This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
..ll ). Materia, dunque, è per Aristotele termine relativo a forma (Fisica, I94b 9), che a sé, come materia prima (G>..ll ), subiectum (~1toxcLtuvov ), spoglia di qualsiasi forma è inesistente (" chiamo materia - G~:'l - quella che in se stessa non si può dire né un qualcosa né una quantità né alcuna altra tra le determinazioni dell'essere": Metaf., VII, 3, 1029a 3-4; "la materia per se stessa è inconoscibile ... ": Metaf., VII, 10, 1036a 8-9) sì come inesistente è un'ideale forma per sé. La materia inesistente c'è solo, in quanto si determini in elementi (ciascuno dei quali, in quanto fuoco, o terra, o aria e cosi via, già è tale in quanto ha una sua forma) distinguendosi nei contrari. C'è, cosi, anche una '' materia sensibile e una intelligibile: sensibile come, per esempio, bronzo, legno o qualsiasi materia soggetta a movimento; intelligibile quella che esiste bensl nelle cose sensibili, ma non in quanto siano sensibili, come per esempio, le figure matematiche" (Metaf., VII, 10, 1036a 10). Insieme alla forma, dunque, condizione perché sia pensabile alcunché, si pone come principio la materia prima (e le materie seconde determinazioni della postulata prima materia) o sostrato: ambedue vengono cosi ad essere, in quanto condizioni e termini costitutivi del reale, i primi principii e le cause prime: principio e condizione di un di-
www.scribd.com/Baruhk
47
scorso, l'essenzialità; prinCipu e cause prime, la forma (d3oç, f!opcp~) e la materia (G:ì-1), tmoxe:lf!evov): causa formale e causa materiale. E ciò vale sia che si tratti di cose naturali, sia che si tratti di artefacta. Ora, poiché oggetto di scienza è ciò di cui si possono cogliere i principii e le cause (l'universale) che rendono possibile l'oggetto, scienza è possibile di ciò che è, in quanto ciò che è si determina mediante la forma e la materia. Su di un piano comune si venivano cosi delineando tre possibili scienze teoretiche: la fisica (studio dei corpi naturali aventi in sé movimento e riposo); la matematica (studio dei nu meri e delle figure spaziali, le quali hanno solo un'esistenza attributiva in quanto qualificano le sostanze); la filosofia prima o teologia (studio delle essenzialità che esistono sciolte da ogni connessione con la mate- · ria, intesa come potenzialità, in quanto rivelano la condizione dell'attualità del realizzarsi della potenza in atto, e che avendo come oggetto principale il divino, si chiama teologia): una scienza è divina o in quanto è posseduta soprattutto da Dio, o in quanto è una scienza di cose divine. Questa sola si trova ad esser tale per entrambe le ragioni: poiché nessuno mette in dubbio che Iddio non sia causa e principio e che questa scienza, o solo o in massimo grado, non la debba Iddio possedere. Tutte le altre scienze saranno per gli uomini piu necessarie di questa; ma superiore a questa nessuna (Meta/., I, 2, 983a 6-11). E tanto piu sapore assume questo testo, entro l'àmbito della ricerca speculativa quale studio delle condizioni che rendono pensabile la realtà, quando si ricordi la celebre pagina su quella che secondo Aristotele è la molla del filosofare: gli uomini furono mossi a filosofare, allora come ora, dalla meraviglia, rimanendo dapprima attoniti innanzi ai problemi piu avvii, e poi progredendo a poco a poco sino a proporsi questioni molto superiori: ad esempio su11,. condizioni de1la luna e quelle del sole, sugli astri, sull'origine del tutto (Metaf., I, 2, 982b 12-17). Se filosofare, dunque, in senso lato, è studio dei principii e delle cause, in senso stretto l'oggetto proprio della filosofia è l'essere in quanto essere: se esiste qualcosa di eterno, immobile e separato, è evidente che spetta a una scienza teoretica conoscerlo. Non spetta dunque alla fisica (poiché essa si occupa di esseri in movimento) né alla matematic:1, ma ad
48
www.scribd.com/Baruhk
altra anteriore ad entrambe. La fisica si occupa di esseri non separati né immobili; gli oggetti della matematica sono in parte immobili, ma non sepa1 'l ti bensf nella materia, la scienza prima invece si occupa di esseri a un tempo separati e immobili... Vi saranno dunque tre filosofie speculative: la matematica, la fisica e la teologica; poiché non è difficile scoprire che se il divino esiste in qualche parte, esiste in una natura di tal genere; e la scienza piu augusta deve occuparsi del piu augusto oggetto ... Se dunque esiste un'oùa(oc immobile questa è anteriore alle altre e v'è una filosofia prima, che è anche universale in quanto prima; e a questa spetta di studiare l'essere in quanto essere, e l'essenza e i suoi attributi in quanto essere (Metaf., VI, l, 1026a 10-33). D'altra parte, entro l'àmbito della prima propos1z1one che conoscere è conoscere mediante cause (cfr. Secondi Anal., 7lb, 9-12, 94a 20; Fis., 184a 10-14), vi è tutta una zona di ricerca comune alla fisica, alla matematica e alla filosofia prima, tanto è vero che sotto questo aspetto molte pagine della Fisica e della Metafisica - e nell'una e nell'altra è trattata la matematica - sono essenzialmente comuni, e in effetto, come ha molto bene sottolineato il Ro~s (cit., p. 234), non si può dire che in pratica la distinzione tra fisica e filosofia prima sia ben mant'!nuta da Aristotele, tanto che si può notare che il grosso della Fisica, è ciò che noi chiameremmo metafisica. In realtà, " essendo forma e ma·· teria termini correlativi, c'è una difficoltà nella concezione di Aristotele, secondo cui la forma esiste talvolta pura. È infatti, questo, solo un modo di ·dire che talvolta esiste separatamente qualcosa che, come elemento formale nelle cose concrete, è completamente intelligibile " (Ross, cit., p. 105, n. l); anzi, possiamo aggiungere che, proprio perché ciò che è, è sempre sinolo di materia-forma in atto, anche se diverse sono le attualità, al limite si pone, come condizione dell'attualità di tutte le cose e del loro attuarsi, l'attualità degli atti, che è il tutto in atto, indipendentemente da ogni potenzialità, puro intelligibile, inesistente a sé, che non è alcuna delle cose o d::i piani di realtà, ma il principio della loro intelligibilità nel loro esserci: atto puro, motore immobile, pensiero di pensiero. b) I principii che permettono di pensare il divenire: forma, materia e privazione ("Fisica," II; "Metafisica"). Posto non contraddittoriamente che principii e cause della realtà sono la materia e la forma, relativamente agli oggetti ('t'lÌ !>v't'oc} di natura (animali e loro parti, piante e corpi semplici come terra, fuoco, acqua, aria: Fisica, III, 192b), il fatto d'esperienza che essi "hanno in se stessi " un principio di movi-
www.scribd.com/Baruhk
49
mento e di quiete, gli uni quanto al luogo, gli altri allà crescita ed alla decrescenza, altri ancora quanto all'alterazione" (Fis., Il, 192b 15), che cioè gli " esseri della natura ( -rti cpuae:~ ), tutti o in parte sono mossi " (Fis., l, 185a 13), pone il problema di cogliere il principio, la condizione che spiega, entro ciascuna usfa, il cangiamento. Sempre su di un piano di estremo rigore metodologico, escluso che la forma presa a sé (inesistente) dia luogo al cangiamento e che luogo al cangiamento dia la materia a sé (altrettanto inesistente), ed escluso che un'usfa, in quanto ciascuna è quella che è, possa divenire un'altra (il sostantivo gatto non potrà mai divenire il sostantivo cane, la qualità colore non potrà mai divenire la qualità suono e cosi via), il problema del cangiamento, o meglio della presenza nelle usie di graduazione, si poneva, entro l'àmbito delle usie, come rettificazione dell'antico motivo dei contrari. In effetto ogni usia, in quanto tale, non ha contrario, né può essere in piu o in meno (un uomo non può essere piu o meno uomo, essere a un tempo uomo e il suo contrario). D'altra parte, poiché ogni usia è quella che è, è principio, la cui condizione è il sinolo di materia e forma, e poiché ogni principio non può generarsi dall'altro, parlar di contrari ha senso solo entro l'àmbito di ciascuna usìa, onde il cangiamento non può esser dovuto alla negazione, ché sarebbe contraddittorio (dovremmo ammettere che ciò che è si genera da ciò che non è, o che essere e non essere sono ad un tempo) e neppure ad un passaggio da essere ad altro essere, ma è dovuto entro i termini o principii che costituiscono la cosa (forma-sostrato) a un terzo principio che è la privazione di un'altra forma in un soggetto avente già una forma.
t evidente che tutti pongono in qualche modo i contrari come principii. E a ragione, perché occorre che non i principii derivino gli uni dagli altri, ma tutto da loro; e questa condizione appartiene ai primi contrari, che, come primi, non derivano da altri e, come contrari, non vengono l'uno dall'altro... Ma il bianco viene dal non bianco... , il musico dal non musico... , l'armonico dal privo di armonia e il disarmonico dall'armonico, e l'armonico si perde nel disarmonico; e non in qualsivoglia, ma nell'opposto... Se ciò dunque ~ vero, ogni essere diveniente viene dai contrari, ognuno che si dissolva si perde nei contrari ... ; si che tutto ciò che si produce o son contrari o vengono dai contrari... Dunque è evidente che i contrari debbono essere principii (Fis., I, 5, 188a 26-189a IO) .... Ma entrambi operano su un terzo termine, distinto da ambedue... Perciò è necessario... supporre un terzo termine... Il dire dunque che tre sono gli elementi... può sembrare detto con ragione ... , ma non piu di tre; perché l'unità è sufficiente a sostenere (i contrari) (Fis., l, 6, 189b 16) .... Ciò definito, da tutti i casi di generazione, se uno li.
