un tono tranquillo. «Gli avvocati non credono a un bel niente, perché un simile atteggiamento non porta a nulla. Io, e con me la legge, parto dalla presunzione della tua innocenza. Il mio compito è appunto di preservare tale presunzione.» «Ma sembra tutto così... freddo.» Era strano, rifletté Caroline, come una semplice parola, da parte di quella ragazza, bastasse a ferirla. «A volte, la 'freddezza' non è che un punto di vista. E tu faresti bene a presumere che qualche verme possa cercare d'ingraziarsi i superiori riportando qualche tua frase. Vera o presunta che sia.» Brett incrociò le braccia. «Siamo in posizioni molto diverse, eh? E non soltanto da adesso. Quando, alla mia età, hai sentito il bisogno di pensare, hai scelto tu il tempo, il luogo e l'argomento.» In tono più amaro, soggiunse: «Io non sono libera di fare nessuna di queste cose. E, a meno che non mi tiri fuori tu, rischio di non poterle fare mai più». Caroline abbassò lo sguardo, accettando il rimprovero. «Ho detto una cosa sciocca. Noi siamo diverse, e anche la situazione è diversa. Cercavo soltanto di avvisarti di stare attenta.» «Bene. E io cercherò di non dire a nessuno che ho tagliato la gola a James.» Quando la donna sollevò il capo, vide che gli occhi di Brett erano pieni di lacrime. Si guardarono in silenzio. Caroline sospirò. «C'è un'altra cosa di cui dobbiamo parlare.» La ragazza parve cercare di ricomporsi. Nella pallida luce al neon, i suoi occhi si accesero. «Qualsiasi cosa.» «Ho parlato con Jackson», mormorò Caroline. «Non accetta l'omicidio colposo.» L'espressione di Brett s'indurì. «Io non accetto l'omicidio colposo. Ne abbiamo già parlato.» Si chinò in avanti, guardando la donna negli occhi. «So che potrà sembrare pazzesco a chi si limita a 'presumere' la mia innocenza. Tuttavia non mi dichiarerò colpevole di qualcosa che non ho fatto.» Dopo un momento, l'altra alzò le spalle. «Be'», commentò, «questo semplifica le cose, vero?» Brett si alzò e prese a camminare avanti e indietro. Dopo un po', si voltò di scatto verso Caroline. «Questa udienza per la causa probabile di cui mi hai parlato... Quando si terrà?» «Fra otto giorni. Ammesso che la vogliamo.» La ragazza la squadrò. «Io la voglio. E intendo testimoniare.»
Caroline allontanò la sua sedia dal tavolo. «No», disse in un tono che non ammetteva repliche. «Assolutamente no.» «Lo farò comunque», ribatté Brett, quasi gridando. «Io me ne sto qui, un giorno dopo l'altro, e non ho nessuno cui spiegare che sono innocente. Per cui, lo dirò in quella udienza.» La donna mantenne un tono calmo e comprensivo. «Capisco quello che provi... almeno ci provo. Ma il mio unico scopo nel pretendere quell'udienza è di cogliere impreparati i testimoni di Jackson, e soprattutto Megan Race, che si rifiuta persino di parlarmi. E non voglio dare a lui l'occasione di cogliere te impreparata.» Proprio come Caroline aveva desiderato, quell'accenno a Megan zittì Brett. Cercò di approfittare del momento. «Un processo somiglia a una rappresentazione teatrale, Brett. Devi sapere le battute o, quantomeno, conoscere il copione quanto basta per improvvisare. Non ho ancora un'idea abbastanza chiara delle prove che potrebbero presentare. E non c'è il tempo necessario per portarti al livello cui dovresti essere.» «Una rappresentazione teatrale?» Brett le scoccò un'occhiata incredula e rabbiosa. «La verità è la verità, e io testimonierò.» I suoi occhi mandavano bagliori. «Chi è sotto processo, tu o io?» Caroline si alzò. «Non si discute. Mi rifiuto di aiutarti a suicidarti. Jackson ti farà a fettine prima ancora che tu ti renda conto che non è James Stewart...» «Mi hai sentito, Caroline?» «Sì.» Caroline tacque. Poi, spietatamente, ricacciò indietro ogni pensiero improntato alla pietà e disse: «E adesso ascoltami tu. Se insisti su questo punto, rinuncio». Brett la guardò a bocca aperta e a occhi spalancati. Impallidì di colpo. «E rinuncia, allora», mormorò. «Sono stufa, voglio riprendere il controllo della mia vita.» «Non sei nelle condizioni più adatte a prendere una simile decisione, mi pare», esplose Caroline. «Capirai di essere cresciuta quando la tua prima decisione non sarà così assolutamente stupida!» Riuscì a controllarsi. «Non fare una scelta sbagliata soltanto per il gusto di fare una scelta. Ti prego.» Lo sguardo di Brett parve vacillare, poi la bocca s'irrigidì. «Puoi andartene immediatamente. Il nonno mi troverà qualcun altro.» E con quali soldi? avrebbe voluto risponderle. Ma la ragazza che si vide di fronte - un essere vulnerabile, in balia della lotta tra l'orgoglio e la paura
- la dissuase dal replicare. «Me ne andrò», disse infine. «Ma non prima di fare una cosa.» «Che cosa?» «Siediti», le disse, sbrigativa. «Io interpreterò Jackson, e tu sarai te stessa. Proprio come nella splendida scena del tribunale, quella che immagini tanto fervidamente, senza interferenze da parte mia, tra soltanto otto giorni. E non dimenticare di scrivere.» Pallida e risoluta, Brett sedette. Caroline rimase in piedi, a studiarla. «Le regole del gioco sono semplici. Io faccio le domande, tu rispondi entro dieci secondi. In modo che il pubblico veda quanto sei schietta e sincera.» La ragazza la squadrò con aria di sfida. «Non devi essere così ostile», l'ammonì. «Ricordati che io sono Jackson, e che la verità è la verità.» L'altra arrossì. «Vuoi cominciare, allora?» «Bene.» Nel silenzio che seguì, Caroline riusciva quasi a sentir battere il suo cuore. «Hai già descritto l'omicidio, il turbamento e l'orrore che hai provato, e tutti ti guardano con viva compassione. A questo punto sei nell'auto della polizia... Ecco: spiega ciò che hai fatto dopo.» Una prima scintilla d'insicurezza, forse di sfiducia in se stessa, si accese negli occhi di Brett. «Quando il poliziotto si fermò, lei era nuda, vero?» esordì Caroline. Brett annuì. «Devi parlare ad alta voce, per la registrazione. E ti consiglio di avere un tono chiaro e fermo.» «Sì.» La voce di Brett era dura come la pietra. «Ero nuda.» «E coperta di sangue.» Esitò. «Avevo del sangue addosso, sì...» «Guardami negli occhi, per favore... o farai una cattiva impressione», le suggerì Caroline, poi tornò nel suo ruolo. «Dove pensava che si trovasse James?» La ragazza socchiuse le palpebre, come se si sforzasse di ricordare. «Ero drogata.» «Ma non era drogata quando lo ha preso a bordo della sua macchina. Giusto?» Brett si raddrizzò. «No.» «E non riusciva a ricordarlo, questo particolare?» «Penso di sì. Sì.»
«E, allora, ha 'pensato' che James fosse svanito nel nulla?» «Non capivo niente.» La ragazza chiuse gli occhi. «Mi sembrava di essere in un incubo... Vedevo immagini che però svanivano all'istante.» «C'era un portafoglio insanguinato nella macchina, vero?» Brett rimase con gli occhi chiusi. «Sì.» «E lei ha pensato che quello fosse un incubo?» Lentamente, la ragazza scosse il capo. «Vedevo immagini... frammentate. Non ci volevo credere.» «Oh, ma non c'erano soltanto immagini frammentate. C'era anche un coltello macchiato di sangue sul sedile del passeggero... No?» Mentre il tormento affiorava sul suo viso, Brett rispose: «Sì». «E ha pensato che saltasse fuori da un sogno?» «No.» Levò lo sguardo in un muto appello, come se volesse vedere davanti a sé soltanto Caroline, non più il suo torturatore. «Deve capire. Mi sembrava tutto irreale. Non riuscivo a ricordare che cos'era accaduto.» La donna le sedette di fronte. A bassa voce, chiese: «Intende dire che non riesce a ricordare se lo ha ucciso oppure no?» «No.» Brett s'irrigidì. «Non avrei potuto.» Caroline tacque. Sentiva un nodo allo stomaco. In tono relativamente tranquillo, proseguì: «'Non avrebbe potuto'? Credevo non riuscisse a ricordare». «Ci riuscii...» Abbassò gli occhi. «Ma più tardi.» «Otto ore più tardi?» «Non lo so. Quando la mia testa ha cominciato a snebbiarsi.» «Prima di quel momento, da dove pensava che venisse il sangue che aveva addosso?» Debolmente, Brett scosse il capo. «Non lo sapevo.» «Quindi, due ore dopo essere stata trovata, lei era in grado di ricordare soltanto che James 'poteva' trovarsi in riva al lago?» «Sì.» La voce era diventata flebile e roca. «Pensai che potesse essere là.» Caroline si chinò verso di lei. «E perché lo pensò?» «Perché ricordavo di avercelo portato.» «Ma lei lo ha sempre ricordato, questo... Come ha sempre ricordato di averlo fatto salire in auto. Perché non era drogata, allora.» «Non lo so.» Brett alzò la voce. «Forse è stato per via del coltello nell'auto.» Lentamente, Caroline scosse la testa. «No, Brett. È stato perché tu sapevi tutto quanto - James, il sangue, il coltello, il portafoglio - già due ore
prima, quando ti sei chiusa nell'auto...» Il suo tono assunse una calma spettrale. «... quando, al poliziotto di pattuglia, non hai detto nulla.» La ragazza si passò una mano sugli occhi. «Non ricordavo.» «Mi dica», riprese l'altra, «la sua memoria funziona sempre così? Insomma, le capita spesso che le torni soltanto dopo qualche ora o addirittura dopo vari giorni?» Brett tenne gli occhi fissi sul tavolo. «È stata la droga. Quello che è avvenuto quando non ero drogata lo ricordo.» Caroline si raddrizzò. «Come la sera in cui trovò James a letto...» interpose una pausa micidiale, «... con una ragazza nuda di nome Megan Race?» La nipote chinò leggermente il capo. «Megan...» cominciò, poi tacque. Caroline si chinò in avanti. Con terribile calma, chiese: «Era drogata, allora, Brett?» «No.» «Ma quando la polizia le ha chiesto se c'erano altre ragazze, lei non ne ha fatto cenno.» «No.» Le tempie di Brett pulsavano. «Non volevo pensarci. Non volevo ricordare.» «Posso capirla...» Il tono della donna era tornato gentile. «Proprio come non vuole ricordare di aver ucciso James.» Il corpo di Brett fu scosso dai brividi. Quando, finalmente, rialzò la testa, le lacrime le scorrevano sul viso. Lo sguardo muto che rivolse a Caroline fu l'ultimo, debole gesto di sfida. L'altra avrebbe desiderato confortarla. Invece, nel tono di chi fa una constatazione, disse: «Devi lavorare sulle tue battute». Brett deglutì, sempre in silenzio. Caroline attese finché non fu certa che la ragazza stesse bene fisicamente, poi riprese: «Va da sé che questa è stata una cosa fatta alla buona, senza pensarci su. Jackson sarà molto più bravo. A meno che, è ovvio, io non riesca a escludere dal dibattimento tutte le dichiarazioni che hai reso. Ed è quello che mi propongo di fare attraverso l'udienza per la causa probabile. Se ci riesco, Jackson non potrà mai farti nessuna di queste domande». Brett sembrava incapace di muoversi e di parlare. Dava l'impressione di essere affacciata sull'abisso del dubbio. Caroline le prese una mano. «Ascoltami.» Il tono era affettuoso, adesso. «Posso prometterti soltanto che farò del mio meglio. E che non permetterò a niente e a nessuno - neppure a te - d'impedirmelo.» Fece un'ultima pausa,
poi concluse: «Per favore, lasciami fare». Brett si guardava le mani. Dopo un po', disse: «Posso andare, adesso?» «Certo.» Attraverso il vetro, la guardò allontanarsi. Brett camminava come se fosse intorpidita, drogata. Non si voltò indietro. Una volta fuori, Caroline sedette in macchina. Soltanto dopo qualche tempo si sentì pronta ad andarsene. Arrivata in albergo, salì in camera e telefonò a Joe Lemieux. Quando l'altro rispose, chiese, senza preamboli: «La ragazza. Ha i suoi orari?» 4. Ai margini della corte quadrata del college, Caroline osservava la ragazza bionda lasciare l'edificio dell'unione studentesca, dove aveva lavorato fino a quel momento, e attraversare il campus a passo deciso. Ignara, camminava verso di lei. In quell'angolo c'era poca gente - studenti che se ne andavano alla spicciolata con i loro insegnanti, un gruppo di ragazzi a torso nudo impegnati a giocare a frisbee nel sole di mezzogiorno - e la figura solitaria di Caroline sembrava in qualche modo isolata. Mentre si avvicinava, assorta nei suoi pensieri e con lo sguardo fisso a terra, Caroline osservò che era graziosa: mascella forte, naso all'insù, lineamenti regolari. E intuì anche che i capelli biondi erano tinti. Cercando di controllare la tensione, si fece avanti. «Megan?» La ragazza si fermò e spalancò gli occhi, di un azzurro metallico. La scrutava come se volesse stabilire quale posto attribuirle in un'ipotetica scala di pericoli. Poi il volto si rabbuiò: aveva capito. Inalberò un vago sorriso che era più un avvertimento che un benvenuto, e che non fece svanire la circospezione dello sguardo. «Lei è l'avvocato di Brett. La donna che mi ha telefonato.» «Sì.» Caroline adottò un tono dolce, scevro da ogni minaccia. «A dire la verità, sono sua zia.» Il viso di Megan diventò inespressivo. «Chi le ha detto di venire qui? Suo padre?» L'altra scosse il capo. «Ho chiesto un po' in giro, e sono venuta per un mio personale...» «Questa è una forma di molestia. Gliel'ho già detto, Mr Watts mi ha raccomandato di non parlare con nessuno.» Megan posò le mani sui fianchi. «Guardi, se crede che sia stato facile per me...»
Nel tentativo di manifestarle la sua comprensione, Caroline levò le mani. «No, sono certa che è stato terribile, per te. Perdere qualcuno è già abbastanza brutto anche senza dover rivivere ogni cosa in tribunale.» Megan la squadrò, quindi incrociò le braccia e tornò a guardare a terra. Strinse le labbra, chiuse gli occhi e poi, lentamente, scosse la testa. «È come se mi avessero strappato il cuore, e il mio corpo continuasse a muoversi...» La sua voce si affievolì fino a spegnersi. Accigliata, diresse lo sguardo sul sentiero lastricato che si snodava davanti a lei. «Davvero», disse in tono incerto, «non dovrei proprio parlare con lei.» «Ma io ho bisogno di parlare con te... Megan, una delle cose che devi aiutarmi a decidere è se sia opportuno che Brett affronti il processo. Sarei tutt'altro che onesta se non ammettessi che gran parte della decisione dipende da lei.» Megan parve raddrizzarsi, crescere in altezza. Caroline notò che aveva un portamento da atleta, a schiena ben eretta. «E lei pensa che io possa aiutarla?» Sotto quel dubbio, Caroline lesse una resistenza leggermente meno convinta. «Non sarebbe meglio per tutti se non ci fosse il processo?» «Mi lasci riflettere. Ne parlerò con Mr Watts.» «Oh, ma sai già quello che ti dirà. E se non lo sai... Be', conosco bene Jackson, e lui adora i processi... Per la pubblica accusa non è come per noi.» Si affrettò ad addolcire il tono. «E, mentre ci pensi su, non c'è nulla di male se ci beviamo un caffè, no? Ti ho attesa qui per un bel po', e non mi spiacerebbe mettermi a sedere.» Megan rifletté. «Immagino che non ci sia nulla di male.» Insieme, si diressero verso la sede dell'unione studentesca. Il campus del Chase College era nel classico stile del New England: silvestre e silenzioso con vecchi edifici di mattoni. Attraversarono il ponte di legno bianco sul ruscello, reso pigro dal riflusso estivo. «Ti è piaciuto stare qui... almeno fino ad adesso?» chiese Caroline. «Prima di James? Non lo so. La gente qui è parecchio superficiale.» Fece un sorriso sardonico. «Sa, del tipo: 'Che bello, andiamo a sciare, e ci beviamo un sacco di birra!' La maggior parte non sa distinguere Günther Grass da Kurt Vonnegut.» Il sorriso si spense di colpo, il tono divenne quasi fiero. «James sì, invece.» Si comporta come se ci comprendessimo alla perfezione, pensò Caroline e, d'istinto, decise di assecondarla. «È così difficile trovare una persona autentica. Spesso mi sembra che le conversazioni siano in realtà una sempli-
ce emissione di suoni. Mi capita addirittura di ascoltarmi come se fossi un'estranea che sproloquia durante una festa mal riuscita.» Megan la sbirciò, come per decidere se darle credito. «È peggio alla mia età», disse infine. «Io credo nell'amicizia seria, profonda, in cui si mettono in comune tutti i pensieri. Ma come si fa a essere così, con gente che ha paura di pensare?» «E credi che parlare con persone più vecchie di te contribuisca a migliorare la situazione?» «Lo spero. Be', insomma, non sopporto l'idea che ogni appuntamento si risolva in un gran smaneggiarsi.» Tacque, poi riprese, in tono più pacato: «Almeno gli adulti hanno avuto un'occasione di crescere, di affrontare qualche problema che li toccava intimamente. Ma, con l'arrivo di James, tutto è cambiato». Raggiunsero l'entrata della sede dell'unione studentesca, una struttura in cemento in stile Bauhaus e alquanto malandata. Con pacata curiosità, Caroline chiese: «Sei mai... stata con uomini adulti?» Megan le rivolse un'occhiata tagliente, poi annuì. «Tranne che per il sesso, è andata meglio. Ma in quello James era insuperabile.» Lo disse con un piglio testardo e orgoglioso, come se volesse ricordare a Caroline che James apparteneva a lei e per dimostrare che non le importava di chi potesse sentirla; un ragazzo con gli occhiali, seduto a un tavolo nelle vicinanze, alzò gli occhi dal giornale. Poi Megan guidò Caroline fino a un tavolino nel centro della sala. L'interno era una specie di caverna asettica, circondata da vetrate. Caroline si guardò attorno. «Chi è l'architetto?» chiese, stupita. «Orribile, vero? Sembra un Le Corbusier fatto al computer.» Sedettero, l'una di fronte all'altra. Megan ricacciò indietro i lisci capelli biondi, accavallò le gambe e si sistemò ben dritta sulla sedia, con gli occhi piantati su Caroline. «Penso che l'architettura sia come la politica. Gli anni '90 non hanno portato a nulla, tranne forse ricacciare le donne al 'loro' posto. E un simile edificio è lo specchio di questo tempo.» Si guardò attorno con un'espressione vagamente sprezzante. «A me fa venire in mente due parole: 'ingegnere' e 'pene'. Non c'è nulla di spirituale in questa architettura.» L'altra annuì, stando attenta a non sottoporre Megan a un esame troppo serrato; sotto la superficie di quell'improvvisa animazione, percepì infatti una seconda Megan, ben più sospettosa, che la teneva d'occhio. «Già», commentò, «questa non è un'era spirituale. Non crediamo più nelle cose in
cui credevamo un tempo, e nulla ha preso il loro posto. Neppure la gentilezza.» Poi addolcì il tono e soggiunse: «Questo incontro è molto difficile per me, Megan. Perché io sono profondamente dispiaciuta per quanto è accaduto a James. E a te». La ragazza abbassò lo sguardo e l'alta fronte si corrugò. «Eravamo una cosa sola», mormorò, «e poi tutto è finito. Per causa sua.» Caroline congiunse le mani. «Non conosco bene Brett», ammise. «Però adesso devo trovare un senso in ciò che è accaduto...» «Non ne ha, di senso.» Il tono di Megan si era riempito di collera. «A meno che lei non capisca com'è realmente Brett.» «Non ne sono sicura, e non ho più molto tempo.» Megan alzò gli occhi. «Jackson mi ha detto qualcosa a proposito di un'udienza.» Non sfuggì a Caroline che l'uso di quel nome proprio intendeva affermare una nuova intimità fra loro: erano due adulte che si parlavano. «Fra sette giorni», disse allora. «Ma non ho ancora deciso se la voglio.» Tacque, come riluttante, poi aggiunse: «Brett continua a sostenere che è innocente...» «Non lo farebbe anche lei, se avesse tagliato la gola a qualcuno?» ribatté l'altra in tono sprezzante. «Ma è proprio quello che faccio fatica a credere. Anche con tutte quelle prove.» «Lei non conosce tutte le prove.» Megan si chinò verso di lei, guardandola intensamente. «Ci minacciava, ci seguiva. È malata, malata e ossessiva.» «Può essere così, Megan. Ma tu sei l'unica a saperlo.» «Soltanto perché James è morto.» Le afferrò una manica. «Non si è accorta, non sente ormai anche lei che c'è qualcosa di selvaggio in Brett? Quegli occhi verdi, io li rivedo continuamente, nei miei sogni.» Stava per scoppiare in lacrime. «Questa è la cosa peggiore... Vedo il suo volto più chiaramente di come veda quello di James. E temo che, con questo, dovrò conviverci per tutta la vita.» «Sai, Megan, io non c'entro, in questo», mormorò Caroline. «Però devi tener viva la sua memoria, in qualche modo. Una parte di lui deve continuare a far parte di te.» La ragazza scosse il capo. «Che cosa posso fare? Eravamo tanto uniti, avevamo pensato a un futuro insieme e poi, di colpo, non mi rimangono altro che immagini... Sempre le stesse, che scorrono all'infinito, senza più sorprese...» Le mancò la voce. «Lo ricordo mentre mi recitava brani della
sua commedia...» Caroline le sfiorò un braccio. «Mi dispiace...» «Facevamo l'amore continuamente, mi desiderava sempre. Mi chiedeva di spogliarmi per lui, di girarmi per vedere quanto ero bella.» Le rivolse uno sguardo improvvisamente vivido. «Non si trattava di dominio... Era soltanto una cosa intensa, come ogni altra cosa che facevamo. Ogni istante era così pieno di... consapevolezza.» «Ma Brett, allora? Dove si colloca lei?» Megan parve mostrare i denti, pronta al combattimento. «Ah, lei c'era ancora... Lo sa che ha minacciato di uccidersi, se lui l'avesse lasciata?» La voce vibrava di collera. «Vorrei che l'avesse fatto. Invece lei ha ucciso James. Di tutte le minacce che ha formulato, credo che quella fosse l'unica fondata.» «E tu non hai avuto paura?» «Chiunque si sarebbe spaventato. Un attimo prima il tuo amore è dentro di te e, subito dopo, eccolo al fondo del letto, nudo, in lotta con una donna che cerca di graffiargli la faccia.» Scosse la testa. «Dopo quella scena, siamo stati entrambi molto più cauti... praticamente ci nascondevamo. Forse, in qualche sua strana maniera, James voleva tenersi aperte tutte le strade, trattandomi come un'amante e non come la sua donna.» Nel tono si era affacciata una sfumatura di disprezzo - per chi, Caroline non l'avrebbe saputo dire - svanita però all'istante. «Comunque sia andata, infine James decise di stare con me.» Gli occhi di Megan ardevano. D'istinto, Caroline percepì che quelle ultime frasi erano una sorta di avvertimento. Con aria confusa e stupita, chiese: «Allora perché era con Brett la notte in cui venne ucciso?» Sul volto di Megan si dipinse un sorriso agghiacciante, pieno di acredine e di trionfo. «Perché avevamo deciso di lasciarci alle spalle questo posto e lei. Di andare in California. E quella sera James doveva dirglielo.» Tacque un istante, poi, in tono calmissimo, concluse: «Quando scoprii che lo aveva ucciso, fui certa che James glielo aveva detto». Per un lungo attimo, Caroline si limitò a fissarla. Non riusciva a pensare a nessun'altra domanda. Quel silenzio parve far defluire la collera di Megan. «Non so in quale modo si prendano simili decisioni», disse pacatamente. «Tuttavia non metta l'intera famiglia di Brett sotto processo soltanto perché la loro figlia è un'assassina.» Tacque, studiando Caroline finché la pietà non parve illuminarle il volto; sfiorò un polso della donna, e la sua voce divenne quasi
fiduciosa. «Certo, è sua nipote, e capisco quanto sia duro per lei, Caroline, affrontare questo momento. Eppure anche lei capirà quello che James aveva compreso: sotto quell'aspetto da bambola di porcellana, si nasconde una donna egoista e folle...» Rimase in silenzio per qualche istante, poi concluse, a voce più bassa: «E finirà per capire anche l'unica cosa che James non aveva intuito e cioè che, se l'avesse lasciata, Brett l'avrebbe ucciso». 5. Brett sedette davanti a Caroline. La porta di metallo si chiuse in un sussurro, e furono sole. La ragazza aveva gli occhi pesti di chi non ha dormito. Sottopose Caroline a un tetro e minuzioso esame, come se lo scontro del giorno precedente l'avesse privata di qualsiasi illusione sul suo conto. In tono sgarbato, chiese: «Che c'è, adesso?» Caroline posò gli avambracci sul tavolo, e si sforzò di controllare le proprie emozioni. «Ho incontrato Megan. Le cose stanno molto peggio di quel che sembrava dalla deposizione. Afferma che James e lei sono stati amanti sino alla fine. Avevano deciso di partire insieme per la California. E, la notte in cui venne ucciso, James avrebbe dovuto dirti tutto.» In apparenza, Brett aveva perso ogni capacità di sorprendersi; l'unico segno da cui si poteva desumere che avesse ascoltato le parole di Caroline era la fissità dello sguardo. A bassa voce, commentò: «Non è mai successo niente di quel che dice». La donna la studiò. «Nella migliore delle ipotesi, tu puoi non sapere se James la incontrava o no. Megan afferma invece che li pedinavi.» Un primo lampo di collera, benché la voce rimanesse pacata. «Non avevo bisogno di 'pedinarli'. Dopo quella volta in cui li avevo scoperti a letto insieme, James rimase con me quasi ogni sera.» Caroline si accorse che l'autocontrollo di Brett l'attraeva più delle sue proteste d'innocenza. «Per tutta la notte?» chiese. «Non sono di quelle da una botta e via. Se qualcuno desidera fare l'amore con me, voglio anche che rimanga con me.» Per qualche ragione, la donna rimase colpita dal puntiglio di Brett nel riaffermare il proprio orgoglio, anche di fronte a notizie così terribili. «Forse Megan si regolava diversamente.» L'altra scosse il capo. «James sarà anche stato un attore, ma non sapeva
mentire. Lo scoprivo sempre.» Lo aveva detto con una punta di fatalismo; quando doveva fare i conti con qualche realtà impossibile da mutare, Brett dava prova di una notevole perspicacia. Era davvero strano che quella ragazza apparisse così sincera proprio mentre Caroline si stava convincendo in modo definitivo della sua colpevolezza. «E allora da dove viene tutta la parte relativa alla California?» Per la prima volta, Brett distolse lo sguardo. «Non lo so», disse infine. «In qualche modo deve essersela inventata.» «Ma come? E, quel che più importa, perché?» Brett tornò a guardarla. «Il 'come' non lo capisco. Ma il perché è ovvio.» «Per gelosia?» «Io ero gelosa», mormorò. «Megan Race è una malata di mente.» Caroline si appoggiò all'indietro sullo schienale. «Perché si è 'inventata' tutto questo...» «Perché si è inventata me.» D'un tratto, Brett sembrò un animale braccato, come se avesse finalmente colto il senso di ciò che stava accadendo. «Ci tenevo, a James. A volte, lo amavo appassionatamente. Ma non ne ero ossessionata... Sebbene mi risultasse difficile, avevo intenzione di lasciarlo.» Nei suoi occhi si leggeva un'intensità del tutto nuova. «Caroline, quando quella ragazza parla di me, in realtà è se stessa che descrive.» L'altra continuava a fissarla. «Ma tu sostanzialmente non la conosci, vero?» Brett s'irrigidì. «La conosco nello stesso modo in cui lei conosce me. Attraverso James.» Caroline si chinò in avanti. «Come fai a essere certa che James non ti abbia detto che in California ci portava lei? E, ti prego, pensa, prima di rispondere.» «Ci ho già pensato, dannazione.» La ragazza balzò in piedi. «Ascoltami. Questa notte non riuscivo a dormire. Me ne stavo sdraiata a riesaminare tutto quanto, in preda al panico. Ieri mi hai distrutta al punto da farmi pensare di averlo davvero ammazzato. Però le tue domande riguardavano le mie sensazioni dopo che mi ero fatta, dopo averlo trovato. Avevi ragione... Le cose accadute prima di fumare la roba, le ricordo perfettamente.» Il resto dello sfogo fu un vero diluvio di parole. «Mi chiese di andare con lui in California, litigammo perché lui si era scopato Megan e per quell'altra storia del trafficante di droga e, infine, gli dissi che non sapevo che cosa avrei fatto. Lui era pieno di vergogna per via di Megan, okay? Non è possibile
che poi, mentre eravamo tutti e due partiti per il fumo, lui mi abbia detto che in California allora ci portava lei. Stavamo facendo l'amore, a quel punto, non litigando... Non significa niente, per te?» S'interruppe, come se un pensiero improvviso avesse troncato il filo del discorso, e poi, abbassando lo sguardo su Caroline, addolcì il tono: «So che ti ho mentito, a proposito del nostro litigio. Ma sapevo di mentire. Proprio come adesso so che questa è la verità. Indipendentemente da quello che puoi pensare». Caroline rimase seduta in silenzio, a fissarla. Erano troppe le cose che non poteva dirle. Che sapeva del coltello. Che, nella migliore delle ipotesi, Brett non avrebbe ricordato ciò che aveva fatto davvero, al momento della morte di James. Che la versione di Megan Race si accordava perfettamente al resto delle prove. E che la prima, dura lezione appresa da Caroline l'avvocato, quando ancora Brett era per lei una bimba senza volto in uno Stato lontanissimo, era che qualsiasi colpevole, col tempo, poteva cominciare a credere alla propria innocenza. Come se si sentisse sfidata dal silenzio di Caroline, Brett chiese: «E tu che cosa hai pensato di Megan?» La domanda le era stata rivolta in tono rabbioso, ma Caroline vi percepì anche una supplica: credi in me, non a lei. Proprio allora, qualcosa prese a battere furiosamente le ali contro i vetri del suo subconscio. Si trattava di una cosa piuttosto semplice: il ricordo di aver amato. «Quello che penso», rispose infine, «è che Megan non l'abbia mai amato. Il James che descrive è soltanto uno specchio di se stessa.» Joe Lemieux ci mise parecchie ore a raccogliere il materiale necessario per richiamarla e, quando lo fece, trovò Caroline addormentata, vinta dalla spossatezza. «Mi scusi», disse, «ma ci ho lavorato sino a poco fa. Ho parlato con tutti i vicini di casa disposti a ricevermi.» Caroline si sforzò di concentrarsi. «E che cosa ha scoperto?» «Per la maggior parte non sono studenti universitari, quindi non mi è andata male.» «Non è andata male neanche a me, in un certo senso. Oggi le ho parlato.» «Che impressione se ne è fatta?» «Piuttosto sveglia, questo è chiaro. Ma irrequieta, forse una personalità narcisistica... Le piace essere al centro dell'attenzione... forse ne ha addirittura bisogno. Be', certo, una simile descrizione vale per un sacco di altra
gente.» Dopo una breve pausa, cambiò tono: «Le questioni importanti sono: qualcuno ha visto Megan con James, dopo i primi di aprile? E poi: riesce a trovarmi altri ragazzi con cui sia stata, prima o dopo di lui?» «Non c'è molto, su entrambi i fronti.» Lemieux parve cercare di dare ordine ai suoi pensieri. «Si è vista effettivamente con Case, ma 'i primi di aprile' ai suoi vicini non dice nulla, come data. Non seguivano cronologicamente le sue relazioni. Tuttavia la foto di James è uscita su tutti i giornali, e i due tizi che ricordano di averlo visto a casa di Megan hanno parlato di svariate settimane or sono. La stessa cosa l'ha detta anche quel ragazzo, Daniel Suarez. Comunque sono tutti concordi nell'affermare che, dall'ultima volta in cui li hanno visti insieme, sarà passato almeno un mese. E questo ci porta a due settimane buone prima dell'omicidio.» «La sua versione è che si nascondevano. E che facevano l'amore in modo meraviglioso, ovviamente.» «Be', doveva essere così. Perché nessuno li ha visti mai prendere una boccata d'aria.» «Continui a scavare. Mi serve qualsiasi cosa indichi la presenza - o l'assenza - di una relazione tra i due in prossimità della data dell'omicidio.» «Okay. Adesso, passando alla questione dei ragazzi, ho ancor meno da dire.» «Meno, o nulla?» «Alcuni mesi fa, nella lavanderia del condominio, Megan ha attaccato bottone con una vicina - una donna di mezza età che non se l'aspettava proprio - riguardo a una sua relazione con un uomo più adulto. Le ha detto che si trovava molto meglio, o qualcosa del genere.» Nel tono di Lemieux si fece strada una sfumatura allegra: «Mi ci è voluto parecchio a far ammettere a quella signora che si riferiva al sesso, e che Megan non sembra troppo riservata, al riguardo. Anche senza conoscerla, questa Megan pare un po' stramba; tuttavia, perfino la signora in questione la descrive come affascinante e vivace... soltanto un po' troppo emancipata per i suoi gusti». «La parola giusta», precisò Caroline, «è disinibita. Quello che mi chiedo, piuttosto, è se Megan non sia qualcosa di più.» All'altro capo del filo ci fu una pausa. «Se intende instabile», disse infine Lemieux, dubbioso, «nessuno pare pensarla così.» «Qualcuno le ha fatto capire di conoscerla bene?» «'Conoscerla bene'?» Lemieux rifletté. «L'impressione che ho ricevuto da quelle persone è che Megan possa essere alquanto volubile. Ma non credo che intendano la stessa cosa cui pensa lei, e non ho elementi per ca-
pire come possa comportarsi quando sta con quelli della sua età.» «Ha amiche che vengano a trovarla?» «Che io sappia, no.» Un'altra pausa di riflessione. «A dir la verità, nessuna delle persone che ho incontrato ha sostenuto di essere stata a casa sua.» «Che cosa sa della sua famiglia?» «Poco, e non è un bel quadro. Il padre morì per un incidente in barca, quando Megan aveva circa dodici anni. La sua morte, a quanto pare, provocò nella madre una tale depressione che la donna si ritirò quasi completamente in se stessa. Ancor oggi, non fa che entrare e uscire da istituti di cura.» «Scopra tutto quello che può sulla madre. Le date di ricovero, se possibile. E m'interessa sempre qualsiasi informazione circa eventuali terapie di Megan. E ancora: crede che riuscirebbe a fornirmi il suo piano di studi?» «Da quando?» «Da quando è qui.» Lemieux ci pensò su. «Senza infrangere la legge?» «Sarebbe preferibile per entrambi», rispose Caroline, in tono asciutto. «Sono d'accordo. Comunque, vedrò quello che riesco a fare.» Lei lo ringraziò e riappese. Andò alla finestra. Il tramonto calava sulle case bianche, sulla campagna ondulata. Una coppia di anziani passò lenta sotto le finestre dell'albergo, poi spari alla vista; stranamente, quella scena portò Caroline a chiedersi quanti pasti avesse consumato da sola nella sua vita. Avrebbe dovuto mangiare subito qualcosa, pensò senza entusiasmo; si sentiva quasi mancare dalla fame. Stava pensando dove potesse andare a cena quando il telefono squillò. «Pronto?» «Caroline.» La voce di Betty era tesa. «Vorrei vederti. Per piacere.» Caroline sedette sul letto. «Possiamo fare domani?» chiese. 6. «Grazie per essere venuta», disse Betty. Erano sedute in veranda; il mattino era limpido e fresco e, dalla tazza di caffè nero di Caroline, si levavano volute di vapore. Di profilo, la sorella sembrava assorta; l'enormità del problema di Brett pareva aver ridimensionato la loro ostilità.
«Me lo hai chiesto», rispose Caroline. «E io l'ho fatto.» La sorella non la guardava. «So quanto mi odi. Tu pensi che ti abbia tradita... due volte.» L'altra represse un sorriso amaro. Ciò che la interessava non era tanto anzi non era affatto - la giusta supposizione di Betty, quanto il fatto che si spingesse a esprimerla. In tono sommesso, rispose: «Non soltanto me». Betty socchiuse gli occhi; per un attimo, Caroline si chiese se avesse colto il significato della sua precisazione. «Per anni», riprese Betty, «mi sono detta che avevo agito per amore.» «E adesso?» «Ho capito quanto ero gelosa... di te e di lui. Di te, lo sono sempre stata.» Caroline diresse lo sguardo lungo la strada e giù per la ripida collina, verso Resolve. Si ricordò dei pochi anni in cui Betty e lei, che avevano cinque anni di differenza, avevano atteso insieme, su quella strada, l'autobus della scuola. Insieme, pensò, eppure separate. Sorelle, eppure estranee. «Ero soltanto una bambina», disse allora. «Non ero nessuno, in realtà.» Betty scosse la testa. «Per me, eri la sua principessa dai capelli neri, con una bella madre che aveva preso il posto della mia, proprio come tu avevi preso il mio.» La sua voce tornò gradatamente a un tono più calmo. «È patetico, me ne rendo conto. Anche allora ti disinteressavi completamente di me.» Era patetico davvero, pensò Caroline. «Se soltanto avessi saputo quale prezzo avrei dovuto pagare», rispose, «sarei stata di certo più sensibile. Del resto, è assai raro che le bambine di sette anni lo siano.» Betty si girò a guardarla, e negli occhi grigi quasi si leggeva un'accusa. «Hai idea di quanto sia terribile incontrarti adesso? È come veder scorrere tutti i miei fallimenti e le mie colpe, tutte le scelte sbagliate in cui sono caduta, cercando di raddrizzare ciò che feci allora.» Il tono divenne più pacato: «E tu mi biasimi anche per questo, vero?» Allora aveva capito, Caroline rifletté. Sorseggiò il caffè, studiando la sorella da oltre il bordo della tazza. «A rischio di essere poco sensibile per l'ennesima volta, devo confessare che non dispongo di sufficienti energie per interessarmene. D'altra parte, specie in un momento come questo, bisogna decidere che cosa - chi - è importante per noi.» La sorella s'imporporò. «Hai un vero talento per le crudeltà, Caroline.» Tacque un attimo, poi continuò, con voce incerta: «Ti ho chiesto di venire per parlare di Brett, non dei miei sentimenti. Ma ho pensato che potesse
giovare se prima avessimo affrontato quello che è successo, con tutta l'onestà di cui eravamo capaci». L'altra la osservò attentamente. «Giovare a che cosa?» domandò, senza alterarsi. «Talvolta i fatti sono più forti delle ragioni che li hanno determinati. Credi che possa importarmi qualcosa sapere che non intendevi fare ciò che hai fatto, anche ammesso che fosse vero?» Betty abbassò lo sguardo; nel volto di quella donna invecchiata, Caroline riusciva ancora a scorgere alcune tracce della giovane che aveva conosciuto: guardinga, sempre un po' impaurita, come se temesse che le portassero via qualcosa. Ma non riusciva a provare pietà. «Parlarne non porterebbe a nulla di buono», mormorò. «Forse, per il bene di entrambe, sarebbe meglio concentrarci su Brett.» Betty chiuse gli occhi. «Anche per lei ho fatto quello che credevo meglio», disse. «Se non avessi agito in quel modo, e se lei se ne fosse andata prima, forse non ci sarebbe mai stato James Case.» Caroline non commentò. La consapevolezza dell'ironia del fato, evidente negli occhi della sorella, la trattenne dal ribattere. «Pensavo di essere una buona madre a tenermela vicina, a vegliare su di lei... Tutto ciò per cui avevo desiderato di avere anch'io una madre.» Si rivolse a Caroline: «La madre preziosa che tu hai avuto, e che papà e tu amavate». Caroline l'osservò con attenzione. Ma non lesse nulla sul volto della sorella. Non ti ha mai detto come e perché mia madre è morta, pensò allora, lugubremente divertita. Era come se avessero vissuto in famiglie differenti, e la loro reciproca comprensione fosse stata definita e delimitata dall'unico familiare in comune. Quel familiare che, a loro volta, avevano poi visto in una luce completamente diversa. La constatazione impietrì Caroline, che rimase a lungo in silenzio. Infine, chiese: «E lui? Anche lui voleva tenersi Brett 'vicina'?» Betty s'irrigidì nella poltrona. «Tutti lo volevamo. Magari non sarò stata la migliore delle madri, o la più saggia. Probabilmente l'unico risultato che ho ottenuto è stato quello di allontanarla da me. Però ho fatto del mio meglio.» Tacque un momento, poi riprese: «Forse è crudele dirtelo, da parte mia, ma tu non hai mai provato che cosa significhi tenere in braccio una bimba e, d'un tratto, capire che, con tutte le tue manchevolezze e miopie, proprio tu, più di chiunque altro, sarai responsabile di ciò che lei diventerà». A voce più bassa, concluse: «Soltanto un altro momento è stato altrettanto terrorizzante: il giorno in cui mandai per la prima volta Brett alla
scuola materna, e pensai che al mondo c'era un'infinità di cose che avrebbero potuto ferirla, e che io non potevo controllarle». Caroline stringeva tra le mani la tazza del caffè ormai freddo, e cercava di mettere ordine nelle proprie emozioni. «Ma questo è inevitabile», mormorò. «Anzi, a un certo punto, quando il bambino è più grande, l'inevitabile diventa anche utile.» «Il mondo è diverso da quello in cui siamo cresciute noi. Le droghe sono peggiori, la violenza incombe a ogni angolo, il sesso casuale - stupro incluso - è potenzialmente letale. Chi mai ha fretta di spingere la propria figlia in un mondo così, prima ancora che la sua capacità di giudizio sia completamente formata...» Caroline non seppe più trattenersi: «Ma come fa a formarsela? Rimanendo legata ai genitori? O, per essere precisi, a un vecchio rigido e terrorizzato da qualsiasi cosa che non sia in grado di controllare...» La sorella si voltò di scatto. «Pensi che James Case fosse meglio? Ti sarebbe piaciuto che tua figlia si mettesse con un egoista che non valeva niente, che le forniva la droga, che aveva la promiscuità sessuale scritta in faccia, e che se ne sbatteva di tutti tranne che di se stesso? Avresti voluto che gettasse via il suo talento e il suo passato per una promessa senza futuro?» L'altra riuscì a frenare la sua collera. «Ma chi è che prende le decisioni, Brett o tu? Perché, se le prendi tu, ti posso già dire, per esperienza personale, come funziona...» «Tu invece pensi che quello abbia funzionato, eh?» Anche la voce di Betty si era abbassata di tono. «Tu pensi che Brett abbia preso quella decisione, vero? Che sia stata capace di uccidere, quantomeno con l'aiuto della droga di James.» Caroline rifletté a lungo prima di rispondere. «Perché possa essere stato qualcun altro a ucciderlo», disse infine, «questo qualcuno, uomo o donna che fosse, avrebbe dovuto seguirli fino al lago Heron. O, almeno, sapere dov'erano diretti.» «E tu la prendi almeno in considerazione, questa ipotesi?» l'apostrofò Betty, guardandola negli occhi. «Prenderò in considerazione qualsiasi cosa possa tornare utile. Però nulla indica che siano stati seguiti... né tracce di pneumatici sulla carrareccia né auto avvistate nella zona.» Caroline non staccava gli occhi dal viso della sorella. «Quanto all'eventualità che qualcuno sapesse che si trovavano al lago Heron, la domanda d'obbligo è 'chi?' e, direi anche, 'come?'»
Betty si alzò e si diresse verso un'estremità della veranda, fissando il villaggio in lontananza. «Che ne dici della ragazza?» domandò. «Sostiene che James, la sera in cui morì, avrebbe troncato con Brett, no?» «È un'ipotesi troppo nebulosa.» Caroline era rimasta in poltrona e, da dove si trovava, non vedeva più in viso la sorella. «Brett ha mai parlato di lei?» «No. Non ne avrebbe mai parlato con me.» La voce di Betty rivelava la consapevolezza del fallimento. «Ancora non so neppure il suo nome.» Caroline si alzò e si avvicinò a lei. «In un certo senso, meno ne sai e meglio è. Perché, comunque, nulla di quanto Brett o io potremmo dirti è riservato.» Betty si voltò a guardarla. «Non mi chiameranno a testimoniare contro di lei, vero?» «A proposito di che?» ribatté la sorella, innervosendosi. «C'è qualcos'altro che dovrei sapere? Qualcosa che la polizia potrebbe scoprire, quantomeno?» Betty scosse il capo. «No... naturalmente no. Tuttavia potrebbero rivoltare certe cose, sai, come le nostre liti a proposito di James...» «Ma in che modo questo potrebbe nuocere a Brett?» «In nessun modo, immagino.» Rifletté un istante, poi precisò: «A meno che volessero farla apparire... che so, incostante». «Non me ne preoccuperei... Dubito che Jackson voglia lasciare la giuria troppo tempo alle prese con la madre straziata di Brett. Purtroppo, ha di meglio da fare.» La porta d'ingresso alle loro spalle si aprì. Ma quando Caroline si voltò, aspettandosi di vedere il padre, si trovò di fronte Larry. Era cupo in volto. «Salve, Caroline.» Betty gli si avvicinò. «Sei stato a vedere come sta papà?» «Sì. Si è alzato.» Larry tornò a rivolgersi a Caroline. «Questa vicenda è stata un colpo per lui. Normalmente si alza alle sei, ma sembrava molto stanco. E comunque, dato che alle nove nessuno l'aveva visto in giro...» S'interruppe, e scrollò le spalle. Caroline annuì. «Scusa», disse a Larry, «però ho una cosa da chiederti.» La sua espressione era stanca e vigile al contempo. «Che cosa?» «Quella studentessa... La testimone contro Brett. Si chiama Megan Race. Mi chiedevo se la conoscessi, o avessi qualche collega che la conosceva.» «Megan Race?» ripeté. Si cacciò le mani in tasca e abbassò lo sguardo sul tavolato della veranda, mentre Betty lo fissava intensamente. «È lei
l'altra donna con cui stava James?» «Sì.» Socchiuse gli occhi. «Sai qual è la materia in cui intende laurearsi?» «La ignoro. Esiste comunque una possibilità che, in qualche modo, possa mettere le mani sul suo dossier universitario?» «Nessun modo legittimo.» «Non sto chiedendo a te di farlo. Voglio soltanto tutte le informazioni che puoi raccogliere.» Larry emise un sospiro. «Ci devo pensare», disse. «Ci devo pensare bene.» Di ritorno all'albergo, Caroline trovò due messaggi. Il primo era di Walter Farris, il più facile da rintracciare. Caroline chiamò e rimase in attesa, camminando su e giù per la camera, per dieci minuti. Quando Farris rispose alla chiamata era ormai certa che le avrebbe comunicato il ritiro della sua candidatura. «Caroline», esordì in tono brusco. «Ho parlato al presidente.» «E...» lo esortò lei. «Ci riserviamo il diritto di ritirare la candidatura se quel processo va avanti troppo, o per qualsiasi problema connesso con ciò che stai facendo lassù. E, bada bene, intendo qualsiasi problema per come vediamo le cose noi qui.» Farris s'interruppe, poi riprese: «Tuttavia, per adesso, la tua candidatura è ancora valida». Caroline sedette sul letto. «Ti ringrazio.» «Ringrazia il presidente, che si è dimostrato più comprensivo di quanto sarei stato io... Ti prego di non fraintendermi, Caroline, ma sei sola. Al primo passo falso, staccherò la spina io stesso.» Per rintracciare Joe Lemieux, la persona che aveva lasciato il secondo messaggio, furono necessarie due chiamate al suo beeper. «Ho il piano di studi», annunciò lui. «Niente voti ma, almeno, può sapere quale corsi segue. Ammesso che serva.» «È un punto di partenza. Riusciremo a individuare i professori che potrebbero conoscerla e chi altro segue gli stessi corsi. Come ci è arrivato, per inciso?» «I servizi computerizzati dell'università. Gli studenti possono digitare le richieste: orari delle lezioni, iscrizioni e un sacco di altra roba.» Lemieux si lasciò andare a una risatina. «L'era dei computer offre possibilità illimi-
tate d'invasione della privacy... In questo caso, tutto ciò che mi serviva era il numero di matricola di Megan, e non è stato certo difficile scoprirlo. Comunque, se fossi in lei, non ne parlerei con nessuno.» Caroline sospirò. «Non sarò io a farlo, mi creda. E, per favore, prima di compiere altre imprese del genere, chieda se mi sta bene. Essere accusata d'infrazioni al codice etico non rientra nelle mie priorità.» «Capisco.» Sembrava leggermente irritato. «Senta, la vuole allora questa roba?» «Sì», rispose Caroline, dopo una breve riflessione, «la voglio, ma non la mandi via fax. Passi di qui e me la lasci.» Riappese e si recò nello studio di Carlton Grey. Le due ore seguenti la videro alle prese con codici e statuti nonché con vari periti - un sierologo, un criminologo, un medico specialista in tossicodipendenze e alcolismo -, tutti contattati telefonicamente. Non tornò in albergo prima delle tre e mezzo e, rientrando in camera, trovò la busta sul pavimento, subito oltre la porta. L'aprì. Megan era ormai vicina alla laurea. Ma Caroline era arrivata a scorrere soltanto il primo trimestre del primo anno quando si bloccò, fissando il piano di studi. Ciò che vide scritto non suscitò in lei quell'incredulità che invece avrebbe desiderato provare. Il telefono squillò. «Caroline», le disse Larry. «Devo dirti una cosa.» «Sì, lo so.» 7. Caroline lo trovò seduto alla scrivania nel suo studio al Dipartimento di Letteratura inglese. Larry sembrava troppo sconvolto persino per distogliere lo sguardo. Gli si sedette di fronte e disse sommessamente: «Avresti dovuto dirmelo prima». Larry la fissò. «Chissà che cosa pensi di me», commentò, con una certa dignità. «Ho saputo stamattina chi era la testimone, e allora ho pensato che sarebbe stato meglio confessarti tutto in assenza di Betty. La tua presenza avrebbe reso completa la sua umiliazione.» «Lei non lo sa?» «Non ne ha la certezza... Sicuramente, non immagina con chi.» Si alzò di scatto. «Quella ha qualcosa che non funziona.»
«Megan, vuoi dire?» «Certo, Megan.» Si aggrappò alla poltrona. «Prima va a mettersi con Case, e adesso è la testimone chiave contro Brett. Sembra tutto un piano per distruggere mia figlia...» «In ogni caso, Larry, dubito che mettesse in conto la morte di James Case.» Lui s'irrigidì. «Come sai che non l'ha ucciso Megan? Tutto questo non può essere una semplice serie di coincidenze...» Caroline alzò una mano. «Non sto dicendo neppure quello. Dico soltanto che sei tu ad aver portato quella donna fin sulla soglia di Brett.» Larry sbiancò. «Ma questo non vuole dire che Brett è innocente, allora?» Caroline chinò la testa di lato. «No. Ma potrebbe significare che la testimone chiave contro Brett è... merce avariata.» Tacque un istante, poi concluse: «Oltre a tutto quello che potrà significare per il vostro matrimonio». Lui le rivolse uno sguardo tetro. «Per quello non c'è niente da fare. Come per tante altre cose, Caroline, è davvero troppo tardi.» Lentamente, lei annuì. «E allora parlami di te e di Megan. Visto che nessun altro, oltre a te, la conosce. A parte James Case.» Larry si alzò e chiuse la porta dello studio, poi andò alla finestra. Rimase in piedi, guardando il sole del tardo pomeriggio calare dolcemente al di là degli edifici in mattoni rossi e del campus ondulato. «In fondo, è stato bello stare qui», disse. Caroline ne osservò la figura snella e l'argento dei capelli illuminati dal sole. Non replicò. L'uomo sembrò farsi forza. «La mia unica scusante, Caro, è che non l'ho cercata, quantomeno non consciamente. È stata lei a venirmi incontro.» «Non credo nel caso. Per la mia esperienza, le persone come Megan Race sanno sempre chi andare a scovare.» «Forse.» Larry voltò le spalle alla finestra. «Ma, nell'aula, ascoltavano me. A casa non andava così.» Nelle sue parole si avvertiva una lieve sfumatura di disprezzo, quasi che Larry giudicasse risibili entrambe le versioni di se stesso: l'insegnante ammirato e il marito privo di autorità. «E Betty?» chiese Caroline. «Che parte ha in tutto questo?» «Una parte silenziosa, nella grande tradizione della famiglia. Una tradizione che, lentamente, è diventata anche la mia. Per la mia esperienza, tutti i manuali sul sesso sbagliano completamente prospettiva. Non si tratta di
mettere il capo A nella fessura B. Il problema sono tutte le cose che rimangono inespresse e irrisolte... Così una specie di grigia depressione ti s'insinua nell'animo, quasi di soppiatto. E così l'apparente vitalità di una Megan Race ti acceca a tal punto da nascondere l'ovvia verità: qualsiasi cosa lei veda in te, non ha nulla a che fare con ciò che sei davvero. Dapprima, non ti sembra nulla di speciale: una ragazza bionda in prima fila, una che fa domande e ascolta i tuoi passaggi più difficili con il corpo chino in avanti, e il viso quasi contratto nell'evidente sforzo di cogliere tutto. Poi noti che, quando la lezione finisce, lei rimane seduta ancora un attimo, con un mezzo sorriso pensoso, quasi tenero, sulle labbra. Finché non cominci a cercarla con gli occhi e poi, stranamente, a contare sulla sua presenza. Senza che nessuno dei due abbia detto una parola.» Larry s'interruppe. La tristezza degli occhi sembrava accordarsi con le rughe del viso e del collo, segnali del cedimento di un uomo che aveva perduto la sua vitalità in concomitanza con la caduta delle illusioni. «Quando cominciò a venire qui, in studio», riprese in tono calmo, «una parte di me capì subito ogni cosa e tutto prese a chiarirsi. Il modo in cui passava da Eliot ad argomenti estranei alla lezione. L'abitudine di chiudersi la porta alle spalle, rifiutando invariabilmente di uscire per un caffè o di frequentare i luoghi pubblici. Il candore quasi temerario a proposito di se stessa e, dopo le prime volte, della sua vita sessuale. Io osservavo la vicenda... Ero spettatore della mia stessa seduzione. Il docente sposato che ascolta, con placido interesse, la studentessa carina che passa senza soluzione di continuità da Dylan Thomas a considerazioni del tipo: 'Io credo che il sesso sia un fatto spirituale... e lei? Insomma una mente disinibita è più sensuale di un corpo tonico...'» S'interruppe, scuotendo la testa. «L'ho conosciuta», intervenne Caroline in tono tranquillo. «Hai sviluppato un certo talento come imitatore, Larry. In effetti ha proprio quel certo modo di parlare.» Lui chiuse gli occhi. «Cristo», borbottò. «Come ho potuto fare una cosa del genere?» «Perché, come per varie altre cose, non ne hai previsto le conseguenze. Almeno, non tutte.» Lui le voltò le spalle. «Non avrei mai potuto immaginare, Caro, che mettevo in pericolo mia figlia. Mi limitavo a credere che rischiavo di rovinare il mio matrimonio e, forse, di perdere il lavoro.» Nella sua voce risuonava una pensosa amarezza. «In seguito, mi chiesi se non covavo un desiderio di autodistruzione. Di porre fine, metaforicamente parlando, all'esistenza
che stavo vivendo... In ogni caso, mi buttai. Così, quando Megan venne qui a dirmi che voleva avere una relazione con me, avevo ormai superato da un pezzo lo stadio della sorpresa. Me ne stavo qua seduto mentre lei, con una strana luce negli occhi, stabiliva le regole. Ci saremmo incontrati soltanto nel suo appartamento. Non sarebbe mai più venuta nel mio studio. Non avrebbe mai fatto il mio nome a nessuno. Non avrebbe compromesso il mio matrimonio e non avrebbe più seguito altri miei corsi. Tutto ciò che desiderava era trascorrere un po' di tempo con me.» La voce di Larry ritornò calma. «Quando mi mise in mano le chiavi del suo appartamento, già m'immaginavo con lei. E, il pomeriggio seguente, ci andai.» Una certa Caroline, la ragazza che aveva scherzato con il marito della sorella più di vent'anni prima, aveva già ascoltato abbastanza. Ma Caroline l'avvocato non sapeva che farsene della propria sensibilità, o di quel che rimaneva dell'orgoglio di quell'uomo. «Ti prego, non risparmiarmi i dettagli», disse allora. «Mi serve un ritratto di quella donna.» Larry si appoggiò alla parete. Come se parlasse a se stesso, mormorò: «Sono in ritardo per la cena». Dalla finestra, il tramonto illuminava il suo volto scavato. Lei non replicò. «La prima volta che rimanemmo soli», riprese lui, a voce sommessa, «mi chiese di sdraiarmi sul letto e di guardarla. Sulla parete c'era uno specchio a figura intera. Lentamente, si tolse tutto, un capo alla volta... Prima di rimanere completamente nuda si voltò, per guardarsi allo specchio mentre si spogliava.» S'interruppe, scuotendo il capo. «Sai che cosa ricordo? Che, quando i nostri sguardi s'incrociarono nello specchio, lei formulò con le labbra la frase: 'Ti amo'. Poi, un attimo dopo, si chinò in avanti. Capii quello che desiderava da me. Quando la penetrai cominciò a masturbarsi, finché non venne. E quando venni io, a occhi aperti, lei stava sorridendo alla sua immagine riflessa. 'Farò qualsiasi cosa mi chiederai', sussurrò... D'un tratto, ero diventato un dio. Nulla mi veniva mai negato, nulla. E, una volta fatto ciò che avevo chiesto, mi diceva che non aveva mai neppure immaginato un amante migliore di me...» Il tono di Larry adesso era stanco, svuotato. «'Immaginato' è la parola giusta. Sono certo che le mie inattese prodezze avessero luogo soltanto nella sua testa. E nella mia... In parte mi rendevo conto che quella 'relazione' era arbitraria, se l'era inventata lei. Ma, d'altro canto, avevo ritrovato il sesso. Camminavo più eretto, sorridevo di più, nel mio mondo segreto ero un grande amatore. Perfino quando mi coricavo accanto a Betty, con una
paura da morire...» Caroline lo squadrò. «Ma era tutto qui? Una specie di mix tra Intermezzo e Attrazione fatale?» Larry fece una smorfia. «No. L'ascoltavo, anche.» «E di che cosa parlava?» «Aveva alcuni temi ricorrenti. Le sue opinioni sulla società... una specie di ibrido tra Camille Paglia e 'le politiche del significato'. La letteratura, ovviamente: a volte mi chiedeva di leggerle qualche testo.» S'interruppe per riflettere. «E, sempre più spesso, la sua infanzia: essenzialmente traumatica, segnata dalla solitudine... Suo padre era morto in un incidente.» Caroline annuì. «Qualcosa ti colpì, a quel riguardo?» Lui socchiuse gli occhi. «Non tanto allora, quanto adesso.» La guardò in faccia. «Quando interruppi la relazione, decisi di addurre Brett come motivo.» Scosse la testa, disperato. «A un esame retrospettivo, è stato come perdere un padre, per lei.» Caroline cambiò espressione. «Pensavo che non volesse altro che un pezzetto della tua mente. E del tuo corpo.» «Inizialmente, sì. Anche per quello impose delle regole: lunedì e giovedì, dalle tre alle cinque e mezzo. Finché, un giorno, non piombò qui all'improvviso: fu la prima breccia che aprì nel suo sistema di regole. Prima ancora che potessi protestare, attaccò a parlare.» Larry tacque, immerso nei suoi pensieri. «Quello che ancora non sono riuscito a descriverti è la sua energia», riprese. «L'eccitazione, l'intimo coinvolgimento con cui ti guardava, il sorriso incandescente. Pareva appropriarsi di te...» «Sì, ho notato anch'io qualcosa del genere. Ci ho sentito anche una nota disperata.» Caroline lo studiò. «Presumo che volesse - o che le servisse qualcosa da te.» «Voleva che andassimo via per un weekend.» Larry, terreo, si era messo di profilo e gli era impossibile guardare Caroline in volto. «Mi porse una busta bianca, chiedendomi di aprirla prima di rispondere. «Conteneva una foto polaroid. Se l'era fatta da sé, davanti allo specchio. Teneva la macchina fotografica con una sola mano e...» Gli venne a mancare la voce. «Sì», mormorò Caroline. «Credo di esserci arrivata. Ma vai avanti.» Larry incrociò le braccia sul petto. «Oltre alla foto c'era soltanto un biglietto con una promessa. L'unica cosa che non avevo osato chiederle.» Tacque di nuovo per qualche istante. «Non so se fu per quello, o per il sorriso che scorsi sul suo viso quando alzai gli occhi... 'Vedi', mi disse, 'ti co-
nosco.'» Caroline fu colta da uno strano terrore. «Così ci sei andato.» «Sì.» «E Betty?» «Quando le dissi che sarei andato via in tenda, si chiuse nel silenzio.» Larry guardò fuori della finestra. «Non l'avevo più fatto, da quando Brett era piccola, e poi Betty ha un suo particolare istinto per tutto ciò che può minacciarla o minacciare ciò che le appartiene. Nella settimana precedente la mia partenza quasi non ci parlammo... Comunque Megan e io andammo in auto sulle White Mountains. Più ci allontanavamo e più mi sentivo minacciato. Avevamo a malapena piantato la tenda che le feci mantenere la promessa. Ma per me non significò altro che un modo di sfuggire ai miei pensieri... Per Megan significava invece qualcosa di più. 'È diverso, adesso, tra noi', mi disse. 'Nessun ragazzo me l'aveva mai fatto. Aspettavo un uomo.' Qualcosa nel suo tono di voce mi fece tremare di paura. In parte perché ebbi subito la chiara sensazione che mi avesse inquadrato in una sua fantasia... come dire, onnicomprensiva. Ma il fatto peggiore fu il contrasto tra l'uomo della sua immaginazione e quello reale, pieno di rimpianto e di ricordi per i suoi venticinque anni di matrimonio e timoroso di essere scoperto... Poi però - e allora fu davvero spaventoso - cominciò a farmi delle domande su Betty.» Larry scosse il capo. «Avevo coltivato l'illusione, Caro, di tenere ben separati i miei mondi... Avrei dovuto semplicemente passare qualche ora nell'uno, per poi mentire un po' nell'altro. Ed ecco che, improvvisamente, Megan voleva sapere tutto: come ci eravamo conosciuti Betty e io, che cosa le piaceva, quale genere di casa avevamo e che genere di madre fosse, che cosa facevamo a letto... Fu terribilmente strano. Ero disposto a violare i voti matrimoniali, ma violare la nostra privacy era un tradimento troppo grande.» In tono meno concitato, soggiunse: «Sentii che qualsiasi cosa ci fosse tra noi, le nostre delusioni, i nostri fallimenti, la nostra comprensione reciproca e perfino i nostri silenzi, apparteneva soltanto a Betty e a me. Che non avrei mai potuto svilirla a beneficio di quella ragazza». «E allora?» Larry la fissò. «In capo a due settimane, era finita.» «È successo nient'altro?» In silenzio, lui annuì. «Gli equilibri cambiarono radicalmente», spiegò. «Megan cominciò a fantasticare sul suo ruolo nella mia vita, a consigliarmi a proposito della mia carriera e dei miei rapporti con Betty. Parlò addirittu-
ra di fare amicizia con Brett...» S'interruppe, scuotendo il capo. «Non riuscivo a immaginare che cosa Brett avrebbe potuto pensare di lei...» «Posso immaginarlo io», interloquì Caroline, freddamente. «Dimmi, Megan non l'ha mai avvicinata?» «Non che io sappia... E se mai Brett ci avesse scoperti, credo che mi avrebbe fatto sapere chiaramente che cosa ne pensava. Sentivo comunque che Megan si stava avvicinando al nucleo fondamentale della mia vita.» Si mise le mani in tasca. «Subito prima che la lasciassi, ricevemmo alcune telefonate, più o meno all'ora di cena. Per due sere di fila. Alla prima rispose Betty; riferì che, dopo qualche istante di silenzio, l'altro aveva riattaccato. Mi limitai ad alzare le spalle. Ma, dentro di me, temevo di aver capito... Allora, la sera dopo, feci in modo di rispondere io. Eravamo in cucina. Quando corsi al telefono, Betty alzò lo sguardo dal lavandino. Per cui, quando Megan attaccò a parlare, mi stava guardando in faccia... 'Volevo soltanto sentire la tua voce', disse Megan. 'Credo che abbia sbagliato numero', riuscii a rispondere. 'Grazie', sussurrò lei, e riappese.» Larry abbassò gli occhi. «Quando posai il ricevitore, Betty mi studiò per qualche istante. Ma non chiese niente. Fu allora che mi resi conto che sapeva. E che dovevo trovare il modo per uscirne. Nei due giorni successivi, prima del nostro solito incontro del lunedì, cercai di dar forma alle mie giustificazioni. Di trovare qualcosa, qualsiasi cosa, per bagnare le polveri dell'esplosione che avevo ormai cominciato a temere. Mentre le parlavo, Megan rimase seduta sul letto, con le mani intrecciate. Cercai di soffermarmi sulla persona con cui Megan avrebbe potuto simpatizzare di più... cioè Brett.» Il tono diventò aspro. «Per tutto il tempo, non feci che pensare a quanto ero falso... Uno zero, che cercava di gonfiare il suo ruolo fino a quello di un vero padre. Ma la cosa davvero strana fu un'altra: la storia che raccontavo era stata vera, molti anni addietro. Ben prima che fossi intrappolato da quell'incarico universitario - Brett avrà avuto sei anni - avevo pensato di lasciare Betty, il lavoro, l'oppressiva presenza di vostro padre e quella casa. E sai che cosa mi ha fermato, Caro? Il fatto che avrei dovuto andarmene senza Brett. Perché non me l'avrebbero mai lasciata.» Caroline incrociò le braccia, a testa china. «E Megan?» chiese infine. «Non fece nulla di ciò che mi aspettavo. Niente lacrime, né minacce, né collera. Come se se lo fosse aspettato, commentò: 'Tra lei e me, hai scelto tua figlia'. Me ne andai più in fretta possibile e, per vari giorni, rimasi con i nervi a fior di pelle: ogni volta che squillava il telefono o si apriva la porta del mio studio, sobbalzavo, per paura che fosse lei. Invece non accadde
nulla. Soltanto una triste, semplice lettera che comunque, a suo modo, mi terrorizzò, perché descriveva una relazione che non era mai esistita.» S'interruppe, e trasse un profondo sospiro. «Un incontro di anime, la definiva.» Caroline levò lo sguardo su di lui. «Hai conservato la lettera?» «No, naturalmente.» «Speravo che avessi qualche prova che tutto questo è effettivamente accaduto.» Larry la guardò. «Dovrò testimoniare... dimostrare che quella ragazza deve aver detto e fatto certe cose per arrivare a me...» Un pensiero lo bloccò per un momento, poi, con calma risolutezza, lui proseguì: «Dovrò dirlo a Betty, ovviamente. Non appena arrivo a casa». Quasi assente, Caroline si sfregò le tempie, sempre con gli occhi fissi su Larry. «Hai mai raccontato di Megan a qualcuno, all'epoca?» Larry spalancò gli occhi. «No», rispose in tono piatto. «Ci stavo molto attento.» «Allora nessuno ti ha mai visto?» «Non credo.» «Niente regali, o foto?» Caroline abbassò la voce: «Nemmeno una polaroid?» Larry arrossì. «No.» «Allora capirai, Larry, perché Megan si aspetta di farla franca. Proprio perché, a quanto pare, anche tu l'hai fatta franca.» Larry si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona. Rimasero per un po' in silenzio, immersi nella penombra della prima sera. «Perché mai qualcuno dovrebbe credere», riprese lui, «che abbia architettato una storia del genere, visto che distruggerebbe il mio matrimonio?» «Oh, io ti credo... Ma la ragione per cui avresti 'architettato' la storia è molto semplice: per salvare tua figlia, affermando che la testimone chiave è mossa da rancore. E, comunque, nemmeno la tua versione riesce a spiegare i rapporti di Megan con James, o la dichiarazione che era lei, quella che James avrebbe portato in California. Per quello che ne sa Jackson Watts, Betty potrebbe far parte del tuo complotto.» Larry strinse le labbra. «Mi crederanno.» «Davvero? Guarda che la relazione tra Megan e James, indipendentemente dalle motivazioni e dalla sua durata, è nota... La tua relazione con lei, invece, non è sostenuta da prove... A proposito, quando si è chiusa?»
