This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
AINOMENA, in « Herrnes », 67 (1932), pp. 14-42 (ora in Kleine Schriften zur antiken Literatur, Miinchen 1971, pp. 119-143).
www.scribd.com/Baruhk
174
IL NEOSCETTICISMO
(che non caàe sotto i sensi), vale a dire della non fenomenica causa. È proprio questo principio che Enesidemo intese contestare. Scrive Fo~io: Nel quarto libro [dei Discorsi pirroniani] dice che le cose visibili che noi chiamiamo segni delle cose non visibili, non lo sono affatto e che coloro che credono questo sono indotti in inganno da una vana passione 38 • Sesto d riferisce ulte11iormente: Enesidemo, nel quarto libro dei Discorsi pirroniani, a proposito dello stesso tema e certamente con la stessa efficacia, propone un'argomentazione che è suppergiù la seguente: «Se le cose apparenti appaiono allo stesso modo a tutti quelli che si trovano in condizioni simili, e se i segni sono apparenti, i segni appaiono allo stesso modo a tutti quelli che si trovano in condizioni simili. Ma i segni, in realtà, non appaiono affatto allo stesso modo a tutti quelli che si trovano in condizioni simili; le cose apparenti, invece, appaiono allo stesso modo a tutti quelli che si trovano in condizioni simili; dunque i segni non sono cose apparenti» 39 • Per chiarire il ragionamento di Enesidemo, Sesto osserva, tra l'altro, che gli stessi fenomeni patologici che si manifestano in un malato possono apparire, per esempio, a tre medici che lo visitano e che si trovano dunque in condizioni simili, come segni dovuti a cause diverse 40 • Il che significa, appunto, che i segni non sono affatto « fenomeni », « cose che appaiono». O, meglio ancora, significa che le cose che appaiono possono essere intese come « segni » solo arbitrariamente, e, dunque, indebitamente. Per dirla in alt!'i termini: nel momento in cui si pretende di interpretare un fenomeno come un «segno», ci si pone già su un piano metafenomenico, in quanto si intende quel fenomeno come l'effetto (che appare) di una causa (che non appare), ossia si presuppone "Fozio, Biblioth., cod. 212, 170b 12-17. Sesto Empirico, Contro i matem., VIII, 215. «> Cfr. Sesto Empirico, Contro i matem., VIII, 219 sg. 39
www.scribd.com/Baruhk
175
ENESIDEMO
senz'altro (indebitamente) l'esistenza del nesso antologico causa-effetto e la sua validità universale. Lo scetticismo posteriore (forse a partire da Menodoto) introdurrà l'importante distin2lione fra « segno rammemorativo » e « segno indicativo ». H segno rammemorativo è quello che, essendo stato in precedenza osservato costantemente unito ad una determinata cosa, quando questa non appaia in modo evidente, può condurci a richiamarla alla mente, come ad esempio il fumo che esce da un comignolo ci può rammemorare il fuoco che non vediamo. Il segno indicativo, invece, è quello che, pur non essendo stato osservato insieme a11a cosa di cui si pretende che sia segno, tuttavia si afferma che « per sua natura e costituzione » segnala questa cosa, come ad esempio quando si dice che i movimenti del corpo sono segni dell'anima. Lo scetticismo empirico accetterà il segno rammemorativo e respingerà il segno indicativo. Ma è proprio e solo quest'ultimo che Enesidemo ha di mira, perché è quest'ultimo che permette di intendere il visibile come uno spiraglio aperto sull'invisibile 41 •
4. I rapporti fra lo scetticismo di Enesidemo e l'eraclitismo Sesto Empirico ci riferisce che Enesidemo congiunse il suo scetticismo con l'eraclitismo, e, negli Schizzi pirroniani, scrive testualmente: Enesidemo diceva che l'indirizzo scettico è una via che conduce alla filosofia eraeli te a 42 • Sesto contesta la tesi di Enesidemo, rilevando che l'eracLitismo cade nel dogmatismo, in quanto dal fatto che i con-
VIII,
" Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, n, 97-103 e Contro i matem., 141 sgg. "' Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, r, 210.
www.scribd.com/Baruhk
176
IL NEOSCETTICISMO
trari appaiono nel medesimo oggetto inferisce che i contrari esistono nel medesimo oggetto, mentre lo scetticismo non si pronuncia affatto sull'essere dell'oggetto (nemmeno nella forma negativa propria dehl'eraditismo), ma s-i limita rigorosamente all'apparire dei fenomeni 43 • Questo rilievo di Sesto dipende, naturalmente, dal suo scetticismo «empirico», che si basa su una netta distinzione fra l'oggetto esterno e le impressioni che su di noi esso produce, o, detto in termini moderni, fra « cosa in sé » e «fenomeno» (cosa per noi). Ma questa distinzione non è propria né dell'ant>ico pirronismo né del neopirronismo enesidemiano. Sia Pirrone sia Enesidemo risolvono l'essere nell'apparire, l'in sé nel per noi, la sosoanza nelJ'accidente 44 • E proprio questa concezione delle cose, nella misura in cui toglie il fondo stabile dell'essere e della sostanza, porta direttamente aH'eraclitismo, o meglio a quella forma di eraclitismo che, lasciando da parte l'ontologia del logos e dell'armonia dei contrari, già a partire da Cratilo aveva posto l'accento sul mobilismo universale e sull'instabilità di tutte le cose 45 • Qualche studioso ha opportunamente rhlevato che nel T eeteto di Platone è espressa una posizione di pensiero di origine eraditea, la quale perviene a posizioni che ricordano da vicino proprio quelle di Enesidemo (si tenga presente che Enesidemo, in quanto era stato Accademico, doveva conoscere molto bene questo di-alogo) 46 • .. Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 210-212 . .. Cfr. il vol. m, pp. 274 sgg. Ricordiamo che, su questo punto, è decisivo, a nostro avviso, il contributo del già più volte citato libro del Conche, Pyrrhon ou l'apparence . .. Sulle principali posizioni assunte dagli studiosi nei confronti del problema dei rapporti fra pirronismo ed eraclitismo in Enesidemo si veda Dal Pra, Lo scetticismo greco, n, pp. 392 sgg. Noi riteniamo che solo dopo i recenti contributi del Conche, Pyrrhon ou l'apparence, cit., il problema sia stato chiarito in modo plausibile (pp. 123-156) . .. Cfr. G. Capone Braga, L'eraclitismo di Enesidemo, in «Rivista di filosofia», 22 (1931), pp. 33-47.
www.scribd.com/Baruhk
177
ENESIDEMO
Orbene, nel Teeteto Platone nota, tra l'altro, come il discutere e il ragionare con i sostenitori di queste « dottrine eraclitee » sia assai difficile, e rileva testualmente: [ ... ] Ebbene, se tu a qualcuno di loro domandi qualche cosa, ecco che costui cava fuori come da una faretra certe sue parolette enigmatiche e te le scocca come frecce; e se cerchi che ti dia conto di quello che ha detto, già sei colpito da un altro e nuovo scambio di parole, e cosi non concludi mai niente con nessuno. E neanch'essi fra loro non concludono niente; perché la cosa da cui si guardano con ogni cura è di non lasciare che niente nei loro discorsi e nei loro animi sia saldo e sicuro, reputando, io credo, che ciò appunto ch'è sicuro sia stabile; e a questa stabilità essi fanno guerra in tutti i modi, e da tutti i luoghi la scacciano via come possono 47 • Questi pensa tori i quali affermano che «tutto si muove», rileva ulteriormente Platone, devono intendere il « movimento » o « mutamento » in due sensi, ossia nel senso dell'alterazione (mutamento di qualità) e nel senso della traslazione (mutamento di luogo) e devono ammettere che tutte le cose si muovano in questi due sensi. Ma se cosl è, le qualità sentite (per esempio i colori) non resteranno mai uguali e cosl neppure il senziente permarrà identico a se medesimo, e si avranno le seguenti conseguenze «scettiche», che Platone rileva in modo perfetto in questo passo: Socrate - Cosicché di nessuna cosa si deve poter dire « ved~re » piuttosto che «non vedere»; né si potrà parlare di alcun' altra sensazione piuttosto che della negazione sua, dal momento che le cose si muovono tutte quante in tutt'e due i modi sopra detti. Teodoro- No, non si,può dire. Socrate- Eppure sensazione è conoscenza, come dicevamo io e Teeteto. Teodoro- Dicevate cosi. Socrate - Ma ecco che allora, a chi ci domandi che cosa è conoscenza, già abbiamo risposto: conoscenza non è niente più che non conoscenza. 41 Platone, T eeteto, 180 a-b (la traduzione di questo passo e di quello che segue è di M. Valgimigli).
www.scribd.com/Baruhk
178
IL NEOSCETTICISMO
Teodoro- Cosl pare. Socrate - Oh, c'è venuta fuori proprio una bella giustificazione a quella nostra risposta, con tanto zelo che abbiamo adoperato a dimostrare che tutto si muove perché quella nostra risposta apparisse giusta! E invece, mi sembra, di chiaro apparisce questo, che, se tutto si muove, ogni risposta, su qualunque cosa uno risponda, è egualmente giusta, sia che si dica che la cosa «sta cosl », sia che «non sta così»; e, se non ti piace «sta», «diventa», se non vogliamo far stare fermi con questa parola proprio i filosofi del moto. Teodoro- Dici bene. • Socrate - Sl, Teodoro; tranne che dissi « cosl » e «non cosl ». E invece neanche questo «così » si deve dire, perché non ci sarebbe più moto dicendo di una cosa «così»; e nemmeno «non così», perché neppure questo è moto; ma bisogna che istituiscano un altro linguaggio coloro che professano questa dottrina, perché, almeno per ora, non hanno espressioni adatte al loro pensiero; salvo che non dicano «neppure così», che sarebbe per loro, fra tutte, nella sua indeterminatezza, la espressione più adatta 48 •
Ora, si noti come la posizione gnoseologica che Platone deduce dall'eraclitismo sia espressa addirittura con la formula « non più questo che quello » ( où fL~ÀÀov ), che, come già Pirrone 49 , Enesidemo pose al centro del proprio ripensamento dello scetticismo 50 • Ma c'è di più. Sesto Empirico ci riferisce che Enesidemo e i suoi seguaci ridussero le varie forme di movimento distinte da Aristotele a due sole, ossia all'alterazione e alla traslazione, va1e a dire prop1:1io a quei due tipi di movimento di cui parla il passo letto del T éeteto platonico 51 • Anche lppol1to lo conferma, parlando di Pirrone: Tutta la realtà è fluida e mutevole e mai rimane nello stesso luogo 52 • .., Platone, T eeteto, 182 e- 183 b. ,.. Cfr. vol. III, pp. 474 sgg. e 479 sgg. "' Cfr. Fozio, Biblioth., cod. 212, 169b 29; 170a l sgg. " Cfr. Sesto Empirico, Contro i matem., x, 38. "' Ippolito, Philosoph., 1, 23, 2 ( = Diels, Doxographi Graeci, p. 572, 25 sg.).
www.scribd.com/Baruhk
179
ENESIDEMO
Dunque, Platone, dall'eraclitismo, ha dedotto ante Zitteram, per via di ragionamento dialettico, l'asserto fondamentale dello scetticismo e, viceversa, Enesidemo dall'asserto fondamentale dello scetticismo è risalito all'eraclitismo e ha affermato, come abbiamo visto, che lo scetticismo è la via che porta appunto all'eraclitismo. I conti tornano, dunque, in modo perletto, a patto che, come già abbiamo avvertito, non si confonda il fenomenismo puro di Enesidemo con il fenomenismo dualistico di Sesto. Meglio di tutti ha chiarito il problema uno studioso scettico francese in una pagina esemplare, che mette conto di leggere: « Nel testo di Fazio [ ... ] si diceva: "11 Pirroniano non determina nulla, e neppure questo: che nulla è determinato". L'universalità del "non più ... che", come quella del "non determino niente", non implica dunque alcun dubbio. Risulta che la nozione stessa di un essere indeterminato (di una realtà in sé inaccessibile, indecidibile, di cui non si può dire nulla, etc.) non è affatto eccettuata dal campo di applicazione di queste formule. Di conseguenza Jl fenomeno non è semplice "fenomeno" più che non realtà in sé. Enesidemo lo dice espressamente: non c'è né ess·ere né non-essere, e lo stesso non è più essere che non-essere (Fozio, 170 a 7-9). Noi vediamo tutte le determinazioni bruciarsi: il fenomeno brucia la sua determinazione di semplice fenomeno, l'essere non è più "~ssere" che "nonessere", etc. Si comprende dunque il discorso di Enesidemo: lo scetticismo introduce alla filosofia di Eraclito perché la contrarietà nell'apparenza è altresì contrarietà nell'essere stesso delle cos·e. Il passaggio dall'apparenza all'essere è impossibile allorché si mantiene l'opposizione fissa dell'apparenza e dell'essere. Ma una tale opposizione dogmatica è appunto abo1ita. L'essere nascosto dietro al fenomeno (adelon) non è più essere che non-essere. Ora il non-essere-più-questoche-quello è precisamente ciò che si dice delle cose nel loro apparire. Perciò la differenza dei due aspetti delle cose svanisce. Nulla impedisce questo, a condizione che non si
www.scribd.com/Baruhk
180
IL NEOSCETTICISMO
rimanga fissi all'opposizione dogmatica fra l'essere e la sua apparenza, e non si intenda con l' "essere" qualcosa che sia altro dall'apparenza. Dire: "l'essere contiene in se stesso l'opposizione a sé" significa partire dagli esseri della coscienza comune e del dogmatismo per dissolverli. Infatti l'essere che si oppone a se medesimo non è più l'essere della coscienza comune e dogmatica, ossia non è più veramente un essere, se è proprio dell'essere (ed è questo che Aristotele intendeva dire) l'essere esente da contraddizione. R
5. Idee morali Enesidemo dovette occuparsi a fondo delle idee morali, specie negli ultimi tre libri dei Ragionamenti pirroniani, soprattutto allo scopo di smantellare le dottrine degli avversari in questo ambito, come risulta dallo scheletrico riassunto che Fozio ci ha lasciato 54 • Egli negò che i concetti di bene, di male e di indifferenti (preferibili e non preferi:bili) rientrassero nel dominio della umana comprensione e della conoscenza. Criticò, inoltre, la vaLidità delle concezioni proposte dai dogmatici relativamente alla virtù. Infine, egli contestò sistematicamente la possibilità di intendere come fine la klicità, il piacere, la saggezza o alcunché di simile, opponendosi a tutte le scuole filosofiche; 53 54
Conche, Pyrrhon ... , pp. 127 sg. Cfr. Fozio, Biblioth., cod. 212, 170b 22 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
181
ENESIDEMO
egli sostenne, senza mezzi termini, la non esi,stenza di un telos 55 • In effetti, in un universo costituito da apparenze mobili ed instabili e in una visione deHa realtà in cui H logos è ridotto a memoria dei fenomeni e di ciò che in qualsivoglira modo è oggetto di pensiero, secondo cui tutte le cose si rivelano reciprocamente anomale e confuse, non c'è posto in alcun modo per un telos, giacché il fine ·implicherebbe, proprio all'opposto, stabilità, ordine e armonia. L'unico fine, come già per i precedenti Scettici 56 , poteva, semmai, esser·e la stessa sospensione del giudizio con lo stato d'animo di imperturbabilità ad essa conseguente 57 • Aristocle dice addirittura che all'afasia (alla sospensione del giudizio) seguiva, secondo Enesidemo, «il piacere» 58 • Se Aristocle non è caduto in errore, come da tempo gl1 studiosi hanno notato, Enesidemo dovette intendere il termine «piacere» in senso largo e sostanzi·almente come s~nonimo di atarassia. In ogni caso, quell'atteggiamento di totale dist·acco dalle cose, che portava il saggio a ne sentire quidem, e che abbiamo visto essere la cifra dell'etica di Pirrone 59 , rimase estraneo ad Enesidemo: ma, probabilmente, si trattava di un atteggiamento esistenziale acquisito dal fondatore dello scetticismo attraverso le sue esperienze orientali, e, come tale, irricuperabile.
Cfr. Fozio, Biblioth., cod. 212, 170 b 34 sg. Cfr. vol. III, pp. 490 sgg. 57 Cfr. Diogene Laerzio, IX, 107. 56 Aristocle, presso Eusebio, Praep. evang., XIV, 19, 4. " Cfr. vol. m, pp. 491-494. 55 56
www.scribd.com/Baruhk
II. AGRIPPA E GLI SVILUPPI DEL NEOSCETTICISMO
l. Gli
Scettici posteriori ad Enesidemo
Sulla storna deHo scetticismo posteriore ad Enesidemo siamo scarsamente informati. Conosciamo bene solo Sesto Empirico (di cui ci sono giu.nte le opere principali), che visse circa due secoli dopo Enesidemo '. Orbene, proprio Sesto, che su quasi tuttJi i pensatori della Grecia a lui anteriori costituisce per noi una vera e propria miniera di informazioni, come gli studiosi hanno da tempo rilevato, è invece stranamente avaro di indicazioni relative alla storia deUa sua setta dopo Enesidemo, soprattutto per quanto concerne i nomi degli scolarchi e degli esponenti più significativi. Fortunatamente Diogene Laerzio colma, -in parte, questa lacuna, fornendoci l'elenco degli scolarchi (o almeno l'elenco di nomi di una senie di personaggi legati fra loro dal rapporto di maestro-discepolo), di molti dei quali, però, non è in grado di dirci se non pochissimo. Di Enesidemo fu discepolo Zeusippo, pure nativo di Cnosso; di questi fu discepolo Zeussi Goniopo (dai piedi storti) e di Zeussi fu discepolo Andoco di Laodicea sul Lico. Di quest'ultimo furono discepoli il medico empirico Menodoto di Nicomedia e Teoda di Laodicea. Di Menodoto fu discepolo Erodoto di Tarso e di questi fu discepolo Sesto Empirico. Con Saturnino detto Citena, allievo di Sesto, termina l'elenco ufficiale, per cosl
' Su Sesto Empirico, si veda, più avanti, pp. 206-209.
www.scribd.com/Baruhk
183
AGRIPPA
dire, dei capiscuola scettJici 2 • Oltre a questi, Diogene ricorda il nome di Agrippa (e di Apella, che scrisse un libro intitolato ad Agrippa) 3 , il quale, come vedremo, fu autore di una nuova tavola di tropi di grande valore. Fra coloro che nutrirono forti simpatie per il pensiero scettico ricordiamo Licinio Sura (di cui ci parla Plinio il Giovane) 4 e soprattutto F·avorino (di cui fu discepolo Aulo Gel1io), il quale fu, però, più un erudito che un filosofo 5 • Dalle informazioni di Diogene sembrerebbe di poter ricavare che 1'1mpostazione di Enesidemo (la l'isolu2l1one di tutta la realtà nell'apparenza o « fenomeno » e !'·erezione del puro fenomeno a cl'iterio) s1a stata mantenuta senza variazioni di rilievo fino ad Antioco di Laodicea. Leggiamo il passo di Diogene, che è molto importante: Enesidemo nel primo libro delle sue Ragioni pirroniane dice che Pirrone nulla definisce dogmaticamente, perché non lo consente la contraddizione, ma segue i fenomeni. La medesima cosa è detta da Enesidemo nelle sue opere Contro la sapienza e Sulla ricerca. Ma anche Zeussi amico di Enesidemo nel suo scritto Sui discorsi duplici e Antioco di Laodicea ed Apella nel suo Agrippa ammettono che solo i fenomeni sono validi. Secondo gli Scettici, il fenomeno ha validità di criterio: così almeno dice Enesidemo. [ ... ] . Contro questo criterio dei fenomeni, i Dogmatici obiettano: se dai medesimi oggetti ci colpiscono rappresentazioni diverse - per esempio da una torre che appare tonda ma può essere anche quadrata -,
Cfr. Diogene Laerzio, IX, 116. Cfr. Diogene Laerzio, IX, 106. All'epoca di Zeussi e di Antioco appartenne anche Apollonide di Nicea (cfr. Diogene Laerzio, IX, 109), che scrisse un Commentario ai Silli di Timone, che dedicò all'imperatore Tiberio. Una messa a punto di quel poco che si 5a di questi Scetti.ci si potrà trovare in: Brochard, Les sceptiques grecs, pp. 228 sgg., 299 ·sgg.; Goedeckemeyer, Geschichte des griechischen Skeptizismus, pp. 235 sgg.; Dal Pra, Lo scetticismo greco, II, pp. 415-417. • Cfr. PHnio, Epist., IV, 30; VII, 27. 5 Cfr. Aulo Gellio, Noct. Att., II, 22, 20. Su Favorino si veda Goedeckemeyer, Geschichte des griechischen Skeptizismus, pp. 248-257. 2
3
www.scribd.com/Baruhk
184
IL NEOSCETTICISMO
lo Scettico non sceglierà l'una o l'altra delle due, sarà costretto a rinunziare alla sua attività, ma se - dicono loro - seguirà una delle due rappresentazioni, non ammetterà più che i fenomeni siano equipollenti. Gli Scettici replicano: se ci colpiscono rappresentazioni diverse, diremo che l'una e l'altra rappresentazione hanno per noi valore fenomenico. E perciò noi ammettiamo la validità dei fenomeni perché appaiono 6 • Da Menodoto in poi, inv·ece, viene sottolineato espressamente, sempre da Diogene LaerZJio, H legame degli Scettici con l'mdirizzo empirico della medicina 7 • Questo legame, verosimilmente, era stato instaurato già molto tempo prima. Infatti, come è stato sottolineato dagli studiosi, alcunti nomi di personaggi appartenenti al1a schiera dei filosofi scettici si ritrovano altresl nell'elenco dei rappresentanti dell'•indirizzo empirico deUa medicina, e, verosimilmente, non si tratta di meri casi di omonimia 8 • È comunque fuori dubbio che solo con Menodoto l'alleanza fra scetticismo e medicina empirica divenne veramente significativa, al punto da creare una nuova svolta nella sto11ia del neopirronismo. Invece Agrippa, che, come sembra, fu il personaggio più significativo nell'aoco di tempo che va da EneS
• Diogene Laerzio, IX, 106 sg. 7 Diogene Laerzio, IX, 116: «Di questo Antioco [scii.: Antioco di Laodicea] furono discepoli Menodoto di Nicomedia, medico empirico, e Teoda di Laodicea. Di Menodoto fu alunno Erodoto di Tarso, figlio di Arieo. Di Erodoto fu alunno Sesto Empirico, autore di un'opera in dieci libri sullo scetticismo e di altri eccellenti scritti. Di Sesto fu alunno Saturnino chiamato Citena, anche lui empirico». • Cfr. Brochard, Les sceptiques grecs, pp. 231-240.
www.scribd.com/Baruhk
185
AGRIPPA
2. La
nuova tavola dei « tropi » di Agrippa
Agr.ippa 9 non rimase soddisfatto della tavola dei dieci tropi redatta da Enesidemo. Egli ritenne opportuno formularne una nuova, non tanto .con l'intento di sostituirla a quella di Enesidemo, ma per avere maggior varietà di argomenti con cui confutare la temera11ietà dei Dogmatici. In realtà, come subito si vedrà, la nuova tavola, più che arricchire la precedente, la sussume e la supera nettamente. Ecco i cinque tropi della nuova tavola 10 : [ l ] Il primo tropo concerne il disaccordo delle opinioni e mostra come su ogni questione, sia di quelle sollevate dai filosofi sia di quelle sollevate dalla vita ordinaria, vi sia contrasto e confusione ta1i, per cui si ~mpone la sospensione del giudizio. [2] Il secondo tropo rileva come, se si vuole risolvere una questione, occorra addurre una prova; ora, nessuna prova si rivela esaustiva: ogni prova abbi1sogna di altra prova, e, questa, di ulteriore prova, e cosi si cade in un processo all'infìn;ito. Ecco come Sesto rMer·isce questo tropo: Il modo per il quale si cade nell'infinito, è quello in cui ciò che si reca a prova della cosa proposta, noi diciamo che ha bisogno, a sua volta, di prova, e questo, a sua volta, di un'altra prova, all'infinito; talché, non avendo noi onde cominciare un'argomentazione, ne consegue la sospensione del giudizio 11 •
• Di Agrippa ci t~iferisce Diogene Laerzio (IX, 88), attribuendogli espressamente i cinque « tropi » (che Sesto riporta attribuendoli genericamente agli «Scettici più recenti» [più recenti rispetto ad Enesidemo]). Sempre Diogene Laerzio, come abbiamo già ricordato, ci informa che lo Scettico Apella aveva scritto un'opera intitolata Agrippa (IX, 106), il che dimostra il prestigio che Agrippa si era guadagnato. Visse, verosimilmente, nella seconda metà del I secolo d. C. o a cavaliere fra il I e il n secolo d. C. 1° Cfr. Diogene Laerzio, IX, 88 sg.; Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 164-169. 11 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 166.
www.scribd.com/Baruhk
186
IL NEOSCETTICISMO
[ 3 ] Il terzo tropo riguarda la relazione e rileva come ogni cosa non possa essere considerata per se stessa, ma solo in relazione si·a al giudicante sia alle altre cose che vengono percepite insieme ad essa. [ 4] Il quarto tropo rileva come i Dogmatici, per tentare di sfuggire al processo all'infinito, assumano i loro principi primi senza dimostrazione, pretendendo che essi shmo immediatamente fededegni e quindi facendo ammissioni puramente gratuite. Scrive Sesto Empirico: Si ha il modo ipotetico, quando i Dogmatici, rimandati all'infinito, cominciano da qualche cosa che essi non concludono per via di -argomentazione, ma pretendono di assumere, cosl semplicemente, senza dimostrazione, per una concessione 12 •
Precisa ulter,iormente Diogene Laerzio: L'inconsistenza di tali premesse è rivelata dal fatto che altri partiranno da ipotesi contrarie 13•
[5] Il quinto tropo riguarda il cosiddetto « diallele », che si verifica quando, per voler dar ragione deUa cosa ·ricercata, la si presuppone nella ragione stessa che si adduce per spiegarla, o, meglio ancora, quando la cosa che si assume come spiega2iione e la cosa di cui si vuoi dare spiegazione hanno bisogno l'una dell'altra. Scrive Sesto: Nasce il diallele, quando ciò che deve essere conferma della cosa cercata, ha bisogno, a sua volta, di essere provato dalla cosa cercata: allora, non potendo assumere nessuno dei due per concludere l'altro, sospendiamo il giudizio intorno ad ambedue 14 •
Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 168. Diogene Laerzio, IX, 89. 14 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 169. Sesto Empirico (ivi, 178 sgg.) riferisce una ulteriore tavola costituita di due soli tropi, che non è altro se non un maldestro tentativo di ridurre a due questi cinque modi, in realtà non riducibili. 12
13
www.scribd.com/Baruhk
187
AGRIPPA
3. Significato della nuova tavola dei « tropi » Come si sarà notato, il .primo e il terzo tropo riassumono, di fatto, i dieci tropi di Enesidemo (.il terzo in particolare, quello della relazione - o meglio della relatività -, è il minimo comun denominatore di tuttrl. i tropi di Enesidemo, come abbiamo sopva già rilevato); gli altri tre tropi portano molto avanti e sono tali, se opportunamente utilizzati, da mettere in crisi non solo la validità delle rappresentazioni, ma anche 1a validità di ogni forma di ragionamento e di ricerca, sia che essa riguardi il sensibile, sia che riguardi l'intelligibile. Ecco, ad esempio, come Sesto spiega la maniera in CU!i ogni ragionamento sull'intelligibile incappa nei cinque tropi: Se si dice che la discordanza [sci!.: in cui cadono coloro che ammettono l'intelligibile] è indirimibile, ci si concederà che bisogna sospendere su di esso il giudizio. Se si tenterà di dirimerla, e lo si farà in base a un intelligibile, spingeremo il ragionamento all'infinito; se in base a un sensibile, al diallele: poiché essendo, a sua volta, il sensibile oggetto di discordanza, né potendo esso in base a un sensibile venir giudicato (ché, per tal modo, si cadrebbe nell'infinito), avrà bisogno di un intelligibile, come l'intelligibile di un sensibile. Chi, poi, in conseguenza di ciò, assumesse qualche cosa per ipotesi, metterà, nuovamente, capo all'assurdo. Ma anche relativi sono gl'intelligibili: ché si dicono intelligibili relativamente all'intelligenza, e se· fossero, in realtà, tali, quali si dicono, non ci sarebbe discordanza di opinioni. Dunque anche l'intelligibile è stato ricondotto ai cinque modi. Perciò è necessario che assolutamente si sospenda il giudizio intorno alla cosa proposta 15 • Insomma: 1 tropi di Agrippa cercano di colpire non solo le rappresentazioni, ma la ·possibilità stessa dei ragionamenti, imprigionandola, per così dire, in una specie di triangolo mortal-e: chi pretende di spiegare qualcosa tramite i ragionamenti a) o si perde in un processo ali' infini t o, b) oppure incappa nel circolo Vtizioso del diaHele, c) oppure assume " Sesto Empirico, Schizzi pirroniani,
I,
175-177.
www.scribd.com/Baruhk
188
IL NEOSCETTICISMO
punti di partenza meramente ipotetici (cioè indimostrati). Meglio di tutti ci sembra aver giudicato il significato e il valore di questi tropi il Brochard, in questa pagina davvero esemplare: « I cinque tropi possono essere considerati come la formula più radicale e più precisa che sia mai stata data allo scetticismo. In un certo senso, ancora oggi essi sono irresistibHi. Chiunque ·accetti la discussione sui principi, chiunque non li dichiari ·superiori al r·agionamento e conosciuti con una intuizione immediata dello spirito, ammessa per un atto di fede primitiva, di cui non si deve rendere conto, e che non ha bisogno di giustificazione, non sarebbe in grado di sfuggire a questa sottile dialettica. Ancora, lo sforzo mediante il quale il dogmatismo di tutti i tempi si sottrae alla stretta dello scetticismo è stato previsto da Agrippa: è quello che egli chiama l'ipotesi, l'atto di fede mediante ·il quale si pongono i principi come veri. Egli ha solo torto di dichiararlo arbitrario. Non bisogna qualificarlo arbitrario, bensl libero. Si è indubbiamente liberi di rifiutare la propria adesione alle verità primordiali: ecco ciò che Agrippa ha ben veduto. Ma si è anche liberi di accordare ad esse la propria adesione. Ora, fra coloro che rifiutano questa adesione e coloro che la concedono, la bilancia non è uguale, come crede lo scettico: la natura ci inclina da una parte, dalla parte della verità, e il fatto che si possa non fare uso della libertà o che si possa abus·are di essa, non prova nulla contro l'uso legittimo che se ne può fare. Tuttavia, se si fa uso in questo modo della propda libertà (ed è ciò che H dogmatismo ha sempre fatto, ciò che esso deve fare), bisogna riconoscere che in un certo senso si dà ragione allo scettico. Si conviene che la ragione non può giustificare tutto, che essa è impotente, ridotta alle sue sole forze, a produrre tutti i suoi titoli, che bisogna cercare allora il principio della verità e delJa scienza » 16 • 16
Brochard, Les sceptiques grecs, p. 306.
www.scribd.com/Baruhk
III. SESTO EMPIRICO E GLI ULTIMI SVILUPPI DELLO SCETTICISMO ANTICO
l. Breve caratterizzazione degli indirizzi della medicina greca con particolare riguardo all'indirizzo empirico
Abbiamo già sopra accennato al fatto che la storia dello scetticismo antico, nella sua ultima fa&e, risulta caratterizzata da una stretta alleanza con la medicina empiri.ca. È pertanto necessario determinare i caratteri essenziali di questq indirizzo della medicina greca, e, anzi, per comprenderne le peculiarità, è necessario accennal'e anche agli altri indirizzi 1• Il più antico indkizzo della medicina greca, e sotto un certo rispetto forse H più importante, è quello dei medici «dottrinari » o « ragionatori » ( ÀoyLxo( ), che vien fatto risalire addirittura al grande Ippocrate di Cos. Comune a tutti i medici dottrinari era la convinzione che fosse possibile scoprire la causa nascosta dei diversi fenomeni morbosi riscontrati nell'.esperienza e nella conVJinzione che l'essenziale dell'arte medica (sia nel suo aspetto conoscitivo sia nel suo aspetto pratico-terapeutico) consistesse appunto nella scoperta di questa causa. Ippocl'ate pensava che la causa delle malattie dipendesse dalla alterazione della costituzione del temperamento di ciascun uomo, che, come è noto, era determinato, secondo la sua teoria, da una particolare mescolanza (crasi) dei quattro fondamentali umori (sanguigno, flemmatico,
1 Per un breve ma preciso inquadramento degli indirizzi della medicina greca si vedrà: Robin, Pyrrhon ... , pp. 181·196; sull'indirizzo della medicina empirica è fondamentale l'opera di K. Deichgriiber, Die griechische Empiri· kerschule, Sammlung der Fragmente und Darstellung der Lehre, Berlin 1930.
www.scribd.com/Baruhk
190
IL NEOSCETTICISMO
bilioso, melanconico ). Altri medici sostenevano che la causa delle malattie fosse piuttosto da ricercare nella qu'
2
Sesto Empirico, Schizzi pi"oniani,
I,
238.
www.scribd.com/Baruhk
MEDICINA EMPIRICA E SCETTICISMO
191
Sesto nota, .inoltre, che i medici metodici, come gli Scettici, non hanno « dogmi », e usano le parole con « indifferenza », ossia senza presunzione dogmatica: così, ad esempio, essi usano la parola «indicazione» (segno indicativo) non in senso dogmatico ma nel senso di « guida » verso quelli che paiono i provvedimenti opportuni da prendere suHa base deHe affezioni s-econdo p contro natura, come sopra si è visto. Il terzo indirizzo è quello dei medici « empirici », che ebbt; dei pr·ecursori già nel m secolo a. C. Filino di Cos pare ne sia stato l'iniziatore e Serapione di Alessandria il vero e proprio fondatore. Nel I secolo a. C. acquistò notevole risonanza Eraclide di Taranto, soprattutto col suo libro Sulla setta empirica. L',indirizzo empirico ebbe, però, la sua massima diffusione in era cristiana, fra il I e il n secolo, soprattutto con Menodoto di Nicomedia, di cui diremo subito sotto. Questo indirizzo concordava con quello dei medici metodici nel condannare la mentalità eziologica dei medici dottrinari, ma giungeva ad affermare addirittura che le « cause » delle malattie sono incomprensibili. Esso concordava, inoltre, con l'indirizzo metodico nel privilegiare in tutti i sensi i fenomeni e l'esperienza; anzi, su questo punto, intendeva essere ancor più radicale: il medico empirico doveva tenere conto anche delle esperienze che riguardano specificamente le circostanze e l'individualità del soggetto (le idiosincrasie), senza mai sacrificare in alcun modo il particolare al generale. Già con Serapione e con ApoHonio l'Antico, di poco posteriore, i medici empirici, come sembra doversi ricavare dai titoli delle loro opere (che suonano, rispettivamente: Con tre mezzi e Il treppiede), fissarono il loro metodo nei seguenti tre momenti: a) Il medico, partendo dal caso patologico in cui s'imbatteva, doveva procedere, in primo luogo, all'osservazione personale e diretta dei fenomeni ad esso relativi, sia di quelli
www.scribd.com/Baruhk
192
IL NEOSCETTICISMO
antecedenti, sia di quelli concomitanti, sia eli quelli conseguenti (era, questo, il cosiddetto momento deH'autopsia). b) All'autopsia faceva seguito l'historia, ossia il reperimento, la rnccolta e l'analisi critica delle osservazioni fatte da altri medici, soprattutto in pa·ssato e tramandate attraverso gli scritti. È appena il caso di rilevare come uno dei compiti dell'analisi critica di questi documenti, ~ an:l)i i1l compito principale, fosse quello di sceverare ciò che era frutto di effettiva esperienza da ciò che, invece, era frutto di ragionamento e, quindi, indebita inferenza. c) H terzo momento era costituito dal cosiddetto « passaggio dal simile al simile ». Si trattava però di un « passaggio » di natura del tutto diversa dall'inferenza della causa, perché si limitava rigorosamente ai fenomeni (si trattava, infatti, di un passaggio puramente empirico da una affezione ad un'altra affezione, da una parte dell'organismo ad un'altra, da una cura ad un'altra cura). Per differenziare il più possibile questo momento del metodo dal ragionamento analogico usato dai Dogmatici per giungere alle cause, i medici empirici lo denominarono epilogismo, per sottolineare che si trattava di ragionamento o calcolo razionale che porta appunto dai fenomeni ai fenomeni senza andare in alcun modo al di là di essi. Fu questo, però, il punto più discusso del metodo, tanto è vero che furono avanzate in proposito tesi estreme: sappiamo, infatti, che il pirroniano Cassio sosteneva che questo passaggio dal simile al simile era estraneo al metodo empirico e che Menodoto non solo non l'aveva considerato come momento costitutivo del metodo stesso, ma che addirittura non ne aveva fatto uso; per contro, Teoda di Laodicea (che, come sappiamo, era condiscepolo di Menodoto) considerava questo passaggio indispensabile, se non si voleva far scadere la medicina a mera pratica empirica 3 • • Cfr. Goedeckemeyer, Geschichte des griechischen Skeptizismus, p. 263. Cfr. inoltre Deichgriiber, Empirikerschule, pp. 301 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
193
MENODOTO
Abbiamo già accennato sopra all'ipotesi avanzata dagli studiosi secondo cui l'esistenza di rapporti fra medicina empirica e scetticismo potrebbe essere provata già prima di Menodoto dal fatto che alcuni nomi di medici empirici corrispondono a nomi di filosofi scettici o di personaggi ad essi legati: Eraclide di Taranto, per esempio, uno dei più famosi medici empirici, potrebbe essere quello stesso EracLide che, secondo Diogene Laerzio, fu maestro di Enesidemo; il medico Zeussi potrebbe essere Zeussi Goniopo (discepolo di un discepolo di Enesidemo ), di cui parla sempre Diogene. È comunque certo - e lo abbiamo già sopra r-ilevato - che solo con Menodoto ebbe luogo un tentativo di fusione sistematica fra medicina empirica e scetticismo e che solo con lui si verificò, di conseguenza, una svolta nella storia dello scetticismo 4 •
2. Menodoto fra medicina empirica e scetticismo
Fino a che punto il tentativo di Menodoto di Nicomedia si sia spinto è impossibile stabilirlo, data l'esiguità di testimonianze concernenti soprattutto il suo pensiero filosofico. Probabilmente, prevalsero in lui la mentalità e gli interessi medici, e nell'ambito della medicina dovettero rientrare, più che in quello della speculazione filosofica, i suoi più significativi contributi. È degno di nota, a questo niguardo, il fatto che il grande Galeno (che pure giudicò Menodoto molto severamente sotto il profilo morale) polemizzò contro di lui e lo menzionò a più riprese 5 • • La svolta, che dai vari interpreti è intesa e valutata in modo diverso, a nostro avviso, consiste nella trasformazione dello scetticismo in una sorta di empirismo fenomenistico, come chiariremo più avanti, pp. 196 sgg. • La cronologia di Menodoto è difficile da ricostruire, mancando precise indicazioni nelle testimonianze che su di lui ci sono pervenute. Forse non si è lontani dal vero collocandolo nella prima metà del n secolo d. C. (cfr.
www.scribd.com/Baruhk
194
IL NEOSCETTICISMO
Menodoto combatté contro gli avversari della medicina empirica non solo con fermezza, ma, addirittura, con animosità e con acredine, e, nel dimostrare la vanità delLa pretesa della ricerca delle cause, si spinse, ben al di là della proclamazione della necessità dell'epoché, addirittura su posizioni di dogmatismo negativo, giudicando le tesi degli avversari con presunzione di certezza circa la loro falsità 6 • Per quanto riguarda le idee propriamente fìlosofìche sappiamo che Menodoto non riteneva che lo scetticismo accademico fosse conciliabile con il pirronismo e che quindi potesse rientrare nella storia di quest'ultimo. Il pirronismo originario sarebbe morto già con Timone e sarebbe successivamente rinato solo con Tolomeo di Cirene (il quale fu maestro del medico empir>ico Eraclide di Taranto, di cui sopra già abbiamo fatto cenno), ossia nel I secolo a. C. Per conseguenza, egli escludeva che Platone, come sostennero invece alcuni Accademici, potesse essere considerato Scettico. Infatti, argomenta Menodoto, se Platone circa le Idee, la Provvidenza e la Virtù assente come a cose certe, dogmatizza; se vi assente come a cose probabili e come tali le preferisce, si allontana anche in questo caso dallo scetticismo e partecipa del carattere dogmatico; e tali conclusioni non mutano anche se Platone si esprime, su alcune cose, nel modo scettico 7 • È possibile che proprio a Menodoto dsalga, come già abbiamo detto, la distinzione fra i segni indicativi e i segni rammemorativi (-e la conseguente dichiarazione della legittimità di questi ultimi), che non era ancora presente in Enesidemo e nei suoi seguaci e che presuppone certamente il guadagno della prospettiva empirica (Sesto Empirico, come
Brochard, Les sceptiques grecs, p. 311). La più equilibrata ricostruzione del pensiero di Menodoto ci sembra essere quella di Goedeckemeyer, Geschichte des griechischen Skeptizismus, pp. 247-263. • Cfr. Galeno, De subfig. emp., p. 84, l sgg. Deichgriiber. 7 Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 222 sg.
www.scribd.com/Baruhk
195
MENO DOTO
vedremo, la considera come una distinzione senz'altro acquisita). Il segno rammemorativo è infatti, per dirla in termini moderni, una mera associazione mnemonica fra due o più fenomeni acquisita tramite l'esperienza (ossia per aver più volte costatato che nell'esperienza quei fenomeni si presentano connessi), la quale ci permette, allorché si presenti uno Ji questi fenomeni (ad esempio il fumo), di « inferire » l'altro o gli altri fenomeni (per esempio il fuoco, la sua luce e il suo calore) 8 • È certo, comunque, che, in generale, accanto al momento negativo proprio dello scetticismo pirroniano Menodoto poneva il momento positivo consistente nel richiamo all'espe· rienza e nell'uso del metodo empirico. È precisamente questo positivo aggancio all'esperienza la novità che carattel'izza l'ultima fase dello scetticismo inaugurato da Menodoto, che, però, giunse a maturazione e a piena consapevolezza solo con Sesto Empirico 9 •
• È questa un'ipotesi, piuttosto plausibile, sostenuta da Goedeckemeyer, Geschichte des griechischen Skeptizismus, pp. 259 sg. e nota 5. • Sulla cronologia e sui dati biografici concernenti Sesto siamo purtroppo assai scarsamente informati. Forse visse nella seconda metà del II secolo d. C. e morl agli inizi del m secolo d ..C. Solo con questa datazione si può accordare quanto Sesto stesso ci dice, e cioè che ai suoi tempi gli avversari principali dello scetticismo erano gli Stoici (cfr. Schizzi pirroniani, I, 65); infatti nella seconda metà del II secolo d. C. gli Stoici ebbero ancora una vitalità, che nel secolo successivo persero. Diogene Laerzio, che sembra essere vissuto nella prima metà del III secolo d. C., conosce non solo Sesto, ma anche il suo discepolo Saturnino, il che conferma l'ipotesi cronologica di cui sopra. Sesto sarebbe, dunque, un contemporaneo, forse un po' più giovane, di Galeno. Il fatto che Galeno non lo citi (almeno nelle opere a noi pervenute) può spiegarsi o con l'ipotesi che Sesto non sia stato noto in medicina cosi come in filosofia, oppure anche supponendo che sia divenuto caposcuola solo dopo che Galeno aveva pubblicato i suoi principali scritti (cfr. Brochard, Les sceptiques grecs, p. 315). Non sappiamo dove Sesto abbia insegnato: all'epoca in cui scriveva gli Schizzi pirroniani, III, 120, egli ci dice, per inciso, che insegnava nello stesso luogo in cui insegnava il suo maestro (Erodoto di Tarso), ma non nomina questo luogo. In ogni caso, sembra che ormai non fosse più Alessandria (cfr. III, 221). Dunque già col
www.scribd.com/Baruhk
196
IL NEOSCETTICISMO
3. Il nuovo piano sul quale Sesto Empirico riformula lo scetticismo Abbiamo cercato d1 dimostrare, sopra, come il fenomenismo originario di Pirrone (e rin larga misura anche quello di Enesidemo) fosse una sorta di fenomenismo puro, vale a dire una forma di fenomenismo che non si fondava sul presupposto dualistico dell'esistenza di una «cosa in sé», ma che riduceva interamente l'essere e la sostanza delle cose al fenomeno. La realtà delle cose, insomma, veniva risolta nel loro apparire, senza residuo 10 • Per contro, il fenomenismo di Sesto risulta ormai formulato in termini chiaramente dualistici: il fenomeno diventa l'impressione o l'affezione sensibile del soggetto, e, come tale, viene contrapposto all'oggetto, aHa « cosa esterna », ossia alla cosa che è altra dal soggetto e che viene presupposta essere causa dell'affezione sensibile del soggetto stesso. Si può cosl affermare che, mentre il fenomenismo di Pirrone e di Enesidemo, in quanto risolveva la realtà nel suo apparire, era una forma di fenomenismo assoluto e quindi metafisica (si ricordi, d'altra parte, come il fenomenismo di Pirrone portasse espressamente all'ammissione di una «natura del divino e del bene» che vive eterna e dalla quale « deriva all'uomo la vita più eguale» e come il fenomenismo di Enesidemo portasse altret-
maestro di Sesto la scuola si era spostata da Alessandria. Oltre agli Schizzi pirroniani, di Sesto ci sono pervenuti, come abbiamo già ricordato, due opere dal titolo, rispettivamente, Contro i matematici, in sei libri e Contro i dogmatici, in cinque libri, comunemente citati col titolo unitario Contro i matematici (matematici sono intesi, qui, gli uomini che professano arti e scienze) e con la numerazione progressiva dei libri da uno a undici. I primi due libri del Contro i dogm. ( = Contro i matem., vn e vm) sono anche indicati col sottotitolo Contro i logici; i libri m e IV del Contro i dogm. (= Contro i matem., IX e x) sono anche .indicati col sottotitolo Contro i fisici e l'ultimo libro del Contro i dogm. ( Contro i matem., XI) è anche indicato col titolo Contro i moralisti. Cfr., sopra, p. 168, nota 25. 10 Si veda, sopra, p. 176 e nota 44.
=
www.scribd.com/Baruhk
197
SESTO EMPIRICO
tanto espressamente ad una vlSlone eraditea del reale) 11 , il fenomenismo di Sesto Empirico sia, invece, una forma di fenomenismo di carattere squisitamente empirico e antimetafisico: il fenomeno, come meva affezione del soggetto, non risolve in sé tutta la realtà, ma lascia fuori di sé l'« oggetto esterno », il quale vien dichiarato, se non inconoscibile di diritto (affermazione, questa, che farebbe cadere in una forma di dogmatismo negativo), per lo meno non conosciuto di fatto. Ma vediamo alcune eloquenti esemplificazioni, muovendo dalla definizione stessa di scetticismo che Sesto fornisce nei suoi Schizzi pirroniani:
Lo scetticismo esplica il suo valore nel contrapporre i fenomeni e le percezioni intellettive in qualsivoglia maniera, per cui, in seguito all'ugual forza dei fatti e delle ragioni contrapposte, arriviamo, anzi tutto, alla sospensione del giudizio, quindi, all'imperturbabilità 12 • Sesto precisa però subito quanto segue: Alla parola «fenomeni» [ -rèt !pcxw61J.tvcx] diamo, ora, il significato di «dati del senso» [ -rèt cx!a&-t]-r~], e perciò contrapponiamo a questi le «percezioni dell'intelletto» [ -.èt vo7)-r~, -rèt vooÒ!J.tvcx] 13 •
Per renderei conto dei numerosi presupposti che stanno sotto queste affermazioni, e quindi per comprendere la nuova posizione di Sesto, sono necessari numerosi chianimenti. In primo luogo, è da rilevare come il nostro filosofo formuli espressamente l'equazione sussistente fra fenomeno e dato sensoriale. (Vedremo inoltre, subito sotto, in che " Cfr. vol. III, pp. 479 sgg. e, sopra, pp. 175 sgg. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, 1, 8. " Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, 1, 9. E interessante rilevare come Sesto interpreti in funzione di questa equazione anche i suoi predecessori, col rischio di fraintenderli. Cfr., per esempio, Contro i matem., VIII, 216, dove Sesto dice espressamente: « Enesidemo sembra (~ou<e:) chiamare fenomeni i dati sensoriali ». Il che significa che Enesidemo non operava tale 12
www.scribd.com/Baruhk
198
IL NEOSCETTICISMO
modo, ulteriormente, fenomeno e dato sensoriaie, come già abbiamo accennato, si riducano non ad altro che ad affezione del soggetto). In secondo luogo, è da rilevare come il « noumeno » di cui qui si parla non sia quell'« oggetto esterno » alla percezione, queHa « cosa in sé », di cui abbiamo sopra già detto, ma sia la semplice rappresentazione intellettuale, considerata essa pure come fenomenica. Infatti l'« oggetto esterno», come meglio vedremo sotto, si contrappone sia alla percezione sensoriale s,ia a quella intellettuale, considerate da Sesto sia l'una che l'altra parimenti soggettive. In terzo luogo, è da rilevare come Sesto - nel gioco della contrapposizione dei fenomeni ai fenomeni, delle percezioni intellettive alle percezioni intellettive, e di quelli a queste e viceversa, al fine di mostrare la loro parità di credibilità e non credibilità e quindi al fine di giungere aHa « sospensione del giudizio » - non tratti affatto i fenomeni alla stregua di « noumeni » o percezioni intellettive, e come conferisca ai primi un valore prevalentemente positivo e ai secondi un valore prevalentemente negativo, sicché risulta assai più appropriata quest'altra formulazione del principio dello scetticismo, che egli propone a breve distanza dalla prima: Il principio fondamentale dello scetticismo è, sopra tutto, questo: a ogni ragione [Myoç] si oppone una ragione di ugual valore. Con ciò, infatti, crediamo di riuscire a non stabilire nessun dogma 14 •
In effetti, per Sesto, un ragionamento mette in scacco un altro ragionamento e un dato sensoriale (un fenomeno) può mettere in crisi un ragionamento, ma non vkeversa. In quarto luogo, è da notare come, in conseguenza delle identificazione e che questa è ricavata da Sesto come sua personale interpretazione. " Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 12.
www.scribd.com/Baruhk
199
SESTO EMPIRICO
distinzioni sopra rilevate, Sesto ammetta la liceità che lo Scettico assenta ad alcune cose, vale a dire alle affezioni legate alle rappresentazioni sensoriali; si tratta, cioè, di un assenso puramente empirico, e, come tale, non dogmatico. Ecco le precise parole del nostro filosofo: Diciamo che lo Scettico non dogmatizza, non nel senso in cui prendono questa parola alcuni, per i quali, comunemente, è dogma il consentire a una cosa qualunque, poiché alle affezioni che conseguono necessariamente alle rappresentazioni sensibili assente lo Scettico Così, per esempio, sentendo caldo o freddo, non direbbe: «credo di non sentire caldo o freddo»; ma diciamo che non dogmatizza nel significato che altri danno alla parola dogma, cioè assentire a qualcuna delle cose che sono oscure e formano oggetto di ricerca per parte delle scienze (a nessuna cosa oscura assente il Pirroniano) 15 •
E ancora: Coloro che dicono che gli Scettici sopprimono i fenomeni, parmi non abbiano udito quello che da noi si dice: ché noi non sovvertiamo quello che, senza il concorso della volontà, ci conduce ad assentire in conformità dell'affezione che consegue alla rappresentazione sensibile [ ... ] ; e questi sono i fenomeni 16 •
Del resto Sesto rileva espressamente che le formule scettiche valgono ger le cose oscure e non per i fenomeni 17 • In quinto luogo, è da notare come (e con questo rilievo ritorniamo alla questione fondamentale da cui abbiamo iniziato il nostro discorso) Sesto riesca ad attribuire al « fenomeno » la nuova valenza solo a scapito della rigorosità e consequenzialità del discorso scettico, in quanto, per calibrare questa nuova valenza, egli è costretto a far ricorso ad una serie di presupposti che, senza avvedersene, desume dalla mentalità
" Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 13. 16 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 19. 17 Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 208.
www.scribd.com/Baruhk
200
IL NEOSCETTICISMO
«dogmatica» che pure vorrebbe definitivamente mettere in crisi. Scrive il nostro filosofo: [ ... ] I fenomeni assicurano solamente il fatto che essi appaiono e non hanno, oltre a ciò, la forza di mostrare che esistono realmente 18 •
Ora si badi come questa distinzione fra fenomeno ( -rò lfliXWO!J.evov) e oggetto sussistente ( TÒ Ò7toxd!J.evov) non possa
avere significato, se non presupponendo la dogmatica distinzione fra apparire ed essere e dando un preciso senso al concetto di oggetto esistente al di là del fenomeno, che, peraltro, Jo Scettico non potrebbe in alcun modo formulare, mancandogli tutti gli strumenti necessari all'uopo. Ma Sesto va ancora oltre. Nel mostrare come altro sia l'« oggetto rappresentato» e altro l'« oggetto quale è realmente », egli scrive: [ ... ] La rappresentazione è effetto dell'oggetto rappresentato, e l'oggetto rappresentato è causa della rappresentazione e capace di impressionare la facoltà sensitiva, mentre l'effetto è differente dalla causa che l'ha prodotto. Onde l'intelletto, quando viene a contatto con le rappresentazioni, recepirà gli effetti degli oggetti rappresentati, ma non questi stessi oggetti esterni. E se uno ci venisse a dire, in base ai propri sentimenti e alle proprie affezioni, che egli viene proprio a contatto con gli oggetti esterni [ TIÌ ~KT6ç ] , noi tireremo in ballo le aporie precedentemente indicate [ ... ] 19 •
Come si vede, qui viene addirittura presupposto quel concetto di causa, nonché quell'inferenza causale, che gli Scettici credevano di aver messo del tutto fuori gioco. In conclusione, possiamo dire che il nuovo piano su cui Sesto Empirico si pone nel riformulare lo scetticismo è precisamente dato dal nuovo concetto di fenomeno inteso come 11 Sesto Empirico, Contro i matem., " Sesto Empirico, Contro i matem.,
VIII, 368. VII, 383 sg.
www.scribd.com/Baruhk
201
SESTO EMPIRICO
affezione di un soggetto in contrapposizione ad un oggetto esterno, ossia in contrapposizione ad un oggetto sussistente fuori del S()ggetto (al di là del fenomeno). Tutte le formule e tutti i principi canonici dello scetticismo vengono, a ben vedere, riproposti appunto in questa chiave dualistica, ora facendo leva su.JI'« affezione» soggettiva, ora sull'« oggetto esterno», ora su ambedue. Cosl tutte le formule scettiche vengono ripresentate da Sesto non come « vere in senso assoluto », ma, appunto, solamente come espressione di ciò che lo Scettico sente. Scrive il nostro filosofo: [ ... ] Bisogna ricordarsi anche di questo, che noi [Scettici] non le [scil.: le formule scettiche] pronunciamo, in generale per tutte le cose, ma per quelle oscure e indagate dogmaticamente, e che esprimiamo quello che a noi appare, senza pronunciarci con asserzioni recise intorno alla natura delle cose esteriori 20 •
Ecco, ancora, ciò che Sesto scrive a proposito dell'afasia: [ ... ] « Afasia » vale rinunzia alla « fasi » [ = al dire], intesa nel suo significato comune, e in essa diciamo essere compresa l'affermazione e la negazione; di modo che «afasia» è una nostra affezione interna, per cui diciamo di non affermare né negare. Dal che è manifesto, anche, che non assumiamo l'afasia come se le cose fossero per loro natura tali da dover assolutamente indurre all'afasia, ma vogliamo significare che noi, in quel momento in cui facciamo dichiarazione di afasia, proviamo questa affezione sul conto della cosa indagata. Anche, bisogna ricordarsi di ciò, che noi diciamo di non affermare né di negare nulla di quanto viene dogmaticamente asserito circa le cose oscure. Poiché a ciò che muove il nostro senso e produce in noi un'affezione tale che necessariamente ne spinge ad assentire, noi cediamo 21 •
Analogamente, la riesposizione dei tropi di Enesidemo è condotta secondo questa nuova ottica, e la sospensione del "' Sesto Empirico, Schizzi pi"oniani, Sesto Empirico, Schizzi pi"oniani,
21
I, I,
208. 192 sg.
www.scribd.com/Baruhk
202
IL NEOSCETTICISMO
giudizio diventa, da sospensione del giudizio in generale, sospensione del giudizio intorno alla natura degli oggetti esteriori ( m:pt -r~c; c:puae:wc; -r&v èx-ròc; u7toxe:L!Lévwv ). E così, più in generale, il problema dello scetticismo, per Sesto, diviene questo: se l'apparire (soggettivo) dell'oggetto corrisponda al suo essere (oggettivo): [ .. ] Nessuno, forse, contesterà che l'oggetto appaia cosl o cosl, ma si farà questione su questo, se sia tale quale appare 22 •
4. La vita senza dogmi, ovvero la vita senza filosofia secondo Sesto La fusione delle istanze dello scetticismo con quelle dell'empirismo comportò anche nell'ambito .dell'etica un notevole distacco dalle posizioni dell'originario pirronismo. Sesto, infatti, costruisce una specie di etica del senso comune, elementa,rissima e volutamente primitiva. Egli scrive: [ ... ] Non solo non contrastiamo alla vita, ma la difendiamo, assentendo, senza dogmatismo, a quanto è da essa confermato, ma apponendoci alle cose inventate, per loro conto, dai Dogmatici 23 • E ancora: [ ... ] È sufficiente, penso, vivere secondo l'esperienza e senza dogmi, in conformità delle osservazioni comuni e delle prenozioni che sono .~n noi, sospendendo il giudizio su quanto vien detto dalla sottigliezza dialettica, che trovasi del tutto fuori di ciò che è utile per la vita 24 •
Il vivere secondo l'esperienza comune e secondo la consuetudine ( auv~&e:LIX) è possibile, secondo Sesto, conformandosi a queste quattro regole elementari: a) seguire le indicaSesto Empirko, Schizzi pi"oniani, Sesto Empirko, Schizzi pirroniani, ,. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, 22
23
1, 22 sg. 11, 102. 11, 246.
www.scribd.com/Baruhk
203
SESTO EMPIRICO
zioni della natura, la quale trami te i sensi e la ragione ci dice ciò che ci è utile; b) seguire gli impulsi delle nostre affezioni che ci spingono, ad esempio, a mangiare quando proviamo fame o a bere quando sentiamo sete; c) rispettare le leggi e i costumi del proprio paese e quindi accettare, dal punto di vista pratico, le relative valutazioni della pietà come un bene e dell'empietà come un male; d) non restare inerti, ma esercitare un'arte. Ecco il testo più significativo: [ .. ] Riferendoci ai fenomeni, viviamo senza dogmi, osservando le norme della vita comune, ché non possiamo vivere senza far niente del tutto. Questa osservanza delle norme della vita comune pare essere quadripartita, e consistere, parte, nella guida della natura, parte, nell'impulso necessario delle affezioni, parte, nella tradizione delle leggi e delle consuetudini, parte, nell'insegnamento delle arti. Nella guida della natura, in quanto siamo per natura forniti di senso e d'intelligenza; nell'impulso necessario delle affezioni, in quanto la fame ci conduce verso il nutrimento, la sete verso la bevanda; nella tradizione delle consuetudini e delle leggi, in quanto consideriamo la pietà come un bene, l'empietà come un male rispetto alla vita comune; nell'insegnamento delle arti, in quanto non siamo inattivi nelle arti che apprendiamo. Ma tutto questo diciamo lontani da ogni affermazione dogmatica 25 •
Si noti, per quanto concerne il terzo punto, che di primo acchito può lasciare sconcertati, come Sesto si sia preoccupato di precisare, proprio là dove confuta le dimostrazioni dell'esistenza di Dio offerte dai Dogmatici, che lo Scettico non è un ateo, premettendo quanto segue: [ ... ] Noi, seguendo la vita comune, senza preoccupazioni dogmatiche, affermiamo l'esistenza e la provvidenza degli Dei e li veneriamo 26 • Questa civalutazione della vita comune comporta l'abbandono dell'ideale della assoluta indifferenza e dell'.insensibilità 25 26
Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 23 sg. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, m, 2.
www.scribd.com/Baruhk
204
IL NEOSCETTICISMO
perseguito da Pirrone: lo Scettico empirico predica non l'apatia ma la metriopatia, la moderazione delle affezioni che si provano di necessità. Anche lo Scettico soffre fame, freddo e altre simili affezioni, ma, rifiutandosi di giudicarli mali oggettivi, mali per natura, limita notevolmente il turbamento che da tali ·affezioni deriva. Che lo &ettico possa ne sentire quidem è idea che, proprio sulla base della rivalutata esperien~, Sesto non può più prendere nemmeno in considerazione 27 • Inoltre, la rivalutazione della vita comune comporta anche una precisa rivalutazione dell'utile. Il fine per cui si coltivano le arti (il coltivare le arti - si ricordi - è il quarto precetto dell'etica empirica di Sesto) è espressamente indicato nell'« utile della vi t a » 28 • Infine è degno di nota il fatto che il raggiungimento dell'imperturbabilità, oss-ia dell'atarassia, sia presentato da Sesto quasi come la casuale conseguenza della rinuncia dello Scettico a giudicare intorno alla verità, ossia come la casuale ed inattesa conseguenza della sospensione del giudizio. Allo Scettico sarebbe accaduto qualcosa di analogo a quello che si narra del pittore Apelle, il quale, volendo dipingere la schiuma sulla bocca del cavallo e non riuscendovi, vi rinunoiò, scagliando la spugna in cui puliva i pennelli contro il quadro, e la spugna, colpendo la bocca del cavallo, come per caso, lasciò un'impronta che pareva schiuma: Chi [ ... ] dubita se una cosa sia bene o male per natura, né fugge né persegue nulla con ardore: perciò è imperturbato. Pertanto allo Scettico è accaduto quello che si narra del pittore Apelle. Dicono che Apelle, dipingendo un cavallo, volesse ritrarne col pennello la schiuma. Non riuscendovi in nessun modo, vi rinunziò, e scagliò contro il dipinto la spugna, nella quale astergeva il pennello intinto di diversi colori. La spugna, toccato il cavallo, vi lasciò un'impronta che pareva schiuma. Anche gli Scettici speravano di conseguire la imperturbabilità dirimendo la disuguaglianza ch'è tra v Per la metriopatia dr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, 28 Cfr. Sesto Empirico, Contro i matem., I, 50 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
I,
25·30.
205
SESTO EMPIRICO
i dati del senso e quelli della ragione; ma non potendo riuscirvi, sospesero il giudizio, e a questa sospensione, come per caso, tenne dietro la imperturbabilità, quale l'ombra al corpo 29 •
5. La critica sistematica di Sesto a tutte le scienze e alla filosofia
La parte più cospicua della produzione di Sesto (almeno di quella a noi pervenuta) è di carattere critico. Degli Schizzi pirroniani solo il primo libro ha carattere « sistematico », mentre gli altri due svolgono una organica critica della filosofia dogmatica, distinta nelle sue tre sezioni codificate dall'età ellenistica. Tutti gli undici libri che costituiscono l'opera comunemente citata col titolo Contro i matematici 30 sono di carattere puramente critico: nei primi sei libri si confutano le arti e le scienze (~la grammatica, la retorica, la geometria e .l'aritmetica, l'astrologia e la musica), mentre negli altri cinque si confutano la logica, la fisica e l'etica dei Dogmatici. Sarebbe impossibile dar conto delle critiche di Sesto in modo esauriente non solo in un lavoro di sintesi come è il nostro, ma addirittura anche in sede di trattazione monogr~fica,' dato che egli, come è stato giustamente rilevato, riesce a mettere insieme una vera e propria « enciclopedia scettica delle scienze filosofiche » 31 • Né di suo complesso argomentare si lascia ridurre a pochi principi, dato che prevale nettamente il metodo della dialettica negativa, messa in auge dagli Accademici. Assistiamo, assai spesso, all'abile gioco del rivoltare le armi dell'avversario contro lo stesso avversario e ad una serie ,interminabile di argomentazioni ad hominem. Si ha, inoltre, l'impressione che Sesto, non intenda affatto presenSesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 28 sg. "" Cfr., sopra, p. 196, nota 9. "' Cfr. A. Russo, in: Sesto Empirico, Contro i logici, Introduzione, p. vn, nota l. (Cfr., sopra, p. 168, nota 25). 29
www.scribd.com/Baruhk
206
IL NEOSCETTICISMO
tarci solamente contributi personali, ma proceda alla catalogazione di tutti i contributi dei predecessori nei quali fa rientrare anche i suoi personali, e quindi che proceda quasi a sistemare e a codificare quello che poteva considerarsi un patrimonio comune della setta degli Scettici. Nella critica contro le arti (grammatica, retorica, geometria, aritmetica, astrologia e musica) Sesto, come già abbiamo accennato, boccia tutto l'apparato dottrinario che le costituisce e la mentalità eziologica che sta alla loro base. Ciò cui deve mirare l'arte sanamente intesa è l'aiuto nella condotta della vita, ossia l'utile. La base dell'arte non è costituita dai ragionamenti astratti, ma dall'esperienza e dalla sistematica osservazione dei fenomeni. Per conseguenza, delle arti tradizionali Sesto salva solo quanto risponde al fine indicato e quanto può giustificarsi sulla base del metodo empirico 32 • La confutazione dei filosofi - assai più vigorosa e impegnata- segue un preciso ordine, oltre che nella divisione nelle tre parti, altresl nella suddivisione di queste parti. Si tratta di un ordine desunto dalla stessa mentalità dogmatica. D'altra parte ciò è inevitabile, dato che la confutazione scettica (ocv't(ppYJatc;) non è se non una lotta corpo a corpo contro tale mentalità, contro ciò che è stato da essa prodotto e contro H modo in cui è stato prodotto. In sostanza, Sesto vuole produrre una serie di ragioni contro le ragioni prodotte dai Dogmatici su tutti i problemi essenziali della filosofia, non al fine di concludere che i Dogmatici sono certamente nel falso (dato che questo sarebbe non altro che un dogmatismo alla rovescia, che riproporrebbe con segno opposto quella certezza che hanno i Dogmatici di essere nel vero), ma piuttosto al fine di far apparire « l'uguale peso dei ragionamenti » che, a proposito delle varie questioni filosofiche, si escludono a Cfr. soprattutto Contro i matem., I, passim, che esprime in modo questa mentalità. Cfr. anche il libro III, passim; si veda, inoltre, v, 2. 32
paradigma~ico
www.scribd.com/Baruhk
207
SESTO EMPIRICO
vicenda e, dunque, al fine di pervenire non a giudizi negativi, ma alla sospensione dei giudizi. Si comprende, così, come Sesto abbia posto proprio in questa « confutazione dei Dogmatici » il suo massimo impegno. Le linee di forza seguite dal nostro filosofo sono, grosso modo, le ·seguenti. In sede di logica, ai corrispondenti ragionamenti dei Dogmatici egli oppone ragionamenti intesi a dimostrare con ugtial forza quanto segue: a) non esiste criterio di verità; b) posto anche che ci fosse non servirebbe, perché non esiste il vero; c) non solo non è possibile affermare nulla intorno alle cose che (ai Dogmatici) paiono evidenti mancando il criterio, ma non è neppure possibile, e a più forte ragione, passare dalle cose evidenti a quelle non evidenti, ossia dai fenomeni ai loro presunti fondamenti e alle presunte cause, e quindi a) non esistono segni indicativi, ossia discopritori di cause nascoste (ma solo segni rammemorativi ), e b) non esistono dimostrazioni, ossia ragionamenti discopritori di conclusioni non manifeste. Sesto critica, di conseguenza, il sillogismo deduttivo, così come il ragionamento induttivo e la stessa definizione. Per quanto concerne la fisica, Sesto sottopone alla sua antirrhesis soprattutto i ragionamenti dei Dogmatici riguardanti la Divinità, le cause e i principi, il tutto e la parte, il corpo e l'incorporeo, le varie forme di cangiamento, il luogo, il tempo e il numero. Per quanto concerne l'etica, infine, Sesto si concentra su tre punti: critica le concezioni dogmatiche del bene e del male, critica la pretesa che esista un'arte del vivere e critica, infine, la pretesa che tale arte, posto pure che ci sia, possa essere insegnata. In questo torneo di ragioni contro ragioni Sesto si mostra piuttosto scrupoloso, e, spesso, espone con fedeltà le dottrine degli avversari che poi confuta e si mostra ben informato su larghi settori del vasto arco del pensiero antico a lui prece-
www.scribd.com/Baruhk
208
IL NEOSCETTICISMO
dente (sotto questo profilo la sua opera resta una vera e propria miniera di informazioni per la ricostruzione del pensiero di quegli ,autori le cui opere non ci sono pervenute). Il taglio dei problemi e la angolatura sotto cui li tratta, come già abbiamo detto, sono quelli propri dell'età ellenistica, in particolar modo quelli propri della Stoa (è significativo, ad esempio, il fatto che nei due libri diretti contro li logici Sesto mostri di ignorare la logica aristotelica e in particolare la sillogistica degli Analitici e polemizzi soprattutto con la logica stoica; ma molti esempi di questo genere si potrebbero rintracciare anche nei libri contro i fisici e contro i moralisti; Sesto non sembra aver beneficiato delLa rinasoita del platonismo e dell'aristotelismo, che nel suo secolo, come vedremo, avevano già dato cospicui frutti) 33 • Per quanto concerne la dialettica con cui egli costruisce le sue ragioni da contrapporre a quelle dei Dogmatici, è da rilevare come essa sia della stessa natura di quella messa in auge dagli Accademici e come, quindi, riveli la sua originaria matrice stoica. Le argomentazioni sono in genere di pregnanza, di rilevanza e anche di efficacia diverse, talora sofistiche e capziose, quando non addirittura stucchevoli. Ma Sesto ne è in parte consapevole, tanto è v•ero che alia fine dei suoi Schizzi scrive espressamente che il peso e la portata delle sue argomentazioni sono proporzionati al gl'ado di temerarietà dei discorsi dei Dogmatici che intende confutare 34 • È da rilevare, infine, che, talvolta, Sesto ~a positivamente appello all'esperienza e all'evidenza dei fatti contro la presun2lione della teoria, ma non lo fa in modo sistema~ico. E cosl certe anticipazioni di idee, che molto più tardi verranno sviluppate da Locke, da Hume e da Stuart Mill e che gli
33 Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pi"oniani, libri II e III, passim e Contro i matem., libri vu-xr, passim. Per le corrispondenze fra le due opere cfr. Robin, Pyrrhon ... , pp. 226-229. ""' Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, III, 280 sg.
www.scribd.com/Baruhk
209
SESTO EMPIRICO
studiosi hanno da tempo rilevato, restano poco più che intuizioni !isolate 35 • Sesto, contrariamente a quanto è stato sostenuto dagli intel'preti fl'ancesi 36 , non anticipa il positivismo moderno (così come la medicina empirica non anticipa H metodo induttivo proprio delle scienze moderne), perché non arriva in alcun modo alla costruzione di una nuova logica 37 • E non arriva alla costruzione di una nuow logica per due ragioni essenziali: nutre troppa sfiducia nelle capacità costruttive del pensiero, che sono indispensabili per scoprire leggi e nessi che legano l fenomeni, e nutre troppo poca fiducia nella possibilità che l'es.perienza porti a qualcosa di vero. Per Sesto la ragione serve quasi solo per combattere la ragione dogmatica e l'esperienza quasi solo come rifugio d'emergenza per sopravvivere, ossia a scopi pratici 38 • La posizione di Sesto può ben riassumersi in questa frase di uno srudioso moderno dello scetticismo che condivide la posizione dello scetticismo medesimo: « Solo la vita merita di essere seguita, e la prima filosofia consiste nello sbarazzarsi delle filosofie dogmatiche che speculano sull'incerto e descrivono come i Democritei, misurano come i Platonici, o immaginano, oome fecero gli Stoici, la pretesa verità dell'invisibile» 39 •
"' Cfr., per esempio, Sesto Empirico, Contro i matem., VII, 279; 297 sgg.; 57; 274; 288; 356; etc. "' Cfr. Brochard, Les sceptiques grecs, pp. 309 sgg. e Robin, Pyrrhon ... , pp. 181 sgg. ~ Non arriva alla costruzione di una nuova logica di carattere « induttivo », ossia di quel tipo di logica che sarà proprio delle scienze moderne. A buona ragione ci sembra che A. Russo (Sesto Empirico, Contro i logici, pp. XLIV sgg.) parli di «logica della negatività ». Lo studioso precisa inoltre: « Sesto non ci dà alcuna formulazione di quel concetto di osservazione nctpcx-ri)p7Jar.ç che sarà tanto importante nella moderna indagine scientifica » (ivi, p. xuv, nota 82). • Cfr., per esempio, Sesto Empirico, Schizzi pi"oniani, n, 244 sgg. "' Dumont, Le scepticisme... , p. 235. VIII,
www.scribd.com/Baruhk
IV. L'ESAURIMENTO DELLO SCETTICISMO
Gli antichi fanno un solo nome di filosofo scettico posteriore a Sesto, quello di Saturnino, discepolo dello stesso Sesto, ed egli pure «empirico» '. Di lui non sappiamo altro e tutto lascia credere che egli non si sia mosso dalle posizioni del maestro. Del resto con Sesto Empirico lo scetticismo raggiunge le sue invalicabili colonne d'Ercole, e, anzi, insieme al proprio trionfo celebra anche la propria distruzione. Lo stesso Sesto mostra qualche barlume di coscienza di questo fatto. A pwpooito delle formule canoniche dello scetticismo scrive negli Schizzi pirroniani: E invero, per quel che concerne tutte le espressioni scettiche, bisogna tenere a mente questo, che noi non si afferma in modo assoluto ch'esse siano vere, in quanto diciamo che esse si possono annullare da se stesse, circoscrivendo se stesse insieme con le cose di cui si dicono; così le medicine purganti, non solo cacciano dal corpo gli umori, ma anche se stesse espellono insieme con gli umori 2 • E nell'opera maggiore, a proposito dell'obiezione che la dimostrazione scettica intesa a dimostrare la non esistenza della dimostrazione distrugge anche se medesima, Sesto ribadisce: Ma, anche se essa [scii.: la dimostrazione dell'impossibilità della dimostrazione] scacciasse se medesima, non per questo viene 1 2
Cfr. Diogene Laer:z:io, IX, 116. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani,
I,
206.
www.scribd.com/Baruhk
211
ESAURIMENTO DELLO SCETTICISMO
a convalidare l'esistenza della dimostrazione. Ci sono molte cose che fanno a se stesse quello che fanno alle altre! Come, infatti, il fuoco, consumando la legna, distrugge anche se medesimo, e come i purganti, scacciando gli umori dai corpi, emettono anche se stessi, cosl pure l'argomentazione addotta contro la dimostrazione- dopo aver eliminato ogni dimostrazione - viene a mettere anche se medesima al bando! 3 • Queste immagini sono stupende e, a nostro avviso, esprimono com(! meglio non si potrebbe una delle funzioni storiche che ha avuto lo scetticismo antico, anzi forse addirittura la principale, vale a dire la funzione catartica o liberatrice. Lo scetticismo antico, in effetti, non ha distrutto la filosofia antica, che presenta ancora un tratto di gloriosa storia dopo di lui, ma ha distrutto una certa filosofia, o, meglio, una certa mentalità dogmatica legata a questa filosofia: ha distrutto quella mentalità dogmatica che era stata creata dai grandi sistemi ellenistici, soprattutto dal sistema stoico. Ed è molto indicativo il fatto che lo scetticismo, nelle sue varie forme, nasca, si sviluppi e muoia jn sincronia col nascere, con lo svilupparsi e col morire appunto dei grandi sistemi ellenistici. Ed è anche ass,ai significativo che quella mentalità di cui diciamo non sopravviva a Sesto. Dopo Sesto la filosofia riprende il suo cammino verso altre spiagge. Sesto, naturalmente, non poteva prevedere nulla di tutto questo. Uno studioso italiano ha rilevato, di recente, quanto segue: «Sesto è ben lungi dal sospettare che quasi contemporaneamente a lui e nella stessa metropoli di Alessandria da lui frequentata si va profilando quell'insegnamento di Ammonio Sacca che è destinato a far convergere il pensiero antico verso un polo diverso da quello scettico; egli non prevede che nuove costruzioni dommatiche cominciano a delinearsi sulla base di quelle medesime colonne doriche che sono state da lui ·scosse, anche se non rovesciate. E se lo storico auten• Sesto Empirico, Contro i matem.,
VIII,
480.
www.scribd.com/Baruhk
212
IL NEOSCETTICISMO
tiro, utilizzando tutti gli sviluppi e le prospettive del passato, è in certo qual modo anche preveggente, dobbiamo purtroppo ammettere che Sesto non è riuscito a prevedere nulla, perché dal passato non ha desunto altro che il naufragio di tutta una civiltà filosofica. La sua analisi storico-critica, infatti, viene eseguita in modo tale da consigliare che si chiuda ormai un'assurda e quasi sfibrante polemica di "filosofi in vendita", senza protrarla all'infinito con danno di tutti i contendenti. Secondo l'Empirico, la storia filosofica dei Greci, esaminata con i rigori di una logica bene affilata, doveva finire in un pacifico e rassegnato riconoscimento di tutti gli errori dei dommatici. E in questa fine egli, pur fornito in abbondanza di polemica gagliardia, non intende riservarsi l'ultima parola, giacché proprio lui non ha alcuna buona novella da annunciare, ma ha già pronto il rifiuto di ogni nov·ella, buona o cattiva che sia » 4 • Orbene, se questo è vero, è altrettanto vero che Sesto non poteva prevedere nulla, appunto per i motivi sopra indicati, ossia perché egli (come gli Scettici suoi predecessori) non usciva fuori da quella mentalità creata dall'ellenismo e avvalendosi del metodo dialettico poteva distruggere quella mentalità solo distruggendo anche se stesso. Del resto, una riprova eloquente di quanto stiamo dicendo si ha nel fatto che le nuove correnti filosofiche di cui diremo, che hanno una forte ispirazione religiosa, con punte di vero e proprio misticismo, non solo non temeranno lo scetticismo, in quanto faranno appello a forme e modi di conoscenza diversi da quelli che lo scetticismo aveva criticato, ma, in certi casi, non esiteranno addirittura ad accoglierne alcuni risultati proprio per dischiudere le nuove prospettive 5 • • Russo, in: Sesto Empirico, Contro i logici, Introduzione, pp. xx sg. • Si veda, per esempio, come Filone di Alessandria nel De ebrietate faccia uso dei tropi di Enesidemo e come Plutaroo faccia uso dell'epoché (su quest'ultimo punto dr. D. Babut, Plutarque et le sto'icisme, Paris 1969, pp. 279 sgg.).
www.scribd.com/Baruhk
SEZIONE QUINTA
REVIVISCENZE DEL CINISMO
• [ ..• ] clv&pchnou IL~ clvcx1 TÒ CÌ!Lcxp'fcivclv, &coii clv8pò~ lao&iou 'fCÌ 1t'fcx1a&Mot i1tcxvop&oiiv t.
3~
i\
« [ ... ] Errare è degli uomini: ma sollevare chi è caduto nell'errore è di un Dio, o di un uomo simile ad im Dio~. D~onatte,
presso Luciano, Vita di Demonatte, 7
www.scribd.com/Baruhk
www.scribd.com/Baruhk
I. LA RINASCITA DEL CINISMO IN ETÀ IMPERIALE E LE SUE
CARATTERISTICHE
Abbiamo visto, nel precedente volume 1, come il cinismo abbia toccato la propria acmé già all'inizio dell'età ellenistica e come abbia dato fondo, per cosl dire, a tutte le sue possibilità e a tutte le sue risorse. Infatti, subito dopo Diogene e Cratete, il cinismo perdette gran parte dell'originario vigore, mostrò una certa tendenza al compromesso e quindi manifestò una involuzione che, in alcuni esponenti, finl per essere quasi perdita di coscienza della propria identità, tanto che, verso la fine dell'era pagana, non si parla ormai quasi più di Cinici 2 • La vitalità del cinismo non si era tuttavia eJaurita: esso, infatti, non solo risorse in età imperiale (il primo Cinico che conosciamo per nome, Demetrio, fiorl - sembra - verso la metà del I secolo d. C.), ma continuò a vivere o a sopravvivere addirittura fino al VI secolo d. C., ossia ancora per circa mezzo millennio. Di fronte a tale fenomeno, per molti aspetti sorprendente, sorge spontaneo il problema: questo rinato cinismo dell'età imperiale approfondi le idee del vecchio cinismo e guadagnò nuove prospettive, oppure fu solamente una riproposta, più o meno passiva e stanca, di ciò che era già stato acquisito, e, dunque, una mera « ripetizione »? Per ri9pondere a tale problema occorre fare riferimento 1 Cfr. vol. • Cfr. vol.
III, III,
pp. 25-54. pp. 48 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
216
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
alle tre componenti che contraddistinguono questa particolarissima filosofia e che indicano anche le tre precise direzioni secondo le quali essa agl nella vita spirituale del mondo antico. Queste componenti sono: a) la «vita cinica», b) la «dottrina cinica», c) H «modo di esprimersi», ossia la « forma letteraria » propria delle opere dei Cinici. Per quanto concerne quest'ultimo punto è da rilevare che i Cinici avevano dato il meglio di sé già nei primi secoli dell'età ellenistica 3 • In particolare, è da rilevare che la « diatriba » era ormai diventata un vero e proprio « genere letterario », molto diffuso e quasi insostituibile. Privata, ormai, del sarcasmo e della caustica mordacità propri dell'originario cinismo, la « diatriba » fu adottata da molti filosofi dell'età imperiale, non solo dagli Stoici, i quali per certi aspetti erano vicini al cinismo (si pensi alle Diatribe di Epitteto), ma perfino da pensatori molto lontani dal cinismo, come ad esempio Filone Ebreo o addirittura Plotino (certi passi delle opere filoniane cosl come alcuni capitoli delle Enneadi hanno indubbiamente la struttura della diatriba). Per conseguenza questo «genere letterario», pur creato dal cinismo, diventò autonomo e, quindi, ormai non più esclusivo portatore del messaggio cinico. Per quanto concerne H secondo punto, ossia la «dottrina cinica » vera e propria, è da rilevare come il rinato cinismo non potesse guadagnare significative novità, per le ragioni strutturali, già da noi indicate nel precedente volume 4 • Infatti, già con Diogene la dottrina cinica raggiunse i limiti estremi della radicalizzazione, ossia le sue insuperabili « colonne di Ercole». Pertanto restavano solo due possibilità: a) o quella di riproporre un cinismo che sussumesse istanze di dottrine affini (in particolare dello stoicismo, che in età imperiale, come abbiamo visto, già per conto suo tendeva, specie in alcuni • Cfr. vol. • Cfr. vol.
III, III,
pp. 51 sg. pp. 48 e 52 sg.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DEL CINISMO IN ETÀ IMPERIALE
217
esponenti, ad avvicinarsi ancor più che nella precedente età a posizioni ciniche) e in qualche modo si mostrasse sensibile alle stesse istanze religiose e mistiche proprie della nuova età; b) oppure restava la possibilità di riproporre, sia pure con alcune limitazioni, il radicalismo dell'originario cinismo, facendone valere, in vario modo, soprattutto le istanze libertarie. In effetti, i Cinici dell'età imperiale che sono a noi noti risultano chiaramente aver seguito chi l'una chi l'altra di queste due vie, senza peraltro saper raggiungere esiti di particolare interesse, come vedremo. Per quanto concerne, infine, la « vita cinica », è da rilevare che, nell'età imperiale, essa dovette costituire la vera attrattiva e lo stimolo di gran lunga più forte. Fu, dunque, l'aspetto pratico del cinismo ad avere una vera importanza nell'epoca di cui ci occupiamo. Si spiega, quindi, assai bene il fatto che Antistene, fondatore del cinismo, a poco a poco sia scomparso nell'ombra, decisamente eclissato dalle figure di Diogene e di Cratete; in effetti il primo non visse se non in parte quella «vita cinica», che fu, invece, creata e vissuta, in modo paradigmatico, da Diogene e da Cratete. Le Lettere pseudepigrafe attribuite agli antichi Cinici, le quali sono falsificazioni (prodotte a partire dal 1 secolo d. C.) aventi lo scopo di rilanciare e di diffondere il verbo cinico e di conquistare gli animi ad esso, vengono quasi tutte attribuite, appunto, a Diogene e a Cratete (cinquantuno sono attribuite al primo e trentasei al secondo), mentre una sola ci è giunta attribuita ad Antistene ed una a Menippo. Ma è altresì da rilevare, a questo riguardo, che se la riproposta del paradigma del1a « vita cinica » trovò alcuni spiriti eletti che l'accolsero con sincerità di intenti, trovò altresì numerosi avventurieri che ne snaturarono il significato e che contribuirono progressivamente a screditarla e, quindi, a vanificarla, come vedremo.
www.scribd.com/Baruhk
II. LA CORRENTE STOICHEGGIANTE E RELIGIOSA DEL CINISMO DELL'ETÀ IMPERIALE
l. Demetrio
Demetrio, che, come già abbiamo accennato, è il primo nome di Cinico dell'età imperiale di cui ci sia giunta notizia, fu un contemporaneo di Seneca 1 e fu da questi assai ammirato e apprezzato. Ecco alcuni eloquenti passi, tratti dal De beneficiis, dalle Epistole e dal De providentia. Demetrio il Cinico [è] filosofo di grande importanza, a mio giudizio, anche se paragonato ai sommi 2 • Poco fa ho citato Demetrio [ ... ] uomo di saggezza completa (anche se egli sia il primo a negarlo) e di incrollabile costanza nei suoi propositi, di un'eloquenza quale si addice ai tempi più seri, cioè non preoccupata della ricerca degli ornamenti e della sceltezza dell'eloquio, ma tutta protesa all'esposizione dei concetti con vigorosa passione, secondo l'ispirazione. Sono sicuro che a quest'uomo la Provvidenza ha dato una tale vita e una tale facoltà di eloquio perché a noi non mancassero né un esempio, né un rimprovero 3 •
' Demetrio nacque, probabilmente, agli inizi del secolo I d. C. Egli era già noto per la sua dottrina e per la sua vita cinica negli anni in cui imperava Caligola, a giudicare da quanto ci riferisce Seneca, De benef., VII, 11. Forse dovette lasciare Roma già una prima volta, dopo la condanna di Trasea Peto, di cui era amico (cfr. Tacito, Ann., XVI, 34), nel 67 d. C. ~ cc;rta la sua espulsione da Roma nel 71 d. C., a motivo della sua opposi2ione alla politica dell'imperatore Vespasiano. Dei suoi ultimi anni di vita (trascorsi probabilmente, almeno in parte, in Grecia) pooo sappiamo. La nostra principale fonte di informazione è Seneca, che lo frequentò assiduamente. 2 Seneca, De benef., VII, l, 3. • Seneca, De benef., VII, 8, 2 sg.
www.scribd.com/Baruhk
LA CORRENTE STOICHEGGIANTE DEL CINISMO
219
Io sempre porto intorno con me Demetrio il migliore degli uomini, lascio da parte i grandi porporati e converso con lui seminudo e lo ammiro. E come non ammirarlo? Ho constatato che nulla gli manca. Qualcuno può disprezzare tutto, ma nessuno c'è che possa avere tutto. La via più breve per giungere alla ricchezza è disprezzarla. Quanto al nostro Demetrio, egli vive non come chi disprezza ogni cosa, ma come chi ne ha lasciato ad altri il possesso 4 • Demetrio sosteneva la necessità di ridurre la filosofia alla conoscenza di pochi precetti e alla rigoros!l applicazione di essi. Ci sono, si, egli diceva, molte conoscenze interessanti e la cui acquisizione reca diletto, ma solo poche sono quelle essenziali e queste poche sono di facile apprendimento, giacché la natura le ha poste provvidamente a portata di tutti. Ed ecco quali sono questi precetti essenziali: Se il nostro animo ha imparato a disprezzare tutto ciò che è dovuto al caso, se ha saputo dominare il timore, se non aspira con avide speranze a cose impossibili, ma ha imparato a chiedere a se stesso ogni ricchezza, se si è liberato dal timore degli dei e da quello degli uomini e sa che dagli uomini non c'è molto da temere, dagli dei nulla; se l'uomo disprezzando tutto ciò che adorna ma contemporaneamente tormenta la nostra vita è arrivato a capire chiaramente che la morte, di mali, non ne origina nessuno ma ne elimina molti; se si è del tutto dedicato alla virtù e trova agevole qualunque strada essa gli indica; se, creatura destinata alla vita associata e generata per la collettività, considera il mondo come la casa comune di tutti e ha aperto la sua coscienza agli dei e in ogni circostanza si comporta come se fosse esposto al controllo di tutti temendo più il suo stesso giudizio che quello di altri - allora quegli, sottrattosi alle tempeste, si è fermato sulla terra ferma, sotto un cielo sicuro ed è arrivato alla perfetta conoscenza di ciò che è utile e necessario. Tutte le altre cose servono a dilettare il nostro tempo libero: si può anche ricorrere ad esse quando l'animo è già al sicuro, ma esse lo affinano solamente, non lo temprano 5• In questo contesto riacquista tutto il suo antico significato
il ponos, ossia la fatica, e l'esercizio che tempra l'animo e lo • Seneca, Epist., 62, 3. 5 Seneca, De bene/., VII, l, 7.
www.scribd.com/Baruhk
220
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
rende capace di affrontare tutte le avversità della vita. Una esistenza che non ha mai subito gli urti della sorte e non si è mai cimentata con le avversità, per Demetrio, è «un mare morto» 6 , per cui, di conseguenza, l'uomo che non è stato mai colpito da avversità, !ungi dall'essere felice, come credono i più, è, in realtà, un infelice. Seneca riferisce, infatti, questo suo motto: Nulla mi sembra più infelice di un uomo a cui non è accaduta mai nessuna avversità 7 • Infine, è da rilevare come il cinismo di Demetrio si colori
di un considerevole sentimento religioso, molto vicino a quello che già aveva ispirato Io stoico Cleante. È ancora Seneca che ci riporta la testimonianza più significativa in proposito: Mi ricordo di avere udito anche questo discorso animoso di Demetrio, uomo di fortissimo cuore: «O dei immortali, per una sola cosa posso lamentarmi di voi: perché non mi rendeste nota in anticipo la vostra volontà. Infatti, sarei venuto io per primo a sostenere quelle prove che sono qui a sostenere ora chiamato da voi. Volete prendere i miei figli? Per voi li ho messi al mondo. Volete qualche parte del corpo? Prendetevela. Non vi prometto una gran cosa: presto lo lascerò tutto intero. Volete il mio spirito vitale? Perché non dovrei essere prontissimo a farvi ricevere quel che voi stessi mi deste? Porterete via conforme alla mia volontà tutto ciò che mi avrete chiesto. Che cosa è dunque in questione? Avrei preferito offrire· anziché consegnare queste cose. Che necessità c'era di togl!ermele? Potevate riceverle. Ma neppure ora voi me le toglierete veramente, perché nulla si rapisce se non a chi vuoi trattenere » 8• È una concezione, questa, la quale esprime un particolare sentimento della vita, che rivive anche nel neostoicismo romano, ossia nello stesso Seneca e, soprattutto, in Epitteto, come abbiamo sopra veduto. • Seneca, Epist., 67, 14. 7 Seneca, De provid., VII, 3. 1 Seneca, De provid., v, 5 sg.
www.scribd.com/Baruhk
LA CORRENTE STOICHEGGIANTE DEL CINISMO
221
2. Dione Crisostomo
La tesi di Demetrio che solo le avversità rivelano la vera tempra morale di un uomo e che infelice è da considerarsi non chi è provato dalle sventure ma chi è al riparo da esse, ha nelle vicende della vita di Diane Crisostomo una splendida riconferma. Nato da una famiglia di elevato ceto soci-ale nella città di Prusa in Bitinia 9 , Diane si formò, dapprima, negli studi letterari ed esordi come retore (come « sofìsta », per usare la terminologia in uso in quest'epoca) e scrisse addirittura un'opera contro i filosofi in generale ed una contro Musonio in particolare. A Roma ebbe dimestichezza con uomini di alto rango e, a motivo degli stretti legami di amicizia che ebbe con Flavio Sabino, fu condannato all'esilio, allorché costui fu sospettato di complottare contro l'imperatore Domiziano. Bandito dalla Bitinia e dall'Italia, costretto a peregrinare in paesi inospitali e a guadagnarsi i mezzi di sostentamento con i lavori più umili, privato di tutto ciò che aveva riempito e allietato la sua vita passata, seppe trovare la sua vocazione di fondo proprio a causa della sollecitazione di queste avverse circostanze, e divenne cosl « filosofo ». Egli riscoprl in tal modo la validità di quella filosofia che nell'esser privato di tutto e nel condurre una vita di «primitivi» additava, contro la comune opinione, il più autentico bene 10 • • Dione nacque, probabilmente, nell'ultimo decennio della prima metà del secolo I d. C. Il soprannome Crisostomo, che vuoi dire «Bocca d'oro», gli derivò dalla sua abilità nel parlare e dalla sua suadente eloquenza. Il suo esilio durò dall'82 d. C. all'uccisione di Domiziano, ossia fino al 96 d. C. Ebbe buoni rapporti con Traiano (98-117), alla cui presenza pronunciò alcuni dei suoi discorsi. Di Dione ci è pervenuto un complesso di ottanta orazioni, in cui predomina la forma letteraria della diatriba. Fondamentale resta il lavoro di H. von Arnim, Leben und W erke des Dio von Prusa, Berlin 1898, il quale ha curato anche una eccellente edizione critica delle opere: Dionis Prusaensis quem vocant Chrysostomum quae exstant omnia, edidit apparatu critico instruxit }. De Arnim, 2 voll., Berolini 1883-1886. 1° Cfr. Dione, Orazioni, xm, passim. Che lo stesso Diogene fosse diven-
www.scribd.com/Baruhk
222
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
Ecco come Dione stesso, in una pagina esemplare, descrive la ·propria conversione alla filosofia cinica: Gli uomini che mi incontravano [scii.: nel mio peregrinare di luogo in luogo] mi guardavano e mi giudicavane, alcuni un vagabondo, altri, un mendicante, alcuni, invece, un filosofo. Di qui, a poco a poco, mi venne il nome di filosofo, senza che io lo volessi e che me ne vantassi. Molti dei cosiddetti filosofi, infatti, si proclamano tali loro stessi, proprio come gli araldi alle Olimpiadi proclamano i vincitori; per quanto mi riguarda, invece, essendo gli altri a darmi questo nome, non potevo sempre oppormi a tutti quanti. Anzi, mi accadde di ricevere un certo beneficio da quel nome. Infatti molti venivano da me e mi chiedevano che cosa io ritenessi che fossero il bene e il male. Di conseguenza, io fui costretto a meditare intorno a queste cose, per poter rispondere a quanti mi ponevano quei quesiti. Inoltre, mi invitavano a presentarmi e a parlare in pubblico. Fui cosl costretto a parlare sui doveri degli uomini e su ciò che, a mio parere, giova ad essi. Mi formai allora la convinzione che tutti, per cosl dire, fossero sconsiderati e che nessuno facesse ciò che doveva fare né considerasse come potesse liberarsi dai mali che li afHiggono, dalla grande ignoranza e dalla confusione e come potesse vivere una vita più conveniente e più virtuosa, essendo tutti quanti agitati e trascinati nello stesso luogo e intorno alle stesse cose, ossia intorno alle ricchezze, alla reputazione e a certi piaceri corporei, senza che nessuno di essi fosse capace di affrancarsi da queste cose e liberare la propria anima, proprio come cose che cadono in un vortice, son fatte roteare e son trascinate in circolo senza potersi liberare da esso 11 •
Gli scritti di Dione che risalgono a questo periodo dell'esilio ripetono, senza molta originalità, anche se non senza garbo e vigore, i capisaldi della dottrina cinica, e, in essi, la figura di Diogene predomina incontrastata. Questi scritti esaltano in modo particolare la potenza liberatrice del verbo di Diogene, ribadiscono la validità della tavola cinica dei valori, ridifendono certi aspetti della cinica anaideia e sottato filosofo perché esiliato e privato di tutto era una convinzione comunemente condivisa; dr., per esempio, Musonio Rufo, Diatribe, IX. " Dione, Orazioni, xm, 11-13.
www.scribd.com/Baruhk
223
LA CORRENTE STOICHEGGIANTE DEL CINISMO
tolineano marcatamente l'importanza de1Ja lotta contro il piacere 12 • Ea:o un significativo stralcio dal Discorso sulla virtù: Un tale domandò a Diogene se egli pure fosse venuto [all'Istmo di Corinto] per vedere i giochi ed egli rispose: «No, ma per prendervi parte anch'io». Quegli si mise a ridere e domandò quali fossero i suoi avversari. E Diogene, guardandolo di sotto in su, come era solito, disse: «I più pericolosi e i più difficili da vincere ed ai quali nessuno dei Greci sa resistere; non sono però avversari che corrono, lottano, saltano, combattono col pugilato, lanciano il disco o il giavellotto, ma quelli che fanno rinsavire gli uomini». «E chi sono? », domandò. « Sono le fatiche, rispose, le più rudi e non superabili dagli uomini ben sazi di cibi e pieni dei fumi dell'orgoglio, che passano tutte le loro giornate a mangiare e le loro notti a russare, ma che sono abbattuti da uomini sottili e magri, i cui ventri son più sottili di quello delle vespe. O tu credi che questi grossi ventri servano a qualcosa, questi individui che coloro che hanno buon senso dovrebbero menare attorno, purificare e poi cacciare, o piuttosto immolare, fare a pezzi e poi mangiare, come si fa con la carne dei grandi pesci, che si fanno cuocere nd sale e nell'acqua marina, per far sciogliere il grasso, come fanno da noi nel Ponto col lardo dei maiali quelli che vogliono ungersi. Infatti io credo che costoro abbiano meno anima dei maiali. Invece l'uomo probo ritiene che le fatiche siano i suoi maggiori avversari e con questi ambisce battersi notte e giorno, non per ottenere un ramo di appio, come le capre, né un ramo di ulivo o di pino [con cui si coronano i vincitori dei giochi Olimpici e lstmici], ma per ottenere la felicità e la virtù per tutta la vita [ ... ] 13 •
Questi avvers-ari, precisa Dione, vanno attaccati con estrema decisione, come si fa con il fuoco, che, se aggredito senza esitazione, può essere spento, se no ha un sicuro sopravvento 14 • Ma l'avversario di gran lunga peggiore, anche per Dione cosl come per gli antichi Cinici, è il piacere, il quale non Cfr. soprattutto le Orazioni VI, Dione, Orazioni, vm, 11·16. •• Cfr. Dione, Orazioni, VIII, 19. 12
VIII, IX
e x.
13
www.scribd.com/Baruhk
224
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
usa la forza ma l'astuzia e seduce con funesti farmaci, come fece la maga Circe di cui parla Omero, la qua:le attrasse in questo modo i --compagni di Ulisse, per poi trasformarli in porci e animali selvaggi. Il piacere ci minaccia in tutti i modi possibili, perfino durante il sonno, mediante sogni insidiosi. Per difendersi dal piacere è necessario stare lontano il più possibile da esso o avere commercio con esso solo per lo stretto necessario. Perciò conclude Dione: [ ... ] Un uomo veramente forte è davvero veramente tale, quando è capace di fuggire il più possibile lontano dai piaceri: infatti non è possibile frequentare il piacere e farne esperienza durante un periodo di tempo, senza esserne rovinati. Non appena ha il sopravvento e vince l'anima con i suoi filtri, subito fanno seguito gli effetti prodotti dalla maga Circe 15 • Alla morte di Domiziano Dione tornò a Roma, e con la fine dell'esilio ebbe termine anche la sua « vita cinica »; la sua stessa visione filosofica si allargò, sussumendo numerosi concetti stoici e perfino alcune suggestioni platoniche. Risente ancom di forti influssi cinici l'orazione che reca il titolo Euboico, in cui si narra di una famiglia di cacciatori, la quale lontano dalla città, a contatto con la natura, vive serenamente, soddisfacendo solamente ai bisogni più elementari ed essenziali, senza desideri del superfluo e senza vane ambizioni, e reaHzza, in questo modo, pur senza saperlo, la vita ideale. Dione non ha dubbi che il vivere in povertà e non in mezzo alla ricchezza rappresenti il « vivere conforme a natura (xatTCÌcpuow) » 16 . Sulla base di questa concezione di carattere squisitamente morale egli propone la soluzione del problema sociale della povertà dei ceti inferiori, che nelle grandi città diventava vieppiù preoccupante: bisognerebbe far uscire dalla città quelli che egli definisce i « poveri rispet-
•• Dione, Orazioni, VIII, 24. ,. Dione, Orazioni, VII, 81.
www.scribd.com/Baruhk
LA CORRENTE STOICHEGGIANTE DEL CINISMO
225
tabili », ossia quei poveri che conducono una vita onesta, portarli a vivere nelle campagne, e qui insegnare loro a procacciarsi i mezzi di sostentamento nel modo più naturale 17 • È indubbio che Dione intendeva presentare questo programma non solo a scopo teorico, ma proprio come concreta soluzione dei gravi problemi sociali del momento storico in cui viveva. Un altro gruppo di scritti di carattere politico composti nel periodo posteriore all'esilio rispecchia ancora idee ciniche, fatte però rientrare nella più ampia prospettiva stoica della monarchia universale di cui è re Zeus 18 • Il governo ideale è, per Dione, quello monarchico, e il monarca ideale è il migliore degli uomini, ossia l'uomo più virtuoso. Leggiamo nella Orazione IV, dove i protagonisti sono Diogene (portavoce di Diane) e Alessandro (che probabilmente rappresenta, in qualche modo, l'imperatore Traiano, cui il discorso è rivolto): [ ... ] Allora Alessandro chiese a Diogene: « In che modo si dovrebbe esercitare l'arte regia nella maniera migliore? ». Diogene lo guardò severamente di sotto in su e rispose: «non si può esercitare l'arte regia in modo malvagio più di quanto non si può essere un malvagio onest'uomo! Infatti il re è il migliore degli uomini, il più coraggioso, il più giusto, il più umano, ed è invincibile rispetto ad ogni fatica e ad ogni desiderio » 19• Il re deve essere un «pastore di popoli », secondo il celebre detto di Omero 20 , ·e deve essere l'imitatore del più grande di tutti i re, vale a dire del Re che governa l'Uruverso intero, ossia di Zeus. Leggiamo, ad esempio, nella Orazione I: [. .. ] Tra i re, dal momento che, come credo, essi ricevono da Zeus il loro potere e la loro funzione, quello che, guardando a Zeus, ordina e governa con giustizia e con bontà conformemente
17
Dione, Orazioni, vn, 107 sg.
18
Cfr. le prime quattro Orazioni, passim.
" Dione, Orazioni, IV, 24. Cfr. Iliade, I, v. 263.
21
www.scribd.com/Baruhk
226
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
alla legge e al volere di Zeus, ha una buona sorte e una fine propizia 21 • E poco prima Dione precisa: Il Re primo e supremo devono sempre imitare i mortali e coloro che governano le cose degli uomini nell'assolvere alle loro responsabilità, su quello, per quanto è possibile, regolando e a quello assimilando (ci'{lo!l-olouvrocc;) il proprio modo di agire 22 • Piegano invece decisamente verso le dottrine della Stoa l'Orazione XXXVI (dal titolo Boristenico), che contiene (tra l'altro) una vera e propria cosmologia stoica, e l'Orazione XII (dal titolo Olimpico), che dimostra come l'idea di Dio sia innata in tutti gli uomini, Greci o barbari che siano. Anche in Dione, come nel parallelo neostoicismo, compare l'idea della parentela e del legame naturale (o-uyy&veLcx) che unisce gli uomini agli Dei, e quindi l'idea della fratellanza di tutti gli uomini 23 • E, come nel parnllelo movimento medioplatonico, in Dione compare non solo l'idea già sopra indicata che gli uomini devono imitare Dio e assimilarsi a lui 24 , ma addirittura la dottrina che il Demone dell'uomo è il suo nous, il suo intelletto (si badi: non la semplice ~u:x:f). ma il vouc;! ): I demoni buoni e cattivi, i quali portano la sfortuna e la fortuna, non stanno al di fuori dell'uomo: l'intelletto che è proprio di ciascun uomo ( 6 Bè f81oc; ixli<nou vouc; ), questo è il Demone dell'uomo che lo possiede: il Demone di un uomo saggio e buono è buono, malvagio quello di un uomo malvagio, e, cosi, libero è quello di un uomo libero, schiavo quello di un uomo schiavo, regale quello di un uomo regale e magnanimo, miserabile è quello di un uomo miserabile e vile 25 •
Dione, Ora:r.ioni, 1, 45. Dione, Ora:r.ioni, 1, 37. zs Cfr. Dione, Orazioni, xu, 61. "' Si veda l'ultimo passo sopra riportato. • Dione, Ora:r.ioni, IV, 79. 21
22
www.scribd.com/Baruhk
III. LA CORRENTE DEL CINISMO DELL'ETÀ IMPERIALE ISPIRATA ALL'ANTICO RADICALISMO CONTESTATORE
l. Enomao di Gadara
La componente radicale e contestatrice dell'antico cinismo (che trova la sua più tipica espressione nell' anaideia e nella parresia, come abbiamo veduto) ritorna in primo piano in Enomao 1 • Nei suoi scritti egli probabilmente trattò l'intero arco della tematica cinica, ma a noi sono pervenute dettagliate informazioni e ampi estratti di una sola opera che recava il titolo L'esposizione dei ciarlatani 2 • In questa opera Enomao sferrava un massiccio attacco contro gli oracoli e contro la possibilità delle profezie e della mantica. Egli esàminava in modo analitico le più celebri profezie dell'oracolo di Delfi, ne mostrava l'inconsistenza e la capziosità e adduceva altresl alcune ragioni filosofiche contro la possibilità delle profezie stesse. Le argomentazioni filosofiche (le uniche che, in questa sede, a noi interessano) non si basavano su una generica negazione dell'esistenza della Divinità e di Demoni: infatti Enomao, come in genere i Cinici, non era un ateo; egli riteneva, tuttavia, che la Divinità non dovesse occuparsi delle cose umane e che, quindi, le pretese profezie non avessero nulla ' Enomao visse nella prima metà del n secolo d. C. Sembra che il suo floruit sia da collocare durante il regno di Adriano (si vedano i documenti e la discussione dei medesimi in Dudley, A History of Cynicism, p. 184, nota 3). 2 Questi estratti ci sono stati conservaci da Eusebio, Praep. evang., v, 18-36; VI, 1-42 (cfr. P. Vallette, De Oenomao Cynico, Paris 1908).
www.scribd.com/Baruhk
228
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
di demoniaco e di divino, ma fossero solamente imbrogli belli e buoni. Le argomentazioni in parola facevano appello alla contraddizione sussistente fra l'affermazione dell'esistenza del Fato o della Necessità che tutto governa, da un lato, e l'ammissione della libertà umana, dall'altro. Orbene, la mantica dimostra la propria assurdità nella misura in cui fa appello, ad un tempo, ad ambedue questi presupposti, che reciprocamente si escludono. Scrive il nostro filosofo: È del tutto ridicolo porre nello stesso tempo che qualcosa dipenda dall'uomo e che tuttavia egli sia dominato dal Destino 3 •
Si noti bene: questa contraddizione rende assurda la credibilità degli oracoli (e della mantica in genere) in tutti i sensi. In primo luogo, rende assurda la stessa pretesa Jibertà di profetare di Apollo, perché, se tutto fosse necessario, Apollo a Delfì non potrebbe stare in silenzio, nemmeno se Jo volesse, e, in ogni momento, egli, lungi dal poter fare la propria volontà, dovrebbe fare ciò che la Necessità ha stabilito 4 • In secondo luogo, posto anche che gli oracoli fossero possibili, non avrebbero alcun senso, nella misura, almeno, in cui essi comandano una qualsiasi cosa, perché, ammettendo la Necessità, nulla resterebbe in potere dell'uomo. In questa vivace polemica, si comprende come Enomao dovesse prendersela soprattutto contro gli Stoici, i quali, con la loro dottrina del Fato, avevano appunto preteso di dare una base :filosofica alla mantica 5 • Gli Stoici, secondo Enomao, non sono coerenti: infatti essi affermano che l'uomo può essere virtuoso; inoltre sono ad un tempo sicuramente persuasi che l'uomo possa essere tale non contro la propria volontà, ma solo per spontanea deliberazione; orbene, se così è, non c'è nessuno, «Dio o • Eoomao, presso Eusebio, Praep. evang., VI, 7, 2.3. • Cfr. Enomao, presso Eusebio, Praep. evang., VI, 7, l. 1 ar. vol. III, pp . .372 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
LA CORRENTE RADICALE DEL CINISMO
229
Sofìsta che sia », che possa osare affermare che questa spontanea deliberazione dipenda dalla necessità, a motivo dell'evidente contraddizione; e se cosl è, non regge il loro fatalismo. E, con un'impennata di cinica parresia, Enomao conclude: E se osa affermarlo [scil.: che ciò che si sceglie deliberatamente dipenda esso pure dalla necessità], non formuleremo più argomenti contro di lui, ma daremo mano ad un nervo di bue, il meglio teso, come quello che serve a raddrizzare i discoli, e gli spezzeremo i fianchi 6 • 2. Demo n a t te
Esponente della corrente radica-le del cm1smo fu anche Demonatte 7 , contemporaneo di Enomao. Per la verità, Demonatte temperò, in alcuni punti, certi eccessi del cinismo: «non falsava i suoi costumi e le maniere per essere ammirato», ci riferisce Luciano 8 , ossia per '
www.scribd.com/Baruhk
230
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
Studiò anche il pensiero di altri filosofi e non in modo superficiale; cosa, questa, non comune fra i Cinici 10 • Dal cinismo trasse, in primo luogo, il grande amore per la libertà e il « franco parlare », e nella libertà fece consistere la felicità. Ecco alcune significative testimonianze di Luciano: Demonatte [ ... ] spregiò tutti i beni umani, non volle altro mai che essere libero e liberamente parlare [ ... ] 11 • Uno gli dòmandò in che riponeva egli la felicità. Rispose: «Solo l'uomo libero è felice». E quegli: «Ce n'è tanti liberi! ». Ed egli: «Per me è libero chi non teme né spera nulla». E colui: «Ma come ci può essere costui, se tutti siamo servi di queste due passioni? ». Ed egli: «Se consideri le cose umane, troverai che per esse non si deve né sperare né temere, perché passano tutte e le piacevoli e le spiacevoli » 12 •
Anche il suo atteggiamento nei confronti della religione pubblica, dei misteri e delle credenze circa l'anima e le sue sorti nell'aldilà fu in piena sintonia con il radicalismo cinico e, anzi, proprio per questo fu accusato e chiamato in giudizio, sulla base dell'accusa formale di non essere mai stato visto sacrificare agli Dei e di non essere mai stato iniziato ai misteri eleusini. (Dall'accusa egli si difese brillantemente, sostenendo, in primo luogo, che gli Dei non hanno bisogno dei sacrifici degli uomini, e, per quanto concerne i misteri, sostenendo che egli non avrebbe in alcun caso potuto rispeuarli e non parlarne ai non iniziati: infatti se gli fossero sembrati cattivi, lo avrebbe rivelato per distogliere i non iniziati da cose cattive, e se gli si fossero rivelati buoni ne avrebbe parlato a tutti per amore dell'umanità) 13 •
10 11
12 1'
Cfr. Luciano, Vita di Demonatte, 4. Luciano, Vita di Demonatte, 3. Luciano, Vita di Demonatte, 19 sg. Cfr. Luciano, Vita di Demonatte, 11.
www.scribd.com/Baruhk
LA CORRENTE RADICALE DEL CINISMO
231
Circa le sue opinioni intorno all'immortalità dell'anima e alle sue sorti ecco quanto Luciano riferisce: Uno gli domandava se l'anima è immortale. «È immortale come ogni altra cosa » egli rispose 14 • Gli domandò alcuno: «Che cosa credi che ci sia nell'inferno? ». «Attendi che io vi sia - rispose - e di là te ne scriverò» 15 • Anche il culto dell'esercizio e deHa fatica fu da lui ribadito e fu esaltata l'autarchia 16 • Demonatte riprese, inoltre, la componente filantropica del cinismo, che, prima di lui, soprattutto Cratete aveva saputo far valere. Scrive Luciano -a questo riguardo: Non fu mai veduto gridare, contendere, adirarsi, neppure se doveva sgridare qualcuno: riprendeva i vizi, ma perdonava ai viziosi, e diceva doversi imitare i medici che curano le malattie, e non si sdegnano con gli ammalati. Credeva appunto che errare è degli uomini: ma sollevare chi è caduto nell'errore è di un Dio, o di un uomo simile ad un Dio 17 • E ancora: Cercava di rappacificare i fratelli discordi, di mettere pace tra le mogli ed i mariti, e talvolta nelle dissensioni del popolo parlò opportunamente, e persuase la moltitudine a fare il bene della patria. Di questa natura era la sua filosofia, dolce, amabile, allegra. Solamente lo addolorava la malattia o la morte di un amico perché stimava l'amicizia il maggior bene degli uomini: e perciò egli era l'amico di tutti, e teneva per prossimo chiunque era uomo 18 • E infine: Visse intorno ai cent'anni senza malori, senza dolori, non importunando alcuno, né chiedendo nulla, utile agli amici, senza aver ,. Luciano, Vita 15 Luciano, Vita •• Cfr. Ludano, 17 Luciano, Vita 11 Luciano, Vita
di Demonatte, 32. di Demonatte, 43. Vita di Demonatte, 3. di Demonatte, 7. di Demonatte, 9 sg.
www.scribd.com/Baruhk
232
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
mai un nemico. Tanto amore avevano per lui gli Ateniesi e tutti i Greci, che quando egli passava, i magistrati si alzavano in piedi, e tutti si tacevano. Essendo assai innanzi negli anni spesso gli avveniva d'entrare a caso in un'abitazione, e ivi mangiava e dormiva, e la gente di quella casa credeva che fosse comparso un dio, e che fosse entrato un buon genio in casa loro 19 •
3. Peregrino Proteo Di Peregrino (detto Proteo per suo stesso desiderio) z siamo informati con ampiezza, cosl come di Demonatte, solo da Luciano, ma con una narrazione di segno opposto 21 • Luciano tesse di Demonatte un vero panegirico con l'espresso intento di additarlo come esempio, mentre contro Peregrino scrive un libello, con l'espresso intento di esporlo al pubblico ludibrio. Quanto Luciano ecceda nell'idealizzare il primo e nel vilipendere il secondo è difficile dire. È certo che quel poco che Gellio ci riferisce di Peregrino (da lui ascoltato ad Atene) sembra di ben altro tenore 22 • Peregrino presenta la più impensabile fusione di religiosità, o meglio di misticismo, e di radicalismo anarchico tipicamente cinico, unito ad una buona dose di spirito di avventura. Caduto in sospetto di parricidio, dovette lasciare la città natale e si recò in Palestina. (Luciano dice che Peregrino aveva str-angolato il padre « non volendo farlo andare oltre i sessant'anni » e che H suo allontanamento da11a patria fu un'autocondanna all'esilio). In Palestina egli si legò ai Cri-
19 Luciano, Vita di Demonatte, 63. "" Peregrino nacque a Pario nella Propontide, probabilmente all'inizio del n secolo d. C. e morl nel 165 d. C. (o nel 167, secondo il calcolo del Nissen, in « Rheinisches Museum », 43 [1888], pp. 253 sgg.). 21 Personalmente non riteniamo che ci siano motivi sufficienti per negare a Luciano la paternità della Vita di Demonatte (dr. sopra, nota 7) e quindi siamo propensi a considerarla autentica. 22 Cfr. Gellio, Noct. Att., xu, 11, 1-7.
www.scribd.com/Baruhk
LA CORRENTE ,RADICALE DEL CINISMO
233
stiani, di cui sembrò condividere le dottrine, e anzi scrisse « molti libri » su queste dottrine 23 • Per essere stato uno dei personaggi più in vista dei Cristiani (o comunque considerato tale) fu gettato in carcere, la qual cosa gli procurò grande fama e autorità presso i Cristiani. Luciano non crede assolutamente che Peregrino aderisse in buona fede alla religione cristiana e scrive testualmente: Cosi Peregrino, sotto il pretesto del carcere, ebbe da loro molte ricchezze, e si fece non piccola provvisione per l'avvenire. Poiché credono questi sciagurati [scii.: i Cristiani] che essi saranno immortali e vivranno nell'eternità; e perciò sprezzano la morte, evolentieri le vanno incontro. E poi il loro primo legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro: e come si sono convertiti, rinnegano gli Dei dei Greci, adorano quel sapiente crocifisso, e vivono secondo le sue leggi. Per la qual cosa disprezzano tutti i beni ugualmente, e li credono comuni, e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, tosto diventerebbe ricco, canzonando questa gente credula e sciocca 24• Liberato dal proconsole, Peregrino tornò in patria, dove, dice sempre Luciano, per evitare un processo, essendo ancora vivi gli sdegni per la morte del padre a lui imputata, lasciò al popolo le sostanze rimastegli. E, poiché si presentò alla adunanza col tipico acconciamento cinico (lunga chioma, mantello sbrindellato, bisaccia sulle spalle e bastone in mano), il popolo lo salutò come vero filosofo seguace di Diogene e di Cratete 25 • Egli tornò allora a vagare, ricevendo ancora l'appoggio dei Cristiani, che, però, dopo qualche tempo, lo abbandonarono (Luciano vuoi fare credere che la causa della rottura sia stata l'aver mangiato «qualche cibo vietato », ma dal
23 Cfr. Luciano, Della morte di Peregrino, 11. "' Luciano, Della morte di Peregrino, 13. "' Cfr. Luciano, Della morte di Peregrino, 15.
www.scribd.com/Baruhk
234
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
modo in cui lo dice dimostra di essere proprio lui il primo a non crederci) 26 • Dopo aver cercato invano di riavere le sostanze lasciate al popolo, Peregrino si recò in Egitto, presso il Cinico Agatobulo, per addottorarsi, dice Luciano con sfrenata ironia, nella dottrina che insegna a masturbarsi in pubblico sostenendo che è «cosa indifferente» (è questa, si ricordi, una tipica manifestazione dell'anaideia cinica) 27 • Fu quindi in Italia, donde fu cacciato, dice Luciano, perché si sbracciò a dire male di tutti, approfittando astutamente dell'indulgenza dell'imperatore; i suoi seguaci dissero, invece, che fu cacciato per il suo parlare franco e ardito, proprio dei Cinici 28 • Tornato in Grecia, dice sempre Luciano, continuò ad esercitare la sua mala1ingua, fino a che, venuto in dispregio a tutti, decise di darsi la morte volontaria sul rogo in occasione dei giochi olimpici, desideroso di far parlare di sé a tutti i cost[ e di guadagnarsi fama presso i posteri. Peregrino e i suoi seguaci addussero, naturalmente, ben altre motivazioni: la morte sul rogo doveva servire al bene degli uomini, cioè per insegnare loro a disprezzare la morte e a sopportare i tormenti 29 • Per la verità, sappiamo che il modello che Peregrino intendeva imitare era, oltre quello di Ercole, quello dei saggi indiani, nel cui modo di pensare e di vivere già il Cinico Onesicrito (che aveva partecipato alla spedizione di Alessandro in Oriente) aveva ravvisato strette analogie con queLlo dei Cinici 30 • Riferisce sempre Luciano, il quale poté assistere di per"' Cfr. Luciano, Della morte di Peregrino, 16. 71 Cfr. Luciano, Della morte di Peregrino, 17. (Agatobulo fu anche maestro di Demonatte [dr. Luciano, Vita di Demonatte, 3; dr. sopra, nota 7]). "' Cfr. Luciano, Della morte di Peregrino, 18. 29 Cfr. Luciano, Della morte di Peregrino, 23 sgg. 30 Cfr. vol. m, p. 46.
www.scribd.com/Baruhk
LA CORRENTE RADICALE DEL CINISMO
23.5
sona al rogo, che queste furono le precise parole di Peregrino: [ ... ] Egli diceva che ad una vita d'oro voleva mettere una corona d'oro: esser vissuto come Ercole, voler morire come Ercole, e « vanire nell'aere ». «Voglio» diceva «fare un gra11 bene agli uomini, mostrando loro come si deve sprezzare la morte [ ... ] » 31 •
In conclusione, Peregrino Proteo fu cert~mente qualcosa di più di quell'avventuriero, sia pure di alta classe, che ci dipinge Luciano. Lo provano i numerosi seguaci che egli ebbe, sia, in un primo momento, fra i Cristiani, sia, successivamente, quando abbracciò iJ cinismo, fra i Pagani, e ~a testimonianza di Gellio lo riconferma in modo netto 32 • Gellio dice espressamente di avere visto e conosciuto di persona Peregrino « virum gravem et const~ntem », allorché soggiornò ad Atene, di averlo trovato « in quodam tugurio extra urbem », di avergli fatto molte visite e di averlo udito parlare intorno a molte cose « utiliter et honeste » 33 • Purtroppo Gellio riferisce un solo punto della dottrina di Proteo, ma degno di considerazione, e cioè che il· saggio non deve peccare, nemmeno se il suo peccato potesse restare a tutti sconosciuto, sia agli Dei sia agli uomini, giacché non bisogn~ astenersi dal commettere colpe per timore di punizioni o di infamia, ma per amore del bene in quanto tale 34 • Peregrino Proteo rappresenta, come già abbiamo accennato, un momento di incontro del cinismo, oltre che con la componente orientale, con il misticismo che andava vieppiì1 diffondendosi non solamente fra i Cristiani, ma anche fra i Pagani e che costituisce una delle cifre dell'età imperiale.
"' Luciano, Della morte di Peregrino, 33. 32 Cfr. Gellio, Noct. Att., XII, 11. 33 Cfr. Gellio, Noct. Att., XII, 11, l. "' Cfr. Gellio, Noct. Att., XII, 11, 2 sg.
www.scribd.com/Baruhk
IV. IL CINISMO IMPERIALE COME FENOMENO DI MASSA E LE SUE INTERIORI CONTRADDIZIONI
Figure di Cinici di rilievo posteriormente al n secolo d. C. non ci sono note. Conosciamo alcuni nomi di Cinici appartenenti al IV secolo d. C. attraverso gli scritti dell'imperatore Giuliano, ma sono, per noi, nomi senza volto 1• Qualcosa di più sappiamo del cinico Massimo, vissuto pure nel IV secolo, il quale mescolò il cinismo con il cristianesimo 2 • Abbiamo, infine, notizie del cinico Sallustio, che visse fino agli inizi del VI secolo d. C., che sembra aver riproposto l'ascetismo degli antichi Cinici e sembra anche essersi rifatto, per alcuni aspetti, a Dione Crisostomo 3 • Ma la fortuna del cinismo dell'età imperiale non è dovuta, come abbiamo già sopra rilevato, né a originali rielaborazioni dottrinali da parte di pensatori di spicco, né ad innovazioni letterarie del kynik6s tropos, bensl ad una fortissima attrazione esercitata dalla « vita cinica », dal kynik6s bios. E la pratica della « vita cinica »,,in età imperiale, divenne un vero e proprio fenomeno di massa, che interessò largamente i ceti
' Cfr. Zeller, Die Philosophie der Griechen, III, l, p. 803, nota 2. È difficile ricostruire i tratti della figura di Massimo e il significato del connubio fra cinismo e cristianesimo da lui operato, dato che siamo informati su di lui da fonti ostili (soprattutto siamo informati da Gregorio Nazianzeno, Orat., XXIII). Su di lui si veda Dudley, History of Cynicism, pp. 203-206. 3 Cfr. Damascio, Vit. Isid., frr. 138-139; 144-154; 159 Zintzen. Su Sallustio si veda Dudley, History of Cynicism, pp. 207 sg. 2
www.scribd.com/Baruhk
IL CINISMO DI MASSA
237
sociali più poveri, che nel kynik6s bios credettero di trovare un mezzo per evadere dalle loro infelici condi2lioni, un mezzo di liberazione. Si può sicuramente affermare che nessuna filosofia dell'antichità ebbe una diffusione fra le cLassi popolari neppure lontanamente paragonabile a quella cinica, e, in questo senso, la definizione del cinismo come « filosofia del proletariato greco » 4 ha una sua precisa giustificazione; è però certo che questa popolarità nacque e soprattutto crebbe ampiamente sotto il segno dell'ambiguità. Risulta infatti, dalle nostre fonti, che molti (anzi addirittura la stragrande maggioranza degli adepti) scambiavano lo spirito della « vita cinica » con le sue manifestazioni esteriori, e ritenevano che bastasse indossare la « dh.nisa cinica » (il mantello, ta bisaccia e il bastone) e andar girovagando di paese inpaese come veri e propri mendicanti, ripetendo poche rozze e ritrite formule di Diogene, per essere degli autentici Cinici. Era quindi inevitabile che su questa vera folla di Cinici cadesse un pesante discredito. La più efficace descrizione di questo fenomeno del cinismo di massa ci è offerta da Luciano ne I fuggitivi, in cui la Filosofia viene rappresentata nell'atto di lamentarsi con Zeus per le sventure toccatele appunto ad opera di questi sedicenti filosofi Cinici. Ecco il passo più significativo:
Giove- Non mi dici ancora, o Filosofia, quali offese hai avute, ma ti sdegni solamente. La Filosofia - Odi, o Giove, quali sono. Una razza di ribaldi, per lo più di servi e di mercenari, non vissuti con me da fanciulli per altre loro occupazioni; perché o servivano, e lavoravano a merçede, o esercitavano altre arti che questi tali sogliano, come quella del ciabattino, o del fabbro, o di purgare, o di scardassare le lane per renderle più maneggevoli alle donne e più facili a filare e stenderle sottili, quando tirano la trama sul filatoio, o filano il liccio: • L'espressione è di K. W. Gott1ing, ripresa e resa famosa da Th. Gomperz, nei suoi Pensatori Greci, vol. Il, p. 572 dell'edizione italiana.
www.scribd.com/Baruhk
238
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
applicati adunque a queste cose fin da fanciulli, neppure il nome mio conoscevano. Ma poi che si fecero uomini, e videro il rispetto che tutto il mondo ha per gli amici miei, e come la gente li lascia parlare con franchezza, e si compiace di essere regolata da loro, e ai loro consigli obbedisce, e se è sgridata si sottomette, pensarono che questo era un comandare veramente da re. Imparare quanto conviene per avere tanta autorità, era cosa per loro troppo lunga, anzi impossibile: le arti scarse, e con fatica ed appena potevano dare il necessario; ad alcuni ancora la servitù pareva grave, e, com'è veramente, insopportabile. Pensando adunque e ripensando si risolvettero di gettar l'ultima ancora, chiamata sacra dai marinai; ed afferratala sulla bella poltroneria, aiutandosi di più con l'audacia, l'ignoranza e l'impudenza, che hanno a bizzeffe, ed essendosi studiate certe nuove ingiurie per averle sempre pronte sulla bocca, con queste sole provvisioni (e pensa, provvisioni per la filosofia!) pigliano abito ed aspetto grave, e simile al mio, appunto come Esopo dice aver fatto l'asino di Cuma, il quale copertosi della pelle di un leone, bravamente si credette divenuto anch'egli leone: e ci furono certi gonzi che gli credettero. È cosa molto facile, come sai, ed agevole imitare noi altri, esternamente dico; e non ci vuol molto a mettersi un mantello indosso, appendersi una bisaccia sulla spalla, tenere una mazza in mano, e gridare, anzi ragliare e latrare, e ingiuriare tutti. Il rispetto che si porta all'abito dà a loro la sicurezza di non patir nulla per questo: e la libertà è bella ed assicurata, a dispetto del padrone che se vorrà ripigliarli, sarà picchiato col bastone; il vitto non più scarso, né come per l'innanzi una focaccia magra; il companatico non più salume o aglio, ma tocchi di carni d'ogni specie; vino squisitissimo, e danari quanti ne vogliono. Vanno appunto riscotendo un tributo, o come essi dicono, tosano le pecore; e molti dànno o per rispetto all'abito, o per non udirsi dir male. E forse essi hanno capito ancora un'altra cosa, che essi sono confusi in un fascio coi veri filosofi; e che nessuno può giudicare e discernere quel di dentro, se quel di fuori è simile. Non ammettono discussione affatto, se taluno domanda cosl pulitamente e breve; ma subito gridano, e ricorrono alle villanie, che è il loro forte, e mettono mano al bastone. Se cerchi i fatti, trovi parole assai: se li vuoi giudicar dalle parole, ti dicono di guardare la loro vita. Sicché tutta la città è piena di tali furfanti, specialmente di quelli che si dicono seguaci di Diogene, di Antistene e di Cratete, sotto l'insegna del cane; i quali non ritraggono le buone qualità del cane, la vigilanza, la guardia della casa, la fedeltà al padrone, la memoria, ma si affaticano d'imitare il latrato, la ghiottoneria, la rapacità, la lasci-
www.scribd.com/Baruhk
IL CINISMO DI MASSA
239
via continua, e l'adulazione, e il dimenar la coda quand'uno dà, e lo star presso alle mense. Or vedrai presto che avverrà. Che tutti gli altri lasceranno le botteghe e abbandoneranno le arti quando vedranno che essi faticano e si stancano da mattina a sera curvi sul lavoro ed appena ne cavano per campare; e costoro oziosi ed impostori sguazzano fra tutti i beni, chiedono come fosse roba loro, ricevono prontamente, si sdegnano se non hanno, e neppure ringraziano quando hanno. Questo pare ad essi un pezzo di vita del secol d'oro, e che veramente il miele piova in bocca dal cielo. E pure sarebbe minor male, se questa razza non facesse a noi nessun'altra ingiuria. Questi figuri sl gravi e severi di fuori e in pubblico, se trovano leggiadro garzone o bella donna, e ne sperano, oh, non si può dire le cose che fanno. Alcuni ancora dopo di aver disonorate le mogli dei loro ospiti, le menano via, come il giovanetto troiano, ma bada, per renderle filosofesse; e poi le accomunano fra tutti i compagni, credendo di mettere in pratica una dottrina di Platone, senza intendere in qual senso quel divino uomo voleva comuni le donne. Le sporcizie poi che fanno nei conviti, e le ubriacature che vi pigliano ci vorrebbe troppo a dire. E mentre fanno queste cose, che ti credi? condannano l'ubriachezza, l'adulterio, la lascivia, l'avarizia! Non ci è cosa tanto contraria a cosa, quanto le parole loro ai fatti. Cosl dicono di aborrire l'adulazione, e in fatto di adulazione passano a piè pari Gnatone e Strutia; raccomandano agli altri di dire la verità, ed essi non potrebbero muovere la lingua senza dire una bugia: il piacere è nemico a tutti a parole, ed Epicuro è il grande avversario, ma nel fatto non cercano altro che il piacere. Stizzosi, pettegoli, collerici più dei fanciulli, fanno veramente ridere a vederli per una cagionuzza andare in bestia, diventar lividi in volto, guardar fieramente intorno, con la bocca piena di spuma anzi di veleno. E fatti in là, quando n'esce quella feccia di parole: Né oro né argento, per Ercole, io mi curo di avere; un obolo mi basta, per comperar lupini; una fontana o un ruscello mi darà da bere. E dopo un poco chiedono non oboli, né poche dramme, ma ricchezze intere. Qual mercante arricchisce tanto col suo traffico, quanto costoro guadagnano con la filosofia? E dopo che hanno raccolto a sufficienza e sono ingrassati, gettato via il povero mantello, comperano campi talvolta, e vesti fine, e garzoni chiomati, e fabbricati interi, mandando un canchero alla bisaccia di Cratete, al mantello d'Antistene, e alla botte di Diogene. Il volgo che vede questo, già sputa la filosofia, crede che tutti siano d'una risma, e accusano me che do sl bei precetti. Perciò da molto tempo mi è stato impossibile tirare a me qualcheduno, e mi avviene come a Penelope, che
www.scribd.com/Baruhk
240
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
quanto io tesso, tutto in un momento è disfatto: e l'Ignoranza e l'Ingiustizia se ne ridono, vedendo che fo un'opera che non si compie mai, ed una fatica inutile 5 •
Luciano sa benissimo, malgrado la sua costante polemica, che il cinismo autentico è tutt'·altoo cosa rispetto a questo fenomeno di vera e propria degenerazione: la sua esaltazione del cinico Demonatte, che egli addita, come già abbiamo avuto occasione di accennare, come vero modello da imitare, è la prova più eloquente di quanto diciamo 6 • Ma già prima di Luciano, Seneca 7 , Musonio 8 e soprattutto Epitteto 9 distinguevano drasticamente il cinismo autentico dalle sue degenerazioni. Anzi, Epitteto, nel momento stesso in cui si ribellava contro le parodie del kynik6s bios cui assisteva, procedeva ad una vera e propria idealizzazione dei tratti di quello che, per lui, doveva essere il «vero » cinismo, rendendo così ancora più strident,i le contraddizioni in cui si dibatteva il cinismo dell'epoca. Ecco ciò che Epitteto prescriveva a chi aspirava ad essere un vero Cinico: In primo luogo, per ciò che ti riguarda direttamente, non devi mostrarti più qual sei adesso in nessuna delle tue azioni, né biasimare Dio o uomo: devi sopprimere del tutto i desideri e trasferire l'avversione ai soli oggetti che rientrano nell'ambito della scelta morale: non devi aver collera, non ira, non invidia, non compassione [ ... ] 10 • • Luciano, I fuggitivi, 12-21. • Cfr., sopra, p. 232, nota 21. 7 Cfr. Seneca, Epist., 51; 14, 14. • Alla fine della Diatriba XVI di Musonio si legge: « Facendo questo [scil.: esercitando rettamente la ragione], con ciò stesso filosoferai e non dovrai affatto avvolgerti nel mantello né vivere senza tunica né farti crescere i capelli né allontanarti dal comune agire dei più: anche questo s'addice ai filosofi, ma non consiste in questo il filosofare bensì nell'avere pensieri convenienti e nel ragionard sopra ». ' Cfr. Epitteto, Diatribe, m, 22, passim. 10 Epitteto, Diatribe, III, 22, 13.
www.scribd.com/Baruhk
IL CINISMO DI MASSA
241
Ancor più significativa è quest'altra pagina in cui Epitteto cont11apponeva il « vero » Cinico (che per lui era il Cinico dei tempi passati, il vero seguace di Diogene) ai Cinici dei suoi tempi: E com'è possibile che viva sereno chi non possiede niente, chi è nudo, senza casa, senza focolare, sordido, senza schiavi, senza città? Ecco, v'ha mandato Dio uno che, a fatti, ve ne dimostri la possibilità. «Guardatemi: sono senza casa, senza città, senza beni, senza schiavi: il mio giaciglio è la terra: non ho moglie, non figli, non una casetta, ma la terra soltanto e il cielo e un unico mantelletto. Eppure, che mi manca? Non sono senza dolori, non sono senza timori, non sono libero? Quando uno di voi m'ha visto fallire nei miei desideri, quando cadere nelle mie avversioni? Quando ho biasimato Dio o uomo, quando ho rimproverato qualcuno? Forse uno di voi m'ha visto accigliato? Come tratto quelli che vi mettono paura o meraviglia? Non come schiavi? Chi, vedendomi, non ritiene di vedere il suo re e il suo padrone? ». Ecco le parole degne d'un cinico, eccone il carattere, eccone il proposito. Invece no voi dite: quel che fa il cinico è una povera bisaccia) la mazza) le mascelle smisurate) e ingozzare tutto quanto gli danno o metter/o in serbo) o offendere inopportunamente chiunque incontri) oppure mostrare bella la spalla. A una tale impresa vedi con quale spirito bisogna metter mano? Prendi prima lo specchio, guarda le tue spalle, renditi conto dei fianchi e delle gambe. Ai giochi d'Olimpia vuoi iscrivere il tuo nome, uomo, e non a una gara qualunque fredda e misera. Non è permesso a Olimpia essere vinti soltanto e andarsene: in primo luogo ci si deve esporre all'infamia dinanzi a tutto il mondo, non solo dinanzi agli Ateniesi o ai Lacedemoni o ai Nicopolitani; in secondo luogo, deve essere coperto di percosse chi scende sconsideratamente nell'agone e prima delle percosse deve soffrire la sete, dev'essere arso dal bruciore e mandar giù tanta sabbia. Prendi con molta avvedutezza una decisione, conosci te stesso, interroga la divinità, non accingerti all'opera senza il Dio. Perché, se egli t'incoraggia, la sua volontà, sappilo bene, è che tu diventi grande o che riceva molte percosse. Infatti, anche questo è uno splendido elemento legato alla vocazione del cinico: bisogna che sia percosso al pari di un asino e che, mentre viene percosso, ami quanti lo percuotono, come padre di tutti, come fratello 11 • 1
" Epitteto, Diatribe, m, 22, 45-54.
www.scribd.com/Baruhk
242
ULTIME VICENDE DEL CINISMO
La situazione non doveva essere molto diversa nel IV secolo d. C. Negli scritti dell'imperatore Giuliano noi ritrov:iamo, infatti, quello stesso intrecciarsi di opposti sentimenti nei confronti del cinismo antico, da un lato, e nei confronti dei sedicenti Cinici contemporanei, dall'altro, che abbiamo rilevato in Epitteto 12 • Per Giuliano la filosofia cinica, quella dei fondatori (ossia quella di Diogene e di Cratete ), è la filosofia più « universale e naturale » 13, perché non richiede studio né conoscenze particolari, e si basa su due principi elementarissimi: a) «conosci te stesso», b) «disprezza le vane opinioni e segui la verità » 14 • Nei Cinici suoi contemporanei Giuliano non vede l'incarnazione di questi principi, ma riscontra piuttosto l'avvilimento della filosofia e la presunzione che la divisa cinica, l'ignoranza, l'audacia e l'impudenza, o, come anche dice, il coprire gli Dei di improperi e l'abbaiare contro gli uomini, siano « la via più corta » per raggiungere la virtù 15 • Giuliano giunge addirittura a paragonare i Cinici del suo tempo ai Cristiani che rinunziavano al mondo 16 • Il paragone, naturalmente, nelle intenzioni di Giuliano, vorrebbe esprimere il massimo del disprezzo (per lui, apostata, i Cristiani sono « Galilei sacrileghi » ). Invece esso esprime una profonda verità (del resto anche in tempi moderni ha avuto molta fortuna la definizione dei Cinici come i « cappuccini dell'antichità » ). In effetti, ciò che molti dei Cinici dell'età imperiale indubbiamente cercav~no nel kynik6s bios era quello che, prima, gli anacoreti in Oriente e, poi, i monaci in Occidente si proposero di realizzare in ambito cristiano. E a questi appunto doveva appartenere il futuro. 12 Cfr. Giuliano, Contro il Cinico Eraclio e Contro i Cinici ignoranti. " Giuliano, Contro i Cinici ignoranti, 187 d. •• Cfr. Giuliano, Contro il Cinico Eraclio, 211 a sgg. " Cfr. Giuliano, Contro i Cinici ignoranti, 201 a sgg.; Contro il Cinico Eraclio, 226c sgg. 16 Il termine che Giuliano usa è clTtoTa:XTLXo(, che significa: qui saeculo renuntiaverunt; cfr. Contro il Cinico Eraclio, 244b.
www.scribd.com/Baruhk
PARTE SECONDA
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA FIWNE DI ALESSANDRIA, LA RINASCITA DEL PLATONISMO E DEL PITAGORISMO, GLI SCRITTI ERMETICI E GLI ORACOLI CALDAICI
t T( 8-i) iaTL T~ !lv; t t AòT~t; 8è oòxéTL «JXl')!LetTLa&ijao!LetL oò8' ciyvoeiv cpi)a6l T~ !lvo(Let TOU cia6l(LcXTou· xetl yà:p xLv8uveÒEL wv ~8'1') ~81ov t!vetL e!m:iv (LiiÀÀov i) !LÌJ dm:iv. Ketl 8ijTet Àéy6l T~ !lvoJLet etÒTijl e!vetL TOUTO T~ 7tcXÀOtL ~l')TOÒ(LE:VOV t.