50
www.scribd.com/Baruhk
consideri, può ricavare, come s'è detto, che sempre bisogna che ·soggiaccia qualcosa che diviene. E questo, se è uno di numero, non è uno di forma... Ciò che semplicemente diviene nasce o per trasformazione, come la statua dal bronzo, o per addizione come ciò che cresce, o per riduzione, come dalla pietra un Ermes; o per composizione, come una casa; o per trasformazione, come le cose che mutano nella materia. Ora tutto ciò che cosf diviene, evidentemente viene da soggetti preesistenti. Perciò si può dire che i principii sono... tre... t evidente che qualcosa deve soggiacere ai contrari e che i contrari sono due ... Questa natura soggetta può conoscersi per analogia. Come il bronzo sta alla statua o il legno al letto o a ogni altra cosa avente forma sta la materia e l'amorfo prima di ricever la forma, cosr questa sta all'usla e a un dato essere individuale e reale. t dunque un principio unico, ma non è cosr unica ed una come un dato essere individuale, bensf un concetto. E !il suo contrario è la privazione ... (Fis., l, 7, 190a 13 sgg.). Con la negazione diciamo semplicemente che qualcosa non ha luogo, con la privazione che qualcosa non ha luogo in un dato genere di cose; quivi dunque, oltre a ciò che è nella negazione·, viene aggiunta la differenza; poiché la negazione indica soltanto l'assenza, mentre nella privazione risulta anche una determinata natura, come sostrato della quale si predica la privazione (Metaf., VI, 2, 1004a 9 sgg.). Principii, dunque, perché sia pensabile un oggetto e le sue modificazioni, sono la forma, il sostrato-materia e la privazione. La " privazione" naturalmente non è causa dell'esistenza, mentre sono cause, in quanto appunto condizione dell'esistere, la forma e il sostrata. La privazione rimane principio del cangi;J,mento interno ad ogni esistente, il cui perché, la causa onde si determina ed esiste in un modo piuttosto che in un altro, implica - prendendo le mosse dall'osservazione empirica del risolversi e dell'attuarsi delle cose in certi modi - un'azione (cuusa efficiente) volta ad un fine (causa finale). Per natura (rpuatc;), dunque, si deve intendere da un lato la materia (G>.YJ), che serve da soggetto Umoxd!W'ov) immediato a ciascuna delle cose che hanno esse stesse un principio di movimento (xwYjaeCùc;) e di cangiamento (!LE"t'ot~o>.=ijc;), dall'altro lato il modo d'essere (-rp67tov) e la forma (!Lopq:r1)), di cui la specie è l'aspetto (el8oc;) logico (xoc-riÌ -ròv >.6yov ). In questo senso la forma è piu natura che materia, perché ciascuna cosa è detta essere quella che è, piuttosto quando è in atto (lvn).qet~) che quando è in potenza (8uv
www.scribd.com/Baruhk
51
che ha qualcosa di conforme all'arte se è solo, ad esempio, letto in potenza e non possiede ancora la forma del letto, né che in essa v'è arte; cosi non lo diremmo per una cosa costituita naturalmente: infatti la carne o l'osso in potenza non hanno ancora la loro propria natura e non esistono per natura, finché non hanno ricevuto la forma della carne e dell'osso che fa si che siano'quello che sono, quel che noi enunciamo per definire la natura della carne o dell'osso. La natura, dunque, dev'essere nelle cose, che posseggono in sé un principio di movimento, la forma e l'aspetto, non separabili se non logicamente, xo:TcX TÒv À6yov " (Fis., II, 193a 36 - 193b 1-5). La natura, dunque, nei suoi diversi aspetti (éide), è sempre in atto, ed ogni aspetto (l'umanità, ad esempio, che è tale in quanto si attua negli uomini) evidentemente non può passare ad altro aspetto, SI che da ogni aspetto si genera il suo stesso aspetto (un uomo nasce da un uomo: Fis., II, 193b 10), per cui in conclusione, la forma di una cosa è ciò mediante la quale la cosa stessa si realizza (si muove, nasce, si sviluppa), attuandosi in ciò che doveva essere, compiendo la sua natura (cfr. Fis., II, 1): La natura, come naturante, è il passaggio alla natura propriamente detta o alla natura naturata. Il naturato, nel suo diventare tale, scorre dall'un termine all'altro. Verso quale? Non verso il punto di partenza, ma verso quello cui tende, e cioè la forma,_ fLOPtp~ ... (Fis., II, l, 193b 12-18).
Ora, negli artefacta è facile vedere la presenza - perché essi esistano - di una causa formale (l'idea, ad esempio dell'artista), di una causa materiale (il marmo in cui l'artista può realizzare la propria idea), di una causa efficiente (l'artista), di una causa finale (la realizzazione dell'idea nel marmo, la statua compiuta). Parallelamente al prodursi degli artefacta (in effetto "l'arte imita la natura": Fis., II, 194b 21), le cose naturali, ciascuna per ciò che è, implicano una forma (causa formale) che è la condizione che fa si (causa efficiente) che la cosa si realizzi, determinandosi in un certo contenuto (causa materiale), pienamente compiendo la propria natura (causa finale). Se il sapere per essere scientifico deve prendere le mosse dalle cause e dai principii primi (cfr. Fis., I, l; Metaf., I, 1-2), sia pur arrivando ad essi dai dati piu noti dell'esperienza (Fis., l, l, 184a, 16 sgg.) e dialetticamente (in senso aristotelico) discutendo le opinioni correnti e passate facendone vedere le contraddizioni (Fisica, I, 2-4; Metaf., I, 3-10, soprattutto per le quattro cause), relativamente a quella che è la
52
www.scribd.com/Baruhk
realtà nel suo apparire fisico, avente in sé movimento, l'iniziale studio dei principii costitutivi delle cose - forma, materia-sostrato e del loro cangiamento - privazione (Fis., I, 6-9; Metaf., V, l) porta da un lato all'accezione con cui dev'essere usato il termine natura (Fis., II, l; Metaf., V, 4), e, dall'altro lato, alla determinazione del retto uso del termine causa (Fis., II, 3; Metaf., I, 3-10), donde poi o si può giungere alla condizione primissima del tutto (che è la via propria della filosofia prima: Metaf., IV, 1-2; VII, IX, XI, XII), o dedurre rettamente dai principii e dalle cause ciò che in essi è logicamente implicito nella determinazione di tutti gli aspetti della natura (Fis., III-VIII: del movimento naturale in generale; De coelo, l-II: ordine e moto delle stelle; De cacio; II-IV: numero e natura degli elementi corporei e loro trasformazione; De generatione et corruptione: divenire e perire; Meteorologica: divenire e funzioni del mondo meteorologico; Biologica: costituzione degli animali e delle piante). Ancora una volta si vede bene come la Fisica e la Metafisico costituiscano, in effetto, un unico corpo, e come la Metafisica, in particolare, di cui alcuni libri sono lezioni tenute da Aristotele dopo quelle della Fisica - non a caso forse l'editore mise ai libri che costituiscono oggi la Metafisica, il nome di Metafisica, ché alcuni accenni alla Fisica portavano a dire appunto che quei libri erano stati composti dopo quelli della Fisica, J,U-r<X -r<X (jlU
www.scribd.com/Baruhk
53
senso... E in effettd tutti i tipi di causa sono riducibili a questi quattro... (Fis., II, 3, 194b 23 sgg., 195b 28). La parola causa si usa in quattro sensi, di cui uno è che diciamo causa la usia e ciò per cui una cosa è quella che deve essere ('t'Ò -r( ~ve:!v«') il perché, infatti, si riduce da ultimo al concetto, e causa e principio è il perché primo -; un altro la materia e il sostrato; un terzo quello donde viene il principio del movimento (efficiente); un quarto la causa contrapposta a questa, ossia il fine e il bene poiché questo è il fine di tutta la generazione e di tutto il movimento (Metaf., I, 3, 983a 26-31) .... Qual è per esempio la causa dell'uomo come materia? non forse il mestruo? Quale come motore? non forse lo sperma? Quale come forma? l'essenza. Quale come fine? lo scopo dell'uomo. Queste due ultime sono forse la stessa cosa (Metaf., VIII, 4, 1044a 34-36). c)· La fortuna (TUX'tJ) e il caso («ÒTOfL!XTOV ). Finalità e meccanicità ("Fisica," II; "Metafisica"). Se scienza è conoscenza dei principii e delle cause, che permettono di mostrare in tutto la ragione - " per esempio che da questo viene di necessità quest'altro e che da questo deriva o in modo assoluto o nella maggioranza dei casi; e, se questa cosa sta per accadere, di mostrare crune dalle premesse derivi la conclusione e perché questa sia la conclusione; e perché questa sia l'essenza, e perché è meglio che sia cosi, non in modo assoluto, ma relativo alla sostanza di ogni cosa": Fis., II, 7, 198b 5-9 - si dapisce che, entro l'àmbito di una realtà che si costituisce in strutture non contraddittorie, e perciò necessarie, che determinano il perché di, tutto e la ragion d'essere ed il concatenamento necessario d'ogni aspetto, la presenza della fortuna (TUXl)) e del caso («ÒTO!J.IXTOV) si ponga come problema di estrema gravità. Aristotele in effetto non accetta né respinge il motivo della TUXlJ e dell' IXÒTO!J.IXTov - "si dice anche che la TUXlJ e l' IXÒTO!J.IXTOV sono cause, che molte cose sono e avvengono per azione della fortuna e del caso": Fis., II, 4, 195b 31 - ; ne constata la presenza e discute le òpinioni che su fortuna e caso si sono avute (sia quelle che negano la loro esistenza, sia quelle che ne affermano il loro potere soprannaturale: Fis., Il, 4). Ammesso che quelli che vengono riferiti alla fortuna e al caso sono fatti di eccezione, egli tenta, per spiegare fortuna e caso, di farli rientrare nelle quattro cause (Fis., Il, 4, 195b 33). La fortuna, dice, " è una causa accidentale che sopravviene nelle cose che, essendo in vista di qualche fine, rivelano inoltre una scelta, onde pensiero e fortuna sono dello stesso ordine, ché la scelta non è senza pensiero" (Fis., 11, 5, I97a 5): il caso è "' causa accidentale, anche in vista di un fine," ma si distingue dalla fortuna ptr ·
54
www.scribd.com/Baruhk
ché il caso è piu esteso della fortuna, essendo la fortuna una specie del genere caso (Fis., Il, 6). Il caso rientra nel dominio delle cose che accadono per un fine, senza che siano oggetti di scelta da parte del pensiero, avvenendo da sé (cxÙTO!J.Ot't'OV ), onde il caso è delle cose di natura. " Caso e fortuna, dunque, conclude Aristotele, in quanto modalità di cause, rientrano l'uno e l'altra in ciò donde si genera il movimento: essi sono infatti o una specie di causa naturale o di causa dovuta al pensiero, solo che indefinito è il numero di tali specie " (Fis., II, 6,
198a). Ma poiché il caso e la fortuna sono cause di fatti dei quali potrebbero essere cause l'intelletto o la natura, quando essi abbiano una cau~a accidentale, e poiché d'altra parte, nulla di accidentale è anteriore al per sé (7tp6npov -rwv xcx&' cxu-r6 }, è evidente che la causa dovuta a un accidente non è affatto anteriore alla causa per sé. Il caso e la fortuna sono dunque posteriori all'intelletto e alla natura... (Fis., Il, 6, 198a 5-10) .