«Alla fine dello scorso autunno.» «E quindi, per di più, la traccia è fredda...» Caroline alzò un sopracciglio. «Ne deduco che il mitico weekend in tenda con Megan non fosse quello della notte in cui Case fu assassinato.» «No.» Larry distolse lo sguardo. «Per ironia, ero davvero solo. A pensare.» Lei sorrise, ma senza allegria. «Be', almeno non sei tu, l'alibi di Megan.» Fissò l'uomo seduto dall'altra parte della scrivania, e lui chiuse gli occhi. Poi, sottovoce, disse: «Com'è finita male, Caro, quell'estate. Per tutti noi». Per un lungo intervallo, Caroline non rispose. «Cercherò di utilizzare questa cosa senza farti testimoniare», spiegò infine, in tono pacato. «Lascia che ne parli con Jackson, prima. Se lo prende il timore che la sua testimone sia bacata quanto basta, può darsi che rinunci al dibattimento, in attesa di trovare qualcos'altro. Eventualmente anche su Megan... Quindi, per adesso non c'è bisogno che tu lo dica a Betty o a Brett. Te lo farò sapere io, se dovrai affrontare il discorso.» Larry riapri gli occhi. «E Channing?» Lei si raddrizzò e, gelida, rispose: «Direi proprio che, negli annali della nostra famiglia, i tentativi di cavarcela grazie a papà siano già troppo numerosi... Se non vi sarò costretta, mi rifiuto di lasciare questa famiglia anche peggio di come l'ho trovata. Potrebbe essere troppo perfino per me». 8. «Insomma», disse Caroline, «il padre della tua accusata si scopava la tua preziosa testimone. La quale, tra l'altro, mi sembra una persona alquanto instabile.» Jackson le sedeva accanto su una panchina dei giardini, davanti alla stazione di polizia. Si rimboccò le maniche della camicia con un'espressione serafica in volto, come se avesse ascoltato un'informazione di nessuna importanza. «Che peccato», disse infine. «Megan mi ha parlato così bene di te. Meglio, a quanto pare, di come tu parli di me.» Lei gli scoccò un'occhiata. «Con questa cosa devi fare i conti, Jackson, e lo sai. La difesa ti ha riportato informazioni cruciali, che avrebbe potuto usare per colpirti a tradimento in aula. Se procedi senza ordinare un'indagine, è un potenziale illecito.» Lui si voltò a guardarla. «D'accordo», ammise. «Che cosa vorresti che facessi?»
Caroline lo fissò. «Tanto per cominciare, manda qualcuno della omicidi a interrogare Larry e poi controlla la sua versione dei fatti. Ci dev'essere qualcuno cui Megan abbia confidato qualcosa in proposito.» S'interruppe e respirò a fondo. «Ma, se non salta fuori nessuno, ti chiedo di perquisire l'appartamento di Megan.» «E per che cosa?» «Per qualsiasi cosa possa confermare la sua relazione con Larry. E per scoprire se stesse ancora con la vittima dopo il mese di aprile.» Jackson la studiò. «Ecco perché sei qui. Vuoi che il pubblico ministero escluda una testimone d'accusa facendo quello che la difesa non può fare: ottenere un mandato di perquisizione per metterle sottosopra la casa.» La sua voce assunse un tono incredulo. «Dimmi, Caroline, a San Francisco ti è mai andata dritta, con richieste del genere?» «Non ne ho mai fatte, richieste del genere, a San Francisco.» Sentì che il tono indifferente, usato ad arte fin li, stava svanendo dalla sua voce. «Il potenziale pregiudizio da cui parte Megan è tanto evidente da far supporre che lei avesse escogitato tutto quanto per...» «Non ti riferirai al viaggio in California...» la interruppe Jackson. «No, ti prego di non insultare la mia intelligenza.» Caroline congiunse le mani. «Potresti spiegare anche quello. Se soltanto guardassi nel suo appartamento.» «Se soltanto trattassi quella ragazza come una criminale, vuoi dire.» Lo sguardo di lui si soffermò sul volto di Caroline, e nei suoi occhi si accese una sincera comprensione. «So che la vicenda coinvolge la tua famiglia, tuttavia mancano le basi per agire come chiedi.» «La falsa testimonianza è reato, sai?» «Soltanto se provato... Guarda, parlerò io stesso con Larry, senza di te. Manderò in giro i miei uomini, a sentire se c'è qualcosa. E poi metterò Megan di fronte a queste accuse.» Caroline si alzò. «Ma con che cosa, maledizione? Negherà tutto e io - da vera idiota - l'avrò preparata per l'udienza.» «Da vera idiota? Non direi.» Il suo sguardo divenne tagliente. «Se tu avessi pensato di poter trarre in salvo Brett mettendo in croce Megan Race, e distruggendola all'udienza, l'avresti fatto senza rifletterci un secondo, e al diavolo il matrimonio dei genitori. Però non hai niente in mano, vero? E non pensi di trovare niente in futuro. Almeno, non senza il mio aiuto.» Jackson passò a un tono di assoluta normalità. «Lasciando che sia io a sorprendere la ragazza, tu sei a posto comunque. Perché sai che, se c'è qualco-
sa sotto, andrò sino in fondo.» Caroline lo studiò a lungo. «Sì», ammise. «Questo lo so. Ma penso di aver fatto un terribile errore, e che tu stia per farne uno altrettanto grave. Chissà a quale prezzo, per Brett.» Jackson si alzò. «Spero sinceramente di no», ribatté. «Perché questa udienza che hai richiesto così insistentemente è tra soli cinque giorni, e sarebbe bello che riproducesse almeno qualche sembianza di verità. E la verità è che Brett Allen ha ucciso quel ragazzo. Io ne sono convinto. E anche tu.» Si voltò e si allontanò in direzione del suo ufficio. Uscendo dalla macchina, Caroline si trovò davanti agli alberi. Era ormai notte. Dal suo ritorno da Concord, durante il quale la scena che stava vivendo si era a poco a poco formata nella sua mente, erano passate dodici ore. A quel punto, entrando nel bosco, Caroline immaginò di essere Brett. Sotto i suoi piedi sentì il rumore di rami spezzati. Altri rami le sferzavano il viso e il corpo. A braccia alzate per proteggersi, non vedeva quasi nulla. Unicamente i sensi la guidavano nella direzione giusta. L'oscurità pareva non finire mai. Tra quei pini torreggianti, la luce della luna non riusciva a penetrare. E, a parte i rumori che Caroline produceva, tutto era immerso nel silenzio. D'improvviso, una debole luce le rese visibili i tronchi degli alberi. Con passo più rapido, Caroline si diresse verso il margine del bosco. Aveva il volto madido di sudore. La radura si aprì davanti a lei. S'inginocchiò vicino al punto in cui era morto James Case, e scrutò il lago. La luna era crescente, circa la metà di quella che aveva illuminato Brett, e il lago sembrava una distesa di ossidiana. Caroline non arrivava a scorgere la piattaforma che Brett dichiarava di aver raggiunto a nuoto. Nel bosco alle sue spalle si udì un rumore. Caroline si girò di scatto, con il cuore che batteva all'impazzata. Il bosco era nero e silenzioso. Rimase ferma a scrutare le tenebre, mentre una sensazione di gelo le sfiorava la pelle. Lentamente e con riluttanza, Caroline tornò a fissare il lago. Per un attimo rimase immobile, cercando di ricordare dove si trovasse la
piattaforma. Poi si tolse la giacca e i jeans e s'incamminò nella radura, verso l'acqua. In short e maglietta, l'aria della notte le parve fredda. Camminando incerta sui ciottoli, che le facevano male ai piedi, raggiunse la riva. Proprio come aveva raccontato Brett, rifletté. Quando si tuffò, lo shock dell'acqua fredda la strappò ai suoi pensieri. Era ridiventata Caroline, e nuotava verso la piattaforma che il padre aveva costruito quando era piccola. Si sentiva sospinta da ricordi che fluivano attraverso le crepe della sua vita. La sua bracciata era ancora lunga ed elastica. Si rese conto di saper individuare il momento in cui, allungando una mano, avrebbe toccato la piattaforma che non vedeva. Si tirò su e sedette sul bordo, respirando a fondo l'aria fresca della notte. Da lì, la luce era migliore; sul lago non c'erano alberi a schermare la luna. Ma la riva non era che un muro di oscurità, e gli alberi una serie di macchie informi. Soltanto la radura pareva in luce. Immobile, Caroline rimase in ascolto. Nulla. Lentamente, sistematicamente, esaminò la riva in cerca di possibili movimenti. Non vide nulla, non udì nessuno sull'acqua. Sentiva il freddo, l'umidità e le ciocche bagnate dei capelli. Gli occhi scrutavano la luce. Qualcosa era mutato. Mentre si voltava, un'ombra attraversò la radura, una macchia argentea nella luce della luna. Caroline s'immobilizzò. Soltanto quando l'ombra si mise in ginocchio, ferma e silenziosa, fu certa che ci fosse davvero. Caroline si rituffò in acqua. Le sue bracciate erano rumorose, frenetiche, come dovevano essere state quelle di Brett. Il corpo si tendeva nell'acqua, mentre lottava per raggiungere la riva. Nelle orecchie sentiva pulsare il battito del cuore. Quando raggiunse la riva e uscì dall'acqua, l'ombra era sempre ferma. Caroline ansimava. Mentre camminava nella radura, sentendo l'erba sotto i piedi, l'ombra si alzò, in faccia a lei. «Ciao, papà», disse. Channing Masters si diresse in un'area illuminata dalla luna. Gli occhi infossati non erano che due ombre. «Riuscivi a vedermi, allora.» «Soltanto nella radura. Prima, no.» Tacque, per riprendere fiato. «Da dove sei venuto?»
«Dal sentiero al di là della proprietà Mosher. Termina a circa cento passi da qui.» Alla luce della luna, Caroline si accorse che gli stivali del padre erano bagnati. «E poi nell'acqua, lungo la riva?» «Sì. Proprio come avevo ipotizzato», rispose lui, in tono fermo. «E tu non potevi vedermi né sentirmi... Proprio come Brett. Fino a che non sono entrato nella radura.» «Vero. Ma allora il tuo assassino, chiunque fosse, doveva conoscere la strada. E sapere dove Brett e James si sarebbero diretti.» Channing sedette, con gli occhi fissi sul lago. «No. Gli bastava sapere che venivano qui», disse. «All'inizio del sentiero Mosher c'è l'indicazione LAGO HERON.» Caroline indossò la giacca e gli s'inginocchiò accanto, nell'erba. «Stanco?» chiese. «Un po', sì.» Continuava a guardare il lago. «Sai una cosa strana, Caroline? Per un attimo, mentre venivi verso di me al buio, mi è parso che avessi il viso di Nicole.» Lei incrociò le braccia. A bassa voce, rispose: «Non le assomiglio più di quanto le abbia mai assomigliato. Quando guardo la mia faccia, papà, ci vedo te». Il vecchio taceva, immobile. Caroline teneva gli occhi puntati sull'erba davanti a lei. «Non ti è mai venuto in mente che un coltello non è l'arma giusta, per il tuo assassino?» gli chiese. «Come poteva supporre di sgozzare contemporaneamente due giovani in buona salute?» Lentamente, Channing annuì. «Avrebbe fatto meglio a usare una pistola, credo. Ma supponi che abbia visto James Case solo e addormentato...» Il tono si era fatto pensoso. «Un coltello ha il pregio di non fare rumore. E questo offre la possibilità di fuggire senza essere scoperti.» A occhi socchiusi, Caroline strappò un filo d'erba. «E che significa portarsi dietro una pistola e un coltello. Un bellissimo coltello, bisogna dire.» Si voltò verso il padre, che evitò il suo sguardo. «Dico soltanto che è plausibile», mormorò il vecchio. «Ma, a una giuria, qualcosa di plausibile potrebbe anche bastare.» Caroline non rispose. Channing si alzò, continuando a scrutare il lago. «Quella Megan... Potrebbe essere sospettata del delitto, come hai suggerito?» «Un'indiziata 'plausibile', intendi? Invece che una semplice bugiarda?»
Channing esitò, poi disse: «Sì». «Non lo so ancora.» La donna l'osservò. «Fatto sta che alla tua ipotesi serve un indiziato. E serve disperatamente anche a Brett.» 9. Caroline leggeva e rileggeva i suoi appunti, cominciando a delineare le modalità del controinterrogatorio ai testimoni della polizia: gli agenti responsabili dell'arresto e dell'interrogatorio di Brett, il medico legale, i tecnici della scientifica. Il disadorno studio di Carlton Grey era immerso nel silenzio; le prime luci dell'alba filtravano dalle finestre. All'udienza mancavano quattro giorni. La stampa aveva incominciato a farsi viva. Lei era stata cortese; con calma assoluta, aveva suggerito che, con quell'udienza, sarebbero emersi gravi perplessità riguardo all'istruzione del caso da parte dell'accusa. Ma Jackson si era rifiutato di alimentare le cronache con dichiarazioni in proposito. Caroline non sapeva in quale stato avrebbe ritrovato Megan Race. Si alzò dalla scrivania e guardò fuori della finestra. Brett stava affrontando la situazione con rinnovata padronanza di sé; benché fosse stanca e spaventata, trattava Caroline con una certa cortesia, come se percepisse, da parte della donna, il bisogno di vederla conservare il suo autocontrollo. Pareva che si fossero scambiate i ruoli: Caroline era infatti diventata irritabile e nervosa. Senza accorgersene, aveva esaurito le forze. Lo squillo del telefono la fece sobbalzare. Si voltò, vide l'apparecchio su un tavolino che non aveva mai notato. Si ricompose, attraversò la stanza e sollevò il ricevitore. «Sì?» «Caroline?» disse Jackson. «Ti ho cercato in albergo, e mi hanno detto che non c'eri. So che è presto, ma so anche quanto sei stata in ansia.» Il tono di lui era così cortese che le speranze di Caroline cominciarono a svanire. «Ti riferisci a Megan, immagino.» «Sì.» Jackson parlò in fretta, come se avesse preparato accuratamente il discorso. «Se si fosse trattato soltanto di valutare il comportamento di Larry, sarebbe stato più semplice... Ciò che mi ha raccontato mi è parso convincente e molto doloroso, anche. Sono determinato a credergli...» «Ma?» «Ma non è stato in grado di fornirmi nessuna prova, e anche i nostri detective non hanno trovato uno straccio d'indizio. Nessuno li ha mai visti in-
sieme, o ha sentito Megan pronunciare il suo nome se non a lezione. A parte qualche vaga chiacchiera di Megan con una vicina, relativa ai pregi di un amante più anziano di lei, non c'è nulla che possa far supporre che Larry dica la verità...» «E allora sottoponetelo alla macchina della verità.» Lo disse d'impulso. Ma Jackson era troppo gentiluomo - Caroline se ne rese conto - per rammentarle il rifiuto da lei opposto di sottoporre Brett a quel test. Eppure sarebbe stata una risposta più che sufficiente... «Se lo faccio», replicò lui, «dovrò esaminare anche Megan. Il che trasferisce il compito di valutare i testimoni - nessuno dei quali è accusato di reato - dal tribunale a un macchinario che un buon numero di esperti respinge. Noi non celebriamo così i nostri processi... e non posso cambiare questo stato di cose. Anche se mi rendo conto della tua angoscia.» Caroline s'irrigidì. «Piantala di trattarmi come una rimbambita sentimentale al capezzale di una parente, va bene? Sono un avvocato la cui cliente è in stato d'accusa per la testimonianza di una donna che potrebbe essere una bugiarda patologica.» Per la prima volta, Jackson manifestò qualche esitazione. «Le ho parlato, Caroline. Con rabbia - ma anche in modo molto convincente - Megan sostiene che Larry è stato per lei soltanto un docente moderatamente interessante e di cui ha seguito un unico corso. Inoltre mi ha ricordato, come se ce ne fosse bisogno, che la sua testimonianza riguarda la sua relazione con James Case, scoperta dalla tua cliente. Un altro fatto che nessuno - nemmeno tu - ha mai messo in dubbio. A meno che Brett non testimoni il contrario.» «Jackson», disse lei dopo una breve pausa, «c'è qualcosa che non va in Megan Race. Tutto il suo show dell'altro giorno puntava a far sì che persuadessi Brett a dichiararsi colpevole. Il mio istinto mi dice che ha paura di testimoniare.» «Se ha paura, non ha scelto un bel modo di dimostrarlo. Quando è venuta allo scoperto, doveva per forza sapere che una sua testimonianza in tribunale era una possibilità molto concreta. E che - dando per vera la storia di Larry - sarebbe stata il principale oggetto di un controinterrogatorio...» «L'unica cosa che ha previsto», lo interruppe Caroline, «è che nessuno sarebbe riuscito a trovare le prove. Infatti tu non ci sei riuscito.» Dopo un lungo intervallo, Jackson mormorò: «Per cui, questo adesso è un problema tuo, no?» Caroline strinse forte la cornetta. «Per favore», mormorò, «chiedi un
mandato. Cerca calendari, agendine, pezzi di carta... Qualsiasi cosa che porti scritto il nome di Larry. O quello di James.» Questa volta, lui non ebbe la minima esitazione. «Mi spiace, Caroline. Non ho intenzione di perseguitare quella ragazza... a meno che tu non abbia qualcosa di più. Ce l'hai?» «Non ancora», rispose lei in un soffio. «Allora ti prego di chiamarmi quando l'avrai trovato», concluse Jackson, e riattaccò. Con la porta dell'ufficio ben chiusa, Caroline ascoltava il rapporto di Joe Lemieux su Megan Race. Era mezzogiorno passato e non aveva ancora mangiato nulla. «Non si riesce a trovare traccia di terapie», stava sintetizzando Joe. «Né resoconti di comportamenti strani... quantomeno, nulla di davvero bizzarro.» «E di eccentrico, invece?» «Magari quello sì. Pare effettivamente un po' a corto di amici... e questo potrebbe essere il motivo per cui ha rifilato alla povera vicina e a lei quelle conferenze sulla sua vita sessuale. L'unica compagna di camera che sono riuscito a trovare sostiene che le stava addosso, come se volesse assorbire interamente la sua vita. Per essere precisi, sostiene che Megan l'ha logorata.» Lemieux alzò le spalle. «Da allora, Megan ha sempre abitato da sola.» Caroline annuì. «Tutto concorda con quanto dice Larry. Quella ragazza tende ad assumere un comportamento ossessivo. Ed è esattamente così che descrive Brett.» «E questo che significa?» «Significa che, se non ti curi, cominci a proiettare i tuoi disturbi sugli altri. Megan ha visto in Brett i tratti inquietanti che ha dentro di sé.» Lemieux aggrottò le sopracciglia. Con il viso sottile e gli occhi dall'espressione pensosa, più che un investigatore privato pareva un giovane studioso, perso a elucubrare su qualche difficile problema. «Può essere», dichiarò, dubbioso. «Ma, se ha ragione lei, Megan regge benissimo il gioco. Non c'è prova, per esempio, che sia stata in terapia. Al liceo era una delle migliori e ha passato i primi tre anni d'università collezionando buoni voti, senza mai incontrare difficoltà... Altro che essere beccata ad abbaiare alla luna!... Però una cosa c'è, Caroline. Lei sa che Megan lavora all'unione studentesca, vero?» «Ebbene?»
«Non so per quale motivo, e non so se sia utile... Tuttavia, la notte in cui Case fu assassinato, si è data malata.» Caroline piegò la testa di lato. «Possiamo provarlo?» «Con il cartellino, certo.» Lemieux corrugò la fronte. «Nulla ovviamente autorizza a credere che avesse motivo di odiare quel tizio, o che sia stata dalle parti del lago Heron. Senza parlare dell'eventualità che se ne vada in giro con - come diceva, prima? - con un coltello e una pistola.» Lei lo squadrò. «Chiunque può procurarseli, Joe. Questa è l'America.» «È così. Eppure, nonostante ciò, lei è ben lontana dal piazzare una pistola in mano a quella ragazza. E lo stesso vale per il coltello.» Ci fu un breve silenzio. «Volevo anche il suo orario di lavoro attuale», disse infine Caroline. Lemieux le lanciò uno sguardo duro. «Posso chiederle perché?» Lei alzò le spalle. «Per curiosità.» In tono asciutto, il detective riferì: «Stesso orario: da mezzogiorno alle due serve da mangiare; dalle otto alle dieci sta al bar. Qualche sera, quando c'è poca gente, chiude prima». «Grazie.» Lemieux si studiò le unghie. «Non ha avuto fortuna con il viceprocuratore?» «No.» Lei intrecciò le mani. «Quali sistemi di sicurezza ci sono nel palazzo di Megan?» «È un condominio degli anni '50, simile a quello in cui abitava Case», spiegò lui, parlando lentamente e guardandola. «C'è un citofono alla porta d'ingresso. Ecco tutto.» «Chiavistelli?» La fissò. Poi, con assoluta tranquillità, disse: «Non lo posso fare». Caroline sentì un vuoto allo stomaco. Ma il viso rimase impassibile. «Non può dirmi se c'è un chiavistello?» Lemieux non staccò gli occhi da quelli della donna. «Non ne ho visti», rispose infine. Incapace di star ferma, Caroline lasciò lo studio alle due. Prima ancora di sapere dove sarebbe andata, si cambiò, indossando un paio di jeans, e salì in macchina. Superò Masters Hill, quasi senza guardare la dimora del padre, e giunse all'inizio del sentiero che aveva imboccato due settimane prima... Prima di conoscere Brett Allen e di cominciare a smontare quell'immagine di se
stessa che aveva messo a punto in vent'anni. Chi sono io? Chi è davvero Caroline Masters? si chiese. Non lo sapeva più con certezza. Lentamente salì lungo il fianco della collina, arrampicandosi tra cespugli e alberi. Giunta in cima, quasi si aspettava di trovarci il padre, seduto sul tronco caduto a sorvegliare Resolve e la campagna dietro le case. Invece era sola. Anche se il tempo era nuvoloso, riusciva a vedere i tetti e le guglie del paese da cui era partita, e le montagne ondulate verso ovest, fino alle cime più lontane, che sembravano toccare il cielo. Ma erano le uniche cose che vedesse chiaramente. Per vent'anni, aveva vissuto secondo la legge, in accordo con le sue regole, anche se forse non erano le stesse seguite dalla gente comune. In qualità di avvocato difensore, Caroline accettava le più dure verità della giustizia: che la presunzione d'innocenza protegge i colpevoli; che, quando la polizia e l'accusa infrangono le regole, allora un individuo malvagio può essere rimesso in libertà... Il suo lavoro consisteva appunto nel rafforzare tali regole, a qualsiasi costo. Talvolta questo stato di cose l'aveva oppressa: una polizia senza regole significa il possibile verificarsi di un'ingiustizia, ma, d'altronde, dov'è la giustizia se si libera un criminale incallito - un assassino, un violentatore, un molestatore - pronto a colpire un'altra vittima? L'idea che, tra le persone che aveva difeso, alcune fossero innocenti diventava, in certe sere, troppo astratta per permetterle di addormentarsi facilmente. Eppure Caroline aveva sempre obbedito alle regole, per come le comprendeva. E lo stesso, insisteva, dovrebbe sempre fare la polizia. Chiuse gli occhi, e provò a immaginare la vita quotidiana di Brett. Era sin troppo facile, per lei. Caroline conosceva la routine giornaliera della ragazza: solitudine, scarso esercizio fisico, leggere finché le parole non le ballavano davanti agli occhi, scrivere un diario che era costretta a censurare per proteggere i pensieri più intimi. Poi, mentalmente, Caroline la seguì per i vent'anni di reclusione che Jackson Watts, con lo spietato senso del dovere della pubblica accusa, chiedeva come pena minima. Comprese la terribile segregazione che, paradossalmente, si accompagnava alla perdita di ogni privacy. Percepì l'assenza di amiche, amici, amanti e bambini, l'avvizzire della sessualità mentre i ventidue anni diventavano trentadue e, infine, quarantadue. Vide il pallore di Brett quando, finalmente, lasciava la prigione, il volto segnato dal passaggio di anni vuoti, la ricchezza della gioventù ormai dietro le spalle. Tutto a causa di un'unica testimone e per l'oscurità di un'unica notte.
D'un tratto, un ricordo l'assalì. Caroline era giovane; esercitava da neppure un anno. Un cliente, liberato su cauzione, era venuto nel suo studio. Non negava la sua colpevolezza, sperava soltanto in una sentenza più mite. Era smilzo e trasandato e aveva un'espressione lievemente risentita. «Quelli mi hanno facilitato troppo le cose», si era lamentato. Come molti altri clienti di Caroline, l'uomo faceva ricadere la colpa del suo gesto su un'entità identificabile soltanto con un generico «quelli». Poi, come per provare la sua tesi, aveva chiuso la porta dello studio, passando una carta di credito in plastica nella fessura accanto alla maniglia. La porta si era spalancata. «Vede», le aveva allora spiegato in tono accusatorio, «nessun chiavistello!» «Già», aveva risposto lei, secca. «Che cos'altro potevano aspettarsi, 'quelli'?» E allora, dopo tanti anni, Caroline decise che «quelli» potevano aspettarsi che un giudice onorasse la legge. A qualsiasi costo. Puntò lo sguardo sull'abitato, in lontananza. Quando tutto fosse finito, con qualsiasi esito, avrebbe chiesto il ritiro della sua candidatura. 10. Seduta in macchina, davanti al primo isolato della strada, illuminata soltanto dalla luce del tramonto, Caroline consultò l'orologio: le otto meno dieci. Nervosamente, guardò nello specchietto retrovisore. Dall'ingresso del condominio non usciva nessuno. Forse quella sera Megan non sarebbe andata al lavoro. Rimase in attesa, incerta tra tensione e sollievo. Nello specchietto, vide aprirsi il portone. Non si girò. Scorse il riflesso di un movimento. Nel crepuscolo, la sagoma femminile non era che una minuscola ombra in un pezzo di specchio. Caroline non la riconobbe. Il finestrino sul lato del passeggero era abbassato di uno spiraglio. Assolutamente immobile, Caroline aspettava di sentire i passi sull'altro marciapiede. E sperava che il tramonto e l'ombra degli alberi bastassero a nasconderla. Dal finestrino le giunse il debole risuonare di tacchi sul cemento. Continuò a rimanere immobile. Dopo un istante, riconobbe finalmente il portamento eretto e sostenuto di Megan. La ragazza giunse a un lampione e, infine, Caroline la vide passare, co-
me un'ombra noncurante, dalla luce all'oscurità. Allora, guardandosi attorno, scese dalla macchina. La strada era vuota e lei l'attraversò. Le scarpe da ginnastica non facevano il minimo rumore. Il mezzo isolato che dovette percorrere per arrivare al portone le parve vago, irreale. Raggiunse l'ingresso pervasa da una sensazione d'incredulità. Il palazzo era un asettico cubo di quattro piani. Sapeva che Megan abitava al quarto, il che aumentava le difficoltà sia per entrare sia per uscire. Esitò, incerta sul da farsi. Ma non doveva... Qualcuno avrebbe potuto vederla. Si riscosse, decidendo di affrontare un problema alla volta. D'altra parte, quei pochi atomi, per quanto le sembrassero cruciali, potevano benissimo passare inosservati. Impacciata, spinse tutti e dieci i pulsanti del secondo piano. Silenzio. Caroline inspirò profondamente, in attesa. Finalmente, un'anima buona apri, e lei si ritrovò all'interno. L'atrio era disadorno: c'erano soltanto l'ascensore e la porta che dava sulle scale, sormontata da un'insegna verde al neon con la scritta: USCITA. Lei l'aprì e se la richiuse alle spalle. Le scale erano buie. Fra breve, gli inquilini del secondo piano avrebbero aperto e sbirciato nel corridoio per capire chi aveva suonato alla porta. Salì di corsa. Giunta al secondo piano, si voltò un istante e scorse, attraverso il vetro della porta, una donna sul pianerottolo. Arrivata al quarto, si rese conto che quella donna le aveva rammentato Brett e la prigione. Con il respiro corto, diede un'occhiata dal vetro. Il corridoio era vuoto. Dai piani inferiori non giungevano suoni. Una volta nell'appartamento di Megan, Caroline sarebbe diventata come invisibile per gli altri inquilini. Con una calma che non provava affatto, passò nel corridoio. Non era molto lungo; c'erano soltanto cinque porte per lato. L'appartamento di Megan era sulla sinistra. Non pensare, si disse. Fallo e basta. Raggiunse la porta di Megan. Nella tasca della giacca aveva un fazzoletto e il tesserino di plastica che usava per entrare nel suo studio fuori orario. Era l'unica carta magnetica che non portasse il suo nome. Si guardò alle spalle e non scorse nessuno. Dalla porta accanto a quella di Megan proveniva il suono attutito di voci alla televisione.
Caroline prese la tessera e mise il fazzoletto sul pomolo della porta. Aveva la fronte madida di sudore. A quel punto, chiunque avrebbe capito che cosa stava facendo. L'assalì nuovamente il rammarico di non aver potuto indossare un paio di guanti: in troppi l'avrebbero notata e, al negozio, si sarebbero ricordati di lei. Fece scivolare la tessera nella fessura... Le sfuggì di mano. La donna trattenne il respiro. La carta magnetica cadde su una piastrella ai suoi piedi, con un rumore simile a quello di uno schiaffo. Eccola lì sul pavimento: brillava, illuminata dalla luce elettrica. Caroline pensò nervosamente che avrebbe potuto finire all'interno, attraverso la fessura. La raccolse in un lampo. Ogni esitazione non faceva che avvicinare il momento inevitabile in cui qualcuno sarebbe passato per il corridoio... Magari il custode per un controllo, dopo che il campanello aveva suonato senza motivo. L'orologio segnava le 8.17. Lentamente, stringendo le palpebre, reinserì la tessera. La fece scivolare sopra il chiavistello e poi la inclinò perché facesse presa sul dente del fermo. Poi, trattenendo il respiro, fece scivolare la carta magnetica tra la serratura e la porta e, con delicatezza, spinse il battente. Si udì un lieve clic. Il pomolo su cui teneva la mano si mosse. Aperta la porta, Caroline s'infilò nell'appartamento di Megan e richiuse piano. Era buio pesto. Armeggiando alla cieca per qualche minuto, con le dita coperte dal fazzoletto, Caroline trovò l'interruttore sulla parete. Una volta accesa la luce, ne rimase abbagliata. L'appartamento era semplice: un soggiorno che si apriva da un lato sulla cucina e, accanto, la porta di quella che doveva essere la camera da letto. Caroline, ancora indecisa sul da farsi, udì alcuni passi nel corridoio. Rimase immobile. Erano i passi pesanti di un uomo, e si avvicinavano. Per un istante, ebbe l'impressione che si fermassero davanti all'uscio di Megan. Poi udì un nuovo passo avanti, e quindi un altro. Un attimo dopo, non riuscì a sentire più nulla. Per un certo tempo, si disse, era al sicuro. Riprese a guardarsi intorno. Si era aspettata colori, poster vivaci, magari foto della stessa Megan. Invece l'appartamento era scialbo, impersonale. I mobili ricordavano quelli
di un ospedale, le pareti erano di nudo calcestruzzo. Non pareva che ci vivesse qualcuno in particolare: vecchio o giovane, uomo o donna che fosse. Con il fazzoletto sempre avvolto sulla mano sinistra, si diresse verso la camera da letto. All'interno, sull'anta dell'armadio di Megan c'era uno specchio a figura intera. Proprio come aveva spiegato Larry, lo specchio era proprio di fronte al letto. Di colpo, fu assolutamente certa che il cognato le avesse detto la verità. Guardò l'orologio: le 8.25. Rapidamente, ispezionò il cassettone. Non trovò altro che pantaloni, magliette, reggiseni e mutandine... tutti alla rinfusa. Ripulì con il fazzoletto le maniglie dei cassetti e passò all'armadio. Era di notevoli dimensioni, con due porte scorrevoli in legno, una delle quali difettosa. La spinse energicamente da parte e si mise a curiosare all'interno. L'armadio conteneva numerosi abiti, un giaccone, stivali e scarpe. Ma ciò che attirò l'attenzione di Caroline fu una grossa scatola senza coperchio. Dalla scatola spuntava una macchina fotografica Polaroid. Caroline s'inginocchiò e, con ogni cura, la levò dalla scatola e la posò da una parte. Sotto c'era un blocco per appunti, rilegato a spirale. Sulla copertina c'era scritto il titolo del corso di Larry. Lo apri. Gli appunti erano dettagliati, non facevano pensare tanto alle sbrigative note di una studentessa, quanto alla reverente trascrizione di una lezione dopo l'altra, in tutta fretta per non perdere nulla. Ma niente di più. Poi vide il calendario. Era dell'anno precedente. I mesi di ottobre e novembre, quelli della relazione con Larry, erano stati strappati, come in un accesso di rabbia. Infilata di taglio contro un lato della scatola c'era una carta delle White Mountains. L'aprì. Il luogo in cui, secondo il resoconto di Larry, avevano campeggiato era cerchiato a penna. Caroline ormai aveva capito di avere ragione, almeno riguardo alla personalità di Megan e a quello che era stata per Larry; ma nulla di ciò che aveva trovato fin lì avrebbe funzionato come prova, in un'aula di tribunale. Anche ammesso di portarselo via.
Con la massima attenzione, rimise tutto quanto nella scatola e richiuse l'armadio. Erano le 8.43. Si voltò a guardare la camera. L'unico mobile particolare di tutto l'arredamento era uno scrittoio con l'alzata avvolgibile. Sulla mensola c'era qualche libro e tutti trattavano di psicologia: la famiglia, disfunzionale o no; i figli unici; il rapporto fra padri e figlie. Ma, né lì né altrove, scorse indizi che conducessero alla famiglia reale di Megan. Aprì il cassetto dello scrittoio. All'interno, trovò due costose penne e un diario rilegato in cuoio rosso, con un nastro segnapagina verde. Quando fece per afferrarlo, il diario le scivolò tra le mani e si aprì. Le annotazioni incominciavano dal secondo anno d'università di Megan. Si affrettò a leggere. Le prime pagine erano occupate da uno sconvolgente guazzabuglio di vaghe aspirazioni spirituali e di descrizioni di atti sessuali in cui però non ritrovò neppure un nome e che le parvero segnate da una paradossale ostilità per gli uomini nel loro insieme. A mano a mano che si avvicinava alla metà, gli appunti sembravano acquisire un carattere sempre più bizzarro e virulento. Poi, però, girando una pagina, si trovò di fronte ai margini slabbrati di una serie di fogli strappati. I mesi da settembre a dicembre erano spariti. Senza più grandi speranze, riprese la lettura da febbraio. La grafia era più frastagliata e irregolare, come se Megan avesse scritto quelle frasi in preda a grandi emozioni. Ma Larry non era mai citato. Girò un'altra pagina. La lesse e la rilesse. Con le dita tremanti, sfogliò le seguenti, arrivando fino a maggio. Si fermò di nuovo e rimase a fissare la pagina da cui era partita. «Gesù Cristo», esclamò. Seduta a gambe incrociate sul pavimento, Caroline rilesse ancora, più attentamente, le pagine. Sentiva addirittura il battito affrettato del proprio cuore. Quando ebbe terminato, posò il diario in grembo, cercando di riordinare i pensieri. L'orologio segnava le 9.15. Non c'era modo di copiare quelle pagine e di rimettere il diario nel cas-
setto, come se non fosse mai stata lì. L'unico luogo dove potesse fotocopiarle era la biblioteca del Chase College, ma era una soluzione disseminata di trappole: potevano vederla; poteva non riuscire a rientrare nel palazzo o nell'appartamento di Megan; poteva essere scoperta mentre ci provava; Megan stessa avrebbe potuto sorprenderla. Caroline teneva gli occhi fissi sul diario, riflettendo. Quali che fossero le conseguenze, non poteva lasciarlo al suo posto. Erano le 9.22. Cercando di tenere sotto controllo i nervi, ripassò mentalmente i vari luoghi della casa in cui era stata. Quindi posò il diario, tornò in soggiorno con il fazzoletto in mano, e ripeté il suo percorso. Nei vari punti - l'interruttore, il pomolo interno della porta d'ingresso, l'uscio della camera da letto - ripulì tutte le superfici dalle impronte. A volte lascia il lavoro in anticipo, aveva detto Lemieux. Le 9.31. Aveva ancora parecchio da fare. Tornò in camera e passò il fazzoletto sulle maniglie dei cassetti e le porte scorrevoli dell'armadio. Il problema più grosso, si rese conto, era la scatola. La tirò fuori dall'armadio, e sfregò tutto ciò che ricordava di aver toccato: la macchina fotografica, la copertina e i bordi del blocco per appunti, gli angoli della cartina topografica, la scatola stessa. Lavorava rimanendo in ascolto. Ma non riuscì a sentire altro che il debole sonoro della televisione dei vicini. Quando, con la punta di una scarpa, spinse la scatola di nuovo nell'armadio erano le 9.51. Volgendosi, fissò a lungo il diario sul pavimento. Era arrivato il momento di decidere. Sapeva di essere di fronte all'ultima possibilità di rimettere il diario nel cassetto e di andarsene. Nella sua esitazione, sentiva il chiaro presagio di nefaste conseguenze. Attraversò la camera e ripulì con il fazzoletto le ultime impronte, quelle sullo scrittoio. Erano le 9.54. Nel giro di un quarto d'ora, Megan sarebbe stata di ritorno. Non c'era più tempo. Doveva decidere. Tornò al centro della stanza, prese il diario e si apprestò a uscire. D'un tratto, udì il rumore di un mazzo di chiavi fuori della porta. Per un istante, rimase immobile. Poi, come se obbedisse a un ordine det-
tato dall'istinto di sopravvivenza, si appiattì contro il muro e spense la luce. In quel momento, Megan si richiuse la porta alle spalle. Caroline sapeva di trovarsi accanto all'armadio, ma non riusciva a vederlo. Il cuore, in tumulto, le pulsava nelle orecchie. Avanzò, sperando di non inciampare. Quindi, sentendo avvicinarsi i passi di Megan che attraversava il soggiorno, trovò lo spiraglio aperto nell'armadio. Spingendo con il palmo, riuscì ad aprire del tutto l'anta difettosa. Mentre entrava, il pannello scorrevole scricchiolò lievemente, poi scivolò nella guida. Con qualche passetto rattrappito, riuscì a voltarsi. Udì i passi di Megan che entrava nella camera. La luce si accese. Ecco Megan che, in piedi, si guardava attorno. Di profilo sembrava stanca e infelice, torturata da segreti pensieri. Caroline sapeva che, se la ragazza si fosse girata verso l'armadio mal chiuso, l'avrebbe vista. Rimase perfettamente immobile. Dopo aver raggiunto il centro della camera, Megan si levò la maglia. Come ipnotizzata, Caroline la guardò togliersi i jeans, con la paura che volesse appenderli nell'armadio. Invece li lasciò sul pavimento. Nuda, la ragazza si voltò verso lo specchio. Si studiò attentamente, con sguardo critico. Poi reclinò il capo e spalancò leggermente gli occhi, come se implorasse pietà dallo specchio. Con un dito prese ad accarezzarsi un capezzolo; rimase come una statua, prigioniera della sua solitudine. Caroline tratteneva il respiro. Dopo un po', Megan si allontanò dallo specchio. Pensosa, teneva lo sguardo fisso sul pavimento. Ormai Caroline riusciva a vederla in volto. Sarebbe bastato che la ragazza alzasse gli occhi per trovare quelli della donna che, a sua volta, l'osservava. Lentamente, Megan girò le spalle all'armadio e si diresse verso il cassettone, sparendo dalla vista di Caroline. Adesso udiva soltanto alcuni rumori: un cassetto che si apriva, le mani che spostavano capi di vestiario. Poi Megan, indossata una maglietta, attraversò la camera e sparì di nuovo. Caroline esitava. Se fosse rimasta dov'era, la ragazza l'avrebbe di certo scoperta; ma, anche se non fosse accaduto, non poteva correre il rischio di lasciare la camera più tardi, nella speranza che lei dormisse. I passi di Megan si allontanavano.
Per favore, pregò Caroline, va' in cucina. Sgattaiolò fuori dell'armadio e attraversò la camera, sempre stringendo il diario, senza fare rumore. Giunta alla porta, sbirciò nel salotto. Nessuno. Entrando in soggiorno, udì un acciottolio di stoviglie. Si sforzò di ricordare la disposizione della cucina. Il lavandino e gli armadietti erano lungo la parete; se stava rigovernando o se si preparava da mangiare, Megan non poteva che dare la schiena al soggiorno. Caroline inspirò profondamente e, veloce e silenziosa, si diresse alla porta d'ingresso. Mezzo metro più in là, si sarebbe trovata allo scoperto. A un certo punto, si voltò di scatto, quasi aspettandosi di udire un urlo. Invece vide Megan chinarsi sul lavandino con una bustina di tè in mano. Senza un rumore, Caroline attraversò la stanza. Si fermò davanti alla porta, sentendo Megan che girava un cucchiaino nella tazza, e levò di tasca il fazzoletto. Con le dita protette dalla stoffa, girò il pomolo. La porta mandò un lieve gemito. Di colpo, tutti i rumori provenienti dalla cucina cessarono. In preda al panico, Caroline gettò un'occhiata al pianerottolo e vide che era deserto. Infilò rapidamente la porta, che si chiuse dietro di lei con un leggero rumore. Caroline corse alle scale. Non si preoccupò più del rumore. Con il cuore che batteva all'impazzata, aprì la porta che dava sulla tromba delle scale e la richiuse con violenza. Dal vetro della porta, scorse Megan che si affacciava sul corridoio. Discese le scale di corsa, attraversò l'atrio e si ritrovò avvolta dal fresco della notte. Il ritorno a casa, in macchina, fu un'esperienza quasi surreale. Il mondo divenne lo specchio delle sue paure: i fari che incontrava erano luci delle autopattuglie, il vecchio seduto nella veranda dell'albergo aveva sbirciato il diario che teneva fra le mani. Caroline corse in camera sua. Sedette sul letto. Adesso sai che cosa si prova a commettere un crimine, si disse. Sapeva che non avrebbe potuto nascondere quel diario da nessuna parte. Nella ventiquattrore aveva una busta grande. Mentre l'idea prendeva
forma, Caroline si rese conto che non aveva scelta: a quell'ora, con ogni probabilità, Megan aveva già chiamato la polizia. Allora prese dalla borsa il pennarello rosso che usava per correggere le sue arringhe. Sulla busta vergò il suo nome in lettere maiuscole. Sotto ci scrisse c/o BETTY ALLEN, l'indirizzo di Masters Hill e le parole RISERVATA PERSONALE. Il diligente stampatello non era quello solito di Caroline; sembrava piuttosto la grafia di una bambina. Prese alcuni francobolli dalla borsetta, e ne applicò sei alla busta. Per un ultimo istante, fissò il diario. Poi lo infilò nella busta, e la sigillò. Uscì dalla camera, scese le scale e vide che l'uomo non c'era più. La strada principale di Resolve era deserta e immersa nel buio. Sola, Caroline vagò per le vie della sua fanciullezza. Nel silenzio, le sovvenne un ricordo improvviso: Jackson e lei che giravano per quelle stesse strade, in una spider che lui aveva preso in prestito, con sei lattine di birra sul sedile posteriore. Per un istante, gli anni volarono via e la sua vita tornò a essere fresca e intatta. Ma ormai soltanto la vita di Brett era così. Non c'erano altri suoni se non il canto dei grilli e il leggero alternarsi dei suoi passi sull'asfalto. Alla svolta della strada, si ergeva il vecchio negozio di alimentari e generi diversi. Avvicinandosi, scorse la sagoma blu scuro di una cassetta per le lettere. Sollevò lo sportellino di metallo. Per un istante considerò quali altre possibilità avesse. Poi fece cadere la busta nella cassetta, affidando il futuro di Brett, e forse anche il suo, alle buone grazie delle poste statunitensi. Ma c'era un'ultima cosa da fare. Caroline raggiunse il ponte. Sotto di sé, sentiva il dolce mormorio del fiumicello e, alla luce della luna, ne vedeva il percorso. Levò il pennarello di tasca e, delicatamente, lo fece cadere nell'acqua. Non produsse alcun suono. 11. «Ho pensato», disse Caroline, «di consegnarteli di persona.» Aveva trovato Jackson sul molo davanti alla sua casetta, impegnato a riparare un motore fuoribordo. Il viceprocuratore si ripulì le mani dal grasso, passandole sui jeans. «Che cosa sono?» chiese.
«Mandati di comparizione... Sono cinque. Per vari tuoi agenti e, naturalmente, per Megan Race. A meno che tu non preferisca che glielo consegni io.» Jackson parve esitare. «No. Farò in modo che ci sia.» Lei lo osservò. «Per qualche motivo, sembri dubitarne.» Jackson prese i mandati. Li esaminò attentamente, a occhi socchiusi, poi alzò lo sguardo sul lago, scintillante nel sole di metà mattino. «Ieri Megan mi ha telefonato», disse finalmente. «Crede che qualcuno sia penetrato nel suo appartamento. L'altra notte.» Lei alzò le sopracciglia. «Crede? O sono entrati o non sono entrati.» E, in tono più secco, soggiunse: «Dimmi, c'è qualche segno di effrazione? O è un altro capitolo particolarmente ricco della fantasiosa vita di Megan Race?» Lui l'affrontò senza mezzi termini. «Pensa che sia stata tu a mandarle qualcuno. Un professionista.» Caroline scoppiò in una breve risata. «Io non le ho 'mandato' proprio nessuno.» Jackson le scoccò un'occhiata dura. «È quello che credo, anche senza bisogno che me lo dica tu. Ma non posso fare a meno di pensare all'insistenza con cui - pochissimo tempo fa - hai cercato di convincermi a perquisirle la casa.» Lei lo studiò con attenzione. «E io vorrei anzitutto sapere perché le credi. Le manca qualcosa?» L'altro si accigliò. «Non lo so. Ma qualsiasi cosa creda quella ragazza, il fatto l'ha terrorizzata.» «Forse è il senso di colpa. Un po' come lady Macbeth.» Accennò un sorriso. «Se Megan cominciasse a mugugnare qualcosa del tipo: 'Via di qui, dannato spettro', io mi preoccuperei.» Lui si mise le mani sui fianchi, con gli occhi fissi sul pontile. «Caroline», mormorò, «che cosa sai di quanto è successo?» «Si tratta di un'accusa?» Jackson la guardò storto. «Allora lascia che te lo chieda in un'altra forma», disse infine. «Da professionista a professionista, c'è qualcos'altro che dovrei sapere?» Per un istante, Caroline provò il desiderio di confessargli tutto. Ma, a quel punto, era impossibile. L'impulso morì, lasciando dietro di sé soltanto uno strascico di tristezza. «Come mi hai laconicamente ricordato in un'altra occasione, Jackson, adesso Megan è un mio problema... Tu pensa sol-
tanto a far sì che si presenti, d'accordo? Non vorrei mai che quella ragazza si lasciasse sfuggire il suo momento di gloria.» «Ho un piano per prendere Megan», annunciò Caroline tranquillamente. Brett piegò la testa di lato. «Ma non me lo dirai.» La donna la fissò. «Una volta mi hai pregato di crederti. Adesso sono io a rivolgerti la stessa richiesta... Quantomeno, a domandarti di credere che ho fatto tutto il possibile. E che ho una buona ragione per non rivelarti nulla.» Brett scosse il capo. Mi sono spinta così lontano che nessuno mi può raggiungere... È davvero strano sentirsi tanto isolati, pensò Caroline. «Non voglio che tu finisca in prigione, Brett. È una cosa inaccettabile, per me.» Nel volto della ragazza qualcosa cambiò, parve aprirsi. «A questo, ci credo», disse infine. «Forse ho fatto una scelta, come le persone che decidono di credere in Dio. Ma ho avuto un'infinità di tempo per pensarci, Caroline. Non credo che arriverai mai a ritenermi innocente... Sembra che non t'importi di sapere se ho ucciso James oppure no, mentre invece non riesci a distogliere i tuoi pensieri da quello che mi succederà... È così che sono gli avvocati?» Caroline sorrise appena. «Gli avvocati difensori, perlomeno. Si sentono l'ultima roccaforte dell'amore incondizionato. A parte i tuoi genitori, naturalmente.» Brett la guardò. «I miei poveri genitori... Mio padre si comporta come se il colpevole fosse lui, e mia madre si limita a starsene seduta lì, cercando di dire qualcosa quando non c'è nulla da dire, incapace di aiutarmi nel momento in cui ho più bisogno d'aiuto.» La sua voce prese un'inflessione di rassegnato stupore. «Mi fa sentire triste per lei, in qualche modo.» Caroline rimase in silenzio per un po' e, infine, scrollò le spalle. «In realtà non può fare proprio niente. Tranne, forse, inventare qualcosa di divertente per le sue visite alla prigione. Il che è più difficile di quanto tu non immagini.» Brett non le toglieva gli occhi di dosso. «Come mai la detesti tanto?» «La detesto?» «Ma certo. Ne parli con un distacco impressionante, come se fosse un vetrino sotto il microscopio. È molto, molto peggio della rabbia.» È molto più profondo della rabbia, Caroline pensò. «Betty e io siamo diverse, ecco tutto. Le nostre vite hanno preso direzioni opposte.»
«Tanto diverse che nessuno riesce più a starti vicino?» Caroline provò di nuovo quella sensazione... Brett aveva lo strano potere di ferirla. «Insomma», rispose, secca, «abbiamo inclinazioni differenti.» In quell'attimo, tuttavia, si rese conto di aver parlato proprio come Nicole. «Scusa», riprese allora stancamente, «ma temo di essermi persa l'ondata confessionale degli anni '80... e, a volte, penso che faccia più male che bene. Ma, quanto a tua madre e me, il problema è unicamente nostro.» Tornò a sorridere. «Con un po' di fortuna, potrai tornare a sviluppare problemi tuoi, personali. E questa, naturalmente, è la mia ragione di vita.» «Sembri più ottimista.» Per l'ennesima volta, Caroline rivide il coltello che non avrebbe mai menzionato. «Mi pare che vada un po' meglio», ammise infine. «Almeno sotto certi aspetti.» Meditabonda, Brett si passò una mano tra i capelli. Qualcosa in quel gesto pose bruscamente fine alla distrazione della stessa Caroline. «Ma tu sei mancina?» Brett le rivolse uno sguardo perplesso. «Perché... lo sei anche tu?» «No.» Caroline tacque, immersa nelle sue riflessioni. «Però avrei già dovuto accorgermi di una cosa del genere.» Chissà perché, la ragazza parve trovarlo divertente. Come per consolarla, posò la sinistra su una mano di Caroline. «Non preoccuparti», le disse con finta sollecitudine, «hai avuto tante di quelle cose per la mente...» Per un attimo, le due donne sorrisero insieme. Per due giorni, Caroline non fece che attendere. Lavorava in camera, stendendo appunti sulla base di quello che rammentava delle frasi scritte da Megan. A volte si bloccava, immaginando che la busta si fosse strappata e il diario in cuoio rosso, scivolandone fuori, fosse andato perduto. Il pomeriggio precedente l'udienza si diresse a Masters Hill, fermandosi al cimitero. La giornata era limpida. Caroline rimase per un po' davanti alla lapide della madre. Che penseresti di tutto questo? chiese. Il cimitero era immoto, avvolto dal silenzio. Sorridendo lievemente di se stessa, Caroline scosse il capo. Lasciato il camposanto, raggiunse la casa del padre. In veranda c'era Betty.
«Stai bene?» le chiese. Caroline si fermò, a disagio, sul prato. «Sto bene... Volevo soltanto dirti che farò per lei tutto ciò che posso. E che nulla mi distoglierà da questo impegno.» Betty annuì. «Ti credo. Tutti crediamo in te.» L'altra teneva gli occhi fissi sull'erba ai suoi piedi. Ti prego, pensò, di' che è arrivato. «L'udienza inizia alle nove», spiegò. «Il mio consiglio è che arriviate verso le otto e mezzo, e vi sediate in prima fila. Tailleur per te, giacca e cravatta per Larry. I mass-media, sai.» «Certo.» Betty tacque, come colta da un pensiero improvviso. «C'è un pacco per te. Per qualche motivo è arrivato qui.» Caroline sentì le spalle cadere per la stanchezza e il sollievo. «Puoi andare a prendermelo?» La sorella sparì in casa. Quando tornò, aveva in mano la busta e fissava lo stampatello infantile con sospettosa curiosità. La consegnò a Caroline. «È chiusa», dichiarò in tono asciutto, «come puoi vedere.» I loro occhi s'incontrarono. Caroline non replicò e diede una rapida occhiata al pacco. «Strano», mormorò. «Grazie.» Volgendosi, riattraversò il tappeto erboso, sentendo sulla mano il peso del diario. L'osservazione di Betty, densa di significati nascosti, aveva innescato qualcosa. A Caroline bastò un attimo per afferrarlo. Era il ricordo di un'estate di tanti anni prima, quando un'altra donna aveva riempito un diario dei segreti del suo cuore. A passi lenti, raggiunse l'auto e se ne andò. PARTE QUINTA ESTATE 1972 1. Caroline lo vide per la prima volta il giorno successivo al suo ventiduesimo compleanno. Il corso che la sua vita avrebbe preso sembrava già stabilito: la facoltà di Giurisprudenza a Harvard, il praticantato nel New Hampshire, una tacita
intesa con Jackson Watts, con cui si trovava tanto a suo agio che, tra loro, tante cose non era neppure necessario dirle. E se non negava una certa mancanza di passione e di sorpresa, Caroline era d'altra parte orgogliosa di essere così diversa dalla madre, schiava degli umori e degli impulsi. Sapeva che cosa le avrebbe riservato il futuro, ne era contenta e appagata. In parte, tale appagamento risiedeva nell'aspettativa che, dopo un opportuno periodo per conto suo, avrebbe potuto esercitare la professione legale insieme con il padre. Questi aveva dichiarato di voler lasciare lo scranno di giudice a sessant'anni, con l'intenzione di usare la sua fama per attirare clienti e la sua esperienza per consigliare la figlia mentre, a sua volta, lei faceva conoscere il proprio nome e costruiva la propria reputazione. Con la sua rete di amicizie tra i repubblicani, Channing poteva far valere un'ambizione che anche Caroline cominciava a condividere: l'ambizione che un governatore, prima o poi, la nominasse giudice. Certo, Caroline e il padre non la pensavano sempre allo stesso modo, in politica: le sue opinioni sul Vietnam e sul movimento femminista erano ben diverse da quelle di Channing. Ma quelle divergenze non avevano strascichi sul piano personale: Caroline amava profondamente il padre e, per lei, le loro discussioni erano una forma di ginnastica mentale. Si sentiva fortunata ad avere un genitore così. E, stranamente, era stato lui a incoraggiarla a passare l'estate a Martha's Vineyard. Non aveva mai venduto la villa. I Masters però non c'erano più tornati: nei sette anni seguenti alla morte di Nicole, avevano affittato la casa a sconosciuti. Caroline non aveva mai più fatto cenno a Martha's Vineyard. Era stato il padre a rievocare quel luogo, durante le ultime vacanze di Natale prima della laurea. «Che cosa faresti se potessi trascorrere l'estate prossima nel modo che più ti piace? Torneresti in Europa?» le aveva chiesto. Caroline aveva scosso la testa. «La passerei in barca a vela.» Era rimasta per un po' assorta. «Magari potrei andare nei Caraibi, entrare a far parte dell'equipaggio di una barca a noleggio, e fare vela per conto mio quando sono libera.» Il padre si era appoggiato allo schienale della sedia, sorseggiando un bicchiere di vino. «Perché non vai a Martha's Vineyard?» chiese, in tono casuale. «È lì che hai imparato, dopotutto, e avresti una vera casa.» Lei lo aveva osservato attentamente. Aveva pensato che il padre volesse, attraverso un tacito accordo, relegare definitivamente il passato e sua ma-
dre alle spalle di entrambi. Ma il prezzo di un'estate del genere - la necessità di affrontare e di congedare il ricordo di quanto era successo - l'aveva turbata molto. «Non lo so», aveva risposto. «E se mi guadagnassi un po' di soldi, invece?» Il padre aveva posato il bicchiere. «Caroline, a Radcliffe hai lavorato sodo. Adesso sei in procinto di laurearti con onore, e d'intraprendere una carriera che richiederà un impegno assiduo. Mi farebbe piacere che passassi un'ultima estate libera dal lavoro.» Era come se i suoi occhi dicessero quello che lui rifiutava di esprimere a parole. «A parte questo, Betty e Larry hanno bisogno di un po' di tregua, e a Larry serve un posto dove poter scrivere la tesi di dottorato. Sono certo che un'estate laggiù farebbe piacere anche a loro.» Ma certo, aveva pensato lei. Quella casa non aveva in serbo alcun ricordo, per loro. Dirlo, però, le sarebbe sembrato infantile ed egoista al contempo. «Ci voglio pensare, papà.» «Certo.» Channing aveva sorriso fugacemente. «A proposito, farò portare li il tuo catboat dal lago Winnipesauk.ee. Se ti farà piacere.» Nel giro di un paio di settimane, Caroline aveva deciso che non sarebbe scappata: avrebbe passato l'estate a Martha's Vineyard e se la sarebbe goduta. Delle sue riflessioni, però, non aveva fatto parola a Channing; né lui l'aveva sollecitata. «Ne sono lieto», aveva commentato. «Verrò a trovarvi, naturalmente. Ma soprattutto sarà un'ottima cosa per Betty e per te.» Il padre le era sempre parso indifferente nei confronti della situazione evocata da quell'ultima frase, una situazione che si poteva sintetizzare nella parola «sorellastra», mai pronunciata in famiglia, e che tuttavia definiva con estrema precisione il loro rapporto. Elizabeth Brett, madre di Betty, era una sconosciuta per entrambe, e Nicole aveva sempre trattato Betty come la figliastra che era. Lontana da Caroline per età, aspetto e temperamento, Betty sembrava guardare a lei come a un'intrusa, tanto legata al padre da rendere inutili i rapporti con la sorella maggiore. A cinque anni dal matrimonio di Betty con Larry Allen, Caroline e la sorella non erano tanto antagoniste quanto estranee. «Ne sono certa», aveva risposto Caroline, con indifferenza. Stranamente, le cose stavano andando proprio così. Forse la chiave di tutto era Larry. Nel giro di qualche giorno dal loro arrivo, tra il giovane e la cognata era nato un rapporto spontaneo e scherzo-
so. Betty non sembrava preoccuparsene, come se l'apprezzamento della sorella per Larry significasse un'approvazione anche per lei. E, da un certo punto di vista, aveva ragione. Caroline capiva quanto Betty gli fosse legata, e quanto desiderasse la felicità di entrambi. E vedeva inoltre nella sorella una specie di dolorosa sincerità, un'assoluta mancanza di finzione o di vanità, che lei sapeva di non possedere. L'assenza del padre, Caroline lo capiva, avrebbe potuto regalare a loro due la libertà di essere amiche. Per Caroline, l'unica fonte di tensione delle prime settimane fu l'ossessivo desiderio di Betty di avere un figlio. Capiva che la sorella aveva bisogno di riversare su un figlio tutto l'affetto e le cure che sentiva di non aver avuto per sé. Dirlo a chiare lettere, però, significava mettere troppo crudelmente allo scoperto le sue insicurezze. Tuttavia Caroline intuiva che quell'esigenza esercitava un'enorme pressione su Larry: in realtà, non potevano ancora permettersi un bambino, ma era comunque chiaro che Betty insisteva perché tentassero e, d'altra parte, per un motivo o per l'altro, nessun piccolo Allen era ancora in cammino. Per Caroline, l'intera faccenda si situava quindi a metà fra il tragico e il comico: Larry si dava da fare ogni notte nel campo di Betty, mentre una parte di lui pregava in silenzio che le messi non fruttificassero, almeno finché un suo incarico universitario non avesse finalmente messo radici. «Bene», mormorò una sera a Caroline, asciugando l'ultimo piatto, «si torna a faticare in miniera.» Lo disse in tono piuttosto spensierato: con quel suo aspetto da ragazzino, il naso a patata e un'aureola di capelli castani, aveva sempre l'aria di un ottimista. Per cui anche Caroline sorrise, prima di rispondere: «Spero soltanto che il tuo conto in banca non sia in rosso». Larry levò gli occhi al cielo, fingendosi esausto. «Questa figlia - se mai nascerà - sarà la prima bambina della storia che farà dormire di più i genitori.» Caroline alzò un sopracciglio. «Figlia?» «Ah, sì... Fa parte dell'accordo. 'Niente sperma da maschietti.'» Larry sorrise nuovamente. «Non rimanere fuori troppo, Caro. In assenza di prole più acconcia, Betty e io ci sentiamo un po' in loco parentìs.» «Rimaner fuori?» Caroline chiese candidamente. «E con chi?» Il sorriso di Larry si fece ambiguo. «Questo non lo so ancora», rispose. Ricordando il giorno fatidico, Caroline rimarcò con ironia che era sembrato proprio un giorno come gli altri.