«Che cos'è l'essere?». «Io non fingerò più e non dirò di ignorare il nome dell'incorporeo: a questo punto, infatti, è più piacevole nominar/o, piuttosto che tacer/o. E dico subito che il suo nome è quello che si è cercato già da molto tempo». Numenio, frr. 3 e 6 (des Places)
www.scribd.com/Baruhk
www.scribd.com/Baruhk
SEZIONE PRIMA
FILONE DI ALESSANDRIA E LA « FILOSOFIA MOSAICA ,.
c 6 8' cin"oyvoùc; iotuTÒv yLVwcnccl TÒv IIVTot t. « Chi dispera in se medesimo conosce Colui che è».
Filone, De somn.,
c JL6vov o\Sv ciljltu8~c; xotl &cbv n"(aTit; t.
~i~otlov
1,
60
ciyot&òv 'ij n"pbc;
« Il solo bene verace e saldo è ~a fede in Dio ».
Filone, De Abr., 268
www.scribd.com/Baruhk
www.scribd.com/Baruhk
I. LA GENESI, LE COMPONENTI E I PltOBLEMI DI FONDO DELLA
FILOSOFIA DI FILONE DI ALESSANDRIA
l. La genesi del pensiero filoniano e il suo ruolo nella storia della filosofia antica
Filone costituisce senza dubbio un personaggio che con linguaggio di oggi potremmo definire « di rottura » 1• Egli si ' Filone nacque ad Alessandria, probabilmente fra il 15 e il 10 a.C. La sua fu una delle più ricche ed influenti famiglie ebree che si erano stanziate ad Alessandria. Egli poté quindi ricevere una istruzione al più alto livello possibile a quei tempi. Si impossessò perfettamente della cultura greca (e, in particolar modo, delle categorie spirituali dell'ellenismo), e, ad un tempo, del patrimonio spirituale e culturale del suo popolo, come avremo modo di dire con maggior ampiezza. Della sua vita sappiamo pochissimo. Fondamentalmente egli dovette condurre un tipo di esistenza dedicata pressoché interamente alla meditazione, agli studi e alla composizione dei suoi .Libl'i. Non dovette, tuttavia, sottrarsi ad alcuni impegni politici, che, probabilmente, intese come doveri verso il suo popolo. L'episodio più noto è il suo viaggio a Roma come capo di una ambasceria per protestare contro le persecu21ioni di cui erano vittime gli Ebrei. Al ritorno, nel 41 d.C., Filone scrisse una ampia relazione sull'ambasceria, da cui risulta che, a quell'epoca, egli era nella sua piena maturità.· F.ilone scrisse numerose opere, quasi tutte pervenuteci. Fra esse spiccano soprattutto quelle che costituiscono il grande commentario allegorico al Genesi. Ecco i titoli latini di queste opere, con cui esse sono usualmente citate: De opificio mundi; Legum allegoriae; De Cherubim; De sacrificiis Abelis et Caini; Quod deterius potiori insidiari soleat; De posteritate Caini; De gigantibus; Quod Deus sit immutabilis; De agricultura; De plantatione; De ebrietate; De sobrietate; De confusione linguarum; De migratione Abrahami; Quis rerum divinarum heres sit; De congressu eruditionis gratia; De fuga et inventione; De mutatione nominum; De somniis. Di notevole interesse sono anche i cosiddetti scritti di esposizione della legge mosaica: De Abrahamo; De Iosepho; De Decalogo; De specialibus legibus; De virtutibus; De praemiis et poenis; De vita Mosis. Un gruppo a parte è costituito dagli scritti di esegesi e catechesi biblica: Quaestiones et solutiones in Genesim; Quaestiones et solutiones in Exodum. Gli scritti di filosofia pura
www.scribd.com/Baruhk
248
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
trovò a cavaliere di due epoche e di due culture; non fu esente da una serie di contraddizioni (peraltro indebitamente amplificate da molti studiosi), le quali scaturirono soprattutto dal fatto che egli espresse idee nuove per lo più con termini vecchi e dal fatto che le idee nuove che egli volle imporre derivavano da una tradizione e da una mentalità diversissime (e per certi aspetti antitetiche) rispetto alla cultura ellenica, dalla quale egli desunse il suo lessico e i suoi strumenti concettuali. TuttaVIia, al di là di queste contraddizioni, la « rottura » di cui dicevamo è evidente quasi ad ogni pagina della sua cospicua opera. Filone scosse alle radici proprio i capisaldi che per tre secoli avevano sorretto il pensiero delle grandi scuole ellenistiche. Infatti, sull'imperante materiruismo egli fece breccia con il ricupero della dimensione dell'incorporeo, che proclamò e difese in modo assai energico; alla visione immanentistica contrappose una concezione trascendentistica, addirittura più avanzata rispetto a tutte quelle che la Grecia aveva fino allora conosciuto; inoltre, ridimensionò drasticamente la incondizionata fiducia nell'« autarchia» dell'uomo, mostrò la necessità di trascendere la ragione e di agganciarla a Dio e alla divina Rivelazione per poter verasono fra i meno interessanti e poco originali: Quod omnis probus liber sit; De providentia; De aeternitate mundi; De Alexandro; Hypothetica. Legati alla sua attività politica e all'ambiente ebraico sono invece: In Flaccum; Legatio ad Caium; De vita contemplativa. L'edizione critica più recente delle opere filoniane è quella curata da L. Cohn e P. Wendland, Philonis Alexandrini Opera quae supersunt, 6 voli., Berlin 1896-1915, completata con preziosi Indici, a cura di H. Leisegang, nel 1926-1930. Sono importanti le seguenti traduzioni: in lingua tedesca a cura di L. Cohn e l. Heinemann, Breslau 1909 sgg. (Berlin 1962-1964'), in lingua inglese a• cura di F. H. Colson e G. H. Whitaker nella collezione « Loeb Classica! Library », London-Cambridge 19291962, in lingua francese, condotta sotto la direzione di R. Arnaldez, J. Pouilloux e C. Mondésert per le « Éditions du Cerf », Paris 1961 sgg. In italiano sono state approntate le 19 opere del commentario allegorico alla Bibbia sotto la nostra direzione, con la collaborazione di C. Kraus Reggiani, C. Mazzarelli, R. Radice, in 5 voli., a cura del <
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
249
mente risolvere i "'problemi ultimativi; infine, fece irrompere nella visione del mondo e della vita prettamente immanentistica e naturalistica propria dell'eLlenismo una corrente di forte religiosità e di intenso misticismo destinata a mutare la temperie del pensiero filosofico in maniera radicale. Questo cospicuo rinnovamento avvenne ad Alessandria e ad oper·a di un uomo che non era un Greco, bensl un Ebreo educato alla cultura ellenica, ma imbevuto della fede del suo popolo e fermamente convinto dell'ispirazione divina della
Bibbia. Tutte queste circostanze sono essenziali non solo per la comprensione di Filone, 'ma anche di tutto il pensiero greco di cui resta da dire. Alessandria era la città che più di ogni altra si trovava esposta agli influssi dell'Oriente, sia per ragioni geografiche, sia, anche, perché più disponibile ad essi per ragioni spirituali, cultmali e sociali, a motivo della diversità di estra2Jione etnica e quindi di formazione e di mentalità della sua popolazione. Ad Ales~andria ebbero luogo i più notevoli tentativi di sintesi fra lo spirito raziona:listico tipicamente ellenico e le istanze orientali, che erano, invece, di natura squisitamente religiosa e mistica 2 • Orbene, fra le varie correnti della filosofia greca, due erano particolarmente idonee a garanti-re la mediazione fra il razionalismo ellenico e la religiosità ed il misticismo orientale: il pitagorismo e, soprattutto, il platonismo. E proprio queste due filosofie, appunto ad Alessandria, incominciarono a risorgere, cercando di uscire da quel magma eclettico stoicizzante (che si era venuto a formare a partire dal n secolo a.C.), come vedremo, pochi decenni prima di Filone 3 • L'ambiente particolare non sarebbe tuttavia bastato a pro2 Su questo argomento restano fondamentali le osservazioni di E. Vacherot, Histoire critique de l'école d'Alexandrie, 3 voll., Paris 1846-18.51 (ristampa anastatica, Amsterdam 196.5), vol. I, pp. 100.12.5. • Cfr., più avanti, pp. 307-426.
www.scribd.com/Baruhk
250
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
durre quel grandioso tentativo di fusione fra teologia biblica e filosofia ellenica, se non ci fosse stato, come già abbiamo accennato, un uomo come Filone, nutrito di ambedue le culture, profondamente convinto sia dell'eccellenza della prima sia dell'insostituibilità e irrinunciabilità della seconda, e, per giunta, Ebreo fino alle radici, e, insieme, fervido ammiratore dei Greci. Nessun Greco, infatti, avrebbe potuto sentire a quel tempo la necessità di tentare quel tipo di mediazione fra le due concezioni della realtà. E, sopra·ttutto, nessun Greoo avrebbe avuto la possibilità di affrontare quel tirocinio necessario per guadagnare le categorie del pensiero ebmico, e, in ·particolare, per comprendere dall'interno la fede ebraica che ne è alla radice, oltre che, ovviamente, tutte le categorie del pensiero ellenico. Il tentativo di fusione fra teologia ebraica e filosofia greca operato da Filone, pur con tutte le sue incertezze e le sue numerose aporie, costituisce un avvenimento di portata eccezionale non solo nell'ambito della storia spirituale della grecità e in quella dell'ebraismo, ma ancor più in generale, in quanto inaugura quell'alleanza fra fede biblica e ragion filosofica ellenica, che era destinata ad avere così larga fortuna con la diffusione del verbo cristiano, e dalla quale dovevano scaturire le categorie del pensiero dei secoli successivi 4 • Con Filone, insomma, come è stato giustamente rilevato, comincia, in un certo senso, la storia della filosofia cristiana, e dunque « europea ». Anche nell'ambito dello svolgimento della successiva storia della filosofia greca che respinse il verbo cristiano e restò legata alla mentalità pagana, e della quale noi ci occupiamo in modo specifico in questa sede, Filone ebbe un ruolo importante. Tutta una serie di concetti (che fanno capo alla risco• Tutta la nostra esposizione sarà la prova di questa tesi, che costituisce il punto sul quale maggiormente gli interpreti hanno, da qualche tempo, incentrato la loro attenzione.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
2.51
perta dell'immateriale), rimess1 m circolazione da Filone, si ritrovano in quella scuola di Alessandria fondata da Ammonio, dalla quale nacque il neoplatonismo e da cui provenne Plotino. Inoltre, è un dato di fatto inoppugnabile che Numenio, di cui più avanti diremo 5, lesse e ammirò Filone e ne assimilò alcune dottrine di fondo, come molti dei frammenti pervenutici attestano; e Numenio fu uno dei filosofi che esercitò un influsso determinante sul pensiero di Plotino. 2. La componente ellenica
A quale o a quali fra le scuole greche Filone attinse in prevalenza le sue categorie filosofiche per operare la sintesi fra teologia biblica e filosofia? Già sulla base di quanto abbiamo detto sopra la risposta è prevedibile:· il pitagorismo e il platonismo sono cespiti di ispi-razione continua, ma in modo particolare ~l pl.atonismo risulta la fonte privilegiata. In effetti, già gli antichi Padri della Chiesa considerarono Filone un Pitagorico, e soprattutto un Platonico 6 • Alcuni studiosi moderni hanno invece rilevato gli influssi stoici 7 • Questi sono indubbiamente notevoli, ma Filone svuota sistematicamente tutti i concetti stoici della loro carica materialistica ed immanentistica e li rifonda in senso spiritualistico. Sono peraltro rintracciabili altresl chiari influssi del cinismo, soprattutto per quanto concerne la dottrina del piacere come male e, quindi, come fonte di peccato. Lo stesso scetticismo, pur respinto nelle sue conseguenze ultime, è accolto ·in certe sue istanze e sapientemente sfruttato: in particolare, come già abbiamo detto sopra, Filone accoglie i « tropi » di Enesidemo, per concludere, però, che la ragione può uscire dallo scacco, se si aggancia alla fede, e insieme alla fede tenta ' Cfr., più avanti, pp. 410-426. • Cfr. Clemente, Stromata, I, 1.5, 72, 4; II, 19, 100, 3. 7 Si veda, soprattutto, Pohlenz, La Stoa, II, pp. 193-21.5.
www.scribd.com/Baruhk
252
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
l'approccio con l'Assoluto 8 • Di recente sono stati messi in luce anche gli influssi degli scritti essoterici di Aristotele, che, come sappiamo, erano quelli più vicini al pensiero platonico. Sono state, infine, rilevate certe tangenze con il Trattato sul cosmo, scritto attribuito ad Aristotele e che, in ogni caso, contiene gran parte delle dottrine degli essoterici aristotelici 9 • Per complet·are il quadro, bisogna dire che Filone conobbe quasi tutto l'arco della problematica della storia della filosofia greca, dai Presocratici (fra i quali egli ammirò soprattutto Parmenide ed Empedocle « uomini divini ») ai m'
• Si veda sopra, pp. 156 sgg. • Sugli influssi dell'Aristotele essoterico su Filone si veda soprattutto: A. J. Festugière, La Révélation d'Hermès Trismégiste, Paris 1949, vol. 11, pp. 520 sgg. 10 Sulla posizione di Filone nei confronti dei filosofi greci dr. H. A. Wolfson, Philo, Foundations of Religious Philosophy in Judaism, Christianity, and Islam, 2 voli., Harvard University Press, Cambridge-Massachusetts 1947 (più volte ristampato), vol. I, pp. 107-115.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
253
reinseriti nel contesto di una metafisica spiritualistri.ca. Il pitagorismo stesso viene utilizzato solo in una certa misura, sfruttando soprattutto l'interpretazione simbolica dei numeri ai fini dell'esegesi allegorica di certi passi della Sacra Scrittura: in particolare - cosa assai indicativa - non viene accolta l'identificazione delle Idee con i numeri e viene mantenuto l'aspetto eidetico·paradigmatico della dottrina platonica delle Idee in tutta la sua portata. Da Aristotele vengono accolte dottrine in accordo o facilmente accordabili col platonismo. Dunque, sembra corretto parlare senz'altro di un platonismo di Filone. Ma che tipo di p1atonismo è quello riproposto dal. nostro filosofo? Si tratta di una nuova forma di platonismo, riformato in alcuni punti essenziali. Filone riguadagna in pieno il concetto dell'incorporeo, e, cosi, si riaggancia all'autentico spirito del platonismo al di là dei fraintendimenti dell'Accademia eclettica, ma riforma il concetto di Dio ponendolo al di sopr·a delle Idee, riforma la concezione delle Idee facendone produzioni e pensieri di Dio, trasforma in senso creazionistico l'attività demiurgica della divinità, riforma il concetto di legge morale facendone un «comandamento» di Dio, trasforma l'antropologia introducendo alcune novità rivoluzionarie nella concezione ddl'anima, che frantumano non solo gli schemi della psicologia platonica, ma anche quelli di tutta la grecità. Ved·remo che .alcune di queste riforme sono proprie anche di altri Platonici e che esse costituiscono i tratti dirStintivi del cosiddetto medioplatonismo, il qua
Cfr., sopra, p. 251 e nota 5.
www.scribd.com/Baruhk
254
LA RlSCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
3. L a c o m p o. n e n t e ebraica
I testi che costituiscono il punto di partenza e anche il punto di arrivo di Filone non sono quelli dei filosofi, bensl sono le Sacre Scritture, e appunto in queste va ricercato il vero nucleo ispiratore e, quindi, il principio unificatore del suo pensiero 12 • Il testo della Bibbia al quale Filone si rifà non è l'origin-ario in lingua ebraica, ma è la cosiddetta· traduzione greca dei Settanta, iniziata ad Alessandria sotto il regno di Tolomeo Filadelfo (285-246 a.C.), per rispondere alle necesSiità della comunità ebraica formatasi appunto ad Alessandria, e che aveva ormai fatto propria la lingua greca. Alcuni studiosi, anzi, ritengono che Filone stesso non conoscesse l'ebraico, o, per lo meno, che non lo conoscesse in modo perfetto 13 • La traduzione dei Settanta, evidentemente, agevolava enormemente il compito di Filone, nella misura in cui essa costituiva già una prima mediazione fra ebraismo ed ellenismo: i termini e le espressioni greche, con cui furono tradotti i corrispondenti termini e le espressioni ebraiche, comportarono
12 I nUIIlel'09Ì fraintendimenti di Filone sono nati per lo più dal fatto che molti studiosi non hanno preso atto di questo demento fonde.mentale e pregiudiziale ai fini della corrette interpretazione del nostro filosofo. Analizzare gli scritti di Filone con criteri « puramente filosofici ,., ossia puramente NZ'ionalistici, e rilevare in essi solo quanto rientra nei quadri e nella dimensione del pensiero ellenico anteriore o contemporaneo a Filone, significa smembmre un grande mosaico e ridurlo solamente alle sue tessere, distruggendo, in tal modo, proprio il disegno generale che con quelle tessere viene realizzato. " Nessuno degli dementi finora addotti dagli studiosi che dovrebbero provere la conoscenza dell'ebraico da parte di Filone risulta incontrovertibile né decisivo. Le varianti che si riscontrano in alcune citazioni della Bibbia fatte da Filone rispetto alla traduzione dei Settanta quale si presenta a noi oggi, possono ben spiegarsi, come da tempo è stato rilevato, supponendo che quelle varianti fossero oontenute nella redazione da lui utilizzata, ossie che la traduzione dei Settanta che possediamo abbia subito alcuni ritocchi e revisioni.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
255
inevitabilmente una certa carica culturale propria delle matrici greche da cui derivavano. In effetti, ogni traduzione, in particolare se fatta in modo approfondito, è, in qualche modo, una interpretazione, cioè una mediazione. Ma Filone era convinto che, come l'originaria in li~gua ebraica, cosi anche la Bibbia in lingua greca, ossia la stessa traduzione, fosse ispirata da Dio e che, per questo, essa avesse uguale valore. Dio, dice espressamente Filone, ha « ispirato » i traduttori nella scelta delle parole greche con cui essi trasposero quelle originarie, di guisa che, propriamente parlando, essi non furono traduttori, bensl «ierofanti e profeti» 14 • Filone conobbe e meditò 1a Bibbia pressoché per intero, dato che cita passi da almeno diciotto dei libri di cui essa è costituita, ma privilegiò in maniera assoluta il Pentateuco, ossia la «Legge» (Torah in ebraico, Nomos in greco), considerò Mosè, il suo autore, il massimo profeta e ritenne la parola mosaica, in quanto ispirata da Dio, la più alta uscita dalla bocca di un uomo. La parola di Mosè costituì per lui, per logica conseguenza, la verità cui doveva essere commisurata e subordinata la parola di tutti i filosofi. Del resto egli ritenne che alcune delle dottrine fondamentali dei filosofi greci avessero dei precisi antecedenti appunto in Mosè 15 • La qualifica di « filosofia mosaica », con le dovute precisazioni sopra fatte, è quella che meglio sembra caratterizzare la speculazione fìlonian.a 16 • In effetti, le opere di Filone costituiscono, ad eccezione di poche destinate per lo più a fini contingenti, esegesi e soprattutto commentari allegorici del Pentateuco (gli ,. Cfr. Mos., n, 12-40. Filone, qualche volta, sostiene la dipendenza di alcune teorie di filosofi greci dalla sapienza mosaica (cfr., per esempio, Quaest. in Gen., III, 5; IV, 152; Spec., IV, 61); più spesso rileva semplicemente la corrispondenza di idee filosofiche greche con idee bibliche, sottolineando l'anteriorità di queste. Si veda, sul problema, Wolfson, Philo, I, pp. 138-143. 16 Potremmo anche parlare di un platonismo mosaicizzante o di un mosa.ismo platonizzante; ma questa formula lascerebbe fuori le altre componenti della filosofia greca, che pure sono operanti. 15
www.scribd.com/Baruhk
256
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
altri passi di altri libri della Bibbia cui egli si rifà sono sempre utilizzati nel contesto dell'interpretazione del Pentateuco ), che, a suo avviso, contiene tutta quanta la verità su Dio, sull'universo, sull'uomo e sul suo destino.
4. L'allegoresi filoniana e i suoi precedenti greci ed ebraici
Abbiamo parlato di esegesi in generale nonché di «commentari allegorici » che Filone dedica al Pentateuco, ed è opportuno precisare subito non solo che i secondi prevalgono per quantità e qualità, ma che l'allegoresi costituisce la vera e propria cifra spirituale del nostro autore. Il metodo del filosofare filoniano coincide con l'allegoresi, la quale consiste, in particolare, nel rintracciare ed esplicare il significato che sta riposto sotto le figure, gli atti e gli eventi narrati nel Pentateuco 17 • Quale è la genesi, la natura e la portata dell'allegoresi filoniana? Intanto,. è da rilevare che il metodo dell'interpretazione allegorica, all'epoca di Filone, era diffuso sia in ambiente pagano, sia, anche, in alcuni ambienti giudaici. 17 La trama di questa interpremzione allegorica è molto ben riassunta dal Bréhier come segue: « II Genesi nel suo insieme fino all'apparizione di Mosè rappresenta la trasformazione dell'anima dapprima moralmente indifferente, che poi si abbandona al vizio, e che, infine, quando il vizio non è inguaribile, ritorna per gradi fino alla virtù. In questa storia, ogni tappa è rappresentata da un personaggio. Adamo (l'anima neutra) è attirato dalla sensazione (Eva), a sua volta sedotta dal piacere (serpente); per conseguenza, l'anima genera in sé l'orgoglio (Caino) con tutto il seguito di mali; il bene (Abele) viene escluso, e cosl l'anima muore alla vita morale. Ma, quando il male non è incurabile, i germi di bene che sono in essa possono svilupparsi mediante la speranza (Enos) e il pentimento (Enoc), fino a raggiungere la giustizia (Noè) e, poi, malgrado ricadute (il &luvio, Sodoma), fino a raggiungere la santità definitiva» (Les idées philosophiques et religieuses de Philon d'AJexandrie, Paris 1908 [1950'], p. 43). ·
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
257
Nell'ambito della cultura ellenica, i grammatici alessandrini interpretavano Omero ed Esiodo in chiave allegorica, e già nell'ambito dell'antica Stoa la mitologia pagana veniva interpretata come simbolo di verità fisico-teologiche. Tuttavia, per gli Stoici l'interpretazione allegorica costituiva un metodo complementare, ossia accessorio e niente .affatto essenziale al loro procedimento propriamente filosofico 18 • Gli studiosi rilevano, probab1lmente a ragione, come l'idea che la verità si nasconda sotto simboli, e il conseguente emergere in primo piano di un procedimento atto a scoprire il vero nascosto sotto il simbolo, debbano essere sorti nell'ambito dei misteri, e in particolare di quelli orfici, soprattutto nel loro stadio più evoluto, in cui l'iniziazione consisteva ormai non più solamente nella conoscenza dei miti e nella partecipazione alla loro rappresentazione cerimoniale, ma soprattutto nella penetrazione e nella comprensione del loro significato riposto. Verso la fine del II secolo a.C. il grammatico Dionigi di Tracia, all'oracolo delfico che parlava con linguaggio aperto e si esprimeva alla lettera, contrapponeva (e questo è assai significativo) Orfeo, che parlava per simboli, e sottolineava la superiorità del « parlar per simboli » 19 • Un documento, in cui l'interpretazione allegorica è predominante, è costituito dalla cosiddetta Tavola di Cebete, uno pseudepigrafo neopitagorico (di cui diremo più avanti). In questo scritto si interpretano le figure, supposte dipinte da « un seguace di Pitagora e di Parmenide » (su un quadro offerto come dono a Crono), quali simboli della vita etica e dei vari stati morali dell'anima, del bene, del male e di ciò che non è né bene né male. Per giunta, l'interpretazione del quadro è presentata come una sorta di iniziazione, o, per •• Cfr. vol. m, p. 366. Cfr. Clemente, Stromata, v, 8, 45, 4 (=O. Kern, Orpbicorum fragmenta, fr. 227, p. 243). 19
www.scribd.com/Baruhk
258
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
lo meno, come la rivelazione di una esoterica sapienza che l'autore dell'opera sostiene di aver avuto dall'autore stesso del quadro 20 • È probabilmente questo il documento pagano in cui si ritrova il metodo allegorico applicato e svolto nella maniera che maggiormente si avvicina al procedimento fìloniano. Del resto, è Filone stesso che assimila l'interpretazione allegorica della Sacra Scrittura all'iniziazione misterica, e se pure certi interpreti moderni hanno troppo insistito sull'influsso dei misteri ellenistici, spingendosi, in alcuni casi, ad estremi veramente iperbolici, resta come dato di fatto innegabile l'espresso richiamo del nostro autore alla terminologia misterica 21 • Non meno importanti, tuttavia, dovettero essere anche le fonti di ispirazione ebraica. Da tempo gH studiosi hanno additato alcuni paralleli fra Filone, da un lato, e i frammenti pervenutici sotto il nome di Aristobulo 22 , dall'altro, e, ancora, fra Filone e gli autori,
20 Su questo parallelo fra il metodo allegorico della T avola di C ebete e quello filoniano cfr. Bréhier, Les idées ... , pp. 39 sg.; sugli pseudepigrapha neopitagorici cfr., più avanti, pp. 371 sgg. Più tardi offrirà un esempio particolarmente significativo di interpretazione allegorica della mitologia egiziana Plutarco, soprattutto nel Trattato su Iside e Osiride. " Un esempio tipico degli eccessi cui questa tesi è stata spinta è costituito dal libro di E. R. Goodenough, By Light, Light, New Haven 1935. 22 Sul pensiero di Aristobulo e sul suo significato, per la verità, regna grande discordia fr~ gli studiosi. Infatti, alcuni ritengono che i frammenti appartengano effettivamente al giudeo Aristobulo vissuto attorno al 100 a.C. Altni pensano, invece, che i frammenti a lui attribuiti non siano genuini, ma siano falsificaziollli di epoca post-filoniana, e per di più grossolani fraintendimenti dello stesso pensiero filoniano. Gli argomenti di coloro che sostengono la non autenticità dei frammenti non sono tuttavia decisivi, come già molto bene rilevava lo Zeller .(Die Philosophie der Griechen, m, 2, pp. 277 sgg.). In ogni caso, due sono le idee fondamentali che questo «Peripatetico• (cosl lo chiamano le nostre fonti antiche) giudaicizzante sosteneva: l) L'antropomorfismo della Bibbia va letto ·in chiave allegorica e le espressioni come « le mani di Dio » e simili vanno intese nel senso di « le potenze divine •· 2) I Greci sono debitori a Mosè della loro sapienza filosofica. Ma
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
259
rispettivamente, della Lettera di Aristea 23 e della Sapienza di Salomone 24 • Ma circa l'esistenza di esegesi allegoriche della Bibbia negli ambienti giudaici è Filone stesso che ci informa, anche se non con le precise e circostanziate notizie che noi moderni desidereremmo. Egli ci parla, infatti, fra l'altro, di « uomini ispirati » da lui ascoltati, i quali interpretavano la maggior parte delle cose contenute nella Bibbia come « simboli visibili di cose invisibili », « simboli esprimibili di realtà inesprimibili » 25 • Filone attribuisce, inoltre, alla comunità ebraica degli Esseni, che viveva in Palestina, la pratica della meditazione della maggior parte dei passi della Bibbia appunto mediante simboli 26 • Anche della comunità ebraica dei Terapeuti, che era stanziata in Egitto, Filone dice che praticava sistematicamente l'interpreta~ione allegorica, e che assimilava il senso letterale al corpo del vivente, quello allegorico all'anima 27 • Tutte queste componenti dovettero agire, sia pure in diversa maniera e misura, alla formazione dell'allegoresi filoniana. È certo, tuttavia, che nessuno aveva applicato il metodo allegorico con tanta ampiezza e profondità, come fece Filone. E proprio a Filone sarà debitore il pensiero cristiano, la prima idea non è che un anticipo molto frammentario ed esile dell'allegoresi filoniana e la seconda, sostenuta in modo grossolano, in Filone è invece appena accènnata in modo assai cauto. Per un approfondimento del problema rimandiamo il lettore a N. Walter, Der Thoraausleger Aristobulos. Untersuchungen zu seinen Fragmenten und zu pseudepigraphischen Resten der iudisch-hellenistischen Literatur, Berlin 1964. 23 Il falsario che scrisse questa lettera attribuendola ad Aristea pare sia in realtà vissuto attorno al 100 a.C. Le tangenze che il documento presenta con Filone sono molto tenui e piuttosto marginali. " Anche la Sapienza di Salomone sembra essere stata composta dopo il 100 a. C., probabilmente da un Giudeo alessandrino. Ma anche le tangenze fra questo testo e Filone sono poco significative. 25 Cfr. Spec., m, 178 (cfr. anche 1, 8). 26 Cfr. Prob., 75 sgg. 71 Cfr. Contempl., passim.
www.scribd.com/Baruhk
260
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
che, meno di un secolo più tardi, riprenderà, ridimensionandolo, il metodo della lettura allegorica della Bibbia, con esiti nuovi e fecondi. Prima di procedere oltre, restano da rilevare ancora due punti assai importanti per la corretta comprensione dell'allegoresi filoniana. a) Filone ritiene che anche la lettera della Bibbia abbia un senso; infatti, egli respinge, di norma, I'assimilazione del racconto biblico al puro mito. Il senso letterale si colloca, tuttavia, a suo avviso, su un piano decisamente inferiore, restando, per così dire, all'estrinseco del messaggio mosaico, mentre l'interpretazione allegorica si colloca su un piano decisamente superiore, giungendo all'anima stessa di questo messaggio. Ambedue i significati sono da considerarsi divina Rivelazione 28 • b) Filone stesso, come interprete allegorico, si ritiene partecipe di divina ispirazione 29 •
21
Sui testi e sui problemi concernenti l'interpretazione allegorica filo-
niana dr. Wolfson, Philo, I, pp. 115-132, e il bell'articolo di J. Pepin, Remarques sur la théorie de l'exégèse allégorique chez Philon, in AA.VV. Philon d'Alexandrie. Colloques nationaux du Centre National de la Recherche Scientifique, Lyon 11-15 Septembre 1966, Éditions du Centre National de
la Recherche Scientifique, Paris 1967, pp. 131-167. 29 Della propria « divina ispirazione~ nell'esplicare il significato allegorico Filone parla con estrema chiarezza, aà esempio, in Cher., 27.
www.scribd.com/Baruhk
II. FILONE E IL PRELUDIO DI UNA GRANDE SVOLTA DEL PENSIERO OCCIDENTALE
l. La prima formulazione
del problema dei rapporti fra la Rivelazione divina e la filosofia, ossia fra la fede e la ragione Abbiamo sopra accennato alla salda fede di Filone nella Rivelazione, ossia nella divina ispirazione della Scrittura, e addirittura alla fìduoia che egli nutriva nel soccorso divino nel suo stesso attendere all'interpretazione allegorica dei libri di Mosè. Orbene, è evidente che qui ci troviamo di fronte ad una svolta essenziale del pensiero occidentale, in quanto la speculazione fìlosofìca si trova non solo di fronte a problemi nuovi, ma a problemi di tale natura e portata, che, per poter essere risolti, comportavano strutturalmente la messa in crisi del concetto classico della filosofia e l'acquisizione di inedite prospettive. Si trattava, in sostanza, di stabilire quali fossero i rapporti fra la Rivelazione divina e la fìlosofìa, ossia fra la fede, che sola può credere in una superiore divina Rivelazione, e la ragione filosofica, che al logos umano chiede la spiegazione e la giustificazione di tutte le cose. E si trattava, per cons€guenza, di accertare da chi e da che cosa dipendessero le concordanze riscontrabili fra le dottrine contenute nei testi rivelati da un lato e negli scritti frutto della autonoma speculazione fìlosofìca dei Greci dall'altro, e di stabilire a chi toccasse la supremazia: se alla fede nella Rivelazione, ovvero se all'autonoma ricerca della ragione umana. La grande svolta del pensiero occidentale, si badi, sarà visibile in maniera chiarissima (e in particolare nelle sue
www.scribd.com/Baruhk
262
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
molteplici implicanze e conseguenze) soprattutto con il nascere e con lo svilupparsi della Patristica cristiana e poi con la Scolastica medievale (e anche con il parallelo svilupparsi della filosofia araba e di quella ebraica medievale); ma sarebbe un grave errore ritenere che la filosofia pagana, nella sua sopravvivenza di oltre cinque secoli alla nascita del cristiane~ simo, non abbia risentito di questa svolta, o che ne abbia risentito solo in maniera superficiale, come vedremo. Per comprendere la novità di questi problemi e la loro rilevanza è bene ricordare che il pensiero greco dell'età classica cosl come quello dell'età ellenistica non si era mai trovato nella situazione di dovere fare i conti con una « verità rivelata » o con dottrine considerate rivelate, quali erano quelle della Bibbia, con cui Filone si trova per primo a fare i conti, o quelle del Vangelo, con cui si cimenteranno i Padri della Chiesa, o quelle del Corano, con cui si misureranno i pensatori arabi. La religione ellenica non aveva dogmi immodificabili paragonabili a quelli di altre religioni, né una casta sacerdotale che avesse il compito precipuo di custodirli; e, ciò che più conta, le credenze pagane non erano affatto considerate « dottrine rivelate da Dio » nel senso biblico, come già abbiamo detto nel primo volume 1 • Alla dimensione di una divina ispirazione (assimilabile, sia pure in maniera molto approssimativa, ad una sorta di rivelaZJione) fecero appello, come abbiamo avuto modo di vedere, i filosofi che accolsero un certo aspetto del messaggio dei misteri orfici, e in particolar modo Platone. Ma è proprio Platone che ci mostra come la « ispirazione divina » e la « rivelazione divina » abbiano giocato solo un ruolo di stimolo o di spinta subito trasformato in discorso di ragione, o, in ogrui caso, un ruolo di sollecitazione sempre sussunta nel logos, come arricchimento del logos medesimo 2 • ' Cfr. vol. ' Cfr. vol.
I, pp. 25 sg. II, pp. 47 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
263
Il caso di Platone, inoltre, è particolarmente significat·ivo, sia per il fatto che più volte egli ha fatto riferimento alla divina ispirazione e alla divina mania (quella divina mania che sta alla base della grande arte, degli oracoli, della mantica e dell'erotica), sia per il fatto che i pensatori dell'età imperiale, a cominciare dallo stesso Filone, si sono impossessati del linguaggio con cui Platone ha descritto questi stati, ma lo hanno collocato in una temperie spirituale del tutto nuova 3 • Intanto, è da dire che Rllatone, neUa « ispirazione divina », sia pure con diverse sfumature e sia pure talora solo implicitamente, vede per lo più un elemento negativo, consistente nel fatto che essa porta l'individuo « fuori senno », « fuori dalla ragione », sicché, per lui, i1 momento propriamente filosofico, che implica consapevolezza e possesso pieno della ragione, non può non essere superiore. Sempre e solo la dialettica resta, per Platone, il momento culminante, e alla dialettica resta sempre e solo consegnato il vero sapere 4 • In ogni caso, Platone, come tutti gLi antichi Greci, di una « divina rivelaz.ione » come « fatto storico », ossia di un messaggio che presentasse agli uomini la soluzione dei problemi di fondo circa Dio, l'uomo e la sua vita e che si qualificasse quale « parola di Dio », come abbiamo detto, non aveva potuto ,avere esperienza alcuna, ma solo un desiderio ed un anelito, che, in ~,odo paradigmatico, aveva espresso in quella pagina del Pedone, da noi scelta, in maniera emblematica; come epigrafe di questa nostra opera: [ ... ] Infatti, trattandosi di questi problemi [sui destini dell'uomo e sulle sue sorti escatologiche], non è possibile se non fare una di queste due cose: o apprendere da altri quale sia la verità;
' In particolare, è da rilevare che Filone trasporta il linguaggio platonico in un contesto che presuppone un Dio Creatore e Rivelatore, che si occupa del singolo, perfino del malvagio, e, dunque, un tipo di rapporto fra Dio e uomo che per Platone er~ impensabile. ' Cfr. vol. n, pp. 200 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
264
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
oppure scoprirla da se medesimi; ovvero, se ciò è impossibile, accettare, fra i ragionamenti umani, quello migliore e meno facile da confutare, e su quello, come su una zattera, affrontare il rischio della traversata del mare della vita: a meno che non si possa fare il viaggio in modo più sicuro e con minor rischio su più solida nave, ossia affidandosi ad una divina rivelazione 5 •
Il che significa: nel caso che ci fosse una « divina rivelazione », « la parola di un Dio », a dirci quali sono i destini degli uomini, questa dovrebbe avere la supremazia, perché questa, come una nave a prova di tempeste, ci farebbe attraversare il mare della vita e ci condurrebbe aJ porto curi aspiriamo pervenire; altrimenti, non resta che il ragionamento umano (la filosofia), che è però solo come una zattera, la quale può salvare, però con tutti i rischi, dai quali è invece al riparo chi viaggia sulla nave. Ebbene, quello che per Platone poteva essere una mera aspirazione, per Filone è realtà: egli si trova a disporre, per usare l'immagine platonica, sia della « nave » sia della « zattera », ovvero sia di una « divina rivelazione » sia delJa speculazione filosofica, sia della parola che, tramite Mosè, Dio aveva fatto conoscere agli uomini, sia di quella parola di sapienza umana che era nata dal plurisecola.re travaglio intellettuale dei Greci. In quale maniera devono rapportarsi fra loro le due « parole »? A quale delle due spetta la priorità per chi vuole filosofare? _ Filone non solo risponde al problema in modo chiaro e fermo, ma fornisce una soluzione destinata a diventare paradigmatica e a fare epoca: è infatti proprio Filone il pensatore che per primo interpreta i rapporti fra filosofia (ragione e parola umana) e Rivela~ione (parola divina) in termini di « subordinazione ancillare » della prima alla seconda, formulando una dottrina che, attraverso i Padri della Chiesa, pas-
• Platone, Fedone, 85 c-d.
www.scribd.com/Baruhk
PILONE DI
ALESS~RIA
265
serà alla Scolastica e al pensiero occidentale, e che resterà, per' secoli, canonica 6 • La filosofia ellenistica aveva già presentato le scienze e le arti particolari come « ancelle » della filosofia, e questa idea era stata recepita da Filone, il quale l'aveva elaborata e svolta ulteriormente: come le arti e le scienze particolari su cui si fonda la cultura generale sono asservite alla filosofia, cosl, analogamente, la filosofia è asservita alla « sapienza » (aoql(IX). Per « sapienza », come più avanti vedremo, Filone intende soprattutto la rivelazione biblico-mosaica. Ecco il testo più significativo al riguardo: Come le scienze su cui si basa la cultura generale (TIÌ iyxoXÀLtt) contribuiscono all'apprendimento della filosofia ( cpV.oaoq~!o: ), cosl anche la filosofia contribuisce all'acquisizione della sapienza (aocp!IX ). Infatti, la filosofia è .lo sforzo per raggiungere la sapienza, e la sapienza è la scienza delle cose divine e umane e delle cause di queste. Dunque, come la cultura generale è ancella ( 8ooÀlJ) della
filosofia, cosl anche la filosofia è ancella della sapienza ( cpt>.oaocp!IX 8oOÀlJ aoq~!cxç )
7•
Il fondamento della «sapienza» di cui parla Filone si noti bene - è precisamente la .fede, intesa come convinzione salda e incrollabile, e contrapposta all'incertezza degli umani ragionamenti. Nelle Legum allegoriae Filone scrive ad esempio: La cosa migliore è aver fede in Dio e non nei ragionamenti incerti e nelle congetture prive di saldezza: «Abramo, infatti, ebbe fede in Dio e fu considerato giusto» (Genesi, 1.5, 6); e Mosè comanda di rendergli questa testimonianza, ossia « che egli è degno di fiducia in tutta la casa » (Numeri, 12, 7). Infatti, se porremo tutta la nostra fiducia nei nostri propri ragionamenti, noi fonderemo e costruiremo quella città dello spirito che distrugge la verità [ ... ] 8 • • Cfr. Wolfson, Philo, I, pp. 143-163. 7 Congr., 79. 1 Leg. all., III, 228.
www.scribd.com/Baruhk
266
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
E nel De Abrahamo H nostro filosofo afferma perentoriamente:
Il solo bene che non è fallace ed è saldo è la fede in Dio 9 • Quale sia il fondamento di questo improvviso sporgere della fede al di sopra della ragione lo vedremo più avanti 10 ; qui, intanto, oltre a prendere atto della novità dell'asserto, ricordiamo quanto già abbiamo sopra rilevato parlando dello scetticismo: la fede che sporge al di sopra dei ragionamenti, che da soli si autodistruggono, può dischiudere alla ragione stessa, che sia disposta a seguir:la, vie e orizronti nuovi, dei quali i precedenti filosofi non avevano avuto sentore, e che gli Scettici con le loro armi non possono attaccare 11 •
2. V e r so l a rottura d e i quadri e Il e n i s t i ci d e l sapere filosofico: l'emergere in primo piano della teologia e la proclamaz~one del primato d e Ila « s a p i e n z a » (a o cp t or: ) su Il a « s a g g e z z a » (cpp6vl]<JLt;)
Quanto abbiamo fin qui detto è già di per sé un motivo sufficiente a spiegare come la tripartizione della filosofia, che abbiamo visto essere la base di tutti i sistemi dell'età ellenistica, non potesse ormai più fornire i quadri idonei a contenere il pensiero filoniano. Per la verità, il nostro filosofo formalmente accÒglie la tripartizione della filosofia in logica, fisica ed etica 12 , ma vi apporta una correzione che la incrina • Abr., 268. Si ricordi, per poter misurare la portata di questa novità, che Platone (dr. vol. n, p. 98) considerava la pistis ( = fede, credenza) solo come un momento della doxa, ossia dell'opinione o conoscenza del sensibile. E la doxa, per Platone, anche quando non è errata, non è mai vera conoscenza. 11 Cfr., sopra, pp. 188 e 211 sg. 12 Cfr. Agric., 14 sgg. 10
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
267
e che, anzi, finisce per sfaldarla. Filone, infatti, trasporta la teologia dall'ambito della fisica (che diventa pura cosmologia) a quello dell'etica e pone espressamente come momento culminante dell'etica « la conoscenza del Creatore », dalla quale deriva « la santità, la più bella di tutte le acquisiZJioni » 13 • Questo significa, come sotto vedremo, sciogliere la concezione di Dio da quella del cosmo e collegarla a quella dell'uomo, contrariamente a quasi tutta la tradizione greca (solo ,jJ pensiero socratico costituisce una eccezione a questo riguardo, almeno in una certa misura). Ma anche la concezione tipicamente ellenistica della superiorità della phronesis o saggezza sulla sophia o sapienza viene respinta. La « sapienza » è, per Filone, la conoscenza e il culto di Dio, mentre la « saggezza » riguarda la condotta morale, la vita pratica dell'uomo 14 • Ma è chiaro che- essendo la sapienza condizione della saggezza, ed essendo anche, come s'è detto, la teologia (che è sapienza) momento culminante dell'etica - la sapienza finisce per includere la stessa saggezza, o, in ogni caso, per agganciarla strettamente a sé: si potrebbe dire che in Filone la saggezza è il momento pratico della sapienza 15 • Questa « via regia » che è la « sapienza » altrove è detta essere la stessa « parola di Dio », ossia la sua Rivelazione 16 , la Legge mosaica in generale 17 • Questa concezione della sophia, che è insieme salita dell'uomo a Dio e discesa di Dio, tramite Mosè e i profeti, agli uomini, rompe sia gli schemi ellenistici, sia, anche, quel1i classici: essa inaugura un nuovo modo di intendere la filosofia e squassa alle radici le convinzioni della grecità.
•• Cfr. Mutat., 76. •• Cfr. Praem., 81. " Cfr., ad esempio, Deus, 140-145. 16 Cfr. Poster., 102. 17 Cfr. Wolfson, Philo, 1, pp. 147 sgg. e 183 sg.
www.scribd.com/Baruhk
III. LA METAFISICA, LA TEOLOGIA E L'ONTOLOGIA DI FILONE
l. Il s u per a m e n t o d e i p re su p p o s d m a t e ri a listi ci ed immanentistici dei sistemi ellenistici e la riaffermazione dell'incorporeo e della trascendenza
La modifica dei quadri ellenistici del sapere filosofico, come abbiamo detto, doveva dipendere direttamente daMa erosione dei fondamenti su cui esso poggiava. È chiaro, infatti, che Filone toglie la teologia dall'ambito della cosmologia e la collega all'etica, perché ripudia la concezione materialistica e immanentistica di Dio e del divino, sostenuta da tutte le scuole elleniche, in particolar modo dalla Stoa, e, addirittura, ridimensiona radicalmente il senso e la portata della cosmologia medesima. In effetti, da un capo all'altro degli scritti del nostro filosofo, viene riaffermata la realtà dell'incorporeo, proprio in quella valenza e in quella pregnanza antologica e metafisica, che era stata accanitamente e concordemente negata dag1i esponenti non solo del Giardino, della Stoa e degli Scettici, ma dagli stessi degeneri seguaci dell'Accademia e del Peripato. Proprio nell'incorporeo viene da Filone additata la vera causa del corporeo, e, per conseguenza, capovolgendo la prospettiva comune a tutte le scuole ellenistiche, al corporeo viene negata ogni autonomia antologica, ossia ogni capacità di dare ragione di se medesimo. I guadagni metafìsici di Platone sono, cosi, non solo pienamente ricuperati, ma, come vedremo, ulteriormente fecondati e sviluppati in funzione di alcuni elementi essenziali desunti dalla Scrittura. Essere incorporeo è Dio, enti incorporei sono il Logos, le Potenze, le Idee e H mondo delle Idee (che, vedremo,
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
269
Filone ripensa a fondo, modificandone lo statuto in modo considerevole), e realtà incorporee sono anche le anime. Ora, sia Dio, sia il Logos, le Potenze e il cosmo inteUigibile, sia le anime hanno - a diverso titolo e a differenti livelli - un ben preciso ruolo di causa e di fondamento nei confronti del sensibile, sicché ben si può dire che il corporeo esiste solo perché esiste l'incorporeo e perché l'incorporeo lo produce, lo sostiene e lo mantiene 1• Siccome Filone rovescia un modo di pensare, che ormai dominava pressoché incontrastato la cultura fi.Josofica da quasi tre secoli, è opportuno leggere alcune sue affermazioni al riguardo. Ecco come l'attributo «incorporeo», espressamente riferito da F1lone a Dio 2 , viene ad esempio analiticamente approfondito nelle Legum allegoriae: «E il Signore Dio dice: non è bene che l'uomo sia solo: facciamogli un aiuto simile a lui» (Genesi, 2, 18). Perché mai, o profeta, non è bene che l'uomo sia solo? Perché, egli dice, è bene che solamente il Solo sia solo; e Dio, essendo Unico, è Solo in se stesso e nulla è simile a Dio; cosicché, poiché è bene che l'Essere sia Solo, giacché al Solo si riferisce il bene, non potrebbe essere bene che l'uomo sia solo. Ma che Dio sia Solo si può spiegare anche in questo modo, ossia per il motivo che né prima della generazione del mondo c'era qualcosa insieme a Dio, né dopo la generazione del mondo viene ad aggiungersi qualcosa accanto a Lui: infatti, non ha bisogno di nulla assolutamente. Migliore è però questa interpretazione: Dio è Solo e Unico, non è un composto, è una natura semplice ( cpuaLc; bÀ'ij), mentre ciascuno di noi e tutte le altre cose che sono state generate siamo molteplici. Io, per esempio, sono molte cose: anima, corpo, e nell'anima parte arazionale e parte razionale e poi nel corpo caldo e freddo, pesante e leggero, secco e umido. Invece Dio non è un composto, né è costituito di molte parti, ma è privo di mescolanza con altro. Infatti, se qualcosa venisse aggiunto a Dio, dovrebbe essere o ' ~ bene tener presenti, a questo punto, le posizioni delle scuole ellenistiche riguardo a questo problema, per comprendere la portata delle innovazioni di Filone; dr. vol. m, pp. 196 sgg.; 220 sgg.; 358 sgg. 2 Cfr. l'indice del Leisegang, s.v. liaw!J.otTot;.
www.scribd.com/Baruhk
270
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
superiore, o inferiore, o uguale a Lui. Ma non c'è nulla che sia uguale o superiore a Dio, e nulla che sia inferiore può congiungersi a Lui; se no, Egli pure ne verrebbe diminuito; ma se ciò fosse possibile, Egli sarebbe pure corruttibile, il che non è neppur lecito pensare 3 • L'incorporeità di Dio coincide, dunque, con la sua assoluta sempliCità (assoluta mancanza di composizione e di parti, le quali sono, invece, caratteristiche peculiari del corporeo) e assoluta incorruttibilità. E come il concetto di incorporeità è perfettamente riguadagnato ed espresso, cosl lo è anche quello di trascendenza, con consapevolezza e chiarezza addirittura superiori rispetto a Platone e ad Aristotele, per le ragioni che avremo modo di chiarire più oltre. Ecco alcune eloquenti affermazioni: Neppure il cosmo tutto intero potrebbe costituire un luogo adeguato e una dimora di Dio, perché è Lui che è luogo a se stesso, ed è Lui che è pieno di se stesso, ed è Lui, Dio, che è bastevole a se stesso, ed è Lui che riempie e contiene tutte le altre cose, che sono povere, solitarie e vuote, senza essere a sua volta contenuto da nient'altro, essendo, Egli, l'Uno e il Tutto~. Dell'esistenza necessaria di « Idee incorporee », vale a dire di paradigmi o archetipi incorporei, che fungono da causa esemplare delle realtà corporee, Filone è talmente convinto da ritenere questa dottrina uno dei capisaldi della Rivelazione mosaica 5 • Ecco, ad esempio, come Filone inveisce, nel De specialibus legibus, contro i negatori dell'esistenza delle « Idee incorporee »: Non esiste una unica sorta di empi e di sacrileghi, ma ve ne sono molte e di differente natura. Gli uni affermano che le Idee incorporee sono un nome vuoto, privo di vera realtà, eliminando dagli esseri la loro essenza più necessaria, ossia il modello archetipo • Leg. all., n, 1-3. • Leg. all., I, 44. • Cfr., per esempio, Opif., 25; Quaest. in Ex.,
11,
52; Mos., n, 74.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
271
di tutte le qualità essenziali, secondo il quale ogni èosa riceve forma- e misura. Le sacre tavole della legge denunciano costoro come «mutilati». Infatti, come ciò che è stato mutilato ha perduto la qualità e la forma e non è altro, per dirlo propriamente, che materia informe, cosl la dottrina che sopprime le Idee scompiglia tutte le cose e le conduce a quella realtà che è anteriore alla distinzione degli elementi, ossia a quella real:tà che è priva di forma e di qualità. E che cosa potrebbe mai esserci di più assurdo? Secondo la dottrina delle Idee, infatti, Dio ha generato tutte le cose, senza però aver diretto contatto - non era lecito, infatti, che l'Essere felice e beato toccasse la materia illimitata e confusa - ma si avvalse delle Potenze incorporee, il cui vero nome è Idee, affinché ogni genere di cose assumesse la forma che gli conveniva. Invece, la dottrina che sopprime le Idee introduce molto disordine e confusione; infatti, eliminando le Idee dalle quali derivano le qualità, eliminano anche le qualità 6 •
Infine, per quanto concerne l'anima, come vedremo, Filone non solo tende a distinguere psyché da nous in modo marcato per sottolineare lo statuto privilegiato di quest'ultimo, ma introduce cospicue novità che lo portano su posizioni più avanzate rispetto allo stesso Platone 7 •
2. La nuova concezione di Dio
Il centro del sistema 6loniano è costituito da un sentimento e da una concezione di Dio radicalmente nuovi rispetto alla precedente tradizione greca, come subito vedremo. Intanto, egli distingue, in modo più netto e soprattutto in modo teoreticamente più consapevole di quanto si fosse fatto in precedenza, due differenti problemi: a) quello della dimostrazione dell'esistenza di Dio e b) quello della determinazione della sua natura e della sua essenza. Il primo problema, egli dice, non è difficile; H secondo, invece, non solo • Spec., 7
1, 327-329. Cfr., più avanti, pp. 294 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
272
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
è difficHe, ma addirittura senza soluzione. In altri termini, secondo il nostro filosofo, l'esistenza di Dio è comprensibile, la sua essenza, per contro, è in-comprensibile per l'uomo 8 • Orbene, malgrado iJ. fatto che l'esistenza di Dio sia comprensibile, nota Filone, non tutti gli uomini riescono a comprenderla, oppure non tutti vi riescono in una maniera adeguata. Non riescono a comprenderla gli atei, che negano senz'altro l'esistenza di Dio. Neppure· vi riescono quelli che noi oggi chiameremmo propriamente gl.i agnostici, ossia quelli che ritengono di non poter decidere se Dio esista oppure no. Male comprendono l'esistenza di Dio, invece, i superstiziosi, i quali, an~iché fondarsi sul sano uso del ragionamento, si affidano indiscriminatamente (ossia acriticamente) alle tradizioni. Male la comprendono, inoltre, coloro che pretendono di spiegare ogni cosa con la scienza fisica e finiscono per identificare Dio e mondo, ossia i panteisti. Male la comprendono, ancora, quanti pongono il mondo come increato, finendo, in tal modo, con l'ammirare il creato più del Creatore, e, quindi, con l'ammettere J'esistenza di un Dio inattivo. E, infine, male comprendono l'esistenza di Dio i politeisti, che introducono una quantità di Dei, maschi e femmine, vecchi e giovani, e che, quindi, non capiscono l'idea dell'Essere unico che solo esiste veramente 9 • Contro tutti costoro Filone pronuncia giudizi assai severi. In particolare, egl
I,
32 sgg.; 36 sgg.
• Cfr. Spec., I, 331 sg.; cfr. anche Decal., .52 sgg.
•• Cfr. Spec.,
I,
330.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
273
debbono considera;re tale tutti gli uomini che hanno frequentato la madre, così quanti non riconoscono l'esistenza dell'unico e vero Dio sono costretti a inventare l'esistenza di un gran numero di Dei 11 • Le prove che Filone adduce a favore dell'esistenza di Dio sono di carattere fisico-teleologico, o, se si preferisce, cosmologico-teleologico, e sono tutte quante derivate dalla tradizione filosofica greca, e in particolar mqdo da Socrate, da Platone e da Al'istotele 12 • Ecco le due più significative: Le opere sono sempre, in qualche modo, indizi degli artefici. Chi, infatti, alla vista di statue o di quadri non ha pensato allo scultore o al pittore? Chi, alla vista di abiti, di navi o di case, non ha pensato al tessitore, al costruttore di navi, o al costruttore di case? E quando uno entra in una città ben ordinata, nella quale gli affari civili sono assai ben organizzati, che altro potrà mai pensare se non che questa città è governata da buone autorità? Cosi, colui che giunge alla città veramente grande, che è questo cosmo, vedendo i monti e le pianure piene di animali e di piante, le correnti dei fiumi e dei torrenti, le distese dei mari, il clima ben temperato, la regolarità del ciclo delle stagioni, e poi il sole e la luna dai quali dipendono il giorno e la notte, le rivoluzioni e i movimenti degli altri pianeti e delle stelle fisse e di tutto il cielo, non dovrà formarsi con verosimiglianza e anzi con necessità la nozione del Creatore, Padre e anche Signore? Infatti, nessuna delle opere d'arte si produce da se medesima, e questo cosmo implica somma arte e somma conoscenza, di guisa che esso deve essere stato prodotto da un artefice dotato di conoscenza e di perfezione assoluta. In questa maniera ci siamo formati la nozione dell'esistenza di Dio 13 • È impossibile che in te ci sia un intelletto disposto in modo da avere funzione di capo, cui obbedisce l'intera comunità degli organi del corpo e al quale si sottomette ciascuno dei sensi, e che " Cfr. Spec., 1, 332; cfr. anche i passi citati sopra, alla nota 9. Cfr., per Socrate, vol. 1, pp. 340-346; per quanto concerne Platone cfr. Leggi, libro x, passim; i)er quanto concerne Aristotele si veda soprattutto il De philosophia e il Trattato sul cosmo, VI, passim (nostra edizione, pp. 168-185). " Spec., 1, 32-35. 12
www.scribd.com/Baruhk
274
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
invece il cosmo, che è l'opera più bella, più grande e più perfetta e di cui tutte le altre cose costituiscono semplici parti, sia senza sovrano che lo tenga unito insieme e lo governi con giustizia. E, se il sovrano è invisibile, non ti devi stupire. Neppure l'intelletto che è in te è visibile. Colui che riflette su queste cose cercando di spiegarsele non partendo da lontano, ma da vicino, da se medesimo e dalle cose che gli stanno attorno, giungerà in modo chiaro alla conclusione che il cosmo non è il Dio primo, ma che è l'opera del Dio primo e del Padre di tutte le cose, il quale, pur senza avere una forma Egli stésso, rende visibili tutte le cose, piccole o grandi, e ne fa manifestare le nature. Non ritenne degno lasciarsi comprendere dagli occhi del corpo, forse perché non era cosa santa che un essere mortale avesse immediato. contatto con l'eterno, e forse anche per la debolezza della nostra vista. Infatti, essa non avrebbe potuto accogliere la luce che promana dall'Essere, dal momento che non è nemmeno capace di guardare direttamente i raggi del sole 14 •
Questo procedimento a posteriori, o, come dice Filone, « daJ. basso all'a.Jto » ( xchw&e:v &vw) 15 , consiste in una inferenza della ragione, che parte dalle cose, e, giudicandole incapaci di giustificare se medesime, risale a quella causa che sola può spiegarle, ossia consiste in un complesso lavoro di mediazione. Ma Filone ritiene che ci sia anche un altro modo di pervenire alla conoscenza dell'esistenza di Dio. Si tratta di un tipo di conoscenza che non sale dal basso all'alto, ma che proviene direttamente e immediatamente dall'alto. Tale conoscenza è riservata però agli eletti, e, precisamente, a coloro che sono « veri servitori e amanti di Dio » 16 , ed è una conoscenza che, di sua iniziativa, Dio concede come dono a chi Io prega e se ne rende degno, come avvenne, in modo paradigmatico, a Mosè. Ecco un passo molto significativo: Esiste anche una intelligenza più perfetta e maggiormente purificata, iniziata ai grandi misteri, la quale conosce la Causa •• Abr., 74-76. " Cfr. Praem., 43. •• Cfr. Praem., 43.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
275
non partendo dalle cose create, come si conosce dall'ombra l'oggetto che la produce, ma, sorpassato il creato, riceve una chiara manifestazione dell'Increato, di guisa che, a partire da quello, essa comprende e Lui e la sua ombra, ossia il Logos e questo cosmo. È Mosè che dice: «Manifestati a me, che ti veda chiaramente» (Esodo, 33, 13 ); non manifestarti a me attraverso il cielo, la terra, l'acqua, l'aria o, in genere, attraverso una creatura; che io possa vedere la tua Idea non in altro ma in Te, o Dio, giacché le manifestazioni negli esseri creati si disperdono, mentre nell'essere Increato permangono durevoli, stabili ed eterne. Per questo Dio chiamò Mosè e parlò con lui 17 •
Ed ecco come, ulteriormente, Filone spiega questo tipo di conoscenza immediata: Come possa avvenire questa visione diretta, mette conto chiarirlo con un'immagine. Questo sole sensibile forse che non lo vediamo con nient'altro se non col sole stesso? E gli astri non li vediamo forse con nient'altro se non con gli astri stessi? E, in generale, la luce non si vede forse con la luce? Nello stesso modo, anche Dio, che è luce di se stesso, è contemplato mediante Lui solo, senza che null'altro cooperi o che sia in grado di cooperare alla chiara comprensione della sua esistenza. Orbene, i ricercatori che si sforzano di conoscere l'Increato e il Creatore di tutte le cose, partendo dalle cose create, fanno qualcosa di simile a coloro che ricercano l'unità partendo dalla dualità, e poi devono di nuovo considerare la dualità partendo dall'unità, perché questa è il principio; perseguono invece la verità coloro che si rappresentano Dio con Dio, la luce con la luce 18 • In questa conoscenza privilegiata dell'esistenza di Dio non
è, propriamente, l'uomo che vede Dio, ma, piuttosto, è «Dio che si dà a vedere all'uomo». Insomma, si tratta di una iniziativa di Dio che viene all'uomo e gli fa « dono », come dicevamo, della visione di sé. Siamo, qui, di fronte ad un'idea completamente sconosciuta al pensiero filosofico greco: quella del dono gratuito che Dio può fare agli uomini per amore di essi. 17
11
Leg. all., m, 100 sg. Praem., 45 sg.
www.scribd.com/Baruhk
276
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
La conoscenza immediata, che Dio può donare all'uomo «dandosi a vedere », riguarda - si badi bene - soltanto la sua esistenza e non la sua natura o essenza, che, come già abbiamo ricordato, resta in-comprensibile all'uomo, giacché lo trascende infinitamente. Alla preghiera di Mosè, che invoca Dio affinché gli manifesti la sua natura, Dio risponde: La tua sollecitudine è degna di lode e io l'approvo, ma la tua richiesta non è adeguata a nessuna delle cose che sono state create. lo concedo cose adeguate a chi le deve ricevere: infatti, non tutte le cose che per me son facili da donare è altresl possibile che l'uomo le riceva. Quindi, a colui che è degno della mia grazia io concedo tutti quei doni che è in grado di accogliere. Ma la comprensione della mia essenza non solo la natura umana, ma neppure il cielo e il mondo intero potrebbero contenerla 19 • È chiaro, da questo testo, che la natura di Dio non può essere compresa dall'uomo a motivo della sua assoluta trascendenza: Egli trascende non solo la natura umana, ma altresl la natura del cielo e dell'universo tutto. Dio è il totalmente altro rispetto a tutto ciò che è a noi noto, o, per dirla con la stessa terminologia filoniana, « non c'è niente che sia simile a Dio » 20 • Anzi, Filone dice, addirittura, che Dio è al di sopra dello stesso Uno o Monade, che è al di sopra della vita, al di sopra della virtù, al di sopra della scienza, al di sopra dello stesso Bene 21 • Le ripetute asserzioni del nostro filosofo, che Dio è «senza qualità» (apoios ), vogliono dire appunto questo: che Egli è al di sopra di tutte le possibili determinazioni qualitativ·e (Dio è al di là di qualsiasi forma e qualità) 22 • Dio trascende non solo l'essere e il mondo sénsibile, ma anche gli enti e il mondo intelligibile, nella misura in cui " Spec., I, 43 sg. "" Cfr., per esempio, Somn., I, 73; Leg. all., II, l. 2' Cfr. Opif., 8; Praem., 40; Fug., 198; Contempl., 2. 22 Per la discussione dei testi in cui questo attributo è affermato e per la loro interpretazione cfr. Wolfson, Philo, II, pp. 101-110.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
277
come vedremo - è il creatore dell'uno e dell'altro. Pertanto, Dio è fonte di tutta la realtà; non è da nessuna parte e, ad un tempo, è dovunque, tutto riempie di sé e tutto contiene 23 • La trascendenza antologica di Dio comporta, necessariamente, anche la sua trascendenza gnoseologica, rendendolo inconoscibile all'uomo, e, per conseguenza, rendendolo altresl ineffabile, ossia non esprimibile e non designabile con nomi 24 • Questa dottrina, di cui ci sono tracce nella precedente speculazione, ma senza ,le adeguate motivazioni e senza i relativi sviluppi, può considerarsi una novità di Filone, almeno nella precisa formulazione che egli le ha dato (la assoluta trascendenza dipende, in ultima analisi, dal concetto di creazione, assente nella precedente speculazione), e costituisce la fondazione di quella che più tardi, nell'ambito della speculazione cristiana, verrà detta « teologia negativa ». Essa non restò, tuttavia, senza influssi nell'ambito della filosofia pagana: la ritroviamo, infatti, nel Didaskalikos di Albino e, soprattutto, nelle Enneadi di Platino 25 • È interessante notare, tuttavia, il fatto che Filone raccomandi di proseguire costantemente nella ricerca dell'essenza di Dio; infatti, anche se questa resta strutturalmente incomprensibile, nondimeno, egli dice, l'uomo può giungere a cogliere alcune proprietà che ad essa si riferiscono, proprio come avviene per gli occhi, i quali, pur essendo incapaci di vedere il sole in sé, riescono tuttavia a cogliere. i suoi riflessi sulla terra e il tratto estremo dello splendore dei suoi raggi 26 • In effetti, le varie proprietà di Dio cui Filone nei suoi scritti fa riferimento, o esprimono, in vario modo, la diffeCfr., per esempio, Leg. all., I, 44; 111, 4; m, 51; Confus., 136 sgg.; I, 61 sgg.; etc. 24 Cfr. Mutat., 9-28. 25 Cfr. Wolfson, Philo, n, pp. 110-126 e 158 sgg. "' Cfr. Spec., I, 36-40. Cfr., inoltre, Opi/., 8; Mutat.; 7-15; Praem., 36-46; Abr., 75-79, etc. 23
Somn.,
www.scribd.com/Baruhk
278
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
renza radicale di Lui rispetto a tutte le altre cose, oppure esprimono alcuni aspetti della sua attività: in tal senso Dio è detto incorporeo, unico, semplice, autosufficiente, perfetto, immobile, immutabile, eterno, onnipresente, onnisciente, onnipotente (e dunque infinito), creatore e padre di tutte le cose, provvidente, rivelatore della legge, e così via 27 • · Vi è tuttavia un nome che, secondo Filone, designa Dio in maniera privilegiata, nel senso che non esprime semplicemente una delle sue attività, o una delle sue potenze, ma, in qualche modo, ci avvicina alla scaturigine stessa delle sue attività e potenze. Questo nome è l'Essere o l'Ente o l'Essente. Il celebre passo dell'Esodo, in cui Dio risponde a Mosè che voleva sapere il suo nome, nella traduzione dei Settanta suona: «lo sono Colui che È» ( èyw ct(J.t ò C>v ), «Io sono l'Essente». Filone non sfrutta a fondo la valenza metafisica dell'espressione; tuttavia, non solo egli usa questo nome in modo sistematico, ma qua e là sembra ritenere che Dio si autodefinisca come l'Essere per eccellenza, in quanto è quell'Essere che è e sarà sempre, ed inoltre è quell'Essere che, per sua stessa natura, fa essere anche le altre cose, l'Essere che, essendo pienamente essere, è fonte di ogni altro essere. Dio rispose a Mosè: « Dl a loro che lo sono Colui che È (6 c\Sv), affinché, conoscendo la differenza fra ciò che è e ciò che non è, imparino anche che non c'è assolutamente alcun nome che possa essere usato per designare me, io che sono il solo cui competa l'essere 28 • Quando Mosè domandò se c'è un nome per Colui che È, seppe chiaramente che Egli non ha un nome proprio (Esodo, 6, 3) e che se gli si dà un nome, ciò si fa commettendo un abuso. Colui che È non può per sua natura essere detto, ma solamente 71 TradiTebbe la concezione filoniana di Dio chi desse a questi attributi, e ad altri che si potrebbero ancora elencare, una eccessiva importanza: la natura di Dio è al di là di tutti questi attributi. 21 Mos., I, 75.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
279
essere. Lo testimonia anche il sacro oracolo reso a Mosè (il quale cercava di sapere se Egli ha un nome) il quale dice: « lo sono Colui che È» (Esodo, 3, 14), affinché, dal momento che non ci sono proprietà di Dio che l'uomo possa comprendere, potesse conoscere la sua esistenza 29 • « Mosè prese la tenda e la piantò fuori dal campo » (Esodo, 33, 7): egli la collocò lontano dall'accampamento del corpo, sperando di poter essere solo in questo modo un supplicante e un servitore perfetto di Dio. Egli dice che questa tenda si chiama tenda della Testimonianza e con tutta precisione: la tenda di Colui che È esiste e non solo è denominata. Fra le virtù, infatti, quella propria di Dio esiste veramente, perché Dio solo sussiste nell'essere (&tb<; !J.6VOC: bJ T<;l e:fvatL Òcpéanpce:v); per queStO motiVO di necessità Mosè dirà in Lui: «Io sono Colui che È» (Esodo, 3, 14 ), in quanto le cose che vengono dopo di Lui non sono secondo l'essere, ma sono ritenute sussistere solo per opinione :JJ.
3. La prima formulazione filosofica della dottrina della creazione
Filone è il primo pensatore che introduce nella filosofia la dottrina della creazione, mutuandola dalla Bibbia e cercando di mediarla con la dottrina platonica del Timeo. La successiva speculazione pagana lascerà completamente cadere questo guadagno, che, invece, costituirà il fondamento del pensiero cristiano. Per la verità, molti studiosi ritengono che Filone abbia dato più peso alla narrazione del Timeo che non a quella della Bibbia e che, in certo qual modo, abbia considerato la materia eterna (almeno implicitamente), ed abbia quindi ridotto, in ultima analisi, l'attività creatrice di Dio ad una attività demiurgica, vale a dire ad una attività ordinatrice di una materia caotica preesistente. In realtà cosl non è; 29
30
Somn., I, 230 sg. Deter., 160.
www.scribd.com/Baruhk
280
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Filone si spinge ben oltre il Timeo, anche se non guadagna e non fonda il teorema della creazione con quella chiarezza che noi (che beneficiamo delle successi ve elaborazioni del pensiero cristiano) desidereremmo. Riallacciandoci al discorso sopra fatto circa le proprietà di Dio, potremmo dire che la principale è quella di agire, di fare, di produrre:
Carattere peculiare di Dio è l'agire, che non è lecito mettere in conto ad una creatura; carattere proprio di ciò che è generato è invece il patire 31 • Dio non cessa mai di agire, ma, come è carattere peculiare del fuoco il bruciare e della neve il raffreddare, cosl è carattere peculiare di Dio l'agire; anzi, lo è molto di più, nella misura in cui Egli è per le altre cose principio del loro operare 32 • Che tipo di attività è questo agire ( noLd:v) di Dio? Alcuni studiosi, come abbiamo già sopra accennato, basandosi su alcuni testi in cui Filone parla con il linguaggio della filosofia greca, hanno ritenuto, appunto, che si tratti di attività demiurgica. Ecco alcuni di questi testi: Alcuni, ammirando il cosmo più del suo Creatore, l'hanno proclamato increato ed eterno, e hanno falsamente ed empiamente accusato il Creatore di grande inattività, mentre viceversa bisognava riverire le sue Potenze di Creatore e di Padre e non esaltare il cosmo oltre la giusta misura. Ma Mosè, che aveva raggiunto il vertice della filosofia e aveva imparato mediante oracoli molteplici verità concernenti la realtà e le più essenziali, sapeva che è assolutamente necessario che fra gli esseri vi sia, da un lato, una causa attiva e, dall'altro, una causa passiva, e sapeva che la causa attiva è l'Intelletto universale purissimo e assolutamente scevro di mescolanza, superiore alla virtù, superiore alla scienza e addirittura superiore allo stesso bene e allo stesso bello, mentre la causa passiva è di per sé immobile e inanimata, ma che, mossa, informata e animata dall'Intelletto, si è trasformata nell'opera più 31 32
Cher., 77. Leg. all., I, 5.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
281
perfetta, che è questo cosmo. C
Opi/., 7-9. Opif., 21 sg.
www.scribd.com/Baruhk
282
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
lode ha lo stesso valore presso colui che loda. Ma Dio non ha lodato la materia che era stata oggetto della sua elaborazione, priva di vita, disordinata e destinata a dissolversi, e, per giunta, di per sé corruttibile, irregolare e diseguale, ma ha lodato le opere prodotte dalla sua arte e compiute mediante una Potenza unica, uguale e uniforme .e mediante una scienza uguale ed identica 35 • Va tuttavia rilevato che questi ed altri simili passi conducono il lettore fuori strada, perché lo riportano inevitabilmente agli schemi platonici, facendo velo su ciò che Filone introduce di nuovo. Intanto, egli non dice affatto che la materia è coeterna a Dio e che preesiste alla creazione del mondo. Per giunta, da alcuni passi del De providentia, sembrerebbe potersi ricavare la creazione stessa della materia 36 • Ad analoghe conclusioni si potrebbe addirittura pervenire rileggendo il De opificio mundi senza costringerlo negli schemi platonici 37 • Inoltre- e questo è chiaramente rilevato dagli interpretile Idee che fungono da paradigma e da causa esemplare, mentre in Platone sono ingenerate ed eterne, sono invece concepite da Hlone come prodotte dal pensiero divlino e, quindi, come create da Dio. Ma su questo argomento dovremo soffermarci più avanti. D'altra parte, è da rilevare come sia Filone stesso ad evidenziare due punti molto importanti: a) l'attività di Dio produce cose che non erano, produce tutte le cose dal non essere; b) Dio non è quindi solo « demiurgo », ma è « creatore ». Ecco alcuni testi: [ ... ] Dio ha prodotto il mondo, la sua opera perfettissima, dal non essere all'essere (be Toii !L'Ì! lSvro~ d~ TÒ EivotL) 38 • Her., 156-160. Cfr. Prov., I, 6-22; II, 48-50. " Cfr. Wolfson, Philo, I, pp. 295-324 e G. Reale, Filone di Alessandria e la prima elaborazione della dottrina della creazione, in AA.VV., Paradoxos Politeia, Vita e Pensiero, Milano 1979, pp. 247-297. 31 Mos., II, 267. 35
36
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
283
[ ... ] Dio ha suscitato la totalità delle cose dal non essere 39 • Dio, quando generò tutte le cose, non le ha semplicemente rese visibili, ma produsse ciò che prima non era (& 1rp6npov oùx -J}v, 47roll)acv), essendo Egli non solamente Demiurgo, ma anche Creatore ( OÙ 3lji.I.LOUpylJt; 1.1.6VOV ciÀÀGÌ xcd X'd
Infine, Filone sostiene e sottolinea, a più riprese, come tutto sia grazia e dono di Dio; nessuno appartiene a sé, ma tutto e tutti a Lui: ogni cosa è gratuitamente e liberamente donata dalla sua bontà. Si tratta di un modo di pensare e di sentire possibile solamente in un contesto creazionistico. Ecco alcuni testi molto importanti: · II giusto, cercando la natura degli esseri, fa questa scoperta unica ed eccellente: tutte quante le cose sono una grazia di Dio ( x«pw IIVTcx Tou &Eou TGÌ aU1.1.7rOtvTat ), e nulla è dono della creatura, perché non è suo possesso, in quanto tutto è possesso di Dio, e perciò, anche, la grazia a Lui solo appartiene. A coloro che ricercano quale sia il principio della creazione si potrebbe a buon diritto rispondere che è la bontà e la grazia di Dio (~yat&6Tljc; xatl xlipLt; Tou &cou ), di cui egli ha beneficato il genere che viene dopo di Lui: infatti, tutto ciò che vi è nel cosmo e il cosmo stesso è un dono, una beneficenza, una grazia di Dio 41 • Tutto è grazia di Dio: terra, acqua, aria, fuoco, sole, astri, cielo, tutti gli animali e tutte le piante. Dio non fa alcuna grazia a se medesimo, perché non ne ha bisogno, ma dona il mondo al mondo, ma dona le parti alle parti medesime, e, reciprocamente, le une alle altre, e, inoltre, al tutto 42 • Proprio da questi concetti di Dio creatore e di creazione come dono gratuito dipende, come ve
39 Leg. al/., III, 10. "" Somn., I, 76. •• Leg. all., III, 78 . .a Deus, 107.
www.scribd.com/Baruhk
284
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
4. L a d o t trina d e l « L o go s » Una serie di novità il concetto di creazione comporta, in primo luogo, a livello metafisico-ontologico, a cominciare dalla teoria del Logos, che assume valenze veramente inedite. Purtroppo Filone parla spesso del Logos, ma prevalentemente per allusioni, e, per di più, in differenti contesti e da differenti punti di vista, cosicché ben si spiega come gli studiosi abbiano proposto esegesi diverse e talora opposte. In questa sede è possibile procedere solo per cenni, data la complessità della materia e la problematicità dei testi. Dio, spiega Filone, volendo creare il mondo sensibile in modo adeguato, produce, dapprima, il mondo intelligibile, che ha la funzione di modello incorporeo secondo cui deve essere realizzato il mondo corporeo, cosl come fa l'architetto, il quale, volendo costruire una grande città, costruisce, dapprima, il progetto di essa con la sua intelLigenza e lo fissa nella sua anima, per poi tradurlo in realtà. Orbene, il Logos divino è precisamente l'attività o potenza di Dio che crea le realtà intelligibili aventi funzione di modelli e di paradigmi ideali. Ecco il celebre passo del De opificio mundi, che espone questa dottrina: All'incirca questo [si intende riferito all'esempio dell'architetto che vuole costruire la città] si deve pensare che valga anche per Dio, che, avendo pensato di fondare la grande città [scil.: l'universo], pensò prima i tipi e con essi formò il cosmo intelligibile per produrre poi il cosmo sensibile, servendosi di quello come modello. Dunque, come il progetto di una città forgiato dalla mente dell'architetto non occupava un luogo esteriore, ma era impresso nell'anima dell'artefice, cosl, allo stesso modo, il mondo costituito dalle Idee non poteva avere altro luogo che il Logos divino, che ha organizzato questa realtà. Quale altro luogo poteva esserci se non la Potenza di Dio, che fosse capace di accogliere e contenere non dico tutte, ma una sola Idea, quale che essa sia? 43 • "' Opi/., 19 sg.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
285
E poco più oltre, nella stessa opera, si legge: [ ... ] Per usare termini più espliciti, si può dire che ·il cosmo intelligibile non è altro che il Logos di Dio nell'atto di formare il mondo, giacché la città intelligibile non è altro che il calcolo dell'architetto che già pensa di fondare una città 44 •
In questi passi il Logos divino sembrerebbe coincidere con l'attività pensante di Dio, ossia con la Ragione, o, meglio, con l'Intelletto o Nous di Dio, vale a dire con qualcosa che non è distinto da Dio stesso 45 • Ma tosto Filone distingue il Logos da Dio e ne fa quasi una ipostasi, e lo denomina addirittura « figlio primogenito del padre increato », « Dio secondo », « immagine di Dio ». In alcuni passi ne parla addirittura come di causa strumentale ed efficiente. In altri passi ne parla, invece, come di Arcangelo, come di mediatore fra Creatore e creature (in quanto non è né increato come Dio, ma neppure creato come le creature mondane), l'Araldo della pace di Dio, il conservatore della pace di Dio nel mondo. II Logos di Filone esprime, inoltre (e questo è molto importante), le valenze fondamentali della biblica « Sapienza », nonché della biblica « Parola di Dio », che è Parola creatrice e fattrice. Infine, il Logos esprime anche il significato etico di parola con cui Dio guida al bene, il significato di parola che salva 46 • In tutti questi significati il Logos indica una realtà incorporea, ossia metasensibile, trascendente. Ma, poiché il mondo sensibile è costruito secondo il modello intelligibile, ossia
.. Opif., 24 . ., Questo rilevava già molto bene M. Heinze, Die Lehre vom Logos in der griechischen Philosophie, Oldenburg 1872 (Aalen 1961'), pp. 218 sg. Wolfson ritiene che si tratti del primo e più alto s-ignificato di Logos (Philo, I, pp. 226-240) . .. Per una adeguata comprensione di quesni vari aspetti del Logos rimandiamo a tre lavori classici: Heinze, Die Lehre vom Logos... , pp. 204-297; Bréhier, Les idées ... , pp. 83-111; Wolfson, Philo, I, pp. 226-282.
www.scribd.com/Baruhk
286
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
secondo il Logos e, anzi, mediante lo strumento del Logos, cosl vi è anche un Logos immanente al mondo sensibile, o, meglio, un aspetto immanente del Logos, che sono non altro se non le azioni, e quindi i vari effetti del Logos incorporeo sul mondo corporeo. In questo senso immanente, il Logos è il vincolo che tiene unito il mondo, i.l principio che lo conserva, la regola che lo governa, e cosl via 47 • · Non è possibile non rilevare in questa dottrina del Logos come archetipo di tutta la realtà, ossia come pensiero che in sé racchiude l'intero cosmo intelligibile, una anticipazione della seconda ipostasi plotiniana (il Nous) 48 , senza contare, evidentemente, i nessi di questa concezione con queLla del Prologo giovanneo e i germi che essa contiene di certe dottrine che matureranno nell'ambito del pensiero cristiano 49 •
5. La dottrina delle «Potenze»
Anche per la dottrina delle «Potenze» ( 8uviX(Lttc;) si ripropongono le stesse difficoltà incontrate a proposito del Logos e per le medesime ragioni. Abbiamo visto che Dio è attività indefettibile; ora, le «Potenze» sono, precisamente, le molteplici manifestazioni di questa attività. È evidente che in questo contesto «Potenza» non significa potenzialità in senso aristotelico, bensl forza, azione, attività appunto. Abbiamo anche visto che il Logos
" In questo significato immanente il Logos filoniano sussume alcuni dei significati del logos stoico, che, però, nel nuovo generale contesto, mutano le originarie valenze. • Cfr., più avanti, pp. 527-542. 110 Ricordiamo che Bréhier ha giustamente rilevato che « studiare la teoria del Logos, significa studiare il filonismo tutto intero secondo un certo punto di vista,. (Les idées ... , p. 83). Del resto, è forse proprio questo il tema filoniano più studiato.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDJUA
287
si riduce ad una di queste attività o Potenze, quella che è propria del pensare (che vedremo essere una Potenza privilegiata, che riunisce tutte le altre). Orbene, anche per le Potenze sono distinguibili i tre livelli riscontrati nel Logos. Esse, infatti, se considerate in Dio, sono le proprietà stesse di Dio; ma di questo aspetto delle Potenze Filone non parla esplicitamente. Considerate, invece, in sé, sono, in certo senso, enti incorporei « intermediari» fra Dio e il mondo. Infine, se considerate come immanenti al mondo, sono le stesse giunture dell'universo fisico 50 • Poiché Dio non è finito, innumerevoli sono le manifestazioni della sua attività, ossia le sue Potenze. Filone ne menziona, però, solamente un numero limitato e, di regola, richiama solo le due principali, e a queste subordina tutte le resmnti. Le due Potenze principali sono: la Potenza Creatrice, ossia la Potenza con cui il Creatdre produce l'universo (che viene indicata col termine &&6ç, Dio, inteso in senso ristretto e interpretato come derivante da -rl&1J!L~. che vuoi dire pongo, creo) e la Potenza Regale, con cui il Creatore governa oiò che ha creato (che viene indicata col termine xupLoç, che vuoi dire Signore). Queste due Potenze corrispondono, come gli studiosi hanno rilevato, a quei due aspetti della divinità che l'antica tradizione ebraica indicava con i nomi Elohim e Jehovah. Elohim esprimeva la potenza e la forza del bene e, quindi, della creazione, Jehovah la forza legislatrice e punitrice. (Si noti che la traduzione dei Settanta rende Elohim con 3-&6ç e Jehovah con xupLoç). Alla Potenza Creatrice si connettono, ad esempio, la Potenza Benefattrice e quella Propiziatrice. Alla Potenza Regale si connette, ad esempio, la Potènza Legislatrice 51 •
"' Anche per l'approfondimento della tematica delle Potenze rimandiamo
a Wolfson, Philo, I, pp. 217·226; n, pp. 138-149. •• Cfr. Quaest. in Ex., n, 68.
www.scribd.com/Baruhk
288
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
È evidente che, essendo Dio unico, le Potenze, che sono molteplici, non rivelano se non riflessi o proiezioni di Dio. Questo vale, naturalmente, anche per le due principali. Ecco tlno dei passi più belli su questo argomento:
Allorché l'anima è tutta illuminata da Dio, come nel sole del mezzogiorno, e ripiena tutta quanta da ogni parte di luce spirituale, div.enta priva di ombra in mezzo ai raggi che si diffondono tutto intorno, essa coglie una rappresentazione triplice di un oggetto unico, di un oggetto come Essere, e degli altri due oggetti come ombre che si riflettono da quello; qualcosa di questo genere succede anche a coloro che si trovano nella luce sensibile: infatti, le cose, sia che stiano ferme, sia che si trovino in movimento, spesso proiettano una duplice ombra. Non si creda però che, trattandosi di Dio, la parola « ombre » sia usata in senso proprio. Si tratta solamente di un termine usato in senso improprio per una più chiara rappresentazione della cosa che si sta spiegando, perché la verità non sta in questo modo. In effetti (come potrebbe dire qualcuno che stesse il più stretto possibile alla verità) il centro è il Padre di tutte quante le cose, il quale nelle Sacre Scritture è chiamato col nome proprio Colui che È, mentre quelle che stanno da un lato e dall'altro sono le Potenze più antiche e più vicine all'Essere: l'una è la Potenza Creatrice, l'altra è la Potenza Regale. La Potenza Creatrice è denominata Dio [&t6c; è fatto derivare, come s'è detto, da ..-l-8-t)~.tL], perché mediante essa l'Essere ha fatto e ha organizzato l'universo; la Potenza Regale è denominata Signore, perché è giusto che chi ha fatto il creato lo governi e lo domini. Dunque, il centro, accompagnato come da guardie dalle due Potenze, offre all'intelligenza che ne ha la visione, ora la rappresentazione di una sola cosa, ora di tre: di una sola cosa, quando l'intelligenza si sia completamente purificata, e, av~ndo trasceso non solo la molteplicità dei numeri, ma altresl la diade che è la più vicina all'unità, si stringe all'Idea che è priva di mescolanza e non è combinata ad altro e che, di per sé, non ha assolutamente bisogno di nulla; di tre, invece, allorché, non essendo stata ancora iniziata ai grandi misteri, partecipa ancora soltanto delle cerimonie minori e non è ancora in grado di cogliere l'Essere ài per sé e senza alcunché d'altro, ma solo attraverso le sue attività, sia attraverso la sua attività creatrice sia attraverso la sua attività reggitrice. Questa « seconda navigazione», come la chiamano, è non meno partecipe di una credenza cara a Dio, ma la prima maniera non è semplicemente partecipe, ma è essa stessa credenza
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
289
cara a Dio, o, piuttosto, più originaria della credenza e più venerabile di ogni credere, essa è la stessa Verità 52 • Il rapporto fra il Logos e le due supreme Potenze (e, quindi, fra il Logos e tutte le altre Potenze, che alle due principali, come abbiamo visto, sono subordinate) è espressamente tematizzato da Filone. In alcuni testi 53 egli considera il Logos come fonte delle altre Potenze; in altri., invece, egli attribuisce al Logos la funzione di riunire le .altre Potenze (così come - e lo vedremo subito appresso - riunisce in sé tutte le Idee), come, ad esempio, nel testo esemplare del De Cherubim (dove egli interpreta i Cherubini come simboli delle Potenze e la spada di fuoco come simbolo del Logos ): [L'oracolo divino] mi diceva che Dio è veramente uno solo, ma le Potenze prime e supreme sono due, ossia la Bontà e la Sovranità, e che con la sua Bontà ha creato tutte le cose e con la sua Sovranità regge il creato. Una terza potenza, che riunisce le altre due, sta in mezzo ad esse ed è il Logos: è con il Logos, infatti, che Dio è sia Sovrano, sia Buono 54 • 6. L a d o t trina d e Il e I d e e e l a riforma fil o n i a n a
Abbi•amo già sopra accennato alla ripresa da parte di Filone della dottrina delle Idee e alla essenziale riforma. cui egli la sottopone. Le Idee da ingenera-te diventano create da Dio, nell'atto del suo pensare, quali archetipi del mondo sensibile. Esse diventano, in tal modo, pensieri di Dio, nel senso che Dio le crea pensandole, ma non si esauriscono nella mera attività del pensare e sono altresì esseri, ossia realtà, nel senso che abbiamo veduto. Il « luogo delle Idee » diventa il Logos, che le accoglie nella loro totalità come " Abr., 119-123. Qui <<seconda navigazione» ha un senso del tutto desueto. " Cfr. Quaest. in Ex., n, 68. " Cher., 27.
www.scribd.com/Baruhk
290
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
«cosmo intelligibile» (espressione sconosciuta a Platone, e - come pare - coniata da Filone 55 ). Gli studiosi si sono domandati spesso chi sia stato il primo ad introdurre la dottrina delle Idee come pensieri di Dio 56 , ma quasi mai si è avuto il coraggio di arrendersi alla evidenza dei dati e di concludere che, sulla base dei documenti a nostra disposizione, nessuno prima di Filone aveva presentato questa dottrina con tale ampiezza e tali valenze. A nostro avviso, esiste un argomento che serve da controprova ben difficilmente confutabile: per trasformare le platoniche Idee in un cosmo intelligibile prodotto dà una mente e in essa contenuto, bisognava guadagnare il concetto di creazione. Prima di Filone ci sono stati sicuramente alcuni tentativi di collocare le Idee nel pensiero divino, ma è altrettanto sicuramente mancato il fondamento che potesse garantire il successo del tentativo. Dopo Filone, invece, la riduzione delle Idee a pensieri divini diventerà un dogma sempre più diffuso; ma per trovare dei filosofi che la ripropongono con adeguate motivazioni metafisiche bisogna spingersi fino agli ultimi Medioplatonici (e, in particolare, ad Albino), che la collocano in una loro visione ipostatica del soprasensibile, e addirittura fino a Platino, che, non a caso, proviene dall'ambiente alessandrino. Naturalmente, in quanto create, le Idee cessano di essere l'« Essere che veramente è», ossia l'Essere assoluto ( -.ò 15V"t'w~ 15v), e l'Essere assoluto diventa Dio, il Dio che, essendo appunto l'Essere per eccellenza, può suscitare la totalità delle cose dal non e·ssere, come abbiamo sopra veduto 57 •
Ritroveremo l'espressione in Plotino; dr., sotto, pp. 534-541. Sul problema cfr. R. M. Jones, The Ideas as the Thoughts o/ God, in «Classica! Philology », 21 (1926), pp. 317-326 e A.N.M. Rich, The P/atonie Ideas as the Thoughts of God, in « Mnemosyne », Serie IV, 7 (1954), pp. 123:133 . ., Cfr., sopra, pp. 278 sg. 55 56
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
291
E, sempre in quanto create, le Idee cessano anche di essere paradigmi assoluti e diventano « immagini » che sono a loro volta paradigmi. Il modello assoluto è Dio. Il Logos è già la prima immagine, una immagine perfetta, che a sua volta funge da modello agli esseri che seguono. E mentre il Logos è l'immagine perfetta di Dio e il modello di tutte le cose, le Idee sono immagini particolari e, quindi, modelli particolari delle singole cose 58 • È appena il caso di rilevare (e lo abbiamo già ricordato) che la creazione delle Idee da parte di Dio non è un atto temporale (come non lo è la generazione del Logos e delle Potenze), in quanto non avviene nella dimensione del tempo. Il tempo nasce solamente insieme al mondo, come già Platone aveva spiegato nel Timeo. Dio è anteriore in un senso antologico alle Idee che crea, in quanto ne è la fonte e, quindi, è anteriore anche in senso gerarchico. Analogamente, le Idee sono anteriori al mondo in senso antologico e assiologico, in quanto ne sono il modello e il principio paradigmatico, mentre il mondo è posteriore a Dio e alle Idee anche in senso cronologico, appunto perché, come s'è detto, la dimensione del tempo nasce con il mondo 59 • Filone, inoltre, ha collegato le Idee con le Potenze in vario modo 60 • Malgrado la mobilità di linguaggio che egli presenta a questo riguardo, si può dire che le Idee in generale differiscono dalle Potenze per i seguenti motivi: a) hanno una funzione più limitata {le Potenze ridanno aspetti generali dell'attività di Dio, come abbiamo visto, mentre le Idee, nell'accezione più propria del termine, sono, più specificamente, momenti particolari dell'attività pensante di Dio); b) questa
'" Cfr., soprattutto, Leg. alt., m, 96; Opi/., 19; Heres, 231; etc. Sulla creazione atemporale cfr. Opif., 13 sgg.; sulla creazione del tempo da parte di Dio dr., per esempio, Deus, 30 sgg. '" Cfr., ad esempio, Spec., I, 327·329 (cfr. il passo riportato sopra, p. 270 sg.). 59
www.scribd.com/Baruhk
292
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
funzione è, precisamente, quella di essere modelli o cause esemplari. D'altra parte, bisogna ulteriormente rilevare che, ne1la misura in cui il Logos nel quale esse si trovano funge anche da causa strumentale ed efficiente nella creazione del mondo, come abbiamo già detto, allora, anche sotto questo aspetto particolare, le Idee, in quanto producono le cose, possono essere considerate e dette Potenze o attività produttrici 61 • Interessante è rilevare che, contrariamente a Platone, Filone ammette le Idee di Intelletto e di Anima, con le conseguenze che esamineremo più avanti 62 • Infine, dobbiamo rilevare che, così come il Logos e le Potenze, anche le Idee hanno un aspetto per cui sono immanenti al sensibile, come concrete forme delle concrete cose. Appunto a questo scopo, ricordiamolo, sono state create da Dio, ossia per poter produrre un mondo fisico perfettamente organ.izzato 63 •
7.
Le anime senza corpo e gli Angeli
Resta ancora una questione da trattare, al fine di completare il quadro della concezione filoniana del mondo dell'incorporeo, vale a dire la questione degli « Angeli » di cui parla la Bibbia. Filone interpreta gli Angeli come i:l corrispettivo di quelli che nel pensiero pagano erano detti «Demoni» 64 • Gli Angeli sono « anime incorporee » che vivono soprattutto nella sfera 61 La trattazione più soddisfacente del problema delle Idee in Filone è · quella del Wolfson, Philo, I, pp. 200-394. 62 Cfr., più avanti, pp. 300 sgg. 63 Filone dà rosl ragione, ad un tempo, alle Idee platoniche ( trascendenti) e alle forme aristoteliche (immanenti) e media le due posizioni. 64 Cfr. Somn., I, 141 (si veda tutta l'esegesi della «scala di Giacobbe», ivi, 133-145).
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
293
dell'aria, anime del tutto scevre della parte irrazionale, e fungono da ministri di Dio. Non è che Dio, rileva opportunamente Filone, abbia bisogno di informatori e di aiutanti, ma siamo noi che abbiamo bisogno di inter.mediari e di arbitri nei confronti della forza immensa del suo potere 65 • È peraltro da rilevare che nell'angelologia fìloniana le idee di estrazione ellenica giocano un ruolo importante, ma non determinante. Quella di «Angelo» resta una rappresentazione estremamente mobile, che talora è applicata addirittura al Logos 66 , e talora perfino all'apparenza che Dio può assumere nel manifestarsi alle anime che sono ancora unite ai corpi 67 , e, dunque, come una manifestazione particolare della Potenza di Dio. In. ogni caso, è da rilevare che anche quanto Filone desume. dalla demonologia classica, nel contesto della sua teologia creazionistka, cambia significato: infatti, il concetto di Angelo come « intermediario fra Dio e uomini » viene a inserirsi nella generale concezione della creazione come «dono», e viene ad essere esso stesso uno dei modi in cui questo donare si realizza. L'Angelo è mandato a noi, in vario modo, perché noi, in vario modo, possiamo risalire a Lui.
65 66 61
Cfr. Somn., I, 143. Cfr. Leg. all., m, 177; Deus, 182; Heres, 205, etc. Cfr. Somn., I, 232.
www.scribd.com/Baruhk
IV. L'ANTROPOLOGIA E LA MORALE DI FILONE
l. Nuova concezione della natura dell'uomo, ovvero l'uomo a tre dimensioni
Gli studiosi hanno spesso lamentato incertezze e presunte contraddizioni nella concezione filoniana dell'uomo, giacché, per lo più, essi si sono rifatti agli schemi della filosofia ellenica ed hanno notato come sia difficile e, in certi casi, impossibile, far rientrare in questi schemi tutto quanto Filone dice intorno alla natura dell'uomo. Solo pochi hanno rilevato che, in realtà, noi ci troviamo di fronte ad una vera e propria concezione rivoluzionaria (che Filone guadagna a poco a poco), la quale finisce con l'infrangere in modo netto gli schemi della filosofia classica, dai quali pure prende le mosse. Intanto, è da rilevare come già nel De opificio mundi, pur giocando ancora un ruolo preponderante, le concezioni greche, in particolare di estrazione platonica e prato-aristotelica, risultino in gran parte modificate nel contesto della concezione creazionistica in cui sono collocate. È Dio stesso che interviene nella creazione dell'uomo singolo, sicché fra Dio e la singola anima (il s-ingolo individuo) si instaura un legame sconosciuto al pensiero precedente. È da notare che le narrazioni bibliche della creazione dell'uomo, contenute, rispettivamente, in Genesi, l, 26 sg. e in Genesi, 2, 7, dovute, probabHmente, a ragioni contingent•i, sono interpretate da Filone come riferentisi ai due momenti della creazione, ossia, rispettivamente, al momento della creazione del cosmo intelligibHe e al momento della creazione del cosmo fisico, conformemente alla sua concezione metafisica generale di cui
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
295
sopra abbiamo detto. Dapprima (si tratta - si badi - di un « dapprima » in senso ideale e non cronologico, come sappiamo), Dio crea il modello ideale dell'uomo, l'eremo paradigma, che, in un certo senso, coincide con il Logos; successivamente, plasma l'uomo concreto, al momento in cui crea il mondo fisico e la temporalità. Filone chiama H modello ideale di uomo «uomo creato» (l'uomo ad immagine e somiglianza di Dio), mentre denomina la sua realizzazione empirioa « uomo plasmato ». Ecco il brano in cui Filone fornisce l'interpretazione di Genesi, l, 26 sg.: Dopo tutte le altre cose, come s'è detto, Mosè dice che l'uomo fu creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gen., l, 26). E questo è molto ben detto, perché nulla di ciò che è stato creato è più simile a Dio che l'uomo. Ma nessuno raffiguri questa somiglianza riferendosi a qualche caratteristica del corpo: infatti, né Dio ha forma umana, né il corpo umano ha forma divina. La parola «immagine» è qui riferita all'intelletto (vo\ic;) che è la guida dell'anima (ljluxiJ). Infatti, l'intelletto che è in ciascun uomo particolare è stato fatto ad immagine di quell'unico Intelletto universale come secondo un archetipo, ed in certo qual modo è come un Dio per colui che lo porta in sé e in sé lo racchiude come simulacro divino. Il rapporto che il grande Sovrano ha rispetto all'universo intero, come sembra, corrisponde a quello che l'intelletto umano ha rispetto all'uomo. L'intelletto è di per sé invisibile, mentre vede tutte le altre cose; ha una essenza inconoscibile, mentre comprende l'essenza di tutte le altre cose. Mediante le arti e le scienze molteplici egli dischiude tutte le vie maestre, procede attraverso la terra e il mare, scrutando ciò che vi è nell'uno e nell'altro elemento. Dopo di che, levandosi a colpo d'ala, contempla l'atmosfera e i suoi fenomeni e poi si spinge più in alto verso l'etere e le rivoluzioni celesti e, fattosi partecipe alle danze dei pianeti e delle stelle fisse secondo le leggi di una musica perfetta, seguendo l'amore· della sapienza che dirige i suoi passi, dopo aver dominato dall'alto l'intera realtà sensibile, a questo punto raggiunge l'intelligibile 1•
' Opif., 69 sg.
www.scribd.com/Baruhk
296
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Ed ecco il passo in cui Filone interpreta G_enesi, 2, 7: Mosè dice successivamente: «Dio plasmò l'uomo prendendo la polvere dal suolo e soffiò sul suo volto un soffio di vita » (Gen., 2, 7). Questa nuova ripresa del tema mostra in modo chiarissimo la differenza assai grande che sussiste fra l'uomo plasmato in questo modo e l'uomo che era stato precedentemente generato ad immagine di Dio [scii.: nella narrazione di Gen., l, 26 sg.]. Infatti, l'uomo plasmato è sensibile, è senz'altro partecipe della qualità sensibile, è composto concretamente di corpo e di anima, è maschio e femmina, di natura mortale. Invece, l'uomo fatto ad immagine di Dio è un'Idea, un Genere, un Sigillo; è intelligibile, incorporeo, né maschio né femmina, di natura incorruttibile. Dice dunque Mosè che la costituzione dell'uomo sensibile e individuale è data dalla composizione di sostanza terrestre e di spirito divino ( wn:òJLcx-roc; &lou ). Infatti, il corpo è stato creato dall'Artefice che ha preso della polvere e con essa ha plasmato una figura umana, mentre l'anima non deriva da nulla di creato, ma direttamente dal Padre e Signore dell'universo. Infatti, ciò che egli vi ha soffiato non era altro che Spirito divino ( nvei:iJLcx &rov) che da questa natura felice e beata ha distaccato una specie di colonia qui presso di noi, a beneficio della nostra razza, affinché, pur essendo mortale nella sua parte visibile, potesse diventare immortale nella sua parte invisibile. Perciò, a buona ragione, si può dire che l'uomo costituisce il confine della natura mortale e di quella immortale, partecipando, nella misura del necessario, dell'una e dell'altra, e che è stato creato mortale e immortale, mortale secondo il corpo e immortale secondo il pensiero 2 • Tuttavia, in questi testi, malgrado la nuova prospettiva creazionistica, l'uomo resta ancora concepito come composto di corpo e di anima, dove per « anima » si intende soprattutto l'intelletto. L'anima non razionale - si badi - è propria anche degli animali, mentre all'anima non razionale nell'uomo sJ. aggiunge ,l'anima razionale, ossia l'intelletto (la distinzione fra «anima» e <
Opif., 134 sg.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
297
vedremo). L'uomo, insomma, resta ancora concepito a due dimensioni, corpo e intelligenza, mortale l'uno, immortale e « divina » l'altra. Ma, a poco ~· poco, Filone matura una più avanzata concezione, facendo irrompere nell'uomo, per cosl dire, una terza dimensione, di natura tale da sconvolgere radicalmente il significato, il valore e la portata delle altre due. Secondo questa nuova concezione, in cui la componente biblica diviene predominante, l'uomo è costituito da: l) corpo, 2) animaintelletto e 3) Spirito che proviene da Dio. Secondo questa prospettiva l'intelletto umano è corruttibile, in quanto è intelletto « terrestre », a meno che Dio non vi ispiri « una potenza di vera vita », che è il suo Spirito ( 7tVeu(J.tX) 3 • Leggiamo due testi fondamentali tratti dalle Legum allegoriae. Ecco dapprima il testo in cui Filone reinterpreta Genesi, 2, 7: « E Dio plasmò l'uomo, prendendo la polvere dal suolo e soffiò sul suo volto un soffio di vita e l'uomo fu generato in anima vivente» (Gen., 2, 7). Vi sono due generi di uomo, l'uno è l'uomo celeste e l'altro è l'uomo terrestre [ = l'uomo paradigma ideale e l'uomo reale]. L'uomo celeste, in quanto creato ad immagine di Dio, non è partecipe di sostanza corruttibile e in generale terrestre [ = in quanto è paradigma ideale e incorporeo], mentre l'uomo terrestre è stato tratto da una materia sparsa, che Mosè chiamò polvere. Perciò, egli dice che l'uomo celeste non è stato « plasmato», bensì «modellato ad immagine» di Dio, e che l'uomo terrestre è un essere plasmato e non generato dall'Artefice. Ma bisogna considerare che l'uomo di terra è l'intelletto ( vouç) che penetra nel corpo, ma nel momento in cui non è ancora penetrato. Questo tipo di intelletto è in realtà terrestre e corruttibile (yt:6>31Jç xccl cp.&ccpT6ç ), se Dio non soffia in esso una potenza di vera vita. In questo caso esso è «generato» e non «plasmato» in un'anima che non è inattiva e priva di forma, ma in un'anima realmente pensante e vivente 4 •
' Ci sembra che meglio di tutti abbia richiamato l'attenzione sul significato dello Spirito A. Maddalena, Filone Alessandrino, Milano 1970, pp. 21-43. • Leg. alt., I, 31 sg.
www.scribd.com/Baruhk
298
LA lliSCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Dunque, l'intelletto, di per sé, ossia senza il soffio della potenza divina, come tutte le cose, è corruttibile. Ma ecco il testo più esplicito e più importante: La parola «soffiò dentro» significa: inspirò, o mise un'anima nelle cose inanimate [=vivificò le cose senza vita]; 'non cadiamo, infatti, nell'assurdità di credere che Dio per soffiare si avvalga degli organi della bocca e delle narici; Dio non solo non ha forma umana, ma non ha qualificazioni. L'espressione ha un senso più profondo. Occorre che esistano tre cose: a) ciò che soffia, b) ciò che riceve, c) ciò che viene soffiato. Orbene, a) ciò che soffia è Dio; b) ciò che riceve è l'intelletto (voiic;); c) ciò che viene soffiato è lo Spirito (mcii(L« ). Che cosa deriva da questi tre elementi? Dai tre elementi deriva una unione, avendo Dio teso la Potenza che viene da Lui fino al soggetto, per mezzo dello Spirito. E per quale motivo mai, se non perché noi ricevessimo una nozione di Lui? Infatti, come avrebbe potuto l'anima pensare Dio se Egli non l'avesse ispirata e non l'avesse toccata, nella misura del possibile? L'intelletto umano non avrebbe osato salire tanto da cogliere la natura di Dio, se Dio stesso non l'avesse attirato a Sé, nella misura in cui l'intelletto umano poteva essere attirato, e non l'avesse improntato secondo le Potenze suscettibili di essere da Lui conosciute 5 • È chiaro, pertanto, che l''
umano, sarebbe povera cosa, di per sé considerata, se Dio non vi soffiasse il suo Spirito (me:u!L«). Il momento che realizza l'aggancio dell'uomo al divino, per Filone, non è più, come per i Greci, l'anima, neppure la sua parte più a.lta, l'intelletto, ma è lo Spirito che spira direttamente da Dio. Per conseguenza, l'uomo ha una vita che si svolge in tre dimensioni, come sopra si diceva: l) secondo la dimensione fisica puramente animale (corpo), 2) secondo la dimensione razionale (anima-intelletto), 3) secondo la superiore, divina, trascendente dimensione dello Spirito. L'anima-intelletto, di per sé mortale, diventa immortale nella misura in cui Dio le dona il suo Spil'ito ed essa allo Spirito si aggrappa e 5
Leg. aJl.,
I,
36-38.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDlliA
299
secondo lo Spirito vive. Cadono cosl i sostegni su cui Platone aveva cercato di fondare l'immortalità dell'anima. L'anima non è di per sé immortale, ma può diventarlo nella misura in cui sa vivere secondo lo Spirito. Proprio da questa terza dimensione - lo Spirito di Dio -, che deriva direttamente dall'interpretazione della biblica dottrina della creazione, dipendono tutte le cospicue novità che Filone introduce nell'etica. La morale diventa inscindibile dalla fede e dalla religione e sfocia in una vera e propria unione mistica con Dio e in una visione estatica, come ora vedremo 6 •
2. I l supera m e n t o d e 11 'i n t e 11 e t tu a l i s m o e t i c o della filosofia greca e la proclamazione della fede come suprema virtù
Tutta l'etica greca si era basata, come abbiamo con ampiezza visto nel corso di quest'opera, su due fondamentali presupposti: a) l'uomo con la sola potenza della sua ragione può conoscere la physis, l'essere, l'Assoluto,· e, per conseguenza, può ricavare, con la sola ragione, le norme del suo vivere morale, che si fondano sulle stesse leggi della physis; b) la «virtù» o areté umana ha la sua radice nella ragione e nella conoscenza, e, anzi, è conoscenza nel senso che la ragione è intesa come condizione necessaria e sufficiente dell'agire morale. Filone contrappone a queste radicatissime convinzioni dei Greci conce~ioni di segno nettamente opposto. a) La ragione umana non basta per raggiungere la Verità
e quanti ostinatamente si aggrappano ad essa cadono in una • Su questo paragrafo e sui successivi dr. G. Reale, L'itinerario a Dio in Filone di Alessandria, Introduzione a L'erede delle cose divine (cit. a p. 248).
www.scribd.com/Baruhk
.300
LA RI.SCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
forma di superbia atea di cui Caino è simbolo. Non alla ragione umana, ma a Dio si aggrappa il sapiente, con umiltà, e di questo tipo di uomo è simbolo Abele. Leggiamo nel De sacrificiis Abelis et Caini: Vi sono due convinzioni fra loro opposte e in contraddizione: l'una che attribuisce tutto all'intelletto [ = alla ragione umana], come se esso fosse la suprema guida di tutto, nel ragionare, nel sentire, nell'essere in movimento o nell'essere in riposo; l'altra si sottomette a Dio come a quello che è suo Creatore. Simbolo della prima convinzione è Caino, detto «possesso», perché credeva di possedere tutte le cose; dell'altra è simbolo Abele: si spiega, infatti, questo nome come se significasse « colui che riporta tutto a Dio» 7 •
La concezione dell'uomo che pone nella ragione umana la suprema guida è espressa in modo paradigmatico nella dottrina protagorea dell'« uomo misura di tutte le cose», mentre, al contrario, l'altra concezione pone in Dio Creatore la misura di tutto 8 • Del resto, secondo Filone, la lezione da trarsi dallo scetticismo greco è proprio la dimostramone del fallimento della superbia della ragione, ossia delle pretese della ragione medesima di giungere da sola alla Verità, e, quindi, è UtO.a specie di verifica della bontà della convinzione opposta, ossia della necessità di arrivare alla Verità mediante la fede in Dio 9 • L'uomo non giunge alla Verità se la V eriti non viene a lui. Il Dio biblico non solo ha creato il mondo e si è rivelato nelle sue opere, ma ha anche rivelato, ad alcuni direttamente e a tutti tramite questi eletti (i profeti), la propria esistenza. Non solo ha dato le leggi del vivere, stabilendo le leggi della natura, ma ha esplicitato queste leggi, ancora una volta, tramite i profeti da lui ispirati. 7 Sacri/., 2. • Cfr. Poster., .35-.38; Confus., 122-127 (cfr. Leg. all., • Cfr. Ebr., passim.
www.scribd.com/Baruhk
I,
49).
FILONE DI ALESSANDRIA
301
b) La ragione, inoltre, e la conoscenza sono, sl, necessarie per poter operare il bene; tuttavia, esse non sono condizioni sufficienti; occorrono la libertà e la volontà di scegliere il bene e di respingere il male. L'uomo può benissimo conoscere il meglio e attenersi al peggio, appunto perché è stato creato libero di scegliere fra bene e male. Ecco un passo in cui la libertà e la volontà (il libero arbitrio, per dirla con la formula successivamente coniata nel contesto del pensiero cristiano) sono chiaramente affermate come prerogative dell'uomo, e il bene e il male morale e in genere la responsabilità morale sono riallacciati ad esse:
Il Padre creatore ritenne degna della libertà solo la ragione e sciolse i nodi della necessità per affrancarla, donandole quella parte che essa era in grado di ricevere di quel possesso che è a Lui in grado massimo conveniente e proprio, che è la libera volontà ( -rò bcouaLov ). Infatti, gli altri esseri viventi, nelle cui anime non c'è quella parte destinata alla libertà, ossia l'intelletto, sono stati dati, soggiogati e imbrigliati al servizio degli uomini come schiavi ai padroni; invece, l'uomo, avendo ricevuto la facoltà di volere e di operare di sua volontà, compiendo nella maggior parte dei casi azioni libere, a buona ragione ha avuto biasimo per le azioni malvagie che compie con premeditazione e lode per quelle azioni rette che compie di sua spontanea volontà. Per quanto concerne gli altri esseri, piante e animali né sono lodevoli i buoni frutti né biasimevoli i cattivi - perché hanno ricevuto i movimenti e i mutamenti in ambedue i sensi senza sceglierli e senza volerli - solo l'anima umana, che ha ricevuto da Dio il movimento volontario ( rljv ÉxouaLov x!VTJ
Deus, 47 sg.
www.scribd.com/Baruhk
302
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
i filosofi greci hanno faticato a dedurre dall'essere (dalla physis) il dover essere, l'obbligo morale; per Filone, invece, questa deduzione non costituisce più un problema, perché le leggi morali sono un comando di Dio, una volontà che egli impone come creatore, e che, per di più, rivela anche direttamente oltre che indirettamente. E per la prima volta vengono cosl guadagnati tutti gli elementi necessari per spiegare il «peccato», ossia la colpa morale. Il peccato risulta essere non già un errore di ragione, un calcolo mal fatto, bensl una disubbidienza ad un comando, ossia un non volere il volere di Dio. Siamo di fronte ad un vero capovolgimento di prospettiva rispetto al razionalismo morale dei Greci, che dipende, ancora una volta, dal concetto di Dio Creatore e Rivelatore e dalla conseguente nuova concezione dei rapporti sussistenti fra il Creatore e quella creatura privilegiata che è l'uomo. Infine, è da notare come la rottura col razionalismo ellenico comporti l'introduzione di una nuova virtù, quella della fede, che viene posta addirittura al vertice di tutte le virtù. La virtù « teologale » della fede in Dio diviene cosl la « regina delle virtù », e ad essa viene, anzi, ridotta la stessa « sapienza », quella « sapienza » che, per Aristotele, era suprema virtù « dianoetica » 11 • Il nuovo « sapiente » è l'uomo che ha la fede in Dio, che in Lui ripone tutta la sua fiducia, a Lui tutto dona, cercando in tutti i sensi di « seguirlo » e di « imitarlo » 12 • Accanto alla fede emergono la speranza (èÀ7ttç) e l'amore. Si delineano cosl, a poco a poco, quelle che saranno le «virtù teologali » del pensiero cristiano 13 • E in chiave di amore -
" Cfr., soprattutto, Abr., 262-276. 12 Per il tema dell'« assimilazione a Dio» cfr. Spec., IV, 188; Fug., 63; Virt., 168; Opi/., 144. 13 Sulla fede, la speranza e l'amore in Filone cfr. Maddalena, Filone, pp. 381-395.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
303
si noti - Filone definisce la stessa vha immortale: La definizione più bella della vita immortale è questa: essere posseduti da un desiderio e da un amore di Dio non legato a carne e incorporeo 14 •
3. L'itinerario a Dio, l'unione mistica con Lui e l'estasi
·Tutta la filosofia di Filone è, in ultima analisi, un itinerario a Dio e la sua stessa interpretazione allegorica dei personaggi e delle vicende narrate nella Bibbia, come già abbiamo detto, è appunto una storia, di cui quei personaggi e quelle vicende sono simboli, delle tappe percorse dall'anima nel suo itinerario a Dio. In questo itinerario tre sono le tappe fondamentali, all'interno dei quali sono, ulteriormente, distinguibili momenti diversi 15 • l) La prima tappa consiste nell'abbandonare la contemplazione e l'adorazione del cosmo (la mentalità caldaica, come la chiama Filone) per rientrare in se medesimi, al fine di conoscere « se stessi ». Filone considera indubbiamente la «contemplazione del cosmo», se mantenuta in limiti corretti, una forma di sapienza, e, quindi, considera una vita spesa in questo senso superiore alla vita che si disperde nelle faccende e negli affari esteriori; tuttavia, egli ne denuncia i pericoli e l'estrema fragilità. I pericoli consistono nel fatto che essa può portare (e in molti casi ha effettivamente portato) all'oblio del Creatore a beneficio del creato, ossia, potremmo dire, all'assolutizzazione del cosmo stesso. La fragilità della contemplazione del cosmo, anche correttamente praticata, con•• Fug., 58. 15 Cfr. Migr., passim; Heres, passim.
www.scribd.com/Baruhk
304
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
siste nel fatto che il cosmo ci può spingere, sl, a risalire a Dio come a suo Creatore, ma non ci permette di raggiungere l'ulteriore conoscenza del fattivo rapporto di Dio con l'uomo e quindi non permette di realizzare l'unione con Dio. Siamo anche qui di fronte ad una rottura con lo spirito predominante nella filosofia greca, che è in larga misura cosmocentrico. Scriveva Aristotele: Vi sono cose molto più divine dell'uomo per natura, come, per restare alle più visibili, gli astri di cui si compone l'universo. Da ciò che si è detto è chiaro che la sapienza è insieme scienza e intelletto delle cose più eccelse per natura 16 •
Filone finisce col rovesciare questa prospettiva: la cosa più divina per natura, f.ra le cose visibili, cioè create, è l'uomo, che è un vero microcosmo, ed anzi qualcosa di più, dato che, come abbiamo visto, è l'unica creatura che Dio abbia fatto a propria somiglianza, e in cui, addirittura, abbia infuso il suo Spirito. Perciò ben si spiega come la vera via a Dio non passi attraverso il cosmo, ma attraverso l'uomo: Discendete, dunque, dal cielo, e, dopo essere discesi, non tornate nuovamente a far ricerche sulla terra, sul mare, sui fiumi, sulle specie degli animali e delle piante, ma indagate su voi solamente e sulla vostra natura senza prendere altra dimora che voi stessi. Infatti, esaminando a fondo ciò che appartiene alla dimora che vi è propria, ciò che comanda e ciò che obbedisce, ciò che è animato e ciò che è inanimato, ciò che è razionale e ciò che è privo di ragione, ciò che è immortale e ciò che è mortale, ciò che è migliore e ciò che è peggiore, otterrete direttamente una scienza chiara di Dio e delle sue opere 17 • 2) La seconda tappa consiste appunto nella conoscenza di se medesimi, al fine di accertare, dice Filone con verso omerico, « che cosa c'è di bene e di male nel tuo palazzo », ossia in se medesimi. 16
17
Aristotele, Etica Nicomachea, Z 7, 1141 a 34-b 2. Migr., 185.
www.scribd.com/Baruhk
FILONE DI ALESSANDRIA
305
Questa seconda tappa implica una conoscenza a) del nostro corpo, b) dei nostri sensi e c) del nostro linguaggio e il successivo distacco da questi tre domini, che si rivelano ingannevoli. a) Il corpo, infatti, si rivela come una sorta di « prigione infamante », che ha come carcerieri i piaceri e i desideri. b) I sensi ci alienano, per cosl dire, e ci attirano verso gli oggetti delle loro brame, facendoci rinunciare a ciò che è a noi proprio a beneficio di ciò che è a noi esteriore ed estraneo. c) Il linguaggio ci inganna· con la bellezza apparente dei nomi, i quali rischiano di velare, anziché disvelare, la reale bellezza, ossia di presentare l'apparenza invece della realtà, la copia invece degli archetipi 18 • Allontanarsi e distaccarsi da queste tre realtà, evidentemente, non vuoi dire cessare di usarle, cosa che sarebbe possibile solamente con la morte, ma vuoi dire acquistare una « mentalità da straniero » nei loro confronti, ossia distaccarsi da esse col giudizio e porsi con la ragione al di sopra di esse. Vuoi dire, come precisa altresl Filone, riconoscere che esse, in realtà, non sono nostre, ma di Dio, e a Lui offrir! e 19 • 3) La terza tappa consiste nel rifugiarsi nella nostra anima e, insieme, nel rendersi conto che la nostra stessa anima (ossia lo stesso nostro intelletto) deve essere trascesa, giacché, se essa non leva lo sguardo al di sopra di sé, cioè alle realtà incorporee e a Dio, fatalmente si ritrova asservita a qualcosa che è solamente umano e terreno 20 • Ecco un brano molto indicativo: Allo stesso modo in cui tu sei migrato dagli altri luoghi, fuggi ed esci anche da te stesso. Che cosa significa questo? Non serbare il tuo pensiero, la tua ragione e la tua comprensione per te medesimo, offri e dona anche queste cose a Colui che è causa del11 Cfr. Migr., 2-12. " Cfr. Heres, 73. '"' Cfr. Heres, 84.
www.scribd.com/Baruhk
306
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
l'esatto pensare e della comprensione non ingannevole. Questa tua offerta accoglierà il più sacro dei luoghi sacri 21 •
Questa « uscita da sé », ossia dalla stessa anima o intelletto, che è un « donare » il nostro pensiero a chi ne è Causa, coincide con una unione mistica ed estatica con Dio 22 • Il senso di questo itinerario dell'uomo a Dio è chiarissimo: dalla conoscenza del cosmo dobbiamo passare alla conoscenza di noi stessi; ma il momento essenziale cons,iste nel prendere coscienza che noi siamo una nullità: è esattamente nel momento in cui si riconosce il proprio nulla, ossia nel momento in cui si comprende che tutto ciò che abbiamo non è nostro e lo doniamo a chi ce l'ha donato, che Dio si dà a noi. &co tre eloquenti passi: Cosl stanno le cose: colui che ha compreso a fondo se medesimo e grandemente ha disperato, vedendo chiaramente la nullità che è propria di tutte le cose create, e colui che dispera di se medesimo conosce Colui che è 23 • Il momento giusto per la creatura di incontrare il suo Creatore viene allorché essa ha riconosciuto la propria nullità 24 • È la gloria di un'anima straordinariamente grande sorpassare il creato, superare i suoi limiti, stringersi solamente all'increato, secondo i sacri precetti, nei quali è prescritto di « aderire a Lui » (Deut., 30, 20). Perciò, a quelli che si stringono a Lui e lo servono senza interruzione, Egli dona in cambio Se medesimo in eredità 25 •
La vita felice consiste appunto in questo trascendimento dell'umano nel divino, nel « vivere con tutto se stessi per Dio piuttosto che per se medesimi » 26 • Heres, 75. Cfr. Heres, 69-70; 263-265. 23 Somn., I, 60. "' Heres, 30. 25 Congr., 134 . .. Heres, lll. 21
22
www.scribd.com/Baruhk
SEZIONE SECONDA
IL MEDIOPLATONISMO E LA RISCOPERTA DELLA METAFISICA PLATONICA
T'ii cipx1i -rb T~Ào<; E('l) !v -rb &1:i;i, &1:i;i 8'1)ÀOV6n Ti;i rnoupotv(~, !L'Ìl -ri;i !LIÌ d[ot Ò7te:poupotv!~, &<; oÙK àpn'ÌJv El(ct, àf,Ldvwv 8' ia-rl TIXUT'I)<; t. t
ciK6Àou&ov
o~v
i~Of.LOLW&ijVotl
« Il fine che consegue al principio ~ l'assimilarsi al Dio, al Dio celeste, evidentemente, e non, per Zeus, a quello sopraceleste, il quale non ha virtù, ma ~ di essa migliore ». Albino, Didascalico, XXVIII, 3
www.scribd.com/Baruhk
www.scribd.com/Baruhk
I. GENESI, CARATTERISTICHE ED ESPONENTI DEL MEDIOPLA-
TONISMO
l. Le ultime vicende dell'Accademia e le origini del medioplatonismo
Nel precedente volume abbiamo visto come, nel corso della travagliata storia dell'Accademia, siano distinguibili varie fasi, caratterizzate da tendenze speculative di fondo alquanto differenti fra di loro 1 • Già alcuni autori antichi, come sappiamo, nell'arco di tempo che va da Platone ad Antioco di Ascalona, erano giunti a contare ben cinque Accademie: l) quella di Platone e dei suoi primi successori, 2) quella di Arcesilao, 3) quella di Carneade e Clitomaco, 4) quella di Filone di Larissa e di Carmida e, infine, 5) quella di Antioco di Ascalona 2 • Se si tiene conto del fatto che, come abbiamo veduto, Arcesilao e Carneade, malgrado le differenze, furono sostanzialmente Scettici, e che Filone di Larissa, dopo essere stato per molti anni propugnatore di idee scettiche, si spostò su posizioni eclettiche finendo con l'accogliere alcune delle istanze fatte valere dal suo ex-discepolo Antioco, allora le fasi della storia dell'Accademia possono ridursi a tre: l) quella antica, 2) quella nuova o scettica e 3) quella eclettica 3 • È inoltre da rilevare che le tardive e caute concessioni di Filone di Larissa all'eclettismo non furono considerate dai contemporanei come un netto ripudio della posizione scettica neo-accademica, mentre l'eclettismo di Antioco fu considerato 1 2 3
Cfr. vol. m, pp. 529 sgg. Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, Cfr. vol. 111, pp. 83-122; 499-556.
1,
220.
www.scribd.com/Baruhk
310
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
come un vero e proprio dogmatismo. Si comprende, pertanto, come Cicerone - che, come sappiamo, abbracciò le idee di Filone di Larissa, e, a suo modo, cercò di svilupparle - abbia ritenuto di dover prendere, in più di un caso, le dovute caute distanze da Antioco e dai suoi seguaci, denunciando i cedimenti dogmatico-stoici di costoro 4 • È certo, in ogni caso, che Antioco segnò un punto di rottura nella tradizione dell'Accademia scettica; ma è altrettanto certo, come subito vedremo, che con Antioco l'Accademia si esaurì e che la nuova forma di platonismo che si diffuse subito dopo non può essere fatta risalire ad Antioco, né a lui immediatamente riagganciata, come non pochi studiosi hanno erroneament(! creduto 5 • Soffermiamoci, in primo luogo, sulle ultime vicende dell'Accademia a noi note nella prima metà del secolo 1 a.C. Nell'88 a.C. Filone di Larissa lasciò Atene e l'Accademia a causa della guerra mitridatica e si rifugiò a Roma, dove come sembra - restò fino alla morte 6 • Nell'86 a.C. Silla conquistò Atene, e (come già abbiamo rilevato studiando la storia del Peripato) durante l'assedio della città «mise le mani sui boschi sacri e fece tagliare gli alberi dell'Accademia, il più verde dei sobborghi cittadini, nonché quelli del Liceo» 7 • Non solo l'Accademia e i sobborghi furono gravemente danneggiati, ma anche gran parte della città (come le nostre fonti espressamente tramandano); gli Ateniesi furono trucidati in
• Cfr. Cicerone, Acad., passim. 5 Cfr., ad esempio, R. E. Witt, Albinus and the History of Middle Platonism, Cambridge University Press, London 1937 (ristampato ad Amsterdam nel 1971). Si vedano, per contro: G. Invernizzi, Il Didaskalikos di Albino e il medioplatonismo. Saggio di interpretazione storico-filosofica con traduzione e commento del Didaskalikos, 2 voli., Edizioni Abete, Roma 1976, passim; H. DOrrie, Platonica minora, Miinchen 1976. • Cfr. vol. m, p. 537, nota l. 7 Plutarco, Vita di Silla, 12.
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
311
gran numero, e molti, nel generale panico che si diffuse, si suicidarono, temendo una totale distruzione della città stessa 8 • È chiaro che il colpo inflitto da Silla ad Atene dovette essere di tale gravità da rendere impossibile una rapida riparazione dei danni prodotti dalla guerra e quindi impossibili anche la ricostruzione e la riapertura dell'Accademia 9 • È probabilmente questo il motivo per cui Filone di Lal'issa (che a Roma aveva trovato estimatori e seguaci) dovette giudicare inutile ritornare ad Atene, dove non avrebbe potuto avere concrete possibilità di ricostituire la scuola. E come si comportò Antioco? Sappiamo che, dopo essere stato ad Alessandria fra 1'87 e 1'84 a.C., fece ritorno ad Atene,- dove insegnò come Accademico, ma non nell'Accademia, che, per le ragioni sopra illustrate, non poteva in cosl breve tempo essere stata riattivata. In effetti, Cicerone, che nel 79/78 a.C. fu suo uditore ad Atene, riferisce che Antioco
' Plutarco, sempre nella Vita di Silla, 14, scrive testualmente: « La città fu conquistata a partire da quel punto [ = l'accesso al muro dalla parte di Eptacalco], come ricordavano benissimo i vecchi ateniesi. Silla vi fece il suo ingresso verso mezzanotte, dopo che era stato abbattuto e raso al suolo il tratto di mura che si stende fra le porte Piraica e Sacra; e incusse grande spavento agli abitanti. Intorno a lui suonavano a distesa trombe e corni, si udivano le grida di guerra e di vittoria dei soldati, che aveva lasciati liberi di saccheggiare e ammazzare a volontà, e che percorrevano le strade con le spade sguainate in mano. Le persone sgozzate quella notte non si contarono neanche approssimativamente; si può però calcolarne anche oggi il numero immane, osservando il luogo che fu invaso dal sangue: a parte coloro che vennero uccisi nella parte restante della città, il sangue di quelli ammazzati sulla piazza del mercato coprl tutto il quartiere del Ceramico fino al Dipilo; secondo certuni, anzi, straripò addirittura attraverso le porte e inondò i sobborghi. Eppure, se furono tanti i morti uccisi in questa maniera, un numero non inferiore di persone si ammazzò da sé per la compassione e lo strazio di vedere la propria città vicina, pensavano, alla distruzione totale. Questa idea portò i cittadillli migliori a rinunciare e a temere di rimaner in vita, poiché disperarono di poter trovare alcun senso di umanità e modera· zione in Silla [ ... ] ». 9 Analoga sorte, per le medesime ragioni, dovette subire anche il Peripato, come sopra abbi-amo veduto (cfr. pp. 15 sg. e nota 5).
www.scribd.com/Baruhk
312
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
insegnava in un ginnasio chiamato Tolomeo, e che l'Accademia era un luogo ormai quasi abbandonato. Ecco un passo dello stesso Cicerone molto istruttivo al riguardo: Ero stato- come al solito- o Bruto, a sentire Antioco insieme a Marco Pisone al ginnasio chiamato Tolomeo, e c'erano con noi mio fratello Quinto, Tito Pomponio e Lucio Cicerone, che per parentela mi è cugino da parte paterna ma per affetto mi è caro come un fratello. Combinammo di fare la passeggiata pomeridiana nell'Accademia, soprattutto perché tale posto a quell'ora era sgombro di gente. Pertanto ci trovammo tutti da Pisone all'ora fissata. Di Il percorremmo in vario conversare i sei stadi che ci sono partendo da porta Dfpilo. Quando giungemmo alla zona dell'Accademia non senza motivo celebrata, c'era appunto la solitudine che noi desideravamo. Allora Pisone disse: «Debbo attribuire ad un fenomeno naturale oppure ad un errore il fatto che, quando arriviamo nei luoghi che sappiamo essere stati frequentati da uomini degni di memoria, proviamo un'impressione maggiore che quando per caso sentiamo parlare delle loro azioni o ne leggiamo qualche scritto? Per esempio, adesso io sono commosso. Mi viene in mente Platone che a quanto si tramanda fu il primo solito a discutere qui, e quei giardinetti qui vicino non solo me lo fan ricordare ma par che me lo portino dinanzi agli occhi. Qui stava Speusippo, qui Senocrate, qui il suo scolaro Polemone che si sedeva proprio in quel posto che vediamo [ ... ] » 10 •
Dunque, nel 79/78 a.C. l'Accademia era ormai una meta di pellegrinaggio spirituale, per cosl dire, in cui si evocavano le ombre del passato. Ben si spiega, pertanto, il fatto. che le nostre fonti ci dicano che Antioco sia stato discepolo di Filone di Larissa e quindi Accademico, ma che non ci dicano che sia stato « scolarca » dell'Accademia. Infatti, egli non poté essere scolarca come Io eranÒ stati i suoi predecessori, perché l'Accademia come scuola e come istituzione nel senso tradizionale non esisteva più ed egli, quindi, non poteva essere se non l'erede e il capo spirituale del pensiero nato e sviluppatosi in quella scuola. Antioco (che, come abbiamo già ricordato, morl
° Cicerone,
1
De finibus, v, l, 1-2.