.Il presente testo, senza dubbio oscuro, si può forse chiarire quando si tenga nel debito conto la frase " nulla di accidentale è anteriore al per sé (où8èv 8è xcx-rà;
www.scribd.com/Baruhk
55
Coerentemente, dunque, il caso esiste soggettivamente, ma non è oggettivamente. Data la premessa aristotelica che è vero ciò che non è contraddittorio, e la non contraddizione è principio logico, ne risulta che la coil.dizione che rende pensabile la realtà, essendo logica, è ad un tempo intelligente, cioè razionale, onde contraddittorio, e quindi falso, è per Aristotele porre a fondamento della realtà determinazioni della materia - costituita di atomi o no - che non presuppongano una causa intelligente, ma siano dovute a un postulato incontro fortuito (Democrito). È interessante, tuttavia, ricordare come Aristotele, di tutti i pensatori a lui precedenti, ritenga il piu vicino a sé Democrito, perché anche Democrito aveva impostato la ricerca scientifica come indagine di quelle che sono le condizioni che rendono pensabile la realtà (cfr. De partibus animalium, I, 642a 14 sgg.). Ad ogni modo la discussione sulle cause accidentali chiarisce il significato dato da Aristotele alle condizioni logiche, determinanti il perché delle cose e, quindi, il loro fine, onde davvero si coglie il perché della realtà, quando si sia dedotto ciò per cui (finalità) ciascuna cosa è quella che è, necessariamente, onde la necessità non sta nella materia, ma è una necessità logica, cioè (ricordando che ciò per cui le cose son quelle che sono, è la forma) è una necessità formale. In altri termini, come sottolinea Aristotele, la necessità sta solo " ipoteticamente " o passivamente nella materia, in quanto principio delle condizioni senza di cui non si potrebbe realizzare il fine. Un muro, ad esempio, non ci sarebbe senza la sua forma di muro che è anche il suo scopo - ed un muro non è un muro, solo perché fatto di pietre che vanno verso il basso e di terra che sta in mezzo e di legno che va verso la cima: non i materiali di cui è fatto il muro son la causa del muro, e pur tuttavia non ci può essere il muro senza l'ipotesi che vi siano quei materiali (Fis., Il, 9, 200a, 36). La causalità veramente necessitante non può essere che nella forma che informa di sé la materia, e poiché l'una è relativa all'altro, di fatto tutto quel che è, è teleologicamente inteso nel suo realizzarsi (Fis., Il, 7.-9). Ma proprio qui, nel realizzarsi della natura finalisticamente (per cui, in effetto, il piano della realtà nel suo complesso è già· compiuto, in atto, da sempre: " la natura non getta via nulla di cui possa essere fatto qualcosa di utile ": " La natura non fa nulla invano, nulla di superfluo "; " La natura si comporta come se prevedesse il futuro"), relativamente a ciascun avvenimento, può inserirsi, nell'individuazione, ciò che spezza la catena della necessità. In altri termini : in quanto ciascuna cosa la si consideri compiuta, essa è quella che è, ed è comprensibile in quanto se ne colgano le cause; in quanto la si
56
www.scribd.com/Baruhk
consideri nella sua pura potenzialità, come possibilità di esistere, nulla
è determinabile assolutamente, sia per quel che riguarda gli atti umani, s1a per quel che riguarda gli eventi naturali. Che ci siano fatti, di cui i principii e le cause appaiono e scompaiono, sebbene non si possa dire che nascono e periscono, è evidente. Se cosi non fosse, dovendo esserci una causa non accidentale del nascere e del perire, tutto avverrebbe di necessità. Se si chiedesse, infatti: Avverrà o non avverrà un tal fatto? si risponderebbe: SI, se ne avviene nn altro; se no, no. E quest'altro poi avverrà se altro ancora avviene. E cosi è chiaro che, sottraendo sempre del tempo da un tempo limitato, si arriverà al momento attuale... Per cui tutte le cose future avverranno di necessità. Ad esempio: chi vive, dovrà morire, perché è già avvenuto questo... Ma se uno morrà di malattia o di morte violenta, questo ancora non è prestabilito, finché non avvenga quel fatto determinato... (Metaf., VI, 30 1027a 29 sgg.). Tutto è, sempre, formalmente in atto, onde, appunto, dice Aristotele, l'atto precede la potenza (cfr. Metaf., IX, 8, 1049-50), o meglio, l'attualità di ciascuna cosa è la condizione perché essa sia possibile, costituendone il fine. Non ci sarebbe questo o quell'uomo se non ci fosse in atto l'umanità, che è, in quanto si costituisce negli uomini; solo che, relativamente all'individuazione, questo Callia e questo Socrate potevano non esserci. Sotto questo aspetto pur essendo data la forma, la materia e i fini, nell'individuazione resta un margine di possibilità, di casualità (per esempio: io ci sono ed essendoci non avrei potuto essere senza quella che è la forma uomo e una x materia, per cui sono quello che sono avendo un fine; ma avrei potuto essere un altro, si come nel mio necessario realizzarmi come uomo può sempre da parte della materia intervenire un qualcosa per cui mi ammalo o mi realizzo in uno o altro modo, per cui posso nascere anche mostruoso). In sé tale casualità è irriducibile e, dunque, non determinabile scientificamente: in concreto, entro un certo ambito, ciascun effetto si può far risalire a certe cause, ed entro queste, in quanto verificabili, si può avere scienza (medicina, ad esempio). Scienza, appunto, si dà dell'universale e non del particolare, né conoscenza si dà della materia prima a sé, in quanto la materia ò pura possibilità o potenza, cioè l'indefinito, la necessità " ipotetica."
d) Potenza (8Uv1XtJ.tt;) e atto (~v~pyt:tiX- ~n:Àéx_e:tiX). Indagine scientifica e metodo. Fisica, matematica e filosofia prima ("Fisica"; "Metafisica "). Il discorso ha portato a precisare come Aristotele possa indieGre la materia col termine potenza e la forma col termine atto, sempre
www.scribd.com/Baruhk
entro l'àmbito della ricerca di quelle che sono le condizioni perché sia possibile la fisica come scienza. Tutto ciò che diviene, diviene per opera di qualcosa, viene da qualcosa, diventa qualcosa... Cosi che, come si dice, il divenire sarebbe impossibile, se non preesistesse qualcosa. Che una parte, dunque, debba necessariamente esistere già, è evidente: questa parte è la materia: essa infatti è insita e diviene (Metaf., VII, 7, 1023a 13, 1032b 30) .... Il produrre un oggetto determinato è un ricavare quest'oggetto determinato da un sostrato interamente sussistente... È evidente dunque che ciò che diviene non è quel che prende nome da essa, e che c'è una materia, insita in ogni cosa che diviene, ed è ora questa, ora quella cosa (Metaf., VII, 8, 1033a. sgg.).... Ciò che muta è la materia, quello in cui si muta è la forma ... (Meta/., XIII, 3, 1070a 1-2). Sotto un certo aspetto, cioè in quanto considerate separatamente (logicamente), tanto la materia quanto la forma sono potenzialità: l'una passiva (materia) perché sostrato indefinito, avente la possibilità (Bovoc1''~) di assumere, di ricevere, di patire forma; l'altra potenzialità attiva (forma), perché avente in sé la possibilità di informare la materia, agendn su di essa (cfr. Meta/., IX, l, 1046). Solo che di fatto, considerando che nulla è, che nulla è pensabile, se non sia sinolo di materia-forma, tutto è sempre in atto ed è sempre in potenza, o meglio ciascun oggetto - in quanto è quello che è - è in atto (un pezzo di legno è in atto un pezzo di legno, sinolo di materia-forma), ma, in quanto ha la possibilità di assumere altro aspetto, mediante la privazione di una certa forma, è, rispetto alla diversa forma, in potenza (il pezzo di legno, in atto pezzo di legno, è in potenza un tavolo o un letto e cosi via). D'altra parte, poiché ciò che è, ha insita una propria vitalità (tale vitalità, astrattamente presa, è la potenzialità attiva, ché tuttavia non esiste se non in quanto si realizza in un sostrato che non è se non nelle realizzazioni), ogni oggetto è tale nel suo attuarsi (~v~pye~oc) e nel suo realizzarsi di atto in atto in quello che è il suo proprio fine (~vn:Àqe:~oc ), per cui ciascuna cosa nella sua stessa compiuta attualità (~vore:Mxe:~oc) è tale, in quanto si scandisce in rapporto di potenza e di atto, circolarmente, da individuo a individuo. Ogni specie, dunque, realizzandosi (e non esistendo se non nel suo realizzarsi), individuandosi, pur nel suo scandirsi in una gradualità di potenze e di atti, resta in sé quella che è, esistendo negli individui, senza mai, evidentemente, poter passare ad altre specie. Se, dunque, nulla è pensabile se non in quanto sinolo di materiaforma, che è quello che è, in quanto assumendo la propria forma attua ciò per cui è (il proprio fine), di ciò che è per natura, o di ciò che è
58
www.scribd.com/Baruhk
artefacto, non si può spiegare il cangiamento senza la potenzialità, ma neppure senza l'attualità; anzi, logicamente, l'attualità è anteriore alla potenzialità.
L'essere in movimento ha luogo quando ci sia l'attualità stessa (!V't"Ené prima né dopo. Il movimento è proprio l'attualità di ciò che è in potenza, non in quanto in esso stesso (il bronzo è in potenza la statua, e tuttavia non è l'entelechia del bronzo in quanto bronzo quello che fa n movimento), ma in quanto ha la possibilità di muoversi, quando cioè la sua attività (!vépyeLat) sia attuale (~eLOt) (Metaf., IX, 1065b 20-24) ..• Il nome stesso di attuazione (!vépye~Ot) si dice in rapporto all'azione (lpyov) ed esprime la tendenza all'attualità finale (!v-re:~e~at) (Metaf., IX, 1050a 22). )jxe~at),
Anteriore alla potenza è l'enérgheia sia relativamente al concetto (" ciò che ha originariamente la potenza, è fornito di potenza, in quanto è capace di passare all'atto: costruttore, ad es., è chi ha la potenza di costruire, veggente chi può vedere, ecc.": Metaf., IX, 8); sia relativamente all'essenzialità (oòa(at) ("ciò che è posteriore nella generazione è anteriore nella specie, nell'usla ... e ciò che 'diviene procede verso un principio e un fine, e principio è il perché, e per il fine si compie il divenire ... ": Meta/., ib.), sia relativamente al tempo \l'individuo in atto è anteriore in quanto è identico di specie, non di numero: cioè di questo uomo qui, che è già in atto ... è certo anteriore la materia, ma a questo sono anteriori nel tempo altri uomini in atto, da cui questo è nato •.. Sempre l'essere in atto deriva da quello in potenza per opera di un altro essere in atto... " : M eta/., ib .). Sembra, cos1, chiaro, perché Aristotele, sotto altro aspetto, dica che non è la forma che tende a realizzarsi (ché essa non è priva di se stessa), ma la materia (cfr. Fisica, I, 9, 192), onde, appunto, non contraddittoriamente, i principii, per cui qualsiasi realtà è pensabile in quello che è, in quanto usfa, sono la forma, la materia, la privazione, e, relativamente a questi, la causa formale-efficiente-finale e la causa materiale, donde scaturisce l'oggetto nel suo concreto esserci in quanto potenza e atto (enérgheia), costituenti nel loro scandirsi la sua attuale compiutezza (enteléchda). Vi è ora un testo della Metafisica (XII, 5) che chiarisce esattamente il significato formale delle nozioni di materia, di forma, di cause, quali principii senza di cui nulla è pensabile, e a cui, se è possibile conoscere un qualsiasi oggetto, si riconducono le cause individuate e l'individuata materia e forma dell'oggetto.