In pace con se stessa e con gli altri, stava tornando in barca da Tarpaulin Cove. Le sue capacità veliche si erano rapidamente risvegliate e il vento pomeridiano da sudest soffiava continuo e favorevole. Quando si trovava su quella rotta, non poteva fare a meno di pensare alla madre. Ma una breve e discreta inchiesta l'aveva informata del fatto che Paul Nerheim aveva venduto Windy Gates. Di colpo, si rese conto che quell'estate a Martha's Vineyard stava lentamente riempiendosi di gioia. Le mancavano Jackson e gli amici del college, certo. Ma si faceva una ragione del fatto che la sua stagione universitaria fosse conclusa, e comunque due delle sue amiche avevano promesso di venirla a trovare alla fine di agosto. Quanto a Jackson, era abituata a stare lontana da lui, spesso per settimane e perfino per mesi. Ormai lo aveva capito: era un po' una solitaria. Diversamente da molte sue amiche, non si era mai perduta completamente in un uomo. Né aveva mai desiderato che accadesse. Lo vide la prima volta sul molo dei Masters: una figura snella, che da lontano pareva avere i capelli scuri, con le mani in tasca. Nulla di lui le parve familiare ma, apparentemente, la stava aspettando. Accostando con una manovra perfetta, Caroline gli gettò la cima. «Ti spiace?» gli chiese. L'afferrò al volo, assicurandola poi al molo con movimenti esperti. Lei gli diede un'occhiata di sfuggita, ma il giovane teneva la testa china e poté vedere soltanto i capelli ricci, corvini come i suoi. «Grazie», disse. A quel punto, l'altro levò lo sguardo su di lei. Con una specie di turbamento improvviso, Caroline scorse un giovane sui venticinque anni, con qualche traccia della bellezza particolare di Nicole Dessaliers: ciglia lunghe, naso importante, un viso dai lineamenti così netti che parevano tagliati nel vetro. Gli occhi erano di un sorprendente azzurro acciaio. Si voltò per ammainare e per riporre le vele. Quando ebbe terminato, si accorse che il giovane era sempre lì. «Bella barca», disse. Lei sali sulla banchina e ispezionò il catboat. «Fai vela anche tu?» «Un po'. Dove sei arrivata?» Caroline evitava di guardarlo in faccia. «A Tarpaulin Cove.» «C'eri mai stata?» «Sette od otto anni fa.» Caroline esitò, poi concluse: «Avevo fatto una brutta traversata, una volta, per cui mi è parso di doverci tornare».
Il giovane annuì. «Dicono che questo specchio di mare è infido.» Tacque, e parve studiare l'oceano. «Alla fine del secolo scorso, c'era un famoso marinaio di Martha's Vineyard che si chiamava Joshua Slocum. Aveva girato il mondo intero sui velieri e, infine, era tornato a casa. Un bel giorno, con un tempo ideale, uscì in barca e svanì. Nessuno lo ha mai più rivisto.» Caroline gli si rivolse con un'espressione sardonica in volto. «Questa non l'avevo mai sentita. Ma è davvero poetica.» L'altro le scoccò un sorriso impertinente, che permeava la sua bellezza di un tocco fanciullesco e affascinante. Ma non ne mutò lo sguardo, che rimaneva attento e guardingo. Le tese una mano. «Mi chiamo Scott Johnson. Sono il custode della proprietà dei Rubin, qui, accanto alla vostra.» La mano era forte e fresca. «Caroline Masters», lei rispose. Il giovane annuì. «Ti ho vista.» E piegò il capo verso la casa. «Vieni tutte le estati?» Caroline lo guardò più attentamente. C'era in lui una combinazione di riservatezza e di sfacciataggine che non sembravano amalgamarsi. «Manco da anni», chiarì infine. Scott sorrise fugacemente. «Anche i Rubin vengono di rado. Ma, come ha detto una volta Fitzgerald, i ricchi sono diversi.» Si voltò a guardare la bianca villa dei Masters, appollaiata sulla scogliera a precipizio sulla spiaggia, dolcemente illuminata dal sole del tardo pomeriggio. «È difficile immaginare che qualcuno possa non desiderare di venirci. Almeno quando può.» Caroline si sentì invadere da un'irritazione subitanea. Come aveva fatto, si chiese, a lasciarsi coinvolgere in una conversazione del genere? «Mia madre è morta qui», fu la sua cruda risposta. «Anni fa, in un incidente. La mia famiglia ha trovato altri posti dove andare.» Il giovane tornò a ficcarsi le mani in tasca. «Scusami», disse. «Fai troppe domande e, prima o poi, ne farai una stupida. Ho visto che la casa era abitata, poi ho visto te e mi sono incuriosito, tutto qui. Immagino di aver avuto troppo poco cui pensare, negli ultimi tempi.» Era un'offerta di scuse piuttosto soddisfacente e Caroline si accorse che, se se ne fosse andata, avrebbe fatto una figura da villana. Per cui chiese: «Da quanto lavori qui?» «Da gennaio. Da queste parti gli inverni sono molto tranquilli, ho scoperto.»
«Non sei del posto, allora.» «No», chiarì con un sorriso. «Sono arrivato e ho risposto a un annuncio sul giornale. Non c'ero mai stato prima.» Si avvertiva una sorta di trascuratezza nel modo in cui parlava, Caroline pensò. Eppure qualcosa non quadrava in quell'immagine di persona cui non importa dove si trova e che non ha un posto dove vorrebbe andare. «Perché proprio Martha's Vineyard?» gli chiese. «Mi sembrava il posto giusto per riflettere.» Guardò l'orologio. «Devo chiamare i Rubin, adesso. Per far loro il mio rapporto.» Sorrise di nuovo. «I ricchi sono diversi, sai? Si aspettano che la gente sia puntuale.» E, così su due piedi, la lasciò. Caroline, quasi suo malgrado, sentì che quel ragazzo l'aveva incuriosita. Quella notte ci fu un'improvvisa tempesta di vento, che aggredì la villa facendo sbattere le porte e tremare i vetri delle finestre. Svegliandosi, Caroline pensò subito al catboat: lo vedeva sbattere contro il molo o, addirittura, alla deriva verso il mare aperto. Ricordò che non aveva fatto il nodo di persona. Incapace di rimanere a letto, s'infilò i jeans e un giubbotto e uscì a controllare la barca. Il vento urlante quasi le fece perdere l'equilibrio. Ma la nottata era tersa, le stelle scintillavano e parevano vicine, nel cielo nero e senza fine. Il mondo intero sembrava magico e terribile. Al di là del molo, vide svettare l'albero dell'imbarcazione. Mentre si avvicinava, già più tranquilla e rassicurata, scorse, all'estremità della banchina, una figura che scrutava il mare. Al vento sembrava non fare caso. Caroline avanzò e si fermò accanto al catboat, a meno di dieci metri dalla figura. Qualcuno aveva assicurato strettamente il battello alla banchina con una seconda cima e, sebbene fosse investita dalle onde, la barca quasi non si muoveva. «È sicura quanto basta», disse Scott. Si era voltato a guardarla. Lei si rese conto che aveva percepito la sua presenza da un po'. «Sei stato tu a legarla?» chiese. «Già. Ho udito il vento e mi sono chiesto se potesse danneggiarla.» Era una preoccupazione da uomo di mare, espressa nel tono impersonale di chi tiene più alle barche che ai loro proprietari. Quel pensiero soffocò la gratitudine di Caroline. «Grazie», disse semplicemente. «Oh, di niente.» Il volto di lui era in ombra. A Caroline, proprietaria della banchina, par-
ve che il giovane avesse invaso un suo spazio privato. Ma una certa cortesia era d'obbligo. «Posso offrirti una tazza di caffè?» chiese. «Visto che ormai siamo alzati entrambi.» Dal fatto che le ombre attorno a lui sembravano immobili, Caroline ricavò l'impressione che la studiasse per un momento. «No», rispose. «Ma grazie lo stesso.» S'incamminò, più per oltrepassarla che per raggiungerla. Invece le si fermò davanti e Caroline non poté trattenersi dal notare quanto era bello. «La barca è a posto», mormorò lui. «Buonanotte.» Una volta di più, la lasciò senza parole. 2. Non lo vide per diversi giorni. Il tempo era pessimo, per la barca: o pioveva o non c'era vento. Quando finalmente arrivò una bella mattinata limpida, pungente e ventosa, Caroline riempì una borsa frigorifera e lasciò la casa, impaziente di uscire in mare. Lo trovò seduto sulla spiaggia, ai piedi della banchina; reggeva tra le mani una tazza di caffè fumante. Sembrava sapere che sarebbe andata in barca. Tuttavia, sentendola arrivare, non si voltò. Fu lei a fermarglisi accanto. «Ciao», disse. Lui alzò lo sguardo, con una sfumatura divertita negli occhi grigioazzurri. «Tu vai pazza per la vela, eh?» Caroline udì nella domanda una certa ammirazione o, quantomeno, una sorta d'intesa. Non ci era abituata: Jackson, con cui condivideva tante esperienze, non amava granché la vela. Così, senza pensarci, gli chiese: «Ti va di venire con me?» Gli occhi sembrarono velarsi. Pareva che Scott non sapesse decidersi tra l'indifferenza per Caroline e la voglia di uscire in barca. Poi sorrise. «Credi che potrei reggere il timone per un po'?» Improvvisamente lei pensò alla perduta solitudine, al tempo che avrebbe dovuto passare chiacchierando con un estraneo. Ma era troppo tardi. «Ricordati di Joshua Slocum, però», rispose. Scott imparò in fretta a conoscere la barca, osservando con interesse come rispondeva. Governava con tale abilità e sicurezza che neppure una certa modestia, nel parlare e nel muoversi, riusciva a nascondere quanto
fosse normale, per lui, quello che faceva. Caroline aveva la sensazione di essere invisibile. Per parecchio tempo, Scott filò nel vento, nella luminosa euforia della giornata. Ma la semplice percezione della gioia di lui dava a Caroline un inespresso piacere. Proprio quando cominciava a pensare che l'avesse scordata del tutto, le rivolse la parola. «Grazie», disse con un sorriso. «Era da un po' che non uscivo.» Caroline prese il timone. «Dove hai imparato a manovrare così?» «Sul lago Erie.» Il sorriso di Scott si fece più largo. «Hai sentito parlare dei Grandi Laghi? Si sono accorti che ci sono, a Radcliffe?» Caroline sentì che l'irritazione spingeva da parte il suo bon ton. «Oh, dacci un taglio», rispose, «con questa storia del povero ragazzo borghese che incontra la principessa.» Addolcì un po' il tono e riprese: «È come un brutto Fitzgerald. E Fitzgerald è già abbastanza brutto senza doverlo peggiorare». Scott non rispose. Ma Caroline sentì posarsi su di lei una lunga occhiata pensosa, una silenziosa ammissione. Non le parlò mai più in quel modo. Attraversarono il Vineyard Sound fino alla baia del lago Tashmoo, e diedero fondo nelle sue acque riparate. Caroline divise con lui i sandwich e la birra. «Non vai mai in città?» chiese a Scott. «In posti come il Black Dog o lo Square Rigger?» «A passare il tempo con gli universitari, vuoi dire? A bere birra e ascoltare musica?» Sorridendo, scosse il capo. «L'ho già fatto, temo. Per quattro lunghi anni.» Caroline lo osservò a lungo. «Non sei appena uscito dall'università, però.» «Oh, no.» Il sorriso si spense. «No, è da un bel po' che ho lasciato il college.» Qualcosa nel tono e nel modo di rispondere scoraggiava ulteriori domande. Ma Caroline scoprì che non le importava, e riprese: «Allora, che cosa hai fatto?» Lui le scoccò un'occhiata tanto diretta che lei capì di aver attraversato un confine invisibile. Sottovoce, Scott rispose: «Non molto. Quantomeno, niente di utile». Caroline si rese conto di non essere disposta a farsi prendere per il naso. Lo guardò negli occhi, alzando le sopracciglia in una muta interrogazione.
Dopo un momento d'incertezza, l'altro parve sospirare, come se si sentisse alle corde. «Può darsi che non ne abbia l'aria», disse infine, «ma sono una vittima della nostra politica estera. Mi sono sacrificato perché altri potessero morire.» Lei socchiuse gli occhi. «Sei stato in Vietnam?» Scott sorrise. «Appunto. Non sono stato in Vietnam. Rimanerne fuori ha richiesto tutte le mie energie.» Caroline avverti in quelle parole una certa autoironia. «Lasciami indovinare», disse. «Sei psicotico, innamorato di un ragazzo meraviglioso e hai la febbre da fieno.» «Alla febbre da fieno non avevo pensato.» Scosse lentamente il capo, senza più sorridere. «È stato un tale spreco. Anche se tutto ciò che io ho dovuto sprecare è stato il tempo.» «Com'è andata?» «Me ne stavo tranquillo all'Ohio Presbyterian College, con la sicura consapevolezza che l'unica coscrizione che avrebbe potuto toccarmi, nella vita riparata che mi ero costruito, era l'obbligo di presenziare alle funzioni religiose. Perché avrei sempre potuto iscrivermi all'università... Ma il 1968 fu un anno magico. Martin Luther King e Bobby Kennedy assassinati, i russi che invadono la Cecoslovacchia e, con l'ultimo respiro politico, il caro, vecchio Lyndon B. Johnson abolisce il rinvio per motivi di studio. Ciò permise ai coscritti del '68 di occupare una posizione unica nella storia: furono la prima classe a perdere il diritto al rinvio, e l'ultima senza la lotteria, cioè la chiamata per sorteggio. Un sistema che, fino ad adesso, ha salvato un tale numero di vite da dare forza al vecchio detto 'la vita è una lotteria'.» Caroline pensò a Jackson. «Lo so», rispose. «Il mio migliore amico ha avuto il numero 301.» L'altro le rivolse un'occhiata fulminea e aspra. «Be'», replicò, «il tuo amico è un uomo fortunato. Il mio compagno di camera è rimasto ucciso. Un altro mio amico è andato in prigione per renitenza alla leva e ha avuto un crollo nervoso. Quanto a me, sono stato costretto a scoprire la mia passione per l'insegnamento. Alla scuola materna, in una cittadina dell'interno. Una comunione di spiriti.» Caroline alzò le spalle; c'era qualcosa che non le andava, nella leggerezza di lui. «Immagino che quel lavoro ti abbia procurato il rinvio.» «Sì, ma soltanto annuale. L'insegnante che sostituivo, però, me ne liberò prima del tempo, abortendo. In settembre era già di ritorno. Per un po' considerai anch'io l'ipotesi della gravidanza. Ma non avevo nessuna da mettere
incinta, e da solo non potevo. Per cui dovetti rassegnarmi, e rendermi inabile in maniere più tradizionali.» Puntò lo sguardo sull'oceano, mentre il vento gli scompigliava i capelli. Ancora una volta, l'opinione di Caroline su di lui mutò; la ragazza cominciò a sospettare che, sotto quel cinismo, ci fossero sentimenti più profondi. D'un tratto, Scott diede un'alzata di spalle. «Comunque, mi andò bene. Dopo due anni di tentativi, fui salvato da un'ernia iatale. Che, per fortuna, non m'impedisce di andare in barca.» «E allora, è tutto a posto, no?» Lui scosse la testa, apparentemente più stupito che contrariato. «Sì... sì. Ma non avevo più uno scopo. La mia battaglia contro quelli del reclutamento era durata tanto da farmi scordare chi ero. O che cosa volevo.» Si alzò un vento freddo. Un gabbiano volò in cerchio sopra le loro teste. Con le mani sui fianchi e un'espressione perplessa, Scott lo fissò. Senza togliergli gli occhi di dosso, Caroline rifletteva su quanto aveva udito. Non è facile, pensava, ridurre all'immobilità una persona che non lo vuole. E le ragioni che si adducono per non aver fatto qualcosa spesso sono così illusorie! Il ragazzo che aveva di fronte era molto più sveglio di quel che volesse far credere. E allora emise il suo primo giudizio su Scott Johnson: nessuna ambizione. Caroline si strinse nelle spalle. «Comincio ad avere freddo», disse. Scott le scoccò un'occhiata divertita e comprensiva. «Torniamo», rispose. Caroline gli lanciò la cima e ormeggiarono la barca. «Hai tempo per una birra?» chiese lui. «Una delle tue.» C'era un'ultima bottiglia nella borsa frigorifera. Con lo stesso gesto fatto per la cima, Caroline gli lanciò la fresca bottiglietta marrone. Scott l'afferrò con una mano. Sedettero accanto sulla banchina, con le gambe penzoloni nel vuoto, passandosi la birra. Caroline aveva voglia di rientrare. «E allora, che cosa pensi di fare, adesso che hai finito l'università? Di sposare il numero 301?» Caroline gli rivolse un'occhiataccia. Aveva parlato di Jackson soltanto come di un «amico». «Perché? Sarebbe il ruolo che mi compete?» La bocca di Scott s'increspò in un sorriso, come se l'irritazione di Caroline lo divertisse. «Soltanto se lo vuoi.» «Ciò che 'voglio' è una carriera in ambito legale.»
L'altro inclinò la testa di lato, con interesse. «Perché in ambito legale?» Caroline si rese conto che nessuno glielo aveva mai chiesto. D'un tratto, si domandò se lo avesse mai chiesto perfino a se stessa. «Mio padre è giudice», rispose infine. «Ci sono cresciuta, in quel mondo.» La risposta le parve superficiale, inadeguata. Ma Scott, che sapeva essere tagliente, la sorprese, evitando di attaccarla. «Che genere di lavoro vuoi fare, con precisione?» le chiese. Caroline esitò. Le sue idee non erano ancora così chiare. «Probabilmente all'inizio farò il pubblico ministero. Tanto per accumulare esperienza.» Scott tornò a fissare il mare. «Be'», rispose, «è bello sapere che cosa si vuole.» Quella volta fu Caroline ad andarsene. 3. «Hai sentito di Eagleton?» le chiese Larry, a cena. Caroline si versò un po' di chiaretto. «No, che cosa gli è accaduto?» «Ha ammesso di essersi sottoposto a qualche elettroshock.» Larry fece una smorfia. «Niente di che... giusto una scarica ogni tanto, quando si sentiva depresso.» «Dici sul serio?» «Sì», intervenne Betty. «Però soltanto due o tre volte, negli anni '60. La stampa sta gonfiando la cosa.» Caroline li fissò entrambi. «McGovern è fottuto», commentò infine. «Basterà che, durante la campagna elettorale, Nixon dica che McGovern metterà Eagleton davanti al pulsante dell'atomica: la gente allora non potrà che chiedersi che cosa succederà la prossima volta che quel tizio si farà rifare l'impianto elettrico al cervello. Insomma, si chiederà: e se quello si sveglia un bel mattino e decide che è un giorno perfetto per bombardare l'Ucraina? D'altro canto, se McGovern lo scarica dopo averlo scelto come vicepresidente, passerà per incompetente.» Scosse il capo. «Sì, la politica mi deprime proprio.» Larry si appoggiò allo schienale, reggendo il calice di vino con entrambe le mani. «A proposito, come la pensa Jackson, in politica? Non l'ho mai capito.» «Sai, Jackson non ama quelli che definisce gli estremi... Quando uno deve pagarsi la scuola a forza di borse di studio, la politica sembra un lusso. Non ha mai avuto tempo per le manifestazioni di protesta.»
Larry annuì. «Era soltanto curiosità, la mia. Channing e lui sembrano andare tanto d'accordo.» «Perché papà non dovrebbe andare d'accordo con Jackson?» chiese Betty, fissando il marito. «Per nessun motivo», rispose questi, sempre guardando Caroline. «Mi piace Jackson. Meglio ancora, piace a Caroline.» «Bene», concluse Betty, «allora c'è l'unanimità. Almeno nella nostra famiglia.» Il tono affettuoso di quest'ultimo commento non sfuggì a Caroline; forse Betty aveva addirittura inteso prendere le sue difese. Qualcosa in quella conversazione, però, l'aveva innervosita... Pareva che quello scambio di battute non fosse altro che il surrogato di qualche vecchia disputa fra i coniugi. «Be'», concluse in tono asciutto, «ve lo farò sapere, prima di sposare Jackson. Così possiamo fare una votazione.» Larry le rivolse un'occhiata penetrante. Poi, come per cambiare discorso, disse: «Mi chiedo che cosa sarebbe successo se Betty avesse messo me ai voti». «Semplice», rispose Caroline, con finta autorità. «Io avrei posto il veto prima ancora che lo facesse papà. Sei troppo povero per essere anche così odioso.» Lui sorrise, levando il bicchiere. «Brindo ai folletti», esclamò. Poi, rivolto a Betty, concluse: «Presenti e futuri». Sorridendo, Caroline toccò il bicchiere di entrambi con il proprio. Ma il sorriso della sorella le parve un po' forzato. «Da che cosa proveniva?» Caroline chiese a Larry, più tardi. Erano in cucina a lavare i piatti. Dalla finestra vedevano Betty che si apprestava a fare una delle sue solitarie passeggiate sulla spiaggia. Nel tramonto, la sua figurina isolata era incorniciata dalla sabbia bruna e dal mare, sempre più cupo. Asciugando soprappensiero un calice da vino, Larry domandò: «Di che parli?» «Della tensione, a tavola. E non mi riferisco alla nostra discussione su Eagleton.» Larry sorrise. «O a quella su Jackson...» «Nemmeno.» Larry rimase in silenzio per un po'. «Tuo padre ha lanciato un pallonesonda», disse infine. «Se non proprio a me, almeno a Betty. Vuole aiutarmi
a trovare una cattedra, dalle sue parti. Nei dintorni ci sono due o tre università e qualche scuola superiore privata.» Caroline si voltò a guardarlo. «E tu come l'hai presa?» «Non lo so. Betty e io siamo andati benissimo, fin qui, tenendo le nostre famiglie a una certa distanza.» Alzò le spalle. «Devo essere corretto con Channing; sta cercando di darmi una mano. E, come ha chiarito lui stesso a Betty, la sua influenza termina sostanzialmente entro i confini dello Stato.» «E allora che pensi di fare?» «Oh, c'è tempo!» La voce tornò ad animarsi. «L'incarico di assistente a Syracuse non va affatto male, credo, e così la tesi. Può darsi che riesca a rimanere a Syracuse o, addirittura, a trovare di meglio.» L'ottimismo e la generosità d'animo (che pareva abbracciare sia gli altri sia se stesso) erano caratteristiche di Larry che Caroline apprezzava molto. «È facile immaginare», azzardò lei, «che cosa ne pensi Betty. Che potreste permettervi di avere un bambino.» Lentamente, Larry distolse lo sguardo. «Subito prima di partire, Caro, Betty e io ci siamo sottoposti a una serie di esami. Parecchio approfonditi, anche... Ho dovuto addirittura farmi una sega in un vasetto.» Tacque un istante, poi riprese: «Ci hanno messo un bel po', ma stamattina si sono rifatti vivi. Potrebbe esserci qualche problema...» Caroline posò il piatto che aveva in mano. «Di che tipo?» «Un numero insufficiente di spermatozoi. Non così basso da rendere la cosa impossibile, ma decisamente sotto la media.» Larry sorrise. «Quando hai fatto quella battuta sul conto in rosso, avevi ragione. Mi sa che ho fatto fuori tutto ciò che avevo... e anche di più.» Di colpo, lei si rese conto delle pressioni cui Larry era sottoposto. «Ma non credi che in parte sia dovuto proprio a questo?» gli chiese. «Se la gente trattasse il concepimento come un esperimento da laboratorio, nessuno avrebbe più figli. Betty e tu siete diventati una coppia di criceti, ormai.» «Più o meno è quello che ha detto il dottore. Per cui il mio nuovo ruolino di marcia m'impone di riservarmi per la fascia oraria 20.30-22.30... il prime time, insomma.» Le sorrise nuovamente. «Stasera Betty e io dovremmo essere liberi per una partita a Scarabeo, se ti va.» Lei scoppiò a ridere. «Qualsiasi cosa, pur di darvi una mano. E finché rimane tutto in famiglia.» «Un milione di grazie.» Larry scosse lo strofinaccio e asciugò un altro piatto. «In ogni caso, credo che la mia percentuale di spermatozoi salirà a razzo non appena mi troverò un vero lavoro. La questione è tutta qui:
quanto sperma ti puoi permettere?» Tacque, come distratto da un altro pensiero. «Quel tizio che abita vicino a noi, Caroline. Da dove viene?» Lei socchiuse gli occhi. «Come faccio a saperlo?» «Be', ci sei uscita in barca, l'altro giorno. Pensavo che aveste anche chiacchierato.» Caroline gli passò l'ultimo piatto. «È soltanto un relitto degli anni '60. Nessun posto dove andare e niente da fare.» «Ha l'aria di un solitario. Bel ragazzo, però», commentò lui, strofinando meccanicamente il piatto bagnato. «Non è un ragazzo, Larry. Ha soltanto due anni meno di te. Però gli mancano la tua fermezza e la tua solidità.» La studiò per qualche istante. «Qualcosa di lui l'hai scoperta, comunque...» commentò in tono divertito. Caroline gli scoccò una fredda occhiata. «Non so che cosa tu abbia in mente. Ma so che cosa ho in mente io: nulla. Sono stata soltanto... caritatevole.» Si asciugò le mani. «Credi di riuscire a concentrarti sullo Scarabeo, adesso? Perché ho intenzione di farti un culo così.» Larry le rivolse un larghissimo sorriso. «Caro, sei bellissima quando ti arrabbi.» 4. Rivide Scott Johnson soltanto diversi giorni dopo e, anche allora, soltanto perché si ribellò all'idea che Larry, deridendola, soffocasse ogni suo impulso. Respingendo il proposito d'invitarlo, Caroline era uscita in barca da sola. La traversata però era stata così bella che il ricordo di quanto Scott si era divertito la volta precedente l'aveva fatta sentire un po' egoista. Una volta ormeggiato il catboat era rimasta un po' incerta, poi era andata a cercarlo, prima di pensarci più del dovuto. Viveva nella palafitta all'estremità dello stretto pontile dei Rubin. Dall'esterno sembrava una costruzione a un piano, con una terrazza affacciata sull'oceano. Sotto di lei, l'acqua sciabordava contro i solidi pilastri di cemento. Caroline bussò. Attese un momento, inquieta: forse aveva soltanto immaginato i passi attutiti all'interno della casa. Si era ormai voltata verso la villa dei Rubin quando la porta, alle sue spalle, si aprì.
Si voltò di nuovo. «Ciao», gli disse. Lui la sbirciava dalla porta semiaperta. Caroline aveva immaginato un ventaglio di reazioni possibili: circospezione, indifferenza, perfino un certo divertimento. Ma si trovò di fronte a un assoluto sconcerto. «Ho pensato che ti avrei dato un'ultima possibilità di farti una birra insieme con gli universitari», annunciò allora. La porta si aprì un po' di più. Sul volto di Scott si alternarono diverse espressioni: esitazione, perplessità, disagio per essere stato colto alla sprovvista. Ma l'ultimo sguardo che le rivolse chiarì a Caroline quanto si sentisse solo. «Dove?» chiese. Lo Square Rigger si trovava alla periferia di Edgartown: una sala buia e fumosa con le pareti e il bancone di legno; seduti ai tavoli, frotte di universitari che lavoravano sull'isola. Scott sembrava rientrato nel ruolo che Caroline gli aveva visto recitare più spesso: il suo atteggiamento era divertito, in qualche modo distaccato. Con un'unica occhiata, parve registrare l'ambiente e gli avventori. «Ecco i futuri leader americani che si sbronzano di Budweiser. In mezzo a noi potrebbe esserci il quarantatreesimo presidente», commentò, con un tono in cui si mescolavano in egual misura ironia e stupore. «Che sia sbronzo di Bud non mi dà fastidio», ribatté lei. «Invece mi irrita che sia per forza un uomo.» Scott sorrise. «Adesso che sei entrata, le possibilità potrebbero essere quasi alla pari. Cerchiamo di sederci?» S'impadronirono di un tavolo d'angolo proprio mentre incominciava lo spettacolo: due ragazzi e una ragazza bionda dai capelli lunghi che, come Scott, dovevano avere circa venticinque anni. Gli uomini portavano ciascuno una chitarra a dodici corde. La donna si piazzò nel mezzo di una pedana in legno, e cominciò a cantare If I Had a Hammer con una voce gutturale, più forte che bella. «Merda santa», mormorò lui. «Ma è una canzone di Peter, Paul and Mary... Avrà almeno dieci anni!» Con un breve sorriso, Caroline si preparò a trascorrere una serata punteggiata di osservazioni sarcastiche, e cominciò a rimpiangere di aver strappato Scott al suo autoimposto esilio. Ma poi vide che gli brillavano gli occhi. «Offro io», disse il giovane. «Che cosa prendi?» «Uno scotch.»
Scott non ebbe difficoltà ad attirare l'attenzione della cameriera, una brunetta dall'accento meridionale e un sorriso con cui, Caroline si disse, era impossibile competere senza prima essersi sottoposte a una lobotomia. Miss Amabilità venne al loro tavolo a tempo di record, e venne accolta da uno sfolgorante sorriso di Scott. Caroline non l'aveva mai visto sorridere così, ma fu certa che avrebbero goduto di un servizio eccellente. Con lo sguardo sempre inchiodato sul ragazzo, la cameriera si morse le labbra, come se esitasse a dare una brutta notizia. «Spiacente, ma devo chiedervi i documenti. Il direttore ha detto: 'Senza eccezioni'.» Scott fece il muso. «Beccato un'altra volta con una minorenne...» commentò. Poi si rivolse a Caroline. «Lo sapevo che non avresti mai potuto passare per ventunenne!» A Caroline, quel tono burlesco fece l'effetto di un repentino cambio di personaggio. Sorrise educatamente e porse la patente. La cameriera l'esaminò e si rivolse a Scott, in attesa. «Scotch», ripeté lui, deciso. «Per entrambi.» La ragazza esitava. Allora Scott sfoderò un sorriso ancor più incandescente del primo; dimentica dei suoi doveri, la cameriera lo ricambiò, sempre guardandolo negli occhi. Parti con l'ordine, voltandosi verso di lui a metà strada. Per chissà quale motivo, Caroline trovava tutto curioso e divertente. «Non ti imbarazza un po' incoraggiarla così?» gli sussurrò. Scott assunse un'aria innocente. «Chi dice che la incoraggio?» «Lo dico io. Insomma, soltanto a guardarti mi sono sentita un po' incoraggiata anch'io!» Scott le rivolse un sorriso da cospiratore. «Finché io sorriderò», disse, «noi berremo. E ci sarà d'aiuto per la musica.» Così fecero per il primo giro, seguito da altri due. Secondo Caroline, quei surrogati di Peter, Paul and Mary non erano male; Scott li osservava attentamente, prima per semplice cortesia, poi con un certo interesse e addirittura con benevolenza. Per quanto la cameriera sorridesse, lui si accorgeva a malapena della sua presenza. «Non è facile suonare per un branco di ubriachi. In particolare, ubriachi arrapati», commentò, tamburellando il ritmo sul tavolo. La sala aveva un che di sensuale, ormai: la voce penetrante della donna, il vibrare delle chitarre, l'odore di fumo e dei corpi vicini, che oscillavano l'uno contro l'altro per sussurrare o per sorridersi. Scott ordinò un quarto scotch. Sul suo volto affiorò un'espressione quasi spensierata; una parte di
lui era lì, con Caroline, un'altra invece era chissà dove, magari in un diverso bar o a una festa o in un monolocale da studenti. Forse, pensò Caroline, si trovava addirittura in un'altra epoca, un'epoca in cui Scott aveva provato per se stesso un po' più di amore. Sulla pedana la bionda ci dava dentro, guizzando e ondeggiando a ritmo, e le canzoni si caricavano sempre più di erotismo. «Darei non so che per sentirla cantare Onward Christian Soldiers», le bisbigliò lui. Lo disse con un'espressione affabile, non priva di gentilezza. Caroline si accorse che quello di Scott non era sarcasmo, bensì una divertita accettazione dell'umanità della cantante che, in qualche modo, abbracciava tutti i presenti. La colpì e la sorprese il fatto che, diversamente dalla maggior parte delle persone, Scott poteva davvero diventare più simpatico, quando beveva. Quando tornò a guardarlo, vide che continuava a sorridere e a tenere il ritmo. D'un tratto, fu contenta di averlo invitato. Rimasero fino alla chiusura. Al parcheggio ritrovarono la macchina di Scott, un maggiolino Volkswagen malconcio e pieno di graffi sulla carrozzeria nera. «Vuoi che guidi io?» chiese lei. La domanda parve cancellare l'umore svagato di Scott, che tornò completamente in sé. Si fermò, per riflettere. «Sto bene», concluse. Caroline era titubante. La distanza da Eel Pond non era eccessiva, si disse, e Scott non era certo uno di quei balordi cui dovevi strappare di mano le chiavi. Salì senza ribattere, e si allacciò la cintura di sicurezza. Lui avviò il motore, fischiettando tra sé. In un piacevole silenzio, imboccarono la Beach Road, mentre le ombre degli alberi svanivano alle loro spalle. Guidava un po' troppo veloce, rifletté Caroline, alternando frenate e accelerazioni come per seguire una specie di ritmo interiore. Sembrava che volesse trascinarsi dietro le sensazioni provate nel bar, quasi che temesse di perderle. L'auto acquistò velocità. Caroline sentì che la sua tensione cresceva, e li allontanava. Non aveva certo bisogno di chiedersene la ragione. Altri cinque minuti, si disse. La strada era deserta e la guida di Scott, per quanto veloce, sembrava abbastanza controllata da ricondurli a casa sani e salvi. Inoltre era chiaro che quel ragazzo conosceva bene la strada. Lo vide fare una smorfia un istante prima che una sciabolata di luce ros-
sa investisse lo specchietto retrovisore. La sua reazione fu quasi prodigiosa. Non imprecò, non parlò e non diede mostra di essere turbato... si limitò a cambiare personalità per l'ennesima volta: divenne un uomo sobrio, con una bella serie di pensieri che gli attraversavano ordinatamente il cervello. Rallentò, sino a fermare l'auto con una manovra perfetta. Soltanto Caroline poteva vedere che era terreo. L'auto della polizia si fermò dietro di loro. Dal lunotto, il raggio di una torcia elettrica illuminò i due ragazzi. A occhi socchiusi, Scott inspirò profondamente, si raddrizzò sul sedile e infine uscì per presentarsi all'agente. Pareva aver dimenticato la sua compagna. L'istinto consigliò a Caroline di scendere dalla macchina. Il poliziotto era una forma senza volto dietro la torcia elettrica, puntata sugli occhi attenti e sul corpo assolutamente immobile di Scott. Mentre Caroline faceva il giro della macchina, l'agente disse, in tono calmo: «Mi servirà la sua patente, figliolo». Nella voce del poliziotto, nel portamento, in quelle spalle pesanti, lei notò qualcosa di familiare. Scott non fece nemmeno il gesto di cercare il portafoglio. D'un tratto, lei ricordò la cameriera che gli chiedeva i documenti. La voce dell'agente si era fatta più aspra. «Consegnami la patente, per favore.» Scott lanciò uno sguardo verso l'auto e Caroline, in quel preciso istante, si rese conto che un delicato equilibrio stava per spezzarsi. Istintivamente, s'interpose fra i due. La luce della torcia le fece sbattere le palpebre. «Salve», disse. Vide che l'altro piegava la testa, studiandola da dietro il fascio di luce. «Caroline? Caroline Masters?» «Sì, sono io.» Il poliziotto fece un passo avanti, il volto improvvisamente illuminato dai fari dell'auto. Con voce esitante, disse: «Sono Frank Mannion». Il ricordo la investì, rapido e intenso. L'immagine dei capelli neri della madre che ondeggiavano nell'acqua la colpì alla bocca dello stomaco. «Rammento», mormorò. Vide che l'altro rilassava le spalle. Alla luce dei fari, il viso era un po' più gonfio ma sempre gradevole e i capelli rossi erano ingrigiti alle tempie. Si tolse il cappello, asciugandosi la fronte, e le si avvicinò. La voce diven-
ne gentile. «Mi sono sempre chiesto che ne era stato di te.» «Be', niente di particolare per la verità.» Anche la sua voce - Caroline lo avvertì con sollievo - era molto vicina a un tono normale. «Mio padre e io abbiamo cercato di farcene una ragione. L'anno prossimo prenderò la laurea in Giurisprudenza. È andato tutto bene.» Lentamente, Mannion annuì. Caroline sentì su di sé lo sguardo di Scott; qualcosa, nel suo modo di rimanere immobile, l'angosciò. «E lei?» chiese all'agente. «La sua famiglia si è poi trovata bene a Martha's Vineyard?» Lui parve sorpreso. «Ricordi anche questo?» «Ricordo tutto di quel giorno. Compresa la sua gentilezza.» Mannion scoccò un'occhiata a Scott, spostando goffamente il peso da una gamba all'altra. «Be', stiamo tutti bene, grazie. Il mio primogenito ha appena dato la maturità e presto partirà per il Boston College... È stato bello vivere qui.» Lei si ficcò le mani in tasca. «Sono contenta che sia andato tutto per il meglio.» L'agente annuì, poi parve ricordarsi di Scott. «Ti spiace avvicinarti?» chiese. Lui esitò e poi lo raggiunse. I suoi movimenti sembravano fiacchi, estenuati: il crollo dell'adrenalina, pensò Caroline. «Ce l'hai, la patente?» chiese Mannion. Il ragazzo non rispose. Lei sentì i nervi tendersi. In tono sommesso, l'agente lo sollecitò: «Figliolo?» Lentamente, Scott tirò fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans. Ci rovistò dentro e ne estrasse un cartoncino quadrato. L'uomo lo esaminò e tornò a posare lo sguardo su Scott. «Sei parecchio lontano da casa», disse infine. «Dove abiti attualmente?» Anche la voce del giovane si era ridotta a un mormorio. «A Eel Pond. Sorveglio la proprietà dei Rubin.» Mannion parve studiarlo. «Allora fa' un favore a me, e a te stesso. Non guidare, quando hai bevuto.» Fece un cenno con il capo in direzione di Caroline. «Certo non con lei. Ma neanche senza di lei. Adesso dammi le chiavi.» Come in trance, Scott gliele porse. L'agente le afferrò e le depose in mano a Caroline. «Te la senti di guidare?» Lei si sentì sommergere da un'ondata di sollievo. «Sto benissimo. Gra-
zie.» «Guida con prudenza», replicò l'agente. «E buona fortuna per la tua carriera.» In silenzio, restituì a Scott la patente e tornò alla sua macchina. Senza dirsi una parola, i due giovani risalirono sulla Volkswagen. Lei provò il cambio finché non si sentì sicura e si avviò, con prudenza. Mannion li seguì fino a che non raggiunsero la svolta per Eel Pond. Videro i fari mentre li superava, poi le luci posteriori rosse e infine più nulla. Sul sedile del passeggero, Scott si passò una mano sugli occhi. Superarono la villa dei Rubin e parcheggiarono in un rondò affacciato sull'oceano. Il parabrezza sembrava pieno di mare nero, di cielo nero. Caroline sentiva ancora il cuore battere forte. Sottovoce, Scott le chiese: «Ma che cosa è successo, laggiù?» «È successo che ti ho salvato il culo», rispose lei, con un'occhiata tagliente. «Come minimo, da una multa per eccesso di velocità.» «No, era qualcosa a proposito di tua madre. Dell'incidente di cui mi hai detto.» Caroline teneva gli occhi fissi sul parabrezza. «Era in macchina.» Il tono era piatto, distaccato. «Quando è accaduto, eravamo qui da sole. Il sergente Mannion mi ha accompagnato a identificare il corpo.» «E aveva bevuto...» «Sì», sbuffò lei. «È successo otto anni fa, va bene? Ne sono uscita.» Si accorse di essere stata più brusca di quanto avrebbe voluto. «No, non va bene», rispose lui. «Né a te, né a me.» La voce di Scott era carica di disprezzo per se stesso. «Preferisci piangerti addosso da solo», gli chiese allora Caroline, «oppure ti senti di farmi un caffè?» Per qualche istante, il ragazzo sembrò studiarla con un'intensità che lei non gli aveva mai visto. «Entra», le disse infine. «Per favore.» 5. Scott afferrò la maniglia e parve esitare. Poi, finalmente, aprì la porta. L'interno era costituito da un'unica, grande stanza, con il parquet e le pareti rivestite di legno. Lungo una parete era sistemata la cucina. Guardandosi attorno, Caroline vide che la casa non raccontava nulla di lui. La teneva pulita e quasi vuota: un divano, un tavolino, un paesaggio ma-
rino alla parete, tutto mobilio preesistente. L'unica cosa che probabilmente gli apparteneva era la vecchia chitarra appoggiata in un angolo. «Suoni la chitarra?» gli chiese. «Un po'», rispose lui, sorridendo. «Ma non posso competere con lo spettacolo di stasera.» «Di quello al bar, o con il poliziotto?» «Decidi tu», rispose Scott, avvicinandosi ai fornelli. Caroline comprese che non le avrebbe fornito spiegazioni e che, forse, non c'era nulla da spiegare. Senza voltarsi, lui s'informò: «Come lo vuoi il caffè?» «Forte e nero. Come per la maturità.» Si diresse alla finestra. Sotto di loro sentiva la risacca; era più o meno la stessa sensazione che si avverte su una nave. Si ricordò di Scott che scrutava il mare, la notte della tempesta. «Dove dormi?» chiese poi. Lui era chino sulla macchina per il caffè. «Sul portico. Ho una zanzariera per tener lontani gli insetti e, di notte, arriva la brezza.» Riempì due tazze. Quando ne porse una a Caroline, sfiorandole il dorso di una mano, la ragazza provò, con sua grande sorpresa, un fremito. La comune tensione dell'incontro con la polizia sembrava aver creato tra loro una sorta di corrente elettrica che prima non esisteva. Lei senti chiaramente la vicinanza del corpo di lui e vi si sottrasse. «Posso vedere il portico?» Il sorriso che lui le indirizzò sembrava in parte divertito, in parte interrogativo. «Direi che non c'è altro da vedere», rispose e aprì una porta accanto alla cucina economica. Lei uscì sul portico buio. Dalla zanzariera filtrava il mormorio incessante del vento e del mare. L'aria era calda, pesante e salmastra. Caroline inspirò profondamente, e Scott accese una lampada. La ragazza si voltò. Dalle tenebre si materializzarono una branda, un comodino con una pila di libri e una poltrona rivolta verso l'oceano. Sotto i libri c'era una penna, con quella che sembrava una lettera lasciata a metà. Lei scoprì, con una certa meraviglia, che i primi due volumi della pila erano Una giornata di Ivan Denisovič e la biografia di Robert Kennedy di Jack Newfield. Si sorprese a chiedersi a chi mai potesse essere indirizzata la lettera. Le indicò la poltrona. «Accomodati... Sono abituato a stare in orizzontale.» Lei lo immaginò sdraiato sul letto e fu allora che le poche cose di Scott
presero a urlare la solitudine del loro proprietario. Il ragazzo si allungò sulla branda, reggendo la tazza fra le mani. «Non ti ho ancora ringraziato, vero?» «Per che cosa?» «Per avermi protetto dal braccio armato della legge. Strano lavoro per un futuro pubblico ministero.» Lei alzò le spalle. «Mi pareva una serata troppo bella per finirla in guardina. Tutto qui.» Le sorrise. «A parte quello, è stata una bella serata. Il mio debutto in società, qui al Vineyard.» Caroline fu sul punto di fargli una domanda ma cambiò idea. «A parte la tua guida», disse allora, in tono ironico, «è stata un successone. E io so perfino dove potresti trovare una ragazza.» Scott, pur sorridendo, la studiava con attenzione. «Non sono interessato.» «Ah, bene.» Seguì un silenzio strano. «Parlando di società», riprese lui, «chi altro c'è da te? Finora ho contato soltanto un tizio ossuto che non esce granché e una donna che passeggia da sola sulla spiaggia. Ma nessuno che abbia l'aria del patriarca.» Quelle definizioni così sbrigative irritarono Caroline eppure le confermarono anche la capacità di quel ragazzo di saper tracciare un quadro assai convincente partendo soltanto da un paio di particolari: la predominanza del padre, la relazione con Jackson. «Il 'tizio ossuto'», rispose, acida, «è il mio simpaticissimo cognato Larry, che lavora al suo dottorato di ricerca. La donna è mia sorella Betty che, se non ti dispiace, ama la natura. Quanto al 'patriarca', come dici, verrà più tardi a ispezionare i suoi possedimenti.» Lui sorrise, senza scoraggiarsi. «E allora, voi tre che cosa fate tutto il giorno?» «Ah, officiamo riti misteriosi e strani: giochiamo a Scarabeo, discutiamo della campagna presidenziale...» Poi, in tono solenne e circospetto, concluse: «A volte Larry e io laviamo i piatti, al buio...» Il sorriso di Scott si attenuò, e nei suoi occhi passò un'ombra di rammarico. «Scusami. Sai, le famiglie mi hanno sempre interessato. Da un po' non vedo la mia.» Quella notazione autobiografica suonava autentica. Per l'ennesima volta, Caroline fu costretta a cambiare idea su di lui: un attimo prima era sarca-
stico e sicuro di sé, subito dopo invece sembrava solo e abbandonato, con una famiglia lontana cui voleva bene. «Com'è la tua famiglia?» gli chiese allora. «Oh, è negli standard americani», rispose lui, tenendo gli occhi fissi sulla tazza. «Un marito e una moglie che continuano a volersi bene. Un fratello non male, che va all'università. E una sorellina di sedici anni, arrivata così tardi che non mi sono ancora riavuto dalla scoperta di quanto sia carina. Dovrebbe esserlo ancora, se non ha mangiato troppe schifezze.» Sotto l'affettuosa naturalezza di quella descrizione, lei percepì una nota di amarezza. «Allora perché non torni a casa?» domandò. «Non è necessario vivere in esilio, per sentirsi perso.» Lui le rivolse un'occhiata strana, che esprimeva la vulnerabilità di chi è sorpreso con la guardia abbassata. Poi il suo sguardo si velò. «Perdersi non è semplice come credi», ribatté. Quella dichiarazione la sconcertò. Scott evitava di guardarla e lei si scoprì a fissare prima la lettera non finita sul comodino, poi il libro su Bob Kennedy. Lo indicò con un cenno del capo. «Hai lavorato per lui?» chiese. «Già. Ho sacrificato qualche settimana d'università per le primarie dell'Indiana.» Sempre con gli occhi fissi sul caffè, soggiunse: «La sua morte è stata la peggior cosa che mi sia capitata, indirettamente voglio dire. A volte mi chiedo quanti altri siano morti a causa della sua scomparsa. O quanti abbiano anche soltanto perduto la speranza». Caroline capì che quelle frasi non attendevano repliche, che Scott aveva parlato a se stesso. Questa consapevolezza l'ammutolì: sebbene l'ultima affermazione potesse essere sbagliata e mancasse di quella che il padre avrebbe definito obiettività, quel ragazzo sentiva che qualcosa d'irrecuperabile era andato perduto. E anche lei, a volte, provava la stessa sensazione. «Ero ancora un po' troppo giovane, allora», spiegò, dopo un lungo silenzio. «Più tardi ho pensato che, forse, i nostri migliori capi sono morti e, senza la loro guida, chi è rimasto sta andando alla deriva.» Lui non rispose subito. Dopo un po', tuttavia, alzò lo sguardo e fece un leggero sorriso, in cui si mescolavano ironia e consenso. «Siamo una bella coppia di malinconici, tu e io, vero? Non aspiriamo a nulla, se non alla vita che ci rimane.» «Alla vela e all'università, per esempio. Se riesci a scoprire in che cosa vuoi specializzarti.» Il ragazzo scrollò le spalle. Forse, pensò lei, era semplicemente contento di essersi sottratto ai discorsi seri. Ma quel momento aveva lasciato tra lo-
ro qualcosa che prima non c'era; per l'ennesima volta, lei registrò il rumore del mare, l'odore salmastro dell'aria e di lui. E il fatto che, sino a quella notte, Scott aveva finto di essere una persona molto diversa da quella che era. Come se avesse avuto sentore dei suoi pensieri, il giovane cambiò nuovamente argomento. «Che cosa studia tuo cognato?» «Letteratura inglese. A Syracuse.» «E Betty?» «Desidera un figlio.» «Gliela paga tuo padre, la retta?» «Che io sappia, no.» «Ops.» Caroline si chiese se fornire ulteriori spiegazioni fosse corretto, nei confronti di Betty. «Mia sorella è simpatica, sai. Ma credo che, in passato, si sia sentita un po' fuori posto. Così, ha sviluppato un senso della famiglia più profondo di altri. Il problema è che sta incominciando a dare i numeri. Le sembra che, da qui alla Mongolia, tutte siano incinte tranne lei.» Scott fece una smorfia divertita, poi un pensiero gli si affacciò alla mente. «Aspetta», disse, entrando in casa. Tornò con la chitarra. «Che cosa succede?» chiese lei. Con un'espressione serissima in volto, Scott sedette sul letto. Subito dopo, gli occhi gli s'illuminarono e cominciò a cantare con un'esagerata intonazione soul: «She's having my ba-by...» Lei rise. «Oh, no...» Ma Scott era inarrestabile. Parodiando un rapimento estatico, chiuse gli occhi. I bei lineamenti erano finemente scolpiti dalla luce pallida. «She 's having my ba-by. What a lovely way to tell the world she loves me...» Caroline scoppiò in una risata fragorosa. Con un'aria di dignità offesa, da artista incompreso, lui la cantò fino all'ultimo verso accorato. «Could have swept it from her life but she wouldn't do it... She's having my baby.» Soltanto quando ebbe terminato, riaprì gli occhi. L'occhiata fulminea di lui la fece sobbalzare. «È la mia canzone preferita», dichiarò Caroline. Scott sorrise e s'inchinò. Lei sedeva, reggendosi il viso fra le mani, e lo guardava. «Sei davvero bravo, sai?» mormorò.
L'altro cercò di scherzarci su. «Bravo quanto basta per un pessimo intrattenimento serale. 'Ed ecco Scott Johnson: tutto per voi, qui allo Holiday Inn.'» L'aveva detto giocosamente, con il sorriso sulle labbra. Ma, quando i loro occhi s'incontrarono, smisero entrambi di sorridere. In quell'istante, Caroline sentì che lui non era soltanto sperduto, triste e dolce; sentì che una forza li attraeva l'uno verso l'altra, una forza che anche Scott avvertiva. Non capiva di che cosa si trattasse. Comprese soltanto che - in un fugace, imperituro attimo - qualcosa in lei era cambiato. Scott posò la chitarra e si alzò, fissandola. Erano a un passo l'uno dall'altra. Avvicinandosi, non vide altro che gli occhi di lui, non sentì altro che il battito del suo cuore. La bocca di Scott era calda. Dove sono stata? si chiese Caroline. Chi sono stata? Lo strinse forte a sé. Lentamente, delicatamente, Scott si staccò da lei, posando la fronte sulla sua. Soltanto allora lei pensò a Jackson. «Gesù», mormorò il ragazzo. Allora, si disse Caroline, anche lui la sentiva, quella strana attrazione. E avvertiva, al contempo, l'impulso a resisterle. In tono calmo, lei spiegò: «È meglio che vada». Raggiunse la porta, a malapena cosciente di muoversi. Scott non fece nulla per trattenerla. Nel vano della porta, Caroline si voltò. Il ragazzo era in piedi accanto al letto e la guardava come si guarda qualcosa che non si può avere. Quasi per consolarlo, disse: «Domani usciamo in barca, okay?» Poi soggiunse: «Se vuoi». Lui la guardò a lungo, senza muovere un passo. «Voglio», disse infine. 6. Uscirono in barca il mattino dopo, e anche i due giorni successivi. Ma nulla era più come prima. C'erano, tra loro, una nuova dolcezza e un'affinità inespressa... sebbene, per Caroline, qualcosa nella personalità di quel ragazzo rimanesse sempre vaga, fuori portata. In certi, curiosi momenti si accorgeva che cercavano di leggersi nel pensiero a vicenda. Ma nessuno dei due attraversava mai il confine che, senza dire una parola, si
erano imposti. Scott non la sfiorava mai. Tuttavia era sempre disposto a passare un po' di tempo in sua compagnia. Salirono sulle colline vicino a Menemsha, andarono a un concerto di Tom Rush; nuotarono nello stagno d'acqua dolce di Long Point, a una trentina di metri soltanto dalle onde dell'Atlantico. A volte giunsero vicinissimi alla naturalezza. Scott apprezzava il piacere del silenzio e lasciava che Caroline inseguisse i propri pensieri. Il suo sarcasmo adesso era meno forte, e rivolto soltanto contro se stesso; trattava la ragazza con rispetto, come se un'eccessiva vicinanza potesse far loro del male. I giorni si susseguivano dolcemente, uno dopo l'altro, finché il tempo non perse la sua importanza. Non accadeva nulla che Jackson dovesse sapere. Forse, avrebbe pensato Caroline in seguito, Scott l'aveva compreso meglio di lei. Ma, quanto a lei, la notte in cui tutto cambiò le parve uguale a tante altre... fin quasi all'ultimo. L'idea di mangiare l'aragosta sulla spiaggia era venuta a Caroline. Lui ne aveva sorriso. «Vuoi dire come Faye Dunaway e Steve McQueen nel Caso Thomas Crown?» Lei scosse il capo. «Ti sei mai chiesto che cosa ci facesse una pentola per l'aragosta nella sua dune buggy? Quello che intendo io è aragosta takeaway, di Homeport.» Scott alzò gli occhi al cielo. «Aragosta take-away! Ma che fine ha fatto l'etica del lavoro del New England?» «Morta e sepolta», rispose lei, decisa. «Vieni.» Si recarono a Edgartown per comprare il pane e una bottiglia di vino ghiacciato. Lei trovò il pane; poi, cercando Scott nell'enoteca, vide che il giovane esaminava gli chardonnay californiani con fare da esperto e in tutta calma, come se una così importante decisione non tollerasse la minima fretta. «Scelta difficile?» chiese, alle sue spalle. L'altro si voltò, sorpreso. «Soltanto se non conosci il vino», rispose e, in apparenza, pescò una bottiglia a caso. «Proviamo questa.» Come per un tacito accordo, guidava sempre Caroline. Raggiunsero Menemsha poco prima delle otto. Il caratteristico villaggio di pescatori era immerso in una grande quiete: i pescherecci erano a riva, la spiaggia praticamente deserta, e il sole stava scivolando sotto la linea lontana che congiungeva l'oceano con un cielo sempre più scuro. Nel porto echeggiava il sommesso brontolio di un moto-
re fuori bordo. L'unico locale ancora aperto era il ristorante di Homeport. Gli avventori entravano e uscivano dall'edificio in legno e, sulla terrazza, alcuni turisti cenavano, guardando il tramonto. Lei condusse Scott allo sportello per il take-away e ordinò due cene a base di aragosta. Pazientemente, lui attese con il vino in una mano e una coperta di lana sotto un braccio. Quando il cibo fu pronto, si spostarono in spiaggia, alla ricerca del posto più adatto. La serata era bella e tiepida e la luna, che lentamente rimpiazzava il sole, cominciava a spargere un tenue riflesso sulle onde. Caroline assaporava ogni minuto, come se quel tempo fosse per lei un lusso. Camminarono sulla spiaggia finché non furono soli e le luci di Menemsha, alle loro spalle, lontanissime. Scott ruppe il silenzio. «L'altro giorno guardavo il tuo catboat. La lancia ha una crepa... Bisognerà che tu la faccia riparare al più presto. E una costa dello scafo mi sembra debole.» Lei sorrise. Pensava spesso che uno dei legami più stretti tra loro era l'interesse - quasi da proprietario - che lui aveva sviluppato per il catboat. «Quando parto, daresti tu un'occhiata alla mia barca?» gli chiese. «Potrei decidere di lasciarla qui.» Lui si fermò a guardare il mare. «Se sarò qui, certo», disse infine. «Ma non credo che rimarrò.» Si voltò a guardarlo, meravigliata della sua stessa tristezza. Forse avvertì la transitorietà delle cose: di giorno in giorno, quell'estate diventava sempre più preziosa, per lei. Scott e Martha's Vineyard le si presentavano uniti alla mente. Non riusciva a immaginare quel luogo senza di lui. Insieme, stesero la coperta. Caroline vi dispose sopra l'aragosta e il pane; lui stappò il vino, riempì due bicchieri e ne passò uno a lei. Sembrava sul punto di proporre un brindisi, poi tornò a fissarla. «C'è qualcosa che non va?» domandò. Caroline finse di essere occupatissima con la coperta. «Mah, non so... Per qualche stupido motivo, avevo pensato di ritrovarti qui, al mio ritorno, l'estate prossima. Neanche avessi il diritto di sistemare a mio piacere ogni angolo del mio mondo.» «Popolandolo, anche?» «Credo di sì.» Lui la guardò negli occhi. «Succede quando le cose vanno per il verso giusto. Ma le cose cambiano sempre. È un po' difficile immaginare te, tuo
marito, i tuoi bambini e io che usciamo in barca insieme.» Sorrise, come per rimuovere ogni asprezza da quella frase. «Tanto per cominciare, ti servirebbe una barca più grande.» Caroline sorrise di rimando. «Quanti figli credi che voglia?» Lui rise. «Non lo so, ma più di quanti ne vorrei io.» Alzò il bicchiere e brindò: «Al controllo demografico». Lei toccò con il suo il bicchiere di Scott e bevve. Era il vino più buono che avesse mai assaggiato. Si sdraiò sulla schiena, reggendosi sui gomiti. «Allora, che farai?» «Non ne ho idea... So soltanto che non posso rimanere qui.» Si mise a fissare l'oceano. «Quando, il mese prossimo, te ne andrai per dare inizio alla tua vita vera, l'isola sembrerà un po' vuota.» Accennò un'alzata di spalle. «Ci sono altri posti... La nostalgia non è il mio forte.» Caroline lo guardò. Scott era immobile, assorto. In quel momento, rendendosi improvvisamente conto che lo capiva per istinto, ebbe la certezza che quel ragazzo mentiva a lei, ma non riusciva a mentire a se stesso. Scott teneva dentro di sé i frammenti del suo passato e quell'estate era destinata a diventare un altro frammento. «Be'», disse allora, «ciò che è stato è stato. Non è andata tanto male, comunque.» Lui le sorrise. «Concordo. Soprattutto se l'aragosta è ancora calda.» Lei tirò fuori i piatti di carta e il burro fuso aromatizzato. Le aragoste erano già a pezzi. Non dovevano far altro che mangiarsele. La serata era immersa in un'atmosfera di pace. L'acqua lambiva i loro piedi; una brezza leggera portava a terra il profumo del mare. Nessuno dei due parlava o sentiva il bisogno di farlo. «Ti ricordi quando, da bambini, si dormiva fuori, in tenda?» chiese lui. Lei sorrise fra sé, pensando che aveva ragione. Era proprio come allora, quando si era lontani da tutto e da tutti, eppure ci si sentiva al sicuro, con la notte che avvolgeva ogni cosa. Capì che Scott non aveva bisogno di una risposta. D'un tratto, i sensi di Caroline si aprirono. Si sentì più vicina a tutto ciò che la circondava. Sentiva la brezza sulla pelle e fra i capelli. Vide la luna riflessa sulle onde; le stelle più vivide e vicine. Sentì che Scott le si sdraiava accanto, abbandonandosi alla notte quanto lei. Il tempo parve fermarsi. Caroline non avrebbe saputo dire quanto fossero rimasti così, immobili.
Sapeva soltanto che la notte si era trasformata e che, senza di lui, non sarebbe stata la stessa. E poi, finalmente, trovò il modo per comunicarglielo. «Hai mai vissuto una giornata perfetta?» Lui rimase immobile. «No», rispose. «Però ho vissuto un'ora perfetta. Questa.» Con grande titubanza, posò una mano sopra quella di lui. Scott la guardò. Lentamente, prese ad accarezzarle i capelli. Nell'interpretare ciò che vide negli occhi di lui, Caroline non poteva sbagliarsi. «Sì», sussurrò, quasi senza accorgersene. Scott pareva incapace di muoversi. E allora, dolcemente e risolutamente, lei lo baciò. Sentì le labbra di lui sul viso, sul collo. Chiudendo gli occhi, lo abbracciò. I sensi s'impossessarono di Caroline. La bocca di lui, calma e lenta. Il corpo asciutto e solido contro il suo. Il modo in cui le mani di lui l'accarezzavano, come l'avessero sempre fatto. Il battito del suo cuore. Scott si staccò da lei e Caroline sentì le sue dita sul primo bottone della camicetta. Aprì gli occhi. Mentre le slacciava il primo bottone, si fissarono negli occhi, in silenzio. Scott non staccò lo sguardo da lei finché la camicetta non finì sulla coperta, accanto a loro. Lei non portava il reggiseno. Dolcemente, prese la testa di lui e la cullò tra i seni. Sentì la bocca di lui sui capezzoli, sullo stomaco. Scott le abbassò la cerniera dei jeans. Inarcò la schiena per aiutarlo a sfilarglieli. Quando fu completamente nuda, si stese di nuovo e, senza coprirsi, lo guardò spogliarsi. Il corpo di lui era snello e muscoloso. Scott s'inginocchiò e chinò la testa su di lei. La sua bocca le accarezzò le cosce, spostandosi verso il centro del suo corpo. Lei chiuse nuovamente gli occhi. Tutto ciò che avvertiva le sembrava nuovo. La lingua di lui. Il corpo, diverso da quello di Jackson, mentre apriva le gambe per accoglierlo. Il desiderio, quando la penetrò. L'impeto con cui si muoveva, insieme con lui, lo strano bisogno che le scaldava il sangue... Perse il controllo.
Al primo fremito del suo corpo, Caroline gridò il nome di lui. Perché non c'era che Scott, ad ascoltarla. Giacque fra le sue braccia, spossata e sconvolta, sentendosi dentro il calore dello sfogo di lui. Nessuno dei due parlava, come se le loro menti fossero impegnate ad assorbire ciò che i corpi avevano già capito. Che significa? si chiedeva Caroline. Significherà poi qualcosa? Oppure tutto? «È stata soltanto un'altra ora perfetta?» si decise a chiedere. In silenzio, lui la strinse a sé. Non riuscirono più a fermarsi. Talvolta bastava che lei lo guardasse. Si dirigevano verso la casa di lui, quasi senza parlare, e si spogliavano a pochi centimetri di distanza. Caroline passava tutte le notti con lui. E ogni volta la smania di Scott per lei aumentava. Caroline era convinta che il suo desiderio di parlarle (di che cosa, però, non avrebbe saputo dire) fosse così disperato da spingerlo a sopportare il silenzio soltanto se facevano l'amore. A volte, la notte, lo sentiva camminare nell'altra stanza, per non svegliarla. La ragazza sentiva, d'istinto, che tra loro c'era qualcosa di sospeso, d'inespresso. Tuttavia, quando cercava di portare alla luce quel qualcosa, lui si limitava a sorridere. «Mi piacerebbe proprio essere interessante come dici», replicava. Caroline non riusciva a decidersi a telefonare a Jackson: sia l'idea di essere sincera sia quella di mentirgli erano troppo dolorose. Senza contare che l'unica verità che lei comprendeva era di avere un amante che sapeva farle provare cose di cui Jackson era incapace. Non che cercasse di sfuggire: la Caroline che desiderava Scott tanto ardentemente non era un'altra persona. Ma il suo solito mondo le sembrava lontanissimo e, in quel mondo nuovo, era sola. Neppure Scott poteva aiutarla... anzi, era forse il meno indicato a farlo. Persino l'universo di Martha's Vineyard appariva diviso: in modo piuttosto deciso, Scott declinava ogni invito a incontrare anche Larry e Betty. Il suo unico interesse era per Caroline. Ma perché lo desidero? si chiedeva lei. E che cosa voglio da lui?