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
313
in Siria intorno al 60 a.C.) lasciò come erede della sua scuola il fratello Aristo 11 • E, verosimilmente, proprio con Aristo si spense anche questa spirituale sopravvivenza ateniese dell'Accademia. Infatti, in questo periodo, noi non abbiamo più espresse menzioni di scolarchi dell'Accademia, e, nel secolo successivo, abbiamo addirittura una testimonianza esplicita di Seneca, il quale ci riferisce testualmente:
Gli Accademici sia vecchi sia nuovi hanno cessato di avere un capo 12 • Ed eccoci giunti al punto al quale volevamo approdare. Mentre in Atene l'Accademia moriva, fuori di Atene, precisamente ad Alessandria, il platonismo rinasceva con caratteri in gran parte diversi rispetto al dogmatismo eclettico-stoicizzante di Antioco e guadagnava terreno. Come già sopra abbiamo anticipato, Eudoro di Alessandria, che visse probabilmente nella seconda metà del I secolo a.C., è il primo esponente che conosciamo di questa nuova tendenza del platonismo (ma non è improbabile che già altri, ancor prima di Eudoro, avessero cercato di incamminarsi per questa via) 13 • È certo, in ogni caso, che, a partire dalla seconda metà del I secolo a.C., il platonismo lentamente, ma progressivamente e costantemente, continuò a diffondersi e ad accrescere la propria consistenza ed incidenza, fino a culminare nella grande sintesi plotiniana che maturò nel III secolo d.C. e che aprl un nuovo corso aJ pensiero sia pagano sia cristiano. Orbene, la grande sintesi plotiniana (e la corrente di pensiero da essa generata) è stata denominata, e giustamente, « neoplatonismo ». In quale modo, allora, dovrà denominarsi " Cfr. Index Academicorum, col. xxxv, p. 110 Mekler; Cicerone, Brutus, 97, 332; Acad. post., 1, 3, 12; De finibus, v, 3, 8; Tuscul., v, 8, 21. " Seneca, Natura/es quaestiones, vn, 32, 2: « Academici et veteres et minores nullum antistitem reliquerunt ». " Cfr., più avanti, pp. 319 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
314
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
tutto quel tratto di storia del platonismo che va, appunto, dalla seconda metà del 1 secolo a.C. a tutto il n secolo d.C.? Denominarlo semplicemente « platonismo », come fino allo scorso secolo si è fatto, non è corretto, perché non si tratta né di una semplice ripetizione di Platone, né delle dottrine dell'antica Accademia. Infatti nei Platonici di questo periodo sono ben visibili i tentativi di ripensare in modo originale dottrine platoniche; e si tratta di tentativi che, in certi casi, giungono a precisi guadagni che preludono al pensiero di Platino; oppure preparano quel terreno su cui nascerà il neoplatonismo, concorrendo a creare quella temperie spirituale in cui esso crescerà. Bisogna peraltro riconoscere che ci troviamo di fronte ad un pensiero non sempre unitario, spesso incerto, e, talora, addirittura contraddittorio: un pensiero in cui vecchio e nuovo variamente si intrecciano, senza mai giungere ad una sintesi esauriente. Insomma, il platonismo di questo periodo ha caratteri che stanno, per così dire, a mezza strada fra l'antico platonismo di Platone e dei suoi immediati seguaci e il neoplatonismo di Platino e dei suoi seguaci. Pertanto il termine « medioplatonismo », che significa, appunto, platonismo che sta a mezzo fra il vecchio e il nuovo, è da ritenersi giustificato e perfettamente adeguato, come subito vedremo in modo part>icolareggiato 14 •
•• Il merito maggiore nell'avere contribuito ad imporre il termine « medioplatonismo » spetta a K. Praechter, il quale ha studiato in una serie
di articoli e saggi i filosofi e i problemi relativi a questa corrente di pensiero e, soprattutto, ha fornito una buona panoramica nella sua Die Philosophie des Altertums (volume I della celebre Grundriss der Geschichte der Philosophie di F. Ueberweg), pp. 524-556. Il Praechter aveva anche programmato una sistematica raccolta dei frammenti, che, purtroppo, n<>n realizzò. Il difetto dei lavori del Praechter consiste nel taglio prevalentemente filologico, che non sempre permette di giungere al nocciolo filosofico dei problemi (daremo l'elenco di questi studi nella bibliografia finale). Lo Zeller, su questo punto, offre una trattazione alquanto disordinata e anodina (cfr. Die Philosophie der Griechen, III, l, pp. 831-845; III, 2, pp. 175-254), mancandogli, appunto, quel concetto di « medioplatonismo », che, solo, gli avrebbe per-
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
2. C ara t t eristiche nismo
genera l i
del
m e d i o p l a t o-
a) Il tratto p m tlptco del medioplatonismo, vale a dire il tratto che costituisce il minimo comune denominatore del pensiero di tutti i suoi esponenti, quasi senza eccezione, consiste in quello che, rifacendoci alla ben nota immagine platonica, potremmo chiamare la ripresa della « seconda navigazione » con il ricupero dei suoi esiti essenziaH, nonché delle principali conseguenze da questi scaturite. Il medioplatonismo, insomma, ricupera il soprasensibile, l'immateriale ed il trascendente e rompe nettamente i ponti con il materialismo dominante ormai da molto tempo. Il fondamento del sensibile e del corporeo viene nuovamente indicato nel soprasensibile e nell'immateriale, o meglio nell'incorporeo, e la componente metafisico-teologica della filosofia (proprio nel senso platonicoaristotelico) non solo viene fatta riemergere, ma viene posta in primo piano. A nostro avviso, è precisamente questa la caratteristica che non solo garantisce un posto di non scarso rilievo nella storia del pensiero antico ai Medioplatonici, ma che assicura altresì l'unità alle varie tendenze da essi rappresentate, ossia quell'unità che molti studiosi o non hanno ben individuato, o che hanno, addirittura, negato. I testi che riporteremo più avanti dimostreranno chiaramente questo nostro asserto. (È opportuno rilevare ancora, a questo proposito, che lo stesso Filone di Alessandria dovette desumere il concetto di « incorporeo », che non è presente nella Bibbia, proprio dall'incipiente medioplatonismo alessandrino) 15 • messo di vedere sinteticamente e unitariamente quei pensatori che presenta in modo rapsodico. Egli parla di « commentatori platonici » e di « Platonici pitagoreggianti » e li tratta in volumi separati; poi, accanto ad essi, ripresenta gli aspetti e le tematiche platoneggianti degli Stoici dell'età imperiale (cfr. 111, 2, pp. 706-791), dei quali, analogamente, s'era già occupato a fondo nel precedente volume (111, l, pp. 254-261). " Cfr., sopra, pp. 268 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
316
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
b) Logica conseguenza di questa ripresa della « seconda navigazione » fu la riproposta della teoria delle Idee, che, come sappiamo, rappresenta l'esito più significativo di quella. I Medioplatonici, anzi, non solo ripresero questa dottrina, ma (almeno alcuni di essi) la ripensarono a fondo, cercando di integrare la posizione assunta da Platone al riguardo con quella aristotelica. Albino e il suo circolo, come vedremo, considerarono le Idee nel loro aspetto trascendente come pensieri di Dio (il mondo dell'intelligibile venne identificato con l'attività e con il contenuto della suprema intelligenza), e nel loro aspetto immanente come «forme» delle cose. Alla trasformazione della teoria delle Idee si accompagnò, per logica conseguenza, una parallela trasformazione della concezione dell'intera struttura del mondo dell'incorporeo, con esiti che, come vedremo, chiaramente preludono al neoplatonismo 16 •
c) Il testo che i Medioplatonici considerarono punto di riferimento e dal quale desunsero lo schema stesso per il ripensamento della dottrina platonica fu il Timeo. In effetti, nel difficile compito di ridurre la filosofia platonica a sistema e nel tentare una sintesi di essa, il Timeo era il dialogo che offriva la trama di gran lunga più solida. È interessante rilevare, a questo proposito, come i Medioplatonici abbiano seguito di preferenza un metodo opposto a quello dei Peripatetici di questa età (da Andronico ad Alessandro): infatti, i primi ritennero che il modo migliore di comprendere Platone fosse quello di compendiarlo, i secondi, invece, ritennero che il miglior modo di comprendere Aristotele fosse quello di commentarlo. Sicché, mentre il commentario prevalse quasi esclusivamente fra gli Aristotelici 17, il compendio, come sembra, prevalse invece fra i Medioplatonici, anche se non pochi, 16 17
Cfr., più avanti, pp. 336 sgg. e 341 sgg. Cfr., sopra, pp. 23 sgg.~ 30 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
317
specie nel n secolo d.C., sembrano essere stati i commentari dedicati a singoli dialoghi. Il Didascalico di Albino, pervenutoci per intero, è, anche da questo punto di vista, un documento paradigmatico 18 • d) La « dottrina dei principi » del Platone esoterico, ossia la dottrina dell'Uno (it'V) e della Diade, venne in parte ripresa, ma rimase piuttosto sullo sfondo. Ben altra importanza, come vedremo, essa ebbe nell'ambito del parallelo movimento neopitagorico. Questo era inevitabile, dato che l'impianto del Timeo sembrava lasciare poco spazio alla dottrina della Monade e della Diade. D'altra parte la dottrina della Monade e della Diade e la connessa teoria delle Idee-numeri, come abbiamo veduto, in Platone doveva spiegare la derivazione delle Idee e dell'intero mondo ideale; ma i Medioplatonici, una volta operata la riduzione del.le Idee a pensieri di Dio, non avevano più bisogno di dedurle e di giustificarle in altro modo, come meglio vedremo più avanti 19 •
e) Il sentimento reLigioso, che, in alcuni, raggiunse punte di vero e proprio misticismo, portò i Medioplatonici a dare un notevole rilievo alla dottrina dei Demoni, antica quanto il pensiero greco, cara agli Orfici e ai Presocratici che si erano ispirati all'orfismo, cara a Platone e cara alla stessa Stoa. La accentuazione della trascendenza di Dio e del divino rispetto all'uomo e al mondo fisico rendeva necessari dei «mediatori», e appunto come di mediatori fra Dio e uomo i Medioplatonici si avvalsero dei Demoni. Inoltre dei Demoni essi si avvalsero anche per giustificare le credenze pagane. Infine, i forti interessi religiosi spinsero alcuni a rivalutare la sapienza orientale in generale e, come si riscontra negli scritti di Plutarco, in particolare quella egiziana 20 • " Cfr. Invernizzi, Il Didaskalikos ... , passim. 19 Cfr., più avanti, pp. 336-340. "' Cfr., più avanti, pp. 353 sg.
www.scribd.com/Baruhk
318
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
f) Anche per i Medioplatonici, cosl come per i filosofi della precedente età, il problema etico restò preminente, ma venne riproposto e fondato in modo nuovo. Per tutte le scuole ellenistiche la parola d'ordine era stata: « segui la natura (physis) », e questa natura era stata intesa in modo materialistico e immanentistico. La nuova parola d'ordine dei Medioplatonici fu invece: « segui Dio », « assimilati a Dio », « imita Dio ». La riscoperta della trascendenza doveva, logicamente, modificare, a poco a poco, tutta la visione della vita proposta dall'età ellenistica. Appunto nell'assimilazione al divino trascendente e incorporeo i Medioplatonici, concordemente, riconobbero l'autentica cifra della vita morale 21 • g) Sulla base di quanto s'è detto, risulta evidente l'impos-
sibilità di agganciare direttamente il medioplatonismo ad Antioco, contrariamente a quanto molti studiosi hanno invece creduto. È vero che tanto Antioco quanto i Medioplatonici tornarono al « dogmatismo » e che sia l'uno che gli altri tentarono una mediazione fra il platonismo, l'aristotelismo e lo stoicismo, ma è altrettanto vero che i risultati di questi tentativi sono assai diversi. Quello di Antioco è un dogmatismo eclettico senza anima; anzi, nelle sue linee di forza, esso è addirittura uno stoicismo 22 • Per contro, il pensiero medioplatonico, pur accogliendo elementi di varia estrazione, ha un fondamento unitario squisitamente platonico, che consiste, come s'è detto, appunto nella riscoperta dell'incorporeo. Il ricupero della dimensione della trascendenza, con tutti i corollari ad essa connessi a tutti i livelli, costituisce una linea di demarcazione ben precisa fra il dogmatismo di Antioco e il medioplatonismo. Non, dunque, da Antioco, ma, al contrario, da un rovesciamento di quella mentalità che ispirava la filosofia di Antioco nacque il medioplatonismo. " Cfr., più avanti, pp. 355 sgg. 22 Cfr. vol. m, pp. 537-542.
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
3.
319
Esponenti e tendenze del medioplatonismo
I primi nomi di Medioplatonici, come abbiamo più volte già detto, risalgono alla seèonda metà del I secolo a.C., e sono Dercillide 23 e, soprattutto, Eudoro di Alessandria 24 • Da quanto abbiamo sopra detto circa l'esaurimento dell'Accademia ad Atene e da quanto abbiamo già avuto modo di rilevare parlando di Filone Ebreo, è possibile trarre una conclusione abbastanza precisa: il medioplatonismo dovette nascere non ad Atene ma ad Alessandria, dato che in questa città, prima che altrove, il forte senso religioso e le istanze mistiche, sorte per influsso dell'Oriente, portarono al ricupero delle dimensioni dell'incorporeo e della trascendenza che le grandi filosofie ellenistiche avevano perduto 25 • Da Alessandria il medioplatonismo si diffuse tosto in Occidente e fiorl soprattutto nel n secolo d.C.
" Dercillide, come ci informa Simplicio (In Arist. Phys., 247, 31 sg.), compose un'opera sulla filosofia platonica, di cui conosciamo molto poco. " Che Eudoro sia da collocare nella seconda metà del I secolo a.C. lo si desume soprattutto da Strabone (nato nel 63 a.C. e morto nel 21 d.C. circa), il quale lo presenta come suo contemporaneo (XVII, l, 5, 790). Alcuni studiosi congetturano che sia stato uditore di Antioco di Ascalona, allorché questi insegnò ad Alessandria. Sicuri sono invece i suoi rapporti con Aristone (sul quale si veda, sopra, pp. 9 sgg.), che fu legato, per un certo tempo, ad Antioco e che poi passò all'aristotelismo (cfr. Strabone, loc. cit.). Dai pochi frammenti pervenutici, tuttavia, è evidente la distanza che separa Eudoro dallo stoicizzante Antioco. Eudoro si occupò dei Pitagorici, del Timeo platonico e della Metafisica aristotelica. Gli studiosi ritengono che egli tendesse a rileggere Platone (secondo una tradizione che del resto si riallacciava alle « dottrine non scritte » e alla più antica Accademia) in chiave pitagoreggiante, in particolare cercando di dedurre la realtà da un Uno supremo. Si veda: H. DOrrie, Der platoniker Eudoros von Alexandreia, in « Hermes », 79 (1944), pp. 25-39, ora in Platonica minora, pp. 297 sgg. e Moraux, Der Aristotelismus... , vol. II, pp. 509-527. Tutti i frammenti sono stati pubblicati da C. Mazzarelli, Raccolta e interpretazione delle testimonianze e dei frammenti del medioplatonico Eudoro di Alessandria, in «Rivista di Filosofia neo-scolastica», 78 (1985), pp. 197-209 e 535-555. " Cfr., sopra, pp. 249 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
320
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Nella prima metà del I secolo d.C. si colloca l'attività di Trasillo, al cui nome è legata la divisione dei dialoghi platonici in tetralogie 26 • Nel I secolo d.C. visse anche Onasandro 71 • A cavaliere fra il I e il n secolo d.C. si colloca Plutarco 28 , 26 Trasillo (forse nativo di Rodi) fu astrologo di corte di Tiberio (dr., per esempio, Tacito, Ann., VI, 20). Mori nel 36 d.C. (cfr. Dione Cassio, LVIII, 27). Sulla divisione dei dialoghi platonici in tetralogie a lui attribuita, cfr. Diogene Laerzio, III, 56 sgg.; Albino, Prologo, 4. Porfirio (Vita di Plotino, 20) lo ricorda (insieme a Numenio, Cronio e Moderato) fra i filosofi che professavano « principi platonici e pitagorici ». 27 Suda (s.v.) lo ricorda come autore di un commentario alla Repubblica platonica, che è andato perduto. 28 Plutarco è una delle figure più significative del medioplatonismo. Nacque a Cheronea verso la metà del I secolo d.C. e mori, probabilmente, nel terzo decennio del n secolo d.C. (si vedano i documenti con la relativa discussione in' K. Ziegler, Plutarchos von Chaironeia, nella Realenzyclopiidie der classischen Altertumswissenschaft, Pauly-Wissowa-Kroll, XXI, l [1951], ooll. 636-962, tradotto in lingua italiana da M. R. Zancan Rinaldini e curato da B. Zucchelli, Paideia, Brescia 1965; citeremo da questa traduzione). Le condizioni molto agiate della sua famiglia gli permisero di recarsi ad Atene a compiere i suoi studi, dove l'incontro con il platonico Ammonio fu decisivo. A questo maestro egli deve l'iniziazione alla matematica, alla filosofia e alla religione egiziana. (Ammonio è presentato come interlocutore in De E ap. Delph., e in De def. orac.; dr. anche Quaest. conv., III, 2). Plutarco visitò inoltre Alessandria (cfr. Quaest. conv., v, 5, l, 678 c) e si recò, specie per incarichi politici affidatigli dalla sua città natale, più volte a Roma. La sua attività di insegnamento si svolse soprattutto a Cheronea, nell'ambito di una ristretta cerchia: «Giustamente s'è parlato - scrive Ziegler, Plutarco, p. 38 - di una semplice accademia privata e familiare, che Plutaroo non aveva creata di proposito, ma che piuttosto s'era venuta formando quasi spontaneamente intorno alla sua persona ». Plutarco scrisse moltissimo. Un antico catalogo (il cosiddetto catalogo di Lampria) elenca 227 opere (delle quali 83 ci sono pervenute), ma è incompleto, dato che ci sono pervenute ben 18 opere che in quel catalogo non sono menzionate e inoltre, per tradizione indiretta, conosciamo altre 15 opere pure non menzionate in quel catalogo. Gli argomenti di questi scritti vanno dalla filosofia in senso lato, alla religione, alla scienza, alla politica, alla retorica, all'esegesi letteraria, alla biografia. Le opere pervenuteci sono state distinte in due grandi gruppi: le celebri Vite parallele, da un lato, e i Moralia dall'altro. Il titolo Moralia si giustifica abbastanza bene, dato che l'antichità lesse di preferenza e quindi ci tramandò, oltre alle Vite, gli scritti di carattere filosofico-popolare dedicati, in prevalenza, appunto a tematiche morali. ~ da notare che gli scritti filosofici di carattere non divulgativo sono andati quasi tutti perduti, e che è dunque
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
321
discepolo dell'egiziano Ammonio, il quale aveva costituito ad Atene un circolo di Platonici 29 • A Plutarco fu legato Calvisio Tauro 30, maestro di Erode Attico 31 e di Aulo Gellio 32 • Nella prima metà del II seçolo d.C. visse Gaio 33 , alla cui scuola si ingiusto tacciare Plutarco, come qualcuno ha fatto, di superficialità, dato, appunto, che gli scritti in base ai quali lo giudichiamo non sono quelli in cui egli andò a fondo dei problemi, per precise ragioni programmatiche. Le oitarzioni dalle sue opere sono fatte sulla base della edi2ione dello Xilander (Venezia 1560), riportate in margine a:lle successive edizioni (si vedano le indicazioni che diamo nel vol. v). Ci sono buone e recenti traduzioni italiane delle Vite parallele (cfr. ad esempio quella di C. Carena, Einaudi, Torino 1958; Mondadori, Milano 1965). Anche dei Moralia sono in corso nuove traduzioni, aggiornate sulla base delle più recenti acquisizioni filologiche ed esegetiche. V. Cilento nel 1962 ha presentato quattro dei più &ignificarivi di questi scritti in edizione bilingue: Plutarco, Diatriba isiaca e Dialoghi del/ici, testo e versione di I si de e Osiride, La E delfica, I responsi della Pizia, Il tramonto degli oracoli, Sansoni, Firenze 1962 (nel testo abbiamo riportato questa traduzione, molto accurata). M. Baldassarri ha tradotto e commentato gli scritti contro la Stoa: Gli opuscoli contro gli Stoici, 2 voli., Pubblicazioni di Verifiche, Trento 1976. L'Editore Adelphi, a partire dal 1982, ha iniziato la pubblicazione di una scelta dei principali trattati, a cura di vari traduttori, sotto la direzione di D. Del Corno; la serie si è aperta con la traduzione di Il demone di Socrate e di I ritardi della punizione divina. Ulteriori indicazioni si vedranno nel vol. v, pp. 493-499. 29 Dalle testimonianze di Plutarco risulta che, fra l'altro, Ammonio dovette essere stato uno dei più autorevoli cittadini areniesi del suo tempo (cfr. Quaest. conv., VIII, 3, 721 d sgg. e IX, l, 736d). "' Calvisio Tauro fu di alcuni anni più giovane di Plutarco, e sembra che sia stato suo discepolo (dr. Aulo Gellio, Noct. Att., I, 26, 4). Egli polemizzò contro gli Epicurei e contro gLi Stoici, e, probabilmente, anche contro coloro che tentavano di operare una mediazione fra Platone e Aristotele, dato che scrisse un'opera sulla differenza sussistente fra le dottrine di questi due filosofi (dr. Aulo Gellio, Noct. Att., IX, 5, 8; XII, 5, 5; Suda, s.v. Tauro). Sembra che abbia scritto, fra l'altro, un commento al Gorgia e un trattato (il cui titolo è già di per sé molto significacivo) Sulle realtà corporee e incorporee. " Cfr. Aulo Gellio, Noct. Att., I, 2, passim; IX, 2, passim; XVIII, 10, l; XIX, 12, passim. " l legami di Gellio con Calvisio Tauro risultano evidenti da quanto si legge, ad esempio, in Noct. Att., I, 9, 8; x, 19; XVII, 20, 4-5. :a Gaio, secondo la testimonianza di Proclo (In Plat. Remp., n, 96, 11 sgg. Kroll), fu uno dei più illustri Platonici. Questo è oonkrmato anche
www.scribd.com/Baruhk
322
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
collegano, come sembra, Albino 34 , Apuleio 35 , nonché- fra gli
dal fatto che Plotino faceva leziOne sui suoi commentari (cfr. Porfirio, Vita di Plotino, 14). Di lui sappiamo pochissimo. I suoi commentari alla dottrina platonica vennero pubblicati da Albino (vedi nota seguente), come si desume dall'indice del codice Parisinus Gr. 1962. Tutte le testimonianze su Gaio sono state attentamente studiate dal Praechter, Zum Platoniker Gaios, in « Hermes », 51 (1916), pp. 510-529. Cercare di ricostruire le dottrine di Gaio sulla base delle concordanze sussistenti fra Albino e Apuleio, che si spiegherebbero appunto, secondo alcuni, supponendo Gaio come fonte comune (cfr. T. Sinko, De Apulei et Albini doctrinae Platonicae adumbratione, Cracoviae 1905), è indubbiamente pretesa aleatoria. Tuttavia si peccherebbe di eccesso opposto se si volessero negare i legami sussistenti fra Gaio e Albino, che le nostre fonti in vario modo attestano, da un lato, e le aflin.ità dottrinali riscontrabili fra Albino, Apuleio e l'Anonimo del Commentario al Teeteto, dall'altro. Non sembra, dunque, fuori luogo parlare di «scuola di Gaio», o di « circolo di Gaio» o di « gruppo di Gaio », dando però a queste espressioni il significato più lato. 34 Un punto airuro per la ricostruzione della cronologia e della biografia di Albino ci è offerto dal celebre Galeno, il quale ci dice di essersi recato a Smime per udire le lezioni del «platonico» Albino nel 151/152 d.C. (De libr. propr., 2, p. 16 Kiihn =p. 97, 6 sgg. Miiller). A quest'epoca, dunque, Albino era un maestro rinomato al punto da richiemare a sé un Galeno. Dovette pertanto essere nato ~rso la fine del 1 secolo o agli inizi del 11. Sappiamo inoltre (cfr. nota precedente) che egli pubblicò le lezioni di Gaio, dal che è lecito desumere che probabilmente fu allievo di questi. Dei suoi scritti due ci sono pervenuti: il Prologo e il Didascalico, che è una sintesi delle dottrine di Platone. Per la verità, quest'ultimo scllitto ci è pervenuto sotto il nome di Alcinoo, ma J. Freudenthal (Der Platoniker Albinos und der. falsche Alkinoos, Hellenistische Studien 11, Betlin 1879) ha dimostrato che Alcinoo non è se non una corruzione grafica di Albino. (Di recente il Giusta ha rimesso in discussione questa tesi, che era divenuta ormai opinione accolta da tuM.i gli studiosi, in Albinou Epitomé o Alkin6ou Didaskalik6s?, in «Atti dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», 95 [1960-1961], pp. 167-194, ma con argomenti non convincenti [cfr. C. Mazzarelli, «Rivista di Filosofia neo-scolastica», 1980, pp. 606-619]; è da rilevare- tra l'altro- che l'unico Alcinoo di questo periodo di cui è pervenuta memoria è un oscuro Stoico, al quale, quindi, in nessun caso le dottrine del Didascalico sono attribuibiH). Di recente E. Orth ha tentato di attribuire ad Albino anche l'opera anllistoica De qualitatibus incorporeis, pervenutaci fra le opere di Galeno, ma giudicata da tempo come non autentica; cfr. Les oeuvres d'Albinos le Platonicie", in« L'Antiquité Qassique », 16 (1947), pp. 113-114. Il Prologo e il Didaskalikos sono stati pubblicati da C. Hermann nel 1853 in appendice alle Opere di Platone delle
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
323
altri - l'anonimo autore di un commentario al Teeteto (che ci è parzialmente pervenuto e che è di non scarsointeresse) 36 •
edizioni Teubner, vol. VI, pp. 147-189; il Didaskalikos è stato ripubblicato, con introduzione, traduzione francese e note, da P. Louis: Albinos, Épitomé, Paris 1945. Una buona edizione critica dello scritto Sull'incorporeità delle qualità, con traduzione italiana e note, è stata di recente curata da M. Giusta, L'opuscolo pseudogalenico 6-n otl no,6nruç liaw(LotTOL, Accademia delle Scienze, Torino 1976. Cfr. Moraux, Der Aristotelismus ... , vol. II, pp. 4-11--180. 35 Apuleio nacque a Madaura nella prima metà del" II secolo d.C. Gli studiosi in
www.scribd.com/Baruhk
324
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Al n secolo d.C. appartennero anche Teone di Smirne 37 , Nigrino (reso famoso da Luciano) 38 , Nicostrato 39 , Attico .oto, 37 Teone di Smirne (vissuto al tempo dell'imperatore Adriano) sviluppò soprattutto l'aspetto matematico del platonismo, nell'opera Quello che nelle matematiche è utile per una lettura di Platone, mettendo in rilievo l'aspetto purificatorio, morale e religioso delle matematiche. In Teone sono quindi particolarmente sensibili gli influssi del pitagorismo. La Expositio rerum mathematicarum ad legendum Platonem utilium è stata pubblicata da E. Hiller, Leipzig 1878, e, con traduzione francese, da J. Dupuis, Paris 1892. 38 Su Nigrino siamo informati solo da Luciano, il quale gli dedica uno scritto, che porta appunto il nome del filosofo. Nigrino visse a Roma, conducendo una vita morigeratissima e insegnando filosofia. Luciano lo presenta come severo critico dei costumi di Roma, e, fra l'altro, gli fa dire quanto segue: « Quand'io la prima volta tornai dalla Grecia, avvicinandomi a questa città [scil.: Roma], sostai, e domandai a me stesso perché ci ritornavo, dicendo quelle parole d'Omero [ Odissea, XI, 93 sg.]: "0 sfortunato, perché lasci il caro lume del sole" la Grecia con quella cara felicità e libertà, e vieni qui a vedere tanto tumulto, e calunnie, e superbe salutazioni e banchetti, e adulatori, e sicari, ed aspettazioni di eredità, ed amicizie finte? Che hai risoluto di fare, non potendo né fuggire, né adattarti a questi costumi? - Cosl ripensando, e, come Ettore aiutato da Giove, ritraendomi fuori dal tiro dei dardi "Dalla strage, dai dardi, e dalla mischia" [Iliade, XI, 163 sg.], deliberai di rimanere in casa per il resto dei miei giorni; e sceltami questa vita, che a molti pare timida, e molle, io mi sto a ragionare con la filosofia, con Platone, con la verità. E messomi qui, come in un teatro di innumerevoli persone, io dall'alto guardo le cose che avvengono, delle quali alcune mi danno spasso e riso, ed alcune ancora mi provano qual uomo è veramente forte» (Nigrino, 17 sg.). Che Nigrino, come qualcuno ha pensato, sia un personaggio inventato dalla fantasia di Luciano è poco verosimile. ! indubbio, invece, che sul pensiero filosofico di Nigrino da Luciano si ricava poco e che i toni in pute stoici e in parte cinici delle riflessioni messe in bocca a questo ~filosofo platonico» (Nigrino, 2) possono essere dovuti alla particolare angolazione con cui Luciano recepiva la problematica filosofica. " Nicostrato fiorì nella seconda metà del II secolo d.C. Sulla figur,l di questo Medioplatonico resta fondamentale l'articolo di K. Praechter, Nikostratos der Platoniker, in « Hermes », 57 (1922), pp. 481-517, che studia e commenta quanto su di lui ci è stato tramandato. Nicostrato merita un posto particolare nella storia del medioplatonismo per la sua serrata critica contro la dottrina delle Categorie di Aristotele. Egli rileva, tra l'altro, che il sistema aristotelico delle categorie non tiene conto della sfera degli enti intelligibili (cfr. Simplicio, In Arist. Categ., l, 9 sgg.; 73, 15 sgg.; 76, 14 sgg.), anticipando Plotino. Sul suo pensiero cfr. Moraux, Der Aristotelismus..., vol. II, pp. 528-563. " Attico visse nella seconda metà del II secolo d.C. Sincello (Chrono-
www.scribd.com/Baruhk
325
IL MEDIOPLATONISMO
Arpocrazione 4 \
Celso 42 , il retore Massimo di Tiro 43 e
graphia, 666, 11 sgg. Dindorf) ci informa che il nostro filosofo fu celebre nella 239' Olimpiade, ossia nel 176-180 d.C. Attico fu uno dei più apprezzati ·interpreti di Platone. La sua produzione letteraria dovette essere ricca. L'opera più nota doveva essere quella di cui Eusebio ci ha conservato ampi frammenti, dal titolo: Contro coloro che si ripromettono di interpretare Platone mediante Aristotele. Fu un accanito difensore della dottrina di Platone e fiero avversario di Aristotele (non per questo, però, il suo pensiero è «ortodosso», anche se non sono certamente giuste le critiche di coloro che lo giudicavano uno stoico mascherato da platonico (dr. l'anonimo commentario all'Etica a Nicomaco di Aristotele pubblicato a cura di G. Heylbut nel vol. xx dei «Commentarla in Aristotelem Graeca », p. 248, 25 sg.). Plotino lesse i suoi scritti nelle proprie lezioni (dr. Porfirio, Vita di Plotino, 14). Eusebio di Cesarea lo apprezzò e lo utilizzò largamente. Anche Proclo lo cita di frequente, nel suo commentario al Timeo. Una buona edizione critica dei frammenti di Attico, con traduzione francese e note, è stata di recente curata da E. des Places: Atticus, Fragments, Paris 1977 (traduzione italiana in G. Martano, Due precursori del neoplatonismo, Napoli s.d., pp. 23-61, nelle note). Cfr. anche Moraux, Der Aristotelismus ... , vol. 11, pp. 564-582. •• Arpocrazione nacque ad Argo e fu discepolo di Attico (dr. Proclo, In Plat. Tim., I, p. 305, 6 sg. Diehl). Stando alle notizie forniteci in Suda (s.v.) avrebbe composto Commentari a Platone in 24 libri, nonché un Lessico platonico in due libri. Fu fortemente influenzato, oltre che da Attico, da Numenio, sia per quanto concerne la dottrina delle ipostasi (dr. Proclo, In Plat. Tim., I, p. 304, 22 sgg. Diehl), sia per quanto concerne l'etica (dr. Stobeo, Anthol., I, p. 375, 14 sgg; p. 380, 14 sgg. Wachsmuth). "" Celso è diventato famoso soprattutto per il fatto che, per primo, scrisse un'opera dil'etta contro i Cristiani, dal titolo Discorso vero, con l'intento di confutare la nuova visione del mondo che questi diffondevano e per riaffermare la validità della visione del mondo dell'antichità, in modo particolare di quella platonica. Come è noto, Origene confutò nello scritto Contra Celsum le tesi sostenute dal Discorso vero in modo analitico e puntuale, tanto che da Origene è possibile ricostruire le linee essenziali dello scritto di Celso, andato perduto. Gli studiosi, sulla base di Origene, Contra Cels., VIII, 68 sgg., congetturano che Celso abbia composto la sua opera negli ultimi anni del regno di Marco Aurelio, ossia intorno al 177/179 d.C. Le categorie filosofiche di cui Celso si avvale non sono solo genericamente platonkhe, ma specificamente medioplatoniche. Una ricostruzione del Discorso vero in edizione critica è stata curata da O. Gl&kner, Bonn 1924. .. Massimo di Tiro svolse la sua attività nella seconda metà del 11 secolo d.C. (le nostre fonti collocano intorno al 155 d.C. l'inizio di questa attività; cfr. i documenti in Zeller, Die Philosophie der Griechen, III, 2, p. 219, nota 1). Massimo fu, in prevalenza, retore e il suo platonismo è di carattere popolare. Di lui ci sono pervenuti 41 Discorsi o Orazioni, più
www.scribd.com/Baruhk
326
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Severo 44 ; in quest'epoca, ormai, il platonismo si era imposto quasi come un pensiero ecumenico 45 • Solo una parte assai esigua de11a produzione di questi autori ci è pervenuta, tranne poche eccezioni 46 • Possediamo ancora opere complete di Plutarco, di Teone di Smirne, di Albino, di Apuleio e di Massimo di Tiro 47 • Di altri Medioplatonici possediamo solo frammenti. Di qualcuno, infine, conosciamo quasi solo il nome. Il documento integrale più significativo che ci è pervenuto, come già abbiamo detto, è il Didascalico di Albino 411 • volte pubblicati in tempi moderni. Le più accurata edizione è quella di H. Hobein, Leipzig 1910. .. La collooazione di Severo nella seconda metà del n secolo d.C. è una congettura, ma non arbitraria. Infatti da Porfirio (Vita di Plotino, 14) sappiamo che i commentari di Severo erano letti (insieme a queUi di Cronio, Numenio, Gaio, Attico, Aspasio, Alessandro e Adrasto) da Plotino nelle sue lezioni. Inoltre, dalle citazioni che Proclo fa di questo filosofo e dalle dottrine che gli vengono attribuite si desumono sufficienti conferme di quella congettura. Oltre che da Proclo, Severo è citato da Giamblico, mentre Eusebio ci riporta un frammento. Questi testi si troveranno raccolti da G. Martano in appendice al già citato volumetto Due precursori del neoplatonismo, pp. 63-68, e tradotti nelle note del primo dei due saggi che lo costituiscono, che reca il titolo Severo, filosofo platonico del II sec. d.C., pp. 9-21. "' Il Praechter nell'articolo Hierax der Platoniker, in « Hermes •, 41 (1906), pp. 593-618, ha studiato i frammenti riportati da Stobeo di un'opera Sulla giustizia di un platonico di nome Ierace, che mostra alcune tangenze con Albino, e che, dunque, verosimilmente appartiene a quest'epoca. Alla schiera dei Medioplatonici dovette appartenere anche Iunco, autore di un dialogo Sulla vecchiaia, di cui Stobeo riporta frammenti. Infine ricordiamo che l'esposizione di Platone di Diogene Laerzio (m, 67-80) risente degli influssi del medioplatonismo. Anche il trattato De fato pseudoplutarcheo è un documento tipico del pensiero medioplatonico. (Una buona edizione di questo scritto - con ampia introduzione, traduzione italiana e note - è stata curata da E. Valgiglio: Ps.-Plutarco, De fato, Signorelli, Roma 1964). .. Un lavoro di raccolta sistematica di tutte le testimonianze e dei frammenti dei Medioplatonici colmerebbe una delle più gravi lacune rimaste nell'ambito degli studi sul pensiero antico, la quale pregiudica la comprensione di oltre due secoli di storia del pensiero. "' Cfr., sopra, le note 28, 34, 35, 37, 43. • Per la dimostrazione di questo asserto rimandiamo a Invernizzi, Il Didaskalikos ... , passim.
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
327
Alcuni studiosi hanno creduto di poter distinguere nel medioplatonismo due tendenze di fondo fra loro differenti: una prima di carat·tere sincretistico, ossia propensa ad utilizzare i guadagni delle varie scuole, e una seconda più ortodossa, cioè più propensa a respingere le dottrine di altre scuole per attenersi a quelle più autenticamente platoniche. Il circolo di Gaio sarebbe fautore della tendenza sincretistica, mentre gli esponenti della tendenza cosiddetta ortodossa sarebbero Plutarco, Calvisio Tauro, Nicostrato e, soprattutto, Attico. È peraltro da rilevare che la pretesa ortodossia di questi esponenti è più nelle intenzioni che nei fatti. Plutarco, ad esempio, attribuisce a Platone numerose dottrine chiaramente non platoniche, e Attico, che contrappone Platone ad Aristotele, attaccando violentemente quest'ultimo, non ripresenta tuttavia le originarie dottrine platoniche. In realtà, non solo la tendenza sincretistica del cosiddetto circolo di Gaio risulta quella più feconda, ma, sotto certi rispetti, risulta addirittura qudla più platonica 49 • Un'altra distinzione può essere fatta, forse in modo meno inadeguato, fra i Medioplatonici che diedero al loro discorso una impostazione più filosofica e quelli, invece, che si mostrarono particolarmente sensibili alle istanze religiose e mistiche, come Plutt.rco, Celso e lo stesso Apuleio. In Plutarco, come abbiamo già detto, emerge in primo piano anche la componente orientale: egli, infatti, nutrl un grande interesse per la religione e la mitologia egiziane, di cui fornisce una interessante interpre-tazione allegorica 50 • Una esposizione del medioplatonismo può essere fatta o ., La distinzione fra una corrente « ortodossa » e una « sincretisrica » è del Praechter {dr. Die Philosophie des Altertums, pp. 524 sgg.}. Fra coloro che più efficacemente hanno contribuito a smantellare questa tesi, divenuta canonica, citiamo C. Moreschini, La posizione di Apuleio e della scuola di Gaio nell'ambito del medioplatonismo, ·in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», 33 {1964), pp. 16-56. "' Cfr. soprattutto, di Plutarco, il De Iside et Osiride, passim.
www.scribd.com/Baruhk
328
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
attraverso l'esame analitico di quanto sappiamo dei singoli pensatori, oppure mediante la ricostruzione delle tendenze sopra indicate, oppure cercando di ricomporre in modo unitario e sintetico il quadro dei problemi di fondo e delle soluzioni proposte. Noi abbiamo scelto questo terzo metodo, giacché il primo risulta assai dispersivo, il secondo conduce ad esiti piuttosto incerti e quindi poco pl~usibili 51 • Prima di passare all'esame dei problemi, però, vogliamo fare un'ultima precisazione circa l'importanza ed i limiti del medioplatonismo. 4. L'importanza storica e teoretica ed del medioplatonismo
limiti
L'importanza del medioplatonismo, per lungo tempo misconosciuta, è presto detta. Senza iJ movimento medioplatonico il neoplatonismo sarebbe_pressoché inspiegabile. Plotino, nelle sue lezioni, commentò fondamentalmente testi medioplatonici 52 e testi di Peripatetici influenzati dal medioplatonismo 53 ; inoltre dai Medioplatonici desunse non solo alcuni problemi di fondo, ma anche le relative soluzioni. Certe affermazioni che Plotino fa nelle Enneadi senza sentire il bisogno di dimostrarle, e che il lettore moderno si stupisce di non 51 Il primo metodo finisce per ridurre l'esposizione ad un catalogo, come accade nella pur pregevolissima esposizione del Praechter (Die Philosophie des Altertums, pp. 524-556). Il secondo metodo potrebbe valere solo se possedessimo un maggior numero di opere dei vari Medioplatonici; Albino, ad esempio, che, a giudicare da quanto ci è rimasto, parrebbe più sensibile alle istanze puramente filosofiche, potrebbe apparirci in tutt'altra luce, se possedessimo la sua opera in cui, come riferisce Tertulliano (De anima, 28, 1), «l'antico discorso» sulla metempsicosi era considerato di origine divina. "" Cfr. il già più volte citato passo di Porfirio, Vita di PlatÌJto, 14, che fa i nomi di Severo, Gaio e Attico. 53 Cfr. la nota precedente. I nomi dei Periparetici menzionati sono: Aspasio, Alessandro e Adrasto. In che senso il medioplatonismo abbia esercitato influssi su costoro lo abbiamo già detto, sopra, pp. 34-50.
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
329
vedere dimostrate, hanno la loro spiegazione appunto nel fatto che, col medioplatonismo, esse erano diventate acquisizioni di dominio .comune, e come tali Plotino le accoglie. Il medioplatonismo, inoltre, è importante anche ai fini della comprensione del primo pensiero cristiano, ossia della prima patristica, la quale, anteriormente alla nascita del neoplatonismo, desunse da questa corrente le categorie di pensiero con cui cercò di fondare filosoficamente la fede 54 • Un fatto curioso è da rilevare a questo riguardo: come il neoplatonismo, dopo Plotino, verrà utilizzato paralJelamente dai filosofi pagani a favore del paganesimo e dai pensatori cristiani a favore del cristianesimo, cosl avvenne, sia pure in misura ridotta, anche per il medioplatonismo: Celso scrisse la prima opera filosofica contro i Cristiani, utiLizzando categorie medioplatoniche, mentre, parallelamente, i Cristiani, come s'è detto, dal medioplatonismo dedussero gli strumenti per elaborare teoreticamente la propria visione del mondo e della vita. Il medioplatonismo rappresenta, dunque, uno degli anelli di congiunzione essenziali nella storia del pensiero occidentale. I limiti di questo movimento sono costituiti daJ. fatto che i tentativi di ripensamento e di sistemazione del platonismo sono rimasti oscillanti e, per cosl dire, a mezza strada. Nessuno dei Medioplatonici, infatti, seppe giungere ad una sintesi, se non definitiva, quantomeno esemplare. Al medioplatonismo non mancarono uomini di ingegno, ma mancò il genio creatore o ricreatore, e, appunto per questo, esso restò filosofia di transizione, a metà del cammino che conduce da Platone a Plotino.
54 :B da riconoscere che gli studiosi del primo pensiero cristiano si sono accorti dell'importanza del medioplatonismo e ne hanno messo in luce il significato storico meglio di quanto non abbiano fatto gli studiosi del pensiero antico-pagano di quest'epoca.
www.scribd.com/Baruhk
II. LA METAFISICA DEL MEDIOPLATONISMO
l. L'essete incorporeo, Dio e l'a sua trascendenza
Abbiamo già fatto cenno più volte alla riscoperta dell'incorporeo e della trascendenza e alla conseguente nuova concezione della realtà che ne è derivata, ed ora dobbiamo esaminare la maniera in cui è stata effettuata tale riscoperta. È evidente che il ricupero dell'incorporeo doveva comportare, in primo luogo, una nuova concezione di Dio e del divino, e che tale concezione doveva scontrarsi soprattutto con le concezioni degli Stoici, che erano quelle di gran lunga più raffinate, più capziose, e, quindi, più pericolose 1• Già in Plutarco questa presa di posizione antistoica risulta chiarissima: [ ... ] Si va cianciando di emanazioni del Dio e di trasformazioni tali che il Dio si risolverebbe in fuoco con l'universo intero e poi, di bel nuovo, si contrarrebbe, quaggiù, e si distenderebbe via via in terra e mare e vento e animali ed entrerebbe nelle forme paurose dei viventi e delle piante: tutto questo, anche a udirlo, è empietà! 2 • E ancora: Non è verosimile né conveniente, come affermano alcuni filosofi, che Dio si trovi mescolato ad una materia soggetta a tutte le affezioni e a cose che subiscono innumerevoli forme di necessità, casualità e mutamento 3 • Cfr. vol. 111, pp. 352 sgg. Plutarco, De E ap. Delph., 393 e. • Plutarco, Ad princ. iner., 781 e. 1
2
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
331
Dio, ribadisce Plutarco, è trascendente nel senso che Egli è la realtà immateriale ed immutabile, sempre identica a sé: Ma il Dio, in se stesso, è lontanissimo dalla terra, incontaminato, incorruttibile, puro da ogni materia che soggiaccia alla distruzione e alla morte ~. Ma il testo di Plutarco più importante è costituito dal finale del trattato Sulla E di Delfi, dove il nostro filosofo definisce Dio come l'Essere, il vero Essere, contrapposto all'essere proprio dell'uomo e di tutte le cose del mondo fisico, il quale, in realtà, non è «essere», ma piuttosto «divenire», ossia essere in mutamento, e, dunque, quasi non-essere. Dio è l'Essere atemporale non affetto dalle vicende dell'« era» e del «sarà»: è l'Essere immobile nella dimensione dell'eterno. La «E» del tempo di Delfi, secondo Plutarco, significa «El», che vuoi dire: « Tu sei ». Perciò il Dio accoglie nel Suo tempio l'uomo con il motto «conosci te stesso», e l'uomo risponde a Dio con il motto « Tu sei », che signific"a « Tu sei l'Essere ». Leggiamo la pagina, davvero significativa, nella quale sembra addirittura di poter cogliere l'eco del biblico «Ego sum qui sum » (che, come abbiamo visto, era in primo piano nei trattati filoniani), oltre che l'eco del verbo parmenideo e di quello platonico: [ ... ] Si tratta, per contro, di un modo, anzi del modo più compiuto, in sé e per sé, di rivolgersi al dio e di salutarlo: pronunziare questa sillaba significa già installarsi nella intelligenza dell'essere divino. Mi spiego: il dio, quasi per accogliere ciascuno di noi nell'atto di accostarci a questo luogo, ci rivolge quel suo ammonimento «Conosci te stesso», che vale indubbiamente ben più del consueto «Salve». E noi, in ricambio, confessiamo al dio: • Plutarco, De Is. et Osir., 382 f. Sui rapporti fra Plutarco e lo stoicismo un buon contributo è stato fornito da D. Babut, Plutarque et le sto"icisme, Pari~ 1969 (per il tema specifico che stiamo trattando dr. pp. 453 sgg.).
www.scribd.com/Baruhk
332
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
«Tu sei- Bi», e cosi pronunziamo l'appellativo preciso, veridico, e che solo si addice a lui solo. In verità, a noi uomini non compete rigorosamente parlando, l'essere. Tutta mortale, invero, è la natura, posta in mezzo com'è, tra il nascere e il morire; ella offre solo 11n fantasma e un'apparenza, fievole e languida, di sé. Per quanto tu fissi la mente a volerla cogliere, gli è come se stringessi con la mano dell'acqua. Più la costringi e tenti di raccoglierla insieme, e più le stesse dita, che la serrano tutt'intorno, la fan scorrere e perdere. Parimente, la ragione insegua pure, a sua posta, la piena chiarezza di ogni cosa soggetta alle varie influenze e al cambiamento: essa resta delusa, sia volgendosi al suo nascere, sia al suo perire poiché non riuscirà mai a cogliere nulla di stabile, nulla che esista realmente. «Certo, non è dato immergersi due volte nello stesso fiume», al dire di Eraclito, né quindi è dato toccare, due volte, nella stessa situazione, una sostanza mortale. Al contrario, pronti e rapidi mutamenti « la disperdono e di nuovo la radunano» o, meglio, non «di nuovo», non «più tardi», ma « a un tempo » ella si costituisce e vien meno, « entra ed esce ». Ond'è che tale sostanza mortale non porta a termine verso la via dell'esistenza tutto quanto in essa entra nel divenire, per il semplice fatto che proprio questo divenire non conosce tregua o riposo, mai. Cosi, dal germe, essa, in una trasformazione incessante, produce l'embrione e poi il poppante e poi il bimbo, in seguito, l'adolescente, il giovane, e poi l'uomo, l'anziano, il vecchio, distruggendo via via i precedenti stadi dello sviluppo e le varie età, per far posto a quelle che sopraggiungono. Eppure noi oh, che cosa ridevole! -non temiamo che una sola morte, mentre, in realtà, abbiamo subito e subiremo infinite morti! Perché, non solamente << la morte del fuoco - al dire di Eraclito - è nascita per l'aria, e la morte dell'aria è nascita per l'acqua », ma la cosa è ben più chiara nel caso nostro: l'uomo maturo muore, quando nasce il vecchio; e il giovane mori per dar luogo all'uomo maturo; e cosi il fanciullo per il giovane; e il poppante per il fanciullo. L'uomo di ieri è morto per l'uomo di oggi; e l'uomo di oggi muore per l'uomo di domani. Nessuno persevera, nessuno è uno; ma noi diveniamo una moltitudine: intorno a non so quale fantasma, intorno a un sustrato comune di argilla la materia circola e sguscia via. Del resto, come mai, supponendo di perseverare in una identità, noi ci rallegriamo ora di cose diverse da quelle che ci rallegravano prima? Come mai oggetti contrari suscitano ora amore, ora odio, ora ammirazione, ora biasimo? Perché usiamo parole sempre diverse e siamo soggetti a diverso sentire? Perché
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
333
non sono mai uguali in noi né l'aspetto, né la figura, né il pensiero? Senza cambiamento, certo, non si spiegano questi stati ognora diversi; e chi cambia, quindi, non è più lo stesso. Ma se uno non è lo stesso non è semplicemente, ma diviene sempre nuovo e diverso dal diverso di prima, proprio nel fatto che cambia. Sbagliano i nostri sensi, per ignoranza dell'essere reale, a dar essere a ciò che appare soltanto. Ma allora che è l'essere reale? L'eterno. Ciò che non nasce. Ciò che non muore. Ciò in cui neppure un attimo di tempo può introdurre cambiamento. Qualcosa che si muove e che appare simultaneo con la materia in movimento; qualcosa che scorre perpetuamente e irresistibilmente, come un vaso di nascita e di morte: ecco il tempo! Persino le parole consuete, il « poi », il « prima », il « sarà », l'« accadde » sono la spontanea confessione del suo non-essere. Infatti, è ingenuo e assurdo dire «è» di qualcosa che non è entrato ancora nell'essere, o di qualcosa che ha già cessato di essere. Le nostre espressioni consuete, su cui fondiamo per lo più la nostra nozione di tempo, cioè « esiste », « è presente », « adesso », ci sfumano tutte, allorché il ragionamento le investe sempre più da presso. Il presente, infatti, distanziato com'è necessariamente dal futuro e dal passato, si dilegua come un lampo a coloro che vogliono coglierne il guizzo. Ma, se la natura misurata si trova nella stessa relazione col tempo che la misura, nulla v'è in essa che sia stabile, nulla che sia esistente; ché, anzi, tutto è soggetto alla vicenda della nascita e della morte, sul comune ritmo del tempo. Ond'è che dire, dell'Essere vero, « Esso fu » o « Esso sarà » è quasi un sacrilegio. Tali determinazioni, invero, sono flessioni e alterazioni di ciò che non nacque per durare nell'essere. Ma il dio (occorre dirlo?) «è»; è, dico, non già secondo il ritmo del tempo, ma nell'eterno, ch'è senza moto, senza tempo, senza vicenda; e non ammette né prima né dopo, né futuro né passato, né età di vecchiezza o di giovinezza. No, Egli è uno e nell'unità del presente riempie il « sempre »: ciò che in questo senso esiste realmente, quello « è » unicamente: non avvenne, non sarà, non cominciò, non finirà 5 •
Analogo ordine di concetti troviamo in Albino e nel cosiddetto « circolo di Gaio ». Albino espressamente polemizz,a contro la concezione pancorporeistica della Stoa, secondo la quale solamerlte ciò che è corpo può agire, e fa 5
Plutarco, De E ap. Delph., 392 a - 393 b.
www.scribd.com/Baruhk
334
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
valere il principio esattamente opposto. Egli scrive, fra l'altro: Inoltre le cause efficienti non possono essere altro che incorporee; infatti i corpi sono passivi e mutevoli e non si trovano sempre nelle medesime ed identiche condizioni, né sono saldi ed immutabili, e tosto si scopre che sono passivi anche quando pare che in essi vi sia un'attività; come dunque c'è qualcosa di puramente passivo, cosl bisogna che ci sia anche qualche cosa di assolutamente attivo; e questo non potrebbe essere altro che l'incorporeo 6 • In particolare, a proposito della incorporeità di Dio, Albino fornisce la seguente dimostrazione: Dio non ha parti perché non esiste qualcosa prima di lui; infatti la parte e ciò di cui qualcosa è fatto esistono prima di ciò di cui sono parte; infatti, la superficie esiste prima del solido e la linea prima della superficie; non avendo dunque parti, è immobile sia per quanto riguarda il mutamento spaziale che per quello qualitativo. Se infatti mutasse, ciò avverrebbe o per se stesso o per altro: se fosse per altro, quest'altro sarebbe più forte di lui: se per se stesso, muterebbe o in peggio o in meglio: entrambe le eventualità sono però assurde. Da tutto ciò risulta anche che esso è senza corpo. Questo si dimostra altresl con i seguenti argomenti: se Dio avesse corpo, sarebbe costituito di materia e di forma; ogni corpo è infatti un composto di materia e della forma che in essa è immanente; questo composto è simile alle Idee e partecipa di esse in un modo che è difficile a dirsi; è assurdo, allora, che Dio sia fatto di materia e forma: non sarebbe infatti semplice e originario. Di conseguenza è incorporeo. E ancora: se è corpo, sarebbe fatto di materia, dunque sarebbe o fuoco o acqua o terra o aria o qualche cosa che deriva da questi elementi; ma ciascuno di questi non ha carattere di principio. Inoltre, sarebbe posteriore alla materia, se di materia fosse fatto: stante l'assurdità di queste conclusioni, bisogna concepirlo come incorporeo; infatti, se è corpo, è corruttibile e generato e mutevole: ma ciascuno di questi attributi è assurdo nei suoi riguardi 7 • • Albino, Didascalico, XI, 2 (la traduzione che qui e appresso riportiamo è di G. Invemizzi, mentre l'edizione critica cui ci riferiamo è quella di P. Louis). 7 Albino, Didascalico, x, 7-8.
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
335
Analoghi concetti ribadisce anche Apuleio, il quale, tra l'altro, cosl riassume la platonica « seconda navigazione»: Secondo Platone ci sono due realtà - che noi diciamo essenze
[ = sostanze] - dalle quali tutte le cose e il mondo stesso derivano: la prima è colta solamente col pensiero, la seconda può cadere sotto i sensi. Ma la prima, che è colta dagli occhi della mente, si trova sempre nella medesima condizione, uguale e simile a se stessa, come quella che veramente è; la seconda, invece, la quale, come Platone afferma, nasce e muore, è colta dall'opinione sensibile e arazionale. E come la prima viene considerata come il vero essere, cosl la seconda non è vero essere. La prima essenza è il primo Dio e la mente e le forme delle sostanza cose e l'anima, la seconda sostanza è tutto ciò che riceve una forma e che si genera ed ha origine dal modello della sostanza superiore, che può cangiare e trasformarsi fuggendo e dileguando come l'acqua dei fiumi 8 •
o
La marcata sottolineatura della trascendenza di Dio doveva comportare, come conseguenza, la negazione della possibilità per l'uomo di cogliere e di determinare l'essenza di Dio stesso, e, quindi, la negazione della possibilità di esprimerla a parole. Questa dottrina deWinconoscibilità e dell'ineffabilità di Dio, che abbiamo incontrato in Filone di Alessandria 9 , è affermata da alcuni Medioplatonici, e soprattutto da Albino in modo molto chiaro: È ineffabile e coglibile solo con l'intelletto, come si è detto, poiché non è né genere, né specie, né differenza specifica e nemmeno, d'altro canto, gli si addice alcuna determinazione, né cattiva (poiché non è lecito dire questo), né buona (poiché egli sarebbe tale per partecipazione di qualche cosa, e specialmente della bontà); né è indifferente (poiché ciò non corrisponde alla ' Apuleio, De Platone, I, 193. È da notare che, sia pure di passaggio, Apuleio, poco prima (190), definisce Dio come « incorporeus, unus » e « tiln:p(!J.&Tpoc; >>, ossia infinito, usando un termine greco inusitatissimo, che ha un parallelo simile (anche se non identico), ad esempio in Filone di Alessandria (cfr., per es., Sacri/., 59, dove viene usato il termine aTttp!ypcxcpoc;). • Cfr., sopra, pp. 271-279.
www.scribd.com/Baruhk
336
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
nozione di esso). Né gli si addice qualità (poiché non ha a che fare con qualità ed è perfetto non in dipendenza da qualità), né è senza qualità (poiché non è privato di qualità che gli possano competere). Non è parte di qualche cosa, né, come un tutto, ha parti, né, di conseguenza, è eguale a .qualche cosa, né diverso; niente infatti gli si addice in forza di cui possa essere separato dalle altre cose; né muove, né è mosso 10• Malgrado queste affermazioni i Medioplatonici non si spinsero, come fecero, invece, alcuni Neopitagorici, fino al punto di porre Dio anche al di sopra dell'Intelligenza. La maggior parte di essi, anzi, ritenne che Dio coincidesse proprio con la suprema Intelligenza 11 • Dunque, la metafisica platonica venne ripresa insieme ai guadagni ad essa apportati da Aristotele, il quale, come a suo luogo abbiamo veduto, all'assoluto inteso come Idea intelligibile aveva sostituito l'assoluto ~nteso appunto come suprema Intelligenza 12 • Anzi, questi guadagni vennero ulteriormente arricchiti dai Medioplatonici con un vero e proprio tentativo di mediazione e di superamento delle antitesi sussistenti, in materia di antologia, fra la posi2lione platonica e quella aristotelica, come ora vedremo. 2. L e zione denti nenti
I d e e c o m e pensieri d i D i o e l a d i s t i nfra intelligibili primi o Idee trascene intelligibili secondi o forme immaalle cose
La conce2lione delle Idee come pensieri di Dio ha certamente degli antecedenti storici, come abbiamo già avuto modo di dire parlando di Filone di Alessandria 13 • Gli studiosi 10 11 12 13
Albino, Didascalico, x, 4. Si veda, più avanti, pp. 341 sgg. Cfr. il vol. n, pp. 250 sgg. :B da rilevare che alcuni Medioplatonici chiamarono la metafisica, con
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
337
hanno più volte sottolineato come in Senocrate 14 , !llella Stoa 15 e in Antioco di Ascalona 16 si possano rintracciare anticipazioni di questa dottrina. Senonché in Senocrate essa è solo implicita, mentre negli Stoici e in Antioco manca del tutto la concezione dell'immateriale, e, per conseguenza, la problematica di questi filosofi si colloca su un piano del tutto differente. Anche gli spunti che si trovano in V arrone non portano molto oltre (mentre le affermazioni di Seneca non provano nulla, perché questo filosofo, come risulta da quanto dice sulla dottrina platonica, ha già letto scritti medioplatonici) 17 • Ben altro rilievo e portata, come s'è visto, questa dottrina assume, invece, in Filone di Alessandria. Ma è da rilevare come Filone sia giunto alla dottrina delle Idee come pensieri divini tramite il concetto biblico di creazione, e mediante il concetto di Logos, esso pure legato al concetto biblico della Sapienza e della Parola creatrice di Dio, più che non tramite dottrine elleniche. Invece in Albino la formulazione della dottrina di cui ragioniamo è fatta con categorie desunte esclusivamente dal pensiero greco, e, dunque, in maniera in parte inedita. Data la grande importanza di queste dottrine nella successiva storia del pensiero sia greco che cristiano, è opportuno esporla in maniera dettagliata. Per comprenderla a fondo, è
terminologia desunta dai misteri eleusini, « epoptica », il che è molto signifì. cativo (cfr. Plutarco, De I s. et Osir., 382 d; Teone di Smirne, Expositio, p. 14 Hi1ler). " Cfr. soprattutto H. J. Kriimer, Der Ursprung der Geistmetaphysik, Amsterdam 1967', pp. 21-45, il quale si basa specialmente sui frr. 15 e 16 della raccolta Heinze. " Nello stoicismo l'antecedente sarebbe costituito dalla dottrina delle «ragioni seminali » (i logoi spermatikoi) incluse nel Logos; cfr. vol. m, p. 379. 16 Cfr. soprattutto W. Theiler, Die Vorbereitung des Neuplatonismus, Berlin-Ziirich 19642, pp. 16 sgg. " Cfr. Varrone, presso Agostino, De civit. Dei, vn, 28; Seneca, Epist., 65, 7.
www.scribd.com/Baruhk
338
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
necessario rifarsi alle posizioni di Platone e di Aristotele, che, su questa questione, come sappiamo, erano in antitesi 18 • Platone aveva posto come Assoluto il mondo delle Idee, ossia l'Intelligibile, e aveva posto questo al di sopra della Mente e dell'Intelligenza (il Demiurgo, che è Intelligenza, si riferisce alle Idee come ad entità che lo trascendono ·dal punto di vista antologico e assologico). Aristotele, invece, aveva posto come assoluto l'Intelligenza intesa come pensiero di se medesimo (Pensiero di Pensiero), aveva immanentizzato le Idee nel sensibile, trasformandole in « forme » ( ELOTJ) intrinseche alle cose, ed aveva sostenuto che solo in questa maniera l'intuizione eidetica di Platone poteva reggere. In effetti, la maggior parte delle aporie della metafisica platonica, come abbiamo visto a suo luogo, dipendevano, più che dai motivi addotti da Aristotele, dall'aver posto le Idee al di sopra dell'Intelligenza demiurgica. A sua volta, una serie di aporie dell'antologia aristotelica dipendevano dall'aver posto le Idee, troppo al di sotto dell'Intelligenza divina, mutandole appunto in «forme» immanenti e calandole nella materia. n «luogo delle forme», per conseguenza, per Aristotele, poteva essere soltanto l'intelletto umano in quanto le astrae e le pensa, e non l'Intelletto divino che pensa solamente se medesimo. Orbene, i Medioplatonici si avvidero che era possibile mediare le differenti vedute dei due filosofi, correggendo l'una con l'altra e reciprocamente integrandole. Si potevano mantenere :i guadagni aristotelici e affermare che il principio primo è Pensiero; rria si poteva mantenere altresl il platonico mondo delle Idee, facendo di questo il contenuto di quello. Il Dio aristotelico è pensiero che pensa se stesso; ma i pensieri di Dio che pensa se stesso sono, di necessità, eterni ed immutabili, sono l'eterno paradigma e la regola di tutte quante le cose: sono, appunto, quello che Platone chiamava Idee. •• Cfr. vol. n, passim.
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
339
Scrive Albino: Poiché [ ... ] il primo Intelletto è in grado eccelso bello, bisogna che anche il suo Intelligibile sia in grado eccelso bello, ma in nulla più bello di Lui; dunque, pensa se stesso, e i pensieri di se stesso e questa sua attività è appunto l'Idea 19 •
Ed ecco un secondo passo, in cui, proprio su questa concezione delle Idee come pensieri di Dio, è costruita addivittura una dimostrazione dell'esistenza delle Idee stesse: Che le Idee esistano viene provato con le seguenti argomentazioni: sia che Dio sia un intelletto o qualcosa di pensante, ha dei pensieri e questi pensieri sono eterni ed immutabili; ma se le cose stanno cosl, esistono le Idee. E se la materia è, per sua propria natura, senza misura, bisogna che trovi misura in qualcos'altro, migliore e non materiale; ma l'antecedente è vera, dunque anche la conseguente è vera. Ma se le cose stanno cosl, allora le Idee esistono come misure non materiali 20 • È evidente che, cosl concepite, le Idee trascendenti e le forme immanenti non solo non si escludono a vicenda, ma risultano essere, le prime, fondamenti e cause, le seconde, invece, conseguenze ed effetti. Le forme immanenti alle singole cose sono le immagini o i riflessi delle Idee impressi dal Demiurgo nella materia. Albino chiama, coerentemente, le Idee considerate come pensieri divini «intelligibili pmmi » e le forme immanenti alle cose « intelligibili secondi » 21 • La sicurezza con cui Albino espone queste tesi dimostra che egli doveva avere ormai alle spalle una tradizione consolidata, ossia che tali tesi costituivano dogmi in larga misura acquisiti 22 • La dottrina delle Idee come pensieri divini e la
" Albino, Didascalico, x, 3. Albino, Didascalico, IX, 3. 21 Albino, Didascalico, IV, 7. 22 Interessante è la posizione di Attiro, che accoglie e ribadisce questa interpretazione delle Idee, polemizzando, rome è suo solito, contro Aristotde, e dando alla medesima una tinta sfumata, in cui i guadagni dello Stagirita 20
www.scribd.com/Baruhk
340
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
connessa distinzione fra intelligibili primi trascendenti e intelligibili secondi immanenti rappresentano, probabilmente, uno non sembrano aver g.iocato alcun ruolo. Ecco il fr. 9: «La parte capitale e il cardine della filosofia platonica, cioè la teoria degli intelligibili, è stata combattuta, calpestata, e, per quanto fu nelle possibilità di Aristotde, insidiata. Infatti, non potendo capire che le cose grandi, divine, eccellenti, hanno bisogno, per esser conosciute, di qualche facoltà simile alla loro natura, egli, affidandosi a certa sua spicciola e meschina capacità di sottigliezza che, se poteva indagare nella realtà fisica e cogliere in questa la verità, non era d'altm parte idonea a cogliere la purissima luce di ciò che è realmente la verità -, e servendosi di se stesso come di canone e di giudice di cose al di sopra di lui, respinse la realtà di quelle nature ideali che Platone riconobbe, e osò definire quella altissima realtà come cose da poco, cantilene e favole puerili: laddove la somma, la suprema tra le verità platoniche consiste in ciò che riguarda questa intelligibiJe ed eterna essenza delle idee, dove l'estremo faticoso agone si presenta dinanzi all'anima. Infatti colui che ha aspirato ad essa e l'ha raggiunta, sarà del tutto felice: mentre colui che non è riuscito a raggiungere la contemplazione rimane del tutto privo di felicità. Perciò Platone si batte in tutti i modi per dimostrare la potenza di queste nature ideali. Egli afferma che non si può agevolmente determinare la causa di alcunché, se non ricorrendo alla teoria di una "partecipazione" di quelle realtà, né si può avere, secondo lui, conoscenza di vero se non in rapporto a quelle; né ancora ad alcuno sarà dato di esser partecipe di ragione, se non accetterà la realtà delle idee. Quelli che hanno ritenuto di dover sostenere la dottrina platonica devono vedere in questo argomento il massimo cimento delle loro discussioni. Infatti nulla più rimane di platonico, se qualcuno non avrà concesso a costoro, in difesa di Platone, l'esistenza di quelle nature prime e sovrane. Queste sono le cose in cui egli massimamente sopravanza tutti gli altri. Ed invero egli, concependo un dio padre, demiurgo, padrone e ClJNtore di tutte le cose, e comprendendo, per analogia con la stessa attività, che l'artefice primo ha in mente tutto ciò che sta sul punto di costruire, sicché la visione che egli ha avuto nel suo pensiero può trasformarsi in somiglianza sulle cose; allo stesso modo concepl i pensieri del dio, più antichi delle cose, cause esemplari delle realtà che sono generate, incorporei ed intelligibili, per sé reali e sempre permanenti nello stesso stato - e, anzitutto, e primieramente, uguali a se stessi -, e causa delJe altre cose perché siano tali, quali esse si manifestano, proprio per la somiglianza di ciascuna di esse con quei principi; e vedendo egli, inoltre, che quegli enti non sono facilmente visibili, e che neppur chiaramente se ne può dimostrare l'esistenza per via di ragione, quanto si poteva dire ed escogitare intorno ad essi, per preparare la strada a quanti si accingessero a seguirlo, ed essendosi preparato ed uniformando a quell'obiettivo tutti i principi della sua filosofia, sostenne che in essi è riposta sia l'intelligenza che la sapienza e la scienza, attraverso cui si raggiunge il fine umano e la vit1l felice» (traduzione di G. Martano).
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
341
dei più felici tentativi di sintesi fra Platone ed Aristotele fino a questo momento effettuati e un guadagno essenziale di cui Plotino beneficerà largamente 23 •
3. La gerarchia del divino: verso la dottrina delle ipostasi
Una tendenza comune a molti Medioplatonici, espressa in modo chiaro già dai più antichi fra essi, è quella di porre il nous (ossia la mente o l'intelletto) come superiore rispetto alla psJ'ché (ossia all'anima). Questa dottrina (che ha antecedenti in Platone e in Aristotele) 24 nei Medioplatonici ha un significato antimaterialistico ed antistoico 25 • Differenziando nettamente l'intelletto dall'anima e ponendolo come superiore ad essa Sii voleva rompere i ponti con l'immanentismo in maniera definitiva. (È molto interessante, a questo riguardo, il fatto che Attico, per volere a tutti i costi respingere Aristotele e quindi anche la dis~inzione in parola che è appunto di genesi aristotelica, retroceda su posizioni perlomeno ambigue) 26 • È ch~aro che, per questa Vlia, ci si doveva avviare verso una dottrina che preludeva alle plotiniane ipostasi. Anzi, letti in una certa ottica, non pochi passi di filosofi medioplatonici sembrerebbero addirittura contenere, almeno in nuce, tutte e tre le ipostasi plotiniane, che sono: l'Uno, il Nous e l'Anima. Cosl, ad esempio, in Plutarco, se, accanto all'anima e all'intelletto (che egli distingue con molta chiarezza), noi poniamo il Dio supremo, che, per lui, è l'Essere, ma anche l'Uno supremo, otteniamo una triade che prefigura, appunto,
23 Cfr., più avanti, pp. 534 sgg. " Cfr. Aristotele, De anima, passim; cfr. vol. n, pp. 466-485. " Cfr. quanto si è detto, sopra, pp. 296 sgg., " Conviene leggere per intero il frammento 7 di Attico, che è assai interessante (cles Places, Atticus, pp. 61 sgg.).
www.scribd.com/Baruhk
342
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
quella plotlliniana 77 • Analoga triaàe si ricava da un testo di Apuleio, il quale distingue: Dio primo, Mente e Idee, Anima 28 • La stessa gerarchia ipostatica qualcuno ha creduto di poter ricavare anche da Albino 29 • È peraltro da rilevare che questa costruzione gerarchica è rinvenibile solo da parte del lettore che ha già letto· Plotino. Infatti, a giudicare dal testo più chiaro che ci è pervenuto in materia, che è un passo del Didascalico di Albino, la gerarchia del divino sembra culminare non in una realtà che è al di sopra dell'Intelletto, ma nell'Intelletto medesimo, come risulta dal seguente schema: l) Primo Dio o Primo Intelletto;
2) Secondo Intelletto, o Intelletto dell'anima del mondo; 3) Anima del mondo. U primo Intelletto - dice Alb:iJno - « svegLia » l'anima del mondo e la rivolge a sé, e, rivolgendola a sé, genera l'Intelletto di essa. Il cosmo è ordinato non direttamente dal primo Intelletto, ma, mediatamente, dal secondo Intelletto. &co il testo albiniano: Poiché l'intelletto è migliore dell'anima e dell'intelletto in potenza è migliore quello che in atto pensa tutte le cose insieme e sempre, e più eccellente di questo è la causa di questo e ciò che può esserci al di sopra di questi, tale è il primo Dio, che è causa dell'eterna attività dell'intelletto di tutto il cielo. Esso lo fa muovere pur rimanendo immobile, come fa il sole nei confronti della vista, quando essa lo guarda, e come l'oggetto di desiderio muove il desiderio, pur rimanendo immobile; cosl appunto anche questo intelletto muoverà l'intelletto di tutto il cielo. Poiché il "' Cfr., i passi riportati sopra, pp. 330 sgg. a Apuleio, De Plat., I, 193: «Et primae quidem substant:i.ae vd essentiee l) primum deum esse 2) et mentem formasque rerum 3) et animam •· 29 Cfr. Albino, Didascalico, x, 2 (cfr. il passo che subito riportiamo nel testo).
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
343
primo intelletto è in grado eccelso bello, bisogna che anche il suo intelligibile sia in grado eccelso bello, ma in nulla più bello di lui: dunque pensa se stesso e i suoi propri pensieri, e questa sua attività è appunto l'Idea. Inoltre il primo Dio è eterno, ineffabile, perfetto in sé, cioè senza alcun bisogno, eternamente compiuto, cioè eternamente perfetto, interamente compiuto, cioè interamente perfetto: è divinità, sostanzialità, verità, proporzione, bene. Dico ciò, non intendendo separare queste cose, ma intendendo pensare, mediante esse, un'unità. È bene perché benefica ogni cosa per quanto gli è possibile, essendo causa di ogni bene; è bello perché egli per sua natura è perfetto e proporzionato; è verità perché è principio di ogni verità, come il sole è principio di ogni luce; è padre perché è causa di ogni cosa e ordina l'intelletto del cielo e l'anima del mondo in relazione a se stesso e alle sue intellezioni. Secondo la sua volontà, infatti, ha riempito ogni cosa di se stesso e, avendo risvegliato l'anima del mondo e avendola volta a se stesso, è causa del suo intelletto. Questo intelletto, ordinato dal padre, ordina tutta la natura in questo mondo 31 • Come ben si vede, Albino in via puramente ipotetica parla di un Primo superiore all'Intelletto, ma poi fa chiaramente coincidere il Primo Dio col primo Intelletto 31 • L'identifica~ione del Dio supremo con l'Intelletto supremo deve essere considerata come dpica del medioplatonismo 32 • Celso sembra invece porre Dio al di sopra dell'Intelligenza e dello stesso Essere 33 • Ma il suo discorso (che è guidato 30 Albino, Didascalico, x, 2-3; si veda anche il passo riportato, più avanti, p. 349. 31 Cfr. lnvernizzi, Il Didaskalikos ... , I, pp. 62 sg. e relative note. 32 Cfr., per esempio, Plutarco, De def. orac., 425 f · 426 a: « [ ... ] un solo Dio, che governa, in priorità assoluta, tutti i mondi [cfr., più avanti, la nota 46] ad uno ad uno ed è guida dell'universo intero, dotato di spirito e di ragione [qoVTot xotl vouv xotl Myov ], tale da essere chiamato dagli uomini signore e padre di tutte le cose»; cfr. Massimo di Tiro, Orat., VIII, 10; XVII, 8, etc. Cfr. Attico, fr. 9 (riportato alla nota 22). 33 Cfr. 0J:Iigene, Contra Celsum, VII, 45: «Ciò che il sole è nell'ambito delle realtà sensibili [ ... ] Dio lo è nell'ambito delle realtà intelligibili, il quale non è né intelletto, né intellezione, né scienza, ma è causa per l'intelletto del suo pensare [ ... ] e per la stessa sostanza è causa dell'essere; essendo al di sopra di tutto, è pensabile con una sorta di potenza indicibile ».
www.scribd.com/Baruhk
344
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
pm da interessi religiosi e mistici che non filosofici) non sembra spingersi molto oltre le note affermaZlioni platoniche sull'Idea del Bene 34 • Il predominio di questa imposta2Jione, che deriva dalla mediazione fra l'aristotelica metafisica dell'Intelligenza e la platonica dottrina delle Idee, spiega, come già sopra ,abbiamo rilevato, la ragione per cui le dottrine pitagoreggianti del Platone esoterico dell'Uno e della Diade siano rimaste in ombra. Infatti, spiegata l'origine delle Idee come pensieri dell'Intelletto divino, la Monade e la Diade, che erano state introdotte da Platone appunto per poter dedurre il mondo ideale, come abbiamo già accennato, venivano a perdere il loro originario significato e la loro importanza. Eudoro, secondo alcuni studiosi, riprese tale dottrina. Ma Eudoro appartiene alla seconda metà del 1 secolo a.C., e, d'altra parte, che egli abbia fatta propria la teoria de1l'Uno e della Diade non è affatto certo 35 • In ogni caso, dopo di lui, il mediopla-
Cfr. Platone, Repubblica, 509 b. Ecco il passo di Simplicio, In Arist. Phys., 181, 7 sgg., che riporta i frammenti di Eudoro in cui questi sembra più esporre e interpretare i Pitagorici che non presentare una dottrina propria: « I Pitagorici, non solo delle cose fisiche, ma anche di tutte le cose in assoluto, dopo l'Uno, che dicevano principio di tutto, hanno posto quali principi secondari ed elementari i contrari, e ad essi, che più non sono principi in senso proprio, subordinavano le due serie. Cosl scrive Eudoro intorno a queste cose: "In un primo e più alto senso (KClTà Tbv civ6lTcXT6l 'Myov) bisogna dire che i Pitagorici dicono l'Uno principio (
35
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
345
tonismo dovette progressivamente disinteress'
4. L a c o s m o l o g i a m e d i o p l a t o n i c a : l a m a t eri a e l'origine del cosmo
Il cosmo sensibile, per i Medioplatonici, non è una pura emana2lione o un epifenomeno del soprasensibile. Per essere spiegato esso richiede « tre principi », ossia, oltre a Dio e
quale principio e che dall'Uno sono derivati gli elementi (aTOL)(I:Lot), che essi chiamano con molti nomi. Dice infatti: "Dico dunque che i Pitagorici tengono l'Uno per principio di tutte le cose, ma da un altro punto di vista ne introducono due, i più alti elementi. E chiamano questi due elementi con molti nomi: il primo di essi lo dicono infatti 'ordinato', 'definito', 'conoscibile', 'maschio', 'dispari', 'destro', 'luce', l'altro, contrario a questo, 'disordinato', 'indefinito', 'inconoscibile', 'femmina', 'sinistro', 'pari', 'ombra', cosicché principio è l'Uno, elementi sono l'Uno e la Diade indefinita, entrambi gli Uni essendo di nuovo, alla loro volta, principi. Ed è chiaro che altro è l'Uno che è il principio di tutte le cose, altro l'Uno che è contrapposto alla Diade e che chiamano anche Monade" » (traduzione di G. Calvetti; Mazzarelli, Eudoro, fr. 5). 36 Cfr. Plutarco, De def. orac., 428f sgg.; De Is. et Osir., 354f. "' Una impostazione « monistica », ma di differente estrazione, sembra essere stata quella di Severo. Proclo (In Plat. Tim., I, p. 227, 15 sgg. Diehl) ci riferisce che Severo sosteneva che « [ ... ] il qualcosa (TÒ Tt) è il genere dell' essere e del divenire e che da esso vien significato il tutto (TÒ nfiv ); cosl esso sarebbe sia ciò che diviene, sia ciò che sempre è [ ... ] ». Questa dottrina del «qualcosa» come genere supremo muove indubbiamente dalla Stoa (dr. vol. m, pp. 360 sgg.), ma va ben oltre la Stoa. Infatti, il «qualcosa» di Severo, ben !ungi dall'essere quell'indeterminato e indeterminabile quid della Stoa, è il Tutto (TÒ nfiv) inclusivo dell'essere(= l'essere eterno, e, dunque,
www.scribd.com/Baruhk
346
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
alle Idee, un « terzo principio », che è costituito dalla materia 38 • La materia viene intesa sia sulla scorta del Timeo platonico sia sulla scorta degli ulteriori guadagni aristotelici. Di conseguenza, vengono riprese le celebri immagini ed espressioni platoniche, oome ad esempio. « nutrice », « matrice », « spazialità », passate però al filtro dei concetti aristotelici di « sostrato » e di « potenzialità ». Ancora una volta, SOI).O i filosofi del « circolo di Gaio » che ci forniscono testi più interessanti. Scrive Albino: Essa è dunque chiamata da Platone matrice impressionabile, ricettacolo, nutrice, madre, spazio, sostrato non percepibile con la sensazione e coglibile solo per mezzo di un ragionamento bastardo. Essa ha la proprietà di ricevere ogni cosa che nasce, avendo la funzione di una nutrice nel portare e nel ricevere tutte le figure, ma è di per sé senza forma, senza qualità e senza figura; pur essendo modellata e segnata da queste figure come una matrice impressionabile prende la figura di esse, ma non possiede in sé alcuna figura né qualità. Infatti non sarebbe qualcosa di adatto a gli intelligibili) e del divenire ( = gli esseri sensibili). Forse (ma è pura congettura) Severo deduceva dal Tutto l'essere eterno (intelligibile) e l'essere diveniente (sensibile), in maniera gerarchico-ipostatica. Sempre da Proclo (In Plat. Tim., I, p. 255, 3 sgg. Diehl) sappiamo che Severo intendeva la noesis come organo del Logos o pensiero, e che ad esso la subordinava (e dunque, verosimilmente, da esso lo deduceva). Anche la posizione del nostro filosofo sull'origine del rosmo è particolare (cfr., quanto diciamo, più avanti, pp. 350 sg. e nota 49 ). Influenzato dai Pitagorici risulta quanto ci è riferito sulla dottrina dell'anima di Severo (cfr. testimonianze VI e sgg. in Martano, Due precursori ... , pp. 64 sg.; cfr. ivi, pp. 16 sgg. l'esegesi delle medesime). Purtroppo tutte queste testimonianze sono troppo scheletriche e troppo problematiche per permetterei di stabilire se il « monismo » di Severo l'appresenti un avanzamento o un indietreggiamento, a paragone degli altri Medioplatonici del n secolo d.C., rispetto al neoplatonismo. Il fatto che Plotino lo leggesse nelle sue lezioni è, in ogni caso, molto significativo. 38 Sulla «dottrina dei tre principi» e sulla sua rilevanza nell'ambito del medioplatonismo, cfr. lnvernizzi, Il Didaskalikos ... , vol. I, pp. 31-42 e relative note, pp. 171-178, dove si troveranno documenti e bibliografia.
www.scribd.com/Baruhk
IL
~DIOPLATONIS~O
347
ricevere impronte e forme varie, se non fosse priva di qualità e scevra da quelle figure che essa stessa deve accogliere; vediamo infatti che anche coloro che apprestano con olio unguenti profumati, fanno uso dell'olio più inodore e coloro che vogliono plasmare forme con cera ed argilla, levigano e rendono quanto più possibile privi di ogni figura questi materiali. Certo, dunque, bisogna che anche la materia, che tutto accoglie, se deve ricevere in tutta la sua estensione le forme, non abbia in sé alcuna natura di esse, ma sia senza qualità e senza forma, per poter accogliere, appunto, le forme; essendo tale, non è né un corpo né un incorporeo, ma è corpo in potenza, come diciamo che il bronzo è statua in potenza, in quanto diventerà statua una volta assunta la forma 39 • Ecco ulteriori precisaziooi di Apuleio: Platone rileva che la materia deve essere ingenerabile ed incorruttibile, che non è né fuoco, né acqua, né alcun altro dei principi o elementi originari, ma fra tutti è prima, capace di ricevere forma e di ricevere figura e inoltre bruta e priva di qualificazioni formali: è il Dio artefice che la conforma nella sua totalità. Platone la considera infinita: infatti ciò che è infinito non ha un limite determinato alla sua grandezza e quindi, poiché la materia è priva di termine, la si può giustamente considerare illimitata. Ma Platone non ammette né che sia corporea né incorporea; non la considera, infatti, un corpo, perché nessun corpo può essere privo di forma; peraltro non si può dire che è senza corpo, perché nulla di ciò che è incorporeo può presentare un corpo, mentre potenzialmente e razionalmente gli sembra essere corpo, ed è per questo che essa non è coglibile né col solo tatto, né con la sola congettura razionale. Infatti i corpi si conoscono in virtù della loro evidenza con un ragionamento che è congenere, mentre ciò che è privo di materia corporea vien colto coi ragionamenti. Pertanto la caratteristica di questa materia si coglie con una congettura spuria e come ambigua..,_ · La genesi del cosmo è interpretata secondo lo schema del
Timeo, ossia come una operazione del Demiurgo che al " Albino, Didascalico, vm, 2-3 . ., Apuleio, De Platone, n, 191 sg.
www.scribd.com/Baruhk
348
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
disordine della materia impone un ordine, sulla base del paradigma delle Idee. Scrive ad esempio Plutarco: La genesi [del mondo] non è altro che l'immagine dell'essere nella materia; il divenire è una imitazione dell'essere ~ 1 • Anche i particolari della narrazione del Timeo sono accolti e ribaditi quasi alla lettera. Su un punto fondamentale si accese però una grossa polemica. Quando Platone parlò di « generazione del cosmo » (e, quindi, anche di generazione dell'anima del cosmo), intese dire che il cosmo ha veramente una origine, ossia un cominciamento cronologico, oppure descrisse la genesi del cosmo intendendo semplicemente illustrare, sotto forma di immagini e di rappresentazioni fantastiche, un altro ordine di pensieri? Insomm'
Albino, dal canto suo, la portò al maggior grado di chiarezza. " Plutarco, De !s. et Osir., 372 F. " Cfr. vol. m, pp. 112 e 119. " Cfr. Plutarco, De anim. procrea!., 1013 A-B. II passo di Plutarco viene ora reinterpretato da H. Cherniss in altra maniera (Plutarch's Moralia in Seventeen Volumes, XIII, Part 1 999 C- 1032 F with an English Translation
www.scribd.com/Baruhk
IL
~DIOPLATONIShfO
349
Egli scrive nel Didascalico: Quando Platone dice che il mondo è generato, non bisogna intenderlo nel senso che ci fu un tempo in cui il mondo non esisteva, ma che il mondo è sempre in divenire e manifesta un principio più originario del suo essere. E anche l'anima del mondo, che è eterna, neppure questa Dio crea, ma la ordina; e si dice che la crea in questo senso: svegliando e volgendo a sé l'intelletto di essa ed essa stessa come da un letargo e da un sonno profondo, affinché guardando verso gli intelligibili di Dio, accolga le Idee e le forme, mirando ai pensieri di esso 44 • Dire che il cosmo è nato (y~yove:) significa due cose: l) che è perennemente trascinato nel processo del nascere, 2) inoltre che esso non è autosufficiente e che, quindi, dipende da un principio superiore ('analogamente, dire che l'anima del mondo è nata, significa dire che essa dipende da un p11incipio superiore che la fa essere). Apuleio, poi, specifica, rifacendosi ad una interpretazione a questa parallela, che il mondo, il quale in realtà è ingenerato, può apparire generato, perché le cose che lo costituiscono nascono tutte quante: tesi, questa, che, con diverse sfumature, troviamo sostenuta anche da Calvisio Tauro e da altri Medioplatonici 45 • b) Plutarco ritornò, invece, all'interpretazione letterale, ossia alla tesi dell'origine temporale del cosmo, sostenendo che eterna è la materia, ossia la sostanza sensdbile informe da cui il cosmo deriva, ma non il cosmo formato. È da rJlevare che, secondo Plutarco, la materia, in quanto giace in
by H. Cherniss, Cambridge [Mass.] - London 1976, pp. 169 sgg.), sicché la ripresa di questa interpretazione da parte di Eudoro non può più essere ritenuta certa, come si credeva in passato (cfr. Mazzarelli, Eudoro, fr. 6). " Albino, Didascalico, xrv, 3. " Cfr. Apuleio, De Platone, I, 198; Calvisio Tauro, presso Giovanni Filopono, De aeternitate mundi, p. 145, 13 sgg. Rabe (per ulteriori particolari si veda tMoreschini, La posizione di Apuleio ... , pp. 32-39).
www.scribd.com/Baruhk
350
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
perenne e caotico movimento, ha sempre un'anima: un'anima malvagia e senza intelligenza (anima e intelligenza - si ricordi - vengono distinte dai Medioplatonici, come sopra abbiamo detto). Dunque, da sempre esistette corporeità informe, dotata di animazione e di vita irrazionale; Dio, pertanto, non creò né la materia, né !'·animazione e la vita, ma generò il cosmo dando ordine alla materia, ossia dando l'intelligenza all'anima <16. Anche Attico difese l'interpretazione letterale e soggiunse che Platone sostenne la tesi che il mondo ha avuto origine nel tempo al fine di poter dare un adeguato spazio all'esplicarsi deLla Provvidenza. Infatti, secondo Attico, la tesi dell'eternità del cosmo esclude la Provvidenza, in quanto la funzione essenziale di questa consisterebbe nel garantire .al cosmo, di per sé corruttibile, la incorruttibilità 47 • Una terza posizione risulta quella di Severo, il quale, rifacendosi al mito platonico del Politico 48 , sostenne che il mondo in quanto tale è ingenel'lato, ma che è generato questo nostro mondo attuale (al quale altri già precedettero e al c)
• Cfr. Plutarco, Plat. quaest., IV, 1002 e sgg.; De anim. procreat., 1014 b sgg. E degna di rilievo l'opinione di Plutarco circa la pluralità di mondi (che egli ritiene platonica): « [ ... ] è più conforme a ragione che Dio non si trovi di fronte a un mondo unico e solo. Infatti, essendo perfettamente buono, non c'è virtù di cui Egli sia privo; meno che mai egli è privo di giustizia e di amore (qaÀ[ot); virtù bellissime, queste, e che si addicono agli dèi. Ma non è nella natura di un dio possedere qualcosa, senza farne uso. E allora esistono, al di là di questo, altri dèi, altri mondi verso i quali Iddio esercita la virtù di natura sociale [ ... ] » (De def. orac., 423 d). Questi mondi sono cinque di numero. Alle cinque categorie dd Sofista (essere, identità, alterità, movimento e quiete) corrisponderebbero, secondo Plutarco, i cinque elementi, che corrisponderebbero, a loro volta, ai cinque solidi geometrici primordiali (ivi, 428 c sgg.), e i mondi sarebbero appunto «tanti quanti erano i corpi primordiali esistenti» (ivi, 430 e). Tutti i mondi sono prodotti e governati dall'unico Dio-ragione (dr., sopra, la nota 32). 47 Si legga, a questo riguardo, il fr. 4 (des Places, Atticus, pp. 50-54). • Cfr. Platone, Politico, 269 a sgg.
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
351
quale altri seguiranno) 49 • Infine lunco, il quale c1 e noto solo per questa opinione, sostenne che il mondo, come è stato generato dal Demiurgo, cosl perirà quando Egli lo vorrà 50 • Merita, inoltre, di essere rilevata la coloritura « dl.Blistica », di carattere accentuatamente religioso (e probabilmente di origine orientale), che la cosmologia e in generale la visione del mondo assumono in alcuni Medioplatonici (in modo particolare, come è ovvio, in quelli più sensibili aLla problematica religiosa). Abhi.amo già detto che Plutarco ammette l'esistenza di una « anima malvagia » insita nella materia informe 51 • Di « anima malvagia» già Platone aveva parlato nelle Leggi, in un contesto che, per la verità, sembra avere rpiù un carattere ipotetico-dialettico che non assertorio 52 • Plutarco, in ogni caso, va ben oltre le affermazioni di questo passo, fino a giungere ad una visione della realtà in cui i due opposti principi del bene e del male eternamente si fronteggiano. Questa visione duaHstica t·rova la sua più tipica espressione nel trattato Iside e Osiride. Quivi Plutarco cerca di dimostrare che la mitologia egiziana, inte9a in senso allegorico, rappresenta esattamente la concezione dei due principi rivali, concezione che, a suo dire, esprime la conwnzione di tutte le genti e di tutti i filosofi 53 • Anche Attico ammise l'esistenza di un'anima malvagia 54 , ., Cfr. Proclo, In Plat. Tim., 1, p. 289, 7 e n, p. 95, 29 Diehl (testimonianze III e IV, in Martano, Due precursori ... , pp. 63 sg.) . .., Cfr. Stobeo, Anthol., IV, 1108, 7 sgg. " Cfr. Plutarco, Plat. quaest., IV, 103 a. 52 Cfr. Platone, Leggi, x, 896 d sgg. 53 Cfr., in particolare, Plutarco, De I s. et Osir., 370 f. " Proclo (In Plat. Tim., I, p. 391, 6 sgg. Diehl) riferisce che Attico ed i suoi seguaci « pongono molti principi che legano tra di loro il demiurgo e le idee, e dicono che anche la materia, mossa da un'anima ingenerata, irrazionale, malefica, senza ordine né regola si agiti, e antepongono secondo il tempo la materia al sensibile, l'irrazionalità al razionale, il disordine all'ordine» (cles Places, Atticus, fr. 26, p. 76).
www.scribd.com/Baruhk
352
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
mentre Celso affermò espressamente che il male è « insito nella materia » 55 , e considerò quindi la materia come un principio antitetico a Dio, dato che· Dio, per sua natura, è Bene 56 •
5. La demonologia medioplatonica
Il forte rilievo dato alla trascéndenza del Dio supremo, come già abbiamo rilev·ato, comportava la necessità di ipostasi intermedie, ossia la necessità di concepire il divino ed il soprasensibile in modo gerarchico. Ma accanto alla concezione gerarchica di carattere metafisico e ontologico sopra esaminata, si ddinea, nell'ambito del medioplatonismo, una seconda concezione gerarchica del divino di carattere propriamente mistico- religioso, strettamente legata al politeismo pagano, la quale, ancora Ull1a volta, trova precisi agganci in Platone. La gerarchia del divino, sotto questo profilo, si configura come segue: l) Dio supremo; 2) Dei secondari; 3) Demoni.
Il Dio supremo è quello di cui sopra abbiamo già pMlato. Gli Dei secondari sono sia divJnità incorporee e quindi invisibili, sJa divinità visibili, come ad esempio gli astri, e sono tutti quanti, a vario titolo, potenze subordinate al Dio supremo. I Demoni sono inferiori agli Dei ma superiori agli uomini. Essi hanno, dunque, una natura che può chiamarsi « tinterCfr. Origene, Contra Celsum, IV, 65. Si veda anche quanto ci viene riferito intorno ad Arpocrazione in Stobeo, Anthol., I, p. 375, 14 sgg.; p. 380, 14 sgg. Wachsmuth; cfr. anche Massimo di Tiro, Orat., XLI, 4. 55
56
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
.35.3
media». Plutarco, ad esempio, li caratterizza come segue: Platone, Pitagora, Senocrate, Crisippo, seguaci dei primitivi scrittori di cose sacre, affermano che i Demoni sono dotati di forza sovrumana, anzi sorpassano di molto, per estensione di potenza, la nostra natura, ma non posseggono, per altro, l'elemento divino puro e incontaminato, bensì partecipe, a un tempo, di una duplice sorte, in quanto aduna natura spirituale e _sensazione corporea, onde accoglie piacere e travaglio; e tale elemento misto è appunto la sorgente del turbamento 51 • Secondo i Medioplatonici i Demoni non sono tutti uguali. Intanto, è da notare che essi sono distinguibili in due grandi classi. Vi sono Demoni che non hanno mai avuto commercio con i corpi e che costituiscono la specie più elevata, e vi sono Demoni che, invece, hanno avuto commercio con il corpo e sono non altro che anime, le quali, terminato il periodo delle loro incarnazioni, si sono liberate dai corpi. È inoltre da rilevare che le stesse anime, anche quando sono nei corpi, si possono chiamare Demoni 58 • I Demoni, poi, non sono tutti uguali anche in un altro senso: l'elemento misto è maggiore in alcuni e minore in altri. È a causa di questo elemento misto che i Demoni risultano soggetti ad affezioni ed a mutamenti, e, per Plutarco, addirittura anche alla morte 59 • _ Ai Demoni, inoltre, è data anche la possibilità di essere ammessi al rango degli Dei 60 • La demonologia, come già abbiamo accennato, risponde a una problematica religiosa, più che filosofica. Dio e gli Dei non possono « mescolarsi con gli uomini » né « aver commercio » con loro, a motivo della loro eminenza. Pertanto bisognava ~introdurre enti aventi funzione di mediatori sia
57 Plutarco, De Is. et Osir., .360d-e. Cfr. Apuleio, De deo Socratis, 147 sg. '" Cfr. Apuleio, De deo Socratis, 150 sg.; Plutarco, De def. orac., 4151H: . .. Cfr. Plutarco, De def. orac., 415 c-d; 419 a sgg. '" Cfr. Apuleio, De deo Socratis, 15.3 sg.; Plutarco, De Is. et Osir., .361 e.
www.scribd.com/Baruhk
354
LA. RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
per eseguire e mandare ad effetto i voleri degli Dei nel mondo e fra gli uomini (mediatori fra l'alto e il basso), sia per collegare, nella misura del possibile, gli uomini agLi Dei (mediatori fra il basso e l'alto). Inoltre, per Plutarco, bisognava introdurre i Demoni anche per spiegare il male e il negativo che c'è nel mondo: mentre gli Dei non possono essere se non buoni e fonte di bene, i Demoni, per la loro costituzione mista, possono essere anche malvagi e fonte di male 61 • In Plutarco, poi, la demonologia riveste una importanza del tutto particolare in quanto egli spiega, mediante essa, sia le differenze dei nomi e dei culti degLi Dei, sia, in genere, la mitologia politeistica. Il nostro filosofo rileva, infatti, che, pur essendo uno solo il Dio supremo (e una sola la Provvidenza), Egli è assistito da « potenze subordinate », le cui denominazioni (e i relativi culti) variano da popolo a popolo. La differente mitologia dei vari popoli, in questo modo, secondo il nostro filosofo, riceve adeguata spiegazione e giustificazione. In particolare Plutarco rileva come i vari atti nefandi che i molti miti pagani attribuiscono agli Dei, in realtà vadano attribuiti non agli Dei ma appunto ai Demoni, perché gli Dei sono solo buoni, mentre ·i Demoni, come sappiamo, sono anche malvagi 62 • Inoltre, poiché i Demoni possono essere soggetti alla morte, come già abbiamo detto, ne deriva di conseguenza che, con la loro morte, possono improvvisamente scomparire quegli effetti di cui essi erano causa: cosl si spiegherebbero, ad esempio, l'improvviso tramonto e l'estinzione «gli oracoli di alcuni santuari, oss•ia con la scomparsa del Demone che li ispirava 63 •
61 62 63
Cfr. Plutarco, De I s. et Osir., 360 e; 361 a-b. Cfr. Plutarco, De Is. et Osir., passim. Cfr. Plutarco, De def. orac., passim.
www.scribd.com/Baruhk
III. L'ANTROPOLOGIA E L'ETICA DEL MEDIOPLATONISMO
l. Il fine supremo dell'uomo e l'assimilazione a Dio
La tesi che, come abbiamo già rilevato, esprime il fondamento e la temperie spirituale dell'etica medioplatonica è quella che addita il fine supremo dell'uomo nell'assimilazione a Dio e al divino. Il principio deriva da Platone, il. quale, come abbiamo visto, lo aveva già formulato in modo esplicito; ma nella speculazione medioplatonica esso viene approfondito ed arricchito di corollari inediti, come vedremo. In particolare, è da rilevare che il supremo imperativo «segui Dio» si presenta come il programmatico rovesciamento del principio comune a tutte le grandi filosofie ellenistiche « segui la natura». Il nuovo principio, a ben vedere, esprime la rottura degli orizzonti materialistici di quelle etiche e il totale ricupero dell'orizzonte splritualistico 1• Su questo principio consentono pressoché tutti i Medioplatonici: Eudoro 2 , Plutarco 3 , Gaio -4, Albino 5 , Apuleio 6 , ' È questo un punto che, a nostro avviso, dagli studiosi è stato solo scarsamente rilevato. Sugli antecedenti platonici, cfr. Teeteto, 176 a; Fedro, 253 a-b; Repubblica, x, 613 a; Timeo, 90 a; Leggi, IV, 716 c. ' Cfr. Stobeo, Anthol., n, p. 49, 8 sgg. Wachsmuth, su cui cfr. H. Di:irrie, Der Platoniker Eudoros von Alexandreia, in << Hermes >>, 79 ( 1944 ), pp. 28 sg. Cfr. Mazzarelli, Eudoro, fr. 25. 3 Cfr. Plutarco, De superst., 169 e; De sera num. vind., 550 d. • Questo è possibile inferirlo, come congettura, dal fatto che la tesi in quescione è sostenuta da tutti i pensatori che sembrano essere stati a lui legati. ' Vedasi il passo che riportiamo, sotto, pp. 356 sg. • Cfr. Apuleio, De Platone, n, 25 sg.
www.scribd.com/Baruhk
356
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Teone di Smirne 7 , Massimo di Tiro 8 , Iunco 9 , l'Anonimo autore del Commentario al Teeteto 10 , e anche le fonti dossografiche di estrazione medioplatonica lo ribadiscono in maniera inequivoca 11 • La seguente pagina di Albino costituisce, probabiJmente, il punto più avanzato nell'elaborazione di questa dottrina: Platone, in conseguenza di tutte queste cose, pone come fine l'assimilarsi a Dio per quanto è possibile; questa dottrina è trattata in vari modi. Talora infatti dice che l'assimilarsi a Dio è l'essere saggi, giusti e santi, come nel Teeteto; per ciò bisogna anche cercare di fuggire di qui verso l'alto, quanto più presto possibile; la fuga è infatti l'assimilarsi a Dio per quanto possibile. L'assimilarsi è il divenire giusto e santo con il pensiero, talora soltanto l'essere giusto come nell'ultimo libro della Repubblica: non sarà mai infatti ignorato dagli dei colui che desideri divenire giusto e curando la virtù, per quanto possibile all'uomo, voglia assimilarsi a Dio. Nel Pedone, poi, dice che l'assimilarsi a Dio è divenire nello stesso tempo temperanti e giusti, in questo modo pressappoco: «Dunque saranno i più felici e fortunati e andranno nei luoghi migliori, coloro che praticarono la virtù comune e propria del buon cittadino, quella che chiamano temperanza e giustizia ». Talora dice che il fine è assimilarsi a Dio, talaltra che è il seguirlo, come quando afferma: «Dio, secondo l'antica tradizione, principio e fine etc. ». Talora dice entrambe le cose, come quando afferma: «L'anima che segue Dio e che si assimila a lui etc. ». Il bene è il principio di ciò che conviene fare ed anche 7 Teone di Smirne, nella sua Expositio, ritiene che, per giungere alla imitazione di Dio, l'uomo debba percorrere come una scala a cinque gradi, i quali vanno dalla purificazione attraverso le scienze matematiche, all'apprendimento delle dottrine filosofiche (logica, politica e fisica), alla conoscenza degli intelligibili, alla acquisizione della capacità di iniziare anche altri alle supreme conoscenze, alla quinta e ultima tappa, che è « la più perfetta », la quale consiste appunto nell'« imitazione di Dio nella misura del possibile» (14, 18 sgg. Hiller), secondo l'espressione usata dallo stesso Platone (Teeteto, 176 a). • Cfr. Massimo di Tiro, Orat., xxvi, 9; xm, l Hobein. • Cfr. Stobeo, Anthol., IV, p. 1064, 4. 1° Cfr., sotto, la nota 13. " Cfr. Diogene Laerzio, m, 78; lppolito, Philosoph., 19, 17 (Diels, Doxographi Graeci, p. 569, 14 sg.).
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
357
questo è detto venire da Dio; dunque il fine che consegue al principio, è l'assimilarsi al Dio, al Dio celeste evidentemente e non, per Zeus, a quello sopraceleste, il quale non ha virtù, ma è di essa migliore; per questo si può ben dire che l'infelicità è una cattiva disposizione della divinità interiore, la felicità una buona disposizione. Potremo giungere a divenire simili a Dio, se avremo una natura adatta, dei costumi, un'educazione e una vita secondo· la legge e soprattutto useremo la ragione, l'insegnamento e la tradizione delle dottrine, cosl da tenerci lontani dalla maggioranza delle cose umane e da essere sempre intenti alle cose intelligibili. Se si vuole essere iniziati alle conoscenze più alte, la preparazione e la purificazione del demone che è in noi dovranno avvenire tramite la musica, l'aritmetica, l'astronomia e la geometria e dovremo occuparci anche del corpo con la ginnastica, la quale addestra e ben dispone i corpi alla guerra e alla pace 12 • L'autore anonimo del Commentario al Teeteto, inoltre, espressamente contrappone l'imitazione di Dio come fondamento della giustiZiia, ossi·a della virtù, alla stoica oikeiosis: Platone non deduce dall'oikeiosis la giustizia, bensl dall'assimilazione a Dio 13 • Si sarà notata, nel passo sopra letto di Albino, l'affermazione (la quale, di primo acchito, suona alquanto strana) che l'assim1lazione a Dio non significa già assimilazione al Primo Dio, che è superiore alla stessa virtù, ma assimilazione al Dio che è nel cielo, cioè al Dio secondo. Il senso di tale affermazione, comunemente mal compresa, viene rivelato dalle seguenti affermazioni di Albino: Procedendo per ordine, bisogna ora parlare, per sommi capi, delle cose dette da Platone riguardo all'etica. Egli riteneva che il bene più pregevole e più grande non fosse facile da trovare e, trovatolo, non fosse prudente offrirlo a tutti. Per certo pochissimi e scelti discepoli fece partecipi della sua lezione sul Bene. Peraltro, esaminando accuratamente le sue opere, si può vedere che Platone 12 13
Albino, Didascalico, XXVIII, 1-4. Anonymer Kommentar ... , col. 7, 14.
www.scribd.com/Baruhk
358
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
ha posto il nostro bene nella scienza e nella contemplazione del primo Bene, che può essere chiamato Dio e primo intelletto 14•
Se il supremo bene è Ja contemplazione del Dio supremo, o Intelletto primo, è chiaro che, in questa contemplazione, proprio il Dio secondo o Intelletto secondo (Intelletto del cielo) raggiunge la sua perfezione paradigmatica, per le ragioni di cui abbiamo parlato trattando della dottrina albiniana delle « ipostasi ». È questa, appunto, la virtù dell'Intelletto secondo (contemplazione del Dio sommo o Intelletto primo), che è oggetto di imitazione da parte degli uomini. Detto in altri termini: il fine supremo dell'uomo è quello di fare, nella misura in cui ne è capace, ciò che, in modo perfetto, fa l'Intelletto secondo o Dio secondo: contemplare l'Assoluto e fare di esso la regola suprema. 2. L a natura spiri tu a I e d e II' uomo e I a c o n c ezione dualistica di anima e corpo
Questa concezione del fine supremo dell'uomo come « assimilazione a Dio» implica, ovviamente, una rifondazione spiritualistica dell'antropologia, e, predsamente, una riaffermgzione deHa presenza nell'uomo della dimensione incorporea. Viene, così, energicamente sostenuta l'incorporeità dell'anima e la socracica «cura dell'anima » platonicamente intesa torna a reimporsi 15 • L'anima proviene dal Primo Dio, e, per questo, essa è immateriale ed incorporea ed è destinata a ritornare alla sfera del divino dalla quale proviene, nella misura in cui avrà saputo purificarsi tramite le supreme conoscenze 16 •
•• Albino, Didascalico, XIII, l. Cfr., ad esempio, Apuleio, De deo Socratis, 168. " Si veda, ad esempio, il passo di Albino riportato sopra, pp. 356 sg.
15
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
359
A questo proposito bisogna rilevare che alcuni Medioplatonici, quelli che alcuni studiosi chiamano «ortodossi », sostengono la necessità di ritornare alla concezione puramente platonica dell'anima, giudicando la psicologia aristotelica come decettiva. In particolare, Attico accusa Aristotele di compromettere la dottrina dell'immortalità dell'anima, che è fondamento dell'etica, con la sua distinzione fra anima e nous. E se Aristotele ammette l'immortalità del nous, sottolinea Attico, non sa tuttavia spiegare né l'origine, né la natura di esso, né i rapporti che ha con i singoli individui 17 • Altri Medioplatonici, per contro, come abbiamo già rilevato, sfruttano invece quella distinzione aristotelica proprio in senso antimaterialistico e per raggiungere, sia pure in modo diverso e ad un più alto livello, quegli stessi obiettivi che Attico si riproponeva. Scrive, ad esempio, Plutarco: La parte immersa e presa nei movimenti del corpo è detta anima; quanto alla parte incorruttibile, i più la chiamano intelletto e la credono interiore a se medesimi, come i riflessi sono in uno specchio; ma coloro che meglio giudicano la chiamano Demone, come quella che loro è esteriore 18 •
Anche secondo Albino l'intelletto deriva dal Primo Dio ed anche da lui è denominato Demone, mentre le altre parti dell'anima derivano dagli Dei inferiori. In particolare, poi, è da rilevare che la possibilità stessa dell'« assimilazione a Dio», in Albino, si fonda proprio su questa metafisica sporgenza del nous: Solo l'intelletto e la ragione in noi possono giungere alla somiglianza del Bene [che è l'Intelletto supremo] 19 •
17 18 19
Cfr. Attico, fr. 7, 13 (cles Places, p. 64). Plutarco, De genio Socratis, 391 e; dr. anche De facie, 943 a. Albino, Didascalico, XXVII, 3.
www.scribd.com/Baruhk
360
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Un ultimo punto va rilevato a questo proposito, vale a dire l'affermazione della libertà dell'anima, la quale, come si ripete con la celebre dottrina platonica, « non ha padroni », essendo le sue scelte di fondo sottratte ,alla necessità 20 • I Medioplatonici, per conseguenza, polemizzano contro la dottrina stoica del fato, e, pur accettando alcune istanze di questa, riescono a conciliare necessità e libertà assai più e assai meglio di quanto non fosse dusoito Crisippo. Ecco il passo più significativo, a questo riguardo, tratto dal Didascalico: Intorno al fato Platone pensa, all'incirca, queste cose. Dice che tutto è nel fato, ma che non tutto è predestinato. Infatti, il fato è come una legge e non stabilisce, ad esempio, che una persona farà una cosa, che un'altra persona invece subirà un'altra cosa: questo infatti andrebbe all'infinito, poiché infinito è il numero dei viventi e infinito il numero delle cose che ad essi accadono; inoltre, ciò che è in nostro potere non lo sarebbe più e non esisterebbero lodi, biasimi e ogni altra cosa del genere di queste; il fato stabilisce invece che, se un'anima sceglie una vita e fa certe cose, gliene conseguiranno certe altre. L'anima è dunque senza padrone e da essa dipendono il fare e il non fare e ciò non è sottoposto a vincolo; le conseguenze delle sue azioni invece si compiranno secondo il destino. Ad esempio: al fatto che Paride rapirà Elena, fatto che da lui dipende, seguirà che i Greci faranno guerra per Elena. Cosl, infatti, anche Apollo predisse a Laio: « Se tu genererai un figlio, il figlio ti ucciderà ». Nella legge divina è contenuto Laio e il fatto che egli generi un figlio, ma solo quello che consegue a ciò è predestinato 21 •
3.
La tavola dei valori e la virtù
Il medioplatonismo (e in particolare la scuola di Gaio) riprende quella tavola dei valori che Platone aveva fissato .. Cfr. Albino, Didascalico, XXVI, 2; XXXI, l; Apuleio, De Platone, 236. 21 Albino, Didascalico, XXVI, 1-2. Su questi temi si veda anche Ps. Plutarco, De fato, 5.
II,
www.scribd.com/Baruhk
IL
~DIOPLATON1S~O
361
nella sua ultima opera, ossia nelle Leggi 22 , contrapponendola alla riduzione stoica. di tutti quanti i valori ad uno solo, e reinterpretando alcuni dogmi stoici in modo conforme a que~ sta tavola. Apuleio, ad esempio, suddivide i «beni» in due grandi generi: ossia l ) in beni di vini e 2) in beni umani. Egli divide, poi, ciascuno di questi generi di beni in due specie: la) Dio, lb) la virtù, 2a) Je buone qualità del nostro corpo, 2b) il possesso di ricchezze, di potenza e simili. Quelli del secondo genere sono beni solo se e nella misura in cui sono subordinati ai primi, e sono usati secondo ragione 23 • Albino presenta una sistemazione ancor più organica. Dopo aver detto che il bene supremo consiste nella contemplazione del Primo Bene, ossia del Primo Dio, che è i.l Primo Intelletto, egli scrive: Egli pensava che tutte le cose chiamate buone presso gli uomini avessero questo nome per il loro partecipare, in certo qual modo, al primo e più pregevole bene, allo stesso modo in cui le cose dolci e calde hanno tale nome per il loro partecipare al primo dolce e al primo caldo. Solo il nostro intelletto e la nostra ragione possono giungere ad assimilarsi al bene; perciò anche il nostro bene è bello, nobile, divino, amabile, proporzionato e denominato con nomi degni del divino. Di quelli che i più chiamano beni, per esempio la salute, la bellezza, la forza, la ricchezza e le altre cose a queste affini, nessuno è in sé un bene, se non è usato virtuosamente; infatti, separati dalla virtù, sono soltanto al livello della materia e divengono dei mali per quelli che li usano sconsideratamente; qualche volta Platone li chiama anche beni mortali [ = beni per partecipazione] 2-1. ~ chiaro, dunque, che la virtù suprema dell'uomo è la virtù contemplativa, da cui dipende appunto l'« assimil~ione a Dio». Tuttavia i Medioplatonici non esitano a far posto Cfr. vol. II, pp. 141-143. Cfr. Apuleio, De Platone, II, 219 sgg. ,. Albino, Didascalico, xxvu, 2; dr. aoche il resto del capitolo. 22
22
www.scribd.com/Baruhk
362
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
anche alle virtù etiche, accogliendo quindi i guadagni aristotelici, e considerando queste appunto come le virtù relative alle parti arazionali dell'anima e come realizzazione del « giusto mezzo » fra eccesso e difetto e quindi come realizzazione della « giusta misura » 25 • La vera felicità non dipende dai beni umani, bensl da quelli divini': sono appunto questi, infatti, e solo questi, che rendono l'anima degna di ritornare ad essere compagna degli Dei, e, con essi, a « contemplare Ja pianura della verità» 26 •
4.
L'e t i c a m e d i o p l a t o n i c a e l'e t i c a sto i c a
Si è spesso sottolineato il carattere eclettico dell'etica medioplatonica, che, accanto ai guadagni platonici, non esita ad accogliere quelli aristoteLici, nonché quelli della Stoa. In effetti, a riprova di tale asserto, si potrebbero addurre numerosi documenti. Tuttavia, non è stato adeguatamente rilevato il fatto che solo raramente i Medioplatonici accolgono guadagni posteriori a Platone che contrastino con lo spirito platonico. Infatti, nella maggior parte dei casi, essi ripensano e rifondano i nuovi guadagni secondo lo spirito platonico. Cosi, ad esempio, Albino espressamente dimostra che il celebre dogma stoico secondo cui « solo ciò che è moralmente buono è bene » e la conseguente riduzione di tutti i restanti valori a « indifferenti » equivale alla dourina platonica secondo cui dl bene supremo consiste «nella conoscenza della prima causa » e che solamente questo è « bene divino », mentre tutti gli altri sono solamente «beni per partecipazione », ossia « beni umani » e tutte quelle cose che sono « separate dalla prima causa » sono mali 27 • 25 Cfr. Plutaroo, Quaest. plat., IX, 1009 a-b; dr. Albino, Didascalico, xxx. " Cfr. Albino, Didascalico, XXVII, 3. 'D Cfr. Albino, Didascalico, XXVII, passim.
www.scribd.com/Baruhk
IL MEDIOPLATONISMO
363
Anche il dogma stoico secondo cui « la virtù basta a sestessa», in quanto contiene in sé la ragione della felicità, è ritenuto da Albioo ~rfettamente platonico, per le ragioni che egli riassume come seglle: Colui che possiede la scienz~ che abbiamo detto è il più fortunato e felice, non tuttavia per gli onori che, essendo tale, riceverà, né per le ricompense, ma anche se dovesse restare ignoto a tutti gli uomini e gli capitassero quelli che sono detti mali, per esempio la perdita di ogni diritto, l'esilio, la morte. Invece chi, senza avere questa scienza, possiede tutti quelli che sono ritenuti beni, come la ricchezza, la potenza regale, la salute del corpo, la vigoria, la bellezza, in nulla è più felice 28 •
Per quanto concerne il dogma dell'« apatia», già Plutarco mostra chiaramente, dapprima, che è un Jdeale irraggiungibile, e, successivamente, che è un ideale addirittura decettivo, perché non tiene conto della realtà dell'animo umano, che, per sua stessa natuoo, non può non avere passioni. Per conseguenza, le passioni si possono moderare, ma non sradicare. La metriopatia che deriva, in ultima analisi, dalla platonica « giusta misura », diviene cosl l'ideale di Plutarco. Ecco la massima che ridà perfettamente il pensiero del nostro filosofo:
Le azioni moralmente buone differiscono da quelle cattive per la loro giusta misura (Tijl !J.&TP!
www.scribd.com/Baruhk
364
LA RISCOPERTA DELL'LNCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Infine, rileVIiamo il permanere della componente intellettualistica anche nell'etica medioplatonica. Albino afferma che la virtù è volontaria, ma non il vizio: E poiché se qualcosa esiste di dipendente da noi e senza padrone, tale è la virtù (non dovrebbe infatti essere lodato il moralmente buono, se provenisse dalla natura o da qualche divino destino), la virtù è volontaria e consiste in una spinta ardente, nobile e durevole: dal fatto che la virtù è volontaria segue la involontarietà del vizio. Chi infatti sceglierebbe volontariamente di avere nella parte più bella e più pregevole di se stesso, il peggiore dei mali? Se, infatti, qualcuno aspira al male, in primo luogo, lo fa credendo di aspirare non al male, ma al bene; e se uno ricorre al male, una tale persona è assolutamente ingannata nella sua intenzione di tener lontano un male più grande attraverso un male più piccolo, e in questo modo risulterà involontario il ricorso al male; è impossibile infatti che qualcuno aspiri al male, volendo trovare il male stesso, e non per la speranza di un bene o per il timore di un male maggiore 31 •
Affermare che la virtù è « volontaria » e che invece il vizio, che è il suo contrario, è « inwlont·ario », è evidentemente contraddittorio. È chiaro che l'ipoteca dell'intellettualismo socratico gioca, ancora una volta, un ruolo determinante. Il discorso di Filone con le sue bibliche implicamoni, per quanto concerne l'intera area della tematica morale, non è stato quasi per nulla recepito dalla cultura dei Greci .32
" Albino, Didascalico, xxxr, l. " Per una esposizione analitica dei vari esponenti del medioplato· nismo, cfr. J. Dillon, The Middle Platonists, 80 B.C. to A.D. 220, Cornell University Press, Ithaca-New York 1977. Si veda, inoltre: Donini, Le scuole ... (cit. p. 97), pp. 100-159 e le indicazioni ulteriori che diamo nel vol. v, s.v. Medioplatonici.
www.scribd.com/Baruhk
SEZIONE TERZA
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA, LE SUE FASI SUCCESSIVE E LA FUSIONE FINALE FRA NEOPITAGORISMO E MEDIOPLATONISMO
« [ ... ] 3si TIVIX cinsÀ&6v-riX n6ppw cinò Twv CLta&-/)Twv
6!J.IÀ'ijaiXI T<j> ciyiX&<j> !J.6V<j> !J.6VOV, fv&IX !J.~TS T~ !v&pwnoç !J.~TS TI ~<j>ov f-rspov !J.ll3è aw!J.IX !J.ÉYIX !J.ll3È a!J.r.xp6v, clÀÀcl T~ !cpiXTOt; XIXl a81~Y7lTOç cinxvw; ~Pll!Llct &canéa1ot;, fv&IX Tou ciyiX&ou ~&-q [ ... ] ». « [ ... ] Bisogna che l'uomo, dopo essersi allontanato dalle cose sensibili, entri in intima unione col Ben'e, da solo a Solo, là dove non c'è alcun uomo, né altro essere vivente, né alcun corpo, né grande né piccolo, ma c'è una solitudine meravigliosa, indicibile ed indescrivibile, là dove c'è la dimora del Bene [ ... ] ». Numeruo, fr. 2 (cles Places)
www.scribd.com/Baruhk
www.scribd.com/Baruhk
I. I DOCUMENTI, GLI ESPONENTI, LE CORRENTI E LE CARAT-
TERISTICHE DEL PITAGORISMO DELL'ETÀ ELLENISTICA E DELL'ETÀ IMPERIALE
l. Le vicende della scuola pitagorica
L'antica scuola pitagorica, come abbiamo visto nel primo volume 1, fu attiva fino ai primi decenni del IV secolo a.C. Il ruolo da essa svolto risultò essenziale non solo nello sviluppo del pensiero presocratico, ma altresl nell'evoluzione del pensiero di Platone, che ai Pitagocici deve moltissimo: dal Gorgia al Pedone, dalla Repubblica al Filebo, l'incidenza del pitagorismo si fa sempre più sensibile e diventa determinante nel Timeo e nelle « dottrine non scritte ». La tradizione ci dice che il primo Pitagorico che rese pubblica la dottrina (la quale era stata prima rigorosamente custodita dal sacro v1ncolo della segretezza) sia stato Filolao, all'epoca di Socrate, H quale sarebbe stato spinto a far questo dalle ristrettezze economiche in cui venne a trovarsi, e che Platone avrebbe fatto acquistare per cento mine i libri pitagorici divulgati da Filolao 2 • Questa tradizione, per quanto possa essere sospetta nei particolari, contiene senza dubbio un nucleo di verità, come lo svolgimento degli eventi stessi comprova. All'epoca di FJlolao la scuola pitagorica senza dubbio dovette essere vittima di una crisi assai grave, tanto che dopo Filolao essa non diede più significat,ivi segni di vita,
Cfr. vol. 1, pp. 83-106. Cfr. Diogene Laerzio, viii, 84 ( = Diels-Kranz, 44 A l); Diogene Laerzio, III, 9; Eusebio, Adv. Hierocl., p. 64 (380, 8 Kayser); Giamblico, Vita di Pitagora, 199 ( = Diels-Kranz, 44 A 8). 1
2
www.scribd.com/Baruhk
368
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
il che spiega come si sia potuto giungere a distruggere il «segreto» della dottnna e a renderla pubblica. D'altra parte, che Platone sia venuto a conoscenza de1le dottrine più intime della scuola pitagorica è provato dai suoi stessi scritti. (Ricordiamo, tra l'altro, che Platone conobbe di persona, nel suo primo viaggio in Magna Grecia, un Pitagorico di eccezionale statura quale fu Archita, e che, forse, lo rivide anche nel 361 a.C., in occasione del suo secondo viaggio in Sicilia. Ad Archita, poi, Platone dovette addiriùura la propria liberazione in occasione del terzo viaggio in Sicilia, allorché Dionigi n lo trattenne prigioniero, minacciandolo di morte) 3 • Ebbene, se la crisi della scuola pitagorica nella Magna Grecia produsse una rottura di quella tradizione e di quella linea di pensiero che derivava direttamente da Pitagora e dai suoi immediati seguaci, non comportò tuttavia la scomparsa delle istanze spirituali e dottrinali del pitagorismo; anzi, esse vennero rinvigorite, e, portate sul nuovo piano metafisica guadagnato da Platone con la « seconda navigazione » 4 , condussero a esiti di considerevole portata nell'ambito della prima Accademia 5 • A questo proposito conviene ricordare che già Aristotele aveva esplicitamente sottolineato la massiccia incidenza del pensiero pitagorico su que1lo platonico, ed era perfino giunto (evidentemente in eccessi polemici) ad affermare che, in certi punt:J chiave della sua antologia, Platone aveva semplicemente ripetuto dottrine pitagoriche, mutando solo terminologia 6 ; inoltre, egli aveva fermamente denunciato l'involumone matematizzante dei primi Accademici ed aveva aspramente polemizzato contro tale tendenza 7 • Ma lo stesso Aristotele fu attratto dai Pitagorici in misura 3 Cfr. vol. II, pp. 8 sg., nota l. • Cfr. vol. II, pp. 217 sgg., dove mostriamo come il concetto pitagorico di « misura » venga trasvalutato sulla base della nuova metafisica. • Cfr. vol. m, pp. 98 sgg. • Cfr. Aristotele, Metafisica, A 6, 987 h 10 sgg. 7 Cfr. Aristotele, Metafisica, A 9, e i libri M e N, passim.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
369
notevole, tanto da dedicare ad essi· studi approfonditi con due trattazioni monografiche 8 • Insomma, la filosofia « italica » dei Bitagorici ebbe una vera e propria stagione ateniese nell'Accademia platonica, e quindi, mediatamente, un ruolo essenziale nella determinazione di una serie di categorie fondamentali di quello che potremmo chiamare il pensiero classico della grecità. Fino a quando durò questo influsso ·del pensiero pitagorico? Poiché esso era strettamente legato soprattutto all'ontologia platonico-accademica, subl, di conseguenza, le stesse vicende. Dopo gli scolarcati di Speusippo e di Senocrate, già alla fine del IV secolo a.C., l'Accademia, come abbiamo visto, cadde in una crisi, che progressivamente crebbe per mezzo. secolo, e poi con Arcesilao abbracciò addi1.1ittura posizioni scettiche, del tutto estranee al pitagorismo. Di fatto, dal dibattito dei nuovi problemi suscitati dalle grandi scuole ellenistiche, le istanze pitagoriche risultano pressoché interamente assenti. Alla sensibilità della nuova età non interessavano né l'antologia del numero né le dottrine morali legate alla concezione delJa trasmigrazione dell'anima e alle sue sorti escatologiche. Il verbo pitago11ico cadde cosl nell'obLio, almeno nella cultura dominante, e vi giacque fino a quando dominò incontrastata la visione del mondo e della vita di carattere materialistico e immanentistico comune a tutte le nuove scuole, vale a dire durante i seco1i III e II a.C., ossia per circa duecento anni. Solo in quelle cerchie di persone che coltivavano i misteri orfico-pitagorici o forme di cmto legate a questi sarebbero rimasti in v1ta alcuni elementi del pitagorismo, ma non di carattere filosofico 9 •
1 Ricordiamo i trattati Sui Pitagorici e Sulla filosofia di Archita, purtroppo andati perduti. ' :g questa la tesi resa canonica soprattutto dallo Zeller, Die Philosophie der Griechen, m, 2, pp. 92 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
370
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Ma, a partire dal I secolo a.C., il pitagorismo, parallelamente alle istanze spirituaJistiche e religiose, rinacque, come prova una serie di tes1limonianze, sia in Oriente, in particolar modo ad Alessandria, sia in Occidente, in particolare a Roma. Questo iato, espressamente rilevato anche dagli antichi, e le differenze fra il vecchio pitagorismo e quello rinato a partire dal I secolo a.C., hanno indotto gli storici della filosofia a denominare quest'ultimo « neopitagorismo » 10 • Da qualche tempo, tuttavia, gli studiosi vanno dimostrando che, proprio in quei secoli in cui il pitagorismo si credeva del tutto morto, sembra siano stati composti e fatti circolare aJcuni scritti che vennero attribuiti ad antichi Pitagorici, i cosiddetti pseudepigrapha o pseudopythagorica, di cui subito sotto diremo, che in passato si ritenevano composti a partire dal I secolo a.C. Orbene, questo arretramento della data di composizione degli pseudepigrapha sembrerebbe mettere in crisi (almeno sotto un certo profilo) la convinzione dell'esistenza di quello iato, di cui dicevamo, fra pitagorismo «vecchio» e «nuovo», e quindi i termini cronologici relativi alla rinascita' della filosofia pitagorica. Data l'importanza del problema e dato che le soluzioni che proponiamo vorrebbero introdurre nuovi elementi di chiarificazione (sia pure a livello di ipotesi di lavoro e nei limiti consentiti ad un'opera di sintesi), è necessario procedere ad alcuni rilievi di carattere analitico, concernenti i documenti e le fonti relative al pitagorismo dell'età ellenistica, iniziando appunto dagli pseudepigrapha, che costituiscono i documenti più problematici. •• Cfr. Aristosseno, presso Giamblico, Vita di Pitagora, 248 sgg.; dr. anche Diogene Laerzio, VIII, 46 e Porfirio, Vita di Pitagora, 54 sgg. (= Wehrli, Aristoxenos, frr. 18 e 19; Wehrli, Dikaiarkos, fr. 34). Già alcuni autori dell'età imperiale patlavano non solo di « Phagorici antichi» e di « Pitagorici recenti» (dr. Plutatco, Quaest. conv., VIII, 8, 1), ma addirittura di Pitagorici « antichi » e « neoteroi », che è come a dire Neopitagorici (dr. Siriano, In Arist. Metaph., 151, 17 sgg.).