www.scribd.com/Baruhk
59
Solo analogicamente si può dire che tutte le cose hann~ gli stessi principii, l'atto, ad es., e la potenza, sebbene, anche questi, diversi nei diversi oggetti, o in modo diverso: poiché in alcuni casi ... lo stesso oggetto talora è in atto, talora è in potenza. Anche questi, tuttavia, si riducono alle cause di cui abbiamo parlato: all'atto, infatti, si riduce la forma, in quanto ha una propria esistenza, unendosi con la materia in ciò che scaturisce d'ambedue ... Alla potenza, invece, si riduce la materia: ché essa è ciò che ha la capacità della forma e della privazione insieme ... Delle cause poi alcune si possono dire universali, altre no. I principii propri di ogni cosa sono sempre qualcosa di determinato, sia il principio in atto, sia quello in potenza. Tali non possono essere gli universali; ché principio di ciò ch'esiste individualmente è sempre un particolare individuo. Certo l'uomo in universale è principio dell'uomo in universale: ma questo, poi, non è nessun uomo. Invece, Peleo è causa di Achille, di te tuo padre ... La materia, la forma, la causa motrice sono diverse per me e per te, pur essendo le medesime secondo il concetto in universo. Se dunque si chiede quali siano i principii e gli elementi delle sostanze e delle relazioni e delle qualità, e se siano gli stessi o diversi, è chiaro che, parlando in generale, son gli stessi per ogni cosa, ma, in particolare, non son piu gli stessi, bens{ diversi. In un certo modo soltanto si può dire che sono gli stessi per tutte le cose, in quanto cioè sono gli stessi analogicamente: materia, forma, privazione e causa motrice e in quanto, anche, le cause delle sostanze son cause di tutto, perché, tolte queste, è tolto tutto; in fine per la causa prima di tutte le cose (il motore immobile), ch'è in atto perfetto (atto puro) (Metaf., XII, 5, 1071a). Materia, forma, cause sono, dunque, le condizioni universali e necessarie mediante cui è possibile fondare la fisica come scienza, in quanto principii non contraddittori che spiegano l'esserci delle cose nella loro realtà .concreta e nel loro attuale moto: di fatto, in sé non esistono né la materia né la forma né le cause, ma sono esse che logicamente servono a inquadrare ed a spiegare gruppi di fenomeni e a determinare scientificamente le cose. Ecco perché, entro questi limiti del sapere scientifico (" chi attua le cose [o ne ripercorre le condizioni], le conosce ": · Metaj., IX, 9, 105la), Aristotele sostiene l'impossibilità della ricerca delle caùse all'infinito e dei fini all'infinito. A parte l'assurdo del processo al· l'infinito (" se nessuna causa è la prima, non ci satà piu nessuna causa," Meta/., II, 2, 994: se non c'è un certo fine ultimo non ci sarà neppure il fine), Aristotele, proprio mediante la contraddittorietà in cui cade chi nella ricerca vada all'infinito, in questo suo delineare i prolegomeni per ogni futura scienza (in cui consiste la sua metafisica) tende a determinare, entro i termini delle condizioni o cause prime razionali che permettono una certa scienza, l'àmbito preciso e limitato di quella scienza stessa, nella sua applicazione concreta.
www.scribd.com/Baruhk 60
È qui, entro queste sue precise indicazioni metodologiche, che Aristotele può determinare i campi scientifici delle scienze teoretiche: fisica, matematica e filosofia prima, che tuttavia hanno in comune, perché possano dirsi scienze, le condizioni formali di cui sopra abbiamo discusso. Al matematico, dunque, spetta, entro l'àmbito del fisico, lo studio dei piani, dei solidi, delle linee e dei punti (che pur appartengono ai corpi fisici) non in quanto essi siano "limite di un corpo fisico" (oùx. cpucnxou a(.Lot-roc; 7tÉpocc; ), di fatto inseparabili dal corpo fisico mobile, ma astratti dal movimento e non in quanto attributi di ciò ch'esiste (" essi sono infatti separabili mentalmente -r7i vo~ae:t, dal movimento, e tale separazione non genera errore," ché " l'errore starebbe, invece, nel separare le cose naturali ") (Fisica, II, 193b 24 sgg.). " Il dispari, il pari, il retto, il curvo, il numero, la linea, la figura possono esistere senza il movimento, ma non la carne, l'osso, l'uomo ": non si può astrarre la camusità, mentre si il curvo (Fisica, II, 2). " In camuso è compresa sempre la materia (camuso diciamo un naso che ha una certa curva), la curvità, invece, è compresa senza materia sensibile" (Metaf., VI, l, 1025b - 1026a). Il matematico cosi " costruisce la sua dottrina intorno a concetti ch'egli ha ottenuto per mezzo dell'astrazione, spogliando prima le cose di tutte le qualità sensibili, ... conservando solo la quantità e il continuo a una, a due o a tre dimensioni " (Metaf., XI, 3, 106la 28 sgg.), e mentre l'aritmetica tratta della quantità discreta o inestesa, la geometria ha per oggetto la quantità continua o estesa (Metaf., 1220a 7-14) e, dunque, la materia intelligibile, cioè, appunto, la pura estensione. Compito del fisico in senso stretto, è, invece, lo studio dell'essere nel suo esserci concreto, nella sua sinolicità e movimento, in un'applicazione, anche dei risultati del matematico, a ciò che concerne l'astronomia, l'ottica, l'armonica e la meccanica, determinando la forma (e:!8oc;) e ciò per cui ciasct.na cosa è quella che è (-rò -r( èa-rtv ) (Fisica, II, 2, 194b 8-9):
ma fino a qual punto il fisico deve conoscere la forma e il ciò che è? Non come il medico che conosce il nervo e il fabbro il bronzo, cioè solo fino a un certo grado? Ciascuna di queste cose, infatti, è in vista di qualcosa ed appartiene a cose separabili relativamente alla forma (e:t8e:t ), ma in una materia (èv lSÀ1) ). Infatti, ciò che genera un uomo è un uomo ed il sole (calore]. Quanto invece al modo d'essere ed all'essenza (-r( èG"rt) di ciò che è separato, determinarlo è opera della filosofia prima (Fisica, II, 2, 194b 10-15).
www.scribd.com/Baruhk
61
e) .Il movimento e le sue condizioni logiche: l'indefinito, il luogo, il vuoto, il tempo ("Fisica," III-IV). Relativamente alla fisica, determinate le condizioni del divenire, Aristotele passa a considerare le condizioni che permettono di pensare in concreto il movimento, ch'egli definisce "l'attuazione (~vTe:'M:x,e:toc}di ciò che è potenziale" (Fis., III, l, 20la 1315). In altri termini, il movimento non si può né risolvere in pura apparenza, negandone la realtà (Eleati), né accettarlo come dovuto alla mescolanza e alla disunione, negando il cangiamento (Empedocle, Anassagora, Democrito), né risolverlo in movimenti separati e indivisibili (Megarici), né considerarlo come avente luogo con passaggi " istantanei" (Platone). La nozione di movimento, per non essere contraddittoria, deve ammettere la continuità. Di qui, appunto, la celebre definì- · zione del movimento: attualizzazione del potenziale. " Cosi fa parte della natura del movimento che il potenziale non abbia ancora totalmente perso la sua potenzialità e non sia ancora divenuto attuale: (j questa la differenza fra movimento (x(Vl')O"tç) ed attività (lvépyetoc ). In ciascun momento dell'attività la potenzialità è completamente cancellata e trasformata in attualità; nel movimento la trasformazione non è completa finché il movimento non è terminato. In altre parole il movimento differisce dall'attività come l'incompleto dal completo; o, parlando meno rigorosamente, il movimento è attività incompleta (' atto imperfetto': cfr. Metaf., IX, 6, 1048b), e l'attività è movimento completato (' atto perfetto ': ib.). Il movimento non può essere classificato .fimpliciter o come potenzialità o come attività. È un'attualizzazione, ma tale da implicare la sua P.ropria incompletezza e la continua presenza della potenzialità" (Ross, cit., pp. 120-21). Il movimento, dunque, non ha luogo né relativamente all'usfa, che in quanto tale è l'attualizzazione e non ha in sé i contrari, né relativamente alla relazione tra termini, che costituisce la definizione, perché rispetto ai termini la relazione non cambia; il movimento è presente solo relativamente alla qualità, alla quantità e al luoga (generazione e corruzione, alterazione, aumento e diminuzione, locomozione), si che, in effetto, nulla si muove in quanto in atto, mentre tutto si muove in quanto realizzazione dell'attualità, nello scandirsi di potenza-atto, per cui ad un tempo esiste e non esiste l'indefinito (!ne:tpov ), ché tutto è ad un tempo definito e indefinito. Assurdo porre l'indefinito come una realtà per sé, o materia prima, assurdo porre l'indefinito come attualità (ché nulla, all'infinito, sarebbe): l'indefinito ha una sua realtà relativa inerente alla potenza, rispetto alle grandezze (ogni grandezza, in atto non infinita, è indefinita rispetto aila divisibi-
62
www.scribd.com/Baruhk
lità), rispetto al tempo (ogni momento temporale in atto è'-non indefinito, indefinite invece sono le parti del tempo), rispetto alla composizione ed alla divisione (" il tutto, che è finito, è ciononostante infinito rispetto all'addizione, nel senso speciale che possiamo costruirlo coll'addizione di parti diminuenti secondo una ragione costante ": Ross, cit., p. 125) (cfr. sull'infinito tutto il III libro della Fisica). La nozione di movimento implica, dunque, la nozione del continuo e quella del continuo la nozione dell'indefinito: solo che il continuo, in quanto condizione del moto, è pensabile come una specie di sostrato indefinito, cioè potenza, inesistente se non nelle realizzazioni delle cose che, in quanto in atto, sono finite, limitate, onde l'una cosa si determina come limite rispetto all'altra. Perciò la nozione dell'illimitato-limite, e del definirsi delle cose in limiti, pone, come condizione di sé e del movimento, i concetti di luogo, di vuoto e di tempo (Fisica, libro IV). Proprio in quanto ogni realtà si scandisce nel rapporto di potenzaatto, ogni realtà nel suo divenire costituisce un'indefinita serie di limiti (illimitato-limite = continuo), cioè di cose compiute e compientisi l'una accanto all'altra nella loro corporeità: il luogo, il 't'61to~ (è importante ricordare che Aristotele non usa il termine spazio :x.6,pet-:x.6,pet è usato per intendere le grandezze spaziali, o la materia intelligibile, oggetto proprio della geometria) è il contenente del complesso di tutti i limiti, inesistente al di là dei lin:titi stessi, onde entro il luogo, cioè il tutto pieno, si possono costituire i luoghi, " su," " giu," " a destra," " a sinistra." Il luogo, pur avendo le tre dimensioni (lunghezza, larghezza e profondità) che determinano ogni corpo, è impossibile che sia un corpo, ché, allora, vi sarebbero due corpi nello stesso luogo... Non solo ma se fosse anch'esso uno degli enti, in che luogo sarebbe? ché l'aporia di Zenone merita qualche ragione: se ogni ente è in un luogo, ci deve essere un luogo anche per il luogo e cosi via indefinitamente (Fisica, IV, l, 209a 4, 25) .... Se poi il luogo è ciò che delimita ciascun corpo, esso è un certo limite: il luogo quindi sembrerebbe essere l'aspetto (e:I8o~) e la forma (!J.opqrf)) di ogni cosa, mediante cui si vien definendo la grandezza, cioè la materia della grandezza, ché tale è per ciascuna cosa la funzione del limite. D'altra parte, in quanto il luogo sembra essere l'intervallo della grandezza, il luogo è la materia, nel senso che sembra essere ciò che è raccolto insieme e determinato dalla forma, come una superficie e un limite... Ecco perché Platone afferma nel Timeo l'identità della .materia e dello ~pazio come estensione (:x.6,pet): ricettacolo ed estensione sono infatti una sola e medesima cosa... È contraddittorio tuttavia porre il luogo sia come forma, sia come materia. La forma (d8oc;) e la materia sono infatti inseparabili dall'oggetto, mentre il luogo lo è, nel senso -che laddove c'era aria può sopravvenire acqua, potendosi i