Inoltre, il fatto che Larry e Betty non facessero commenti accresceva il suo isolamento: quel silenzio rivelava che gli andirivieni notturni e il cambiamento di Caroline erano così evidenti da suscitare in loro una certa cautela e una autentica perplessità. Forse soltanto la madre, si disse tristemente, avrebbe potuto comprenderla. Eppure, con Scott, in ogni minuto passato con lui, Caroline era felice. Un mattino si svegliò mentre lui ancora dormiva, con il sorriso di un bel sogno sulle labbra. Lo guardò finché non si destò. «Stavi sorridendo», gli disse. Scott, da sveglio, tornò a sorridere. «Davvero? Probabilmente ti stavo insegnando come si va a vela.» Lei lo baciò sulla fronte. «No», replicò. «Forse ero io che t'insegnavo a guidare.» Entrando nella casa del padre, Caroline sorrideva ancora. Sul tavolo di cucina trovò un biglietto. Era di Betty, lo si capiva dalla grafia serpeggiante. Ha telefonato papà, diceva. Per favore richiamalo, quando puoi. 7. Quando Caroline gli ritelefonò, il padre rispose in tono cauto, neutro. Le chiese della vela, dei progetti per le settimane a venire, delle notizie che aveva di Jackson. Soltanto alla fine la informò che li avrebbe raggiunti prima del previsto... per essere precisi, il giorno seguente. Appena posato il ricevitore, Caroline cercò Betty. Era in veranda a bere il caffè. Levando lo sguardo sulla sorella, ne valutò l'espressione e, infine, disse: «Dunque te l'ha detto, che viene prima». «Che cosa sta succedendo?» chiese la ragazza. Betty emise un sospiro. «Caroline, noi non gli abbiamo detto neppure una parola. Nei giorni scorsi ha chiamato diverse volte, chiedendo di te e, ogni volta, uno di noi ti ha coperto. Ma papà non è stupido.» «Ho ventidue anni.» L'altra annuì. «Ti capisco. Ma devi cercare di vedere le cose dal suo punto di vista. Una figlia da sempre equilibrata e prevedibile, per di più fidanzata, che, d'un tratto, non è mai in casa, praticamente a qualsiasi ora del giorno e della notte. Non credi che ti preoccuperesti, al posto suo?» «È la mia vita, o no?»
Betty aggrottò le sopracciglia. «Perfino Larry e io ci siamo un po' preoccupati. Quel ragazzo non lo conosciamo per niente. Tu stessa, almeno in apparenza, lo conosci poco, a parte il fatto che ci passi le notti. E anche quando stai insieme con noi, in realtà sei lontana, con la mente.» Poi, addolcendo il tono, soggiunse: «Ti costerebbe proprio tanto raccontarmi un po' che cosa succede?» Lei sentì che le sue difese crollavano. Sedette sulla poltrona di vimini accanto a Betty, con lo sguardo fisso sul mare illuminato dal sole del mattino. «Vorrei saperlo anch'io», mormorò. La sorella sorseggiò il caffè. «Be', è attraente.» «Non è soltanto sesso.» Tacque, cercando le parole. «Provo la sensazione di conoscerlo meglio di quanto lui creda.» Betty parve riflettere. «Non hai pensato che forse è semplicemente quello che lui stesso riconosce?» disse infine. «Sì, insomma, un ragazzo alla deriva, senza altri interessi se non la vela. Magari, per ragioni che non ti sono ancora chiare, sei tu a proiettare su di lui i tuoi desideri, proprio perché è... uno schermo vuoto.» Benché il tono di Betty non fosse privo di dolcezza, Caroline si sentì urtata. «Non credo che mi serva una strizzacervelli, Betty.» «Bene», rispose la sorella senza scomporsi. «Dimmi un po': come vanno le cose con Jackson?» L'altra distolse lo sguardo. «Non credo di poterne parlare in questo momento.» Betty la studiò. «E allora permettimi di dirti una cosa, da sorella maggiore: pensaci. E, mentre papà è con noi, raffredda un po' la storia con Scott. Non ha senso turbarlo con qualcosa che tu stessa ancora non capisci bene.» Era un buon consiglio, Caroline lo capiva, e nemmeno Scott trovò qualcosa da obiettare. «Fa' ciò che devi», disse. «Ti capisco, davvero.» «Ma ci rimangono soltanto quattro settimane. E lui starà qui per una settimana.» Il giovane alzò le spalle. «Da ventidue anni, oltre a essere tuo padre è anche, in maniera evidentissima, la presenza più importante nella tua vita.» Le prese una mano. «Non mi aspetto che tu mandi a sfracellarsi contro gli scogli una barca del genere e, per la verità, neppure lo voglio. Certo non per causa mia.» Caroline si chiese perché la comprensione di Scott la facesse sentire tanto svalutata. Forse, rifletté, perché rendeva evidenti i limiti della sua im-
portanza per lui. O, più semplicemente, perché Scott - come Betty - accettava senza drammi l'idea che il suo dovere principale fosse quello di mettere Channing Masters a suo agio. Non seguì il consiglio della sorella. Nei primi giorni, passò la maggior parte del suo tempo con Channing, facendo con lui molte delle cose che era solita fare con Scott: andare in barca, a passeggiare, in bicicletta... Anche a cinquant'anni, Channing Masters era nel pieno del suo vigore, felicissimo di fare attività all'aperto con la figlia minore che, segretamente, era la sua preferita. Quali che fossero i suoi timori, li teneva per sé, come se il tempo che Caroline gli dedicava bastasse a rassicurarlo. Il fatto che, di tanto in tanto, la scoprisse con la testa fra le nuvole non lo turbava. Dal canto suo, infatti, era talvolta distratto dal ricordo di Nicole, e Caroline se ne accorgeva. Quando Channing ammutoliva, con gli occhi fissi sull'oceano, la ragazza riusciva quasi a vedere la ferita che la madre gli aveva inflitto. Quanto a lei, l'artificiosa normalità del suo comportamento pareva averlo persuaso che non fosse accaduto nulla di tanto grave da doverne parlare apertamente. Caroline era disgustata di se stessa, per quella finzione. Tuttavia, e con un'intensità ancora maggiore, le mancava Scott. La terza notte seguente all'arrivo del padre andò da lui. Quando si avvicinò al portico, il ragazzo si svegliò di soprassalto. Balzò a sedere, guardandosi attorno. Poi rimase assolutamente immobile. «Caroline?» chiamò. La voce di Scott era carica di tensione. «Sono io», rispose lei. Nel buio, vide l'ombra del suo corpo che si rilassava. Si avvicinò al letto e posò sul comodino l'astuccio con il diaframma. «Mi sei mancato», sussurrò. Pieno di gratitudine, lui le tese le braccia. Ma non fu come le altre volte. Caroline era abituata a trasferire il ritmo delle giornate anche nelle loro notti. Il loro amore fu invece furtivo, frettoloso, assolutamente distinto dal resto della sua vita. Infantilmente, lei immaginò che il padre li sorprendesse. Per uno strano, raggelante momento vide davanti a sé il volto della madre che si girava a guardarla, supina sotto Paul Nerheim. Scott parve avvertire il disagio della ragazza. Con dolcezza, le disse: «Sembra un po' come ai tempi del liceo, no? Quando si sgattaiolava in sa-
lotto, dopo che tutti erano andati a letto». Caroline, sdraiata al buio, ascoltava i frangenti sotto di loro, mentre la brezza fresca le accarezzava la pelle nuda. «Ti sono mancata un po'?» Lui non rispose subito. «Parecchio, a dire la verità... Insomma, ho capito che devi tranquillizzare tuo padre, però io non riesco a vederla come una tragedia, una specie di Romeo e Giulietta da spiaggia. Soprattutto perché in gioco c'è soltanto il tempo che ti separa dall'università.» Come mai, si chiese Caroline, percepiva una certa asprezza, sotto quell'atteggiamento realistico? E contro chi poteva essere diretta? «Che cosa vuoi che faccia?» «Niente.» La baciò sul collo. «Non preoccuparti per me, Caroline. Non sento il bisogno di conquistarmi un ruolo nel minidramma della tua famiglia. Nemmeno una particina.» Al buio, non riusciva a vederlo in volto. Il mattino dopo, disse al padre che sarebbe andata in barca con un amico. Channing alzò le sopracciglia, con aria garbatamente interrogativa. «Ah», disse. «Chi è?» «Il custode dei vicini. È davvero un buon velista.» «E ce l'ha un nome?» Caroline sorrise. «Sì», rispose, e uscì a cercare Scott. Aprendole la porta, lui non accennò neppure a sorridere. «Come hai spiegato la mia presenza?» chiese. «Non c'era niente da spiegare. Vieni o devo uscire da sola?» Le lanciò un'occhiata piena di titubanza, ma prese il giubbotto dall'attaccapanni accanto alla porta. Con una sorta di affettuosa tristezza le chiese: «Ti dice niente la parola 'cocciuta'?» Perché, si chiese, tanti momenti e perfino certe semplici parole, da qualche tempo a quella parte, evocavano in lei immagini della madre? Vedendo la sua espressione, il sorriso di Scott svanì. «Direi di sì», si rispose lui allora. Nei due giorni successivi, senza dare la minima spiegazione, Caroline passò il suo tempo con Scott. Il ragazzo pareva quasi distante, come se osservasse la loro relazione dall'esterno. «Non hai mai pensato che mi stai usando?» le chiese, mentre stavano bevendo una birra accanto alla barca, dopo una lunga giornata di vela. «Usando per che cosa?» «Per definire il tuo territorio.»
Caroline gli scoccò un'occhiata ferma. Pacatamente, rispose: «Quando ti viene in mente qualcosa di meglio per cui potrei usarti, ti prego di farmelo sapere, Scott». Il loro tempo, pensò Caroline con un'improvvisa fitta di dolore, stava terminando. Quella notte tornò da lui. Lo lasciò prima dell'alba, perdutamente immersa in lui e nel caos dei propri pensieri. Notò che la veranda di casa Masters era fiocamente illuminata. Si bloccò in spiaggia, con lo sguardo fisso sulla villa. Nella penombra, distinse l'ombra del padre, immobile e muto, che l'osservava. Per un attimo, come per un mutuo, silenzioso riconoscimento, nessuno si mosse. Poi lei riprese a camminare sulla sabbia verso le scale che risalivano la scogliera, decisa ad affrontarlo. Aveva il cuore in tumulto. Però, quando arrivò in cima, vide che la luce era stata spenta e che lui se n'era andato. 8. Il mattino seguente, a colazione, il padre taceva. Caroline sorseggiò il suo caffè, cercando di apparire tranquilla. Non aveva dormito. Larry sembrava non accorgersi di nulla, e parlava della sua tesi di dottorato. Ma Caroline vide che Betty spostava continuamente lo sguardo da lei al padre e viceversa. Quando si alzò per aiutare a sparecchiare, Channing levò una mano. «Caroline», disse. «Vorrei dirti una parola, se non ti dispiace.» Improvvisamente allarmato, Larry gli lanciò un'occhiata. Betty allora sfiorò un braccio del marito e gli fece cenno di seguirla in cucina. «Sì?» Channing intrecciò le mani sul tavolo. «Non ho potuto fare a meno di notare che passi moltissimo tempo con quel ragazzo che sta qui accanto, per così dire. Prima di partire, credo che mi piacerebbe conoscerlo», disse in tono pacato. Si guardarono negli occhi. «Perché, papà?» «Perché ricevere i tuoi amici è un atto di cortesia. E perché, stranamente, Larry e Betty affermano di non conoscerlo.» Lo sguardo di lui divenne penetrante. «Il che mi pare un po' incivile, indipendentemente dal fatto di chi
sia la colpa. Non sei d'accordo?» Caroline si sentì messa alle corde; il padre sapeva benissimo, o comunque immaginava, di chi fosse «la colpa», e lei non aveva scuse plausibili per giustificare la vita appartata di Scott. E c'era la questione della notte appena trascorsa, inespressa eppure ben presente fra loro. Alzò le spalle. «Tutto ciò che posso fare, papà, è invitarlo...» «A cena?» Scott inarcò le sopracciglia. «Che cosa abbiamo da dirci, quell'uomo e io? E perché t'importa?» «Perché lui sa come stanno le cose tra noi.» Il ragazzo scrollò il capo. «Ma non sei tu a dovergli rendere conto?» Caroline incrociò le braccia sul petto. «A sentirti, sembrerebbe che ti abbia chiesto di attraversare il Rubicone, invece che di stare a tavola con un uomo di mezz'età.» Accorgendosi del tono che aveva usato, s'interruppe, e riprese con maggiore dolcezza: «A volte capita di fare certe cose per gli altri, tutto qui. Ti prego, non mettermi in imbarazzo». Scott congiunse le mani sotto il mento e rimase a fissare l'oceano, pensieroso. «D'accordo», rispose. «Se è davvero così importante per te.» La prima ora trascorse in una calma ingannevole. A Caroline, Scott sembrava un'altra persona: rispettoso verso il padre, cordiale e gentile con Betty e Larry, sollecito ma non troppo verso di lei, in modo da dare l'impressione di stimarla. Diede una mano a Betty in cucina, parlò con Larry di politica universitaria. Pareva perfettamente a suo agio, come se nella vita non avesse fatto altro che essere invitato a cena da famiglie altolocate. Caroline si accorse che Betty e Larry lo trattavano con calore crescente e ricambiato. Se era infastidito dalle domande di Channing sul suo retroterra sociale - e lei ne era certa che lo fosse - non ne dava segno. Dopo l'aperitivo, sedettero a tavola. «È vero», chiese Scott a Larry, «quel detto a proposito di 'pubblicare o perire'?» «Dipende dalla scuola cui appartieni.» Larry sorrise e soggiunse: «Pensi che ci sia un posticino per me all'Ohio Presbyterian?» Il ragazzo parve rifletterci. «Dovrebbe esserci. Il mio ultimo corso di Letteratura inglese è stato più una seduta spiritica che un seminario. Perfino i morti cercavano di cambiare il piano di studi. E il professore aveva pubblicato in ogni ambito della materia.» Dal suo posto a capotavola, Channing lo sorvegliava. «Si è laureato in
Letteratura inglese?» domandò. Lui fece un cenno di diniego. «In Storia, con una tesi sul XX secolo in Europa. Un argomento non troppo allegro.» Channing non sorrise. «È difficile che la storia lo sia. Oggi o nel futuro. È nella nostra natura, temo.» Lei si rivolse al padre. «È una posizione un po' hobbesiana, no?» Channing parve studiarla. «Non credo nell'infinita perfettibilità dell'uomo, Caroline. Se mai ci ho creduto, ho smesso, in Germania.» Caroline guardò Scott. «Papà ha prestato servizio presso il tribunale di Norimberga. In qualità d'investigatore.» «E questo», Channing spiegò al giovane, fissandolo, «mi ha insegnato a credere nella legge. Ma non negli uomini. La gente, in definitiva, rimane quella che è.» «Però sono gli uomini a fare le leggi», intervenne Caroline. «E a scrivere la storia. Come stiamo cercando di fare noi in Vietnam.» Vide Larry passarsi furtivamente una mano sugli occhi, mandando un gemito quasi impercettibile. «La parolaccia che inizia per V», mormorò. Channing accennò un sorriso e alzò le sopracciglia. «Dicevi, Caroline?» «Che se fossero i vietnamiti a scrivere la storia, e convocassero un loro tribunale, probabilmente Nixon e Kissinger verrebbero condannati come criminali di guerra.» L'uomo si accigliò. «Mi sembra un'analisi un po' superficiale. Quelli del nostro governo non sono crimini di guerra, bensì atti di guerra...» «Hanno bombardato i civili, papà. A migliaia, e per che cosa? Per salvare la faccia in una guerra che non vinceremo mai e che ormai non progettiamo neppure di vincere. Perché gli esseri umani sono soltanto pezzi della loro scacchiera geopolitica.» Channing scosse la testa. «Il comunismo è una forma di tirannia che ha ucciso almeno lo stesso numero di persone uccise dai nazisti. Ai quali tu paragoni allegramente Nixon e Kissinger.» In tono più pacato, soggiunse: «Perdonami, Caroline... Hai tutto il diritto alle tue opinioni, però non credo che i tuoi nonni materni, che morirono ad Auschwitz, concorderebbero con quel paragone. E nemmeno tua madre». Lei si sentì avvampare. Nonostante la vergogna, si ricordò che Nicole la pensava sostanzialmente come lei, e suo padre lo sapeva. Ma, in quel momento, esplicitare una cosa del genere era superiore alle sue forze. Nel silenzio che seguì, vide che Scott la fissava con grande sorpresa, seguita dalla compassione. Channing si rivolse a lui. «Mi dica, ha una sua
opinione sull'argomento? Forse sono stato troppo aspro.» Lei osservò Scott che congiungeva le mani e guardava l'uomo, come per prendere una decisione. «Non saprei», disse infine. «Ma, d'altra parte, io non sono appena stato sbaragliato con l'asso nella manica di sei milioni di ebrei morti. Due dei quali erano i miei nonni.» L'uomo lo fissò. A Caroline, tutti gli altri sembravano figurine di un quadro: Betty a occhi bassi, Larry pallido e immobile. «Lei crede che i vietnamiti siano... i nostri ebrei?» Channing chiese in tono tranquillo. Il lieve sorriso di Scott non mutò l'espressione dei suoi occhi. «Voglio dire», rispose con uguale calma, «che se un identico plotone di americani avesse marciato su un villaggio tedesco, ammazzando e violentando finché non fosse rimasto in vita praticamente nessuno, non ci sarebbero dischi con l'Inno di battaglia del tenente Calley. Lo avrebbero impiccato...» «E legittimamente, certo. Ma il suo accenno a My Lai ci pone di fronte a un problema più grande... Perché i giovani, diciamo così, 'più sensibili' hanno rivendicato il diritto di scegliersi le loro guerre. Di fatto, si sono dimostrati sensibili al punto di lasciare questa guerra a ragazzi socialmente tanto svantaggiati da considerare il Vietnam un'opportunità di carriera. Ma anche, per dirla con lei, ai criminali di guerra. Che l'assenza di compagni moralmente superiori, al sicuro con i loro rinvii, ha privato di altrettanti buoni esempi.» Per un attimo, nella stanza regnò il silenzio. «Già», rispose Scott. «Sono stato fortunato a non dover morire per giustificare le mie opinioni. Il che mi lascia qui, tra i vivi, libero di discuterne. A differenza del mio migliore amico, morto laggiù inutilmente.» Il volto di Channing si fece di pietra. Poi, come tornando in sé, apparve d'un tratto imbarazzato. «La prego di scusarmi, Scott. Sono così abituato a dibattere e argomentare nella mia professione da scordare i doveri di un ospite.» Il giovane lo studiò a lungo. «Non c'è bisogno di scusarsi... Mio padre e io discutevamo sempre così. Quando ancora ci rivolgevamo la parola.» Nella risata nervosa che seguì, Caroline vide che suo padre sorrideva a stento. «Perché non mi hai mai detto di tua madre?» le chiese Scott, un'ora più tardi. Caroline evitò di guardarlo in faccia. «Non è quel genere di cose di cui si
chiacchiera così, per caso.» Erano sulla terrazza della sua casetta, appoggiati alla balaustra, a guardare il tramonto sul Nantucket Sound. Lui ribatté: «Ma è una cosa importante, non credi?» Lei chinò il capo. Sottovoce, chiese di rimando: «Perché, io so tutto quello che c'è d'importante da sapere, di te?» L'altro non rispose. Anche Caroline rimase in silenzio per un po', poi soggiunse: «In ogni caso, sono molto dispiaciuta di aver dato l'avvio a quella discussione sul Vietnam». Scott socchiuse gli occhi. «Non era sul Vietnam, Caroline. Era su di te. E su di me. Credi davvero che tuo padre non sappia sempre esattamente quello che fa? E che cosa vuole ottenere?» Lei gli sfiorò una mano. «È stato un buon padre, Scott. Dal suo punto di vista, desidera soltanto ciò che è meglio per me.» Lui strinse la mano di lei e, a bassa voce, commentò: «Ho sempre pensato che la miglior prova per un buon genitore fosse la capacità di far diventare adulti i propri figli». Caroline s'irrigidì, e ritirò la mano. «Stai dicendo che non sono un'adulta?» Scott le rivolse uno sguardo fermo e grave. «Sto dicendo che potrebbe costringerti a scegliere. Ma la scelta non sarebbe quella che crede tuo padre, cioè tra lui e la robaccia che io o chissà chi altri potremmo simboleggiare. La scelta sarebbe tra lui e te.» Trovò il padre in veranda, a bere un brandy. Nella luce del tramonto, i suoi occhi parevano infossati e cupi. Caroline non sedette. «È stato imperdonabile», disse senza preamboli. Lui abbassò lo sguardo. «Temo di sì. Specialmente quando ho insistito perché venisse.» Sembrava sinceramente addolorato. «Perché l'hai fatto?» gli chiese lei. «Perché credo nell'importanza delle idee. E nel rigore del pensiero. Ma forse c'è di più, Caroline. Mi sono accorto che, da quando sono qui, penso a Nicole. Ricordo ciò che ha passato durante la guerra e ciò che credo di aver significato per lei, a causa di quegli eventi: io potevo in qualche modo porla in salvo, mentre il suo popolo non poteva più far nulla per lei. E poi ripenso a Paul Nerheim... Mio malgrado, rivivo la collera per il suo tradimento. Una collera che ho inflitto a tutti voi prima, durante la cena, senza volere. Mi pareva che voi due disprezzaste il mio sentimento. E di questo,
ovviamente, provo vergogna.» Fu doloroso per Caroline ascoltare quelle spiegazioni e apprendere quanto poco quegli anni di muto riserbo gli avessero giovato. Sentì sgonfiarsi la rabbia, che poi divenne la tristezza dei suoi ricordi. Si disse che non avrebbe potuto aggiungere altro. Si avvicinò al padre e gli diede un bacio sulla fronte. «Buonanotte, papà.» Gli voltò le spalle e si avviò. «Vuoi sapere che cosa ne penso?» chiese lui con dolcezza. «Di Scott, intendo.» Caroline tornò a fissarlo. Dopo un attimo di riflessione, rispose: «Va bene». Il padre posò il brandy, come per raccogliere le sue impressioni. «C'è qualcosa che non va, in lui.» Il tono era sempre sommesso, quasi riluttante. «Una persona vera è integrata... È, semplicemente, la somma di chi è e di che cosa ha fatto. Non ha bisogno di pensarci.» Levò lo sguardo su di lei. «Non hai notato come pensa, quel ragazzo? Non mi riferisco alle sue idee... La passione che ci mette è sostanzialmente autentica. Ma come pensa a chi è, o a chi fa finta di essere.» «Che cosa stai cercando di dirmi, papà?» «Non lo so ancora con esattezza. Ma ho la stessa sensazione che proverai anche tu tra una decina d'anni, dopo aver controinterrogato magari un centinaio di testimoni. Li guardi negli occhi e... capisci che ci stanno pensando un po' troppo. Proprio come quel ragazzo, che ha passato la prima ora qui a fingere di essere più stupido di quello che è in realtà.» Tacque per un istante, poi mormorò: «Non so come vadano le cose tra Jackson e te, e non sono sicuro di volerlo sapere. Ma Jackson è una persona vera. E perbene». «È sempre d'accordo con te», ribatté lei, alzando la voce. «Non è forse questo che ti dà fastidio di Scott? Il fatto che ti abbia tenuto testa?» «Come puoi pensare una cosa del genere? Stiamo parlando del suo carattere, non delle idee.» Lo sguardo del padre divenne più distante. «Non voglio essere invadente, Caroline. Mi piace pensare di non esserlo stato... Non più di qualsiasi altro genitore solo, sostanzialmente animato da buone intenzioni. Ma un carattere guasto è una sciagura, e non c'è modo di guarirlo. L'unica cosa da fare è cercare di evitare l'infezione.» D'un tratto, la giovane intuì che anche quella conversazione non riguardava semplicemente Scott Johnson, ma si estendeva alla madre.
«Non c'è alcuna infezione», esplose, «tranne che nella tua mente.» Prima che l'altro potesse replicare, lasciò la veranda. 9. Tuttavia quello scontro con il padre determinò una sorta d'incrinatura tra Scott e Caroline. Con lui continuava a provare gioia e passione, ma anche il tormento del dubbio; l'istinto le diceva che, per qualche ragione insondabile, Channing Masters aveva visto giusto. Sola nella sua camera, Caroline metteva insieme le varie discrepanze: l'atteggiamento svagato di Scott e la sua cautela, la sua supposta semplicità e l'evidente mondanità, la studiata introversione e la facilità di rapporto con le poche persone che avevano incontrato, il cinismo irresoluto del personaggio che si era scelto e l'acutezza della sua intelligenza. Il loro tempo stava per scadere, e lei correva il rischio di non arrivare a conoscere quel ragazzo. Una parte di lei sentiva che poteva essere pericoloso forare il sottile strato protettivo di Scott: se c'erano cose che non desiderava condividere con lei, una ragione doveva pur esserci. Ma i giorni passavano, e tutto ciò che Caroline capiva era di voler trascorrere con lui ogni minuto. Infine, però, la percezione di un mistero che non avrebbero mai potuto affrontare la divorò a tal punto che giunse a temere il silenzio di Scott ancora di più del motivo che lo generava. «Ci sono cose che mi hai taciuto», lo affrontò. «Cose che ti riguardano. Voglio sapere perché.» Sedevano in terrazza, dopo una giornata trascorsa in mare, a godersi il vino, il formaggio e il tramonto che tingeva di arancione le nuvole sottili. Caroline aveva rotto un silenzio piacevole. La sua domanda tagliente, improvvisa e tanto lontana dall'atmosfera di quella giornata stupì perfino lei. Scott invece non parve sorprendersene. Lanciandole un'occhiata cupa e guardinga, le chiese: «Da dove arriva questa domanda, Caroline? Da tuo padre?» «Piantala di rimbeccarmi, va bene? Stai recitando una parte, non sei davvero così. E io dovrei mettere a tacere tutti i miei pensieri e i miei sentimenti in proposito?» Si alzò, in preda a una profonda rabbia. «Passo con te ogni minuto, come se fosse questione di vita o di morte, e tutto quello che ho fatto davvero, con te, è scopare per un'estate. Perché non riesco mai ad afferrarti.»
Lui posò il bicchiere e la guardò. «Sei tu che te ne vai, Caroline. Io non mi aspetto che tu lasci Giurisprudenza. Per cui non aspettarti che mi tagli le vene.» Sotto il gelo di quelle parole, si percepiva una forte emozione. Lei gli posò le mani sulle spalle, fissandolo negli occhi. «Ogni volta che cerco di far programmi per il mio futuro, sento che mi hai rivoltata come un guanto. Ti prego, dimmi, quest'estate non significa nulla per te?» Lo vide vacillare di fronte all'intensità del suo sentimento. Di colpo, Caroline si sentì nuda ed esposta, senza difese, divisa tra Scott e i suoi stessi sentimenti. «Guardami», le chiese sottovoce. Lentamente lei obbedì, con il volto rigato di lacrime. Vedendole, Scott chiuse a sua volta gli occhi e deglutì. Poi riaprì gli occhi e, mentre seguiva con le dita il percorso delle lacrime, la guardò con una tenerezza così scoperta da risultare dolorosa. «Perché fai così?» le domandò. «Non hai ancora capito quanto ti amo?» Ne fu sbalordita. Scosse il capo in segno di diniego. L'altro parve crollare. «Perché credi che sia rimasto, Caroline? Avrei dovuto partire diverse settimane fa.» Lei gli strinse le spalle. «Ma perché?» Scuotendo la testa, lui la prese fra le braccia, stringendola con un desiderio disperato. «Vieni a fare l'amore con me», mormorò lui con voce roca. «Ti prego.» Caroline sentì che tremava. Raggiunsero il letto come bambini attratti dal fuoco. Presero ad armeggiare disperatamente, strappandosi gli abiti di dosso, mentre con le mani e la bocca esploravano il corpo l'uno dell'altra, come due amanti che s'incontravano dopo settimane di separazione. Non erano mai stati così appassionati. I loro corpi, dal momento in cui la penetrò, presero a muoversi con una frenesia così assoluta che Caroline ebbe l'impressione di perdere i sensi. Gridarono insieme. Infine rimasero sdraiati a lungo, al buio. Stupefatta, indifesa, Caroline finse di dormire. Si sentiva dilaniata. Accanto a lei, Scott si rigirava senza pace e infine si alzò. Lei non parlò. Rimase al buio, sola. Lui non tornava. Allora, nuda, uscì dal letto. L'aria era fresca. Rabbrividì, sentì i capezzoli inturgidirsi. Pescando tra i
vestiti sul pavimento, trovò la maglietta di Scott e l'indossò. Era sulla terrazza, con indosso soltanto i jeans. Guardava l'oceano. Gli si accostò. Da come rimaneva immobile, capì che l'aveva sentita. «Di che si tratta?» Scott si voltò. Alla luce della luna, Caroline vide in lui un'ultima esitazione. «Il mio vero nome è David Stern.» Lei ebbe l'impressione che parlasse di qualcuno che aveva perduto. Gli prese le mani tra le sue. Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle dita intrecciate. «La cosa strana è che ho scelto 'Johnson' per scherzo, per via di Lyndon. Ma 'Scott' viene da Fitzgerald, un autore che ho sempre amato. Vedi, credo che tu e io non saremo mai d'accordo su tutto.» Lei lo fissava. «Ma perché fingere così?» «Non l'hai capito?» rispose lui con amarezza. «Me lo sono dato da solo il congedo... Sono un disertore.» La rivelazione ammutolì Caroline, che si sentì scossa e sollevata al contempo. Si limitò a guardarlo, in attesa. «Vengo dalla California, non dall'Ohio», riprese David, dopo un po'. «Sono andato a Berkeley e stavo per iscrivermi a Giurisprudenza a Stanford.» Il suo sguardo si perse sulla terrazza. «Mi opponevo alla guerra con tutte le forze. Mio padre strillava con me sulla seconda guerra mondiale, mia madre mi supplicava di partire per il Canada; l'avvocato mi disse di diventare obiettore di coscienza... Ma nulla andò per il verso giusto. Odiavo la guerra e non volevo morirci. Però il Canada non era la mia patria. E avrei dovuto scontrarmi con mio padre. Per due anni cercai di farmi riformare. Tutti i miei appelli furono respinti. L'unica scelta di principio, mi dissi, era di andare in galera.» S'interruppe, poi la guardò dritta negli occhi e riprese: «Tuo padre mi ha inquadrato bene. All'ultimo minuto, non ce l'ho fatta. Il giorno prima di presentarmi, sono scappato». Il tono con cui parlava di sé era pieno di disprezzo. Come per fargli coraggio, lei gli strinse le mani. «All'insaputa di mio padre, mamma mi regalò un po' di soldi», riprese lui. «E, un bel mattino, me la filai con la chitarra, una valigia di roba e un biglietto aereo per Miami, a nome Scott Johnson. Scelsi Miami perché non c'ero mai stato.» Scosse il capo. «Tutto ciò che avevo erano duemila dollari e una patente di guida a nome David Stern. Presi una camera, in un albergaccio dove a nessuno interessava sapere chi fossi, e mi misi in contatto con un gruppo di renitenti alla leva. Alcuni di loro avevano un'attività collaterale: trasformavano certificati di
nascita di persone defunte in nuove identità. Diedi loro un po' di soldi e mi chiusi in albergo, a lavorare sulla storia della mia vita ad interim.» Abbassò nuovamente la voce. «A mano a mano che passavano i giorni, mi rendevo conto di ciò che avevo fatto... Non ero più nessuno. Non avevo amici. Non potevo dire la verità a nessuno. Non potevo telefonare ai miei e neppure scrivere: l'FBI avrebbe potuto mettere sotto controllo il telefono o leggere la loro posta... era già successo a un mio amico, che era effettivamente finito in prigione. Inoltre non ero affatto sicuro che mio padre non facesse qualche idiozia, tipo venire a cercarmi, oppure che i miei fratelli si lasciassero sfuggire qualcosa.» Caroline non staccava gli occhi dal suo viso. «Allora sono veri, loro. La tua famiglia.» «Ah, sì. Sono veri.» Le rivolse un'occhiata tagliente. «La lettera che guardavi tanto, la prima volta che sei venuta da me, era diretta a mia zia, a Denver. Brucia le buste e legge le lettere a mia madre, al telefono. Non posso mai dire dove sono.» Lei cercò d'immaginare se stessa così, alla deriva, separata dalla sua famiglia. Ma David si era smarrito nei ricordi. «Prima che potessi mettere le mani sulla mia nuova identità, l'FBI arrestò le persone che ci stavano lavorando. Mi levai di torno prima che riuscissero a trovarmi. Non potevo affittare un'auto, perché il mio nome sarebbe finito in un computer. Allora mi recai in autobus a Boston, l'unico luogo in cui, mi dicevo, il numero di studenti era tale che uno in più non si sarebbe notato. Ma bisognava mentire a troppa gente, e troppa gente chiedeva i documenti: per un impiego, per comprare una macchina, perfino per bere. A quel punto mi erano rimasti pochi soldi e avevo paura a ricomprarmi una nuova identità. Compresi che essere David Stern era stato un lusso immenso. E decisi di venire qui: alla fine del mondo o, quantomeno, degli Stati Uniti. Gli abitanti di questa zona sono abituati alla gente di passaggio. E ti lasciano in pace.» Tacque per qualche istante, poi riprese: «Arraffai questa specie di lavoro, comprai una macchina senza libretto e sperai che nessuno mi trovasse finché non avessi deciso che cosa fare». «Quindi, la sera che siamo andati in città...» lo interruppe lei. «Mi feci convincere a uscire, rischiando che tu vedessi la mia patente. Come potevo sapere se ne avresti parlato, e con chi?» Scosse il capo. «Ma quello non fu niente, al confronto di quanto fui stupido in seguito, quando mi lasciai andare a quel modo. Sarebbe bastato che il tuo amico poliziotto
controllasse la mia identità al computer, che mi chiedesse il libretto di circolazione o, semplicemente, che diventasse curioso. Se non fosse stato per te, avrei potuto finire nella locale gattabuia, in attesa che qualcuno dell'FBI di Boston venisse a dare un'occhiata. Fu allora che compresi di dover partire.» Nel silenzio che seguì, Caroline gli sfiorò il viso. «Per dove?» «Per il Canada», rispose lui in tono sommesso e triste. «Avevo deciso di partire diverse settimane fa. Ma ogni volta m'inventavo qualche scusa. Poi ho capito che me ne sarei andato soltanto dopo di te.» Come per assorbire meglio quanto le stava dicendo, Caroline si staccò da lui, continuando però a stringergli le dita. «E tutte le cose che mi hai raccontato...» «Erano bugie, per la maggior parte. Tranne Bobby Kennedy. Soltanto che eravamo in California, non nell'Indiana. La sera in cui gli spararono ero con lui.» La voce gli s'incrinò. «Avremmo vinto, Caroline. Eravamo a tanto così da...» Non terminò la frase. Nel silenzio che li avvolse, la mano di lui si strinse a pugno in quella di Caroline. Fu un gesto piccolissimo, ma, nel compierlo, Scott consegnò il suo mondo a Caroline: la profondità di quella perdita, la paura in cui era costretto a vivere... E anche la responsabilità, che lei avvertì improvvisamente, di proteggerlo da chiunque potesse denunciarlo, per sbadataggine o per cattiveria. «Non c'è un modo per sistemare le cose?» gli domandò. Lui sorrise con un misto di condiscendenza e di gentilezza. Comprendeva bene come lei, disorientata da quella confessione, non riuscisse a spingersi oltre il desiderio che le circostanze fossero diverse. «A parte la galera, intendi? Non è un governo incline al perdono, questo. E neppure i tempi lo sono: troppi ragazzi molto più giovani di me sono andati a morire perché la gente s'intenerisca di fronte a un renitente alla leva. Temo che quello di compatirmi sia ormai soltanto compito mio. E, una volta uscito di prigione, che cosa potrei fare? Esercitare la professione legale da queste parti è un'eventualità da escludere. Non credo neppure che mi lascerebbero votare. Ho preso una decisione sbagliata, ecco tutto. E non faccio che pensarci e ripensarci, ogni notte... Sono stanco di questa vita, e disgustato di me stesso. Almeno in Canada ci sono altre facoltà di Giurisprudenza, e potrò tornare a essere David Stern. Può anche darsi che, nel
giro di qualche anno, riesca perfino a capire chi sono diventato.» Caroline capì la sua solitudine, la sua paura degli altri, la consapevolezza di essersi guastato - in un unico momento di paura e indecisione - in un modo che lo avrebbe segnato per sempre. Proprio allora David, sempre sommessamente, concluse: «Non ho molto da offrirti, vero?» Lei sedette su una sdraio. «Voglio una vita», riprese lui. «Voglio una vita da vivere con te. Ma non potrò mai averla, qui.» Caroline sentì un nodo allo stomaco. «Mi stai chiedendo di seguirti.» «Sì.» Si sentì come trasportata nell'esistenza di un'altra persona. Non aveva mai provato un simile smarrimento. David le accarezzò i capelli. «Se me ne andassi adesso, senza conoscere la tua risposta... Ecco, questa sarebbe l'unica cosa con cui non riuscirei mai a convivere.» «È soltanto che ci sono troppe...» Lui ritrasse la mano. «Capisco. Tu hai tuo padre. Hai questa vita...» «Ho la vita che avevi anche tu», rispose lei, quasi gridando. «Non è giusto addossare tutto quanto a mio padre. Fino a due anni fa, la vita che conduco io era anche la tua. È adesso scopro che la maggior parte di ciò che mi hai detto sono bugie, che come americano non hai più futuro e che, forse, anch'io potrei rinunciare al mio e andare a vivere in un posto dove non sono mai stata, e di cui non mi è mai importato niente. E, sì, lo ammetto, lasciando la mia famiglia.» David distolse lo sguardo. «È per questo che ho cercato di non innamorarmi di te. Perché amarti non è corretto... Di certo non lo è verso di te...» «Lasciami in pace, okay? Lasciami sola.» Lui si voltò un istante a guardarla, poi si alzò e si allontanò in silenzio. Erano troppe, le cose da assimilare. Per un po', Caroline riuscì soltanto a vedere i luoghi che erano parte di lei e che, così aveva creduto, sarebbero sempre stati presenti nella sua vita: Masters Hill, Resolve, Harvard, Boston, il lago Heron. Poi ripassò mentalmente i volti delle sue amiche dell'università, di Jackson, di Betty e Larry, di Channing Masters, il genitore che l'aveva accompagnata e guidata. Eppure in nessuno di quei luoghi, con nessuna di quelle persone, lei si era mai sentita come con David Stern. David.
Era una persona vera. Sotto la superficie del male che aveva fatto a se stesso, era la persona che lei aveva sentito. Per un bizzarro, quasi vorticoso istante, si sentì euforica. Era possibile. Loro due avevano una possibilità. Perché Caroline Masters era innamorata di David Stern. Felice e triste, piena d'amore, terrorizzata dalla confusione in cui si trovava, lo raggiunse. Era sdraiato sul letto, con gli occhi fissi sul soffitto. Gli disse: «Devi essere David con me, okay? Tanto per cominciare». Lui la guardò, con gli occhi pieni di speranza e di dubbio. «Io ti capisco, sai, davvero», rispose. «Se non riesci a venir via è per una buona ragione.» Nella luce della luna, Caroline era in piedi in fondo al letto e lo guardava. Lentamente, si sfilò la maglietta. Rimase davanti a lui, senza provare la minima vergogna. Quando David, in silenzio, levò su di lei uno sguardo carico di desiderio, lei avrebbe voluto riuscire a fermare il tempo. «Ti amo, David.» Lui le tese le braccia. Caroline gli si avvicinò e David Stern, dolcemente e lentamente, si uni a lei. Dopo l'amore rimasero sdraiati al buio, l'uno accanto all'altra, senza parlare. Dopo qualche minuto, sempre in silenzio, lui prese ad accarezzarle la schiena. Forse la voleva ancora, Caroline pensò. Gli sfiorò il volto. «Dimmi di tua madre», le chiese sottovoce. «Voglio sapere tutto.» 10. Era una follia. Se ne stavano sdraiati a guardarsi, i corpi stremati e madidi dopo l'amore. Caroline non riusciva a immaginare una vita senza di lui. Ma la sua esistenza fin lì era stata perfetta, una costante successione di passi in avanti, lungo l'unico sentiero che avesse mai immaginato per sé. La Caroline Masters che conosceva non aveva vissuto sottovuoto fino a quel momento: era un'americana del New England; la figlia di suo padre; un'allieva di Radcliffe con una carriera ad attenderla; ed era anche la fidanzata di Jackson. Senza questi attributi non c'era Caroline Masters, ma soltanto una creatura appassionata, definita unicamente dall'amore per un
uomo che conosceva appena, il cui vero nome risuonava ancora estraneo sulle sue labbra. Un uomo che, a sua volta, non riusciva a immaginare la vita di Caroline con lui. Era una follia. Aveva perso il sonno e l'appetito e, sebbene non mangiasse, soffriva di nausee. Aveva le occhiaie. Eppure, ogni sera, tornava da David. Non riusciva a decidere, e nessuno era in grado di aiutarla. Sentì la mancanza della madre ancor più profondamente che nei mesi immediatamente successivi alla sua morte. A volte telefonava suo padre, oppure Jackson. Quando era in casa e rispondeva alle chiamate, Caroline si ascoltava parlare, estranea a se stessa. A malapena riusciva a registrare le loro reazioni. L'unica persona con cui poteva parlare sinceramente era David. In piena notte, lui ascoltava i suoi dubbi e le sue paure. «Caroline», le disse una volta, «se avessi saputo in quale inferno ti avrei cacciato, non ti avrei mai chiesto di venire con me. Me ne sarei andato e basta.» Il suo tono, nel dir così, era stato così triste che lei, lasciandolo, temette di non rivederlo più. Quando, il mattino dopo, guardò dalla finestra e riconobbe la sua testa ricciuta in un angolo della terrazza, gli occhi le si riempirono di lacrime. Non rimaneva che una settimana, e lei si sarebbe avviata alla facoltà di Giurisprudenza come un automa, senz'anima e senza volontà propria. Quel mattino, Caroline aveva mandato a monte, con una scusa debolissima, la visita delle sue amiche del college. Poi si era recata in spiaggia, con l'intenzione di fare una passeggiata. Si sentiva prigioniera nella sua pelle. Sedette sulla sabbia, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Facendo scorrere lo sguardo sulla battigia, vide in lontananza la sagoma della sorella, che raccoglieva conchiglie. L'istinto le consigliò di alzarsi e di andarsene. Ma era esausta a tal punto che non le importava più di mostrarsi com'era. Così, mentre Betty si avvicinava, riuscì soltanto a smettere di piangere. In silenzio, la sorella le sedette accanto. Per un po', Betty giocherellò con la sabbia, facendosela scorrere fra le dita e guardando i granelli che cadevano. L'aria umida e fredda accarezza-
va i loro volti. «Per favore, Caroline, parlami.» «Non c'è nulla da dire. Davvero.» Betty rimase zitta per qualche tempo. «Allora, ho io qualcosa da dirti», dichiarò infine. «Credo di essere incinta.» L'altra si voltò. «Come ti senti?» «Bene, finora», rispose la sorella, con un sorriso. «Sai, sono parecchio in ritardo...» Costringendosi a sorridere a sua volta, le diede un colpetto sulla spalla. «Spero che sia vero. Così potrò diventare 'zia Caroline'.» «Ti piacerebbe?» Quel pensiero parve riempire Betty di una gioia improvvisa, poi il sorriso si spense. Posò una mano su un braccio di Caroline. «So che non siamo mai state davvero sorelle. Ma vorrei che riuscissi ad aprirti con me.» L'altra si sentiva troppo affranta per parlare. Gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime. «Ti prego», Betty la implorò. «Non puoi andare avanti così.» Per un lungo intervallo, lei rimase a fissare la sabbia. L'infelicità e la spossatezza la spinsero a dire: «Scott non è il suo vero nome». Quelle parole, che le bruciavano in gola, avevano il sapore del tradimento. La sorella la guardò. «È nei guai?» chiese. Caroline l'afferrò per le spalle. «Non posso parlare. Non possiamo parlarne con nessuno.» «Ma di che cosa...? Larry e io siamo preoccupatissimi per te, ci stiamo male. E anche papà.» «Loro non devono sapere», mormorò Caroline. «Soltanto tu.» Dopo un attimo di riflessione, Betty annuì. «Lo cercano... Non si è presentato al reclutamento.» Tacque, per guardare negli occhi la sorella. «Mi ha chiesto di partire con lui. Per il Canada.» Betty impallidì. «Dio mio, Caroline.» Il turbamento dissimulato nella sua voce parve colpire anche Caroline. Forse Betty l'avrebbe capita, pensò. «Lo so», ammise. «Mi cambierebbe completamente la vita...» «E allora come puoi soltanto pensarci?» «Perché non ho mai amato nessuno così. Non sapevo neppure di esserne capace.» Sentiva un nodo alla gola. «Lo sai che cosa si prova?» Betty accennò un sorriso. «La sensazione di non essergli mai abbastanza vicina, che lui non ti penetri mai abbastanza profondamente? Che daresti
l'anima per lui?» La sua voce era roca e triste. «L'universo di una nuova relazione è governato dalla follia. E parte dell'inganno consiste proprio nel fatto che pensi di essere l'unica cui succede...» «Io non lo penso», ribatté seccamente Caroline. «Soltanto che a me è capitato.» «Proprio come è capitato a me... con Larry. Ma lui non mi ha mai chiesto di gettare alle ortiche la mia famiglia e tutto ciò che avevo. E, passata qualche settimana o qualche mese, io non l'avrei fatto. Perché ero in grado d'inserire Larry nel contesto della vita che desideravo, scoprendo così che anche lui faceva parte di un tutto e che, fortunatamente per me, ci entrava alla perfezione.» L'afferrò per le spalle. «Hai pianificato una vita intera, Caroline, e Scott - o quello che è - non ci rientra. E la persona che vedo adesso davanti a me non sei tu.» «Ma è la mia vita», sbottò l'altra, «o soltanto la vita che mi ha assegnato nostro padre?» Betty parve sbalordita. «E il Canada è la tua vita?» replicò. Poi, abbassando la voce, soggiunse: «Lo so che ti sembra l'amore assoluto, perfetto. Ma non è così: se lo fosse non ti chiederebbe di cambiarla. Perché non è così che funziona l'amore...» «Hai tante regole per tutto... Come funziona l'amore, come funzionano le famiglie... David non mi sta affatto spingendo...» «David?» Caroline esitò. «Sì.» In qualche modo, quella confessione parve smontare Betty, che riprese a dire, con voce ancor più sommessa: «Mi dispiace tanto, Caroline. Non avrei mai pensato che una cosa del genere potesse capitare a te». L'altra percepì la tristezza della sorella. «Che cosa intendi?» Betty abbassò gli occhi. «Che mi sei sempre apparsa così forte e intelligente... Ho sempre pensato che non avresti mai avuto bisogno di qualcuno nel modo in cui io avevo bisogno di Larry.» Chinò la testa di lato e aggiunse: «Ero qui, pronta a darti una mano, e adesso sono turbata e scossa. Penso più a nostro padre che a me. Io non posso prendere il tuo posto, con lui. Nessuno può rimpiazzarti, Caroline». Era un'ammissione difficile, e Caroline lo sapeva. In silenzio, strinse una mano della sorella. «Dalla morte di tua madre», Betty spiegò, «è sempre stato tanto solo. A volte penso che la speranza di esercitare la professione con te sia la più grande aspettativa della sua vita.»
Caroline sentì che David aveva come offuscato, in lei, quella verità dolorosa. «Lo so», rispose. «Ma questo significa che devo per forza farlo?» Betty tornò a fissarla. «Non soltanto per papà, Caroline. Anche per te. Non ti ci ha mandato lui, a Harvard. Sei tu che l'hai scelto.» In tono più duro, concluse: «Tu dici che non puoi lasciarti determinare da tuo padre. E come puoi lasciarti determinare dalla decisione di un uomo che, due mesi fa, non conoscevi neppure? E, per di più, da una decisione tanto negativa?» È esattamente ciò che continuo a ripetermi, pensò Caroline. Betty la scrutò. Sottovoce, le disse: «Parla con papà. È il meno che tu possa fare. Per lui e per te stessa». L'altra si passò una mano sugli occhi. «Non posso», fu la sua disperata risposta. «Può darsi che David abbia una scadenza. Ma tu no. Tu puoi partire per il Canada quando vuoi... Lascia che vada, e parlane con papà. Perché io non avrei la forza di assistere a quello che potrebbe provocare in lui una tua partenza improvvisa.» Il pensiero che Betty, la figlia negletta, cercasse di tenere unita la famiglia fece affiorare le lacrime agli occhi di Caroline. «Ti prego», insistette Betty. «Per il bene di entrambi.» Caroline prese le mani della sorella tra le sue. «Devi promettermi una cosa, per favore. Qualsiasi cosa io decida di fare, la decisione sarà soltanto mia.» Betty la fissò, poi distolse lo sguardo. «D'accordo», disse. «Parto per Boston», annunciò Caroline. «Non proprio: per Cambridge, a dire la verità.» Al buio, David rimase apparentemente tranquillo. «Per rivedere il tuo vecchio college? O quello nuovo?» «Non lo so ancora.» Lo prese per un braccio. «Forse perché qui non riesco a pensare...» Lui l'attirò a sé. Con un po' di tristezza, ammise: «Ho capito». Volò a Boston la sera dopo. Nel pomeriggio pungente, quasi autunnale, Caroline passeggiava senza meta per il campus di Harvard. Si accorgeva a stento di ciò che vedeva. Per un po', rimase seduta sui gradini della facoltà di Giurisprudenza. Gli studenti dei corsi estivi andavano e venivano; poteva benissimo essere scambiata per una di loro... oppure poteva non diventare mai come loro.
Si costrinse a non telefonargli. Quella notte, sola nella sua camera d'albergo, dormi malissimo. Non aveva mangiato né a pranzo né a cena. Al mattino, si affacciò alla finestra che dava sui giardini pubblici; pareva che un frammento di Londra fosse stato trasportato nel bel mezzo di quella città assai più giovane della capitale anglosassone. Poi però, alzando gli occhi, Caroline vide che il cielo si rannuvolava e, con l'istinto del marinaio, capì che a Martha's Vineyard dovevano prepararsi per fronteggiare una burrasca. Chiuse gli occhi. Immaginò David che, con il vento tra i capelli, pilotava il catboat e le sorrideva. Corse al telefono e lo chiamò. Il telefono squillò a lungo, ma lei non riappese. Infine, lui rispose. «Ciao», gli disse. «Sono io.» «Ciao.» Sentendo la sua voce, Caroline riprese vita. «Mi manchi», mormorò David. «Anche tu mi manchi.» Emise un profondo sospiro. «Sono pronta a parlare di tutto, okay? Torno questo pomeriggio.» «Ti vengo a prendere?» «Vengo io da te... Così avrò un po' più di tempo.» Per un lungo momento rimasero in silenzio, poi lui, in tono sommesso, pregò: «Puoi dirmi qualcosa?» Caroline sedette sul letto. «Credo sia meglio parlarne a fondo quando ci vediamo. Okay?» «Okay», rispose David in tono coraggioso. Lei gli sussurrò: «Ti amo». «Anch'io ti amo, Caroline.» Lentamente, lei posò il ricevitore. Non sapeva che gliel'aveva sentito dire per l'ultima volta. 11. Caroline tornò a Martha's Vineyard nel pieno di una tempesta che sballottò parecchio il bimotore a elica su cui si trovava. A un certo punto, scoppiò un tuono fragoroso e l'aereo sobbalzò per poi cadere vertiginosamente, seppure per poco, a causa di un vuoto d'aria. Un nuovo fulmine illuminò il mare in tumulto sotto di loro. Caroline si aggrappò ai braccioli
della poltrona, cercando di pensare a David. Abbassandosi per l'atterraggio, l'apparecchio oscillò a lungo. Finalmente le ruote toccarono terra, si fermarono, e lo sparuto gruppo dei passeggeri, simile a un drappello di profughi, uscì nella pioggia battente. Caroline scese per ultima. Davanti all'aeroporto - una costruzione in legno che risaliva alla seconda guerra mondiale - trovò un taxi scassato. Vi salì e fu colta dai brividi. Aveva il volto e i capelli bagnati. Una volta comunicata la destinazione, né Caroline né il taxista, un uomo dai capelli grigi, aprirono più bocca. L'unico rumore era quello della pioggia che si abbatteva sul parabrezza con la violenza della grandine. Aveva deciso di andare direttamente a casa di David. La sua vita stava forse per cambiare, pensò. Com'era stupido augurarsi un tempo migliore. Il taxi svoltò per Eel Pond. Caroline cercò di ricomporsi. Nel buio della bufera, riusciva a vedere soltanto il collo taurino dell'autista, nonché gli arbusti e gli alberi disseminati nei campi e illuminati dai fari. L'auto superò la casa dei Rubin e raggiunse il belvedere a picco sul mare agitato. In tutta fretta, lei cercò alcune banconote nella borsetta e, afferrando la valigia, uscì sotto la pioggia. Per un attimo, rimase sulla sommità della scogliera e guardò la macchia scura di Masters Hill, a meno di cento metri di distanza. Un lampo cadde nelle vicinanze. La ragazza sobbalzò e, mentre esplodeva il tuono, le parve d'intravedere l'auto del padre. Ma non era possibile. Volgendo le spalle alla casa, scese lungo la scogliera e attraversò di corsa la spiaggia. Gli stivali rendevano faticoso il suo incedere sulla sabbia bagnata; ansante e mezzo accecata dalla pioggia, Caroline arrivò al pontile e si slanciò verso la casa di David. I passi rimbombarono sulle tavole di legno. Vide la luce accesa. La stava aspettando. Con un ultimo balzo, giunse alla porta e la spalancò. Si fermò, abbagliata dalla luce. Gli abiti di lui erano allineati sul pavimento, accanto alla valigia. Si voltò a cercarlo, sbalordita e terrorizzata. David, bianco in volto, era in piedi nel passaggio che conduceva al portico. La tensione parve guidare Caroline fino a lui. Lo afferrò per la camicia. «Che ti è successo, David?»
Lui la fissò. «È venuto il tuo amico ad avvisarmi», disse con voce ferma. «Sai, Frank Mannion. Non è che gli piacciano granché i renitenti alla leva, però non voleva che tu soffrissi ancora.» S'interruppe, poi mormorò: «Domani arrivano quelli dell'FBI, Caroline. Qualcuno mi ha denunciato». Lei si sentì gelare. David la scrutò. «Tu sei l'unica cui l'ho detto. L'unica, escludendo perfino mia madre, a sapere che ero qui.» Caroline chiuse gli occhi. In silenzio, posò il capo sul suo petto. David non l'abbracciò, non fece neppure un gesto. Pacatamente, le chiese: «A chi l'hai detto?» Disperata, lei sussurrò: «Soltanto a mia sorella». Con dolcezza, ma anche con decisione, David la spinse da parte. Quando s'inginocchiò per riempire e chiudere la valigia, era teso in volto. Gli occhi parevano ridotti a due fessure. Lei tremava di freddo. «Non avrebbe mai fatto una cosa del genere», balbettò. Facendo scattare l'ultima chiusura, David la fissò e, sempre a voce bassa, rispose: «Ma tuo padre sì, che l'avrebbe fatto, vero? I ricchi sono diversi, dopotutto». D'un tratto, Caroline parve confusa. «La sua macchina...» «Ah, è tornato!» Il tono di David si era riempito di acredine. «Ma certo... a 'ispezionare i suoi possedimenti', come hai detto una volta. Tra i quali ci sei anche tu.» Gli occhi di lei si riempirono di lacrime. Si sentiva sopraffatta dal peso del tradimento: aveva tradito David e Betty aveva tradito lei. E poi c'era il tradimento di suo padre... «Ma io avevo deciso di venire via con te», gridò con una voce colma d'angoscia. «Dopo aver parlato, se mi avessi voluta ancora, sarei partita con te.» David impallidì. «Non fare così. Per favore. Non avresti mai potuto partire, davvero. Sei troppo legata a loro.» Il suo tono era asciutto, definitivo. Caroline incrociò le braccia, con lo sguardo fisso sul pavimento. Si rese conto che in pochi, terribili attimi, la sua vita era cambiata per sempre. Angosciata, si limitò a chiedere: «Che farai?» La guardò con un sorriso in cui lei si augurò di leggere una scintilla d'affetto. Invece vi lesse soltanto dolore e astio. «Credi di saper mantenere un segreto?» «Dimmi, maledizione.»
Cadde un altro lampo. David lanciò un'occhiata fuori della finestra e disse: «Ti rubo la barca». «È una pazzia.» «Davvero?» ribatté, infilando il giubbotto. «Le uniche altre vie d'uscita da quest'isola sono l'aeroporto e il traghetto da Vineyard Haven. Entrambi saranno sorvegliati. E l'unico biglietto che riuscirei a ottenere sarebbe quello per la prigione. Tuttavia mi rifiuto di finirci grazie alla tua famiglia.» Caroline era in preda alla disperazione. «Non ce la farai mai. Non con un catboat.» «Ho fatto regate in condizioni ben peggiori. E, una volta lasciata l'isola, sarò a metà strada per il Canada. Niente più di una piacevole crociera lungo la costa del Maine.» Incapace di parlare, lei lo afferrò per il bavero del giubbotto, scuotendo la testa. «Io prendo la barca», ripeté David. «Tu puoi darmi una mano, o salutarmi qui.» Lei cercò di trattenere le lacrime. Con voce rotta, disse: «Ti aiuto». Delicatamente, David staccò le mani di lei dal giubbotto e si avviò alla porta. Caroline esitò. Poi vide la chitarra. Allora attraversò la stanza, la prese e si voltò a guardarlo. Incorniciato dal vano della porta, David guardò la chitarra, poi lei, e un lieve sorriso gli affiorò alle labbra. «Andiamo», disse. Percorsero il pontile sotto la pioggia battente, lui portando la valigia, lei la chitarra. Arrancando sulla spiaggia, lasciarono nella sabbia due tracce gemelle. Vicino al molo dei Masters, la barca beccheggiava nella burrasca. Caroline si fermò. «Non ho riparato la lancia», disse. «Lo so.» David si fermò un attimo a guardare la barca, e procedette. Lentamente, lei lo seguì. I passi di lui mandavano un suono sordo. David la guardò, poi gettò a bordo la valigia. Quando Caroline saltò nella barca con la chitarra, la pioggia parve mettersi a cadere ancora più fitta. Scese sottocoperta. Con attenzione, posò la chitarra in un angolo. Di sopra, David, con i capelli ormai inzuppati di pioggia, aveva cominciato a spiegare le vele.
Con un groppo in gola, Caroline andò ad aiutarlo. Insieme issarono le vele, che schioccarono nel vento sferzante. Proprio come avevano fatto per tante giornate estive, lavorarono in silenzio, così esperti da rendere inutili le parole. Le lacrime di Caroline si confondevano con la pioggia. Infine, David le disse: «Credo che ci siamo». Ma lei non riusciva a muoversi. Il ragazzo la raggiunse e le prese il volto fra le mani. «No», disse. «Tu non puoi.» La barca oscillò paurosamente. David strinse Caroline a sé e la guardò negli occhi. Per un attimo, lei pensò che volesse imprimersene nella mente il ricordo. Forse avrebbe cambiato idea. Ma poi David, con delicatezza, la sollevò e la posò fuori bordo, sul molo. Lei tese le braccia e si accorse che non arrivava più a toccarlo. «Credi di riuscire a gettarmi la cima?» lui le chiese. Caroline s'inginocchiò e la sciolse. Per un ultimo istante la tenne stretta. Poi gliela gettò. «Ti prego, fammi sapere che ce l'hai fatta. In qualche modo...» lo implorò. David riuscì a sorriderle. «Non ti preoccupare. Mi ricorderò di Joshua Slocum.» Il vento faceva sbattere le vele. Lui le rivolse un ultimo, lungo sguardo e si affrettò a compiere le manovre necessarie. Affondando le mani nelle tasche, Caroline osservò il catboat che andava incontro alla burrasca. Ben presto cominciò a confondersi con l'oscurità circostante e David divenne soltanto una figurina snella al timone. Un attimo prima di svanire, però, si voltò e le fece un gesto di saluto... O lei lo aveva soltanto immaginato? Per quanto ne sapeva, non lo avevano mai scoperto. Non ebbe mai più contatti con lui. In seguito, una volta stabilitasi in California, Caroline cercò di trovare i genitori di David. Ma non ci riuscì e, forse, fu meglio così. Non sapeva bene che cosa avrebbe potuto dir loro. Si rifece una vita. Di tanto in tanto, Caroline l'avvocato pensava a un uomo di nome David Stern, in Canada. Sperava che l'avesse perdonata, perché aveva tante cose da raccontargli.