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
371
2. Le falsificazioni di età ellenistica e imperiale di scritti attribuiti ad antichi Pitagorici, la loro genesi e il loro probabile significato
Sotto il nome di Pitagora e sotto i nomi di membri appartenenti alla sua famiglia o alla cerchia dei suoi discepoli e seguaci, sia famosi, sia poco noti, sia, addirittura, a noi sconosciuti (in complesso se ne contano più di cinquanta), sono stati fatti circolare deoine e decine di scritti (alcuni dei quali pervetmtici per intero), che sappiamo con certezza essere inautentici, per il motivo che citano dottrine tarde e di varia estrazione, attinte specialmente da scritti platonici e accademici, aristotelici e peripatetici, e talora anche stoici 11 • Di fronte a tale massa di falsificazioni, gLi storici del pensiero antico si sono posti i seguenti problemi: l) A quale scopo furono prodotti questi scritti? 2) Dove e quando furono prodotti? 3) Quale è il loro significato e il loro vaJore? La risposta al primo problema non può essere univoca. Tuttavia, se si esaminano i « pezzi » più ampi e più cospicui a noi pervenuti, il loro scopo oi pare abbastanza scoperto. Prendiamo, ad esempio, alcuni degli scritti attribuiti ad Archita. Uno di questi, giuntoci integralmente, tratta delle categorie e desume il materiale in gran parte dalla omonima " Daremo l'elenco di questi nomi, nella sua completezza, nel vol. v, s.v. Mediopitagorici. II complesso degli pseudoepigrafi pervenutici, i frammenti e le testimonianze ad essi relative sono stati raccolti da H. Thesletf, The Pythagorean Texts oi the Hellenistic Period, Abo 1965. Pochi anni prima lo stesso Thesletf aveva pubblicato un volume introduttivo: An Introduction to the Pythagorean Writings of the Hellenistic Period, Abo 1961, che contiene Io stato della questione, il catalogo dei nomi, una descrizione dei vari scritti e frammenti e una nuova interpretazione della genesi e della cronologia .degli pseudepigrapha, assai discutibile, ma molto interessante. Si vedano anche: W. Burkert, Hellenistische Pseudopythagorica, in « Philologus », 10.5 (1961 ), pp. 16-43, 226-246; AA.VV., Pseudepigrapha I, vol. xvm della collana « Entretiens sur I'Antiquité Classique », VandoeuvresGenève 1972, pp. 21-102, che contiene ulteriori contributi del Burkert e del Thesletf. Si veda anche: Moraux, Der Aristotelismus ... , vol. n, pp. 605-683.
www.scribd.com/Baruhk
372
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
celebre opera aristotelica. Orbene, lo scopo cui doveva mirare
il falsario che lo compose e lo fece circolare sotto il nome di Archita sembrerebbe ovvio: egli mirava a dimostrare che la scoperta della dottrina delle categorie doveva essere ritenuta merito dei Pitagorici e che dunque Aristotele non poté che averla desunta da essi 12 • In un altro trattato Sui principi (di cui ci è giunto un ampio frammento) il falsario attribuisce ad Archita una dottrina dei « tre principi », analoga a quella che ritrov[amo nei Medioplatonici, desunta dal Timeo ili Platone e reinterpret.ata in foozione di alcuni concetti aristotelici. I tre principi sono: la materia, la forma e Dio considerato come causa motrice 13 • Dio, poi, è detto essere non solo Nous, ossia Intelligenza, ma superiore all'Intelligenza 1 ~, secondo una formula che ci.corda l'Aristotele essoterico e che anticipa già una tendenza che si affermerà più avanti. Anche in questo caso il falsario voleva evidentemente far credere queste dottrine di origine pitagorica. Analogamente, nel trattato Sull'intelletto e la sensazione si presentano, sempre
12 Si veda questo trattato in Thesleff, pp. 21·32. Ad Archita è attribuito anche un secondo trattato sulle categorie: Sui dieci concetti universali (in Thesleff, pp. 3-8); ma questo scritto si tende ora a considerarlo un falso addirittura di età umanistica (cfr. Th. A. Szlezak, Pseudo-Archytas uber die Kategorien, Berlin 1972, pp. 19 sgg.), quindi completamente al di fuori del periodo storico di cui parliamo. 13 Cfr. Thesleff, pp. 19 sg. Ecco, ad esempio, il passo più significativo. Dopo aver detto che la materia non è in grado di per sé di unir~>i alla forma, né viceversa, e che quindi risulta necessaria una terza causa, che è Dio, l'autore scrive: «Cosicché tre sono i principi: Dio, la sostanza materiale e la forma. Dio è l'artefice e il principio motore, la sostanza materiale è appunto la materia e ciò che viene mosso, e la forma è l'arte e ciò in funzione della quale la sostanza materiale è mossa da parte del principio motore ,. (Thesleff, p. 19, 25 sgg.). •• Thesleff, p. 20, 11 sgg.: «I principi saranno necessariamente tre: la sostanza materiale delle cose, la forma e ciò che si muove da sé e che è primo per la sua potenza. E questo principio deve essere non solo Intelletto, ma qualcosa di superiore all'Intelletto: ciò che chiamiamo Dio, evidentemente, è superiore all'Intelletto •· Cfr. Aristotele, Sulla preghiera, fr. l Ross.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
373
sotto Iii nome di Archita, dottrine chiaramente desunte dalla Repubblica di Platone 15 • Conclusioni del tutto simili si possono ricavare dal trattato Sulla natura dell'universo fatto circolare sotto il nome di Ocello Lucano, che mirava ad attribuire alla scuola pitagorica dottrine tipiche della cosmologia e della fisica di Aristotele e, in particolare, la dottrina dell'eternità del cosmo 16 • L'esempio forse più lampante è costituito dal trattato Sulla natura del cosmo fatto circolare sotto Jl nome di Timeo di Locri, che niassume sostanzialmente il Timeo di Platone (con aJcune coloriture aristoteliche), e che, anzi, vorrebbe essere addirittura quel supposto scritto originario cui Platone stesso si sarebbe ispirato nel comporre il suo grande dialogo 17 • Analogamente, un certo numero di questi pseudoepigrafi mira a far credere come proprie di antichi Pitagorici dottrine morali o politiche desunte da Platorie o da Aristotele 18 • In tutti questi documenti manca qualsiasi serio tentativo di inserire le dottrine che si vorrebbero presentare come Cfr. Thesleff, pp. 36 sgg. Cfr. Thesleff, pp. 125-138. Di questo testo vi è anche una eccellente edizione con commentatio e ampia introduzione curata da R. Harder, Ocellus Lucanus. Text und Kommentar, Berlin 1926. 17 Thesleff, pp. 203-225. Anche in questo documento, l'autore, dopo aver incominciato con l'asserire che «due sono le cause della totalità delle cose», ossia 'la materia e l'Idea-paradigma, e dopo aver aggiunto, come terzo, il risultato del loro insieme, ossia la cosa sensibile concreta, ripropone la dottrina dei tre principi, affermando che prima della n:Hidta dd cido « vi erano l'Idea, la materia e H Dio Demiurgo» (p. 206, 11 sg.). (Una accurata edizione critica - con ampia introduzione e traduzione tedesoa - è stata curata di recente da W. Marg: Timaeus Locrus, De natura mundi et animae, Leiden 1972). 11 All'etica atistotdica sembra rifatsi lo pseudo-Archita nd trattato Sull'uomo buono e virtuoso (Thesleff, pp. 8 sgg.); la metriopatia è sostenuta nel trattato Sull'educazione morale, attribuito sempre ad Archita (Thesleff, pp. 40 sgg.). Si veda, poi, n Trattato sulla virtù attribuito a Metopo (Thesleff, pp. 116 sgg.), patticolatmente significativo. Concezioni politiche di estrazione platonica si trovano nei Proemi alle leggi attribuiti a Catonda (Thesleff, pp. 60 sgg.) e a Zaleuco (Thesleff, pp. 225 sgg.), nei trattati Sull'arte regia attri· buiti a Diotogene, Ecfanto e Stenida (Thesleff, pp. 71 sgg.; 79 sgg.; 187 sg.). 15
16
www.scribd.com/Baruhk
374
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
pitagoriche nel contesto della teoria dei numeri e della teoria dei principi supremi. Viceversa, in altri pseudoepigrafi compare la dottrina dei due principi opposti dell'Uno o Monade e della Diade; la Monade è intesa come «principio generante e determinante» e la Diade come princiP,io indeterminato che viene determinato dalla Monade 19 • Va Monade viene fatta coincidere col principio del bene, con Dio e con il Nous e, in un paio di testimonianze, si tende addirittura a porre l'Uno al di sopra del Nous 20 • Peraltro, è subito da rilevare che i passi dottrinalmente più avanzati non sono originari, ossia non sono frammenti diretti, bensì relazioni dossografiche di autori posteriori e, dunque, sono di valore incerto. In ogni caso, sono tentativi che rivelano maggiore consapevolezza e maturità rispetto ai primi 21 • Su queste dottrine diremo più avanti. Intanto, dobbiamo notare che gli pseudoepigrafi sono documenti fra loro alquanto eterogenei e che un certo numero di essi ha sicuramente una genesi diversa da quella indicata. Alcuni sono semplici tentativi di fissare per iscritto dottrine prevalentemente pitagoriche tramandate oralmente (e quindi non rivelano quella ingenua ed ambigua intenzione di appropriarsi di dottrine altrui), come, ad esempio, i celebri Versi aurei attribuiti a Pitagora, che conservano in gran parte una tradizione genuinamente pitagorica 22 • " Cfr. Pseudo-Callicratide, in Thesleff, p. 103, 11 sgg. .., Cfr. Pseudo-Brontino, in Thesleff, p. 56, 1-10, e il testo citato alla nota 14. Cfr. sulla Monade in generale Pseudo-Butero, in Thesleff, p. 59; il testo citato alla nota precedente; Pseudo-Opsimo, in Thesleff, p. 141; i testi attribuiti a Pitagora, in Thesleff, pp. 164 sg.; 173, 11; 186. 21 E chiaro che la prassi di scrivere libri attribuendoli ad antichi Pitagorici, una volta sorta e consolidata, poté continuare a lungo, anche quando alcuni Pitagorici erano entrati in scena col loro nome e volto, e quindi in era cristiana, come già abbiamo sopra notato. , 72 Cfr., più avanti, pp. 405407.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
3ì5
Altri pseudoepigrafi, invece, possono essere anche delle volgari falsificazioni approntate a scopo venale, dato che ci viene espressamente riferito che il re libico Giuba n, infervoratosi della filosofia pitagorica, fece incetta di scritti pitagorici e che in questa circostanza furono prodotti apocrifi al solo scopo di essere venduti al re Giuba (n secolo a.C.) 23 • Per concludere su questo argomento, diremo che molti pseudoepigrafi, in particolare alcuni « pezzi forti » che ci sono pervenuti (e che sono anche i soli ad avere avuto una certa notorietà), costituiscono un tentativo di « rilancio » del pitagorismo, condotto in una maniera estremamente ingenua, ossi·a cercando di far credere (se in buona o in cattiva fede non ci interessa) che famose e conclamate dottrine platoniche ed aristoteliche erano già proprie di antichi Bitagorici. È ovvio che ci troviamo di fronte a uomini che, da un lato, non avevano più alle spalle una tradizione di « scuola », da cui poter desumere una precisa identità, e che, d'altro canto, non avevano ancora acquisito la coscienza della possibilità di una riproposta e di un ripensamento dei principi pitagorici capace di sussumere le istanze posteriori. Proprio per tale motivo questi scrittori si nascosero dietro nomi di vecchi Pitagorici. Ben altra coscienza e ben altro spirito, derivante da una riconquistata identità, diriwstrano, come vedremo, i « neoteroi », i nuovi Pitagorici, che, appunto per questo, si presentano senza maschere, ossia con il loro volto e nome e che soli meritano, quindi, la qualifica di « Neopitagorici ». Bisogna, dunque, convenire che fra l'antico pitagorismo e il nuovo esistette una fase intermedia (che cronologicamente prosegue anche parallelamente al nuovo), avente le caratteristiche sopra descritte, e che sarebbe opportuno, a nostro avviso, denominare « mediopitagorismo » 24 • " Cfr. O!impiodoro, In Arist. Categ., 13, 13 sgg. Proponiamo di intendere il termine sia in senso cronologico (anche se parziale), sia, anche, in senso filosofico; cfr., più avanti, pp. 385 sgg. 24
www.scribd.com/Baruhk
376
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Dove e quando sorsero gli scritti mediopitagorici (e cosi veniamo al secondo dei problemi sopra posti) non è possibile stabilire con sicurezza. Un punto, tuttavia, pare assodato. Riportarli tutti quanti all'ambiente alessandrino e collocarli tutti nel I secolo a.C., come voleva lo Zeller, non sembra possibile, come gli studiosi recenti hanno in vario modo dimostrato 25 • La tesi dello Zeller, a nostro avviso, va corretta come segue. Il neopitagòrismo sembra effettivamente aver avuto origine ad Alessandria nel I secolo a.C.; tuttavia, anteriormente al I secolo a.C., oltre che ad Alessandria anche nell'Italia meridionale, e, anzi, forse prevalentemente in questo ambiente 26 , cominciarono a circolare quegli apocrifi che abbiamo chiamato « mediopitagorici ». Essi, peraltro, dovettero avere, almeno in origine, scarsa diffusione. Del resto, il carattere «provinciale», ossia il limitato orizzonte speculativo e l'esilità di ispirazione dottrinale che in essi si riscontra, ne sono la controprova. Fra il vecchio e il nuovo pitagorismo, dunque, oltre a quel tenue legame costituito dalla sopravvivenza in età ellenistica di una certa spiritualità pitagorica legata ai misteri e riconosciuta dallo stesso Zeller, esistette anche quest'altro legame, il quale, se dal punto di vista speculativo (e cosi rispondiamo all'ultimo dei problemi sopra posti) ha valore assai scarso, dal punto di vista storico è significativo nella misura in cui contt1ibuisce a preparare la vera e propria rinascita pitagorica, vale a dire il vero e proprio « neopitagorismo ».
25 Il Thesleff pecca di eccesso opposto, collocando tutti gli pseudoepigrafì fra il IV e il 11 secolo a.C., ma ha il merito di aver riaperto fruttuosamente i termini della complessa questione. Certo è, in ogni caso, che la tendenza generale è quella di retrodatare questi scritti; cfr. le posizioni dei vari studiosi posteriori allo Zeller in Thesleff, Introduction ... , pp. 30 sgg. 26 Sull'origine di questi scritti in Italia meridionale cfr. Thesleff, Introduction ... , pp. 46 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
LA lliNASCITA •DELLA FILOSOFIA PITAGOI.ICA
377
3. Le relazioni dossografiche desunte da Pitagorici di cui non viene riferito il nome
Oltre agli apocrifi ci sono pervenute alcune relazioni sulle dottrine pitagottiche, di carattere prevalentemente espositivo, fatte da autori che non ci dicono a quali fonti attingono le loro notizie, e per questo motivo gli studiosi, per designare queste fonti, parlano di « Pitagorioi anonimi ». Le dottrine di questi « Anonimi » ci vengono riferite da Alessandro Poliistore 27 , Fozio 28 e Sesto Empirico 29 (cui si possono aggiungere le dottrine cui si rifanno Ovidio e Diodoro 30, anche se di molto minore interesse) 31 • Alessandro Poliistore, vissuto nel 1 secolo a.C., attinge probabilmente dalla fonte più antica, la quale risulta particolarmente interessante per il fatto che tenta una combinazione, assai infelice, fra dottrine pitagoriche e dottrine stoiche, cadendo in modo inequivoco nel materialismo. Le dottrine pitagoriche sono interpretate in senso monistico: dalla Monade viene, infatti, dedotta la stessa Diade; da questi due principi vengono dedotti dapprima i numeri, poi gli enti e i solidi geometrici, quindi gli elementi materiali e il cosmo fisico. Ecco un passo significativo: Alessandro, nelle Successioni dei filosofi, dice di aver trovato anche queste cose nelle Memorie pitagoriche. Principio di tutte le 'D Riportatoci da Diogene Laerzio, VIII, 24-33. '" Fozio, Biblioth., cod. 249, 438 b- 441 b (riportato anche in Thesleff, pp. 237-242). 29 Sesto Empirico, Contro i matem., x, 249-284; cfr. anche Schizzi pirroniani, m, 152-157. 30 Ovidio, Metam., xv, 1-478; Diodoro, x, 3-11 (riportato anche in Thesleff, pp. 229-237). 31 Per completezza dobbiamo anche ricordare Eudoro (cfr. sopm, p. 334) e Filone di Alessandria (dr. pp. 245-306), le cui fonti ci: sono sconosciute, ma sicuramente circoscrivibili all'ambiente alessandrino. Il trattato Sui numeri di Filone è stato ricostruito da K. Staehle, Die Zahlenmystik bei Philon von Alexandreia, Lcipzig und Berlin 1931.
www.scribd.com/Baruhk
.378
LA ltiSCOPEltTA DELL'INCOltPOitEO E DELLA TltASCENDENZA
cose è la Monade; dalla Monade nasce la Diade infinita, che sottostà come materia alla Monade che è causa; dalla Monade e dalla Diade infinita nascono i numeri; dai numeri i punti; da questi le linee, da cui le figure piane; dalle figure piane le figure solide; da queste i corpi sensibili, i cui elementi sono quattro: fuoco, acqua, terra, aria che mutano e si volgono per il tutto, e da questi risulta il cosmo animato, intelligente, rotondo, che contiene al centro la terra anch'essa rotonda ed abitata 32 •
Dopo aver accennato alle coppie di contrari (luce e tenebra, caldo e freddo, secco e umido) e alla loro fusione nella determinazione dei fenomeni del cosmo, si dice: Il sole e la luna e gli astri sono divinità, ché prevale in essi il caldo che è causa di vita. E la luna è illuminata dal sole. V'è affinità ( auyy~n~«) tra uomini e Dei, per il fatto che l'uomo partecipa del caldo; ed è questa la ragione per cui la divinità è nostra provvidenza. Il fato governa e il tutto e le parti. Dal sole si diffonde un raggio attraverso l'etere freddo e l'etere denso. Chiamano l'aria etere freddo, il mare e tutto ciò che è umido, etere denso. Questo raggio penetra fin negli abissi e perciò vivifica ogni cosa. Vive tutto quanto partecipa del caldo, perciò anche le piante sono esseri animati: tuttavia non tutti gli esseri animati possiedono l'anima. L'anima è una particella dell'etere caldo e dell'etere freddo, perché partecipa anche dell'etere freddo. L'anima differisce dalla vita; essa è immortale, perché anche ciò da cui si è distaccata è immortale 33 • In queste affermazioni colpisce soprattutto la fondazione dell'affinità fra Dei e uomini sull'elemento calore, nonché la riduzione dell'anima (immortale) a etere caldo e freddo. Le ipoteche materialistiche sono evidentissime. L'autore o gli autori pitagorici che sostenevano queste dottrine si collocano al di qua della riscoperta della problematica dell'incorporeo. Siamo, comunque, di fronte ad un autore o ad alcuni autori che si comportano in modo diverso dagli autori degli apocrifi sopra esamin~ti. Infatti, le dottrine che si vogliono 12 Diogene Laerzio, vm, 25 . ., Diogene Laerzio, vm, 27 sg.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
379
sussumere e pitagorizza.re non sono solo quelle platoniche e aristoteliche, ma anche quelle stoiche, che dovevano essere appunto quelle allora predominanti. Inoltre, essi tentano una certa mediazione, la quale fallisce nella misura in cui riesce predominante quel materialismo di matrice stoica, che produoe una sfasatura considerevole rispetto alla dottrina della Monade, che con il «caldo» e l'« etere» non ha nulla a che vedere. È da rilevare che, nella sua fase più evoluta, il neopitagorismo svolgerà una puntuale polemica contro il materialismo, e che, dunque, anche i documenti condizionati da questa mentalità dominata dal materialismo e dall'immanentismo non possono considerarsi espressione della fase più matura della Una maggiore consapevolezza critica e una maggiore maturità della problematica neopitagorica presenta, invece, l'Anonimo autore della Vita di Pitagora che Fazio ci ha tramandato in riassunto. Questo Anonimo presenta un sistema che deduce tutta la realtà dalla Monade, ma distingue la Monade, che appartiene alla sfera della realtà intelligibile, dall'Unità, la quale, invece, è il principio dei numeri. Questo Pitagorico, dunque, ha nettamente superato il materialismo, in quanto deduce tutta la realtà dall'intelligibile; ma egli attinge per intero alle « Dottrine non scrit·te » di Platone. Ecco due passi: I seguaci di Pitagora dicevano che la Monade e l'Unità sono fra loro differenti. La Monade, infatti, era da loro considerata come appartenente all'ambito degli intellegibili, l'Unità, invece, all'ambito dei numeri. Similmente anche il Due appartiene all'ambito delle cose numerabili, invece la Diade, essi dicevano, è un indeterminato, in quanto la Monade viene intesa secondo l'uguaglianza e la misura, mentre la Diade viene intesa secondo l'eccesso e il difetto; ora, la proporzione e la misura non possono diventare maggiori o minori, mentre, poiché l'eccesso e il difetto tendono all'infinito, per questo dicevano che la Diade è indeterminata. E, poiché riportano tutte le cose ai numeri, che facevano derivare dalla Monade e dalla Diade, affermavano che tutte le cose sono numeri e che il numero perfetto è il dieci; ora il dieci è composto dai primi quattro numeri che noi contiamo procedendo per ordine
www.scribd.com/Baruhk
380
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
[10 =l+ 2 + 3 + 4], e per questo chiamavano «Tetraktys» questo numero nel suo insieme [. .. ] 34 • I Pitagorici dicevano che la Monade è principio di tutto, perché dicevano che il punto è principio della linea, la linea è principio della superficie, e la superficie è principio del solido a tre dimensioni, ossia del corpo. Ma la Monade si conosce prima del punto, cosicché la Monade è principio dei corpi; per conseguenza, tutti quanti i corpi derivano dalla Monade 35 • L'Anonimo di cui parliamo, inoltre, si mostra a conoscenza delle dispute intorno alla questione se Aristotele ammettesse l'immortalità dell'anima, le quali poterono aver luogo solo dopo l'edizione degli esoterici fatta da Andronico, e quindi dovrebbe essere posteriore a quest'epoca 36 • Anche quanto egli ci dice circa l'etica, il cui fine è indicato nella « imitazione di Dio » e nella separazione dell'anima dal corpo, riporta ad un'epoca tarda 37 • L'uomo è considerato un « microcosmo », non perché è costituito di tutti gli elementi materiali, ma perché « ha in sé tutte le potenze del co~mo », datle più basse a quelle divine. La tangenza -€OÌ divino, ben diversamente dal mate. rialismo dell'Anonimo di Alessandro PolHstore, è qui indicata nelle facoltà razionali e, in particolare, nell'intelletto 38 • Il legame fra etica e antologia è, poi, perfettamente individuato nell'impossibilità di conoscere se stessi, senza conoscere la realtà neUa sua totalità. · Conoscere se stessi significa non altro se non conoscere la natura di tutto quanto il cosmo 39 • AUa fase più matura appartengono i Pitagorici da cui
34 35 36
37 38 39
Fozio, Biblioth., cod. Fozio, Biblioth., cod. Cfr. Fozio, Biblioth., Cfr. Fozio, Biblioth., Cfr. Fozio, Biblioth., Cfr. Fozio, Biblioth.,
249, 249, cod. cod. cod. cod.
438 b 33 sgg. - 493 8 8. 439 a 19-24. 249, 440 8 30-33. 249, 438 b 8 sgg. 249, 440 a 33 sgg.; 440 b 29 sgg. 249, 440 b 20-27.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
381
attinge Sesto Empirico 40 • Il quadro che questi ci presenta nel suo scritto Contro i fisici è assai ricco, perché fornisce una panoramica delle diverse tendenze e delle diverse argomentazioni. Il fulcro dei ragionamenti dei Pitagorici, pur nella varietà delle loro formulazioni, secondo Sesto è uno solo, e consiste nel dedurre dall'incorporeo (dai numeri incorporei) tutta la realtà. Questa deduzione dall'incorporeo, appena accennata in Fozio, è, invece, molto sviluppata in Sesto. Su alcuni degli argomenti fornitici da Sesto torneremo più avanti. Per il momento vogliamo solamente leggere il sunto che lo stesso Sesto presenta negli Schizzi pirroniani: [ ... ] I Pitagorici dicono [ ... ] che i numeri sono gli elementi del mondo. Soggiungono che le cose che appaiono al senso sono dei composti, mentre bisogna che gli elementi siano semplici. Perciò gli elementi si sottraggono al senso. Ma delle cose che si sottraggono al senso, alcune sono corporee, come i vapori e i corpuscoli, altre incorporee, come le forme, le Idee, i numeri. Ora, le corporee sono composte, constando di lunghezza, larghezza, profondità e resistenza o anche di gravità (cfr. Epicuro, fr. 275 Usener). Non solo, dunque, si sottraggono al senso, ma anche incorporei sono gli elementi. Inoltre, ciascuno degli incorporei considerato contiene il numero, poiché o è uno, o due, o più. Con che si conchiude che gli elementi degli esseri sono i numeri, sot-
" Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, m, 152-157. Ricordiamo che Contro i matem., x, 249-284, è considerato da tutti (a partire da P. Wilpert, Zwei aristotelische Fruhschriften uber die Ideenlebre, Regensburg 1949) come testimonianza riferentesi alle dottrine non scritte di Platone. Sesto parla di Pitagorici, perché, evidentemente, la fonte cui attinge (direttamente o indirettamente) è un Pitagorico che si appropria del materiale accademico, secondo la prassi che ben conosciamo. D'altra parte, è da rilevare che, in generale, i Neopitagorici non si rifanno all'originario pitagorismo, ma a quello dell'Accademia. (Anche la riduzione che leggiamo in Sesto di tutte le cose a tre supreme categorie, ossia alle cose che sono per sé, agli opposti e ai relativi, per poterle poi ridurre alla Monade e alla Diade, ha un parallelo, sia pure molto più rozzo, in pseudo-Callicratida [in Thesleff, p. 103, 12 sgg.], e, dunque, non fa problema). Su questo testo di Sesto è fondamentale K. Gaiser, Quellenkritische Probleme der indirekten Platonuberlieferung, in AA.VV., Idee und Zahl, Heidelberg 1968, pp. 31-84.
www.scribd.com/Baruhk
382
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
tratti al senso e incorporei, osservabili in tutte le cose. E non i numeri cosl, semplicemente, ma l'unità, e, generantesi per la aggiunzione di un'unità, la diade indefinita, per partecipazione della quale le diadi particolari diventano diadi. Da questi, infatti, a quel che dicono, si generano anche gli altri numeri, quanti si osservano nelle cose numerate, ed è costituito l'universo. E invero, il punto contiene il rapporto dell'unità, la linea quello della diade (poiché questa la si osserva fra due punti), la superficie quello della triade (dicono, infatti, essere la superficie un flusso della linea, nel senso della larghezza, verso un altro punto posto di fianco )1 il corpo quello della tetrade: essere, infatti, il corpo un innalzamento della superficie verso un punto posto al di sopra. E cosl danno la rappresentazione dei corpi di tutto l'universo [ ... ] ~ 1 • 4. I nuovi P i t ago ri ci c h e si prese n t a n o c o n il loro nome
Publio Nigidio Figulo è il primo Neopitagorico che conosciamo col suo vero nome, ed appart·iene al mondo romano. Cicerone, che è un suo contemporaneo, gli attribuisce espressamente il merito di aver ridato vita alla setta pitagorka, da tempo estinta 42 • Per la verità, il pitagorismo nel mondo romano aveva continuato a vivere, soprattutto nei suoi aspetti etici, religiosi e misteriosofici, anche al di fuori di una vera e propria organizzazione di setta e di scuola, come prova soprattutto la leggenda secondo cui il re Numa sarebbe stato in rapporto con Pitagora e la conseguente nascita, agli inizi del secolo n a.C., di falsifica2lioni di libri pitagoreggianti attribuiti a Numa medesimo 43 • Ma il merito di Nigidio Figulo •• Sesto Empirico, Schizzi pi"oniani, 111, 152-155. a Nigidio Figulo nacque fra la fine del n e gli inizi del 1 secolo a.C. e morl nel45 a.C. Cicerone dice di lui espressamente in Tim., l, 1: « Denique sic iudico, post illos nobiles Pythagoreos, quorum disciplina extincta est quodammodo, cum aliquot saecula in Italia Siciliaque viguisset, hunc extitisse, qui illam revocaret •· I frammenti di Nigidio Figulo sono stati raccolti da A. Swoboda, Publii Nigidi Figuli operum reliquiae, Praga 1889. 0 Sulla tradizione del pitagorismo romano si vedrà L. Perrero, Storia
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
383
fu, appunto, quello di aver ricostituito il pitago1.1ismo come setta e come scuola, anche se questa, dal punto di vista speculativo, non dovette raggiungere risultati particolarmente significativi 44 • All'inizio dell'era cristiana sorse il cosiddetto circolo dei Sestii, fondato da Quinto Sestio e, probabilmente, guidato poi dal figlio (cui appartennero Sozione di Alessandria, Lucio Crassicio_ di Taranto e Fabiano Papirio ), che ebbe un notevole successo, ma si dissolse rapidamente 45 • Seneca, su cui Sestio esercitò un notevole influsso, attesta le affinità dell'etica di questo pensatore con quella stoica 46 • Dallo stoicismo, tuttavia, i Sestii si allontanarono, sostenendo l'incorporeità dell'anima (Sozione riprese anche la dottrina della metempsicosi) 47 • Una caratteristica tipica della scuola era la pratica del quotidiano del pitagorismo nel mondo romano (dalle origini alla fine della Repubblica), Torino 1955. Sulla leggenda di Numa e sullo pseudo-Numa dr. ivi, pp. 142 sgg. La falsificazione dei libri attribuiti a Numa risale al 181 a.C . .. Al circolo appartennero Publio Vatinio e Appio Claudio. Del primo Cicerone dà un giudizio decisamente negativo: dr. In Vatin., 6, 14. .. Quinto Sestio fu un contemporaneo (più vecchio) di Augusto, come si ricava da Seneca, Epist., 98, 13. Nato da nobile e agiata famiglia, lasciò la vita attiva per dedicarsi interamente alla filosofia (dr. Plutarco, De profect. in virt., 77e). Sozione fu uno dei maestri che entusiasmò il giovane Seneca (dr. Epist., 108, 17 sgg.). Crassicio, prima di passare alla scuola di Sestio, fu un grammatico (cfr. Svetonio, De gramm., 18). Anche Fabiano Papirio fu udito da Seneca (dr. De brev. vitae, 10, l; Epist., 11, 4, etc.) . .. Ecco le precise parole di Seneca, Epist., 64, 1: «Si lesse poi un Libro di Quinto Sesrio padre, uomo, credimi, grande e schiettamente Stoico, se anche non lo dice apertamente. Che vigore di spirito c'è, buon Dio, in quell'uomo! Non ne troverai altrettanto in tutti i filosofi. Gli scritti di alcuni fra essi hanno chiara fama, ma sono poveri di vita. Insegnano, disputano e cavillano, ma non riescono ad infondere vitalità spirituale, perché non l'hanno. Invece, quando leggi Sestio non puoi fare a meno di dire: "egli è vivo, pieno di vigore, è libero, è superiore al livello umano, mi lascia il cuore pieno di grande fiducia" ». q Cfr. Claudiano Mamert., De statu animae, n, 8; per la dottrina di Sozione dr. Seneca, Epist., 108, 17 sgg. Per il carattere dell'anima, cui è attribuita oltre che l'incorporeità anche la inlocalitas, dr. F. BOmer, Der lateinische Neuplatonismus und Neupythagoreismus und Claudianus Mamertus in Sprache und Philosophie, Leipzig 1936, pp. 110 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
384
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
esame di coscienza, che troviamo raccomandata anche nei Versi aurei attribuiti a Pitagora 48 • Il neopitagorismo metafìsico fu rappresentato da Moderato di Gades, che visse nel 1 secolo d.C. 49 , da Nicomaco di Gerasa, che visse nella prima metà del n secolo d.C. 50 , da Numenio di Apamea, che visse nella seconda metà dello stesso secolo 51 , e dal suo seguace Cronio 52 • L'aspetto mistico del neopitagorismo è rappresentato da Apollonio di Tiana, che visse nel I secolo d.C. 53 , di cui Filostrato, nel m secolo d.C., su richiesta di Giulia Domna (moglie di Settimio Severo), scrisse la vita, con l'intento di presentare Apollonia come fondatore di un nuovo culto religioso, basato sull'interiorità e sulla spiritualità 54 • 41 Cfr. Seneca, De ira, m, 36, l; Versi aurei, 40 sgg. (dr. Porfirio, Vita di Pitagora, 40) . .. Si calcola che Moderato sia vissuto ai tempi di Nerone o dei Flavi sulla base del fatto che Plutarco, nelle Quaest. conv., vm, 7, l, introduce a parlare un discepolo di Moderato. La sua opera in 11 libri sulla dottrina pitagorica fu lodata da Porfirio, che, come vedremo, la utilizzò in alcuni punti essenziali della sua Vita di Pitagora. 50 Nicomaco fu di origine araba (Gerasa è in Arabia). Non può essere vissuto molto dopo la prima metà del n secolo d.C., dato che Apuleio tradusse una sua opera. Di lui ci sono pervenuti una Introduzione aritmetica (pubblicata da R. Hoche, Leipzig 1866) e un Manuale di armonia (pubblicato da C. Jan, Leipzig 1895), oltre ad un sunto della Teologia aritmetica fatto da Fozio (Biblioth., rod. 187). 51 Su Numenio dr., più avanti, p. 410, nota l. ., Cronio fu un contemporaneo e amico di Numenio (dr. Porfuio, De antr. Nymph., 21). ! spesso citato insieme a Numenio. Di lui sappiamo pochissimo. Fu uno degli autori letti da Plotino nelle sue lezioni (Porfuio, Vita di Platino, 14). 53 Apollonia nacque agli inizi del 1 secolo d.C. a Tiana, in Cappadocia, e compl i suoi studi a Tarso. Fece numerosissimi viaggi in Oriente e in Occidente, predicando la dottrina pitagorica e compiendo azioni straordinarie, attuando cioè quello stesso tipo di vita che veniva attribuito a Pitagora. Di lui non ci è giunto che un frammento dell'opera Sui sacrifici, mentre le Epistole, che ci sono giunte sotto il suo nome, sembrano essere per la maggior parte inautentiche. Pare sia morto sotto l'impero di Nerva. 54 Giulia Domna morl nel 217 d.C. Fra le edizioni della Vita di Apollonia ricorderemo quella di F. C. Conybeare, Philostratus. The Li/e of
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA "FILOSOFIA PITAGORICA
5. Caratteristiche
del pitagorismo ellenistica ed imperiale
385
dell'età
Sulla scorta di quanto abbiamo fin qui detto, risulta evidente l'impossibilità di considerare i vari documenti e gli autori menzionati in modo globale, ponendoli tutti quanti su un medesimo piano. Lo Zeller, che ha tentato di tracciare una sintesi comprensiva di tutto, si è trovato di fronte a soluzioni dei problemi essenziali non solo diverse, ma opposte e tali da elidersi a vicenda, e, quindi, ha finito col far emergere una sostanziale mancanza di unità di fondo, contro il suo stesso assunto 55 • D'altra parte, la pretesa dello Zeller di considerare globalmente il complesso materiale dipendeva dalla sua congettura che tutta questa letteratura appartenesse alla medesima epoca e provenisse in gran parte dal medesimo ambiente, tesi, questa, oggi ormai insostenibile. Come abbiamo già detto, lo Zeller ha ragione nel far iniziare il movimento neopitagorico vero e proprio nel 1 secolo a.C. ad Alessandria, perché a questa conclusione portano i documenti in nostro possesso 56 • (Il momento dell'acmé del movimento cade però in epoca imperiale, nei primi due secoli dell'era cristiana, tanto è vero che in quest'epoca soltanto con la sola eccezione del circolo di Nigidio Figulo a Roma i Pitagorici si presentano con un loro nome e un loro volto). Lo Zeller ha però torto nel negare l'esistenza di un pitagorismo anteriormente al I secolo a.C., ossia in età propriamente
Apollonius of Tyana, the Epistles of Apollonius and the Treatise of Eusebius, with an English Translation, 2 voli., London-Cambridge (Mass.) 1912. Il lettore italiano ha a disposizione, oltre alla vecchia traduzione: Le opere dei due Filostrati, volgarizzate da V. Lancetti, vol. I, Milano 1828, la nuova di D. Del Corno: Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, Edizioni Adelphi, Milano 1978. 55 Cfr. Zeller, Die Philosophie der Griechen, III, 2, soprattutto pp. 129-151. " Cfr. Zeller, Die Philosophie der Griechen, III, 2, pp. 113 sg.
www.scribd.com/Baruhk
386
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
ellenistica. Infatti, molti degli pseudoepigrafi pitagorici, che per precise ragioni di carattere storico-filologico ora vengono assegnati ai secoli III e n (o addirittura al IV) a.C., risultano effettivamente appartenere anche dottrinalmente ad un altro orizzonte. Sarà, dunque, opportuno distinguere un pitagorismo di età propriamente ellenistica e un pitagorismo di età imperiale: quindi, come dicevamo, un pitagorismo di mezzo fra l'antico e il nuovo, avente i caratteri di cui già s'è riferito, non accomunabili o, per lo meno, non identificabili con quelli del nuovo, anche se con il sorgere di questo non scompare per intero quello. Riassumendo quanto abbiamo già detto nel corso del presente capitolo e anticipando quanto analiticamente diremo nel prossimo, vogliamo tratteggiare un quadro sintetico delle caratteristiche delle due fasi da noi distinte del pitagorismo, che semplificherà la comprensione di molti problemi. I tratti peculiari del « mediopitagorismo » sono i seguenti. l) Gli autori mediopitagorici tendono a far credere scoperte di antichi Pitagorici dottrine posteriori, producendo una serie di scritti apocrifi contenenti quelle dottrine ed attribuendoli ad antichi Pitagorici. 2) Essi dimostrano una assai scarsa coscienza della propria identità filosofica e appunto per questo sentono il bisogno di nascondersi dietro una maschera. Nei loro scritti manca un baricentro. Essi si limitano, spesso, a riprendere dottrine di Platone e di Aristotele, talora quasi di peso. 3) La dottrina dei supremi principi della Monade e della Diade o non è presente o è scarsamente sfruttata, e, soprattutto, non è ontologioamente approfondita. 4) Si riscontrano infiltrazioni materialistiche e immanentistiche; oppure, quando vengono agitate tematiche metafisiche, si nota che gli autori mancano del senso specifico della prospettiva ontologica e metafisica.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DEI.I.A Fll.llSOFIA PITAGORICA
387
5) Alla mentalità del pitagorismo medio sono forse collegati anche quei tentativi, che, rispetto a quelli degli pseudoepigrafi. sembrano più evoluti e in parte più consapevoli, come ad esempio quello dell'Anonimo di Alessandro Poliistore, in cui la dottrina della Monade e della Diade e la conseguente dottrina dei numeri vengono esplicitamente svolte, ma vengono ad un tempo combinate con il materialismo stoico. Il motivo per cui siamo propensi ad assegnare a. tale tipo di pitagorismo tali documenti sta nel fatto che i Pitagorici più recenti, i « neoteroi », sono antimaterialisti e sono in serrata polemica sia con l'atomismo epicureo, sia con il corporeismo e l'immanentismo della Stoa, in piena sintonia con il parallelo movimento medioplatonico. Quali sono, allora, i caratteri di quello che solo, propriamente, può denominarsi « neopitagorismo », ossia del pit~go rismo sicuramente databile fra la fine dell'era pagana e i primi due secoli dell'era cristiana? l) I Neopitagorici veri e propri tendono, come s'è visto, a gettare la maschera e a presentarsi col loro nome e con il loro volto. Ma questo accade ormai in epoca imperiale. Naturalmente, questo non dovette avvenire di colpo, né in modo esclusivo. Alcuni degli stessi pseudoepigrafi, ad esempio, possono risalire a quest'epoca, in quanto recepiscono alcuni dei caratteri del pitagorismo di quest'epoca medesima, pur mantenendo anche i vecchi connotati. 2) I Neopitagorici hanno la precisa coscienza della loro identità, nella rnisura in cui la loro dottrina rivela un preciso baricentro. Si noti come, parallelamente alla progressiva acquisizione di questa coscienza, muti l'atteggiamento nei confronti di Platone e di Aristotele, nonché dei filosofi dell'età ellenistica: mentre i più antichi autori di pseudoepigrafi si limitano ingenuamente a riferire ad antichi Pitagorici dottrine di· Platone e di Aristotele, l'Anonimo di Fozio ha già stabilito una regolare « diadochia », ossia una« successione», in cui Platone
www.scribd.com/Baruhk
388
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
e Aristotele figurano come membri della scuola pitagorica: Il nono successore di Pitagora [ ... ] fu Platone, il quale fu allievo di Archita il Vecchio; il decimo successore fu Aristotele 57 • Moderato di Gades e i Pitagorici più recenti rincar.ano la dose. Essi giungono addirittura ad accusare Platone, Aristotele e gli Accademici di mistificazione, ossia di essersi appropriati delle dottrine di Pitagora con poche modificazioni, ma senza dichiararlo e, anzi, citando la filosofia di Pitagora solo nei suoi aspetti più superficiali e deboli, al fine di screditarla. Riferisce Porfirio, attingendo da Moderato: [ ... ] Platone, Aristotele, Speusippo e Aristosseno e Senocrate, al dire dei Pitagorici, si appropriarono con leggere modifìcazioni di quanto vi era di buono in quella filosofia; e riunirono le parti volgari e mal ferme e quanto fu escogitato successivamente dagli invidiosi calunniatori al fine di abbattere e irridere quella scuola e le lasciarono da un canto come proprie esclusivamente di tal setta 58 • Numenio, che pure, come vedremo, cerca di fondere pitagorismo e platonismo, ritiene Pitagora non solo non inferiore, ma, sotto certi rispetti, addirittura superiore a Platone, e afferma che lo stesso Socrate fu discepolo di Pitagora 59 • Per quanto concerne, invece, il rapporto con le scuole ellenistiche, i Neopitagorici hanno piena consapevolezza di ciò che irrimediabilmente li divide da esse. Gli Anonimi di Sesto polemizzano espressamente, come sappiamo, contro il materialismo di Epicuro, mentre Numenio polemizza esplicitamente contro quello della Stoa.
57 Fozio, Biblioth., cod. 249, 438 h 17-19. " Porfuio, Vita di Pitagora, 53 (riportiamo qui e più avanti la traduzione di G. Pesenti, Ps.-Pitagora. I Versi Aurei, i Simboli, le Lettere, seguite da frammenti ed estratti di Porfirio, dell'Anonimo Foziano, di Iamblico e di Ierocle relativi a Pitagora, Lanciano 1913). 59 Cfr., più avanui, pp. 411 sg.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
389
3) Abbiamo così toccato uno dei caratteri più qualificanti del neopitagorismo, vale a dire la riscoperta e la riaffermazione dell'« incorporeo » e dell'« immateriale », ossia il ricupero di quell'orizzonte che era stato perduto con i sistemi dell'età ellenistica. È questo uno dei principali- meriti storici di questa corrente, la quale, insieme al medioplatonismo, ha preparato le basi della grand~ sintesi neoplatonica. 4) L'incorporeo non viene inteso dai Neopitagorici allo stesso modo dei Medioplatonici, ossia prevalentemente sulla base della metafisica del Nous di estrazione aristotelica e di quella delle Idee di estrazione squisitamente platonica, bensl sulla base della dottrina della Monade, della Diade e dei numeri. Tale dottrina è solo indirettamente pitagorica e si aggancia piuttosto alle speculazioni dell'antica Accademia di Speusippo e di Senocrate, che, partendo dalle dottrine del Platone esoterico, come abbiamo già più volte rilevato, avevano dato una piega accentuatamente matematica alla metafisica (già Aristotele lamentava che la filosofia dei suoi tempi era diventata appunto matematica). Tuttavia, la dottrina dei numeri viene ripresa in una chiave che, rispetto all'Accademia, accentua maggiormente il loro carattere simbolico. I numeri esprimono, cioè, qualcosa di metanumerico, ossia principi più profondi, che, per la loro difficoltà, mal si prestano ad essere di per se stessi rappresentati, e che, invece, per mezzo dei numeri possono essere chiariti, nel senso che meglio vedremo più avanti. 5) La dottrina della Monade e della Diade viene_ sottoposta ad approfondimenti di un certo rilievo. A partire da una originaria formulazione che vedeva nella Monade e nella Diade la suprema coppia di contrari, si delinea una tendenza sempre più accentuata a porre la Monade in posizione di assoluto privilegio, distinguendo una prima da una seconda Monade e contrapponendo solo quest'ultima alla Diade, e anche cercando di dedurre tutta quanta la realtà dalla Monade
www.scribd.com/Baruhk
390
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
suprema, compresa la stessa Diade (su questo punto, peraltro, la terminologia è oscillante: mentre alcuni chiamano Uno la prima Monade, altri chiamano invece Uno la seconda). 6) Alla dottrina delle Idee viene dato scarso rilievo e solo subordinatamente alla dottrina dei numeri, i quali, oltre. che nel modo sopra accennato, vengono intesi in modo teologico, anzi teosofico: si sviluppa, cioè, una vera e propria aritmologia o aritmosofia. 7) Per quanto concerne la concezione dell'uomo, i Neopitagorici richiamano in auge la dottrina della spiritualità dell'anima e della sua immortalità (e, di conseguenza, anche la dottrina della metempsicosi viene ripresa e riaffermata). Il fine dell'uomo viene additato nel distacco dal sensibile e nell'unione col divino. 8) L'etica neopitagorica assume forti tinte mistiche; la stessa filosofia viene intesa come rivelazione divina e la figura ideale del filosofo, identificata in maniera paradigmatica in Pitagora, più che quella di un uomo perfetto divent-a quella di un essere prossimo ad un Demone o ad un Dio, o, comunque, quella di un profeta o di un uomo supel.'liore che ha commercio con gH Dei. Prima di passare all'illustrazione di questi singoli punti, dobbiamo chiarire un'ultima questione. Non è certamente esatto considerare Numenio un Medioplatonico, come molti fanno, ma non è neppure corretto considerarlo alla stregua degli altri Neopitagodci. Infatti, come vedremo, Numenio fonde insieme le due correnti di pensiero, e, per tale motivo, va trattato a parte, in quanto, con questo suo tentativo, anticipa, in una certa misura, il neoplatonismo.
www.scribd.com/Baruhk
II. I CAPISALDI DOTTRINALI DEL NEOPITAGORISMO
l. Il ricupero dell'incorporeo e la riaffermazione del suo primato antologico
Come abbiamo in parte già rilevato, la riscoperta dell'incorporeo e della trascendenza e l'affermazione che l'incorporeo trascendente è causa del corporeo segnano la linea di demarcazione fra il medio- e il neopitagorismo vero e proprio. Come abbiamo già detto, i documenti più antichi, come ad esempio il trattato dello pseudo-Ocello, ignorano questa concezione e la problema tic~ ad essa connessa. L'Anonimo di Alessandro Poliistore fa affermazioni materialistiche di stampo chiaramente stoico. E di sapore decisamente immanentistico e stoico sono anche alcune affermazioni di uno o di alcuni pseudoepigrafi attribuiti a Pitagora, di cui ci è giunta notizia 1• Ma già i Neopitagorici, di cui parla il medioplatonico Eudoro nella seconda metà del I secolo a.C., deducevano da un Uno assolutamente trascendente la materia stessa e tutte le cose 2 • L'Anonimo di Fozio, come s'è visto, deduce dalla Monade che (come egli dice espressamente) «appartiene all'ambito degli intelligibili », i corpi, e, quindi, dall'incorporeo deduce il corporeo 3 • L'Anonimo o gli Anonimi di Sesto presentano la tematica
1 Cfr. Thesleff, p. 186, 5-20; dr. anche Sesto Empirico, Contro matem., IX, 127 .. 2 Si veda il passo già sopra riportato, p. 344, nota 35. 3 Fozio, Biblioth., cod. 249, 438 b 34. ·
www.scribd.com/Baruhk
392
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
dell'incorporeo come il fulcro stesso dell'antologia, in una serrata polemica diretta soprattutto contro il materialismo epicureo, come, oltre al passo già letto sopra, prova quest'altro più specifico ed estremamente preciso. Dopo aver detto che i « seguaci di Pitagora » attribuivano « grande potenza » al numero, fìno a fare di essi « i principi di tutte le cose », Sesto scrive: Questi dicono che coloro che rettamente filosofano assomigliano a coloro che studiano il linguaggio. Come costoro in primo luogo si occupano delle parole (infatti il linguaggio è costituito di parole) e dal momento che le parole sono costituite di sillabe, esaminano in primo luogo le sillabe e, ulteriormente, dal momento che le sillabe si risolvono negli elementi della parola articolata, svolgono la loro indagine in primo luogo intorno a questi; ebbene, così i Pitagorici dicono che coloro i quali investigano veramente il reale considerato nella sua totalità devono esaminare in primo luogo quali siano gli elementi in cui si risolve il Tutto. Affermare che il principio di tutte le cose è fenomenico, è contrario al metodo dell'indagine sulla realtà, perché tutto ciò che è fenomenico deve essere costituito da cose non fenomeniche e ciò che è composto di alcuni elementi componenti non può essere principio, ma può essere principio solo ciò che costituisce quel composto. Quindi non si deve dire che le cose fenomeniche sono principi di tutte le cose, ma si deve dire che i costitutivi dei fenomeni sono principi, e questi costitutivi non sono più fenomeni. Essi pertanto affermano che i principi degli esseri non sono apparenti e non sono visibili, anche se non nel modo che comunemente si intende. Infatti, coloro che affermano che gli atomi o le omeomerie o i corpuscoli o in genere i corpi coglibili solo col pensiero costituiscono i principi degli esseri· hanno in parte ragione e in parte torto. In quanto costoro considerano i principi come non apparenti, procedono correttamente, ma in quanto considerano questi principi come corporei sbagliano. Infatti, come i corpi coglibili solo col pensiero e non apparenti precedono i corpi sensibili, così gli incorporei (d: àawfl«T«) devono essere principi dei corpi che sono coglibili solo col pensiero. Infatti, come gli elementi delle parole non sono parole, così anche gli elementi dei corpi non sono corpi; ma essi non possono se non essere corpi o enti incorporei, dunque devono essere senz'altro enti incorporei. Invero non è possibile dire che gli atomi hanno la caratteristica di essere eterni e che per
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
.39.3
questo, pur essendo corporei, possono essere principi di tutte le cose. Infatti, in primo luogo, anche- coloro che sostengono che le omeomerie, i corpuscoli o i minimi indivisibili sono elementi, attribuiscono a questi una sussistenza eterna, cosicché gli atomi non sono elementi a maggior titolo di questi. Inoltre, supponiamo pure che gli atomi siano eterni. Ebbene, in tal caso, allo stesso modo in cui coloro i quali ammettono l'universo ingenerato ed eterno fanno ricerca pur tuttavia dei principi primi che lo costituisccmo, cosi anche noi, dicono i pitagorici (che fan parte dei filosofi che indagano la natura) facciamo ricerca di quali costitutivi sono fatti questi corpi eterni e che si concepiscono col pensiero. I costitutivi di questi corpi dovranno essere o corpi o enti incorporei. Ma non potremo affermare che sono corpi, perché, in tal caso, dovremo dire che anche di questi corpi ci sono corpi costitutivi e, cosi, poiché questo ragionamento procede all'infinito, il Tutto risulterebbe senza principio. Dunque non resta se non concludere che i corpi che si colgono solo col pensiero sono costituiti da incorporei, il che ammise lo stesso Epicuro, dicendo che il corpo si concepisce come un insieme di forma, grandezza, resistenza e peso. Risulta dunque chiaro, da quanto si è detto, che i principi dei corpi coglibili solo col pensiero sono incorporei •.
L'affermazione della trascendenza del principio supremo e la distinzione fra intelligibile e sensibile è nettissima in Moderato, come vedremo 5 • Anche Nicomaco di Gerasa concepisce il fondamento di tutte le cose come ciò che è immutabile e permane sempre identico a sé, e asserisce espressamente che tali sono « gli enti immateriali » ( -roc ~uÀoc ), per partecipazione ai quali ciascuna cosa assume una sua realtà determinata 6 • In Numenio, come in parte abbiamo già detto e come meglio vedremo più avanti, la dottrina dell'incorporeo è centrale ed è svolta con ampiezza in espressa polemica con la Stoa 7 • • Sesto Empirico, Contro i matem., x, 249-258. ' Cfr., più avanti, il passo riportato, sotto, p. 402. • Nicomaco, Intr. arithm., 1, l, 1-2. 7 Cfr., più avanti, pp. 413 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
394
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Ricordiamo che perfino nel circolo dei Sestii a Roma, pur cosl legato alle idee morali della Stoa, la tematica dell'immateriale emerse in primo piano, almeno per quanto concerne l'interpretazione dell'anima, che venne dichiarata appunto « incorporalis » 8 •
2. Il significato metodologico, metafisica teologico dei numeri nel neopitagorismo
e
L'incorporeo, per i Neopitagorici, non può essere costituito solo dalle Idee (come lo stesso Platone aveva concluso nella sua speculazione esoterica). Il passo sopra letto di Sesto Empirico prosegue motivando tale convinzione in questo modo: Se, peraltro, ci sono enti incorporei che esistono anteriormente ai corpi, non per questo essi sono senz'altro necessariamente elementi delle cose che esistono e principi primi. Consideriamo, ad esempio, come le Idee, che secondo Platone sono incorporee, preesistano ai corpi e come ciascuna cosa che si genera si generi in relazione ad esse. Orbene, esse non risultano principi delle cose, dal momento che ciascuna Idea considerata singolarmente si dice che è una, mentre considerata insieme ad un'altra o a più altre, è detta due, tre, quattro, cosicché esiste qualcosa che è ancora al di sopra della loro realtà, ossia il numero, per partecipazione al quale l'uno, il due, il tre o un numero maggiore si predica di esse 9 • È chi·aro, dunque, che le Idee stesse non sono, per i
Neopitagorici, principi primi, ma principi principiati e secondari. Principi primi sono i numeri. Ma che cosa essi intendono quando parlano di numero? Non intendono certo il numero alla maniera arcaica (ossia in modo « aduno-geometrico »)
• Cfr., sopra, p. 383 e nota 47. ' Sesto Empirico, Contro i matem., x, 2.58.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
395
propria dei Pitagorici delle origini 10 , ma, piuttosto, il numero nel senso platonico e proto-accademico, e, anzi, in maniera ancora più sofisticata. Il numero, nei Neopitagorici, assume tre valenze: l) una che potremmo chiamare metodologica; 2) una ontologicometafisica; e 3) una teologico-teosofica. l) Il primo aspetto, che è assai importante, è messo bene in rilievo soprattutto da Moderato di Gades (col quale Sesto ha molti contatti) nei suoi Commenti pitagorici, di cui Porfìrio ci riferisce 11 • I Pitagorici si comportano, dice Moderato, come i grammatici e i geometri. I primi, infatti, dovendo spiegare al discente il significato e il valore degli elementi (vocali e consonanti) della parola e del linguaggio, si avvalgono delle lettere dell'alfabeto e successivamente precisano che questi non sono gli elementi stessi, ma « segni » e « indici » degli elementi. Analogamente, i geometri, per introdurre i discenti alla geometria, disegnano le figure, per esempio un triangolo, su un foglio; ma, poi, spiegano che il triangolo n:cz>n è già quel particolare disegno, bensl il concetto di cui quel disegno è rappresentazione sensibile. Con questo stesso metodo procedettero anche i Pitagorici: essi cercarono di superare le difficoltà di esprimere con parole i principi supremi avvalendosi appunto dei numeri, i quali non sono, dunque, essi stessi i principi, ma piuttosto segni e indici dei principi. Leggiamo la spiegazione di Moderato, che aiuta molto a penetrare il modo di pensare tipico di questa corrente, cosl spesso fraintesa e svalutata, appunto perché non compresa: Poiché, dice, non potendo essi esprimere chiaramente in parole le idee prime e i primi principii, per la difficoltà che offrono ad essere concepiti ed espressi, si rifugiarono nei numeri, come di più facile espositura, ad imitazione dei geometri e dei maestri di lettere. Poiché, come questi accingendosi ad insegnare il valore degli
° Cfr. vol. I, pp. 90-97. " Cfr. Moderato, presso Porfirio, Vita di Pitagora, 48 sgg.
1
www.scribd.com/Baruhk
396
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
elementi e gli elementi medesimi, si raccomandano ai caratteri dell'alfabeto e dicono, per darne una prima idea, che questi sono gli elementi, e soltanto in seguito poi spiegano che non questi segni sono i primi elementi, ma semplicemente indici dei veri elementi; e i geometri, non potendo esprimere con parole le cose spirituali, si accontentano di delineare le figure, e dicono che ad esempio questo [si immagini un triangolo disegnato] è un triangolo, non già intendendo dire che questo segno che cade sotto i nostri occhi sia un triangolo, ma che il triangolo ha tale forma, e cosl rappresentano il concetto del triangolo; il medesimo fecero per i primi principii e idee i pitagorici, i quali impotenti ad esprimere in parole le spirituali forme e i primi principii, ricorsero alla dimostrazione per via dei numeri 12 • Moderato adduce, poi, alcuni esempi che sono assai istruttivi. La Monade indica, ad esempio, il concetto di unità, di identità e uguaglianza, esprime la ragione per cui le cose hanno un reciproco collegamento e armonizzano fra loro, la causa della conservazione dell'universo. La Diade indica il concetto di ineguaglianza, il principio della divisibilità, del cangiamento, della diversità. Dire Diade e duplice, per i Pitagorici, significa dire ineguale e diverso: E cosl chiamavano « uno » il concetto di unità e quello di identità ed uguaglianza, e la causa della cospirazione, armonia e simpatia e della conservazione dell'universo, che ha sempre la medesima forma ed essenza, mentre l'« uno >> che è nei particolari è tale, unito e conspirante alle parti, per partecipazione della causa prima. E il concetto della diversità e della ineguaglianza e di ogni cosa divisibile e cangiante e di variabili forme, chiamavano biforme concetto e diade; tale è infatti anche nei particolari la natura della diade. Né queste nozioni sono proprie esclusivamente di questi filosofi e ignote agli altri; ma vediamo anche da altri filosofi tramandata la teoria di certe forze unitive e confusive del gran tutto, e anche presso di essi troviamo i concetti di identità, di ineguaglianza e di diversità. Questi sono dunque i concetti che " Moderato, presso Porfirio, Vita di Pitagora, 48 (la tmduzione è di G. Pesenti, contenuta nel volume citato sopra, p. 388, nota 58).
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
397
per maggiore facilità espositiva i pitagorici indicano col nome di monade e diade. E per loro è tutt'uno il dire duplice o ineguale o diverso 13 • Analogamente, i Pitagorici con Triade o Tre indicano ciò ohe per natura ha principio, fine e mezzo. Ancora, quando parlano della Decade come numero perfetto, essi intendono dire che, dal momento che il Dieci contiene tutti ,i numeri e i numeri (nel senso specificato) sono causa di tutto, la Decade racchiude in sé la causa di tutto e, quindi, tutto 14 • 2) È evidente, tuttavia, che i numeri, per i Neopitagorici, non sono un simbolo convenzionale, come lo sono invece le lettere dell'alfabeto, e non sono nemmeno astrazioni e concetti puramente nominali. I numeri esprimono l'essere stesso delle cose, la struttura metafisica dell'universo. Lo stesso Moderato, nel medesimo testo in cui chiarisce i concetti sopra esposti, lo ribadisce: [ ... ] La natura del gran tutto si definisce per via di specie e di analogie di numeri, ed ogni cosa che nasce e cresce e giunge al fine procede secondo concetti numerici [ ... ] 15 • Ma sull'aspetto antologico del numero è soprattutto illuminante l'Introduzione aritmetica di Nicomaco 16 , di cui diremo subito appresso. 3) Occorre, infine, sottolineare una terza valenza del numero, che abbiamo chiamato teologica e teosofìca, la quale rappresenta senza dubbio l'aspetto più sconcertante, e, in un certo senso, decettivo del neopitagorismo, ma che va tuttavia illustrato, se si vuole storicamente comprendere e teoreticamente collocare in modo corretto questa corrente di pensiero. 13
14 15 16
Moderato, presso Porfirio, Vita di Pitagora, 49 sg. Cfr. Moderato, presso Porfirio, Vita di Pitagora, 51 sg. Moderato, presso Porfirio, Vita di Pitagora, 52. Cfr. Nicomaco, Intr. arithm., passim.
www.scribd.com/Baruhk
398
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Nicomaco, che, pure, nella sua Introduzione aritmetica ci offre quasi una summa del sapere matematico dei suoi tempi, e quindi mostra una notevole conoscenza della matematica, non esita, nella sua Teologia aritmetica (di cui Fozio ci ha tramandato un sunto), a sovrapporre ai ragionamenti della prima opera, condotti sia dal punto di vista metodologico sia dal punto di v.ista antologico in modo preciso, considerazioni che sconfinano largamente nel fantastico e nella mera superstizione. Nella Teologia aritmetica, infatti, Nicomaco, portando alle estreme conseguenze un modo di intendere i numeri molto antico, identificava i numeri dall'Uno al Dieci con Dei e Dee e quindi « adorava i numeri come Dei» 17 • Fo~io, nel riassumere il libro, ci dice che Nicomaco procedeva con estrema arbitrarietà nell'operare quelle .identificazioni (per lui il libro valeva solo per le notevoli conoscenze matematiche che implicava), e purtroppo nonriferisce le originarie motivazioni, che, tuttavia, in parte, riusciamo ancora a ricostruire sulla base di altri documenti. Vediamo alcuni esempi relativi alla Monade, che si presentano come paradigmatici. Riferisce Fozio: [Nicomaco di Gerasa] dice tra l'altro della Monade, mescolando a ciò che è vero di essa e alle caratteristiche ontologiche che le sono peculiari non poche fantasticherie, che essa sarebbe Intelletto, inoltre anche Maschio-femmina, Dio, e in certo senso Materia - mescolando insieme veramente tutto - Accoglitrice di tutto, Ricettacolo, Caos, Confusione, Mescolanza, Assenza di luce, Oscurità [ ... ] 18 •
Lasciando rutta l'altra serie di epiteti che segue, cerchiamo di spiegare questi. Chi si fermasse alla lettura di Fozio difficilmente riuscirebbe a superare il senso di disgusto con cui questo autore ha letto e riassunto l'opera di Nicomaco. Se, invece,
17 11
Forio, Biblioth., cod. 187, 142 b 40 sg. Fozio, Biblioth., cod. 187, 143 a 22-28.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
399
si integra questo sunto con 1a Teologia aritmetica attribuita a Giamblico 19 , che a Nicomaco largamente attinge, quegli epiteti diventano molto significativi. Intanto, che la Monade sia detta essere Intelletto si capisce perfettamente, sulla base della tendenza, che abbiamo visto essere diffusa in questa epoc·a, a far coincidere il supremo principio appunto con la suprema Intelligenza. Per la stessa ragione è detta anche Dio. La Monade è poi detta Maschio e Femmina insieme, in quanto è padre e madre di tutto, avendo funzione di forma e materia di tutto, ossia in quanto, come già s'è accennato e meglio vedremo più avanti, i Neopitagorici tendono a dedurre dalla Monade la stessa Diade, ossia anche la materia oltre che la forma. (Del resto, già il Dio orfico era detto Maschio e Femmina). Inoltre, è detta « in un certo senso » Materia, perché, come abbiamo or ora accennato, è generatrice della stessa materia. È detta Accoglitrice di tutto e Ricettacolo, oltre che per questo stesso motivo, anche perché è « Ricettacolo di tutte le ragioni seminali », dato che da essa derJvano tutte le forme. È detta Caos, perché da essa tutto deriva come dal caos esiodeo. È detta Confusione, Mescolanza, Assenza di luce, Oscurità, perché « ciò che in seguito si differenzierà, nella Monade è ancora indifferenziato e indistinto » 20 • Come. ben si vede, quelle che Fazio lamenta essere pure fantasticherie, sono rappresentazioni allegoriche aventi tutte quante precisi significati, che esprimono, per cosl dire, la «mistica» del numero, prescindendo dalla quale non si può comprendere un certo aspetto del neopitagorismo, che ebbe larga influenza sul pensiero filosofico successivo, in particolare sul neoplatonismo e in generale sulla mistica pagana.
19 Cfr., più avanti, p. 642, in nota. "' Cfr. Giamblko, Theol. arithm., p. 3, 21 sgg. De Falco.
www.scribd.com/Baruhk
400
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
3. La dottrina dei principi supremi della Monade e della Diade e il tentativo di deduzione di tutta la realtà da una Unità suprema
La dottrina antologica centrale dei Neopitagorici è quella dei supremi principi della Monade e della Diade, come già più volte abbiamo accennato. Alla Monade è fatto corrispondere tutto quanto v'è di positivo ed è detta anche Intelletto e Dio, mentre alla Diade sono collegati il negativo e il male. Inoltre, la prima viene presentata come « principio attivo » e la seconda come « principio passivo » (secondo una terminologia stoica, che viene però via via svuotata del suo significato immanentistico e materialistico) 21 • Ecco alcuni testi dossografici: [Pitagora] pone tra i principi la Monade e la Diade indeterminata. Questi principi tendono, secondo lui, l'uno alla causa efficiente ed eterna, che è l'intelletto ovvero Dio, l'altro alla causa passiva e materiale, che è il mondo visibile 22 • Pitagora crede che, tra i principi, la Monade e il bene siano Dio, ossia la natura dell'Uno, l'Intelletto medesimo. Dice poi che il male è la sola Diade indeterminata, intorno alla quale è il cosmo visibile 23 • I principi supremi di tutte le cose sono la prima Monade e la Diade indefinita [. .. ]. Di questi principi la Monade gioca il ruolo di causa efficiente e la Diade quello di materia passiva, e come costituirono i numeri a partire da questi, così costruirono anche l'universo e tutte quante le cose 24 • 21 L'errore di molti studiosi è quello di ritenere che le tangenze lessicali implichino anche di necessità tangenze concettuali. Qui nei Neopitagorici, cosl come avviene anche negli autori del medioplatonismo, all'identità di alcuni termini desunti dal vocabolario della Stoa fa riscontro una novità di contenuto filosofico, che dista dallo stoicismo tanto quanto la metafisica dell'incorporeo dista dall'ontologia materialistica. 22 Aezio, Plac., I, 3, 8 (Diels, Doxographi Graeci, p. 281 b 5 sgg.). 22 Pseudo-Grleno, Hist. philos., 35 (Diels, Doxographi Graeci, p. 618, 12 sgg.). '" Sesto Empirico, Contro i matem., x, 277.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
401
Tuttavia, è da notare che ben presto dovette farsi strada, e infine risultare decisamente dominante, la tendenza a dedurre tutta quanta la realtà dalla Monade, compresa la stessa Diade. Questa tendenza, che può indubbiamente definirsi come una forma di « monismo », ha evidentemente la caratteristica opposta rispetto al monismo della Stoa, giacché costituisce una forma di monismo spiritualistico (la Monade è l'incorporeo, come abbiamo visto, e dall'incorporeo deriva il oorporeo; la Monade è immatedale, e da essa si genera la materia), di contro a quello della Stoa, che è, invece, un monismo materialistico. Come viene prospettato tale tentativo di deduzione, veramente radicale, di tutta la realtà da una suprema Unità? Il primo tentativo che conosciamo è quello dell'Anonimo di Alessandro Poliistore, il quale, però, sembra essersi limitato ad indicare il che e non il come, dicendo semplicemente « che dalla Monade si genera la Diade » 25 • Anche Eudoro, in un passo che abbiamo già sopra letto, conferma che, per i Pitagorici, l'Uno er.a principio « e della materia e di tutte quante le cose da Lui derivate» 26 • Sesto ci fornisce invece una spiegazione più specifica: Pitagora disse che il principio degli esseri è la Monade, per partecipazione alla quale ciascuno degli enti è detto uno. Questa, quando è pensata nell'identità con se medesima, è pensata appunto come Monade; invece combinata con se stessa secondo. l'alterità ( btcruvn&E!ao:v 3' ~o:uT'ij xo:.&'énp6nJTo:) produce la Diade indefinita, cosl detta perché essa non è alcuna delle Diadi aritmetiche e definite, ma tutte le Diadi sono pensate per partecipazione a quella, cosl come anche dimostrano nel caso delle cose che sono dette uno. I principi degli esseri sono dunque due, la prima Monade, per partecipazione alla quale tutte le unità che si contano sono concepite appunto come unità, e la Diade, per partecipazione alla quale tutte le Diadi determinate sono appunto Diadi 27 • Diogene Laerzio, VIII, 25. " Cfr., sopra, p. 344, nota 35. 21 Sesto Empirico, Contro i matem., x, 261.
25
www.scribd.com/Baruhk
402
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Le affermazioni più interessanti sono quelle di Moderato e di Nicomaco. Costoro, infatti, non solo tendono a dedurre la Diade da un supremo Uno, ma, portando alle estreme conseguenze una tendenza già diffusa alla fine del 1 secolo a.C., distinguono anche terminologicamente la prima Monade, che è principio supremo, dalla seconda Monade, che, opponendosi alla Diade, genera la serie dei numeri, e chiamano la prima Monade «Uno». Battendo tale via essi sembrano aver prefigurato, sia pure confusamente, le ipostasi plotiniane. Riferisce Siriano: Nei Pitagorici c'è differenza fra l'Uno e la Monade, sulla quale discussero molti degli antichi Pitagorici, come Archita [si intenda pseudo-Archita], il quale disse che, pur essendo congeneri, l'Uno e la Monade differiscono fra loro, e fra i Pitagorici più recenti, Moderato e Nicomaco 28 • Ma ecco la testimonianza più significativa, che parla addirittura di « Uno » a tre livelli: Sembra che i primi fra i Greci ad avere questa concezione della materia siano stati i Pitagorici, e dopo di loro Platone, come anche Moderato attesta. Costui, infatti, seguendo i Pitagorici, dimostra che il Primo Uno è al di sopra dell'essere e di ogni essenza; dice poi che il Secondo Uno, che è l'essere che è in senso assoluto, e l'intelligibile [ = il mondo dell'essere intelligibile] sono le Forme, mentre il Terzo Uno, che è quello in cui consiste l'anima, partecipa al Primo Uno e alle Forme e che la natura che viene ultima dopo questo [ = dopo il Terzo Uno], ossia la natura delle cose sensibili, non partecipa di quelli, ma riceve il suo ordine per un riflesso di quelli ( XIXT'lJLcpiXaLv ixdv6lv ), poiché la materia delle cose sensibili è un'ombra del non essere che si trova in primo luogo nella quantità ( = nella materia intelligibile) ed è ancora inferiore a quello, derivando da esso 29 • Simplicio, che riferisce queste idee di Moderato, senza
21 29
Siriano, In Arist. Metaph., p. 151, 17 sgg. Si.mplicio, In Arist. Phys., 230, 34 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
403
dubbio le esplicita in senso neoplatonico, ma non può essersele inventate completamente. Stando a Simplicio, dunque, Moderato avrebbe distinto le seguenti ipostasi. l) Al di sopra di tutto avrebbe posto il Primo Uno, considerandolo come assolutamente trascendente. 2) Al secondo posto avrebbe collocato il Secondo Uno, che costituisce il mondo intelligibile, ossia il mondo delle forme. È da rilevare che la Diade, che è la materia intelligibile, si collocherebbe a questo livello. Moderato, infatti, come Simplicio stesso riferisce subito dopo, concepiva la materia (intelligibile) come la pura « quantità » priva di forme, che iJ Primo Uno produce da sé, « separandola • da sé, dopo averla privata appunto di tutte le determinazioni formali 30 • 3) Al terzo posto avrebbe posto l'Uno-anima. 4) Infine, avrebbe concepito Jl sensibile come riverbero dell'intelligibile e la materia del sensibile come l'ombra della pura quantità intelligibile (ossia la materia sensibile come ombra della materia intelligibile). Orbene, la tendenza a porre il primo Principio come trascendente lo stesso Intelletto e la stessa essenza è presente in alcuni pseudoepigrafi o almeno in testimonianze che sembrano attinte da pseudoepigrafi: lo pseudo-Archita pone Dio al di sopra del Nous 31 e lo pseudo-Brontino lo pone al di sopra dell'essere e dell'essenza 32 , cosicché la distinzione delle prime due ipostasi è plausibile, e, tra l'altro, sembra confermata anche da Nicomaco 33 • Per quanto concerne la deduzione della
"' Si legga per intero il passo di Simplicio, In Arist. Phys., pp. 230, 34 231, 27 Diels. Sull'esegesi di questo passo si vedano: E. R. Dodds, The Parmenides of Plato and the Origin of the Neoplatonic "One", in « Classical Quarterly », 22 (1928), pp. 129-142; A. J. Festugière, La Révélation d'Hermès Trismégiste, vol. IV, Paris 1954, pp. 22 sg., 38 sg. " Cfr., sopra, p. 372, nota 14. 12 Cfr., sopra, p. 374, nota 20. "' Cfr. Nicomaco, presso Giamblico, Theol. arithm., p. 57, 21 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
404
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
materia, poi, se la notizia di Simplicio fosse esatta, avremmo addirittura, in Moderato, un sorprendente anticipo della posi· zione plotiniana. L'impostazione fortemente matematizzante della metafisica doveva portare necessariamente i Neopitagorici a trascurare, o, comunque, a confinare in secondo piano la teoria delle Idee. Dall'Uno derivano Monade e Diade, da questi due principi i numeri e dai numeri dipendono le Idee. È evidente che, nella misura in cui dal primo principio derivano tutte le cose, come abbiamo visto, in esso tutto è presente, e, dunque, oltre i numeri, anche la totalità delle Idee. È quindi logdco che alcuni testi neopitagorici considerino i numeri. (e Je Idee) presenti «come archetipi » nel pensiero divino 34 , oppure, con linguaggio stoico caricato però di nuovo significato, come « r-agioni seminali » (MyoL 07t&p!J.1XTLxo() presenti nella suprema Unità 35 • È poi da rilevare che, nei Neopitagorici, è presente anche la credenza nei Demoni, senza novità di rilievo rispetto a quella già esaminata a proposito dei Medioplatonici, la quale appartiene all'aspetto più propriamente religioso della dottrina 36 • 4. L'i d e a l e m i s t i c o d e Il a v i t a umana
Per quanto copceme le concezioni antropologiche e morali abbiamo già detto che il quadro si presenta assai diverso nei testi più antichi (mediopitagorici) rispetto a quelli più recenti (neopitagorici). Nei primi, si ripresentano come pitagoriche De Falco, dove si parla di Uno « primogenito • che procede per imitazione del Bello supremo (cioè di un Uno che è al di sopra). "' Cfr. Nicomaco, Introd. arithm., 1, 4, 1-2 Hoche; Giamblico, In Nicom.
arithm. introd., p. 10 Pistelli ( = Thesleff, p. 165, 1-5). 35 Cfr., sopra, p. 399; dr. Fozio, Biblioth., cod. 187, 143 a 32 sg. 36 Cfr., sopra, pp. 352-354.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
40.5
dottrine platoniche o aristoteliche 37 oppure stoicheggianti 38, mentre risulta molto rara la menzione alla dottrina tipicamente pitagorica ddla metempsicosi 39 • Nei secondi si ricupera il senso della spiritualità dell'anima e la credenza nei suoi destini escatologici, si pone il fine dell'uomo nella cura del divino che è in noi, neU',imitazione di Dio, e, addirittura, in una unione mistica col divino. Un posto particolare nella storia dell'etica pitagorica occupano i famosi Versi aurei, che vogliono essere una summa dell'insegnamento morale di Pitagora, un vero e proprio breviario di vita spirituale, o, addirittura, una specie di tavola dei comandamenti. Purtroppo, la data è incertissima e lo scarto che si registra fra le proposte degli studiosi è di ben otto secoli (senza contare quegli studiosi che li ritengono autentici, perché, in tal caso, lo scarto sarebbe di quasi un millennio) 40 • La collocazione che i più propongono è fra la fine dell'era pagana e gli inizi dell'era cristiana (noi saremmo più favorevoli a una datazione piuttosto antica). Il suo contenuto, in ogni caso, rivela una mentalità più vicina al procedimento sentenzioso che non alla deduzione filosofica. Gran parte del materiale proviene dal vecchio pitagorismo e solo in qualche punto si colora (ma assai debolmente) della mentalità del nuovo. Data la larga notorietà e la fama che il carme ebbe ., Cfr., sopra, p. 373, nota 18. • ~ stoicheggiante, ad esempio, la Tavola di Cebete, che distingue beni, mali e indifferenti, ma inserisce tale dottrina in un clima misticheggiante, presentandola come spiega2lione di urn pittura allegorica, per concludere, alla fine, con la riaffermazione del principio socratioo che la sola sapienza è bene e l'ignoranza male. Della T avola di Cebete il lettore italiano ha finalmente a disposizione una ottima traduzione con il testo greco a fronte, corredata di note oltre che di una nutrita Introduzione e di un Index verborum, curata da D. Pesce (La Tavola di Cebete, Testo, traduzione, introduzione e commento di D. Pesce, Paideia Editrice, Brescia 1982; il testo greco riprodotto è quello dell'edizione Praechter). " Cfr. Zeller, Die Philosophie der Griechen, m, 2, p. 1.53 e nota .5. .., Il Thesleff li assegna al IV secolo a.C., il Nauck, che ne ha fatto una pregevole edizione, al IV d.C.
www.scribd.com/Baruhk
406
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
in passato, lo vogliamo leggere per intero: Onora anzitutto gli dei, come vuole la legge, e rispetta il giuramento. Onora quindi gli eroi gloriosi e i geni terrestri, agendo in conformità delle leggi. Abbi rispetto per i tuoi genitori e per quanti maggiormente 5 ti sono legati da parentela. Degli altri fatti amico chi è migliore per virtù. Cedi ai buoni consigli e seconda le azioni vantaggiose. Finché puoi, non prendertela col tuo amico per un piccolo torto; infatti la Potenza abita vicino alla Necessità. Orbene, sappi ciò ed avvezzati a dominare queste passioni: 10 anzitutto il ventre e il sonno, poi la lussuria e l'ira. Non fare mai alcunché di turpe, né con un altro, né quando sei solo: vergognati soprattutto di te stesso. Pratica inoltre la giustizia sia nell'agire che nel parlare; 15 non ti abituare a comportarti sconsideratamente in nessuna cosa, ma sappi che è destino di tutti morire. Le ricchezze sappi ora acquistarle ora perderle. Di quanti dolori soffrono gli uomini per divino volere, quelli che ti toccheranno sopportali di buon animo e non ti crucciare. È bene che tu li lenisca per quanto è possibile, e 20 dica a te stesso: ai buoni la sorte non manda molti di questi. Agli uomini capita di udire molte parole cattive e buone; ma tu per queste non devi meravigliarti, né devi !asciarti traviare. Se ti vien detta qualche menzogna, sopportala di buon 25 animo. Ciò che ti dirò adempilo in tutto: nessuno né a fatti né a parole ti induca a fare o a dire ciò che per te non sia il meglio. Delibera prima di agire, affinché non derivino azioni stolte. È dell'uomo stolto, infatti, agire e parlare sconsideratamente. Ma tu compi quelle cose di cui poi non debba pentirti. 30 Non fare nulla di ciò che non sai, ma apprendi tutto ciò che è necessario, e cosl vivrai una vita molto felice. Non si deve trascurare la salute del corpo, ma bisogna essere moderati nel bere, nel mangiare, e negli esercizi. Chiama misura quella che non ti nuocerà. 35 Abituati ad un tenor di vita semplice, immune da mollezze, e guardati dal fare quante cose attirano l'invidia. Non spendere sconsideratamente come chi non sa conoscere il giusto, ma non essere avaro: in ogni cosa ottima è la moderazione. Fa' quelle cose che non ti possono arrecare danno, e rifletti prima di agire.
www.scribd.com/Baruhk
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
407
40
Non accogliere negli occhi languidi il sonno, senza aver prima passato in rassegna tre volte le azioni della giornata: « In che ho peccato? che ho fatto? quale dovere non ho compiuto? ». Incominciando dalla prima, esamina le tue azioni; quindi rimproverati per le cattive e rallegrati per le buone. 45 In queste sforzati, in queste adopera ogni cura, queste devi amare. Tali azioni ti collocheranno sulle orme della divina virtù. Sl, per Colui che alla nostra anima rivelò la Tetrade, fonte dell'eterna natura. Intraprendi un'azione dopo aver pregato gli dei, perché tu 50 possa condurla a termine. Agendo in tal modo, conoscerai la essenza degli dei immortali e degli uomini mortali, e come ogni cosa proceda e come sussista. Conoscerai, com'è giusto, che in tutto v'è un'uguale natura, sl che nulla tu speri d'impossibile e nulla ti sfugga. E apprenderai che gli uomini soffrono per mali che essi 55 stessi si procurano; infelici, essi che, avendo vicini i beni, non li vedono e non li odono, e pochi sanno come liberarsi dai mali. Tale destino si abbatte sulle menti degli uomini, ed essi, come cil4tdri, sono sospinti or qua or là, soffrendo mali infiniti. Funesta compagna, infatti, occultamente li danneggia l'in60 nata discordia, che non bisogna provocare, ma cedendo fuggire. O padre Zeus, certo tu potresti liberare tutti da molti mali, se a tutti mostrassi qual è il loro Demone. Ma tu sta' di buon animo, perché divina è la stirpe degli uomini, ai quali la natura, svelando i suoi misteri, mostra ogni cosa. 65 E se tu in parte apprenderai queste cose, conseguirai ciò che io ti prescrivo, e guarirai, e libererai l'anima da questi travagli. Astienti dai cibi di cui ti parlai; nelle purificazioni e nella liberazione dell'anima agendo con giustizia, e considera ogni cosa ponendo in alto la ragione, ottima guida. 70 Che se, lasciato il corpo, giungerai al libero etere, sarai un dio immortale e incorruttibile, non più un mortale 41 • •• La traduzione è di A. Farina, I Versi Aurei di Pitagora, introduzione, testo critico, testimonianze, traduzione, commento, Napoli 1962. •
www.scribd.com/Baruhk
408
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Il concetto del seguire le orme divine e del diventar Dio, che in questi Versi aurei è sullo sfondo, emerge invece in primo piano in a1tri documenti, come ad esempio nella Vita pitagorica dell'Anonimo di Fozio, dove assume toni decisamente mistici. L'uomo raggiunge il suo fine attraverso tre tappe: l) col mantenersi in intimità con gli Dei, 2) col fare il bene come fanno gli Dei, 3) col distaccare interamente l'anima dal corpo: [ ... ] J Pitagorici dicevano che l'uomo può diventare migliore in tre maniere: in primo luogo con una stretta relazione con gli Dei (infatti, stando a contatto con essi, per questa circostanza, è necessario che si distacchino da ogni forma di malvagità, rendendosi simili a Dio), in secondo luogo, nel fare il bene (questo infatti è proprio di Dio e dell'imitazione divina), in terzo luogo nel morire: infatti, se l'anima separandosi dal corpo per un certo tempo, mentre è ancora in vita, diviene migliore, e nel sonno mediante i sogni e nei deliri [in greco c'è il termine fxaTetaL.;] delle malattie diviene profetica, in grado assai maggiore diventa migliore quando si sia separata completamente dal corpo 42 •
Ancor più accentuato in senso religioso e mistico è l'ideale di vita che si ricava dalla Vita di Apollonia scritta da Filostrato e dalle Vite di Pitagora di Porfirio e Giamblico, il cui materiale è di estrazione chiaramente neopitagorica. Apollonio, anche non tenendo conto delle amplificazioni in parte romanzesche di Filostrato, risulta essersi elevato ad un livello di religiosità spiritua.Iizzata piuttosto notevole .a. La vita che Apollonio condusse fu considerata un vero modello, e come tale la presentò Filostrato. Apollonio fu il filosofo che, come Pitagora, conobbe e imparò molto dai Magi di Babilonia, dai Bramani dell'India, dai Gimnosofisti d'Egitto, che parlò di frequente ed ebbe commercio con gli Dei, che fu mediatore fra Dei e uomini, che conobbe il futuro, che .a 43
Fozio, Biblioth., cod. 249, 439 a 8-19. Cfr. Apollonio, presso Eusebio, Praep. evang.,
IV,
www.scribd.com/Baruhk
13.
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PITAGORICA
409
comunicò agli uomini un messaggio di vera sapienza e che, sulla base di questo sapere, oompl azioni meravigliose. (Filostrato mette bene in chiaro che questo sapere e queste azioni meravigliose non hanno nulla a che vedere con la stregoneria e la magia, ma dipendono appunto dalla vera filosofia) 44 • Ma ancor più interessanti sono la maniera in cui Pitagora fu idealizzato e il paradigma che fu tratto da questa idealizzazione e che venne ripresentato nelle varie Vite di Pitagora. Ecco, ad esempio, quanto scrive Filostrato: Gli encomiatori di Pitagora di Samo narrano che egli prima che nascesse nella lonia era stato Euforbo a Troia: che estinto rivivesse, e morl come canta Omero [ ... ] . Aggiungono che egli ebbe commercio con gli Dci, e che da essi imparò quali cose gradissero dagli uomini, quali no e che da essi pure ispirato disputò sulla natura, dicendo che tutti gli altri si lasciano guidare da false congetture intorno alle cose divine, e cadono in contrarie opinioni, ma che a lui stesso Apollo rivelò quale dottrina dovesse professare e che con lui conversarono pure Pallade e le Muse, mai simulatrici del vero, ed altri Dei, dei quali né i volti né i nomi nessun altri sapeva. Tutto ciò che fu insegnato da Pitagora i suoi discepoli riguardavano come una legge, venerandolo essi come se da Giove fosse stato generato e disceso [ ... ] o45. Porfirio riferisce addirittura che alcuni consideravano Pitagora figlio di Apollo, e solo putativamente di Mnesarco 46 • Giamblico, attingendo a queste fonti, narra che Abari, sacerdote soita di Apollo, allorché vide Pitagora, si convinse che egli fosse addirittura lo stesso Apollo 47 • Per i Neopitagorid Pitagora divenne qudlo che Cristo era per i Cristiani: un figl·io di Dio in vesti umane, e la sua filosofia divenne una divina rivelazione . .. Filostrato, Vita di Apollonia, I, 2. 45 Filostrato, Vita di Apollonia, I, l (la traduzione è quella già citata del Lancetti, con ritocchi) . .. Cfr. Porfirio, Vita di Pitagora, 2 (Porfirio dice di attingere da Apollonio). 41 Cfr. Giamblico, Vita di Pitagora, 90 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
III. NUMENIO DI APAMEA E LA FUSIONE FRA IL NEOPITAGORISMO E IL MEDIOPLATONISMO
l. La posizione filosofica di Numenio
Con Numenio 1 il neopitagorismo raggiunge il suo vertice più alto, ma, nel medesimo tempo, si dissolve, fondendosi con il parallelo movimento medioplatonico.
' Sulla vita di Numenio sappiamo molto poco. Egli nacque ad Apamea, in Siria, ossia nella stessa città che diede i natali a Posidonio. L'unico riferimento cronologico che possediamo e che ci serve da terminus ante quem è la menzione che ne fa Clemente Alessandrino. Probabilmente Numenio visse nella seconda metà del n secolo d.C. La sua conoscenza di Filone e della sapienza egiziana postula una sua permanenza ad Alessandria, dove presumibilmente studiò, o, addirittura, insegnò (ma questa è solo una congettura che si può desumere dal fatto che la scuola di Ammonio, di cui diremo nella sezione seguente, ebbe legami dottrinali con Numenio). Qualcuno pensa che Numenio dovette soggiornare anche ad Atene, dato che mostr·a di conoscere molto bene la storia dell'Accademia, alla quale dedicò l'opera dal titolo: Sull'infedeltà degli Accademici a Platone, di cui ci sono pervenuti ampi frammenti. Importanti frammenti ci sono stati conservati anche di un'altra sua opera, che doveva costituire il suo capolavoro, il Trattato sul bene. Le testimonianze e i frammenti sono stati raccolti da F. Thedinga (De Numenio philosopho Platonico, Bonn 1875), da E. A. Leemans (Studie over den Wijsgeer Numenius van Apamea met Uitgave der Fragmenten, Bruxelles 1937) e, di recente, da E. cles Places, con traduzione francese a fronte e note (Numénius, Fragments, Société d'Editions « Les Belles Lettres », Paris 1973 ). La prima edizione è ormai largamente superata; molto buone quelle del Leemans e del des Places. Siccome tutti gli studi moderni citano sulla base del Leemans, anche noi daremo la numerazione Leemans, per comodità del lettore, accanto a quella del des Places, che, per il futuro, è destinata ormai ad essere il punto di riferimento, soprattutto per il commento e l'indice dei termini greci, che manca nell'edizione del Leemans, anche se quest'ultima, per la sua differente impostazione, in certi
www.scribd.com/Baruhk
NUMENIO DI APAMEA
411
Gli storici della filosofia antica, per la verità, si mostrano alquanto incerti nel dare a Numenio una precisa collocazione: alcuni lo considerano più un Platonico, o, meglio, un Medioplatonico, altri, invece, un Neopitagorico; ma analoga oscillazione si riscontra anche fra gli antichi, anche se i più propendono a considerarlo un Pitagorico 2 • Per quanto ci risulta dalle testimonianze e dai frammenti pervenutici, Numenio considerava se medesimo prevalentemente un seguace di Pitagora, e, insieme, anche di Socrate e di Platone, giacché egli era convinto che sia Socrate che Platone dipendessero sostanzialmente da Pitagora, e che Platone, per conseguenza, non fosse superiore a colui al quale era debitore della sua sapienza. Tuttavia, pur con queste sue convinzioni, Numenio senti il bisogno di difendere Platone contro i fraintendimenti dei numerosi discepoli che, a partire da Arcesilao, lo avevano tradito, con l'opera dal titolo significativo: L'infedeltà degli Accademici a Platone. Gli Accademici non si sono per nulla sforzati di mantenere intatto !',insegnamento del maestro. Eppure, rileva Numenio, Platone meritava, in fondo, quella stessa fedeltà e venera2Ji.one da parte dei discepoli per cui Pitagora fu elevato a cosl grandi ononi, dato che « pur non essendo maggiore rispetto al grande Pitagora, non gH era probabilmente nemmeno inferiore » 3 • Il Socrate di Numenio professa la «dottrina dei tre Dei » che aveva appreso da Pitagora, e Platone, discepolo di Socrate, è un Platone « pitagorizzante ». Il tradimento dei discepoli di Platone sarebbe dovuto, in larga misura, al fatto che Platone
casi più comoda, non è interamente sostituita dall'altra. Nell'edizione des Places sono infine da segnalare i rimandi bibliografici per quanto concerne l'interpretazione di ciascun frammento. 2 Cfr. testimonianze 4 e 5 Leemans (non riportate in des Places). 3 Cfr. Leemans, frr. 1-8 = des Places, frr. 24-28. Si veda, in particolare, il primo di questi frammenti.
www.scribd.com/Baruhk
412
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
scrisse in modo desueto, occultando le cose che diceva, in certo senso, « a metà tra n chiaro e l'oscuro ». La posizione assunta dal nostro filosofo non potrebbe, dunque, essere più esplicita: egli intendeva far riemergere dalle incomprensioni scetticheggianti e stoicizzanti il verbo platonico e dimostrare che questo coincideva col verbo pitagorico. La dottrina svolta da Numenio nei frammenti pervenutici, come vedremo, conferma largamente queste sue intenzioni programmatiche: egli cerca, infatti, di fondere, pur senza riuscirvi del tutto, quelle dottrine teologico-metafisiche che i Medioplatonici avevano ricavato dalla rilettura del Timeo con la dottrina della Monade, della Diade e dei numeci., che i Neopitagorici avevano rimesso in vigore. Oltre a queste di cui si è detto, una terza componente risulta essenziale ai fini della comprensione della posizione di Numenio, la cosiddetta « componente orientale », su cui si è molto discusso 4 • In effetti, non solo l'origine siriana del nostro filosofo, ma le sue espresse e ripetute asserzioni comprovano l'influsso dell'Oriente. Numenio conobbe la sapienza biblica e le interpretazioni allegoriche di Filone di Alessandria, ed egli stesso interpretò allegoricamente Mosè e i Profeti; conobbe anche le dottrine cristiane e sappiamo che interpretò allegoricamente almeno un episodio della vita di Gesù. Egli conobbe anche la sapienza di altri popoli orientali, e, fra l'altro, fece sua la dottrina che ammetteva nell'uomo due anime (una buona e una cattiva) di derivazione persiana. Ma, forse,
• Su questo problema si veda soprattutto: H. C. Puech, Numénius d'Apamée et les théologies orienta/es au second siècle, in Mélanges Bidez, n, Bruxelles 1934, pp. 745-778. Si veda, inoltre, la differente prospettazione del problema fatta da E. R. Dodds, Numenius and Ammonius, in AA.VV., Les sources de Plotin, « Entretiens sur I'Antiquité Glassique », tomo v, Vandoeuvres·Genève 1960, pp. 1-61.
www.scribd.com/Baruhk
NUMENIO DI APAMEA
413
ancor più che nelle singole dottrine, l'influsso dell'Oriente è da vedersi in quell'atteggiamento mistico-religioso, che aveva trovato espressione dapprima in Alessandria, e che, ormai, nel n secolo d.C. era dominante 5 • In questo modo, con la fusione delle due principali correnti di pensiero che avevano creato la nuova temperie teoretica con la componente mistica derivata dall'Oriente, venivano a realizzarsi tutte quelle condizioni che dovevano portare alla nascita del neoplatonismo. Numenio, anzi, anticipa addirittura, sia pure in maniera imperfetta, la formulazione di alcuni dei capisaldi del sistema plotiniano, come vedremo.
2. La proclamazione dell'assoluta preminenza
del l 'incorporeo Il movimento medioplatonico si era distinto, già dalle sue origini, proprio a motivo della riscoperta dell'incorporeo, e ben presto (o, forse, contemporaneamente) anche il neopitagorismo si era allineato su questa posizione. Orbene, Numenio non solo la ribadisce, ma le dà un rilievo inedito. Il problema metafisica per eccellenza, come sappiamo, per i filosofi greci si riassume nella domanda «che cos'è l'essere?». Appunto in questa forma Numenio lo ripropone 6 • La risposta che egli dà alla domanda presuppone non solo un generico superamento del materialismo, ma addirittura il sistematico rovesciamento di esso. L'essere non può identificarsi con la materia, perché essa è indeterminata, disordinata, irrazionale, inconoscibile, mentre l'essere deve avere i caratteri esattamente opposti. • Cfr. Leemans, testt. 17, 36, 43; frr. 9 a, 9 b, 17, 18, 19, 22, 36, 39 Places, frr. l c, 44, 31, l a, l b, 8, 9, 10, 13, l c, 55, 60. • Cfr. Leemans, frr. 11-16 = des Places, frr. 2-7.
= des
www.scribd.com/Baruhk
414
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
L'essere non può nemmeno coincidere con i quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco) o con uno di questi, perché essi nascono l'uno dall'altro, si trasformano e mutano, mentre l'essere non muta. L'essere non può, in generale, identificarsi con un corpo, dato che i corpi di per sé sono sottoposti a continuo cangiamento e hanno bisogno, in ogni caso, di qualcosa che li faccia perdurare. Questo qualcosa non può essere, a sua volta, un corpo, perché, se così fosse, daccapo avrebbe esso pure bisogno di un ulteriore principio che ne garantisse la stabilità e la permanenza. Dovrà, dunque, essere un incorporeo. L'essere, allora, sarà la realtà immutabile ed eterna dell' incorporeo. Ecco due eloquenti passi, che ribadiscono queste conclusioni: L'essere, dunque, è eterno, stabile, sempre uguale a se stesso e identico. L'essere non è soggetto né a nascita né a morte, né ad accrescimento né a diminuzione, né a diventare in alcun modo maggiore né minore. Inoltre, l'essere non si muoverà mai in alcun modo, neppure in senso spaziale. Infatti non gli è permesso di muoversi, né indietro né avanti, né verso l'alto né verso il basso; l'essere non si sposterà né a destra né a sinistra e neppure potrà muoversi attorno al suo centro, ma resterà immobile, sarà fermo e stabile secondo gli stessi modi e sempre nella medesima maniera 7 • lo non fingerò più e non dirò di ignorare il nome dell'incorporeo: a questo punto infatti, è più piacevole nominarlo, piuttosto che tacerlo. E dico subito che il suo nome è quello che si è cercato già da molto tempo. E non ci si metta a ridere se io affermo che il nome dell'incorporeo è « sostanza » e « essere ». E la ragione per cui il nome dell'incorporeo corrisponde a «essere» sta nel fatto che non è nato, né morirà, né ammette alcun altro tipo di movimento o di mutamento in meglio o in peggio, ma è semplice e inalterabile, fisso in una identica idea, non abbandona la propria identità, né di sua volontà, né costretto da altro [ ... ] . Sia dunque stabilito e convenuto che l'essere è incorporeo 8 • 7 Leemans, fr. 14 • Leemans, fr. 15
des Places, fr. 5. des Places, fr. 6.
www.scribd.com/Baruhk
NUMENIO DI APAMEA
415
È evidente che l'essere inteso come incorporeo di cui parla Numenio non è tutta la realtà, ma solo l'essere che trascende il sensibile, vale a dire la sfera dell'intelligibile:
Ho detto che l'essere è incorporeo: ma questo è l'intelligibile 9• Il sensibile, ossia il corporeo, non è essere, ma divenire, ribadisce con Platone il nostro filosofo: Platone aveva posto la domanda: «che cos'è l'essere» e aveva risposto che esso è sicuramente ciò che non diviene. Infatti, il divenire, secondo Platone, non può riferirsi all'essere, perché sarebbe soggetto a mutamento; ma se fosse soggetto a mutamento, non sarebbe eterno 10 • Non ci troviamo qui, come di primo acchito si potrebbe pensare leggendo questi testi, semplicemente di fronte alla antica antologia di Parmenide, riformata mediante i guadagni della «seconda navigazione» di Platone. Infatti, l'Essere che realmente è e mai diviene né perisce, ossia l'Incorporeo, è anche il biblico « Colui che è ». Numenio era infatti convinto che l'insegnamento di Platone corrispondesse all'antico insegnamento di Mosè, che egli conosceva bene e che, come già abbiamo detto, interpretava in maniera allegorica, come le nostre fonti ci riferiscono 11 • Anzi, Numenio si spingeva ancor più in là di Filone: infatti non solo egli era convinto che la concezione dell'Incorporeo e dell'Essere professata da Platone corrispondesse a quella di Mosè, ma affermava che Platone, in fondo, non era se non un « Mosè atticizzante », ossia un Mosè che parlava in attico. Ecco la testimonianza più significativa: Numenio scrive queste cose [ = che l'Essere è puramente intelligibile, che non diviene e non perisce, etc.], quando inter' Leemans, fr. 16 = cles Places, fr. 7. Leemans, fr. 16 = cles Places, fr. 7. " Cfr. Leemans, test. 17 =cles Places, fr. l c. 10
www.scribd.com/Baruhk
416
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
preta e chiarisce le dottrine di Platone e quelle molto anteriori di Mosè. A buona ragione, dunque, gli viene attribuito quel detto che si tramanda e che cosl suona: «Che cos'è mai Platone, se non un Mosè che parla in attico? ». 12 • ·
3. La struttura dell'essere dottrina dei tre Dei
incorporeo
e
la
Qual è la struttura dell'essere e dell'incorporeo? Abbiamo visto che in molti autori soprattutto del II secolo d.C. si riscontra chiaramente una tendenza a concepire la realtà immateriale in senso gerarchico-ipostatico e un certo configurarsi di questa gerarchia in senso triadico. Numenio porta questa tendenza al grado massimo di chiarezza, prima di Platino. Riferisce Proda: Numenio proclama tre Dei e chiama «Padre» il Primo, « Creatore » il Secondo, « Creazione » il Terzo; infatti, secondo lui, il cosmo è il Terzo Dio. Cosicché il Demiurgo, per lui, è duplice, il Primo e il Secondo Dio, il cosmo prodotto dal Demiurgo è il Terzo. È meglio esprimerci cosl, piuttosto che come egli stesso dice, con linguaggio da tragedia, l'« avo », il « figlio », il <~ discendente» 13 • La testimonianza di Proclo abbisogna di una serie di esplicazioni, che ci vengono da numerosi frammenti testuali dello stesso Numenio. Intanto, è da rilevare che, come già i Medioplatonici, Numenio sente il bisogno di distinguere il Primo Dio dal Secondo, al fine di garantire l'assoluta Sua trascendenza e di eliminare qualsiasi rapporto di Lui con il mondo del divenire. " Leemans, fr. 17 = des Places, fr. 8 (p. 51, 9-13). " Proclo, In Plat. Tim., I, p. 303, 27 sgg. Diehl ( = Leemans, test. 24 des Places, fr. 21 ).
www.scribd.com/Baruhk
417
NUMENIO DI APAMEA
Il Primo Dio ha commercio esclusivamente con le pure essenze, ossia con le Idee; invece il Secondo Dio si occupa della costituzione del cosmo. Numenio ritiene, precisamente, che l'Idea del Bene o Bene in sé, di cui Platone parla nella Repubblica e da cui fa dipendere le altre Idee, coincidesse appunto con il primo Dio. Invece, il Demiurgo che costituisce il cosmo, di cui Platone parla nel Timeo, è detto essere «buono», ma non «Bene»; esso, dunque, è altro dal Dio Supremo, ed è, appunto, il Secondo. Da Lui non dipende il mondo delle Idee supreme, che dipende dal Primo, bensl il mondo della genesi. Il Secondo Dio imita il Primo, pensa le essenze prodotte dal Primo e le riproduce nel cosmo. Il Primo Dio è supe.riore all'essenza, ma non all'Intelletto; anzi, Egli coincide con il supremo Intelletto, come già dicevano i Medioplatonici, mentre il Secondo Dio è Intelletto secondo. Ecco il frammento più significativo a questo riguardo: Se l'essenza ( oùa!at) e l'Idea sono l'intelligibile e se, come si è convenuto, l'Intelletto ( vou.;) è a loro superiore e loro causa, questo solo ci risulta essere il Bene. Infatti, se il Dio Demiurgo è il principio della generazione, basta che il Bene sia principio dell'essenza ( = delle Idee). Ora, il rapporto che intercorre tra il Dio Demiurgo e il Bene, di cui egli è imitatore, è analogo a quello che intercorre fra il divenire e l'essenza, il quale di questa è imitazione. Se infatti il Demiurgo della generazione è buono, il Demiurgo dell'essenza dovrà essere il Bene in sé, connaturato alla essenza. Il Secondo, essendo doppio, produce da sé la propria Idea e il cosmo, in quanto Demiurgo; poi resta interamente dedito alla contemplazione. Per concludere il nostro ragionamento, ecco i quattro nomi delle quatro realtà distinte: [l] Il Primo Dio, che è Bene in sé, [2] il Demiurgo, suo imitatore, che è buono, [3] l'essenza (oùa!at ), una del Primo e l'altra del Secondo, [ 4] l'imitazione di questa, il bell'universo, reso bello per la partecipazione del Bello 14 •
Il Primo Dio, che è assolutamente semplice, è stabile e •• Leemans, fr. 25
cles Places, fr. 16.
www.scribd.com/Baruhk
418
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
immobile, o, per meglio dire, ha una immobilità che è « movimento connaturato ». Aristotele parlava di « attività senza movimento », ed è sostanzialmente questo che vuoi dire Numenio. Il Primo Dio agisce e produce senza mutare, e da questo immutabile agire dipendono, in ultima analisi, l'ordine, la stabilità e la salvezza di tutti quanti gli esseri: Questi sono i modi di vivere, l'uno del Primo, l'altro del Secondo Dio. È evidente che il Primo Dio dovrà essere stabile, e che il Secondo, all'opposto, è in movimento: il primo, dunque, si occupa degli intelligibili, mentre il secondo si occupa sia degli intelligibili sia dei sensibili. E non ti meravigliare se ho detto questo, perché udrai cose ancor più stupefacenti. Invece del movimento, che appartiene al Secondo, io dico che la immobilità, che è propria del Primo, è un movimento connaturato, dal quale l'ordine del cosmo, il suo permanere eterno e la conservazione si espandono sulla totalità delle cose 15 • Numenio dice anche che il Primo Dio è come Colui che « semina il seme di ogni vita » in tutto ciò che di Lui partecipa, e che il Secondo Dio distribuisce, pianta e trapianta in ciascun essere 16 • Il Secondo Dio, invece, come abbiamo già detto, è, in certo senso, duplice. Da un lato, egli « contempla » gli intelligibili, e, dall'altro, egli agisce sulla materia, costruisce il cosmo e lo governa. Numenio dice espressamente che l'ordine che egli imprime alla mater:ia deriva dalla sfera delle Idee e che il termine della contemplazione, da cui prov·iene al Demiurgo la sua capacità di giudizio, è H Primo Dio, mentre l'impulso all'azione gli viene dal desiderio: Egli garantisce l'armonia, governando [la materia] con le Idee, e guarda [ ... ] verso il Dio che sta sopra, che attira i suoi occhi, e riceve dalla contemplazione la sua capacità di giudicare e dal desiderio il suo impulso ad agire 17 • 15 16
17
Leemans, fr. 24 = des Places, fr. 15. Cfr. Leemans, fr. 22 = des Places, fr. 13. Leemans, fr. 27 = des Places, fr. 18.
www.scribd.com/Baruhk
NUMENIO DI APAMEA
419
Emerge, qui, sia pure in modo embrionale, quel concetto di «contemplazione» ( &ewp(at) come fondamento dell'attività creatrice, che, come vedremo, costituisce il fulcro della metafisica plotiniana 18 • Nella testimonianza di Proclo dalla quale siamo partiti, il Terzo Dio era fatto coincidere con il cosmo. È tuttavia probabile che Numenio intendesse per cosmo il solo aspetto formale di esso (dato che, come vedremo, per lui la materia è male), e che, quindi, lo identificasse con il secondo aspetto del secondo Dio, che (a giudicare dalle testimonianze pervenuteci) sembra coincidere con l'anima del mondo, o, meglio, con l'anima buona del mondo. Ma, per comprendere questo punto, dobbiamo esaminare, prima, altre concezioni proprie del nostro filosofo.
4. La dottrina neopitagorica della Monade e della Diade nel contesto dell'antologia numeniana
Numenio si differenzia dai Medioplatonici soprattutto a motivo della sussunzione della dottrina della Monade e della 18 ~ da rilevare, inoltre che questa impostazione di Numenio secondo cui il Demiurgo, che è « buono », è tale per imitazione del Bene, ossia del Primo Dio, e trae la sua capacità di giudicare dalla contemplazione sempre del Primo Dio, ossia delle eterne Idee che sono da Lui prodotte, comporta, come le stesse nostre antiche fonti rilevano, che non solo le cose sensibili, ma anche le cose intelligibili (il secondo Dio e i contenuti del suo pensiero) « partecipino » delle Idee supreme, e che, quindi, anche fra le cose intelli. gibili ci siano, oltre che modelli, anche immagini di quelli, ossia immagini eterne dei modelli eterni (cfr. Siriano, In Arist. Metaph., 109, 12-14; Proclo, In Plat. Tim., 111, p. 33, 33·34, 3 Diehl = Leemans, test. 27 = des Places, frr. 46 b e 46 c). La cosa ben si spiega rifacendosi all'impostazione di Filone di Alessandria (cui Numenio deve molto, come sappiamo), il quale per primo aveva introdotto questa concezione gerarchica dell'intelligibile, in cui tutto ciò che viene dopo Dio è una immagine di Lui, e, a sua volta, è modello delle realtà successive, come abbiamo visto sopra (pp. 495-498).
www.scribd.com/Baruhk
420
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Diade, che, come abbiamo visto, è dottrina tipica dei Neopitagorici. Tuttavia, bisogna rilevare che la fusione di questa dottrina con la sua teologia trinitaria gli riesce assai problematica, almeno a giudicare dalle testimonianze pervenuteci, e, per di più, solo al prezzo di una totale rottura con quella corrente « monistica » dei Neopitagorici, che era invece la più nuova e originale. Secondo Numenio la Monade è Dio, mentre la Diade indefinita è la materia sensibile. La Diade indefinita o indeterminata non è stata generata ed è coeterna alla Monade, mentre è stata generata la Diade determinata, allorché fu determinata e ordinata da Dio (dalla Monade), ossia allorché fu creato il cosmo. Dedurre la Diade dalla Monade, secondo il nostro filosofo, è un controsenso, in quanto, per produrre la Diade (ossia per reduplicarsi) la Monade dovrebbe perdere la propria natura. Ecco una testimonianza di Caloidio: Numenio, che segue l'insegnamento di Pitagora [ ... ] col quale afferma che quello di Platone è in accordo, dice che Pitagora designò Dio col nome di Monade, la materia con quello di Diade. Questa Diade indeterminata non fu generata, mentre quella determinata fu generata. In altri termini: prima che venisse ordinata e che ricevesse la forma e l'ordine non ebbe nascita né generazione, ma, una volta ornata e abbellita dal Demiurgo, è generata; e così, poiché la generazione è un accadimento posteriore, quel principio non ancora ordinato si deve intendere come non generato e come coeterno a Dio, dal quale è stato poi ordinato. Ma alcuni Pitagorici non compresero correttamente il valore di questa dottrina, affermando che anche la Diade indeterminata e priva di misura fu prodotta dall'unica Monade, allorché la Monade stessa abbandona la propria natura per assumere la configurazione della Diade. E questo non è corretto dal momento che la Monade che esisteva doveva cessare di essere e per di più Dio si sarebbe dovuto trasformare in materia e la Monade nella Diade senza misura e determinazione: concezione, questa, inaccettabile anche da gente di mediocre cultura 19 • " Calcidio, In Plat. Tim., capp. 295 sgg., p. 297, 7 sgg. Waszink test. 30 = des Places, fr. 52).
(= Leemans,
www.scribd.com/Baruhk
421
NUMENIO DI APAMEA
Lasciando la polemica di Numenio contro i Pitagorici « monisti », che ci porterebbe troppo lontano, domandiamoci, in primo luogo, a quale delle ipostasi corrisponda la Monade. Naturalmente, verrebbe da pensare al Primo Dio, che, tra l'altro, è espressamente detto, oltre che Bene, anche «Uno», con la celebre affermazione platonica « il Bene è l'Uno ». Ma una lettura attenta dei frammenti non sembra affatto giustificare questa identificazione, dato che il Primo Dio permane in se stesso, assolutamente semplice e indivisibile, lontanissimo da ogni commercio con la Diade, ossia con la materia. Il Dio che entra in contatto con la Diade-materia e le dà forma è, invece, il Secondo, il quale, anzi, proprio a motivo di questo commercio con la materia, si sdoppia, appunto perché la materia è Diade, e in quanto tale produce un raddoppiamento, come già abbiamo sopra detto. Ecco un frammento piuttosto esplicito a questo riguardo: Il Primo Dio, permanendo in se medesimo, è semplice, perché non può mai essere divisibile, trovandosi in totale comunione con se medesimo. Il Secondo e il Terzo Dio sono uno solo; tuttavia, entrando in contatto con la materia, che è una Diade, unifica questa, ma ad opera di essa Egli viene diviso, avendo essa carattere concupiscibile ed essendo in perenne scorrimento. In quanto non è rivolto al mondo intelligibile (giacché in tal caso sarebbe rivolto a se medesimo), per il motivo che guarda alla materia, si prende cura di questa e diventa incurante di se medesimo. E viene cosl in contatto con il sensibile, si prende cura di esso e lo eleva al proprio carattere, essendosi proteso verso la materia 20 •
Il Terzo Dio, che è poi il Secondo nella sua funzione specificamente demiurgica, ossia nella sua funzione ordinatrice della materia informe (Diade), è evidentemente quello che lo stesso Numenio chiama «anima del mondo», o, più precisamente, per le ragioni che subito vedremo, « anima buona » del mondo 21 • ,., Leemans, fr. 20 = des Places, fr. 11. " Cfr. Giamblico, presso Stobeo, Anthol.,
1,
49, 32, p. 365, 5-21
www.scribd.com/Baruhk
422
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Prima di lasciare l'argomento che stiamo trattando, vogliamo però fare ancora due osservazioni. Se Numenio abbia distinto l'Unità dalla Monade, come fecero alcuni Pitagorici, non sappiamo, ma è possibile. In tal caso, la dottrina dei principi potrebbe accordarsi con la sua teologia trinitaria. Il Primo Dio o il Bene in sé sarebbe l'Uno (e tale è effettivamente detto). La Monade sarebbe il Secondo Dio e deriverebbe dalla imitazione dell'Uno (il Secondo Dio è buono, come sappiamo, per imitazione del Bene, e quindi potrebbe essere Monade per imitazione dell'Uno), mentre il Terzo Dio nascerebbe nel modo sopra esaminato, ossia dal contatto della Monade con la Diade 22 • Pare invece certo che Numenio abbia considerato la Diade solamente come materia sensibile e non anche come materia intelligibile. Stando ai frammenti pervenutiai, infatti, sembra che il nostro filosofo non si sia servito della Diade per la deduzione delle Idee e dei Numeri, ma solo per la deduzione del cosmo. Per lui la Diade è il principio sensibile opposto al mondo intelligibile, principio di per sé malvagio e fonte di ogni male.
Wachsmuth ( = Leemans, test. 33 = des Places, fr. 41). Notevole, ma molto discussa, la testimonianza di Proclo, In Plat. Tim., m, p. 103, 28-32 Diehl ( = Leemans, test. 25 = des Places, fr. 22), in cui si dice che il Primo Dio è il vivente in sé, il quale pensa servendosi dell'ausilio del Secondo, che è il Nous, il quale esercita, a sua volta, l'attività demiurgica servendosi dell'ausilio del Terzo, che è Pensiero discorsivo. Ora, il pensiero disoorsivo (dianoia) è, appunto, caratteristica peculiare dell'anima. 22 Il Primo Dio è detto Uno= Bene nel fr. 28 Leemans ( = des Places, fr. 19), il Secondo Dio è detto imitatore del Primo nel fr. 25 Leemans ( = des Places, fr. 16) e solo il Secondo Dio è detto entrare in contatto con la Diade (divenendo, cosl, esso stesso duplice) nel fr. 20 Leemans (= des Places, fr. 11), cosicché la Monade che ordina la Diade, di cui parla la testimonianza 30 Leemans ( = des Places, fr. 52), non può in ogni caso essere il Primo Dio. E, dunque, l'ipotesi che proponiamo sembra la più logica.
www.scribd.com/Baruhk
423
NUMENIO DI APAMEA
5. La materia, buona
l'anima
malvagia
e
l'anima
La materia come princtp!O malvagio non è alcunché di inanimato, ma (come già abbiamo visto in Plutarro) è dotata di una propria anima (di un principio di movimento e di vita), la quale è essa pure malvagia e cerca di contrastare l'opera del Demiurgo e della Provvidenza, ossia di frenare l'azione del Dio che imprime ordine e razionalità alla materia. Orbene, poiché, come abbiamo già accennato, lo sdoppiamento del Secondo Dio dà luogo ad un Terzo, cioè all'aspetto o momento propriamente demiurgico del Secondo, il quale ha quindi la funzione propria dell'anima del mondo, allora ben si comprende come Numenio, interpretando letteralmente un passo delle Leggi di Platone, di cui abbiamo già fatto menzione parlando di Plutarco, proclami egli pure la esistenza di due anime del mondo. Riferisce Calcidio: Numenio loda Platone, il quale sostiene l'esistenza di due anime del mondo, una in sommo grado benefica e la seconda malvagia, ossia la materia, la quale, benché scorra in modo scomposto, tuttavia, poiché si muove di un moto interiore e proprio, è necessario che possieda la vita e sia vivificata dall'anima, come tutti quegli esseri che si muovono di moto naturale 23 •
Orbene, se l'anima malvagia è il principio della vita irrazionale e del movimento caotico della materia, l'anima buona è principio di razionàlità e di ordine: essa, dunque, non può essere che intelletto, come esplicitamente viene attestato 24 • Si capisce, quindi, come Numenio abbia considerato quest'anima quale « intermedio » fra sensibile e soprasensibile e che l'abbia definita come « numero derivante dalla 23 Calcklio, In Plat. Tim., cap. 297, p. 299, 14 sgg. Waszink ( = Leemans, test. 30 = des Places, fr. 52). :u Cfr. Leemans, test. 33 ( = des Places, fr. 41).
www.scribd.com/Baruhk
424
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Monade indi visibile e dalla Diade divisibile » 25 • Questo modo di esprimersi indica, con terminologia pitagorica, non altro se non quello che, con linguaggio platonico, Numenio stesso ha definito come l'Intelletto che si volge alla materia per ordinaria. Sulla base di queste dottrine, Numenio costruisce la sua visione dell'uomo, intorno alla quale, purtroppo, ci sono pervenute solo scarse testimonianze. · È da rilevare, in modo particolare, il fatto che il nostro filosofo assegna anche all'uomo due anime, una malvagia, nella misura in cui ha materia, e una buona, ossia razionale. È da notare, inoltre, che, data la concezione dell'anima come assolutamente incorporea, Numenio ha ritenuto necessario supporre l'esistenza di una fase intermedia in cui l'anima, prima di « rivestirsi del fango dei corpi », gradatamente si allontana dalla sua originaria purezza passando attraverso le sfere celesti e, così, rivestendosi di sostanza eterea, che le permette di entrare poi nei corpi veri e propri. Numenio sostenne, inoltre, la dottrina della metempsicosi 26 • È evidente, pertanto, che la visione di fondo dominante dovette essere quella accentuatamente mistica del Pedone, per certi aspetti addirittura esasperata dagli elementi dualistici di genesi orientale. La libera:Mone dell'anima dalla prigione del corpo, attraverso la purifìcazione della scienza, la vittoria del bene sul male che è in noi come nell'universo, costituiscono il compito morale dell'uomo, e la meta suprema è il congiungimento estatico con l'Assoluto in cui si «entra in intima unione col Bene, da solo a Solo » 27 •
Cfr. Proclo, In Plat. Tim., n, p. 153, 17 sgg. Diehl (= I..eemans, test. Places, fr. 39). 26 Sulla concezione dell'anima sono da vedere tutte le testimonianze che il l..eemans raccoglie sotto i numeri 31-51. 27 Cfr. il passo che riportiamo più avan-ti, p. 426. 75
31
= cles
www.scribd.com/Baruhk
42.5
NUMENIO DI APAMEA
6. Nume n i o alle soglie d e l ne o p l a t o n i s m o Le tangenze che si potrebbero· rilevare fra Numenio e Plotino sono numerose, alcune riguardanti alcuni corollari, altre riguardanti i fondamenti stess.i del sistema. In primo luogo bisogna riconoscere che i tre Dei numeniani hanno una serie di caratteristiche riscontrabili nelle tre ipostasi plotiniane. Tuttavia, per quanto siano molto importanti, non sono queste le tangenze più illuminanti. Per contro, risultano determinanti certe anticipazioni, sia pure imperfettamente formulate ed espresse, di alcuni dei principi che costituiranno i cardini della metafisica plotiniana. In primo luogo, Numenio anticipa il principio che ispira la « processione » delle iposta&i plotiniane, secondo cui il Divino dona senza che il suo donare lo impoverisca. Ecco il frammento numeniano, assai significativo al riguardo:
Tutte le cose che, offerte in dono, passano in possesso a chi le riceve, allontanandosi dal donatore (come ad esempio degli schiavi, delle ricchezze, delle monete cesellate e coniate), sono, in verità, cose mortali ed umane; le cose divine, invece, sono tali che, trasmesse in dono quaggiù, rimangono di lassù e non si allontanano di là, e, rimanendo di lassù, recano vantaggio a chi le riceve senza recar danno a chi le dona [ ... ]. Così puoi vedere un lume acceso da un altro lume, che ha luce, pur senza averla tolta al primo, ma perché s'è accesa la sua materia avvicinandosi a quel fuoco 28 • Abbiamo già rilevato, e qui ci limhiamo a richiamarla, l'affermazione di Numenio, secondo cui la contemplazione del Dio Secondo che guarda il Primo costituisce la base da cui deriva la possibilità della creazione del cosmo. Inoltre, il nostro filosofo formula il principio secondo cui si può affermare che, ·in un certo senso, tutto è in tutto,
,. Leemans, fr. 23
= cles
Places, fr. 14.
www.scribd.com/Baruhk
426
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
principio, che, con qualche ridimensionamento, diventa centrale in Platino: Orsù, dunque, eleviamoci alla realtà incorporea in se stessa, per giudicare in base ad essa, in ordine, tutte le dottrine sull'ariima. Ci sono alcuni che affermano che questa realtà è tutta quanta di natura omeomera [ = costituita di parti le une uguali alle altre], identica a se stessa ed una, cosicché in ogni sua parte è presente il tutto. Costoro giungono a collocare nell'ariima particolare il mondo intelligibile, gli Dei, i Demoni, il Bene e tutte le realtà superiori ed affermano che ogni cosa è presente allo stesso modo in tutte le cose, ma in ognuna secondo la propria essenza. Di questa opinione è certamente Numenio, Plotino con qualche differenza [ ... ]. Secondo questa opinione l'anima in tutta la sua essenza non è differente in nulla dall'intelletto, dagli Dei, dai generi supremi 29 • Infine, un impressionante anttctpo della dottrina della plotiniana unio mystica con il Bene è contenuto in questo splendido frammento del Trattato sul Bene: [ ... ] Bisogna che l'uomo, dopo essersi allontanato dalle cose sensibili, entri in intima unione col Bene, da solo a Solo, là dove non c'è alcun uomo, né altro essere vivente, né alcun corpo, né grande né piccolo, ma c'è una solitudine meravigliosa, indicibile e indescrivibile, là dove c'è la dimora del Bene, le sue occupazioni e i suoi splendori, il Bene stesso nella pace e nella benignità, Lui, il Tranquillo e il Signore, che, benevolo, trascende la stessa essenza. E, se qualcuno, restando aggrappato alle cose sensibili, immagina che il Bene voli da lui e vivendo nei piaceri crede di raggiungere il Bene, costui si sbaglia completamente 30 • Con Numenio siamo giunti veramente alle soglie del neoplatonismo.
29
Gi11lllhlico, presso Stoheo, Anthol., I, p. 365, 5-21 sgg. Wachsmuth test. 33 = des Pl.aces, fr. 41). Leemans, fr. 11 = des Placcs, &. 2.
(= Leemans, 33
www.scribd.com/Baruhk
SEZIONE QUARTA
GLI SCRITI'I ERMETICI E GLI ORACOLI CALDAICI
t -roih·6 iaTI TÒ clyot&òv &eoo&ijVotl t.
Ti).~
Tolç yv6ia1v iaxTjx6a1,
«Questo è il fine felice a cui pervengono coloro che posseggono la conoscenza: il diventare dio». Corpus Hermeticum, t
1,
26
où yclp ~· ei!LIXp-riJv clyi>-Tjv n!1tToua1 houpyo( •·
«I teurgi non rientrano nella moltitudine soggetta alla fatalità». Oracoli Caldaici, fr. 153
www.scribd.com/Baruhk
www.scribd.com/Baruhk
I. IL FENOMENO DELL'ERMETISMO E I
SUOI DIFFERENTI
ASPETTI
Ermete ermetica l.
Trismegisto
e
la
letteratura
Secondo le credenze religiose egiziane Thoth era il Dio inventore di numerose scienze e arti e, in particolare, delle lettere dell'alfabeto, ossia della scrittura 1; egli era pertanto considerato scriba degli Dei e, quindi, interprete, rivelatore e profeta della divina sapienza e del divino logos. Orbene, i Greci, allorché vennero a conoscenza della teologia egiziana, assimilarono a Thoth H loro Dio Ermete, dato che questi aveva appunto le prerogative di essere « interprete e messaggero» degli Dei. Anzi, per meglio qualificare questo Ermete identificantesi con il Grande Thoth egiziano, lo designarono oon l'appellativo Trismegisto, che significa superlativamente grande (-rpLa[.LéyLa-ro<; vuoi dire, alla lettera, tre volte grandissimo). E sotto il nome di questo Dio, in età ellenistica (forse già a partire dalla prima metà del m secolo a.C.) e soprattutto in età imperiale (in particolar modo nei secoli II e III d.C.), nacque e si sviluppò una ricca letteratura, avente caratteristiche varie e contenuti differenti, accomunata, tuttavia, dalla pretesa di essere direttamente ispirata dal Grande Ermete, e, quindi, una «rivelazione» di questo Dio. Ai Padri della Chiesa, a cominciare da Tertulliano e da Lattanzio, a motivo dell'elevatezza delle concezioni teologiche e morali che si riscontrano in alcuni degli scritti ermetici
' Cfr. Platone, Fedro, 274 c sgg.
www.scribd.com/Baruhk
430
LA RISCOPERTA DELL'iNCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
(quelli composti nei primi secoli dell'età imperiale), Ermete Trismegisto parve essere, se non un Dio, almeno un profeta, una sorta di pagano profeta di Cristo, vissuto all'epoca di Mosè. E appunto come pagano profeta di Cristo fu poi considerato durante il Medio Evo e durante l'età dell'Umanesimo e del Rinascimento 2 • Le moderne ricerche, già a partire dal secolo XVIII, hanno appurato che gli sccitti ermetici sono degli pseudoepigrafi, composti da autori diversi, che si nascondono sotto la maschera del Dio egil;iano. Nel nostro secolo, poi, si è accertato che proprio i più significativi di tali scritti non sono nemmeno espressione di una sapienza propriamente «egiziana», bensl delle conoe7Ji.oni del tardo ellenismo. Infine, si è accertato che e9si non possono essere fatti risalire nemmeno ad una determinata setta religiosa, dato che manca _qualsias.i accenno a tutto ciò che è proprio di una setta religiosa 3• La letteratura ermetica è costituita da scritti che si possono suddividere in due grandi gruppi: l) le opere che il Festugière denomina «dell'ermetismo popolare», le quali riguardano le cosiddette scienze occulte, alcune delle quali possono risalire addirittura al m secolo a.C.~;
2 È molto interessante, a questo proposito, la rappresentazione di Ermete che si trova sul pavimento della cattedrale di Siena (fine dd secolo xv) con la scritta Hermes Mercurius Trismegistus Contemporaneus Moysi, ove è raffigurato nell'atto di consegnare ad un orientale un libro con la scritta: Suscipe [ ... ] litteras et leges Aegyptii. Cfr. A.]. Festugière, Hermétisme et mystique pa1enne, Aubier-Montaigne, Paris 1967, p. 28. 3 Tutti i problemi relativi agli scritti ermetici in tutte le loro implicanze e in tutti i loro influssi sono stati studiati da A.]. Festugière •nella monumentale opera La Révélation d'Hermès Trismégiste, Gabalda, 4 voli., Paris, 1944-1954. Dello stesso autore si veda anche il volume citato alla nota precedente (dove, alle pp. 28-87, si trovano brevemente ed efficacemente riassunti i risultati degli studi dell'autore) e quelli citati alla nota 5. Nei volumi del Festugière si troverà l'indicazione della letteratura precedente. • Per tutto ciò che concerne questi scritti (che interessano solo marginalmente la storia della filosofia) r.imandiQIDO all'opera del Festugière, La
www.scribd.com/Baruhk
431
L'ERMETISMO
2) i trattati che il medesimo studioso denomina « dell'ellmetismo dotto», i quali trattano tematiche filosofiche e soprattutto teologiche e mistico-religiose, la maggior parte dei quali sembra essere stata composta fra il II e il III secolo dell'era cristiana. Il secondo gruppo di scritti, che è quello più interessante, si suddivide come segue: a) il Corpus Hermeticum, che consta di diciassette trattati (il primo dei quali, intitolato Poimandres, è il più organico e il più famoso); h) l'Asclepio, che è una traduzione latina (in passato attribuita erroneamente ad Apuleio) di un Discorso perfetto originariamente composto in lingua greca e che risale probabilmente agli inzi del secolo IV d.C.; c) numerose citazioni ed estratti (alcuni anche consistenti) che troviamo presso Stobeo; d) testimonianze e frammenti che troviamo presso numerosi seri t tori cristiani 5 • Révélation ... , il cui primo volume, che reca il sottotitolo L'astrologie et les sciences occultes, è interamente dedicato ad essi. • Questi scritti sono stati pubblicati, con traduzione inglese e commento da W. Scott e A. D. Ferguson (Oxford 1924-1936). Ancora migliore è la successiva edizione, curata (per quanto concerne il testo critico) da A. D. Nock e (per quanto concerne la traduzione, nonché le introduzioni particolari ai singoli trattati e le note di commento) da A.]. Festugière, in 4 volumi, per la collana «Les Belles Lettres», Paris 1945-1954. Un eccellente strumento è il recente Index du Corpus Hermeticum, curato da L. Delatte, S. Govaerts, ]. Denooz, Edizioni dell'Ateneo e Bizzarri, Roma 1977. Del Corpus Hermeticum vi è una recente traduzione italiana da B. M. T ordini Portogalli: Discorsi di Ermete Trismegisto, Boringhieri, Torino 1965, dalla quale traiamo i brani che riportiamo. (Ricordiamo che gli scritti del Corpus Hermeticum, che come abbiamo detto sono diciassette, vengono numerati, in modo abnorme, come se fossero diciotto. Ciò è dovuto al fatto che nell'editio princeps del Turnèbe del XVI secolo era stato inserito, come trattato xv, ui10 scritto costituito di estratti desunti da Stobeo e mancante nella tradizione manoscritta. Le moderne edizioni hanno eliminato, e giustamente, questa indebita inserzione del Turnèbe, ma, per mantenere la numerazione dell'editio princeps, divenuta canonica, si è lasciato il quindicesimo posto vuoto, con la conseguente numerazione dal I al XIV e poi dal XVI al XVIII).
www.scribd.com/Baruhk
432
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
In questo cospicuo complesso di scritti, composti in tempi tanto diversi e di contenuto cosi vario, esiste un preciso legame e, se esiste, quale è? &co il primo dei problemi cui occorre rispondere.
2. L e c ara t t eristiche d i fon d o d e Il' ermetismo
Riprendendo alcuni dei rilievi già sopra fatti e completandoli, potremmo dire quanto segue: a) L'ermetismo si presenta come una dottrina esoterica. b) Esso pretende di essere una « divina rivelazione ». c) La divinità rivelante è appunto Ermete. d) L'ermetismo, in generale, non comunica i suoi messaggi mediante dimostrazioni razionali e deduzioni logiche, bensi tramite una sorta di « iniziazione » misterica. Queste caratteristiche sono comuni sia agli scritti dell'ermetismo popolare sia a quelli dell'ermetismo dotto e costituiscono, quindi, quasi un minimo comun denominatore, anche se generico. Il Festugière nota giustamente a questo proposito: «Un tratto è [ ... ] comune al f·atto stesso della rivelazione qui e là [sci!.: nei due gruppi di scritti]: il fatto che, ormai, sia per comprendere e ordinare i fenomen1, sia per conoscere e avvicinarsi a Dio, si faccia appello non più ai procedimenti del solo pensiero e al solo sforzo della riflessione personale, bensi ad un oracolo diVIino, ad una rivelazione che ci si attende e si ottiene dalla divinità; in una parola, il fatto che, sia ·per la scienza sia per la vita spillituale, si sia passati dal piano della ragione a quello della credenza, della fede, è un grande segno della profonda rivoluzione compiutasi negli spiriti e negli animi alla fine dell' epoca ellenistica. Ed è questo soprattutto che merita di essere messo in luce » 6 • ' Festugière, Hermétisme ... , pp. 39 sg.
www.scribd.com/Baruhk
433
L'ERMETISMO
Per quanto concerne, poi, le caratterisdche più specifiche di questa «rivelazione» e il loro significato, come abbiamo già accennato, occorre fare due differenti discorsi per i due diversi gruppi di scritti. l) Gli scritti del primo gruppo, che trattano di astrologia, di alchimia, di magia e di scienze occulte in genere, rivelano forse ancor più e ancor meglio degli scritti del secondo gruppo la grande crisi di quel razionalismo che era stato proprio dell'età precedente. Essi, infatti, costituiscono, sotto molti rispetti, la negazione dello spirito che aveva caratterizzato la scienza degli Elleni. Intanto, essi costituiscono la negazione di quell'aspetto teoretico-contemplativo squisitamente greco. Infatti con la astrologia si vuole conoscere e predire il futuro al fine di trarne i relativi vantaggi; con l'alchimia si vuole trovare il procedimento idoneo a produrre l'oro e quindi la.ricchezza; con la magia si vogliono dominare le forze della natura al fine di acquistare il potere sulle cose e quindi sugli uomini. Inoltre, questi scritti costituiscono la negazione di quell'aspetto speculativo-razionale della scienza greca, che mirava alla scoperta del perché, della causa, e, dunque, dell'universale (ovviamente di quell'universale che è proprio delle singole scienze particolari). Infatti queste «scienze occulte» sono interessate soprattutto al particolare, al singolare, al meraviglioso. Precisa il Festugière: «La scienza aristotelica trascurava il particolare per il generale, l'individuale per l'universale. Ciò che al contrario attira il nuovo sapiente è la proprietà peculiare a ciascun essere della natura, e di preferenza la proprietà singolare, meravigliosa, il mirabile. Dal momento che questa nuova scienza mira ad agire sulla natura, essa cerca soprattutto di conoscere le forze nascoste degli esseri, queste forze misteriose che fanno sì che certi esseri ne attirino certi altri (la calamita e n ferro) o viceversa li respingano, che tale piantJa, o trule parte di un animale, possegga virtù terapeutiche o al contrario vtirtù nocive, in breve, tutto ciò
www.scribd.com/Baruhk
434
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
che gli autori di mirabilia e ancora Plinio chiamano le leggi di simpatia o di antipatia fra gli esseni» 7 • Infine, questi scritti rappresentano la negazione di quella adamantina fiducia che i Greci avevano nutrito circa la capacità della ragione umana di raggiungere da sola la verità. Infatti, le nascoste peculiat~ità e virtù delle cose e le rel11Zioni di simpatia e di antipatia sono dei « segreti» della natura e, come tali, risultano irraggiungibili da parte della sola ragione umana e quindi senza il soccorso degli Dei. La «rivelazione», dunque, doveva essere invocata proprio in quello specifico . ambito in cui, in passato, era stata dichiarata sovrana assoluta la ragione. Il Festugière ricorda 8 , a questo proposito, una affermazione di Senofonte (di indubbia genesi socratica) veramente paradigmatica, secondo cui sono da considerarsi folli quanti chiedono all'oracolo ciò che è in potere dell'umano ingegno, ossia ciò che si può conoscere con lo studio, col calcolo, oon la misurazione 9 • È proprio questo, che Socrate bolla come folle, l'atteggiamento che caratterizza !invece gli scritti ermetici. Le conseguenze che derivano da tutto questo sono evidenti e ancora il Festugière le ha indicate in maniera perfetta: «La nuova scienza sarà necessariamente un mistero, la trasmissione di un mistero. Coloro che sanno saranno degli eletti, e ci sarà una distanza infinita fr.a questi eletti e la gente comune. Inoltre, il mezzo per ottenere la scienza non sarà più I.a ricerca, l'esercizio della ragione, ma la preghiera, l'atto del culto, o, ad un livello inferiore, la pratica magica: si passa dal piano intellettuale al piano della religione o della magia» 10 •
7 Festugière, Hermétisme ... , p. 42. • Cfr. Festugière, Hermétisme ... , p. 41. . • Cfr. Senofonte, Memorabili, I, l, 9 (si veda il passo da noi riportato nel vol. I, p. 351). •• Festugière, Hermétisme ..., p. 44.
www.scribd.com/Baruhk
4.35
L'ERMETISMO
2) Il secondo gruppo di scritti presenta, per il suo contenuto, notevoli analogie con le parallele correnti filosofiche del medioplatonismo e del neopitagorismo, ma ne accentua gli aspetti mistici e alogici. Viene esasperato il dualismo Diomondo, viene accentuato il carattere della trascendenza, e, quindi, il carattere della inconoscibilità e della inesprimibiHtà di Dio. Già Filone, come abbiamo visto, aveva imboccato una strada analoga, e anche fra ti Medioplatonici e i Neopitagorici si manifestano tendenze di questo genere, ma negli scritti del Corpus Hermeticum si giunge ad esiti ancora più radicali a motivo della accentuazione del dualismo. J.n ogni caso, la impostazione tradiZJionale del problema teologico viene rovesciata e si impone un nuovo modo di conoscenza di Dio (gnosi), fondato non più sulla ragione umana, bensl sulla rivelazione di Dio legata alla preghiera e al culto, sulla diretta illuminazione e sull'estasi. Solo quando i sensi, la ragione e la parola vengono meno, allora, nel divino silenzio, conosoiamo Dio in una unione estatica, in un vero e proprio « indiamento ». Ecco un testo che illustra in maniera esemplare questa unione estatica: [ ... ] Per la visione del bene non avviene come per il raggio del sole che, essendo fiammeggiante, abbaglia gli occhi e li fa chiudere; al contrario tale vista tanto più illumina, quanto più può accoglierla chi è capace di ricevere l'emanazione della luce intelligibile. Essa è più acuta del raggio solare nel penetrare in noi, ma non danneggia ed è totalmente piena di immortalità. Coloro che possono attingere un po' di più a questa visione quando sono caduti nel sonno e sono distaccati dal loro corpo, giungono fino alla visione più bella di tutte [ ... ] . Quando tu non potrai più dire nulla di lui; solo allora lo vedrai; poiché la conoscenza di Dio è divino silenzio e cessazione di tutte le nostre sensazioni. Infatti chi ha compreso Dio, non può apprendere nient'altro, chi lo ha contemplato, non può contemplare altro, né può udire parlare di altro, e non può neppure muovere il proprio corpo, poiché privato di ogni sensazione, di ogni movimento del corpo, rimane immobile. Questa bellezza divina, dopo aver illuminato con la sua luce tutto l'intelletto, illumina anche tutta l'anima e, traendola fuori del
www.scribd.com/Baruhk
436
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
corpo verso di sé, muta l'uomo in essenza. È infatti impossibile [ ... ] che l'anima che ha contemplato la bellezza del bene sia innalzata fino a Dio mentre si trova nel corpo 11 •
3. Dio, la gerarchia del divino, la genesi del cosmo e dell'uomo nel «Corpus Hermeticum,.
Il Corpus Hermeticum, come è stato da tempo rilevato dagli studiosi, non contiene una dottrina rigorosa né ben coerente. Tuttavia, si è forse esagerato un poco su questo punto, dato che alcune contraddizioni si spiegano agevolmente in base alla differente epoca di composizione dei vari trattati, mentre altre oscillazioni e antinomie si riscontrano anche nelle parallele correnti filosofiche e verosimilmente derivano, almeno in parte, dalle fonti stesse alle quali gli autori ermetici attingono. Per quanto riguarda Dio è da rilevare quanto segue. Egli viene concepito, oltre che in connessione all'idea o meglio all'immagine della luce, ~n funzione dei concetti dell'incorporeo, della trascendenza e dell'infìnitudine (come abbiamo già accennato), espressi con moduli e formule che riecheggiano, più di una volta, Filone e la sua «filosofia mosaica », oltre che i Medioplatonici. Anche H neopitagorico concetto di Monade e di Uno come «principio e radice di tutte le cose » viene utilizzato per caratterizzare Dio 12 • Ancora come in Filone e ,in alcuni Medioplatonici (e poi, come vedremo, nello stesso Plotino) teologia positiva e teologia negativa nel Corpus Hermeticum si affiancano. Da un lato, si tende a porre Dio al di sopra di tutto e a concepirlo come totalmente altro da tutto ciò che è, ossia come «senza forma Corpus Hermeticum, x, 4-6. Per quanto concerne la Monade si veda Corpus Hermeticum, IV, 10 sg. Per quanto concerne le tangenze fra medioplatonismo, filonismo e teologia ermetica, daremo subito appresso numerose indicazioni. 11
12
www.scribd.com/Baruhk
4.37
L'ERMETISMO
né figura», e, quindi, addirittura come «privo di essenza» e perciò del tutto ineffabile 13 • Dall'altro, si riconosce che Dio è Bene e Padre di tutte le cose, e, quindi, causa di tutto, e, in quanto tale, si tende a rappresentarlo in funzione di alcuni dei canoni della teologia positiva. Il quinto trattato, ad esempio, presenta un interessante intrecciarsi di queste due posizioni, sostenendo la tesi che Dio è l'invisibile e, ad un tempo, ciò che è più vJ.sibile 14 • Inoltre risulta decisamente prevalente la identifìca2Jione, tipicamente medioplatonica, del Dio supremo con l'Intelletto supremo, anche se, per esempio nel secondo trattato, sembrerebbe prospettarsi la tesi che Dio è al di sopra dello stesso Intelletto e causa del medesimo: Dio non [ ... ] è l'intelletto stesso, ma è causa dell'esistere dell'intelletto, non è il soffio vitale, ma causa dell'esistere del soffio vitale, non è la luce, ma causa dell'esistere della luce 15•
Tuttavia è da notare che, sia pure a livello di dpotesi, analoghe affermazioni si trovano anche in Albino, come abbiamo visto, e che, in ogni caso, non si va oltre questi cenni. Per quanto concerne, poi, la concezione della gerarchia del divino, è da segnalare un fatto molto interessante. Il Poimandres, che è il più organico dei trattabi, presenta una serie di intermediari tra il Primo Dio e il Mondo, evidentemente desunti da Filone, da un lato, e dai Medioplatonici, dall'altro, che denotano quella tendenza tipica della gnosi (sia quella pagana sia quella eretico-cristiana) a moltiplicare questi intermediari. Ecco il quadro d~insieme che si ricava da questo trattato. l) Al vertice sta il Dio supremo, Luce suprema e Intel" Cfr. Corpus Hermeticum, n, 5; IV, 9. •• Cfr. Corpus Hermeticum, v, passim. 15 Corpus Hermeticum, 11, 14.
www.scribd.com/Baruhk
438
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
letto supremo, avente natura maschile-e-femminile, e quindi capace di generare da solo. 2) Segue il Logos, che è figlio primogenito del Dio supremo. 3) Dal Dio supremo deriva anche un Intelletto demiurgico, che è, quindi, un secondogenito, ma è espressamente detto «consustanziale» rispetto al Logos. 4) Segue l'Anthropos, ossia l'Uomo incorporeo, esso pure derivato da Dio e «immagine di Dio». 5) Segue, infine, l'Intelletto che viene dato all'uomo terreno (rigorosamente distinto dall'anima e nettamente superiore ad essa) che è quanto di Divino c'è nell'uomo (e, anzi, in certo senso, è Dio stesso nell'uomo) e che gioca un ruolo essenziale nell'etica e nella mistica ermetica. Il Dio supremo è inoltre roncepito come esplicantesi « ill1 un numero infinito di potenze», e anche come «forma archetipa », e come « iJ principio del principio, che non ha fine» 16 (,ancora una volta ron evidenti agganci a Filone e al medioplatonismo ). Il Logos e l'Intelletto demiurgico sono i creatori del cosmo. Essi agiscono in diverso modo sull'oscurità o tenebra, che originariamente si distacca e dualisticamente si oppone al Dio-luce (nonché su una Boulé o Volontà, che deriva sempre da Dio in un modo non precisato e H cui rapporto con la oscurità non viene determinato), e costruiscono un mondo ordinato. Vengono prodotte le sette sfere celesti e messe in movimento. Dal movimento di queste sfere vengono quindi prodotti gli esseri viventi privi di ragione (che i:n Ulll primo momento nascono tutti bisessuali). Più complessa è la generazione dell'uomo terrestre. L'Anthropos o Uomo incorporeo, terzogenito del Dio supremo, vuole imitare l'Intelletto demiurgico e creare, egli pure, qualcosa. Ottenuto il consenso del Padre, l'Anthropos attraversa " Cfr. Corpus Hermeticum,
I,
7-8.
www.scribd.com/Baruhk
439
L'ERMETISMO
le sette sfere celesti fino alla luna, ricevendo, per partecipazione, le potenze di ciascuna di esse, e poi si affaccia dalLa sfera della luna e vede la natura sublunare. Tosto l'Anthropm si innamora di questa natura, e, viceversa, la natu·ra si innamora dell'Uomo. Più precisamente, l'Uomo si innamora della propria immagine riflessa nella natura (nell'acqua), vien colto dal desiderio di unirsi ad essa, e, cosl, congiungendosi ad essa, cade. Nasce, in tal modo, l'uomo terrestre, con la sua duplice natura, spirituale e corporea. L'autore ermetico del Poimandres, per la verità, complica notevolimen.te la sua antropogonia. Infatti, dall'accoppiamento dell'Uomo incorporeo con 1a natura corporea non nasce immediatamente l'uomo comune, ma nascono sette uomini (sette come le sfere dei pianeti), ciascuno maschio-e-femmina ad un tempo. Tutto resta in questa condi2lione fino a quando, per volontà del Dio supremo 17 , i due sessi degli uomini (e degli animali, già nati per effetto del movimento dei pianeti) vengono divisi e ricevono il biblico comando di crescere e · moltiplicarsi e di salvarsi: Crescete accrescendovi, e moltiplicatevi in quantità tutti voi, che siete stati creati e prodotti, e chi possiede l'intelletto riconosca se stesso immortale, sappia che la causa della morte è l'amore [eros] e conosca tutto ciò che esiste 18 • 4. L'Intelletto, la .conoscenza e la salvezza
Il messaggio dell'« ermetismo dotto », da cui è dipesa tutta la sua fortuna, si risolve, sostanz.iaJmente, in una dottrina della salvezza e le sue teorie metafisico-teologicocosmologico-antropologiche non sono altro che i supporti di questa soteniologia. 17 Cfr. Corpus Hermeticum, I, 18. Sul significato di questo intervento del Dio supremo dr. Festugière, Hermétisme ..., p. 55. " Corpus Hermeticum, I, 18.
www.scribd.com/Baruhk
440
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Al fondo dei più significativi trattati del Corpus Hermeticum, come abbiamo già detto, vi è una concezione dualistica assai accentuata e, di conseguenza, vi è anche una concezione pessimistica, che era assente o solo limitatamente presente nel pensiero greco classico e in quelli del primo ellenismo 19 • La nascita dell'uomo terrestre è dunque dovuta ad una caduta di Anthropos, che ha voluto congiungersi alla natura materiale 20 • E così l'Uomo, da «Vita e Luce quale era» si uasformò «in anima e intelletto», nel senso che la Vita originavia divenne l'anima e la Luce divenne l'intelletto. Ma .il mondo materiale in cui è oaduto l'Uomo è il « pleroma di ogni male» 21 , vale a dire la totalità del male, ossia il male radicale. Dunque, 1a «salvezza» non potrà se non consistere nella liberazione e nel distacco dalla materia. Orbene, il mezzo per realizzare questa liberazione è, secondo la dottrina del Corpus Hermeticum, la conoscenza {gnosi), mentre l'ignoranza mantiene l'uomo incatenato alla matevia ed è quindi il peggiore dei mali. Dunque, la salvezza coincide con la gnosi 22 • Ma che cos'è, esattamente, questa gnosi ermetica e come si attua? Innanzitutto, l'uomo deve conoscere se stesso, convincersi che la sua vera natura consiste nell'intelletto, e, di conseguenza, deve cercare di distaccarsi da tutto ciò che in lui è legato alla materia, che è tenebra e male. Ma poiché, come sappiamo, l'Intelletto è parte di Dio (Dio in noi), riconoscere se stesso in questo modo, significa riconoscere Dio. Ecco un passo significativo del Poimandres:
" Su questo punto cfr. i rilievi del Festugière, Hermétisme ... , pp. 72 sgg. Si tratta di una specie di caduta per peccato di «narcisismo» (Anthropos che si innamora della propria immagine riflessa nella natura), come è stato giustamente rilevato. 21 Corpus Hermeticum, VI, 4. 22 Cfr., tra l'altro, Corpus Hermeticum, vn, passim. 20
www.scribd.com/Baruhk
441
L'ERMETISMO
- [ ... ] Ma perché colui che ha conosciuto se stesso si dirige verso Dio, secondo il discorso di Dio? -Perché [ ... ] di luce e di vita è costituito il padre di tutti gli esseri, dal quale nacque l'uomo. - [ ... ] Luce e vita, questo è il Dio e padre, dal quale fu generato l'uomo. Se dunque tu riconosci lui nella sua vera natura, cioè costituito di luce e di vita, e comprendi che tu derivi da tali elementi, tu ritornerai alla vita 23 •
In questa gnosi sono riconoscibi11i idee filoniane, sia pure trasformate nel nuovo contesto in cui sono collocate: Ma anche la connessa concezione dell'Intelletto, 1nterpretato quasi come dono divino che l'uomo riceve in gvazia della sua vita morale, o come frutto di una scelta etica di fondo, ricorda la conce2lione filoniana dello Spirito divino che viene dato all'uomo per divina grazia. Ma a questo proposito conviene fare qualche precisazione. Da un ltato, il Corpus Hermeticum concepisce l'intelletto come il Divino nell'uomo, quasi come se si trattasse di una facoltà strutturalmente presente m tutti gli uomini, come, ad esempio in questi passi: L'anima dell'uomo è trasportata in questo modo: l'intelletto è nella ragione discorsiva, la ragione nell'anima, l'anima nel soffio vitale; il soffio vitale, passando attraverso le vene, le arterie e il sangue, mette in movimento l'essere vivente e in certo qual modo lo trasporta 24 • Dove c'è anima, vi è anche intelletto, come dove c'è vita, c'è anche anima; ma negli animali privi di ragione l'anima non è che vita pura senza intelletto. L'intelletto infatti distribuisce i suoi benefici solo alle anime degli uomini: egli le forma in funzione del bene; e mentre negli animali senza ragione collabora con l'istinto naturale, nelle anime degli uomini agisce in contrasto con questo 25 •
Corpus Hermeticum, 1, 21. .. Corpus Hermeticum, x, 13. 25 Corpus Hermeticum, xn, 2.