www.scribd.com/Baruhk 63
corpi rimpiazzare reciprocamente (Fisica, IV, 2, 209b l sgg.) .... [Se, dunque, il luogo può essere tanto la forma quanto la materia, ··quanto l'intervallo], il luogo non è nessuna di queste tre cose, è necessario che sia la rimanente delle quattro realtà, cioè il limite del corpo contenente. E per contenuto intendo i·. corpo mobile per traslazione. Ora, come y.n vaso è un luogo spostabile, cosf il luogo [in quanto vaso contenente tutti i vasi] è un vaso immobile ... Sicché il limite primo immobile del coptenente, tale è il luogo (Fis., IV, 4, 212a 2 sgg.); [e perciò mentre tutto nell'universo fisico è in un luogo, in una continuità di luoghi, l'universo non ha luogo] (Fis., IV, 5, 212b sgg.). ·Poiché, d'altra parte, il luogo è condizione del movimento, che permette l'attualizzazione nella sua continuità, si capisce come Aristotele, posto che l'universo nella sua totalità non è in alcun luogo, " ché oltre l'universo e il tutto nulla v'è fuori dell'universo," sostenga che l'Universo è immobile; o meglio, come da un lato sia immobile (o si muova di moto perfetto, cioè circolare) e dall'altro lato, entro di esso, tutto si muova, in sé e localmente, tra i punti circolari del cerchio e il centro del cerchio stesso. S'impostava cosi la celebre teoria cosmologica del movimento circolare (il moto perfetto dei cieli), il moto della sfera, e dei moti rettilinei (quello dei raggi della sfera), tra il cerchio e il centro, ove il centro costituisce il basso (luogo naturale dei corpi pesanti) e il cerchio l'alto (luogo naturale dei corpi leggeri), in una graduazione continua di piu e meno peso, di piu e meno leggero (Fisica, IV, l, 2, 5) nella tensione di ogni corpo al suo luogo naturale. Posto che il luogo - inteso come limite primo immobile del contenente, costituito di luoghi - serve quale condizione che permette il fatto movimento come contiguità (dall'alto in basso, dal basso in alto e circolarmente), Aristotele nega il vuoto, poiché il vuoto -- pur ammesso dagli atomisti come condizione del movimento - non spiega nulla e non è pensabile; perché sia possibile il movimento bastano la contiguità e i luoghi naturali come continuità di limiti al limite, ché la stessa rarità e densità delle cose si spiega con la possibilità della materia di assumere stati diversi a seconda della determinazione qualitativa dei suoi elementi: fuoco, aria, acqua, terra (Fisica, IV, 6-9). Tale negazione del vuoto, naturalmente, va veduta entro l'àmbito di quelle che secondo Aristotele sono le condizioni che rendono pensabile la realtà, ma, comunque, chiarisce, ancora una volta, che Aristotele si muove su di un piano logico-metodologico, attraverso un esame continuo delle varie tesi e delle nozioni proprie della sua epoca. Entro questi termini va veduta anche la discussione sul tempo. Se è vero che il tempo è im-
64
www.scribd.com/Baruhk
pensabile come realtà per sé stante - il tempo non è forma né materia, e in effetto non è mai, ché il passato non è piu, il futuro non è ancora e il presente, l'istante ( -rò vuv ), è il limite inafferrabile che scorre tra il passato e il futuro - tuttavia, poiché il tempo implica il cangiamento (cfr. Fisica, IV, 11), o meglio poiché non potremmo determinare il movimento senza il prima e il poi, condizione perché sia pensabile il movimento è accanto al luogo, il tempo. Qui Aristotele è chiaro: il tempo è movimento dell'anima, la coscienza di passare da uno ad altro stato d'animo: "è percependo il movimento che percepiamo il tempo: se quando siamo al buio e non sentiamo nulla mediante l'intermediario del corpo, un movimento si produce nell'anima, sembra allora che simultaneamente sia passato un certo tempo; e, inversamente, quando " sembra che sia passato un certo tempo, simultaneamente sembra che anche si sia prodotto un certo movimento. Il tempo, dunque, è mo-vimento o qualcosa del movimento " (Fisica, IV, 219a 30 sgg.). Poiché contraddittorio sarebbe identificare il tempo col movimento (il tempo è uno, e molti sono i movimenti, il tempo non è né rapido né lento, e tali sono, invece, i movimenti), il tempo è qualcosa del movimento. Certo il movimento, avvenendo nel luogo implica un prima e un poi locali (1tp6-re:pov xoct Ga-re:pov ), ma poiché il prima e il poi non esistono se non nella coscienza, il tempo è, appunto, l'unità di coscienza del movimento, l'unità del passato, del presente e del futuro, onde il tempo sta alla coscienza come la continuità sta al luogo. Il " tempo dunque è il numero (la misura) del movimento secondo il prima e il poi" (Fù., IV, 11), e poiché per numero s'intende tanto il numerato quanto il numerare, Aristotele precisa che il tempo è numerato (219b sgg.), cioè non è il numero (ciò con cui numeriamo), ma è l'aspetto numerabile (misurabile) del movimento. Il tempo quindi è, finché v'è movimento, e " tempo e movimento sono insieme " (Fis., IV, 14, 223a 20).
Ma problema veramente inquietante è sapere se, senza l'anima, il tempo esisterebbe o no; ché se non vi fosse niente che numera, non vi sarebbe niente che numera e quindi non vi sarebbe numero, poiché è numero o il numerato o il numerabile. Ma se nulla per natura può numerare se non l'anima, e nell'anima l'intelletto, non vi può essere tempo senza anima, tranne che ciò che è il sostrato del tempo, come se per esempio dicessimo che il movimento può essere senza l'anima. Il prima e il poi, comunque, è nel movimento, e il tempo è la sua numerabilità (Fis., IV, 14, 223a 21-29), [onde, dato che il movimento perfetto è quello circolare, si capisce come si possa identificare il tempo con il moto delle sfere celesti e si parli dei cicli
www.scribd.com/Baruhk 65
temporali, soprattutto per ciò che riguarda
fenomeni celésti] (Fis., IV,
14, 223b 12-33).
f) La condizione prima del moto: il motore immobile. Dio postulato e condizione del sapere scientifico e in particolare della fisica come scienza. L'atto puro, pensiero di pensiero. l cieli ("Fisica," V-VIII; "Metafisica," XII). Di proposito non abbiamo nettamente distinto, relativamente alle scienze teoretiche (fisica, matematica, filosofia prima) i tre campi, com'è d'uso. In effetto Aristotele non ha mai fatto tali distinzioni. Esse nascono dal di dentro della discussione, che si è sempre mantenuta nell'àmbito della rigorosa determinazione di quelle che, ripetiamo, sono le condizioni del sapere, implicanti in quanto chiarite, le condizioni perché sia possibile un retto discorso sulla realtà effettuale. È facile, senza tener conto della vivacità della lezione aristotelica - pur ancora presente, nonostante gli ordinamenti e le ricuciture posteriori costruire architettonicamente in sezioni separate capitoli aventi per oggetto la fisica, la matematica, la filosofia prima. In realtà - anche messa da parte la questione piu strettamente cronologica della composizione delle varie parti di ogni scritto di Aristotele - ciò che ancora risulta chiaro è come Aristotele dovesse procedere discutendo insieme, per ogni argomento, piu nozioni, chiarendo l'una con l'altra, mantenendo sempre al filosofare una sua funzione ben precisa, e cioè quella di determinare non contraddittoriamente le strutture condizionanti i fatti di esperienza. È da questa analisi, che, di volta in volta, Aristotele indica quale debba essere il campo specifico di ogni scienza. Solo che prima di tutto, proprio per rispondere all'iniziale problematica suscitata da Platone (perché le cose sono quali sono, il divenire, il fine e il bene del tutto), ~ stato per lui essenziale - come dimostra il suo continuo ripetersi -· determinare le strutture logiche che rendano conto del perché, dell'esserci come divenire e movimento, del fine. Sotto questo profilo, dopo aver risposto nl"1 certo qual modo che sappiamo alla domanda prima sulla condizione che permette di pensare l'essere in concreto, si capisce come la maggior parte dei corsi di Aristotele, anche ripetuti piu volte, vertesse sulla fisica e come anche gran parte di quella che noi chiamiamo metafisica, fosse la determinazione dei termini che rendono possibile la scienza dell'esistere, che è la fisica. A guardare piu da vicino, tutti i libri dell'attuale Metafisica, senza dubbio nati in epoche diverse, sono, per un verso o per l'altro, antiQpazioni o riprese o approfondimenti, delle lezioni sulle condizioni della fisica. È cosi che, fino ad ora, ab-
www.scribd.com/Baruhk 66
biamo ripercorso i libri I-IV della Fisica, cercandone chiose, commenti e approfondimenti, in molti dei libri della Metafisica. W. Jaeger ha dimostrato con successo che il celebre libro A (XII) della Metafisica, che va anche sotto il nome di "trattato di teologia," non ha nulla a che fare con il complesso degli altri libri. " Com'è dimostrato dallo stile e dalla scelta dei concetti, esso rappresenta una singola lezione o conferenza, composta per una determinata occasione, la quale non offre soltanto la parte della totale scienza metafisica, designata come teologia, bensf qualcosa d'assai piu comprensivo: un completo sistema di metafisica in nuce. In linee serrate, Aristotele offre un panorama di tutta la sua filosofia teoretica, cominciando con la dottrina della so· stanza e concludendo con la dottrina di Dio " (Aristot., cit., p. 296). Lo stesso va ripetuto per i libri V e VI della Fisica, che costituiscono insieme, piu che una conferenza, un solo trattatello di esercitazioni sul concetto di movimento e sui problemi che ne derivano. Libro V: preliminari a uno studio sul movimento, il contenuto del movimento, consecutività, contiguità, unità del movimento, movimento e quiete; libro VI: composizione del continuo, tempo e grandezza, l'istante, i vari tipi di cangiamento, cangiamento in atto e cangiamento in compimento; la finitezza nel moto, impossibilità del movimento dell'indivisibile e del movimento infinito. L'attuale VII libro della Fisica sappiamo che è un'interpolazione e che originariamente - nelle due redazioni - fu un abbozzo del libro che oggi figura come l'VIII della Fisica, che ha per argomento l'esistenza del primo motore e l'eternità del movimento. A questo proposito è interessante ricordare che nel libro VIII Aristotele rifacendosi a ciò che ha già detto nei primi tre libri, li cita col nome di Fisica mentre non ricorda mai, con tale nome, i libri V e VI. Ora, che l'VIII libro della Fisica e il XII della Metafisica risalgano ad un'epoca piuttosto antica dell'insegnamento di Aristotele, è vero: egli vi dibatte ancora la questione del divino nei termini dell'ultimo Pfutone (in special modo del Sofista, del Timeo, delle Leggi e dell'Epinomide), intendendo il divino come la ragion d'essere del tutto, principio e fine, motore primo della realtà : diremo dunque - esclamava Platone nelle Leggi, X, 895b -- che il prin· cipio di tutti i movimenti e il primo, che sia esistito in ciò che è in istato di quiete e che esista in ciò che si muove, è necessariamente quel movimento che muove se stesso, come il piu antico e il piu potente di tutti, e che quello che deve ad un altro il suo cambiamento, ma che a
www.scribd.com/Baruhk
67