PARTE SESTA L'UDIENZA 1. In mezzo a una moltitudine di cronisti, Caroline Masters sali le scale del tribunale di Connaughton County. Quella ressa - i microfoni tesi verso di lei, le telecamere, i giornalisti che si destreggiavano per raggiungere i posti migliori - era largamente dovuta alle manovre di Caroline. Due giorni prima dell'udienza, aveva dichiarato al Patriot-Ledger che varie lacune nell'istruttoria dell'accusa sarebbero state esplicitate durante il dibattimento; inoltre aveva fatto il nome di Megan Race. Aveva reiterato la sfida in televisione, per assicurarsi che Megan ne fosse informata. L'udienza era quindi diventata un evento e, al centro di tutto, c'era la testimonianza di Megan, testimonianza che avrebbe avuto luogo, probabilmente, il terzo giorno. «Si aspetta di ottenere giustizia per Brett Allen?» gridò una giornalista. Caroline si fermò e guardò dritto in una telecamera a mano. Aveva rinunciato al sonno per prepararsi, e le occhiaie le avevano richiesto più lavoro del solito. Ma nel vestito blu dalla linea dritta, e con i capelli appena tagliati, sembrava fresca e piena d'autorità. «Ciò che intendo dimostrare», rispose, «è che il caso istruito dall'accusa contro Brett Allen non può essere considerato soddisfacente da nessuno che venga in aula con la mente libera da pregiudizi. E spero che la pubblica accusa risponda a questa descrizione.» Poi girò i tacchi e si allontanò, rendendo la sua sfida a Jackson il pezzo forte del mattino. Andandosene nascose altresì il suo disagio: dopotutto, pensò cupamente, soltanto lei era in grado di capire da dove veniva l'arma del delitto, soltanto lei sapeva che Brett e James Case avevano litigato qualche minuto prima della morte del ragazzo. Sentì un nodo allo stomaco. In cima alla scalinata del tribunale si voltò e rimase in attesa della sua famiglia. Channing Masters che, nel suo abito con gilet, saliva i gradini a testa alta era l'immagine stessa della rettitudine del giudice. Betty era aggrappata a un suo braccio, mentre Larry saliva dall'altro lato. I loro volti, secondo le indicazioni di Caroline, avevano un'espressione aperta e fiduciosa. Raggiunsero l'avvocato, per formare il quadro di una
famiglia venuta fin lì a chiedere giustizia per la sua discendente più giovane. Jackson era già arrivato da qualche minuto. Mostrando una certa riservatezza, aveva dichiarato soltanto che l'unica cosa importante erano le prove materiali. Quanto a Megan Race, probabilmente si trovava in volontario isolamento: due giorni prima una telecamera l'aveva colta mentre, impettita e rabbiosa, lasciava il suo appartamento. Non aveva rilasciato dichiarazioni. Il giorno prima, Jackson si era presentato all'albergo, senza preavviso. Erano andati in camera di Caroline. In tono molto più freddo del consueto, le aveva domandato: «Che cos'hai fatto a Megan?» Con studiata indifferenza, lei aveva ribattuto: «Che cosa pensa che le abbia fatto, Megan?» Lui l'aveva squadrata. Aveva gli occhi gonfi, e Caroline si era resa conto che doveva essere stanco quanto lei. «Vuole che apra un'indagine su di te», aveva spiegato infine. «Ed è sempre convinta che qualcuno sia penetrato nel suo appartamento.» Lei si era appoggiata allo schienale della poltrona. «Ci sono nuove prove di una violazione di domicilio?» Jackson aveva avuto un'esitazione, nel rispondere. «No. Non ne abbiamo trovate.» «Per cui non è mai avvenuta, no? Proprio come nessun trafficante di droga è mai entrato nell'appartamento di James...» «Non fare giochetti con me. Megan è nervosa come una gatta... Tu hai fatto qualcosa per intimidirla.» «Forse è lei che sta cercando d'intimidire me. O forse sei tu.» La voce era incrinata dalla tensione. «Se vuoi aprire un'indagine su di me, accomodati. Ma non prima della fine di questa udienza.» Jackson aveva incrociato le braccia sul petto. «Questa tientela in serbo per le telecamere, Caroline. Ti ho visto, sai, far montare la pressione su quella ragazza, negli ultimi due giorni. Se hai qualche motivo di credere che sia inaffidabile, dimmelo.» «Già fatto!» era esplosa lei. «Però tu insisti a volerla fra i testimoni.» «Lei nega qualsiasi relazione con Larry.» Si era alzato e aveva messo le mani sui fianchi. «Insomma, se c'è dell'altro, dimmelo. Ma non cercare di fregarmi.» «Questo è un processo per omicidio», aveva risposto Caroline. «Riguar-
da Brett, non te o me, e sei stato tu a scegliere di fondarlo su Megan. Io ho il diritto di controinterrogarla, e senza fornirti anticipazioni.» «Hai fatto qualcosa, vero?» aveva ripetuto lui, con asprezza. «Non hai pensato che, di qualsiasi cosa si tratti, salterà fuori anche quello? E la tua nomina a giudice federale?» Lo aveva guardato stancamente. E la tua nomina a giudice? avrebbe voluto chiedergli; improvvisamente si era resa conto di quale danno avrebbe potuto recare anche a lui, l'essere messo pubblicamente in imbarazzo. Quel pensiero l'aveva resa triste per entrambi. «Io faccio l'avvocato difensore», aveva risposto. «Brett viene prima di tutto.» «E allora, che cos'hai in programma?» le aveva domandato il padre. Si erano trovati nello studio di Carlton Grey, qualche ora dopo la visita di Jackson. Forse per l'affaticamento, Caroline sentiva per intero il peso dei ricordi, e il profondo, disperato rimpianto per essere ritornata. Le era occorso uno sforzo di volontà per rivolgersi al padre da avvocato. «Varie cose», aveva risposto. «Anzitutto mostrare che le prove materiali, su cui Jackson fa tanto affidamento, sono ambigue. Le ho esaminate e riesaminate con i nostri esperti - sierologi, tossicologi, patologi e medici legali - finché non ho visto i rapporti della scientifica che mi fluttuavano davanti agli occhi.» «Già», aveva commentato il padre, il cui tono si era d'un tratto ingentilito. «Hai l'aria stanca.» Ma lei non desiderava la sua comprensione. In tono asciutto, aveva replicato: «Ho avuto parecchio da pensare». Dopo una pausa, Channing aveva mormorato: «La stanchezza non è una buona cosa, né per te né per Brett. E dal modo in cui hai agito con la stampa, devi aver puntato molto su questa udienza». «Proprio così», era stata la replica di Caroline, con una certa ruvidezza. «Ci ho pensato anch'io.» Lui aveva guardato in direzione della finestra. L'ufficio era protetto dalle tende, però, là fuori, c'era tutta la luce dell'estate. Nella penombra, la pelle del vecchio sembrava pergamena. «Tu sei sempre mia figlia... e Brett è mia nipote», aveva detto infine. Lei aveva preferito non ribattere. Dopo un po', Channing aveva ripreso a parlare, come se quel silenzio fra loro non ci fosse mai stato. «Il giudice Towle è un amico, Caroline. Non è
esattamente pro-accusato, ma ha una sua vena da difensore dei diritti civili. Credo che ti darà ampia possibilità di provare che Brett era troppo drogata per un interrogatorio da parte della polizia, e che non l'hanno correttamente informata dei suoi diritti.» Lei aveva alzato un sopracciglio. «Anche se questo significasse buttar tutto fuori della finestra, dalla deposizione di Brett ai mandati di perquisizione della sua persona e del suo terreno? Vorrebbe dire che a Jackson non rimarrebbe quasi nulla.» Channing aveva scrollato le spalle. «In qualità di giudice distrettuale, non spetta a Towle deciderlo. Ci penserà poi la Corte di grado superiore, se Fred troverà la causa probabile per altre vie. Ma credo che ti consentirà di chiamare alla sbarra i principali testimoni di Jackson, e d'inchiodarli su quelle e su altre questioni.» «Anche se, stando alle leggi del New Hampshire, non ho il diritto di rovistare fra le carte dell'istruttoria di Jackson? Dopotutto, in teoria, l'unica finalità di questa udienza è trovare la causa probabile.» «Fred potrebbe avere qualche difficoltà nel tracciare una precisa linea di confine.» Fissandolo, si era chiesta se il padre non avesse parlato con il giudice Towle: l'integrità dei giudici del New Hampshire era fonte di grande orgoglio per lo Stato, ma Channing Masters aveva aiutato Towle a ottenere la carica. E chi mai poteva sapere di che cosa si finiva per parlare, davanti a un bourbon al Trout Club? «Spero che tu abbia ragione», aveva risposto infine al padre. «Voglio una deposizione giurata dei testimoni di Jackson prima che lui possa prepararli per bene, come certo farà per il processo. Se riusciamo a dimostrare quanto era ubriaca Brett, la pressione che ne deriverà costringerà Jackson a mutare l'accusa in omicidio preterintenzionale.» Channing aveva stretto le labbra. «È innocente, Caroline», era stato il suo commento. «Oh, questo lo so. Me l'hai già detto.» «Forse sei così stanca che la questione dell'innocenza o della colpevolezza di Brett non t'importa più. Eppure dovrebbe importartene. Adesso che hai trasformato quest'udienza in un grande evento -per ragioni che in parte mi sfuggono -, devi smantellare le tesi di Jackson, se Fred Towle te ne offre l'opportunità. Se non danneggi seriamente le posizioni di Jackson, infatti, Brett starà peggio di prima. Non soltanto perché tu avrai perso la battaglia dei media, con il conseguente effetto negativo sui futuri
giurati, ma anche perché avremo rivelato a Jackson, e ai suoi testimoni, le nostre migliori strategie d'attacco al processo.» Lei si era accigliata. Conosceva fin troppo bene i rischi connessi con la decisione presa. «Tutto ciò non mi è di nessun aiuto. Ammesso che tu sia qui per aiutarmi...» Il padre, con le mani intrecciate davanti a sé, aveva ribattuto: «Dimmi, Caroline: che cosa farai con Megan Race?» Nella sua voce si erano mescolate un'offerta di scuse e una grande preoccupazione. La donna si era accorta che quell'atteggiamento la irritava ancor più dell'antagonismo dimostrato dal padre. Non aveva intenzione di accollarsi la colpa delle notti insonni di Channing Masters. «Voglio distruggerla, papà. Esattamente come suggerisci tu.» Aveva accompagnato quelle parole con un accenno di sorriso. «Dopotutto chi mi dice che non sia stata proprio lei a ucciderlo? E come fanno a escluderlo Jackson e la polizia, visto che, come intendo dimostrare, si sono gettati su Brett con tanta fretta da non provare nemmeno a cercare il vero assassino?» Il padre l'aveva studiata a lungo. «Tu sei sempre convinta che sia colpevole.» Lei aveva smesso di sorridere. «Siamo tutti colpevoli», aveva risposto sottovoce. «Brett non più di noi.» L'occhiata che Channing le aveva rivolto era piena di sottintesi, d'interrogativi e di comprensione. «E non mi dirai che cosa hai intenzione di fare a Megan.» «No», era stata la sua risposta. «Con gli anni, ho imparato che è meglio consigliarsi soltanto con se stessi.» Il padre aveva accusato il colpo, abbassando lo sguardo. Poi aveva mormorato: «Non mi perdonerai mai, vero?» Le era occorso parecchio tempo per riuscire a rispondere, ma aveva parlato con voce ferma. «In tutti questi anni, non hai imparato nulla. Credi che io reagisca in un certo modo per ferirti, che io scelga di comportarmi così. Ma io ho scelto soltanto di sopravvivere. Sostieni che, quando mi guardi, vedi il volto di mia madre. Ebbene, quando io guardo te, vedo David. Anche se cerco con tutte le mie forze di evitarlo.» Il vecchio, scosso, aveva alzato lo sguardo su di lei. Sommessamente, Caroline aveva concluso: «Ed è molto, molto più doloroso di quanto riesca a spiegarti, papà. Inoltre non cambierà mai».
A fianco del padre, Caroline entrò in tribunale. Si fermò un attimo e gli si mise di fronte. Quindi, per i giornalisti che li guardavano - per Brett -, gli posò una mano sulla spalla. Fece lo stesso con Larry, poi si rivolse a Betty. Quest'ultima distolse lo sguardo. Per nascondere quel gesto, Caroline l'abbracciò e la baciò sulla guancia. Ma le sue labbra sfiorarono appena la pelle della sorella. Dando loro le spalle, l'avvocato trasse un gran respiro e si avviò al tavolo della difesa. L'aula era piccola e disadorna, con la bandiera americana e la bandiera del New Hampshire ai lati dello scranno del giudice. I reporter cominciarono ad accalcarsi sul fondo, e il lento processo con cui una Corte raggiunge la massa critica ebbe inizio: Jackson si mise a scorrere alcuni documenti posati sul tavolo del pubblico ministero; un usciere entrò dall'ingresso riservato alla Corte, la stenografa sedette alla macchina davanti al seggio su cui si sarebbe accomodato Towle. Il brusio degli astanti si affievolì progressivamente. Caroline congiunse le mani sotto il piano del tavolo. Sul fondo dell'aula si aprì una seconda porta e Brett fece la sua apparizione, accompagnata da un agente. Indossava il semplice abito blu che Caroline aveva scelto per lei, e portava i capelli all'indietro. L'effetto era quello di una ragazza composta e dimessa. Al suo ingresso nell'aula, Brett parve spalancare gli occhi verdi e luminosi. Lo sguardo si spostava alla ricerca della zia. Poi, scorgendola, accennò un sorriso e si avviò dritta al suo tavolo. Sentendosi stranamente stordita, Caroline si alzò. Era per Brett che si trovava lì. La ragazza la guardò. «Ciao.» Il tono di voce era vicino alla normalità. «Stai bene?» le chiese l'altra. Brett sorrise di nuovo. «Starei perfino bene, se servisse a uscire di qui.» La battuta non sortì un grande effetto. Per un attimo, la donna rimpianse di non poterla abbracciare. «Be'», rispose, nel tono più tranquillo che riuscì a trovare, «vedrò che cosa posso fare.» Sedettero l'una accanto all'altra. Caroline le strinse una mano sotto il tavolo finché non arrivò Carlton Grey. «In piedi», annunciò l'usciere. Entrò il giudice distrettuale Frederick Towle. Era grasso, con capelli castani, non più vecchio né più alto di Caroline. Avanzò in tutta calma, con
un'espressione cordiale, solenne e leggermente distante dipinta sul viso paffuto, come se fosse consapevole di essere al centro dell'attenzione. Salendo sullo scranno, guardò Jackson. L'uomo non aveva un'aria allegra. E Caroline sapeva perché: alle sette e mezzo, il giudice Towle aveva convocato i legali per le istanze preliminari. Carlton Grey aveva chiesto l'ammissione di Caroline. Con grande garbo, Towle le aveva dato il benvenuto, felicitandosi per il suo ritorno nel New Hampshire, e poi aveva stabilito le regole per l'udienza. Il suo unico compito era determinare se l'accusa avesse la causa probabile per un'incriminazione per omicidio di primo grado; avrebbe consentito a Jackson di esibire prove testimoniali, chiedendo ad agenti di polizia di deporre su quanto appreso da altri testimoni. Ma, dopo un'opposizione di Caroline, Towle aveva stabilito che Jackson non potesse dimostrare la causa probabile unicamente attraverso la testimonianza del capo degli investigatori. Doveva, al contrario, chiamare alla sbarra lui stesso i quattro testimoni dell'accusa che lei aveva citato: l'agente che aveva operato l'arresto, il capo della squadra investigativa, il medico legale e Megan Race. Jackson aveva protestato con vigore: così si sarebbero offerti alla difesa documenti di prova che la legge del New Hampshire non consentiva di divulgare in quella sede. Ma Towle non si era scostato dalle sue posizioni: l'oggetto dell'udienza non era l'esibizione di documenti di prova, bensì la causa probabile di una materia direttamente connessa con la credibilità di Megan Race e con referti medici - fotografie incluse - troppo complessi per essere discussi in base a testimonianze indirette. Jackson era parso sbalordito. Osservando quanto era accaduto, Caroline aveva avuto la percezione della presenza del padre, che pure si trovava, in quel momento, ancora lontano dal tribunale. Il giudice Towle fece un cenno a Jackson. «Mr Watts», disse, e l'udienza ebbe inizio. 2. Osservando Jackson che si alzava, Caroline si chiese se quella sarebbe stata l'ultima volta in cui lei compariva in un'aula di tribunale. Il senso di vuoto la colmò di terrore: che cosa sarebbe divenuta, se non avesse più praticato in ambito legale? Poi tornò a sentire la presenza di Brett accanto a sé. Tieni duro, si disse. A Brett serviva una Caroline in forma come non
mai. Sfilando davanti al settore riservato al pubblico, e stipato di giornalisti, un giovane poliziotto in uniforme si recò alla sbarra. L'agente Jack Mann della polizia di Resolve era proprio come Brett l'aveva descritto: solido, ben fatto, poco più che ventenne. I capelli castani erano tagliati corti sulle tempie, da marine, e mettevano in evidenza la mascella squadrata e il naso prominente. Ma il viso era pulito e gli occhi assolutamente schietti: dava l'impressione di una brava persona, che faceva del suo meglio per assolvere sino in fondo il suo compito, e che era sincera fin quasi alla crudeltà. Caroline comprese perché Brett si era fidata di lui. Jackson lo attendeva accanto alla sedia dei testimoni. Era vestito da pubblico ministero: vestito blu scuro, camicia bianca, cravatta dai toni spenti. Il sobrio paladino della legge e dell'ordine, che interrogava sobriamente la prima linea di difesa della giustizia. Rapidamente, si sbarazzò delle questioni preliminari e giunse ai fatti cruciali. «Quella notte», chiese, «come vide per la prima volta Brett Allen?» «Vidi la sua jeep.» Mann lanciò una rapida occhiata alla ragazza. «Era ferma sul ciglio di una strada di campagna, con i fari accesi. Pensai che qualcuno potesse aver bisogno d'aiuto.» Brett si costrinse ad alzare lo sguardo sull'agente. Nel campo visivo di Caroline c'erano adesso due giovani profili: quello di Brett che guardava il poliziotto e quello di Mann di fronte a Jackson. «Per cui si fermò?» «Sissignore. E mi avvicinai alla macchina.» Jackson si mise le mani in tasca. «E che cosa scoprì?» «Dapprima non riuscii a scorgere nessuno. Allora mi avvicinai al finestrino del guidatore. Avevo in mano la torcia elettrica.» «E che cosa vide?» Mann guardava fisso davanti a sé. «All'interno c'era una donna nuda. Era accucciata in basso, sotto il volante, con il viso contro la portiera.» Nella voce si udiva ancora una traccia dello sconcerto provato in quell'occasione. «Era raggomitolata in posizione fetale, come se volesse nascondersi.» Brett arrossì. Caroline le toccò un braccio. «La chiamai dal finestrino», continuò l'agente. «Alla terza volta, credo, mi aprì.» S'interruppe. «Cercò di coprirsi, ma vidi ugualmente il sangue e il vomito su di lei.» «La donna le disse qualcosa?»
«Soltanto che era stata male. Lo si capiva anche dall'odore, misto a quello di marijuana e, forse, di vino.» Caroline si guardò attorno. L'aula era immersa in una bizzarra atmosfera composta: il giudice Towle aveva lo sguardo perso nel vuoto, i cronisti prendevano appunti. Ma Betty e Larry, di profilo, apparivano impietriti e Channing aveva una cupa fissità negli occhi. Tornò a concentrarsi su Jackson. Si stava avvicinando a Mann. «Le disse come si era ridotta a quel modo?» «No.» «Nulla a proposito di un fidanzato?» «No.» Con le sopracciglia alzate, Jackson accelerò. «O di un assassinio?» «Niente del genere, signore. Non disse nulla di lui.» Nello sguardo di Brett affiorò, all'improvviso, il velo del dubbio. Di colpo, Caroline comprese che la stessa Brett non sapeva con certezza che cosa fosse accaduto. «E lei perquisì la macchina?» domandò Jackson. «Nossignore. Non avevo il mandato. Ma sul sedile del passeggero, in piena vista, c'erano alcuni oggetti.» La voce del giovane poliziotto si era indurita; voleva dimostrare di essersi attenuto alle regole. Come per riconoscerglielo, Jackson annuì, prima di chiedere: «Di quali oggetti si trattava?» «Un portafoglio e un coltello. Il coltello era insanguinato. A giudicare dall'aspetto, il sangue non si era ancora rappreso.» Il processo era cominciato, pensò Caroline: la lenta accumulazione di un fatto sopra l'altro, per stabilire la colpevolezza di Brett. La stessa Brett era immobile, concentrata. «Le chiese conto di quel fatto?» «Le chiesi se qualcuno si era ferito.» «E lei che cosa rispose?» «Non lo ricordo, esattamente. Ma il senso era 'no'.» «E come si comportava?» «Appariva istupidita dal terrore. Ma con gli occhi mi seguiva. Mi accorsi che era in grado di comprendere le mie domande. Quando le chiesi come si chiamava, me lo disse.» «E che cosa fece lei, allora?» «La informai che l'avrei portata alla centrale, per guida in stato d'ebbrez-
za.» Mann si mise sulla difensiva. «Non sapevo che cos'altro fosse accaduto, ma che fosse ubriaca o, forse, drogata era evidente.» La domanda successiva, Caroline lo sapeva bene, era cruciale. Jackson fece una pausa prima di rivolgergliela, quindi pronunciò distintamente ogni parola. «Nel momento in cui arrestò Miss Allen, lei, agente Mann, credeva che fosse stato commesso un omicidio?» Il teste si agitò un po' sulla sedia, ma rispose in tono fermo: «Non avevo idea di che cosa potesse essere successo, tranne che in quella macchina c'era sangue, e che qualcuno poteva essersi ferito. All'inizio avevo pensato che potesse trattarsi del sangue di lei, ma la signorina non mi diceva niente». «Per cui la portò alla stazione di polizia di Resolve.» «Sissignore. Le diedi il mio giubbotto e la portai dentro. Registrai il fermo per guida in stato d'ebbrezza e la chiusi in una cella.» «Che fece, in seguito?» «Cercai nel portafoglio e ci trovai una patente di guida che apparteneva a un uomo, James Case. Soltanto allora pensai, per la prima volta, che il portafoglio non fosse suo.» Jackson annuì. «La cosa la preoccupò?» «Sissignore.» Il giovane si strinse nelle spalle e corrugò la fronte. Con un certo distacco, Caroline osservò il poliziotto che si preparava a fornire la risposta che Jackson e lui avevano provato e riprovato. «Ero preoccupato che qualcuno, da qualche parte, potesse essersi fatto male e che avesse bisogno d'aiuto. Voglio dire, è uno dei motivi per cui decidi di fare questo lavoro: dare una mano a proteggere le persone. Bisogna considerare un sacco di eventualità, per esempio che potrebbe esserci un assassino in circolazione, che potrebbe colpire ancora se non lo troviamo, che avrebbe anche potuto colpire Miss Allen. Ma la preoccupazione principale era per il tizio della patente, che fosse magari ferito da qualche parte.» Avrebbe potuto perfino essere vero, Caroline pensò. Quantomeno Mann era abbastanza giovane da crederci ancora. Accanto a lei, Brett teneva gli occhi fissi sul tavolo. Le sussurrò: «Non smettere di fissarlo, qualsiasi cosa dica». La ragazza obbedì, ma non riuscì a ricambiare lo sguardo di Caroline. «Per cui, in quel momento, la sua preoccupazione era la pubblica sicurezza?» «Sissignore. E magari per una vita che poteva essere salvata.»
«E lei non credeva che fosse stato commesso un omicidio, o che l'avesse commesso Miss Allen?» Per la prima volta, Caroline si alzò, rivolgendosi al giudice Towle. «Obiezione», disse con voce chiara e tranquilla. «A entrambe le domande. Non voglio interrompere Mr Watts, ma ritengo che non dovrebbe suggerire le risposte al nostro cosiddetto testimone. Dopotutto, queste cose dovrebbero conservare almeno la parvenza di una certa spontaneità.» Lo sguardo da gufo che Towle rivolse a Caroline la rassicurò che capiva perfettamente: Jackson, poco sicuro del teste, stava cercando di sottrarlo a una trappola che lei era invece ansiosa di far scattare. L'agente aveva atteso troppo per informare Brett dei suoi diritti in relazione all'accusa di omicidio. E Caroline doveva cercare di darci un taglio. «Obiezione accolta.» Towle guardò Jackson. «Lasciamo che l'agente Mann si esprima con parole sue. E con i suoi pensieri, se possibile.» Jackson rimase tranquillo. La sua domanda aveva già fornito a Mann la risposta più adatta e l'obiezione ne aveva sottolineato la centralità. «Mostrò la patente a Miss Allen?» chiese. «Sissignore.» «E che cosa le disse, ammesso che le abbia detto qualcosa?» «Quello che ho già dichiarato: temevo che qualcuno si fosse fatto male e che potesse peggiorare, se non l'avessimo aiutato.» Jackson annuì. «E Miss Allen le rispose?» «Sì. Mi disse di guardare dalle parti del lago Heron.» Voltandosi a guardare Brett, concluse a bassa voce: «Quando lo trovarono, aveva la gola tagliata da un coltello». La ragazza sbiancò. Sotto il tavolo, Caroline le posò una mano su un ginocchio. Jackson lasciò passare qualche istante, poi riprese: «Nell'intervallo tra la dichiarazione di Brett Allen e il momento in cui James Case fu trovato morto, che fece?» Lentamente, Mann si voltò di nuovo verso Jackson. «Telefonai alla polizia di Stato. Seguendo le loro istruzioni, condussi la ragazza all'ospedale della contea e poi tornai alla stazione.» «E quando la rivide?» «Dopo il ritrovamento del cadavere, quando chiamammo la squadra omicidi della polizia di Stato. Telefonarono dall'ospedale e dissero che volevano vedermi.» «E lei che fece?»
«Mi fecero attendere il sergente Summers della omicidi di Concord. Quando arrivò, ordinò di portarla in una stanza, dove la raggiungemmo entrambi.» «E, a quel punto, informaste Miss Allen dei suoi diritti?» «Lo fece il sergente Summers. È tutto registrato.» «E che impressione le fece la signorina?» «Era pallida e turbata. Ma sobria, e ansiosa di parlare.» «Le parve che comprendesse i suoi diritti?» «Sissignore. Sul nastro, dice che non le importa... che vuole parlare.» Jackson tacque un momento. «Quanto tempo era passato da quando l'aveva arrestata?» «Erano quasi le sei. Io l'avevo prelevata più o meno alle undici e mezzo.» «Le parve in sé?» «Sissignore.» Jackson annuì. «Esibiremo il nastro registrato interrogando il sergente Summers. Ma potrebbe raccontarci l'essenziale della sua deposizione, relativamente alle circostanze della morte di James Case?» L'agente annuì a sua volta. «Ci disse che qualcuno l'aveva ucciso. E che lei l'aveva trovato in quello stato.» «E, nel corso dell'interrogatorio, le chiese di che natura fossero i suoi rapporti con James Case?» «Sissignore.» «E lei che cosa rispose?» «Che era il suo ragazzo.» D'un tratto, Caroline capì dove voleva andare a parare. Aveva un'obiezione pronta: che il nastro parlava da sé... Ma avrebbe soltanto peggiorato le cose. «E le chiedeste, allora, se James avesse una relazione con altre donne?» chiese Jackson, lanciando un'occhiata d'intesa all'agente. «Sissignore.» «E lei che cosa rispose?» Volgendosi verso Brett, Caroline vide che la ragazza cercava di non crollare. «Miss Allen disse: 'Naturalmente, no'.» Il poliziotto s'interruppe, come sorpreso da ciò che gli era venuto alla mente. «Fu l'unica volta che parve arrabbiarsi», concluse. Le implicazioni di quella risposta furono per Caroline come un pugno nello stomaco. Brett era abbastanza sobria da mentire, sottintendevano le
parole di Mann. E aveva dovuto mentire su Megan perché aveva mentito su tutto. Automaticamente, la ragazza abbassò gli occhi. Volgendosi a Caroline, Jackson disse, con solenne cortesia: «Il teste è suo, avvocato». 3. Dirigendosi verso il testimone, Caroline si prese un momento per raccogliere le idee. Vide la sua famiglia che l'osservava, il cupo esame cui la stava sottoponendo il padre ma, soprattutto, percepì le attese di Brett, alle sue spalle. «Ricominciamo da capo», esordì. «Lei trovò Brett Allen nella sua jeep, sul ciglio della strada. Nuda.» Mann la guardò con circospezione. «Sì.» «Macchiata di sangue.» «Sì.» «Macchiata di vomito.» «Sì.» «E... disorientata. È giusto sostenerlo?» Mann scosse la testa. «Non so se potrei.» Caroline lo soppesò con lo sguardo. Prenditela calma, si disse. Tranquillamente, gli chiese: «Lei non ebbe dubbi sul fatto che fosse in stato di ebbrezza, vero?» «No, nessuno.» «E su che cosa si basò, per pensarlo?» «Come ho detto, sentii odore di vino e di marijuana. Inoltre, aveva vomitato.» «È tutto?» Mann si appoggiò allo schienale della sedia. «Credo di sì. Sì.» Lei sollevò un sopracciglio. «Era nuda, no?» «Sì.» «Quante altre automobiliste nude ha arrestato?» L'altro esitò, poi scrollò le spalle. «Nessuna.» «Eppure lei ha testimoniato che quando l'arrestò per guida in stato d'ebbrezza, era in grado d'intendere. Si basò su qualcosa che Brett Allen le aveva detto?» «No.»
«Perché non rispose nulla, vero?» «Non che io ricordi.» Caroline gli si avvicinò. «Per la verità, quando la informò che era in arresto, la prima cosa che fece, la primissima cosa, fu vomitare.» Mann parve in difficoltà. «È così.» «E, lungo la strada fino alla centrale, non disse nulla, giusto?» «Giusto.» «Per cui, l'unica cosa su cui si è basato per sostenere che quella giovane donna nuda, macchiata di sangue, in preda ai conati di vomito, probabilmente ubriaca e magari sotto l'influsso della droga, non fosse 'disorientata' è il fatto che era in grado di dire il suo nome. Ah, e che la 'seguiva' con gli occhi mentre la interrogava.» Mann lanciò un'occhiata in direzione di Jackson. «Immagino di sì», disse infine. «Ma come fa a sapere che lei la capiva?» Mann aggrottò le sopracciglia. «Non posso saperlo.» «O che soltanto capisse che cosa le era accaduto?» Il poliziotto guardò Brett. «In seguito ci disse che lo capiva. Tutta la sua deposizione si concentrò su quanto le era accaduto.» Era una buona risposta, e le spezzò il ritmo. Ecco perché, pensò Caroline, Jackson non aveva fatto obiezione. Riprese fiato e, pacatamente, chiese: «Si è mai ubriacato, agente Mann?» Jackson saltò in piedi. «Obiezione, Vostro Onore. Le esperienze dell'agente Mann in questo campo, se mai ve ne sono, sono irrilevanti rispetto alla condotta di Miss Allen.» Lei si rivolse al giudice Towle. «Vostro Onore, l'agente Mann ha avanzato un'opinione o, quantomeno, una supposizione sullo stato mentale di Brett Allen, dal momento dell'arresto sino alla sua deposizione. A meno che non abbia alle spalle studi medici, quell'opinione si fonda esclusivamente sull'esperienza pratica. Inclusa la sua, magari.» Towle si sostenne il mento con una mano, e lanciò una rapidissima occhiata verso Channing Masters. Quasi distrattamente, disse: «Respinta». «Allora?» lo incitò Caroline. Il giovane arrossì. «Direi di sì, certo. Qualche volta... sempre di whisky.» «Si è mai ubriacato al punto di non sapere dove si trovava?» Mann abbassò lo sguardo; un doloroso sforzo di sincerità parve tirargli i lineamenti del viso. «Una volta. Dopo un addio al celibato.»
«E ricorda tutto ciò che avvenne quella volta?» «Quasi tutto, ma...» S'interruppe e la guardò con una luce nuova negli occhi. Aveva capito dove stava andando a parare. Senza scomporsi, lei terminò la frase in vece sua: «Ma soltanto più tardi». L'altro assentì, con un lento moto del capo. «Già. E non tutto.» L'ultima osservazione, pensò Caroline, era di troppo. Decise di passare ad altro. «Al momento dell'arresto, Miss Allen aveva i capelli bagnati?» Mann, sorpreso, sbatté le palpebre. «Credo, sì.» «Su che cosa si fonda per dirlo?» «Come ho detto, le diedi il mio giubbotto. Quando glielo accomodai sulle spalle, sentii che aveva i capelli bagnati.» Esaminò rapidamente Brett. «Erano più ricci e compatti di come appaiono adesso.» La donna rimase in silenzio per qualche istante, poi continuò: «Per cui, quando, più tardi, Brett rese la sua deposizione, almeno a un particolare lei dovette credere, e cioè al fatto che era andata a nuotare». «Direi di sì.» «E dev'essere stato prima che James Case fosse ucciso, giusto?» Mann esitò, poi allargò le braccia. «Come faccio a saperlo?» «Perché quando lei l'arrestò, agente Mann, aveva il volto, il collo, il torace e i capelli sporchi di sangue.» Mann parve meravigliarsi. «È vero...» «Per cui è assai probabile che - proprio come ha detto - Brett Allen fosse in mezzo al lago, quando James Case fu ucciso.» Dai giornalisti salì un brusio. Jackson si alzò di slancio per obiettare. «Vostro Onore», interloquì. «Questo lo dirà magari la difesa nella sua arringa. Ma come e quando Miss Allen si sia bagnata i capelli questo testimone non può assolutamente saperlo.» Aveva perfettamente ragione, pensò Caroline. «Niente affatto», rispose, acida, «dal momento che sulla pelle e sui capelli di Miss Allen - che il testimone riconosce come bagnati - c'era del sangue.» Towle si lasciò andare a un sorriso. «Non è sul 'bagnati' che si obietta, ma sul 'lago'. Obiezione accolta.» Lei non protestò, giacché aveva raggiunto il suo obiettivo. Tornando a Mann, chiese: «Descriverebbe le macchie di sangue sulla pelle e i capelli di Brett Allen come abbondanti?» Mann parve riesaminare i suoi ricordi. «No, non direi 'abbondanti'.» «Allora com'erano?»
Il giovane intrecciò le mani, guardando di nuovo Jackson. «In effetti era più uno spruzzo: alcune macchioline e qualche goccia.» «Dunque la pelle era tutt'altro che coperta di sangue?» «Si trattava di uno spruzzo sul viso e di alcune macchie sui seni e sullo stomaco. Non molte...» Per un istante, Caroline si chiese che cosa dovesse pensare Brett di quell'udienza. Ma Jackson si alzò di nuovo. «Vostro Onore, abbiamo fotografie che illustrano la disposizione delle macchie su Miss Allen. Suggerisco che quei referti siano la miglior prova di quanto l'avvocato Masters sta cercando di dedurre.» Lei non distolse lo sguardo da Towle. «Con qualche altra domanda, Vostro Onore, credo di poter dimostrare che le foto di Mr Watts non sono 'la miglior prova' di un bel niente. Posso procedere?» Il giudice annuì bruscamente. «Prego, avvocato Masters. Ma in fretta. Diversamente, sarò piuttosto incline a trovarmi d'accordo con Mr Watts.» Caroline tornò ad affrontare Mann. «Lei ha dato il suo giubbotto a Miss Allen, vero?» «Sì.» «E lei ha tirato su la cerniera?» Mann esitò un po', prima di rispondere: «L'ho fatto io, per la verità». «Comunque la mia cliente lo tenne addosso fino alla prigione.» «Sì.» «Fin dove la copriva, il giubbotto?» Mann abbassò gli occhi. «Forse sino a mezza coscia.» «E Miss Allen se lo tirava giù, per cercare di coprirsi meglio?» Il giovane arrossì. «Sì, lo ricordo. Sì.» «Quindi, inevitabilmente, il giubbotto toccava la pelle, vero?» Mann abbassò nuovamente lo sguardo. Con riluttanza, e lentamente, rispose: «Quando riebbi il giubbotto, era macchiato di sangue. Per cui... sì.» Caroline provò pena per quel ragazzo. Forse per la prima volta nella sua vita, stava scoprendo che cosa poteva diventare, nelle mani di un avvocato difensore, l'azione più meditata o quella più sbadata. «Ha mandato in tintoria il suo giubbotto, agente Mann?» «Sì.» «E non ha detto nulla di tutto questo al medico legale o a chicchessia della polizia di Stato?» Mann alzò la testa. «Nossignora», dichiarò in tono formale. «Non ne ho
parlato con nessuno.» «D'accordo. Allora passiamo alla sua conversazione con Miss Allen, una volta arrivati alla prigione. Lei non le ha comunicato i suoi diritti... come, per esempio, il diritto a un avvocato, o il diritto a non dire nulla che potesse incriminarla.» Il volto del giovane s'irrigidì. «È così. Non avevamo neppure il corpo... Tutto ciò che mi premeva era la pubblica sicurezza e, magari, trovare un ferito.» Caroline si mise le mani sui fianchi. «E come pensava che si fosse ferito, questo cittadino ignoto?» Un'alzata di spalle. «Non sapevo.» «Magari con il coltello? Dopotutto era insanguinato, e non c'erano ferite da coltello in vista, sul corpo di Miss Allen.» Tacque per un istante, poi soggiunse: «E lei l'aveva vista proprio tutta, no?» Mann arrossì di nuovo. «Ritenni possibile che fosse avvenuto con il coltello, sì.» «Possibile? A parte il coltello e il sangue su Brett Allen, lei non aveva altre ragioni di ritenere che qualcuno potesse essersi 'ferito', giusto?» «Penso di no.» Caroline atteggiò il viso a un'espressione incredula. «E come pensava che potesse essersi 'ferito'? Cadendo sul coltello?» «Obiezione, Vostro Onore», tuonò Jackson. «Non c'è motivo per cui la difesa debba tormentare il teste. Se ha una domanda da fare, che la faccia direttamente.» «Accetto la critica, Vostro Onore.» Si rivolse nuovamente a Mann. «Le mie scuse, agente. Ma, in tutta franchezza, non ha considerato la possibilità che quella certa persona fosse stata 'ferita' da Brett Allen?» Tornando a intrecciare le dita, il giovane esitò a lungo prima di rispondere. Caroline si accorse che le sudavano le mani. Alla fine, in tono sommesso, lui ammise: «Sissignora. Credo di averla considerata. Ma era soltanto una supposizione». «Insomma, quando chiese a Miss Allen se ci fosse qualcun altro ferito, lei prese in considerazione l'ipotesi che Miss Allen avesse commesso un atto di violenza?» Lui sospirò. «Sì.» «E quando la mia cliente disse che avreste potuto cercare in riva al lago Heron, lei telefonò alla polizia di Stato.» «Sì.»
«Con chi parlò?» «Con il sergente Summers. Lo stesso che venne da noi, una volta trovato il cadavere.» «E che cosa gli disse?» Mann esitò per l'ennesima volta. «Che forse eravamo di fronte a un omicidio, o a un tentato omicidio. E che avrebbe potuto riguardare un certo James Case.» Caroline assentì. «E raccontò al sergente Summers di Brett, del coltello, del portafoglio e del sangue? Perché la consigliasse sul da farsi?» «Sì.» «E quando il sergente Summers le ordinò di portare Miss Allen all'ospedale della contea, lo fece per preservare le prove sul corpo...» «Sì.» «... finché non foste in grado di procurarvi un mandato di perquisizione.» La risposta fu quasi un sussurro. «Sì.» «Perché era una potenziale indiziata, giusto?» «Obiezione.» Rapidamente, Jackson si fece avanti. Per la prima volta, sembrava arrabbiato. «Ciò che l'agente Mann può aver detto o sentito dire dopo la prima dichiarazione di Miss Allen non ha il minimo rilievo in merito a quello che pensava prima di tale dichiarazione. L'avvocato Masters sta cercando di trasformare il buon lavoro della polizia in qualcosa di sinistro.» Ignorandolo, Caroline si rivolse al giudice. «Nient'affatto, Vostro Onore. L'agente Mann aveva il diritto e il dovere di prendere tutte le misure che reputava opportune per trovare una persona teoricamente ferita, ivi compreso un interrogatorio alla mia cliente. Tuttavia, se non l'ha informata dei suoi diritti, Mr Watts non può usare la deposizione di una giovane donna ubriaca e smarrita, nonché fermata dalla polizia con l'accusa di omicidio. Né può usare tale deposizione come base per ottenere altri mandati e raccogliere ulteriori prove... Per quanto dubbie possano poi rivelarsi.» Towle alzò una mano, guardando prima Jackson e poi Caroline. «La questione che è stata sollevata», disse a entrambi, «sarà risolta da una Corte di grado superiore, se questa Corte troverà la causa probabile. Non è oggetto del presente dibattimento. Però, visto che ci siamo, permetterò alla difesa di porre le sue domande, perché potrebbero essere attinenti anche alla causa probabile.» «Grazie, Vostro Onore.» Lanciò un'occhiata di sfuggita al padre. Il suo
sguardo non tradiva nulla, l'espressione era di grande compostezza; soltanto Caroline, probabilmente, era in grado di leggere su quel viso una grande soddisfazione. Tornò a rivolgersi al poliziotto. «La domanda, agente Mann, era questa: nel momento in cui portò la mia cliente all'ospedale di Connaughton Falls, la considerava una potenziale indiziata per un'ipotetica azione criminale?» Mann strinse i denti, poi rispose: «Sì». «E ciò si fondava sulla sua dichiarazione a proposito di dove cercare James Case.» «Indirettamente.» Lei piegò la testa di lato. «Avete sottoposto Miss Allen a un test per determinare il suo stato di ebbrezza prima della sua dichiarazione riguardo al luogo in cui cercare James Case?» «No.» «Che impressione le aveva fatto?» Il giovane poliziotto tornò a guardare Brett e l'espressione del suo viso si addolcì un poco. «Lenta nelle reazioni. Come stupefatta.» «Aveva difficoltà di parola?» «Un po'.» «Ha mai arrestato qualcuno che fosse sotto l'effetto della marijuana?» «Sì.» «E il comportamento di Miss Allen era lo stesso?» Mann ci pensò su, prima di rispondere. «Sembrava avere delle difficoltà a trovare le parole, e si esprimeva in modo strascicato.» Caroline si avvicinò ulteriormente al testimone. «Mi dica, agente Mann: quanto tempo passò, più o meno, da quando arrestò Miss Allen a quando arrivò all'ospedale?» «Forse due ore.» «E fu allora che la sottoposero ai test per verificare il tasso alcolimetrico nel sangue e l'assunzione di droga?» «Sì.» «Ha visto i risultati?» «Sì.» «E quali erano?» Mann congiunse le mani. «Stando al referto, aveva passato i limiti legalmente consentiti di più del doppio.» «Allora è corretto dire che, per tutto il tempo che rimase con lei, era ubriaca e sotto l'effetto della droga?»
«Direi di sì.» Lei annuì, soddisfatta. Non soltanto era chiaro che, al momento dell'omicidio, Brett era ubriaca e drogata ma, se la Corte di grado superiore si fosse attenuta alla legge, ciò che Brett aveva dichiarato prima di essere condotta all'ospedale sarebbe stato escluso dalle prove. E anche le prove raccolte attraverso i due mandati di perquisizione, ottenuti sulla base della sua prima deposizione, avrebbero forse potuto essere eliminate. Era arrivato il momento di passare all'ultima deposizione di Brett. «Che cosa sa, agente Mann, a proposito dell'ora in cui Miss Allen fu sottoposta ai test?» Lui socchiuse gli occhi. «Ciò avvenne quasi subito, a giudicare dal referto. Forse trenta minuti dopo il nostro arrivo.» «Quindi verso le due?» «Dovrei rivedere il referto. Ma penso di sì. Attorno alle due.» «Lei e il sergente Summers cominciaste a interrogarla verso le sei e un quarto, giusto? Almeno, stando alla registrazione.» «Sì.» «E, in seguito, il sergente Summers lesse a Brett Allen i suoi diritti?» «Esattamente.» «E le avete fatto rifare i test?» Mann parve esitare. «No.» Caroline assunse un tono perplesso. «Per cui non sapevate se fosse ancora sotto l'effetto del vino e della marijuana?» «Era parecchio cambiata, a quell'ora: logica, desiderosa di parlare.» A voce più alta, soggiunse: «Prima d'interrogarla, telefonammo all'ospedale, al dottor Pumphrey, il medico che le aveva fatto i test. Disse che, dopo quattro ore, l'effetto sarebbe svanito». «Ma il dottore non la visitò, prima del vostro interrogatorio, vero?» «No, non la visitò.» «Né le rifece i test?» «No.» «Sa quando Miss Allen aveva mangiato per l'ultima volta?» «No.» «E dormito?» «No.» «Le avete dato cibo?» Per un istante, Mann parve accettare il rimprovero. «No.» «Lei conosce una sostanza chimica chiamata THC?»
Un altro intervallo di silenzio. «So che è presente nella marijuana.» «Potrebbe descrivere quali effetti ha sulla memoria?» «Non proprio. No.» «Quanto a lungo rimanga nel sangue?» «No.» «Oppure fino a che punto l'efficacia della marijuana possa essere accresciuta dalla precedente assunzione di alcol, seguita da rapporto sessuale?» Mann strinse le labbra in una linea dura e caparbia. «Non sono un medico.» Ma il perito di Caroline lo era, ed era pronto a dichiarare al processo che, a quell'ora, Brett non poteva essere sobria e che i suoi ricordi erano perlomeno confusi. Con calma, lei disse: «Ne prendo atto, agente Mann. Grazie». Il poliziotto guardò il giudice Towle, nella speranza che fosse finita. Il suo atteggiamento era cambiato: la risolutezza e l'idealismo parevano svaniti, e la caparbietà si alternava con una gran confusione. Caroline, però, non aveva ancora concluso. «Mi dica», chiese, «nel tempo che trascorse con Brett Allen, ebbe modo di farsi un'idea se fosse destrorsa o mancina?» Mann si appoggiò allo schienale. «Mancina», rispose. «E su che cosa si basa per affermarlo?» «Ricordo che continuava a ravviarsi i capelli dalla fronte, come se fosse nervosa o distratta. E usava la sinistra.» Caroline annuì. «Grazie, agente Mann. Non ho altre domande.» 4. «Sei proprio brava», disse Brett. Caroline si sentiva tutto tranne che brava. L'adrenalina accumulata in aula se n'era andata, lasciandole soltanto la spossatezza e una certa depressione. Tuttavia non credeva nella falsa modestia e, d'altra parte, era meglio accettare una maggiore pressione su di sé, se poteva servire a Brett per affrontare quell'udienza. «Sì», rispose dunque, «sono brava. E ho reagito anche meglio di quel che mi aspettassi.» Sedevano a una malconcia scrivania in una sala vuota del tribunale; l'udienza era aggiornata, e un agente in attesa fuori della porta avrebbe ben presto ricondotto Brett in prigione. Ma avevano bisogno di parlare, Caroli-
ne lo sapeva bene, anche se, forse, quello che serviva alla ragazza era soltanto un po' di tempo. «Mi è quasi dispiaciuto per lui... Il poliziotto, voglio dire», mormorò Brett. «Forse voleva aiutarti, in qualche modo. O forse, più semplicemente, la prossima volta imparerà a mentire. A San Francisco avrebbe già imparato.» L'altra parve studiarla. «È difficile, per te, mettere qualcuno così in imbarazzo?» La donna alzò le spalle. «Non ci penso. Gli avvocati non possono permetterselo. Se lo facessi, tu dove finiresti?» «È come se potessi spegnere i tuoi sentimenti. Premendo un interruttore», commentò la ragazza, stupita. Era strano, rifletté Caroline, eppure i tentativi di Brett di sondarla non le davano fastidio. «È tanto interessante?» le chiese. «Non è poi così insolito. Almeno, non per una donna.» Brett scosse la testa, sconcertata. «Sei tanto diversa da mia madre che mi viene quasi da ridere.» «Abbiamo avuto madri differenti. I geni contano parecchio.» Per la prima volta, Caroline sorrise. «Non è necessario che tu capisca tutto, Brett. O tutti.» Nel fissarsi sulla zia, lo sguardo di Brett s'intenerì. «È tutto così sciocco. Tre settimane fa, non ti conoscevo neppure. Adesso dipendo da te in tutto e per tutto. E sono maledettamente terrorizzata.» Che cos'era meglio risponderle? «Sono i processi a fare simili scherzi alla gente», disse, in tono disinvolto. «In parte, è per questo che io sono come sono. O che, quantomeno, cerco di apparirti in una certa luce.» Brett reclinò il capo. «Chi si preoccupa per te, Caroline?» Lei fece un sorrisetto storto. «E perché qualcuno dovrebbe preoccuparsi per me? Io qui sono soltanto l'avvocato.» «Un giorno», dichiarò la ragazza, fissando la scrivania, «spero che potremo essere soltanto amiche.» L'altra sorrise nuovamente. «È questo il motivo per cui cerco di tirarti fuori. Perché non sei mai venuta a San Francisco.» Il volto di Brett si rilassò, e Caroline la vide immaginare un luogo che aveva visto soltanto in fotografia o in televisione. In circostanze diverse, sarebbe stata ben contenta di starsene tranquillamente seduta in sua compagnia, e in silenzio. Ma c'era ancora parecchio lavoro da fare.
«C'è una cosa di cui non abbiamo mai parlato a fondo», riprese allora. «Quella telefonata a James. Subito prima di recarvi al lago.» Strappata dalle sue fantasticherie, Brett tornò ad abbassare gli occhi; Caroline vide che il ricordo la trascinava in un vortice di confusione o, forse, di colpa. Sommessamente, la ragazza domandò: «Perché è importante, proprio adesso?» Caroline non poteva rispondere. «Dammi retta», le disse. Qualche ora più tardi, Caroline aprì di uno spiraglio la finestra della sua camera. L'aria della notte estiva le diede sollievo. Non era ancora riuscita a dormire. Sulla scrivania, accanto a una tazza di caffè, c'era una pila di rapporti della polizia e trascrizioni d'interrogatori: di Brett, Betty, Larry, suo padre, Megan Race. In cima a tutto, il diario di Megan Race. Sedette alla scrivania e rilesse, per l'ennesima volta, le pagine fondamentali. Perfino mentre le studiava, deducendo mentalmente il suo controinterrogatorio dall'aggrovigliata scrittura di Megan, quell'intrusione le dava la nausea. Ricordava con implacabile chiarezza il proprio diario. Dopo anni e anni rammentava ancora i suoi sfoghi, dopo che David era svanito nel nulla, nei mesi in cui era rimasta a Martha's Vineyard, definitivamente separata dalla sua famiglia e con la speranza che si facesse vivo: una litania fatta di desiderio, senso di colpa, rammarico, rabbia: contro suo padre, contro Betty e, soprattutto, contro se stessa. Finché la speranza non si era spenta e, con rassegnazione e risolutezza, lei si era costretta a inventarsi una nuova vita. Il diario si era interrotto a una pagina dalla fine. Il giorno prima di partire per la California, l'aveva bruciato. Alzandosi dallo scrittoio, molti anni dopo, tornò alla finestra. Vide ancora una volta la chiesa, le case bianche, la fuga di colline tondeggianti. Una cartolina dal suo passato. Non avrebbe mai pensato di tornarci. Né avrebbe mai pensato che la decisione che aveva un tempo ritenuto fondamentale per costruirsi una nuova vita l'avrebbe poi distrutta. Aveva mentito a Brett. Provava un desiderio tanto vano quanto profondo di parlare con qualcuno. Ma non poteva farlo con quella ragazza. E, in tribunale, Caroline avrebbe presto mandato in rovina quel che rimaneva della sua amicizia con l'unica altra persona che avrebbe potuto capirla. Fra tre giorni, Megan Race avrebbe preso posto al banco dei testimoni.
Caroline tornò alla scrivania e cominciò a prendere appunti. 5. La prima immagine della mattinata fu, per Caroline, quella di Jackson che, chino sulla balaustra che lo divideva dal pubblico, mormorava qualcosa a suo padre. Una scena bizzarra, molto formale: una cortese stretta di mano, qualche parola da parte di Jackson, un leggero cenno del capo del padre. Betty e Larry finsero di non vedere. Poi entrò il giudice Towle che dichiarò aperta l'udienza, e Jackson chiamò a testimoniare il sergente Kenton Summers. Fin dal primo istante, Caroline comprese che Summers sarebbe stato un osso duro. Come Jackson ricordò sinteticamente, aveva sedici anni d'esperienza nella polizia di Stato, una formazione in medicina legale, ed era stato investigatore capo in ventisette casi d'omicidio. La grande esperienza di tribunali e di processi era letteralmente stampata sul volto rubicondo, e si leggeva nelle palpebre pesanti, nei tranquilli occhi color cobalto, in una certa assenza d'espressione. Con i capelli castani e il volto ancora giovanile, Summers non poteva aver superato di molto i quarant'anni, ma aveva l'aria di chi è al sicuro da ogni possibile sorpresa e accesso di rabbia. Fissò il registratore sul tavolo davanti a Jackson. «Prima che la interrogasse», gli chiese questi, «come descriverebbe il comportamento di Miss Allen?» Ogni volta, prima di parlare, Summers pareva soppesare le diverse risposte possibili; Caroline sapeva che era un trucco per coprire i momenti in cui l'avvocato l'avesse davvero colto di sorpresa. «Era sobria, logicamente coerente, ed era in grado di capire le nostre domande. Come la registrazione mostrerà, d'altronde.» Quasi a comando, Jackson spinse un bottone, e il nastro partì. La voce di Summers, che recitava con calma i diritti dell'accusata, invase l'aula. Accanto a Caroline, Brett si riascoltò, concentrata e pallida, rinunciare ai propri diritti. Sembrava piuttosto lucida. Tranne che per la voce della ragazza e per le domande avanzate con voce pacata dall'investigatore, l'aula era immersa nel silenzio. Avvicinandosi alle circostanze dell'omicidio, il tono di Brett passò dall'incertezza al terrore. Forse soltanto Caroline si accorse di una pausa nel racconto quando, riferendo della sua conversazione con James, la ragazza omise il particolare del litigio. Ma, mentre Brett ascoltava se stessa descri-
vere il ritrovamento del corpo, con la voce tremante per la sorpresa e per un orrore autentico, tutti in aula videro gli spasmi della sua gola. E poi il nastro giunse al punto dell'incontrovertibile menzogna. «James aveva altre ragazze?» chiedeva Summers. «No.» La voce pareva stupita e rabbiosa. «È escluso.» Brett ascoltava, immobile. Quando? scrisse Caroline sul blocco. Poi il nastro terminò. Qualcuno tossì e Jackson riprese la parola. «Da principio, diede credito alla deposizione di Miss Allen?» Summers annuì. «Era l'unico resoconto chiaro di cui disponessimo. In effetti, uno dei nostri obiettivi primari fu di cercare conferme a quanto ci aveva detto.» Era una mossa intelligente, pensò Caroline: Jackson avrebbe usato Summers per dimostrare che tutti loro avrebbero ardentemente voluto credere alla versione di Brett. «Potrebbe descrivere gli sforzi compiuti in questa direzione?» «Per cominciare, la scena del delitto. Usammo sei investigatori, due dei quali della scientifica, per delimitare sessanta metri quadrati attorno al luogo in cui giaceva il cadavere. Poi dividemmo l'area in settori di tre metri di lato. Per una settimana, perquisimmo ciascun settore centimetro per centimetro.» «Che cosa trovaste?» «Scoprimmo che potevamo facilmente seguire il percorso segnato da Miss Allen in fuga dal cadavere: c'erano rami spezzati, cespugli calpestati, macchie di sangue sulle foglie. Ma non trovammo tracce di una seconda persona. Con tutto il sangue perduto da James Case, sarebbe stato quasi impossibile per l'assassino abbandonare la scena senza lasciarsi dietro una scia di sangue sulle foglie o sugli arbusti.» Towle seguiva il teste con molta attenzione. «Intraprese altri passi per saggiare l'ipotesi, avanzata da Brett Allen, di un ignoto assassino?» chiese Jackson. «Sì.» Con un gesto della mano robusta, Summers liquidò quella possibilità. «Interrogammo gli abitanti della zona, cercando di scoprire se avevano visto tipi strani o auto nelle vicinanze del lago. Niente. Controllammo se c'erano segnalazioni di vagabondi o di effrazioni, e cercammo le eventuali tracce di qualcuno che, in tempi recenti, avesse vissuto in quel bosco. Nulla. Cercammo le prove che James Case, come Miss Allen affermava, avesse avuto problemi con un trafficante di droga. Ma non trovammo ele-
menti che indicassero un'effrazione nel suo appartamento, né denaro rubato. Interrogammo i vicini, il padrone di casa... E non scoprimmo nessuno che, stando agli elementi in nostro possesso, avesse un movente per fare a quel ragazzo ciò che qualcuno gli aveva fatto.» S'interruppe, poi concluse: «Cioè tagliargli la gola tanto profondamente che la testa era quasi completamente staccata dal corpo...» Gli ultimi particolari furono espressi con una tale decisione che perfino a Caroline occorse un istante per registrarli. «E su quali basi», Jackson riprese con calma, «giunse alla conclusione che fosse stata Miss Allen?» Summers si sfregò il mento. «Per cominciare, c'erano prove materiali. Oltre a quelle dell'agente Mann, le uniche impronte sul coltello appartenevano a Brett Allen. Trovammo le sue impronte, e soltanto le sue, sul collo della vittima e sul portafoglio. L'unico passaggio che si dipartiva dalla scena del delitto, marcato da tracce di sangue della vittima, era quello aperto da lei. Gli unici peli e capelli estranei trovati sul cadavere provenivano dalla testa e dalla zona pubica di Miss Allen. Non c'erano indizi di lotta, e gli unici segni sul cadavere, oltre alle ferite da coltello, erano alcuni graffi sul dorso; l'origine di tali graffi venne chiarita quando reperimmo frammenti di pelle sotto le unghie della ragazza. La perquisizione di Miss Allen, inoltre, evidenziò la presenza di sangue della vittima sui suoi capelli e sul corpo, e stabilì che i due avevano avuto un rapporto sessuale.» Per la prima volta, Summers guardò direttamente il giudice. «Anche se la vittima non aveva mai raggiunto l'orgasmo.» «C'erano altri elementi?» Il teste aggrottò le sopracciglia. «La natura dell'omicidio. Nella mia esperienza, i trafficanti di droga non se ne vanno in giro ad ammazzare i loro spacciatori a coltellate. È troppo pericoloso.» Aveva ragione, e Caroline lo sapeva. Accanto a lei, Brett chiuse gli occhi. «Mi parve piuttosto un omicidio per ragioni personali», riprese Summers. «Originato da un accesso d'ira, e non commesso da un estraneo.» «Non smettere di guardarlo», Caroline sussurrò a Brett, e si alzò. «Il pubblico ministero tenta d'influenzare il teste», esclamò. «Le opinioni del sergente Summers sul significato delle modalità della morte sono pure e semplici ipotesi, come tutto ciò che riguarda le modalità dell'indagine. Inoltre, come ho già avuto occasione di dire a Mr Watts, né Charles Manson né i suoi amici conoscevano le persone che hanno letteralmente fatto a pezzi.» Jackson si pose di fronte a Towle. «Vostro Onore, questo non è un pro-
cesso davanti a una giuria, e la Corte è perfettamente in grado di valutare ogni testimonianza, in ordine al reperimento della causa probabile. Per di più, ci accingiamo a dimostrare che la natura dell'omicidio appare corrispondente al movente dell'omicidio stesso.» «L'ascolto», replicò subito il giudice. «Obiezione respinta.» Caroline sedette e, lanciando un'occhiata a Brett, vide che si era ripresa. Jackson continuò. «Lei ricorderà, sergente Summers, come Miss Allen abbia dichiarato che James Case le aveva chiesto di seguirlo in California, e che - per quanto ne sapeva - non aveva altri legami sentimentali. Ha raccolto altre testimonianze che gettassero nuova luce su quella affermazione?» «Sì.» Con l'espediente di osservare qualche istante di silenzio prima di proseguire, Summers attirò l'attenzione dell'aula intera: i cronisti s'immobilizzarono, con le matite puntate sui taccuini, e Towle si sporse verso di lui. Accanto a Caroline, Brett trattenne il respiro. «Una studentessa del Chase College», riprese il teste, «ci ha spiegato che aveva con la vittima una relazione intima e continuativa. James Case le aveva chiesto di seguirlo in California, promettendole inoltre di comunicare tale decisione a Brett Allen la notte in cui venne assassinato.» L'aula fu percorsa da un fremito. In preda a una collera gelida e determinata, Caroline giurò che Jackson gliel'avrebbe pagata cara. «E lei ebbe modo di trovare conferme a quella relazione?» chiese il pubblico ministero. «Sì, dai vicini di casa.» Summers si rivolse nuovamente al giudice. «E, stando alla nostra testimone, Miss Allen ne era a conoscenza.» Nel brusio crescente degli astanti, Jackson annuì. «Basandosi su questi nuovi elementi, ebbe modo di trarre conclusioni?» «Conclusioni? Nessuna. Ma c'era un movente, una furiosa gelosia che, per di più, ci aiutava a comprendere come Miss Allen avesse agito... A mio modo di vedere, lei usò il vino e la marijuana per porre James Case in uno stato di estrema vulnerabilità durante il rapporto sessuale. Poi gli tagliò la gola prima che raggiungesse l'orgasmo.» La sua voce non aveva perso il tono sommesso e privo di enfasi. «Questo potrebbe spiegare anche perché, successivamente, gli abbia sottratto il portafoglio. Perché l'immaginario trafficante di droga, che lei si era inventata, rivoleva i suoi soldi.» 6.
Fissando gli occhi di Summers, simili a due schegge azzurre, opache e indifferenti, Caroline incominciò il controinterrogatorio. «Lei ha posto con forza l'accento sulla deposizione registrata di Brett Allen. Ma la sua dichiarazione iniziale fu resa all'agente Mann, non è così? Quando la ragazza suggerì che la polizia cercasse nelle vicinanze del lago Heron, intendo.» «Sì. Fu quello il motivo per cui l'agente Mann mi telefonò.» «Le espresse la preoccupazione che fosse stato commesso un atto di violenza?» «Sì.» «Dopodiché, lei gli consigliò di portare Miss Allen in ospedale?» «Sì.» «In modo che la polizia potesse ottenere un mandato di perquisizione?» «Se fosse parso giustificato.» «E, successivamente, stabilì che un mandato di perquisizione personale fosse giustificato?» «Sì.» «Perché ritrovaste il cadavere di James Case?» «Sì.» Caroline tacque per qualche istante. «Fondandovi sulla prima dichiarazione di Brett Allen?» Dagli occhi azzurri arrivò un primo segnale di caparbietà, l'intenzione di opporre resistenza. «Lo avremmo comunque scoperto», disse infine il teste. «Quella dichiarazione può averci aiutato a trovarlo più in fretta.» Era una buona risposta. L'uomo aveva capito in che trappola si voleva cacciarlo - buona parte delle prove contro Brett si basavano sulla sua prima dichiarazione - e cercava di evitarla. Caroline si finse sconcertata. «Il luogo in cui fu ritrovato il corpo è piuttosto difficile da raggiungere, vero?» «Sì.» «Il che avrebbe reso improbabile un ritrovamento del corpo prima che facesse giorno.» Una prima, leggera esitazione. «Può darsi.» «Mentre, a quell'ora, voi stavate già interrogando Miss Allen per la seconda volta.» «Sì.» «Infatti, alle tre del mattino, avevate già ottenuto un mandato dal giudice Deane, e perquisito la mia cliente.» Per l'ennesima volta, la risposta fu laconica. «Sì.» «E perquisito anche il cadavere di James Case.»
«Sì.» «E anche il terreno di proprietà di Miss Allen.» «Alla meglio, dato che era buio.» «Tutte perquisizioni basate su mandati che facevano riferimento alla dichiarazione di Brett Allen e al cadavere, giusto?» Summers si accigliò. «Sì.» «E lei era consapevole che la prima deposizione di Miss Allen - quella resa all'agente Mann - era stata ottenuta senza che le fossero letti i suoi diritti?» L'uomo si appoggiò allo schienale. «L'agente me lo comunicò al telefono, sì.» «Nel corso di quella conversazione, l'agente Mann e lei avete discusso se fosse il caso che continuasse a interrogare Miss Allen?» Summers dischiuse leggermente le labbra. «Sì», ammise, dopo una lunga pausa. Caroline si sentì sollevata. Perlomeno erano onesti. «E lei ha forse consigliato l'agente Mann di non interrogarla?» «Per il momento, sì.» «Per quale ragione?» Summers parve studiarla. «Per una questione d'esperienza.» «E perché la ragazza non stava fisicamente bene?» «Anche per quello.» «Insomma, lei era preoccupato non soltanto perché Miss Allen non era stata informata dei suoi diritti, ma anche perché, forse, era troppo drogata e ubriaca per rispondere in modo sensato.» L'altro scrollò quasi impercettibilmente le spalle. «Preoccupato? Non direi. Se si è in dubbio, meglio fare i test.» «E, una volta sottoposta ai test, la ragazza risultò ubriaca e sotto l'effetto della droga, giusto?» «Proprio così.» «Alle sei del mattino, lei interrogò Brett Allen. Su che cosa si basò?» Summers la squadrò. «Sulla sua richiesta.» Era una splendida risposta, una di quelle che fanno male. La donna rimase assolutamente immobile e chiese, in tono quasi disinvolto: «Ciò che intendevo era questo: l'interrogatorio era basato sul ritrovamento del corpo, sulla perquisizione di Miss Allen e sulla perquisizione della sua proprietà?» L'uomo parve esitare. «In sostanza, sì.»
«E tutto ciò si fondava sulla prima deposizione all'agente Mann, quando Brett Allen gli aveva detto dove cercare?» Summers si prese un intervallo di riflessione ancora più lungo del consueto. Sapeva benissimo che Caroline, con un po' di fortuna, avrebbe potuto eliminare dalle prove qualsiasi elemento ottenuto attraverso quella prima dichiarazione. «L'avremmo comunque interrogata non appena fosse tornata sobria», ribatté infine. «Con o senza cadavere, che avremmo comunque rinvenuto non appena si fosse fatto giorno. Ma fu lei a chiedercelo.» Un'altra risposta devastante. «Ed era sobria?» lo incalzò Caroline. «Sì.» «Chi lo dice?» «Il dottor Pumphrey.» «Che non l'ha mai vista, giusto?» Per la prima volta, lei vide Summers lottare contro se stesso. Voleva controbattere, mettersi a discutere, ma era troppo esperto per farlo. Ci avrebbe pensato Watts, si disse. «Il dottor Pumphrey la vide in ospedale», rispose. «Alle sei, invece, mi limitai a descrivergliela io.» «Per cui, alle sei del mattino, l'agente Mann e lei foste le uniche persone che videro Brett Allen?» «Sì.» «E anche lei, al pari dell'agente Mann, non è in grado di fornire un parere medico sullo stato fisico della mia cliente?» «No, soltanto un parere a occhio...» «Sugli effetti del THC sulla memoria?» «No.» «O sulla personalità?» «No.» Caroline si pose le mani sui fianchi. «E lei non può avanzare un parere medico nemmeno sul fatto che marijuana e alcol abbiano, tra i loro effetti, anche quello di provocare ciò che normalmente si definisce paranoia?» L'irritazione di Summers, osservò lei, si esprimeva in una sorta di fissità cadaverica degli occhi. «No», rispose il teste con voce chiara. La donna fece una pausa. «Quindi, basandosi su una sua supposizione, lei ritenne che Miss Allen fosse tornata in condizioni normali. A quel punto, se le avesse fornito un'informazione che riteneva fuorviante, lei l'avrebbe giudicato un atto volontario.» «Non necessariamente», rispose l'uomo, alzando un po' di più la voce.