23
www.scribd.com/Baruhk
442
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
In altri passi, invece, si dice che l'Intelletto non è proprio di tutti gli uomini, ma soLo di quanti onorano Dio 26 • Le due conce~ioni, per la verità, possono essere mediate. I.l Festugière ha spiegato, infatti, che tutti quanti gli uomini posseggono l'intelletto, ma come allo stato potenziale; dipende però da ciascuno di essi il metterlo in atto, e, dunque, il possederlo veramente, oppure non metterlo in atto e perderlo. Ln effetti, sembra essere questa la giusta chiave di lettura della complessa dottrina ermetica dell'intelletto 27 • Se l'intelletto abbandona l'uomo, è solo a motivo della vita malvagia che l'uomo conduce, e, quindi, è per colpa dell'uomo medesimo: Spesso l'intelletto vola via dall'anima, e in quel momento questa non è più capace né di vedere, né di udire, ma diviene simile a un essere senza ragione: tanta è la potenza dell'intelletto! D'altra parte l'intelletto non può sopportare un'anima torbida, ma l'abbandona al corpo, che la opprime quaggiù in terra. Una tale anima, figlio mio, non possiede l'intelletto; quindi non si deve chiamare uomo un tale essere 28 •
Se, invece, è presente nell'uomo, è a motivo della scelta del bene che questi opera e che lo rende degno di tale dono divino: Dio ha distribuito la ragione a tutti gli uomini [ ... ] , non cosl ha fatto per l'intelletto. [. .. ] Volle, o figlio, che esso fosse presentato alle anime come un premio da guadagnare 29 •
5.
L'estasi
e
l'escatologia
nell'ermetismo
L'uomo non deve aspettare la morte fisica per raggiungere
il suo telos, ossia per « indiarsi ». Infatti può rigenerarsi, Cfr., ad esempio, Corpus Hermeticum, I, 21; x, 21-24. Cfr. Festugière, Hermétisme ... , pp. 58-61. "" Corpus Hermeticum, x, 24. 29 Corpùs Hermeticum, IV, 3. 26
71
www.scribd.com/Baruhk
443
L'ERMETISMO
liberandosi dalle potenze negative e malvagie e dai « tormenti delle tenebre», mediante le divine potenze del bene, fino ad ottenere un distacco dal corpo, purificando così il suo intelletto, e, in tal modo, estaticamente congiungendosi all'Intelletto divino, per divina grazia: Che ti posso dire, figlio mio? Non ho da dirti che questo: guardando in me stesso una visione immateriale, realizzatasi per grazia divina, io sono uscito fuori da me stesso per entrare in un corpo immortale e adesso non sono più quello di prima, ma sono stato generato nell'intelletto. Questo non può essere oggetto di insegnamento, e non è oggetto di quell'elemento materiale mediante il quale noi possiamo vedere; per questo non mi curo della mia forma composta che possedevo prima. Io non ho più colore, né tatto, né misura: tutto questo mi è estraneo. Adesso, figlio mio, tu mi vedi con gli occhi, ma non puoi comprendere che cosa io sono, guardandomi con gli occhi e con la vista del corpo; non con questi occhi puoi vedermi ora, figlio mio:.~.
Con la morte fi9ica, invece, l'uomo, prima, si spoglia del suo corpo, il quaJe ritorna, dissolvendosi, a rimescolarsi con gLi elementi del cosmo. Anche le forze irrazionali dell'anima r1tornano alla natura priva di ragione. Quindi l'anima, salendo attraverso le sfere celesti, si spoglia via via delle facoltà che da esse aveva ricevuto, giunge all'ottavo cielo, che è di puro etere, e qui mantiene solamente le sue potenze pure. Successivamente, si unisce alle Potenze divine e, divenuta essa stessa Potenza divina, da ultimo « entra in Dio» 31 •
"' Corpus Hermeticum, 31 Corpus Hermeticum,
XIII, 3. 1, 26.
www.scribd.com/Baruhk
II. GLI «ORACOLI CALDAICI» E LA LORO IMPORTANZA STORICA
l.
La
genesi
degli
«Oracoli
Caldaici »
Un documento che presenta molte analogie con gli scritti ermetici è costituito dai cosiddetti Oracoli Caldaici (x.ocì..8ocntoc My~oc), un'opera in esametri, di cui ci sono pervenuti numerosi frammènti 1• Infatti, sia nei primi che nei secondi ritroviamo la stessa mescolanza di filosofemi (desunti dal medioplatonismo e dal neopitagorismo) e di rappresentazioni mitiche e fantastiche, un analogo tipo di scomposta religiosità d'ispirazione orientale, caratteristica dell'ultimo paganesimo, una analoga pretesa di comunicare un messaggio «rivelato». Negli Oracoli, anzi, l'irrazionale predomina ancor più che nel
' Gli Oracoli Caldaici sono stati editi da W. Kroll, De Oraculis Chaldaicis, Breslau 1894 (ristampa anastacica, HHdesheim 1962). Una nuova edizione critica, con traduzione francese e commento, è stata di recente curata da :E:. des Places, Oracles Chalda'iques, avec un choix de commentaires anciens, per la collana « Les Beiies Lettres », Paris 1971. Una eccellente interpretazione delia dottrina degli Oracoli si trova in H. Lewy, Chaldaean Oracles and Theurgy, Paris 19783• Suiia teurgia degli Oracoli e sui suoi sviluppi è fondamentale il saggio di E. Dodds, Theurgy and its Relationship to Neoplatonism, in «Journal of Roman Studies», 37 (1947), pp. 55 sgg., stampato anche in appendice a The Greeks and the Irrational, Berkeley and Los Angeles 1951; tradotto anche in italiano da V. Vacca De Bosis, La Nuova Italia, Firenze 1959, pp. 335-369 (citeremo da questa traduzione). La traduzione dei frammenti che riportiamo è di :E:. des Places (alcuni si trovano già in lingua italiana nel recente volume di questo autore Platonismo e tradizione cristiana, a cura di P. A. Carozzi, Celuc Libri, MHano 1976; altri li abbiamo tradotti noi, attenendoci alla versione francese dello stesso des Places, che si trova nell'edizione critica sopra citata).
www.scribd.com/Baruhk
GLI ORACOLI CALDAICI
445
Corpus Hermeticum e la componente speculativa si intorbida e si asservisce a scopi pratico-religiosi fino a perdere qualsiasi autonomia. Tuttavia, data la grande importanza che questi Loghia ebbero, nell'ambito soprattutto del neoplatonismo post-plotiniano, non possiamo !imitarci a dei semplici cenni. Quale è la genesi di quest'opera? Da fonti .antiche pare si possa 11icavare che l'autore sia stato Giuliano soprannomi-nato« i1 Teurgo »,figlio di Giuliano detto «il Caldaico », vissuto all'epoca di Marco AureLio, ossia nel n secolo d.C. In effetti, poiché già nel m secolo d.C. questi Oracoli sono menzionati sia da scrittori cristiani sia da filosofi pagani e poiché, come quasi tutti gli studiosi riconoscono, il loro contenuto è espressione di una mentalità e di un clima spidtuali tipici dell'età degli Antonini, non è impossibile che l'autore sia stato veramente Giuliano il Teurgo, come, ormai, molti studiosi tendono ad ammettere, sia pure con le debite cautele 2 • Questi Oracoli, anziché alla sapienza egiziana (alla quale fanno riferimento gli scritti ermetici), si collegano alla sapienza babilonese. In effetti, l'eliolatri.a caldaica (il culto del sole e del fuoco) gioca .in essi un ruolo fondamentale. Circa la loro effettiva origine il Dodds rileva quanto segue: « Giuliano dichiara di aver ricevuto questi oracoli dagli dèi: erano .&e:o7totpoc8o1'ot. Da dove li abbia davvero ottenuti, non lo sappiamo [ ... ]. Naturalmente, è possibile che Giuliano li .abbia falsificati, ma il loro linguaggio è talmente bizzarro e gonfio, il loro pensiero talmente oscuro ed incoerente, da suggerire piuttosto l'idea dei discorsi pronunciati !in stato di trance dagli "spiriti guida" dei medium moderni, piuttosto che
2 Cfr. i documenti in Lewy, Chaldaean Oracles ... , pp. 3 sgg. Nella sua edizione critica il cles Places preferisce mantenere una posizione di epoché: «A conti fatti, non sembrerebbe temerario ammettere che la raccolta provenga da Giuliano il Teurgo, contemporaneo di Marco Aurelio; ma rimane più sicuro mantenere agli Oracoli l'anonimato» (p. 7).
www.scribd.com/Baruhk
446
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
l'opera meditata di un falsificatore. Anzi non sembra affatto impossibile, alla luce di quanto sappiamo della teurgia posteriore, che essi abbiano avuto origine dalle "rivelazioni" di qualche vi,sionario o di qualche medium estatico e che tutto il compito di Giuliano si sia ridotto a metterlo in versi, come afferma Psello, o la sua fonte Proda. Il che corrisponderebbe alla prassi degli oracoli ufficiali, cosl come noi la conosciamo, e la trasposizione in esametri offrirebbe la possibilità di introdurre nella filastrocca ooa parvenza di significato e di sistema filosofico » 3 • Probabilmente, le « rivelazioni » degli Oracoli erano fatte derivare dalla Dea Ecate, che, nella tarda antichità, era identificata con la Dea della magia e degli incantesimi, e che, a giudicare dai frammenti, doveva avere nell'opera un ruolo molto importante.
2. L e d o t trine Caldaici »
fil oso fiche
d egli
« Or a c o li
Le dottrine filosofiche che negli Oracoli si possono abbastanza agevolmente isolare dalla «sapienza caldaica », come già abbiamo accennato, sono affini a quelle del Corpus Hermeticum, e, in modo patlticolare, sono affini a quella forma di medioplatonismo che aveva assorbito ,le istanze neopitagoriche e che trova la più tipica espressione in Numenio di Apamea. (Anzi, gli Oracoli e Numeriio presentano tangenze di tale rilevanza che alcuni hanno ritenuto di poterle spiegare solo supponendo che questo filosofo non abbia fatto altro che razionalizzare il sistema degli Oracoli, oppure che gli Oracoli abbiano messo in versi idee di Numenio) 4 • ' Dodds, I Greci e l'irrazionale, pp. 337 sg. • Cfr. des Places, Oracles Chaldaiques, p. 11.
www.scribd.com/Baruhk
GLI ORACOLI CALDAICI
447
Al vertice della gerocchia del Divino, gli Oracoli pongono
il Padre, che parrebbe identificarsi con il Primo Intelletto (o Nous patrik6s) e identificano le platoniche Idee con i pensieri di questo Intelletto. Ecco un frammento (che è il più ampio di quelli pervenutici), in cui questa concezione è espressa, con una curiosa mescolanza di pensiero e imma~naziooe: L'Intelletto del Padre diede un ronzio, quando pensò, da un proposito vigoroso, le Idee di ogni forma, e da una sola scaturigine tutte si .slanciarono; poiché dal Padre venivano a un tempo proposito e compimento. Ma separate dal fuoco intelligibile le Idee si ripartirono in altre Idee intelligenti; poiché il Sovrano ha fatto preesistere al mondo multiforme un modello intelligente imperituro, di cui il mondo si è affrettato a seguire la traccia nel suo disordine ed è apparso con la sua forma, cesellato dalle Idee di ogni specie; la scaturigine è unica, da cui altre Idee zampillano ronzando, ripartite, inaccessibili, infrangendosi sui corpi cosmici; simili a sciami, si portano intorno a un seno tremendo, rifulgendo da ogni lato e assai da vicino, in tutti i modi, pensieri intelligenti che predano in abbondanza, alla fonte paterna, il fiore del fuoco, nel punto più alto del tempo senza riposo. Queste Idee primordiali, è la fonte originale del Padre, perfetta in se stessa, che le ha fatte zampillare 5 • È da notare che alcuni studiosi manifestano qualche perplessità circa la coincidenza del Padre con l'Intelletto paterno e pensano che possa trattarsi di due differenti ipostasi, o, comunque, che il secondo sia da concepirsi come subordinato al primo. In realtà, l'inizio e la fine del frammento letto mostrano che si tratta di una medesima realtà e un altro frammento dice chiaramente che l'Intelletto paterno è «nato da se stesso» (<XÙ-royÉve&Àoc;) 6 • Ci troviamo, dunque, di fronte alle stesse posizioni tipiche dei Medioplatonici, in un certo senso addirittura accentuate, come vedremo. Ancora come nei Medioplatonioi, non è l'Intelletto primo l'artefice del mondo, ma un secondo Intelletto, che deriva • des Places, Oracles Chalda"iques, fr. 37, pp. 75 sg. • Cfr. des Places, Oracles Chalda"iques, fr. 39, p. 77.
www.scribd.com/Baruhk
448
LA RISCOPERTA DELL'ENCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
dal primo. Ecco due frammenti espliciti su questo punto: Non è con una- azione diretta, ma grazie a un Intelletto che il Fuoco primo e trascendente include la sua Potenza nella materia, infatti è un Intelletto, nato dall'Intelletto [sci!.: primo], l'artigiano del mondo igneo 7 • Il Padre ha creato secondo perfezione tutte le cose e le ha affidate al secondo Intelletto, che voi chiamate «il primo», voi tutti che siete stirpe dell'uomo 8• Quest'ultimo frammento richiama quasi alla lettera un parallelo frammento di Numenio, cosi come la caratterizzazione del secondo Intelletto come« Diade», ossia come avente carattere diadico, in quanto detentore della doppia funzione di «contenere gli intelligibili » e «di introdurre la sensazione nd mondo», ha, ancora una volta, il corrispettivo in Numenio 9 • Terza, nell'ordine gerarchico, viene l'Anima, con la quale, probabUmente, viene identificata la Dea Ecate: Dopo i Pensieri del Padre, prendo posto, io, l'anima, che col mio calore animo tutte le cose 10 • In questo sistema trovano posto, naturalmente, oltre gli Dei, anche i Demoni; le stesse anime umane, considerate di origine divina, sono capaci di ritornare, quando si siano perfettamente purificate, al Dio supremo. È da notare che, nella loro discesa attraverso i cieli, le anime si civestono come di sottili tuniche materiali, che costituiscono come una sorta di materia pneumatica o di « veicolo » ( ~>x:lJ!J.oc), prima ancora di ' des Places, Oracles Chaldaiques, fr. 5, p. 67. des Places, Oracles Chaldaiques, fr. 7, p. 68. • Cfr. des Places, Oracles Chaldaiques, fr. 8, p. 68; per i paralleli con Numenio, dr., sopra, pp. 410-426. 10 des Places, Oracles Chaldalques, fr. 53, p. 80. Per il problema dell'identificazione di Ecate con l'Anima ipostasi e del ruolo di Ecate, cfr. des Places, Oracles Chaldaiques, p. 13 e relative note; cfr. anche p. 133. 1
www.scribd.com/Baruhk
GLI ORACOLI CALDAICI
449
cadere nei corpi materiali. È questa una credenza di origine orientale, che anche i Neoplatonici, già a partire da Porfirio, non esiteranno a fare propria 11 • Merita, inoltre, una speciale menzione un frammento che dice testualmente: [Il Padre] è tutte le cose, ma intelligibilmente 12• Questa precisa affermazione, così come quella analoga che abbiamo già segnalato parlando di Numenio 13 , anticipa un principio che diventerà uno dei cardini del neoplatonismo. Le dottrine degli Oracoli fino a questo punto esaminate ci sono ormai bene note. Ma, accanto a queste, ne ritroviamo altre, di estrazione neopitagorica, facenti capo all'idea di « triade », che costituiscono delle novità destinate ad avere, adeguatamente sviluppate, una notevole fortuna. Purtroppo i frammenti pervenutici in materia sono assai oscuri, soprattutto a motivo della loro brevità (mentre gli autori antichi che li riportano e li commentano vanno molto oltre gli originali). Dopo aver qualificato il Padre, ossia il Dio supremo, oltre che come« Bene», anche come Monade, e precisamente come « Monade paterna», e dopo aver quaLificato il secondo Dio o secondo Intelletto come «Diade» (nel senso sopra spiegato), l'autore degli Oracoli precisa che il Dio supremo è una « Monade triadica », ossia che è uno e trino: Infatti, vedendoti Monade triadica, il mondo ti ha riverita 14 • È Monade, ossia Uno, come realtà, ed è Triade, ossia trino, per le sue facoltà, in quanto è Padre, Potenza e Intelletto. " Per la documentazione cfr. cles Places, Oracles Chaldarques, pp. 14 sg. cles Places, Oracles Chaldarques, fr. 21, p. 71. " Cfr., sopra, p. 426. •• cles Places, Oracles Chaldarques, fr. 26, p. 72. 12
www.scribd.com/Baruhk
450
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Ma poi egli sembra estendere lo schema della concezione triadica anche al secondo Intelletto: Da questi due primi [scil.: la Monade paterna e la Diade] deriva il legame della Prima triade, che, in verità, non è prima, ma in cui gli intelligibili sono misurati 15 • È inoltre da notare che il nostro autore sembra applicare lo schema triadico anche alla sfera degli intelligibili, ossia delle Idee. Infatti egli dice, da un lato, che il Padre dà al secondo Intelletto gli intelligibili (ossia le Idee) da lui prodotte 16 , e, dall'altro, afferma espressamente:
Infatti l'Intelletto del Padre ha detto che tutte le cose fossero divise in tre [ ... ] 17 •
Di conseguenza, l'organizzazione triadka sembra riflettersi su tutta quanta la realtà: Una Triade contiene tutte le cose e tutte le misura 18 • Infatti in tutto quanto il cosmo risplende una Triade, che una Monade comanda 19 •
Il significato di queste dottrine ci sembra ben chiarito, in maniera riassuntiva, dall'Hadot (sulla scorta del Lewy), come segue: «Sembra veramente che gli Oracoli abbiano fornito la materia prima di questa organizzazione triadica [ scil.: che è propria dei Neoplatoniei]. In effetti, essi comportavano molti elementi neopitagorici e, .in particolare~ essi ponevano al vertice delle cose una monade, una diade e una tdade, le quali comportavano, ciascuna, un aspetto tri.adico. La monade prima era il Padre medesimo, e questa monade era triadica, des Places, Oracles Chaldazques, fr. 31, p. 73. Cfr. des Places, Oracles Chalda'iques, fr. 7, p. 68. 17 des Places, Oracles Chaldazques, fr. 22, p. 71. " des Places, Oracles Chalda'iques, fr. 23, p. 72. 19 des Places, Oracles Chalda'iques, fr. 27, p. 73. 15
16
www.scribd.com/Baruhk
GLI ORACOLI CALDAICI
451
perché possedeva in sé la Potenza e l'Intelletto. La diade corrispondeva ad un secondo Intelletto, differente dall'Intelletto del Padre: esso era diadico nella misura in cui era rivolto, ad un tempo, verso l'intelligibile e verso il sensibile, ma era anche triadico, nella misura in cui conteneva già in sé la triade. La triade stessa era poi altresì il numero interiore alJe Idee prodotte dall'Intelletto [supremo]» 20 • È evidente che la conoscenza del Divino così concepito e in partkolar modo del Dio supremo, ossia della Monade triadica, dovesse essere considerata come irraggiungibile con i metodi propri della filosofia tradizionale, che miravano a definire la natura e l'essenza di Dio. Conoscere Dio in questo modo, ossia de-finirlo, significherebbe de-terminarlo, mentre Dio sfugge a qualsiasi de-terminazione. Dio, secondo gli Oracoli (così come abbiamo veduto anche nel Corpus Hermeticum ), è, ·1nvece, raggiungibile attraverso una sorta di unione sovrarazionale, che si ottiene facendo il vuoto dentro di noi, vale a dire svuotando l'anima e l'intelletto dei contenuti e dei pensieri legati al sensibile e al finito. Interessante è, a questo riguardo, :hl seguente fmmmento: Esiste un certo Intelligibile [scil.: il Dio supremo] che devi concepire col fiore dell'intelletto (v6ou &v&oc;); poiché se dirigi verso di lui il tuo intelletto e cerchi di concepirlo come se concepissi un oggetto determinato, tu non lo concepirai; poiché egli è la forza di una spada luminosa che brilla di tagli intellettivi. Non bisogna dunque concepire questo Intelligibile con veemenza, ma grazie alla fiamma sottile di un sottile intelletto, che misura ogni cosa eccetto questo Intelligibile; e non bisogna concepirlo con intensità, ma, portandovi il puro sguardo dalla tua anima distolta (dal sensibile}, tendere verso l'Intelligibile un intelletto vuoto (di pensiero}, per imparare a conoscere l'Intelligibile, dal momento che sussiste fuori (delle apprensioni} dell'intelletto (umano} 21 •
20 P. Hadot, Porphyre et Victorinus, 2 voli., Paris 1968; il passo riportato è nel volume I, p. 261 (cfr. ibid., nelle note, la documentazione). 21 des Places, Oracles Chaldazques, fr. l, p. 66.
www.scribd.com/Baruhk
452
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
Questo «fiore dell'intelletto» è, in sostanza, la facoltà soprarazionale dell'anima di congiungersi e assimilarsi a Dio, quella che i tardi Neoplatonici considereranno la capacità estatica di unirsi alJ'Uno e, con tutte le debite differenze, quella che i mistici medievali chiameranno apex mentis. E il «fiore dell',intelletto » presuppone appunto lo svuotamento dell'anima e dell'intelletto di cui abbiamo detto, cioè il totale «silenzio», perché, dicono gli Oracoli, del Silenzio «Dio si nutre». Ma, mentre nei Neoplatonici 1a concezione di questa facoltà soprarazionale viene filosoficamente affinata e nei mistici cristiani viene trasposta sul piano della dottrina della Grazia, negli Oracoli Caldaici resta fondamentalmente condizionata da una mentalità magica, come vedremo. Damascio, che ci ha conservato il frammento sopra letto, per illustrare il medesimo riporta anche quest'altro: Forte da capo a piedi di una luce fulgida, armato, intelletto e anima, della spada a tre punte [altri traducono: di una triplice forza], getta nel tuo spirito ogni simbolo della triade e non frequentare canali di fuoco disperdendoti, ma concentrandoti 22 •
E qui, evidentemente, entriamo nella sfera di quella «sapienza teurgica », di cui dobbiamo ora parlare.
3.
La sapienza magica « Oracoli Caldaici »
e
la
teurgia
degli
Quel Giuliano che, come abbiamo visto, può essere verosimilmente considerato autore degli Oracoli Caldaici, è anche il primo che è stato denominato (o che si è fatto denominare) « teurgo ». Il « teurgo » differisce essenzialmente dal «teologo», giacché mentre questo, come è stato da tempo 22
cles Places, Oracles Cbalda"iques, fr. 2, pp. 66 sg.
www.scribd.com/Baruhk
GLI ORACOLI CALDAICI
453
notato, si limita a parlare intorno agli Dei, quello, invece, evoca gli Dei e agisce su di essi. Ma che cos'è, esattamente, la « teurgia »? Essa è la «sapienza» e l'« arte» della magia utilizzata per finalità mistico-religiose. Appunto queste finalità costituiscono la nota caratteristica che distingue ta teurgia dalla comune magia. Come abbiamo già veduto, Giuliano la considerava frutto di divina rivelazione. Il Dodds ha precisato molto bene che « mentre la magia volgare fa uso di nomi e formule di origine religiosa per fì·ni profani, la teurgia adopera i procedimenti della magia volgare anzitutto per fini religiosi» 23 • E questi fini sono, come sappiamo, la liberazione dell'anima dal corporeo e dalla fatalità ad esso connessa e il congiungimento al divino. Il Dodds ha anche cercato di mostrare come, probabilmente, i procedimenti della teurgia si distinguessero (analogamente a quelli della magia comune) in due tipi: a) quelli dipendenti semplicemente dall'uso di« simboli» (di cui subito diremo) e b) quelli che, per dirla con linguaggio moderno, fanno uso di una forma di trance medianica. a) I procedimenti del primo tipo· costituivano probabilmente quella che era chiamata telestiké, la quale era la pr·atica che si occupava « spedalmente di consacrare (-re:Àe:i:v •.. ) ed animare statue magiche per attenerne or'
23
www.scribd.com/Baruhk
454
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
fabbricare statue magiche si accompagnavano, inoltre, anche invocazioni orali, in cui si pronunciavano nomi ed epiteti divini (alcuni dei quali si l'iteneva dovessero essere mantenuti in lingua barbara, giacché si affermava che, tradotti in greco, perdevano la loro divina efficacia). L'arte di fabbricare queste immagini magiche si diffuse largamente nel tardo paganesimo e fu addirittura difesa dagli ultimi Neoplatonici come un'arte di onorare le potenze superiori. h) Il secondo modo di operare della teurgia è spiegato, sempre dal Dodds, nel modo seguente: «Mentre la telestiké cercava di 1nserire la presenza di una divinità in un "ricettacolo" (tmoSo:x,~) inanimato, un altro ramo della teurgia mirava ad incarnare temporaneamente ( e:taxplvm ) la divinità in un essere umano (xocTox_oc; o, con term1ne tecnico più specifico, So:x,euc;). Come la prima arte era basata sul concetto più ampio di una simpatia (au!L7toc&r::Loc) naturale e spontanea fra J'imma- . gine e l'originale, cosl la seconda si fondava su11a credenza molto diffusa che le alterazioni spontanee della personalità fossero dovute a possessione da parte di una divinità, un demone o anche una persona defunta». In particolare, è da notare come l'ingresso dd una Divinità in una persona, che avveniva neUa pratica teurgica, differiva da quello degli oracoli ufficiali per il fatto che « si riteneva che la divinità penetrasse nel corpo del medium, non per uno spontaneo atto di grazia, ma rispondendo ·alla chiamata dell'operatore ( xÀ~Twp) o addirittura subendo la sua costrizione » 25 • Nei frammenti pervenutici degli Oracoli indubbiamente dovevano essere presenti ambedue questi rami della teurgia, come molti spunti e l'uso di termini tecnici lasciano intendere, ma non possiamo sapere fìno a che punto fossero ·sviluppati. In questa sede non ci interessa discutere i vari problemi connessi a queste tecniche, ci interessa, invece, ribadire un 25
Dodds, I Greci e l'irrazionale, pp. 360-362 (si vedano, ivi, i documenti).
www.scribd.com/Baruhk
GLI ORACOLI CALDAICI
455
punto molto importante. Queste pratiche teurgiche sono presentate non solo come finalizzate alla purificazione dell'anima e all'unione col divino, ma sono altresì inquadrate nello schema filosofico di cui abbiamo sopra detto e presentate come strumento necessario da usare insieme alla facoltà più alta che è in noi, ossia insieme a quel «fiore dell'intelletto», che, da solo, non sembra bastare. L'autore degli Oracoli impone infatti, per liberare l'anima, di «congiungere l'azione [ teurgica] allogos sacro » 26 • E Michele PseUo (che conosceva molto bene gli Oracoli) ci spiega che H « logos sacro» o «pensiero sacro» corrisponde appunto al «fiore dell'intelletto», e che di per sé questo è incapace a portarci fino a cogliere il divino, e che, secondo l'autore degli Oracoli, la pratica del rito teurgico è indispensabile. Psello fa poi un paragone molto interessante fra la dottrina cristiana di Gregorio Nazianzeno, quella puramente filosofica di Platone e quella degli Oracoli, scrivendo testualmente: Il nostro teologo Gregorio fa salire, egli pure, l'anima verso il divino mediante la ragione e la contemplazione: mediante la ragione, in quanto essa è in noi ciò che vi è di più intellettivo e migliore; mediante la contemplazione, per l'illuminazione che è al di sopra di noi. Platone, dal canto suo, ci fa cogliere con la ragione e l'intuizione l'essenza intelligibile. Invece il Caldeo dice che noi non possiamo salire verso Dio se non fortificando il veicolo dell'anima mediante riti materiali. Egli ritiene infatti che l'anima sia purificata da pietre, da erbe, e da incantesimi e che cosl si muova facilmente per la sua ascesa 77 • ·
Questi Oracoli Caldaici possono suscitare nel lettore moderno una serie di dubbi di vario genere circa il loro valore; tuttavia essi costituiscono un documento di importanza storica notevolissima, in quanto sia per lo schema triadico che Cfr. des Places, Oracles Chalda"iques, fr. 110, p. 94. M. Psello, Commentario degli Oracoli Caldaici, in « Patrologia Graeca», cxxn, 1132a, riportato in cles Places, Oracles Chalda'iques, p. 169. 26
71
www.scribd.com/Baruhk
456
LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA
introducono nella concezione della realtà sia, più ancora, per la « sapienza» teurgica «rivelata» che tentano di congiungere alla « speculazione » filosofica, costituiranno un punto di riferimento obbligato per i tardi Neoplatonici. I Loghia verranno giudicati importanti addirittura quanto i dialoghi platonici. Possi,amo, anzi, senz'a:ltro dire che, qualora si trascurassero questi Oracoli, si resterebbe privi di uno dei parametri essenziali per caratterizzare le varie scuole e correnti del neoplatonismo, che, come vedremo, si distinguono a seconda che non accettino la teurgia, puntando sull'aspetto razionale tipico della speculazione greca (Plotino e la sua scuola), oppure che la accettino, o cercando di trovare una più organica fusione con le istanze della speculazione greca del passato (Giamblico e alcuni suoi discepoli, nonché tutti gli esponenti della scuola di Atene), ovvero privi,legiando la teurgia a totale scapito della componente razionale (come la scuola di Pergamo e Giuliano l'Apostata).
www.scribd.com/Baruhk
PARTE TERZA
PLOTINO E IL NEOPLATONISMO PAGANO
« [ ... ] 'ij crnou3~ oux 1~6) ci.JLOf:pTlotç clvatL, clllcl &&Òv e:!VIXL ». « [ ... ] L'anelito dell'uomo non dovrebbe limitarsi ad essere fuori colpa, ma ad essere Dio».
Plotino, Enneadi, r, 2, 6
www.scribd.com/Baruhk
www.scribd.com/Baruhk
SEZIONE PRIMA
LA GENESI DEL NEOPLATONISMO: DALLA SCUOLA DI AMMONIO AD ALESSANDRIA ALLA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
«Kcxl oihoç &ewv xcxl t!v&pwnCJlv &e!Colv xcxl cù3cxLIL6v6lV (j!oç, t!ncxÀÀcxylj
www.scribd.com/Baruhk
www.scribd.com/Baruhk
I. AMMONIO SACCA E LA SUA SCUOLA AD ALESSANDRIA
l. L'enigma di Ammonio Sacca
Se con Numenio giungiamo alle soglie del neoplatonismo, con Ammonio Sacca - vissuto a cavaliere fra il n e il III secolo d.C. 1 - varchiamo sicuramente queste soglie. In altri termini, Ammonio non è più solo un precursore, ma è l'iniziatore del neoplatonismo. Purtroppo, però, Ammonio, come Socrate, non scrisse nulla, e ciò che le nostre fonti più antiche ci dicono d1 lui, se ci permette di affermare questo con sicurezza, non ci permette di accertare a quale grado di sviluppo egli portò la dottrina neoplatonica. Esaminiamo i documenti più importanti concernenti il nostro filosofo. Intanto, non sappiamo con certezza perché Ammonio si chiamasse «Sacca». L'interpretazione «portatore di sacchi», riferita per la prima volta dal vescovo Teodoreto (Ammonio avrebbe esercitato l'umile mestiere di portatore di sacchi prima di dedicarsi alla filosofia), non è sicurissima 2 • Ma anche certe moderne ipotesi sembrano poco plausibili. Qualcuno, ·infatti, ritiene che Sacca indicasse l'appartenenza di Ammonio
1 Teodoreto (Gr. alfect. cur., VI, 96) precisa che Ammonio fiorl sotto il regno di Commodo (180-192 d.C.). 2 Cfr. Teodoreto, nel luogo citato alla precedente nota, e Ammiano Marcellino, XXII, 528.
www.scribd.com/Baruhk
462
IL NEOPLATONISMO
alla stirpe indiana dei Saker, oppure che il nostro filosofo fosse un Sakka-Muni, 'un monaco buddista 3 • Da Porfirio sappiamo invece che Ammonio nacque e fu educato in una famiglia cristiana e che, allorché si diede alla pratica della filosofia, tornò ad abbracciare la religione pagana 4 • Eusebio contesta questa notizia, accusando Porfirio di aver detto il falso e adducendo come prova lo scritto di Ammonio dal titolo Delle concordanze fra Mosè e Gesù 5 • Ma Ammonio non scrisse nulla, ed Eusebio è stato vittima di uno scambio di persona dovuto, oltre che all'omonimia, altresì al fatto che Origene Cristiano, che fu uno dei discepoli di Ammonio Sacca, fu, forse, anche discepolo dell'Ammonio Cristiano. Del resto, anche il pensiero di Platino, che, come vedremo, è legato strettamente a quello del maestro, spinge ad escludere che Ammonio sia stato cristiano fino alla fine della sua vita. Sono quindi indubbiamente fuori strada gli studiosi che accreditano la tesi di Eusebio (senza contare, naturalmente, l'ipotesi veramente romanzesca di chi ha creduto di vedere in Ammonio nientemeno che l'autore degli scritti attribuiti allo Pseudo-Dionigi) 6 • Ammonio non appartenne alle celebrità conclamate del suo tempo. Egli, cioè, non dovette mirare né agLi onori, né alla fama, né al numero dei discepoli, ma dovette vivere una vita schiva e ritirata dal clamore del mondo e coltivare la filosofia, intesa non solo come esercizio di intelligenza, ma anche e specialmente come esercizio di vita e come ascesi 3 Cfr., ad esempio, E. Seeberg, Ammonius Sakkas, in « Zeitschrift fiir Kirchengeschichte », 61 (1941), pp. 136-170. • Cfr. Porfirio, presso Eusebio, Hist. eccles., VI, 19, 7. • Cfr. Eusebio, Hist. eccles., VI, 19, 7 sg. • Cfr. H. Langerbeck, The Philosophy of Ammonius Saccas and the Connection of Aristotelian and Christian Elements thereiw, in « Journal of Hellenic Studies », 77 (1957), pp. 67-74. L'ipotesi che sia Ammonio l'autore degli scritti attribuiti allo Pseudo-Dionigi è di E. Elorduy, Es Ammonio Sakkas el Seudo-Areopagita?, in « Estudios Eclesiasticos », 18 (1944), pp. 501-557, e in molti altri articoli e saggi.
www.scribd.com/Baruhk
AMMONIO SACCA E LA SUA SCUOLA AD ALESSANDRIA
463
spirituale, insieme a pochi discepoli, a lui profondamente legati. Il seguente passo di Porfìrio, tratto dalla Vita di Plotino, è particolarmente eloquente: A ventott'anni [Plotino] si diede tutto alla filosofia: presentato alle celebrità alessandrine del tempo, usciva dalla loro lezione, sconfortato e mesto, sl che sfogò il suo stato d'animo con un amico; il quale intuì la brama della sua anima e lo condusse da Ammonio che non aveva sperimentato ancora. Plotino entrò e udì la lezione; e disse poi all'amico: «Questo è l'uomo che cercavo!». Da quel giorno, fu costante discepolo di Ammonio e s'approfondi talmente in filosofia da mirare ad una diretta esperienza sia della filosofia praticata tra i Persiani, sia di quella dominante tra gli Indiani 7 • E non meno eloquenti sono gli undici anni che Platino trascorse alla scuola di Ammonio 8 • È lecito concludere, dunque, che Ammonio dovette essere un uomo di statura eccezionale, non solo per quanto concerne la personalità spirituale, ma altresl per quanto concerne la dottrina vera e propria, se un uomo del calibro di Platino, che si era subito stancato delle celebrità di allora, continuò ad ascoltare la parola di Ammonio per tutti quegli anni. Del resto, che il debito di Platino verso Ammonio sia considerevole, per quanto concerne il metodo e per quanto concerne i contenuti, ce lo conferma ancora Porfirio: [ ... ] Egli [ Plotino] era personalissimo e nuovo nella sua visione delle dottrine altrui: e, del resto, nel metodo di ricerca, si atteneva allo spirito di Ammonio. [ ... ] Capitò un giorno alla riunione Origene [ = Origene Pagano, condiscepolo di Platino alla scuola di Ammonio] ; Plotino si fece di bragia e fu n n per levarsi in piedi; ma pregato da Origene a che parlasse, egli si schermi dicendo: «Quando l'oratore sa di parlare a persone che conoscon già quello ch'egli vorrà dire; ogni ardore cade». E cosi, dopo una breve conversazione, si levò per andarsene 9 • 7 Porfirio, Vita di Platino, 3. • Cfr. Porfìrio, Vita di Platino, 3. • Porfirio, Vita di Platino, 14.
www.scribd.com/Baruhk
464
IL
NEOPLATON1S~O
Ammonio, come abbiamo già detto, non volle scrivere nulla, riservando alla· viva parola e al legame spirituale che nasce dall'intimo consenso fra maestro e discepolo la comunicazione del suo messaggio. Di conseguenza, i tre discepoli più dotati, Platino, Origene (da non confondere, come meglio preciseremo sotto, con Origene Cristiano) ed Erennio, per rispetto alla pecuLiare impostazione data dal maestro al proprio insegnamento, strinsero un preciso patto di non divulgare le dottrine che avevano desunto dalle lezioni. Ma, dopo qualche tempo, Erennio per primo ruppe il patto; Origene ne segul ben presto l'esempio, pubblicando due opere; Platino, invece, continuò a lungo a seguire l'esempio di Ammonio, anche dopo aver fondato una propria scuola a Roma, e solo dopo dieci anni ini2liò a fiss·are alcuni argomenti per iscritto 10 • Ma di Erennio è· andato perduto tutto; di Origene conosciamo solo il titolo delle opere 11 , cosicché ci restano solamente le Enneadi plotiniane, come frutto spirituale diretto della scuola di Ammonio. Ma da queste non si può desumere certamente la originaria dottrina di Ammonio. Sarebbe come se ci fossero giunti d. soli scritti di Platone e da essi pretendessimo di risalire all'originario pensiero di Socrate. Ancor più problematico risulta il tentativo di desumere da Origene Cristiano elementi validi per la ricostruzione della filosofia di Ammonio 12 • Il pensiero di Ammonio è allora destinato a restare, per noi, solo un enigma? 13 •
° Cfr.
Porfìrio, Vita di Plotino, 3. Cfr., più avanti, pp. 469 sg. " Si veda l'eruditissimo studio di W. Theiler, Ammonios der Lehrer des Origenes, nella raccolta di saggi di questo stesso autore dal titolo Forschungen zum Neuplatonismus, Berlin 1966, pp. 145, che, però, non raggiunge una sufficiente chiarezza nella dimostra2ione della tesi. 13 Si veda anche l'interessante saggio di H. Dorrie, Ammonios, der Lehrer Plotins, in « Hermes », 83 (1955), pp. 439478, che interpreta invece Ammonio in chiave pitagoreggiante. 1
11
www.scribd.com/Baruhk
~ONIO
SACCA E LA SUA SCUOLA AD ALESSANDRIA
465
2. Le testimonianze di lerocle e di Nemesio sul pensiero di Ammonio
Per la verità, l'antichità ci ha tramandato testimonianze sul pensiero di Ammonio, le quali, però, risalgono al v secolo d.C. Esse ci sono state conservate dal neoplatonico !erode di Alessandria e da Nemesio vescovo di Emesa 14 • Molti studiosi non sono quindi disposti ad accettarle come degne di fede, dato che non si riesce a comprendere come questi autori possano essere stati in possesso di notizie che gli altri Neoplatonici ignorano. Ma è evidente che non si può escludere in maniera categorica che alcuni appunti stesi da qualche uditore di Ammonio, pur senza essere stati pubblicati, possano essere pervenuti nelle mani di !erode e di Nemesio. In ogni caso, pur lasciando impregiudicata la questione della fondatezza di queste fonti, che sulla base degli studi finora condotti non è risolvibile in maniera precisa, riteniamo opportuno enucleare le principali dottrine che esse attribuiscono ad Ammonio 15 • Innanzitutto, Ammonio viene presentato come il filosofo che, per primo, ponendosi al di sopra delle dispute e delle polemiche delle opposte scuole, seppe conciliare Platone ed Aristotele e seppe tramandare ai suoi discepoli, soprattutto a Plotino e ad Origene, la filosofia liberata dallo spirito
,. Cfr. lerocle, presso Fozio, Biblioth., codd. 214 e 251; Nemesio, De nat. hom., capitoli 2 e 3. Secondo alcuni parla del nostro Ammonio anche Prisciano Lido, Solut. ad Chosroen, che si potranno vedere nel « Supplementum Aristotelicum » ai « Commentarla in Aristotelem Graeca », I, 2, p. 42, 15 sgg. 15 Su queste fonti si vedano: H. von Arnim, Quelle der Oberlieferung uber Ammonius Sakkas, in « Rheinisches Museum », 42 (1887), pp. 276285 e E. Zeller, Ammonius Sakkas und Plotinus, in « Archiv fiir Geschichte der Philosophie », 7 (1894), pp. 295-312. Una eccellente ricostruzione del pensiero di Ammonio sulla base di queste fonti è stata fatta da F. Heinemann, Ammonios Sakkas und der Ursprung des Neuplatonismus, in « Hermes », 61 (1926), pp. 1-27, anche se pecca di eccessi, finendo col trarre più di quanto esse non dioano.
www.scribd.com/Baruhk
466
IL NEOPLATONISMO
polemico. Ammonio operò questa pacificazione « per ispirazione di Dio », ossia « perché istruito da Dio » ( &e:o8(8otx't'o~ ), e « per divino trasporto a ciò che vi è di vero nella filosofia » 16 • Tut.to questo può trovare conferma in ciò che da Porfirio sappiamo, e dooque è pienamente degno di fede. Molto impegnative sono, poi, le tesi metafisiche ammoniane che si ricavano da Ierocle. Il nostro filosofo avrebbe prospettato la derivazione di tutta la reahà da Dio, interpretando la dottrina platonica in senso creazionistico. Ecco il passo più significativo: Platone [ ... ] fa preesistere un Dio artefice, che regge l'intero assetto dell'universo visibile e invisibile, non generato da alcun sostrato preesistente. Basta, infatti, la Sua Volontà a produrre la sussistenza delle cose. Congiungendo la natura fisica alla realtà incorporea, produsse un cosmo perfettissimo, duplice [ = sensibile e soprasensibile] e insieme uno 17• In questo cosmo vengono distinti tre piani: l) quello delle realtà supreme, ossia: Dio creatore, «le realtà celesti» e gli « Dei »; 2) quello delle realtà intermedie, costituite dalle nature eteree (aeree) e dai Demoni buoni, che sono interpreti e messaggeri (angeli) per gli uomJrii; 3) quello delle realtà 1nfime, ossia le anime umane e gli uomini, nonché gli animali terrestri. Inoltre si precisa quanto segue: Le realtà che stanno al di sopra governano quelle che stanno al di sotto, e su tutte regna il Dio che le ha prodotte e che è padre. E questo suo dominio .e potestà patema è provvidenza, che stabilisce ciò che conviene a ciascun genere. La giustizia che a questa consegue si chiama fato 18 •
Altrettanto impegnative sono le tesi che Nemesio attribuisce ad Ammonio, e non tanto la dimostrazione dell'incor16 Cfr. Ierocle, presso Fozio, Biblioth., cod. 251, 461 a 24 sgg. e cod. 214, p. 17211 9 sgg. 17 Fozio, Biblioth., cod. 251, p. 461 b 6 sgg. 11 Fozio, Biblioth., cod. 251, p. 461 b 17 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
AMMONIO SACCA E LA SUA SCUOLA AD ALESSANDRIA
467
poreità dell'anima, in cui il nostro filosofo è associato a Numenio e risulta sostenere tesi ormai acquisite, quanto la interpretazione dei rapporti anima-corpo, incorporeo-corporeo, che costituisce, invece, una novità: Ammonio, maestro di Plotino, diceva che le realtà intelligibili hanno una natura siffatta da potersi unificare con le cose che sono capaci di accoglierle, come le cose che sono soggette a corruzione, ma che, pur essendo ad esse unite, rimangono pure e inco"uttibili, come sussistenti accanto ad esse senza perdere la propria natura. Infatti, nei corpi l'unione produce la completa trasformazione delle cose che si unificano, giacché avviene una trasformazione in altri corpi: così gli elementi si trasformano nei composti, il nutrimento in sangue, il sangue in carne e nelle altre parti del corpo. Invece, nel caso delle realtà intelligibili, l'unione ha luogo senza che ne consegua una trasformazione. Infatti, per sua natura, l'intelligibile non può mutare essenza, ma o sussiste, oppure va nel non essere; invece l'intelligibile né ammette mutamento, né va nel nulla. Altrimenti non sarebbe incorruttibile, e l'anima, che è vita, se mutasse nel mescolarsi al corpo, diverrebbe altro e non sarebbe più vita. E che cosa mai essa apporterebbe al corpo, se non la vita? Dunque, l'anima nel corpo non si trasforma 19 • L'anima, appunto in quanto incorporea, prosegue Nemesio, secondo Ammonio non è nel corpo, quasi fosse in un recipiente, e, più in generale, non è nel corpo come in un luogo, ma ha un rapporto antologico di natura totalmente diversa rispetto a quella propria dei corpi. L'anill'\3 è nel corpo nello stesso senso in cui si dice che «Dio è in noi», ossia come il principio è nel principiato, nel senso, cioè, che iJ principio produce e regge il principiato. Perciò, non si deve dire «l'anima è qui»; bensì «l'anima agisce qui». Nel corpo c'è l'attività dell'anima come principio che lo vivifica e regge 20 • Se queste testimonianze fossero degne di fede, allora noi potremmo stabilire quanto segue.
" Nemesio, De nat. hom., cap. 3, pp. 129 sgg. Matthal:i. "'Nemesio, De nat. hom., cap. 3, pp. 133 sgg. Matthaci.
www.scribd.com/Baruhk
468
IL
NEOPLATONIS~O
La novità di Ammonio consisterebbe soprattutto, rispetto al medioplatonismo, nel tentativo di unificare i differenti piani dell'essere (il cosmo è duplice e nello stesso tempo uno, ogni piano della gerarchia del reale è causa di quello seguente e un primo principio è causa di tutto) e addirittura di eliminare il presupposto della materia eterna. Rispetto al neopitagorismo la novità consisterebbe nell'aver inteso il processo di deriva:done di tutta la realtà come creazione, determinando in tal modo in senso preciso quella derivazione di tutte le cose dall'Uno, che i Neopitagorici lasciavano nel vago. Naturalmente, si può pensare che Nemesio abbia colorato di tinte cristiane Ammonio. Ma che Ammonio non solo potesse, ma dovesse conoscere la dottrina della creazione è fuori dubbio, dato che nacque e fu educato in una famiglia cristiana e dato che in Alessandria già con Filone la dottrina aveva avuto larga risonanza. D'altra parte, come è stato notato da qualcuno, l'Ammonio di Nemesio è chiaramente greco e pagano, in quanto professa il politeismo in modo inequivoco 21 • Dunque, la dottrina attribuita ad Ammonio è del tutto plausibile in bocca ad un uomo nato ed educato come cristiano e successivamente divenuto pagano. Inoltre, la concezione dei rapporti fra l'anima ed il corpo, ossia f.ra l'incorporeo e il corporeo, rivela anche il guadagno di alcuni dei principi che troveremo alla base della concezione delle Enneadi e di cui ampiamente diremo. In generale, poi, la dottrina dell'intima unione (henosis) fra incorporeo e corporeo, fra Dio e cosmo, costituirebbe una base solida per una nuova concezione dell'uomo e del suo telos, nel senso crk l'unificazione dell'uomo col divino non sarebbe altro che il momento etico-religioso della generale legge che governa l'intera realtà. E cosl anche l'impostazione profondamente religiosa della speculazione di Ammonio risulterebbe perfettamente fondata. 21
Cfr. Heinemann, Ammonios ... , pp. 21 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
AMMONIO SACCA E LA SUA SCUOLA AD ALESSANDRIA
469
Se cosl fosse, però, i rapporti fra la. tarda filosofia pagana e il pensiero ebraico-cristiano dovrebbero venire ridimensionati, giacché la piattaforma sulla quale poggia l'ultimo grande sistema filosofico dei Greci, che unifica in una potente sintesi .la totalità del reale, facendo derivare dal principio primo tutte le ipostasi e lo stesso sostrato materiale e legando l'incorporeo al corporeo in funzione del concetto dinamico di « attività'» e di « azione », sarebbe sorto in Ammonio per sollecitazione del biblico concetto di creazione, e, poi, in Plotino sarebbe stato più solidamente imbrigliato e sistemato in categorie squisitamente greche facenti capo alla teoria della «'processione », che tuttavia verrebbe ad acquistare un senso pieno solo in questa ottica. In ogni caso, le fonti di cui abbiamo detto non attribuiscono ad Ammonio né la dottrina dell'Uno, né la complessa, grandiosa, teoria del Nous come sintesi di Essere e di Pensiero, che troveremo in Plotino.
3. I discepoli di Ammonio
Dei discepoli di Ammonio abbiamo già in pa·rte detto. Del pensiero di Erennio, il primo che ruppe il patto di tenere segrete le dottrine di Ammonio, non sappiamo nulla. Di Origene il Pagano sappiamo che pubblicò, oltre ad un libro Sui Demoni, un trattato dal titolo programmatico Il solo creatore è il Dio supremo. In questo titolo non è possibile non riconoscere una eco delle dottrine che Ierocle riferisce ad Ammonio (con coincidenze anche verbali): esso doveva essere diretto contro quanti distinguevano il Dio Supremo dal Dio oreante. Ma anche il primo titolo rivela tesi tipiche della scuola, in perfetta armonia con quelle che le fonti sopra menzionate ci riferiscono a proposito di Ammonio 22 •
22
Cfr. Porfir.io, Vita di Platino, 3; dr. Heinemann, Ammonios ... , p. 19.
www.scribd.com/Baruhk
470
IL NEOPLATONISMO
Legato al circolo del nostro filosofo fu anche Longino, che ebbe, però, interessi in prevalenza letterari, e fu lodato, come filologo, sia da Plotino che da Porfirio 23 • Delle sue concezioni filosofiche ne conosciamo solo una, ma piuttosto significativa. Egli non riteneva che le Idee fossero pensieri di Dio e sosteneva, invece, che esistevano separatamente dal Nous. Concezione, ques~a, per un certo periodo di tempo mantenuta anche da Porfirio (e forse propria anche di Ammonio) 24 • Il Trattato sul sublime, giuntoci sotto il nome di Longino, è per molti aspetti interessante, ma dalla maggior parte degli studiosi viene considerato inautentico, e, pertanto, non ci serve per ricostruire il pensiero del nostro autore 25 • Origene Cristiano non appartenne al gruppo dei filosofi summenzionati e non dovette nemmeno aver incontrato Piotino ad Alessandria. Gli studiosi pensano che possa aver frequentato Ammonio (di circa un decennio più vecchio di lui) intorno al 205/210 d.C. Nel 231 pare che egli ·abbia abbandonato Alessandria 26 • Plotino giunse invece ad Alessandria nel 232. Il suo incontro con Ammonio fu decisivo non solo per lui, come abbiamo letto nel passo di Porfirio, ma ·per la storia delle idee ddl'Occidente, quasi come l'incontro ad Atene di Platone ·con Socrate. Le potenti energie spirituali che Ammonio seppe suscitare nei discepoli, e che sarebbero scomparse in breve volgere di tempo, con Plotino divennero invece « possesso per il sempre ». Cfr. Porfirio, Vita di Plotino, 14; 20 . .. Cfr. Porfirio, Vita di Plotino, 18 e Proclo, In Plat. Tim., I, p. 322, 24 Diehl. Questo potrebbe essere una riconferma di quanto sopra dicevamo, ossia che Ammonio non dovette professare la dottrina della seconda ipostasi come Nous, inteso come unità di essenza (Idee) e pensiero, che troveremo in Plotino. 25 Si veda l'edizione di D. A. Russel, Longinus, On the Sublime, Oxford 1964, con introduzione e commento. Si veda anche la versione italiana con testo a fronte di A. Rostagni, Milano 1947. 26 Cfr, il saggio di Theiler, citato, sopra, alla nota 12. 23
www.scribd.com/Baruhk
II. LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA E LA GENESI DELLE
« ENNEADI »
l. Da Alessandria a Roma
Plotino aveva ventotto anni quando entrò nel circolo di Ammonio Sacca e vi rimase fino a trentotto 1• Alla scuola di Ammonio, come gi·à sappiamo, Platino« s'approfondi talmente ' Della vita di Plotino sappiamo quasi esclusivamente quello che ci riferisce Porfirio nella celebre Vita di Plotino. Infatti, non solo Plotino non parlò mai di sé nella sua opera, ma non volle parlarne neppure con gli amici intimi. Scrive Porfirio (Vita di Plotino, 1): « Plotino, il filosofo dell'età nostra, aveva l'aspetto di uno che si vergogni di essere in un corpo. In virtù di tale disposizione spirituale, aveva ritegno a narrare della sua nascita, dei suoi genitori, della sua patria. Sdegnava a tal punto l'assoggettarsi a un pittore o a uno scultore che ad Amelio, il quale sollecitava il suo consenso a che gli si facesse il ritratto, rispose: "Non basta dunque trascinare questo simulacro di cui la natura ci ha voluto rivestire; ma voi pretendete addirittura che io consenta a lasciare una più durevole immagine di tal simulacro, come se fosse davvero qualcosa che valga la pena vedere?"». Dei particolari più sign1fioativi della vita del nostro filosofo, riferitici da Porfìrio, diremo nel testo. Qui ci limitiamo quindi a tracciare la cronologia e a completare quanto nel testo non diremo. Plotino nacque a Licopoli, stando alla Suda (s.v.). La data che si ricava da Porfìrio è il 205 d.C. Nel 232 iniziò a dedicarsi interamente alla filosofia ad Alessandria. Nel 243 lasciò Alessandria per seguire l'imperatore Gordiano nella sua spedizione orientale. Nel 244 giunse a Roma, dove fondò la sua scuola. Compose i suoi trattati fra il 253 e il 269. Morl nel 270, a 66 anni, a causa di un male (non bene identificabile) che gli produsse pieghe nelle mani e nei piedi e gli arrochl notevolmente la voce. Negli ultimi tempi, a causa di questo male, abbandonò la scuola e gli amici e si ritirò nella tenuta di un vecchio amico in Campania, dove morl in solitudine. Delle Enneadi plotiniane (sulle cui genesi e sul cui ordinamento diremo nel testo) è stata di recente curata una edizione critica eccellente da P. Henry e H. R. Schwyzer, Plotini Opera, 3 voli., Paris-Bruxelles 1951-1973 e Oxford 1964-1982 (editio minor). L'unica traduzione italiana integrale è quella di
www.scribd.com/Baruhk
472
IL NEOPLATONISMO
nella filosofia da mirare ad una diretta esperienza sia della filosofia praticata fra i Persiani, sia di quella dominante fra gli Indiani» 2 • Il contatto diretto con la sapienza orientale, dunque, dovette essere ritenuto come il coronamento, o, per lo meno, come il completamento di quanto aveva appreso da Ammonio. Del resto, i Gimnosofisti e i Magi d'Oriente, come sappiamo, erano da tempo indicati come una delle principali fonti del sapere. La spedizione dell'imperatore romano Gordiano III, nel 243 d.C., sembrò offrirgli l'occasione propizia. Ma si trattò di un'esperienza drammatica, che non gli poté dare alcuno dei frutti sperati. Gordiano fu ucciso in Mesopotamia e Plotino riparò ad Antiochia, riuscendo solo a stento a salvarsi. Di qui egli non poté o non volle ritornare ad Alessandria (probabilmente Ammonio era morto) e decise di recarsi a Roma, dove giunse nel 244 d.C., quando Filippo s'era impossessato del potere imperiale 3 • A quest'epoca Plotino aveva ormai toccato «H mezzo del cammin di nostra vita», aveva cioè raggiunto i quarant'aMi e si sentiva, quindi, ormai maturo per aprire nella capitale dell'impero una sua scuola. Per un decennio (244-253 d.C.) il nostro filosofo tenne lezioni, rifacendosi, come sappiamo, alle conversazioni di Ammonio e al suo metodo, lasciando largo spazio alla discussione e alla diretta ricerca di coloro che lo frequentavano, ma senza scrivere nulla, mantenendo fede al vecchio patto stretto con Erennio e Origene, anche se costoro lo avevano tradito". V. Cilento, Platino, Enneadi, 3 voli. in 4 tomi, Laterza, Bari 1947-1949. Questa traduzione (che riporteremo nel testo) ha notevoli pregi, soprattutto letterari. Il commento, purtroppo, è solo filologico. In appendice all'ultimo volume si troverà una eccellente Bibliografia critica degli studi plotiniani con rassegna delle loro recensioni di B. Marien. Molto importante è il Lexicon Plotinianum curato da J. H. Sleeman e G. Pollet, Leiden-Leuven 1980. 2 Porfirio, Vita di Platino, 3. 3 Cfr. Porfirio, Vita di Platino, 3. • Cfr. Porfirio, Vita di Platino, 3.
www.scribd.com/Baruhk
473
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
Solo a partire dal 254 d.C. Plotino incominciò a scrivere. Quando Porfirio giunse a Roma, nel 263, Plotino aveva composto già ventun trattati. Ne compose altri ventiquattro fra il 264 e il 268, e i restanti nove dopo il 268 5 • Molto interessante è la notizia che Porfirio ci dà sul modo in cui Platino componeva i suoi trattati. Egli scriveva di getto (senza rileggere, per un difetto di vista, ciò che aveva scritto) 6 , in maniera continua e molto regolare, quasi come se copiasse da un l·ibro, e cosl proseguiva a lungo. Il suo comporre era dunque come un conversare per iscritto, anzièhé con la voce. E chi non tiene ben presente questo difficilmente riesce a intendere lo spirito delle Enneadi. Porfirio ebbe direttamente da· Platino l'incarico di emendare e riordinare i vari trattati 7 • Ora, dal momento che questi erano stati composti senza un preciso ordine sistematico, Porfirio decise di Seguire il metodo già adottato da Andronico di Rodi nel pubblicare gli esoterici di Aristotele, ossia di radunare insieme i libri che trattavano tematiche eguali o tra loro direttamente connesse. In più, Porfirio si lasciò guidare dalla pitagorica convinzione circa il si•gnificato metafisica del numero e combinando con la «perfezione del numero sei» l'« enneade », ossia il numero nove, divise i cinquantaquattro trattati plotiniani appunto in sei gruppi di nove ciascuno e raggruppò gli argomenti affini, graduandoli, a seconda della difficoltà, dai più facili ai più complessi 8 • Nacquero, cosl, quelle Enneadi, che, insieme ai dialoghi di Platone e agli esoterici di Aristotele, contengono il più alto messaggio filosofico dell'antichità, e uno dei più cospicui di tutti i tempi.
5 Cfr. • Cfr. 7 Cfr. • Cfr.
Porfirio, Porfìrio, Porfirio, Porfìrio,
Vita Vita Vita Vita
di di di di
Platino, Platino, Platino, Platino,
+6. 8. 7. 24-26.
www.scribd.com/Baruhk
474
IL NEOPLATONISMO
2. Caratteristiche e finalità della scuola plotiniana
La scuola di Plotino non assomigliava probabilmente a nessuna delle precedent·i. L'autorità ed il prestigio che il filosofo si era 'clcquistati presso i·l ceto nobiliare furono tali, che molti « al pensiero della morte imminente» gli affidavano i figli e le figlie da educare ed i loro beni da conservare ed amministrare, come « a custode sacro e divino », sicché la casa iri eu~ abitava (che apparteneva a una certa Gemina, di cui era ospite) brulicava di giovinetti, di giovinette e di vedove. Da Plotino venivano, inoltre, uomini politici al fine di comporre vertenre e liti e a lui si affidavano come ad arbitro infallibile 9 • Lo stesso imperatore GalHeno e la moglie Salonina ebbero di lui altissima stima, tanto da prendere in seria considerazione il progetto plotiniano di far sorgere una città di filosofi che avrebbe dovuto chiamarsi Platonopoli, in Campania, in cui si sarebbe ritirato Plotino stesso e i cui abitanti avrebbero dovuto osservare « le leggi di Platone ». Il progetto però falll, a causa delle trame dei cortigiani 10 • Sbaglierebbe, tuttavia, chi arguisse, da tutto questo, che Plotino si interessasse ai problemi politici o che avesse mire politiche di qualche genere. Lo spirito che animava il suo progetto di Platonopoli era molto diverso dallo spirito eh~ aveva ispirato a Platone i suoi progetti, i suoi ideali e le sue utopie politiche. Infatti Platone, .ancora tutto pregno dello spirito e dell'ethos della polis greca, intendeva veramente, come abbiamo a suo luogo ved~to, incidere sul vivo dell'attività politica e operare una radicale trasformazione e nella teoresi e nella prassi politica: intendeva, cioè, riformare dalle radici lo Stato nella sua totalità; Plotino, invece, non 9
Cfr. Porfirio, Vita di Plotino, 9. Porfirio, Vita di Plotino, 12.
° Cfr.
1
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
475
voleva affatto proporre un progetto per rinnovare l'impero romano in funzione dei principi filosofici, ma semplicemente costruire un'oasi di pace, una città fatta per filosofi, vale a dire (come risulterà chiaro in base a quanto diremo appresso) fatta per chi voleva vivere una vita in una comunità che rendesse possibile il raggiungimento del fine supremo, ossia l'unione con il divino. Non stupisce, dunque, che egli dissuadesse espressamente i suoi discepoli dal dedicarsi alla vita politica. Coloro che accorrevano ad ascoltare la parola di Platino avevano interessi di tipo assai differente. Intanto, è da rilevare che « a chiunque era consentito di frequentare le riunioni » 11 • Pertanto, dovevano esserci numerosi uditori occasionali e saltuari, che erano attratti semplicemente dalla fama del personaggio e quindi dalla curiosità. Inoltre vi erano - ed erano piuttosto numerosi - gli uditori che frequenta.vano con una certa costanza, e fra questi vi erano molti senatori romani e nobili di origine orientale. Infine vi erano i veri e propri « seguaci ». È da notare che anche un certo numero di donne, come ci riferisce Porfirio, prendeva parte alle riunioni «tutte ardentemente dedite alla filosofia » 12 • Agli scritti del maestro, invece, solo pochi avevano diritto di accesso, e solo dopo che avevano dimostrato di possedere precisi requisiti intellettuali e morali 13 • Platone aveva fondato l'Accademia per poter formare nella filosofia gli uomini che avrebbero dovuto rinnovare lo Stato; Aristotele aveva fondato il Peripato per organizzare in modo sistematico la ricerca ed il sapere; P.irrone, Epicuro, " Porfirio, Vita di Platino, l. Porfirio, Vita di Platino, 9. 13 Riferisce Porfirio che i libri scritti da Plotino « venivano affidati a ben pochi [ ... ].Non era [ ... ] facile la cessione dei manoscritti, né si faceva cosl, sulla buona fede, semplicemente e alla buona, ma vagliando con ogni rigore le persone che potevano ottenerli » (Vita di Platino, 4). 12
www.scribd.com/Baruhk
476
IL NEOPLATONISMO
Zenone avevano fondato i loro movimenti per cercare di dare agli uomini l'atarassia, la pace e la tranquillità dell'anima. La scuola di Platino tendeva ad un nuovo, ulteriore fine: voleva insegnare agli uomini a sciogliersi dalla vita di quaggiù per riunirsi al divino, e poterlo contemplare fino al culmine di una trascendente unione estatica. Il fine della nuova scuola era, dunque, fortemente religioso e mistico. Era quello stesso fine che stava alla base del progetto di Platonopoli. Ecco le parole di Porfirio che illustrano perfettamente questo supremo telos cui il nostro filosofo mirava: Ci vien detto ancora ch'egli [Plotino] aveva uno spirito insonne, puro, sempre proteso verso il divino, al quale egli aspirava con tutta l'anima sua; ch'egli, inoltre, non tralasciò nulla per liberarsi: « per sottrarsi al flusso mordente della vita che si pasce di sangue», quaggiù! E cosl proprio a quest'Uomo demoniaco, spesso, quando egli cioè si adduceva sino al primo e trascendente Iddio, mediante il pensiero, sulle vie indicate da Platone nel Convivio, apparve quel Dio che non ha figura né forma alcuna ma troneggia al di sopra dello Spirito e dell'intero mondo intelligibile. In verità, anch'io, Porfirio, posso attestare di essermi accostato e unito a Lui una volta sola: ed ora ho sessantotto anni. «Apparve», dunque, a Plotino e gli «si pose proprio accanto, il Fine supremo». Meta, infatti, e Fine, per lui, si era l'accostarsi e l'unirsi col Dio che è al di sopra di tutto; ma egli raggiunse ben quattro volte, a quel ch'io mi so, nel tempo in cui gli ero vicino, questo Fine, con un atto ineffabile 14 •
Le ultime parole di Platino morente al medico Eustachio furono queste: Cercate di ricongiungere il divino che è in voi al divino che è nell'universo 15 • Esse suonano veramente come il suo testamento spirituale e costituiscono quasi il suggello di tutto il suo insegnamento. ,. Porfirio, Vita di Plotino, 23. 15 Porfirio, Vita di Plotino, 2.
www.scribd.com/Baruhk
III. RIPRESA E CONCLUSIONE DELLA« SECONDA NAVIGAZIONE»
l. Rapporto fra Platino e i filosofi precedenti
Platino presuppone circa otto secoli di speculazione precedente, ed è comprensibile solo sulla base dei guadagni essenziali del pensiero antico in questo lasso di tempo. La lista di ciò in cui Platino è debitore ai predecessori è considerevolmente ampia. Per !imitarci solo all'essenziale, dobbiamo rilevare quanto segue. Lo spirito di Pitagora, o, per meglio dire, di quello che venne successivamente considerato spirito pitagorico, nonché la dottrina dei principi supremi della Monade e della Diade, costJituiscono una componente importante nella formazione del suo pensiero. A Parmenide il nostro fìlosofo riconosce soprattutto il merito di aver scoperto l'identità fra Essere e Pensiero; un principio, questo, che, reinterpretato su nuove basi, regge la concezione enneadica dello Spirito. Platone è riconosciuto come l'autentica autorità, quasi sempre infallibile. Ma il Platone che interessa a Platino non è né quello aporetico e problematico dei dialoghi socratici, con le sue impennate di dubbio e con la sua carica ironicomaieuliica, e non è nemmeno il Platone che persegue il progetto dello Stato ideale e che dà voce alla grande passione politica dei Greci. Il Platone che interessa a Platino è quello mistico-teologico e metafisica, e perciò i dialoghi a lui cari sono il Pedone, il Fedro, H Simposio, il Timeo, i libri centrali della Repubblica e, subordinatamente, alcuni aspetti del Sofi-
www.scribd.com/Baruhk
478
IL NEOPLATONISMO
sta, del Parmenide, del Filebo e della Lettera II. Platone non è mai criticato, e, spessissimo, è addirittura menzionato col pronome di terza persona singolare. Platone, come l'Aristotele degli Scolastici, è, insomma, il punto di riferimento fermo e costante, è il filosofo per eccellenza, l'autorità suprema (vedremo che, in sostanza, Platino si riteneva non altro che un interprete di Platone). Le dottrine di Aristotele sono invece spesso criticate, come ad esempio la dottrina di Dio come pensiero di pensiero, la teoria dell'anima come entelechia, la concezione dell'etere, la dottrina delle categorie. Tuttavia, alcuni dei concetti metafìsici e psicologici di Aristotele risultano determinanti nella costituzione del pensiero di Plotino, come avremo modo di constatare. Anche la dottrina della Stoa, avversatissima a motivo del suo materialismo di fondo, ha, essa pure, una presenza conSiiderevole nelle Enneadi. Plotino critica la conce:done materialistica di Dio e dell'anima, la dottrina delle categorie e la teoria del. tempo, che sono proprie della Stoa, ma accetta le dottrine della simpatia universale e del Logos, nonché le istanre di una concezione unitaria del reale, riformulandole, però, su altre basi, e una serie di concetti morali, piegandoli in una direzione spiritualistica e mistica. Del resto già Porfìrio notava: Nei suoi trattati sono sparse insieme, anche certe inosservate dottrine stoiche e peripatetiche; vi sono pure condensate questioni di metafisica aristotelica 1•
Lo stesso negletto Epicuro e gii Scettici ebbero qualcosa da insegnargli. Ma la filosofia di Platino sarebbe semplicemente impensabile al di fuori dell'ambiente culturale di Alessandria quale venne a formarsi fra il 1 secolo a.C. e il n secolo d.C., ossia 1
Porfirio, Vita di Platino, 14.
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
479
senza Filone Ebreo, senza il medioplatonismo e il neopitagor.ismo, delle cui istanze la scuola di Ammonio rappresentò la più efficace sintesi. Malgrado questi debiti, ed altri di cui diremo, la filosofia di Plotino non è né un eclettismo, né una forma di sincretismo, perché nel sistema plotiniano c'è un'ispirazione nuova che dà un senso inedito a queste vecchie dottrine. Ha detto il Dodds: « Se voi fate a pezzi il sistema di Platino, potete di regola trovare, per ogni pezzetto, se non qualcosa che si possa rigorosamente chiamare una fonte, comunque un qualche modello o antecedente o stimolo, ad esso più o meno correlato, sia che lo stimolo provenisse dall'interno della scuola platonica o dall'esterno di essa. Plotino ha costruito il suo sistema utilizzando ampiamente pezzi usati, ossia i materiali che la tradizione filosofica greca gli offriva. Ma la essenza del sistema plotiniano sta nel nuovo significato che il tutto impose alle parti; la sua vera originalità non consiste nei materiali, ma nel disegno (come infatti io ritengo avvenga in ogni grande sistema filosofico)» 2 • Ma se ciò è vero, bi"SOgna . .altresi riconoscere che anche nel tracdare il nuovo disegno con i vecchi materiali Plotino ricevette non poche suggestioni dagli ultimi filosofi che abbiamo nominato, ossia da Filone, dai Medioplatonici e dai Neopitagorici, come allo stato attuale degli studi risulta ormai certo. Ma su questo problema dobbiamo svolgere un più ampio discorso, perché proprio queste correnti filosofiche fiorite nei primi due secoli dell'età imperiale costituiscono un vero e proprio grandioso prologo al neoplaton1smo. Cosa, questa, assai scarsamente riconosciuta dalla communis opinio o addirittura pressoché ignorata.
' E. R. Dodds, The Ancient Concept of Progress and other Essays on Greek Literature and Belief, Oxford 1973, p. 129.
www.scribd.com/Baruhk
480
IL NEOPLATONISMO
2. Platino invera e porta a pieno sviluppo le istanze del meçlioplatonismo e del neopitagorismo
H moderno lettore delle Enneadi può avere spesso l'impressione che molte tesi non vengano dimostrate, o che, perlomeno, non vengano convenientemente giustificate. Ma chi si fermasse a questa impressione e giudicasse non adeguatamente fondata la speculazione plo!!iniana, cadrebbe in. un grave errore di prospettiva storica e pregiudicherebbe in modo irreparabile la comprensione di essa. Bisogna tener presente, infatti, che, nel secolo immediatamente precedente, il medioplatonismo e il neopitagorismo avevano raggiunto la loro acmé. Essi avevano ormai messo definitivamente in crisi il materialismo dei grandi sistemi ellenistici, avevano recuperato - come abbiamo con ampiezza sopra dimostrato - gli esiti della platonica « seconda navigazione » e avevano addirittura tentato di integrarli, di rielaborarli e di risistemarli, tenendo conto soprattutto dei guadagni aristotelici, e senza trascurare alcuna delle istanze fatte valere dagli stessi sistemi dell'età ellenistica 3 • Plotino trovava, dunque, una serie di verità filosofiche già riguadagnate e giustificate dai suoi predecessori, e proprio per questo motivo egli non sentiva il bisogno di ridimostrarle in modo approfondito, considerandole come acquisite. Fondamentale, a questo riguardo, è la testimonianza di Porfirio, cui più volte abbiamo fatto riferimento esponendo il pensiero medioplatonico, e che ora giova rileggere: Alle riunioni della scuola, egli [Platino] si faceva dapprima leggere dei commenti, quali che fossero: di Severo, o di Cronio o di Numenio o di Gaio o di Attico, ovvero, tra i peripatetici, quelli di Aspasio, di Alessandro, di Adrasto, e di altri, a caso 4 • ' Si veda, sopra, l'intera parte seconda, pp. 243-456. • Porfirio, Vita di Plotino, 14.
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
481
Come si vede, proprio i testi dei Medioplatonki e dei Neopitagorici e degli ultimi Peripatetici influenzati dal medioplatonismo cosb.itu1.vano il punto di partenza da cui Plotino muoveva nelle sue lezioni, e quindi l'humus su cui nasceva e si svolgeva il suo pensiero. Del resto, se si legge e si medita quanto di quegli autori ci è pervenuto (di Gaio non ci è pervenuto nulla, ma il discepolo Albino, come abbiamo visto, supplisce largamente a questa perdita), la comprensione dei contenuti filosofici e della stessa temperie spirituale delle Enneadi risulta enormemente agevolata. Un altro fatto è bene ricordare, perché particolarmente importante ai fini della valutazione della portata della tesi che stiamo sostenendo. Già nell'antichità si era notata la somiglianza fra alcune tesi di Numenio e alcune parallele tesi di Plotino; anzi, questa somiglianza era stata giudicata talmente forte che ad Atene si accusò Plotino addirittura di plagio, e un discepolo di Plotino stesso, Amelio, si sentl in dovere di confutare pubblicamente con uno scritto tale accusa 5 • Orbenè, se quest~àccusa è, senza dubbio, infondata, è tuttavia innegabile l'esistenza di consistenti tangenze fra la filosofia di Plotino e quella di Numenio, come già -abbiamo mostrato sopra. Plotino, in sostanza, riprese le istanze fatte valere dai Medioplatonici e dai più evoluti Neopitagorki, le sviluppò e le portò a completa maturazione con una profondità, una lucidità e una audacia senza paragone maggiori, sì da eclissare
5
Ecco quanto ci riferisce Porfirio a questo proposito: «Si sparse,
dalla Grecia, questa voce: "Egli plagia gli scritti di Numenio". E ad Amelio la riportò Trifone stoico e platonico; Amelio scrisse un libro che intitolò: Differenze dottrinali tra Plotino e Numenio » (Vita di Plotino, 17). ! da notare che Amelio conosceva assai bene il pensiero di Numenio, come lo stesso Porfirio ci riferisce: «Amelio [ ... ] superava tutti i suoi contemporanei per la laboriosità di cui diede prova, sia esponendo per iscritto quasi tutte le dottrine di Numenio, sia sunteggiandole, sia mandandole quasi a memoria la maggior parte» (Vita di Plotino, 3).
www.scribd.com/Baruhk
482
IL
NEOPLATONIS~O
e far dimenticare i suoi immediati predecessori. Tuttavia, mai come in questo caso, rimane vero il principio che il segreto per intendere i « maggiori » è, in gran parte, nei « minori » che li hanno preceduti. Per questo motivo ai Medioplatonici e ai Neopitagorici (la cui conoscenza, purtroppo, resta ancora retaggio di pochi specialisti) noi abbiamo dedicato tanto spazio: essi risultano aver gettato quelle basi, muovendo dalle quali soltanto era possibile salire a quelle· altezze cui seppe elevarsi Plotino, sulla scia di Ammonio. Si potrebbe obiettare, contro questa argomentazione, che Platino non cita nemmeno una volta per nome questi autori. Ma l'obiezione perde ogni mordente non appena si considerino questi tre fatti. In primo luogo, Platino non cita per nome se non i filosofi da lui molto lontani nel tempo 6 • In secondo luogo, i filosofi di cui discorriamo si consideravano esegeti e interpreti di Platone e non pensatori originali; e come interprete di Platone considera se medesimo anche Platino 7 • Indubbiamente egli dovette giudicare quei suoi predecessori semplicemente come uomini che attinsero alla medesima fonte in cui è già contenuta tutta la verità. Infine è particolarmente significativo il fatto che lo stesso Ammonio non viene citato neppure una volta 8 •
• Nessun filosofo posteriore ad Epicuro viene citato espressamente. 7 Cfr. Platino, Enneadi, v, l, 8. 1 Che Plotino non parli mai di Ammonio, al quale deve, probabilmente, non meno di quanto Platone deve a Socrate, è per noi stupefacente. Tuttavia, come giustamente rileva Heinemann (Ammonios ... , p. 2), se anche ci fosse stato Platone alla scuola di Ammonio, egli non si sarebbe comportato come si comportò con Socrate. Nel III secolo d.C. e nel contesto filosofico del circolo di Ammonio, un inno al Maestro, vale a dire all'uomo Ammonio, era impensabile, dato che ciascuno sentiva sé e gli altri (e in modo particolare un uomo ispirato come Ammonio) quasi solo come espressione del Divino soprasensibile. Dunque, bisognava esaltare il divino e non chi del divino era semplice veicolo. Del resto anche di sé e della propria vita Plotino non volle quasi mai parlare (cfr., sopra, p. 471, nota 1).
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
483
3. Rapporti fra Plotino, il pensiero orientale, Filone, la Gnosi e il Cristianesimo
Per comprendere il complesso quadro delle diverse componenti culturali che concorsero alla formazione del pensiero plotiniano, resta ancora da dire, sia pure in breve, del problema degli influssi della sapienza orientale, della filosofia mosaica di Filone di Alessandria, della Gnosi e del Cristianesimo. In che misura Platino attinse a queste fonti? Il preteso influsso dell'Oriente su Platino è stato ampiamente ridimensionato dagli studiosi moderni. D'altra parte, sappiamo che Platino desiderò ardentemente avere diretta esperienza della filosofia quale era praticata dai Persiani e dagli Indiani, ma che, per le ragioni già dette, egli non poté venire a contatto con quelle fonti 9 • Inoltre, il cosiddetto « emanazionismo » plotiniano non ha nulla a che vedere con il vero e proprio emanazionismo della sapienza orientale. Vedremo, anzi, che, propriamente parlando, la dottrina plotiniana non è una forma di emanazionismo 10 • Le fonti orientali di Platino si riducono a quelle largamente ellenizzate nell'ambiente alessandrino. Più che di contenuti specifici, si tratta di quello spirito mistico e religioso, frutto già di una mediazione e di una sintesi fra categorie orientali e occidentali: si tratta, insomma, di quello spirito da cui avevano tratto alimento tutte le correnti di pensiero esaminate, fiorite ad Alessandria a partire dal 1 secolo a.C. Invece, non solo è probabile, ma è pressoché certo l'influsso di Filone Ebreo su Platino. I libri di Filone, ad Alessandria, città cui egli aveva operato, erano certamente accessibili con facilità. In ogni caso, mediatamente, ossia tramite Numenio, P.Iotino dovette conos~re Filone. Di fatto, le analogie fra il pensiero filoniano e quello plotiniano sono ' Cfr. Porfirio, Vita di Plotino, 3. Cfr. Zeller, Die Philosophie der Griechen, m, 2, pp. 468-500.
10
www.scribd.com/Baruhk
484
IL NEOPLATONISMO
notevoli. Lo stesso Zeller riconobbe, già a suo tempo, che, fra tutti i precursori di Platino, Filone è addirittura quello che presenta le analogie più consistenti con il pensiero delle Enneadi. La concezione filoniana di Dio presenta numerose affinità con la concezione plotiniana dell'Assoluto. La dottrina del Logos e delle Potenze ha corrispondenze con la dottrina plotiniana della seconda ipostasi non solo nel contenuto concettuale, ma perfino in certe espressioni lesskali (l'espressione « cosmo intelligibile » coniata da Filone ritorna con le stesse valenze in Plotino). L'attività divina, creatrice di tutte le realtà intelligibili e dello stesso cosmo sensibile, intesa dinamicamente come manifestazione della potenza divina e come produzione di effetti da parte delle medesime, prefigura, sia pure in direzione parallela e non convergente, la processione plotiniana. La metafisica filoniana dell'interiorità e la concezione del fine_ supremo dell'uomo posto nell'unione misticoestatica con Dio hanno, poi, piena corrispondenza nelle pagine delle Enneadi 11 • I rapporti di Platino con la Gnosi furono di contrapposizione polemica. Naturalmente, dal confronto dialettico Piotino trasse un chiarimento delle prop1.1ie posizioni. Tuttavia, è da rilevare che i piani su cui si muovono gli Gnostici e Plotino sono diversissimi e che i positJivi influssi dei primi sul secondo sono stati da alcuni studiosi indebitamente esaltati, tanto più che non conosciamo con esattezza gli Gnostici cui Platino si riferisce. Invece, ci sembra aver messo molto bene a fuoco il problema, di recente, uno studioso italiano, il quale ha precisato quanto segue: « [ ... ] gli Gnostici e Platino si muovono in contrastanti mondi di pensiero: la dottrina plotiniana è un serio tentativo di risolvere l'antico problema dell'Uno-Tutto, come cioè porre H supremo Principio in relazione con l'Universo. Se pur si possa usare la parola emanazione, per Platino, essa non ha proprio nulla in comune 11
Si veda, sopra, pp. 247-306.
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
48.5
con le emanazioni gnostiche, le quali sono uno dei pochi esempi, nel pensiero europeo, di quella curiosa applicazione dell'immaginazione, in quanto essa ha di più sregolato e irrazionale, a problemi filosofici e teologici: il che è caratteristico di quella decadente trasposizione europea del pensiero indiano alla quale diamo il nome teosofia. Vi sono alcune tracce di questa contamina~ione tra fantasia e ragione nel tardo neoplatonismo con la sua indiscriminata accettazione di ogni fittizia entità della astrologia caldea, sebbene persino qui il nativo raziona1ismo ellenico tenti, ingenuamente, le sue sistemazioni. Nulla di tale irra2lionalità è in Plotino, neppure nel più alto ed estatico Platino; poiché anche la sua mistica è, ellenicamente, dialettizzata. I sistemi gnostici, se pure meritano tal nome, sembrano essere dspirati in parte dal sineretismo dell'epoca, dal desiderio di trovare un posto nel loro mondo spirituale ad ogni sorta di essere occorrente nelle religioni soteriologiche o filosofiche delle quali essi avevano una qualche conoscenza; e, in parte, dalla passione orientale per la personificazione di idee astratte, caratteristica dell'età scolasticizzata, a cui i nomi barbarici degli Eoni portano testimonianza [ ... ]. Altri tratti discriminanti la Gnosi da Plotino è che la produ2lione degli Eoni non è necessaria o eterna ma dipende dalla volontà del Primo Principio; e poi la sessualità, il "transfert" erotico sub1imato al mondo spirituale, caratteristico della gnosi simoniana e valentiniana. Tra >i Simoniani, una gran parte è affidata alla gran Madre, magna peccatrix, Elena terrestre, oscillante tra l'epos antico e il secondo Faust; mentre il Valentinianesimo è una vero orgia di 7tpouvutL«, di brame e di coppie. Da tutto ciò Plotino è lontano » 12 • Ciononostante, dalla polemica antignostica Plotino trasse soprattutto la piena coscienza della positività del cosmo, che per la Gnosi è, invece, malvagio. Forse egli, da certe istanre della 12 V. Cilento, Platino, Paideia Antignostica. Ricostruzione d'un unico scritto da Enneadi m 8, v 8, v 5, 11 9, Firetl7Je 1971, pp. 23 sg.
www.scribd.com/Baruhk
486
IL NEOPLATONISMO
dottrina gnostica, fu indotto a porsi un problema, estraneo alla precedente speculazione greca, che investe l'Assoluto stesso, ossia il problema del perché c'è il principio stesso e quale è la ragione del suo esserci. Ma la risposta che egli seppe dare, come vedremo, va ben oltre gli orizzonti della Gnosi e raggiunge le più alte vette cui il pensiero occidentale è pervenuto 13 • Plotino dovette avere rapporti anche con i Cristiani veri e propri. Porfirio parla della frequenza di numerosi Cristiani .alle lezioni di Plotino, [ quali « inducevano molti in errore » nel sostenere che « Platone non aveva scandagliato la profondità dell'essenza intelligibile », cosicché Plotino interveniva spesso a confutarli. Ma questi Cristiani sono mescolati da Porfirio con gli Gnostici, o addirittura identificati in toto con essi 14 • È certo, comunque, che Plotino prese espressamente posizione contro il dogma fondamentale della resurrezione della carne 15 • Lo stesso principio cardine del cristianesimo del Dio che si fa carne, restando vero Dio e divenendo, insieme, vero uomo, non poteva essere da Plotino accolto né nel suo significato rivoluzionario di evento storico, né nel suo significato metafisica e teologico. Né poteva essere accolta la dottrina della Grazia soprannaturale. Plotino voleva piuttosto portare l'uomo ad essere Dio. Inoltre, egli restava fermamente convinto che le forze dell'uomo sono a ciò sufficienti: l'unione mistica con Dio, ossia il raggiungimento del supremo telos dell'uomo, non avviene, come vedremo, tramite una grazia soprannaturale, ma per una naturale energia spirituale, che rientra nella circolare dialettica della processione e del ritorno all'Assoluto 16 • Cfr. più avanti, pp. 515 sgg. Cfr. Porfirio, Vita di Platino, 16. " Cfr. Plotino, Enneadi, III, 6, 6. 16 Per approfondire l'assai complessa questione delle fonti e della genesi storica e teoretica del pensiero plotiniano, si vedranno, oltre al già citato volume Les sources de Plotin (che contiene contributi di E. R. Dodds, W. 13
14
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
487
4. I c a pisa l d i d e l pensiero p l o t i n i a n o, i l or o rapporti con la precedente speculazione e la loro novità Il complesso quadro che abbiamo fin qui tracciato, che ha lo scopo di rendere consapevole il lettore della necessità di compiere una serie di complesse ricognizioni per poter leggere e comprendere le Enneadi, il capolavoro estremo della grecità, risulterà ancor più chiaro dalle osservazioni che ora faremo. Il pensiero plotiniano ruota per intero intorno a sei capisaldi. l) La tesi di fondo consiste nella netta distinzione fra mondo sensibile e mondo intelligibile, fra l'essere corporeo e l'incorporeo. 2) Il secondo caposaldo consiste nella determ1nazione dell'incorporeo in funzione dello schema triadico, ossia in funzione della teoria delle tre ipostasi, che sono l'Uno, il Nous e la Psyché. 3) Il terzo caposaldo consiste nella determinazione precisa del rapporto che lega le tre ipostasi, ossia del processo secondo cui dalla prima deriva la seconda e da questa la terza. Il grado più alto produce quello più basso senza diminuire, dona sènza impoverire. (Questa dottrina è comunemente indicata col termine emanazione; ora, come vedremo, tale termine è inadeguato, in quanto risulta fonte di ogni sorta di equivoci e bisogna quindi sostituirlo con il termine « processione » ).
Theiler, P. Hadot, H. C. Puech, H. DOrrie, V. Cilento, R. Harder, H. R. Schwyzer, A. H. Armstrong, P. Henry), i seguenti contributi, per molti aspetti stimolanti: W. Theiler, Die Vorbereitung des Neuplatonismus, Berlin 1930 (Berlin-Ziirich 1964'); Ph. Merlan, From Platonism to Neoplatonism, The Hague 1953 (1960'); H. J. Kriimer, Der Ursprung der Geistmetaphysik. Untersuchungen zur Geschichte des Platonismus zwischen Platon und Plotin, Amsterdam 1964 (1967').
www.scribd.com/Baruhk
488
IL NEOPLATONISMO
4) Strettamente connessa alla dottrina della« processione» delle ipostasi è la dottrina secondo cui la materia sensibile non costituisce un principio sussistente di per sé, ma procede essa stessa dall'ultima delle ipostasi: il mondo sensibile, per conseguenza, viene «dedotto» interamente dal soprasensibile. 5) Platino, come nessun altro dei metafisici greci, si preoc-
cupa di fondare l'unità di tutta la realtà. In un certo senso, come vedremo, tutto è nell'Uno e l'Uno è in tutto, e ciascuno dei gradi inferiori è nel superiore e da esso è prodotto e sorretto. Non solo le ipostasi soprasensibili sono cosl unificate, ma lo stesso mondo corporeo è strettamente affiancato dall'incorporeo, al punto che, rovesciando il modo tradizionale di esprimersi, Platino afferma che non è l'anima che è nel corpo, ma piuttosto il corpo che è nell'anima e quindi non il soprasensibile nel sensibile, ma viceversa. Certo, Platino arriva, proseguendo su questa via, ai limiti dell'acosmismo, ma questo è, appunto, un tratto peculiarissimo della sua filosofia. 6) In questo contesto antologico, in cui tutto «procede» dal Principio, nulla è veramente estraneo al Principio (dato che non esiste nulla a Lui contrapposto) e pertanto è possibile un « ritorno » al Principio, una riunificazione piena e totale al Principio, che l'uomo può realizzare anche mentre è ancora in vita, nell'unione mistica e nell'estasi. L'uomo può st·accarsi dal mondo esterno e rientrare in se stesso, prendere possesso del suo vero io, che è l'anima, e, poiché l'anima deriva dallo Spirito e lo Spirito dall'Uno, l'uomo può ritornare all'Uno. Questo principio sconvolge la tradizionale tavola dei valori sia classica sia ellenistica e trasforma l'etica in ascesi spirituale e pone la felicità - il telos umano - nell'unione estatica col divino. Orbene, questi capisaldi, pur giocando tutti quanti un ruolo parimenti essenziale nelle Enneadi, non risultano avere tutti quanti una fondazione e una giustificazione proporzio-
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
489
nate alla loro portata. Ciò che abbiamo fin qui detto dovrebbe ormai aver chiarito Ia·ragione di questo fatto apparentemente strano. In realtà, Plotino non dimostra, ma semplicemente afferma e ribadisce quei capisaldi che i due secoli di speculazione a lui precedenti avevano riguadagnato. Si sofferma solo in parte su quelli che avevano già avuto una certa giustificazione; invece insiste sulle specifiche novità da lui apportate. Ecco perché la conoscenza della speculazione dei secoli 1 e n d.C. è indispensabile per intendere le Enneadi. Esemplifichiamo. Il primo caposaldo, già ,ampiamente riguadagnato, viene da Platino semplicemente sussunto: se il lettore moderno sente la mancanza della dimostra:rione di tale principio, Plotino non solo non la sente, ma per precise ragioni storico-culturali non la poteva sentire, perché, come abbiamo visto a più riprese·, i Medioplatonici e i Neopitagorici, dai quali egli muove, avevano già detto quanto occorreva. Per quanto concerne il secondo caposaldo, Platino si sofferma non a dimostrare che ci sono ipostasi (ossia l'esistenza di una gerarchia nell'ambito de1l'inco11poreo), giacché anche questa era tesi corrente, ma che le ipostasi sono tre (contro, soprattutto, gli Gnostici che moltiplicavano gLi Eoni; Valentino ne ammetteva, per esempio, trenta). Anzi, questa stessa tesi Plotino la ritiene già acquisita da Platone e intravista da Parmenide (come, del resto, Numenio riteneva la teologia trinitaria già propria di Socrate) 17 • Soprattutto Platino si impegna a dimostrare che le ipostasi sono queste tre e non altre: l'Uno che è al di sopra dell'essere e dell'essenza, lo Spirito che è unità di essere e di pensiero e l'Anima. Il terzo caposaldo è forse quello più a fondo discusso, insieme al precedente. Del resto è proprio questo il tratto nuovo e distintivo del neoplatonismo, vale a dire la determinazione del principio secondo cui dalla prima ipostasi procedono le 17
Cfr. Plotino, Enneadi, v, l, 8 e Numenio, fr. 2 cles Places = fr. l
Leemans.
www.scribd.com/Baruhk
490
IL NEOPLATONISMO
successive e dall'ultima procede lo stesso cosmo sensibile, nonché la determinazione della natura di questo processo. Analoghe osservazioni potremmo fare sui restanti tre capisaldi. In particolar modo è da rilevare che l'ultimo caposaldo risulta perfettamente intelligibile solo se collocato nella temperie spirituale del tempo, in cui i valori religiosi erano posti al vertice per comune consenso. Plotino non fa che dare un adeguato fondamento speculativo a questo sentire. Quanto abbiamo detto è dunque sufficiente a far comprendere éhe è impossibile intendere Platino al di fuori dello sfondo e della prospettiva storica in cui si colloca. 5. Il metodo di Platino
Qual è il metodo proprio della speculazione plotiniana? È quello stesso che era stato proprio della speculazione
platonica, vale a dire la «dialettica», intesa nel suo originario significato metafisica e antologico e non nel senso puramente logico-metodologico artistotelico e nemmeno, ovviamente, in quello stoico. La dialettica era, in Platone, non solo il 'metodo, ma il tipo stesso di vita che caratterizzava la « seconda navigazione », vale a dire quel metodo e quel tipo di vita che soli sanno sciogliere l'uomo dai legami con il mondo sensibile, sanno farlo ascendere al mondo intelligibile e, una volta raggiunto l'intelligibile, sanno portarlo di grado in grado alla realtà suprema, al principio imprincipiato, alla condizione incondizionata 18 • Come in Platone, cosl anche in Plotino sono due le tappe della dialettica: la prima consiste nel passare dal sensibile all'intelligibile, la seconda consiste nel salire, di grado in grado, nel mondo intelligibile, fino a giungere a toccare il culmine dell'intelligibile. Ecco un passo eloquente: " Cfr. vol. n, pp. 200-208.
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
491
Il cammino, a dir vero, è duplice per tutti, sia per chi è ancora sull'erta, sia per chi è già arrivato in alto: il primo, cioè, muove dal basso; il secondo è riservato a coloro che sono ormai in seno al mondo dello Spirito e, per cosi dire, hanno segnato lassù un'orma; ad essi è fatale camminare fino a pervenire all'estremo del luogo, che coincide, poi, col termine del viaggio, solo quando uno si trovi proprio sulla vetta: il regno dello Spirito 19 •
Per la verità, il testo parla di due tappe, ma poi ne designa tre, in quanto distingue (e vedremo più avanti per quale ragione), nello stesso ambito dell'intelligibile, a) il cammino nel mondo dello Spirito e b) il momento in cui si perviene « al termine del viaggio », ossia la conclusione del viaggio (l'estasi). Ma vediamo, intanto, quali uomini sono in grado di elevarsi e quindi di diventare dialettici, per poi determinare in modo più preciso il metodo dialettico. Secondo Plotino questi uomini sono di tre specie: quelli che hanno natura di musici, quelli che hanno natura di amanti e quelli che hanno natura di filosofi. Si tratta, in sostanza, di uomini che aspirano all'immateriale e sono capaci di separarsi dal sensibile, o che, come gli uomini di natura filosofica, hanno già in qualche modo operato la separazione. Ebbene, all'uomo che ha la natura di musico bisognerà, dapprima, insegnare a passare dai suoni sensibili e dalla bellezza sensibile che in essi si esprime alla bellezza spirituale che loro sovra·sta, insinuando così in lui le ragioni della filosofia. Analogamente, all'uomo che ha natura di amante bisognerà insegnare ad andare oltre quelle bellezze corporee che lo turbano e lo sconvolgono e bisognerà avvezzarlo a scoprire il fascino verace delle cose incorporee e quindi a salire al mondo dello Spirito. L'uomo che ha n'cltum filosofica ha già " Plotino, Enneadi,
I,
3, l.
www.scribd.com/Baruhk
492
IL NEOPLATONISMO
operato questa separazione ed è gta pronto per l'ulteriore cammino, ossia è già pronto per diventare dialettico 20 • Che cos'è, allora, precisamente, la dialettica? Ecco la risposta di Plotino: Ma che cosa è poi la dialettica il cui insegnamento si vuoi trasmettere anche ai precedenti? Ecco: essa è quella attitudine che si ha da natura di esprimere, concettualmente, su ogni cosa, che cosa sia e in che differisca da altre cose e se abbia qualcosa di comune con loro; inoltre, in quali esseri essa si trovi e in qual luogo sia, singolarmente; se la sua essenza esista realmente; quante cose siano esistenti e ciò che, per contro, differendone, non va annoverato tra gli esseri. Essa discorre altresl di bene e di non bene; e quante cose rientrino nel bene e quante nel suo contrario; tratta dell'essenza dell'eterno e di ciò che non è tale: in tutto questo, evidentemente, procede con scienza e non opinando. Dopo aver dato tregua al nostro vagabondaggio nel campo sensibile, ella si ferma nel regno dello Spirito ed esercita lassù il suo compito, facendo getto di ciò che è fallace e nutrendo l'anima, come fu detto « nel campo della verità »; avvalendosi, cioè, della distinzione platonica per la separazione delle idee - se ne avvale, però, per raggiungere la quiddità di un oggetto e se ne avvale pure circa i primi generi-; e annoda poi, l'uno con l'altro, intellettualmente, ciò che ne deriva, finché abbia percorso tutto il campo dello Spirito; e poi, analiticamente, per opposta via, rifà il cammino, fino a raggiungere il principio; allora, poi, tenendosi tranquilla - in una pace quale che sia, nel limite dello Spirito - senza affannarsi più per nulla, raccolta in unità, guarda, intanto, la cosl detta ricerca logica, tutta presa nelle sue premesse, nei suoi sillogismi, e l'abbandona, come si fa dell'arte dello scrivere, per un'arte novella: pur apprezzandone alcuni elementi come necessaria propedeutica alla sua arte, ella li vaglia, però, non meno che il resto, e ritiene che alcuni di essi siano utili ed altri, invece, superflui, e propri soltanto di una particolar specie di ricerca, diretta a queste cose 21 • Questa scienza - si badi bene - non dipende dal mondo esterno e non muove, quindi, dalla sensazione, nel senso che "' Cfr. Plotino, Enneadi, I, 3, 1-3. 21 Plotino, Enneadi, I, 3, 4.
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
493
non trae dall'esperienza sensibile i propri principi, ma dallo Spirito stesso mediante l'anima. Già Platone aveva chiaramente detto che il guardare direttamente le cose sensibili con i sensi « acceca l'anima » e aveva sostenuto la necessità di rifugiarsi « nei logoi » e in questa sfera procedere 22 • Plotino afFerma, in modo ancor più chiaro, che i principi li dà lo Spirito stesso e sono evidenti, purché si sappia accoglierli appunto con l'anima, che, come vedremo, dallo Spirito dipende. La dialettica trae poi da questi principi tutte le conseguenze, intrecciandoli e separandoli, fino a cogliere tutta la trama dei rapporti che costituisce l'intero mondo dello Spirito in modo adeguato e, addirittura, fino a cogliere oltre lo Spirito stesso, l'Uno, l'Assoluto, come vedremo. Due elementi sono ancora da mettere in evidenza, ai fini di una corretta comprensione della dialettica plotiniana. In primo luogo, come già abbiamo accennato, la dialettica non è un puro metodo di ricerca, ossia un puro strumento. Essa, infatti, non consiste, come per Aristotele e per la Stoa, nella determinazione di meri procedimenti razionali o del modo corretto di procedere nel domandare e nel rispondere, ma in un processo di pensiero che, come già in Platone, coglie immediatamente l'essere e la realtà: Non si deve affatto ritenere che essa [la dialettica] sia un semplice strumento del filosofo: in realtà, essa non consiste in nudi teoremi e regole, ma investe le cose stesse ed ha gli esseri, per cosi dire, come sua materia: eppure ·si avvicina agli esseri con un metodo tutto suo, perché possiede a un tempo, insieme con i teoremi, le cose stesse 23 • In secondo luogo, la dialettica per Plotino, come già per Platone, e anche a questo abbiamo già accennato, è elevazione morale, è ascesa, è con-versione. La dialettica non può 22
23
Cfr. Platone, Pedone, 99 e- 100 d. Plotino, Enneadi, I, 3, 5.
www.scribd.com/Baruhk
494
IL NEOPLATONISMO
esserci senza la virtù e, anzi, le virtù superiori coincidono o sono strettamente connesse con la dialettica, dato che queste virtù sono separazione dal corpo, assimilazione e identificazione col divino, e la dialettica mira appunto a questo scopo. La dialettica plotiniana, insomma, sbocca nella mistica. E cosi, con quest'ultimo rilievo, ci riallacciamo a quello iniziale circa la peculiarissima natura del momento culm.i,nante della dialettica plotiniana. Già il processo dialettico platonico terminava nell'intuizione del Bene, ossia in un coglimento immediato dell'incondizionato. Orbene, Plotino sottolinea con estremo vigore la natura straordinaria di questo momento finale, fino al punto di contrapporla alla scienza, e, addirittura, giunge a parlare di contatto, assimilazione, identificazione, estasi 24 • Ma per comprendere questo punto, è necessario prima esaminare l'intero sistema plotiniano, e perciò potremo caratterizzarlo adeguatamente solo alla fine della trattazione.
" Cfr., più avanti, pp. 603 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
IV. I METODI POSSIBILI PER INTERPRETARE ED ESPORRE IL PENSIERO PLOTINIANO
l. Le interpretazioni della filosofia
proposte
dagli
storici
Le componenti del pensiero plotiniano, come da tempo gli studiosi si sono avveduti, sono due: una di carattere soggettivo, ossia, come oggi diremmo, esistenziale; l'altra di carattere oggettivo e più propriamente speculativo. Da un capo all'altro delle Enneadi, infatti, emergono l'ansia del Divino e il fervido desiderio di unirsi ad esso, il sentimento religioso e la tensione mistica; ma è altrettanto evidente da un capo all'ahro delle Enneadi ·il lucido tentativo di spiegare razionalmente la totalità del reale, e di dar conto, sempre su basi razionali, di queLla stessa tensione dell'uomo e di tutte le cose al Divino. Orbene, gli interpreti si sono divisi e alcuni hanno privilegiato la prima componente, offrendoci una serie di interpretazioni che grosso modo possono chiamarsi religiose, mentre altri hanno privilegiato la seconda componente, offrendoci appunto una serie di interpretazioni più filosofiche e metafisiche 1• È peraltro da rilevare, in primo luogo, che queste due componenti, in Platino, si ]asciano ben difficilmente separare. U Bréhier ha anzi affermato, e non senza ragione, che il tratto
' Privilegiano la prima componente, ad esempio, M. Wundt (vedasi, sotto, la nota 4) e R. Arnou, Le désir de Dieu dans la philosophie de Plotin, Paris 1921 (Roma 1967'); invece privilegi'<~ la seconda componente lo Zeller, Die Philosophie der Griechen, m, 2, pp. 500-687.
www.scribd.com/Baruhk
496
IL NEOPLATONISMO
caratteristico di Plotino è proprio «l'unione intima di questi due problemi, unione. tale che la questione. di sapere quale dei due è subordinato all'altro non può più porsi » 2 • Anzi, precisa ulteriormente lo studioso francese: « Platino deve essere collocato tra i pensatori che hanno tentato di super:ire il conflitto tra la ragione e la fede (perché, in questa forma, esso si porrà in seguito a circostanze storiche non ancora verificatesi in quest'epoca), ma un conflitto di carattere molto più generale, il conflitto tra una rappresentazione religiosa dell'universo, cioè una rappresentazione tale che il nostro destino vi abbia un senso, e una rappresentazione razionalista che sembra togliere ogni significato a una realtà quale il destino individuale dell'anima. È per aver posto questo problema che Plotino resta uno dei maestri più importanti della storia della filosofia » 3 • Inoltre è da rilevare che, in ogni caso, noi ci occupiamo di Platino nella storia della filosofia solo in virtù della seconda componente, o, se si vuole, nella misura in cui è la seconda componente a dar senso alla prima. Sicché le interpretazioni filosofico-metafisiche risultano senza dubbio più adeguate, tanto più che anche le prime, alla fine, non riescono a dar senso al momento religioso, senza riferirsi a quello filosofico, non riescono a spiegare il momento esistenziale senza rifarsi a quello antologico: insomma, non riescono a far a meno del momento oggettivo per spiegare quello soggettivo. A loro volta, poi, le interpretazioni filosofiche hanno seguito differenti strade. Alcuni studiosi hanno cercato di ricostruire l'evoluzione del pensiero plotiniano e il suo svolgimento cronologico 4 • ' E. Bréhier, La philosophie de Plotin, Paris 1968'; traduzione italiana, La filosofia di Platino, Milano 1976, p. 36. ' Bréhier, La filosofia di Platino, p. 44. ' Si vedano, ad esempio: M. Wundt, Plotin, Studien :r;ur Geschichte des Neuplatonismus, I, Leipzig 1919; F. Heinemann, Plotin. Forschungen iiber die plotinische Frage, Plotins Entwicklung und sein System, Leipzig 1921.
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
497
Senonché l'ordine cronologico delle Enneadi tramandatoci da Porfirio non è del tutto attendibile. Inoltre, sappiamo che Platino iniziò a scrivere verso i cinquant'anni, dopo che da circa un decennio teneva le sue lezioni, e, dunque, quando già aveva maturato il suo pensiero. Si capisce, quindi, la ragione per cui questi tentativi hanno avuto esiti alquanto deludenti. Quanti, invece, si sono proposti di ricostruire sistematicamente il pensiero plotiniano si sono trovati di fronte ad un'altra difficoltà. Platino è in certo senso un pensatore molto sistematico, ma il modo con cui egli espone il proprio pensiero è quanto di più asistematico si possa immaginare. Dal principio alla fine le Enneadi presuppongono la dottrina delle tre ipostasi e, anzi, tutto quanto il sistema già fissato, ma da nessuna parte noi troviamo l'indicazione di un piano preciso da seguire per ricostruirlo. Si capisce, pertanto, come, anche in questo caso, gli interpreti si siano divisi in due schiere. Alcuni hanno preferito seguire la via che potremmo chiamare « dal basso all'alto », ossia la via che parte dalla materia e dal mondo sensibile per giungere al mondo dell'intelligibile e dall'ipostasi inferiore a quella superiore 5 • Altri, invece, hanno preferito la via che potremmo chiamare « dall'alto al basso », partendo cioè dal principio supremo, ossia dall'Uno, scendendo via via allo Spirito, all'Anima, e, poi, al mondo sensibile 6 • Qual è la via più corretta e più adeguata?
• Cfr., ad esempio, Bréhier, La filosofia di Plotino; C. Carbonara, La filosofia di Platino, Roma 1938-1939 (Napoli 1964'). • Cfr., ad esempio, Zeller, citato alla nota l; A. H. Armstrong, The Architecture of the Intelligible Universe in the Philosophy of Plotinus, Cambridge 1940 (rist. Amsterdam 1967).
www.scribd.com/Baruhk
498
IL NEOPLATONISMO
2. L a v i a segui t a n e Il a prese n t e esposizione
Per la verità, è da notare che neiie Enneadi si possono ritrovare ambedue queste vie. Esse non sono in effetti in antitesi se non in apparenza. Del resto, noi sappiamo che già in Platone la dialettica era sia « ascendente » sia « discendente », e cosl è anche in Platino. Tuttavia coloro che scelgono la via ascendente, dal basso aii'alto, sembrano essere in sintonia con il metodo aristotelico, che suole appunto muovere da ciò che è primo per noi (ii sensibile) per salire a ciò che è ultimo per noi, anche se è primo per sé (ii soprasensibile). Ma il metodo aristotelico è di tutt'altra natura rispetto a queiio plotiniano. Infatti, per Platino il mondo sensibile non ha né queiio spessore antologico né queii'autonomia che ha in Aristotele, e la sensazione, di conseguenza, non ha una sua autonoma valenza conoscitiva. Come già abbiamo ricordato, l'anima (il nostro inteiietto) non trae i principi dal sensibile, ma daiio Spirito stesso. D'altra parte, è da rilevare che Platino usa il metodo dal basso aii'alto solo poche volte e solo quando vuoi provare, a guisa di verifica, che le ipostasi sono tre. Ma, di regola, egli usa il metodo dall'alto al basso, giacché solo con questo è possibile adeguatamente rappresentare la «processione» deiie ipostasi, ossia Il modo con cui l'una deriva dall'altra e i rapporti che le legano redprocamente. Del resto, come si vedrà, il principio supremo, l'Uno, gioca un ruolo assoluta·mente condizionante nel sistema plotiniano, al punto che nessuna parte di questo risulta intelligibile se non in riferimento all'Uno. La via « dall'alto al basso » risulta, dunque, queiia più adeguata e più conforme alla speculazione plotiniana.
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PLOTINO A ROMA
499
3. Le articolazioni del sistema
Anche sulla determinazione dell'articolazione del sistema plotiniano gli studiosi sono poco concordi. Questa è una conseguenza inevitabile dei diversi punti di partenza che essi assumono e della diversa interpretazione che danno della natura del filosofare plotiniano. A noi sembra, tuttavia, che questa articolazione emerga dalle Enneadi in modo abbastanza chiaro. Intanto, poiché, come si è visto, la base del sistema plotiniano è la platonica distinzione fra mondo intelligibile e mondo sensibile, i quali stanno fra loro nel rapporto di condizione a condizionato, bisognerà distinguere la trattazione del mondo soprasensibHe da quella del mondo sensibile, e da quella iniziare. Circa l'articolazione della trattazione del soprasensibile non potrebbero sussistere dubbi: l'ordine gerarchico dall'alto al basso, dall'Uno al Nous all'Anima, è i.l più logico. Chi parte dall'ipostasi più bassa, l'anima, per risalire alla più alta, non riesce a spiegare perfettamente la natura della « processione » ploti.niana. Chi, poi, parte dall'ipostasi mediana, opera con arbitrio 7 • .AJ.la trattazione del mondo intelligibile dovrà far seguito quella del mondo sensibile. È, questa, la « fìska » o, meglio, la cosmologia vera e propria. Infine, si dovrà trattare dell'uomo, del suo fine e del come deve vivere per raggiungerlo. È questa l'etica. Ora, se s.i rilegge il trattato della prima Enneade dedicato alla dialettica, si troverà proprio questo schema. La filosofia ha parti distinte: la più nobile è appunto la dialettica (che è la conoscen_za dell'intelligibile e dell'immateriale); le due altre 7 Parte dall'ipostasi mediana, ad esempio, H. R. Schwyzer, nel suo per altro accuracinimo articolo Plotinos, nella Realenr.yclopiidie der classischen Altertumswissenschaft, Pauly-Wissowa-Kroll, XXI, coli. 553 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
500
IL NEOPLATONISMO
parti espressamente menzionate e dichiarate dipendenti dalla dialettica sono appunto la fisica e l'etica 8 • A ben vedere, però, Platino si disinteressa totalmente della trattazione dei problemi fisici considerati sotto il profilo strettamente scientifico. Il mondo fisico gli interessa solamente come momento della «processione» dall'Assoluto. Analogamente, l'etica non ha un suo spessore e una sua, sia pur relativa, autonomia. L'etica diventa, in Platino, la via del « ritorno » ai.l'Uno e solo sotto questo profilo il nostro filosofo si interessa dei problemi dell'uomo. Pertanto, il sistema plotiniano emerge nelle sue linee di forza solo ricomponendo le tradizionali « parti » della filosofia nel nuovo schema « circolare » deUa « processione » di tutte le cose dall'Uno e del « ritorno » all'Uno. In effetti, nel sistema plotiniano viene presentato il più audace tentativo metafisica dell'antichità, che squassa tutti gli schemi tradizionali, e li infrange: le ipostasi e il mondo stesso non sono che gradi diversi del Divino, in ogni grado e momento c'è, in un certo senso, i,l tutto, l'Uno è in tutto, sia pure in modo diverso, a seconda che ciascuna cosa sia in grado di contenerlo, e il tutto è nell'Uno. Come è stato giu~tamente rilevato, la « processione » dei molti dall'Uno è « una via da Dio a Dio, ma anche una via in Dio, perché ci sono solo gradi della vita divina, un eterno scendere e un eterno sa-lire dell'anima, secondo ritmi determinati e secondo una legge immanente » 9 • Proprio per questo, le « parti » de11a filosofia perdono il loro significato tradizionale e solo nel circolo della « processione » e del « ritorno » acquistano il loro nuovo trasvalutato significato. Perciò a questo schema ci atterremo nella esposizione. 1 Cfr. Plotino, Enneadi, I, 3, 6. ' Heinemann, Ammonios... , p. 27. Heinemann riferisce già ad Ammonio tutto questo. Forse, in ciò, egli eccede; è certo, in ogni caso, che questo è il vero « movimento » del pensiero plotiniano.
www.scribd.com/Baruhk
SEZIONE SECONDA
IL SISTEMA DI PLOTINO NEI SUOI FONDAMENTI E NELLA SUA STRUTTURA
t "EaTI y,Xp TI o!ov xév-rpov,
cl,;' CXÙTOU ix).,xfmwv, 4x q~w-r6c; t.
ml
8~
ml
8~ TOUT(j) XUXÀOç TOUTOiç IDoç, q~i;lç
«Esiste, s}, qualcosa che potrebbe dirsi un centro: intorno a questo un cerchio che irraggia lo splendore emanante da quel centro; intorno a questi (centro e primo cerchio) un secondo cerchio: luce da luce!». Enneadi,
www.scribd.com/Baruhk
IV,
3, 17
www.scribd.com/Baruhk
I. LA PRIMA IPOSTASI:
L'UNO
l. Preliminare dimostrazione dell'Uno e delle tre ipostasi
dell'esistenza
È impossibile intendere l'originalità e la novità di Plotino e, in particolare, il suo personale contributo alla « seconda navigazione », se non si comprende la riforma di struttura ohe egli apporta alla metafisica sia platonica sia aristotelica, la quale conduce a risultati che, per più di un aspetto, sono rivoluzionari. È ben vero che in Platone ci sono spunti plotiniani ante litteram 1 e che nella successiva storia del platonismo e del neopitagorismo questi spunti, come abbiamo veduto 2 , vengono lievitati in modo abbastanza considerevole, ma Plotino va ben oltre, perché da questi spunti risale ad una vera e propria rifonda:done della metafisica classica. Il principio ultimo del reale, per Aristotele, era la essenza ( ousia) e l'intelligenza del Motore Immobile; per Plotino, invece, il principio è ancora ulteriore, è l'Uno, il quale è al di là dell'essere e dell'essenza e al di là dell'intelligenza, è l'Uno che trascende la stessa ousia e lo stesso Nous: egli riprende e porta alle conseguenze estreme il nucleo centrale delle « Dottrine non scritte » di Platone fortemente anticipatrici. Vediamo il ragionamento con cui Plotino motiva questa ' Su questo argomento si veda C. J. De Vogel, On the Neoplatonic Character of Platonism and the Platonic Character of Neoplatonism nella miscellanea dell'Autrice intitolata Philosophia, Assen 1970, pp. 355-377. ' Cfr., sopra, pp. 307-476.
www.scribd.com/Baruhk
504
IL NEOPLATONISMO
sua tesi, secondo cui l'Uno è il fondamento e il principio assoluto. Ogni ente, in senso ultimativo, è tale solo in virtù della unità. Se si spezza l'unità, infatti, cessa di sussistere la cosa stessa. La sussistenza della cosa dipende, dunque, dall'unità: se si toglie questa, si toglie l'essere stesso della cosa. Scrive Platino: Tutti gli enti sono enti in virtù dell'Uno, sia quelli che sono enti in senso originario, sia quelli di cui si dice che in un senso qualsiasi rientrano tra gli enti. Infatti, che cosa potrebbe esserci se non fosse unità? Tant'è vero che, privati appena dell'unità che vien loro attribuita, gli enti non sono più quelli. Esemplificando, non si ha esercito se esso non sa presentarsi uno, né si ha coro né greggia, se non sono« uno». Anzi, niente casa o nave se non hanno unità, dal momento che la casa è una unità, e cosl pure la nave, tanto che se perdono l'unità, la casa non sarà più casa e la nave non sarà più nave. Cosl, le grandezze continue non esisterebbero se non fosse loro presente l'unità; certo, una volta che vengano tagliate, in quanto perdono l'unità, mutano il loro essere. Tant'è pure dei corpi delle piante e degli animali: ognuno è un'unità, e, se sfugge a questa unità, sminuzzandosi in una pluralità, perde quel suo primo essere, che aveva, non risultando più quello che era; ma, pur divenendo qualcosa di diverso, anche il nuovo essere esiste in quanto unità. E, del resto, la salute stessa si ha solo allora che il corpo sia coordinato in unità; e si ha bellezza quando le parti siano tenute insieme dalla virtù dell'uno; ma finanche la virtù dell'anima ha luogo allorché le potenze si siano fuse nella unità e precisamente in una concordia unitaria 3•
Domandiamoci ora, una volta stabilito che l'essere degli enti di·pende dalla loro unità, da che cosa ulteriormente derivi questa loro unità. Orbene, rileva Plotino, tutti gli enti fisici ricevono la loro unità dall'anima (come si vedrà più oltre), la quale è appunto attività plasmatrice, formatrice e coordinatrice di tutte ]e cose sensibili, e, in questo senso, è causa e fondamento della loro unità. Diremo, allora, ohe l'anima • Enneadi,
VI,
9, l.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
505
stessa è l'unità, o diremo, piuttosto, che l'anima dà l'unità, ma non coincide con l'unità, e che quindi deriva essa stessa la sua unità da q~alcosa di ulteriore? La risposta di Plotino è chiarissima: vi sono gradi diversi di unità; l'anima ha un grado di unità superiore a quello dei corpi, ma non è essa l'unità: [ ... ] Ogni essere che sia riconosciuto come « uno » è uno proprio in quella misura che il suo essere implica: di conseguenza, gli esseri minori hanno in minor grado l'unità; gli esseri m!lggiori ne hanno di più. Naturalmente, anche l'anima - benché sia differente dall'Uno - possiede l'unità in più alto grado, proporzionatamente al suo più alto e appropriato essere; e, nondimeno, essa non è l'Uno in sé; tanto è vero che l'anima è una e questa unità in un certo senso è accidentale e, di fatto, qui abbiamo due termini: anima più unità; né più né meno che corpo e unità. Cosl il discontinuo - il coro, ad esempio - è quanto mai lontano dall'uno; mentre il continuo gli è già più vicino; e più vicino ancora gli sta l'anima, che è finanche in comunione con l'Uno. Ma se, per il fatto che l'anima non potrebbe proprio essere anima senza essere una unità, s'identifica perciò l'anima e l'Uno, anzitutto- rispondiamoanche tutte e singole le altre cose esistono solo in compagnia dell'« essere-unità»; ma, nondimeno, l'uno è differente da loro; poiché non s'identificano corpo e unità ma il corpo partecipa dell'uno; in secondo luogo, peraltro, è molteplice anche l'anima unica, per quanto non consti di parti; poiché moltissime potenze esistono in essa - ragionare, aspirare, percepire - le quali sono tenute insieme, come da un legame, solo in virtù dell'uno. In definitiva, l'anima una com'è dal canto suo - introduce l'unità in altrui; ma anche essa la sperimenta ad opera di un altro 4 • Dunque, l'anima introduce nel mondo fisico l'unità, ma la riceve, essa stessa, da ciò che le sta al di sopra, vale a dire dal Nous, dallo Spirito e dall'Essere. A questo punto si ripresenta il problema già posto a proposito dell'anima: l'Uno coincide con l'Essere e con lo Spirito, ossia con il Nous? E ,la risposta, anche in questo caso, • Enneadi,
VI,
9, l.
www.scribd.com/Baruhk
506
IL NEOPLATONISMO
è negativa. L'Essere e lo Spirito, per quanto abbiano un grado superiore di unità rispetto all'anima, non sono l'Uno, perché implicano molteplicità: dualità di pensante e pensato e molteplicità di Idee, vale a dire la totalità delle realtà intelligibili: Pure, la impossibilità che lo Spirito sia il primo termine risulterà chiara altresi da quel che verremo dicendo. Necessariamente, lo Spirito è tuffato nel pensiero; e, precisando, lo Spirito nella sua forma più nobile, quello cioè che non volge lo sguardo a cose esteriori, pensa ciò che gli è anteriore; girando, infatti, su se stessa; egli ritorna al suo principio. Allora, non si sfugge a queste ipotesi: se è il pensante e il pensato, egli sarà duplice e non semplice e quindi non sarà l'Uno; se invece guarda verso un altro, guarderà in tutti i casi verso qualcosa che gli è superiore e anteriore; se infine guarda verso se stesso e verso l'oggetto superiore, allora anche per questa via lo Spirito è un secondo termine. Cosi, occorre fare dello Spirito un valore tale che esso da un canto sia presente al Bene e al Primo e volga lo sguardo su Lui, e d'altro canto sia congiunto a se stesso e pensi altresi se stesso e si pensi precisamente come Colui che è «tutte le cose». Ce ne vuole, dunque, perché sia «Uno», dal momento che è cosi vario, lo Spirito! 5 • La radice dell'unità, dunque, è qualcosa che trascende lo stesso Nous, qualcosa di assolutamente scevro di qualsivoglia pluralità, è l'Uno in sé. Ecco ancora un passo significativo: Dunque, il principio creatore del mondo sensibile non potrebbe essere, lui, mondo sensibile, ma Spirito e mondo dello Spirito, cosi, parimenti, il principio anteriore a questo Spirito, il principio che lo generò, non è, in se stesso, né Spirito né mondo dello Spirito, ma è più semplice dello Spirito e più semplice del mondo dello spirito. Non certo dal « molto » deriva il « molto », ma questo nostro « molto » deriva dal « non-molto ». Se, infatti, anch'esso fosse «molto», non sarebbe principio questo «molto», ma vi sarebbe un altro principio prima di questo «molto». Occorre dunque concentrarsi in ciò che è realmente «uno» scevro • Enneadi,
VI,
9, 2.
www.scribd.com/Baruhk
IL
SIS~
DI PLOTINO
507
di qualsiasi molteplicità e finanche di una semplicità qualsiasi, se dev'esser realmente semplice 6 •
In conclusione: nel ricercare il fondamento delle cose, che è l'unità, noi siamo costretti a risalire dal mondo fisico all'anima (che è l'ipostasi più bassa), quindi dall'anima (che ha, ma non è unità) allo Spirito (che è la seconda ipostasi) e dallo Spirito (che ha un'unità più alta ancora di quella dell'anima, ma è esso pure molteplice) ad un principio ulteriore, assolutamente semplice: l'Uno, che è l'ipostasi prima, il Principio imprincipiato, l'Assoluto. Vediamo ora, in modo più preciso, come Plotino intenda questo suo Uno.
2. L'i n fin i tu d i n e, l'assoluta trascende n z a e l a ineffabilità dell'Uno
La caratteristica fondamentale dell'Uno è l'infinitudine, e da questa occorre partire per comprendere le differenze fra la metafisica plotiniana e quella platonico-aristotelica, cui sopra abbiamo fatto cenno. L'infinitudine era stata attribuita al Principio solo da alcuni degli antichi filosofi della physis e in dimensione appunto fisica 7 • In Platone e in Aristotele (e in genere nel pensiero della grecità) era prevalsa l'idea che l'in-finito comportasse imperfezione (che fosse, cioè, sinonimo di in-determinato e di in-compiuto), mentre il finito (nel senso di de-terminato e compiuto) era stat9 associato con il perfetto. Platone aveva inteso il Principio primo come limite (1tÉpac;) e il Principio materiale. come l'illimitato e l'infinito (li'ltELpov) 8. Aristotele, poi, aveva dichiarato impos' Enneadi, v, 3, 16; cfr. anche III, 8, 10. ' Cfr. Anassimandro, Anassimene, Melisso e Anassagora. ' Cfr. vol. n, pp. 102 sgg. e 148 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
508
IL NEOPLATONISMO
sibile l'esistenza dell'infinito in atto, e aveva concepito questo come puramente potenziale, circoscrivendolo alla categoria della quantità, ed aveva affermato, inoltre, che il perfetto implica sempre un fine e il fine un limite 9 • Bisognava quindi, per poter far rivivere l'antica concezione dell'infinito affermata dai Naturalisti, che, in fondo, era un'infinitudine spazio-temporale, rifondarla su un piano nuovo, ossia sul piano dell'immateriale, come già aveva fatto, almeno in una certa misura, Filone di Alessandria 10 • Proprio per non aver compreso questa radicale trasformazione che il concetto di infinito subisce, trasposto e calibrato sul piano dell'immateriale, molti storici della filosofia hanno dato dell'Uno le più disparate e inadeguate interpretazioni. Che cosa significa, dunque, l'infinito nella dimensione dell'immateriale? Ecco le affermazioni di Platino più chiare e più significative a questo riguardo: Ma Egli non è neppure limitato nel suo essere. Da chi, poi? E neppure è illimitato nel senso di grandezza. Dove dovrebbe estendersi? O qual finalità dargli, se non ha bisogno di nulla? La sua potenza, si, quella serba l'infinitudine. In verità, Egli non attinge a una diversa fonte né si esaurisce in se stesso, dal momento che anche l'inesauribile esiste in virtù di Lui. Questa infinitudine, poi, si basa proprio sul fatto ch'Egli non è «più di uno» e che non c'è nulla in cui trovi il suo limite alcuna delle cose che sono in Lui: appunto perché è «uno», dico, Egli non rientra né in una misura né in un numero. Cosi, Egli non incontra il confine né in altrui né in se stesso; ché, in tal caso, Egli cadrebbe già nella dualità. Niente figura, dunque - poiché non ha neppure parti -; niente forma 11 • L'Uno [ ... ] né si trova in un altro né si trova in seno al Ur. \'OI. II, pp. -162 '~ Non ci si deve lasciar trarre in inganno dal fatto che Filone non usi il termine 4nctpov in riferimento a Dio, dato che egli lo riserba alla materia. Ma da tutto quanto egli dice di Dio questo carattere emerge con tutta evidenza. 11 Enneadi, v, 5, 10 e sg. 10
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
509
divisibile, e nemmeno è indivisibile come quel termine minimo della matematica; ché, anzi, è, fra le cose tutte, massimo, non già per estensione reale ma per potenzialità, a tal segno da essere privo di grandezza proprio per la sua potenza; tanto è vero che persino gli esseri che gli tengono subito dietro sono indivisibili e indivisi per la loro potenza, non per le masse. Pure, occorre concepirlo infinito non perché sia interminabile vuoi in grandezza vuoi in numero ma per il fatto che la sua potenza non è circoscritta 12 • Ma se uno insiste a ricercarne la maniera, si ricordi, costui, del fatto che la potenza non è una determinata quantità, ma, pur dividendola col pensiero all'infinito, egli ottiene sempre la medesima potenza abissalmente infinita; poiché essa non ha materia si che con la grandezza della massa debba scemare e farsi più piccola 13 • L'infinito plotiniano, dunque, non è l'infinito dello spazio, né l'infinito della quantità {legata alla spazialità), ma, come in una certa misura già in Filone di Alessandria, l'infinito è inteso come iMimitata, inesauribile, immateriale potenza produttrice. In questo contesto, evidentemente, la parola potenza ( Mv«!L~t;) assume non già il significato di potenzialità, perché questo significato aristotelico era strutturalmente legato alla materia e al corporeo, ma di attività, come già in Filone. Dunque, la potenza coincide, qui, con la forza attiva, con l'attività, con l' evépye~«, con l'atto puro, con l'atto metafisica primo e supremo. Intendere l'Uno come infinita potenza significa, insomma, intenderlo come infinita spirituale energia creatrice (l'Uno è creatore di se medesimo e di tutte le altre cose, come vedremo). Le rivoluzionarie conseguenze che il concetto positivo di infinito immateriale comporta nell'ambito della « seconda navigazione » sono le seguenti.