sua volta muove altri oggetti, tiene il secondo posto ... "Vuoi tu negare," aveva detto Platone nel Sofista, 248e-249a, " vita, pensiero e movimento ali' essere che è? " Solo che anche la questione del divino (anche quale appare dal XII della Metafisica), pur prendendo le mosse dal problema fondamentale del Platone vecchio (la giustificazione ultima dell'ordine e del fine del tutto, in funzione de~: 0r line etico-politico: cfr. in particolare Leggi ed Epinomiàe), è ripresa da Aristotele non piu in funzione politica, mametodologicamente, cioè come analisi di una nozione atta a spiegare (e solo in quanto tale valida) l'esistere del tutto e l'unità del tutto nel suo eterno moto, dando luogo, in un posteriore approfondimento, alla denominazione della filosofia prima non piu solo come" teologia" (cfr. Metafisica, 1), ma, e soprattutto, come scienza di ciò che è in quanto è (cfr. in particolare, i libri VII, VIII e IX della Metaf.). Certo va qui premesso che in quello che è oggi l'VIII libro della Fisica, la discussione, prendendo le mosse dalla nozione di movimento, è· essenzialmente incentrata nel tentativo di determinare non contraddittoriamente la condizione prima del moto; mentre nel XII della Metafisica, data per risolta la pensabilità dell'usia in quanto sinolo di materia-forma e del movimento di ciascuna usia nel suo rapporto di potenza-attualizzazione-atto, la discussione s'incentra, accanto a quella della condizione prima· del moto, nel tentativo di determinare la condizione prima della stessa una, l'essenzialità pura, in atto, priva dunque di qualsiasi altra possibilità. Come la linea implica la divisibilità all'infinito e a un tempo la indivisibilità (ché altrimenti si annullerebbe), cosf il movimento, che è sempre stato e che sempre sarà (è impensabile un tempo senza movimento, ché tempo e moto sono correlativi), implica, perché non si annulli, un'infinita serie di motori che muovono e sono mossi, e, quindi, al limite, un primo motore. Ora, poiché condizione logica del movimento è, accanto al luogo e al tempo, il primo motore, che, dunque, non è mosso - appunto perché primo - è altrettanto logico - cioè necessario, come dice Aristotele - che il primo motore sia immobile. E poiché nella continuità il movente e il mosso implicano l'indefinita serie di finiti, cioè di parti o grandezze, la condizione prima, al limite, di tutto il movimento, il motore immobile non ha parti, cioè non ha grandezza. Esso, dunque, sempre in atto, logicamente precede la potenzialità e poiché la potenza, in quanto possibilità di assumere forma, cioè di realizzare in sé una compiutezza, è tensione (in ogni esistente)
68
www.scribd.com/Baruhk
all'atto, che, relativamente agli oggetti è prima e poi, il motore immobile è causa e fine, ed è eterno. Entro questi termini si capisce come Aristotele - sotto altro rispetto - possa dire, nel XII della Metafisica, che tutto tende ad esso, ch'esso muove rimanendo immobile, e che, dunque, poiché tutto tende a realizzare sé e la propria natura, volgendosi al primo motore, esso è, metaforicamente, il sommo bene. " E una causa tale muove come muove l'oggetto dell'amore, e, per mezzo di ciò che da essa è mosso muove tutto il resto" (Metaf., XII, 1072b 5), muovendo, dunque, non fisicamente, ma, appunto, come oggetto di desiderio. V a qui notato che nell'VIII della Fisica e nella prima parte del XII della Metafisica, ove si ripetono o si anticipano gli stessi argomenti sul motore immobile, causa prima e fine del movimento del tutto, il termine Dio è assolutamente taciuto. Il termine Dio appare - e si badi in una mezza pagina appena -nella seconda parte del XII della Metafisica, in posizione retorico-evocatrice, a conclusione dell'argomentazione sulla necessità di porre a condizione della pensabilità del movimento un primo motore non mosso, che - prendendo la questione dal punto di vista del rapporto atto-potenza-atto - è, ad un tempo, atto puro. Posti, quali due termini estremi entro cui si distende la realtà, la potenza pura - o materia prima - da un lato, e, dall'altro lato, l'atto puro, si è molto parlato di un rinnovato dualismo platonico da parte di Aristotele. Ora, a parte la tesi che sarebbero, queste, pagine abbastanza antiche, risalenti ad una problematica platonica - di un ultimo Platone in cui è tuttavia difficile parlare di dualismo, a meno che non si pensi all'interpretazione di Speusippo o di Senocrate, - ciò che sembra potersi concludere dai testi è che in effetto abbiamo qui un'interpretazione degli ultimi dialoghi di Platone, in chiave di questione di metodo. Aristotele non ha mai posto la materia prima come realtà esistente, ma come termine ideale al limite. E poiché la potenza non è pensabile senza l'atto, la materia senza la forma, l'atto è logicamente prima. E poiché, ancora, tutto è sempre in atto (anche se sotto altro aspetto è in potenza), condizioni': perché sia pensabile la realtà - che nei suoi aspetti molteplici è in potenza e in atto, ma che nella sua totalità è sempre in atto - è l'attualità degli atti, che non è nessun atto né que!sta o quella esistenza, ma l'atto puro, ch'essendo condizione prima ed ultima, non è alcuno degli aspetti esistenti (materia-forma), per cui la sua essenzialità (usfa) non è né materia né forma, ma appunto, l'atto, in quanto attualità in atto del tutto, escludente da sé ogni pos-
www.scribd.com/Baruhk
69
sibilità (potenza). " Poiché ciò che ha la potenza potrebbe anche non passare all'atto ... dev'esserci un principio [e ricordiamo che principio ha per Aristotele significato logico] di tal natura che la sua usia sia l'atto" (Metaf., XII, 6, 107lb 18 sgg.). Tutto essendo nella sua totalità in atto, l'attualità è immobile, immateriale, non potenziale, ed è motore in quanto ogni aspetto, nel suo scandirsi di potenza-atto, tenden· do alla propria attuazione, tende all'atto puro, che si pone come fine (Metaf., XII, 7, 1072a sgg.). Principio e fine, dunque, attualità in atto, escludente da sé ogni materialità e potenzialità: essendo, appunto, privo di materia esso è pura intelligenza, intuizione pura, pensiero di pensiero, che pensa se stesso, cioè il tutto in atto, per cui è intelligenza e intelligibile a un tempo. Ottimo, come termine ideale, att~ in atto, e dunque vita e pensiero: se logicamente questo è ciò che di piu eccellente e perfetto noi possiamo pensare, tale è Dio, se nella nozione di Dio è implicito sia ciò senza di cui nulla è, sia ciò a cui tutto tende, il bene, sia, per analogia, l'atto supremo dell'uomo, la conoscenza pura. L'intelligenza è ciò che ha la capacità di ricevere l'intelligibile e l'essenza; ma quando li possiede, è in atto: sf che questo possesso piuttosto che quella capacità sembra costituire ciò che ha di divino l'intelligenza; e l'attività speculativa è però ciò che può esserci di piu dolce ed eccellente. Se, dunque, Dio è eternamente in quella felice condizione in" cui noi ci troviamo talvolta, ben è cosa meravigliosa; ma se è in una condizione anche superiore, sarà piu meravigliosa ancora. Orbene, cosi egli è. Ed è anche vivente; poiché l'atto d'intendere è. vita, ed egli è quell'atto che, essendo per se stesso, è in lui vita ottima ed eterna. Noi affermiamo che Dio è essere vivente eterno perfetto, sf che a lui appartiene vita continua ed eternità. (Metaf., XII, 7, l072b 19 sgg.).
Dio, dunque, è posto come principio formale e fine ideale del tutto, che in quanto tale è sempre in atto, principio e fine dell'ordine, che non essendo nessuna delle realtà esistenti (sostanza sensibile) e non avendo nessuna possibilità, è idealmente separato, essenzialità non sensibile e immobile. Di esso cosi, condizione logica e indicazione della finalità e della vita del tutto, eterno con l'eternità del mondo (non creatore né demiurgo, appunto perché attualità degli atti), non si può parlare che per analogia ed esempio: Bisogna anche esaminare in qual modo il bene e l'ottimo appartengano alla natura dell'universo: come qualcosa di separato e di esistente per
70
www.scribd.com/Baruhk
sé, o come l'ordine delle sue parti stesse? o non piuttosto in entrambi i modi, come in un esercito? Il bene di un esercito, infatti, consiste ms1e· me nell'ordine e nel comandante; in questo, anzi, piu ancora che in quello, ché non l'ordine fa il buon comandante, ma quello fa questo (Metaf., XII, IO, 1075a 11 sgg.). Se ogni aspetto della realtà tende a realizzare la propria forma e tende al suo luogo naturale, il motore primo e fine ultimo, essendo la condizione ideale del tutto in atto, non tende e non può tendere a nuìla se non a se stesso, con una vita continua, non soggetta a cambiamento (sotto questo aspetto esso è di là dalla natura, essere in quanto essere, oggetto, appunto, della filosofia prima). Esso serve cos1 quale condizione logica da un lato del dato di esperienza: del movimento circolare del primo cielo e dei moti delle stelle, del sole, della luna; dall'altro lato della finalità e del tendere all'attuazione di tutte le cose. C'è qualcosa che sempre si muove di un movimento incessante, e tale movimento è circolare. Lo si vede non soltanto con il ragionamento, ma anche con i sensi. Diremo per conseguenza, che il primo cielo è eterno. Ma, allora, esiste anche qualcosa che lo muove. E siccome quel primo cielo fa da intermediario essendo mosso e movendo insieme, cosf c'è qualcosa che muove non mosso, eterno, che non è altro se non essenzialiù (oòaEoc) e attuazione (~v~pye:toc). Ma quel che muove cosf è, appunto, l'oggetto dell'appetito e quello dell'intelligenza, i quali muovono non mossi ... (Metaf., XII, 1072a 20 sgg.). Il principio primo degli esseri è immobile, considerato per se stesso e in rapporto ad altro, ma esso è il motore di quell'unico movimento ch'è del primo cielo eterno (Metaf., XII, l073a 23 sgg.). Poiché- aggiunge Aristotele- ciò ch'è mosso dev'essere mosso da qualcosa, ed il primo motore dev'essere immobile per se stesso, e il movimento eterno è mosso da qualcosa di eterno, e quello ch'è unico, da un motore anch'esso unico; e poiché vediamo che, oltre il semplice movimento di translazione dell'universo, altre translazioni ci sono, quelle dei pianeti, anch'esse eterne (eterno e senza sosta è it" corpo che si muove circolarmente) viene di necessità che anche ognuna di queste translazioni sia mossa da un'essenza per se stessa immobile ed eterna. Tale è la natura degli astri (dev'essere essenza eterna) e tante sono tali essenze quante sono le translazioni, nell'ordine stesso delle translazioni dei corpi celesti (cfr. Metaf., ib.). S'inserisce qui la visione astronomica di Aristotele che, entro i termini di quelle leggi ch'egli ha determinato come le condizioni logiche
www.scribd.com/Baruhk
che permettono la pensabilità del reale nella sua totalità, " salvando i fenomeni," assumeva la tesi matematica delle sfere concentriche di Eudosso e di Callippo (cfr. sopra). "Nell'ipotesi di sfere concentri~ che rotanti, Aristotele trova qualcosa che si adatta nel suo sistema generale di pensiero, e l'adotta come effettivo meccanismo dei cieli. Ma, adottandola, vi trova una difficoltà. Se tutto quanto l'universo è un sistema di sfere concentriche in contatto (e debbono essere in contatto poiché non c'è vuoto), la sfera che trasporta uno dei corpi celesti trascinerà intorno a sé la sfera piu esterna del corpo successivo (contando verso l'interno) ed interferirà con la spiegazione sufficiente a se stessa che la teoria di Eudosso dà del moto di ogni corpo. Per prevenire questo, Aristotele assegna sfere reagenti che si muovono in direzioni contrarie a quelle delle sfere originali e permettono che solo il movimento della sfera piu esterna di ciascun sistema (la rotazione quotidiana da oriente ad occidente) sia trasferito al sistema che è nel suo int~no " (Ross, cit., pp. 143-44). Cinquantanove vengono ad essere in tutto le sfere concentriche, per Aristotele, ivi comprese quelle del fuoco, dell'aria, dell'acqua e della terra. Posto cosi: che il moto della sfer:t celeste è circolare e uniforme, immagine corporea della immobile ed eterna attività del divino, Aristotele spiega i moti dei pianeti, del sole e della luna le cui sfere ruotano in direzioni che non sono quelle del primo cielo, per mezzo dell'azione di motori separati agenti per ciascuna sfera: le "intelligenze motrici" (cfr. Metaf., XII, 1073a 26b l; De coelo, 279a
18-22).