«Dopotutto, la ragazza aveva assunto droghe e si era ubriacata...» «Precisamente. Ma ormai era sospettata di omicidio. In caso contrario, lei non l'avrebbe informata dei suoi diritti.» Summers congiunse le mani. «Se qualcuno è anche soltanto un potenziale indiziato, noi lo informiamo.» «Forse lei si comporta così», ribatté Caroline. «A quanto ne so, l'agente Mann non lo fa.» «Obiezione», intervenne Jackson. «Ha fornito la domanda e la risposta.» «Obiezione accolta.» Towle lanciò una breve occhiata alla donna. «Abbiamo afferrato il senso, avvocato. Passi oltre.» Nell'attimo di sosta che Caroline si prese per riordinare i pensieri, percepì la tensione nella gente che aveva attorno nonché l'enormità della posta in gioco... per lei e, soprattutto, per Brett. A quel punto, come le era già capitato altre volte, una benefica calma la avvolse. «Non è forse vero», domandò allora, «che dal primo minuto dell'interrogatorio, Brett Allen era già la sua principale indiziata?» Summers scosse il capo. «Principale, no. Una possibilità esisteva, certamente. Come ho detto, abbiamo seguito anche altre piste, per esempio quella del trafficante.» «Che poi è stata abbandonata, vero?» «Non c'erano elementi: né soldi nell'appartamento, né segni di effrazione...» Caroline assunse un'aria sorpresa. «A lei sembra logico che qualcuno, volendo nascondere soldi rubati a un trafficante di droga, li metta da qualche parte in casa propria?» «Obiezione», interloquì Jackson. «La difesa chiede al teste di formulare ipotesi.» «Proprio come ha fatto in precedenza Mr Watts», precisò la donna, «suggerendo in pratica al teste che i trafficanti siano troppo 'snob' per tagliare la gola a qualcuno. Mi limito ad attingere alle vaste conoscenze del sergente Summers riguardo al mondo della droga, Vostro Onore.» Towle accennò un fugace sorriso. «Obiezione respinta», disse e tornò a guardare Summers. «Be', in effetti», rispose l'uomo, «direi di no. Il proprio appartamento non è il posto più adatto per nascondere soldi rubati.» «E risponde a verità che la porta di casa di James Case non ha chiavistelli di sorta?» Summers le scoccò una lunga occhiata minacciosa. «No, non ce ne sono,
di chiavistelli.» «Mi dica, in base alla sua conoscenza del mondo criminale, uno che volesse entrare in un appartamento del genere, non potrebbe fare un calco della serratura e ricavarne così una chiave?» «Sì.» Caroline sentì su di sé lo sguardo di Jackson. Il suo battito accelerò. «Oppure potrebbe, con un po' di abilità, entrare usando una carta di credito, no?» Summers esitò, continuando a fissare la donna. «Vero», rispose finalmente. «Quanto poi all'appartamento in disordine, magari è stato James Case a rimetterlo a posto... oppure addirittura l'intruso.» «Immagino di sì.» Jackson teneva lo sguardo fisso sul tavolo. «Ora», proseguì Caroline, «lei è in grado di dire se, e in quali limiti, James Case spacciasse droga? Perché, fra l'altro, non è una cosa di cui gli studenti parlino volentieri con i poliziotti...» «Non è detto», si affrettò a controbattere Summers. «Comunque nulla prova che quel trafficante di droga sia esistito; senza parlare poi del fatto che si sia avventurato fino a quel luogo così isolato e difficile da raggiungere per assassinare James Case a coltellate. L'insieme delle prove materiali indica Miss Allen...» Era la risposta che Caroline aveva sperato di provocare. «Esaminiamole, queste prove materiali, dunque. Lei dice, per esempio, che avete trovato le impronte di Brett sul collo della vittima. Definirebbe importanti quelle impronte?» Un'alzata di spalle. «È soltanto un elemento di prova fra tanti. Non sento il bisogno di classificarlo.» «Non è forse vero che, stando almeno alla letteratura medica disponibile, nessuno ha mai rilevato un'impronta dal corpo umano?» Summers emise un silenzioso sospiro, come per cercare di ritrovare la calma. «Non saprei.» «È personalmente a conoscenza di un caso in cui ciò sia avvenuto?» «No.» «Infatti, tralasciando altre ragioni, i peli e la ruvidezza della pelle maschile renderebbero l'operazione ancora più difficile, vero?» «Però, in questo caso, Miss Allen ha lasciato un'impronta sulla pelle che circonda la ferita. Dove c'era sangue a sufficienza per trattenere l'impron-
ta.» «Il che non sorprende affatto, dato che Brett Allen afferma di averlo toccato dopo che la gola gli era stata tagliata. Mi dica, avete trovato altre impronte nel sangue?» Lui le rivolse uno sguardo gelido. «Una. Appartiene a uno dei paramedici chiamati sulla scena del delitto.» Caroline alzò un sopracciglio. «È un indiziato?» «No.» «E non ci sono altre impronte sulla pelle, che non siano quelle rilevate nel sangue della vittima?» «No. Non ce ne sono.» La donna annuì. «Anche le impronte di Brett sul coltello sono state rilevate da una macchia di sangue, vero?» «Sì.» «E così quelle dell'agente Mann?» Summers, imbarazzato, si nascose le mani in grembo. «Sì.» «Il quale agente ve le lasciò, esattamente come Miss Allen, toccando il coltello insanguinato?» «Sì.» Caroline chinò la testa di lato. «E non ci sono impronte normali sul coltello? Impronte che non siano 'stampate' nel sangue?» «Non ne abbiamo trovate, no...» «E non siete in grado», proseguì l'altra, sommessamente, «di collegare il coltello a Brett Allen, giusto?» «È così.» «Passiamo al portafoglio. Le impronte di Brett Allen furono trovate anche lì su una macchia di sangue?» Un'altra pausa di riflessione. «Sì.» «C'erano impronte normali?» «No.» «Neppure di James Case? Il portafoglio era suo.» «No.» Summers si studiò le mani. «Il cuoio normalmente non consente di rilevare impronte.» «E allora tutto potrebbe anche essersi svolto come le ha detto Brett, giusto? Trovò il corpo, cercò di fargli la respirazione bocca a bocca, e si sporcò le mani di sangue. Conseguentemente, lasciò impronte insanguinate sul collo della vittima, sul coltello e sul portafoglio. Come del resto quel paramedico e l'agente Mann.»
«Le cui impronte sono spiegabili», mormorò Summers, poi, alzando lo sguardo, concluse, in tono gelido: «Non ci sono altre impronte, avvocato Masters». «Però ci sono mille ragioni plausibili, per questo.» Caroline notò che Jackson, da qualche tempo, se ne stava perfettamente immobile. «L'assassino potrebbe aver usato i guanti...» Summers riacquistò una certa calma e compostezza. «Avvocato», disse in tono paziente, «non ci sono molti modi per stabilire se qualcuno usa i guanti oppure no.» «Precisamente. Ma se Brett avesse preso il coltello in mano, apprestandosi a tagliare la gola a James, non avrebbe lasciato almeno un'impronta pulita sul manico?» «Il manico è d'osso. Un altro materiale che non prende bene le impronte.» «Eppure anche l'unica impronta che Brett lasciò sull'impugnatura è insanguinata, giusto? Evidentemente risale a un momento successivo al taglio della gola di James.» Summers socchiuse le palpebre, e la studiò. «È giusto.» «Per cui non possono essere queste le impronte che l'hanno portata a ritenere Brett Allen un'assassina.» «Non di per se stesse, no.» Sembrava che la pazienza di Summers venisse messa a dura prova. «Deve considerare le prove materiali nel loro insieme», protestò. «Facciamolo, sergente. Scelga un elemento... un qualsiasi elemento di prova.» «È una domanda, questa?» la interruppe Jackson. Caroline lo ignorò. «D'accordo», disse, ma sempre rivolta a Summers. «Mi pare che lei abbia citato la mancata eiaculazione di James Case.» Summers annuì. «E gli esami che cosa dicono a proposito dello stato fisico di James? Era ubriaco, drogato...» «Entrambe le cose.» Caroline sorrise appena. «Per sua esperienza, l'assunzione di droga e di alcol nel maschio umano adulto non può condurre a volte, diciamo così, a una prestazione sessuale incompleta? O l'impotenza è sempre ed esclusivamente dovuta alla morte del soggetto?» Dal fondo dell'aula qualcuno tossì, per reprimere una risata. «Può essere», rispose Summers, «dovrei lasciare la parola al medico legale.»
«Lei comunque non persiste nell'affermare che la morte violenta sia l'unica spiegazione per la mancata eiaculazione di James Case?» L'uomo si lasciò andare a una prima, macabra scintilla di sorriso. «No.» «E, in questa specie di pantheon delle prove, direbbe che la mancata eiaculazione sia più o meno importante del suo mancato ritrovamento di un'altra via di fuga, diversa da quella di Brett Allen?» Summers esitò. «Meno.» «Molto meno?» «Direi di sì.» «Ci arriveremo tra un minuto, allora. Ma mi permetta di chiederle questo, prima: ha qualche motivo per opporsi alla convinzione dell'agente Mann che i capelli di Miss Allen fossero bagnati?» «Non ho nulla da dire in proposito, né in un senso né nell'altro.» «Quindi lei non ha un suo personale convincimento neppure sul fatto che Brett Allen sia andata a nuotare oppure no?» «No, non ce l'ho.» Caroline alzò un sopracciglio. «Le fotografie della polizia mostrano però l'impronta di un piede nudo sulla spiaggia, non è così?» Lentamente, Summers annuì. «Sì. Ma potrebbe essere di chiunque.» «E lei ha cercato di stabilire se potesse appartenere anche a Miss Allen?» «Non nello specifico. No.» «Una scoperta del genere non avrebbe avvalorato la versione di Miss Allen che sostiene di essere andata a nuotare, trovandosi dunque molto distante da James Case nel momento della morte di quest'ultimo?» «Obiezione», gridò Jackson. «Due domande in una. Ed entrambe invitano a formulare ipotesi.» «Soltanto perché nessuno ha fatto il lavoro di sua competenza», lo rimbeccò Caroline. «Il che rende aleatoria l'intera procedura. Ho tutto il diritto di dimostrare che - contrariamente a quanto afferma l'accusa - nessuno si è preso il disturbo di provare a credere a Brett Allen.» Towle spostò lo sguardo da Jackson a Summers, infine annuì. «Obiezione respinta.» Il teste si sistemò sulla sedia. «Potrebbe essere», ammise. «Ma non c'era modo di dirlo.» «E invece adesso c'è!» Caroline incrociò le braccia sul petto. «Stando alle foto scattate dalla polizia, non c'era anche un'impronta di stivale, seisette metri più in là, lungo la riva, in direzione del sentiero Mosher?»
Summers aggrottò la fronte. «Be', ma sarebbe potuta appartenere a chiunque. Sul luogo erano accorsi poliziotti, medici e paramedici.» «Qualcuno di loro calzava stivali?» «Non lo so.» Nella voce si coglieva una traccia di asprezza. «Per quello che ne sappiamo, quell'impronta avrebbe potuto essere di un pescatore.» «O dell'assassino...» Summers alzò le mani. «Stiamo parlando di un'unica impronta, a circa dieci metri dal cadavere! Non c'è ragione di metterli in relazione.» «La prego, mi descriva il terreno tra il corpo e quell'impronta.» Summers rimase in silenzio; da qualche minuto, le sue pause non erano più simulate. «Erba accanto al cadavere», rispose infine. «Poi sassolini fino alla riva.» «Non c'è modo di rilevare impronte dall'erba, giusto?» Un riluttante cenno d'assenso. «Non avremmo potuto trovarne.» «E i sassolini sulla riva? C'era modo di capire se qualcuno vi aveva camminato sopra?» «Sì, così sembrava... Ma poteva essere stata la polizia o chiunque altro.» Un'altra pausa, poi l'ammissione: «Anche li, comunque, non sarebbe stato possibile rilevare impronte». «Quindi può essere che qualcuno sia andato dal cadavere sino al tratto fangoso dove fu trovata l'impronta dello stivale senza lasciare altre impronte?» Summers parve studiarla. «In teoria, sì. Ma non c'era neppure la minima traccia di sangue.» «E neppure rami o cespugli su cui lasciare tracce di sangue, giusto?» «Sì, però c'erano l'erba e i sassi...» Caroline parve sbalordita. «L'erba e i sassi? Lei è convinto che questo assassino 'teorico' si sia allontanato dalla scena del delitto strisciando?» Summers annuì. «Di questo assassino non mi convince proprio nulla, avvocato...» «Risponda alla domanda, per favore. Perché un assassino che, secondo la sua versione, si era seduto sul petto di James Case avrebbe dovuto avere sangue sulle suole?» L'uomo incrociò le braccia. «Non saprei.» «Saggia risposta.» Caroline piegò la testa di lato. «Ha considerato l'ipotesi che l'assassino avrebbe potuto raggiungere il luogo con altri mezzi? Avanzando a piedi nell'acqua bassa, per esempio, o in barca...» Summers parve infastidito, poi si sforzò di recuperare la calma. «Non
abbiamo pensato all'elicottero, avvocato. Tuttavia abbiamo certamente preso in considerazione altri modi di avvicinarsi al lago, senza passare dalla proprietà di Miss Allen. E in nessun caso gli abitanti della zona riferiscono di aver visto persone o macchine sconosciute.» «Facciamo un esempio, allora. Il sentiero Mosher è la seconda via più breve per raggiungere la scena del delitto, ho ragione?» «Direi di sì.» «E termina in riva al lago?» «Sì.» «Ha cercato di appurare se c'erano tracce fresche di un veicolo, oppure impronte di piedi?» Summers la squadrò minacciosamente. «Il terreno è molto duro: fango primaverile secco. Inoltre, quella carrareccia è parecchio trafficata. Per cui non è stato possibile stabilire né chi fosse passato di lì né quando lo avesse fatto.» «Insomma: è possibile che l'assassino abbia percorso a piedi o in macchina il sentiero Mosher, abbia proseguito nell'acqua e si sia avvicinato al luogo dove giaceva James Case. Il tutto senza lasciare impronte.» «Immagino di sì. Ammettendo che nessuno lo vedesse.» «Era notte, no?» «Già.» «Bene. E con questo, abbiamo passato in rassegna le prove materiali che, secondo lei, indicano la colpevolezza di Brett Allen: il coltello, il portafoglio, le impronte, la supposta mancanza di un'altra via di fuga e la deplorevole mancata eiaculazione di James Case...» «Lei non può dividere tutto a compartimenti stagni!» sbottò l'uomo. «Tra le altre cose, c'è la disposizione delle macchie di sangue su Miss Allen e sulla vittima, come attestato dal medico legale.» «Oh», esclamò Caroline in tono noncurante, «di quello parleremo con il medico. Mi dica ancora una cosa, sergente Summers... Quando venne consegnato il referto a Mr Watts e a lei?» «Circa quattro giorni dopo l'incidente.» «E, in quel momento, eravate già in possesso dei risultati della scientifica, giusto?» «Si.» «Però non siete corsi subito ad arrestare Brett Allen, vero?» «No, infatti.» «Per cui, relativamente a quel referto, quando avete stabilito di accusare
di omicidio Brett Allen?» Un lieve sorriso da parte di Summers rivelò a Caroline che l'uomo aveva capito le sue intenzioni. «Circa cinque giorni dopo.» «Davvero?» replicò la donna con simulata curiosità. «E che cosa accadde, in ben cinque giorni, da rendere tale provvedimento così urgente?» Il teste non rispose subito. «Be', ci volle un po' di tempo per collegare le varie...» «Andiamo, sergente Summers. Non fu allora che saltò fuori il vostro testimone? La supposta amante di James Case... Megan Race?» Summers fece per parlare, poi vi rinunciò. Caroline vide chiaramente che quell'uomo sapeva di non doversi sbilanciare a proposito di Megan, anche se né Jackson né lui avevano capito il perché. «Sì», fu la sua secca risposta. «Secondo Miss Race, la notte in cui James Case morì, quest'ultimo doveva rivelare a Brett Allen che sarebbe partito per la California insieme con la stessa Megan. È così?» «L'ho dichiarato stamattina.» La donna chinò il capo di lato. «Certo che quel ragazzo scelse un modo ben strano per comunicare il messaggio, non le sembra? Magari fu per questo che non raggiunse l'orgasmo. Si sentiva troppo in colpa.» «È una domanda?» Alzandosi, Jackson lanciò a Caroline un'occhiata stizzita. «Perché, se è un'affermazione, forse l'avvocato Masters farebbe bene a lasciarla all'unica persona che è tornata viva da quell'incontro.» Era chiaro che Jackson stava per superare il limite della pazienza; la sfida rivolta a Brett perché testimoniasse era un chiaro segno che Caroline era riuscita a danneggiarlo. «Ce ne sono due, di persone», rispose, calmissima. «Brett e l'assassino.» Per un istante, lui la fissò con uno sguardo fermo. A bassa voce, ripeté: «È una domanda, Caroline?» Le aveva spezzato il ritmo e, con quell'ultima domanda, anche la concentrazione. «Sì», interloquì Towle. «La prego di andare avanti, avvocato.» Caroline annuì in direzione di Jackson e poi si rivolse a Summers. «Dalle prove raccolte sul luogo del delitto - incluso un preservativo emerge che il rapporto sessuale sia stato consensuale?» «Sì.» «E c'è qualcosa che rafforzi la sua convinzione che l'idea di avere un rapporto sia stata di Brett Allen? Oppure è soltanto un'ipotesi?»
«Devo ammettere che è un'ipotesi...» «Sergente Summers, c'è qualcun altro, oltre a Megan Race, a sostenere che James Case intendeva partire con lei?» «Sono stati visti insieme.» «Lei non ha risposto alla mia domanda, sergente. Tuttavia non insisto. Mi dica, piuttosto: ci sono prove che Megan Race e la vittima siano stati visti insieme dopo i primi di aprile?» L'altro parve studiarla con interesse. «Non abbiamo fatto domande specifiche in questo senso, avvocato.» «Mi può rispondere?» «La risposta è no.» L'uomo tacque, poi, d'un tratto, parve sollevato. «Ma come avrebbe fatto Megan Race a dirci la stessa cosa di Miss Allen, cioè che le aveva chiesto di seguirlo in California ma poi, non si sa come, era morto?» Dal banco dei testimoni, Summers la scrutò come per scoprire sul suo viso qualche segnale di apprensione. Caroline, tuttavia, si limitò a sorridergli. «Quindi lei considerò importante che Miss Race fosse al corrente del desiderio della vittima di recarsi in California?» L'altro tacque: pareva sentire la trappola, senza però vederla. «Sì», rispose infine. «E questo ne aumentò la credibilità.» Un breve cenno d'assenso. «Per me.» «Oltre a fornirle, stando alla sua testimonianza di stamani, un movente: la vittima intendeva far montare Brett su tutte le furie. È così?» «Sì.» «Insomma, per lei, questo spiegava perché Brett Allen lo avesse ucciso.» Summers le scoccò un'occhiata di sfida appena velata. «Come ho già detto.» «Ed è quindi corretto affermare che Megan Race ha una parte fondamentale nell'istruzione del caso contro Brett Allen?» «Ci sono un sacco di altre prove», protestò Summers, poi s'interruppe. «In ogni caso, la sua è una testimonianza significativa.» Per un attimo, Caroline immaginò Larry, alle sue spalle. Quando gli lanciò un'occhiata, il cognato distolse lo sguardo. Tornando a Summers, chiese: «Di fatto, non è stata la comparsa di Miss Race a causare la decisione di mettere Brett Allen in stato d'accusa?» «Obiezione. Si sta spingendo il teste a formulare un'ipotesi», disse Jackson con calma, poi si rivolse a Caroline. «Come sa bene l'avvocato Ma-
sters, la decisione non è stata sua.» Towle annuì. «Obiezione accolta.» Ma lei era già tornata ad affrontare Summers. «Prima di accusare Miss Allen d'omicidio, Mr Watts le chiese la sua opinione?» Un riluttante e lento cenno d'assenso. «Sì.» «E lei, che cosa disse?» «Che avevamo quanto bastava per accusarla.» Caroline si passò un dito sulle labbra. «E prima che Miss Race si facesse avanti, lei aveva già espresso a Mr Watts un'opinione sull'eventualità di accusare Brett Allen?» Per la prima volta, Summers lanciò un'occhiata a Jackson. «Sì.» «E qual era questa opinione?» «Che avremmo dovuto indagare ancora.» La donna lo guardò, scorgendo in lui la speranza che fosse soddisfatta dell'ammissione dell'importanza di Megan. Invece non aveva ancora finito. «Quanto tempo trascorse dal momento in cui James Case fu ucciso al momento in cui Megan Race si presentò a lei?» «Circa sei giorni.» «E lei non commentò con Mr Watts che il fatto era un po' curioso? Dopotutto, stando a Miss Race, James e lei erano così innamorati che stavano per partire insieme.» Con fare distratto, Summers teneva lo sguardo fisso su di un polsino. «Ne parlammo, certo. Ma Megan Race dichiarò che aveva avuto paura di Miss Allen.» «E lei accettò tale spiegazione?» Le spalle si alzarono in un gesto noncurante, ma lo sguardo rimase vigile. Caroline pensò che si stesse chiedendo come mai non parlasse della relazione con Larry. «Non sono Megan Race, io», rispose Summers. «Non è che le credette soprattutto perché, a suo modo di vedere, Brett Allen vi aveva nascosto perfino l'esistenza di Megan Race?» L'uomo si chinò in avanti, come se Caroline gli avesse lanciato un salvagente, e poi alzò la testa di scatto, bloccandosi. Negli occhi glaciali si leggeva una vaga perplessità, come se cercasse di capire che cosa la spingeva ad aiutarlo. «Potrebbe ripetermi la domanda?» chiese. Avvicinandosi, lei disse, brusca: «Ha creduto a Megan Race perché Brett le aveva mentito su di lei?» Summers esitò a lungo, poi si decise: «Quello fu uno dei fattori, sì». La donna sorrise. «Tuttavia, stando al nastro, lei non chiese a Brett delle
passate relazioni di James, non è vero?» Summers posò un braccio sulla balaustra e appoggiò il mento su una mano; era chiaro che non ne poteva più di un avvocato tanto cavilloso. «Non esplicitamente», ammise, poi soggiunse: «Probabilmente mi aspettavo, da lei, una risposta ragionevole». Il sorriso di Caroline divenne sardonico. «Lei, sergente, suppose infatti che ci fosse ancora una relazione tra Megan e la vittima?» «Sì.» «Allora, forse, avrebbe fatto bene a chiarirlo a Miss Allen...» Caroline fece una pausa a effetto, «... prima d'incriminarla per averle mentito.» Summers arrossì. «Almeno per me, è chiarissimo che quella non era una domanda!» sbottò Jackson. Caroline lo fissò. «Davvero? Allora non ne ho altre», disse. Poi ringraziò Summers e si rimise a sedere. Come all'inizio della giornata, l'ultima immagine di quella seduta riguardava ancora Jackson e suo padre, che la fissavano: Jackson con sospetto, Channing con uno sguardo di fredda approvazione. Volgendo loro le spalle, Caroline si concentrò sul sorriso, pieno di gratitudine e sollievo, di Brett. 7. Caroline tagliò un altro pezzetto di gruyère, e lo mandò giù con un sorso di chianti che le bruciò in gola. «Grazie per avermi portato queste cose», disse. «E grazie per le informazioni sulla madre di Megan.» Joe Lemieux sorrise. «La sua giornata è stata fruttuosa, o soltanto lunga?» Lei non rispose. La parte più difficile del suo lavoro, pensò, consisteva forse nel fingere con tutti - inclusa se stessa - di non provare nulla. Bevve un altro po' di vino. «Dipende», disse infine. «Che altro ha trovato?» Sedevano nell'ufficio di Carlton Grey. Erano le nove e la lampada sulla scrivania proiettava ombre negli angoli della stanza. «Non ho raccolto nulla di certo. Sono già tre settimane che quel tizio è stato ammazzato, e adesso nessuno ricorda di aver visto Megan. Ma, d'altra parte, è normale: quella sera così particolare per noi, non significa nulla per la maggior parte della gente... Tutto ciò che posso dirle, avvocato, lo
sapevamo già: la ragazza ha telefonato al suo capo all'unione studentesca e si è data malata.» Lei alzò le spalle. «Continui a cercare, allora.» «È quello che ho fatto. Nessuno ricorda di aver visto lei o la sua Honda azzurra, nelle vicinanze del lago.» Lemieux tacque, facendo roteare i pollici. «Parla sul serio quando dice di voler scoprire se è stata lì?» Caroline lo scrutò. «Be', se fosse stata vicino al lago sarebbe meglio, ovviamente.» «Perché basterebbe che Megan fosse stata a guardare la TV da un'amica, quella sera, e lei sarebbe appiedata.» La guardò, incuriosito. «A meno che non creda...» Il sorriso di Caroline era gelido. «Non so che cosa credo. Comunque, nel mio lavoro, non è essenziale.» Di colpo il sorriso svani, e lei chiese a voce bassa: «Ha mostrato in giro tutte le fotografie?» «Una per una.» «Manca ancora qualcuno, da interrogare?» L'uomo si studiò le punte delle dita. «Parla sul serio, eccome.» Caroline si limitò a squadrarlo. «Manca soltanto una stazione di rifornimento», riprese lui. «In cima al sentiero Mosher. Il tipo che fa il turno di notte è partito per la Florida il giorno dopo. È andato a trovare la madre. Tornerà dopodomani sera. Giovedì.» Lei parve riflettere. «Megan salirà sul banco dei testimoni giovedì, credo. Cercherò di tenercela fino a venerdì. E penso proprio che non sarà difficile.» Lemieux si limitò a interrogarla con gli occhi, senza parlare. «Sarà meglio che vada», disse poi. Caroline si appoggiò allo schienale della poltroncina. «A proposito... Megan usa preferibilmente la destra o la sinistra? Non ci ho fatto caso.» L'investigatore le rivolse un sorrisetto perplesso. «La destra, credo.» «Bene.» 8. Il dottor Jack Corn, il medico legale, aveva i capelli biondo cenere, lisci, gli occhiali dalla montatura di metallo e il sorriso cordiale di un banchiere di provincia. Quell'aspetto gentile non lasciava proprio immaginare - come Caroline invece sapeva bene - che fosse un patologo noto in tutto lo Stato,
e avesse portato l'Ufficio di medicina legale del New Hampshire a innumerevoli riconoscimenti in ambito professionale. Aveva modi cortesi e una voce pacata, con un lieve accento del Midwest. Con metodo, riferì a Jackson tutte le tappe del suo lavoro, dall'arrivo sul luogo del delitto al trasferimento all'obitorio dove, con l'aiuto di due assistenti, aveva composto e fotografato il cadavere; l'ispezione in cerca di tracce e prove; la misurazione della profondità e dell'ampiezza delle ferite; il prelievo di campioni sanguigni; la ricerca d'impronte sul cadavere. Caroline sapeva che, nella pratica, non si trattava di un lavoro piacevole; tuttavia, tra le doti di Corn, c'era anche la capacità di far apparire l'intero processo sotto una luce clinica, approfondita e scientifica. E così era evidentemente accaduto anche nella realtà. «Nel corso di queste procedure», chiese Jackson, «ha potuto determinare la causa della morte?» Il medico annuì lentamente. «La vittima è morta per una profonda ferita alla gola, che ha tranciato la vena giugulare, l'arteria carotide e la trachea. Il sistema respiratorio è stato quindi inondato di sangue; anzi, si potrebbe sostenere che James Case sia annegato nel proprio sangue.» Accanto a Caroline, Brett congiunse le mani sotto il tavolo, trasse un profondo respiro, ma non smise di guardare il testimone. «Potrebbe descriverci», domandò Jackson, «una morte del genere?» Il mezzo sorriso sparì dal volto di Corn. «Non dev'essere stata istantanea, Mr Watts. Probabilmente ha dato origine a un suono gorgogliante, emesso dalla vittima mentre si dibatteva nell'agonia, e della durata di trequattro minuti. Ciò che James Case deve avere sperimentato è l'orribile consapevolezza di annegare e di non poter far nulla per evitarlo.» Caroline vide che Brett chiudeva gli occhi. Jackson avanzò di qualche passo. «Quel suono gorgogliante, dottor Corn... Da che cosa fu causato?» «Asfissia. La vittima era incapace di parlare. Deve invece aver sperimentato quello che definiamo respiro agonico, sputando sangue dalla bocca per dieci, quindici secondi, approssimativamente.» Il medico tacque, come se stesse immaginando quel particolare momento. «Infine, è subentrato lo shock ipovolemico: un flusso insufficiente di sangue al cervello. Aggiungerei che, quanto a movimenti, è probabile che non siano stati apprezzabili. Ma, d'altro canto, la testa di James Case era in parte staccata dal corpo.» Sfiorando un braccio di Brett, Caroline sentì che era scossa dai tremiti. Le strinse il polso.
«C'è anche una seconda ferita?» «Ce ne sono tre, per la verità. La prima, cronologicamente parlando, è alla gola, ma molto superficiale... La seconda, quella letale, è sempre alla gola e assai più profonda. L'ultima è una pugnalata vicino al cuore.» Il resoconto di Corn, calmo e analitico, tratteggiava la figura di un assassino determinato, e di un'uccisione per motivi personali e passionali. «Ha determinato il tipo di ferita?» chiese Jackson. Il medico congiunse le mani. «Era una ferita da coltello. Dal modo in cui la pelle risultava strappata, appariva chiaro che si trattasse di un coltello con il bordo seghettato. Da quella considerazione, e dalle seguenti misurazioni, stabilimmo che le ferite erano coerenti con il coltello da pesca Cahill trovato in possesso di Miss Allen.» «E fotografaste il cadavere e le ferite?» «Lo fece il mio assistente. Sì.» Jackson estrasse un fascio di fotografie da una busta posata sul tavolo dell'accusa. Con riluttanza, si rivolse a Caroline, non senza lanciare un'occhiata a Brett. «Vorrebbe rivederle ancora una volta, avvocato Masters?» Rapidamente, Caroline guardò la ragazza. Aveva le sue copie di quelle foto. Ma aveva sempre pensato che mostrarle a Brett non avrebbe avuto altro risultato se non quello di sconvolgerla profondamente. «Non guardare», le bisbigliò allora. «È del tutto inutile.» Pallida, Brett annuì e distolse lo sguardo. «Sì», rispose poi la donna a Jackson. «Grazie.» Con lo sguardo fisso su di lei, Jackson sembrò esitare. Quindi le passò le fotografie e tornò al tavolo. Caroline le esaminò a una a una. Erano state numerate per facilitarne l'identificazione; nella prima - il reperto d'accusa numero ventisette - si scorgevano gli occhi sbarrati di un uomo per cui la morte era stata soltanto la fine di un'atroce agonia. Sentì che Brett trasaliva e si chiese se era l'orrore della scoperta o del ricordo. «Non guardare», ripeté. «Le altre sono peggio.» Passò in rivista le fotografie più in fretta che poté. «Grazie», disse a Jackson. Riprendendo le foto, l'uomo lanciò un'altra occhiata, rapida e spenta, a Brett. Fu allora che Caroline vide le profonde rughe ai lati degli occhi, i segni della profonda stanchezza. Anche lui era esausto. In pochi minuti, un'assistente bionda dell'ufficio di Jackson appese le fotografie in una sorta di bacheca. Perfino da lontano, Caroline riusciva a scorgere le macchie di sangue sul volto di James, e lo squarcio sulla gola.
Volgendosi verso la sua famiglia, si accorse che Betty e Larry tenevano gli occhi bassi; soltanto il padre, impassibile, sembrava studiare attentamente le fotografie. Poi sentì che Brett, accanto a lei, inspirava profondamente. «Era buio», mormorò la ragazza. «Non l'avevo visto così.» Caroline si voltò. Brett fissava le immagini con un'espressione vicina al timore. «Come si può fare una cosa del genere?» «Dottor Corn», chiese Jackson, «avete scattato queste immagini nel corso dell'autopsia?» «Sì.» «E sono compatibili con le sue opinioni sulla causa della morte?» «Sì.» Il medico lasciò il banco dei testimoni e si avvicinò alle foto; Caroline vide che il giudice, con gli occhi socchiusi ma attenti, lo seguiva. «Per esempio, il reperto ventisette mostra la distribuzione del sangue sul volto della vittima: ampie macchie in certe zone, schizzi in altre. In termini semplici, si può dire che una ferita alla trachea come quella inferta a James Case dà origine a una configurazione delle macchie simile a quella di una bomboletta di vernice che sta finendo: spruzzi e schizzi si alternano, a seconda del grado di pressione.» S'interruppe per aggiustarsi gli occhiali, poi concluse: «Dopo un certo tempo, da dieci a quindici secondi, la pressione cessa del tutto. A quel punto, tuttavia, le macchie sono già presenti». Caroline sapeva bene che cosa l'aspettava. Qualche minuto dopo - il tempo di un breve scambio di battute fra Jackson e Towle - una seconda bacheca, accanto alla prima, fu coperta di foto numerate. Brett impietrì. Nelle foto in cui si vedevano, gli occhi della ragazza avevano un'espressione istupidita dallo shock. I seni, il volto e il torace erano macchiati di sangue. «Mi dispiace», mormorò Caroline, «ma non possiamo evitarlo.» Brett teneva lo sguardo fisso davanti a sé. Forse, rifletté Caroline, era soltanto umiliazione; più probabilmente, però, si trattava dell'inquietudine provocata dall'accostamento tra il viso di James morto e quello, sconvolto, di Brett: due volti resi gemelli dalle macchie di sangue. Perfino il giudice Towle sembrava paralizzato dalle immagini. «Ha esaminato anche la distribuzione del sangue sul volto, sul collo, sulle braccia e sul corpo di Miss Allen?» riprese Jackson. «Sì.» «E la situazione descritta in queste fotografie è coerente oppure no con la conclusione che Miss Allen abbia ucciso James Case?»
«A mio modo di vedere, sì, lo è.» Irrigidita dall'ira, Brett squadrò Corn. Caroline ebbe la sensazione che il medico volesse lavarsene le mani, di quel caso. «E su che cosa fonda la sua opinione, dottor Corn?» «La distribuzione del sangue.» In silenzio, l'uomo indicò una foto del collo di Brett. «La disposizione delle macchie nel reperto trentanove, per esempio, corrisponde allo spruzzo derivato dalla prima ferita. È il tipo di spruzzo che mi aspetterei quando, nell'alterna potenza della pressione, questa si abbassa.» «E potrebbe essere messa in rapporto con la respirazione bocca a bocca, che Miss Allen dichiara di aver tentato?» «Dal mio punto di vista, no. Per esempio, non ci sono macchie da contatto sulla bocca di Miss Allen, come invece ci si potrebbe ragionevolmente aspettare. E, sebbene la respirazione bocca a bocca possa causare quel tipo di spruzzo a punta di spillo che vediamo nel reperto trentasette, non spiega la disposizione a goccia sullo stomaco di Miss Allen. Come si vede, per esempio, nella foto numero trentanove.» Si rivolse al giudice, come se tenesse un seminario a un unico studente. «Qui potrà facilmente notare la disposizione a goccia degli schizzi: sottili alla base, molto più ampi in alto. Questa forma non si può correlare alla respirazione bocca a bocca, dopo che il primo zampillo dalla ferita si era affievolito: è troppo abbondante. Potrebbe invece facilmente spiegarsi con il respiro agonico dei primi secondi.» Era davvero impressionante, pensò Caroline. «Va tutto bene», mormorò a Brett, e scribacchiò un appunto sul blocco: distribuzione sparsa. «Ci sono altri fattori a sostegno dell'ipotesi che l'omicidio sia stato commesso da Brett Allen?» chiese Jackson in tono fermo. «Sì.» Corn si voltò verso l'immagine dello stomaco di James. «Se ho inteso bene l'ipotesi accusatoria, Miss Allen ha tagliato la gola alla vittima mentre era a cavalcioni del suo torso e, forse, durante un rapporto sessuale. Noterete dalle fotografie del torace che c'è un vuoto - una sensibile diminuzione delle macchie - in corrispondenza del torace e dello stomaco. Ciò suggerisce che lo spruzzo sia stato bloccato dal petto e dallo stomaco di Brett Allen.» Towle parve annuire. «Insomma», riprese Jackson, «la disposizione delle macchie sia su James Case sia su Brett Allen avvalora l'ipotesi che lei gli abbia tagliato la gola e l'abbia accoltellato?» «Sì.»
Lentamente Jackson si voltò a guardare Brett, con gli occhi velati da una certa malinconia. «Ma come avrebbe potuto Miss Allen, così esile, infliggere ferite tanto atroci?» Corn scrutò Brett con aria cupa. «Molto facilmente.» «Su che cosa si fonda, per affermarlo?» «L'arma del delitto, per cominciare. La lama era affilata come un rasoio... Qualche anno fa, un famoso patologo, Bernard Knight, stabilì che occorre poco più di mezzo chilo di forza per far penetrare un coltello affilato in un corpo umano. D'altra parte, a pensarci bene... quanta forza occorre a un'infermiera per fare un'iniezione?» Congiungendo le mani, terminò in tono sommesso: «Si tratta di un bellissimo coltello, e ben tenuto. Con un coltello del genere, Mr Watts, una donna della corporatura di Miss Allen non avrebbe avuto la minima difficoltà a uccidere quel ragazzo». 9. Avvicinandosi lentamente a Corn e alle sue foto agghiaccianti, Caroline si sforzò di assumere un'espressione serena. «È al corrente della versione di Brett Allen, in merito all'omicidio?» esordì. Il medico la guardò, senza mostrarsi né bendisposto né sulla difensiva. «Credo di sì.» «Nello specifico: che James Case e lei consumarono vino e marijuana; che, successivamente, mentre facevano l'amore, il giovane perse conoscenza; che lei andò a nuotare; che vide un'ombra china su James; che, quando tornò, udì un suono gorgogliante; che, nella convinzione che stesse soffocando nel vomito, gli si mise sul torace e cercò di praticargli la respirazione bocca a bocca; che questo fece sì che uno spruzzo di sangue la investisse in viso e che, in preda all'orrore e allo shock, estrasse il coltello che gli vide piantato nel petto.» Di colpo, abbassò la voce: «Lei è al corrente di tutto questo, o no?» Corn intrecciò le mani. L'impressione che se ne ebbe era di un uomo che cercava di farsi coraggio. «Sì, avvocato Masters», rispose infine, «ne sono al corrente.» «Bene, e che cosa c'è che non va, in questa versione? In base al suo riesame di tutte le prove medico-legali, non potrebbe essere andata proprio come dice Brett Allen?» Lui si accigliò. «Non credo.» «Ma è coerente con l'assenza di lotta, o no?»
«Potrebbe essere.» «E con il respiro agonico, come lo descrive lei?» «Forse.» «Ah, per inciso: lei non sta dichiarando che Brett Allen abbia ucciso James Case, vero? Soltanto che potrebbe averlo fatto.» «Sì. L'identificazione dell'assassino di quell'uomo va al di là delle mie competenze.» «E l'unica ragione per cui lei preferisce la versione dell'avvocato Watts a quella di Miss Allen è che, dal suo punto di vista, gli spruzzi sul corpo della ragazza non si accordano con la respirazione bocca a bocca praticata dall'imputata?» Il medico corrugò le labbra. «È il complesso delle circostanze. Ma per rimanere alla disposizione degli schizzi, ci sono almeno due cose da rilevare. La prima, che la presenza di sangue sul torso di Brett Allen spiega la zona 'pulita' su quello di James Case. La seconda, che la disposizione a goccia di alcuni schizzi di sangue su Miss Allen non corrisponde a quella causata da una respirazione bocca a bocca.» Caroline annuì. «Va bene, dottor Corn. Partiamo dalla respirazione bocca a bocca, allora. Lei non afferma che tutto il sangue su Miss Allen non possa essere spiegato con la respirazione, è così?» «Giusto. Una respirazione bocca a bocca può aver provocato un breve spruzzo dalla gola di James Case, spruzzo che avrebbe potuto produrre il lieve schizzo trovato sul viso di Miss Allen. Ma non può, a mio avviso, spiegare la disposizione a goccia.» «Eppure, da come ha descritto la ferita mortale, almeno nei primi secondi, una distribuzione a spruzzo avrebbe dovuto alternarsi a una specie di fiotto, quasi a uno zampillo irregolare. È giusto?» «Sì.» Volgendosi verso la prima bacheca, Caroline guardò per un attimo gli occhi morti e sbarrati di James. «E, in effetti - reperto ventitré -, i rivoli di sangue sul volto di Case riflettono proprio gli effetti di un simile fiotto.» «È così.» Raggiunta la seconda bacheca, la donna si fermò accanto a una foto del volto di Brett. «Ma una simile distribuzione delle macchie sul volto di Miss Allen non c'è, giusto?» Corn tacque per un istante, poi rispose: «Non c'è. Tuttavia questo si potrebbe spiegare con la distanza». Caroline lo fissò. «Mi perdoni, dottore, ma lo 'spruzzo' arriva più lonta-
no del 'fiotto'?» «Non necessariamente. Tuttavia lei presume che Brett Allen, in quei primi secondi, tenesse il viso sempre alla stessa distanza dalla gola di James Case.» L'uomo tornò a esaminare le fotografie. «Voglio segnalare anche i reperti trentacinque e trentasei: lo schizzo più abbondante sui seni e sullo stomaco di Miss Allen.» Per un lungo attimo, Caroline si limitò a guardarlo. Poi, con una sfumatura di asprezza, chiese: «Conosce il termine 'distribuzione sparsa'?» «Certo.» «Potrebbe darcene una definizione?» Corn le lanciò uno sguardo seccato, ma anche ambiguo. «È lo schizzo di sangue provocato dall'ingresso di un oggetto affilato nel corpo umano.» «E anche dall'uscita?» «Sì, anche.» «Quali caratteristiche ha uno schizzo a distribuzione sparsa?» Corn lanciò un'occhiata alle foto di Brett. «Può produrre un effetto a goccia», ammise. «Come quello che vede su Miss Allen.» «E può un effetto simile essere prodotto dall'estrazione di un coltello da un corpo?» «È possibile, sì.» «Sarebbe dunque possibile che lo spruzzo a velocità media sul viso di Brett Allen derivasse dalla respirazione bocca a bocca, e le gocce sul torace dall'atto di ritirare il coltello?» Caroline s'interruppe, per dare enfasi alla sua conclusione: «E non dal respiro agonico che lei ascrive a James Case?» Gli occhi castani di Corn erano vigili. «Se lei si riferisce esclusivamente alla distribuzione delle macchie di sangue, e non all'intera istruttoria dell'accusa... la risposta è sì.» Caroline annuì seccamente. «Lei ci ha già spiegato che l'assenza di macchie di sangue sul torace della vittima potrebbe essere stata causata dall'assassino, seduto a cavalcioni della vittima stessa. A giudicare dalle macchie di sangue sul viso di James Case, che genere di distribuzione si aspetterebbe sull'assassino?» Corn si tolse gli occhiali, pulendoli con il fazzoletto. «È difficile dirlo, avvocato Masters. Ancora una volta, potrebbe dipendere dalla distanza.» Volgendosi, Caroline indicò i seni e le spalle di Brett, spruzzati di sangue. «Non si aspetterebbe macchie più abbondanti di queste?»
Il medico studiò le fotografie. «Tutto ciò che posso dirle», rispose infine, «è che è possibile...» «Per cui è anche possibile che l'assassino, e non Brett, abbia raccolto un più abbondante spruzzo di sangue, creando così la famigerata zona 'pulita' sul torace di James Case e lasciando a Miss Allen soltanto lo spruzzo, molto più lieve, causato dalla respirazione bocca a bocca...» «Sì, è possibile. Ma rimane l'assenza di macchie sulla bocca di Miss Allen...» Caroline alzò le sopracciglia. «Non ha avuto occasione d'informarsi, dottor Corn, di quanto tempo passò tra l'assassinio e l'ora in cui vennero scattate queste foto?» «A quanto ho capito, circa due ore.» «Più che abbastanza perché Miss Allen si leccasse le labbra o, come siamo certi che fece, che vomitasse e si pulisse la bocca, giusto?» «Immagino di sì.» Alzandosi, Corn si avvicinò alla seconda bacheca. «Ma già che siamo in argomento, avvocato Masters, noto l'esistenza di un rivolo di sangue sul collo di Miss Allen. Non si tratta né di uno spruzzo né di una goccia... piuttosto è simile al genere di fiotto che mi aspetterei dal respiro agonico.» «Un'unica traccia?» Caroline gli si avvicinò. «È a conoscenza della testimonianza dell'agente Mann, il quale prestò il suo giubbotto a Brett Allen?» «Sì.» «E la singola traccia che lei ha notato non potrebbe essere una sbavatura, causata dal contatto fra il giubbotto e la pelle di Miss Allen?» Socchiudendo gli occhi, il medico studiò la fotografia. «Sì», disse. «A questo punto, non potrei più dirlo.» Poi, volgendo le spalle a Caroline, fece per tornare al banco dei testimoni. «Già che è qui...» lo fermò lei. «C'è un'altra cosa che vorrei chiederle. Sempre a proposito di queste fotografie.» «Sì?» Caroline posò l'indice sotto un segno sul collo di James Case. «Che cos'è questo?» Corn esaminò attentamente il segno. «Sul cadavere», rispose in tono asciutto, «appariva come un'escoriazione. Lasciata forse da un dito.» «E riusciste a rilevarne l'impronta?» «No, non fu possibile... Come lei ha fatto rilevare ieri al sergente Summers, è piuttosto difficile, su un corpo maschile. Almeno in assenza di
sangue.» Towle, Caroline lo notò, era chino in avanti. Con calma, chiese: «Potrebbe essere stato difficile, dottor Corn, anche perché la persona che lasciò quel segno indossava i guanti?» L'altro chinò la testa di lato. «È impossibile dirlo. Almeno da qui.» «Allora aspetti un attimo.» Rapidamente, Caroline tornò al tavolo della difesa ed estrasse una foto dalla sua ventiquattrore. «Questo è un ingrandimento dell'area che c'interessa, sul collo della vittima. Chiedo alla Corte che sia messo agli atti come prova e sottoposto al dottor Corn subito.» Towle guardò Jackson. «Mr Watts?» Jackson si fece avanti, prese la fotografia dalle mani di Caroline, la esaminò per un tempo che parve lunghissimo e poi, senza manifestare la minima emozione, gliela restituì. «D'accordo», confermò, rivolto a Towle. «Grazie», disse Caroline, e passò la foto a Corn. Ponendoglisi accanto, indicò una linea sottile su un margine dell'escoriazione. Se è onesto, le aveva assicurato il suo esperto, il medico legale non potrà dire di no. Quantomeno, non con certezza. «Vede quella linea?» Lentamente, Corn annuì. «La vedo, sì.» «Potrebbe essere stata prodotta dalla cucitura di un guanto di pelle?» Per un lungo istante, il medico rimase in silenzio, strizzando gli occhi. «Sì», disse infine. «È possibile.» «Tuttavia sappiamo, dalle impronte nel sangue di James Case, che Miss Allen non portava guanti.» Corn pareva turbato; ma se fosse in dubbio o se gli seccasse di essere messo alle strette, Caroline non poteva dirlo. «È così.» Levò lo sguardo su di lei, aspettandosi che segnasse il punto a suo favore. Invece la donna passò la foto a Towle e disse soltanto: «Grazie, dottor Corn, può tornare a sedersi». Il medico le rivolse una rapida occhiata indagatrice, poi riprese posto sul banco dei testimoni. Di fronte a lui, Caroline si concesse un momento di pausa. «È proprio sicuro», domandò poi, «che chiunque abbia assassinato James Case fosse a cavalcioni su di lui?» Un moto di sorpresa, poi Corn riguadagnò fiducia. «Sì. Ne sono sicuro.» «E perché?» «Per varie ragioni. Lo fanno pensare la zona 'pulita' sul torace di James Case, l'angolazione della ferita sul petto - che suggerisce un colpo verso il
basso e in dentro - e la presenza di uno spruzzo di sangue sull'erba dietro il corpo.» Caroline annuì. «Va bene. Potrebbe farci una dimostrazione del gesto con cui, secondo lei, l'assassino squarciò la gola alla vittima?» Il medico esitò. Quindi, sollevato il braccio destro, piegò il polso e, con un brusco fendente verso il basso, tagliò l'immaginaria gola di James Case. «Ecco», concluse. «Questo fu il gesto.» «Grazie.» Come se qualcosa la sconcertasse, Caroline tacque per qualche secondo. «Mi scusi, ma non avrebbe dovuto usare la sinistra? Supponendo, cioè, che stesse imitando Miss Allen.» Corn parve meravigliarsi, poi accennò un sorriso. «Immagino di sì.» «E qual è la ragione per cui concorda con me?» «Le sue impronte sul manico del coltello - quelle lasciate nel sangue della vittima - appartengono alla mano sinistra.» «Proprio così.» Caroline tornò alle bacheche, e si fermò davanti a un primo piano degli squarci nella gola del ragazzo. «Lei ha misurato la profondità delle ferite al collo, giusto?» «Sì.» «Ed era uniforme?» «Ovviamente no. Come ci si poteva attendere, la profondità è maggiore nel momento centrale dello sforzo.» «Tuttavia le ferite erano più profonde da un lato che dall'altro?» Con la coda dell'occhio, Caroline vide che Jackson si agitava. «Da quel che ricordo», rispose il medico, «erano più profonde a destra.» La donna annuì. «Mi dica, dottor Corn, è a conoscenza di un fenomeno noto con il nome di 'effetto a scemare'?» Una breve pausa, poi: «Sì». «Ce lo potrebbe descrivere?» Corn lanciò uno sguardo a Jackson. «Di norma, e in termini molto generali, si suppone che la lama di un coltello entri nella gola più profondamente di quanto ne esca. Supponendo un fendente orizzontale.» «E qui, in entrambi i casi, all'estremità destra il taglio era più profondo.» «Sì.» In silenzio, Caroline incrociò le braccia. «E l'effetto a scemare che cosa suggerisce, a proposito della persona che ha ucciso James Case?» «Obiezione.» Di slancio, Jackson raggiunse il giudice. «La domanda non soltanto chiede al teste di avanzare un'ipotesi, ma accumula addirittura un'ipotesi sull'altra. A partire dal gesto con cui l'assassino avrebbe vibrato il
fendente.» «Un gesto», intervenne Caroline, «che a Mr Watts andava benissimo, finché l'assassina era Miss Allen, seduta sul torace della vittima. Ed è anche il fondamento della mia richiesta che il dottor Corn ci fornisca la sua illuminata opinione.» Annuendo, Towle si rivolse a Jackson. «Ho intenzione di consentire al teste di rispondere. E di valutare da me tale risposta... Prego, dottor Corn.» Il medico scrutò Caroline. «È soltanto un'ipotesi. Però, se non mi sbaglio sul modo in cui le ferite vennero inflitte, è più probabile che l'assassino non sia mancino.» Alle sue spalle, la donna sentì che l'aula era percorsa da una certa agitazione. «Grazie», rispose, asciutta. «Non c'è altro.» 10. «Allora», esordì Jackson, «ci offrirai il vero assassino? O preferisci un fantasma senza nome?» Caroline alzò le spalle. «Non lo so ancora.» Erano le sei, e si trovavano sotto gli alberi dei giardini davanti al tribunale. I giornalisti erano andati a stendere le loro cronache, nelle quali si diceva che Caroline aveva chiesto a Jackson di rinunciare al processo. Brett era rientrata in prigione e il resto della famiglia aveva fatto ritorno a Masters Hill. Per cui erano soli, nella luce della prima sera. Lei si liberò delle scarpe. Jackson era nervoso, si disse. La trattava con un misto di familiarità e di sfiducia, e le parlava in tono sardonico. Però, se l'aveva avvicinata, un motivo doveva pur esserci, e Caroline credeva di sapere quale fosse. Inspirò profondamente, il viso rivolto al sole che tramontava, godendosi il silenzio di Jackson. «È strano», osservò, «starsene chiusi là dentro tutto il giorno. Ti dimentichi che fuori c'è il mondo.» Con le mani in tasca, l'uomo si guardò attorno. Connaughton Falls si trovava nel cuore della valle che abbracciava Resolve e la vista di quelle colline e foreste era loro familiare sin dalla fanciullezza. «Ti è mai mancato, tutto questo?» le chiese. «Un po'. Perché sapevo che non sarei mai tornata.» Lui la guardò di sbieco. «Be', sei qui», disse infine. «E sei il miglior avvocato che abbia mai visto. Ci sono i bravi avvocati - come me - e poi quelli che hanno una marcia in più.»
Parlava in tono distaccato, e in quella freddezza Caroline lesse un messaggio preciso: sono in grado di riconoscere le tue qualità, perciò mi ritengo anche abbastanza sveglio da batterti. «Da come parli», ribatté, «la difesa di Brett sembrerebbe una questione di talento. Forse dovresti cominciare a pensare che c'è qualcos'altro.» Jackson si voltò, in modo da poterla guardare in faccia. «La difesa di Brett, sino a qui, consiste in una possibilità sommata a una congettura, in un 'potrebbe' più un 'dovrebbe' più un 'forse'. Quello che m'impressiona è la tua capacità di assimilare una vera e propria montagna di pareri di esperti e di periti, il tutto in dieci giorni, e di trovare qualche buco nero nella deposizione di ogni teste, in modo da tirarne fuori qualche altra 'possibilità'.» Lei scosse la testa. «I buchi ci sono, e le possibilità sono reali. Il tuo problema - il problema dei tuoi testimoni - è che, quando Megan Race è arrivata con un movente, vi siete messi a fare ipotesi a tutto spiano, convincendovi di trovarvi di fronte a una specie di omicidio a porte chiuse, di non aver bisogno di altri indiziati.» «Già», ribatté lui, duro. «Megan. La testimone di domani.» L'affermazione non richiedeva risposte, e Caroline non ne diede. Dopo un po', Jackson si tolse la giacca, si allentò il nodo della cravatta e sedette sull'erba, con la schiena contro un albero. «Quindi Megan è un problema. Ma per chi? Per me, per Brett o per te?» Lei gli sedette accanto, con lo sguardo distante, fisso sul prato. «Per uno di noi due», rispose tranquillamente. «Per Brett, nemmeno lontanamente.» «E tu non mi dirai nulla.» «Non posso. Per il bene di Brett. A meno che tu non rinunci davvero a mandarla sotto processo.» «Ma non posso farlo, e tu lo sai maledettamente bene. Non senza una ragione.» La donna scrollò le spalle. «Dunque, eccoci qui.» «Anche se una ripassata centimetro per centimetro dell'appartamento di Megan rivelasse strane impronte?» mormorò lui. Caroline assunse un'espressione impenetrabile. «Se ho capito bene», rispose freddamente, «stai ipotizzando un conflitto tra i miei interessi e quelli di Brett. O dovrei parlare di ambizioni?» Jackson scosse la testa. «Sto cercando di capirti, Caroline, e non ci riesco.» «Allora, forse ti aiuterà sapere», replicò lei, «che ho messo da parte le
mie ambizioni. Adesso sei l'unico di noi due che si augura di diventare giudice.» Lui la fissò in silenzio, senza comprendere. Allora Caroline, d'istinto, lo prese per un braccio. «Tu sei l'ultimo pubblico ministero che avrei desiderato per questo processo. Ma è davvero l'unica cosa che posso dirti.» Jackson fissò la mano che gli stringeva il braccio. «Per via di Brett?» «Sì.» Lentamente, liberò il braccio dalla stretta di lei e sussurrò: «Allora lasciamo da parte Megan e parliamo del punto in cui siamo adesso». Caroline ebbe una strana sensazione. Poi però quell'automatismo che l'aveva accompagnata per tutta la sua vita da adulta tornò a operare: le emozioni svanirono, lasciando il posto alla riflessione. «Mi vuoi proporre un'incriminazione per omicidio colposo», disse. Jackson sorrise, ma senza allegria. «Come hai fatto a indovinare?» «Ed è compresa una durata della pena, nella proposta?» «Dieci anni.» Il sorriso di lui svanì. «È valida per un giorno soltanto, Caroline. Fammi sapere qualcosa domani, prima della seduta.» Lei si sentì invadere dal gelo. «Credevo che la cosa non riguardasse la tua primadonna delle testimonianze. E qualsiasi cosa io abbia in serbo per lei...» Jackson socchiuse gli occhi. «E io credevo che tu non avessi un conflitto d'interessi. Non so che cosa tu abbia preparato per Megan. Tuttavia non posso modificare un caso già istruito e Fred Towle non mi farà sgambetti, perché le tue domande hanno ruotato attorno al ragionevole dubbio, e non alla causa probabile. Ma a una giuria del New Hampshire dovrai servire qualcosa di più di una pantomima interpretata da un trafficante di droga destrorso e con i guanti, che arriva in canoa mentre Brett nuota, taglia la gola a James, e se ne va pagaiando. Alla fin fine, non funzionerà.» Lei temeva proprio che Jackson avesse ragione. «E allora perché mi fai quella proposta?» «Perché, tra droga, alcol e gelosia, mi aspetto che tu riesca a convincere la giuria che Brett abbia agito senza premeditazione. E potrebbe perfino essere giusto così. Quello che non puoi garantirle, invece, sono i dieci anni di galera.» Abbassò nuovamente la voce. «Uscirebbe a trentadue anni, Caroline. Le restituiresti la vita. Non è un prezzo troppo alto per ciò che mostrano quelle fotografie.» «Quelle fotografie», ribatté Caroline, «potrebbero non essere mai incluse
tra le prove... almeno le foto di Brett, intendo. Quasi tutto ciò che hai in mano è la diretta conseguenza della sua prima dichiarazione all'agente Mann, dichiarazione che non avrò problemi a eliminare. Il che trasformerà parecchie altre cose - le foto, le perquisizioni di Brett e del terreno, la seconda deposizione - in un pugno di cenere.» Jackson posò le braccia sulle ginocchia piegate, osservandola serenamente. «Te lo dico io, che cosa accadrà. Riuscirai a levare di mezzo la prima deposizione di Brett e forse, con un bel po' di fortuna, anche la seconda. Ma tutte le prove materiali connesse con il ritrovamento del cadavere rimangono, perché avremmo trovato quel corpo anche senza il suo aiuto. E al processo, poi, Brett dovrà comunque fornire la sua versione, dando a me o al mio successore la possibilità di controinterrogarla. Nessuna giuria potrebbe perdonarle di non riuscire a spiegarsi, di fronte a tutte quelle prove.» Caroline lo fissò. «'O al mio successore'?» ripeté. «Già. Ho scoperto che questo caso non me lo godo come dovrei.» Caroline si appoggiò al tronco. Era disgusto o prudenza? si chiese. La profonda e crescente tensione che notava in lui poteva derivare dallo scontento per ciò che stava facendo, dalla paura di perdere la nomina a giudice, o da quel predominio del dubbio sull'accanimento tipico della maturità. In base alla sua esperienza, si disse, probabilmente si trattava di tutte quelle ragioni messe insieme. «Avresti mai immaginato, al liceo», riprese lei dopo un lungo silenzio, «che un giorno avremmo fatto una chiacchierata del genere?» Jackson le rivolse quel suo sorrisetto obliquo che, negli anni, non era cambiato affatto. «Anche se l'avessi immaginato, Caroline, non avrei certo supposto le emozioni con cui avrei vissuto questa situazione.» Caroline rimase in silenzio, senza sapere bene perché. Poi comprese: quella sarebbe stata probabilmente l'ultima conversazione amichevole con Jackson Watts. Distogliendo lo sguardo, lo fece scorrere sul prato, sugli alberi, sulle ombre crescenti. «Ne parlerò a Brett», concluse. «Ma, se tu insisti nel chiamare Megan a testimoniare, vorrà andare avanti.» Quella sera, ogni tratto tipico di Brett - i vivaci occhi verdi, i riccioli castani, le rapide movenze delle mani - sembrava percorso da un fremito di angoscia repressa. Appariva tanto più vera di come si sentiva Caroline, in
bilico sul precipizio del dubbio. Per cui, il lungo silenzio di Brett la sorprese. «Forse non mi sono spiegata bene», mormorò la donna. «Ti sei spiegata benissimo.» Lo sguardo di Brett era fermo e penetrante. «Dieci anni e poi fuori. Sto soltanto cercando d'interpretare ciò che non mi dici.» Caroline sentì due pensieri che s'intersecavano. E ricordò un caso che aveva fatto discutere tutti gli Stati Uniti, qualche tempo prima. Un uomo, un personaggio molto famoso, era stato accusato di aver brutalmente ucciso la moglie. E lei aveva capito che quell'uomo era davvero colpevole quando, due mesi dopo l'omicidio, l'uomo, su consiglio del proprio addetto alle pubbliche relazioni, aveva offerto una lauta ricompensa per chiunque avesse individuato il «vero» assassino dell'amata madre dei suoi figli. «Mi chiedevo», si decise a dire, «che cosa risponderesti se ti domandassi chi, secondo te, ha ucciso James. Un trafficante di droga?» «No. Non lo credo più», rispose la ragazza, continuando a fissarla. «Non più di te.» Sorpresa, l'altra parve esitare, poi chiese: «Ma allora, chi è stato?» «È questo che mi terrorizza. Ho guardato quelle foto per tutto il giorno. E adesso non faccio che pensarci.» In tono più sommesso, proseguì: «Una cosa è il ricordo, e un'altra è quello che sai e basta. E io so che una cosa del genere non avrei mai potuto fargliela. Non conosco nessuno che sarebbe capace di tanto». Nella spoglia stanza gialla, Caroline la studiava: quel momento portava con sé gli echi di tante altre conversazioni in altre stanze. I rischi barattati con gli anni. Eppure era completamente diverso. «Ma tu che cosa pensi, Caroline?» La voce di Brett aveva assunto un tono ironico. «Sono così chiusa nella mia innocenza da dimenticare che tu sei l'avvocato.» «Forse non riesco a essere distaccata come dovrei», rispose la donna, avvertendo una fitta di pena. Brett le rivolse una breve occhiata curiosa, poi abbassò ulteriormente la voce: «Questi ultimi tre giorni sono stati orribili. A volte è difficile anche soltanto pensare a come si sentano gli altri. E non te ne importa granché». «Non ce n'è motivo. Ma la mia opinione è davvero così importante, per te?» «Sì. Adesso sì.» Caroline inspirò profondamente. «Io non accetterei la proposta di Ja-
ckson.» Brett la fissò. «Perché?» «Perché qualsiasi avvocato difensore un po' in gamba sarebbe in grado di ottenere un'offerta del genere anche più avanti... Perfino l'istruttoria di Jackson dice chiaramente che è omicidio volontario.» Tacque, schiacciata dal peso delle sue ultime parole. Poi riprese: «Ovviamente, per me è più facile dirlo. Se tu patteggi dieci anni adesso, non corri più rischi. Niente più processo, né paure. Cominci semplicemente a far passare il tempo, nella speranza che, quando uscirai, ti rimanga ancora una vita: una carriera, i figli, chissà. E, magari il successore di Jackson sarà un duro, e questa possibilità di accordo non ti si ripresenterà... Eppure non sarò io a consigliarti di accettare, Brett. Perché - anche se dirlo mi terrorizza - credo di poter ottenere di meglio, per te». La nipote la guardò, colma di speranze e di dubbi. Quindi chiese, piano: «Per via di Megan?» Per un lungo istante, Caroline non rispose. «Sì», ammise infine. «Quantomeno, per via di Megan.» 11. Certe giornate di dibattimento, pensò Caroline, portano con sé qualcosa di speciale. Normalmente lo avvertono soltanto i legali, talvolta anche il pubblico. Ma Megan Race portò con sé qualcosa di ancora più strano: la sensazione che, per lei, quello fosse un momento-chiave. Pareva estremamente consapevole di quanto la circondava - i giornalisti, la famiglia Masters, la centralità della sua deposizione -, in modo simile a quello di un'attrice che, fingendo d'ignorare il pubblico, mostra invece di tenerlo ben presente con il portamento, la precisione dei gesti, l'inflessione delle parole, l'eloquenza dell'immobilità. Fin dal primo istante, mentre si dirigeva verso il banco dei testimoni, alta, dritta e piena d'orgoglio, Megan indusse tutti quanti al silenzio. Caroline era certa di essere l'unica a percepire la possibilità di un rarissimo evento processuale: un crollo psichico, al quale non sarebbe stato piacevole assistere. Ma quella era soltanto l'ultima, e la più insignificante, delle molte ragioni per cui desiderava che quel giorno non fosse mai arrivato. In privato, e in poche parole, si era spiegata con Jackson, dopo averlo fermato in un angolo dell'atrio. «Brett non può accettare», gli aveva comu-
nicato. «Tra l'altro, insiste nel proclamarsi innocente.» Lui l'aveva guardata in silenzio, con la stessa calma forzata che lei provava. «Posso chiederti che cosa le hai consigliato?» aveva ribattuto. «Di rifiutare, temo», aveva ammesso lei, scrollando le spalle. «Per cui, rieccoci allo stesso punto.» Per qualche istante, Jackson si era limitato a osservarla. «Continuo a sforzarmi di capirti...» aveva confessato. «Non le crederai davvero, no?» «Ho cominciato a vagliare l'ipotesi, Jackson. E dovresti pensarci anche tu», era stata la replica di Caroline. «Vorrei poterti parlare sinceramente di Megan. Però andrebbe contro gli interessi di Brett.» Lui aveva sorriso senza allegria. «Oh, be'...» aveva commentato, e, volgendole le spalle, si era diretto verso l'aula. Per Caroline che lo guardava, il momento era stato molto più triste di quanto Jackson immaginasse. Tuttavia, in quel momento, seduta accanto a Brett, sapeva perfettamente quel che doveva fare. Brett, com'era naturale, non avvertiva nulla di tutto ciò. Era concentrata su Megan: la guardava con una fredda collera, una collera che la donna trovava quasi tonificante. «Che genere di persona può essere, se trae piacere da una cosa del genere?» le sussurrò la ragazza. Le cose stavano esattamente così, rifletté Caroline, e Brett ne aveva colto il nucleo: quell'aula di tribunale appagava il narcisismo di Megan. Seppure preoccupatissima per Caroline, e con tutte le ragioni per esserlo, alla fine Megan non era stata capace di rinunciarvi. «Preparati a una lunga e dura mattinata», bisbigliò la donna a Brett. «Dopo, però, le cose andranno meglio.» A testa alta, con gli occhi fissi davanti a sé, Megan giurò di dire la verità. Caroline si voltò a guardare la sua famiglia. Channing fissava Megan con uno sguardo gelido, come se fosse un insetto. Per qualche motivo, la donna trovò quello sguardo più agghiacciante dell'ira; forse era il ricordo della prima, terribile consapevolezza (risalente alla notte in cui David era sparito nel nulla) di come Channing Masters potesse liquidare il diritto di un'altra persona a un minimo di comprensione umana. Nonostante le molte somiglianze, era stato proprio quel diverso tratto caratteriale a rendere Caroline un avvocato difensore; ed era lo stesso tratto che la rendeva figlia di Nicole Dessaliers. Come di riflesso, Caroline posò lo sguardo sulla sorella.