12 13
Enneadi, Enneadi,
VI, VI,
9, 6. 5, 12.
www.scribd.com/Baruhk
510
IL NEOPLATONISMO
In primo luogo, l'Uno non potrà essere inteso come Idea, ousia nel senso platonico, perché forma ed essenza implicano, per Platone, come già s'è detto, finitudine, peras, ossia limite: sono e producono de-limitazione e de-terminazione. Ma l'Uno non potrà neppure essere l'aristotelica sostanza immobile, eterna e separata, perché anche questa ousia, che è Intelligenza autopensantesi, è, parimenti, finita e determinata 14 • Per conseguenza, poiché l'essere, come era stato inteso da questi filosofi, era l'essere dell'eidos e dell'ousia (e di ciò che si riferisce all'ousia) e quindi essere finito, si. capisce per quale motivo Platino senta la necessità di porre l'Uno « al di sopra dell'essere » e anche, per lo stesso motivo, « al di sopra del pensiero » e di ribadire questa tesi nel corso di tutte le Enneadi con un'insistenza tale, da lasciare H lettore quasi senza tregua. È questa una nuova concezione della trascendenza, che, nell'ambito della grecità, non ha se non assai vaghi precedenti e ha invece un chiaro antecedente in Filone d'Alessandria 15 • Il principio supremo non solo trascende il mondo fisico, ma trascende ogni forma di finitudine, compresa quella finitudine in cui Platone e Aristotele avevano imprigionato lo stesso intelligibile e la stessa Intelligenza. Si comprende, pertanto, come dell'Uno Platino tenda a dare determinazioni prevalentemente negative (infatti, in quanto è infinito, a Lui non si addice alcuna delle determinazioni del firiito, che sono posteriori a Lui) e a dichiararlo, addirittura, ineffabile: Ond'è ch'Egli riesce, tra l'altro, ineffabile, nel senso vero del termine. Poiché qualsiasi parola tu pronunzi, tu avrai pur sempre espresso «una qualche cosa». Nondimeno, l'espressione «al di là di tutto » o quest'altra « al di là dello Spirito venerabile al ,. Cfr. Enneadi, v, 5, 6. 15 Cfr., sopra, pp. 271 sgg. La tesi c'è anche in Albino, ma alquanto attenuata, dr., sopra, pp. 335 sg.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
511
sommo» è l'unica che risponde al vero tra tutte le altre, poiché essa, in definitiva, non è una denominazione che sia qualcosa di diverso da quello che è Lui, né poi è una cosa tra tutte le altre cose: ed Egli è innominato appunto perché noi non sappiamo dir nulla sul conto suo, ma noi tentiamo solo, come ci viene, alla meglio, di dare qualche indicazione intorno a Lui, solo per nostro uso, tra di noi 16 • E quando Platino riferisce all'Uno caratterizzazioni positive, non si contraddice, come qualche studioso ha pensato, perché usa un linguaggio chiaramente analogico, come già aveva fatto anche Filone. Ma vediamo quali sono queste caratterizzazioni positive dell'Uno.
3. Le caratterizzazioni positive dell'Uno Incominciamo dallo stesso termine « Uno », con cui Platino designa il suo principio supremo. L'Uno, riferito al Principio, non significa un particolare uno, ossia una determinata unità, ma è l'Uno-in-sé, ossia la causa e ragion d'essere dell'unità di tutte le altre cose. L'Uno significa l'assolutamente semplice che è ragion d'essere del complesso e del molteplice. Ecco un testo assai eloquente: Se c'è «qualcosa» ulteriormente al Primo, necessità vuole ch'esso o derivi da Lui, immediatamente, o si rifaccia a Lui per via di intermediari; esiste, cosl, un ordine di «cose di secondo grado » e un ordine di « cose di terzo grado »: l'uno risale al Primo - è il secondo, s'intende -, il terzo poi risale al secondo. lo intendo: deve esser di una semplicità anteriore a ogni altra, questo nostro Primo e, precisamente, Egli è diverso da tutto ch'è dopo di Lui, esistente in sé, non mescolato con le cose da Lui derivanti e capace tuttavia di star dentro alla sua volta, in un modo tutto suo, nelle altre cose, uno che è veramente Uno (non come se questo « è » fosse una cosa diversa e poi gli si appli" Enneadi, v, 3, 1.3.
www.scribd.com/Baruhk
512
IL NEOPLATONISMO
casse l'Uno) uno, insomma, di cui già l'espressione « è Uno » suona falsa; uno di cui non si ha né concetto, né scienza; uno, in definitiva, di cui usa dire che « è al di là dell'essere ». Infatti, se non fosse semplice, scevro di ogni casualità e composizione e veramente e propriamente uno, Egli non sarebbe principio; e solo per il fatto che è semplice, ha sovrana indipendenza e primato su tutte le cose; poiché il « non-primo » ha bisogno di ciò che lo precede e il « non-semplice » ha bisogno degli elementi semplici contenuti in lui, a che ne sia costituito 17 • Ma si badi che anche queste precisazioni possono .trarre in inganno, giacché la semplicità dell'Uno non è povertà, ma, al contrario, è infinita potenza, come abbiamo visto, ossia infinita ricchezza: l'Uno, infatti, è potenza di tutte le cose, nel senso che tutte le porta (da sé) all'essere e nell'essere le mantiene 18 , come vedremo. L'altro termine che Platino usa di frequente per designare il Principio assoluto è Agathon, ossia Bene 19 • Si tratta, evidentemente, non di un particolare bene, ma del Bene in sé, o, se si vuole, non di qualcosa che ha il bene, ma che è il Bene stesso 20 • Platino precisa anche che, propriamente parlando, il Principio pdmo è bene non per sé, nel senso che non può essere bene a proprio vantaggio, perché Egli non ha bisogno di nulla, ma è bene per tutte le altre -cose, che di Lui hanno " Enneadi, v, 4, l. " Cfr. Enneadi, v, 3, 15. 19 Enneadi, n, 9, l: «Tant'è, dunque: se la essenza semplice del Bene ci si è disvelata altresl come primordiale (poiché quanto non è primordiale non è semplice) e come qualcosa che non ha nient'altro in sé fuor di certa quale unità; se, inoltre, il cosi detto "Uno" risulta identico a questa essenza (e per certo questa essenza non è dapprima un'altra cosa e, soltanto dopo, "Uno"; né d'altro canto quest' "Uno" è dapprima un'altra cosa e, soltanto dopo, "Bene"); allora, inso=a, quando diciamo l' "Uno" e quando diciamo il "Bene", dobbiamo ritenere che si tratti precisamente di un tale Essere; e il termine "uno" non vuoi già predicare nulla di esso, ma additarlo semplicemente a noi stessi per quanto sia possibile » . ., Cfr. Enneadi, v, 5, 13.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
513
bisogno. In questo senso, egli è Super-Bene: Ma chi è principio non può aver bisogno di ciò che gli tien dietro; il principio del Tutto non ha affatto bisogno di questo Tutto; in realtà, ciò che è bisognoso, è bisognoso in quanto aspira al suo principio; ma se l'Uno è bisognoso, Egli può, evidentemente, cercare questo soltanto: di non essere, cioè, Uno. Sicché avrebbe bisogno del suo proprio sterminatore! Ma tutto, di cui si può dire che sia bisognoso, è bisognoso di bene, è bisognoso, cioè, di colui che lo conserva. Quindi, per l'Uno nulla è bene; e allora Egli non avrà voglia di nulla al mondo. Anzi, Egli è super-Bene; e non è bene per se stesso ma è bene per gli altri esseri che eventualmente siano in grado di parteciparne 21 • È, insomma, il Bene assolutamente trascendente.
Sulla base di quanto si è fin qui detto, è ora possibile chiarire meglio il senso delle affermazioni secondo cui l'Uno è al di sopra dell'essere (dell'ousia e dell'essenza), al di sopra del pensiero e anche al di sopra della vita. Plotino non vuoi dire, evidentemente, che il Primo è il non-essere, il nonpensiero, o qualcosa che è privo di vita. EgLi vuoi dire, invece, che, come principio infinito da cui derivano l'essere, il pensiero e la vita, è alcunché di superiore a questi suoi prodotti. E, in effetti, Plotino usa questi termini quando si riferisce all'Uno accompagnandoli con un otov (che significa «per cosl dire»), ossia in senso analogico, come sopra dicevamo, o, addirittura, parla di Super-Pensiero 22 , e, in certo senso, anche di Super-Essere 23 e, quindi, di Super-Vita 24 • Insomma: l'Uno sussiste, ma non al modo dell'essere delle Idee e delle essenze, perché queste sono un essere principiato e molteplice. Analogamente, Egli non pensa sdoppiandosi in pensante e in pensato, giacché tale sdoppiamento implica, appunto, rottura dell'unità, e quindi il Suo pensiero trascende Enneadi, VI, 9, 6. Cfr. Emzeadi, VI, 8, 16. 23 Cfr. Enneadi, VI, 8, 14 . .. Cfr. Enneadi, VI, 8, 16. 21
22
www.scribd.com/Baruhk
514
IL
NEOPLATONIS~O
la nostra possibilità di determinarlo e di comprenderlo. Del resto, se Platino nega recisamente che l'Uno si pensi e abbia coscienza di sé, allo stesso modo in cui vedremo che lo Spirito pensa e ha coscienza di sé, nega, tuttavia, recisamente altresl che l'Uno sia inconscio. E analogamente nega recisamente che l'Uno sia privo di vita, anche se la sua non è la Vita propria dello Spirito, né quella dell'anima: [l'Uno] ... non è, per cosl dire un Inconscio; no, ma tutto il suo contenuto non solo è in Lui ma è anche con Lui; Egli discerne perfettamente se stesso; c'è vita in Lui; c'è tutto, anzi, in Lui; e persino la sua contemplazione - ch'è Lui stesso - si accompagna a non so qual sentimento in una fissità eterna e in una attività spirituale che non ha a che fare col pensiero dello Spirito 25 •
E ancora: Ma chi mai si rassegnerà ad accogliere una natura che non abbia coscienza e conoscenza di sé? -Ma che volete che conosca? « Io sono»? Ma, Egli non «è»! - Perché non deve dire almeno « Io sono il Bene»? - Ecco, cosl Egli dovrebbe attribuirsi di nuovo il predicato « è »! - Ma, insomma, se Egli si limita ad esprimere unicamente « il Bene » che aggiunta è questa? Certo, uno potrebbe benissimo pensare « bene » senza l'« è » tranne il caso che lo attribuisca a un diverso soggetto; chi invece pensa, di sé, di essere il bene, deve sviluppare tutto il suo pensiero cosl: « Io sono il Bene », altrimenti egli avrà, sl, il pensiero « bene », ma non avrà presente che questo pensare è Lui stesso. Occorre, dunque, che il pensiero sia: « Sono il Bene». Precisiamo: se il pensiero ste:;so è il Bene,· il pensiero non si riferirebbe a lui ma al Bene ed Egli stesso non sarebbe il Bene bensl il pensiero; se invece il pensiero del Bene è diverso dal Bene, il Bene allora esiste già prima del pensiero di lui. Ma se il Bene esiste, in piena sufficienza, prima del pensiero, Egli essendo sufficiente a se stesso rispetto al bene, non ha affatto bisogno del pensiero intorno a se stesso. Concludendo, Egli non pensa se stesso in quanto bene ma in quanto è «qualcosa». Cosl, Egli non ha proprio nient'altro se non un semplice atto intuitivo, da rivolgere sul suo contenuto 26 • 25 20
Enneadi, v, 4, 2. Enneadi, VI, 7, 38.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
515
L'Assoluto plotiniano, insomma, ha un pensiero che è meta-pensiero, ha un'intuizione che è meta-intuizione, ha una vita che è meta-vita; anche la sua volizione, come vedremo, è una meta-volizione.
4. L'Uno come libera attività autoproduttrice
L'Uno è la ragion d'essere di tutto ciò che a Lui segue, ed è tale proprio per il suo essere quello che è. Ma Plotino non si accontenta di una spiegazione a questo livello. Egli non si accontenta, cioè, di dire che, dal momento che l'Uno è, ed è quello che è, allora dall'Uno procedono tutte le altre cose. Plotino pone una domanda ancor più radicale, toccando cosl i limiti estremi delle possibilità della metafisica: perché l'Uno è quello che è? Tale domanda, posta in altri termini, equivale alla seguente: perché c'è l'Assoluto e perché l'Assoluto è cosl come è? Intanto, a) è da escludere che Egli sia per caso o per accidente, perché possono esistere in siffatto modo solo le cose del mondo sensibile, soggette alla vicenda del divenire. E neppure b) egli può esistere per una libera scelta, del tipo di quella che presuppone l'esistenza di contrari sui quali deve operare, perché Egli è al di là di tutto questo. Né c) si può dire che egli esista di necessità, perché la necessità è a Lui posteriore, ed anzi è proprio Lui la legge e la necessità per le altre cose. Nemmeno d) si può parlare, nei confronti dell' Assoluto, di un essere, di un'essenza e di ooa determinata natura e spiegare la sua attività in funzione della sua natura, perché, come sappiamo, egli trascende l'essere e l'essenza, e la sua stessa « attività » è tale solo in senso analogico. Operari sequitur esse, diranno i medievali. Plotino, invece, per caratterizzare il suo Assoluto direbbe il contrario: esse sequitur operari; o, meglio ancora, essere e operare, nell'Assoluto, coincidono: il primo principio si
www.scribd.com/Baruhk
516
IL NEOPLATONISMO
autopone, crea se medesimo, è attività autoproduttrice. Ecco un passo esemplare: Ma, per farla finita, dal momento che la sua cosiddetta «esistenza » coincide con la sua cosiddetta « azione» - certo « essere » e «agire», qui, non sono cose diverse, se è vero, almeno, che tale diversità non ricorreva neppure nel campo dello Spirito allora l'espressione « l'agire in conformità dell'essere » non è per nulla preferibile all'altra « l'essere in conformità dell'agire »; concludendo, il Bene non ha affatto una attività corrispondente alla sua natura; la sua attività, cioè quella che potrebbe dirsi la sua vita, non può affatto venir riportata al suo cosiddetto essere; ma il suo cosiddetto essere è congiunto e quasi connaturato sin dall'eternità con la sua attività; il Bene crea se stesso dall'essere e dall'atto ed appartiene a se stesso e a nessuno v. In Lui la volontà corrisponde al suo atto e quindi al suo essere. Egli è volontà di ·essere quello che è, è libertà totale e assoluta. Inoltre, dice Platino, Egli vuole essere quello che è, perché è quanto di più alto vi sia, è il valore supremo e il supremo positivo. Ecco la pagina in cui Plotino descrive l'Assoluto come causa sui. È una pagina in cui gli orizzonti platonici e aristotelici risultano trascesi e in cui la metafisica antica e, anzi, la metafisica di tutti i tempi, raggiunge veramente i suoi ·estremi limi·ti. È, senza dubbio, la più possente pagina speculativa che l'antichità ci abbia lasciato: Frattanto, se è necessario introdurre queste espressioni che si applicano in modo inesatto all'oggetto della nostra ricerca, si ribadisca ancora una volta che ben a ragione si afferma l'esigenza di non renderlo dualità neppure per successiva astrazione mentale; per il momento, però, solo per destare la persuasione, c'indurremo persino ad uscire dal retto cammino della logica, nel nostro discorso. Se quindi gli assegniamo degli atti e se gli atti di Lui si eseguono, per cosl dire, mediante la sua volontà - poiché Egli non può esplicare il suo atto senza volerlo - e se tali atti sono proprio la cosiddetta « essenza » di Lui, allora la sua volontà e 71
Enneadi,
VI,
8, 7.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
.517
la sua essenza coincideranno. Ma se è cosl, allora come Egli volle, cosl anche è. L'espressione «Egli vuole e agisce secondo la sua natura » non vale più dell'altra « l'essere di Lui corrisponde alla sua volontà e al suo atto». Di conseguenza, Egli è in tutto e per tutto padrone di sé, poiché fa rientrare anche l'essere nel suo libero arbitrio. Attenti a quest'altra considerazione: ogni essere aspira al Bene e preferirebbe essere quel supremo Valore piuttosto che essere quello che è, e crede di essere nella misura più alta, allora che partecipa del Bene; cosl pure ogni cosa si elegge il proprio « essere » in quella determinata situazione che le farà trarre dal Bene il massimo vantaggio possibile; gli è che la natura del Bene, di per se stessa, risulta di gran lunga preferibile, dal momento che già quella quota parte di bene che si trova in un altro essere costituisce il suo più alto motivo di preferenza, la sua libera essenza, cioè quella che gli toccò per virtù di volere e coincide perfettamente nell'unità e nell'identità col volere e giunge alla esistenza mediante il volere stesso. Cosl, fino a quando il singolo essere non possiede il bene, esso vuole qualcosa di diverso, ma appena lo possiede, esso vuole oramai se stesso; e tale presenza del Bene non gli è affatto casuale e il suo essere non è fuori del suo volere; esso viene anzi delimitato dal Bene e in virtù di questo Bene appartiene a se stesso. Se, dunque, in virtù del Bene l'essere in certo senso crea se stesso nella sua singolarità, allora si fa chiaro senz'altro che il Bene dovrà assolvere tale compito, già primordialmente, già verso se stesso, poiché per Lui anche le altre cose traggono la possibilità del loro proprio libero arbitrio; e a quella sua cosiddetta «essenza» è congiunta la volontà di essere di quella tal determinata natura: insomma, non è dato concepire un Bene che sia spoglio della volontà di essere, di per se stesso, quello che è; ond'egli è buon compagno di viaggio a se stesso giacché vuole essere quello che è ed è proprio quello che vuole e la volontà sua e il suo essere sono unità e, nondimeno, la sua unità non viene a scapitarne per questo, poiché tra quello che si trovava ad essere e quello che eventualmente voleva essere non passa differenza di sorta. Infatti, che cosa mai avrebbe potuto volere se non quello che è? Mi spiego: se noi supponessimo che Egli si riservi di divenire quello che voglia ed abbia il diritto di tramutare in qualcosa di diverso la propria natura, ebbene mai e poi mai Egli avrebbe avuto il capriccio di farsi qualcosa di diverso né avrebbe potuto gettare il biasimo contro se stesso come se solo per una
www.scribd.com/Baruhk
518
IL NEOPLATONISMO
dura fatalità Egli fosse quello che è, vale a dire proprio questo stesso essere che Egli stesso sempre volle e vuole tuttora. In verità, la natura del Bene consiste sostanzialmente nella volontà di Lui, di un essere, cioè, che non è corrotto né istigato dalla sua stessa indole ma elegge con libertà se stesso, tanto più che non c'è nient'altro tale che Egli possa venirne adescato. Ecco poi un'altra osservazione da aggiungere: i restanti esseri, ad uno ad uno, non contengono nella loro propria essenza un particolare motivo onde compiacersi di se stessi; tant'è vero che alcuno potrebbe pure sopportare a malincuore se stesso! Per contro, nella esistenza del Bene è necessariamente inclusa la scelta e la volontà del proprio essere; altrimenti non spetterebbe giammai a nessun altro essere l'« esser contento di sé » poiché gli esseri solo in grazia di una partecipazione o parvenza di bene si compiacciono di loro stessi. Pure, ci vuole un po' d'indulgenza quanto ai termini, allorché uno, parlando di Lui, fatalmente, a scopo di dimostrazione, si avvale di quelle espressioni che criticamente noi non permettiamo. Comunque, per ciascuna di esse si abbia pronta la riserva: «per cosl esprimerci». Se dunque il Bene sussiste, e coesistono con Lui la scelta e la volontà (ché, senza queste, Egli non potrebbe esistere) e se occorre tuttavia che questo Bene non sia molteplicità, bisogna addurre ad unità il volere e l'essere; e, precisamente, Egli ha a un tempo, di necessità, il volere - quel volere cioè che deriva da se stesso -, e l'essere - quell'essere, cioè, che deriva pure da se stesso -; in definitiva, questo nostro argomentare ha scoperto che Egli è il Creatore di se stesso: poiché se la volontà promana da Lui ed è, per cosl dire, la sua opera; se però essa s'identifica con la sua esistenza; allora Egli ha chiamato se stesso all'esistenza nel libero modo che s'è descritto: di conseguenza, Egli non è quello che capitò a caso, ma quello che Egli stesso volle 28 • E poco prima di questa pagina Platino aveva espressamente rilevato: [ ... ] Egli non è cosl com'è, perché non poteva esser diverso, ma perché questo suo « cosl com'è» è quanto di più alto si possa immaginare 29 • '" Enneadi, VI, 8, 13. 29 Enneadi, VI, 8, 10.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
519
Da ciò deriva che il principio supremo sia anche non solo amabile, ma altresì amore, amore di sé: E poi Egli è qualcosa di amabile ed è, Lui stesso, amore, e, precisamente, amore di sé; per il semplice fatto che Egli non può trarre altra bellezza se non da sé e in sé. Infatti, persino l'unione con se stesso Egli non l'avrebbe per altra via, se ciò che si unisce e ciò a cui si unisce non fossero un'unica e medesima realtà 31 • Egli però conserva il più alto posto, o, meglio, non l'ha, ma è Lui, l'Altissimo; ed ha tutte le cose nella sua sudditanza senza però capitar loro addosso: invece le cose gli si addossano o, più esattamente, gli fanno corona poiché Egli non volge lo sguardo su loro ma le cose volgono lo sguardo su Lui. Questi è trasportato, per così dire, nell'interno di se stesso, in un atto che vorrei chiamare « amore di sé», amore di puro splendore, poiché Egli è precisamente ciò che ama [ ... ] 31 • Dunque, l'Uno è attività autoproduttrice, assoluta libertà è ciò che esiste da sé e per sé; Egli è « il trascendente se stesso » 32 • creatrice~ causa di sé,
5. La processione di tutte le cose dall'Uno Perché e come dall'Uno sono derivate altre cose? Perché l'Uno, pago di se stesso, non è rimasto in se stesso? È questa, in fondo, come più volte abbiamo avuto occasione di rilevare, la domanda metafisica di più ardua soluzione. Plotino se la pone in maniere lucidissima: [ ... ] Come [ ... ]. dall'Uno, da un «uno» così fatto come noi asseriamo che è l'Uno, come venne all'esistenza qualsiasi altra cosa - molteplicità o diade o numero -? O come mai, tutt'al contrario, Quegli non perseverò in se stesso, ma fece scaturire una così diffusa molteplicità quale si scorge tra gli esseri, quella molteplicità di cui però noi postuliamo che debba risalire a Lui? 33 • "' Enneadi, VI, 8, 15. 31 Enneadi, VI, 8, 16. 32 Enneadi, vr, 8, 14. 33 Enneadi, v, l, 6.
www.scribd.com/Baruhk
520
IL NEOPLATONISMO
Anche il tentativo plotiniano di rispondere a questo problema rappresenta uno dei vertici della metafìsJ.ca dell'antichità. Si tratta di una risposta che, come vedremo, è originalissima e costituisce addirittura un unicum neLla storia delle idee dell'Occidente. Nel rispondere al problema, Platino si avvale, a più riprese, di immagini splendide e divenute giustamente famosissime. Ma, appunto in quanto imml:!gini, esse restano nell'ambiguo, se non vengono concettualmente esplicitate. Purtroppo alcuni interpreti si sono lasciati attrarre più dalle immagini che non dalle esplicazioni concettuali, con grave pregiudizio della comprensione del pensiero del nostro filosofo. È tuttavia necessario prendere le mosse proprio dalle più famose di queste immagini, per poter determinare meglio la concezione teoretica di cui esse sono una preliminare illustrazione. La più celebre è certamente quella della luce. La derivazione delle cose dall'Uno è r·appresentata come l'irraggiarsi di una luce da una fonte luminosa in forma di cerchi successivi via via digradanti in luminosità, mentre la fonte stessa della luce persevera senza impoverirsi pur nel suo espandersi tutto intorno. Il primo cerchio luminoso dopo la fonte di luce è il Nous o Spirito, ossia la seconda ipostasi; H successivo cerchio è l'Anima, ossia la terza ipostasi. Il cerchio che segue ulteriormente segna il momento dello spegnersi della luce e simboleggia la materia, la quale ha bisogno di un irl'aggiamento estraneo, essendo ormai tenebra: Esiste, sl, qualcosa che potrebbe dirsi un centro: intorno a questo un cerchio che irraggia lo splendore emanante da quel centro; intorno a questi (centro e primo cerchio) un secondo cerchio: luce da luce! Ma dal di fuori di questi, non vi è più un nuovo cerchio di luce, ma questo cerchio che seguirà, per mancanza di luce propria, avrà bisogno di un irraggiamento estraneo. Sia questo, allora, una ruota o meglio un globo tale che dal terzo posto (il secondo cerchio) s'avvantaggi- poiché gli è immediatamente confinante -
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
.521
di tutta la luce ch'esso irraggi. Ora, la luce immensa persevera mentre s'irraggia; e il raggio che da essa emana si spande secondo una certa proporzione; ma le restanti luci cooperano all'irraggiamento, e in parte stan n ferme, in parte si fanno attrarre, per soprappiù, dallo stesso splendore delle cose illuminate 34 •
Ed ecco come in quest'altro passo Plotino ripresenta l'immagine della luce intrecciandola con altre divenute non meno famose: il fuoco che emana calore, la sostanza odorosa che emana profumo, il vivente che, giunto a maturità, genera: In qual modo, allora, e che cosa dobbiamo pensare di Lui ch'è immobile? Splendore tutt'intorno diffuso che emana, sl, da Lui, ma da Lui che se ne sta fermo, come, nel sole, lo splendore che gli fa quasi un alone d'intorno; splendore che si rigenera, eternamente, da Lui, ch'è fermo. Del resto, tutti gli esseri, fim:hé durano, dal fondo della loro essenza emanano, tutt'intorno a loro e al di fuori di loro, necessaria, una certa qual esistenza, collegata alla presenza della loro virtù operante ed è come una figura degli archetipi donde germogliò: il fuoco emana il suo interno calore; e la neve non nel suo interno solamente racchiude il freddo; ma una magnifica prova di quel che s'è detto la dànno tutte le sostanze odorose: infatti, per tutta la loro durata, qualcosa vien fuori da loro, tutt'intorno, sl che dalla loro semplice esistenza il vicino trae godimento. Inoltre, tutti quanti gli esseri, giunti ormai a maturità, generano; ma ciò che è sempre perfetto, sempre e in eterno genera; e genera, s'intende, qualcosa d'inferiore al suo essere. Che cosa dovremo dire, allora, di Colui che è perfettissimo? Nulla può nascere da Lui se non quanto vi è di più grande dopo di Lui; ma il più grande, dopo di Lui, si è lo Spirito e gli tien dietro come Secondo; vale a dire che lo Spirito ha la visione di Lui ed ha bisogno di Lui, unicamente, mentre Egli non ha affatto bisogno dello Spirito. Ancora: ciò che viene generato da Uno che supera Io Spirito. dev'essere Spirito e lo Spirito alla sua volta supera tutte le cose poiché le altre cose vengono dopo di Lui. Cosl ancora, l'Anima è il Pensiero dello Spirito ed è, in certo senso, la sua attività, proprio come Io Spirito è pensiero ed attività che si riferisce all'Uno 35 • .. Enneadi, IV, 3, 17. 35 Enneadi, v, l, 6.
www.scribd.com/Baruhk
522
IL NEOPLATONISMO
Altre due celebri immagtm sono: quella della sorgente
inesauribile che genera i fiumi e quella dell'albero: Che è, propriamente [se il.: l'Uno] ? Potenza di tu t ti gli esseri; se questa non esistesse, non esisterebbero né la totalità degli esseri e neppure lo Spirito - vita prima e totale.- Ma ciò che è al di sopra della vita è causa di vita: poiché non è già l'attività della vita - cioè la totalità degli esseri - che è prima; no, ma essa è proprio come se sgorgasse da una sorgente. Pensa, cioè, a una sorgente_che non abbia altro principio che se stessa, la quale però dia di se stessa a tutti quanti i fiumi, senza lasciarsi esaurire mai da questi fiumi, ma perseveri in sé, tranquillamente; pensa invece ai fiumi nati da essa, i quali, prima che scorrano qua e là distinti, se ne stanno insieme ancora un tratto; ma ognuno già sa, per cosl dire, dove verserà le sue correnti. Ovvero, pensa a un albero gigantesco: la sua vita lo pervade tutto, mentre il suo principio resta immobile e non s'è disperso nel tutto ma s'è invece saldamente fondato, per cosl esprimerci, nella radice. Questo principio, quindi, fornisce all'albero la vita tutta quanta nella sua molteplicità; esso invece resta immobile in sé, poiché non è già molteplice ma solo principio di molteplice vita 36 •
Infine, meno celebre ma non meno interessante è l'imma-
gine dei cerchi concentrici: l'Uno è come il centro, la seconda ipostasi è come un cerchio immoto, mentre l'anima è come un cerchio mobile: Cosl i singoli gradi dell'essere si comportan come segue: se si fa del Bene il centro, si deve porre lo Spirito come un cerchio immoto e l'Anima, invece, come un cerchio mobile; mobile, intendo, in forza dell'aspirazione. Poiché lo Spirito l'ha proprio 11 dinanzi il Bene e lo tiene abbracciato; l'Anima, per contro, aspira a ciò che è al di là. E la sfera dell'universo, la quale reca in sé l'Anima con quella sua aspirazione al superno, si muove come dètta la sua brama nativa; ma l'universo in quanto è corpo, aspira, naturalmente, a ciò dond'esso è fuori, a stendersi tutt'intorno, cioè, e a cingersi di se stesso: e, insomma, circolarmente 31 • .. Enneadi, "' Enneadi,
III, IV,
8, 10. 4, 16.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
523
Ma- si badi- si tratta di cerchi strutturalmente prodotti dal centro, come Platino precisa nel seguente passo, illustrando soprattutto il rapporto fra centro e primo cerchio e poi tornando ancora all'immagine della luce: Ora, un paragone: è pacifico che appunto perché tocca il centro, un cerchio trae le sue proprietà dal centro; esso è, per cosl dire, « centriforme » in quanto i raggi, che tutt'in giro convergono su l'unico centro, fanno sl che quella loro estremità, che va a finire nel centro, sia proprio della stessa natura di quel punto sul quale approdano e da cui per cosl dire germogliarono i raggi; il centro tuttavia è più grande di questa sua coincidenza con questi raggi e, precisamente, con queste loro estremità, punti caratteristici dei raggi - le quali estremità sono, semplicemente per assimilazione, quel centro; ma, in realtà, esse sono immagini fievoli e, vorrei dire, una semplice orma di Lui, del centro, dico, il quale è, in potenza, queste estremità, ed è, pure in potenza, questi raggi, i quali lo posseggono in sé in ogni loro punto; e proprio per mezzo dei raggi, quel centro si manifesta cosl com'è: mentre viene sviluppato, vorrei dire, senza essere già svolto. In questa prospettiva, appunto, si vuoi concepire tanto lo Spirito quanto l'Essere; nato da Lui e quasi versato fuori e svolto e sospeso alla natura spirituale di Lui, lo Spirito attesta che nell'Uno v'è, per cosl dire, uno « Spirito non-Spirito». Poiché Egli è Uno. Ritornando al nostro paragone, il centro, ll, non era né i raggi né la circonferenza, ma era il padre della circonferenza e dei raggi e presentava solo un'orma di se stesso; nella sua quieta potenza, esso aveva generato, da non so quale intima forza, raggi e circonferenza, i quali non si staccano completamente da Lui; proprio cosl, si comporta anche quell'Altissimo; mentre la potenza dello Spirito scorre tutt'intorno, Egli è come il tipo ideale della figura di Lui espressa nell'« Uno-Molti» la quale è in cammino, per cosl dire, verso la molteplicità e s'è tramutata, per via di questa, in Spirito; ora, se Colui che persevera nella sua immobilità prima dello Spirito, ha generato lo Spirito dalla sua potenza, quale ventura mai, quale cieco impulso o quale accadimento casuale potrebbe farsi dappresso a una cosl sublime potenza la quale è creatrice dello Spirito e creatrice in un senso reale? A voler porre su uno stesso piano il contenuto dello Spirito, per molti rispetti superiore a tale contenuto risulta ciò che è contenuto in quell'Uno superno: gli è come se una luce partendo da un unico centro, che persevera in se stesso, nella sua traspa-
www.scribd.com/Baruhk
524
IL NEOPLATONISMO
renza, si disperda per largo tratto, e allora la luce cosl dispersa è semplicemente una immagine, mentre il centro donde sorse è la luce vera; e tuttavia la luce che si disperse non è di genere diverso dalla sua fonte; cosl, lo Spirito è semplicemente una immagine, e non esiste per un puro caso, ma in ogni singola parte del suo essere dominano ragione e causalità; l'Uno, però, è causa della causa 38 • Queste sono le immagini: ma, come sopra accennavamo, esse sono state prese troppo alla lettera, ed alcuni interpreti si sono addirittura fermati ad esse, con il risultato di fraintendere o di non comprendere affatto i concetti che esse dovrebbero chiarire. È sulla base di esse, soprattutto, che si è parlato di « emanazionismo » e perfino di « panteismo » e di « monismo ». In realtà, le cose sono assai più complesse di quanto queste formule non lascino supporre e solo dopo aver ultimato l'esposi:llione e l'interpretazione di tutto il sistema plotiniano sarà possibile intendere in tutte le molteplici valenze che cosa significhi veramente la plotiniana « processione dall'Uno ». Per il momento, tuttavia, è già possibile chiarire una dottrina essenziale, destinata a far apparire la processione in una luce inaspettata. Intanto, da tutte le immagini si ricava già questo. Il principio rimane ( (Lévet ), e, rimanendo, genera, nel senso che il suo generare non lo impoverisce, non lo menoma, non lo condiziona. Ciò che è generato è inferiore al generante e non serve al generante; il generato ha bisogno del generante, non viceversa 39 • Ci si domanderà a questo punto: data la sua infinita perfezione e la sua trascendente potenza, il generante non è torse « necessitato » a creare? Può la fonte di luce non mandare luce, la polla d'acqua non mandare acqua, il corpo
Enneadi, VI, 8, 18. ,. Cfr., ad esempio, Enneadi, v, 3, 12 e passim. È, questo, uno dei punti cardini dell'ontologia plotiniana. 31
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEl4A DI PLOTINO
525
profumato non « emanare» profumo? È proprio su questo punto che le immagini traggono 1n inganno, rivelando solo un aspetto del pensiero plotiniano e velando l'altro, che è proprio l'aspetto più nuovo. Plotino distingue, infatti, due tipi differenti di attività dell'Uno (e anche delle altre ipostasi): a) l'attività dell'ente e b) l'attività che deriva dall'ente: la prima è immanente all'ente, per cosl dire, mentre la seconda esce dall'ente e si dirige al di fuori. In altri termini, l'attività dell'ente coincide con la singola realtà, mentre l'attività che deriva dall'ente si dirige ad altro. Orbene, applicando questa distinzione all'Uno, si dovrà parlare a) di una attività dell'Uno e b) di una attività che deriva dall'Uno; a) l'attività dell'Uno è quella che lo fa essere e lo manoiene e lo fa « rimanere »; b) invece l'attività che deriva dall'Uno è quella che fa sl che dall'Uno derivi o meglio « proceda » un'altra realtà. È chiaro che l'attività dall'Uno dipende strutturalmente dalla stessa attività dell'Uno ~0 • Ma prima di trarre le conseguenze che da taLi principi scaturiscono, leggiamo il passo, fondamentale eppure non molto conosciuto, in cui tali principi vengono esposti con tutta chiarezza: Ma come - Lui fermo - si svolge il divenire? In virtù della forza operante. La quale è duplice: l'una è chiusa nell'essere; l'altra sgorga al di fuori dell'essere particolare di ciascuna cosa; e, precisamente, quella che appartiene all'essere è proprio quella singola cosa in atto; quella che sgorga fuori, da esso, e che deve necessariamente tener dietro ad ogni cosa, è diversa da quella singola cosa. Tant'è, per esempio, nel fuoco: vi è, da un canto, il calore che entra di pieno diritto nella sua essenza; e v'è, d'altro canto, il calore che nasce già come derivato dell'essenza, allora
"" Il primo studioso che ha richiamato l'attenzione su questo punto in modo adeguato ci sembra sia stato A. Covotti, Da Aristotele ai Bizantini, Napoli 1935, pp. 134-141. Molto chiaro è anche J. M. Rist, Plotinus, The Road to Reality, Cambridge 1967, pp. 70 sgg., che, però, sembra ignorare Covotti.
www.scribd.com/Baruhk
526
IL NEOPLATONISMO
che il fuoco, in quel semplice perseverare come fuoco, esercita la forza operante chiusa nativamente nel suo essere. Proprio cosl è anche nel mondo superno; lassù, anzi, a più forte ragione: mentre l'Uno persevera nel suo proprio modo di essere, la forza operante, nata com'è dalla perfezione e dalla congiunta forza operosa ch'è in Lui, s'ipostatizza appunto perché sorge da una potenza enorme - la suprema, certo, tra tutte 41 • Orbene, applicando questa dottrina al problema di cui sopra dicevamo, si ricava una soluzione opposta a quella che si è spesso ricavata, non tenendo conto di essa. È vero che le cose procedono dall'Uno perché l'Uno è quello che è, ossia infinita forza trabocc·ante; ma abbiamo anche visto sopra che l'attività dell'Uno consiste proprio nel voler essere ciò che è, ossia nella libertà di essere ciò che è, cosicché l'attività che procede dall'Uno e che consegue necessariamente all'attività dell'Uno (ossi•a la pretesa « emanazione ») costituisce una necessità, in certo senso, voluta, oss•ia una necessità posta da un atto libero o, meglio, la conseguenza di un atto libero. Giustamente è stato quindi di recente rilevato che, da tutto questo, si deve concludere che «la volontà dell'Uno di essere la sua propria natura è la causa diretta dell'emanazione dalla sua natura » e che, pertanto, in un certo senso « la crea21ione è libera, non più e non meno, di quanto lo sia l'Uno stesso » 42 • Noi preferiremmo dire che la crea21ione (la processione) è una necessità che consegue ad un atto di libertà. Questo è di per sé sufficiente a mostrare la grande novità della processione plotiniana. Ma solo l'esame delle altre ipostasi potrà fornirci tutti gli elementi necessari per comprenderla a fondo 43 • •• Enneadi, v, 4, 2 . ... Rist, Plotinus ... , p. 83. "' Per ulteriori approfondimenti sulla concezione plotiniana dell'Uno dr. Arnou, Le désir ... , passim; Annstrong, The Architecture ... , pp. 1-47; Rist, Plotinus ... , pp. 21-83.
www.scribd.com/Baruhk
II. LA SECONDA IPOSTASI: IL « NOUS
» O SPIRITO
l. Il duplice rapporto che lega l'Uno e lo Spirito
La generazione delle ipostasi implica, oltre aLle due sopra illustrate, una ulteriore attività, la quale non è meno essenziale di quelle, giacché senza di essa le ipostasi non potrebbero sussistere. Si tratta dell'attività del «rivolgersi» al principio da cui ciascuna ipostasi deriva per « guardarlo » e per «contemplarlo ~>. Questa « attività contemplatrice », si badi, nelle. famose immagini sopra esaminate non è per nulla espressa. Di conseguenu, essa è stata del tutto misconosciuta (e talora ignorata) da interpreti anche famosi, mentre, in realtà, rappresenta uno dei cardini attorno a cui ruota la metafisica plotiniana. In particolare, per quanto concerne la seconda ipostasi di cui ci stiamo ora occupando, è da rilevare che la potenza o attività non genera senz'altro il Nous o Spirito, bensl qualcosa di « indeterminato » o « informe », e questo si determina e diviene mondo delle forme rivolgendosi all'Uno, guardando e contemplando l'Uno e di Lui fecondandosi e riempiendosi, appunto mediante tale « contemplazione » (e poi anche, come vedremo, contemplando se medesimo fecondato dalla contemplazione dell'Uno). Questo prodotto indeterminato e informe dell'Uno (prima che si rivolga a contemplare l'Uno) è detto da Platino «alterità » intelligibile, « materia oi:ntelligibile » e anche « primo moto», ossia moto intelligibHe. Ecco un testo molto significativo in merito:
www.scribd.com/Baruhk
528
IL
NEOPLATONIS~O
E, invero, « l'alterità » intelligibile, la quale crea la materia, è eterna; poiché essa è principio di materia, essa col primo moto; quindi anche questo' veniva detto « alterità», poiché nacquero insieme, movimento e alterità; e sono indeterminati sia il movìmento come l'alterità che derivano dal Primo e di Lui hanno bisogno per essere determinati: essi raggiungono la determinazione, ogni volta che a Lui si rivolgano; prima però anche la materia è cosa indeterminata, ed è pur l'« altro », e non è ancora il bene, ma è priva del suo splendore. Vale a dire che se la luce si diparte da Lui, ciò che è ricettacolo di luce, prima di riceverla, non ha di per sé, eternamente, luce, ma l'ha come qualcosa di diverso da sé, poiché la luce è derivata da un « Altro » 1• Illingu'
Enneadi, II, 4, 5. Cfr. Enneadi, v, 3, 7.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
529
bensì la causa e la condizione che lo fa essere. Platino distingue, in.fatti, due momenti: a) il «rivolgersi» della potenza all'Uno, il quale feconda, riempie e colma la potenza medesima, e b) il « riflettere » di questa potenza su se medesima già fecondata. I due momenti (i quali sono, ovviamente, solo logicamente e non cronologicamente distinguibili) spiegano le due facce dello Spirito. a) Nel primo momento, nasce la sostanza, l'essenza, l'essere (ossia il conten~to del pensiero); b) nel secondo momento nasce il pensiero vero e proprio. Questa duplicità di momenti. spiega altresl la nascita del molteplice: non solo la dualità pensiero-pensato, ma anche la molteplicità stessa del contenuto (la molteplkità delle Idee). Ecco uno dei passi più significativi al riguardo: [ ... ] Egli trabocca, per cosl esprimerci, e la sua esuberanza dà origine a una realtà novella; ma l'essere cosl generato si rivolge appena a Lui ed eccolo già riempito; e, nascendo, volge il suo sguardo su di se stesso ed eccolo Spirito. Precisiamo ancora: il suo fermo orientamento verso l'Uno crea l'Essere; la contemplazione che l'Essere volge a se stesso crea lo Spirito. Ora, poiché lo Spirito, per contemplarsi, deve pur stare orientato verso se stesso, Egli diviene simultaneamente Spirito ed Essere 3 •
Ma c'è ancora un punto da chiarore. La nascita della seconda ipostasi è nascita di un molteplice, o, se si vuole, di un Uno-molti, non solo, come si è già accennato, nel senso che lo Spirito è Intelligenza e Intelligibile, ma anche nel senso che l'intelHgibile è molteplicità, sia pure unificata (è, come vedremo, cosmo intelligibile, mondo delle Idee). Si potrebbe pensare di poter spiegare la genesi di questa molteplicità con la inade.guatezza o incapacità della seconda ipostasi di cogliere l'Uno nella sua infinitudine. In effetti, qualche testo, ad una prima lettura, sembrerebbe avallare tale esegesi: • Enneadi, v, 2, l.
www.scribd.com/Baruhk
530
IL NEOPLATONISMO
Pertanto, lo Spirito trae da Lui la potenza di generare e di restar gravido della sua stessa genitura, poiché il Bene offre quel che Egli stesso non aveva. Comunque, dall'unità del Bene, deriva, per lo Spirito, la molteplicità; mi spiego: non essendo lo Spirito in grado di reggere quella potenza che recava in sé, la frantumò e ridusse l'unità a molteplicità, affinché cosl riuscisse a sostenerla a parte a parte 4 • Ma bisogna subito osservare che, in realtà, la posizione di Plotino risulta più complessa e lo stesso passo ora riportato, letto con attenzione, lo rivela. Lo Spirito, infatti, non pensa l'Uno, ma pensa se medesimo riempito e fecondato dall'Uno. Il molteplice nasce solamente all'interno della seconda ipostasi, nel senso che lo Spirito non vede l'Uno come molteplice, ma vede sé come molteplice. Ecco il passo più interessante: Allorché lo Spirito guardava verso il Bene, pensò egli quell'Uno come molteplicità e, sebbene questo fosse uno, egli lo pensò forse molteplice e lo spezzò in sé per la impossibilità di pensarlo tutt'una volta insieme? Intanto, egli non è ancora Spirito, allorché guarda Lui, ma lo guarda in un modo che non è spirituale ancora. Anzi, si dovrebbe dire che egli non lo ha giammai visto propriamente bensl viveva orientato verso di Lui e dipendeva da Lui e si volgeva a Lui; cosl questo suo movimento raggiunse la pienezza in grazia di quel moto, lassù, e precisamente intorno a lui e riempllo Spirito ond'esso non fu più semplicemente un movimento ma un movimento saziato e colmo; in seguito, poi, egli divenne « tutti gli esseri » e avvertl questo fatto nuovo nella consapevolezza di se stesso ed ·eccolo, ormai, Spirito! Ricolmo, acciocché abbia quello che deve contemplare; veggente, a un tempo, di esseri e di luce; poiché egli riceve altresl questa luce da Colui che gli elargl gli esseri 5 •
• Enneadi, • Enneadi,
VI, VI,
7, 15. 7, 16.
www.scribd.com/Baruhk
IL
SIS~
DI PLOTINO
531
2. Lo. Spirito come Essere, Pensiero e Vita
L'Uno è « la potenza di tutte le cose », lo Spirito è, a sua volta, « tutte le cose » 6 • Che cosa significa questo? In p11imo luogo, è da rilevare che lo Spirito plotiniano, come già abbiamo accennato, è inscindibile unione di Essere e di Pensiero, di Intelligibile e di Intelligenza. Lo Spirito, per Platino, è l'Essere puro di Platone, quell'Essere che è pienamente e non è in alcun modo affetto dal non-essere, e, ad un tempo, è il Pensiero di pensiero di cui parlava Aristotele 7 • Come abbiamo avuto più volte occasione d~ rilevare, Aristotele, nel proseguire la platonica «seconda navigazione», aveva posto l'Intelligenza come immateriale e aveva anche detto che questa era la prima ousia, l'essere supremo, la pura essenza; ma, nello stesso tempo, egli l'aveva in certo senso impoverita di contenuto, proprio mentre credeva di averla arricchita, assegnandole come oggetto del suo pensare solo se stesso (se stesso come pensiero) e riservando all'intelligenza umana la prerogativa di essere il luogo delle forme, immanentizzate nel sensibile (l'intelletto umano è il luogo delle forme, • Cfr. Enneadi, v, 4, 2. Sono pertanto evidenti le ragioni per cui non è corretto tradurre il termine Nous (vo\iç) semplicemente ~ Intelletto o Intelligenza, eppunto perché il Nous plotiniano è termine polivoco, in quanto include, oltre le valenze concettuali dd Pensiero, altresi quelle dell'Essere e della Vita. Ci sembra pertanto che Spirito sia la traduzione meno inadeguata, appunto per· ché, in qualche modo, suggerisce la doppia valenza. Bene ha fatto dunque il Cilento a scegliere questo· temine per rendere l'originario greco (gli influssi dell'idealismo crociano su Cilento, se ci sono stati, in questo caso non lo hanno per nulla fuorviato); del resto il Nous plotiniano è spesso reso in francese con Esprit, in inglese con Spirit, in tedesco con Geist, che sono i termini che corrispondono esattamente a Spirito. (:~ proprio la complessità dei connotati dello Spirito che indurrà i Neoplatonici posteriori a frantumarlo in ulteriori ipostasi). Cfr., oltre a quello che sotto diremo, Enneadi, v, 3, 5. 7
www.scribd.com/Baruhk
532
IL NEOPLATONISMO
in quanto tutt·e le può accogliere, astraendole dai sensibili). Ma Plotino nega che le forme possano essere immanentizzate alla maniera aristotelica, rivendica ad esse una struttura trascendente, e, sulla scia dei Medioplatonici, dei Neopitagorici e soprattutto di Filone di Alessandria, fa dell'Intelligenza la dimora del platonico mondo delle Idee. Lo Spirito è cosl, per Plotino, la dimora di tutti gli esseri (ideali), senza eccezione: Noi affermiamo che gli esseri in quanto esseri - sia ogni singolo essere in sé, sia l'Essere verace - hanno dimora nella regione dello Spirito non solo perché essi perseverano inalterati nel loro essere, mentre tutto ciò che rientra nell'ambito della sensazione scorre e non dura (anche tra i sensibili, del resto, c'è forse qualcosa che dura) ma soprattutto perché essi traggono da se stessi la compiutezza del loro essere. In realtà, quella che vien chiamata «essenza originaria» non può certo esser un'ombra dell'essere ma deve possedere la pienezza dell'essere. Ma l'essere è nella sua pienezza, allorché assuma la forma del pensare e del vivere. Cosl, nell'essere, coesistono a un tempo il pensare, il vivere, l'essere. Dunque, se è Essere è anche Spirito; e se è Spirito è anche Essere: e il pensare va di pari passo con l'essere 8 •
Questa identificazione di Essere e Pensare comporta una radicalizzazione della tesi, già sostenuta da Filone, dai Medioplatonici e dai Neopitagorici, secondo cui le Idee sono pensieri di Dio. Infatti, nel contesto plobiniano, le Idee vengono ad essere non solo il contenuto del Pensiero, ma, esse stesse, pensiero, nel senso che ciascuna e tutte le Idee non solo sono nello Spirito} ma sono 1 esse stesse, Spiriti. Ecco un passo molto interessante: Se dunque l'atto del pensare ha per oggetto il contenuto dello Spirito, proprio questo contenuto è la forma e l'idea di cui qui si discorre. Che è questa forma? Spirito ed essenza di natura spirituale: non è diversa dallo spirito ogni singola idea ma è, ciascheduna, spirito. E} precisamente} nel suo comple,sso lo Spirito è il • Enneadi, v, 6, 6.
www.scribd.com/Baruhk
.533
IL SISTEMA DI PLOTINO
complesso delle forme; ma la forma nella sua singolarità è lo Spirito preso come singolo, come la scienza nel suo complesso è tutti i suoi teoremi, ma ciascun teorema è una parte dell'intera scienza, non come se esso se ne separasse spazialmente, ma in quanto esso ha, come singolo, la sua validità solamente nel tutto. Cosl, codesto Spirito è in se stesso e, possedendo se stesso in piena pace, è pienezza saziata per l'eternità. Ora, se lo Spirito fosse immaginato da noi anteriore all'Essere, si dovrebbe dire che lo Spirito, operando e pensando, porti a termine e generi gli esseri; ma poiché è una necessità che si pensi l'essere prima del pensiero, si deve ammettere che l'essere giaccia dentro il Pensante e che l'attività e il pensiero risiedano nell'essere come nel fuoco c'è già l'energia del fuoco, affinché cosl l'essere serri in sé, come sua propria forza, lo Spirito che è unità. Ma anche l'Essere come tale è attività: dunque entrambi hanno un'unica attività, o, meglio, essi sono, l'uno e l'altro, una realtà sola. Unitaria natura, dunque, cosl l'Essere come lo Spirito; cosl pure, conseguentemente, gli esseri, l'attività dell'Essere, e lo Spirito come noi l'intendiamo; e i pensieri cosl intesi sono l'idea e la forma dell'essere e la sua forza operante. Purtroppo, proprio noi uomini operiamo questo frazionamento e poi immaginiamo una cosa prima dell'altra: gli è che il nostro spirito frazionante è diverso da quello Spirito indivisibile e non frazionante che è l'Essere e il Tutto 9 • Naturalmente, lo Spirito è anche Vita, è «il Vivente perfetto », «H Vivente in sé », è « Vita infinita » 10 • Plotino ha cura 11 di sottolineare che la vita non è necessariamente legata alla dimensione fisica e che anche in noi c'è una vita distinta da quella dell'organismo fisico. La vita della seconda ipostasi è vJta ndla dimensione dell'immateriale, è vita spirituale, al di fuori della temporalità. Del resto, già Aristotele aveva caratterizzato il suo Motore Immobile come la più alta forma di vita che sia possibile, che è 1'<1 vita propria del pensiero e dell'intelligenza, appunto nella dimensione dell'eternità 12 • • Enneadi, v, 9, 8; dr. anche VI, 6, 6. •• Cfr. Enneadi, v, 9, 9; VI, 4,14; vr, 6, 7; vr, 6, 1.5; vr, 7, 8; 11 Cfr. Enneadi, vr, 6, 8. " Cfr. Aristotele, Metafisica, A, 7 e 9.
www.scribd.com/Baruhk
VI,
7, 12.
534
IL NEOPLATONISMO
3. Lo Spirito come «cosmo intelligibile»
Nel nuovo contesto della dottrina ipostatica dello Spirito,
il platonico Iperuranio diventa «cosmo intelligibile». L'espressione era stata coniata da Hlone di Alessandria, il quale, come abbiamo veduto, aveva compiuto il più significativo ripensamento della dottrina delle Idee prima di Platino. Il nostro filosofo riprende da Filone, oltre che l'espressione, una serie di spùnti, che sviluppa in modo originale, e, sulla base della sua inedita concezione ddlo Spirito come strutturale unità di Essere e Pensare, procede, oltre Filone, alla più audace riforma della dottrina delle Idee proposta dalla speculazione antica. Ecco quali sono, in sintesi, i tratti essenziali della riforma plobiniana della teoria delle Idee. l) La modifica principale, già sopra rilevata, consiste nella trasformazione dell'Idea da mero intelligibile in intelligenza, o, meglio, in qualcosa che è, ad un tempo, intelligibile e intelligenza, in una «sostanza pensante» (voepa oùatoc), in cui pensante e pensato coincidono. Le Idee diventano « forze » o « potenze inbeUigenti » ( voepotl 8uv!X!Letç), e dunque vive, ossia « Spiriti » o « Intelletti » 13 • In breve: come le Idee sono la molteplicità degli Esseri intelligibili in cui si determina l'Essere all'intémo dell'Essere stesso, cosl esse sono, eo ipso, molteplicità di Spiriti (di Intelletti) in cui si determina lo Spirito all'interno di se medesimo. 2) Strettamente connessa a questa è l'ulteriore modifica della conce2lione del rapporto sussistente fra le Idee, fra ciascuna Idea e la totalità delle Idee, e viceversa. Pl.atone, come abbiamo visto, aveva, sl, sostenuto l'esistenza di una trama di rapporti (sia positivi sia negativi) fra le varie Idee, ma Platino si spinge assai oltre, giungendo ad affermare che ciascuna Idea è in certo senso tutte le altre Idee. Infatti, poiché lo Spirito
.. ar.
Enneadi, IV, 8, 3; v, 9, 8; VI, 2, 20; VI, 7, 17; VI, 8, 3.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
535
è intelligenza non di una cosa, ma di tutte le cose e con esse coincide, è necessario che ogni sua « parte » sia essa pure conoscenza di tutte le cose, ché, altrimenti, se qualche parte restasse fuori, dal momento che ciascuna e tutte le parti sono Spirito, ne conseguirebbe l'assurdo che parte dello Spirito sarebbe fuori dello Spirito. In questo senso, Plotino dice che lo Spirito è uno-molti, vale a dire unità molteplice e molteplicità una. Questa caratteristica delle Idee, che suona cosl paradossale, in realtà ben si spiega, tenendo presenti i due tratti essenziali dello Spirito in generale (di cui esse sono momenti particolari), vale a dire a) l'immaterialità o incorporeità e b) l'infinitudine (nel senso di inesauribilità della sua potenza). a) In quanto sono incorporei, l'Essere e lo Spirito non
possono essere intesi come molti, come se fossero divisi nelle varie Idee, ossia quasi fossero frazionati in parti fisicamente staccate le une dalle altre, appunto come avviene nelle parti in cui si dividono i corpi, le quali sono molteplici in quanto occupano spam molteplici e sono diverse a motivo del loro spessore fisico. Le molte Idee che costituiscono l'Essere e lo Spirito, invece, sono tali per via dell'alterità intelligibile (di cui già Platone parlava nel Sofista): [ ... ] Noi [ ... ] concediamo che l'Essere sia molteplicità per via di alterità non nel senso del luogo. Infatti, l'Essere è « tutto, simultaneamente» anche se sia in questo senso pluralità; poiché « l'essere confina con l'essere », ed è « tutto simultaneamente »; lo Spirito altresl è molteplice solo in virtù di alterità non già in senso locale ma è pure «tutto, a un tempo» 14 •
Questa « alterità », insomma, nella misura in cui non è alterità di parti fisiche e corporee, ma è differenziazione puramente spirituale, rientra nell'essere (è alterità dell'Essere e nell'Essere); ma l'Essere è unità, di guisa che, in questo senso, •• Enneadi,
VI,
4, 4.
www.scribd.com/Baruhk
536
IL NEOPLATONISMO
le Idee risultano una molteplicità semplice e una, e una unità molteplice, come sopra dicevamo. Ecco un testo molto indicativo: Sarà dunque, l'Essere, vario e molteplice? Vario, sl, ma di una varietà semplice, di una molteplicità una. E, invero, l'Essere è forma razionale unica e molteplice e l'essere universale è unitario. Poiché anche l'« altro » è dovuto al suo essere e l'alterità gli appartiene: essa, s'intende, non può rientrare. nel « non-essere ». Inoltre, l'essere rientra nella inseparata Unità e dovunque stia l'essere gli è d'accanto altresl la sua unità e l'Uno d'altro canto è Essere, in se stesso; poiché è possibile che coesistano presenza e distinzione 15 • b) Le stesse conclusioni si ottengono considerando i paradossi dell'uno-molti e del tutto-in-tutti secondo il parametro dell'infinito. Se lo Spirito è infinito (ed è infinito in quanto è fucondato dall'infinita potenza dell'Uno, sia pure rifratta nel modo sopra veduto), possiede ogni singola cosa, e, viceversa, in ogni cosa ci devono essere tutte le altre cose, altrimenti nella singola cosa l'Essere (lo Spirito) risulterebbe menomato e depauperato e, quindi, niente affatto infinito. Ecco due testi che illustrano questi concetti:
E, invero, gli esseri dello Spirito, pur essendo «molti» sono « uno »; e, pur essendo « uno », sono, altresl, « molti » in virtù della loro natura che non ha limiti. E, cosl, « molti » in « uno »; « uno » in « molti »; e tutti esistono, simultaneamente. Il loro atto, se è riferito all'universale, avviene con tutto il loro essere; ma, anche se è riferito al particolare, avviene pure con tutto il loro essere 16 •
Ecco: l'Essere basta di per sé anche per ogni singolo individuo e serra in sé tutte le anime e tutti gli spiriti. Infatti, Egli è uno ma d'altro canto è pur infinito: è tutto a un tempo e reca in sé il singolo, distinto, e, nondimeno, non-distinto per via di separazione. In quale altro senso, infatti, l'Essere potrebbe dirsi 15 Enneadi, " Enneadi,
VI, VI,
4, 11. 5, 6.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA M PLOTINO
537
infinito se non in questo che possiede tutto a un tempo, vale a dire ogni vita ed ogni anima ed ogni spirito? Ognuno di questi esseri, però, non è separato dagli altri per via di barriere; ed ecco perché l'Essere è, altresì, uno 17 • 3) Anche il carattere di eternità dello Spirito (e quindi delle Idee) viene ad ·assumere una nuova valenza, e, anziché essere determinato semplicemente come immobile presente, ossia come statica atemporalità, viene concepito, dinamicamente, in connessione, oltre che alla perfezione, all'infinitudine, ossia all'inesauribilità della sua potenza, e quindi in connessione al teorema del « tutto in tutto ». Nello Spirito, il « fu » e il « sarà » sono nell'« è », in quanto ogni cosa
che spetta allo Spirito deve essere sempre interamente contenuta attualmente nello Spirito. Insomma, il futuro è nell'« è» del presente (cosl come lo è anche il passato), perché tutto è in tutto, perché lo Spirito è tutte le cose, non abbisogna di nulla ed è inesauribile (infinita potenza): Ma se ogni forza operosa di Dio non vuoi rimanere incompiuta, se è un vero sacrilegio pensare che una benché minima cosa che riguardi Dio si differenzi appena dall'Intero e dal Tutto, allora, in ogni cosa che gli spetta, dev'esser contenuto il tutto. Cosl, ciò che rientra, di solito, nel futuro, in Lui rientra nel presente; in verità, nulla è tardivo in lui, ma ciò che lassù è ormai presente, solo più tardi s'affaccia al divenire, «in un altro». Ora, se il futuro è già presente, esso vuoi esser presente, necessariamente, proprio come un pensiero anticipatamente fermo per l'avvenire, vale a dire nel senso di questa formula: «Egli non ha bisogno mai di nulla »; o di quest'altra: « Egli è inesauribile». Conseguentemente, tutto già fu e fu in eterno e fu nel senso che solo la parola umana, più tardi, disse: «questo, dopo quest'altro». Mi spiego: solo se venga esteso e, per cosl dire, squademato, esso mostra lassù «questo dopo quest'altro»; ma finché se ne sta, tutt'insieme, esso è solo « questo », vale a dire, possiede in sé anche la sua causa 18 • 17
11
Enneadi, Enneadi,
VI, VI,
4, 14. 7, l; dr. anche v, l, 4.
www.scribd.com/Baruhk
538
IL NEOPLATONISMO
4) Platone, come si ricorderà, aveva introdotto le Idee come le « vere cause », come la « ragione » e il « perché » delle cose sensibili, ma aveva molto faticato a spiegare in quale senso esse siano causa delle cose. Plotino approfondisce anche questo punto, con esiti nuovi. Nelle cose sensibili il che (ossia l'esserci delle cose) e il perché. (ossia la ragione dell'esserci delle cose) generalmente non coincidono; il perché è sempre ulteriore rispetto all'esserci fattuale della cosa. Viceversa, nel mondo dello Spirito, il che e il perché coincidono. E questo, stanti .le precisazioni sopra fatte, non vale solo per lo Spirito nel suo insieme, ma altresl per ciascuno degli esseri ohe sono in lui, ossia per ciascuna Idea. Ogni Idea, cosl come lo Spidto, è coincidenza di che e di perché, dal momento che lo Spirito è tutto in tutte (lo Spirito è ogni singolo essere del suo contenuto) 19 • Insomma: le Idee (come lo Spirito in generale) non hanno ma sono la causa del proprio essere, e, dunque, a questo titolo sono la causa di tutto il resto. 5) Nella misura in cui lo Spirito rinserra in sé tutte le cose, vi sono Idee di tutte le cose, e non solo delle specie, ma altresl di tutte le possibili differenze in cui può presentarsi la specie. Non vi è, dunque, una sola Idea di uomo, ma tante Idee di uomo quante sono le differenti conformazioni degli uomini, quante sono le « differenze individuali». Lo stesso vale altresl per gli animali e per tutte le altre cose. A questa conclusione, che differisce da quella platonica, Plotino è stato spinto dalla sua concezione puramente negativa della materia (che è non-essere). Infatti, questa concezione gli impediva (e ciò lo vedremo meglio più avanti) di attribuire alla materia qualsiasi capacità di « individuare » la specie e di determinare le differenti configuraziollli particolari in cui la specie si manifesta nei molteplici individui (come, ad esempio, l'uomo con naso aquilino, camuso, etc.). Dalla materia,
•• Cfr. Enneadi,
VI,
7, 2.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
.539
secondo Plotino, derivano solamente bruttezze e privazioni (come, ad esempio, l'essere zoppo, guercio e le varie menomazioni) e tutto ciò che può considerarsi inadeguatezza nella realizzazione empirica dell'Idea. Alcuni studiosi hanno concluso, di conseguenza, che Piotino ammette l'esistenza di Idee di tutte le cose individuali, ossia le Idee di tutti gli individui. Ma questo non è esatto, o, per lo meno, è molto equivoco, dato che a Plotino manca proprio il concetto di individuo come singolarità irripetibile. Infatti, da un lato, è da osservare che, per Plotino, il mondo ha una storia cicLica, nella quale si succedono i vari periodi cosmici, durante ciascuno dei quali ritornano sempre le medesime cose, di guisa che lo stesso modello si ripete molte volte: pertanto, anche quel particolarissimo tipo di uomo o di animale che, per esempio, in un dato ciclo si è prodotto una unica volta con quelle particolarissime differenze, nella successione dei cicli si ripete, in ogni caso, più volte. D'altra parte, è anche da osservare che, per quanto riguarda in particolare l'individuo uomo, la cosa si fa ancor più complessa per via della dottrina della metempsicosi, accettata da Plotino. Infatti, nel contesto di questa dottrina,' l'anima di Socrate non è sempre Socrate, perché rinasce sotto altri volti e vesti, di guisa che, in questo senso, non potrà esserai un'Idea di Socrate. Ecco il testo più esplicito su questo punto: V'è un'idea anche del singolo individuo? Ecco, se la mia persona e ogni altra conseguono l'ascesa al regno dello Spirito, allora anche la radice di ogni essere particolare si trova lassù. O, se piace, distinguiamo: se l'anima di Socrate è sempre Socrate, allora ci sarà un « Socrate in sé »: corrispondentemente a questa ipotesi, l'anima individuale sarà lassù, lassù, diro, nel senso della nostra dottrina; se, al contrario, l'anima di Socrate non è sempre Socrate, ma quello che prima era Socrate iinasce, ora qua ora là, come Pitagora o che so io, mai più allora questa nostra persona individuale sarà anche nel mondo supemo :10. "' Enneadi, v, 7, l; cfr. v, 9, 12.
www.scribd.com/Baruhk
540
IL NEOPLATONISMO
6) Platone, nella sua metafisica esoterica, aveva posto i Numeri ideali come principi dai quali derivano le Idee medesime, ed aveva posto come principi degli stessi Numeri ideali l'Uno e la Diade. La stessa dottrina, già rilanciata dai Neopitagorici, la ritroviamo anche in Plotino, in parte approfondita e chiarita, anche se non portata in primo piano. I Numeri ideali (che vanno ben distinti dai numeri matematici, dai numeri, oioè, che sorgono nella mente del soggetto numerante, ossia del soggetto che conteggia) derivano dallo stesso Uno. La Diade (e in quale senso Plotino parli di Diade lo abbiamo già visto) sorge dall'Uno medesimo, come avevano sosrenuto anche molti Neopitagorici. La Diade è, di per sé, illimitata e riceve il limite dall'Uno medesimo. I Numeri ideali nascono, appunto, da questa delimitazione della Diade da parte dell'Uno: [ ... ] Il numero non è già primo; cosl, pre-diade è l'uno e la diade invece ha il secondo posto e sorgendo dall'unità tiene quell'uno come suo limite, laddove questa unità è illimitata di per se stessa; mentre, ove mai sia fatta limitata, essa è di già numero. Ma numero è come dire sostanza; e numero, poi, è anche l'anima. Certo, né masse e neppure grandezze costituiranno i primi principi; poiché tali cose grossolane, che la sensazione crede reali, sono posteriori. D'altronde, anche nei semi, ciò che ha valore non è già l'elemento umido ma ciò che non è visibile: ma questo è numero e ragione formale. Ebbene, il numero, di cui si parla lassù, e la diade sono ragioni formali e spirito. Spieghiamoci: v'è, da un canto, la diade indefinita concepita in virtù di ciò che fa, per cosl dire, da fondamento e v'è, d'altro canto, il numero sorgente da essa e dall'unità; ogni numero è forma come se lo Spirito venisse, per cosl dire, informato dalle specie ideali che ep.trano in esso 21 •
Questi Numeri ideali sono, ulteriormente, caratterizzati da Plotino come la forza che divide l'essere e fa nascere la molteplicità dell'essere, la regola secondo cui nascono dall'Essere " Enneadi, v, l, 5.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
541
i molteplici esseri; e, in questo senso, come fondamento e radice degli esseri:
Ecco, il numero era nell'essere, non come numero dell'essere (poiché l'essere era ancora unità); ma la forza del numero, avendo raggiunto l'esistenza, frantumò l'essere e gli fece provare, per cosl esprimerci, le doglie della molteplicità; e cosl sarà numero o l'essenza dell'essere o la sua attività; ed anche il «Vivente in sé» e lo Spirito saranno numero 22 • [ ... ] Col suo aiuto [ scil.: del numero], l'Essere genera gli esseri, movendosi con ritmo numerico e facendqsi precedere dai numeri prima di chiamare ad esistenza gli esseri, proprio come la sua stessa unità aggancia l'Essere stesso al Primo; i numeri, per contro, agganciano gli altri esseri non più col Primo; poiché basta che l'Essere gli sia congiunto 23 • 7) Tutto quanto sopra è stato detto (e, in particolare, il principio secondo cui lo Spirito o l'Essere è uno e molti molte Idee - insieme e armonicamente, unità nella varietà, s-emplicità nella differenza, tutto in tutto) spiega la ragione per cui Platino denomina il Nous, con espressione fìloniana, come già abbi,amo ricordato, «cosmo i.nteUigibile » (x6a(Lo~ vol)T6~). mondo dell'ordine e dell'armonia spirituale, quindi mondo della bellezza 24 • Infatti, per Platino, la bellezza, in generale, coincide con la forma: una cosa è bella per quanto possiede di forma. Lo Spirito, che è il mondo delle Forme e delle Idee, vale a dire il sistema perfettamente ordinato delle Forme nella loro totalità (totalità in cui ogni singola Forma è tutte le altre e in cui tutte sono unificate, pur ess-endo diverse), è la suprema e assoluta Bellezza 25 • Enneadi, VI, 6, 9. Enneadi, VI, 6, 15. "' Cfr. Enneadi, I, 6, passim; v, 8, passim. "' È da rilevare, a questo proposito, che l'Uno, ossia la prima ipostasi, non è, propriamente parlando, Bellezza, perché non è forma, ma al di sopra della forma, in quanto è principio della Forma e dunque è « Bellezza che trascende ogni Bellezza», in quanto è «potenza di ogni cosa bella» (Enneadi, VI, 7, 22). 21
21
www.scribd.com/Baruhk
542
IL
NEOPLATONtS~O
4. Le categorie del mondo intelligibile
Dicevamo sopra che la distinzione fra il mondo corporeo e il mondo incorporeo è uno dei cardini del sistema plotli.niano. Anzi, Platino, spingendo alle estreme conseguenze le conclusioni che scaturiscono da tale distinzione, afferma che il sistema aristotelico delle categorie non vale per l'incorporeo, e stabilisce, di conseguenza, due sistemi categoriali completamente differenti per le due sfere della realtà. Orbene, poiché l'Uno è l'assolutamente semplice, per Lui non vale alcun sistema categoriale. L'Uno è Principio transcategoriale. Le categorie dell'incorporeo valgono, dunque, per le altre due ipostasi, e, soprattutto, per lo Spirito. Queste categorie, desunte da Plotino dal Sofista di Platone, con le opportune riforme che si imponevano sulla base della sua nuov·a metafisica, sono: a) l'essere o ousia, b) la stabilità o stasi, c) il movimento, d) l'identico, e) il diverso. Tutto, nel mondo dello SpirJto, è ousia. Inoltre, il pensare dello Spirito implica movimento (si tratta, evidentemente, di movimento spirituale e non fisico). Ma il pensare dello Spirito implica altresl stabilità o stasi, dovuta ai suoi contenuti. Lo Spirito, inoltre, è identità di sé con sé, cosl come è diversità fra pensante e pensato. Queste distin~ioni categoriali, nel mondo dello Spirito, vanno, ovviamente, concepite nella dinamica dell'uno-molti e del tutto-in-tutto, come Plotioo espressamente rileva 26 • La dottrina delle categorie, tuttavia, per quanto diffusamente trattata, non gioca un ruolo primario nel sistema plotiniano. Tuttavia è da rilevare come l'avere espressamente st·abilito che le diverse sfere dell'essere postulano sistemi categoriali strutturalmente diversi, costituisca un guadagno essenziale nella storia dell'antologia.
"' Cfr. i primi tre trattati della sesta Enneade.
www.scribd.com/Baruhk
III. LA TERZA IPOSTASI: L'ANIMA
l. La processione dell'Anima dallo Spirito e il duplice rapporto che intercorre fra l'Anim!l e lo Spirito
Lo Spirito, come abbiamo visto, è potenza infinita, ossia inesauribile, e, proprio perché tale, « trabocca », per cosl dire, e genera un'altra realtà, gerarchicamente inferiore, che è, appunto, l'Anima. Come avviene la « prooessione » dell'Anima dallo Spirito? Plotino si rifà agli stessi moduli di cui si è servito per spiegare la processione dello Spirito dall'Uno. Egli distingue, infatti (analogamente a quanto abbiamo veduto a proposito dell'Uno), a) una attività dello Spivito, vale a dire un'attività che lo Spirito rivolge a se stesso e b) un'attività dallo Spirito, vale a dire un'attività che proviene dallo Spirito ed esce fuori da Lui. La seconda attività deriva dalla prima ed è, anzi, conseguenza della prima, in quanto è appunto in grazia del proprio rivolgersi a se medesimo che lo Spirito produce qualcosa che è altro da sé. Ecco uno dei testi più significativi a questo l'liguardo: [. .. ] L'essere dello Spirito è puro atto; e non c'è nulla, fuori, cui si rivolga tale attività: a se stessa, dunque. Solo pensando se stesso, egli può volgere, dunque, a sé e in sé il suo atto. In realtà, anche se qualcosa nasce da Lui, tale nascimento avviene in grazia di questo «verso sé ed in sé». Poiché fu necessario ch'Egli fosse, prima di tutto, in se stesso e che solo in un secondo momento si volgesse su di un essere diverso da sé, o, meglio, che un essere diverso da lui derivasse da lui, in un processo di similitudine con lui. Come, per esempio, il fuoco prima è, in se stesso, fuoco
www.scribd.com/Baruhk
544
IL NEOPLATONISMO
ed ha l'attività del fuoco e solo allora ha la capacità di produne su di un altro oggetto un irraggiamento di sé [ ... ] 1• Ecco un secondo testo non meno eloquente: L'anima [. .. ] è forza operante che sorge da lui; poiché a volte lo Spirito rivolge la sua attività nel suo intimo e risultato di tale attività sono i restanti spiriti; a volte fuori di sé e il risultato è l'Anima 2 • Tutto questo, però, non basta ancora. Il risultato dell'attività che procede dallo Spirito non è senz'altro, ossia immediatamente, Anima. Occorre, come già abbiamo visto a proposito dello Spirito nei confronti dell'Uno, che anche il prodotto dell'attività che procede dallo Spirito si rivolga a guardare e a cOntemplare lo Spirito medesimo: l'Anima, infatti, come prodotto dell'attiV'ità dello Spirito, è, nei confronti dello Spirito verso cui si rivolge con la contemplazione, come la « materia» rispetto ,alla forma, o, come anche Plotino dice, come l'« [ndeterminato » rispetto alla detetminazione formale. Ecco alcuni testi molto importanti al riguardo: [ ... ] L'anima è un pensiero dello Spirito e, precisamente, è quel complesso di attività e quella vita che lo Spirito proietta per far sussistere il diverso. Pensate al fuoco: esso è, da un canto, il calore che se ne sta con lui; ma vi è pur, d'altro canto, il calore che esso elargisce: ll però, nello Spirito, occorre concepire una attività non già scorrente, ma ferma in esso, mentre l'attività estrinseca sussiste distinta. Orbene, giacché l'Anima deriva dallo Spirito, ella è spirituale e nelle riflessioni si insinua il suo spirito, e il suo perfezionamento dipende sempre novellamente, da Lui, che è come un padre il quale cominciò già a nutrire la sua creatura, generata imperfetta nei confronti di Lui. Cosl, e l'esistere [dell'Anima] le deriva dallo Spirito, e l'atto del suo pensare consiste nel fatto che lo Spirito è contemplato dall'anima; vogliam dire che quando questa figge lo sguardo nello Spirito, in realtà essa trae ' Enneadi, v, 3, 7; dr. anche v, l, 7. En,eadi, VI, 2, 22; dr. anche v, 2, l.
2
www.scribd.com/Baruhk
545
IL SISTEMA DI PLOTINO
dal suo fondo e proprio come cose di sua pertinenza tutto ciò che ella pensa ed attua. E questo solo vuoi essere chiamato atto dell'anima: tutto ciò che è spiritualizzato, tutto ciò che sorge dalla casa dell'anima! Le cose inferiori, per contro, vengon da tutt'altra fonte e in un'anima corrispondente costituiscono affezioni. Lo Spirito, insomma, sempre più divinizza l'anima sia perché Egli è suo padre, sia perché le è presente; poiché nulla si frappone tra loro fuor che l'alterità, nel senso tuttavia che l'Anima è il grado successivo ed è come il ricettacolo mentre -lo Spirito è forma. Bella è peraltro finanche la materia dello Spirito poiché è di specie spirituale ed è semplice 3• Qualcosa di simile all'indefinito si è persino l'Anima nei confronti dello Spirito e della forma razionale, giacché, in virtù della sua natura, è informata da questi e quasi tratta sino ad una specie di maggior valore [ ... ] 4 • [ ... ] L'Anima è il pensiero dello Spirito ed è, in certo senso, la sua attività, proprio come lo Spirito è pensiero ed attività che si riferisce all'Uno. Un po' oscuro, a dir vero, è il pensiero dell'Anima; poiché esso è, per cosl dire, solo un simulacro dello Spirito e deve perciò volgere lo sguardo sullo Spirito; ma lo Spirito deve parimenti volgere lo sguardo su Quello [l'Uno], affinché sia Spirito. Lo vede, però, senza esserne staccato, giacché Esso è immediatamente dopo di Lui e tra loro, come pure tra Anima e Spirito, non c'è nulla di mezzo 5 • Ma v'ha di più. Rivolgendosi allo Spirito e contemplandolo, l'Anima, appunto « attraverso lo Spirito » medesimo, « vede il Bene », ossia l'Uno, diviene « boniforme » ed entra «in possesso del Bene » medesimo 6 • In ultima analisi, sta proprio in questo aggancio all'Uno, toomite lo Spirito, il fondamento supremo della realtà dell'Anima. Scrive P.lotino:
.
[ ... ] Poiché tutte le cose vennero abbellite in grazia di Colui che precedette [ossia in grazia dell'Uno], ed acquistarono luce, 3 Enneadi, v, l, 3. • Enneadi, n, 4, 3. • Enneadi, v, l, 6. • Cfr. Enneadi, I, 7, 2 e
IV,
4, 4.
www.scribd.com/Baruhk
546
IL NEOPLATONISMO
da un canto, lo Spirito trasse lo splendore della operosa forza spirituale e lo irraggiò sulla natura, dall'altro l'anima trasse la potenza per vivere, mentre una vita più diffusa penetrò in essa 7• Questo aggancio dell'Anima all'Uno, come vedremo, costituisce uno degli assi portant>i dell'intero sistema plotiniano, vale a dire il fondamento, oltre che della sua attiVJità creatrice, del1a possibilità del «ritorno all'Uno».
2. C ara t t eristiche esse n zia li e ruolo fon d amentale dell'Anima nel sistema plotiniano
Ma qual è la caratteristica specifica dell'Anima e la sua ragion d'essere e in che cosa si differenzia dallo Spirito, di cui, pure, è «immagine» e « simulacro»? La caratteristica essenziale dello Spirito consiste nel pensare (ed è per questo - ricordiamolo - che Plotino, per indicarrlo, ha scelto il termine Nous, che vuoi dire, appunto, Intelligenza e Pensiero), donde la sua dualità (dato che il pensiero è sempre pensiero dell'Essere) e, anzi, la sua molteplicità (dato che l'Essere è una molteplicità di Idee): dualità e molteplicità che, peraltro, per le ragioni vedute, coincidono con l'unità (lo Spirito è essenzialmente Uno-molti). L'Uno, dice Plotino, se vuoi pensare deve farsi Spirito 8 , dato che l'Uno come tale - per le ragioni sopra spiegate - non può pensare. Orbene, anche l'Anima pensa, almeno nella misura in cui guarda e contempla il principio che l'ha generata, vale a dire lo Spirito; ma la sua essenza consiste non nel pensare (ché, altr.imenti, non si distinguerebbe dallo Spirito), bensì nel produrre e nel dar vtta a tutte le altre cose che sono (ossia tutte le cose sensibili), nell'ordinarie e nel governarle.
7
Enneadi, VI, 7, 31.
• ar. Enneadi, v, 6, 2.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEhlA DI PLOTINO
547
Ecco un primo testo molto esplicito: Pure, il compito dell'anima razionale è certo il pensare, ma non il pensare unicamente, ché, allora, essa non si distinguerebbe per nulla dallo Spirito. Poi che ella aggiunge qualche altra cosa a quel suo esser spirituale, qualcosa ond'ella acquista una sua propria sostanza, l'anima non resta puro spirito ed ottiene di per se stessa una funzione sua particolare, precisamente come ogni altra cosa al mondo. Ma, allor che guarda ciò che è prima di lei, l'anima pensa; allor che guarda se stessa, si conserva; allor che guarda ciò che è dopo di lei, l'anima ordina, regge, comanda su di esso. Gli è che la realtà universale non poteva assolutamente stagnare nella fase dello Spirito, allorché si affacciò la semplice possibilità che qualcosa di diverso tenesse dietro, sia pure in una fase inferiore ma peraltro necessaria [ ... ] 9 • Ora, è da notare che questo «guardare» dell'Anima alle cose che sono dopo di lei, questo « ordinare», « reggere » e «comandare», coincidono con il suo produrre, generare e far vivere queste stesse cose. L'Anim11, come già abbiamo accennato, è la primigenia causa produttrice, il principio creatore e vivifìcatore di tutte le cose 10 • Ecco alcune delle numerose affermazioni di Plotino a questo riguardo: [ ... ] Compito dell'anima, a dir vero, si è di creare tutte le cose, poiché ella ha ragione di principio 11 • Allora, ponderi bene questo, anzitutto, ogni anima: che proprio essa, cioè, ha creato i viventi tutti, spirando in loro la vita: e quei viventi che nutre la terra e quelli che nutre il mare e quelli che dimoran nell'aria e quelli che dimoran nel cielo - astri divini-; che essa ha creato il sole; che essa ha creato pure questa volta immensa di cielo; ed essa l'adornò; essa la fa roteare in una determinata norma, pur essendo in se stessa una natura differente dalle cose che ordina e dalle cose che muove; inoltre, quanto alle cose che vivifica, ella è necessariamente più degna di onore di loro, poiché, mentre tali cose van soggette al nascere e al perire • Enneadi, IV, 8, 3. •• Cfr. Enneadi, III, l, 8; IV, 3, 10; IV, 7, 9. 11 Enneadi, n, 3, 8.
www.scribd.com/Baruhk
548
IL NEOPLATONISMO
(sol che, rispettivamente, l'anima le abbandoni, o elargisca loro il vivere), l'anima, per contro, esiste eternamente per il semplice fatto che non abbandona mai se stessa 12 • L'Anima è, per conseguenza, non solo principio di movimento, ma essa stessa movimento: [ ... ] Questa forza operante che sgorga dall'Essere è «Anima» che diviene quello che è, mentre lo Spirito è fermo; poiché anche lo Spirito sorse mentre « Ciò che era prima di Lui » [ = l'Uno] perseverava nell'immobilità. L'Anima però non è immobile nel suo creare; tutt'al contrario, ella generava la sua immagine allorché aveva già subito il movimento. Ora, finché ella guarda lassù donde nacque, si riempie di Spirito; ma se avanza su un'altra ed opposta direzione, genera - immagine di se stessa - la sensibilità e, nelle piante, la potenza vegetativa 13 • In conclusione, potremmo dire che, come l'Uno doveva diventare Spirito per pensare, cosl doveva diventare Anima per generare tutte le cose del mondo visibile. L'Anima costituisce il momento estremo nel processo di espansione dell'infinita potenza dell'Uno, l'ipostasi cosmogonica che coincide col momento in cui, come ultimo dono di sé, l'U.ncorporeo genera il corporeo, manifestandosi nella dimensione del sensibile. Non bisogna dimenticare, infatti, che le ipostasi successive all'Uno, da un lato, in un certo senso sono l'Uno stesso, nella miSJUra in cui questo è la fonte e la potenza di tutto, Enneadi, v, l, 2. Enneadi, v, 2, l. ~ appena il caso di ricordare che il creare dell'anima non avviene per una deliberazione, ma nel contesto generale della « necessità » della processione, nel senso sopra veduto. Ecco un testo molto chiaro: «L'anima crea non già in forza di una sentenza mutuata dal di fuori né attende consiglio o ponderazione; poiché questo significherebbe creare non già secondo natura ma secondo arte acquisita dal di fuori. L'arte, a dir vero, è posteriore all'Anima creante e non fa che imitare, producendo solo pallide e fievoli immagini, trastulli, forse, senza gran valore e va adoperando molti espedienti per produrre i suoi vani fantasmi» (Enneadi, IV, 3, 10; dr. anche m, 2, 1). 12
13
www.scribd.com/Baruhk
.549
IL SISTEMA DI PLOTINO
e, dall'altro, non sono l'Uno, ma sono differenziazioni della potenza dell'Uno, in cui il nuovo che sorge non distrugge l'antico, ma proprio dal permanere dell'antico scaturisce: Tutte queste gradazioni [Spirito e Anima] sono Lui e non sono Lui: sono Lui poiché da Lui derivano; ma non sono Lui, perché Egli, fermo in se stesso, non ha fatto altro che dare. Concludendo, gli è come un corso lento di vita che si protenda in lunghezza: ognuno dei tratti successivi è «un diverso», ma il tutto è compatto in se stesso e se, per via di differenze, ogni cosa sorge perennemente nuova, l'antico però non si perde nel nuovo 14 • L'Anima
3.
e
la
sua
pusizione
intermedia
Da quanto sopra è stato detto, risulta chiaro H significato della «posizione intermedia» che Platino assegna all'Anima. Essa è « l'ultima dea » 15 , ossia l'ultima delle realtà intelligibili, e, per conseguenza, è la realtà che confina con il sensibile ed è, anzi, la causa stessa che produce il sensibile: Che se poi l'essere si volge, cosl, in due direzioni, l'una spirituale, l'altra sensibile, meglio però per l'anima si è dimorare in seno allo Spirito; eppure ella deve, di necessità, partecipare anche del sensibile, poiché il suo essere è quale abbiamo descritto; comunque, ella non deve sdegnarsi con se stessa se non sia in tutto e per tutto qualcosa di superiore; in realtà, essa occupa un grado intermedio fra gli esseri, poiché, pur rientrando nel consorzio divino, se ne sta peraltro all'ultimo gradino del regno dello Spirito; confinante com'è con l'essere sensibile, dona a questo nostro mondo qualcosa di se stessa e ne riceve qualcosa in contraccambio [ ... ] 16• L'Anima ha, per cosl dire, «due volti» l'una e nell'altra direzione. ,. Enneadi, v, 2, 2; dr. Enneadi, IV, 8, .5. 16 Enneadi, IV, 8, 7. 17 Enneadi, IV, 6, 3.
III,
2, 2.
15
www.scribd.com/Baruhk
17 ,
orientati nel-
.5.50
IL NEOPLATONISMO
Questo non signifioa, si badi bene, che la natura dell' Anima sia in qualche modo mista di incorporeo e di corporeo. Platino, infatti, compie ogni Slforzo nel respingere qualunque concezione che in qualsivoglia maniera colleghi la natura dell'Anima alla natura del corporeo: non solo, infattli, egli respinge la concezione estrema della Stoa, ma anche la pitagorica conoe2lione dell'Anima come armonia e perfino l'aristotelica concezione dell'Anima come entelechia, e ribadisce il carattere puramente immateriale, spirituale, eidetico e, pertanto, trascendente dell'essere dell'Anima. L'Anima ha posizione intermedia e quindi ha «due facce », perché nel generare il corporeo, pur continuando ad essere e a permanere realtà incorporea e quindi continuando a godere di tutte le prerogative dell'incorporeo, le « accade » di aver commercio col corporeo stesso da Lei prodotto, e per conseguenza le « accade » di avere alcune caratteristiche del corporeo, ma non al modo in cui queste caratteristiche sono proprie del corporeo medesimo. Spieghiamo meglio questo punto, assai importante. L'Anima, producendo il sensibile ed entrando in commercio con il sensibile (vedremo meglio più avanti in quale modo questo debba intendersi), pur non essendo originariamente e primieramente divisibi;le, « diventa divisibile neri corpi ». Ciò significa che, allorché i corpi vengono divisi, accade che venga divisa anche l'Anima che è in essi: non, però, alla maniera in cui vengono divisi i corpi, bensl restando « nella sua interezza in ciascuna delle parti », ossia « senza deflettere dalla unità del suo essere» 18 • Il diventare divisibile dell'Anima, insomma, non significa il suo frantumarsi in parti staccate successive l'una all'ahra come avviene per i corpi, ma l'entrare intera in tutte le parti del corpo diviso, dato che essa non ha grandezza, sicché, al limite, la divisibilità resta prerogativa dei corpi, mentre dell'anima resta la capacità di entrare tutta 11
Cfr. Enneadi,
IV,
l, 1-2.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
551
in tutte le parti. Scrive Plotino: Realmente, chi intende appieno questo, esplorando cosi la vastità dell'anima e il suo potere, saprà qual divina e mirabil cosa ella sia e com'ella rientri in un ordine trascendente. Non ha grandezza eppure è in ogni grandezza; è qui eppure è n ancora e non già con qualche altro mezzo ma con lo stesso mezzo: se stessa; ond'ella è divisa e, per altro verso, non divisa; o, più esattamente, ella né è, in se stessa, divisa, e neppure è caduta nella condizione di chi è diviso: vogliam dire che ella resta con se stessa nella sua interezza, e solo i corpi la fanno apparire divisa, giacché i corpi per la loro propria divisibilità non sono in grado di accoglierla inseparabilmente: la divisione insomma è una faccenda che capita ai corpi, non già all'anima 19 • In questo senso si può dire che l'Anima è divisa-e-indivisa, una-e-molteplice, in quanto è Jl principio che produce, regge e governa il mondo sensibile: con la sua unità molteplice e divisa essa elargisce la v.ita a tutte le cose, con la sua unità indivisibile le riunisce e le governa. L'Anima è tutta dappertutto e dappertutto identica. L'Anima è, cosl, uno-e-molti, ossia unità-e-pluralità, mentre il Principio primo è esclusivamente Uno, lo Spirito è uno-molti, ed i corpi sono esclusivamente molti.
4. Pluralità d e Il 'A n i m a
La questione dell'unità e della molteplicità proprie dell'Anima di cui abbiamo detto, per la verità, risulta 1ancor più complessa se la si abborda secondo un'altra angolatura. Plotino, infatti, parla di una molteplicità dell'Andma non solo in senso, per cosl dire, orizzontale, ma altresl in senso verticale, vale a dire in senso gerarchico. Il nostro filosofo ammette, insomma, una vera e propria graduazione gerarchica • l:mreudi. rv. l, 2; cfr. IV, 9, 4.
www.scribd.com/Baruhk
552
IL NEOPLATONISMO
nell'ambito della Psyché. La caratteristica dell'uno-molti che abbiamo visto essere propria dello Spirito differisce, pertanto, anche in questo senso dalla caratteristica dell'uno-e-molti propria dell'Anima. Netlo Spirito ogni Idea è tutto 1o Spirito (e viceversa), perché, se così non fosse, lo Spirito si presenterebbe menomato o depauperato nelle singole Idee. Perciò nel mondo dello Spirito e dell'Essere non c:è gerarchia, mentre nella sfera dell'Anima sorge anche questa molteplicità gerarchica. Gli studiosi sono assai discordi nell'individuare questa gerarchia di anime, data l'estrema mobilità e varietà del linguaggio plotiniano a questo riguardo. Tuttavia, malgrado questa polivocittà del linguaggio delle Enneadi intorno all'Anima, che rasenta talvolta l'equivocità, sembra che la gerarchia delle anime, o meglio nell'ambito dell'Anima, cui Plotino fa riferimento si·a la seguente. a) In primo Juogo c'è l'Anima suprema, l'Anima universale ossia l'Anima nella sua interezza e purezza: è questa l'Anima considerat'a come pura J.postasi del mondo intelligibile, in stretta unione con lo Spirito da cui procede e al di fuori dei rapporti con il mondo sensibile. b) C'è, poi, l'Anima del Tutto, che è l'Anima del mondo e deLl'universo sensibHe, la quale pone, regge e governa l'uOJi.verso medesimo. L'Anima dell'universo viene così ad avere un predso rapporto con il corporeo, ma non «scende» nel corporeo; essa si riveste di corporeo restando lassù, dice Plotino, o, meglio, è il corpo che le si attacca essendone irradiato, mentre essa permane lassù senza essere in alcun modo affetta dal corpo. c) Ci sono, infine, le anime particolari, quelle che non creano ma animano e governano i singoli corpi, ossia le anime delle stelle e le anime degli uomini e dei viventi particolari, le quali (specie quelle degli uomini e dei viventi terrestri) « scendono » nei corpi, e, quindi, hanno coi corpi rapporti più stretti che non l'Anima dell'universo. Dalla prima Anima derivano le a·Ltre anime, sia queUa dell'universo sia le singole. Queste ultime sono quindi della stessa natura di
www.scribd.com/Baruhk
IL
SIST~
bi PLOTINO
553
quella e si differenziano, come s'è detto, per la maggiore o minore vicinanza con i corpi, o, per dirla con terrillni di cui daremo pienamente conto più avanti; per il maggiore o minore grado di contemplazione (,!'·attaccamento al corpo e la discesa nel corpo da parte dell'Anima si fa tanto maggiove quanto più s'affievolisce la contemplaZJione dello Spirito). Ecco un testo riassuntivo particolarmente eloquente: Cosl, s'è detto - ricapitolazione della dottrina - che le anime derivano da una sola anima [ ... ]. Ma perché allora soltanto l'Anima del Tutto, la quale è pure dell!! stessa specie [delle anime particolari], ha creato il mondo, mentre l'anima che appartiene all'individuo, per quanto possieda, anch'ella, tutto in se stessa, non ha creato nulla? Certo, che l'anima sia in grado di divenire ad un tempo in molti e di essere una, lo si è già detto. Ora però noi dobbiam dichiarare [ ... ] in qual maniera e perché l'anima ha creato il mondo, mentre le singole anime governano solo una certa porzione del mondo. Ecco: non c'è nulla di strano che tra persone dotate d'uno stesso sapere, gli uni abbiano un dominio più vasto, gli altri più ristretto. Ma perché? - potrebbe domandare qualcuno. C'è - si potrebbe rispondere - anche tra le anime differenza di grado, e finanche maggiore, in quanto l'una [ = l'anima dell'Universo o l'anima del Tutto] non si distaccò dall'anima universale [ = l'anima prima e suprema], ma si vestì del corpo stando lassù, ma le altre [ = le anime particolari], giacché il corpo esisteva, oramai, ed era sotto la signoria dell'anima sorella, ne trassero in sorte la parte dovuta, come se questa avesse predisposto loro delle abitazioni. Ci sarebbe pure da dire che l'Anima universale [ = la prima e suprema Anima] guarda verso lo Spirito universale; le altre invece guardan piuttosto gli spiriti parziali che sono loro propri. E forse anche queste avrebbero potuto creare; ma dal momento che quella aveva già creato, ciò non fu dato anche ad esse, perché quella ne prese l'iniziativa. Del resto, avrebbe pur potuto affacciarsi questo stesso dubbio, anche se un'altra anima - quale che fosse - vi avesse posto cominciamento. Ed è meglio ritenere che l'Anima del mondo ha creato appunto perché ella è maggiormente avvinta agli Esseri superni, perché gli esseri che si son già rivolti lassù han più grande potenza; infatti, custodendo il loro essere in stabile dimora, creano con facilità estrema. Certo, è segno di più grande potenza, non soffrire in quel che si crea; ma il loro potere sorge dal permanere in alto. Cosl, perseverando in
www.scribd.com/Baruhk
554
IL NEOPLATONISMO
se stessa, l'Anima del mondo crea, mentre le sue stesse creature le si fanno incontro; ma le altre anime avanzano di per se stesse alle cose: cosl, apostate, s'inabissano; o, via, il più ch'è in loro, tratto giù a forza, trasse nella sua rovina anche il loro stesso «essere» mediante i pensieri, sino ai bassifondi Zl. È appena il caso di rilevare che, anche considerata in questo senso gerarchico, la molteplicità delle anime non contrasta affatto con la loro unità, e viceversa. Non solo, come abbi:ama visto nel precedente paragrafo, l'Anima è una e molte, indivisibile e divisibile, nel senso che è presente nei vari corpi e nelle varie parti di essi in quanto può essere « intera dappertutto», ma anche nel senso che le molte «anime particolari » (sia quella dell'universo sia quelle degli esseri individuali) sono presenti nell'unica Anima universale in atto,
distinte pur senza essere separate. Ecco il testo più esplicito: Allora, il fatto che l'Anima sia una non sopprime la pluralità delle anime - come l'Essere non esclude gli esseri - né la molteplicità, lassù, nel mondo dello Spirito, contrasta con l'unità; né dobbiamo ricorrere alla moltiplicazione delle anime per riempire di vita i corpi, né dobbiamo credere che l'anima si moltiplichi per via dell'estensione corporea; invece, prima ancora dei corpi, esistono, a un tempo, sia «molte anime», sia «l'unica Anima». Mi spiego: in blocco le «molte anime» esistono già non dico in potenza ma in atto, ad una ad una; poiché l'Unica, l'Universale, non impedisce che le « molte » esistano in lei; né le « molte» sono di ostacolo all'Unica. Certo, esse si distinguono senza separarsi e sono presenti vicendevolmente senza straniarsi; poiché non sono delimitate da barriere, né più né meno che le scienze, molteplici, nell'Anima unitaria; cosl l'Anima unica è tale da recarle tutte in sé. In questo senso, una natura cosiffatta è infinita [ ... ] 21 •
"' Enneadi, 21 Enneadi,
IV, VI,
3, 5-6; dr. anche 4, 4.
II,
3, 9;
II,
3, 18;
www.scribd.com/Baruhk
III,
4, 4.
IL SISTEMA DI PLOTINO
555
5. Anima, physis e logos Su alcuni problemi particolari concernenti l'Anima dell'Universo e le anime particolari dovremo tornare ancora più avanti, nelle trattazioni dei problemi cosmologici e antropologici. Tuttavia, per concludere il di<Scorso sull'Anima in generale considerata come ipostasi, res~ano ancora due concetti da chiarire: quello di physis e quello di logos, che Plotino collega, in modo assai originale, al concetto di psyché 22 • Abbiamo visto come l'attività dell'Anima si svolga, per cosi dire, in due opposte direzioni: da un lato, essa tende alla contemplazione dello Spirito, e, dall'altro, essa mira a produrre qualcosa di altro da sé e a creare il mondo sensibile. Abbiamo visto, inoltre, che delle tre anime quella che propriamente produce il mondo sensibile è l'Anima dell'universo, dato che l'Anima suprema (o l'Anima tot'clle o universale, che è l'Anima che contiene tutte le anime) rimane perennemente nel mondo intelligibile accanto allo Spirito, mentre le anime particolari trovano i corpi già prodotti dall'Anima dell'universo e si limitano ad animare e a reggere questi corpi. Dunque, quella duplice attività di cui ragioniamo caratterizza in modo particolare appunto l'Anima dell'Universo. Ebbene, proprio la parte inferiore, l'« orlo» o «i~ lembo estremo» di quest'anima, per usare le .immagini di Platino, ossia l'aspetto per cui quest'anima produce il mondo fisico, costituisce la physis, ossia la natura. La « narura »,per Plotino, rappresenta, dunque, l'estremo lembo del mondo dell'incorporeo e quanto di intelligibile si riflette nella materia, e, quindi, rappresenta il limite estremo nel quale terminano gli es9eri veri. Ecco iJ passo più significativo a questo riguardo: In che cosa, intanto, si distingue il pensiero quale abbiamo descritto da ciò che chiamiamo natura? Gli è che il pensiero è Zl Particolarmente chiara è l'esegesi di questi due concetti di logos e physis in Plotino fatta da Rist, Plotinus ... , pp. 84-102.
www.scribd.com/Baruhk
556
IL NEOPLATONISMO
qualcosa di primordiale, la natura, invece, è qualcosa di ultimo. Poiché la natura è una immagine del pensiero e, stando all'estremo orlo dell'Anima, essa ha anche, della forza razionale irraggiantesi in essa, l'ultimo tratto; come quando in uno strato denso di cera, un calco penetri sino in fondo, nella opposta superficie, la parte superiore è ben chiara, ma la inferiore è solo una debole orma. Perciò la natura non ha un sapere, ma crea, unicamente. Vogliam dire che quanto in sé reca, essa lo dà, senza deliberato proposito, a quanto sta sotto di essa, al corporeo, al materiale; e questo dono è creazione, cosl come un corpo già riscaldato cede la sua qualità formale a quanto gli è immediatamente confinante e lo rende caldo, sia pure in grado minore. [ ... ] Lo Spirito dunque possiede già il suo contenuto di pensiero; ma l'Anima dell'universo riceve e riceve senza soste mai; e questo è per lei vivere e ciò che a volta a volta affiora è coscienza di anima pensante; quanto di anima vien poi riflesso nella materia è natura; natura in cui si fermano ormai gli esseri reali (o non anche prima?) e sono, questi, i lembi estremi del mondo dello spirito: quind'innanzi, oramai, non c'è altro che una serie di copie. Nondimeno, la natura influisce ancora sulla materia e sperimenta, dal canto suo, influenze superiori; ma colei che la precede e le è vicina crea, impassibile; essa, dalle altezze ove ancora risiede, non crea né sui corpi né sulla materia 23 • Evidentemente, la « natura» concepita in questo modo non è mera attività produttrice irrazionale, ma è al contrario attività produttrice accompagnata da ragione, e anzi derivante da ragione. Già Aristotele aveva indicato nella forma, nell'eidos e nel logos uno dei significati di physis; Platino riprende e porta alle estreme conseguenze questa concezione: la physis è eidos e logos, ossia «forma razionale», anzi è logos o forma razionale che produce altro logos ossia altra forma razionale; invece l'eidos che viene incluso nella materia è ormai devita1iZ2lato e quindi non più capace di produrre altro. La natura, insomma, è logos che somministra alla materia sensibile le forme: La natura [ ... ] è necessariamente pura forma [ ... ] . La natura 23
Enneadi,
IV,
4, 13.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
557
[ ... ] è pura forma razionale; questa produce, quale sua creatura, una nuova forza razionale, la quale dà sl, al sostrato qualcosa di se stessa, ma - ella - permane immobile. In conclusione, la forma razionale che si rivela nella figura visibile, ultima, ormai, e morta com'è, non è più capace di crearne un'altra; invece, la forma razionale che possiede la vita [la natura] è sorella al Creatore della forma e, dotata anch'essa della medesima potenza, esercita la sua facoltà creatrice sul mondo del divenire 24 •
In questo contesto, ben si comprende come Plotino giunga ad attribuire aHa physis medesima ooa sua «contemplazione». IntJanto, che la physis derivi da una contemplazione (dell'Anima) già lo sappiamo. Ma è essa stessa contemplazione, nella misura in cui è forma razionale e vita, e, anzi, proprio in quanto è contemplante è creante, ossia nella misura in cui è visione di forme è produttrice di forme nella materia. Anche la natura, come tutte le realtà intelligibili, contemplando produce. Ecco il passo in cui Plotino, riprendendo e ampliando i concetti sopra esposti, suggella la visione della physis più ardita di tutta la grecità: Ma che si vuoi dire, con queste parole? Ecco: la cosl detta « natura » in realtà è « anima », germoglio di un'anima più alta,
dotata di una vita più intensa; ella sta nel tacito possesso di quel suo intimo contemplare, non in cammino verso l'alto e non più, peraltro, verso il basso, ma ferma nel punto in cui è, nella propria fissità e, vorrei dire, in compagnia della sua coscienza, anzi, proprio in virtù di questo convergere con se stessa e di questa coscienza, ella vede, per quanto le è possibile, ciò che le ti~n dietro e non cerca più nulla dal momento che ha già recato a termine una sua visione in splendore e in grazia 25 •
" Enneadi, 25 Enneadi,
III, III,
8, 2.
8, 4.
www.scribd.com/Baruhk
IV. LA PROCESSIONE DEL SENSIBILE DALL'INTELLIGIBILE, IL SIGNIFICATO E IL VALORE DEL COSMO FISICO
Il problema fisico l.
della
deduzione
del
mondo
Con l'Anima ha termine la serie delle ipostasi del mondo incorporeo e intelligibile; dopo l'Anima e al di sotto di essa si estende il mondo del corporeo e del sensibile, ossia l'universo fisico. Come e perché esiste l'universo fisico? Perché la realtà non termina con H mondo dell'incorporeo ed esiste anche un altro mondo? Come è sorto il sensibile, quali sono le sue caratteristiche strutturali, il suo significato ed il suo valore? Sono, questi, i problemi di fondo di ogni antologia e di ogni metafisica; ma essi acquistano un rilievo del tutto particolare nel contesto della speculazione plotiniana, dato il procedimento di carattere deduttivo, dall'alto al basso, adottato dal nostro filosofo. In fondo, a ben vedere, questi problemi si innestano strettamente sul problema generale, di cui abbiamo detto all'inizio: perché l'Uno non è rimasto Uno e dall'Uno sono derivati anche i molti? Diremo di più. Questi problemi non costituiscono se non la formulazione dell'aspetto più de1kato e, in certo senso, più drammatico di quel problema generale: come e perché dall'Uno incorporeo è derivato, oltre che il molteplice incorporeo, altresl il molteplice corporeo? Le risposte che Platino dà a questi problemi sono senza dubbio fra le più travagliate e anche fra le più aporetiche che si possano leggere nelle Enneadi, ma sono, ad un tempo, fra le più interessanti che siano state fornite nella storia della
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
559
filosofia occidentale, e appunto per questo dobbiamo cercare di dipanarle in maniera precisa. Iniziamo dall'esame dell'elemento che distingue il mondo incorporeo da quello corporeo, ossia dalla materia sensibile. 2. La processione della materia del sensibile e le sue caratteristiche
mondo
Abbiamo ora detto che l'elemento caratteristico del mondo corporeo è, appunto, la materia sensibile; ma diciamo subito che è suÌi,'aggettivo e non sul sostantivo che va posta l'attenzione. Infatti, come ben sappiamo, una « materia » esiste anche nel mondo dell'incorporeo, ma è una materia puramente intelligibile. Abbiamo visto, infatti, come l'attività o 1a potenza che deriva dall'Uno non sia immediatamente la seconda ipostasi, ossia lo Spirito, bensì qualcosa, per così dire, di indeterminato e di informe (un pensiero indeterminato e informe) che si determina e diventa cosmo noetico o mondo delle forme, guardando l'Uno stesso e di Lui fecondandosi; la potenza che deriva dall'Uno è quindi come una materia indefinita che si definisce solo rivolgendosi all'Uno. Qualcosa di. analogo abbiamo visto anche a proposito dell'Anima 1• Il risultato dell'attività dello Spirito non è senz'altro Anima; per essere Anima deve rivolgersi verso lo Spirito, nei confronti del quale è come la materia rispetto alla forma, l'indeterminato rispetto al determinato. Ma Ja materia intelligibile ha i caratteri propri dell'intelligibile medesimo, os·sia la semplicità, l'immutabilità e l'eternità, mentre quella sensibile rivela caratteri opposti. Perché accade questo? Una prima risposta Platino ce la fornisce utilizzando i concetti di « esemplare » e « immagine » (modello e copia). Caratteristica di ogni tipo di materia è l'essere ' Cfr, sopra, pp. 527 sgg.; 544 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
560
IL NEOPLATONISMO
indefinita, indeterminata, illimitata. La materia sensibile è una immagine di quella intelligibile, e in quanto ·immagine o copia si allontana dalJ'essere dell'originale ed è, pertanto, più lindeterminata, e, quindi, consegnata al negativo e al male: Del resto, anche tra gli esseri del mondo dello Spirito, la materia è proprio l'illimitato e può ben essere generata dalla infinità dell'Uno o dalla sua potenza o dalla sua eternità; non vogliamo già dire che essa si trovi nell'Uno, vogliamo solo dire che l'Uno la crea. Ora, in qual senso essa si trova sia lassù che quaggiù? Ecco, persino l'illimitato è duplice. In che consiste la differenza? In questo, che è l'uno l'esemplare, l'altro l'immagine. Inferiore, quindi, l'illimitato di quaggiù? Maggiore, anzi; quanto più l'« illimitato - immagine » fugge dall'essere - quello verace - tanto più esso è illimitato. Poiché la indefinitezza è maggiore in ciò che ha una minore determinazione. Infatti, il meno nel bene è un più nel male 2 •
Ma questo non basta ancora a dar ragione della radicale differenza antologica fra la materia intelligibile (modello) e quella sensibile (immagine e simulacro di quello), dato che, anche nel mondo intelligibile, ogni ipostasi è copia o simulacro della precedente, eppure mantiene la stessa natura della precedente, in quanto da essa deriva. Anche la materia deriva da cause ad essa precedent>i, e, quindi, dall'intelligibile, e non è qualcosa che si contrapponga all'intelligibile dall'eternità (come in Platone). La soluzione ai nostri problemi andrà dunque cercata nel modo in cui essa deriva dalla precedente ipostasi e nel perché essa non riesca più a costituire una ulteriore ipostasi: solo cosi si comprenderanno le ragioni per cui, con l'originarsi della materia sensibile, l'essere si disperde nel divenire. Intanto, che anche la materia sia dedotta da Platino da cause anteriori risulta chiaramente da più di un testo. Eccone, ad esempio, uno esplicito. Dopo aver detto che ogni realtà ' Enneadi,
II,
4, 15; cfr.
II,
4, 4.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
561
(ogni ipostasi) reca in sé l'Jmpulso .a creare sempre qualcosa di successivo fino ai limiti della possibilità, e che ogni cosa partecipa del Bene nella misura in cui ne è capace, scrive Plotino: Cosi, anche la materia, se essa esiste dall'eternità, non può, appunto per questo suo esistere, non partecipare di quella potenza che elargisce a tutti il bene, con l'unico limite della possibilità di ciascuno; ma se anche la sua nascita è solo una necessaria conseguenza di cause anteriori, neppure in tal caso ella dev'essere scissa dal suo principio, come se questo, che pur le diede in grazia, per cosl dire, l'esistere, dovesse poi di botto arrestarsi per impotenza, prima di giungere ad essa! 3 •
La materia sensibile deriva dalla sua causa come possibilità ultima, ossia come estrema tappa di quel processo in cui l'impulso a creare e la forza di produrre si indeboliscono fino ad esaurirsi completamente. La materia sensibile diventa, cosl, esaurimento totale e quindi privazione estrema della potenza dell'Uno, e perciò dell'Uno stesso, o, in altri termini, privazione del Bene (che coincide con l'Uno). In questo senso, essa diventa male (si noti che H male non è inteso come forz;a negativa opposta alla positiva, ma come mancanza e pri· vazione del positivo!). Ed ecco come la deduzione della materia è compiuta da Plotino sfruttando questi ultimi concetti: Ma si può cogliere la necessità del male anche per questa via: poiché non c'è solo il Bene, di qui sorge la necessità che nella processione da lui o, se diversamente si preferisca esprimersi, in quel perenne digradare e allontanarsi, si abbia l'« ultimo», dopo il quale non è più possibile che venga all'esistenza una qualsiasi cosa: ed ecco il male. Che esista il termine successivo al primo risulta da una necessità; di conseguenza ci sarà pure il termine estremo: la materia, cioè, che ormai non ha più nulla di Lui. Questa ancora si è la necessità del male! 4 • • Enneadi, • Enneadi,
IV, 8, 6. I, 8, 7.
www.scribd.com/Baruhk
562
IL NEOPLATONISMO
Ben si comprende, pertanto, come Plotino abbia senz'altro potuto definire la materia sensibile come non-essere; espressione, questa, che non wol affatto indicare il nulla, ossia il non esistente, bensì, come egli espressamente rileva, « il diverso dall'essere » 5 • Infatti, dato che la materia intelligibile è essere, quella sensibile, per distinguersi da quella intelligibile, deve necessariamente essere diversa dall'essere (non essere quell'essere che è proprio della materia ~ntelligibile): Ma quella materia di lassù [ = la materia intelligibile] è un essere; poiché ciò che sta prima di essa è al di là dell'essere [ = l'Uno]. Quaggiù, invece, ciò che sta prima della materia, è solo essere. Ella è, dunque, « non - ente » poiché è diversa dall'essere e giace sotto di lui 6 • La materia non è, insomma, nulla di ciò che è proprio del mondo dell'Essere, dello Spirito e della stessa Anima, e in genere dell'intelligibile. Per questo motivo Plotino deve far ricorso prevalentemente a immagini per caratterizzarla, come ad esempio nel seguente passo, che è fra i più significativi: La materia, però, non essendo né anima né spirito né vita né forma né ragione né limite (perché è la stessa infinità) né potenza (poiché qual cosa mai ella crea?); ed essendo invece caduta al di là di tutto questo, non può neppure arrogarsi il titolo di essere, ma può convenevolmente lasciarsi denominare non essere; e non già nel senso in cui è detto non essere il « movimento » o non essere pure la «quiete», ma non essere in senso schietto e proprio, vale a dire un'ombra e una parvenza di massa; una pura ansia a far da substrato; un riposante che non sta quieto; uno che invisibile in se stesso, sfugge altresì a ciò che vorrebbe vederlo; e qualora uno non veda, gli sorge dinanzi, ma se quegli scruta attentamente, ritorna invisibile; e fa affiorare su di sé, perpetuamente, i contrari: piccolo e grande, meno e più, difetto ed eccesso; fantasma evanescente che, d'altro canto, non riesce neppure a 5 Enneadi, ' Enneadi,
I, 8, 3. 11, 4, 16.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
563
svanire; vogliam dire che neppure in questo mostra vigore, giacché non trasse vigore di sorta dallo Spirito e, per contro, essa nacque proprio nella mancanza di tutto ciò che dicesi essere. Perciò, in tutto ciò che di sé professa, ella è bugiarda: e se appare grande, ella è piccola; se preponderante, è sopraffatta; e l'essere che si rivela nelle sue sembianze è, di fatto, non essere: quasi gioco fuggente: ond'è che le cose, le quali apparentemente s'ingenerano in essa, non sono che trastulli, vere ombre nell'ombra, come in uno specchio l'oggetto appare in un punto mentre è situato altrove: esso, ben gremito all'apparenza, è vuoto; e non ha nulla, ma sembra aver tutto. Ma le cose che in essa entrano e che ne escono sono semplici copie dell'essere e precisamente ombre che cadono su una ombra informe e che in essa si rendon visibili per tramite della sua stessa mancanza di forma, onde sembrano operare su di quella, ma in realtà non operano nulla, poiché sono vacillanti e fragili e non presentan resistenza di sorta; ma giacché anche la materia non ne presenta, esse la trapassan da parte a parte senza lacerarla, come per acque o come se si volesse sospinger delle forme, per cosl dire, in ciò che si chiama il vuoto 7 • Platino cerca di determinare le ragioni di questa mancanza di ogni spessore ontologico proprio della materia. Essa è prodotta dall'Anima, non dall'Anima suprema, che è interamente affisa nella oontemplazione, ma dal lembo estremo dell'Anima dell'universo, in cui la contemplazione si affievolisce, nella misura, almeno, in cui l'Anima si volge più a sé che allo Spirito. Ecco due passi assai significativi: Ora, l'anima particolare è illuminata allorché si muove verso ciò che la precede, poiché allora s'incontra con l'essere, mentre se si volge a ciò che le vien dopo, va verso il non-essere. E questo fa, se si volge a se stessa; poiché la voglia di sé le fa creare ciò che è dopo di essa, un fantasma di se stessa, il non-essere: cosl, essa cammina nel vuoto e diviene indeterminata. E questo fantasma - l'indeterminato - è completamente oscuro: poiché è senza ragione, è privo affatto di spirito; ed è poi tanto remoto dall'essere! Tuttavia, finché si attiene alla regione intermedia, ella [Anima] sta ancora nel suo proprio àmbito; ma se guarda di nuovo, 7
Enneadi,
III,
6, 7.
www.scribd.com/Baruhk
564
IL
NEOPLATONIS~O
quasi con un secondo sguardo, dà figura al fantasma [ossia crea, come vedremo, il cosmo fisico] ed entra, lieta, in esso 8 • La verità, eccola: se non v'è corpo, neppure l'anima può farsi avanti, poiché là dov'essa è nella sua natura non c'è luogo di sorta. Ma se ella vuol procedere, deve crearsi un luogo per se stessa e, di conseguenza, un corpo. Orbene, dal fatto che quel suo quieto fondarsi su se stessa si rinvigorì, per così esprimerci, proprio su quello stesso fondamento, una diffusa luce irraggiò quasi tramutandosi, all'estremo orlo del fuoco, in oscurità [è questa la materia]. La vide l'anima e, una volta che quella era nata, le diede una figura [ossia, come vedremo, la trasformò in corpo dotandola di forma e in cosmo fisico]. Perché non sarebbe stato giusto che a un vicino dell'Anima fosse negata la forma razionale - quale, beninteso, poteva accogliere uno che si ebbe pure il nome di « umbratile » in quel che nasce in seno all'ombra 9 •
•
Infine Platino cerca di approfondire ulteriormente la ragione della differente natura della materia rispetto alle realtà che la precedono con iJ suo tipico concetto di contemplazione. L'Anima superiore contempLa, e da questa contemp1a1lione scaturisce la forza creatrice dell'Anima cosmica. Orbene, questa forza creatrice, in realtà, non è che contemplazione illanguidita: una contemplazione, sl, omogenea rispetto a quel.la dell'Anima superiore, ma vieppiù digradante quanto ad intensità, tanto che « in quel digradare va quasi svanendo » 10 • E coslla materia, prodotto di quest'attività che è l11nguida contemplazione, non ha più l11 forza di volgersi verso chi l'ha generata e di contemplare a sua volta, tanto che tocca alla stessa Anima sorreggerla, ·per cosl dire, e quindi ordinaria, informarla, tenerla, in qualche modo, appesa alJ'essere. E cosl nasce, appunto, n cosmo sensibile, come ora vedremo.
• Enneadi, III, 9, 2. ' Enneadi, IV, 3, 9. 10 Si legga, per intero, Enneadi,
III,
8, 5.
www.scribd.com/Baruhk
565
IL SISTEMA DI PLOTINO
3. Le forme e mondo, la loro con la materia
il disegno genesi e
razionale del loro rapporti
Il mondo sensibile è costltulto, nella sua totalità cosl come nelle sue parti, di materia e forma. Ma, a differenm della materia intelligibile che è forza o potenza che perennemente cerca la sua forma e che perennemente e fattivamente la possiede e in essa si attua, la materia sensibile non è positiva capacità di ricevere la forma, ma solo inerte possibilità di rifletter/a, senza esserne a fondo veramente in-formata e vivificata. Insomma, la materia sensibile è tale da essere incapace di costituire una vera unità con la forma 11 • Per questo motivo non si può dire che la forma entri nella materia veramente, ma solo «in modo menzognero», ossia superficialmente e quasi apparentemente, come un oggetto che si rifletta nello specchio: [ ... ] Il processo [con cui le forme entrano nella materia] è presso che uguale a quello con cui le immagini degli oggetti possono solamente affacciarsi sullo specchio e solo finché essi vi si riflettano. E, del resto, se dalla realtà sensibile tu sottraessi l'essere [delle forme], nulla mai apparirebbe, in nessun momento, di quanto attualmente è visibile nel mondo dei sensi. S'intende bene che lo specchio, nella realtà di quaggiù è visibile anche in se stesso, perché esso pure è una certa figura; ma lì nel caso della materia, non essendovi figura di sorta, essa non è proprio visibile in se stessa, altrimenti essa doveva in sé e per sé riuscir visibile, prima ancora dell'avvento delle idee; per contro, le capita alcunché di simile, per cosl esprimerci, a ciò che capita all'aria, la quale anche allora che è cinta di luce è invisibile, proprio perché essa, anche senza essere illuminata, non riusciva visibile 12 • Quanto abbiamo finora detto permette di comprendere appieno la duplice attività con cui l'Anima crea il mondo 11
12
Cfr. Enneadi, I, 8, 14. Enneadi, III, 6, 13.
www.scribd.com/Baruhk
566
IL NEOPLATONISMO
fisko. a) Dapprima essa pone la materia, che è come l'estremità del cerchio di luce che si spegne e diviene oscurità, b) successivamente dà forma a questa materia, quasi squarciandone l'oscurità e ricuperandola alla luce. Naturalmente, le due opera2!ioni non sono cronologicamente distinte, ma solo logicamente 13 • La prima azione dell'Anima deriva dall'estremo affievolirsi della «contemplazione», la seconda dall'estrema riscossa, per cosl dire, della contemplazione. Con questo abbiamo indicato l'origine della forma che si riverbera nel mondo sensibile: essa è quanto di Spirito passa, attraverso l'Anima suprema contemplante, a1l'Anima creante. In altri termini: le Idee che costituiscono, come sappiamo, l'Essere e lo Spirito, sono contemplate e pensate dall'Anima come Forme e sono, poi, calate nel mondo fisico come determinazione razionale, come logos o disegno razionale del mondo, come dice Platino, con terminologia che desume dalla Stoa, ma che trasforma, nel suo contenuto concettuale, in senso platonico. Ecco un testo significativo: Rifacciamoci, dunque, a stabilire di nuovo, con maggior chiarezza, di qual natura sia il disegno razionale del mondo e quanta ragionevolezza ci sia nel fatto ch'esso sia quello che è. Orbene, questo disegno razionale del mondo è ... - si osi, via! forse coglieremo nel segno - è proprio, esso, Spirito, non già puro Spirito, e neppure Io Spirito in sé e neanche, in verità, rientra nella categoria dell'Anima pura; ma ne dipende tuttavia ed è, per cosi dire, un irraggiamento, dà entrambi: Spirito e anima (e, precisamente, una Anima atteggiata in conformità dello Spirito), generarono questo disegno razionale del mondo quasi una vita che rechi in sé, tacitamente, una ragione 14 • Ed ecco un secondo testo non meno esplicito. Dopo avere sottolineato che le cose tutte sono composte di una materia 13
14
Cfr. Enneadi, Iv, 3, 9; v, 8, 7. Enneadi, III, 2, 16.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
567
e di una forma che su di essa sovrasta, Platino si chiede « donde venga alla materia la forma ideale », e risponde: Ma, d'altro canto, anche a proposito dell'anima, tu cercherai se essa rientri già tra gli esseri semplici, o se in essa si trovi qualcosa che faccia da materia e qualcosa che faccia da forma lo Spirito ch'è in essa, voglio dire, il quale da un canto starebbe all'anima come la forma sta al bronzo, dall'altro assomiglierebbe proprio a colui che fa sorgere la forma nel bronzo. Trasportando però sul piano dell'universo queste stesse considerazioni, si potrà pure in questo piano ascendere a uno Spirito e parlo come vero creatore ed artefice: si dovrà dire che il sustrato, solo dopo aver ricevuto le forme, è divenuto ora fuoco ora acqua ora aria e terra, con la riserva, però, ·che queste forme derivano da un altro e che quest'altro è appunto l'Anima; ma, in compenso, se l'Anima imprime sui quattro elementi la forma del cosmo, è lo Spirito, però, che è divenuto, per l'Anima, il distributore delle forme razionali, allo stesso modo che solo dall'Arte deriva nell'anima dell'artista la forma razionale atta a creare; ma lo Spirito, per un verso, vale come idea dell'Anima - l'idea, qui, corrisponde alla forma - per un altro verso, è proprio colui che, apprestando la forma, fa la parte del creatore della statua: in Lui inserisce tutto ciò ch'Egli dona. Ciò che l'Anima riceve dallo Spirito confina immediatamente con la verità; invece ciò che il corpo riceve dall'Anima è già ormai ombra e figura 15 • In questo senso si può comprendere la conclusione cui Platino perviene, e, cioè, che, nell'universo sensibile, non solo la forma ha un netto predominio, ma, al limite, il cosmo si risolve quasi per intero nella forma: [. .. ] L'universo è stretto dai legami delle forme da cima a fondo: anzitutto, la materia dalle forme degli elementi; poi sulle forme, altre forme e poi altre ancora, novellamente; onde riesce
finanche difficile, trovare la materia celata sotto tante forme. Ma poiché anch'essa è una certa forma - infima - questo nostro mondo è completamente forma e forme sono le cose universe; poiché il modello era già forma 16 • Enneadi, v, 9, 3. •• Enneadi, v, 8, 7.
15
www.scribd.com/Baruhk
568
IL NEOPLATONISMO
4. Genesi d e Il a t e m por a l i t à
Il passaggio dal mondo intelligibile al mondo sensibile comporta al passaggio dall'essere al divenire, vale a dire dall'eternità alla temporalità. Come nasce la temporalità? Anche a questo problema Plotino ha cercato di fornire una risposta esplicita. La temporalità nasce ad opera dell'Anima congiuntamente alla produzione di questo nostro universo. La temporalità coincide anzi con l'attività stessa con cui l'Anima crea il mondo fisico, ossia con quell'attività che produce qualcosa che è altro dallo Spirito e dall'Essere, che sono invece nella dimensione dell'eterno. L'eternità, come già sappiamo, per Plotino è vita senza mutamento, vita che è presente tutta intera simultaneamente. La vita dello Spirito è vita eterna, appunto perché è presenza della totalità dell'Essere, che è, sempre, tutto in tutto. Ebbene, ·l'Anima, per una sorta di « temerarietà » e «desiderio di appartenere a se stessa » 17 , o, come con altra immagine Plotino ancora dice, per «desiderio di trasferire in un diverso la visione di lassù » 18 , non paga di vedere il tutto simultaneamente, esce dall'unità, avanza e si distende, per cosl dire, in un prolungamento e in una serie di atti che si succedono l'un l'altro, e crea cosl un mondo sensibile che è, sl, fatto ad immagine dell'intell.igibile, ma che fatalmente volge e pone in successione di prima e di poi ciò che colà, invece, era tutto insieme e simultaneo. In questo modo, l'Anima temporalizza se stessa e, qui·ndi, il suo prodotto. Il mondo è strutturalmente nel tempo, cosl come è nell'anima e per l'Anima. Quando si dice che la caratteristica tipica dell'Anima, per Plotino, è la vita, si intende, precisamente, la vita nella dimensione della temporalità a differenza della vita dello 17
11
Cfr. Enneadi, v, l, l. Cfr. Enneadi, m, 7, 11.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
569
Spirito che è nella dimensione dell'eternità. E la vita come temporalità è vita che scorre in momenti successivi, o, se si preferisce, che crea scorrendo, o scorrendo crea, i momenti successivi, e che, quindi, è rivolta sempre a dei momenti ulteriori ed è carica sempre dei momenti trascorsi. Con queste notevoli amplificazioni Platino ripropone la definizione platonica di tempo come immagine dell'eterno: Definire, cosl, il tempo come vita dell'anima nel suo movimento trascorrente dall'uno all'altro stato di vita, è già dire qualcosa, m'immagino; se, ecco, eternità è vita che consiste in stabilità e identità e inalterabilità ed è già infinita; se il tempo, invece, dev'essere immagine dell'eterno - nel rapporto che s'intuisce tra universo sensibile e universo ideale -, allora al posto della vita di lassù deve corrjspondere un'altra vita che rientra solo per :figura di omoniinia nella potenza qui considerata dell'anima; e al posto del movimento di natura intelligibile il movimento di una certa parte dell'anima; invece poi di identità e d'inalterabilità e di durata, quello che non dura in ugual stato ma esercita una attività sempre nuova; invece di inseparabilità e di unità, una semplice immagine dell'uno cioè l'uno nella continuità; invece poi di già infinito e di intero il sempre volgente, infinitamente, a ciò che vien dopo; invece di una già compatta interezza, qualcosa che, frusto a frusto, sarà, in avvenire, e una sempre futura totalità 19 •
Tre corollari meritano di essere rilevati a proposito di questa concezione del divenire. In pdmo luogo, il divenire perde ogni carattere di drammaticità e di catastroficità, in quanto nascere e morire diventano non altro che H mobile gioco dell'An1m'cl che riflette le sue forme come su uno specchio: e si tratta - si badi - di ungioco i.n cui tutto si conserva e nulla perisce, perché, dice espressamente Plotino, « nulla può venire cancellato dall'essere » 20 • In secondo luogo, lo stesso universo, e non solo le sue 19 Enneadi, "' Enneadi,
III, IV,
7, 11. 7, 14.
www.scribd.com/Baruhk
570
IL
NEOPLATONIS~O
parti, non perirà, cosl come non è nato, in un dato momento, dal nulla. La genesi del mondo è eterna, o, meglio, è ab aeterno, nel senso che ab aeterno l'Anima si temporalizza, volendo ab aeterno far vivere nel diverso ciò che ha contemplato nello Spirito, secondo la legge « necessaria » della processione 21 • In terzo luogo, poiche è l'Anima che genera e sorregge il mondo e tutte le sue parti, e poiché l'Anima è, per sua essenza, vita, tutto è vivo, anche ciò che non ne ha l'apparenza, anche la terra e gli elementi tutti: insomma, « non c'è cosa che non viva » 22 •
5. Genesi del corporeo e della spazialità e loro natura
Come il tempo dipende daH'attivJtà dell'Anima, cosl la stessa corporeità (e per conseguenza la spazialità) dipende dalla forma, dall'attività della forma sulla materia. La materia, infatti, concepita nel modo che si è sopra veduto, non è né massa né estensione, e quindi non è corporeità. Il corpo, in generaLe, nasce dall'unione della forma con la materia, è H risultato della qualità unita alla materia. In particolare, Plotino specifica che la «corporeità» in quanto tale è forma, è logos, è ragione seminate produttiva che genera il corpo concreto in unione con la materia. Tesi, questa, interessantissima, perché rappresenta l'estremo tentativo di mettere in conto al logos e alla forma qualsivoglia determinazione positiva. Già gli Stoici definivano il corpo come materia qualificata (materia più qualità), ma intendevano la quaHt-.ì come immanente alla materia, cioè in un contesto materialistico, mentre Plotino traspone la dottrina in un 21 20
Cfr. Enneadi, Cfr. Enneadi,
II, IV,
9, 8; II, 9, 12. 4, 36; dr. VI, 7, 11.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
571
contesto spiritualistico, nel quale la materia è riflesso della forma 23 • Il corpo è dunque, in ultima analisi, una creazione delLa forma 24 •
6. La posi ti vi tà del mondo corporeo
Questa concezione della genesi e della struttura del mondo fisico potrebbe dare origine, di per sé; a due valutazioni del medesimo di segno opposto. Nella misura in cui si tratta di un mondo, che, in qualche modo, ha a che fare con una materia, la quale è privazione del BeJie, ossia male, si potrebbe concludere che esso sia nato sotto il segno del male. Invece, nella misura in cui si sottoLinea l'aspetto delia materia come ombra della forma e la deriva2lione del mondo in generale dall'Anima, e quindi dalJo Spirito e, in ulJtima analisi, dallo stesso Uno, si deve concludere che esso è nato sotto il segno del bene. Questa seconda è la conclusione, sia pure non esente da aporie, che Plotino trae dai suoi principi e difende strenuamente contro l'opposta tesi gnostica 25 • Intanto, è da osservare come l'antica intuizione platonica secondo cui non è l'Anima nel mondo, ma il mondo nell'Anima, viene portata da Platino alle conseguenze estreme: l'Anima non solo produce il cosmo, ma lo abbraccia, lo fascia, lo rinchiude nel proprio seno: [ ... ] Il mondo s'adagia in seno all'Anima che lo tiene alto nelle sue braccia e nulla di essa gli è negato; come, nell'onda, una rete tutta intrisa, vive, ma non riesce a far suo l'elemento in cui è immersa; invece, se il flutto si estende, la rete si coestende, finché essa riesca a farlo di per se stessa, perché ognuna delle sue 23 Cfr. Enneadi, II, 7, 3. .. Sul concetto di oggetto sensibile in Plotino dr. Rist, Plotinus ..., pp. 103-111. "' Cfr. Enneadi, II, 9, passim.
www.scribd.com/Baruhk
572
IL NEOPLATONISMO
parti non può trovarsi m altro punto se non là dove si trova. L'Anima, per contro, è per sua essenza dotata di tanta virtù che, pur non essendo quantitativamente determinata, è capace di abbracciare da ogni parte l'intero corpo con qualcosa ch'è sempre identico: dove che sia il punto in cui esso s'è esteso, ella è già là. Pure, se non ci fosse quel corpo, essa non saprebbe proprio che farsene della sua grandezza: poiché ella è quello che è. L'universo, vogliam dire, spinge la sua ampiezza sin là dove l'anima è presente e segna i suoi confini sino al termine ove, inoltrandosi, ha al suo fianco, a mantenerlo, l'Anima 26 • È evidente che, riprese in questo contesto, le dottrine stoiche della simpatia universale e della provvidenza assumono un nuovo significato spiritualistico, con inedite amplificazioni. La stessa dottrina del Demiurgo e le molte questioni sollevate dai Platonici a questo riguardo mutano significato. Il Demiurgo, in certo senso, è l'Anima, perché essa è la vera causa produttrice del mondo; ma l'Anima produce non solo in quanto vita e generatrice di vita (che è la caratteristica sua peculiare), ma in quanto possiede in sé le forme che derivano dalle Idee dello Spirito. In questo senso è Demiurgo anche lo Spirito 27 • Al -limite, poi, entra in questione lo stesso Uno, se è vero che il cosmo fisico doveva nascere affinché fosse realizzata tutta la potenza dell'Uno. Ma, più in genera.Ie, come vedremo, il concetto di « contemplazione creatrice » doveva trasformare completamente la problematica del Demiurgo 28 • La polemica antignostica non fece che rinvigorire la convinzione di Plotino circa la positività del cosmo fisico. Per il nostro filosofo chi giudica il mondo come nato male commette un errore di valutazione di fondo, guardando secondo " Enneadi,
IV, 3, 9. " Cfr. le giuste osservazioni di Covotti, Da Aristotele ai Bizantini, pp. 153 sg. 21 Cfr. Enneadi, m, 8, pas:rim.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
573
un'ottica sbagliata: il mondo non va visto e non va giudicato come modello, ossia come Spirito, ma come copia che imita il modello. Se si giudica come copia, ossia come immagine, allora bisogna concludere che esso è la più bella immagine dell'originale 29 • Del resto, Plot>ino dice addirittura che il mondo sensibile «esiste per Lui e guarda lassù » 30 • Anzi, egli afferma non solo che il mondo guarda Dio, ma che, in un certo senso, il mondo stesso è in Dio, giacché il mondo è nell'Anima, l'Anima è nel Nous, il Nous è nell'Uno e l'Uno non è in ·altro, ma rinserra in sé tutto 31 • La spiritualizzazione del cosmo è veramente spinta da Plotino ai limiti dell'acosmismo: la materia è ridotta all'attività dell'anima affievolita, il corpo alla forma, il mondo a mobile gioco di forme che si muovono come in uno specchio, la forma è agganciata allo Spirito e lo Spirito all'Uno 32 • 29 Cfr. Enneadi, II, 9, 4. "' Enneadi, II, 9, 9. " Cfr. Enneadi, v, 5, 9. 32 Meno interessanti sono le concezioni di Plotino circa la struttura del mondo. Qui ci limitiamo a rilevare alcuni rapporti fra cosmogonia e demonologia. Il cielo, che è la parte migliore del cosmo visibile, « confina » con gli ultimi gradi del mondo dello Spirito, ed è fatto di luce (diversa dal fuoco terrestre). E il cielo è la prima regione in cui le anime penetrano (Enneadi, IV, 3, 17). Gli astri e i corpi celesti sono animati e sono Dei secondi o visibili, che sono come immagini o copie degli Dei spirituali e intelligibili. Oltre alla concezione degli Dei visibili, Plotino riprende altresl quella dei Demoni, intesi come tramiti fra gli Dei e il genere umano. I Demoni non appartengono al mondo dello Spirito (a questo appartiene solo il loro paradigma eterno e spirituale, che, come tale, è un Dio), hanno una materia intelligibile, che può permettere loro di assumere corpi aerei e ignei (m, 5, 6). I Demoni hanno affezioni (ivi) e possono perfino avere voce nell'aria (Iv, 3, 18). I Demoni sono generati dall'Anima dell'universo secondo i vari bisogni dell'universo. Infatti « [ ... ] essi soli gli dan pienezza e reggono, in comune col tutto, ogni singola cosa; poiché occorreva che l'Anima dell'universo soccorresse il mondo, appunto col produrre forze demoniache che fossero a un tempo giovevoli alla sua propria totalità» (m, 5, 6). Una specie particolare di Demoni è costituita dagli «Amori», dagli Erotes, che sono prodotti dall'Anima nella sua aspirazione al bello, mentre gli altri Demoni sono generati da altre potenze dell'Anima, non dalla sua potenza d'amore.
www.scribd.com/Baruhk
V. ORIGINI, NATURA E DESTINO DELL'UOMO
l. L'uomo anteriormente alla sua discesa nel mondo corporeo
L'uomo non nasce al momento in cui sorge il mondo corporeo, ma preesiste ad esso sia pure in altra condizione, ossia allo stato di pura anima. Intanto, Platino dice con tutta chiarezza che prima della nascita noi « eravamo lassù », nel mondo dell'Essere e dello Spirito, eravamo « altri uomini », e anzi « eravamo Dei », partecipi della vita spirituale del tutto, senza le scissioni e le lacerazioni che sono proprie della vita terrena. Ecco le precise parole del nostro filosofo: Ma noi! E chi siamo «noi»? Siamo «noi», forse, proprio quell'Essere ovvero siamo ciò che all'Essere appena appena si accosta ed è solo «quel che è generato nel tempo»? Anche prima che avvenisse questo nostro nascimento, noi dimoravamo lassù: eravamo altri uomini e individualmente determinati e anche Dei ( !v&pooxoL SlloL !lvn~ xcd -rtve~ xal &Eo( ), anime pure, con lo Spirito congiunto all'Essenza, tutta intera, parti della Realtà spirituale senza confini e senza scissure ma appartenenti al tutto; tant'è vero che persino oggi noi non ne siamo separati. Oggi, però, a quell'Uomo dello Spirito si è aggiunto purtroppo un uomo ben diverso, smanioso di esistenza e trovò proprio noi, giacché non eravamo fuori dell'universo; e si vestl di noi e si addossò a quell'« Uomo dello Spirito » che ciascuno di noi era allora [ ... ] ; ed eccoci allora divenuti questo nostro « insieme di due » e non siamo più quello che prima eravamo. Anzi, talvolta, noi siamo esclusivamente quel secondo uomo che si è aggiunto, se quel primitivo Uomo è inerte o anche, in qualche altra maniera, lontano 1• 1
Enneadi,
VI,
4, 14 {abbiamo ritoccato la traduzione Cilento, seguendo
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
575
Anzi, Platino precisa, addirittura, che le nostre anime erano in origine associate all'Anima universale (evidentemente in quella condizione di unità-distinzione che conosciamo conie peculiare del mondo dell'intelligibile) nel governo del mondo, come Re accanto al Signore supremo: Cosl, le anime particolari sono dotate di un impulso di natura spirituale in quel loro rivolgersi all'Essere donde nacquero, ma posseggono altresl un potere che si esercita su quanto è sulla terra; proprio _come la luce, sospesa, pel vertice superiore, al Sole, ma che pure non lesina la sua elargizione a ciò che le tien dietro. Finché esse restano nel mondo dello Spirito in compagnia dell'Anima universale, è data loro un'esistenza libera dall'affanno; unite, allora, nel cielo, all'Anima universale, sono associate ad essa nel governo del mondo a guisa di re che stian presso il supremo Signore e partecipino al suo governo senza discendere, ancor essi, dai loro seggi regali; cosl, voglio dire, le anime se ne stanno
insieme, in questa prima fase, nella stessa sede 2 • È appena il caso di rilevare che, in questa fase, l'anima conosce intuitivamente e simultaneamente la totalità delle cose che sono nello Spirito e, attraverso lo Spirito, il Bene stesso. In questo contesto, cioè nell'unità con lo Spirito e con il Bene, essa ha anche coscienza di sé 3 • Ma perché le anime degli uomini discendono nei corpi? È l'antico problema che aveva travagliato Platone e al quale egli non aveva saputo dare una soluzione univoca, oscillando fra opposte tesi: quella di una necessità antologica e quella di una «colpa» 4 • Platino riprende queste opposte tesi e cerca di conciliarle, sulla base dei guadagni della sua metafisica. Vediamo come egli tenti la conciliazione, e, inoltre, cerchiamo di stabilire se e fino a che punto riesca nel suo intento. l~
osservazioni cht: sul lt:sto originari<> fa :\rn<>u. Le désir ... pp. 20H sgg.l. ' Enneadi. IV, 8, ~;cfr. rv. 8. 2. ' Cfr. Enneadi, IV. ~. 2. • Cfr. vol. 11, pp. 235 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
576
IL NEOPLATONISMO
2. L a d i scesa n e i c or p i Intanto, va rilevato che la ragione principale della discesa delle anime particolari nei corpi particolari va ricercata, in primo luogo, nella stessa legge che regola la « processione » di tutte le cose dall'Uno. Secondo questa legge, dunque, l'Anima universale deve esplicare tutte le sue possibilità, e, quindi, deve produrre non solo, ·attraverso l'Anima del cosmo, l'universo in generale, ma altresì, attraverso le anime particolari, tutti i viventi particolari, fra i quali vi è l'uomo; e tutto oiò '
IV, IV,
8, 3. 8, 5 sg.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
577
altreslla tesi che per l'Anima era «meglio» dimorare accanto allo Spiri:to e che lo scendere, per quanto necessario, è tuttavia un «peggio» e, quindi, un male e una colpa (una sorta di « audacia » o « temerarietà » ). Ritorniamo, cosl, alle incertezze di Platone? Plotino crede di venire a capo delle difficoltà distinguendo due diverSe specie di colpe proprie dell'Anima. a) La prima specie di colpa consiste, in generale, nella stessa «discesa», la quale, come abbiamo visto, nella misura in cui è ineluttabile, è involontaria, e il « castigo ~> che tocca a questa colpa è la stessa esperienza dolorosa della discesa nei corpi. Con questo stesso tipo di colpa, ossia con questa discesa necessaria, coincide la « voglia di appartenersi » o il « ritrarsi nell'individualità », di cui parla Plotino, dato che in questo appunto consiste il diventare anime di corpi singoli e particolaJ.'Ii 7 • b) La seconda specie di colpa riguarda, invece, l'anima che ha già preso corpo e consiste, appunto, nell'eccesso di cura per il corpo medesimo, con tutto ciò che consegue, ossia l'allontanarsi dalla propria origine per mettersi al servizio delle cose esteriori e quindi il dimenticare se stessa 8 • Non è dunque la prima specie di colpa, ma la seconda quella che costituisce il grande male dell'anima, ossia il male che la porta a dimenticare sé, la sua origine e quindi Dio (e la rende degna di particolari castighi). Ecco il passo più chiaro: Qual è mai la causa che ha reso le anime - le quali pur sono parti staccate di lassù e appartengon anzi completamente al mondo superno - dimentiche del loro padre Iddio e ignare di se stesse e di Lui? Ebbene, prima radice del male, per esse, fu la temerarietà, e poi il nascere e l'alterità primitiva e la voglia di appartenere a se stesse. Cosi, ebbre, visibilmente, di quella loro autodeter7 Cfr. Enneadi, v, l, l. • Cfr. Enneadi, IV, 8, 4 sg.
www.scribd.com/Baruhk
578
IL NEOPLATONISMO
minazione, poi ch'ebber fatto il più largo uso di quel loro spontaneo movimento, dopo quella gran corsa sulla via contraria, distanziate che furono per sì gran tratto, finirono alfine di ignorare se stesse e la loro origine: quasi fanciulli che, strappati troppo presto ai genitori ed allevati lungo tempo lontano, non riconoscono più né se stessi né i loro genitori. Le anime, dunque, non scorgendo più né Lui né se stesse, disistimandosi, per ignoranza della loro stirpe, ed apprezzando invece le altre cose, ammirando, anzi, tutte le cose più. che se stesse, trasalirono, attonite, di fronte a loro e
ne furono avvinte; e si strapparono, a tutto potere, dalle cose donde avevan già volto le spalle, sprezzatamente. Così risulta che di quella totale ignoranza di Dio unica causa è il dar pregio alle cose terrene e disprezzo al proprio essere 9 •
Quali siano le conseguenze etiche ed escatologiche di queste aff.ermazdon1 plotiniane lo vedremo più avanci. Prima è necessario esaminare, in generale, quale sia la situazione dell'anima che prende corpo e quali siano i rapporti fra le singole anime e i singoli corpi.