6. La filosofia della natura. L'edificio dell'Universo a) Il cielo. I cinque elementi. Il mondo ~blunare. I luoghi naturali e il concetto di peso. Movimenti naturali e violenti. Fenomeni celesti e . ")E terrestr•.("De coel o,""D . e gen. et corrupt.,""Meteorol ogtca . ntro le condizioni logiche postulate, Aristotele poteva ora, nel De coelo, c~ struire l'edificio dell'universo, non poi estremamente lontano da quello offerto da Platone nelle Leggi, soprattutto per quel che riguarda i moti perfetti, circolari delle sfere celesti, descritti nei primi due libri del De coelo. Solo che, mentre l'intento di Platone, nell'innestare la nuova religione astrale-razionale (per i pochi) nella religione degli dèi tradizionali (per i piu), si volgeva, con la sua carica teologica, alla realizzazione di un piano politico, l'intento di Aristotele è diverso: poste certe
www.scribd.com/Baruhk 72
premesse logiche, si tratta di dimostrare quale debba essere la necessaria struttura dell'universo (De coelo, II, 3). Posto, dunque, che il movimento del primo cielo - immagine della vita eterna e una di Dio - è movimento circolare, e che concentriche alla prima sfera si muovono tutte le altre sfere, si veniva a porre necessariamente un punto centrale dell'universa sfera, che, dunque, appunto perché punto centrale, non poteva non essere che in quiete (" bisogna che nel corpo moventesi in circolo resti ferma una parte al centro " : De coelo, II, 3, 286a 15). Tale puntp centrale è la terra: ma se bisogna la terra, anche il fuoco bisogna che sia, perché dei contrari, se uno esiste per natura, anche l'altro bisogna che esista per natura se ~ contrario; ma se c'~ il fuoco e la terra, bisogna che ci siano anche i corpi intermedi fra loro (ed ~ nel trascorrer tra essi che avviene la generazione e la corruzione) ... (De coelo, Il, 3, 286a 22). Nell'ambito dei contrari stanno nascita e distruzione (1, 3, 270a 21). Intorno alla terra (luogo del peso) si pongono, in ordine di minor pesantezza, i luoghi dell'acqua, dell'aria e del fuoco, costituenti tutti insieme il mondo sublunare, oltre il quale hanno luogo le sfere celesti, dalla luna al cielo delle stelle fisse, che, dato il loro movimento circO: lare, non hanno né gravità né leggerezza (De coelo, I, 2, 269a), per cui era necessario ammettere per le sfere un quinto elemento, semplice come semplice è il moto delle sfere celesti. Se il corpo che si muove circolarmente non ammette né accrescimen· to, né disgregazione, ~ razionale che sia anche immutabile; perciò per essere il primo corpo diverso dalla terra, dal fuoco, dall'acqua, dall'aria, chiameremo etere il luogo superiore, ponendogli in ogni tempo il nome da cle1 ,&ei:v (correre sempre) (De coelo, I, 3, 270b 19-24). Il tutto, dunque, uno e finito senza luogo e senza tempo, eterno (avente in sé luoghi e tempi) si scandisce in una serie di sfere, dal primo mobile, cielo delle stelle fisse, alla terra costituente il centro in quiete: corpi cc:lesti, costituiti di etere, che si muovono sempre in circoli perfetti, non aventi né peso né leggerezza; e corpi sublunari, costituiti di terra, di acqua, di aria, di fuoco, muoventisi nel tendere ciascuno al proprio luogo naturale - la terra al centro, il fuoco in alto - in ma. vimenti rettilinei. · Descritto nei primi due libri del De coelo il movimento dei corpi celesti, Aristotele passa negli ultimi due (II e IV) a trattare del movi·
www.scribd.com/Baruhk
73
mento dei corpi del mondo sublunare, con particolare riguardo al movimento locale, per traslazione (cpop<X ), mentre discuterà il movimento per distruzione o corruzione (cp.&op<X ), per generazione (yb.le:a~c; ), e per alterazione (ocÀÀo(Crla~c; ), i vi comprendendo necessariamente la discussione sull'essenza e il sorgere degli elementi (terra, acqua, aria, fuoco) dalla materia prima, nel De generatione et corruptione. Posto il tutto continuo e uno - nell'unità temporale e locale, scandentesi nel ritmo atto-potenza-atto, la condizione, che spiega il dato sensibile dei corpi che si muovono verso l'alto e verso il basso, è la nozione di peso, con cui, nella continuità dei luoghi naturali, si spiega la tendenza di alcuni corpi a muoversi verso il c.entro e di altri verso la periferia dell'universo, entro i poli del mondo sublunare. D'altra parte, proprio la riflessione sul dato di esperienza dei movimenti verso il basso e verso l'alto porta a negare l'esistenza di un solo elemento fisico, ché, altrimenti, tutto si muoverebbe in una sola direzione, o meglio non si muoverebbe affatto, ché già sarebbe al suo luogo. Di qui la necessità di ammettere generi di materia qualitativamente differenti. Alcune cose tendono per naturale disposizione ad allontanarsi sempre dal centro, altre invece a portarsi verso il centro. Di queste, quella che si .allontana dal centro dico che si muove verso l'alto; verso il basso invece quella che va verso il centro. Sarebbe assurdo non credere che ci sia nel cielo un alto e un basso, come, invece, alcuni trovano giusto: infatti sostengono che non esiste l'alto e il basso, perché essendo il cielo sferico, da qualunque parte uno proceda, i suoi piedi restano rivolti verso il basso. Noi invece chiamiamo alto l'estremità periferica dell'universo che, per il suo luogo, è alto e per la sua natura è prima. E poiché c'è dell'universo una periferia e un centro, è chiaro che ci sarà anche un alto e un basso, come soStengono anche i piu, anche se non rettamente ... In senso assoluto diciamo pertanto leggero ciò che si muove verso l'alto e verso l'estremità periferica, e pesante in senso assoluto ciò che si muove verso il basso e verso il centro. Rispetto a un'altra cosa, invece, diciamo piu leggera quella delle due che, avendo entrambe un peso qualunque e la massa uguale, si muove per sua natura verso l'alto con maggior velocità ... (De coelo, IV, 308a, 16 sgg.). Rimanga dunque stabilito, come del resto è chiaro a tutti, che assolutamente pesante è ciò che sta al di sotto di tutte le altre cose; assolutamente leggero ciò che su tutto emerge. E dico assolutamente riferendomi al carattere essenziale: come, ad esempio, si vede una qualunque massa di fuoco salire in alto, se non viene qualche altra cosa ad impedirglielo; e ogni massa di terra scende verso il basso; cos{ si vede anche muoversi piu rapidamente il volume maggiore. D'altro genere è, invece, la pesantezza e la leggerezza di quelle r:ose che sono partecipi di
www.scribd.com/Baruhk
entrambi: infatti galleggiano su alcuni elementi e soggiacciono ad altri, come fanno l'aria e l'acqua. Ché nessuno di questi due corpi è assolutamente pesante e leggero, perché sono entrambi piu leggeri della terra, in quanto qualsiasi loro particella galleggia su di essa, e piu pesanti del fuoco, in quanto qualsiasi loro particella soggiace al fuoco; ma, relativamente a se stessi, uno è leggero e l'altro è pesante in senso assoluto; perché come l'aria, in qualunque quantità essa sia, galleggia sull'acqua, cosf una qualunque quantità d'acqua soggiace all'aria (De coelo, IV, 4, 3lla 18 sgg.).
Anche la pesantezza e la leggerezza vanno, dunque, considerate non come concetti di entità per sé- e problema male impostato è la discussione sulla falsità del concetto aristotelico del peso e del leggero in senso assoluto, dal punto di vista di dottrine fisiche moderne - ma come nozioni, da un lato che rendono pensabile entro i poli del mondo sublunare i movimenti rettilinei e l'attuazione degli elementi nella loro tensione ai propri luoghi naturali (che sono in effetto la stessa attuazione}, e, dall'altro lato- sempre entro quel mondo, inserito nel tutto, che non è luogo, né tempo, né pesantezza, né leggerezza- il passaggio da una ad altra forma, l'alterazione, la generazione e la corruzione. Il mondo del peso e del leggero, è, dunque, il mondo sublunare, entro il quale avvengono i movimenti rettilinei, all'in su e all'in giu: verso il centro (terra) i corpi pesanti, verso la periferia (fuoco) i corpi leggeri. Ora, coerentemente alla condizione logica che fondamento del tutto sia la materia prima, pura potenzialità, inesistente per sé, gli elementi (terra, acqua, aria, fuoco) non sono corpi primi, ma aspetti esistenti di quell'unica materia prima, costituenti ciascuno, preso in sé, un sinolo di materia-forma, a sua volta possibilità, attualizzantesi per effetto di quattro qualità fondamentali: il freddo, il caldo, il secco e l'umido. La materia prima determinantesi nella qualità freddo-secco si realizza come terra; nella qualità freddo-umido, come acqua; nella qualità caldo-umido, come aria; nella qualità caldo-secco, come fuoco. La combinazic:me dei qùattro elementi dà luogo a tutti i corpi esistenti in natura e, dunque, al loro nascere e perire, sia per mescolanza puramente meccanica (cruv-lnatc;), sia per mixis (!L~Lc;), una specie di combinazione chimica, sia per krasis (xp&atc;), una specie di soluzione, sia infine per alterazione dell'uno nell'altro («lloECùatc; ), mediante termini medi, per cui, ad esempio, dall'acqua al fuoco è necessario il passaggio attraverso l'aria. Accanto al movimento proprio di ciascun elemento, tendente al
www.scribd.com/Baruhk
75
proprio luogo naturale (movimento naturale), che è il movimento verticale (verso l'alto o verso il basso), Aristotele spiega da un lato- mediante la «Nv&t:mç, la !L~tc;, la xpiimç e l' &».o((l)
76
www.scribd.com/Baruhk
viventi, cercando di determinare, dall'analisi degli organismi, quali siano le loro funzioni e, quindi, il loro fine. La natura procede dagli esseri inanimati agli animati cosi poco a poco, che nella continuità non si vede a quale dei due campi appartengano quelli sul limite e intermedi; poiché dopo il genere degli inanimati vien primo quello delle piante, e di queste l'una differisce dall'altra perché sembra partecipare maggiormente della vita; e tutto il genere in confronto degli altri corpi inanimati par quasi animato; in confronto degli animali, inanimato. E il passaggio da esse agli animali è continuo ... ché talune specie marine è un problema se siano animali o piante; perché sono attaccate al suolo e molte di esse strappatene periscono ... E sempre per piccole differenze appare che l'una avanti l'altra abbia piu vita e movimento (Historia animalium, VIII, l, 588a-b). La natura procede con continuità dagli esseri inanimati agli animali, attraverso esseri, viventi bensi, ma non animati, cosi che appaiono differire di un grado minimo l'uno dall'altro per la vicendevole vicinanza (De partibus animalium, IV, 5, 68Ia 13).