Betty, pensò cupamente, non aveva le risorse del padre: era pallida, con i lineamenti distorti dalla paura e dalla rabbia, una rabbia non troppo diversa da quella di una madre il cui bambino è preso di mira da un bullo, sebbene molto più intensa. Altra cosa era invece la paura che quanto amava di più potesse esserle strappato, per ragioni incomprensibili: questo sentimento, infatti, non cessava di tormentarla. Fortunatamente non sapeva che era stato Larry, tradendo la sua fiducia, a mettere a repentaglio la sicurezza di Brett; nemmeno Caroline sarebbe riuscita a trarre soddisfazione da ciò che questa scoperta avrebbe fatto patire a Betty. Accanto a lei, Larry le stringeva una mano, incapace di guardare Megan. Con un movimento certo non dettato dalla pietà, Caroline si assicurò che Larry notasse che lo stava guardando. E non distolse gli occhi finché lui non fu costretto ad abbassarli. Maledetti tutti, pensò Caroline. Sotto il tavolo, prese una mano di Brett e sentì le dita della ragazza chiudersi sulle sue. Sottovoce, la rassicurò: «Non preoccuparti». Sul banco dei testimoni, Megan pareva l'incarnazione del dolore e della dignità. Indossava un austero abito blu, da colloquio di lavoro. E Jackson fece apparire i suoi primi passi alla ribalta proprio come un colloquio di lavoro. «Che media ha, al Chase College?» Megan congiunse le mani. «Tre virgola sette», rispose. «Il massimo è quattro.» Come atteggiamento, è un po' borioso, pensò Caroline. E infatti Jackson abbandonò rapidamente quell'argomento per passare alla parte più accattivante della storia: che Megan, finito il liceo con il massimo dei voti, era al Chase grazie a una borsa di studio parziale; che il padre era morto quando lei aveva dodici anni; che lavorava per pagarsi gli studi. Come incantata, Caroline seguiva Jackson che continuava a indorare il personaggio di Megan, chiedendosi se sospettasse che l'unico particolare importante fosse in effetti la perdita del padre. «E sua madre e lei siete unite?» stava chiedendo Jackson. «Molto. Da quando è morto papà, siamo rimaste soltanto noi due. Ma il sogno di papà era che io potessi andare all'università, e ci siamo dedicate a realizzarlo.» Tacque, abbassando gli occhi. «Sino a poche settimane fa, il fatto di frequentare il Chase College era il suo sogno divenuto realtà.» «Ci siamo», sussurrò Caroline.
Jackson tacque per qualche istante, come per consentire a Megan di riprendere il controllo. «Conosce l'accusata, Brett Allen?» Per la prima volta, Megan si voltò verso Brett. La sua rapida occhiata fu al tempo stesso subdola e provocatoria. «Sì, la conosco», rispose, con voce rotta. Fino quel momento, dovette riconoscere Caroline, Megan era stata davvero perfetta. «Non toglierle gli occhi di dosso», sussurrò a Brett. «Falle sentire la tua presenza.» «E conosce altri membri della sua famiglia?» domandò Jackson. Con la coda dell'occhio, Caroline vide Larry abbassare gli occhi. «Suo padre.» Megan tornò a intrecciare le mani. «Ma soltanto come docente in uno dei miei corsi. Sono andata qualche volta nel suo studio, a porgli alcune domande sulla materia.» «E che voto ha preso in quel corso?» «Il massimo.» «Nutre animosità nei confronti di un qualsiasi membro della famiglia Allen?» Megan puntò in alto il mento, mostrando un collo lungo ed elegante. Si era fatta tagliare i capelli biondi, che adesso le sfioravano appena le spalle. «Soltanto nei confronti di Brett Allen.» Era una buona risposta, pensò Caroline; comunque andasse a finire, quella ragazza era stata addestrata con cura. «Può spiegarci, Miss Race, la ragione di tale animosità?» Megan spalancò gli occhi, turbata nel rievocare la perdita subita. A bassa voce, dichiarò: «Perché James Case e io ci amavamo». Quella risposta così lineare e ingenua, pensò Caroline, veniva certamente da Jackson. Questi abbassò a sua volta il tono, per adeguarlo a quello della teste. «Quanto durò la vostra relazione?» Megan rialzò il mento. «Cominciò in febbraio. E continuò fino al giorno della sua morte.» «Si trattava di una relazione intima?» «Sì. E molto intensa.» La risposta aveva un tono deciso e fiero. «Sul piano fisico ed emotivo.» La mascella di Brett si contrasse. Caroline, da parte sua, avvertì un brivido di disagio: quella che avevano appena ascoltato non era la rivendicazione di un'intimità, bensì l'espressione di un bisogno di Megan, il triste segreto di una giovane donna che Caroline aveva visto, in un mo-
mento di solitario abbandono, toccarsi davanti allo specchio. Come se le avesse letto nel pensiero, Megan la guardò. Caroline le sorrise. Quando Jackson riprese la parola, la ragazza trasalì. «Vi vedevate spesso?» Una certa, distratta titubanza parve impadronirsi di Megan. «Almeno due volte alla settimana.» «Come mai non più spesso?» «La sera lavoro, e devo anche studiare. La mia borsa di studio è vincolata a un certo rendimento, e non copre ogni spesa. James, poi, doveva pensare, decidersi.» «Decidersi? A che proposito?» Megan si sfiorò la spalla. A Caroline parve che il gesto manifestasse una specie di sensualità vedovile, il ricordo delle carezze di un amante perduto. «Fra Brett e quanto aveva trovato in me.» Sul viso di Brett si dipinsero la rabbia e il disgusto; al di là dell'accavallarsi delle reazioni emotive, Caroline sentì in quell'atteggiamento il tipico disprezzo da figlia del New England per chi dà spettacolo di sé. Ma fu un secondo pensiero a colpirla più profondamente: Brett le parve troppo autentica perché potesse esistere un'altra lei, nascosta eppure pronta a saltar fuori sotto l'influsso del vino e della droga. «Allora, per quanto capì, James era impegnato con Brett nel momento in cui cominciaste a vedervi?» «Sì.» La voce della ragazza assunse un tono sentenzioso e un po' malinconico. «Stava chiaramente cercando una via d'uscita. Ma, come molti uomini, provava un ingiustificato senso di colpa.» Caroline non si prese neppure la briga di alzarsi. «Mi chiedo, Vostro Onore, se non potremmo limitarci a quanto la vittima fece, invece di ascoltare ciò che Miss Race ama pensare di lui. Ammesso che capisca la differenza.» Il tono flautato della donna celava una tale ostilità che Jackson, convinto che Caroline intendesse procedere con maggiore cautela, le rivolse un'occhiata di genuina sorpresa, rispecchiata persino nelle sopracciglia alzate del giudice. «Be'», osservò Towle, «la cosa migliore è probabilmente lasciare che gli eventi parlino da soli.» Guardò Megan e soggiunse, in tono cortese: «Continui, Miss Race...» Megan però fissava Caroline e il suo aspetto fiero si era come irrigidito. Non ci arrivi, vero? pensò la donna. «Grazie, Vostro Onore», rispose poi,
senza tuttavia distogliere lo sguardo dalla teste. «In ogni caso», intervenne Jackson, «vi fu un periodo in cui James vedeva sia lei sia Miss Allen?» Megan, di scatto, si voltò di nuovo verso l'uomo. «Sì.» «E Miss Allen ne era al corrente?» «Sì.» «E lei come comprese che lo sapeva?» Per un breve istante, la teste parve turbata. «Me lo spiegò James... Dapprima non riuscii a crederci: ci seguiva.» Ben fatto, pensò Caroline. Una storia bizzarra che, retrospettivamente, con la morte di James, era divenuta agghiacciante. Questa volta, si alzò. «Obiezione. Si cerca d'influenzare la teste. Il resoconto di Miss Race sulla supposta consapevolezza di James Case è di seconda mano, mi sembra evidente.» «Ovvio che lo sia», ribatté Jackson. «Ma è ammissibile per un'eccezione normalmente applicata: la si presenta non per la verità dell'asserzione bensì per descrivere lo stato d'animo di James Case...» «E allora a che le serve?» sbottò Caroline. «Tra l'altro, contribuisce a spiegare il successivo comportamento di James verso Miss Race e Miss Allen.» Towle annuì, e si rivolse a Caroline. «Obiezione respinta, avvocato Masters.» Lei tornò a sedersi. Come aveva previsto, anche la più piccola conferma produceva in Megan un vero e proprio senso di trionfo; le brillavano gli occhi e si guardava in giro con atteggiamento arrogante. Poi, chinata la testa, tornò a interpretare il suo ruolo. «Si è mai accorta che Brett Allen vi seguiva?» domandò Jackson. Un lieve, riluttante cenno d'assenso. «Sì.» «Quando?» La ragazza fissava il vuoto; ancora una volta, pareva immersa nel ricordo dello shock subito. «Quando entrò di sorpresa nell'appartamento di James e ci trovò insieme.» Caroline si accorse che Brett, seduta accanto a lei, stringeva il bordo del tavolo. «In quali circostanze?» chiese Jackson. Megan socchiuse gli occhi e, in un tono in cui si mescolavano ritegno e orgoglio, rispose: «Stavamo facendo l'amore. Nel letto di James». «Questo è un aiuto», mormorò Caroline. Ma Brett, almeno in apparenza, non la sentì. Aveva l'aspetto angosciato che lei aveva già visto tante altre
volte: l'aspetto di chi è intrappolato in un'aula di tribunale, e ascolta una versione della sua vita che non può contestare, chiedendosi soltanto in quale modo gli altri interpreteranno le sue reazioni. In silenzio, la donna le sfiorò una mano. «So che è difficile», disse Jackson, «ma potrebbe descriverci l'accaduto?» Megan rimase per un po' in silenzio, distogliendo lo sguardo. «James era sopra di me. Perciò fui io la prima a vederla.» «Prosegua.» Scosse la testa, come incredula al ricordo. «Brett ci fissava a occhi sbarrati. Poi fece uno strano, folle sorriso, pieno d'odio... A quel punto, credo di aver gridato. Non ne sono sicura. Ricordo invece che gli occhi di James si riempirono di terrore. Quindi lui si voltò. Dapprima Brett si avventò contro di me. Mi chiamava puttana e cercava di graffiare la faccia a James e di arrivare a me.» Automaticamente, Megan si toccò il viso. «Ero in preda a un tale sbalordimento che non seppi far altro che coprirmi con il lenzuolo...» I polpastrelli di Brett, che continuavano a stringere il bordo del tavolo, erano ormai bianchi. «Sta per arrivare il nostro momento», bisbigliò Caroline. «Ma James fu meraviglioso.» Megan scosse la testa, poi riprese: «Non so come ci riuscì, però la circondò con le braccia, impedendole di avanzare. Si dimenava, lottava...» Le mancò la voce. «Sì?» «A un certo punto lei si sporse all'indietro, gli sputò in faccia e gli disse: 'Ti ammazzerò, per questo'.» Pensando a Brett, Caroline sentì chiudersi lo stomaco. Megan alzò la testa. «Non me lo dimenticherò mai», riprese con voce tornata chiara. «James con il volto sporco di saliva e gli occhi, verdissimi, pieni di paura. Poi, a voce bassissima, lo ripeté. Per essere certa che lui avesse capito: 'Ti ammazzerò'.» Si toccò la fronte. «E così, d'un tratto, era sparita.» Le ultime parole, pronunciate in tono lievemente tremulo, si lasciarono dietro un'eco: Brett non se n'era andata, diceva quell'eco. Perché l'aveva ucciso. «Va tutto bene», mormorò Caroline a Brett. Ma Jackson lasciò che quel momento lasciasse una traccia palpabile nello sguardo pacato e infelice di Towle, nella stenografa che, con gli occhi
fissi su Megan, stava scrivendo all'impazzata, ma soprattutto nella stessa Megan, improvvisamente così immobile, così evidentemente lontana. Era facile capire che quella ragazza aveva fatto sua l'istruttoria di Jackson. Infine, gentilmente, quest'ultimo le chiese: «Quale effetto ebbe questo episodio sulla sua relazione con James?» «Continuò a vederla.» Megan adesso pareva recitare, esausta, una tragedia che conosceva a memoria, senza poterne cambiare il finale. «Lei aveva anche minacciato di uccidersi, capisce?» Brett si chinò in avanti. «Gesù...» «Obiezione.» Caroline si alzò di nuovo. «Ancora una volta, il teste riferisce cose che ha sentito dire. Vorrei sapere di quale stato d'animo stiamo parlando, adesso.» «Di quello della vittima», rispose Jackson, brusco. «Come la prossima domanda mostrerà chiaramente.» Towle annuì. «Proceda.» Megan attendeva, paziente e composta, cortese e scoraggiata. Per Caroline, quel portamento era inteso a suggerire che non voleva vendicarsi, bensì tener fede a un uomo che aveva amato. «E questo, Miss Race, influì sul modo in cui James e lei continuaste a vedervi?» chiese Jackson. Lentamente, lei annuì. «James disse che avrebbe voluto liberarsene, ma si sentiva responsabile. Ritengo credesse davvero che, se avesse rotto con lei, Brett avrebbe potuto farsi del male.» Giunse le mani davanti al viso. «Entrammo quindi in quella fase che allora mi parve interminabile e che adesso mi sembra tanto breve... In pratica, diventai l'amante di James. Era un segreto che nessuno doveva conoscere. Passavamo le notti soltanto a casa mia, non vedevamo assolutamente nessuno... come se fossimo al sicuro soltanto dentro il nostro segreto. Una parte di me odiava quella finzione. Tuttavia ricordo che lui mi leggeva poesie, o recitava le scene di una commedia, e allora mi rendo conto che avevamo scoperto una cosa: di non aver bisogno di nessun altro. Ciò che avevamo, sentimentalmente e come amanti, riusciva a trasformare il mio appartamento in un intero mondo.» Alzò di nuovo il capo, e concluse: «Non avevamo bisogno di nessuno». Sì, Caroline pensò, è proprio come mi aspettavo. Per la prima volta, anche Jackson parve un po' sconcertato. «Quindi rimaneste insieme.» «Oh, sì. Talvolta pensavo di essere una stupida.» Megan accennò un lieve sorriso pieno d'amore. «Ma poi, alla fine, capii che avevo avuto ragione ad aspettare... La notte prima di morire, James venne da me. Facemmo
l'amore in modo meraviglioso. Fu così disperatamente bello che temetti di averlo perduto, che lui fosse venuto a dirmi che era tutto finito, e ne soffrisse tanto da dovermi stare vicino più che poteva, per un'ultima volta.» Caroline vide una smorfia di dolore sul viso di Brett; la descrizione doveva essere stata tanto vicina al modo di essere di James da spingerla a chiedersi se non fosse tutto vero. La tragedia di Megan, rifletté, era proprio in quella sensibilità malata. La sua comprensione degli altri era precisa, ma incompleta. Ecco perché la sua versione degli ultimi giorni di James aveva il sapore della realtà. Megan si voltò a guardare Brett. «Invece sbagliavo», sussurrò. «James era venuto a chiedermi di partire con lui. Per la California.» Brett dischiuse le labbra, ma rimase zitta. «E lei, che cosa rispose?» domandò Jackson, anche lui in tono sommesso. «Che lo amavo. Ma che avevo anche precisi doveri verso mia madre e verso la memoria di mio padre. Avrei dovuto sistemare tante cose. E lui, prima, avrebbe dovuto rendere noi due una vera coppia.» In tono più fermo, soggiunse: «Gli chiesi di andare da Brett. Di spiegarle che voleva andare in California con me, e di dirle che non l'avrebbe mai più rivista». «E quale fu la risposta di James?» «Che l'avrebbe fatto.» Megan indirizzò a Brett uno sguardo accusatorio, ma proseguì senza alzare la voce. «La notte in cui morì, Mr Watts, era la notte in cui aveva promesso di dirglielo.» D'un tratto, sul volto di Brett la collera lasciò il posto al dolore, come se dubitasse della verità dei suoi ricordi. Anche Caroline, una volta, l'aveva indotta a dubitarne. Jackson parve accostarsi a Megan pieno di titubanza, riluttante a interrompere il suo mesto raccoglimento. «E lei dov'era, quella notte?» «Ero sola, a casa mia.» Gli occhi della ragazza si riempirono improvvisamente di lacrime. «Ad aspettare James, con una bottiglia di champagne. Vede, dopo aver chiarito tutto con Brett, lui avrebbe dovuto venire da me...» Non riuscì a concludere. «Perfetto», mormorò Caroline. 12. Con un mezzo sorriso, Caroline si alzò. Megan parve farsi forza, in attesa che la donna avanzasse verso di lei. Ma Caroline non si mosse dal tavolo della difesa.
«Salve, Megan.» Quel saluto, sommesso e un po' triste, parve spingere la ragazza a sedere ancora più impettita. Guardinga, rispose: «Salve». Per Caroline non c'erano rumori, né pubblico. Esisteva soltanto la ragazza davanti a lei. «L'incidente che ha descritto, quando Brett vi trovò a letto insieme... A che mese risale?» «Ad aprile», rispose l'altra, intrecciando le dita. «E con quale frequenza vide James, da quel giorno?» «Come ho detto, una o due volte alla settimana. Nel mio appartamento.» «Non avete mai incontrato altri?» «No. Sentivamo il bisogno di stare da soli.» «E non siete mai andati da nessuna parte?» «No.» Il tono di Megan era diventato brusco. «Ho già detto che James era preoccupato per ciò che Brett avrebbe potuto fare.» Caroline chinò il capo di lato. «E lei, era terrorizzata?» Con un certo ritardo, la ragazza annuì. «Non potevo evitarlo.» «Ne ha mai parlato con qualcuno?» «Con James, naturalmente.» «E con nessun altro?» Una breve esitazione. «No. Era molto doloroso, sentimentalmente.» La donna annuì, come per assicurarle che capiva. «È corretto sostenere che, almeno fino a questo punto, James era l'uomo della sua vita?» Megan rialzò il capo, di nuovo piena d'orgoglio. «Sì, è corretto.» «Per cui direbbe pure che, quando morì, era la persona cui lei si sentiva più vicina?» «Sì», rispose prontamente la ragazza, poi si corresse. «Eccetto mia madre.» Caroline annuì per la seconda volta. «Quante volte alla settimana parla con sua madre?» La risposta arrivò dopo una breve esitazione. «Due o tre volte. Talvolta di più, talvolta di meno.» «Le ha mai parlato di James?» Megan strinse le palpebre. «Che cosa intende?» «Intendo se l'ha mai informata della sua esistenza.» La ragazza arrossì. «Certo.» «Quante volte?» Una pausa. «Due o tre.» «Due o tre? E che cosa le disse?»
«Non ricordo esattamente. Di sicuro sapeva che ci vedevamo.» «E non che lei lo amava?» Megan le scoccò una lunga occhiata d'irritazione. «Insomma, non ricordo che cosa le dissi. Mia madre e io parliamo di un sacco di cose.» «Sicuramente. E non le è capitato di riferirle anche le minacce di Brett a James?» La ragazza parve riflettere. «Non credo.» «O che vi pedinasse?» «Non ricordo.» Caroline alzò un sopracciglio. «Dopo questo incidente di aprile, ha mai parlato di James con sua madre?» Per la prima volta, Megan guardò in direzione di Jackson. «Io sono qua», la richiamò Caroline. «E Mr Watts non può esserle d'aiuto... Sa perfettamente per quale ragione le sto rivolgendo queste domande.» Nel tentativo di far guadagnare tempo alla sua testimone, Jackson si alzò e disse: «Piuttosto che tenere conferenze alla teste, avvocato Masters, potrebbe forse ripeterle la domanda». Lei non lo degnò neppure di uno sguardo. «Megan», chiese in tono pacato, «dopo che Brett la trovò a letto con James, ha mai menzionato James a sua madre?» Megan abbassò lo sguardo. «Non ricordo. Come ho detto, la situazione in cui mi trovavo con James era imbarazzante.» «Non ha pensato che sua madre potesse aiutarla?» L'altra si accigliò. «Non volevo allarmarla.» Caroline parve stupefatta. «Ma certamente a qualcuno avrà pur parlato di James. Visto che era tanto importante nella sua vita...» «Davvero non ricordo. Stare con James era più importante che parlarne.» La donna rimase in silenzio per qualche istante. «Dunque, se ho ben capito, lei, dopo l'incidente di aprile, non ha mai parlato di James con nessuno. È così?» Lo sguardo di Megan era diventato astioso. «Non ricordo.» «Dopo aprile, qualcuno vi ha visto insieme?» «Non so.» «Avete mai lasciato il suo appartamento insieme?» «No.» «Quando veniva? Nel fine settimana o nei giorni feriali?» I lineamenti della ragazza si erano irrigiditi. «Nei giorni feriali, la sera.»
«Qualche sera in particolare?» «No. Quando potevamo entrambi.» «Che cosa facevate, esattamente?» «Sono cose personali», sbottò l'altra. «Non vedo perché dovrei rispondere a domande sulla mia vita privata.» Il tono di Caroline rimase sommesso e calmo. «Che cosa facevate, esattamente?» ripeté. Con un'occhiata a Jackson, Megan parve riprendersi. «Facevamo l'amore. Stavamo insieme, ed era bellissimo.» «Parlavate?» «Naturalmente.» «Di che cosa?» «Di tutto. Eravamo l'uno il miglior amico dell'altra.» In silenzio, Caroline sentì che la porta della sua compassione si chiudeva, lasciando spazio al gelo più completo. In tono di annoiata cortesia, chiese: «Da dove veniva James?» Megan posò le mani sulla balaustra del banco dei testimoni. «Non ricordo esattamente.» «Dove vivevano i suoi genitori?» «Non ricordo.» «Sa dove fosse nato?» «No.» «Se avesse fratelli e sorelle?» «No.» Caroline assunse un'espressione incuriosita. «Descriverebbe il carattere di James come 'riservato'?» Megan recuperò la sua espressione fiera. «Magari con altri, non con me.» «Non le ha mai detto che era orfano?» Le dita di Megan si chiusero sulla balaustra. «No.» «O che ha vissuto in una serie di orfanotrofi?» «No.» Brett - Caroline se ne accorse - aveva gli occhi spalancati per la sorpresa: non riusciva a credere che quella ragazza conoscesse così poco della vita di James. «Be'», concluse sommessamente la donna, «sono certa che si trattasse di argomenti molto dolorosi, per lui. Mi dica, allora, in quale parte della California avevate deciso di stabilirvi?» Per l'ennesima volta, Megan guardò di sfuggita Jackson Watts. «Non ne
avevamo ancora parlato», rispose infine. «Lui doveva rompere con lei, prima.» «E neppure James aveva pensato a qualche dettaglio? Come, per esempio, in quale città sareste andati ad abitare?» Rigidamente, la ragazza si appoggiò allo schienale. «Perché me lo chiede? Mi sembra un'inutile tortura!» Si voltò di scatto, fissando prima il giudice, poi Jackson. «Devo rispondere?» ansimò. Towle si tolse gli occhiali, e la studiò con attenzione. «Ah, sì», replicò tranquillamente, «deve rispondere, sì.» Caroline notò che Jackson fissava la sua teste con un'espressione tagliente. «In quale città?» la incalzò. Megan si girò di scatto, a bocca aperta. «Non l'avevamo ancora deciso», mormorò. «Che cosa avrebbe fatto, una volta laggiù?» «Se ci fossi andata? Avrei finito l'università, naturalmente.» La voce assunse una tonalità sprezzante. «Ma non ero sicura di voler gettare tutto al vento per un uomo.» «Sarebbe stata una decisione importante, no? Non le è capitato di parlarne con sua madre?» «No. Come ho detto, non ci eravamo ancora spinti così avanti.» Tacque, per modulare la voce allo sconforto. «E poi James mori.» «Mentre lei lo aspettava nel suo appartamento. Con una bottiglia di champagne.» «Sì.» Megan parve trovare la domanda, e la sua risposta, rassicurante. «Sì», ripeté, e gli occhi le si riempirono di lacrime. «Vedendo che James non arrivava, lei che cosa fece?» «Continuai a telefonargli, per tutta la notte...» «Ah. E non gli ha per caso lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica?» Megan chiuse gli occhi. «Non ricordo. Insomma è stato così orribile...» Lentamente, Caroline allungò un braccio sotto il tavolo e prese la ventiquattrore. La posò sul tavolo e aprì la serratura, che emise uno scatto sommesso. A quel suono, Megan aprì gli occhi di colpo. Squadrò la valigetta, poi Caroline, la quale chiese: «Mi dica... Come venne a sapere della morte di James?» La ragazza sembrava disorientata. «Dalla radio.» «E come reagì?»
Megan impallidì. «Piansi.» «Non telefonò a nessuno?» «No. Non ne avevo la forza.» «Non lo comunicò a nessuno?» «No.» Caroline rimase per un attimo zitta, poi domandò: «Nemmeno a sua madre?» «No.» «E quando, allora, le comunicò che James era morto?» «Non ricordo.» Sempre con la massima calma, Caroline proseguì: «Per caso, ricorda quando James fu sepolto? O dove?» Il brusio dell'aula si trasformò rapidamente in un penoso silenzio. Megan rispose con la voce tremante. «Non potevo sopportare...» «Ha fatto, in seguito, un tentativo di saperlo?» «Non ricordo.» «O di sapere se c'era un servizio funebre?» Distogliendo gli occhi, la ragazza scosse il capo. «Non capisce quanto fosse doloroso...» «Chi pensò che l'avesse ucciso?» sbottò Caroline. Megan parve esitare. «Doveva essere stata Brett.» «Vivere sapendo una cosa del genere dev'essere stato spaventoso», commentò la donna, incrociando le braccia. «Sì.» «Insopportabile, in effetti.» La ragazza continuava a non guardarla. «Sì.» «E quando si è recata alla polizia?» Megan sembrava impietrita. Caroline alzò la voce: «Quando si è recata alla polizia?» L'altra scosse la testa. «Non ricordo.» «È stato sei giorni dopo che James fu trovato morto?» Megan alzò lo sguardo. «Avevo paura di lei.» «Di Brett?» «Sì.» «Perché avrebbe potuto pedinarla?» «Sì.» Caroline posò una mano sul tavolo. «Ha mai visto Brett pedinarla?» «Sì», rispose l'altra, con la voce piena di rabbia.
«Mi dica come.» «Si acquattava fra i cespugli sotto casa mia.» La voce le s'incrinò. «La vedevamo fra le siepi, che guardava in su...» «E che cosa faceste?» «Nulla. James diceva che aveva un carattere violento...» «Non chiamaste la polizia?» Megan trasalì. «No.» «E lei non chiese consiglio a sua madre?» «No.» Caroline passò a un'altra tecnica: le domande si susseguirono veloci e sicure. «Allora, vediamo se ho capito, Megan. James e lei eravate amanti. È così?» «Sì.» «Brett minacciò di ucciderlo.» «Sì.» «E di uccidersi?» «Così disse James.» «E vi pedinò?» «Sì.» «Si nascose fuori del suo palazzo?» «Come le ho appena raccontato.» «Dunque, per più di due mesi, voi due non lasciaste mai il suo appartamento?» «Sì.» «Ma, alla fine, James scelse lei.» «Sì.» Megan si aggrappava con le mani alla balaustra. «E le chiese di seguirlo in California.» «Sì.» «La notte in cui fu ucciso, lei attendeva che James lo comunicasse a Brett e che poi venisse a casa sua.» La ragazza si torse le mani. «Sì», bisbigliò. «È così.» «Eppure», riprese la donna con la stessa, immutabile calma, «di tutto ciò lei non disse mai nulla a nessuno. Fino al giorno in cui non andò da Mr Watts e accusò Brett di omicidio.» Per qualche istante, Megan si limitò a guardarla. «Sì», ammise poi, in tono a malapena udibile. «Non avrei mai potuto parlarne.» «Nemmeno a sua madre.» «No.»
«Nonostante tutte quelle telefonate... Quante erano... due o tre alla settimana, mi pare?» Megan la fissava, esasperata, cercando di capire dove volesse andare a parare. «Adesso non ricordo. L'ho detto prima, comunque.» «Ricorda se chiama sua madre a carico del destinatario o se si fa addebitare le telefonate in bolletta?» «Obiezione», protestò Jackson. «Questo non soltanto è irrilevante, ma è altresì un pretesto per tormentare la testimone.» «Nient'affatto», spiegò Caroline al giudice. «È una domanda diretta a misurare la credibilità della teste, su argomenti d'importanza fondamentale. Come dimostrerò tra un attimo.» Towle annuì, cupo in volto. «Proceda, avvocato Masters.» La donna tornò a Megan. «A carico del destinatario o no?» ripeté. «Mah... A carico, credo.» «Ah, davvero? E chi le accetta, le sue telefonate?» Megan fece per rispondere, ma poi si trattenne. «Non credo possa trattarsi di sua madre, vero?» La ragazza la fissava, in lacrime. «Che cosa intende?» Caroline si avvicinò. Senza alzare la voce, disse: «Intendo che è in ospedale, per una grave crisi depressiva, e non parla con nessuno. Da cinque mesi». Megan era terrea. «Mi sente?» «Sì», rispose l'altra, come stordita. «Non è stata bene.» «Per cui quelle conversazioni con sua madre - quelle conversazioni di cui ci ha parlato sotto giuramento - non sono mai avvenute. In effetti, se le è inventate.» «Volevo proteggere la sua privacy...» Caroline attese che, nell'aula, tutti si zittissero e smettessero di muoversi. Dal suo scranno, Towle fissava Megan con aperto disprezzo. «Insomma», riprese poi la donna, «l'unica cosa vera è che lei non parlò con nessuno di James. Mai, in nessun caso.» Megan abbassò gli occhi. «Non riesco a ricordare.» Senza toglierle gli occhi di dosso, Caroline, che era tornata al tavolo, aprì la ventiquattrore. In tono casuale, domandò: «E ha mai scritto di lui?» Come in trance, la ragazza fissava la valigetta. Con voce sorda, chiese: «Che cosa vuol dire?» Con estrema lentezza, Caroline estrasse il diario in cuoio rosso. Lo tenne
in equilibrio, con un angolo posato sul tavolo e un altro stretto fra le dita. Il viso di Megan parve sgretolarsi. Tuttavia, tranne per il gesto di toccarsi una spalla, rimase perfettamente immobile. «Ha mai scritto nulla della sua relazione con James?» ripeté sommessamente Caroline. Megan si strinse le mani al petto, poi si girò, cercando Jackson con lo sguardo. «Vorrei interrompere...» «Risponda alla domanda, la prego. Poi potrà avere tutto il tempo che vuole.» «Non intendo sopportare un simile...» protestò la ragazza in tono stridulo, alzandosi. «Perché lei è una mentitrice coatta», la interruppe Caroline, con tagliente freddezza. «Lo so io, lo sa lei e, nel giro di cinque minuti, lo sapranno tutti in quest'aula.» Jackson si fece avanti. «La testimone è rimasta alla sbarra per quasi tutto il giorno, Vostro Onore. Se è stanca, o turbata, non è utile a nessuno continuare. Possiamo riprendere domani.» Towle guardò prima Megan, poi Caroline. «Che ne dice la difesa?» «Non appena avrà ammesso le sue menzogne avrò finito con Miss Race, per oggi. Tutto ciò che deve dire è: 'Mi sono inventata tutto ciò che ho detto'. Non le prenderebbe molto tempo.» «No.» Nello sguardo di Megan a Jackson la paura si mescolava all'ansia. «Voglio parlare con Mr Watts.» Towle la squadrò con un'espressione molto simile al disgusto, poi si rivolse a Caroline. «Mi pare, avvocato Masters, che la teste debba avere la possibilità di valutare la posizione in cui si trova. E lo stesso dovrebbe fare Mr Watts.» Caroline lanciò a Megan un'occhiata colma di pena e di disprezzo. «A domattina, allora, Vostro Onore. Credo di riuscire a tenere a mente la mia ultima domanda. E, ne sono piuttosto sicura, se la ricorderà anche Miss Race.» «Benissimo», concluse il giudice. «La Corte si aggiorna alle nove di domattina.» D'un tratto, nell'aula tornò il movimento: la gente prese ad agitarsi in una cacofonia di voci. Jackson raggiunse subito Megan e la condusse fuori. La ragazza aveva il volto solcato di lacrime. Passando davanti a Caroline, Jackson le bisbigliò: «Voglio vederti per cinque minuti».
«Fa' con calma», rispose lei tranquillamente. «Credo che Megan abbia qualcosa da dirti.» La ragazza non ebbe il coraggio di guardarla. Jackson la portò subito via. Brett stava fissando il diario. «Che cos'è?» «Megan ha mentito quasi su tutto, e qui c'è scritto. Dopo che li hai scoperti insieme, James chiuse la sua relazione con Megan. Lei però si mise a seguirvi, nascondendosi sotto le finestre di lui. Seppe della California soltanto perché andò da lui, a pregarlo di concederle un'altra possibilità. James le rispose che voleva partire con te. Almeno in questo, i tuoi ricordi corrispondono alla realtà.» La ragazza scosse il capo. «Come l'hai avuto?» chiese infine. Nonostante la spossatezza e i pensieri, Caroline riuscì a sorridere un po'. «È quello che vuol sapere Jackson.» Jackson chiuse il diario e lo sbatté sul tavolo. «Che cosa stai facendo, in nome di Dio?» domandò. Caroline alzò le spalle. «Smaschero qualcuno che ha reso una falsa testimonianza. È davvero un po' matta, sai?» Nell'ufficio disadorno che anche Caroline e Brett avevano usato qualche volta, Jackson la fissava dall'altra parte di una scrivania tutta macchiata e nera. «Avresti potuto venire da me, con questa roba.» «Sì, avrei potuto. Ma tu avresti chiuso il caso riconoscendoci i danni? Per qualche motivo, ne dubito molto.» «E quindi hai preferito lasciarmi interrogare una teste bugiarda, e goderti lo spettacolo, in attesa di distruggerla! A questo punto l'accusa sembra una tale farsa che la semplice idea di portarla avanti getta su di noi una pessima luce.» «Infatti.» Caroline aveva assunto un tono metallico, inflessibile. «Eppure, quando avrò finito con Megan, tu andrai avanti.» «Ah, no, mi spiace. È così isterica che le sue argomentazioni sono del tutto incoerenti. La ritiro dalle testimonianze e...» «Troppo tardi. Sono stata io a convocarla. E domani, a mezzogiorno, sarà molto più di una bugiarda patetica. Sarà diventata la più grande indiziata d'omicidio che tu ti sia mai lasciato passare sotto il naso.» «Soltanto se userai questo diario», mormorò Jackson. «E ho tutte le intenzioni di farlo.» Lui scosse la testa. «L'hai già distrutta... Usa questo diario domani, e di-
struggerai te stessa. Megan ti ha salvato, afflosciandosi a quel modo.» Caroline rimase in silenzio per qualche istante. «L'ho ricevuto per posta. E Betty può confermarlo.» Il volto di lui era contratto dall'ira. «Non insultare la mia intelligenza, Caroline. Te lo sei spedito da sola. Anche se Betty può non saperlo.» «E allora apri un'istruttoria. Ma prima devi finire questa... Rivoglio Megan sul banco degli imputati, domattina. In alternativa, puoi chiudere il caso contro Brett, riconoscendoci i danni.» «Non posso. D'accordo, Megan è una bugiarda, ma questo non fa di Brett un'innocente. Per cui dovrai farmi fare la figura dell'idiota davanti a tutti. E rischiare la tua reputazione, forse la carriera.» Il suo sguardo era tagliente e vigile. «Sei stata tu, vero? Sei entrata con una carta di credito e hai guardato in giro finché non l'hai trovato.» Caroline si alzò. «Ti ho raccontato di Larry. Ti ho chiesto di fare un controllo su Megan. Ti ho chiesto - no, ti ho pregato - di perquisire casa sua. Ma tu non volevi offenderla. Perché era una testimone tanto importante...» «Sembrava credibile, maledizione.» Lei fece un gesto sprezzante. «Scusa. Ho scordato di non essere moralmente qualificata a rinfacciarti una cosa del genere.» «Vaffanculo, Caroline. Mi hai nascosto alcune prove e le hai usate per farmi fuori. Anche se, per te, è una missione suicida. Avresti dovuto portarmi quella roba il giorno stesso in cui l'hai ricevuta.» Jackson s'interruppe e le rivolse un altro sguardo duro. «C'è qualcos'altro sotto, vero?» «Fa' in modo che domattina si presenti», replicò Caroline, e uscì. 13. Caroline prese la busta da sotto il sedile dell'auto e si distribuì il fascio di foto in grembo. Joe Lemieux aveva lavorato bene. Soddisfatta, risistemò le immagini: in cima alla pila, un primo piano di Megan la guardava. Poi fece scivolare tutto nella busta. Erano circa le otto di sera. L'indomani sarebbe stata una brutta giornata per tutti: per Jackson, per Megan, per lei stessa. Da allora, la vita di tutti loro sarebbe stata diversa. Ma il mattino era ancora lontano. Prima di chiudere la partita con Megan, le rimaneva un'altra cosa da fare. Avrebbe potuto mandarci Lemieux. Ma la difesa di Brett ormai l'ossessionava, e quell'incarico non l'aveva voluto demandare ad altri. Sorrise
senza gioia, ricordando la giovane Caroline, l'impaziente, a volte impetuoso avvocato che conduceva da sé le sue indagini. Ma, questa volta, in gioco c'era molto di più, qualcosa che trascendeva anche Brett. L'istinto le diceva che avrebbe dovuto fare quell'ultima cosa da sola. Accese il motore e lasciò Resolve. La strada per il lago Heron era probabilmente nelle stesse condizioni in cui l'aveva trovata Brett, la notte del delitto: tortuosa, quasi sepolta sotto gli alberi, con la luce del crepuscolo che si trasformava in una patina grigia, diventando poi tenebra. I fari dell'auto tagliavano l'oscurità; in un varco tra gli alberi, fece la sua prima comparsa la luna, in uno scintillio d'argento. Avvicinandosi alla carrareccia che conduceva alla proprietà di Brett, rallentò, ma senza svoltare. La strada divenne più buia e stretta. A meno di mezzo chilometro di distanza, Caroline vide le insegne al neon di una pompa di benzina e di un grande magazzino. Senza dubbio il successore di quel negozio di generi vari che a Resolve era ormai sbarrato da assi di legno. Qualche metro più oltre, incominciava il sentiero Mosher. Caroline lo imboccò. La stradina, che correva fra gli alberi, aveva parecchi tornanti. Per un bizzarro, doloroso momento, le ricordò la strada di Windy Gates e sua madre. Poi la strada si apri e Caroline si trovò su un dolce declivio di sassi e terra, che dava sul lago Heron. Scese dalla macchina. La luna era gialla, ormai, e la sua luce danzava lentamente nell'acqua. Raggiunse la riva. Si era levata una brezza leggera, l'acqua sciabordava dolcemente ai piedi di Caroline. Nei vortici del tempo, le parve che l'atmosfera non fosse troppo diversa da quella di qualche lontana notte estiva con Jackson, quando era ancora più giovane di Brett. Guardò il terreno che, in passato, era stato suo. Nella curva disegnata dalla costa, vide un'ombra fra lago e alberi: l'erba tenera della radura. Forse sperava, o temeva, troppo. I pezzi mancanti erano molti. Eppure, da li, non era poi così difficile immaginare che qualcuno camminasse silenziosamente nell'acqua bassa della riva, per raggiungere i due amanti nell'erba. C'erano molti pezzi mancanti, però, e uno che non mancava affatto: il coltello. A meno che, negli oscuri recessi della sua memoria, l'avesse preso per un altro.
Megan avrebbe potuto seguirli. Ammettendo che conoscesse il lago, avrebbe potuto anche trovarli. L'aria è davvero pungente, rifletté Caroline. Tornò all'auto e riguardò per l'ennesima volta le foto. Poi lasciò il lago, guidando piano lungo il sentiero Mosher, finché non scorse l'insegna al neon della stazione di servizio. L'edificio era bianco, e l'illuminazione fluorescente dell'interno contribuiva a dargli una luminosità intensa, quasi fantascientifica. Quando si fermò accanto al distributore, dal negozio uscì un uomo snello, che portava un berretto da baseball, e si avvicinò al finestrino. Finì sotto le luci che sovrastavano le pompe di benzina, e Caroline si accorse che era appena ventenne, con un pizzetto e una coda di cavallo che, in qualche modo, lo facevano sembrare ancora più giovane. «Pieno?» chiese. «Grazie.» Andò al serbatoio dell'auto e c'inserì la canna, quindi si mise a lavare il parabrezza. La donna si sporse fuori del finestrino. «Vorrei chiederti una cosa.» Con un colpo del polso, l'altro staccò un insetto schiacciato sul vetro. «Dica pure.» «Sono un avvocato e sto lavorando a quell'omicidio commesso al lago Heron. Ne hai sentito parlare?» Il ragazzo si fermò, incuriosito. «Un po'. Sono tornato soltanto ieri sera. Ero in Florida, da mia madre.» Tacque, poi chiese: «Per chi lavora?» «Per Brett Allen, l'accusata, che ha più o meno la tua età. Non credo che sia stata lei, e stavo cercando di capire se qualcuno, nella zona, avesse visto niente che potesse esserci d'aiuto.» Lentamente, il giovane annuì. «Già. Il mio capo mi ha detto che l'altro giorno è stato qui un tizio. Credo che la notte in cui quest'altro tìzio è stato ammazzato fosse la mia ultima notte di lavoro. Prima delle ferie.» Scrutò Caroline con maggiore attenzione. «Che sta cercando?» «Qualsiasi cosa.» Caroline assunse il tono confuso e preoccupato di chi si trova in alto mare. «Tipo una macchina, o una persona che non avevi mai visto prima. O, magari, qualcuno che svoltava per il sentiero Mosher.» «Ah, be'...» La smorfia del giovane fu automatica: era la sorpresa di chi si sente domandare se aveva visto qualcosa di significativo durante una normalissima notte di tre settimane prima. «Voglio dire, non ho fatto che
andare avanti e indietro dalle pompe a là dentro, e pensavo soprattutto alle vacanze. Non è che proprio sorvegliassi il sentiero.» Dall'imboccatura della pompa arrivò lo scatto automatico del pieno. Il ragazzo raggiunse il serbatoio, diede un ultimo colpo e rimise a posto la canna. Caroline gli consegnò la carta di credito e lo guardò dirigersi verso l'edificio. Tornò con lo scontrino e una penna. Caroline scrisse chiaro il suo nome e disse, con voce piena di speranza: «Forse una foto potrebbe aiutarti. Ti andrebbe di guardarne qualcuna?» L'altro rimase un po' sulle sue. Pareva riluttante a farsi coinvolgere... poi, però, la sua parte migliore ebbe il sopravvento. «Okay», disse. «Certo.» Senza fretta, Caroline tolse le foto dalla busta. Ma si fermò, e le rimescolò. «Prima proviamo con le macchine.» «Okay.» Accese la luce nell'auto e gli passò tre fotografie. Il ragazzo si chinò verso l'abitacolo, scrutando le immagini in bianco e nero. Le scorse una prima volta, poi una seconda. Si fermò sull'ultima. «Questa dove è stata scattata?» chiese. «Davanti al tribunale di Connaughton County.» L'altro sbuffò lentamente. «Perché questo furgone l'ho già visto. O uno così, comunque.» Caroline cercò di mantenere un tono di voce tranquillo. «Quando?» «Quella notte. Ha fatto benzina qui.» «Guidava un uomo o una donna?» Il ragazzo parve esitare. «Una donna. Ne sono praticamente sicuro.» Non reagire, si disse Caroline. Pensa che tutti i testimoni si sbagliano, in queste cose. «La rammenti per qualche motivo particolare?» Il ragazzo annuì. «Ricordo che sembrava sconvolta.» Nello sforzo di ricordare, socchiuse gli occhi. «Sono proprio sicuro. Era quella nel furgoncino.» Caroline piegò la testa di lato. «Sconvolta...» «Già. Io ci tengo a far sempre un buon lavoro con i vetri. Ma quella mi disse di smettere e in tono molto duro, come se non avesse tempo.» Che aspetto aveva? avrebbe voluto domandargli. Ma si trattenne. «Sapresti riconoscerla da una fotografia?» fi ragazzo la guardò. «È una cosa importante?» Caroline prese le altre immagini. «Potrebbe essere. Sì.» Il ragazzo la studiò ancora per qualche istante, poi prese le foto, tornan-
do a chinarsi verso la luce nell'abitacolo. Fece passare la prima immagine, poi la seconda e la terza. Alla quarta si fermò. «Che succede?» L'altro chiuse la bocca, poi la riaprì. «È lei.» Caroline sentì un nodo alla gola. «Sei sicuro?» «Certo. Voglio dire, in questa foto sembra sconvolta. Ed è proprio come quella notte.» «Dopo averle fatto il pieno, hai visto dove andava?» Pensò che la voce suonasse ancora abbastanza tranquilla. Ma il ragazzo le rivolse un altro sguardo pieno di sospetto. «Dovrò testimoniare o roba del genere?» «Non lo so. Spero di no.» «Be', non lo so dove andò, né in che direzione. Però me la ricordo.» Nell'oscurità dell'auto, Caroline riprese il controllo di sé. «Se non ti spiace, preferirei che non ne parlassi con nessuno. Dopotutto, potrebbe non essere niente.» Il benzinaio parve sollevato. «Nessun problema.» «Grazie. Ti farò sapere quali sviluppi ci sono.» «Bene.» Le rese la foto. «Buonanotte, allora.» La donna posò la foto sul sedile accanto a sé. «Buonanotte.» Senza fretta, il ragazzo si voltò e si diresse verso l'ufficio. Prima che Caroline riavviasse il motore passò qualche istante. Superò il sentiero Mosher e, quando fu certa che il ragazzo della stazione di rifornimento non l'avrebbe potuta vedere, fermò di nuovo la macchina sul ciglio della strada. Rimase al buio, sforzandosi di pensare. Ma nulla riusciva a lenire il dolore dei ricordi, il malessere e la collera. Non riusciva a guardare la foto di Betty. 14. Arrivando a Masters Hill, Caroline vide che le finestre del pianoterra erano fiocamente illuminate. I piani superiori, invece, erano al buio. L'atmosfera era calma e silenziosa. Quando Caroline entrò in veranda, i suoi passi mandarono un rumore sordo. Bussò piano. Sentì un tramestio all'interno, gli scatti di una serratura. La porta si aprì
di uno spiraglio, attraverso il quale Betty controllò chi era. Nel vedere la sorella, si sorprese. «Oh, Caroline.» L'altra la guardò per un istante. «Chi altro c'è, in casa?» «Soltanto Larry», rispose Betty, dura. «Che cosa c'è?» «Dobbiamo parlare.» Betty esitò, lanciando un'occhiata verso l'interno della casa. «Larry sta cercando di prender sonno. I fatti di oggi lo hanno turbato molto.» «Vieni fuori, allora. Lui non serve.» La sorella non si mosse; il tono di Caroline pareva bloccarla. Alla fine, con riluttanza, uscì in veranda. Caroline si allontanò dalla porta d'ingresso e sentì che Betty la seguiva. «Credi di riuscire a screditare quella donna spregevole?» chiese Betty. La sorella la guardò. «Quale delle due?» Nella penombra, gli occhi di Betty si spalancarono. Caroline si sentì invadere da una calma terribile. «Veramente domani chiamerò te a testimoniare», disse. «Credo che tu possa giovare a Brett anche più di lei.» Betty s'irrigidì. «Perché?» «Quando parlammo di questa eventualità, mi sembravi preoccupata. Per cui ho pensato che ti sarebbe stato d'aiuto rispondere a qualche domanda.» Sempre immobile, l'altra chiese: «Quali domande?» Caroline si avvicinò alla sorella e si fermò a un palmo dal suo volto. Sommessamente, le chiese: «Perché mi hai mentito?» «Mentito...» annaspò Betty. «Tu sapevi che Brett lo avrebbe portato al lago, quella sera. Perché li hai ascoltati dal telefono al piano di sopra.» La sua voce vibrava di collera trattenuta. «A proposito, ti consiglio di non provare a mentirmi adesso. O domani, al banco dei testimoni. La dose di nostalgia che riesco a sopportare è limitata.» Incapace di rispondere, la sorella fece un passo indietro. «Apri la bocca, Betty. E vedi se riesci a emettere un suono. Qualcosa del tipo: 'Sì, Caroline. Sono una spiona'.» «Caroline... Non sai quello che fai.» «Oh, lo so da anni, invece.» Caroline riuscì a conservare un tono tranquillo. «Hai ascoltato la telefonata, vero?» «Sì.» La donna si raddrizzò. «Perché le voglio bene. L'ho amata per tutti questi anni in cui tu sei stata via.» La sorella strinse i pugni. «E che cosa hai sentito, maledetta? Che voleva
portarla in California?» «Sì.» La voce si era fatta rabbiosa. «E che aveva problemi di droga...» «E che lui aveva avuto un'altra ragazza, di nome Megan. Hai mentito anche su quello, vero?» Betty raggiunse un'estremità della veranda. «Quanto tempo è passato prima che lasciassi la casa?» l'apostrofò Caroline. Al buio, il profilo di Betty non si mosse. Caroline le si avvicinò. «Hai lasciato la casa, maledizione! Dimmi soltanto quando.» Lentamente, la sorella si voltò a guardarla. Con una certa calma, le domandò: «Come hai fatto a scoprirlo?» «Perché ti sei fermata alla pompa di benzina. Non è stata una mossa molto furba, sai.» La sorella incurvò le spalle. Appariva minuta e stanca. Caroline vide davanti a sé l'immagine netta e spietata di sua sorella da vecchia. «Non avevo pianificato nulla», disse infine Betty. «Nulla.» L'ammissione, nella sua semplicità, prosciugò la collera di Caroline. D'un tratto, provò solamente un orrore tanto profondo che avrebbe desiderato cancellarlo. «Dio mio, Betty.» L'altra avvertì il tremito nella sua voce. «Dio mio.» Betty le rivolse uno sguardo implorante. «Allora, hai capito?» «Capire?» Caroline la fissò. «Come si può capire una cosa del genere?» L'altra fece per avvicinarsi, ma si fermò di colpo, e il suo sguardo si riempì d'orrore e d'incredulità. «È quello che pensi di me, Caroline? Credi che sia stata tanto folle da ammazzare il ragazzo di mia figlia e poi lasciare che fosse accusata al mio posto?» La sorella riuscì soltanto a guardarla. Betty l'afferrò per il colletto. «Sei tu che sei malata, Caroline. Avvelenata dal senso di colpa, dall'odio e da anni e anni di solitudine...» Con spaventosa determinazione, Caroline la schiaffeggiò. Si udirono uno schiocco secco e un grido soffocato. Caroline sentì il polso intorpidirsi e gli occhi riempirsi di lacrime. Betty la squadrava, con una mano sulla guancia. In tono piatto, Caroline chiese: «Che cosa ci facevi, là?» L'altra le voltò le spalle, mormorando: «Tornavo dalla casetta sul lago...» «Perché?»
«Perché lui era sconvolto. Voleva rimanere solo.» Caroline sentì una stretta al petto. Alzò una mano, come per appoggiarsi. «Gliel'hai detto.» «Sì.» Nell'espressione di Betty, la vergogna si mescolava con l'orgoglio. «Larry era lontano. Avevo bisogno di parlarne con qualcuno.» Un tremito s'impadronì di Caroline. Le occorse qualche istante prima di riuscire a parlare. «Non ti rendi conto di quello che potresti aver fatto? Di nuovo?» Betty intrecciò le braccia al petto, come se sentisse freddo. «Papà e io non potevamo dirlo a nessuno. Se la polizia avesse saputo che Brett e James avevano litigato per Megan...» S'interruppe e distolse lo sguardo. Caroline si sentì investita dalla terribile ondata della comprensione. «Tu credi che l'abbia ammazzato Brett. E di averla protetta, mentendo...» Betty la guardò. Ma non volle, non poté rispondere. «Che stupide siamo.» Caroline scosse la testa, poi concluse: «Brett non ha ucciso nessuno». La sorellastra deglutì. «Ma chi, allora?» «Dio mio, Betty. Hai scordato da chi abbiamo imparato a sfilettare un pesce?» Nel silenzio che seguì, la sorella chiuse gli occhi. «Dov'è?» le domandò Caroline. «Nella casetta sul lago.» Betty riaprì gli occhi e terminò con voce rotta: «Vengo con te. È meglio se gli parliamo insieme». «Devo farlo io», la fermò Caroline. «Dopotutto, sono io la madre di Brett.» Nel vento e nella pioggia, con il mare sconvolto alle spalle, Caroline aveva lentamente percorso la spiaggia. Era intorpidita; nella sua mente, David lottava contro la tempesta, senza sapere ciò che, oppressa dal senso di colpa per averlo tradito, lei non era riuscita a dirgli. Meccanicamente, tornò alla casa sul pontile per riprendere la valigia. La casa era nuda, vuota. Si guardò intorno, alla ricerca di un segno di lui; erano rimasti soltanto due libri dimenticati. Aprì la valigia, e li mise in un angolo di essa. Glieli avrebbe conservati o, se le avesse scritto, spediti. Poi l'angoscia tornò a impadronirsi di lei. Mezz'ora prima erano stati l'uno di fronte all'altra in quella stanza, e adesso David se ne era andato. E tutto ciò che le rimaneva di lui era un segreto non rivelato.
Uscì e si chiuse la porta alle spalle, con delicatezza. La casa del padre era immersa nel buio. Sali la scalinata della spiaggia, sapendo soltanto che non poteva dirgli che David se n'era andato. In quell'istante, nella sua disperazione, Caroline comprese come sarebbe riuscita a far guadagnare tempo al suo amore. Aprì la porta e attraversò in silenzio la casa. Channing era in veranda, immerso nelle tenebre notturne. Affacciandosi all'ingresso, lo vide passeggiare distrattamente. Di tanto in tanto, guardava il mare. «Salve, papà.» L'altro trasalì. «Caroline», disse, e nella sua voce, la figlia lesse tutta la sua esitazione. Lei ebbe la certezza che il padre li aveva traditi. «Dove sei stata?» «A Boston. Lo sapevi.» «Ma sei fradicia.» Lei non rispose. Combatté l'impulso di urlargli contro ciò che le aveva fatto. Per il bene di David, non poteva. Raddrizzandosi, disse: «Sono tornata per dirti una cosa». Nella penombra, vide che gli occhi infossati del padre erano all'erta, e comprese quello che si aspettava di sentire: che amava David e che sarebbe partita con lui. Con grande cautela, lui le chiese: «Di che si tratta?» «Sono incinta, papà.» «Incinta?» ripeté Channing con voce rotta e spaventata. «Ne sei sicura?» «Sì. Per questo sono andata a Boston. Per vedere il mio medico.» Aveva parlato in tono rispettoso, ma nella sua voce non c'era traccia di pentimento. Il padre era impietrito; ciò che sapeva e i sentimenti che provava gli impedivano di avvicinarsi alla figlia. «Non puoi avere il bambino, Caroline», mormorò. «Questo, di certo, ti è già chiaro.» Caroline alzò una mano. «Quello che farò, papà, è andarmene a letto. Domattina, dopo che ci avrò pensato su ancora un po', andrò a parlarne con Scott. Siamo noi che dobbiamo decidere.» Channing sbiancò. Con una soddisfazione che nasceva dall'odio, Caroline vide la terribile sequenza di emozioni che gli attraversavano il volto: la consapevolezza di aver denunciato il padre del bambino di sua figlia, e che David sarebbe finito in prigione. E poi, il sentimento più spregevole di tutti: la speranza che lei non scoprisse mai chi li aveva traditi. «Caroline», disse, con voce roca. «Dobbiamo parlarne. Subito.» «Scusami, papà. Non adesso. In questi giorni, pare che mi stanchi più
facilmente.» «Ma tu sei mia figlia...» «Lo so.» Poi, per il bene di David, lo raggiunse e lo baciò sulla guancia. «Lo so», ripeté. Quella notte non dormì. Le finestre della camera vibravano sotto la sferza del vento ululante e della pioggia, mentre lei cercava di scacciare dalla mente immagini terribili e, con la forza di volontà, spingeva David lontano dalla tempesta. La vita che aveva lasciato dentro di lei non le sembrava ancora reale. Il mattino, tesissima e in preda alla nausea, Caroline si costrinse a vestirsi. Il suo ventre era ancora piatto. Ma il corpo cominciava a risentire della ritenzione idrica. Scoprì che non le piaceva più il caffè. Quel disgusto, accompagnato alla nausea, fu il primo segnale di una condizione fisica che soltanto sua sorella aveva ardentemente desiderato. Larry e Betty erano in cucina. Dalla loro espressione - la nervosa cautela che avevano assunto da un po', quando assistevano a un incontro tra Channing e quella nuova, imprevedibile Caroline - suppose che il padre non li avesse informati. Sì, pensò, era proprio da lui. Un aborto, poi Harvard e la solita vita che riprendeva. Senza che nessun altro, tranne loro due e David, sapesse mai la verità. Larry le rivolse un sorriso interrogativo, Betty uno più cauto. «Come stai?» chiese lui. Ma fu Betty che Caroline guardò, nel rispondere: «Incinta». Betty spalancò la bocca. In tono quasi disinvolto, Caroline disse: «Se non hai le nausee, Betty, è probabilmente un falso allarme. Lasciatelo dire da me». Betty fece per alzarsi. Ignorando il gesto, Caroline se ne andò nel giardino sul retro. La mattinata era splendida, con quella frizzante purezza di vento e di cielo che segue una burrasca. Perfetta per la vela, Caroline pensò. Il padre stava fissando l'ormeggio vuoto. Lei lo raggiunse. «Ah, sì», disse. «David se n'è andato.» Channing si voltò. Ci volle qualche istante prima che lo shock gli si dipingesse sul volto. «Parlarti, ieri sera, è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto in vita
mia», aggiunse Caroline. «Ma è quasi finita, per me, adesso. Perché questa è l'ultima volta che tu e io ci parliamo.» «Caroline.» Il padre tese le braccia verso di lei, angosciato. «Per favore...» «Tu hai deciso per me. Non dovevo stare con David, per cui hai deciso di mandarlo in prigione e di lasciarmi pensare che fosse soltanto sfortuna.» Fu costretta a interrompersi: le mancava il respiro. Quindi riprese: «Bene, mi hai perduta. E lo sai che cosa mi fa infuriare di più? Che a te non dispiace per David, bensì per te stesso...» «Caroline.» Nel tentativo di conservare la dignità, Channing abbassò le braccia. «Tu non sai che cosa significa amare una figlia.» «No. Ma so qual è la differenza tra amore e proprietà privata.» Caroline si sforzò di controllare la sua ira e, d'un tratto, si accorse di provare qualcosa di più profondo della collera. «Comunque, se tu mi vuoi bene, papà, per favore non sperare nel mio perdono. Spera, per il mio bene, che David Stern sia ancora vivo.» Gli voltò le spalle e se ne andò. Quell'autunno lo trascorse da sola, a Martha's Vineyard. Il padre si era arreso. E lei sapeva che Channing, pure lui solo nella casa del New Hampshire, aspettava che il suo odio e la sua disaffezione scemassero. E invece, se avesse potuto parlare alla figlia, avrebbe scoperto che a Caroline non importava più di nulla. In lei stava crescendo una nuova vita. In qualche misura - Caroline l'ammetteva con implacabile onestà - si era trattato di una scelta profondamente irrazionale: quella vita faceva anche parte di David, di quel ragazzo che lei forse aveva perduto per sempre. Se fosse rimasto con lei, magari avrebbero preso in esame l'eventualità d'interrompere la gravidanza... E se quella decisione di portarla a termine non fosse stata altro che un distorto, rabbioso tentativo di vendicarsi? Comunque, si diceva, non avrebbe potuto sopravvivere al pensiero di aver ucciso prima lui e poi suo figlio. Perché il punto era quello. Caroline non aveva regole da imporre alle altre donne; era convinta che la decisione spettasse alla donna, tutto lì. Ma era anche troppo spietata con se stessa per negare che la scelta da compiere fosse tra lasciar continuare quella nuova vita oppure troncarla. E lei non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere... per David, per il bambino e, soprattutto, per se stessa.
Dunque, per lei, la decisione di tenere il bambino fu quasi automatica. Poi le rimase da stabilire se tenerlo o darlo in adozione. Sebbene continuasse a sperare contro ogni speranza di ricevere notizie da David, Caroline, alla fine, prese in considerazione l'idea di vivere da sola. Sapeva che cosa sarebbe successo senza il bambino: una casa, il più lontano possibile dal New Hampshire, l'iscrizione a Giurisprudenza, qualche lavoro per mantenersi. Sarebbe divenuta quell'avvocato che Caroline Masters - e nessun altro - aveva cominciato a credere di poter essere. Ma, per quanto difficile fosse immaginare la sua vita con quel figlio, altrettanto lo era figurarsi gli estranei che sarebbero diventati i suoi genitori; e, nello squallido inverno che passò a Martha's Vineyard, Caroline ebbe fin troppo tempo per riflettere su ciò che un genitore poteva fare a un figlio. Poi, in un mattino coperto da un velo di ghiaccio, Larry si presentò alla sua porta. Le sorrise appena, imbarazzato. «Sono venuto a trovarti.» Con sua grande sorpresa, Caroline si accorse che era contenta di vederlo. Fu lieta che la sua amara sofferenza non avesse ancora offuscato, in lei, la figura di Larry. «Entra», lo invitò. «Di questi tempi non frequento molta gente. Anzi, per la verità, sono sempre sola.» Lui lanciò un'occhiata alla pancia di lei. «Be', non proprio», la corresse, «anche se non credo che lui, o lei, parli già.» Caroline sorrise. «No. Ma un po' cammina.» D'impulso, Larry l'abbracciò. «Sono felice di vederti, Caro. Nessuno sa che cosa fare, e...» Lei gli posò il viso su una spalla. «Neanch'io», rispose. «Non riguardo al bambino.» Per un po', rimase immobile fra le sue braccia. Era strano, pensava, ma aveva voglia di piangere. «Caro», mormorò lui, «mi dispiace tanto...» «Lo so, lo so...» Alla fine, Caroline, tenendolo per mano, lo guidò in veranda. Sedettero sul divano. Il mare era opaco e grigio e sull'erba si vedevano ancora schegge di ghiaccio. Caroline incrociò le braccia al petto. «Non hai mai saputo nulla di lui?» domandò Larry. Lei scosse la testa. «O è morto, o non vuole perdonarmi. Spero nella seconda alternativa.»