3. L'uomo e i rapporti fra l'anima e il corpo Abbiamo finora parlato dell'uomo, dando per scontata la equazione di uomo e anima, come del resto fa Platino nei testi che abbiamo letto. È questa una equazione stabilita, come sappiamo, per la prima volta da Socrate 10 , che fu antologicamente sviluppata da Platone 11 e che proprio Piotino porta alle sue conseguenze estreme. Nulla vieta, dice il nostro filosofo, che si chiami « io », ossia uomo, anche l'insieme di anima e di corpo, ma resta pur sempre che « l'uomo vero » è solo l'anima, anzi « l'anima separata » e, come vedremo, anche quaggiù « separabile » 12 • • Enneadi, v, l, l. vol. I, pp. 300 sgg. 11 Cfr. Platone, Alcibiade maggiore e Fedone, passim. 12 Cfr. Enneadi, I, l, 10.
° Cfr.
1
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
579
Per la verità, in più punti delle Enneadi, si afferma che in noi ci sono come tre uomini e non semplicemente l'uomo interiore e l'uomo empirico. Ques~ tesi, che di primo acchito può stupire, diventa molto meno paradossale, non solo se misurata con i parametri dell'antologia plotiniana, ma altresl se ricollegata alla tradizione medioplatonica, dalla quale lo stesso neostoico Marco Aurelio aveva tratto la sua triplice distinzione dell'uomo, di cui sopra abb1amo detto, ti.n nous, psyché e corpo. È questa, sostanZJialmente, la tripartizione da cui Platino prende le mosse, trasformandola secondo i moduli della sua antologia e dandole, per cosi dire, un inusitato spessore metafisica, in grazia della teoria della processione. Ecco un testo paradigmatico: Se [ ... ] lassù stanno pure idealmente questi nostri corpi [scil. le Idee dei corpi, cosl come ci sono le Idee degli elementi acqua, fuoco etc.], l'anima ha pure il diritto di averne sensazioni e percezioni; cosl c'è anzitutto l'Uomo superno; poi c'è l'anima cosl atteggiata, capace, cioè, di tali percezioni; quindi, anche quest'uomo postremo - ch'è solo una immagine - possiede, in immagine, le forme razionali; e l'Uomo che si trova nello Spirito contiene in sé il secondo uomo, anteriore a tutti gli uomini. Pure, questo primo Uomo irraggia sul secondo e questi, alla sua volta, sul terzo: ma l'ultimo ha pure in sé, non so come, tutti gli altri precedenti non già perché diventi proprio «quegli uomini», ma perché il suo essere corre parallelo al loro. Di solito, in noi, c'è uno che agisce conforme all'« ultimo uomo»; eppure, gli tocca qualcosa che proviene dall'« uomo anteriore » e su quest'ultimo scende addirittura la forza operosa del «primo Uomo»: e cosl l'uomo, a volta a volta, si trasfigura in Colui secondo il quale opera: cosl, davvero, da una parte ognuno di noi possiede tutte e tre queste forme di umanità e, d'altra parte, non le possiede. Però la terza forma di vita - voglio dire il terzo, più alto Uomo - se ne sta del tutto scisso dal corpo; se la seconda vita vuoi tenergli dietro - e certo può tenergli dietro, senza staccarsi dai valori superni là dov'è quella seconda vita c'è ancora, si dice, questa nostra vita terrena 13 • •• Enneadi,
VI,
7, 6.
www.scribd.com/Baruhk
580
IL
NEOPLATONJS~O
Questa tripartizione (sulla quale insistiamo, perché è assolutamente fondamentale ai fini della comprensione dell'etica, dell'ascetica e della mis~ica del nostro filosofo) è riproposta anche in termini di « anima », nel senso che i « tre uomini » possono essere considerati come tre anime, o, meglio, « tre potenze» dell'anima, dato che il «primo uomo» non è se non l'anima considerata nella sua tangenza con lo Spirito ( tangenza che strutturalmente non viene mai meno); il « secondo uomo» è l'anima o il pensiero discorsivo, che è a mezzo fra l'intelligibile e il sensibile, e il « terzo uomo » è l'anima che vivifica il corpo terreno: Quanto poi all'anima nostra, in parte, ella è sempre applicata agli esseri intelligibili, in parte è volta alle cose terrene, in parte è in mezzo tra intelligibile e sensibile. Natura unica, sl, ma in più potenza, a volte è concorde, tutta intera, con la sua ottima parte - che è pur l'ottima parte dell'essere -; a volte è la sua parte peggiore che, travolta in giù, travolge seco la parte intermedia. Ma che sia travolta in giù il tutto dell'anima, oh, questo non sarebbe consentito! Ella è soggetta a quest'affanno poiché non seppe dimorare in seno alla suprema bellezza; ove, invece, ferma, l'Anima - quella che non è parte di noi e della quale noi non siamo più parte - mentre concede a ogni corpo di attingere per sé quanto può da essa attingere, se ne sta frattanto immune da ogni sollecitudine, essa, non reggendo il mondo in virtù di pensiero riflesso né correggendolo in qualche cosa, ma mediante quella sua visione di ciò che la precede, adorna, con prodigiosa potenza, il tutto. Quanto più se ne sta in se stessa, tanto più è bella e potente. Attingendo di lassù, l'anima dona a ciò che le tien dietro: e, illuminata com'è, eternamente, illumina 14 •
In un altro testo Platino precisa, ulteriormente, che quello che, più propriamente, deve considerarsi il nostro « io » è l'Anima e ,l'uomo intermedio (il pensiero discorsivo), che è capace sia di tendere verso il meglio (lo Spirito), sia verso il peggio (il sensibile, il terzo uomo): 14
Enneadi,
11,
9, 2.
www.scribd.com/Baruhk
IL
SISTE~
DI PLOTINO
581
[ ... ] Per sentire, certo, noi ci avvaliamo della sensazione, eppure non è il nostro « io » quello che sente. Orbene, è forse così anche del nostro pensiero discorsivo? No, allorché riflettiamo in questo modo discorsivo, siamo proprio «noi» quelli che ragioniamo; e siamo «noi» che pensiamo i pensieri che entrano nella ragione discorsiva: appunto perché il nostro « io » consiste proprio in questo: ma le attività dello Spirito derivano dall'alto come quelle insorgenti della sensazione derivano dal basso: il nostro «io» è l'istanza dominante dell'anima che tiene il mezzo tra due forze: il peggio e il meglio; il peggio è la sensazione, il meglio è lo Spirito. Ma la sensazione è creduta, per convenzione, nostra, per sempre; poiché sempre noi sentiamo; per lo Spirito, invece, la cosa è discussa sia perché non ce ne avvaliamo sempre sia perché esso è separato; ma è separato solo in quanto non è Lui che si inclina a noi ma noi piuttosto ci volgiamo a Lui, levando il nostro sguardo alle altezze. La sensazione serve da messaggera al nostro .«io»; ma sul nostro «io» domina da re lo Spirito 15 • ~ chiaro, dunque, che, per Plotino, l'uomo è comprensibile solo nella dinamica di questi tre momenti. Resta vero, per lui, che l'uomo è un'anima che si serve di un corpo. Tuttavia, da un lato, il corpo non è se non « caduta dell'anima» nel senso veduto, e l'anima come ragione governante il corpo non solo resta superiore al corpo anche quando è nel corpo, ma mantiene stabilmente un legame con l'Assoluto, un aggancio che non viene mai meno:
[ ... ] Se si dev'essere tanto arditi da esprimere, chiaro e tondo, il proprio parere contro la opinione in voga, anche la nostra anima umana non s'è inabissata tutta quanta; no, c'è, per contro, qualcosa di essa, che dimora eternamente nel seno dello Spirito [ ... ] 16 •
A seconda che noi lasciamo predominare la parte sensibile oppure trascendiamo il sensibile tenendoci stretti a questa parte superiore, decidiamo i nostri destini. 15 16
Enneadi, v, .3, .3. Enneadi, IV, 8, 8.
www.scribd.com/Baruhk
582
IL NEOPLATONISMO
Ma, prima di dire di questi, dobbiamo, ulteriormente, chiarire le attività dell'anima individuale, sia nei suoi rapporti col corpo, sia in sé considerata.
4. L e a t t i v i t à e l e funzioni d e Il' a n i m a Le attività elementari della vita vegetativa e animale sono garantite dall'Anima dell'univ·erso. Abbiamo visto, infatti, che a quest'Anima spetta la creazione del mondo, mentre alle anime singole spetta il compito di vivificare e reggere i singoli corpi. Orbene, come tutte le attività che sembrano appartenere ai corpi in generale sono, in realtà, proprie dell'Anima che le produce, così tutte le attività che sembrerebbero appartenere al corpo particolare sono, in realtà, sotto la diretta regia dell'anima che lo governa, o, addirittura, sono attività proprie e peculiari di quest'anima medesima. E si badi che, a tutti i livelli, l'anima è concepita come impassibile e come capace solo di agire, perché l'incorporeo non può essere affetto, in alcun modo, dal corporeo. Come si spiega, allora, la sensazione? Non suppone essa, forse, non solo una azione dei corpi sui corpi, ma altresl una azione dei corpi sull'anima, o, quantomeno, una interazione a doppio senso fra corpo e anima, e, dunque, un patire dell'anima? La risposta di Platino è assai ingegnosa. Egli distingue, fondamentalmente, due aspetti della sensazione: la sensazione « esteriore », che non è altro se non l'affezione e l'impronta che i corpi producono sui corpi (e che si spiega in funzione della generale legge della «simpatia» che lega reciprocamente tutte le cose dell'universo fra di loro e con il tutto), e la percezione sensitiva vera e propria, che è, invece, un atto dell'anima, un atto conoscitivo dell'anima, un atto che fattivamente coglie l'impressione e l'affezione corporea.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
583
Dunque, quando sentiamo, da un lato, il nostro corpo patisce una affezione da parte di un altro corpo; invece, la nostra anima entra in azione, non solo nel senso che « non le sfugge » 17 l'affezione corporea, ma, addirittura, nel senso che essa «giudica» queste affezioni 18 • Anzi, per Platino, nell'impressione sensoriale che si produce nel nostro corpo, l'anima vede (sia pure allivello più debole e più illanguidito) l'orma di forme intelligibili e, dunque, la stessa sensazione è, per l'anima, una forma di contemplazione dell'intelligibile nel sensibile. Ecco un testo assai importante a questo riguardo: [. .. ] La facoltà sensitiva dell'anima non ha affatto bisogno di estendersi alle cose sensibili, direttamente, ma deve consistere piuttosto in una speciale capacità percettiva di impronte, che, in seguito alla sensazione, si formano nel vivente; poiché queste sono, oramai, di specie intelligibile: ond'è che la sensazione esteriore è un'immagine di questa; ma la potenza dell'anima è ben più vera, secondo la essenza, poiché è contemplazione di forme, pura e
impassibile 19 • Del resto, questo non è che un corollario che scaturisce dalla concezione plotiniana del mondo fisico, secondo cui i corpi sono prodotti dai logoi, ossia dalle forze razionali dell'anima dell'universo (che sono un riflesso delle Idee), e ad essi in ultima analisi si riducono, sl che le sensazioni risultano essere, in un certo senso, non altro che « pensieri oscuri », mentre i pensieri degli intelligibili puri sono « sensazioni chiare » 20 • Anzi, per il nostro filosofo, in tanto la sensazione è possibile in quanto l'anima inferiore che sente è connessa all'anima superiore che ha percezione degli intelligibili puri (la platonica anamnesi o reminiscenza, per Platino, è una Cfr. Enneadi, III, 4, 2. Cfr. Enneadi, III, 6, l; IV, 3, 11. " Enneadi, I, l, 7; cfr. III, 8, 7. "' Cfr. Enneadi, VI, 7, 7. 17
18
www.scribd.com/Baruhk
584
IL NEOPLATONISMO
originaria vtszone intutttVa o un possesso degli intelligibili puri) e il sentire dell'anima
Analogamente Platino attribuisce all'-anrima anche le facoltà dell'immaginazione e della memoria. Non il corpo di per sé e neppure il corpo considerato nella sua unione con l'anima sono capaci di ricordo, ma solo l'anima; il corpo è, al contrario, un impaccio e un ostacolo al ricordare e, qUJindi, piuttosto causa di oblio: Ma per il compito del ricordare, il corpo riesce persino d'impaccio; poiché anche nel nostro essere attuale si fa strada la " Enneadi,
IV,
6, 3.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA Dl PLOTINO
585
dimenticanza all'aggiunta di certa materia; ma se il corpo l'elimina e si purifica, molte volte il ricordo riaffiora. Il ricordo, però, è un perseverare: necessariamente, allora, l'essere corporeo che si muove e scorre sarà causa di dimenticanza e non già di memoria [ ... ]. Cosl, resti assegnata questa funzione all'anima 22 •
Questo è evidente, dice Plotino, soprattutto nel caso del ricordo e della memoria di dottrine scientifiche, nel quale, ovviamente, il corpo non ha alcun ruolo. Memoria e ricordo hanno però un rapporto strutturale con la temporalità, col venir prima e dopo, e l'anima, nella misura in cui ha rapporto col corporeo, ha anche rapporto con la temporalità. Invece, tutto ciò che permane nell'identità e nell'eguaglianza dell'eterno non ha memoria, ma partecipa della simultanea presenza della totalità. Dio e lo Spirito non hanno, dunque, memoria, ma solo l'anima possiede tale attività, appunto nella misura in cui, come s'è detto, ha commercio con la temporalità. Diversa strutturalmente dalla memoria è la reminiscenza (l'anamnesi), di cui già abbiamo fatto cenno, la quale consiste in un conservare perennemente nell'anima ciò che all'anima stessa è in qualche modo connaturato, in quanto le deriva dal suo originario e strutturale contatto con le realtà superne. La nostra anima superiore, infatti, è eternamente agganciata allo Spirito 23 • Di conseguenza, nell'aldilà l'anima tende a lasciare cadere i ricordi legati al corporeo e al temporale, mentre nell'aldiqua l'anamnesi delle cose superne non può mai interamente oscurarsi 24 • La più alta attività conoscitiva dell'anima consiste, dunque, nel pensiero che coglie le Idee e Io Spirito. Al di sopra di questa, però, l'anima possiede anche la capacità metara-
"' Enneadi, IV, 3, 26. 23 Cfr. Enneadi, IV, 3, 25. '" Cfr. Enneadi, Iv, 3, 27.
www.scribd.com/Baruhk
586
IL NEOPLATONISMO
zionale di cogJ,iere Io stesso Uno e con Lw « unificarsi ». Ma di questo diremo più oltre. Anche i sentimenti, le passioni, le volizioni e tutto quanto ad essi è legato vengono interpret'ati da Platino, cosl come le sensazioni, le percezioni e la memoria, come attività dell'anima. Infatti, per il nostro filosofo, è il corpo, ossia l'animale, che patisce, mentre !'.anima resta, propriamente, immune da affezione, e agisce sul corpo accorgendosi della passione del corpo e interessandosene di conseguenza. Riassume bene questo pnnto della dottrina plotrlni-ana uno srudioso itali-ano: « [ ... ] possiamo dire che chi patisce è l'animale composto di anima e di corpo, ma patisce nel corpo e non già nell'anima, sia che la sofferenza debba ascendere dalle impressioni subite dal corpo fino all'anima (ritrovandosi quivi in forma di visione e di giudizio), sia che dall'opinione dell'anima si debba scendere verso il corpo. Se l'anima è in certo modo colpita dalla passione, è perché essa s'interessa del corpo, destinata com'è a governarlo, pur rimanendo in sé impassibile. L'anima si accorge della passione, ma il corpo sembra essere la condizione indispensabile, perché la passione stessa possa avverarsi. Se si riferisce la passione all'anima, si può fa-rlo solamente per una certa analogi·a, estendendo ad una sostanza inestesa e incorruttibile, che è per sé numero e ragione, ciò che si può dire solamente del corpo» 25 •
5. L'uomo e. la sua libertà
L'attività più alta dell'anima consiste nella libertà. Per la verità Platino r1pete le tradizionali dottrine platoniche in materia, e come tutti i suoi predecessori pagani non riesce a liberarsi interamente dalle ipoteche dell'intellettualismo
25
Carbonara, LA filosofia di Plotino, pp. 267 sg.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
587
socratico. Tuttavia, a noi sembra che, ciononostante, egli compia alcuni progressi in materia, dipendenti sostanzialmente dalla sua nuova concezione dell'Assoluto. Abbiamo infatti visto come l'Uno, il Principio imprincipiato, sia essenzialmente libertà, volizione e causa di sé. L'Uno vuole sé (e quindi pone sé), perché è Bene, e come Bene (assoluto positivo) si autovuole e autopone. Pertanto, nell'Assoluto la libertà (assoluta) coincide con la volizione del Bene (assoluto) o nel voler essere come Bene (assoluto). Se cosl è, anche la libertà dell'uomo e dell'anima andrà cercata in questa stessa direzione, e le stesse affermazioni di sapore intellettualistico andranno lette in questa ottica. Intanto, è da rilevare che lo stesso Spirito è libero solo in grazia del bene, come dimostra questo testo esemplare: Pure, se lo Spirito ha, dal canto suo, un diverso principio, questo tuttavia non è fuori dell'essere stesso dello Spirito ma è nel Bene. Per giunta, se lo Spirito è conforme a quel supremo valore ch'è il Bene, molto più allora si rinsalderanno in Lui il libero arbitrio e la libertà; tant'è vero che Of.nuno va cercando la libertà e il libero arbitrio solo in grazia del Bene. Cosl, se svolge la sua forza.operante sulla scia del Bene, lo Spirito possiede maggiormente il libero arbitrio; poiché Egli possiede ormai quell'impulso che da Lui sorge e a Lui va a finire oppure resta in se stesso, appunto perché è volto a Lui: e questo significa per Lui ua più alto « essere in se stesso », proprio perché vale quanto il volgersi a Lui 26 •
Orbene, come la libertà dello Spirito consiste nel porsi sulla scia del Bene, così, analogamente, la libertà dell'anima consiste, a sua volta, nel porre la propria forza operante sulla scia dello Spirito e nell'agire di conseguenza, secondo quei modi che la portano ad unirsi allo Spirito, e, tramite lo Spirito, all'Uno e al Bene stesso. La libertà, per conseguenza, secondo Platino, non può
26
Enneadi,
VI,
8, 4.
www.scribd.com/Baruhk
588
IL
NEOPLATONIS~O
consistere nell'attività pratica, ossia nell'agire esteriore, ma nellra virtù e sopratt'lltto nelle più alrte virtù e in parrticolar modo nel pensiero e specialmente nella contemplazione e, al limite, come vedremo, nell'estasi. La libertà e la volontà sovrana, dunque, per Plotino, consistono nell'immateriale ('t'Ò &UÀov) 27 • Ma mentre l'Uno è la libertà che si autopone come assoluto Bene, lo Spirito è libero nel senso che il suo atto coincide con il volere il Bene, in quanto è stretto indissolubilmente al Bene; l'Anima, infine, è libera nella misura in cui, tramite lo Spirito stesso, tende al Bene. Ecco un testo che illustra chiaramente quest'ultimo punto: Cosl l'anima si fa libera, allorché tende, senza ostacolo, al Bene, per tramite dello Spirito; e ciò ch'ella fa per amor suo è dovuto solo al suo libero arbitrio; lo Spirito poi è libero di per se stesso; per contro, l'essenza del Bene è proprio « il desiderabile» in sé, e per esso le altre cose hanno il libero arbitrio, allorché siano in grado a volte di conseguirlo senza ostacolo, a volte di possederlo 28 • La libertà dell'uomo, dunque, è sempre e solo la libertà dell'anima che vuole e cerca di raggiungere il Bene 29 •
6. I d es ti n i es c a t o l o g i ci d e 11 'a n i m a e i l fin e supremo dell'uomo
Ma che cosa vuoi dire, per la nostra anima, volere e raggiungere il Bene? E, volendo e perseguendo il Bene, quando e come l'anima lo raggiunge? Nel rispondere a questi problemi, Plotino in parte riprende Cfr. Enneadi, VI, 8, 6. Enneadi, VI, 8, 7. 29 Per un approfondimento del problema della libertà in Plotino si veda: P. Henry, La liberté chez Plotin, in «Revue Néoscolastique de Philosophie», 8 (1931), pp. 50-79; 180-215; 318-339. 27
28
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
589
e in parte supera le tradizionali concemonJ della grecità. Intanto, è da rilevare che Plotino, sia che si rifaccia alle concezioni tradizionali orfìco·pitagorico-platoniche, sia che prospetti quella che gli è più peculiare e che desume dall'ambiente alessandrino e i:n particolare da Filone 30 , pone comunque l'accento sul distacco dal corporeo e dal materiale come fine precipuo da raggiungere (del resto, come abbiamo visw, per lui la libertà resiede appunto nell'immateriale). Stante questa sua radicatissima convinzione (che sri inserisce nel sistema generale, e, in particolare, nella concezione della materia come privazione di bene), è evidente come Plotino dovesse respingere fermamente il dogma cristiano della risurrezione della carne, che egli considerava come espressione di una forma di materialismo. Ecco un testo non molto noto, ma importantissimo: Tanto valga contro coloro che ripongono l'essere nei corpi e sulla prova della pressione e sulle parvenze mutuate dalla sensazione fondano la credibilità del vero; fan quasi come chi sogna, costoro; quegli ritiene che esistano attualmente cose che vede come essere: ma non sono altro che sogni! Eppure, anche la sensazione è propria di un'anima che dorme: perché quanto di anima è nel corpo non è altro che anima addormentata; e il risveglio verace consiste nella risurrezione - quella vera risurrezione che è dal corpo, non col corpo; poiché risorgere con un corpo equivale a cadere da un sonno in un altro, a passare, per così dire, da un letto a un altro: ma il vero levarsi ha qualcosa di definitivo: non da un corpo solo ma da tutti i corpi; i quali son proprio radicalmente contrari all'anima: onde spingono la contrarietà fino alla radice dell'essere. Ne dà prova sinanche il loro divenire, il loro scorrere, il loro sterminio, che non rientra certo nell'ambito dell'essere 31 •
Non resta dunque, per Plotino, se non l'alternativa della metempsicosi, che egli riprende e ribadisce, rifacendosi larga30 Cfr., sopra, pp. 303-306. " Enneadi, III, 6, 6.
www.scribd.com/Baruhk
590
IL NEOPLATONISMO
mente a Platone, e 11icadendo, pertanto, J.n tutte le aporie che questa credenza comporta 32 • È da rilevare, però, che la credenza secondo cui le anime degH uomimi possono reincarnarsi in corpi di animali o addil'littura in piante (in base al tipo di vita condotto nella precedente esistenza), nel contesto dell'ontologi·a plotiniana si spiega meglio che nel contesto dell'antologia platonica, dato che l'anima stessa crea, vivifica e governa tutto il mondo fisico ed è principio di ogni forma di vita 33 • In ogni caso, meglio ancora di Platone, Piotino ribadisce che il destino ultimo deHe anime che sono vissute nel modo migliore consiste nel ricongiungersi a Dio: Solo col corpo, le anime appercepiscono i castighi corporali. Invece, alle anime che sian pure e non trascinino dietro per nulla neppure un tantino di corpo, sarà dato senz'altro di non appartenere a corpo di sorta. Se pertanto non sono in nessun luogo nel corpo - poiché non han proprio corpo - oh, allora, là dove c'è l'essenza e l'essere e la divinità - cioè in Dio - là, proprio là, e in loro compagnia, anzi proprio in seno al Dio se ne starà quell'anima che abbiamo delineata. Ma se ancora vai ricercando dov'ella sia, ebbene, ricerca, allora, dove siano quelle cose superne: ma, scrutando, non scrutare con gli occhi e neppure come se scrutassi cose corporee 34 •
Ma la novità di Plotino, rispetto alla tradizione greca classica, consiste nell'aver prospettato la possibilità di realizzare il distacco dal sensibile e· dal corporeo e di realizzare pienamente l'unione con l'Uno, già in questa vita, mediante l'unificazione mistico-estatica con l'Assoluto. Questa dottrina, in qualche modo, dava ragione a quelle istanze dell'etica greca, che in parte già Socrate e Aristotele avevano fatto valere e che soprattutto i filosofi dell'età elle"' Cfr., ad esempio, Enneadi, III, 2, 16. 33 Cfr. Enneadi, IV, 3, 10; IV, 7, 6. ""' Enneadi, IV, 3, 24.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
591
msuca avevano portato in primo piano, ossia che la felicità (che è il raggiungimento del fine ultimo dell'uomo) debba essere possibile già in questa vita 35 • Ma, nell'istante stesso in cui dava loro ragione, le ribaltava: anche in questa vita l'uomo può attingere il suo telos supremo, ma distaccandosi interamente, con lo spirito, da tutto c~ò che è materiale, e per questa via entrando in intima unione (sia pure solo qualche volta e solo per un breve tempo) con l'Assoluto trascendente (come, sia pure su altre basi, Filone aveva già sostenuto). E, anzi, rileva Plotino, in tanto ciò è possibile in quanto nell'uomo c'è una componente del tutto diversa da quella fisica. L'essere felice anche fra i tormenti, nel «toro di Palaride », è, sì, possibiie, perché è possibile, anche fra i tormenti fisici, unirsi con l'anima incorporea al Divino incorporeo, ma, appunto, è possibile solamente a questa condizione: Per quanto riguarda le [ ... ] attività di ordine contemplativo, può ben darsi che alcune siano ostacolate, a volerle prendere (ad una ad una) in relazione alle singole cose [ ... ]; ma, d'altro canto, la «suprema dottrina » [ = la conoscenza del Bene] è ognora pronta e gli è sempre accanto e, anzi, tanto più ancora quando egli stesso si trovi nel così detto « toro di Falaride ». Han voglia essi a dire [ ... ] che una tal situazione sia piacevole! Ciò non ha senso! Perché, nel loro sistema, colui che pronuncia questo motto è proprio quello stesso che si trova nella sofferenza; nel nostro, invece, il soggetto che soffre dolore è diverso da quello che fino a quando gli sta, necessariamente, unito - resta pur sempre in se stesso e perciò non ha perduto in nulla la visione del Bene, nella sua pienezza 36 •
Quello che era stato il supremo ideale dell'età precedente resta così infranto, e messo a nudo nella sua illusorietà. Solo con un saldo aggancio alla trascendenza è possibile quello che invano l'età ellenistica aveva ricercato nella dimensione dell'immanenza. 35 36
Cfr. vol. Enneadi,
passim. 4, 13.
111,
I,
www.scribd.com/Baruhk
592
IL NEOPLATONISMO
7. La riforma della tavola dei valori La tavola classica dei valori può essere considerata quella da Platone chiaramente tracciata nelle Leggi 37 , la quale poneva al primo posto gli Dei, al secondo l'anima, al terzo il corpo e al quarto i beni esteriori in generale. A questa tavola avevano fatto riferimento anche i Peripatetioi. E a questa medesima tavoJa doveva far riferimento lo stesso Plotino, ma per riformarla in modo considerevole. Sia .Platone che Aristotele, infatti, avevano proclamato e. coltivato soprattutto i valori dell'anima, senza negare gli altri vruori inferiori, ma subordinandoli a quelli dell'anima. Lo stesso P.latone, pur nella sua dimensione mistica, aveva scarsamente privilegiato i valori concernenti gli Dei, ossia i v·alori religiosi in quanto tali. Invece, sono esattamente questi i valori che in Plotino emergono in primo piano. Ad essi vengono subordinati i valori dell'anima, mentre i valori del corpo e i valori esteriori perdono og111i rilevanza. In breve: La precedente tradizione spiritualistica grec.a aveva attribuito un significato ai valori fisici nella misura in cui, in qualche modo, potessero giovare ai valori dell'anima, che erano i valori per eccellenza; Plotino non atJtribul più alcun significato ai valod fisici (si « vergognava di essere in un corpo », dice Porfirio, e rifiutava, malato, le cure che la medicina di allora prescriveva) 38 e agli stessi valori dell'anima attribul un significato strumentale, ossia 11 coltivò nella misura in cui, attràverso essi, ritenne possibile raggiungere i valori religiosi, ossia l'assimilazione al Divino nel nuovo significato di cui diremo 39 • Plotino, insomma, giudicò che il vero saggio non dovesse semplicemente vivere la vita dell'uomo probo, ma, addit'littura, la vita degli Dei. Egli scrive esplicitamente: " Cfr. vol. n, pp. 249-251. 38 Cfr. Porfirio, Vita di Platino, 1-2. " Cfr., più avanti, pp. 596-605.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
593
[ ... ] L'anelito umano non dovrebbe limitarsi ad essere «fuori colpa», ma ad essere Dio <10.
8.
Le vie del ritorno all'Assoluto
È evidente che, in questo nuovo contesto, dovevano essere riproposte in maniera nuova le vie che conducono al raggiungimento dei valori supremi e dell'Assoluto. In primo luogo, viene ridimensionata da Plotino la dottrina della virtù. Le « virtù civili », che erano state la base dell'etica dass.ica e su cui Platone stesso aveva fondato la sua Repubblica, sono, per Plotino, semplicemente un punto di partenza e non di arrivo. Giustizia, saggezza, fortezza e temperanza, intese nel senso « politico », ossia « civico » sono capaci solo di assegnare limiti e misure ai desideri e di diminare false opinioni, quindi sono solo un'orma del Bene supremo. Esse sono una condizione per diventare simili a Dio, ma l'assimilazione a Dio è qualcosa di superiore ad esse 41 • Superiori alle « virtù civili » sono le virtù intese come « purifìcazioni ». Infatti, mentre le virtù civili si limitano a moderare le passioni, le virtù nel senso di purifìcazioni ci liberano da esse, e, di conseguenza, permettono all'anima di unirs.i a ciò che le è affine, ossia allo Spirito, dato che tale unione può realizzarsi solo distaccandosi dal sensibile 42 , e addirittura dall'anima stessa (dalle sue parti inferiori). Scrive infatti Plotino:
[ ... ] La virtù è propria dell'anima; non è dello Spirito né di Colui che è al di là 43 • Allorché l'anima ha raggiunto lo Spirito e lo contempla, '"' •• "' "'
Enneadi, I, 2, 6. Cfr. Enneadi, 1, 2, l. Cfr. Enneadi, I, 2, 2 sg. Enneadi, I, 2, 3.
www.scribd.com/Baruhk
594
IL
NEOPLATONIS~O
allora, in quest'a contemplazione e imitazione dello Spirito, le virtù, per così dire, si trasfigurano. Nello Spirito le « vi.rtù » sono come i modelli di cui quelle dell'anima sono immagini e copie. Infatti, a questo superiore livello, la sapienza diviene contatto dell'anima con lo Spirito, la giustizia il volgersi dell'atto dell'anima allo Spirito, la temperanza l'intimo aderire dell'anima allo Spirito e la fortezza il perseverare impassibile dell'-anima nell'impassibile Spirito, senza subire alcuna passione del corpo. Insomma: a questo livello le virtù-paradigma sono, appunto, il modo di vivere dell'anima, che, distaccatasi dalle cose sensibili e rientrata totalmente in sé, vive, in assoluta purezza, la vita stessa degH Dei, ossia, assimilandosi allo Spirito, vive la vita stessa dello Spirito 44 • Ma le Vlirtù non sono le uniche vie che portano ad ulllÌrsi al Divino. Infatti, vifacendosi a Platone, Plotino valorizza anche l'erotica e .Ja dialettica, che sono, sia pure a diverso titolo e in differente misura, modi diversi con i quali l'anima si distacca, si libera e si purifica dal corporeo e si avvicina all'Assoluto. L'erotica plotiniana è, come quella platonica, strettamente connessa alla bellezza 45 • Ora, noi già sappiamo che la bellezza è fondamentalmente la forma, a tutti i livelli. Anche la bellez2la sensibile è forma: è, precisamente, il tralucere della forma intelligibile nel sensibile. Nella misura in cui il bello è forma, è connaturale all'anima, ed è, quindi, capace di far rientrare l'anima :in sé e di riportarla al ricordo delle sue divine origini. E la« trafittura» che prova l'amante nel vedere iJ bello, non è altro che metafisico ricordo delle proprie origini spirituali 46 • Anche per Plotino, come per Platone, v'è una « scala della bellezza», che bisogna risalire, per raggiungere l'Assoluto. Dal bello sensibile bisogna risalire ai bei costumi, alle .. Cfr. Enneadi, I, 2, 7 . ., Cfr. vol. n, pp. 261 sgg. e 279 sgg . .. Cfr. Enneadi, I, 6, 4; III, 5, passim.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
595
opere della virtù e alla bellezza dell'anima stessa purificata. Infatti l'anima, purificata, diventa Idea, e, quindi, bellezza essa stessa, realizzando quell'identificazione con Colui che è fonte di ogni bellezza. Per questa via, insomma, l'anima muove dal bello, e, trasçendendo il bello sensibile mediante quelle energie che il bello stesso ridesta in lei, progredisce attraverso i vari gradi del bello incorporeo, fino a diventare essa stessa perfettamente bella e ad identificarsi col Bello assoluto (lo Spirito) e con il principio stesso del Bello (il Bene o l'Uno). Ecco un passo molto esplicito al riguardo: [ ... ] L'anima purificata diventa idea e ragione; del tutto incorporea e intellettuale, si fa completo possesso del dio, dal quale derivano la fonte della bellezza e tutti gli altri valori spirituali congiunti. Perciò, l'anima salita alla sfera dello Spirito si fa sempre più bella. Lo Spirito, poi, e le cose che derivano dallo Spirito, costituiscono la bellezza tutta propria, domestica dell'anima e non qualcosa di estraneo, poiché solo allora essa è veramente ed esclusivamente anima. È giusto dire, pertanto, che il bene e il bello dell'anima consistono nel diventare simile a Dio, poiché di là derivano la bellezza e ogni altra cosa che abbia un posto decoroso nella realtà. Che anzi, la bellezza, ecco, la vera realtà! Natura del tutto diversa da quella realtà è la bruttezza, la quale, sin dall'origine, è male. Cosicché,· possiamo anche affermare che « buono » e « bello » ovvero « Bene » e « Bellezza » s'identificano. Insomma, con identico procedimento si devono ricercare sia il Bene e il Bello che il brutto e il male. Al primo grado si deve porre la bellezza, che è, poi, anche il Bene; da esso deriva, immediatamente, lo Spirito come bellezza. L'anima, poi, è bella per lo Spirito. Le altre cose- azioni, costumi- sono belle, ormai, per la forma che v'imprime l'anima. Anche i corpi, evidentemente (voglio dire, tutte le cose che hanno questo nome) sono pure creature dell'anima, la quale, divina particola di bellezza, rende bello, in proporzione dell'altrui capacità, tutto ciò che tocca e che domina c. "' Enneadi, I, 6, 6. Plotino, nel contesto di questi ragionamenti, non esita addirittura a chiamare l'Assoluto stesso Suprema e Primordiale Bellezza (I, 6, 7); ma, subito dopo, precisa (I, 6, 9) che la Bellezza è lo Spirito e che l'Uno o il Bene, che è al di sopra dello Spirito, «ha dinanzi a sé il Bello, che è come un suo schermo. Insomma, a voler usare una formula generale, Esso è il primo Bello; ma, a voler distinguere gli intelligibili, si
www.scribd.com/Baruhk
596
IL NEOPLATONISMO
Della dialettica come via aJ.l' Assoluto abbiamo già detto con ampiezza, nella pr~edente sez1one, mostrando come essa si distingua in tve momenti: un primo che consiste nel passaggio dal corporeo all'incorporeo, un secondo che consiste nel procedere di grado in grado nella sfera dell'incorporeo, e un terzo che consiste nel termine del processo, ossia nel raggiungimento totale e perfetto del fine ultimo, che, per Blotino, è .l'unione estatica dell'anima con l'Assoluto, e di questa ci rest
Le vie del ritorno all'Uno che sopra abbiamo descritto sono, sostanzialmente, un ripercorrere a ritroso la metafisica dirà che la bellezza intelligibile è il luogo delle Idee, mentre il Bene è al di là, fonte e principio del Bello [ ... ] •· '" Ricordiamo che dialettica e erotica sono in Plotino fuse strettamente non meno che in Platone. Ma in Plotino sia la dialettica (come abbiaiho visto) sia l'erotica si amplificano nel contesto della dottrina ipostatica. È da rilevare, infatti, che Eros, in quanto è forza che scaturisce dalla tensione dell'anima al bello, viene non solo da Platino ipostatizzato in modo assai più massiccio che in Platone, ma moltiplicato. Infatti, alla Prima Anima (l'Anima universale), che ama lo Spirito, viene fatto corrispondere il Dio Amore (il supremo Amore che vive nella sfera dello Spirito), all'Anima dell'universo vien fatto corrispondere « in compagnia di questa seconda anima, anche un secondo Eros», sorto dall'aspirazione di questa al bello, il quale è un Demone, incluso nel mondo e assiste dovunque l'anima del mondo (Enneadi, 111, 5, 1-3). E alle anime umane, infine, Platino fa corrispondere altrettanti « Erotes », altrettanti Demoni-amore, sorti dall'aspirazione al bello di ciascuna di esse, e compagni delle anime singole: «Possiede poi ogni anima particolare un Eros quale abbiamo descritto, cioè in essenza, ipostaticamente? O perché mai l'Anima universale e l'Anima del mondo dovrebbero possedere Eros nella sua essenza sostanziale, e non dovrebbero invece possederlo né le nostre anime umane individuali né, inoltre, quelle che stanno negli altri viventi tutti? Ed eccoci al punto: questo Eros è proprio il demone di cui viene detto che si accompagna ad ognuno, l'Eros che ognuno serra, nel suo intimo. Questi è proprio colui che istilla le voglie native, perché ogni singola anima è protesa in corrispondenza del suo proprio fondo nativo e genera il suo Eros secondo il suo merito e il suo essere» (m, 5, 4).
www.scribd.com/Baruhk
597
IL SISTEMA DI PLOTINO
« process,ione » dall'Uno. E poiché le successive ipostasi derivano dall'Uno per una sorta di « differenziazione » e di alterità antologica, alle quali s'aggiungono, nell'uomo, alterità anche morali, è evidente che il ricongiungimento all'Uno dovrà consistere appunto nel toglimento di ogni differenziazione e alterità, ossia in una sorta di « semplificazione » 49 • Ora - si badi - questo è possibile perché l'« alterità» non è nell'ipostasi dell'Uno, bensì in ciò che segue all'Uno, e, in particolare, in noi. Così, immune com'è da qualsivoglia alterità, l'Uno è presente sempre a noi, ma noi siamo presenti a Lui, appunto solo quando eliminiamo l'alterità. Scrive espressamente Platino: [ ... ] L'Uno, immune com'è da alterità, è presente eternamente; noi invece siamo presso di Lui solo allora che non ne abbiamo 50 • Spogliarsi di ogni alterità significa, per l'uomo, sostanzialmente, rientrare in se medesimo, nella propria anima. Significa, quindi, distaccarsi dal corporeo e dal corpo e da tutto quanto ad esso inerisce. Significa, inoltre, distaccarsi dalla stessa parte affettiva dell'anima e di tutto ciò che è ad essa connesso. Significa, insomma, purificare l'anima da tutto ciò che le è estraneo: Che vale allora la pretesa di rendere impassibile l'anima per virtù di filosofia, quand'ella sia radicalmente immune da ogni affezione? Ecco: poiché quella specie di parvenza, penetrando in essa e precisamente nella sua parte affettiva provoca l'affezione conseguente, vale a dire, l'irrequietezza; poiché, inoltre, s'unisce alla irrequietezza l'immagine del male atteso, cosl una siffatta parvenza assunse il nome di passione e sorse allora l'esigenza filosofica di eliminarla del tutto e di non !asciarla allignare. Fin tanto che questa ci sia - si pensa - l'anima non sarebbe perfettamente sana; ma, dopo la sua scomparsa, l'anima si comporte" Cfr. Enneadi, VI, 9, 11 "' Enneadi, VI, 9, 8.
(artÀCJlat~).
www.scribd.com/Baruhk
598
IL NEOPLATONISMO
rebbe impassibilmente, giacché la causa stessa della passione, vale a dire quella parvenza che l'assedia, si è ormai bell'e dileguata: gli è come se uno, per estirpare i fantasmi dei sogni, costringesse a vegliare l'anima allora che volga verso il suo fantasticare; oppure come se uno ritenga che le immagini sorgenti, per cosl dire, dal di fuori, abbian causato le passioni e le consideri stati passivi dell'anima. Che senso ha intanto la « purificazione dell'anima» la quale non è stata giammai contaminata; che senso ha l'espressione « distaccarla dal corpo»? Ecco, « purificazione » si è /asciarla sola, senza che abbia contatti con cose estranee, senza che miri fuori di sé, senza che mutui opinioni altrui - quale che sia il modo delle opinioni -; « purificazione » importa sia il non vedere le immagini delle passioni, come s'è detto, sia il non ricavare passioni da quella fonte. Ma l'anima volta sull'altra via - in alto - dalla bassura non è forse purificazione e, aggiungi pure, « separazione» almeno per quell'anima che non sta più nel corpo come se gli appartenga e non somiglia ella forse a« luce che non è nel fango»? Per quanto resta impassibile, dopo tutto, quella luce che brilla persino sul fango! Invece, per la parte affettiva dell'anima, la « purificazione » importa il risveglio da insensate illusioni e una abnegazione dello sguardo; e la « separazione » significa non inchinarsi giù smodatamente e non abbandonarsi neppure alla rappresentazione fantastica delle cose inferiori. L'atto del separare, preso in se stesso, potrebbe pur significare l'eliminazione di quelle cose dalle quali questa parte affettiva si distacca, quando cioè essa non galleggi su di uno pneuma torbido in seguito a voracità e pienezza di carni impure, ma quando ciò in cui è assiso sia sottile a segno che l'anima possa quietamente appoggiarvisi sopra 51 • L'anima deve, inoltre, spogliarsi anche della parola, del discorso e della ragione discorsiva, di tutto ciò che fa da impaccio o in qualsivoglia modo la divide dall'Uno, perfino della conoscenza riflessa del proprio essere: Ma se, per il fatto ch'Egli non è niente di tutto questo, tu cadi nell'indeterminatezza col tuo pensiero, fissati tuttavia e da quella prospettiva comincia a contemplare. Contempla, però, senza scagliare al di fuori il tuo pensiero. Poiché Egli non se ne sta in un punto qualunque, lasciando ogni altro luogo deserto di sé, ma
n
•• Enneadi, rn, 6, 5.
www.scribd.com/Baruhk
599
IL SISTEMA DI PLOTINO
a chi riesce a toccarlo Egli è Il presente, e a chi non riesce non è presente. Pure, come nel resto non è dato pensare qualcosa a chi ne pensa qualche altra e ad essa si applica, ma non deve costui connettere nulla a ciò che va pensando perché possa proprio trasformarsi nell'oggetto pensato, cosi pure occorre procedere anche in questo campo poiché non è dato, a chi abbia già nell'anima l'impronta di un'altra cosa, pensare quell'Uno finché tale impronta è ancora lì operante; anche perché l'anima tutta presa e dominata da altri oggetti non si presta più ad essere impressionata dalla impronta dell'oggetto contrario; per contro, come è stato detto a proposito della materia, che cioè questa vuoi essere spoglia di ogni qualità, se intende accogliere le impronte di tutte le cose, cosi, anzi in un grado ben più alto, l'anima deve restarsene nuda di forme, se intende davvero che nulla s'insedii lì a far da impaccio alla piena inondante ed alla folgorazione che si riversa su lei da parte della Natura primordiale. Se è cosi, essa deve staccarsi da tutte le cose esteriori, volgersi verso la sua intimità, completamente, non inclinarsi più verso qualcosa di esterno, ma estinguendo ogni conoscenza (e, precisamente, dapprima solo attraverso l'intima disposizione, poi, di fatto, anche nella stessa nostra configurazione mentale), spegnendo altresì la conoscenza del proprio essere, l'uomo deve immergersi nella contemplazione di Lui [ ... ] 52 •
La frase che riassume, nella maniera più icastica, il processo di purifìcazione totale dell'anima che vuole unirsi all'Uno, così suona: Spogliati di tutto ( ilq>tÀr: nliv-ra:) 53 • È questa, senza dubbio, la concezione più radicale che si riscontra nella storia del pensiero antico. Per la verità, già le fìlosofìe dell'età ellenistica avevano predicato la necessità di spogliarsi di tutte le cose esteriori, e Pirrone aveva addirittura cercato di « spogliare l'uomo », ossia di liberarlo da tutto ciò che non gli è ess·enziale. Ma nessuna di queste fìlosofìe si era spinta tanto oltre. Anzi, come abbiamo visto, nel tentativo di salvare l'individuo come " Enneadi, VI, 9, 7. " Enneadi, v, 3, 17 (cfr. anche
IV,
3, 32;
VI,
9, 3).
www.scribd.com/Baruhk
600
IL NEOPLATONISMO
iJ vero assoluto erano cadute tutte quante nell'individualismo. Platino vuole che l'uomo si spogli anche di quello che le filosofie ellenistiche volevano ancora conservargli, in quanto lo consideravano essenziale all'uomo come tale. Solo in questo modo, per lui, è possibile raggiungere il fine supremo e quindi la felicità. Si obietterà che, per questa \nia, Plotino giunge ad azzerare non soltanto il mondo esterno, ma alt.resl l'io, e quindi ad annullare l'uomo stesso, e che, di conseguenza, la sua felicità finisce per essere la felicità del perdersi nel nulla 54 • Ma, in verità, per Plotino è vero esattamente l'opposto. Lo spogliarsi di tutte le cose significa niente affatto impoverire o addirittura annullare se stesso, ma significa, al contrario, accrescere se stesso riempiendosi di Dio, e, quindi, del Tutto, ossia dell'infinito. Ecco un testo molto bello: Tu accresci dunque te stesso, dopo aver gettato via il resto: e ti si fa presente, dopo tale rinunzia, il «tutto»; ma se è presente a chi sa rinunziare, esso, invece, non appare per nulla a chi se ne sta con le altre cose; non credere ch'esso «venne per starti accanto», ma, allorché esso non ti è d'accanto, sei stato tu ad andartene via. E se tu sei andato via, non sei andato via da Lui (Esso è ll ancora, presente) e neppure sei andato in qualche altro punto, ma, pur restando presente, ti sei volto dalla parte opposta [ = dalla parte delle cose] 55 •
Lo spogliarsi di tutto significa il far ritorno dell'anima a se stessa, il trovare quell'aggancio metafisica che la unisce non solo all'Essere e allo Spirito (ossia alla seconda ipostasi), ma all'Uno stesso (ossia alla prima ipostasi). L'anima andrebbe verso il non-essere proprio non spogliandosi delle cose, ma attaccandosi ad esse, dato che le cose 54 È questa, in fondo, la tesi cui giunge A. Drews, Plotin und der Untergang der antiken Weltanschauung, Jena 1907 (ristampa anastatica, Aalen 1964), pp. 271-290 . .. Enneadi, VI, 5, 12.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEl4A DI PLOTINO
601
sono fatte di materia e, quindi, di non-essere. (Ma è evidente che l'anima, per quanto discenda per questa china, non può arrivare all'assoluto non-essere, per le ragioni metafisiche che conosciamo). Invece, spogli-andosi di tutte le cose giunge a se stessa, giunge ·all'Essere (seconda ipostasi), e poi trasoende lo stes·so Essere fino a raggiungere il non-essere nel significato di Ciò che è al di sopra dell'Essere, ossi:a l'Uno: L'anima, è vero, non può mai e poi mai pervenire all'assoluto non-essere; ma, se va in basso, scende al male e, cosi, verso il non-essere, ma non proprio al completo non-essere; invece, correndo sulla via opposta, ella giunge non a un altro ma a se stessa; e in questo senso, poiché non è in un altro, non può essere in nulla ma solo in se stessa; ma l'espressione «in sé sola e non nell'essere» equivale «in Lui»; e il contemplante, quale che sia, diventa persino « non-essere » ma « al di là dell'essere » proprio in quanto si unisce intimamente a Lui 56 • Lungi, dunque, dal portare a perdersi nel nulla, lo spogliarsi di tutte le cose porta l'anima non solo alla pienezza dell'Essere, ma all'Uno che è al di sopra dell'Essere, alla tangenza con l'Assoluto. Quest'ultimo passo che riportiamo lo dimostra nella maniera più precisa: E non dobbiamo stupirei più se Colui che provoca le brame tremende abbia saputo tenersi completamente libero persino dalla forma spirituale; anche l'anima, del resto, allorché abbia concepito un intenso amore per Lui, depone ogni forma che abbia, pure quella di natura tutta spirituale che eventualmente sia in essa. In realtà, chi possiede qualche altro interesse ed applica ad esso la sua attività, non sa più vedere, non sa più andare a genio nel Bene. L'anima, anzi, non deve trovar proprio niente altro sui suoi passi: né male né- figuratevi! -bene, se vuole davvero accogliere, sola, Lui solo! Allorché poi l'anima abbia la buona ventura di raggiungerlo, quando Egli venga ad essa, o, meglio, riveli, semplicemente, la sua presenza, allorché ella stessa abbia distolto la faccia dalle cose 56
Enneadi,
VI,
9, 11.
www.scribd.com/Baruhk
602
IL NEOPLATONISMO
presenti e si disponga ad essere tanto bella quanto sia possibile e raggiunga persino la rassomiglianza - che siano, poi, tale preparazione ed ornamento è ben chiaro, non so come, a coloro che si preparano - ecco che l'anima scorge in sé Colui che è apparso di repente, poiché tra l'Anima e il Dio non c'è più nulla, né essi sono più due, oramai, ma sono, l'una e l'Altro, una cosa sola: certo, tu non riusciresti a distinguerli mai più, finché Egli è presente; per farvene una idea, pensate pure agli amanti ed amati di quaggiù, nella loro brama di fusione! Né, del resto, l'anima avverte più il suo corpo, di dimorare, cioè, in esso; né esprime se stessa come qualche altra cosa, non come uomo, non come animale, non come essere, non come tutto! In verità, riuscirebbe capricciosa una visione - quale che sia - di tali oggetti; e inoltre non ha più né tempo né voglia per tali cose, l'anima; ma voltasi a rintracciarlo, lo incontra già presente e guarda Lui invece di sé; e non può neppure permettersi questo lusso: di vedere, cioè, sotto qual veste essa stessa lo guardi! Allora sl che per tutto l'oro del mondo, ella non vorrebbe cambiare, a petto a Lui, neppure se uno le consegnasse il cielo intero, conscia, ora, che non c'è più nient'altro che sia migliore e sia «bene» in più alto grado; poiché ella non può volare più in alto; e tutto il resto, per sublime che sia, significherebbe, per lei, una discesa. Ond'è che l'anima solo allora possiede il retto giudizio e la conoscenza che Quegli è l'oggetto della sua brama e può stabilire che nulla è più potente di Lui. Certo, non vi è inganno, lassù; o dove mai ella potrebbe incontrare il «vero» in modo più vero? Ora, ciò ch'ella dice è Lui stesso e la sua parola è tardiva; e anche se tace, ella parla e, nel sentimento della sua beatitudine, non mente ch'è beata; poiché non dice questo mentre il corpo vibra nel piacere ma poiché è ritornata ad essere quello che era un tempo quando fu davvero beata. Frattanto, anche tutto il resto di cui prima si dilettava primato o potenza o ricchezza o bellezza o sapere - tutto questo ella lo guarda con superiorità e lo dice, mentre non lo direbbe se non avesse incontrato qualcosa ch'è più forte di tutto questo; né poi teme che le càpiti qualcosa, dal momento che sta con Lui o lo guarda, semplicemente; ma se pure il restante mondo che la cinge venisse •sterminato, tanto di guadagnato; anzi ella lo vuole a che sia unicamente presso di Lui; cosl grande è il benessere a cui è pervenuta! '!il. S1
Enneadi, VI, 7, 34.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEldA DI PLOTINO
10.
603
L'estasi
Questa tangenza con l'Uno è denominata, almeno in un testo (che sotto leggeremo), «estasi». Orbene, in base a quanto abbiamo detto, è evidente che l'estasi non può essere una forma di scienza né di conoscenza razionale o intellettuale. ~. invece, un contemplare che ~mplica uno stretto contatto (senza riflessa distinzione di soggetto-<>ggetto) con il contemplato, una con-presenza, una unione, una unificazione totale con esso, come s'è detto. Anche a questo riguardo non pochi interpreti sono caduti in errore e hanno confuso l'estasi con uno stato di incoscienza o con alcunché di irra~ionale o ·iporazionale 58 • In verità, l'estasi plotiniana non è uno stato di incoscienza, bensl uno stato di iper-coscienza; non è qualcosa di irrazionale o iporazionale, bensl iper-razionale. Nell'estasi, l'anima vede sé indiata, per cosl dire, vede sé riempita dell'Uno, e, nella misura del possibile, pienamente assimilata a Lui. Dunque, il suo contemplare estatico è un partecipare alla sussistenza dell'Uno, con tutte le caratteristiche che di Lui sono peculiari, come sopr.a abbiamo veduto, le quali, sono al di sopra dell'Essere, e quindi sono altresì al di sopra del Pensiero, della Ragione e della Coscienza. Ecco il testo che riassume molto bene il pensiero plotiniano sull'estasi: Proprio questo vuol significare quel famoso comando dei nostri misteri: «non divulgare nulla ai non iniziati»; appunto poiché il divino non è da divulgarsi, fu vietato di manifestarlo altrui, tranne che quest'altro abbia già avuto di per se stesso la ventura di contemplare. Ora, poiché non erano due, ma egli stesso, il veggente, era una cosa sola con l'oggetto visto (non «visto», sicché, ma « unito » ), chi divenne tale, allora, quando si fuse con Lui, ove 51 A queste conclusioni giungono coloro che leggono Plotino in chiave orientalistica.
www.scribd.com/Baruhk
604
IL
NEOPLATONIS~O
mai riuscisse a ricordare, possederebbe presso di sé una immagine di Lui. Egli però era già uno di per sé, in quel momento, e non serbava in sé nessuna differenziazione né in confronto a se stesso né in rapporto alle altre cose; poiché non c'era in lui alcun movimento: non animosità, non brama di nulla erano in Lui, asceso a quell'altezza; ma non c'era nemmeno ragione né pensiero alcuno; non c'era neppure lui stesso, insomma, se è proprio inevitabile dire questa enormità! E invece, quasi rapito o ispirato, egli è entrato silenziosamente nell'isolamento e in uno stato che non conosce più scosse e non declina più dall'essere di Lui e non si torce più verso se stesso compiutamente fermo, quasi trasformato nella stessa immobilità. Persino le cose belle [che appartengono alla seconda ipostasi] , egli le ha oramai valicate; anzi, egli corre già al di sopra del bello stesso, al di là del coro delle virtù [che appartengono alla terza ipostasi]: somiglia a uno che, penetrato nell'interno dell'invarcabile penetrale, abbia lasciato alle spalle le statue rizzate nel tempio; quelle statue che, quando egli uscirà di nuovo dal penetrale, gli si faranno innanzi per prime, dopo l'intima visione e dopo la comunione superna non con una statua, non con una immagine, ma con Lui stesso; quelle statue che sono, per certo, visioni di second'ordine. Pure li non ci fu certo una visione pura e semplice ma una visione in un senso ben diverso: estasi, dico, e semplificazione estrema e dedizione di sé e brama di contatto e quiete e studio di aggiustarglisi ben bene; solo cosl si può vedere ciò che si trova nel penetrale; ma se uno guardi in altra maniera, tutto dilegua per lui. Ora, tutto questo è una pallida immagine, una allusione velata di Vati sapienti, della maniera onde si lascia contemplare quell'altissimo Iddio; pure, un saggio sacerdote, che comprenda l'allusione, può ben giungere alla verace visione del penetrale sol che entri Il dentro. Anche se non vi entra, se cioè pensa che questo penetrale sia qualcosa d'invisibile, la Sorgente e il Principio, egli saprà tuttavia che solamente il Principio vede il Principio, e che solo con il simile il simile si fonde; e non trascurerà nulla di tutto quel contenuto divino che l'anima sua riesce a serrar dentro, già prima della visione; e il resto, poi, lo pretenderà dalla visione stessa. Il resto, cioè, per chi ha valicato tutto, è proprio Colui che è anteriore al tutto 59 • 19
Enneadi,
VI,
9, 11.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
605
Che la dottrina dell'estasi sia stata divulgata in Alessansoprattutto da Filone è indubitabile (ma è altrettanto indubitabile che Plotino ne abbia più volte fatto esperienza personale diretta). Tuttavia è da rilevare che, mentre Filone, in spirito biblico, intendeva l'estasi come grazia, ossia come « dono gratuito » di Dio, in perfetta armonia col biblico concetto di Dio che fa dono di sé e delle cose da Lui create all'uomo 60 , Plotino la reinserisce in una visione che si mantiene agganciata alle categorie del pensiero greoo: Dio non fa dono di sé agli uomini e gli uomini possono salire a Lui e a Lui unirsi per loro forza naturale. Meglio di tutti ha rilevato questo punto uno studioso francese, in una pagina che mette conto leggere: « [ ... ] la differenza fra le Enneadi e il Commentario delle sante leggi [di Filone] è grande. L'impotenza radicale dell'uomo ad elevarsi di per se stesso fino a Dio, la benevolenza e l'iniziativa di Dio che si fa guida dell'uomo e suo collaboratore, sono concetti sconosciuti a Plotino; anche quando egli parla di una influenza illuminante e fortificante dell'Uno sull'anima che contempla, si tratta pur sempre di una influenza che si esercita naturalmente, necessariamente, anche se egli può ancora promettere che infallibilmente, a chi si prepara, Dio si mostrerà. In effetti, qui, Dio non dona veramente, non si dona; Platino pensa che questo significherebbe ·attribuirgli un'attività estrinseca, una tendenza incompatibile con la sua semplicissima e trascendente unità. Il successo dell'iniziativa è per intero nelle mani dell'uomo, che, con i suoi sforzi, è l'artefice della sua salvezza come della sua perfezione: nulla è più opposto al pensiero di Plotoino che la nozione di grazia » 61 • dri~
"' Cfr., sopra, pp. 303-306. 61 Arnou, Le désir ... , pp. 228 sg.
www.scribd.com/Baruhk
VI. NATURA E ORIGINALITÀ DELLA METAFISICA PLOTINIANA
l. La metafisica plotiniana non è una forma di emanazionismo di tipo orientale, né una forma di panteismo, né una forma di creazionismo
La formula con cui più frequentemente viene indicata la metafisica plotini'
H. F. Miiller, Plotinische Studien I. 1st die Metaphysik des Plotinos ein Emanationssystem?, in « Hermes », 48 (1913), pp. 408-425.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
607
Infatti è da notare quanto segue. a) Le ipostasi successive all'Uno non sono affatto un flusso della sostanza dell'Uno. b) Di conseguenza, esse non sono la sostanza dell'Uno de potenziata. c) Infine, non derivano dall'Uno per mera necessità naturale. Lo Zeller 2 , che ben si era avveduto della insostenibilità di una· interpretazione in chiave emanazionistica della filosofia di Platino, propose la formula del « panteismo dinamico ». Che cosa intende lo Zeller con questa formula? a) Dall'Uno fluisce non la sua sostanza, bensì la sua « potenza », la sua dynamis (l'Uno è la potenza di tutte le
cose). b) In questo flusso, per conseguenza, ha luogo un graduale depotenziamento non della sostanza, ma della potenza dell'Uno. c) Questo processo non è un atto libero né una necessità logica, ma una azione che scaturisce di necessità dalla natura dell'Uno (e in oiò emanazionismo e panteismo dinamico coincidono). d) In rapporto all'Assoluto, il mondo fenomenico non ha alcuna autonomia, ma è una semplice manifestazione del Divino. La formula dello Zeller non ebbe successo 3 • In effetti, il concetto di panteismo dinamico è assai ambiguo. Che cosa vuoi diore esattamente? Ess-o significa non semplicemente che tutto è Dio, bensi che tutto è potenza (dynamis) di Dio. Orbene, c'è una grande differenza fra l'afferma-re che tutto è Dio e che tutto è potenza di Dio, giacché la prima propo2 Zeller, Die Philosophie der Griechen, m, 2, pp. 560-565. • Cfr., ad esempio, le serrate critiche mosse da Covotti, Da Aristotele ai Bizantini, pp. 125-170.
www.scribd.com/Baruhk
608
IL NEOPLATONISMO
sizione implica identità di sostanza fra Dio e mondo, mentre la seconda implica che il mondo sia effetto e Dio causa. La prima è affermazione panteistica, non la seconda, appunto perché la seconda mantiene la distinzione fra la sostanza e la potenza di Dio, identificando tutte le cose non con la prima ma appunto con la seconda. Di conseguenza, ~a formula panteismo dinamico finisce per ridursi ad una vera e propria contraddizione in termini 4 • In ogni caso, le affermazioni di Plotino sono inequivoche. L'Uno è trascendente addirittura a doppio livello: a) è trascendente (come tutto iJ mondo delJ 'incorporeo) rispetto al mondo corporeo e b) è trascendente, nell'ambito della stessa sfera dell'incorporeo, rispetto all'Anima e allo Sp1rito medesimi. Inoltre, quando Plotino afferma che tutte le cose sono in Dio, intende dire, come già abbiamo notato, non che coincidono con la sostanza di Dio, ma che derivano e dipendono tutte dalla sua potenza. Infine, non è vero che la derivazione della potenza dall'Uno sia una sorta di « azione naturale », ma, come abbiamo visto e subito sotto ribadiremo in sintesi, la « processione » implica una complessità tale di elementi, per cui non si può in alcun modo parlare di mera « azione naturale » 5 • Evidentemente, la metafisica plotiniana si differenzia nettamente anche dalla met!lfisica creazJonistica per le seguenti ragioni: ' Zeller ha riferito questa formula per la prima volta alla teologia del Trattato sul cosmo giuntoci sotto il nome di Aristotele {cui più volte abbiamo
già fatto riferimento), che egli ritiene opera di un Peripatetico stoici2zante, dove si dice che la sostanza o essenza di Dio è trascendente, mentre la sua potenza è immanente al mgndo. Ora, tale posizione è l'esatta negazione del panteismo {si veda l'intero cap. VI di quest'operetta con il nostro commento, già più volte citato). • Ciò è chiarissimo soprattutto alla luce della concezione della « contem· plazione creatrice », di cui diremo ancora, sotto, pp. 612-616.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
609
a) Plotino non ammette in alcun caso che la processione di tutte le cose dall'Uno possa essere frutto di libera scelta e decisione. Posto l'Uno, Je aLtre cose seguono «di necessità» (abbiamo visto e diremo subito appresso che si tratta di una « necessità » molto particolare). b) Di conseguenza, resta totalmente ignoto a Plotino quell'aspetto di strutturale contingenza delle cose che derivano da Dio, il quale, invece, nella metafisica creazionistica è fondamentale (nel contesto dell'ontologia del nostro filosofo parlare di produzione ex nihilo sui et subiecti non fa senso). c) Infine, Dio è il Bene, ma non è l'Amore che dona gr·atuitamente, per « grazia ».
Tuttavia, sbaglierebbe chi ritenesse che il creazionismo (che egli conosceva dalla filosofia giudaica e da quella deLlo stesso Ammonio) non abbia i:n alcun modo influito sulla metafisica plotiniana. In effetti, la metafisica plotiniana non si riduce a nessuna delle tre posizioni sopra esaminare, eppure contiene alcuni elementi di ciascuna di queste, composti in una originalissima, complessissima sintesi, che costituisce un vero e proprio unicum nella storia della filosofia 6 • Ricapitoliamo gli elementi essenziali di questo unicum plotiniano. 2. L a l i ber t à d e Il' Un o, l a « processi o n e » e il « ritorno»
La domanda metafisica per eccellenza, per i Greci, era stata una sola: « perché esistono i molti? », ossia: « perché dall'Uno è derivato un molteplice? ». • GiA il Covotti rilevava che la congiunzione dei vari dementi che entrano in gioco nella processione plotiniana « forma un tutto sui generis, che mal si lascia ridurre a una sola categoria generale. Questo tutto non è panteismo, non è puro emanatismo, ma è plotinismo ,. (Da Aristotele ai Bizantini, p. 170).
www.scribd.com/Baruhk
610
IL
NEOPLATONIS~O
Con Plotino, i problemi di fondo della metafisica diventano due. l) Perché c'è l'Uno? 2) Perché e come dall'Uno derivano i molti? l) Il primo dei due problemi è nuovissimo, dato che nel oontesto deLl'antologia classioa era addirittura impensabile. Se l'Uno è il principio, chiedersi perché c'è l'Uno significa chiedersJ. perché c'è il Principio, ossia il principio del principio: domanda che Aristotele aveva respinto come assurda. Infatti (nel contesto della sua usiologia) la risposta al problema si annullerebbe in un processo aLl'infinito (il perché del principio, implicherebbe un'ulteriore domanda sul perché del perché del principio, e cosi via, all'infinito). Plotino propone la questione sotto l'influsso di una certa problematica agi.tata dai Cristiani, e in particolare agitata dal «discorso temerario» degli Gnostici. E la sua risposta, inedita, è da annoverare, come già abbiamo detto, fra i vertki della metafisica occidentale. La causa o la ragione dell'Uno è la libertà. L'Uno c'è perché è libera attività autoproduttrice, libera causa sui, libertà autocreatrice. L'Uno è libertà nel senso che è ciò che vuol essere, o, in altri termini, vuole essere ciò che è. E ciò che Egli vuole essere è quanto di più alto ci possa essere, l'assoluto positivo, l'assoluto Bene. L'intero ottavo trattato della sesta Enneade svolge, nella maniera più chiara e più approfondita, questi concetti nuovissimi. Il perché dell'Uno è dunque la Libertà 7 • Ora è evidente che questa soluzione del primo problema doveva radicalmente condizionare anche la soluzione del secondo, permettendo una serie di nuovi guadagni. 7 Ottime rifiessioni sul concetto della libertà dell'Uno si troveranno in Cilento, Saggi ... , pp. 97-122.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
611
2) Perché dunque dall'Uno derivano i molti?
Plotino distingue nell'Uno (e, poi, anche nelle successive ipostasd) due forme di .attività: a) l'attività propria dell'Uno e b) l'attività che scaturisce dall'Uno. a) La prima è e rimane nell'Uno, b) l'altra procede fuori dall'Uno. È evidente ohe le due attività sono strutturalmente legate, d~ guisa che, posta la prima (l'attività del), da essa scaturisce, di conseguenza, la seconda (l'attività dal). Orbene, a) l'attività dell'Uno non può non coincidere con la libertà, per le ragioni sopra vedute. Invece b) l'attività ohe procede dall'Uno consegue di necessità. Ma non si tratta sicuramente di una necessità « fisica », « naturale », ossia cieca. In ogni caso, non si tratta di una necessità che possa interpretarsi in funzione delle tradizionali categorie della grecità. Infatti, si tratta di una necessità, sotto un certo profilo, voluta, liberamente voluta, o, meglio, di una necessità conseguente ad un atto di libertà. L'Uno pone liberamente sé, e, ponendo liberamente sé, produce necessariamente le altre cose, che, da Lui che si è Hber.amente autoposto come potenza produttrice infinita, non possono non derivare. È chiaro, di conseguenza, che l'attività dall'Uno differisce dall'attività creatrice del Dio biblico che « vuole » le cose, e cosl le produce (dal nulla) come «dono» gratuito. Ma è altrettanto chiaro che le cose sono derivate dall'Uno, perché l'Uno ha liberamente voluto essere quello che è. E se può parere eccessiva (o per lo meno paradossale) la conclusione tratta da qualche studioso che .la creazione delle cose da parte dell'Uno è libera non meno di quanto lo sia lo stesso Uno, resta tuttavia vero che la radice della processione (necessaria) dall'Uno è la stessa libertà (l'attività dell'Uno) 8 •
• Del resto Plotino, in Enneadi, VI, 8, 6, scrive espressamente quanto « nell'immateriale consiste la volontà che ha la potenza sovrana di decidere e resta in se stessa anche qualora ordini qualcosa che si volga fuori, per necessità ». ~egue:
www.scribd.com/Baruhk
612
IL
NEOPLATONtS~O
Ma questo non è tutto. La genesi del molteplice dall'Uno non si spiega nemmeno con la sola attività dall'Uno, in un modo Lineare, quasi meccanico. L'attività che deriva dall'Uno (e dalle altre ipostasi) può produrre lo Spirito (o le successive ipostasi e la stessa realtà fisica), solo se si rivolge a contemplare. La theoria, la «contemplazione creatrice», su cui solo di recente gli studiosi hanno richiamato l'attenzione 9 , diventa uno degli assi portanti della metafisica plotiniana, se non, addirittura, la cifra di questa metafisica. Infatti, in uno dei suoi scritti più maturi, Plotino pone una precisa equazione fra « contemplazione » (&e:wp(or.) e« creazione» (7to(l)crtc;). Il creare è contemplare o, se si preferisce, effetto del contemplare. La contemplazione creatrice è la caratteristica che accomuna tutte le ipostasi, la chiave che dischiude il segreto della « processione » dall'Uno e dello stesso « ritorno » all'Uno, dato che, come abbiamo visto, la stessa estasi è « contemplazione ». Alla luce di questo concetto (che, come è stato notato, non è più greco e non è ancora cristiano) i tradizionali sohemi nei quali si era tentato di imprigionare il sistema plotiniano, risultano veramente inadeguati. 3. La «contemplazione creatrice»
Ha scritto uno studioso italiano che « Plotino rileva dall'ombra la "contemplazione" fino a ipostatizzarla: la &e:wp(or. è l'unica vera ipostasi, l'Ipostasi creante: nella Contemplazione si sommerge il mitico demiurgo » 10 • L'affermazione, che è volutamente portata ai limiti del paradosso, contiene quella verità di fondo troppo a lungo sfuggita agli studiosi. • Cfr. Arnou, Praxis et theoria, Paris 1921; Cilento, Saggi ... , pp. 5-27; P. Prini, Plotino e la genesi dell'umanesimo interiore, Roma 1968. 1° Cilento, Saggi ... , p. 9.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA ·DI PLOTINO
61.3
Del resto lo stesso Plotino, iniziando l'ottavo trattato della terza Enneade, !in cui illustra appunto il concetto di theoria, che rivoluziona tutt'i gli schemi tradizionaLi, usa un tono di scherzo per attutire l'impatto della nuova dottrina col lettore, che non poteva se non riuscire violentissimo: Scherzando, si capisce, in principio - prima di argomentare sul serio - noi potremmo dire, per esempio, cosl: tutto aspira ad una « contemplazione » e mira a questo fine - viventi, dotati o no di ragione, e la natura ch'è nelle piante e la terra che le genera -; e tutte le creature attingono, nella misura in cui loro è dato, in uno stato conforme a natura e ciascuna a un suo modo, persino il contemplare; lo raggiungono cogliendone, talune, la realtà, altre, una imitazione e immagine 11 •
Ma tosto il tono scherzoso viene lasciato, e Plotino si concentra a dimostrare i due punti estremi della dottrina, concernenti, rispettivamente, la natura e la attività pratica. Infatti, che lo Spirito contempli l'Uno e l'Anima lo Spirito (e, attraverso lo Spirito, l'Uno stesso) non poteva sembrare paradossale, risultando, anzi, di per sé molto chiaro, data la struttura di queste ipostasi. Invece, potevano sembrare in tutto o in parte estranee alla « contemplazione », appunto, a) ia natura e b) la prassi, l'azione. Per cont·ro, per n nostro filosofo, natura, azione e prassi sono, esse pure, contemplazione e prodotto di contemplazione. Ecco le conclusioni di Plotino sul primo punto: Ma la natura è « contemplazione » e « cosa contemplata » a un tempo: poiché essa è «forma razionale». Perciò, proprio perché essa si è « contemplazione », « cosa contemplata » e « forma razionale », per questo solo, e finché essa è tutto questo, essa crea. Cosl adunque, la creazione ci si è chiaramente mostrata come «contemplazione»; essa è, difatti, prodotto di contemplazione, di una contemplazione che resta pura contemplazione e non fa nient'altro che creare perché è «contemplazione» 12 • " Enneadi, 12 Enneadi,
III, III,
8, l. 8, 3.
www.scribd.com/Baruhk
614
IL
NEOPLATON1S~O
Plotino chiarisce ulteriormente questa sua concezione, immaginando di interrogare la natura, e ponendo in bocca alla medesima la risposta, che rappresenta la sintesi del suo pensiero al riguardo: Anche se uno la interrogasse per amore di chi ella crei e· supponendo pure che voglia dar retta alla domanda e parlare, ella potrebbe forse rispondere cosl: « In verità, era doveroso non domandare, ma comprendere, piuttosto, e da soli, in silenzio, come me che sono silenziosa e non sono usa a parlare! » - «Comprendere, sl, ma che cosa? » - «Questo: l'essere che nasce è spettacolo, mio possesso, silenzio, una visione che mi sorge spontaneamente; poiché io pure sono nata da una contemplazione cosl fatta, mi è dato avere, innata, la vocazione contemplativa; ond'è che l'atto stesso del mio contemplare crea, non so come, una sua visione, alla stessa guisa che i geometri che disegnano, contemplando; io, però, non disegno affatto; contemplo, solamente, e vengono all'esistenza le linee dei corpi come se cadessero da me. Accade a me pure quel che accade a mia madre [l'Anima], ai miei genitori [le superiori ipostasi]; anch'essi, infatti, derivano da una contemplazione e la mia nascita si ebbe senza ch'essi facessero proprio nulla; bastò solo ch'essi fossero forme razionali maggiori che contemplassero se stessi; e cosl io nacqui » 13 • È evidente che (e con questo veniamo al secondo punto), come la Natura contempla e crea in quanto· è Anima, cosl anche nelle anime particolari contemplazione e azione dovranno essere strutturalmente connesse. Non solo l'azione dipende dalla contemplazione, ed è tanto pm ricca quanto più è ricca la contemplazione (tesi ovvia nel contesto del sistema· plotiniano ), ma essa tende altresì a ritornare alla contemplazione. La prassi, perfino nel suo più basso grado, anche senza saperlo, tende a una contemplazione:
L'azione, pertanto, sussiste per amore di una contemplazione e di una visione; tant'è vero che, anche per coloro che agiscono, finalità si è la contemplazione: come se essi, impotenti a raggiungere qualche cosa per diritta via, cerchino poi di conquistarla " Enneadi,
III,
8, 4.
www.scribd.com/Baruhk
IL SISTEMA DI PLOTINO
615
con un giro smarrito. Giacché, del resto, quando pur essi abbiano raggiunto l'oggetto a cui aspirano, qual finalità mai, in buona sostanza, bramarono di raggiungere? Non certo quella di non conoscere, ma quella, invece, di conoscere quel dato oggetto, di contemplarlo, anzi, presente nell'anima, appunto perché, evidentemente, esso vi giace dentro, pronto alla visione 14 , La vera forza creatrice, dunque, non è la prassi, ma è la theoria, la « contemplazione ». Come le anime, nel Fedro platonico, hanno una interiore ricchezza proporzionata alla « visione » di ciò che hanno contemplato nella « pianura della Verità» 15 , cosl in misura senza paragone maggiore questa intuizione platonica, portata alle estreme conseguenze, diventa in Plotino un concetto metafisica generale. La spirituale attività del « vedere» si trasforma in un creare. L'Uno è una sorta di autocontemplazione; lo Spirito è cont·emplazione dell'Uno e di sé riempito dell'Uno; l'Anima è contemplazione dello Spirito e di sé ripiena di Spirito; la Natura, estremo lembo dell'anima, è contemplazione di sé; la stessa azione non è che un più debole grado di contemplazione 16 • E la contemplazione è silenzio. Tutta la realtà è dunque« contemplazione» e« silenzio» 17 • In questo contesto, i'l «ritorno» ·all'Uno medi.ante l'estasi diventa non altro che il ri.torno mecHante la contemplazione all'Uno. Ricordiamo che «estasi» è termine che ricorre una sola volta nelle Enneadi, e che il termine più appropriato sarebbe «semplificazione», che, come abbiamo vis-to, è eliminazione delJ'.alterità, separazione da tutto ciò che è tel'reno e •• Enneadi, III, 8, 6. " Platone, Fedro, 246 a · 249 d. 16 Tutte queste affermazioni sono state sopra documentate. 17 Donde la fecondità, anche a livello etico-pratico, del silenzio stesso. Scrive il Prini (Plotino ... , p. 139): « Plotino ha fondato la sua dottrina della saggezza sopra l'intuizione dell'immenso valore "pratico" del silenzio, del raccoglimento, della ricchezza interiore ».
www.scribd.com/Baruhk
616
IL NEOPLATONISMO
molteplice, contemplazione, appunto, in cui soggetto contemplante e contemplato si fondono: è la famosa «fuga da solo a Solo»: Ed ecco la vita degli Dei e degli uomini divini e beati: separazione dalle restanti cose di quaggiù, vita cui non aggrada più cosa terrena, fuga da solo a Solo 18 •
Da un lato, dunque, il concetto di libertà come «perché dell'Uno » getta tutta una nuova luce sulla necessità della processione, e, dall'altro, il concetto di « contemplazione » come concetto cosmogonico, anzi ontogonico, ossia il concetto di contemplazione creatrice, ci aiutano a riscoprire il vero volto della metafisica di P lo tino (una deHe più complesse e alte creazioni del genio umano), la cui ricchezza non è stata ancora certamente del tutto disvelata, giacché è come un volto, per usare un'immagine cara aHo stesso Plotino 19 , tutto luccicante di innumerevoli volti all'interno di esso. E la successiva storia del pensiero si è concentrata, almeno finora, solo su alcuni di essi 20 •
" Enneadi, VI, 9, 11. " L'immagine è riferita da Plotino allo Spirito in Enneadi, VI, 7, 15. 20 Per un approfondimento della documentazione dell'esegesi che abbiamo presentato dr. M. L. Gatti, Plotino e la metafisica della contem· p/azione, CUSL, Milano 1982.
www.scribd.com/Baruhk
SEZIONE TERZA
GLI SVILUPPI DEL NEOPLATONISMO E LA FINE DELLA FILOSOFIA ANTICA GRECO-PAGANA
c7tcivr« 7tÀi}pl) &t:wv •« Tutto è pieno di Dei».
Talete, test. 22 Diels-Kranz c IJ.EaTCÌ Bi: 7tcXVT« &cwv •. « Tutto è rigurgitante di Dei ».
Proclo, Elementi di teologia, 145
www.scribd.com/Baruhk
www.scribd.com/Baruhk
I. SGUARDO COMPLESSIVO SULLE SCUOLE, SUGLI ESPONENTI
E SULLE TENDENZE DEL NEOPLATONISMO
l. Alcuni rilievi metodologici concernenti la ricostruzione della storia del neoplatonismo
La storia del neoplatonismo postplotiniano è particolarmente difficile da scrivere, per molte ragioni. In primo luogo, i contributi dei singoli pensatori tendono a diventare, a livello speculativo, sempre più analitici e, molto spesso, a compHcare dl sistema plotiniano, soprattutto mediante la moltiplicazione delle ipostasi, fino all'i-nverosimile. In secondo luogo, tende vieppiù a diffondersi il genere letterario del commentario, in cui l'analit~cità sopra rilevata viene esasperata e portata ai limiti estremi d'ella vera e propria dispersione. · In terw luogo, a partire soprattutto da Giamblico, il neoplatonismo sposa la causa del politeismo, e, quindi, sussume una serie di motivi propri della religione pagana, con le ulteriori complicazioni che nascono dal fatto che alle varie ipostasi si pretende di far corrispondere questo o quel Dio, questa o quella Dea, e, in genere, il mondo delle ipostasi tende a diventare, oltre che il mondo della totalità delle realtà metafisiche, un vero e proprio Olimpo, anzi un pantheon. In quarto luogo, mentre, da un lato, i filosofi pagani fanno del neoplatonismo il fondamento teoretico del politeismo, i filosofi cristiani utilizzano i principi del neoplatonismo medesimo per ripensare a livello teoretico la nuova religione, con esiti assai originali. Esiste, dunque, anche un neoplatonismo cristiano: da quello di Origene, di estrazione ammoniana, a
www.scribd.com/Baruhk
620
IL NEOPLATONISMO
quello di Vittorino, di estrazione porfiriana, a quello di Sant'Agostino, di estra21ione plot:Jiniana oltre che porfiriana, a quello delJo Pseudo-Dionigi, di estrazione procliana. Orbene, a livello di sintesi non possono essere ridate quelle peculiarità che abbiamo rilevato nei primi tre punti, e che potrebbero trovare posto solo in monografie specializzate e piuttosto ampie. Inoltre, in una storia della filosofia antica cosl come l'abbiamo intesa (in accordo, del resto, con la maggioranza degli studiosi), ossia come storia del pensiero filosofico greco-romano che non ha conosciuto o non ha accolto il messaggio cristiano, non può trovar posto l'esposizione dell'elaborazione filosofica del cristianesimo fatta sulla base delle categorie neoplatoniche. Infatti, questa elaborazione, come già abbiamo avuto modo di dire, costituisce la necessaria premessa della storia della filosofia medioevale, non il coronamento del pensiero classico ed ellenistico. Riservandoci di ritornare, eventualmente in altra opera, a ripercorrere il duplice tragitto, pagano e cristiano, del neoplatonismo, qui non ci resta se non la possibilità di tracciare un quadro generale che permetta di abbracciare, senza dispersioni, le varie scuole, i vari esponenti e le varie tendenze del neoplatonismo pagano. Anche le citazioni dei testi degli autori, in questa sezione, risulteranno necessariamente contenute, dato che le cose più belle di questi filosofi (se si eccettuano gli Elementi di teologia di Proclo) si trovano soprattutto a Livello di analisi; ma nelle spkaJ.i di queste analisi, per le ragioni spiegate, in questa sede non possiamo addentrarci.
2. L e scuole e gli es p o n e n t i d e l n e o p l a t o n i s m o Uno schema interpretativo della storia del neoplatonismo assai fortunato (accolto per molto tempo e non ancora del tutto scomparso dalla manualistica, anche se ormai largamente
www.scribd.com/Baruhk
SCUOLE E TENDENZE DEL
NEOPLATONIS~O
621
superato dagli studi specializzati) è stato quello proposto dallo Zeller 1 • Le scuole neoplatoniche, secondo lo studioso tedesco, sarebbero state tre, e ad esse sarebbero corrisposte altrettante differenti tendenze: la prima sarebbe quella di Plotino, caratterizzata dall'interesse prevalentemente filosofico; la seronda sarebbe quella di Giamblico (scuola siriaca), caratterizzata dall'interesse prevalentemente religioso; la terza sarebbe quella della scuola di Atene, caratterizzata da una fusione dei due interessi. Ma il Praechter, in un suo contributo che risale al 1910 e poi anche in altri lavori 2 , denunciò l'inadeguatezza di questo schema e la sua genesi in gran parte aprioristica; infatti, è evidente come lo Zeller si sia rifatto allo schema hegeliano della tesi-antitesi-sintesi: Plotino corrisponderebbe in certo senso alla tesi, Giamblico e la sua scuola all'antitesi, Proclo e la scuola di Atene alla sintesi. Il Praechter dimostrò come, in verità, la realtà sia assai più complessa. Egli distinse sei scuole e tre tendenze. Nel suo schema egli non incluse le scuole e le tendenze neoplatoniche cristiane, e questo è corretto, per le ragioni sopra spiegate; ma non incluse nemmeno la scuola di Ammonio Sacca, cosa, questa, obiettivamente molto discutibile, e, anzi, a nostro avviso, non giustificabile, dato che, come abbiamo visto, la gestazione del neoplatonismo avvenne, senza dubbio, appunto nel circolo di Ammonio. Completando, quindi, le conclusioni del Praechter ' Zeller, Die Philosophie der Griechen, m, 2, pp. 735-931. Questa parte dell'opera zelleriana è stata tradotta anche in lingua italiana da E. Pocar, con aggiornamenti, piuttosto limitati, a cura di G. Martano (La Nuova Italia, Firenze 1961). In particolare, il Martano non sembra essersi avveduto della portata rivoluzionaria degli studi del Praechter, di cui subito diremo, e non ha quindi messo in evidenza le linee secondo le quali lo schema zelleriano andava di conseguenza ristrutturato. Tutte le ricerche d'avanguardia hanno infatti seguito le linee indicate dal Praechter. 2 K. Praechter, Richtungen und Schulen im Neuplatonismus, in AA.W., Genethliakon Carl Robert, Berlin 1910, pp. 103-156; Die Philosophie des Altertums, pp. 590-655.
www.scribd.com/Baruhk
622
IL NEOPLATONIS!dO
(che nella loro sostanza i successivi studi hanno in vario modo riconfermato), 1 possiamo tracciare il seguente quadro delle scuole neoplatoniche. l) Prima scuola di Alessandria, fondata da Ammonio Sacca probabilmente intorno al 200 d.C. e fiorita nel corso della prima metà del III secolo. I membri più famosi di questa scuola, come già sappiamo, furono Erennio, Origene Pagano e Platino, oltre al celebre letterato Longino. (Probabilmente ,an~he Origene Cristiano fu uditore di Ammonio). 2) Scuola fondat·a da Platino a Roma nel 244 e fiorita nel corso della seconda metà del III secolo. I membri più significativi di questa scuola ·furono Amelio e Porfìrio (quest'ultimo svolse la sua a.ttivhà anche in Sicilia). 3) Scuola di Siria, fondata da Giamblico poco dopo il 300 e fiorita nel corso dei primi decenni del IV secolo. Esponenti di questa scuola furono Teodoro di Asine, Sopatro di Apamea e Dessippo. 4) Scuola di Pergamo, fondata da Edesio, discepolo di Giamblico, poco dopo la morte di quest'ultimo. Esponenti di questa scuola furono Massimo, Crisanzio, Prisco, Eusebio di Mindo, Eunapio, l'imperatore Giuliano detto l'Apostata e il suo collaboratore Sa1lustio. La dissoluzione della scuola si può far coincidere con la morte di Giuliano ( 363 ). 5) Scuola di Atene, fondata da Plutarco di Atene fra la fine del s.ecolo IV e gli inizi del v e consolidata da Siriano. Proclo fu l'esponente più insigne. Altri rappresentanti furono Domnino, Isidoro, Damascio, Simplicio e Prisciano. La scuola venne chiusa in segu•1to ad un edit·to di Giustiniano del 529. 6) Seconda scuola di Alessandria, fra i cui esponenti sono da annoverare Ipazia, Sinesio di Cirene, Ierocle di Alessandda, Ermia, Ammonio figlio di Ermia, Giovanni Filopono, Asclepio, Olimpiodoro, Elia, Davide e Stefano di Alessandria. Questa scuola nacque, o meglio rinacque, contemporaneamente alla scuola di Atene e sopravvisse fino agli inizi del VII secolo.
www.scribd.com/Baruhk
SCUOLE E TENDENZE DEL
NEOPLATONIS~O
623
7) Una cerchia a parte, se non una vera e propria scuola, costituiscono i cosiddetti Neoplatonici dell'Occidente latino dei secoli IV e v, fra i quali si annoverano in prevalenza eruditi come Calcidio, Mario Vittorino, Macrobio, Marziano Capella e Boezio. Questi pensatori furono o divennero quasi tutti cristiani; tuttavia essi non operarono (se si eccettuano Vittorino e Boezio) veri e propri tentativi di sintesi fra platonismo e cristianesimo, ed ebbero importanza (talora assai grande) soprattutto come intermediari fra l'antichità e il Medioevo.
3. Le varie tendenze delle scuole neoplatoniche
Le tendenze delle scuole neoplatoniche, secondo il Praechter, sarebbero riducibili a tre: l) una tendenza speculativa, 2) una teurgica, 3) una prevalentemente erudita. La tendenza speculativa sarebbe rappresentata dalla scuola di Plotino, dalla scuola di Siria e da quella di Atene; la tendenza teurgica si ritroverebbe soprattutto nella scuola di Pergamo; la tendenza erudita si ritroverebbe invece nella scuola alessandrina e nei Neoplatonici dell'Occidente latino. Il merito principale del Praechter, a questo proposito, consiste in particolar modo nell'aver completamente rivalutato il ruolo di Giamblico e di aver mostrato che proprio con questo filosofo avvenne la svolta essenziale nella storia del secondo neoplatonismo. Quei caratteri che 1o Zeller riteneva tipici di Giamblico e della scuola di Siria, ossia la riduzione degli interessi speculativi e filosofici agli interessi mistico-teurgici, secondo il Praechter sono invece tipici della scuola di Pergamo. In effetti, i documenti pervenutici danno torto allo Zeller e largamente ragione al Praechter, come le più recenti ricerche stanno sempre più chiaramente dimostrando 3 • ' Si vedano soprattutto i seguenti contributi fondamentali. B. Dalsgaard
www.scribd.com/Baruhk
624
IL NEOPLATONISMO
Lo schema delle tendenze, tuttavia, a nostro avviso, va ritoccato. Infatti, fra la scuola di Platino e quella di Giamblico e di Proclo sussiste una differenza piuttosto netta, in quanto solamente nella prima prevale la speculazione pura, mentre nelle altre due agli 1nteressi speculativi si affiancano gli interessi religiosi-teurgici, come vedremo. Sarà, dunque, opportuno distinguere non tre, ma quattro tendenze: l) Plotino con la sua scuola (come forse anche Ammonio col suo circolo) 4 11appresenta ,}a tendenza metafisico-speculativa pura. Egli, infatti, mantenne ben distinta la sua filosofia sia dalla religione « positiva » sia dalle pratiche teurgiche e la sua stessa religiosità fu di carattere squisitamente speculativo. È ben nota la sua r.isposta ad Amelio che lo invitava ad una
Larsen, Jamblique de Chalcis exégète et philosophe, 2 voll., Aarhus 1972; il secondo volume di quest'opera (Appendice: testimonia et fragmenta exegetica) contiene la prima raccolta delle testimonianze e dei frammenti pervenutici relativi ai commentari di Giamblico ad Aristotele ed a Platone. Ad un solo ,anno di distanza è stata pubblicata una seconda raccolta di frammenti di Giamblico relativi ai dialoghi platonici con traduzione inglese, introduzione e nutrito commentario: J. M. Dillon, Iamblichi Chalcidemis in Platonis dialogos commentariorum fragmenta, Leiden 1973 (fa parte della collana « Philosophia antiqua,. diretta da W. J. Verdenius e J. H. Waszink, pubblicata dall'editore E. J. Brill [il Dillon sta preparando la raccolta dei frammenti delle altre opere di Giamblico]). Ancora di B. Dalsgaard Larsen è da vedere il saggio: La piace de Jamblique dans la philosophie antique tardive nel volume miscellaneo De Jamblique à Proclus, che costituisce il vol. XXI degli « Entretiens sur l'Antiquité Classique », Vandoeuvres-Genève 1975, pp. 1-34. Questo saggio e l'introduzione del Dillon mostrano assai bene quanta strada si sia percorsa nella comprensione di Giamblico dopo lo Zeller, nella direzione indicata dal Praechter. A tirolo di esemplificazione, peraltro assai significativa, si veda anche quanto scrive A. C. Lloyd in T be Cambridge History of Later Greek and Early Medieval Philosophy edited by A. H. Armstrong, Cambridge 1970, il quale, rifacendosi espressamente al Praechter, parla di Giamblico come di secondo fondatore del neoplatonismo e come «del Crisippo della scuola » (p. 273 ). • Sulla tendenza propria della scuola di Ammonio è difficile pronunciarsi, data la scarsità di documenti al riguardo. Tuttavia, dalle testimonianze di cui sopra abbiamo parlato (cfr. pp. 465 sgg.), la tendenza della scuola di Ammonio parrebbe essere stata analoga a quella di Plotino.
www.scribd.com/Baruhk
SCUOLE E TENDENZE DEL
NEOPLATONIS~O
625
cerimonia religiosa: « Spetta agli Dei venire da me; non a me andare da loro » 5 • Anche gli immediati seguaci di Platino, pur mostrando alcuni cedimenti, non riuscirono a trasformare se non in modo parziale e non sostanziale l'impostazione del maestro, come vedremo. 2) La scuola di Giamblico e quella di Atene rappresentano, invece, come una sintesi - o, se si preferisce, una combinazione - fra la tendenza speculativa e quella misticoreligioso-teurgica: il neoplatonismo, oltre che speculazione filosofica, divenne fondazione e difesa apologetica della religione politeistica e addirittura sussunse la teurgia come complemento, se non addirittura come coronamento, della filosofia. 3) La scuola di Pergamo rappresenta un momento di accentuata involuzione religioso-teurgica e di netto scadimento della componente filosofioo-speculativa. 4) Nei Neoplatonici alessandrini e Jn quelli dell'Occidente latino, infine, prevalse la componente erudita e l'impianto metafisko venne notevolmente semplificato, e, talora, ridotto in senso medioplatonico. Esaminiamo, ora, in modo più specifico, ciascuna di queste scuole e le relative tendenze.
' Porfirio, Vita di Plotino, 10.
www.scribd.com/Baruhk
II. I DISCEPOLI IMMEDIATI DI PLOTINO
l. Amelio
Della scuola di Ammonio (prima scuola neoplatonica di Alessandria), cosl come della scuola e del sistema di Platino, abbiamo detto con ampiezza nelle due precedenti sezioni. Ci resta però ancora da dire dei discepoli immediati di Plotino, Amelio e Porfìrio, che sopra abbiamo più volte menzionato, ma solo per cenni. · Amelio 1, che ebbe grande dimestichezza con il pensiero di Numenio prima di essere un fedelissimo di Plotino, restò un poco in bilico fra i due maestri. Ciononostante, egli incominciò a sviluppare alcuni punti della filosofia di Plo1'ino, anticipando, a suo modo, una tendenza che venne largamente seguita dai successivi Neoplatonici. Egli ritenne necessario procedere ad una triparti21ione della seconda ipostasi, ossia dello Spirito. Riferisce Proclo: Amelio pone un triplice Demiurgo, tre Nous, tre Re: colui che è, colui che contiene, colui che contempla [-ròv llv-rtt = l'essente; -ròv lxov-rtt = il contenente o l'avente; -ròv 6pwv-rtt = il contemplante]. Essi differiscono in quanto il primo Nous è essere in senso pieno, il secondo è l'intelligibile in sé, possiede ciò che è prima di lui e partecipa interamente di quello e per tal motivo appunto è secondo. Il terzo è pure in sé intelligibile, perché ogni 1 Amelio si chiamava, propriamente, Gentiliano e proveniva dall'Etruria (cfr. Porfirio, Vita di Plotino, 7). Restò alla scuola di Plodno ben venti· quattro anni, dal 246 al 269 d.C. Successivamente si trasferl ad Apamea in Siria. Di lui ci sono pervenute solo poche testimonianze.
www.scribd.com/Baruhk
I DISCEPOLI UMJdEDIATI DI PLOTINO
627
intelligenza è identica all'intelligibile cui si congiunge strettamente 2 • Amelio chiamò questa triade con nomi di Dei: Phanes, Ouranos e Cronos 3 • Che 1a complessità della seconda ipostasi plotiniana potesse dar luogo a siffatte distinzioni è innegabile; ma è altrettanto innegabile che Plotino insisteva sulla unità di essa, mentre, a cominciare appunto da Amelio, i Neoplatonici insisteHero vieppiù sulle distinzioni, e, come vedremo, introdussero distinzioni nelle distinzioni e moltiplicarono le ipostasi e i momenti delle varie ipostasi in modi e misure tali ohe, lungi dall'arricchire, finirono col disintegrare la metafisica neoplatonica. È da rilevare, peraltro, come Amelio (almeno a giudicare dagli scarsi frammenti pervenutici) non sembri aver introdotto la tripartizione del Nous seguendo un filo conduttore che gli permettesse di ripensare organicamente tutte e tre le ipostasi plotiniane, ma piuttosto per un permanere dell'influsso del medioplatonismo e di Numenio, che, come abbiamo visto, distinguevano appunto una gradazione di intelletti 4 • Questo sembra riconfermato altresl dal fatto che Amelio assunse nei confronti dell'Anima un atteggiamento opposto a quello assunto nei confronti del Nous, insistendo, contro Platino stesso, suU'unità dell'Anima. Infa>tti, mentre Plotino parlava di unità dell'Anima quanto al genere e alla specie, . Amelio parlava di unità ddl'Anima anche quanto al numero 2 Proclo, In Plat. Tim., I, p. 306, l sgg. Diehl. Probabilmente il ragionamento logico che sta sotto questa distinzione è il seguente: per pensare bisogna potere e per potere bisogna essere (cfr. Vacherot, Histoire critique... , n, p. 8). Ad ognuna di queste funzioni, dunque, veniva fatta corrispondere una ipostasi. . 3 Cfr. Proclo, In Plat. Tim., I, p. 306, 10 sgg. Diehl. • Anche nelle fonti antiche troviamo il nome di Amelio espressamente associato a quello di Numenio; cfr., ad esempio, Proclo, In Plat. Tim., lll, p. 33, 33 sgg. Diehl; Siriano, In Arist. Metaph., 109, 12 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
628
IL
NEOPLATONIS~O
e riteneva che le differenziazioni dell'anima dipendessero solo dalle differenti relazioni e rapporti in cui l'anima può entrare 5 • Lo schema generale delle ipostasi del sistema ameliano sembra dunque essere stato il seguente: Uno Nous o Spirito
l
Primo Nous =Essente Secondo Nous = Avente Terzo Nous =Contemplante
Anima Amelio ebbe un forte attaccamento, oltre che alla filosofia, anche alla religione positiva e alle pratiche dei culti pagani. Riferisce Porfirio: Fervido sacrificante com'era, Amelio andava in giro ai riti sacri delle neomenie e ad altre feste religiose, senza !asciarsene sfuggire una 6 •
Evidentemente, almeno a livello esistenziale, la filosofia non gli bastava per raggiungere il fine ultimo. Tuttavia egli non portò (o non seppe portare) a livello speculativo le istanze che erano implicite in questo suo atteggiamento pratico, e quindi, come abbiamo già detto, non modificò la direzione generale ohe Plotino aveva impresso alla scuola.
2. Porfirio
Porfirio è stato a lungo scarsamente valutato come pensatore e invece largamente apprezzato come erudito e come divulgatore del pensiero di Platino 7 • Tipico è il giudizio dato Cfr. Stobeo, Anthol., I, p. 372, 25 sg. e p. 376, 2 sg. Wachsmuth. • Porfìrio, Vita di Plotino, 10. 7 Porfìrio nacque a Tiro nel 233/234 d.C., come si ricava dagLi elementi
5
www.scribd.com/Baruhk
I DISCEPOLI IMMEDIATI DI PLOTINO
629
dal Bidez, che molti studiosi sostanzialmente accolsero: « Se si volesse caratterizzare Porfirio - scrive lo studioso francese che egli stesso ci fornisce nella Vita di Platino, 4. Fu, dapprima, allievo di Longino ad Atene. Dal 263 al 268 d.C. fu alla scuola di Plorino, dove il suo pensiero filosofico giunse a maturazione. Colpito da una grave crisi depressiva che lo portò a desiderare il suicidio, per consiglio di Plollino lasciò Roma e si recò in Sicilia, a Lilibeo, dove ritrovò l'equilibrio spirituale. Fece quindi ritorno a Roma. Solo negli ultimi anni della sua vita (forse dopo il298) (:gli riusd ad approntare e a pubblicare l'edizione delle Enneadi plotiniane, che, rome sappiamo, egli curò per volontà del maestro. Morl intorno al 305 d.C. Porfirio scrisse moltis9imo. ]. Bidez nella sua opera (che resta tuttora fondamentale) Vie de Porphyre le philosophe néo-platonicien, Gent 1913 (Hildesheim 1964), pp. 65*-73*, ha ricostruito un catalogo di 77 titoli. R. Beutler ne ha fornito di recente uno nuovo di 68 titoli, perfezionato alla luce delle più recenti ricerche, nel suo articolo Porphyrios (1953) nella Realenzyclopiidie der classischen Altertumswissenschaft, Pauly-Wissowa-Kroll, XXII, I, coll. 278301 (ciascun titolo del catalogo Beutler è puntualmente ragionato). Di questa cospicua produzione ci è pervenuto relativamente poco: undici opere complete e frammenti di varia estensione di circa una trentina di altre. Le undici opere pervenute sono: L'antro delle Ninfe, l'Isagoge, un Commentario alle Categorie di Aristotele (redatto sotto forma di domanda e risposta), la celebre Vita di Platino, Sentenze sugli intelligibili, la Vita di Pitagora, i trattati Sull'animazione dell'embrione e Sull'astinenza daglr animali, la· Lettera a Marcel/a, il Commentario agli Armonici di Tolomeo, l'lsagoge all'Apotelesmatico di Tolomeo. Per ulteriori indicazioni si veda il catalogo del Beutler. Riservandoci di dare in sede di bibliografia 1'-elenco di tutto quanto è stato finora pubblicato, ci limitiamo qui ad indicare le traduzioni fatte nella nostra lingua. Il lettore italiano ha finor-a a disposizione quanto segue: la Vita di Pitagora, a cura di G. Pesenti, in: Ps. Pitagora, I Versi aurei..., pp. 47-84; la Vita di Platino, a cura di V. Cilento, nel vol. I delle Enneadi plotiniane, Bari 1947, pp. 1-35; la Lettera ad Anebo (giuntaci in frammenti) e la Lettera a Marcella, a cura di G. Fagg~n (con testo greco a fronte), Firenze 1954 (la Lettera ad Anebo è stata curata in edizione bilingue anche da A. R. Sodano, Napoli 1958); le Sentenze, a cura di P. Pistone, in « Atlli dell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», 79 (1968), pp. 135-170; l'Isagoge, a cura di B. Maioli, Padova 1969. Ricordiamo, infine, che, nel 1961, P. Hadot ha rivendicato a Porfirio la paternità di un commentario anonimo al Parmenide di cui il Kroll aveva pubblicato un ampio frammento (W. Kroll, Ein neuplatonischer Parmenidescommentar in einem Turiner Palimpsest, in « Rheinisches Museum », 57 [1892], pp. 599-627); dell'Hadot si veda l'articolo: Fragments d'un commentaire de Porphyre sur le Parménide, in « Revue des études grecques >>, 74 (1961), pp. 410-438 e la nuova edizione, con traduzione francese e commento, in: Porphyre et Victorinus ... , vol. II, pp. 60113. Cfr. ulteriori indicazioni nel vol. v, s.v. Por/irio.
www.scribd.com/Baruhk
630
IL
NEOPLATONIS~O
- con espressioni che impiegheremmo per uno scrittore del nostro. tempo, si dovrebbe dire di lui che possedeva lo spirito vJvo e rapido di un eccellente pubblicista, una penna vivace, forbid scaltre, e che pose questi strumenti di volta in volta al servizio della credulità e della superstizione dei culti orientali, della critica scientifica e letteraria di Longino, infine della religiosità di Platino. In tutto ciò che ci resta dei suoi scritti non c'è un pensiero né un'immagine che a colpo sicuro si possa afferlffiare che sia sua. Non solo egli si contraddice man mano avanza nell'età e scopre nuovi pensatori e nuovi ambienti, ma anche nel periodo più bello e più fecondo della sua vita, dopo che ebbe subito l'ascendente di Plotino, non riuscì a stabilire, fra i diversi compartimenti della sua intelligenza, comunicazioni abbastanza rapide e abbastan2la complete per sopprimere i disaccordi e far regnare nell'insieme una perfetta armonia » 8 • Da qualche tempo, tuttavia, si notano fra gli studiosi una inversione di rotta e un notevole sforzo, in parte coronato da successo, di rivalutare Porfirio anche dal punto di vista propriamente filosofico 9 • Le novità più cospicue sono emerse nell'ambito della metafisica. Già nel secolo scorso alcuni studiosi avevano notato come l'Essere, la Vita e l'Intelligenza, che in Platino sono i tratti essenziali caratterizzanti lo Spirito, in Porfirio
' Bidez, Vie de Porphyre... , pp. 132 sg. Diamo indicazione delle principali opere che hanno contribuito a rinnovare radicalmente gli studi e le rk:erche su Porfirio: W. Theiler, Porphyrios und Augustin, Halle 1933 (Schriften der Konigsburger Gelehrten Gesellschaft, Geisteswissenschaftliche Klasse, x, l); il già citato articolo del Beutler nella Pauly-Wissova (cfr. nota 7); H. Dorrie, Porphyrios' Symmikta Zetemata, Miinchen 1959 (« Zetemata », xx); il xn volume degli « Entretiem sur l'Antiiquité Classique », interamente dedicato al nostro filosofo: Porphyre, huit exposés suivis de discus&ions par H. Dorrie, J. H. Waszink, W. Theiler, P. Hadot, A. R. Sodano, J. Pépin, R. Walzer, Vandoeuvre-Genève 1966; P. Hadot, Porphyre et Victorinus, già citato alla nota 7 (quest'ultimo volume presenta le prospettive più innovatrici). 9
www.scribd.com/Baruhk
631
l DISCEPOLI IMMEDIATI DI PLOTINO
tendano a diventare vere e proprie ipostasi 10 • Ma, di recente, Pierre Hadot ha mostrato come, in realtà, Porfirio si sia spinto assai più oltre 11 • Sollecitato dalla dottrina degli Oracoli Caldaici, oltre che dalla metafisica plotiniana, il nostro filosofo, pose, come si ricav·a da alcune testimonianze, al vertice della teologia una enneade, ossia tre ipostasi caratterizzate ciascuna da una triade, ossia da tre distinti momenti. Utilizzando tutte le testimonianze pervenuteci al riguardo, l'Hadot è riuscito a stabi.Ii·re che « le tre triadi erano probabilmente cosdtuite tutte e tre dai medesimi termini e non si distinguevano fra loro se non per il predominio di un termine sull'altro » 12 , secondo il seguente schema: Padre o Sussistenza [ = Uno]
Vita [ = Potenza]
Intelligenza
l l l
Sussistenza Vita ( = Potenza) Intelligenza
Sussistenza Vita Intelligenza Sussistenza Vita Intelligenza
Hadot ha inoltre precisato il significato di questo schema come segue: « Al livello del Padre, l'Intelligenza è ridotta ad uno stato di pura sussistenza [ U7t<Xp!;Lc;]; vita e intelligenza 1° Cfr. Vacherot, Histoire critique ... , II, pp. 39 sgg. e Zeller, Die Philosophie der Griechen, m, 2, p. 705 e nota l. 11 Si veda il volume Porphyre et Victorinus, già più volte citato e soprattutto l'articolo La métaphysique de Porphyre nel volume miscellaneo Porphyre della collana « Entretiens sur l'Antiquité Classique ,. (citato, sopra, alla nota 9), pp. 127-163. 12 Hadot, La métaphysique de Porphyre, p. 138 (nello schema che riportiamo, H corsivo indica il termine che in ciascuna delle triap.i predomina).
www.scribd.com/Baruhk
632
IL
NEOPLATONIS~O
si confondono col primo termine. Uscendo dalla sussistenza, l'Intelligenza diviene vita, e questa è la seconda triade; essa si trova, allora, in uno stato di alterità e infìnitudine. L'intelligenza è veramente se stessa solamente nella terza triade, ahlorché predomina sulla vita e sulla sussistenza. In questa enneade, il Padre o la sussistenza è dunque il primo momento dell'autogenerazione deLl'Intelligenza » 13 • L'Uno, secondo Porfìrio, non sta al di sopra della triade (o dell'enneade), ma coincide con il primo termine di essa, come ci viene espressamente riferito. L'Uno, per il nostro fìlosofo, sarebbe l'essere puro (l'assoluta potenza), a partire dal quale deriva e si sviluppa l'IntelligenYct 14 • Porfìrio, insomma, sembra non essersi del tutto spogliato dalla mentalità medioplatonica 15 , legando l'Uno all'Intelligenza in un modo che, come vedremo, i successivi pensatori neoplatonici di parte pagana non potevano accettare (mentre, per un motivo opposto, la posizione porfìriana si prestava ad essere vantaggiosamente sfruttata dai pensatori cristiani per l'elaborazione della dottrina trinitaria). È stato inoltre rilevato che Porfìrio, a proposito del problema dell'origine del mondo, si avvicina, in una certa misura, alla concezione della creazione dal nulla, respingendo espressamente la necessità della materia per la generazione del mondo e sostenendo l'origine temporale del mondo 16 •
Hadot, La métaphysique de Porphyre, p. 141. ,. Per un approfondimento di questo punto si veda Hadot, La métaphysique de Porphyre, pp. 148-157. All'Hadot rimandiamo anche per la complessa documentazione. 15 Il Uoyd nella Cambridge History of Later Greek and Early Medieval Philosophy, pp. 287 sgg., parla di «tendenza monistica » di Porfirio. A oostro avviso la tesi è assai discutibile e i conti tornano assai meglio tenendo appunto presenti la dottrina dell'Intelligenza del medioplatonismo e anche il fatto che gli Oracoli Caldaici, che Porfirio commentò e a cui si ispirò, risentono largamente della metafisica medioplatonica (dr., sopra, pp. 444-456). 16 Cfr. Beutler, Porphyrios, coli. 303 sg. 13
www.scribd.com/Baruhk
I DISCEPOLI IMMEDIATI DI PLOTINO
633
Tuttavia, sulla base delle testimonianze pervenuteci 17 , non è possibile valutare l'incidenza e 1a portata di queste tesi nell'economia della metafisica porfiriana. Il nostro filosofo mostrò particolare sensibilità per la problematica morale. Sembra, anzi, che egli abbia privilegiato non poco la componente etica, concependo la filosofia come « salvezza dell'anima », ossia come via di purificazione e strumento di elevazione a Dio 18 • La « salvezza» consiste, precisamente, nel liberarsi prima dal peso del corpo, quindi dalle passioni dell'anima, infine nel salire a Dio attraverso l'anima stessa. Questo, secondo Porfi1'io, è possibile, dal momento che dentro di noi esiste, ad un tempo, «ciò che è salvato » e anche « ciò che salva ». E ciò che salva è « un vero maestro » 19 presente nella nostra anima, ossia Dio e la sua legge, o, se si preferisce, l'intelletto che riconosce in sé l'impronta di Dio e della sua legge. Ecco due testi significativi: [ ... ] L'intelletto è maestro, salvatore, nutrimento, custode e guida: esso intende la verità nel silenzio e discoprendo la legge divina con la contemplazione di se stesso riconosce nel suo intimo la legge impressa sin dall'eternità 20 • Dio si rispecchia soprattutto nelle menti pure, ma non si può vedere né attraverso il corpo, né attraverso un'anima turpe e oscurata dal vizio. La bellezza di Dio è intatta, la sua luce è Vita splendente di verità; il vizio è falsità a causa dell'ignoranza ed è deformazione a causa della bruttezza morale. Perciò, tu desidera e chiedi a Dio ciò che egli stesso vuole ed è, perché sai bene che quanto più un uomo ama il corpo e le cose affini al corpo tanto più misconosce Dio e oscura in sé la visione di Lui, anche se da tutti gli uomini sia onorato come un dio. L'uomo saggio è noto a pochi, o addirittura, se vuoi, è ignoto a tutti, ma è conosciuto da Dio. L'intelletto segua, dunque, Dio e ne contempli in sé la immagine; l'anima segua l'intelletto; all'anima serva, per quanto è Si vedano indicate dal Beutler, Porphyrios, coli. 303 sg. Cfr. Eusebio, Praep. evang., IV, 7, l; IV, 8, l. 19 Porfirio, Lettera a Marcello, 9. "' Porfirio, Lettera a Marcello, 26 (traduzione di G. Faggin). 17
18
www.scribd.com/Baruhk
634
IL
NEOPLATONIS~O
possibile, il corpo, fatto puro a lei pura: altrimenti, reso impuro dalle passioni dell'anima, esso riverserà a sua volta in lei le sue lordure 21 • Allo schema esposto la distinzione porfìriana chiarimento e un certo dottrina plotiniana. Le virtù si dividono
in questo passo è improntata anche delle virtù, che segna un indubbio approfondimento della corrispettiva [n quattro gradi.
a) _Al più basso grado stanno le «virtù politiche», le quaLi consis·tono « nella moderazione delle passdoni » (o, come Porfìrio altres} dice, nel « seguire la guida della ragione nei doveri e nelle azioni della vita » ). Queste sono: la saggezza intesa come moderazione della parte irrazionale, la fortezza come moderazione dell'irascibilità, la temperanza come moderazione della concupiscenza e la giustizia come ciò che « fa s} che tutte le virtù singolarmente attendano al proprio ufficio e nel comandare e nell'ubbidire». b) Le virtù politiche o civili sono solo il momento preparatorio di ulterio11i virtù, le «catartiche», che consi&tono in un distacco dal corpo e dalle azioni corporee. In questo ·ambito, la saggezza consiste nell'operare senza seguire il corpo, la temperanza nel non essere turbati dalle affezioni del corpo, l.a fortezza nel non temere la separazione dal corpo (quasi che ciò significasse un andare nel nulla), la giustizia nel comandare incontrastato della ragione. Queste virtù non sono solo virtù che purificano l'anima, sono anche virtù dell'anima purificata, e il loro fine consiste nel « renderei simiH a Dio ». c) Il terzo genere di virtù è quello dell'« anima intellettualmente operante», ossia, potremmo dire, il genere delle virtù dell'anima spiritualizzata. A questo livello, la saggezza è contemplazione di ciò che l'intelletto possiede, la giustizia " Porfìrio, Lettera a Marcella, 13.
www.scribd.com/Baruhk
I DISCEPOLI IMMEDIATI DI PLOTINO
63.5
è operare secondo l'intelletto, la temperanza è interna conversione dell'Jntelletto, .la fortezza è impassibilità. d) Il quarto grado è costituito dalle « virtù paradigmatiche » o « esemplari », che sono proprie dello Spirito e costituiscono gli esemplari, appunto, delle virtù che sono nell'anima. Ed ecco le conclusioni che Porfìrio trae a questo proposito: Quattro sono, dunque, i generi delle virtù, di cui alcune sono della mente, cioè le esemplari, le quali partecipano della medesima sostanza intelligibile; altre sono dell'anima che si volge alla mente e da questa è ripiena; le terze sono dell'anima dell'uomo occupata nel purifìcarsi o già purificata dal corpo e dalle passioni basse; le altre, infine, adornano l'uomo in quanto pongono un freno allo irrazionale e creano la moderazione dalle passioni. Chi ha le virtù maggiori ed anche le minori non opererà principalmente· secondo le minori, ma soltanto a seconda delle varie circostanze. Gli scopi, poi, come fu detto, differiscono secondo il genere. Lo scopo delle virtù civili è d'imporre moderazione agli affetti nel compiere le azioni volute da natura; delle catartiche di cancellare ogni memoria degli affetti; delle altre poi di agire conformemente all'intelletto, avendo abbandonato gli affetti. Gli scopi delle altre analogamente a quanto detto. Pertanto, chi opera secondo le virtù pratiche è uomo probo; chi secondo le catartiche divino e genio buono; chi solo secondo le intellettuali è Dio; e chi secondo le esemplari è padre degli Dei. Perciò è conveniente che ci occupiamo dapprima delle catartiche, cercando di possederle in questa vita, e attraverso queste gradualmente verremo alle più alte 72 • Porfìrio si segnalò, inoltre, come commentatore di Platone e anche di Aristotele. Egli era convinto, come già Ammonio 22 Porfirio, Sentenze, XXXII, 6-7, pp. 17 sg. Mommert. Secondo il Beutler Porfirio avrebbe assegnato alla volontà un ruolo essenziale, ad essa agganciando il concetto di peccato. Lo studioso tedesco giunge addirittura ad asserire che non Agostino (come si crede dai più) ma appunto Porfirio, nell'ambito del pensiero occidentale, avrebbe assegnato alla volontà un posto determinante. Se cosl fosse, l'importanza di Porfirio nella storia dell'etica diverrebbe assai considerevole. Ma i documenti che il Beutler adduce (Porphyrios, coli. 306 sg.), non provano questa tesi.
www.scribd.com/Baruhk
636
IL
NEOPLATON1S~O
Sacca, della possibilità di conciJiMe i due filosofi, come una sua opel'a, purtroppo perduta, ·già col suo significativo titolo: Sull'unità delle sette di Platone e di Aristotele, dice espressamente. Nell'ambito di questa attività risulta significativo soprattutto il commento al,le opere di Aristotele, che diventerà un punto di riferimento oBbligato per tutti i successivi Neoplatonici 23 • Di partié(;Iare ·importanza risulta l'atteggiamento assunto da Porfirio nei confronti delle categorie a11Istoteliche. Queste, i·nfaui, erano state oggetto di serrata critica da parte di Platino, che le considerava dal punto di vista antologico; il nostro filosofo, Invece, Je ripropone e le discute sul piano logico, e in questo ambito le considera di grande utilità. Porfirio, in tal modo, faceva ·rientrare la logica aristotelica nell'ambi•to della speculazione neoplatonica. L'Isagoge, che è nna introduzione breve ma sucoosa alla problematica deLle categorie attraverso lo studio dei cinque « predioamenti », è esplicita su questo punto: Dal momento che, o Cresaorio, per comprendere la dottrina delle categorie di Aristotele è necessario sapere che cosa è il genere, che cosa è la differenza, che cosa la speçie, che cosa il proprio e che cosa l'accidente, e che tale conoscenza è ugualmente neces-
saria per la formulazione delle definizioni e, in generale, per quanto riguarda la divisione e la dimostrazione, l'esame delle quali è di grande utilità, te ne farò una breve relazione, con la quale cercherò di esporti in poche parole, in forma dirò cosl di introduzione, quanto hanno detto in proposito gli antichi filosofi, astenendomi dalle ricerche più approfondite e toccando solo limitatamente anche le questioni più semplici. E per cominciare, per 23 Ricordiamo che Plotino ebbe nei confronti di Aristotele un atteggiamento ambiguo, pur essendo debitore di non poco allo Stagirita. Fu proprio Porfirio il primo che rilevò come nelle Enneadi fossero presenti dottrine peripatetiche e « vi fossero condensate questioni di metafisica aristotelica » (Vita di Plotino, 14). Fu dunque un grande merito di Porfirio quello di aver bandito ogni ambiguità e di aver ricuperato definitivamente Aristotele al neoplatonismo.
www.scribd.com/Baruhk
l DISCEPOLI IMMEDIATI DI PLOTINO
637
quanto riguarda i generi e le specie, circa la questione se siano entità esistenti in sé o siano solo semplici concezioni poste 'nella mente, e, ammesso che siano entità esistenti, se siano corporee o incorporee, e se infine siano separate o invece esistano nelle cose sensibili e in dipendenza da esse, mi asterrò dal parlare, poiché un problema del genere è troppo profondo ed esige una indagine diversa e più vasta; cercherò invece di mostrarti qui le conclusioni più attinenti da un punto di vista logico, alle quali sono arrivati, su questi ultimi punti e sugli altri oggetti della mia ricerca, gli antichi ed in particolare i Peripatetici 24 • È questo il celebre passo che, tra l'altro, darà origine,
nel Medioevo, alla nota disputa sugli universali. Porfirio, inoltre, fu il primo a commentare gli Oracoli Caldaici in fumione delle categorie neoplatoniche 25 • Con questo suo commento egli poneva le premesse per la nascita di quella tendenza che, subito dopo di lui, soprattutto ad opera di Giamb1ico diverrà dominante. Gli Oracoli Caldaici, insieme ai Carmi orfici (e ai grandi poeti del passato come Omero 26 ed Esiodo) divennero una specie di Bibbia pagana, ossia testi considerati espressione di una divina rivelazione, che la filosofia doveva accogliere come punto di partenza per la propria riflessione. Porfirio condusse una serrata polemica contro la religione cristiana in una vasta opera in quindici libri, intitolata appunto Contro i Cristiani. (L'opera non ci è pervenuta, ma, a giudicare dai frammenti e dalle testimonianze, non era una contrapposizione dell'antica visione del mondo alla nuova, ma si impegnava in una critica dei testi biblici con abilità) 27 • Egli, però, " Porfirio, Isagoge, l (traduzione di B. Maioli). 25 Lo scritto in cui Porfirio commentava gli Oracoli Caldaici non è da confondere con La filosofia degli Oracoli, che menzioniamo sotto, la quale era un'opera giovanile, scritta in ogni caso in epoca preplotiniana. "" Un saggio significativo della interpretazione allegorica di Omero condotta da Porfirio è contenuto nell'Antro delle Ninfe, opera che ci è pervenuta. 21 I frammenti e le testimonianze di quest'opera sono stati raccolti da A. von Harnack, Berlin 1916.
www.scribd.com/Baruhk
638
IL NEOPLATONISMO
non abbracciò la causa del paganesimo in modo indiscriminato, e, almeno dopo l'incontro· con Platino, criticò, nella Lettera ad Anebo, quella teurgia e quelle superstizioni in cui aveva creduto in giovinezza e che aveva esaltato nella sua Filosofia degli Oracoli 28 • Prevalse insomma, in lui, quello spirito speculativo che è peculiare di Platino, anche se, dopo la morte di Plotino, egli tornò a fare qualche concessione alla teurgia nell'opera Sul ritorno dell'anima 29 : le pratiche teurgiche agirebbero solo sulLa pa:rte !inferiore dell'anima, ossia sull'anima pneumatica, vale ·a dire sul « veicolo » (6X.1)(l.<X) etereo di cui ogni anima è rivestita. Sembra però che Porfirio, pur riconoscendo alla teurgia una certa efficacia, non la giudicasse tuttavia in modo favorevole 30 •
28 Cfr. G. Wolff, Porphyrii de philosophia ex oraculis haurienda librorum reliquiae, Berlin 1856 (ristampa anastatica, Hildesheim 1962). 29 Si vedano i fNmmenti di quest'opem raccolti da Bidez, Vie de Porphyre... , pp. 25*-44* e la fine esegesi fornita dal medesimo studioso, ivi, pp. 88-97.