Dopo un lungo intervallo, lui mormorò: «Stai pensando di tenerlo?» «Non lo so. Ma, se non lo tengo io, è un po' come giocare la sua vita alla lotteria. Come faccio a sapere chi gli tocca? Non basta che qualcuno voglia un bambino. Guarda quanto mi ha desiderata mio padre.» Larry distolse lo sguardo e sembrò farsi coraggio. «Non so come dirlo, Caroline, se non così, apertamente. Voglio che tu rifletta su una cosa...» D'un tratto, lei comprese il motivo di quella visita. «Che cosa?» lo incalzò, gelida. Lui non riusciva a guardarla in faccia. «Noi non avremo mai un bambino, Caro. Il problema non è soltanto mio, si è scoperto. C'entra anche Betty...» Caroline si alzò di scatto. «Scordatelo. Credimi, Larry, è meglio per il nostro rapporto che io finga di essere muta. Ma non posso credere che tu l'unico di cui ancora m'importi - sia venuto da me per una cosa del genere.» Quasi gridando, concluse: «Che avvoltoi schifosi, tutti quanti voi. Ma tu...» Larry alzò gli occhi su di lei e bisbigliò: «Chi altri avrebbe potuto chiedertelo, Caroline? E chi altro vorresti come padre?» Lei si limitava a fissarlo. «Tu puoi odiare Betty fino al giorno della sua morte», proseguì lui. «Anche se devo dirti, per giustizia nei suoi confronti, che è disperata e piena di vergogna. Ma non te lo chiedo per lei. Te lo chiedo per il bambino, e per me...» «Questa idea fissa di avere un bambino era di Betty, te ne sei dimenticato?» «Lo era», ribatté lui, «finché non ho scoperto che non avremmo mai potuto averne. E che tu eri incinta.» Le si avvicinò, posandole le mani sulle spalle. «Qualsiasi cosa tu possa pensare di lei, Betty amerà quel bambino. E ci sarò io ad assicurarmi che tutto vada per il meglio. Sarò io il padre, Caroline. Preferiresti fidarti di un estraneo?» Lei gli voltò le spalle e tornò a sedere sul divano. «È troppo, per me», disse. Larry la guardò senza rispondere. Caroline sedette, reggendosi il viso fra le mani, con lo sguardo fisso sul pavimento. «Non è soltanto per Betty», mormorò infine. «È per mio padre.» «Tuo padre non adotta nessuno.» Lei gli rivolse uno sguardo pieno d'asprezza. «Mio padre adotta ogni vita che gli passa accanto. E, se non starai attento, la tua finirà nel mucchio.
Non permetterò che questo bambino viva l'esistenza che Channing Masters organizzerà per lui. Se fossi soltanto tu, Larry, sarebbe anche possibile. Ma io vi vedo tutti insieme, dunque non credo lo sia.» Larry le sedette accanto. «Che cosa vorresti da me?» Dio mio, pensò Caroline. Per un istante, aveva immaginato il suo bambino insieme con Larry, con un padre che avrebbe tenuto ben distinte la propria vita e quella del figlio. «Vorrei», rispose sommessamente, «che tu andassi ad abitare lontano da lui: in una città e in uno Stato diversi. In modo che non possa, mai più, disporre della vita di un altro.» Con lo sguardo fisso sull'oceano, lui dichiarò: «Posso farcela, in un modo o nell'altro». Lentamente, Caroline si voltò a guardarlo. Ciò che disse sorprese perfino se stessa. «E allora ci penserò, Larry. Adesso, per favore, lasciami sola.» Due giorni dopo la nascita della bambina, Larry venne all'ospedale. Era solo, ma Caroline non aveva neppure dovuto chiederglielo. Confuso e meravigliato, guardava la neonata tra le braccia di Caroline. «Dio mio», mormorò. «Quanti capelli. Non sapevo che i bambini nascessero già con i capelli.» «Nemmeno io.» Caroline studiò il volto della piccola. Era tutto rosso e gonfio, ma gli occhi avevano un'eccezionale luminosità. Stringendo le palpebre, la neonata allungò un braccio, apparentemente per toccarla. Era strano, rifletté Caroline, come a una madre venisse spontaneo investire di significato anche i gesti più naturali della propria figlia. «Vuoi tenerla in braccio?» gli domandò. Goffamente, Larry le tese le mani. Reggendo la bimba con entrambe le mani, Caroline gliela posò tra le braccia. Larry sedette in una poltrona, sorridendo alla piccola. E quell'immagine si fissò in eterno nella mente di Caroline: i raggi del sole che entravano dalla finestra dell'ospedale, illuminando il viso e i capelli della bambina, mentre Larry posava la guancia su quella di lei. «Ha un buon odore», osservò. «Sa... di nuovo.» «Già.» Lui non si muoveva, e Caroline intuì che non riusciva a fare ciò che doveva pur essere fatto. Sottovoce, gli disse: «Ho già chiuso i bagagli, Larry. Non ho più nulla che mi trattenga qui». Lentamente, Larry levò lo sguardo su di lei. «Okay, allora.»
Caroline si alzò. «La porto io.» «Te la senti?» «Sì, sì.» Per l'ultima volta, lei prese la bimba tra le braccia. La baciò sulla testa e poi non riuscì a non odorare per l'ultima volta la sua pelle. I primi passi le diedero una sensazione strana; sentiva ancora la ferita, e la pancia le sembrava un informe lembo di pelle. Col tempo, immaginava, sarebbe ritornata se stessa. Lui le offrì un braccio. Percorsero il corridoio. L'infermiera al banco dell'accettazione sorrise. «Si va a casa?» Caroline annuì. «Si va a casa.» L'infermiera le porse un modulo da firmare. Passando la bambina a Larry, Caroline non riuscì a guardare né lei né lui. Senza una parola, firmò tutti i documenti. La donna le diede un colpetto affettuoso con la mano. «Si goda la sua bambina», disse. «Oh», Caroline rispose, «certo, certo.» Si voltò, accorgendosi che adesso era Larry che non riusciva a guardarla. Fuori del Vineyard Hospital, li attendeva una limpida, fresca giornata d'aprile. Caroline si fermò un istante, abbagliata. «La mia auto è laggiù», disse lui. La raggiunsero. Caroline sapeva che Betty era in attesa dall'altra parte dello stretto, a Woods Hole. Il marito avrebbe portato la macchina sul traghetto e, nel giro di due ore, i tre sarebbero stati insieme. Ma Larry non riusciva ad andarsene. «Non voglio avere vostre notizie», lo informò lei. «Non voglio sapere nulla di nessuno di voi. Però, ti prego, fa' in modo che stia bene.» Con la bimba tra le braccia, lui la guardò intensamente. «Certo», mormorò. «Ci penserò io.» Con un nodo alla gola, lei chiese: «Come la chiamerete?» «Non lo so ancora.» Cercò di sorridere. «Per me, adesso, ha un'aria da Baby Allen.» Caroline fissò la bambina. In quell'istante, la piccola aprì gli occhi. «Per me», dichiarò, «assomiglia a mia madre.» Lentamente, Larry annuì. «Ti do un passaggio?» «No, grazie. Chiamerò un taxi.» Sempre con la bimba tra le braccia, Larry si avvicinò a Caroline e la baciò sulla fronte. Lei sentì il corpicino della figlia che le solleticava il brac-
cio. «Vai via, subito», disse. Senza rispondere, Larry mise la bimba in auto e salì. Mentre si allontanava, Caroline se ne andò. Per correttezza, rabbia e istinto di conservazione, Caroline fece ciò che pensava una madre naturale dovesse fare. Si trasferì in California e s'iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza. Non rivide mai più la figlia. Si era rifatta una vita, e Brett ne aveva pagato il prezzo. PARTE SETTIMA GIUDIZIO FINALE 1. Per la prima volta in ventitré anni, Caroline si accostò alla porta di legno della casetta del padre, il suo rifugio dal mondo esterno. Nella fresca e quieta oscurità, le tornò alla mente la fanciullezza: il mormorio dei rami ai capricci del vento; le notti all'aperto sotto il cielo stellato; le cene a base di pesce alla luce delle fiamme del camino. Ricordava perfettamente che cosa avrebbe visto all'interno. Con il cuore che batteva forte, bussò. Silenzio. Poi, con l'impazienza tipica degli anziani, il padre armeggiò con il chiavistello. «Caroline.» Sbatté le palpebre, forse per la sorpresa, forse per abituarsi alla luce. Era in vestaglia e pantofole; vedendola, si raddrizzò, nel tentativo di recuperare dignità. Non pareva decidersi a invitarla a entrare. «Come vedi, stavo dormendo», disse. Caroline non rispose. Channing esitò ancora un attimo e poi, con uno sguardo in cui si mescolavano risolutezza e reticenza, aprì del tutto la porta. Il soggiorno non era proprio come lo ricordava. Le cose familiari erano sempre lì: le canne, la libreria con i volumi sulla pesca e sulla natura, il dipinto di un lago inglese. Anche la sensazione di ordine non era mutata. Ciò che la sorprese fu un'unica foto, in bella vista sulla libreria: un ritratto di lei sedicenne che rideva, con la testa alta e i capelli che formavano un'onda nel vento. Ricordava perfettamente quel momento, la cattura della trota e il suo gesto quando l'aveva rilanciata nell'acqua. Ma, all'epoca, non aveva
notato che, in quell'istante, era praticamente identica alla madre. E identica a Brett. Caroline si bloccò a guardare la foto. Il padre ne seguì lo sguardo. «Non mi è rimasto molto altro di te», disse. Lentamente, lei si voltò verso di lui. «Soltanto Brett», rispose. «E il coltello.» Era impallidito. «Sì», ammise. «Non sono mai riuscito a gettarlo via.» Poi lanciò un'occhiata rapidissima a un tavolino, che si trovava di fianco a lui. Toccò a Caroline seguire gli occhi del padre e fu così che vide una rivoltella grigia. Il cuore continuava a batterle all'impazzata. «Sei stato tu a camminare lungo la riva», mormorò, «proprio come mi hai spiegato...» In dignitoso silenzio, Channing Masters sollevò il capo e fissò Caroline. In quel momento, lei sentì su di sé il peso schiacciante di ciò che, con tutte le sue forze, si era rifiutata di accettare. Fu assalita dalla nausea. Non riuscì a terminare la frase. L'espressione di Channing, tragica e straziata, era lo specchio dell'orrore di Caroline. «Hai perduto mia madre», disse allora la donna con voce rotta. «Poi hai perduto me. Per altri uomini, hai pensato. Non potevi permettere che un altro ancora ti prendesse Brett...» «Maledizione, Caroline.» Il volto del padre s'irrigidì. «Tutto torna sempre a quell'estate, per te, vero? Non fui io a volere che il tuo David facesse ciò che ha fatto, anche se accettai di accollarmene la responsabilità. Però non confondere il tuo trauma con questo né quel ragazzo con questo. James Case era un narcisista, un imbroglione che cercava di trascinare Brett nelle sue vicende di droga...» «E così hai deciso di salvarla. Proprio come salvasti me.» «Non giudicarmi», esplose lui. «Dov'eri tu, Caroline, mentre Brett cresceva? A seguire le tue ambizioni in California, ignorando tua figlia e la tua famiglia. Per Brett, sei stata ancor meno presente di Nicole nei tuoi confronti! Quella notte, non sapevo che cosa avrei dovuto fare. Capivo soltanto che quel legame con James doveva finire, e che nessun altro avrebbe potuto troncarlo: non Betty e, di sicuro, non Larry. Così presi il coltello e la pistola e, quando li vidi, capii ciò che dovevo fare.» Gli occhi del vecchio sembravano distanti, come se il ricordo di quella sera fosse più vivo del momento presente. La voce era piena di tristezza e rabbia. «La vidi bere con lui, fumare marijuana, gettarsi via. Una ragazza così bella che faceva cose ignobili con il suo corpo, mentre quel ragazzo
ignobile la spingeva a condividere con lui la sua vita ignobile...» «Dio mio.» A Caroline tremava la voce. «Ma non capisci che cosa le hai fatto? Sei completamente folle.» Il volto di Channing si chiuse, divenne implacabile. «Il medico mi ha dato un anno di vita, Caroline, forse due. È una cosa che ti permette una sorta di libertà, ho scoperto. Una certa chiarezza di pensiero e di propositi. E una totale assenza di sentimentalismo. La mia vita - questa vita che abbiamo vissuto - è quasi arrivata alla fine. Tutto ciò che ne rimane è Brett. Guardando da quei cespugli ho capito che, con il poco di vita che mi rimaneva, avrei potuto salvare ciò che rimaneva della sua.» Caroline si accorse che quel modo di argomentare aveva mutato anche il suo stato d'animo. Channing era calmo, quasi distaccato; anche lei si sarebbe sforzata di esserlo. Era come se il cuore e il cervello, in lei, si fossero immobilizzati. «E allora, raccontami che cosa accadde», mormorò. «Perché, a quel che sembra, è toccato a me, alla fine, il compito di salvare Brett.» La notte fatale era stata buia, piena di ombre; seguendo le gelide parole di Channing e ricordando quelle appassionate di Brett, Caroline riusciva finalmente a vedere che cos'era successo. In ginocchio fra i cespugli, Channing li aveva sorvegliati. Due sagome disegnate dalla luce lunare: l'uomo con la testa fra le gambe di lei, la silhouette argentea e nera della donna che gemeva. Era stato così tra Nicole e Paul, tra Caroline e il suo amante? si era chiesto. Una parte di lui avrebbe voluto distogliere lo sguardo. Però non ce l'aveva fatta, a smettere di guardare. La notte gli era sembrata fredda, le giunture gli dolevano. Sotto la luna, Brett era montata a cavalcioni di James. Si muoveva con ritmica frenesia. Sotto di lei, il corpo dell'uomo aveva cessato di agitarsi. Quindi Brett, con pochi movimenti goffi, si era scostata da James. A quel punto, con grande disgusto di Channing, si era inginocchiata per baciare il viso del ragazzo. E forse in quel preciso momento, osservando la mossa di assoluta sottomissione da parte di Brett, aveva preso la sua decisione. Lentamente, aveva tolto la rivoltella dalla cintura. La brezza notturna sul viso di Channing era fredda. Le dita, protette dai guanti di pelle, parevano anchilosate dall'artrite. L'acuto dolore alle ginocchia gli aveva riempito gli occhi di lacrime.
Stranamente, Brett si era alzata, stagliandosi nuda contro il nero del lago. Poi, d'impulso, aveva cominciato a correre verso di esso. Channing aveva sentito i tonfi dei piedi nell'acqua bassa della riva, poi una sorta di schiaffo: si era tuffata. Allora, faticosamente, lui si era alzato. Aveva paura per lei, gli era sembrata troppo stordita per nuotare. E poi aveva scorto le lunghe bracciate, udito il ritmo che le aveva insegnato lui e che l'avrebbe portata in breve tempo alla piattaforma. Li aveva lasciati soli. Senza fretta, aveva messo di nuovo la rivoltella nella cintura. Dal lago, il rumore delle bracciate di Brett era cessato. La ragazza aveva raggiunto la piattaforma e vi stava salendo, mentre l'acqua scrosciava, ricadendo dal suo corpo. Channing la vedeva a stento: un'ombra leggermente più scura in mezzo a un quadrato di tavole illuminate dalla luna. Con movimenti rigidi e impacciati, era uscito dai cespugli. Il ragazzo era steso sulla coperta a braccia aperte, come un soldato morto nel punto esatto in cui era caduto. I passi di Channing, sull'erba, non avevano fatto rumore. L'atto d'inginocchiarsi sulla coperta gli aveva strappato una smorfia di dolore. Gli unici suoni percettibili erano i lievi scricchiolii delle sue ossa e il fruscio, appena udibile, del respiro di James. Channing lo aveva guardato. Aveva la pelle liscia e le labbra dischiuse, regolari e piene. Mentre dormiva, anche la sua espressione arrogante dormiva. Ma, quando si fosse svegliato, Channing lo sapeva bene, avrebbe di nuovo avviluppato Brett nella rete del suo egoismo e dei suoi bisogni. Con uno sforzo di volontà, il vecchio aveva sfilato dalla guaina il coltello donatogli da Caroline. Per un attimo, era rimasto immobile, con il coltello sospeso sul viso addormentato del ragazzo. In una zona lontana del cervello, aveva continuato ad ascoltare il canto dei grilli e a percepire la presenza di Brett, a una trentina di metri. Aveva inspirato profondamente una volta, a occhi chiusi. E poi, con il coltello già piegato sul collo nudo di James, aveva percepito l'esitazione tremante della mano. Adesso. Il colpo, nelle sue intenzioni, era un fendente verso il basso. Intorpidita dall'età, bloccata dall'indecisione, la mano, però, lo aveva tradito.
Gli occhi di James si erano spalancati. Dalla ferita superficiale era sgorgato un rivoletto di sangue. Dio mio, Dio mio. «No...» aveva ansimato il ragazzo. Channing gli aveva stretto intorno al collo le mani guantate. Sotto di lui, il corpo nudo di James si dimenava per liberarsi dal sonno, dallo shock e dall'orrore. Il cuore di Channing aveva preso a battere all'impazzata. Il secondo colpo era stato rapido e sicuro. D'un tratto, Channing aveva sentito il terribile, caldo zampillo di sangue sul volto e sulla camicia, e visto gli occhi terrorizzati di James fissarsi su di lui e riconoscerlo. Un altro fiotto di sangue quasi l'aveva accecato. Con uno strattone convulso, James si era mosso per afferrargli un braccio. Channing gli aveva spinto il coltello nel cuore. Il braccio del giovane era ricaduto all'indietro. A quel punto, il vecchio aveva udito il primo, tremendo gorgoglio prodotto dalla gola di James. In preda all'orrore, Channing era indietreggiato. «James...» Brett che gridava dal lago. In preda alle vertigini, l'uomo si era rialzato. Sulla coperta ai suoi piedi, James si torceva negli spasimi dell'agonia, producendo un suono simile a quello di un uomo che sta annegando. «James...» Alle sue spalle, Channing aveva udito il tuffo di Brett, in preda al panico. Con la gola invasa dalla bile, Channing si era rifugiato barcollando nell'oscurità, prima che Brett potesse scoprirlo e capire che cosa aveva fatto. 2. «Brett», mormorò Caroline. «Già, c'era Brett.» Nella penombra della casa, il volto di Channing era esangue; e la voce, quando riprese a parlare, atona: «Sapevo che sarebbe stato terribile per lei come, in quel momento, era terribile per me. Ma non potevo tornare indietro. Non pensai neppure per un attimo che potessero accusare lei. Le impronte digitali, la respirazione bocca a bocca, gli spruzzi di sangue... Che avrebbe preso il coltello e il portafoglio... Come avrei potuto immaginare tutto questo? Non avrei mai potuto immaginare neppure che cosa si prova a uccidere un uomo in quel modo».
Caroline allontanò da sé sia la pena sia la ripugnanza. «Invece sei riuscito a immaginare che cosa si prova a essere accusati di un omicidio che non si ha commesso?» chiese in tono gelido. L'uomo cercò di sottrarsi all'accusa scritta sul volto della figlia. «Non volevo che lei sapesse. E, sì, non volevo che la mia famiglia - e io - venisse messa in relazione con la morte di quel ragazzo.» Tacque e, quando riprese, la voce era smorzata dalla vergogna. «Sapendo che era innocente, pensai che non l'avrebbero mai incriminata. E, quando lo fecero, che l'accusa non avrebbe retto. Quanto a questo, almeno ho avuto ragione.» La donna scosse il capo, attonita e stordita. «E quale impulso perverso ti ha spinto a chiamare me?» «Sapevo che ti saresti sentita responsabile per lei. Dopotutto, fosti tu a scegliere di averla e, poi, di lasciarla. Inoltre, anche da lontano, vedevo chiaramente quanto talento avevi.» Tornò a guardarla, e soggiunse: «So che effetto ti farà quello che sto per dirti... È lo stesso effetto che fa a me. Ma, nonostante la sofferenza di questi quattro giorni, ho provato un certo piacere nell'osservarti al lavoro». In tono ancora più flebile, concluse: «Sei un avvocato davvero notevole, Caroline. Ma, d'altra parte, l'ho sempre saputo». Quelle parole parvero colpirla alla bocca dello stomaco. «E allora devi anche aver immaginato che ti avrei scoperto, no? Forse hai sperato che avvenisse.» Il vecchio scosse la testa. «Sapevo che c'era questa possibilità», rispose con mesto orgoglio. «Ma non avrei mai creduto che ti ricordassi del coltello; pensavo di essere l'unico a rammentare quel tuo regalo come fosse ieri.» Gli occhi ripresero vigore. «Ero sicuro che ti fossi levata dalla mente tutto ciò che riguardava quegli anni e la nostra vita insieme. Che volessi ricordare soltanto l'ultima estate.» Per qualche istante, Caroline non riuscì a parlare. Quando rispose, però, il tono fu gelido: «E una parte del piacere non risiedeva nella possibilità di misurarti con me, papà? Di rimettere in scena l'omicidio per me e vedere se ero abbastanza in gamba da seguire le tue istruzioni?» Channing arrossì. «Come puoi pensarlo? Ciò che ti ho detto è stato per il bene di Brett. Ero responsabile per lei...» «Per il bene di Brett.» La voce della donna vibrava di collera. «Non so come descrivere ciò che le hai fatto passare!» Il padre la fissò, poi si diresse verso la camera da letto. Tornò reggendo un sacchetto di plastica trasparente che conteneva una camicia e un paio di
pantaloni macchiati di sangue. Sopra il sacchetto c'era una busta contenente una lettera, assicurata alla plastica con nastro adesivo. Porse il tutto a Caroline. «Leggila», disse. La donna guardava il contenuto del sacchetto. Gli zampilli di sangue, secchi e spessi sulla camicia da lavoro azzurra, si trovavano là dove sapeva che dovevano essere. «Leggila», ripeté lui, con maggiore asprezza. Caroline posò il sacchetto e aprì la busta. La lettera era indirizzata a lei. Deglutendo, si fece forza e lesse. Quel modo di scrivere, pensò, non avrebbe potuto appartenere ad altri. La prosa era essenziale, controllata. Con abbondanza di particolari persuasivi e pochissimo spazio ai sentimenti, il testo spiegava come Channing Masters aveva ucciso James Case. L'uomo forniva le sue motivazioni, ma non chiedeva comprensione. Le uniche scuse erano rivolte a Brett. Caroline tornò a guardare il padre. «L'originale è nella mia cassetta di sicurezza», precisò lui. «In caso fossi mancato improvvisamente.» «E se non fossi...» Il padre si erse in tutta la sua altezza. «Ero pronto ad andare da Jackson. Ci sarei andato, in effetti, se tu avessi fallito con questa udienza preliminare. Tuttavia sembrava proprio che fossi sul punto di screditare quella sciagurata Megan...» «E guarda come hai fatto soffrire Brett, in attesa.» «Non è poi così grave, convivere con qualcosa di brutto per tre settimane... E io lo so bene. Ho convissuto con quell'ultima estate per ventitré anni.» Lei lo squadrò. «Convissuto con che cosa?» Il padre non rispose subito. Poi, con semplicità e senza alzare la voce, disse: «Il tuo David è morto, Caroline». Caroline arretrò, con il cuore che le martellava in petto. «Come fai a saperlo?» «Annegò nello stretto, quella notte.» Tacque di nuovo, costringendosi a guardarla. «Trovarono il catboat nei pressi di Tarpaulin Cove. Si era schiantato sugli scogli.» Caroline incrociò le braccia sul petto, e chinò la testa. «E tu sapevi», disse con voce strozzata. «L'hai sempre saputo...»
Lui si passò una mano sulla fronte. «Per tre giorni, Caroline, ho sperato ho perfino pregato - che ce l'avesse fatta, in qualche modo. Non ho mai voluto che accadesse una cosa del genere.» Scosse lentamente il capo, come se rivivesse il momento in cui l'aveva saputo. «Poi mi chiamò la guardia costiera. La barca era registrata a mio nome, capisci? Non la collegarono alla fuga di David. Così dissi semplicemente che si era sciolta dagli ormeggi...» «Perché?» «Per evitare che tu ne venissi a conoscenza.» Il volto di Channing era scavato dal dolore. Sottovoce, concluse: «Non volevo perderti, Caroline». Disperata, lei gli voltò le spalle. Le sembrava di non riuscire a respirare. «Adesso sai tutto», soggiunse lui con una voce in cui si era spenta ogni vitalità. «Domani mi costituirò a Jackson. Ti prego, va' via.» Caroline vide davanti a sé la libreria, la foto di una ragazza che rideva, la pistola. Con uno sforzo di volontà, tornò a fissare il padre. Il volto di lui non era che lo spettro di ciò che era stato una volta. Soltanto gli occhi, d'un tratto pieni di lacrime, erano rimasti in vita per lei. «Caroline...» mormorò lui e, per un istante, Caroline rivide tutto ciò che c'era tra loro: le camminate in montagna, le lunghe giornate sul lago, la morte della madre, le chiacchierate a cena, i piani per il suo futuro di avvocato. David perduto. I tanti modi in cui, per tutti quegli anni e contro la volontà di lei, il padre ancora aveva determinato la sua vita, l'essenza stessa di Caroline Masters. Qualsiasi cosa avesse da dirle, parve incapace di esprimerla apertamente. «Sei tornata a casa, Caroline. Finalmente, e il motivo non importa.» Poi, con voce roca, ripeté: «Adesso, per favore, lasciami solo». La donna s'irrigidì. Per l'ultima volta, lo guardò in viso. Incapace di rispondere, annuì. Poi lo superò e uscì nella notte. Si fermò subito, a pochi passi dalla casa. L'immenso sforzo compiuto per controllarsi la sopraffece. Tenne alta la testa. Respirando profondamente, inalò l'odore forte dei pini. Ma non se ne andò. Rimase in ascolto. La notte era fresca e tranquilla. Dalla porta semiaperta, sentì giungere uno scoppio sordo. Chiuse gli occhi. Nel doloroso, terribile silenzio che seguì, non riusciva a muoversi. Ma non c'era nessun altro. Come aveva detto a Betty, toccava a lei. Lentamente, tornò sui suoi passi ed entrò.
Si bloccò, impietrita. Dalla sua gola non venne neppure un suono. Vide che il padre aveva avuto pietà di se stesso. Il volto e la testa erano intatti; la ferita, da cui ancora sgorgava sangue, era al cuore. La pistola giaceva a terra accanto alla mano, a poca distanza dal sacchetto di plastica che conteneva i vestiti. Gli occhi erano fissi in alto, su di lei, ciechi. Caroline s'inginocchiò e li chiuse. Nel farlo, lo guardò in volto. Sapeva che, nel giro di pochi momenti, il suo corpo avrebbe assunto la cerea alterità della morte. Eppure, in quel momento, il volto conservava il suo colore e la pelle era ancora calda. Caroline staccò lentamente la mano. Rimase immobile per un altro istante, il tempo di un battito del cuore. Poi si alzò, e andò a telefonare a Jackson. Non guardò più il padre. 3. A pochi metri da lei, i fari si spensero. Il motore tacque. Una portiera sbatté, e Caroline udì lo scricchiolio dei passi sulla ghiaia. Al buio, Jackson la raggiunse. C'era in lui qualcosa d'incerto, come se fosse ancora istupidito di sonno. Ma gli occhi erano vigili. «È là dentro», l'informò Caroline. Lui non si mosse. In silenzio, la guardava. «Per favore», gli disse lei. «Occupatene tu. Io non ce la faccio più.» Ma Jackson non si diresse verso la casa; forse intuiva che una parte di Caroline non voleva che lui si allontanasse. Le chiuse i polsi fra le mani e domandò: «Che cosa è successo?» «Troppe cose.» Caroline tacque, poi lo guardò dritto negli occhi. «Brett è mia figlia, Jackson.» Lo sguardo di lui non vacillò. «Dio mio», disse in un soffio. Non le lasciò i polsi. Quando arrivarono gli infermieri e i medici non si erano ancora mossi. Poi, dietro l'ambulanza, videro le luci di un'auto della polizia. I pensieri di Caroline tornarono a Brett. «Vai, vai per primo», lo incalzò. «Bisogna che tu veda che cosa ha lasciato, prima che buttino tutto in aria.» Lui la fissò. Questa volta comprese e, lentamente, annuì. Immobile, Caroline lo sentì entrare in casa. Non si mosse neppure quando medici, infermieri e poliziotti le passarono davanti nel vialetto, avanzando di corsa, quasi senza notarla. Alla base della costruzione, ricordò, c'era una panchina che guardava il
lago. Scese gli scalini che aveva costruito il padre e si sedette sulla panchina. Lasciò vagare lo sguardo sul lago che, in quella notte senza vento, sembrava una lastra di vetro. Gli unici rumori erano quelli provenienti dalla casa. Ogni tanto, sentiva la voce di Jackson. Caroline avrebbe voluto provare qualcosa. Ma sentiva soltanto il vuoto. Lui è morto, si disse, e Brett è libera. Perché non provo nulla? Ci volle qualche istante prima che si accorgesse di Jackson, alle sue spalle. «Ho telefonato alla polizia di Stato», spiegò. «Ti porto via. Al resto, ci pensano loro.» Caroline tenne gli occhi fissi sul lago. «Ci sono gli altri da avvertire», rispose. «Betty...» «Può aspettare.» Caroline non si oppose. Il viaggio in macchina verso la casetta di Jackson durò una decina di minuti e si svolse in silenzio. Entrando nella casa di lui, Caroline vide il caminetto e pensò che là, una volta, avevano fatto l'amore. Sembrava fossero passati anni interi. Jackson la condusse in veranda. Lei sedette su un divanetto; attraverso un varco tra i pini, si scorgeva il lago, niente di più di una macchia scura. Caroline lo fissava senza vederlo. «Vuoi qualcosa?» chiese lui. «No, grazie.» Seduto in un angolo del divanetto, Jackson non la toccava. L'unica sensazione che Caroline riusciva a provare era l'isolamento. «Puoi parlarne con me», le propose infine lui, «oppure andare avanti nel modo in cui, credo, hai vissuto per anni.» Caroline non si voltò; il semplice fatto di parlare le costava fatica. «Non sono sicura di sapere come fare», mormorò. «Non so neppure da dove cominciare.» «Da qualsiasi cosa, Caroline. Dal primo fatto che ti viene in mente.» Era troppo stanca per inalberare le sue solite difese; in muta risposta a quella sollecitazione, e contro la sua volontà, la sua mente si liberò. La prima, sorprendente immagine che la investi - capelli neri che fluttuavano nell'acqua - le provocò una stretta al petto. «Mia madre...» si sentì dire, ma non riuscì a terminare la frase. Poi sentì
le braccia di lui attorno alle spalle. «Continua», la sollecitò dolcemente Jackson. Con voce monotona, prima di riuscire a fermarsi e a pensare, Caroline gli raccontò tutto. Di sua madre e di com'era morta. Del suo amore per David. Del tradimento della sorella e, poi, del padre. Di come era arrivata a decidere di partorire Brett e poi di affidarla a Betty e a Larry. Del perché era tornata. Quindi passò agli eventi delle ultime tre settimane. Il coltello perduto. L'irruzione nell'appartamento di Megan. Il percorso, per metà logico e per metà intuitivo, che le aveva fatto scoprire la colpevolezza del padre. Il loro ultimo confronto. Il momento in cui aveva appreso, ventitré anni dopo, che David era morto. Quando ebbe finito, Caroline non trovò la forza di guardarlo. «Sai che cosa mi ha detto mio padre?» concluse tristemente. «Che aveva paura di perdermi.» Lui la strinse a sé. «Be'», disse, «quanto a me, non mi hai perduto. Mi hai soltanto accantonato per un po'.» Caroline sentì che qualcosa cambiava, in lei. Guardò il volto segnato di quell'uomo stanco e gentile e, senza preavviso e senza rimedio, scoppiò a piangere convulsamente, come non aveva più pianto dalla notte in cui David era scomparso. Jackson la tenne tra le braccia. La prima luce del mattino si rifletteva sul lago. Esausta, Caroline giaceva sul divanetto tra le braccia di Jackson. La giornata che stava per nascere somigliava, crudelmente, a una giornata qualsiasi. «A che cosa pensi?» gli chiese. Lui rimase in silenzio per un po', quindi rispose: «Che hai avuto ragione a non dirmi nulla, in un certo senso. Non avrei mai potuto capire, prima...» «E adesso?» «Credo di sì.» Se soltanto avesse potuto rimanere lì, con lui, si disse. Ma le tornò alla mente l'immagine del padre. Come se avesse seguito il corso dei suoi pensieri, Jackson annunciò: «Abbiamo varie cose da fare, stamattina. A cominciare da Fred Towle che ci aspetta in aula». Sotto la sua spossatezza, Caroline sentì che l'avvocato si agitava. Si mise a sedere. «Come dobbiamo trattarla, questa faccenda?»
«Ci penso io.» Jackson si staccò da lei e la guardò. «Dirò a Fred che tuo padre è morto e che chiudo il caso senza effetti giuridici... È tutto ciò che posso fare, per adesso, Caroline. Finché non avremo i risultati dell'autopsia e l'inchiesta non verrà completata. Non racconterò nulla a Fred o ai giornali finché tu e io non stabiliremo che cosa dichiarare. Ma mi accerterò che Brett sia fuori stamattina stessa... A te toccherà il compito di spiegarle tutto. O, meglio, quello che deciderai di rivelarle.» Caroline annuì. Jackson parve studiarla, poi chiese: «Brett crede di essere figlia loro?» La donna distolse lo sguardo. «Sì.» Lui raggiunse il lato opposto della veranda e si mise a guardare il lago. «Hai intenzione di dirle la verità?» Caroline si rese conto che, inconsciamente, se l'era già domandato anche lei. «Non lo so, Jackson. Di sicuro non me la sento di farlo subito. Anzi, neppure di decidere subito.» Jackson si voltò e tornò a fissarla. «Ma il mondo va avanti, non è così? E, forse, oggi è una benedizione.» Caroline pensò a Betty. Per un istante, si sentì troppo debole perfino per alzarsi. Lentamente, entrò in casa e raggiunse il telefono. Doveva rivelare a Betty che il loro padre era morto. 4. L'auto di Caroline era ancora parcheggiata accanto alla casetta di Channing. Jackson fece qualche telefonata e sistemò le cose per il suo dissequestro; poi l'accompagnò a riprenderla e, quando arrivarono, il nastro giallo che delimitava l'accesso al vialetto era già stato tagliato da un agente, che li aspettava. La salma del padre era stata portata via. Caroline si rivolse a Jackson. «Grazie.» L'altro annuì, ma senza sfiorarla. Erano tornati, una volta di più, nei loro panni professionali. «Telefonami, dopo aver visto Brett. Tra l'altro, dobbiamo lavorare a un comunicato.» «Certamente.» Aveva parlato con voce ferma e pacata. E doveva comportarsi così. Eppure, guardando Jackson che se ne andava, Caroline si sentì sola. Raggiunse la macchina. Seduta al posto di guida, rimase per un po' a fissare la casetta del padre. Poi si ricordò delle fotografie. Intontita dalla
spossatezza e dal dolore, guardò per l'ennesima volta i volti che aveva chiesto a Joe Lemieux di ritrarre all'ingresso del tribunale. Megan, Betty, Larry. Suo padre... Saliva i gradini della scalinata, con un'andatura un po' rigida, ma rifiutandosi di guardare in basso. Lo sguardo fisso davanti a sé, nell'ultimo sforzo di dignità di un vecchio. Caroline sentì gli occhi riempirsi nuovamente di lacrime. Sapeva che Brett non avrebbe mai dovuto vederle e, prima di avviare il motore, nascose le fotografie sotto il sedile. Quando la poliziotta la fece entrare nella zona riservata alla registrazione, Brett aveva un'aria stupefatta. I primi passi verso Caroline rivelarono tutta la sua titubanza. Sulle prime, la donna non riuscì a dire nulla. Riusciva soltanto a pensare che la ragazza che aveva davanti, la figlia di David, era stata restituita alla vita. «È finita», le spiegò. «Sei libera.» Ma al primo, incerto sorriso di Brett, distolse lo sguardo. «Che cosa è successo?» chiese la ragazza. Mentre uscivano, Brett si guardò indietro. Illuminato dal sole, il grosso edificio di mattoni aveva un aspetto inoffensivo. Ma la sua ombra, pensò Caroline, non avrebbe mai lasciato né Brett né lei. «Come hai fatto?» la sollecitò la ragazza. Senza rispondere, Caroline continuò a camminare davanti a lei e si sedette sull'erba. Brett si fermò a scrutarla, poi le s'inginocchiò accanto. Caroline inspirò profondamente. «Tuo nonno è morto. Si è sparato.» Il volto di Brett parve torcersi in una smorfia. Poi, nello sforzo di capire, si bloccò in un'espressione bizzarra e dolente. «James...» «Sì. L'ha ucciso mio padre.» Era la giornata delle lacrime, pensò Caroline. Quando arrivarono quelle di Brett, furono silenziose. Gli occhi della ragazza però rimasero inchiodati su Caroline, come se cercassero una spiegazione. Era troppo anche per lei, rifletté Caroline. Le strinse le mani. Poi, in modo del tutto inatteso, Brett domandò: «Dimmi com'è successo». Caroline la studiò per qualche istante, quindi, senza enfasi di sorta, le disse quanto le sembrava giusto che sapesse. «Non ti avrebbe mai lasciato là dentro», concluse. «Tuttavia non sarebbe
mai riuscito ad affrontarti.» Brett ebbe un sussulto e Caroline immaginò che ricordasse il momento in cui aveva trovato James agonizzante. Un momento che, ormai, era diventato ancor più difficile da sfumare, e persino da comprendere. Come se seguissero le riflessioni di Caroline, i pensieri di Brett si spostarono su di lei. «Sei tu che hai trovato il nonno.» «Sì.» «Dio mio...» «Sto bene...» incominciò, poi si corresse. «No. Non sto bene. Ma volevo essere io a dirtelo.» Quella risposta parve spingere Brett a riflettere di nuovo su se stessa. Chissà su che cosa stava meditando, si chiese Caroline. Non desiderava la compassione di quella ragazza, soprattutto perché non riguardava il vero motivo della sua sofferenza. A braccia conserte, Brett teneva gli occhi fissi sull'erba. «Gli volevo bene, al nonno», disse infine. Sotto il dolore, la donna avvertì la paura di qualcosa di così grande da non poter essere tollerato. «Mi dispiace... non so che cosa fare. Né riguardo a lui, né per tutto il resto.» Caroline si sentì come trafitta da quelle parole. Parlò soltanto dopo qualche momento. «Certe cose - le cose più terribili - sono così. Non c'è una lezione da imparare, non c'è una spiegazione utile. A volte non c'è spiegazione, e basta. Alla fine, rimani sola con te stessa. E, se hai fortuna, con la comprensione di qualche amico.» Gli occhi di Brett tornarono a riempirsi di lacrime. «Parli anche di te, adesso.» Caroline esitò, poi annuì. «Non so nemmeno se riuscirò mai più a dormire una notte intera. Ma io sono già stata nel luogo in cui ti trovi tu in questo istante, e conosco la via del ritorno. Forse potrò aiutarti.» Brett le tese di nuovo le mani, perché gliele stringesse; le sue dita, chiuse tra quelle della madre, erano calde. «Possiamo rimanere qui?» chiese infine. «Non voglio vederli, per adesso. Né loro né nessun altro.» Caroline la guardò, e un muto dolore le colmò l'anima. David è morto, avrebbe voluto dirle, tuo padre è morto. Ma non poteva. Almeno per il momento, Brett aveva un padre, il padre che lei stessa le aveva assegnato. Com'era possibile sostituirlo con un ricordo che apparteneva soltanto a lei, soltanto a Caroline? «Rimarrò con te finché vorrai», le rispose.
5. Jackson aveva avuto ragione, rifletté Caroline. Quel giorno, i doveri imposti dalla legge si erano rivelati un sollievo. Aveva accompagnato Brett a Masters Hill. Larry e Betty attendevano in veranda; Caroline aveva fatto scendere dall'auto la ragazza, ma non era entrata in casa. Brett, congedandosi, l'aveva guardata e lei aveva provato l'irrazionale, dolorosa sensazione di abbandonarla una seconda volta. Poi Betty si era stretta la ragazza al petto, e Caroline era partita. Adesso, nello studio di Carlton Grey, lavorava con Jackson, che era tornato a essere il consumato professionista della legge. La dichiarazione alla stampa che aveva abbozzato era già quasi perfetta. Il giudice in pensione Channing Masters, diceva il testo, si era, con ogni evidenza, suicidato. Un'inchiesta preliminare aveva portato alla luce prove sostanziali - inclusa una confessione scritta -che lo indicavano come l'omicida di James Case. In attesa di approfondite indagini, l'accusa nei confronti di Brett Allen era stata ritirata. Una volta noti i fatti, sarebbe stata diramata una nuova dichiarazione. Caroline era stata ugualmente concisa. Confermava che Channing Masters era morto. In nome della famiglia, esprimeva comprensione per il fatto che le prove raccolte avessero indotto a errate considerazioni e ringraziava la procura generale per il pronto rilascio di Brett. Al di là del sollievo per la liberazione di Brett e del dolore per le circostanze della morte del giudice Masters, la famiglia non aveva, né avrebbe avuto in futuro, altro da dichiarare. Jackson la lesse. «Molto cortese. Almeno con me.» «Com'era naturale.» Lui spinse indietro la sedia. «Mi occupo io dei giornalisti», disse. «Tu, va' a nasconderti da qualche parte.» Il pomeriggio sfumò nella sera, poi venne la notte. Caroline era rimasta chiusa in camera, senza mangiare e senza riuscire a dormire. Betty si occupava dei comuni particolari di una morte non comune: prenotare una cerimonia funebre, organizzare la sepoltura, cercare una traccia per il discorso del pastore. Come era giusto, Brett era con loro. Al pari di Caroline, non rispondevano che ai messaggi più urgenti; diversamente da lei, potevano rinchiudersi nella cerchia familiare. Caroline non aveva nulla da fare. Troppo stanca per vagliare i suoi stessi pensieri, rimase sdraiata sul letto,
lontanissima dal sonno. Qualcuno bussò alla porta. Chi poteva essere? Si era rifiutata di rispondere a qualsiasi telefonata di giornalisti: uno dopo l'altro, i bigliettini si erano succeduti sotto la sua porta, soltanto per finire subito nel cestino. E soltanto nella lontanissima eventualità che Brett avesse avuto bisogno di un'altra dichiarazione, sarebbero stati ripescati. Con cautela, Caroline aprì. Era il portiere di notte, un tipo timido, con un ciuffo ribelle e un'espressione di eterna sorpresa in volto. «Un'altra telefonata», annunciò. «È un tizio che dice di essere il presidente degli Stati Uniti. Il problema è che ha proprio la stessa voce del presidente.» Per un attimo, Caroline non seppe che cosa rispondere. «Questa vorrei proprio sentirla», rispose. «Me la passi.» Un minuto dopo, il telefono trillò. «Caroline?» «Signor presidente?» «Be', sono felice di essere riuscito a trovarla.» Nel suo tono si mescolavano calore e disagio. «Mi hanno appena portato un rapporto telegrafico. È evidente che lei è stata colpita da una tragedia, e volevamo farle sapere quanto le siamo vicini. A proposito di suo padre e a proposito di ciò che sta provando... Non è troppo presto per farsi sentire, no? Gli avvenimenti si staranno sedimentando in lei soltanto adesso, però...» Caroline si sentì stranamente commossa. «No. Non è troppo presto. In verità, lei mi è di grande aiuto.» «E allora c'è un'altra cosa che devo dirle, per quel poco che può valere in circostanze come queste. Che lei aveva ragione a credere in sua nipote, e a rimanere al suo fianco senza badare alle conseguenze.» Abbassò la voce e concluse: «Qualcuno dice che molti di noi si dimostrano indegni delle proprie cariche per averle troppo desiderate. Non so se sia così. Ma la sua scelta si riflette positivamente su di lei, come persona e come giudice, in prospettiva. E di certo non costituisce un pregiudizio». Di colpo, Caroline colse l'ironia della situazione. Non aveva mai avuto altra scelta se non quella di sostenere Brett; non sapendolo, il presidente l'ammirava per qualcosa che lei non avrebbe potuto evitare. Ma era troppo stanca e troppo grata per quel fraintendimento per ribattere. Si limitò a ringraziarlo e posò il ricevitore.
Due sere dopo, sentendosi come sospesa, si recò alla casetta di Jackson e cenò con lui. A poco a poco, si era resa conto che era rimasto in città soltanto per lei, rinunciando a parecchi giorni di vacanza. Ma non sapeva come ringraziarlo. Caroline prese un boccone di costata, annaffiandolo con un sorso di cabernet. «Non sono riuscita a dirglielo», spiegò. Era la continuazione di un discorso avviato prima di cena, ma Jackson, osservandola da sopra il bicchiere, capì subito che si riferiva al presidente. «Immagino che tu non lo volessi davvero.» Lei si mise sulla difensiva. «Come ti ho detto prima dell'udienza, non aspiro più a essere giudice federale. E, dopo tutto ciò che è successo da allora, perché mai dovrebbe avere ancora qualche importanza, per me?» Jackson fissò il fuoco. «Nel corso degli anni, Caroline, tu sei diventata una persona ben precisa. E non smetti di esserlo soltanto perché hai dovuto affrontare le ragioni per cui lo sei diventata.» Caroline rammentò di essersi chiesta che cosa poteva diventare se non fosse più stata avvocato o giudice. «Non è soltanto per quello», mormorò. «E neppure per il tempo che mi occorrerà per superare quanto ha fatto mio padre. Il fatto è che sono penetrata nell'appartamento di Megan. Non è il genere di cose che fanno i futuri giudici.» Jackson continuava a tenere gli occhi fissi sul fuoco nel camino. «Megan ha reso una falsa testimonianza», mormorò. «Chi le crederebbe?» «No», fu la dura risposta. «Non posso mentire su una cosa come quella.» Jackson si voltò a guardarla. «Non sarai mai costretta a farlo», disse con assoluta calma. «Ho chiarito molto bene alla tua amica Megan che dipende esclusivamente da me se sarà incriminata per falsa testimonianza. E che non intendo più vederla accusare nessuno di altri reati, né in aula né sui giornali. Ha lasciato l'università, Caroline. È sparita. Tutto ciò che desidera è di evitare, per quanto possibile, ulteriori umiliazioni. Non è più un problema per te, né lo sarà mai.» Sorridendo, concluse: «Dopotutto il suo diario ce l'ho io, adesso». La donna si accigliò. «Non voglio essere salvata. Non cercare...» «Per Dio, Caroline: stavi tentando di salvare tua figlia! Ogni giorno la gente attorno a noi fa cose ben peggiori. Io ho fatto di peggio, in questo caso, senza infrangere la più piccola legge. Il che mi ha condotto a non poche, ma salutari, riflessioni notturne. Dubito comunque molto che quelle riflessioni m'impediscano di accettare un incarico come giudice.» Caroline scosse il capo. «Tu hai giudicato male una teste, Jackson. Io ho
infranto la legge. Come magistrato della Corte d'Appello, dovrò rivedere un'infinità di processi di altre persone che hanno fatto lo stesso, molte delle quali adducendo le ragioni più comprensibili. Come posso fare una cosa del genere, sapendo ciò che so?» «Perché non farlo sarebbe una colossale idiozia. Tu sei un avvocato brillantissimo e, quel che più conta, capace di provare vere emozioni. Nulla di questa tua ultima esperienza rende meno autentiche tali qualità.» Caroline si alzò, avvicinandosi al camino. Per un po' guardò le fiamme arancioni e azzurre. «Ora come ora», disse infine, «capire ciò che devo fare con Brett mi sembra più importante.» Sentì che Jackson la raggiungeva. «Che vuoi fare?» «Che cosa voglio?» Lo fissò con subitanea intensità, avvertendo l'intensità del suo desiderio, del suo bisogno di lei. «Ogni fibra del mio essere vuole che sia mia figlia. Sono così dannatamente nauseata da tutte quelle bugie. Ma c'è qualcosa di più grande ancora.» Lo fissò negli occhi e le lacrime cominciarono a rigarle il volto. «La voglio nella mia vita, Jackson. L'altro giorno, vedendo Betty che l'abbracciava, ho avuto una paura tremenda di perderla di nuovo.» Jackson la guardò con simpatia, ma anche con un sentimento diverso, che lei, nella sua disperazione, non riuscì a comprendere. «Come la prenderebbe Brett?» «Non lo so. Bene, credo... con il tempo. Ma l'unico modo certo di tenerla con me è di dirle chi sono. Nessuno conosce la forza del legame con un genitore quanto la conosco io.» Il suo tono divenne quasi implorante: «È ancora giovane, e io potrei aiutarla. Prima, non ci credevo. Ma adesso che sono stata con lei, so che ne sarei capace. Come posso andarmene, e lasciarla di nuovo?» L'uomo la studiò a lungo. Ma rimase immobile. «Come ti ho appena detto», mormorò dopo un lungo silenzio, «tu hai il coraggio dei sentimenti. Sono certo che saprai capire che cos'è giusto.» 6. Tre giorni dopo, al funerale del padre, Caroline continuava a non sapere che cosa fare. Il rito funebre venne officiato nella cappella di Masters Hill. La famiglia sedeva nel suo banco: Larry in fondo, Brett tra Caroline e Betty. Nessuno di loro parlava granché; prima che la funzione avesse inizio, Brett sfiorò
una mano di Caroline. La ragazza appariva stanca, ma padrona di sé. «Stai bene?» chiese Caroline. «Era mio nonno», fu la semplice risposta. I banchi erano quasi tutti occupati. Caroline riconobbe molti visi: persone troppo perbene per rimanersene a casa, dimenticando che cosa era stato per loro Channing Masters. Su quei volti si percepiva inoltre il trascorrere del tempo. Gran parte degli intervenuti erano anziani; Channing era in pensione da oltre un decennio e molte delle sue opere, grandi e piccole, erano ormai un ricordo. Sarebbe certamente stato l'ultimo di loro a essere seppellito a Masters Hill. Il rito stesso fu scarno e decoroso: un pastore che Caroline non conosceva e che parlava a bassa voce, semplici parole dal Vecchio Testamento, frasi di speranza e redenzione. La donna ascoltava soltanto a tratti: aveva lasciato ogni incombenza a Betty e a Larry. Credeva assai poco in una vita nell'aldilà, e ancor meno nelle devozioni esteriori, nei rituali con cui i vivi, cercando conforto per sé, celavano la verità sui morti e sulla morte. Il funerale della madre le era bastato: Caroline avrebbe seppellito il padre, e David, nel modo che il suo cuore avrebbe saputo trovare. Nonostante ciò, seguì la bara al cimitero. Lo seppellirono accanto alla madre di Betty, Elizabedi Brett. Che cosa sarebbe accaduto, si domandò Caroline, se Elizabeth fosse stata ancora viva? Forse ci sarebbe stato un figlio maschio ad appagare i desideri del padre; Nicole Dessaliers sarebbe stata forse ancora in vita, un'anziana signora a Parigi. Di certo non ci sarebbero state né Caroline né Brett e il padre avrebbe vissuto finché il suo tempo non fosse compiuto. Alla fine la terra ricoprì la bara e tutti se ne andarono. Rimasero soltanto Caroline, Brett, Larry e Betty. Quali ricordi del padre potevano condividere? si chiese Caroline. E, in quell'istante, comprese ciò che doveva fare. Anche se, forse, l'aveva sempre saputo. Guardò Brett, poi Larry, e: «Lasciateci qui», chiese. Capirono che cosa intendeva. Larry annuì e rivolse lo sguardo a Brett. Caroline li osservò allontanarsi verso la loro casa, sotto il cielo grigio e freddo. Le due donne, ai lati della tomba del padre, si studiarono. «Non glielo dirò», disse Caroline. Coraggiosamente, Betty tenne gli occhi fissi in quelli della sorella. «Perché, Caroline? Mi sembra evidente che desideri farlo.»
L'altra annuì. «È vero. Lo desidero molto. Ma nessuno dovrebbe essere costretto a reinterpretare interamente la propria vita, a ventidue anni. Questo è ciò che tu e papà mi avete imposto. Non riesco a fare lo stesso a Brett.» La voce s'incrinò. «Anche se ci sono state volte in cui, comprendendo che cosa le era stato fatto, quanto Brett sia stata limitata nella sua esistenza, sono stata sul punto di dimenticarmi quanto fosse egoistico dirle la verità.» Betty arrossì. «Sì. Sarebbe egoistico.» «Ma c'è un prezzo da pagare», proseguì Caroline. «Quando nacque, la lasciai. E posso rifarlo. Ma soltanto se tu farai lo stesso.» «Che vuoi dire?» «È arrivato il momento che Brett lasci questo posto. E lasci te, se lo vuole. E sono certissima che lo vorrà, quando avrete fatto i conti.» In silenzio, Betty guardò la tomba del padre, poi annuì. «Se vorrà andarsene, non cercherò di trattenerla. Adesso.» L'altra la guardò. «Allora, dubito che mi rivedrai mai. Se non in occasione di feste per Brett: un matrimonio, magari un bambino. Ma non c'è più bisogno che tu mi abbia sulla coscienza, Betty. Credo, ormai, di riuscire a lasciarti libera.» Tacque per qualche secondo; in lontananza, si vedevano ancora Brett e suo padre. «Quanto a Larry, digli che forse ho sempre saputo ciò che avrebbe finito per fare, e ho chiuso gli occhi. Era troppo, per me, allora.» Betty parve guardarla attraverso gli anni trascorsi: una donna ingrigita che, tanto tempo addietro, e a un costo altìssimo, si era guadagnata una figlia. «Puoi davvero vivere senza rivelarglielo?» chiese. «Non verrà un giorno in cui la guarderai, o forse guarderai suo figlio, e sentirai il bisogno che sappia?» Caroline scosse la testa. «Sono diventata una persona molto disciplinata, Betty. Dovresti averlo capito, ormai... Mi basta di essere tornata per lei. Brett non sarà mai mia figlia. Ma io mi sono guadagnata il diritto di sentirmi sua madre.» 7. Caroline sostava davanti alla tomba della madre, dove Betty l'aveva lasciata. Bene, pensò, è finita. Ho fatto il meglio che potevo. Nel silenzio rotto soltanto da qualche uccellino, sentì qualcuno alle sue
spalle. Volgendosi, Caroline vide sua figlia che l'aspettava. «La mamma ha detto che avrei potuto trovarti qui», mormorò Brett. «Sarei venuta da te prima di partire... Per dirti quanto mi dispiace che tu abbia dovuto vivere tutto questo.» Affondando le mani nelle tasche, Brett le si avvicinò. Evitò di guardare la tomba di Channing Masters. «Ho amato il nonno per tutta la vita. E poi uccide una persona cui voglio bene. Come può aver pensato che fosse per amor mio?» Che cosa era meglio risponderle? «Era vecchio, Brett...» La ragazza scosse il capo, insoddisfatta della risposta. «Ma non era vecchio quando te ne sei andata tu. È stato per un ragazzo?» Il viso di Brett, pensò Caroline, somigliava moltissimo a quello di Nicole. Tranne la bocca e il mento, che erano di David. «Sì», rispose semplicemente. L'altra la studiava in silenzio. «Sono troppo grande per aver bisogno di essere protetta, Caroline. Di qualsiasi cosa si tratti.» «Lo so. Ma, in realtà, vedi, sto proteggendo me stessa. E mi è già stato abbastanza difficile capire ciò che è accaduto, viverlo...» Tacque, alla ricerca di una verità che potesse aiutarla. «Tuo nonno era profondamente inquieto, Brett. Non so perché; non ha mai voluto, o potuto, parlare di sé, dei suoi genitori, delle sue ferite, di niente. Ma c'era qualcosa di guasto, in lui: benché lo desiderasse ardentemente, non è mai riuscito ad amare mia madre, tua madre, te, me, e non è mai stato capace di darci ciò di cui avevamo bisogno. Quello di cui lui aveva bisogno - e chissà che cos'era - gli impediva di capire. E tutte noi ne abbiamo sofferto. Tu, però, meno di noialtre. Sei giovane, Brett. Hai una vita intera da vivere, e adesso è tua. Non c'è nulla, dentro di te, che possa impedirti di viverla con pienezza.» «Non ti conoscevo», ribatté la ragazza dopo qualche istante di silenzio, «eppure, da quando sei arrivata, ho sentito che non avresti permesso che mi accadesse niente di male. O almeno che avresti fatto il possibile.» Caroline la osservò: la figlia che segretamente amava si trovava accanto alla lapide di sua nonna, Nicole. Quell'immagine le fece venir voglia di sorridere, anche se non capiva perché. «Proprio così. E non m'importava che cosa avessi fatto. Anche se mi fa piacere che tu non abbia fatto nulla.» Brett chinò la testa di lato. «È stato per via del nonno? Credevi che tu e io avessimo qualcosa in comune?» «Forse, all'inizio. Ma, dopo, sono rimasta per te.»
La ragazza parve esitare, poi sfiorò una manica di Caroline. «Ti rivedrò?» La donna sorrise. «Magari potresti venirmi a trovare. Mi piacerebbe moltissimo.» «Davvero?» «Oh, sì. Dopotutto, non sei mai stata a San Francisco.» Brett sorrise; per un attimo, Caroline desiderò abbracciarla, dirle ciò che provava davvero. Poi scorse la tomba del padre e comprese, una volta di più, che il giudizio finale spettava a lei, come spettavano a lei le ferite del silenzio. Studiò il volto della figlia. «Sono pronta ad andarmene», disse. «E tu?» Brett tacque per un istante. «Sì», rispose poi. «Sono pronta.» 8. «E così, domani te ne vai», disse Jackson. «Già. Alle sei sarò a San Francisco.» Caroline proseguì in tono più sommesso. «È ora, Jackson. Prima che faccia qualche terribile sbaglio.» Sedevano all'estremità del pontile di Jackson, bevendo una birra e guardando l'ultima luce della sera posarsi sul lago Heron. «Hai fatto la cosa più giusta, sai?» mormorò lui. «Davvero?» «Certo.» Le sorrise. «Insomma, chi può dire se saresti stata una buona madre? La tua lo è stata?» Caroline lo guardò freddamente. «È una piccola cattiveria, questa, sai? Comunque, per rispondere alla tua seconda domanda... No, non particolarmente. In qualche modo, credo, ho fatto da madre a me stessa.» Lui smise di sorridere. «Allora ritiro quanto ho detto... Tu sei buona, Caroline. Secondo me, tu hai colto ciò che era importante cogliere: che il silenzio di tuo padre ti ha ferita ma - almeno per adesso - il tuo silenzio è invece un dono. E che non ci sono regole, in questo genere di cose, soltanto una speranza di empatia.» Caroline gli si mise di fronte sul pontile, a gambe incrociate. «Tu sei l'unico cui abbia mai raccontato tutto. E forse rimarrai l'unico.» Lui la scrutò per un attimo. «Questo mi rende indispensabile, no? O, forse, soltanto fastidioso.» «No», ribatté lei. «Mi hai aiutato moltissimo. E lo sai.» Lo sguardo che Jackson le rivolse fu titubante, interrogativo. «Vedi, mi
sono chiesto se, quando tutto si calmerà un po', magari avresti voglia di rivedermi. O se, per il tuo stesso bene, non ti sarà più facile continuare come prima.» Caroline rimase a lungo in silenzio. «Non sarebbe possibile. Anche se preferirei che fossi tu a venire a San Francisco. Anche a Brett ho detto la stessa cosa.» Sorrise. «Naturalmente starai da me, così da risparmiare i soldi dell'albergo. Mi si dice che i servitori del bene comune, giudici compresi, non fanno molti soldi, qui nel New Hampshire.» Gli prese una mano e, in tono sommesso, concluse: «Ti sono molto legata, Jackson. Più di quanto abbia mai pensato». Lui tornò a sorridere. «E allora fammi un favore, okay?» «Che cosa?» «Accetta la nomina, Caroline. Non devi rinunciare sempre a tutto. E potrebbe renderti una compagna migliore, per un futuro giudice come me.» Lei si rese conto che c'era qualcosa di più della gentilezza, in quelle parole. Jackson le stava chiedendo di accettare il dono della sua generosità d'animo. Di accettarlo per se stessa. E forse potrei, pensò Caroline. Forse avrebbe potuto accettarsi per quella che era: la figlia di Channing e Nicole, la madre silenziosa di Brett. Ferita, con una vita che ancora non comprendeva, ma sempre pronta a imparare. Sentì su di sé lo sguardo di Jackson. Quella notte, Caroline rimase da lui. Il mattino seguente, Caroline Clark Masters, futuro giudice federale della Corte d'Appello degli Stati Uniti, tornò a San Francisco, per prepararsi alle udienze di conferma. Sua nipote Brett l'accompagnò all'aeroporto. RINGRAZIAMENTI Come sempre, il mio compito è stato reso meno gravoso da un gran numero di amici, vecchi e nuovi. A San Francisco, mi sono avvalso dei consigli del viceprocuratore distrettuale Bill Fazio; degli avvocati difensori Hugh Anthony Levine e Jim Collins; del medico legale Boyd Stephens; dell'ispettore della squadra omicidi Napoleon Hendrix e dell'investigatore privato Hal Lipset. Il viceprocuratore distrettuale Al Giannini mi ha fornito vari suggerimenti e ha rivisto il manoscritto. Da tre romanzi a questa parte, ormai, il loro aiuto mi è preziosissimo. Quei lettori che conoscono il New Hampshire avranno di certo capito
che Masters Hill e il paese di Resolve sono immaginari: le piccole comunità del New Hampshire sono, a mio parere, luoghi troppo particolari per essere ritratti a dovere. Spero comunque di aver saputo cogliere l'ambiente giudiziario e l'atmosfera della zona, unici entrambi. È stato il mio amico e collega scrittore Maynard Thomson a trasmettermi il suo profondo amore per quello Stato. Altre persone mi hanno generosamente messo a disposizione il loro tempo: il viceprocuratore generale Janice Rundles; il procuratore Lincoln Soldati; Jennifer Soldati del Foro penale del New Hampshire; l'avvocato e scrittore John Davis; gli avvocati Bob Stein e Paul Maggiotto; Kathy Deschenaux dell'Ufficio di medicina legale del New Hampshire e il sergente Kevin Babcock della polizia di Stato del New Hampshire. Se sono riuscito a scrivere in modo convincente lo devo in gran parte al loro aiuto; qualsiasi errore o semplificazione per ragioni narrative sono da ascriversi a me. Devo ricordare in particolare il defunto dottor Roger Fossum, capo dell'Ufficio di medicina legale del New Hampshire. Nel tempo che ho trascorso con lui, ho potuto apprezzare quelle doti di professionalità, d'intelligenza, di umanità e di buonumore che lo rendevano tanto caro ai suoi molti amici. Martha's Vineyard ha un fascino e una storia semplicemente unici. William Marks - ambientalista, editore e scrittore - è stato eccezionalmente generoso nel condividere con me le sue cognizioni sulla storia dell'isola, dandomi preziosi suggerimenti nell'ambientazione di episodi specifici, nonché un valido supporto in ambito velistico. Senza di lui, le parti del romanzo ambientate a Marta's Vineyard sarebbero state ben diverse. Grazie anche a George Manter, ex capo della polizia di West Tisbury, che mi è stato d'aiuto nel colmare diverse lacune di storia isolana. Ringrazio John Bitzer e la sua famiglia, che mi hanno gentilmente accompagnato in giro per l'isola e mi hanno consentito di usare la loro meravigliosa casa come modello per la residenza estiva dei Masters. Nelle parti relative all'influenza della droga e dell'alcol sul comportamento e sulle percezioni di Brett, mi sono valso della cortese collaborazione del dottor David Smith, della Haight-Ashbury Free Clinic e dello scrittore Rick Seymour. Il dottor Rodney Shapiro mi ha invece aiutato a considerare le possibili motivazioni affettive di Brett, Channing Masters e Megan Race. Nel descrivere le strade che avrebbero potuto portare Caroline Masters alla nomina di giudice di Corte d'Appello, il mio amico giudice Thelton Henderson mi ha permesso di porre nella giusta luce quanto pote-
va accadere a Caroline. E infine, il dottor Henry Lee, un famoso sierologo, ha gentilmente risposto alle numerose domande relative alle prove mediche in un caso del genere. Spero di aver reso in qualche modo giustizia alla consulenza di tutte queste persone. Mia moglie Laurie, il mio amico e agente Fred Hill, e i miei stupendi editori - Sonny Mehta della Knopf e Linda Grey e Clare Ferraro della Ballantine - hanno letto il manoscritto avanzando osservazioni mirate e utili. E, come sempre, mi sono avvalso dei generosi consigli di Philip Rotner e Lee Zell. Ma, soprattutto, ho potuto contare sulla mia assistente, Alison Thomas. Rivedendo il testo scritto giorno per giorno, Alison mi ha aiutato ad analizzarlo, cercando i punti deboli, le incrinature nelle caratterizzazioni, le imperfezioni nello stile e nella trama. Quella di scrivere è un'attività solitaria: senza l'occhio attento di Alison e il suo cortese incoraggiamento, sarebbe stata, per me, molto più difficile. Ormai Alison è per me una cara amica e un punto di riferimento nel mio lavoro. Per tutte queste e per altre ragioni, il romanzo è dedicato a lei. FINE