30 Sulla teurgia si veda quanto abbiamo detto, sopra, pp. 452-456 e quanto diremo, più avanti, pp. 650-652.
www.scribd.com/Baruhk
III. GIAMBLICO E LA SCUOLA SIRIACA
l. Giamblico e il nuovo corso della filosofia neo platonica
Con Giamblico e la sua scuola si ebbe una grande svolta nella storia del neoplatonismo. Si trattò, precisamente, di quella svolta che permise alla filosofia ellenica di sopravvivere ancora per oltre due secoli, sfruttando tutte le residue energie dello spirito greco ormllli al tramonto. Nato a Calcide, in Siria, verso la fine della prima metà del m secolo d.C. 1, Giamb1ico, prima di venire a contatto con la filosofia neoplatonica, ebbe modo di conoscere e apprezzare a fondo, probabilmente ad Alessandria, la filosofia neopitagorica di cui fu fervente ammiratore 2 , nonché la filosofia aristotelica alla scuola del Peripatetico Anatolia, divenuto
' Mentre nel secolo scorso si poneva la data di nascita di Giamblico per lo più intorno al 280 d.C., gli studiosi tendono oggi a spostarla molto più indietro. Già il Bidez proponeva di spostarla intorno al 250 (cfr. Le philosophe Jamblique et son école, in << Revue des études grecques », 32 [1919], p. 32); A. Cameron propone il 245-250 (The Date of Iamblichus' Birth, in « Hermes », 96 [ 1968], pp. 374-376); ]. M. Dillon propone il 242 (Iamblichi Chalcidensis ... [già citato sopra, p. 624, nota 3], p. 7); B. Dalsgaard Larsen pensa addirittura al 240 (La place de ]amblique ... [già citato sopra, p. 624, nota 3], p. 27). L'argomentuione a favore di questa datazione alta è ricavata dalle notizie pervenuteci circa il matrimonio di una figlia del nostro filosofo. 2 Giamblico conobbe la filosofia neopitagorica (fu influenzato soprattutto da Nicomaco di Gerasa) probabilmente ad Alessandria, come nota Dalsgaard Larsen. In effetti, se Giamblico nacque davvero intorno al 240 (o poco dopo), allora non si può più pretendere che Porfirio sia stato il suo primo maestro. « È ad Alessandria - nota lo studioso danese - che bisogna cercare i suoi maestri. Nulla di più naturale per un intellettuale siriano
www.scribd.com/Baruhk
640
IL NEOPLATONISMO
poi vescovo di Laodicea 3 • Solo in un secondo momento Giamblico venne a contatto con Porfirio (forse indirizzato dallo stesso Anatolio) 4 • L'incontro con Porfirio dovette essere decisivo, in quanto significò, sostanzialmente, l'incontro con la speculazione neoplatonica. I rapporti fra i due pensatori, che dapprima furono buoni, dovettero tuttavia guastarsi, forse prima ancora ohe Porfirio morisse, su un punto cruciale, vale a dire proprio sulla interpretazione e sulla valutazione dei rapporti fra filosofia e religione positiva, e in particolare fra la speculazione ra2Jionale e la teurgia. La rottura divenne irreparabile e Giamblico assunse nei confronti di Porfirio un atteggi;amento non solo critico, ma fortemente ostile 5 : quegli aspetti e quelle pratiche della religione pagana che Porfirio
ellenizzato» (La place de ]amblique ... , p. 3). Anche Dillon patla di un periodo « pitagorico-ermetico » nell'evoluzione del pensiero dd nostro filosofo (Iamblichi Chalcidensis ... , p. 18). ' Sappiamo da Eunapio (Vite, v, l, 2) che Giamblico ebbe come maestri Anatolia e poi Porfirio. Che questo Anatolia sia il Peripatetico, e non, come voleva lo Zeller, un omonimo discepolo di Porfirio (dr. Zeller-Martano, p. 2), è tesi ormai accettata dai più. Non solo lo spostamento della data di nascita (dr. nota l) rende ormai la tesi probabile, ma anche la massiccia presenza della componente aristotelica nel nostro filosofo (dal Protrettico, al De anima ai commentari alle opere dello Stagirita) depone decisamente a favore di essa (dr. Dalsgaard Larsen, ]amblique ... , pp. 37 sgg.; Idem, La place de ]amblique ... , p. 4). • Cfr. Dillon, Iamblichi Chalcidensis ... , p. 9, il quale formula l'ipotesi che Porfirio abbia conosciuto Anatolia ad Atene negli anni '50, che questi sia l'Anatolia cui Porfirio dedicò le sue Questioni americhe (opera che risale appunto al periodo in cui Porfirio era discepolo di Longino ad Atene). • Che le relazioni fra i due filosofi siano state dapprima buone lo si può agevolmente ricavare dal fatto che Porfirio dedicò a Giamblico l'opera Sul «conosci te stesso» (cfr. Stobeo, Anthol., m, p. 579, 21 Hense). La gravità ddla rottura successivamente avvenuta è provata, per !imitarci ai documenti più evidenti, dal De mysteriis (che è una confutazione della porfiriana Lettera ad Anebo) e dai frammenti pervenutici del Commentario al Timeo. Dillon rileva che dei 32 frammenti di quest'ultiima opera in cui è menzionato Porfirio 25 esprimono dissenso. Giamblioo giunge addirittura al punto di accusare Porfirio di «barbarica millanteria» (cfr. Proclo, In Plat. Tim., I, p. 152, 12 sgg., e, in particolare, p. 153, 10 Diehl).
www.scribd.com/Baruhk
GIAMBLICO E LA SCUOLA SIRIACA
641
aveva criticato e in grande parte respinto, per Giamblico dovevano invece costituire un momento essenziale o addirittura il coronamento della filosofia. Fu precisamente questa la concezione che ispirò la scuola (fondata in Siria agli inizi del IV secolo) 6 e le più significative opere del nostro filosofo 7 • • Da Malala (Chronographia, XII, p. 312, 11-12 Dindorf) si ricava che Giamblico tenne il suo insegnamento a Dafne (vicino ad Antiochia) all'epoca di Massenzio e Galerio (305-312). Se cosi fosse, il nostro filosofo avrebbe aperto solo in età già avanzata la sua scuola in Siria. La data coinciderebbe con quella della morte di Porfirio. Tuttavia alcuni pensano che Giamblico abbia lasciato Porfirio molto presto, e che si sia stabilito ad Alessandria per un lungo periodo di tempo, prima di ritornare in Siria (cfr. Dalsgaard Larsen, ]amblique ... , pp. 40-42; Idem, La place de ]amblique ... , pp. 4 sg.). La data di morte del nostro filosofo è congetturalmente collocata nel terzo decennio del IV secolo (intorno al 325). 7 Un catalogo ragionato delle opere che Giamblico risulta aver scritto si troverà sia in Dalsgaard Larsen, ]amblique ... , pp. 42-65, sia in Dillon, Iamblichi Chalcidensis ... , pp. 18-25. Ricordiamo i titoli più significativi. Innanzitutto l'imponente Silloge delle dottrine pitagoriche, in dieci volumi, che costituiva come una vasta introduzione alla filosofia (attraverso appunto la filosofia pitagorica con&iderata come paradigmatica). I misteri d'Egitto sono oggi attribuiti concordemente al nostro filosofo (ancora lo Zeller li attribuiva ad un discepolo della scuola si~iaca; ma dopo l'attenta ricerca condotta da K. Rasche, De ]amblicho libri qui inscribitur de mysteriis auctore, Miinster 1911, e le solide prove da lui apportate, gli studiosi più qualificati si sono pronunciati a favore della autenticità), e, come vedremo, costituiscono una opera programmacica molto importante. La Teologia Caldaica, la Teologia platonica e il Trattato sugli Dei dovevano probabilmente costituire la summa del nostro filosofo (la prima doveva essere di mole co&picua, dato che, come risulta da un passo di Damascio [si veda la nota 12], era formata da almeno ventotto libri). Grande importanza, per le ragioni che più avanti illustreremo, ebbero i suoi commentari a Platone e ad Aristotele. Di Platone Giamblico commentò I'Alcibiade maggiore, il Pedone, forse il Cratilo, il Sofista, il Fedro, il Filebo, il Timeo e il Parmenide. Di Aristotele commentò certamente le Categorie e gli Analitici primi e probabilmente anche altre opere. Di contenuto aristotelico è anche H Trattato sull'anima, di cui ai sono pervenuti frammenti. Infine sono da menzionare le sue Lettere, indirizzate per lo più a discepoli, e di cui Stobeo ci ha conservato importanti frammenti (se ne veda l'elenco compilato da Dalsgaard Larsen, ]amblique ... , pp. 50 sg.). Di questa ricca produzione ci è pervenuto poco. Per intero possediamo alcuni volumi (quattro e forse un quinto) della Silloge delle dottrine pitagoriche e precisamente: De vita pythagorica (ed. Deubner, Leipzig 1937, riprodotta con miglioramenti da M. von Albrecht con traduzione tedesca, Ziirich-Stuttgart
www.scribd.com/Baruhk
642
IL NEOPLATONISMO
La differente direzione che Giamblico aveva impresso al neoplatonismo era stata ben individuata già dagli antichi. Olimpiodoro, ad esempio, contrappone espressamente la posizione di Pl:otino e di Porfirio a quella di Giamb1ico, Siriano e Frodo, come segue: Alcuni pongono al primo posto la filosofia, come Porfirio, Plotino e molti altri filosofi; altri pongono invece al primo posto l'arte sacerdotale [ ltpcxnxi)], come Giamblico, Siriano e Proclo [ ... ] s.
Ancor più era stata rilevata dagli antichi l'importanza del pensiero di Giamblico. Assai spesso, infatti, i Neoplatonici posteriori qualificano GiambLico come «.n divino», lo kxlano e lo esaltano senza riserve. Il lettore moderno che s'accosta a quanto di questo pensatore ci è pervenuto può indubbiamente stupirsi di questi alti elogi e rimanere deluso o addirittura urtato, come è avvenuto ad esempio allo Zeller e agli studiosi che lo hanno seguito. Ma, a parte il fatto (già di per sé assai importante) 1963), Protrepticus o Adhortatio ad Philosophiam (ed. H. Ilistelli, Leipzig 1888), De communi mathematica scientia (ed. N. Festa, Leipzig 1891), In Nicomachi Arithmeticam Introductionem (ed. H. Pistel1i, Leipzig 1894). Probabilmente è di Giamblico almeno una parte del contenuto dell'opera Theologumena Arithmeticae, pervenutaci anonima (ed. De Falco, Leipzig 1922); infatti Giamblico stesso (In Nicom., p. 125, 15 sgg. Pistelli) ci dice che un'opere di questo titolo doveva costituire il settimo volume della Silloge delle dottrine pitagoriche e nello scritto anonimo pervenutoci con questo titolo almeno una parte rivela somiglianze linguistiche con gli scritti sicuramente autentici del nostro filosofo. Completo ci è pervenuto anche il De mysteriis, che è stato più volte edito e tradotto (dr. M. Sicherl, Die Handschriften, Ausgaben und Uebersetzungen von Jamblichos de mysteriis, Berlin 1957): la più recente edizione è quella curata da É. des Places, con traduzione francese, introduzione e note, Paris 1966. Delle edizioni dei frammenti dei commentari abbiamo già detto sopra, pp. 623 sg., nota 3. I fremmenti del De anima si trovano in traduzione francese, con commentario, in A.]. Festugière, La Révélation d'Hermès Trismégiste, vol. m, Paris 1953, pp. 177-248. In I.ingua italiana sono stati tradotti: la Vita pitagorica, a cura di L. Montoneri, Laterza, Bari 1973 e il De mysteriis, a cura di A. R. Sodano, Rusconi, Milano 1984. Cfr. ulteriori indicazioni nel vol. v, pp. 402 sgg. ' O!impiodoro, In Plat. Phaed., p. 123, 4 sgg. Norvin.
www.scribd.com/Baruhk
GIAMBLICO E LA SCUOLA SIRIACA
643
che le opere pervenuteci di Giamblico sono (se si eccettua il De mysteriis) le meno significative, bisogna rilewre che iJ pensiero del nostro filosofo non può essere compreso secondo gli astratti canoni della dialettica hegeliana, ma solo tenendo ben presente la concreta situazione storica nella quale egli si mosse. Orbene, considerato da questo punto di vista, Giamblico risulta effettivamente un pensatore importante, perché seppe farsi interprete dei problemi dei Pagani colti del suo tempo e seppe additare soluzioni che furono giudicate assai feconde. Le novità apportate dal nostro filosofo risultano particolarmente significative almeno in tre differenti direzioni. l) Platino si era limitato a criticare quella particolare setta di Cristiani (e per giunta dottrinalmente degeneri), che era costituita dagli Gnostici. Porfirio nella sua massiccia opera Contro i Cristiani si era limitato ad un tipo di critica storicoerudita. Orbene, criticare i Gdsdani non era sufficiente ed occorreva fare assai di più: occorreva rilanciare positivamente il paganesimo, proprio in quella configurazione si:nçretistica greco-onientale che aveva assunto, e, a questo scopo, occorreva fornirgli una precisa base teoretica. Era necessario, insomma, rifondare a livello concettuale il politeismo dell'ultima gredtà. Orbene, appunto nella antologia neoplatonica, opportunamente ripensata soprattutto in funzione degli stimoli degli Oracoli Caldaici, il nostro filosofo trovò la fondazione teoretica del politeismo. È da rilevare che in questa riforma Giamblico riuscl agevolmente, dato che la moltiplicazione delle ipostasi metafisiche e la molciplicazione degli Dei hanno la medesima radice, in quanto nascono, in ultima analisi, da un medesimo orientamento dello spirito, come è stato da tempo giustamente rilevato. D'altra parte, come abbiamo visto, già la scuola di Platino, sia pure timidamente, aveva aperto la strada a Giamblico:
www.scribd.com/Baruhk
644
IL NEOPLATONISMO
Amelio aveva distinto tre ipostasi nello Spirito dando ad esse nomi, di Dei e Porfirio aveva introdotto le sue innovazioni metafisiche ispirandosi agli Oracoli Caldaici 9 • 2) L'ultimo paganesimo non poteva, però, accontentarsi di questa rifondazione antologica del politeismo, pervaso com'era da ansie soteriologiche e assetato com'era di riti e di pratiche magiche e teurgiche che fos·sero capaci di placare e propiziare gli Dei. Come già abbiamo detto, mentre Plotino non fia menzione della teurgia, Porfirio, dopo averla praticata in giovinezza, la criticò nella sua Lettera ad Anebo (sacerdote egiziano). Il fulcro della critica porfiriana consisteva nel denunciare la fallacità delle pretese della teurgia sulla base del principio secondo cui gli Dei sono « impassibili ». Evidentemente, se gli Dei sono impassibili non è pensabile di poter agire su di essi con pratiche del genere di quelle messe in atto dalla teurgia. (La ammissione di una certa efficacia della teurgia che Porfirio fece nel De regressu animae fu di limitatissima portata, come abbiamo sopra veduto) 10 • Era dunque necessario difendere la teurgia da queste critiche e da·re anche di essa una giustificazione teoretica, in modo da garantirle un posto adeguato nella vita dello spirito. Questo compito fu assolto da Giamblico nell'opera già più volte chata Sui misteri d'Egitto, che reca li.l sottotitolo « Risposta' di Abammone alla lettera di Porfirio ad Anebo e soluzione delle difficoltà che vi si trovano ». (Abammone è un nome sacerdotale di cui Giamblico fa uso come di pseudonimo, quasi per indicare appunto la sua fumione d:i interprete degli Dei). L'attaccamento particolare alla teurgia che si riscontra non solo nel tardo paganesimo popolare, ma altresl nella tarda • Cfr,, sopra, pp, 630 ·sgg. sopra, pp. 637 sg.
° Cfr.,
1
www.scribd.com/Baruhk
645
GIAMBLICO E LA SCUOLA SIRIACA
filosofia ellenica è particolarmente indicativa. Il puro logos 1n quanto ta1e era ormai giudicato insufficiente a garantire il raggiungimento del fine ultimo, senza l'ausilio di forze metarazionali. E il modo con cui Gi,amblico si è fatto interprete di questo sentire, come vedremo, è veramente paradigmatico. 3) Nell'ultima fase della filosofia greca, come s·appiamo, ebbe una larghissima diffusione la forma letterari·a del commentar:io sopratt'lltto ad Aristotele e a Platone. Plotino costitu1sce una eccezione. Ma già Porfirio era ritornato alila forma letteraria del commentario, con cui rilesse Omero, g1i Oracoli Caldaici, i dialoghi p~atonici e le opere aristoteliche. Ma Porfirio adottò un criterio di commento ass·ai libero e, an2li, in gran parte arbitrario, come risulta soprattutto dalla sua esegesi dell'omerico Antro delle ninfe. Ebbene, anche in questo campo Giamblico seppe apportare una innovazione significativa. Egli introdusse, infatti, alcuni canoni esegetici precisi, che dovevano riveLarsi molto fecondi. Vediamo più in particolare i modi con cui il nostro filosofo realizzò queste riforme.
2. L a m e t a fisica e l a
t
e o l o g i a d i G i a m h li c o
La fondazione S·peculativa del politeismo, come sopra abbiamo già accennato, risulta sostanzialmente connessa con la complessa operazione della moltiplicazione delle ipostasi 11 • Una prima novità, a questo riguardo, consiste nell'aver " Dalsgaard Larsen ha rilevato, a questo proposito, come sia necessario tener conto del processo storico attraverso il quale avvenne questa « moltiplicazione»: Giamblioo non è partito da Plotino ma dal medioplatonismo, dal neopitagorismo, dalle rivelazioni degli Oracoli Caldaici, dai trattati ermetici, dalla Gnosi (La place de ]amblique ... , p. 14). Questo è però vero solo in parte, giacché, senza la mediazione delle categorie plotiniane, sarebbe impensabile iJ sistema di Giamblico.
www.scribd.com/Baruhk
646
IL
NEOPLATONIS~O
Giamblico invertito la rotta seguita da Porfirio nel ripensamento dell'ontologia neoplatonica. Abbiamo visto, infatti, che Porfirio (almeno verso la fine della sua vita) tendeva a collegare l'Uno alla triade intelligibile e a concepirlo come primo membro di essa (determinando poi questa secondo un ritmo enneadico ). Giamblico, per contro, non solo torna a riaffermare la trascendenza dell'Uno rispetto ·all'Intelligibile, come aveva fatto Plotino, ma afferma la necessità di introdurre fra l'Uno e il cosmo intelligibile un secondo Uno. Riferisce Damasdo: Dopo questo dobbiamo procedere all'indagine di quest'altro punto: i principi primi anteriori alla prima triade intelligibile sono due, vale a dire quello assolutamente ineffabile [ il primo Uno] e quollo non coordinato alla triade [ = il secondo Uno], come dice il grande Giamblicq nel ventottesimo libro della sua perfettissima Teologia Caldaica? Oppure come ha ritenuto la maggior parte dei filosofi a lui posteriori, dopo la causa ineffabile [ = l'Uno] viene immediatamente la prima triade intelligibile? Oppure dobbiamo abbandonare questa ipotesi e dobbiamo dire, con Porfirio, che il Padre della triade intelligibile è il principio unico di tutte le cose? 12 •
=
La posizione di Giamblico, come risulta da questo passo, pare sia s~ata ritenuta daMa maggior parte degli stessi Neoplatonici posteriori perfino troppo radicale (i più preferirono attenersi all'unico Uno di Plotino; Damascio, come vedremo, segul invece il nostro filosofo). Evidehtemente Giamblico sentiva il bisogno di distinguere i due aspetti caratteristici dell'Uno plotiniano (vale a dire quello per cui esso è dichiarato assolutamente trascendente, del tutto ineffabile e indicibile e quello per cui, invece, è dichiarato potenza produttrice di tutte le cose), fino a farne due differenti ipostaSii 13 • Damascio, De prindpiis, 43 (I, p. 86, 3·10 Ruelle). " Cfr. a questo proposito i rilievi del Dillon, Iamblichi Chalcidensis ... , pp. 30..33. 12
www.scribd.com/Baruhk
GIAMBLICO E LA SCUOLA SIRIACA
647
Quella che in Plotino era la seconda ipostasi, lo Spirito (Nous), viene trasformata addirittura in un complesso di ipostasi e di momenti, che allo stato attuale delle ricerche non risulta possibile ridisegnare se non nelle sue linee generali. In primo luogo, è da rilevare come Giamblico abbia ritenuto necessario distinguere il piano dell' «inteUigibile » (vorrr6v) dal piano dell'« intellettivo» o meglio dell'« intellettuale» ( voe:p6v ), scindendo, in tal modo, i due tratti essenziali dello Spirito plotiniano, il quale era, appunto, unità sintetica di intelligibile e intelligenza. Ma non basta. Il piano dell'intelligibile venne diviso in tre triadi, e ulteriormente venne diviso anche il piano dell'intellettuale 14 • Sembra inoltre possibile (almeno stando ad un testo di Proclo sanato sulla base di alcune congetture) che Giamblico avesse già introdotto, anticipando in tal modo una dottrina che diventerà tecnica con i filosofi della scuola di Atene, anche un piano intermedio fra quello dell'intelligibile e queLlo deLl'intellettuale, vale a dire il piano dell'intelligibile-e-intellettuale (voY)TÒv-xoct-voe:p6v ), distinguendo anche questo in triadi 15 • Anche la sfera dell'Anima, secondo lo schema triadico generale, fu dis.t'inta, essa pure, in tre ordini 16 • ,. Cfr. Proclo, In Plat. Tim., I, p. 308, 17 sgg. ( = Dalsgaard Larsen, Jamblique ... , fr. 230). Stando al testo tradito, la divisione del piano dell'intelligibile sarebbe in tre triadi e una ebdomade; ma correggendo il testo come propone il Festugièr:e, risulta una sistemazione tutta diversa (cfr. la nota seguente). " A.]. Festugière (Proclus, Commentaire sur le Timée, Traducrion et notes, 5 voli., Paris 1966-1968, vol. n, p. 164, nota 3) corregge come segue il passo di Proclo, In Plat. Tim., I, p. 308, 20 sgg, Diehl: «bisogna leggere [ ... ] (.L&'rtÌ -rtÌc; VOl)"rtÌç < -rp&tç? > -rptci81Xç XIXl -rtÌç 'rWV < VO'I)'rWV XIXl > VO&pwv &e:wv -rpe:!c; Tptci81Xç lv Tfi voe:p~ é~8o!J.<1l -rpL>ci8t (é~86fLIX3L codd. correxi) T'ljv -rp(-rl)v h -ro!ç 7t1X-rpciaLV ci7tové(.Le:L ... -rei!; tv >> « Giamblico attribuisce al
Demiurgo, dopo le tre triadi degli Dei Intelligibili e le tre triadi degli Dei Intelligibili e Intellettuali, il terzo rango fra i Padri nella settima triade, l'In-tellettuale >>. Dunque, vurebbero ad esserci tre triadi intelligibili, tre triadi intelligibili-intellettuali e una intellettuale (settima sommata alle altre). •• Cfr. Dillon, Iamblichi Chalcidensis ... , frr. 50 e 54 ( = Dalsgaard Larsen,
www.scribd.com/Baruhk
648
IL
NEOPLATONIS~O
Ecco un quadro sinottico che può agevolare la comprensione del sistema delle ipostasi di Giamblico 17 : Principio supremo ·assolutamente ineffabile (primo Uno) Secondo principio (secondo Uno) piano dell'intelligibile, distinto in tre triadi
Mondo dello Spirito
Anima
(piano dell'intelligibile-e-intellettuale distinto in tre triadi) piano dell'intellettuale, distinto in una triade (se si accoglie la correzione della testimonianza di Proclo di cui aLla nota 15), oppure in tre triadi più una ebdomade se ci si attiene alla lettura tradizionale Anima ipercosmia Anima del Tutto Anime particolari
Tutte queSJte ipostas:i erano presentate, oltre che sotto l'aspetto metafisico-ontologico, altresl sotto l'aspetto propriamente religioso e considerate Dei. E appunto in questo modo da Giamblico veniva razionalmente giustificato il politeismo. Naturalmente, il numero di queste ipostasi poteva accre-
Jamblique ... , frr. 248 e 253). Giamb1ico msistette sulla differenza strutturale fra l'Anima e le altre ipostasi (dr. Stobeo, Anthol., I, pp. 362, 24 - 385, 10 Wachsmuth). 17 Per completezza ricordiamo che, secondo il Dill.on, in Giamblico sarebbe già presente la dottrina delle Enadi, che verrà sviluppata da Proclo, come vedremo (dr. lamblichus and the Origin of the Doctrine of Henads, in « Phronesis », 17 [1972], pp. 102-106, ·riprodotto anche jn lamblichi Chalcidensis... , Appendix B, pp. 412-416). Ma il ruolo di queste Enadi in Giamblico non risulta ancora sufficientemente chiaro.
www.scribd.com/Baruhk
GIAMBLICO E LA SCUOLA SIRIACA
649
scersi senza limite, moltiplicando ad libitum il numero delle anime che sono nel mondo. E così Giamblico introdusse, oltre agli Dei ultramondani, anche un gran numero di Dei intramondani, e poi ancora Angeli, Demoni ed Eroi. Gli Dei intramondani furono poi divisi in complessi ordini e categorie e vennero moltiplicati e sistemati in modo da far posto all'intero pantheon della fede tardo-pagana 18 • Alil'llluce di quanto ora s'è detto, risulta ch1ara- orecliamo -l'affermazione sopra f·atta, ossia che la concezione dehla molteplicità di ipostasi e la concezione della molteplicità di Dei dipendono da un medesimo atteggiamento mentale. Infatti, come gli Dei pagani altro non sono che personificazioni e individualizzazioni di forz·e e aspetti della n.arura e dell'uomo, così le nuove iposi:asi, moltiplicate all'inverosimile, non sono, fondamentalmente, se non la entificazione e sostantificazione {la ipostatizzaz.ione, appunto) di quelle che in Plotino erano pure determina2li.oni concettuali. Gi sembra che su questo punto abbia co1to nel segno Jo Zeller (che, pure, nell'inslieme, oome ·abbiamo già detto, giudica scor.rettamente il nostro filosofo): «La via migliore per assicurarsi il divino gli [sci!.: a Gi!amblico] sembra queHa di moltiplicarlo più che sia possibile e di collocare i concetti che ne determinano ·l'essenza e i rapporti col finito, come forme autonome, una accanto all'altra e una sopra l'altra. Ma appunto ciò costituisce il carattere distintivo della religione e particolarmente della religione politeistica: quello che per il pensiero filosofico è semplicemente un elemento concettuale, è per la concezione religiosa una forma concreta; quello che n ha l.a forma dell'universalità, ha
qui la forma sensibile dell'individuaLità; e mentre le religioni monoteistiche conservano l'unità dell'ente divino e pongono le numerose forme dell'intuizione religiosa solamente nella 18 Cfr. il De mysteriis e Dillon, Iamblichi Chalcidensis ... , frr. 75-79 (con il relativo commento). A Giamblico probabilmente si ispirano Sallustio, De Diis e Giuliano nei suoi più famosi Discorsi (dr., sotto, pp. 659-662).
www.scribd.com/Baruhk
650
IL NEOPLATONISMO
storia della rivelazione di esso, la religione naturale politeistica invece ha la caratteristica tendenza a scindere l'e_nte divino in una pluralità di particolari » 19 •
3. Giamblico e la teurgia
Nella giustificazione del politeismo Giamblico poteva avvalérsi largamente dei risultati cui era pervenuta la precedente specuJazione medio- e neoplatonica nonché quella neopitagorica. Ma come era possibile giustificare quella teurgia, che, sotto certi aspetti, pareva essere l'antitesi della filosofia e le cui pretese Porfirio aveva così lucidamente contestato? Vediamo di determinare, in primo luogo, quale sia esattamente la conce:l!ione che Giamb1ico aveva della teurgia 20 • Nel De mysteriis veniva presentata come una pratka e anzi un'arte con cui mediante opportuni atti, simboli e formule, non compresi dalla umana ragione ma compresi dagli Dei, l'uomo poteva congiungersi con gli Dei medesimi e beneficiare dei loro influssi e della loro potenza. L'unione teurgica con la divinità e le relative pratiche necessarie per realizzarla erano dunque concepite come qualcosa che era decisamente meta-razionale. Il nostro filosofo scrive testualmente: Non è il pensiero ( Evvotcx) che unisce i teurgi agli Dei; giacché, in tal caso, che cosa impedirebbe ai filosofi teoretici di raggiungere l'unione teurgica con gli Dei? Ma la verità non è questa. L'unione teurgica è prodotta dal compimento di azioni ineffabili che operano al di sopra di ogni possibilità di comprensione dell'intelligenza e dalla potenza dei simboli indicibili comprensibili solamente agli Dei. Perciò non è col pensiero che noi compiamo " Zeller-Martano, pp. 44 sg. 20 Su questo tema si veda quanto abbiamo già detto sopra, pp. 452-456 e il saggio del Dodds, citato a p. 444, nota l.
www.scribd.com/Baruhk
GIAMBLICO E LA SCUOLA SIRIACA
651
quelle cose; infatti, in tal caso, esse sarebbero effetti della nostra intelligenza e dipenderebbero da noi; ma né l'una né l'altra cosa è vera. Infatti, senza che noi esercitiamo il nostro pensiero i segni stessi operano per virtù propria, compiono l'attività che è loro peculiare, e l'ineffabile potenza degli Dei, ai quali queste cose sono rivolte, di per se stessa riconosce le proprie immagini senza essere svegliata dall'attività del nostro pensiero [ ... ] 21 • Il passo è per più di un aspetto indicativo in quanto, oltre a formare una perfetta definizione della teurgia, contiene altresì iJ fondamento su cui si basa J,a risposta alle obiezioni di Porfirio e rivela la notevole distanza che separa la posizione di Giamblico (e dell'ultimo neoplatonismo, che seguirà Giamblico) da quella di Platino e della sua scuola. Le obiezioni di Porfirio cadono, secondo Giamblico, se si tiene ben fermo che la teurgia è una attività al di sopra dell'intelletto e della ragione dell'uomo e quindi al di sopra delle facoltà razionali. Nella teurgi~ oon è l'attività dell'uomo ohe sale agli Dei e H raggiunge, giacché, in tal caso, verrebbe compromessa la ·impassibilità degli Dei medesimi, come diceva appunto Porfuio; si tratta, invece, de1la stessa potenza divina che scende agl:i uomini, o, meglio, che libera gli uomini da questo mondo e li riporta agli Dei; si tratta, insomma, di una iniziativa degli Dei più che degli uomini. Chiaci.sce molto bene questi concetti l'Hadot: « Se noi potessimo ottenere l'unione perfetta con gli Dei mediante la contemplazione, allora sarebbe mediante le nostre forze che noi raggiungeremmo il divino. Gli Dei sarebbero allora mossi da esseri inferiori. Al contrario, se essi stessi scelgono le pratiche, incomprensibili agli uomini, mediante le quali si può spemre di uni·rsi a loro, essi restano immobili in se stessi e mantengono loro l'iniziativa » 22 • Chiunque d abbia seguito fino a questo punto potrà facil" Giamblico, De mysteriis, n, 11, 96 sg. " Hadot, Porphyre et Victorinus, vol. I, p. 94.
www.scribd.com/Baruhk
652
IL
NEOPLATONIS~O
mente comprendere che il costo di questa operazione tentata da Giamblico era altissimo. Essa significava esattamente la esplicita ammissione dell'incapacità della filosofia classicamente intesa a condurre l'uomo al raggiungimento del suo fine supremo. Ancora Plotino, come abbiamo sopra rilevato, ribadiva la convinzione tutta greca nella possibilità per l'uomo di realizzare l'« unione » ( ~vwaLt;) con il Divino med1ante le sue ·sole forze, mentre Giamblico nega ormai, a livello tematico, questa possibilità. È evidente che nella teurgia e negli « atti e simboli indicibili » della teurgia, che la ragione umana non comprende ma che gli Dei comprendono, il Pagano cercava ciò che ormai era risultato chiaro che la ragione da sola non poteva dare e che i Cristiani indicavano nella Grazia e nei sacramenti, ma su ben diversi fondamenti e con ben diverse garanzie 23 •
4. I canoni dell'interpretazione dei testi dei classici
Il Praechter 24 ha rilevato che fu un grande merito di Giamblico quello di introdurre dei canoni e delle regole per l'interpretazione dei testi classici e in particolare dei dialoghi 23 Alla teurgia Giamblico, naturalmente, dovette, almeno in parte, collegare la sua etica. Infatti sappiamo che alle classi di virtù distinte da Porfirio egli aggiunse anche le virtù ieratiche o sacerdotali, realizzantisi nell'unione mistica con l'assoluto e le virtù teurgiche, che verosimilmente coincidevano con queste (dr. Olimpiodoro, In Plat. Phaed., p. 114, 22 sgg. Norvin; Marino, Vita di Proclo, 28). Forse anche la sottolineatura della differenza strutturale sussistente fra l'anima e le ipostasi superiori (cfr. nota 16), almeno per quanto concerne l'anima dell'uomo, doveva mettere in risalto la necessità di ricorrere all'ausilio della teurgia. (Ricordiamo, che anche Giamblico concepiva le anime rivest·ite dell'6)(l)fL<X, corpo etereo, destinato a permanere anche dopo la morte, tranne che nelle anime che hanno saputo raggiungere il massimo della purificazione, le quali divengono angeli. Inoltre, per il nostro filosofo la reincarnazione poteva avvenire solo in corpi umani). 24 Cfr. Praechter, Richtung~n ... , pp. 128 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
GIAMBLICO E LA SCUOLA SIRIACA
653
platonici, e i più recenti studi hanno confermato l'esattezza di questa tesi. In primo luogo, secondo Giamblico, un dialogo platonico doveva essere interpretato in funzione di un fine o di uno j·copo unitario. E secondo questo sçopo doveva essere interpretato non solo l'insieme, ma altresl il prologo e le singole parti. In secondo luogo, secondo Giamblico, era possibile leggere un d1alogo platonico a vari livelli. EgLi, in.fatti, concepiva metafisica, la matematica, la fisica e l'etica come strettamente unite fra loro secondo il rapporto di « modello » e di « immagine » o « copia ». Più precisamente: la metafisica era il modello, la matematica l'immagine; a sua volta, la matematica era il modello rispetto alla fisica e questa ne era l'immagine; l'etica era strettamente connessa alla matematica. SwRa base di questo schema era quindi possibile ,interpretare i dialoghi appunto a diverso livello, senza infrangere la regola dello scopo principale, passando dall'immagine al modello, ossia da una esposizione fisica al suo modello matematico e da questo all'ulteriore modello metafisica (oppure anche passando dalle parti al tutto) 25 • Per tutti questi contributi gli ultimi filosofi pagani chiamarono il nostro filosofo con l'epiteto « divino ». All'agonizzante pensiero ellenico egli aveva ridato un po' di vita. In effetti da Giamblico dipendono, in vario modo, tutte le altre scuole neoplatoniche pagane, come vedremo.
5. Teodoro di Asine e altri discepoli di Giamblico
Dopo la morte di Giamblico la sua scuola si dissolse. Sopatro di Apamea, che Eunapio considera come il pen25 Su Giamblioo esegeta si veda il volume di Dalsgaard Larsen, ]amblique ... , passim, che contiene, al momento, l'ultima parola in materia.
www.scribd.com/Baruhk
654
IL NEOPLATONISMO
satore di maggior spicco fra i discepoli di Giamblico, resta per noi poco più che un nome, giacché non ci sono rimaste testimonianze che ci permettano di ricostruirne il pensiero. Egli si trasferl a Costantinopoli, dove ebbe, in un primo tempo, molta influenza alla corte imperiale, ma poi fu giustiziato sotto l'accusa di magia 26 • Di Dessippo ci è pervenuto un commento alle Categorie, che però è scarsamente significativo 27 • Invece, un certo numero di testimonianze (solo di recente raccolte e sistematicamente ordinate) ci è stato tramandato su Teodoro di Asine 28 • Questi ebbe rapporti con Amelio e, for9e tramite Amelio, anche con .il·pensiero di Numenio. Fu discepolo, dapprima, di Porfirio, e, poi, fu alla scuola di Giamblico, nei confronti della cui dottrina, però, mantenne un atteggiamento critico. In particolare, non sembra essersi interessato delle pratiche teurgiche. Ma la sua metafisica dipende senza dubbio dalla riforma di Giamblico. Egli pose un Primo, inesprimibile e indicibile, come « fonte di tutte le cose e causa della bontà ». Dal Primo dedusse una triade che esaurisce il « piano dell'intelligibile », e che egli chiamava l'Uno. Si trattava, dunque, di un Uno triadico, per cosl dire, ovvero di una triade unitaria. I membri di questa triade vennero denominati sfruttando la simbologia dei tre suoni di lv, ossia dell'Uno (che sono lo spirito aspro corrispondente all'h aspirata, la epsilon e la ni), secondo i metodi del neopitagorismo. A questa triade Teodoro fece " Cfr. Eunapio, Vite, v, l, 5; VI, 2, 7; VI, 2, 10 sgg. È stato pubblicato nella grande collana « Commentarla in Aristotdem Graeca », IV, 2, a cura di A. Busse nd 1888. ,. Si veda W. Deuse, Theodoros von Asine, Sammlung der Testimonien und Kommentar, Wiesbaden 1973. Teodoro nacque nell'ultimo trentennio del m secolo e morl «al più tardi intorno al 360 d.C.», dice il Deuse (p. l). Nei suoi anni giovanili poté ancora udire Porfirio e, successivamente, forse solo per breve tempo, Giamblico (il Teodoro di cui parla Eunapio, Vite, v, l, 4-5 [Deuse, Theodoros ... , test. 3], è probabilmente il nostro filosofo). 71
www.scribd.com/Baruhk
655
GIAMBLICO E LA SCUOLA SIRIACA
seguire quella che esaurisce il « piano dell'intellettuale )), caratterizzata dall'essere, dal pensare e dal vivere. Ulteriormente, egli dedusse una triade di Demiurgi, caratterizzata, rispettivamente, dall'ente, dal pensiero. e dalla vita (si noti che, per caratterizzare questa triade, Teodoro usava i sostantivi corrispondenti agli infiniti con cui indicava i membri della precedente triade, evidentemente volendo significare che quelli erano prodotti dall'attività di questi), e divise anche ciascun membro di questa triaàe in altre triadi. Infine, distinse tre ipostasi anche nell'ambito dell'anima 29 • Ecco uno schema, che chiari-sce questa intricata costruzwne. Il Primo Piano dell'intelligibile
Mondo dello Spirito
Piano dell'intellettuale
Essere ( = essere anter. all'ente) Pensare ( = pensare anter. al pensiero) Vivere ( = vivere anter. alla vita)
Piano del Demiurgo
Ente o pensiero sostanziale Pensiero o sostanza intellett. Vita o fonte della vita (ciascuna triade è disti n t a in altrettante triadi)
Piano deli' Anima
29
!
= Uno, diviso in tre triadi, dedotte dai tre suoni di l v (hen =Uno)
!
Anima in sé Anima universale Anima del Tutto
Cfr. Deuse, Theodoros ... , testimonianze 6 e 12 e il relativo commento.
www.scribd.com/Baruhk
656
IL NEOPLATONISMO
Complesse distinzioni Teodoro operò, ulteriormente, a proposito dell'An1ma considerata in sé e nei suoi rapporti col corporeo, introducendo, ancora una volta, considerazioni pitagoreggianti desunte dalle lettere delJa parola psyché e dal corrispondente numero 30 • Il pensiero di Teodoro ha una limitata importanza ed è storicamente interessante soprattutto nella misura in cui, oonsolidando il sistema della dialettica triadica, prepara ulteriormente la strada alla definitiv,a sistemazione di Proclo.
30
Cfr. Deuse, Theodoros ... , pp. 3·11.
www.scribd.com/Baruhk
IV. LA SCUOLA DI PERGAMO
l. Caratteristiche ed esponenti della scuola di Pergamo
Alla morte di Giamblico, Edesio, uno dei suoi discepoli più apprezzati, prese dimora a Pergamo nella Misia e vi fondò una scuola. Dapprima, seguendo un oracolo che avev·a avuto in sogno, si rifugiò nella solitudine della vita agreste in Cappadocia. Ma, sparsasi la notizia, molti lo raggiunsero, desiderosi di udire hl suo imegnamento e lo costrinsero a ritornare alla vita sociale. Egli scelse appunto Pergamo come sede della scuola, la quale divenne ben presto fiorentissima e la fama di Edesio notevolissima 1 • Fra i discepoli di Edesio emersero Massimo, Crisanzio di Sardi, Prisco ed Eusebio di Mindo 2 • A Pergamo venne anche Giuliano, il futuro imperatore, attratto dalla fama di Edes4o. Fra i seguaci di Edesio Giuliano scelse i suoi maestri: Massimo, che gli divenne maestro ad Efeso, e Crisanzio 3 • A questa scuola è legato Eunapio (discepolo di Crisanzio), che ci ha lasciato un'opera sulle vite di questi filosofi 4 •
Cfr. Eunapio, Vite, VI, 4, l sgg. Su questi personaggi siamo informati soprattutto da Eunapio (dr. sotto nota n. 4 ). ' Cfr. Eunapio, Vite, vn, l, 5 sgg. • Delle Vite di Eunapio è stata fatta una recente edizione a cura di G. Giangrande, Eunapii Vitae sophistarum, Roma 1956, che sostituisce la vecchia edizione del Boissonade. Di queste Vite esiste una traduzione italiana, ma molto vecchia, nel vol. IV degli Storici minori volgarizzati ed illustrati, Milano 1831, a cura di S. Blandi. 1
2
www.scribd.com/Baruhk
658
IL NEOPLATONISMO
A Giuliano furono inoltre legati Libanio, il celebre retore, i cui interessi filosofici non furono però in primo piano 5 , e Sallustio, che con l'imperatore collaborò attivamente per la restaurazione del politeismo pagano 6 • Caratteristiche peculiàri di questa scuola sono: l) la forte riduzione della componente meta:6.sico-speculativa, 2) l'altrettanto forte accentuazione della componente religioso-misticoteurgica, portata addirittura al parossismo da alcuni esponenti, soprattutto da MasSiimo 7, 3) il quasi totale dislinteresse per le opere di Platone e Aristotele, o almeno per la lettura sistematica di esse mediante commentari. Eusebio di Mindo, con la sua abilità dialettica e con le sue forti riserve sull'arte teurgica, considerata come insano abuso di certi poteri che derivano dalla materia e con la sua difesa della capacità della ragione, costituisce l'eccezione che conferma la regola 8 • Delle specifiche dottrine della maggior parte degli esponenti di questa scuola siamo assai scarsamente informati. Eunapio si limita a narrare i fatti concernenti la vita di questi :6.loso:6., mentre sul loro pensiero fa solo cenni alquanto fugaci per lo più generici. Di Giuliano e Sallustio ci sono invece pervenute opere, le quali, però, non danno se non una parziale ,idea delle concezioni di questa scuola. Ma vediamo in breve l'orientamento spirituale di questi due personaggi.
e
5 Libanio nacque intorno al 314 e morl nel 393 d.C. Le sue opere pervenuteci sono state pubblicate da R. Forster, Leipzig 1903-1922, in 11 volumi. • Si veda, più avanti, la nota 16. 7 Cfr. Eunapio, Vite, VII, passim. Massimo fu condannato a morte dai Cristiani nel 372 d.C. • Cfr. Eunapio, Vite, VII, 2, 2-13.
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PERGAMO
659
2. Giuliano (l'Apostata)
La figura e l'opera di Flavio Claudio Giuliano 9 appartengono più alla storia politica e religiosa che non alla storia della filosofia. La sua fama è legata soprattutto al disperato tentativo con cui egli, nella sua attività politica (prima in qualità di governatore delle Gallie e poi di imperatore), cercò di far rivivere lo spirito e la religione dell'ellenismo. Si trattò di un tentativo che ebbe la vita effimera di una meteora, la quale si spense appena accesa 10 • In qualsiasi modo si giudichi questo tentativo (che in questa sede non possiamo illustrare), resta in ogni caso evidente che Giuliano, per una serie di ragioni che in parte dipesero dalle circostanze di cui fu vittima, non capl a fondo il cristianesimo e, quindi, le ragioni per cui la storia non poteva non segnarne l'inarrestabile successo. La sua impresa fu, in realtà, una fuga all'indietro nel passato. E se pure può essere vero, come qualcuno pensa, che egli non volle tanto negare il cristianesimo come tale, quanto piuttosto contestare quell'atteggiamento di esolusione della nuova religione nei confronti di tutte le altre, e che mirò ad una religione universale che tutte le abbr-acciasse: ebbene, anche in questo caso, rimane vero quanto abbiamo detto. ·
• Giuliano nacque nel 332 d.C. Ebbe il titolo di Cesare nel 355 (a soli ventiquattro anni), la suprema carica di imperatore nel 361. Mori in battaglia nel 363. L'incontro con Massimo dovette avvenire intorno al 351. Delle edizioni delle opere di Giuliano· daremo conto nel vol. v, pp. 405 sg. In italiano sono stati tradotti da R. Prati, sotto il titolo Degli Dei e degli uomini, Bari 1932, i seguenti scritti: Ad Helios Re, Alla gran Madre degli Dei, Contro i cani ignoranti e Contro il cinico Eracuo; nel volume di A. Rostagni, Giuliano l'Apostata, Torino 1920, sono state tradotte e commentate «operette politiche e satiriche·,., e precisamente: Lettera al filosofo Temistio, Messaggio al Senato e al Popolo di Atene, I Cesari o la festa dei Saturnali, Misopogone o Il nemico della barba, i frammenti del Contro i Cristiani. 10 L'immagine è di G. Negri, L'imperatore Giuliano l'Apostata, Milano 1902', pp. 485 sg., 517 sg.
www.scribd.com/Baruhk
660
IL
NEOPLATON1S~O
Ecco alcune sue affermazioni partiroi.armente !illuminanti: Opportuno mi pare esporre qui a tutti le ragioni per le quali io venni nel convincimento che la settaria dottrina dei Galilei è un'invenzione messa insieme dalla malizia umana. Nulla avendo essa di divino e sfruttando la parte irragionevole dell'anima nostra ch'è proclive al favoloso e al puerile, riusd a far tenere per verità un costrutto di finzioni mostruose 11 • Orbene, proprio lui che accusa il cristianesimo di torbida irrazionalità e di essere un costrutto di finzioni mostruose, si ·abbandonò ad una ammirazione sfrenata della più irrazionale delle correnti del tardo pensiero greco e mostrò oo attaccamento quasi morboso alle pratiche teurgiche. Eunapio ci narra, a proposito, un fatto assai indicativo. Eusebio di Mindo, quando Giuliano era a Pergamo, con~inuava ad insistere sulla superiorità del metodo razionale in filosofia nei confronti delle pratiche teurgiche, tanto che Giuliano lo costrinse a rivelargli le ragioni di quell'insistenza. Eusebio g1i manifestò allora chiaramente il proprio pensiero. Egli intendeva mettere in guardia Giuliano dalle arti magiche di Massimo, il quale disprezzava le dimostrazioni razionali per praticare la teurgia e la magia, e narrò alcune eccezionali opere di magia di Massimo, come quella dell'aver fatto sorridere la statua della Dea Ecate e l'aver fatto accendere le fiaccole che essa teneva fra le mani diluce sfolgorante. Eusebio cosl concluse: Ma tu non ti devi meravigliare di questo, come non me ne meraviglio io, e considera invece una gran cosa la purificazione che si ottiene mediante la ragione 12 • Al che Giuliano rispose senza esitazione: Ti saluto, tu attaccati ai tuoi libri: mi hai rivelato colui che cercavo 13 • 11 12 13
Giuliano, Contro i Cristiani, fr. l (traduzione di A. Rostagni). Eunapio, Vite, VII, 2, 11. Eunapio, Vite, VII, 2, 12.
www.scribd.com/Baruhk
LA SCUOLA DI PERGAJdO
661
Giuliano non cercava, dunque, illogos, ma le torbide arti teurgiche, di cui Massimo era espertissimo. In una lettera a Prisco, inoltre, egli stesso scrive: Cercami tutti i libri di Giamblico intorno al mio omonimo [Giuliano il Teurgo]. Solo tu lo puoi [ ... ] . lo ho una folle passione per Giamblico in filosofia e per il mio omonimo in teosofia, e giudico gli altri niente [ ... ] , a confronto di questi 14 • È da notare che la dottrina neoplatonica vera e propria
non oostituisce se non 11 quadro generale in cui si collocano l'allegoresi cosl come la teurgia. I due più celebri discorsi di Giuliano, Ad Helios Re e Alla gran Madre degli Dei, sono una eccellente esemplificamone della esilità speculativa del pensiero dell'imperatore 15 •
3. Sallustio
Il trattato di Sallustio 16 Degli Dei e del mondo rientra molto probabilmente nel quadro della politica di restaurazione del politeismo pagano promossa da Giuliano ed è una specie di manifesto della fede ·politeistica o un catechismo deglti articoli essenziali di essa, come è stato da tempo notato. Lo scritto è di una chiarezza e lucidità veramente ecce,. Giuliano, Epistole, 12 {I, 2, p. 19, 2-4 Bidez). Per ulteriori approfondimenti si veda R. E. Witt, lamb/ichus as a Forerunner of Julian, nel già citato {cfr. p. 624, nota 3) volume miscellaneo De Jamb/ique à Proc/us, pp. 35-67. 16 Sulla base dei più recenti studi sembra che questo Sallustio sia da identificate con Saturnino Sallustio Secondo, elevato da Giuliano, nel 361 d.C., alla carica di prefetto d'Oriente {e a cui fu dedicato, tra l'altro, il disoorso Ad He/ios Re). Si veda l'eccellente introduzione di G. Rochefort alla sua edizione del trattato, oon traduzione francese a fronte: Saloustios, Des Dieux et du monde, Paris 1960, pp. IX-XXI. Sulla base di una serie di elementi plausibili, questo studioso fissa la data della oomposizione del trattato fra il marzo e il giugno del 362 d.C. {ivi, pp. XXI-xxv). 15
www.scribd.com/Baruhk
662
IL
NEOPLATONIS~O
zionali e costituisce uno sforzo piuttosto cospicuo di purificare le credenze pagane in modo da renderle competitive nei confronti della religione cristiana. La maggior parte delle idee esposte nel breve trattato non sono originali. In alcuni punti, tuttavia, l'autore, nello sforzo di competere con la concezione cristiana, sostiene alcune tesi non consuete. Cosi, ad esempio, egli afferma che la Provvidenza esiste per i popoli, per le città « e anche pet ciascun uomo singolo» 17 • Molto fine è, inoltre, l'interpretazione dell'origine del male. Nel mondo, dice Sallustio, nulla è male per sua natura, ma solo diviene male per le azioni degli uomini, anzi di alcuni uomini. Inoltre, il male non è commesso dagli uomini per sé, ma perché si presenta falsamente sotto l'apparenza di un bene. I mali nascono sempre e solo a causa di una falsa valutazione dei beni, e l'anima può essere vittima di questa falsa valutazione «perché non è una realtà prima », ossia, diremmo noi, per la sua finitudine 18 • La conoscenza dell'esistenza degli Dei, per Sallustio come per tutti i Neoplatonici, è naturale. L'ateismo è allora spiegabile solo come una specie di « castigo ». Si può pensare, infatti, che coloro i quali hanno conosciuto, ma disprezzato gli Dei, in una successiva reincarnazione siano puniti appunto con la privazione della conoscenza degli Dei medesimi, quGsi banditi lontano da loro. I Demoni, dice Sallustio, non sono i soli a punire le anime, ma è anche l'anima stessa che «dà a se medesima il rproprio castigo » 19 • Sono questi i limitati orizzonti in cui si muove il neoplatonismo della scuola di Pergamo. A ben altro livello il messaggio di Giamblico, come ora vedremo, viene portato nella scuola di Atene. Sallustio, Degli Dei e del mondo, IX, 7. Sallustio, Degli Dei e del mondo, xn, 5. " Sallustio, Degli Dei e del mondo, XIX, l. 17 11
www.scribd.com/Baruhk
V. PROCLO E LA SCUOLA DI ATENE
l. Origini della scuola di Atene
Abbiamo sopra esaminato le vicende che portarono alla chiusura dell'Accademia all'epoca della conquista di Atene da parte di Silla (86 a.C.) e all'esaurimento dell'eredità spirituale della gloriosa scuola con Antioco di Ascalona 1• Alla fine dell'era pagana e agli inizi dell'era cristiana il centro da cui partirono le idee filosofiche più significative, come sappiamo, era stato Alessandria, dove erano nati il pitagorismo nella sua nuova forma, il medioplatonismo, la « filosofia mosaica » di Filone Ebreo e il neoplatonismo. Certamente, in Atene, anche dopo la fine della gloriosa istituzione fondata dallo stesso Platone, sia pure in modo alquanto discontinuo, si ebbero reviviscenze del platonismo ad opera di maestri che ·raccolsero attorno a sé un certo numero di allievi. Ricordiamo Ammonio l'Egiziano, maestro di Plutarco di Cheronea, e Calvisio Tauro, maestro di Aulo Gellio, i quali dovettero però impartire il loro insegnamento in forma privata e non sotto l'egida di una vera e propria istituzione 2 • Nel m secolo d.C. abbiamo notizia di due « diadochi» platonici, Teodoto ed Eubulo 3 • Ma costoro, verosimilmente, non ebbero più che una « cattedra » di filosofia platonica pubblicamente finanziata. ' Cfr., sopra, pp. 309 sgg. Cfr., sopra, pp. 321 sg. e le relative note, 3 Cfr. Porfirio, Vita di Plotino, 20. 2
www.scribd.com/Baruhk
664
IL NEOPLATONISMO
Probabilmente solo tra la fine del IV e l'inizio del v secolo d.C. rinacque in Atene una scuola platonica sistematicamente organizzata, con risorse e fondi propr.i e con una regolare successione di capiscuola 4 , che continuò, per oltre un secolo, fino al 529, anno in cui l'imperatore Giustiniano proibl ai Pagani l'insegnamento pubblico. Con questa nuova scuola il neoplatonismo pagano produsse i suoi ultimi frutti, e poi rimase definitivamente sopraffatto dal pensiero cristiano, che nel frattempo si era costituito, si era consolidato e si era diffuso in Oriente e in Occidente. Nella città in cui aveva raggiunto i suoi massimi splendori la filosofia antica fece dunque ritorno per vivere la sua ultima significativa stagione e per morire. Le ragioni di questo ritorno ad Atene dell'ultima filosofia pagana sono state da tempo ben individuate 5 • A Costantinopoli il cristianesimo dominava ormai incontrastato. Ad Alessandria la « scuola catechetica » aveva ormai fornito basi speculative al messaggio cristiano e costituiva il più consistente polo d'attrazione. Nel mondo latino, poi, la filosofia greca non aveva ormai alcuna possibilità di essere riproposta e rilanciata. Invece, come il Vacherot già a suo tempo notava, « in Grecia, e soprattutto ad Atene, la nuova religione, penetrando negli animi, non aveva distolto gli spiriti dal culto dell'antichità: Cristiani e Pagani si univano in una comune ammirazione dell'arte e della scienza greca » 6 • Anche le vicende politiche connesse alla reazione pagana promossa dall'imperatore Giuliano e le successive rappresaglie cristiane dopo la morte di Giuliano, in Atene produssero effetti moderati. Insomma, la Grecia (e specialmente Atene) «anche diventata cristiana era rimasta il santuario delle Muse; l'amore dell'antichità poi ravvicinava gli spiriti [ ... ] . La nuova reli• Cfr. Lynch, Aristotle's School, pp. 184 sgg. ' Cfr. Vacherot, Histoire critique ... , II, pp. 192 sgg. • Vacherot, Histoire critique ... , II, p. 193.
www.scribd.com/Baruhk
PROCLO E LA SCUOLA DI ATENE
665
gione, sovrana assoluta in Oriente, si accontentava per il momento di aver distrutto le scuole della filosofia e del politeismo al centro dell'impero, e lasciava provvisoriamente sussistere la scuola di Atene nel suo isolamento e nella sua impotenza » 7 • I filosofi della scuola di Atene sono, però, dei veri e propri « sopravvissuti ». Una data è particolarmente significativa al riguardo. Nel 430 d.C. moriva Sant'Agostino. Proprio intorno a quell'epoca Proclo, l'uomo che doveva dare maggiore consistenza alla scuola, giungeva in Atene, dove incontrava i fondatori: P.lutarco figlio di Nestorio, ormai vecchio, e il suo discepolo ed amico Sidano, e con loro si accingeva ad attuare l'u:ltimo disperato tentativo di far rivivere un mondo che apparteneva ormai al passato.
2. I predecessori d i Pro cl o: P l uta r c o d i A t e n e, Siriano e Domnino
L'iniziatore della scuola neoplatonica di Atene fu Plutarco figlio di Nestorio, come abbiamo già accennato 8 • Non sappiamo quali siano stati i suoi maestri, né conosciamo con esattezza le sue dottrine. Dalle testimonianze pervenuteci, tuttavia, è possibile ricavare quali fossero le direzioni generali dei suoi interessi spirituali e della sua problematica, che sostanzialmente coincidono con le linee di forza secondo cui si muoverà poi tutta la scuola. Nelle sue lezioni, i testi che costituivano i punti di riferimento erano quelli di Aristotele e quelli di Platone. Ad alcuni ' Vacherot, Histoire critique ... , p. 194. • Da quanto Marino dice nella Vita di Proclo, 12, si ricava che Plutarco morl. nel 431/432 d.C., quando Proclo aveva ventidue anni. Sugli inizi della ·scuola di Atene dr. ~- ~vrard, Le maitre de Plutarque d'Athènes et les origines du néoplatonisme athénien, in « L'Antiquité Classique », 29 (1960), pp. 108-133; 391-406.
www.scribd.com/Baruhk
666
IL NEOPLATONISMO
di questi testi egli dedicò specifici commentari. La filosofia di Aristotele fu interpretata da Plutarco come propedeutica a quella di Platone, come una sorta di « iniziazione preparatoria ai piccoli misteri »,ossia come una condizione per essere. inilliato ai superiori misteri di Platone 9 • La problematica che Plutarco sembra avere approfondito con maggior successo fu quella psicologica 10 • Egli coltivò, inoltre, con geloso attaccamento, l'arte teurgica, che, probabilmente, considerò come un coronamento della filosofia 11 • Anche su Siriano, che successe a Plutarco, siamo male informati. Di lui ci è giunto un commentario ad alcuni libri della Metafisica di Aristotele e alcune testimonianze, che ci permettono di farci solo un'idea molto approssimativa del suo pensiero 12 • Nel commento alla Metafisica egli consolida quell'interpretazione, nata probabilmente con Plutarco, la quale vede nella filosofia dello Stagirita una concezione della realtà che si colloca su un piano differente da quella platonica. La conciliazione dei due filosofi non può; quindi, risolversi in un accomodamento eclettico del loro pensiero, ma, appunto, con la distinzione e la individuazione dei diversi piani su cui essi si muovono. Cosi, per Si11iano, le critiche di Aristotele a Platone non colgono nel segno, perché, appunto, non si elevano a quel livello su cui si muove Platone. La distin• Cfr. Marino, Vita di Proclo, 13. Sul tema dr. H. J. Blumenthal, Plutarch's Exposition of the De anima and the Psychology of Proclus, nel già citato volume miscellaneo (dr., sopra, p. 624, oota 3) De ]amblique à Proclus, pp. 123-147. " Egli aveva ricevuto dal padre Nestorio i segreti di quest'arte e li aveva tramandati solo alla figlia, che successivamente li rivelò a Proclo (Marino, Vita di Proclo, 28). 12 Siriano visse a cavaliere fra il IV e il v secolo d.C. Proveniva da Alessandria~ Il suo commentario ad alcuni libri della Metafisica aristotelica è stato edito nella collana « Commentaria in Aristotelem Graeca ,., VI, l, da W. Kroll nel 1902. 10
www.scribd.com/Baruhk
PROCLO E LA SCUOLA DI ATENE
667
zione di questi livelli spiega anche come lo Stagirita possa ·costituire la prima iniziazione, utile per salire all'ulteriore livello platonico (che, per il nostro filosofo, è anche quello dei Pitagorici). Al superiore livello, secondo Siriano, si collocano altresì i poemi di Omero (intesi, naturalmente, in chiave allegorica), i carmi di Orfeo e gli Oracoli, che, come abbiamo più volte già detto, costituiscono veri e propri « testi sacri » dell'ultimo paganesimo. Il progetto accarezzato da Siriano di commentare per Proclo e Domnino i poemi orfici e gli Oracoli, a causa della sua morte non fu realizzato 13 • Proclo dice di attenersi in tutto al maestro, il che lascerebbe credere che Siriano abbia anticipato molte delle idee che troviamo nel discepolo. Ma a questa affermazione non è possibile dare se non un significato molto lato, dato che, come sappiamo, i Neoplatonici credevano di trovare tutte le loro dottrine addirittura già in Platone. È probabile, in ogni caso, che Siriano avesse individuato, almeno in parte, la legge della processione (cui Proclo, come vedremo, dà il massimo rilievo), consistente nel rapporto triadico di permanenzaprocessione-ritorno. Ci è attestato, infatti, che Siriano l'applicava allo svolgimento dell'anima 14 • Se a Siriano Slia succeduto, per un certo tempo, Domnino, prima di Proclo, non è del tutto chiaro. In ogni caso, Domnino fu un uomo colto e uno scienziato più che un metafisica, come dimostrano i suoi due scritti che ci sono pervenuti 15 •
•• Cfr. Marino, Vita di Proclo, 26. •• Cfr. Proclo, In Plat. Tim., n, p. 218, 20 sgg. Diehl. 15 Uno di questi scritti reca il titolo Manuale di introduzione aritmetica ed è stato pubblicato da J. F. Boissonade, Anecdota Graeca, IV, pp. 413429 (Paris 1832; r>iproduzione anastatica, Hildesheim 1962). L'altro reca il titolo Come si possa dedurre discorso da discorso ed è stato pubblicato da C. E. Ruelle, in « Revue de Philologie », 7 (1883), pp. 82-94, con traduzione francese.
www.scribd.com/Baruhk
668
IL NEOPLATONISM(l
3. Proclo e la sua sintesi filosofico-religiosa
Proclo costituisce il maggiore dei Neoplatonici postplotiniani 16 , e alcune sue pagine (soprattutto la sintesi degli Elementi di teologia) rivelano in lui la presenza di un ingegno " PrQClo nacque a Costantinopoli da genitori che provenivano dalla Licia. Dalle indicazioni che fornisce Marino e dall'oroscopo del nostro filosofo che Marino stesso ci ha conservato (cfr. Vita di Proclo, 35 sgg.) si ricaverebbe che Proclo nacque 1'8 febbraio del 412 e mori il 17 aprile del 485 d.C. Senonché Marino (Vita di Proclo, 3; 26) dice anche che Proclo morl a 75 anni, sicché i conti non torn-ano esattamente. ~. ~vrard, che ha di recente riesaminato il problema (La date de la naissance de Proclus le néoplatonicien, in« L'Anciquité Classique » 29 [1960], pp. 137-141), giunge alla conclusione che la data di morte è da ritenersi oerta, mentre la data di nascita può essere sia il 409/410 sia -il 411/412 d.C. (A favore del 410 come data di n-ascita si sono pronunciati studiosi come lo Zeller, il Freudenthal, il Praechter). Dopo un periodo di studi trascorso ad Alessandria, Proclo, non ancora ven· tenne, passò ad Atene, dove rimase tutta la vita (solo per un periodo di circa un anno egli dovette lasciare la città, probabilmente per motivi politici). Scrisse numerose opere (R. Beutler ha ricostruito un catalogo ragionato di 50 titoli: si veda la voce Proklos nella Realenzyclopiidie der classischen Altertumswissenschaft, Pauly-Wissowa-Kroll, XXIII, coli. 190-208), molte delle quali (una ventina ciN:a) ci sono pervenute. Riservandoci di fornire indicazioni più ampie in sede di bibliografia, ricordiamo qui gli scritti che riguardano la filosofia. Le due opere teoretiche più significative sono: la Elementatio theologica (ed. E. R. Dodds, Oxford 1933 e 19632 ) e In Platonis theologiam (ed. Portus, Hamburg 1618; nuova ediz. iniziata da H. D. Saffrey e L. G. Westerink, Paris 1969 sgg.). Di minore importanza è invece la Elementatio physica (ed. H. Boese, Berlin 1958). I commentari ai dialoghi platonici conservatici sono i seguenti: In Alcibiadem (ed. L. G. Westerink, Amsterdam 1954), In Cratylum (ed. G. Pasquali, Leipzig 1908), In Parmenidem (ed. V. Cousin, Paris 1864; rist. anast. Hildesheim 1961), In Rem Publicam (ed. W. Kroll, Leipzig 1899-1901), In Timaeum (ed. E. Diehl, Leipzig 1903-1906). Fra i commentari ricordiamo anche In primum Euclidis elementorum librum commentarii (ed. G. Friedlein, Leipzig 1873). In traduzione latina ci sono pervenuti i seguenti opuscoli: De decem dubitationibus circa providentiam, De providentia et fato, De malorum subsistentia (ed. H. Boese, Berlin 1960). Ricordiamo, infine, le Eclogae de philosophia Chalda'ica (ed. A. Jahn, Halle 1891) e gli Hymni (ed. E. Vogt, Wiesbaden 1957). In lingua italiana sono stati tradotti la Teologia platonica, da E. Turolla, Laterza, Bari 1957; i Manuali e i testi magico-teurgici da C. Faraggiana, con nostra monografia introduttiva: L'estremo messaggio spirituale del mondo antico nel pensiero metafisico e teurgico di Proclo, Rusconi, Milano 1985. Si vedano le ulteriori notizie che diamo nel vol. v, s.v. Proclo
www.scribd.com/Baruhk
PROCLO E LA SCUOLA DI ATENE
669
speculativo di prim'ordine. Ma, a proposito di Proclo, si può veramente dire che, come la nottola di Minerva, il suo ingegno si mosse quando si era fatta sera e ormai scendeva la notte. La sintesi procliana, infatti, intende abbracciare in modo sistematico tutta la vita spirituale della grecità, sussumerne tutti gli aspetti e fornire di essi una precisa giustificazione: dalla filosofia, alla poesia, alla religione popolare, ai misteri, ai miti e, in genere, a tutte le credenze che avevano costituito la fede degli Elleni quale si era venuta a configurare nell'età imperiale. In tutte queste componenti egli trova una sicura rivelazione della verità. In effetti, il nostro pensatore è convinto che alla Verità e a Dio non porti solo a) la filosofia mediante la ragione (intesa nel senso più lato), ma anche b) il mito attraverso la fantasia e c) la fede attraverso una immediata e trascendente unione con l'Assoluto. a) In quale modo la ragion filosofica porti all'Assoluto ce lo dice l'intera sua filosofia, che sotto esporremo in sintesi. b) Per quanto concerne il mito, Proclo rileva quanto segue. L'anima, oltre che di ragione, è dotata di fantasia. Per conseguenza, anche il mito, che è appunto una figurazione fantastica, può presentare all'anima la verità sotto questa forma. Infatti, la natura stessa rappresenta sotto forma di immagini o copie sensibili il modello soprasensibile, neHo scorrere del tempo l'eternità, nel molteplice ·l'uno. E cosl anche il mito rimanda con la rappresentazione sensibile al soprasensibile; con le sue apparenti contraddizioni spinge a ciò che trascende la ragione e provoca un urto, che, per chi lo sa intendere, porta alla Verità 17 • c) Per quanto concerne l:a fede, poi, Proclo rileva espressamente che essa costituisce come l'arcana, trascendente, ineffabile unione con l'Assoluto: quell'unione che lega non solo l'uomo all'Assoluto, ma tutti gli Dei fr·a loro e con l'Assoluto: 17
Cfr. Proclo, In Plat. Remp., n, p. 107, 14 sgg. Kroll.
www.scribd.com/Baruhk
670
IL NEOPLATONISMO
Che cosa dunque ci unirà a questo bene? Che cosa potrà farci intermettere dall'azione e dal movimento che a Lui ci adduce? Cosl pure che cosa congiunge le cose divine tutte quante alla primiera e ineffabile unità del Buono? E come mai il Buono mettendo in ferma dimora ciascuna cosa, nel rapporto cioè di bene (quel Buono è prima di ciascuna cosa), reciprocamente in se stesso colloca le cose a lui suscettive nel suo rapporto di causa? A dir insomma tutto, è la fede degli Iddii quella che unisce, in modo ineffabile, al bene i generi degli Iddii tutti quanti e dei dèmoni e, delle anime, quelle felici. Conviene infatti far ricerca del Buono, non per via di conoscenza, non per via incompleta, ma, coll'aiuto della luce divina, dopo aver contemplato se stessi e aver chiuso gli occhi, in tal maniera collocarsi nell'inconoscibile e arcano principio unitario degli enti. Il quale tipo di fede è più antico di quello che si esplica in un'attività di conoscenza; e ciò non soltanto presso noi, ma presso gli Iddii stessi. E in questo modo gli Iddii hanno avuto unità: attorno ad unico centro, ·in modo conforme all'Uno, essi raccolgono le potenze tutte quante e, di queste, i processi progredienti. E se si deve i singoli concetti definire e distinguere, non bisogna pensare che questa fede abbia qualsiasi identità con l'errore ch'è in rapporto con le cose sensibili. In realtà quest'errore è inferiore alla scienza e quindi tanto di più alla verità stessa degli enti. Invece ·la fede degli Iddii trascende ogni forma .di conoscenza e congiunge i secondi coi primi per mezzo d'una eccelsa unione. E non si deve pensare che ·la fede di cui ora trattiamo, sia conforme a quella delle cosl dette nozioni comuni. Infatti alle comuni nozioni noi prestiamo fede prima d'ogni atto razionale. Ma, pur di esse, la conoscenza ha carattere diviso e parziale e non ha identità alcuna con la divina unione; scienza a ciò relativa che, .non solo alla scienza è inferiore, ma anche alla noetica semplicità. La mente infatti si pone al di là d'ogni scienza, sia la prima e sia anche quella successiva. Non dobbiamo dunque dire che un'attività secondo la mente sia simile a tale fede. Si tratta pur sempre d'un'attività multiforme e, per via d'alterità, separata da ciò che vien dalla mente concepito. E insomma si tratta pur sempre d'un movimento intelligente intorno agli intelligibili, mentre invece la divina fede deve essere uniforme, immobile e quieta; all'approdo essa s'arresta completamente, l'approdo nel porto del bene 18 •
" Proclo, Teologia platonica,
I,
26 (traduzione di E. Turolla).
www.scribd.com/Baruhk
671
PROCW E LA SCUOLA DI ATENE
La fede coincide, dunque, per Proda, con la stessa potenza teurgica, che è sapienza superiore ad ogni umana sapienza, è una sorta di unione metarazionale col Divino, come sappiamo. Si comprende pertanto come, sulla base di queste preme9se, l'attività del nostro filosofo si Sli.a svolta secondo questa triplice direzione: a) lettura e commento dei filosofi, in particolare di Platone; b) commento dei poeti (da Esiodo a Omero ad Orfeo) e in genere della teologia greca e non greca; c) pratica della teurgia. Si tratta, come ben si vede, dello stesso programma inaugurato da Giamblico, e che Prodo ha saputo perfettamente realizzare.
4. L a struttura d e Il' i n c or por e o, sistema procliano delle ipostasi
ovvero
il
PrimQ di toccare i punti più originali del sistema di Proda, diamo un rapido sguardo d'insieme a quella che, secondo il nostro filosofo, è la struttura dell'incorporeo. Abbiamo visto come il sistema di divisione triadica, tendente a distinguere e a moltiplicare le ipostasi plotiniane, si fosse ormai consolidato, da Amelio a Porfirio a Giamblico a Teodoro di Asine. Prodo porta questa tendenza alle sue estreme conseguenze, addirittura al limite del parossismo. Intanto, egli è convinto, come già Giamblico, che fra il Principio supremo e le -ipostasi del mondo intelligibile occorra un intermediario, che, mentre per Giamblico era un secondo Uno, per Proda diventa una serie di Enadi, che coincidono con gli Dei supremi. Ecco un eloquente testo in cui Proclo riassume la sua concezione dell'Uno e, in parte, delle Enadi: Si tratta ora di riprendere un'altra volta l'arcana dottrina dell'Uno, affinché, procedendo nel cammino, dal primo principio, possiamo far ricordo di secondi e di terzi principi delle cose tutte. A tutti dunque gli enti e agli Iddii stessi che hanno dato origine
www.scribd.com/Baruhk
672
IL NEOPLATONISMO
agli enti, preesiste causa unica, separata e impartecipabile. Causa ineffabile per qualsiasi ragionamento, inconoscibile per ogni atto conoscitivo, incomprensibile. Essa produce da se stessa ogni cosa; ha prelazione d'esistenza in modo ineffabile; tutte le cose rivolge come a vie di ritorno a se stessa:. termine ottimo e perfetto di tutto. Questa causa, Socrate nella Politeia chiama il Buono; ed è causa che veramente trascende, separata da tutte le altre cause; causa che tutte le monadi divine, tutti i generi-' degli enti e le processioni, tutto imprime col sigillo dell'Uno. Essa, in modo non dissimile dal sole, tiene ascosa la mirabile sua trascendenza e la sua inconoscibilità, in rapporto alle cose conoscibili tutte quante. Il Parmenide lo chiama Uno. E dimostra, attraverso a negazioni, la trascendente sussistenza e ineffabile di quest'Uno che è universale causa. E l'argomentazione, esprimendosi poi attraverso a espressioni nascoste ed enigmatiche, nella Lettera a Dionigi, indugia a parlare sulla causa universale di tutte le cose belle. Socrate poi nel Pilebo si riferisce a quella, come fondatrice universale, perché causa di ogni divinità. Gli Iddii tutti, per mezzo di questo Iddio primo, hanno l'esistenza. Tanto dunque se convenga chiamarla fonte di· ogni Divinità; quanto chiamarla regno degli enti; come pure Enade di tutte le Enadi; anche, bontà generatrice della verità; anche, sussistenza trascendente di tutte le cose; anche, superiore e al di là di tutte le cause paterne e generatrici; questa deve essere venerata da noi nel silenzio e in quell'unione che precede il silenzio; far poi voti ch'ella possa illuminare la parte del mistico fine addicentesi alle anime nostre 19 • A ben vedere, la dottrina delle Enadi che stanno fra l'Uno e il primo piano dell'intelligibile (che è l'Essere), come da tempo è stato notato, poteva essere ricavata dallo stesso Platino, e in particolare dalla sua dottrina dei numeri, che sopra abbiamo esaminato. Si ricorderà, infatti, che, per Platino, il numero « preesisteva agli esseri » e « non era gli esseri». Platino diceva altresì che l'« Essere è numero contratto nell'unità », mentre gli esseri sono « numero sviluppato » 20 • Si spiega, dunque, come, sulla base di questi precedenti e 19 Proclo, Teologia platonica, III, 7. "' Cfr. Plotino, Enneadi, VI, 6, 9. Cfr. anche, sopm, p. 648, nota 17.
www.scribd.com/Baruhk
PROCLO E LA SCUOLA DI ATENE
673
delle ulteriori riflessioni di Giamblico, applicando la dialettica ipostatica, Proclo non avesse molta strada da percorrere per giungere alle sue« Enadi »,le quali non sono li primi enti, ma sono al di sopra dell'essere, e hanno piuttosto caratteri analoghi all'Uno: mentre questo è, ·appunto, Uno, esse sono « Unità », mentre l'Uno è Bene, esse sono « Bontà ». Come l'Uno, esse sono al di sopra dell'intelligibile, e, dunque, non sono solo, come s'è già detto, al di sopra dell'Essere, ma altresì al di sopra della Vita e del Pensiero. Queste EnadiDei sono pertanto superessenziali, supervitali e superintellettuali 21 • Mai, prima di Frocio, il politeismo aveva innalzato i propri Dei (alcuni dei propri Dei) a questo Livello. Alle Enadi fanno seguito le ipostasi del mondo dello Spirito, che Frocio suddivide come segue. Innanzi tutto, egli distingue tre grandi sfere del mondo spirituale: l) quella dell'intelligibile; 2) quella dell'intelligibile-intellettuale; 3) quella dell'intellettuale. Queste corrispondono, in fondo, alle tre note caratteristiche con cui Platino aveva cercato di definire lo Spirito, vale a dire l'Essere, la Vita e il Pensiero. Ma, mentre in Plotino erano distinzioni concettuali e definitorie della stessa ipostasi, in Frocio sono, invece, altrettante ipostasi. Forse già Giamblico era giunto a questa tripartizione, come abbiamo visto. È però certo che solo con Frocio essa raggiunge il suo pieno sviluppo. Leggiamo, a questo riguardo, un testo molto chiaro: A capo di tutte le cose cbe f~tlrft·npJno dell'intelletto c'è l'Intelletto impartecipabile: a capo di lt:ltt• le cose che partecipano della vita c'è la Vita; a capo delle cose che partecipano dell'essere c'è l'Essere; di questi stessi. poi. l'Essere viene prima della \'ita, la Vita viene prima dell'Intelletto . . Poiché in ogni ordine Ji cose prima dei partecipanti ci sono gli impartecipabili bisogna che prima di ciò che è dotato di intelletto ci sia l'Intelletto, prima di ciò che è vivente la Vita, e prima delle cose che sono l'Essere. Poiché inoltre la causa originaria di un numero maggiore di de2'
Cfr. Proclo, Elementi di teologia, 115.
www.scribd.com/Baruhk
674
IL NEOPLATONISMO
rivati è anteriore alla causa ongmaria di un numero minore di derivati fra le cause sopra citate l'Essere occuperà il primo posto: infatti è presente in tutte le cose dotate di vita e di intelletto (poiché ogni cosa che vive e che partecipa dell'attività intellettiva necessariamente esiste), mentre non vale l'inverso (infatti non tutti gli esseri vivono e pensano). Al secondo posto c'è la Vita, poiché tutti gli esseri che partecipano dell'intelletto partecipano anche della vita, mentre non vale l'inverso: infatti molti esseri vivono e rimangono pur tuttavia privi di attività conoscitiva. Come terzo c'è l'Intelletto, poiché tutto ciò che in qualsiasi misura è in grado di conoscere vive ed esiste. Se dunque l'Essere è causa di più derivati, di meno derivati la Vita, di ancor meno l'Intelletto, per primo c'è l'Essere, poi la Vita, poi l'Intelletto 22 •
Poiché tutto è in tutto, le ipostasi sono fra loro legate: Tutto è in tutto, ma in ciascuna cosa nel modo che a quella è proprio; infatti nell'essere ci sono vita e intelletto, nella vita
l'essere e il pensare, nell'intelletto l'essere e il vivere, ma tutte le cose in un caso sono a livello dell'intelletto, nell'altro a livello della vita, nell'altro a livello dell'essere 23 •
Ma, daccapo, le prime due ipostasi del mondo dello Spirito vengono da Proclo distinte in ulteriori triadi, e poi ancora in altre triadi. Nella terza ipostasi, invece, emergono suddivisioni in ebdomadi 24 • È impossibile, in questa sede, seguire il nostro filosofo nei meandri delle deduzioni di tutte queste triadi ed ebdomadi, ridisegnare la complessa trama di rapporti che le lega, e mostrare, secondo il neoplatonico assioma del tutto in tutto, il molteplice gioco del reciproco rispecchiarsi delle varie ipostasi e dei loro m·omenti. D'altro canto, è da notare che l'interesse non .sta tanto nei risultati, quanto nell'abilità dialettica con cui Proclo li raggiunge. Ma questa abilità, per essere adeguatamente -illustrata, richiederebbe un contesto monografico e ampie analisi. Proclo, Elementi di teologia, 101 (traduzione di C. Faraggiana). Proclo, Elementi di teologia, 103. " Cfr. Proclo, Teologia platonica, v, 2. 22
23
www.scribd.com/Baruhk
675
PROCLO E LA SCUOLA DI ATENE
Naturalmente, queste ipostasi sono Dei, come già le Enadi; anzi, alcune di queste Proda non esita a qualificarle con i nomi delle tradizionali divinità greche 25 • Anche la sfera dell'anima viene concepita come pluralità di ipostasi e viene distinta in: anime divine, anime demo-niache, anime « parziali ». All'interno di queste distinzioni Proclo opera ancora ulteriori distinzioni. In particolare, nell'ambito delle anime divine, egli distingue triadi di Dei psichici, con diverse funzioni e qualifiche, e individua in alcuni di questi gli Dei dell'Olimpo. Il nostro filosofo divide, poi, i Demoni in tre classi: Angeli, Demoni in senso specifico ed Eroi. Le anime « parziali » sono quelle che « ammettono cangiamento daJl'mtdligenza all'insensatezza »; a questo gruppo appartengono le anime umane 26 • Il seguente prospetto potrà giovare a ridare in sintesi lo schema delle principali distinzioni procliane del mondo delI'incorporeo: Uno
(= fonte
E nadi
( = Dei supremi)
di tutte le Divinità)
l. Triadi intelligibili, disdllite lin ulteriori
tre triadi e corrispondenti agli Dei 'intelligibili
Spirito
2. Triadi intelligibili-intellettuali, distinte in ulteriori tre triadi e corrispondenti agli Dei intelli·gibiliin tellettuali
3. Triadi intellettuali, distinte in ebdomadi intellettuali e corrispondenti agli Dei intellettuali 25
26
Cfr. Proclo, Teologia platonica, v, 3 sgg. Cfr. Proclo, Teologia platonica, VI, passim; Elementi di teologia, 184;
etc.
www.scribd.com/Baruhk
676
IL
NEOPLATON1S~O
l. Anime divine (=Dei psichici), distinte secondo
Anima
un complesso sistema gerarchico, fra le quali trovano posto gli Dei dell'Olimpo
l
Angeli 2. Anime demoniache Demoni Eroi 3. Anime parziali
5. Le leggi che governano la processione della realtà dall'Uno secondo Proclo
La grandezza di Proclo non sta tanto nel perfezionamento di questo disegno, in parte già tracdato dai predecessori, quanto nell'approfondimento delle leggi che governano la processione della realtà, ossia proprio nell'approfondimento di quel punto che, come abbiamo veduto, segnava il guadagno essen2iale del neoplatonismo. In primo luogo, è da segnalare la perfetta determinazione raggiunta da Proclo della legge generale che governa la generazione di tutte le cose intesa come un processo circolare costituito da tre momenti: l) la « manenza » ( fLOV~ ), ossia il rimanere o permanere in sé del principio; 2) la «processione» (np6o~oc;) o l'uscire dal principio; 3) il « ritorno » o la « conversione » ( bLa-rporp~ ), ossia il ricongiungersi al principio. Abbiamo visto che Plotino aveva già individuato questi tre momenti e che essi giocano nel suo sistema un ruolo assai più complesso di quanto comunemente non si creda. Tuttavia, Proclo va oltre Plotino, portando questa legge triadica ad un eccezionale livello di raffinatezza speoulativa. La legge vale non solo in generale, ma anche in particolare: essa, infatti,
www.scribd.com/Baruhk
PltOCLO E LA SCUOLA DI ATENE
677
esprime il ritmo stesso della realtà nella sua totalità cos'i come in tutti i suoi momenti singoli. L'Uno, cosi come ogni altra realtà che produce qualcos'altro, produce a motivo «della sua perfezione e sovrabbondanza di potere ». Orbene, ogni ente produttivo l) rimane quale è (appunto in virtù della sua perfezione) e, a cagione di questo suo permanere immobile e indiminuibile, produce. 2) La « processione » non è una transizione, quasi che il prodotto che ne deriva sia una parte divisa del produttore. La processione è da pensarsi, invece, come una moltiplicazione di se medesimo da parte del produttore in virtù della sua potenza. Inoltre, ciò che procede è simile a ciò àa cui procede e la somiglianza è anteriore alla dissomiglianza: la dissomiglianza consiste solo nell'essere il produttore migliore, ossia più potente del prodotto. In altri termini, il produttore ha la stessa natura del prodotto, ma non allo stesso modo. 3) Per conseguenza, le cose derivate hanno una strutturale affinità con le loro cause; inoltre aspirano a tenersi in contatto con loro e, quindi, a « ritornare » a loro. Le ipostasi nascono, dunque, per via di somiglianza e non per via di dissomiglianza. Il processo triadico, pertanto, va pensato a guisa di circolo; non, però, nel senso della successione dei momenti, quasi che fra manenza, processione e ritorno vi sia una distinzione di prima e di poi, ma nel senso della coesistenza dei momenti, ossia nel senso che ogni processo è perenne permanere, perenne procedere, perenne ritornare. Inoltre, è da sottolineare che, stante il principio della somiglianza sopra illustrato, non solo la causa permane come causa, ma anche il prodotto, in un certo senso, permane nella causa nello stesso momento in cui procede, per il motivo che il procedere non è un « separarsi », ossia un diventare totalmente altro; il permanere è sostanzialmente l'assomigliare del prodotto al produttore e questa somiglianza, come si è detto, è la ragione per cui il prodotto aspira a « tornare » alla causa. Ecco i testi:
www.scribd.com/Baruhk
678
IL NEOPLATONISMO
Tutto ciò che è prodotto immediatamente da un principio permane in esso e procede da esso. - Se infatti ogni processione ha come proprietà l'immutabilità degli esseri primi e uno sviluppo fondato sulla somiglianza, per cui gli esseri simili vengono a esistere prima di quelli dissimili, anche il prodotto permane in qualche modo nel produttore. Ciò che sotto ogni aspetto procede non potrebbe avere alcuna identità con ciò che permane, ma risulta assolutamente distinto; supposto invece che abbia qualcosa in comune e unito a quello, permarrebbe anch'esso in quello, come anche quello è risultato esistere permanendo in se stesso. - Se d'altro lato si limitasse a permanere, e non procedesse, in tal caso non differirebbe in nulla dalla sua causa, né sarebbe un essere che ha avuto una nascita, diverso da quella causa immobile: in tal caso infatti risulta distinto ed è separato; ma, se è separato, e quella è immobile, questo procede da essa per differenziarsene, dal momento che essa è immobile. - Dunque, nella misura in cui ha una qualche identità con il produttore, il prodotto permane in esso; nella misura in cui è diverso, procede da quello. Poiché è simile, è in qualche modo identico e diverso al tempo stesso: quindi permane e procede insieme e l'una cosa non può essere separata dall'altra. Tutto ciò che procede da un principio si rivolge per essenza a quello da cui procede. - Se infatti da un lato procedesse, ma non si rivolgesse all'origine di questa processione, non desidererebbe la causa: infatti tutto ciò che prova un desiderio si trova rivolto all'oggetto del desiderio. Ma ogni essere aspira al bene e ciascuno lo raggiunge attraverso la sua causa immediata: quindi ciascun essere desidera anche la propria causa. Infatti ciò da cui ciascuna cosa riceve l'essere è quello tramite il quale ha anche il suo bene; il desiderio è anzitutto indirizzato a ciò da cui si riceve il proprio bene. E la conversione ha come meta ciò a cui anzitutto tende il desiderio. Ogni conversione ha luogo grazie alla somiglianza degli esseri che si rivolgono rispetto a ciò verso cui si rivolgono. - Ciò che è soggetto a conversione tende a congiungersi in modo completo e aspira alla comunanza e al legame con l'oggetto della conver· sione stessa. Ma è la somiglianza a legare insieme ogni cosa. come è la disuguaglianza a distinguere e separare. Se dunque la con· versione è una comunanza e una congiunzione, e ogni comunanza
www.scribd.com/Baruhk
PROCLO E LA SCUOLA DI ATENE
679
e ogni congiunzione ha alla base la somiglianza, ne consegue che ogni conversione è resa possibile grazie alla somiglianza. Tutto ciò che procede da qualcosa e vi si rivolge ha un'attività circolare. - Se infatti si rivolge a ciò da cui procede, congiunge al principio la fine e il movimento risulta unico e continuo, poiché avviene, in una direzione, a partire da ciò che permane immobile, nell'altra, verso ciò che è immobile; perciò ogni essere procede con moto circolare dalla sua causa iniziale alla sua causa iniziale. Ci sono cicli più grandi e cicli più piccoli, dal momento che le conversioni in parte si indirizzano a ciò che è immediatamente superiore, in parte alla realtà più in alto e fino al Principio di tutto: da esso infatti derivano tutte le cose e a esso ritornano. Ogni effetto resta nella sua causa, procede da essa e si rivolf!.e a essa. - Se si limitasse a permanere, non differirebbe per nulla dalla sua causa, essendo non distinguibile da essa. Infatti alla distinzione si accompagna la processione. Se si limitasse a procedere sarebbe privo di congiunzione e di accordo con essa, non avendo nulla in comune con la causa. Se si limitasse a rivolgersi, come si spiegherebbe che ciò che non trae dalla causa il suo essere compia per il suo stesso essere la sua conversione verso ciò che gli è estraneo? Se permanesse e procedesse, senza subire conversione, come si spiegherebbe la naturale aspirazione di ciascuna cosa al bene del proprio essere e al Bene e una tensione ascendente verso ciò che l'ha generata? Se procedesse e si rivolgesse, senza permanere, come si spiegherebbe che, essendosi allontanata dalla causa, aspiri a congiungersi con essa, quando peraltro pri· ma dell'allontanamento era non congiunta? Se infatti fosse stata congiunta, sarebbe rimasta in ogni caso in quella condizione. Se permanesse e si rivolgesse, senza procedere, come sarebbe possibile che ciò che non ha subito distinzione operi una conversione? Infatti tutto ciò che si rivolge assomiglia a una cosa che si risolve in ciò da cui è divisa nell'essere. - È necessario che si verifichi una di queste ipotesi: o che ci sia solo permanenza, o solo conversione, o solo processione o congiunzione tra loro dei due estremi, o congiunzione del termine medio con uno dei due estremi, o la congiunzione di tutti e tre i termini. Resta quindi che ogni essere e permane nella sua causa, e procede da essa, e si rivolge a essa 27 • Pm:ln. /:·!.·menti di teologia, 30; 31: 32: H: 35.
www.scribd.com/Baruhk
680
IL NEOPLATONISMO
Una seconda legge è quella del cosiddetto « ternario », da tempo riconosciuta come « chiave della filosofia di Prodo », e in alcune ricerche recenti riportata in primo piano 28 • Proclo ritiene che ogni realtà, a tutti i livelli, dall'incorporeo al corporeo, sia costituita l) dal « limite » {7tÉpac;) e 2) dall'« ili imi te » (li7tELpov) o infinito (che sono come la forma e la materia); e che quindi 3) ogni ente sia la « mescolanza » o la sintesi di essi (tesi derivata dal Filebo platonico). Leggiamo negli Elementi di teologia: Ogni ordine di dèi ha alla sua origine come principi primi il limite e l'infinito. Ma alcuni derivano maggiormente dalla causa prima del limite, altri da quella dell'infinito. · Ognuno infatti procede da entrambi, perché le elargizioni delle cause prime trascorrono attraverso tutti i derivati. Ma nella mescolanza predomina ora il limite, ora l'infinito;· e, a seconda che prevalgano le manifestazioni del limite o dell'infinito, ne risulta un genere la cui caratteristica è il limite o l'infinito 29 •
La legge del ternario consiste dunque nell'essere ogni ente costituito dal limite, dall'illimite e dalla differente mescolanza di questi. La legge -si noti bene -non vale solo per ogni vero ente, e, in genere, per le ipostasi superiori, ma anche per l'anima, per gli enti matematici, per gli enti fisici, per tutto, insomma, senza ecre2lione 30 • Proclo - si noti ancora - concepisce il « misto » di finito e di infinito sia come effetto sia 21 La legge era stata già ben individuata dal Vacherot, Histoire critique ... , n, pp. 282 sgg., ma lo Zeller sostenne il contrario: «Non si deve però
inferire che Proclo consideri il limitato e l'illimitato, anziché come sostanze in senso proprio, soltanto come principi uni'Versali di tutto l'essere » (ZellerMartano, p. 151). Senonché i testi danno torto allo Zeller. Limite, Illimite e Misto sono sia una triade (la prima triade intelligibile) sia, anche, una legge generale della realtà, come i nuovi studi hanno pienamente confermato. Cfr. J. Trouillard, L'Un et l'ome selon Proclos, Paris 1972, pp. 71-89 e passim. 29 Proclo, Elementi di teologia, 159. 30 Cfr., rispettivamente, Proclo, Elementi di teologia, 89 e sg.; In Plat. Parm., IV, 937 a, 39 sgg. Cousin; In Euclid., 6, 7-19 Friedlein; In Plat. Tim., n, p. 196, 30 sgg. Diehl; etc.
www.scribd.com/Baruhk
PROCLO E LA SCUOLA DI ATENE
681
come causa. Infatti, tranne l'Uno, tutto è sintesi dei due principi; quindi, dopo l'Uno, ogni causa è un misto, e, allora, ben si può dire che « il mi,sto è risultato in quanto è l'opera dell'Uno, che unisce finito e infinito; ma in quanto manifesta l'Uno, è principio in rapporto al finito e all'.infìnito » 31 • :f: appena il caso di rilevare che l'infinito o l'illimite corrisponde al momento della processione, mentre il finito o il limite corritsponde alla conversione e al ritorno 32 • In questo contesto, la materia (sensibile) viene ad essere l'ultima in finitudine (o illimitatezza), e, quindi, « in un certo senso è buona » 33 (contrariamente a quanto pensava Platino), in quanto è l'ultima effusione dell'Uno secondo l'unitaria legge della realtà. Un ultimo rilievo merita lo sfruttamento radicale del principio del « tutto in tutto secondo una maniera appropriata », che si riscontra nella dialettica di Proclo. Tutto è in tutto, secondo il nostro filosofo, sia verso l'alto che verso il basso. Spieghiamo meglio. Nell'ipostasi superiore c'è l'inferiore causa/mente, in quanto l'una è causa dell'altra. Invece nell'inferiore c'è quella superiore per partecipazione, ossia in quanto l'inferiore è, sl, effetto della superiore che è la causa, ma mantiene con la causa i rapporti sopra esaminati (ossia non si stacca, ma in qualche modo permane nella causa e mantiene una somiglianza con la causa). In particolare, se consideriamo il « rutto in tutto» dall'alto al basso (secondo Ja via della partecipazione), l'Uno è nelle varie ipostasi del mondo dello Spirito, ossia ·nelle ipostasi dell'Essere, della Vita e della Intelligenza, e queste sono nelle ipostasi dell'Anima, che rica-
" Vacherot, Histoire critique ... , n, p. 287. " Cfr. Trouillard, L'Un et l'ame ... , pp. 78 sgg. " Proclo, In Plat. Tim., I, pp. 384, 27-385, 17 Diehl.
www.scribd.com/Baruhk
682
IL NEOPLATONISMO
pitol
6. L a v i r t ù t eu r g i c a Marino, nello scrivere la Vita di Proclo, termina con la illustrazione della «virtù teurgica » (la quale è concepita come gerarchicamente superiore a tutte le altre virtù), virtù che Proda avrebbe posseduto in una cospicua misura 36 • Questa virtù, come sappiamo, coincideva con la capacità di riunirsi al Divino. Come già abbi-amo sopra detto, Proda poneva questa virtù addirittura al di sopra di ogni umana saggezza, e la faceva coincidere con quella « fede » che contiene in sé tutto l'ordine delle virtù. Sulla base di quanto abbi·amo precisato all'inizio, non dovrà risultare strano il fatto che Proclo, per raggiungere questa unione col Divino, si affidasse alle pratiche della teurgia e nutrisse una sicurezza sulla loro efficacia veramente totale.
34 Cfr. Proclo, Elementi di teologia, 103. Sulla interpretazione dell'anima in questo senso cfr. Trouillard, LV n et l'ome ... , passim. " Cfr., sul tema, Dodds, Proclus, The Elements ... , pp. xxvi sgg. 36 Cfr. Marino, Vita di Proclo, 28.
www.scribd.com/Baruhk
PROCLO E LA SCUOLA DI ATENE
683
Dalla figlia di Plutarco egli aveva appreso i riti e le formule segrete dell'arte teurgica e se ne avv-aleva spesso. Praticando le lustrazioni caldaiche, egli assicura di aver visto apparizioni di Dei in forma luminosa, e, in generale, di aver visto apparizioni di Dei e di Demoni. Marino dice addirittura ohe Proclo aveva capacità assolutamente straordinarie, come quella di provocare piogge, di prevedere i terremoti e altre cose di siffatto genere. Infine, ricordiamo che Proclo era convinto di appartenere alla catena ermetica (ossia a quella catena di vite cui sono collegati coloro che vivono la vita filosofica) e, in seguito ad una vis-ione avuta in sogno, « si era persuaso di avere l'anima del Pitagorico Nicomaco » '11. Come ben si vede, in Proclo non solo sono presenti tutte le componenti proprie dell'ultimo neoplatonismo, ma sono portate alle estreme conseguenze, e, addirittura, come sopra dicevamo, ai limiti della rottura. Che cosa poteva ancora dire, dopo di lui, la scuola di Atene?
7. L'uomo e la sua riunione all'Assoluto
Per quanto concerne la concezione dell'uomo, che è essenzialmente anima, Proclo riprende sistematicamente le concezioni tipiche della sua scuola. In particolare, è da notare come il nostro filosofo sviluppi l'idea dell'l>x:1l!J.OC, ossia del « veicolo » o corpo etereo di cui è fornita ogni anima umana, incorruttibile ed eterno come l'anima stessa, indivisibile e impassibile, e di cui l'anima mai si spoglia 38 • Prodo ritiene, inoltre (ma anche questa idea è antica e la si riscontra, ad esempio, già in Numenio), che prima di entrare in un corpo materiale corruttibile su questa 37 Marino, Vita di Proclo, 28. '" Proclo, Elementi di teologia, 196.
www.scribd.com/Baruhk
684
IL NEOPLATONISMO
terra, l'anima assuma come delle successive stratificazioni o « tuniche più materiali » 39 • Dopo la morte si spoglia di queste, non del «veicolo» etereo, che, come s'è detto, è eterno. Inoltre, è degno di nota il fatto che Proclo sottolinei la presenza del Divino nell'anima, il quale non coincide né con la vita stessa dell'anima, né con il suo pensiero, ma è come una presenza o una partecipazione dell'Uno, che rende possibile la mistica unione con l'Uno. L'intuizione mistica dell'Uno, infatti, è possibile, cosl come le varie forme di conoscenza, mediante la congiunzione del simile col simile. Questa idea, che di per sé è molto antica, nel contesto del sistema procliano si colora di valenze nuove, dato che, per il nostro filosofo, l'anima ricapitola e contiene in sé, secondo la legge del « tutto in tutto », tutte le precedenti ipostasi, e, quindi, in qualche modo, deve contenere anche l'Uno. In effetti essa costituisce il dispiegamento estremo della potenza dell'Uno e nel mondo sensibile essa svolge, analogicamente, quella funzione che l'Uno ha nell'incorporeo: l'anima è il legame immanente degli esseri, mentre l'Uno è il legame trascendente. Ecco una delle pagine più significative che illustra il principale di questi temi: Dunque, ammessa per qualche modo la conoscibilità del Divino, rimane ch'esso sia conoscibile con la sostanza dell'anima, e soltanto venga conosciuto attraverso questa, per quanto è possibile. Diciamo infatti che in ogni caso cose eguali sono conosciute per mezzo di eguali cose. E quindi, evidentemente, il sensibile con la sensazione, l'opinabile con l'opinione, la discorsività col discorsivo pensiero, l'atto intuitivo della mente con la mente. Cosicché anche con l'uno, ciò che in sommo grado è uno, e con l'ineffabile, ciò ch'è ineffabile. Rettamente a questo proposito nell'Alcibiade diceva Socrate che l'anima, in se stessa penetrando, avrebbe veduto le altre cose non solo, ma Iddio pure; raccogliendosi infatti nella propria unione e nel centro dell'universale vita, da ogni pluralità e da ogni varietà di multiformi potenze in sé inesistenti liberan., Proclo, Elementi di teologia, 209.
www.scribd.com/Baruhk
685
PROCLO E LA SCUOLA DI ATENE
dosi, sale in alto allora proprio verso l'estrema veletta degli enti tutti. E a quella guisa che nelle più sante cerimonie iniziatiche si dice che gli uomini iniziati, dapprima incontrino forme di Divinità, previe e molteplici d'aspetto; poi penetrano ulteriormente e si fanno più sicuri, quasi difesi e cinti dalla profondità del rito, e allora ricevono nel seno, in purezza perfetta, proprio la divina illuminazione; e come fanti ignudi d'armatura (cosl direbbero essi stessi) raccolgono finalmente partecipazione del Divino: allo stesso modo credo, anche nella contemplazione delle universe cose. L'anima, guardando alle cose che le tengono dietro, vede ombre soltanto e i simulacri degli enti. Se invece a se stessa si rivolge, dispiega allora la propria esseità e le ragioni sue. E dapprima, intanto, quasi se stessa potrà soltanto contemplare; poi, approfondendo l'indagine, con la conoscenza di se stessa, trova in sé anche la mente e gli ordini degli enti. Ma, ritirandosi nel recesso interiore di se stessa, quasi in inaccessibile luogo santo dell'anima, essa potrà contemplare, con pupille chiuse, la stirpe degli Iddii, e le Enadi degli enti. Infatti tutte le cose sono anche in noi sotto una forma che seco l'anima comporta; ragione questa per cui nostra natura può tutte le cose conoscere; basta ridestare le potenze in noi celate e d'ogni cosa le immagini. Anzi il segno più nobile dell'atto umano è appunto questo potersi tendere, nella profonda pace di ogni potenza, verso il Divino; come per danza Lo ricinge e attorno a Lui s'aggira. Certo è condizione indispensabile eccitare la somma delle facoltà tutte residenti nell'anima verso questa unione. E conviene gettar via ogni cosa, le cose tutte posteriori all'Uno, e prender dimora appresso a Lui, e con Lui, ineffabile, congiungersi; con Lui, al di là degli enti tutti 40 •
8. I successori di Proclo: Damascio e Simplicio
Marino,
lsidoro,
A Proclo nel 485 d.C. successe Marino di Neapoli (l'antica Sichem), un ebreo passato al paganesimo 41 • Egli riusd a conquistare questo posto per la sua grande capacità di lavoro "" Proclo, Teologia platonica, I, 3. " Cfr. Damascio, Vita di Isidoro, 42 e, 141 (pp. 66, 8 e 196, l Zintzen).
www.scribd.com/Baruhk
686
IL NEOPLATONISMO
e per la sua assiduità 42 • Da quello ohe ci dice Damascio si può facilmente comprendere quanto Il pensiero di Marino mancasse di profondità 43 • Infatti sappiamo che questo filosofo non segul Proclo nel-l'interpretazione del Parmenide, tornando ad intenderlo come uno scritto intorno alle Idee e non alJe ipostasi 44 • Né ebbe maggiore importanza Isidoro, il quale tenne la carica solo per breve tempo, e che sembra avere avuto interessi più mistico-teosofici che filosofici 45 • Di ben altra statura fu, invece, Damascio, che studiò, prima, ad Alessandria e, successivamente, diresse la scuola di Atene 46 • Damascio presenta caratteristiche analoghe a Proclo. Tuttavia, malgrado la notevoHssima abilità dialettica "' Cfr. Damascio, Vita di lsidoro, 142 (p. 196, 8-10 Zintzen). L'opera di Marino dedkata alla Vita di Proclo costituisce la più eloquente prova dell'eSiilità speculativa di questo autore. (Questo scritto è stato pubblicato dal Boissonade a Lipsia nel 1914 ed è stato ristampato ad Amsterdam nel 1966). .. Cfr. Damascio, Vita di Isidoro, 275 (p. 304, 12-15 Zintzen) . .. Dalla stessa Vita di lsidoro scritta 'da Damascio, suo discepolo, la quale vorrebbe essere un panegirico, si ricava appunto questa impressione. " Damascio nacque a Damasco (cfr. Vita di lsidoro, 200 [p. 274, 4-9 Zintzen] ). Non siamo informati sulla data di nascita e di morte. Su basi congetturali si è pensato al 470 d.C. come anno di nascita e al 544 d.C. come anno della morte. Oltre che Marino, ebbe come maestro Ammonio, figlio di Ermia (di cui diremo nel prossimo capitolo), che lo avviò allo studio delle opere platoniche. Di lui ci è pervenuta una monumentale opera Problemi e soluziont concernenti i primi principi (l'edizione comunemente usata è quella di C. A. Ruelle, Paris 1889; ristampa anastatica, Amsterdam 1966 [cfr. la traduzione francese di A. E. Chaignet, Damascius le Diadoque. Problèmes et solutions touchant les premiers principes, 3 voli., Paris 1898; ristampa anastatica, Bruxelles 1964] ). Inoltre, possediamo il commento Sul Parmenide di Platone (edito egualmente dal Ruelle, Paris 1889), che secondo alcuni sarebbe la continuazione della prima opera. Della Vita di Isidoro c'è la nuova edizione di C. Zintzcn, Hildesheim 1967. A Damascio vengono ora attribuiti i commenti al Filebo e al Pedone un tempo attribuiti ad Olimpiodoro (cfr. Damascius, Lectures on the Philebus, wrongly attributed to O!ympiodorus, Text, Translation, Notes and lndices by L. G. Wcsterink, Amsterdam 1959. Si vedano le ulteriori indicazioni che diamo nel vol. v, pp. 357 sg. 0
www.scribd.com/Baruhk
PR.OCLO E LA SCUOLA DI ATENE
687
di cui egli pure era fornito, non poté procedere olue Proclo. In effetti, con Proclo, il neoplatonismo diventa un hortus conclusus, privo di sbocchi. E in tali condizioni, il ridiscutere un sistema che aveva toccato i limiti delle proprie possibilità poteva portare, più che ad un rafforzamento, ad un indeboLimento di esso. Ed è proprio questo che è accaduto a Damascio. Intanto, già il titolo della sua opera maggiore è significativo: Problemi e soluzioni concernenti i primi principi. Si tratta di problemi, appunto, ossia di dubbi e di aporie che si addensavano sui principi del sistema e che andavano risolti. In Damascio, beninteso, prevale di gran lunga la soluzione positiva; tuttavia, le aporie lasciano le loro tracce, incrinando le certezze che nei predecessori erano rimaste inconcusse. Qua e là Damascio si lascia sfuggire espressioni di dubbio circa la possibilità dell'uomo di raggiungere la verità assoluta, che è retaggio degli Dei. Inoltre, pur mantenendo lo schema procliano, Damascio è tentato di aggiungere altre ipostasi. Al basso egli aggiunge gli « Dei materiali, che elaborano la materia in quanto tale » 47 • Ma le sue osservazioni più sigoificative riguardano le realtà che sono al vertice del sistema. Mentre Proclo parla di Uno e di Enadi, Damascio tende a porre l'Assoluto, in un certo senso, al di sopra dell'Uno stesso, a fargli seguire un Uno-Tutti (lv-7t~vTcx) e, ulteriormente, un Tutti-Uno (7t~vTcx lv ), che sono, ev:identemente, ipostasi introdotte con l'illusoria speranza di spiegare meglio la deduzione della molteplicità. In questo moltiplicare le ipostasi per « mediare » l'Assoluto e ciò che a lui fa seguito, in realtà, Damascio finiva con l'allontanarlo ancora di più e, al limite, con lo spingerlo, in un certo senso, fuori dal sistema della realtà. Il nostro filosofo, di conseguenza, scrive dell'Assoluto:
" Darnascio, De principiis, 134 (n, p. 13, 26 Ruelle).
www.scribd.com/Baruhk
688
IL NEOPLATONISMO
Non bisogna denominarlo Principio, né causante, né primo, né anteriore a tutto, né al di là di Tutto, e ancor meno si deve chiamarlo Tutto. Insomma: non bisogna dargli alcun nome: non è possibile concepirlo né pensarlo 48 • Di questo ineffabile Assoluto che è ancora al di là dell'Uno, non si può dunque dire nulla; tuttavia neppure, propriamente, si può qualificarlo come ineffabile o inconoscibile. Con questi termini e con altri simili, infatti, noi constati3mo semplicemente lo stato del nostro pensiero nei suoi confronti, non la sua natura. La nostra ignoranza al suo riguardo è totale. Egli è « ciò che non è assolutamente da nessuna parte », nel senso che è l'assolutamente tr·ascendente: è il nulla che è al di sopra dell'essere e non, evidentemente, il nulla che è la negazione d-rll'essere. È ovvio che, da questo Assoluto ineffabile (nel senso precisato), la processione non potrà che essere ineffabile 49 • Veramente Damascio, da un lato, giunge a svuotare quasi del tutto quello che era il sostegno del sistema, e, dall'altro, rischia di soffocare il sistema stesso sotto il cumulo delle ipostasi moltiplicate, le quali, una volta vanificato il Principio primo ·al modo veduto, finiscono col perdere ogni significato e col divent·are un cumulo di macerie. Simplicio, pur dichiarandosi seguace della scuola ateniese, concentrò i suoi interessi sul commentario, soprattutto sul commentario alle opere di Aristotele, seguendo in gran parte le orme degli Alessandrini (ad Alessandria egli aveva udito Ammonio). Fra i suoi commentari pervenutici, quello alla Fisica di Aristotele resta, ancora oggi, un indispensabile punto di riferimento (dato che egli segue i canoni dell'interpreta2lione ogget~iva) e una fonte di informazione di prim'ordine 50 • "' Damasdo, De principiis, 2 (I, p. 4, 7 sgg. Ruelle) . .. Cfr. Damascio, De principiis, 3-8 (I, pp. 5 sgg. Ruelle). _ "' I commentari pervenutici sono pubblicati nella collana « Commentaria in Aristotelem Graeca » e di essi daremo indicazione an~litica nel vol. v.
www.scribd.com/Baruhk
VI. LA SECONDA SCUOLA NEOPLATONICA DI ALESSANDRIA
l. Caratteristiche dell'ultima fase del neoplatonismo alessandrino
Abbiamo già sopra rilevato l'opportunità di distinguere due scuole neoplatoniche di Alessandria, o, quantomeno, due distinte fasi del neoplatonismo in questa città. Infatti, dopo la morte di Ammonio (verso la metà del m secolo d.C.) il suo circolo si disperse: Plotino fondò la propria scuola a Roma; Origene Pagano ed Erennio, come sembra, non costituirono dei particolari poli di attrazione. Ad Alessandria non sussistevano le condizioni per un ulteriore sviluppo speculativo del neoplatonismo in quelle direzioni secondo le quali abbiamo visto muoversi le altre scuole neoplatoniche. Infatti, in questa città, il pensiero cristiano aveva rapidamente messo profonde radici e, come abbiamo già rioordato, la« scuola catechetica »con Clemente e con Origene Cristiano aveva cominciato .ad elaborare un vero e proprio sistema filosofico-teologico d'impronta cristiana, destinato a costituire l'alternativa vincente. Inoltre, è da rilevare come ad Alessandria si fosse già da molto tempo formato e consolidato lo spirito delle scienze particolari e della rìcerca empirico-erudita. In questa direzione, dunque, potevano ripiegare quegli spiriti assetati di sapere, in un momento in cui l'antica visione del mondo si dissolveva e ne nasceva una nuova, e, di conseguenza, non era facile, nel generale disorientamento, operare una scelta. Ques,te condizioni storiche spiegano i caratteri particolari che il neoplatonismo assume nei secoli v e VI d.C.
www.scribd.com/Baruhk
690
IL NEOPLATONISMO
a) Da un lato, infatti, ritroviamo alcuni pensatori che recepiscono idee cristiane e che, addirittura, si convertono al cristianesimo. b) Dall'altro, abbiamo un gruppo di pensatori e di studiosi che sembrano avere più il gusto dell'erudizione che non della speculazione, i quali si dedicano soprattutto al commentario, in cui prevale l'esegesi sulla rielaborazione filosofica.
c) Sia negli uni che negli altri si riscontra una sorta di « semplificazione» del neoplatonismo. I primi ridimensionano
la speculazione neoplatonica in modo da poterla far combaciare col messaggio cristiano, o, comunque, in modo da renderla capace di recepire istanze cristiane. Anzi, come è stato da qualche tempo rilevato, alcuni di costoro tendono addirittura a riportare il platonismo su posizioni medioplatoniche, o comunque a semplificar/o il più possibile 1• Non è un caso, del resto, che proprio da due rappresentanti di questa corrente ci vengano le uniche testimonianze che possediamo sulla dottrina di Ammonio Sacca: e quella di Ammonio Sacca - si noti - costituiva appunto la forma più semplice del neoplatonismo, addirittura già fecondato dal creazionismo cristiano 2 • Dal canto loro, i commentatori si orientarono ad intendere i testi in un senso, diremmo oggi, tendenzialmente storicofilosofico, o, se si preferisce, in senso più oggettivo, rinunciando, come abbiamo già rilevato, a molte delle sovracostruzioni che si riscontrano neUa scuola di Giamblico e in quella di Atene. d) Nei commentatori si riscontra addirittura la preferenza per le opere aristoteliche. Questo implica, a ben vedere, una scelta, in un certo senso, di « neutralità », proprio a livello ' Questa tesi è stata sostenuta per la prima volta dal Praechter, Die Philosophie des Altertums, pp. 635-647, ed ha avuto successive riconferme. Cfr., sotto, la nota n. 8. 2 Cfr., sopra, pp. 461-469.
www.scribd.com/Baruhk
LA SECONDA SCUOLA NEOPLATONICA DI ALESSANDRIA
691
programmatico. Abbiamo visto, infatti, che, fin dalle sue origini, già la scuola di Atene aveva inteso Aristotele come via di accesso a Platone, e, dunque, in una maniera in certo qual modo « strumentale », o, se si preferisce, propedeuticostrumentale. Pertanto, la lettura e il commento di Aristotele· potevano essere tollerati o, addirittura, utilizzati anche da parte dei Cristiani. Ben si comprende, pertanto, che la scuola di Alessandria abbia potuto sopravvivere anche alla chiusura della scuola di Atene. e) I Neoplatonici alessandrini ebbero rapporti con la scuola di Atene fin dagli inizi: Ierocle fu discepolo di Plutarco di Atene, Ermia ascoltò Siriano e Ammonio frequentò Proclo. Più tardi membri della scuola di Atene udirono esponenti della scuola alessandrina: per esempio Damascio e Simplicio udirono Ammonio. Ma, malgrado tali rapporti, le differenze rimasero piuttosto nette, e vi fu, anzi, anche una certa avversione fra le due scuole.
2. I pensa tori l'intreccio fra
neoplatonici alessandrini e platonismo e cristianesimo
La scuola alessandrina ebbe una reviviscenza tra la fine del IV e gli inizi del v secolo d.C. 3 , soprattutto per impulso di una eccezionale figura di donna: la celebre Ipazia. Figlia di uno scienziato, Ipazia imparò dappl"ima a fondo le scienze matematiche ed astronomiche. Si diede, quindi, alLa filosofia e, nel suo insegnamento, si rifece soprattutto a Platone e ad Aristotele. Il suo vasto sapere e il suo influsso notevole le provocarono l'avversione dei Cflistiani, dei quali cadde vit-tima nel 415 d.C. 4 • • Quindi parallelamente alla nascita della scuola di Atene. • Cfr. la voce Ipazia in Suda.
www.scribd.com/Baruhk
692
IL NEOPLATONISMO
Fra i suoi numerosi discepoli ebbe una certa importanza Sinesio di Cirene, che &i converti poi al cristianesimo e divenne vescovo. Sinesio mantenne sempre una grande ammirazione per Ipazia, il che gli fu possibile, oltre che per i legami di discepolo, per la sua convinzione circa la possibilità di una convivenza della filosofia con la fede cristiana. Il suo neoplatonismo è piuttosto elementare. Si riscontrano alcuni influssi degli Oracoli Caldaici e di Giamblico, e ciò che di nuovo rispetto alla tradizione neoplatonka egli presenta è solo l'inserzione, abbastanza rapsodica, di idee cnistiane 5 • !erode di Alessandria, che fu un contemporaneo più giovane di Sinesio, frequentò dapprima Plutarco in Atene 6 • Nelle sue lezioni, che tenne con grande successo ad Alessandria, così come nei suoi scritti, egli polarizzò il suo interesse soprattutto sui problemi mor.ali. Il suo Commento ai Versi aurei 7 costituisce un eccellente documento delle sue idee e del suo raffinato stile di esposizione e di scrittura. Anche in !erode sono chiaramente riscontrabili quelle caratteristiche che sopra abbiamo indicato come peculiari délla seconda scuola alessandrina, come le più recenti ricerche vanno vieppiù confermando 8 • Il nostro filosofo tende, infatti, da un lato, ad una semplificazione del neoplatonismo e, dall'altro, a recepire alcune idee cristiane, come ad esempio quella della creazione e quella del ruolo della libertà di Dio nella creazione stessa. Evidenti ·influssi cristiani denotano anche le convin-
• Pare che sia stato eletto vescovo intorno al 410 d.C. Diamo l'elenco delle opere pervenute nel vol. v, p. 539. • L'attività di lerocle (cfr. Damascio, Vita di Isidoro, 54, p. 80, l sgg. Zintzen) si colloca verso la metà del v secolo d.C. 7 Cfr. la recente edizione a cura di F.W. Kohler, Stuttgart 1974. • Cfr. Theo Kobusch, Studien :r.ur Philosophie des Hierokles von Alexandrien, Miinchen 1976. Kobusch mette espressamente in risalto i tratti « pre-neoplatonici >> del nostro filosofo. In altra direzione si muove invece I. Hadot, Le problème du néoplatonisme alexandrin, Hiérodès et Simplicius, Paris 1978.
www.scribd.com/Baruhk
LA SECONDA SCUOLA NEOPLATONICA DI ALESSANDRIA
693
zioni di IerocLe che Dio aiuta gli uomini nella via della salvezza e che la libertà umana è un dono divino 9 • Analogo interesse per i problemi etici si riscontrano in Teosebio, discepolo di Ierocle. Si comprende, quindi, come egli abbia richiamato l'aaenzione sulla filosofia di Epitteto 10 • A questo ambiente fu legato Enea di Gaza, platonico cristiano vissuto fra i~ v e il VI se<:olo, autore di un fortunato dialogo dal titolo T eofrasto 11 • Anche Nemesio, vescovo di Emesa, va ricordato in questo contesto. Il sUQScdtto Sulla natura dell'uomo, composto verosimilmente agli inizi del v secolo d.C., utilizza concetti neoplatonici (semplificati alla maniera alessandrina) e idee proprie della scienza greca per mostrare La ragionevolezza e la credibilità della prospettiva cristiana 12 • 3.
I commentatori
neoplatonici
alessandrini
Il nutrito gruppo di commentatori che danno vita all'ultima stagione della cultura alessandrina ha come capostipite Ermia (un, çontemporaneo di Proclo, discepolo, insieme a lui, di Siriano), d~ cui ci è pervenuto un commento al Fedro 13 • Ma il vero caposcuola fu H figlio di Ermia, Ammonio, che fu discepolo di Proclo, dopo la prematura morte del padre. (Ammonio, oltre che come commentatore di Platone e di Aristotele, si" fece apprezzare anche come studioso di • Cfr. Kobusch, Studien ... , pp. 193·196, Cfr. Suda, sotto la voce Epitteto. " Si veda l'edizione con traduzione italiana di M. E. Colonna: Enea di Gaza, Teofrasto, Napoli 1958. •• L'edizione del De natura hominis è stata curata da C. F. Matthaei, Halae Magdeburgicae 1802 (ristampa anas~atica, Hildesheim 1967). Per un approfondimento delle dottrine contenute nel trattato si veda il recente studio di A. Siclari, L'antropologia di Nemesio di Emesa, Padova 1974. " Il commentario è stato pubblicato da P. Couvreur, Hermiae Alexan· drini in Platonis Phaedrum Scholia, Paris 1901. 10
www.scribd.com/Baruhk
694
IL NEOPLATONISMO
matematica e di astronomia). Di Ammonio furono discepoli Asclepio e Olimpiodoro, mentre di quest'ultimo furono discepoli Elia e Davide 14 • Un certo numero di commentari di questi autori ci sono pervenuti. Da essi si ricava il giudizio che abbiamo sopra riferito, in modo abbastanza evidente 15 • È da notare che, oltre a « neutralizzare », nel senso precisato, i testi filosofici commentati, alcuni di questi autori si convertirono al cristianesimo. Giovanni Filopono, in particolare, non solo si converti, ma scrisse anche opere in difesa di alcuni concetti essenziali di origine biblica, come quello della creazione del mondo. Platone venne considerato da Filopono vicino al cristianesimo e questa sua vicinanza venne spieg,ata con la convinzione, piuttosto diffusa in ambiente alessandrino, che il fìlosofo ateniese avesse attinto dalla Bibbia. Il trattato di Filopono Sull'eternità del cosmo, che ci è pervenuto, fu composto intorno al 529 d.C., e, in modo significativo, fu diretto contro Proclo 16 • Forse anche OHmpiodoro si converti al cristianesimo, mentre i nomi di Elia e di Davdde attestano già di per sé la estrazione giudaico-cristiana di questi uomini. Con Stefano di Alessandria si chiude la serie dei commentatori di questa scuola. Dopo aver insegnato ad Alessandria, Stefano passò a Bisanzio, dopo il 610 d.C. 17 • ,. Daremo l'indicazione dei commentari pervenutici di questi autori e delle relative edizioni nel vol. v. " I commentari di questi autori sono utilizzati generalmente come strumenti per l'esegesi di Aristotele e non sono studiati in sé e per sé. Solo di recente si sono cominciati a fare alcuni passi in questa direzione. Citiamo, ad esempio, il contributo di K. Kremer, Der Metaphysikbegriff in den Aristoteles-Kommentaren der Ammonius-Schule, Miinster-Westfalen 1960. 16 II De opificio mundi è stato pubblicato da G. Reichardt, Leipzig 1897, e il De aeternitate mundi contra Proclum da G. Rabe, Leipzig 1899. 17 All'ambiente alessandrino fu legato anche Giovanni Lido (vi secolo d.C.), che prestò servizio alla corte di Bisanzio, di cui ci sono rimasti un De mensibus (in estratti} e un De ostentis, nei quali l'autore si rifà a testi platonici e neoplatonici. II De mensibus è stato pubblicato da R. Wiinsch, Leipzig 1898, e il De ostentis, da C. Wachsmuth, Leipzig 1863.
www.scribd.com/Baruhk
VII. CENNI SUI NEOPLATONICI DELL'OCCIDENTE LATINO
Per completare il quadro, diamo un brevissimo sguardo ai cosiddetti Neoplatonici dell'Occidente latino. Costoro non costituiscono una scuola vera e propria; tuttavia, certi tratti che essi hanno in comune permettono di considerarli in modo abbastanza unitario. In quasi tutti l'erudizione prevale sulla speculazione. Si tratta, infatti, in genere, di autori di traduzioni di opere platoniche o aristoteliche e di commentari. Inoltre, quasi tutti furono Cristiani fin dall'inizio della loro attività, oppure si convertirono successivamente alla nuova religione. Anche in questi autori, analogamente a quanto si è visto a proposito di alcuni esponenti della scuola di Alessandria, si riscontra una notevole contrazione speculativa del neoplatonismo e, addirittura, il ritorno, in alcuni punti, su posizioni medioplatoniche. Innanzitutto è da ricordare Cakidio, il quale è autore di una traduzione e di un commentario al Timeo platonico (.prima· metà del IV ·secolo), che ebbe una grande importanza nel Medioevo. Nello stesso secolo visse Mario Vittorino, convertitosi al cristianesimo negli ultimi anni della sua vita (intorno al 357). Tradusse in latino alcuni trattati logici di Aristotele, l'Isagoge di Porfirio e alcuni scritti neoplatonici, compose trattati logici, grammaticali e retorici, nonché commentari a Cicerone e ad Aristotele. Gli scritti teologici composti dope la ~ua conver-
www.scribd.com/Baruhk
696
IL NEOPLATONISMO
sione contengono un tentativo di sintesi originale, che gli merita un posto nella storia della patristica. Fra il IV e il v secolo visse Macrobio, la cui fama è legata soprattutto al Commentario al sogno di Scipione di Cicerone, in cui predomina una forma del solito neoplatonismo semplificato. Egli cita molto spesso Platone, ma anche Platino. Macrobio non cita (e questo è molto indicativo) nomi di Neoplatonici posteriori a Porfìrio. Dal Commentario Macrabio risulta pagano; tuttavia, alcuni studiosi pensano che egli .si sia convertito alla fine della sua vita. Nella prima metà del v secolo visse Marziano Ca.pella, autore di un'opera di carattere encidopeàioo d& titolo Le nozze di Mercurio con la filologia, in cui è contenuta una trattazione in compendio delle sette arti liberali: grammatica, retorica, dialettica, geometria, aritmetica, astronomia e musica, ossia quelle che saranno poi indicate le arti del « trivio » e del « quadrivio ». Anche quest'opera ebbe grandissima importanza nel Medioevo. Alcuni storici fanno rientrare in questo elenco anche il nome di Boezio, vissuto a cavaliere fra il v e il VI secolo, considerandolo soprattutto nella sua attività di traduttore ed interprete delle opere logiche di Aristotele, e come il più cospicuo mediatore fra l'antichità e il Medioevo. Ma Boezio, considerato nel suo complesso (si vedano in particolare i suoi opuscoli teologici), è ormai proiettato verso altri orizzonti. La trattazione di questi autori, più che non in un capitol9 conclusivo di una storia della filosofia antica, assume il sùi>· preciso significato in un capitolo sulle fonti del pensiero e della cultura medioevale. La loro funzione e la loro importanza storica sta, infaui, quasi per intero, nell'essere stati anelli di congiunzione e tram1ti fra due civiltà e due culture 1•
1 Per ragioni di spazio daremo conto delle opere di questi autori, che interessano l'ambito del presente lavoro, nel volume v, sotto le singole voci.
www.scribd.com/Baruhk
VIII. LA FINE DELLA FILOSOFIA ANTICO-PAGANA
L L'editto di Giustiniano e la proibizione dell'insegnamento pubblico. ai Pagani
La fine del,la filosofia antico·pagana ha una data ufficiale, ossia il 529 d.C., anno in rui Giustiniano proibl ai Pagani ogni pubblico ufficio e quindi di tenere scuole e di insegnare. Ecco due significativi straki del Codex Iustinianus: Per quanto riguarda tutte le altre eresie (e chiamiamo eresie quelle sette che pensano e praticano un culto in contrasto con la Chiesa cattolica e apostolica e la fede ortodossa), noi vogliamo che entri in vigore una legge promulgata da noi e dal nostro divino padre, nella quale sono stabilite disposizioni adeguate non solo riguardo a dette eresie, ma anche riguardo ai Samaritani e ai Pagani. Nessuno che sia stato contagiato da tali eresie possa ricoprire gradi nell'esercito o possa ricoprire pubblici uffici, né, in qualità di insegnante che si occupi di qualche disciplina, possa trascinare gli animi delle persone più semplici nel loro errore e possa render/i più deboli nella vera e pura fede degli ortodossi. Noi permettiamo che esercitino l'insegnamento e che ricevano pubblica sovvenzione solamente coloro che sono di fede ortodossa 1• Noi proibiamo che venga insegnata ogni dottrina da parte di coloro che sono affetti dalla pazzia degli empi Pagani. Perciò nessun Pagano simuli di istruire coloro che sventuratamente li frequentano, mentre, in realtà, egli non fa altro che corrompere le anime dei discepoli. Inoltre, che egli non riceva sovvenzioni pubbliche, poiché non ha alcun diritto derivante da divine scritture o da editti statali per pretendere licenza di cose di questo genere. Se qualcuno, qui [scii.: a Costantinopoli] o nelle province, risulterà colpevole di questo reato e non si affretterà a ritornare in 1
Codex lustinianus,
1,
5, 18, 4 sg. (p. 57 Krueger).
www.scribd.com/Baruhk
698
IL NEOPLATONISMO
seno alla nostra santa Chiesa, insieme alla sua famiglia, ossia insieme alla moglie· e ai figli, cadrà sotto le suddette sanzioni, le loro proprietà verranno confiscate ed essi stessi verranno mandati in esilio 2 • Questo editto è senza dubbio assa.t Importante, e altrettanto importante è la data in cui fu promulgato per le sorti della filosofia greco-pagana. Tuttavia è da rilevare che il 529 d.C., così come tutte le date che chiudono o aprono un'epoca, non fa altro che sancire con un avvenimento clamoroso quello che, ormai, era una realtà prodotta da tutta una serie di precedenti avvenimenti. Come abbiamo visto, ,infatti, ad Alessandria così come nell'Occidente latino, non solo si era registrato un processo di semplificazione del sistema neoplatonico in modo che l'attrito coi Cristiani venisse sempre più attutito, ma molti pensatori avevano finito con l'accogliere il messaggio cristiano e col convertirsi. Restava, è vero, la scuola di Atene; ma si trattava, ormai, come di una roccaforte isolata, minata da tutte le parti, e, forse, già di per sé prossima a crollare: certi dubbi sollevati da Damascio e la stessa posizione di Simplicio sono molto sintomatici, come abbi'3mo già rilevato sopra. L'editto del 529, in realtà, non fece che acc-elerare e sancire, di diritto, quella fine cui, di fatto, la filosofia anticopagana era, già di per sé, inesorabilmente destinata. Ma sulla portata ,e sug1i effetti di questo editto occorre fare qualche precisazione.
2. La sorte dei Neoplatonici della scuola di Atene dopo l'editto di Giustiniano Come è stato fatto notare di recente dagli studiosi, i passi dell'editto sopra letti stabiliscono un divieto in generale e 2
Codex Iustinianus,
I,
11, 10, 2 sg. (p. 64 Krueger).
www.scribd.com/Baruhk
LA FINE DELLA FILOSOFIA GRECo-PAGANA
699
non nominano alcuna scuola in particolare 3 • In effetti, solo prestando fede ad alcune testimonianze, di tenore chiaramente ostile, di storici e cronografi antichi, si potrebbe concludere che la scuola di Atene fu chiusa e i suoi membri dispersi rin quell'anno stesso 4 • Anche le ooti2lie tramandateoi ciroa le confische delle propcietà della scuola (che erano piuttosto cospicue) non sembrano riferirsi immediatamente e necessariamente al 529. D'altra parte, sappiamo che i membri illustri della scuola di Atene non lasciarono subito la città, ma solo nel 531/532. Infatti, nel 531 era salito sul trono di Persia il re Cosroe, un ammiratore della cultura greca, che aveva acceso molte speranze nell'animo dei Neoplatonici ateniesi e l'illusione di trovare in Persia condizioni politiohe simHi a quelle vagheggiate nella Repubblica platonica. E appunto alla corte dri Cos.roe si trasferirono Damascio, Simplicio e altri cinque Neoplatonici: Prisciano Lido, i fenici Ermia e Diogene, il frigio Eularnio e Isidoro di Gaza, come ci fllall'ra lo storico Agazia 5 • Ma quello che aveva attratto questi uomini in Persia si rivelò un puro miraggio. Cosroe aveva una statura morl!lle ben diversa dai tiranni Dionigi I e Dionigi II dei quali Platone fu ripetutamente vittima in Sicilia. Egli era infatti veramente amante della sapienza greca; ma, per capacità e per ingegno, era ben lonta·oo dall'ideale di re-filosofo, e le condizioni della sua corte e del suo regno erano lontanissime dall'ideale della platonica Repubblica. Il soggiorno in Persia dei Neoplatonici della scuola ateniese fu quindi breve. Nel 53 3 la Persia stipulò con l'Impero romano un tJrattato di pace, in cui, come sembra, si garantiva
3 Cfr. Lynch, Aristotle's School ... , pp. 165 sgg. e le indicazioni bibliografiche che vengono date, ivi, alle note 2-5. • Cfr. Procopio, Anecdota, 26, 74 b, l sg. (p. 143, 3 sgg. Dindorf) e Malala, Chronograpbia, xvm, 187 (p. 451, 16 sgg. Dindorf). • Cfr. Agazia, Historiae, n, 30 (p. 80, 5 sgg. Keydell).
www.scribd.com/Baruhk
700
IL NEOPLATONISMO
- tra l'alt-ro - la possibilità per questi filosofi, oltre che di ritornare in patria, di vivere secondo i loro costumi e di « non essere costretti a mutare 1a fede avita » 6 • A nulla valse il desiderio di Cosroe di trattenere i filosofi alla sua corte. La delusione, lo sconforto e, forse, la nostalgia della patria li spinse a far ritorno in Grecia. L'attività dei sette filosofi durante hl soggiorno persiano si limitò a traduzioni di opere platoniche e aristoteliche 7 , alla compilazione di qualche manuale e alla composizione di opere ad uso di principianti. Le Solutiones eorum de quibus dubitavi! Chosroes Persarum rex, di Prisciano Lido, che ci sono pervenute in una tlraduzione latina 8 , sono una riprova assai eloquente di quanto diciamo. Sembra che dopo il ritorno ad Atene Simplicio abbia continuato la sua attività di scrittore, componendo i suoi commentari, ma privatamente e, probabilmente, senza aver alrun seguito. Del resto, come da tempo è stato rilevato, non si può dk.e che Simplicio « abbia fatto di più che elaborare coscientemente una dottrina già esistente e arrivata es·senzialmente già alle sue conclusioni definitive» 9 • Qualche studioso pensa che l'attività di alcuni Neoplatonici in Atene possa addirittura essere proseguita fino alle invasioni degli Slavi, ossia fin verso il 580 10 • Ma, se anche così fosse, le cose sostanzialmente non cambierebbero, giacché si tratterebbe di una sopravvivenza equivalente ad uno stato di mera agonia. Il pensiero filosofico av.eva o11mai compiuto la più radicale !Le:TocvoLoc, ossia la più radicale delle rivoluzioni spirituali. La « seconda navigazione » si era concLusa da molto tempo ed
• Agazia, Historiae, II, 31 (p. 81, 15-19 Keydell). Cfr. Agazia, Historiae, II, 28 (p. 77, 9 sgg. Keydell). • Cfr., sopra, p. 465, nota 14. • Zeller-Martano, pp. 225 sg. 1° Cfr. Lynch, Aristotle's School..., p. 167. 7
www.scribd.com/Baruhk
LA FINE DELLA FILOSOFIA GRECO..PAGANA
701
era stata iniziata, e già portata a buon tratto, quella che potremmo chiamare la « terza navigazione ». Platone, in un passo del Pedone che abbiamo scelto come epigrafe di quest'opera, aveva scritto: Infatti, trattandosi di questi argomenti [scii.: quelli che toccano i supremi destini dell'uomo] non è possibile se non fare una di queste cose: o apprendere da altri quale sia la verità; oppure, se ciò è impossibile, accettare, fra i ragionamenti umani, quello migliore e meno facile da confutare, e su quello, come su una zattera, affrontare il rischio della traversata del mare della vita [ ... ] 11 •
E a questo aveva soggiunto: [ .. : ] A meno che non si possa fare il viaggio in modo più sicuro con minor rischio su più solida nave, cioè affidandosi ad una divina rivelazione 12 •
Ma né Platone né alcun Greco avrebbero potuto supporre quale potesse essere la « solida nave » e quale « il viaggio sicuro attraverso il mare della vita ». E il messaggio oristiano, a questo riguardo, si er.a pre9entato come quello di gran lunga più sconcertante, più radicale e ultimativo: ma proprio come tale aveva vinto. Dice Sant'Agostino, con evidente riferimento al passo platonico sopra letto: Nessuno [ ... ] può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo 13 • È questa, appunto, che si compie sul legno della croce, la « terza naviga2ione ».
" Platone, Pedone, 85 c. 12 Platone, Pedone, 85 d. 13 Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, omelia n, 3.
www.scribd.com/Baruhk
Stampato nella Tipolitografia Queriniana, Brescia - dicembre 1987
www.scribd.com/Baruhk
www.scribd.com/Baruhk
ILLUSTRAZIONE DEI PARTICOLARI DELLA "SCUOLA DI ATENE" RIPRODOTTI IN COPERTINA Riproduciamo in copertina due gruppi della parte destra dell'affresco "La Scuola di Atene" di Raffaello, che si trova nelle Stanze Vaticane. Il gruppo di sinistra (che gira sul dorso) rappresenta la notevole figura di un matematico (insieme ai discepoli), identificato da alcuni con Euclide, da altri con Archimede. Si può trattare sia dell'uno che dell'altro, perché anche Archimede fu grandissimo geometra. (Che Raffaello richiamasse in questa figura i tratti della fisionomia di Bramante, come alcuni hanno sostenuto, non sembra sicuro). Globalmente, si tratta del gruppo dei matematici, diventato addirittura un simbolo e un emblema, per la sua bellezza ed efficacia espressiva. Noi non lo abbiamo posto al centro pagina, perché in quest'opera non trattiamo della storia delle scienze. Abbiamo preferito, invece, evidenziare l'estremo gruppo di destra, che raffigura Zoroastro, il quale tiene in mano il globo raffigurante il cielo, con di fronte (ripreso di spalle) Tolomeo, con in mano il globo terrestre. (Si noti come venga evidenziato molto bene il particolare influsso del cielo sulla terra, mediante le tipiche posizioni in cui sono tenuti i due globi nelle mani dei due personaggi). Zoroastro è vissuto parecchi secoli prima di Cristo, ma i Rinascimentali lo ritenevano autore degli Oracoli Caldaici. Le dottrine magico-teurgiche espresse in quest'opera ebbero grande influenza sul pensiero tardo antico (in particolare su Giamblico e Proclo), e anche sul pensiero rinascimentale. Il vero autore degli Oracoli Caldaici è Giuliano il Teurgo (o comunque un autore di età imperiale), ma anche se erroneamente rappresentato nelle vesti di Zoroastro, esprime bene come squisita immagine allusiva quella figura emblematica del pensiero pagano tardo-antico. Con ciò, abbiamo voluto evidenziare il rilievo che in questo volume diamo agli Oracoli Caldaici, senza i quali il neoplatonismo postplotiniano non sarebbe
www.scribd.com/Baruhk
comprensibile, come i più recenti studi d'avanguardia hanno dimostrato, mentre negli studi del secolo scorso questo era stato in larga misura ignorato. Si noti, infine, la "firma" di Raffaello, che riproduce il proprio autoritratto nella figura con il cappello nero a lato di Zorastro e Tolomeo, accanto alla figura con il cappello bianco (che alcuni pensano possa rappresentare il Sodoma). Nel retro di copertina riproduciamo il gruppo ZoroastroTolomeo ingrandito. (Ricordiamo che l'autoritratto di Raffaello non c'è nel cartone). - La fotografia a colori della copertina è stata eseguita appositamente per quest'opera tramite i Musei Vaticani, mediante le più moderne tecniche. -La fotografia del particolare del Cartone è stata eseguita dai tecnici della casa editrice "Silvana Editoriale d'Arte" (che ha fornito a "Vita e Pensiero" i materiali tecnici occorrenti). Si può trovare la riproduzione del Cartone, nella sua completezza e in tutti i suoi particolari, nello splendido volume: K. Oberhuber - L. Vitali, Raffaello, Il Cartone per la Scuola di Atene ("Fontes Ambrosiani in lucem editi cura et studio Bibliothecae Ambrosianae, XLVII), Silvana Editoriale d'Arte, Milano 1972.
www.scribd.com/Baruhk