b) Il mondo animale e la "scala naturae" (i libri biologici). La !fistoria animalium, che contiene una minuta descrittiva e una raccolta di osservazioni dirette (historla) sugli animali, sembra sia stata inizialmente una raccolta di materiale, la cui organizzazione, classificazione, e riflessione metodo logica (cfr. I libro del De partibus animalium, che è un vero e proprio trattato di metodologia, e l'inizio del II libro), ha dato luogo alle lezioni aristoteliche aventi per argomento il mondo della vita: dalle forme piu basse (l'aspetto relativo alle piante fu affidato a Teofrasto, la cui raccolta di materiale va sotto il nome di Storia delle piante e la cui rielaborazione va sotto il nome di Le cause delle piante) alle forme piu alte in un dettagliato studio: l) della materia dei corpi viventi (De partibus animalium, De incessu animalium ); 2) della loro forma (De anima);_ 3) di tutto ciò che appartiene all'essere vivente (De sensu et sensibili, De memoria et reminiscentia, De somno, De somniis, De divinatione per somnum, De longitudine et brevitate vitae, De vita et morte, De respiratione, brevi trattatelli raccolti sotto il titolo Parva naturalia; De motu animalium, De generatione animalium ). Anche se non è qui il caso di venire a una descrizione minuta delle opere biologiche e strettamente zoologiche di Aristotele, le cui molte osservazioni, specialmente quelle da lui fatte personalmente, ed in particolare quelle dovute alla dissezione di una cinquantina di differenti generi di animali sono fondamentali (i cetacei sono mammiferi, Hist.
www.scribd.com/Baruhk
an., 489a, 52lb, 566b; sviluppo dell'embrione del pulcino, Hist. an., VI, 3; stomaco dei ruminanti, Hist. an., 507a, Part. an., 674b; copulazione dei cefalopodi, Hist. an., V, 6; e cosi via), ciò che tuttavia dobbiamo sottolineare è che anche in queste opere, e soprattutto in queste, l'intento di Aristotele è rigorosamente metodologico e classificatorio. Sembra che l'insieme delle lezioni sull'aspetto del mondo della vita sia piuttosto tardo, e risponda a una fase ulteriore dell'allontanamento di Aristotele dalla tematica piu strettamente platonica. Senza dubbio in una certa fase del suo insegnamento Aristotele deve avere come riordinato il complesso di tutto il suo lavoro (cfr. prologo dei Meteorologica), rendendosi conto che il significato della sua opera consisteva soprattutto, attraverso la determinazione delle condizioni che rendono pensabile la realtà (scienza in generale), nella delimitazione delle varie scienze, in una visione (teoria) d'insieme, che non esclude, anzi richiede, un'indagine dei vari campi entro i quali appare il reale. In altri termini sembra che l'appello aristotelico, il significato del suo insegnamento, sia stato non di descrivere o costruire una realtà quale vorremmo che fosse, ai fini di una certa politica, retoricamente o miticamente (ed è qui il punto di crisi nei confronti di Platone), convincendo a quella realtà, ma di dare un'interpretazione della realtà nei suoi vari aspetti, in quello ch'essa è in quanto è relativamente a quello che è il fine intrinseco a ciascuna sostanza, ma indipendentemente da ogni bene o fine supremo ed estrinseco. La realtà c'è: l) bisogna determinare quali siano le condizioni che rendono possibile pensarla, ciò senza di cui essa non sarebbe; 2) esistono i cieli, le atmosfere, la terra, bisogna determinarne l'esistenza; 3) entro il mondo nella sua totalità esistono corpi inanimati e corpi aventi vita, bisogna comprenderne la struttura e il perché. Anche se pensato dopo, retrospettivamente, anche se l'ordine cronologico è stato falsato dallo stesso Aristotele, certo di grande importanza è il prologo dei Meteorologica (cfr. Mansion, lntroduction à la Physique aristot., Lovanio, 1946 2, p. 17), ove è chiaramente esposto da Aristotele quello ch'era stato e avrebbe dovuto essere il suo piano di lavoro.
Abbiamo trattato precedentemente delle cause prime della natura e di ogni movimento naturale; poi, degli astri e dell'ordine della loro traslazione nella regione superiore e degli elementi corporei - numero, qualità, trasformazioni reciproche -, e, infine, della generazione e corruzione considerate in generale. Resta ancora da studiare nella nostra ricerca la parte che tutti i nostri predecessori chiamano meteorologia. Si tratta
www.scribd.com/Baruhk 78
qui di fenomeni che si producono in modo conforme à · natura, ma ad una natura sottoposta a un ordine meno stretto che non lo sia quello del primo degli elementi dei corpi, che hanno soprattutto sede nella regione vicina alla traslazione degli astri ... Dopo questa esposizione (dei fenomeni meteorologici) bisognerà rendere conto, nella misura in cui ne saremo capaci e secondo il metodo indicato in precedenza, di ciò che concerne gli animali e le piante, considerati in generale e in particolare. Date queste spiegazioni, avremo compiuto, sembra, la quasi totalità del program· ma che ci eravamo proposti fin dàl principio (Meteora!., I, l, 338a, 20b 339a 5-9). Se il tutto è spiegato, in quanto del tutto si colga la ragion d'essere e il fine ultimo, onde nel tutto uno e compiuto, senza luogo e senza tempo, tutto assume il suo posto, tutto è ordinato, la costruzione dell'universo, senza dubbio a priori, rivela tuttavia, entro l'àmbito della spiegazione stessa, artificiosa quanto si vuole, ma non contraddittoria, la continua e diretta osservazione dei fenomeni del mondo sublunare per usare il linguaggio aristotelico -, la cui pensabilità implica, entro l'unità e la perfezione del tutto, la deviazione dei movimenti naturali, e quindi un certo margine di spontaneità. Tale spontaneità, considerata sul piano dei fenomeni e di tutti gli aspetti del reale, dà luogo, indipendentemente dalla costruzione a priori, a una descrittiva, retta, quale ipotesi d'indagine, dal rintraccio entro ogni fenomen,.o di un principio di finalità : ciò spiega, per ogni fenomeno, la vitalità sottesa ovunque, e sul piano del mondo animale, una vitalità e una spontaneità che per il fenomeno umano può alla fine indicare l'azione non determinata e, quindi, la deliberazione. Entro i termini, dunque, di quello che è l'attuale uomo, se da un lato, per il fatto che l'uomo conosce, si deve studiare e descrivere come conosce e quali sono le sue facoltà (De anima, II e III), dall'altro lato, per il fatto che l'uomo vive socialmente, parla, produce, si deve studiare come è che vive socialmente (Etica, Politica), come è che parla nelle assemblee e nei tribunali, com.e è che produce (Retorica, Poetica), quali siano le condizioni per cui pensa e rettamente giudica, per cui è possibile la predicazione (Categorie, De interpretatione). Sotto questo aspetto l'atteggiamento e l'intento di Aristotele si vennero sempre piu allontanando dall'intenzione teologica di Platone, volta alla instaurazione di un certo ordine umano, che ha da sottoporsi necessariamente all'ordine divino, onde pur di costringere a quello anche la menzogna è utile. E che quelle fossero le intenzioni di Platone, lo dice, appunto - sottolinea il Farrington - lo stesso Aristotele, in un passo
www.scribd.com/Baruhk 79
"straordinariamente franco del XII della Metafisica (8, 13), in cui-parla dell'antica tradizione, secondo cui i corpi celesti sono divini. Dice che quella tradizione deve essere accettata, ma per quanto riguarda gli dèi antropomorfi o sotto forma di altri animali e tutte le tradizioni del genere, dice che ' si tratta di miti escogitati per persuadere la moltitudine, per la loro utilità alla vita sociale e al bene comune' " (B. Farrington, Scienza e politica nel mondo a11tico, trad. it., Milano, 1960, p. 98). Per Aristotele, invece, il divino si rivela alla fine come condizione che reqde possibile un certo tipo d'indagine, tanto che il suo Dio è, in conclusione, assolutamente indifferente, e relativamente alla finalità, ad esempio, il fine di ogni specie è sempre interno alla specie stessa, limitandosi Aristotele alla " nozione di un'intenzione," come dice il Ross, " che non è l'intenzione di nessuna mente " (ci t., p. 188), e sottolineando che la finalità. degli organismi è relativa agli organismi stessi. Il metodo di dimostrazione e la forma che prende la necessità non sono gli stessi nella scienza della natura e nelle scienze teoreùche ... Nell'un caso è ciò che è che costituisce il principio, nell'altro è ciò che deve essere (De part. an., I, 639b sgg.) .... Il modo di dimostrazione da assumere è il seguente: bisogna mostrare, ad esempio, che da un lato la respirazione si produce in vista di un certo fine, e che, dall'altro lato, tale fine si raggiunge mediante certi mezzi che sono necessari. La necessità significa talvolta che, il fine essendo tale, è necessario che si compiano certe condizioni, talvolta che le cose sono tali e che tali lo sono per natura. Poiché è necessario che il calore esca e poi rientri, a causa della resistenza che incontra, e che a sua volta s'introduca l'aria. Questa è già una necessità. D'altra parte, come il calore interno è di ostacolo all'entrata dell'aria esterna, tale entrata si produce quando vi sia raffreddamento. Questo il genere di ricerca, questi i fatti, di cui bisogna stabilire le cause (De part. an., I, 642a 31 - 642b 1-4).
A questo proposito, anzi, entro i termini della linea di indagine proclamata da Aristotele (determinazio-ne delle condizioni che permettono la scienza e fondazione delle singole scienze da un lato, dall'altro lato riflessione e organizzazione dei dati offerti dall'osservazione e dalla descrizione, nell'intento di rendere conto degli aspetti in cui si presenta la realtà, in una chiarificazione, entro ogni aspetto della realtà, del significato di quell'aspetto stesso), sembra di non poca importanza un passo del De generatione animalium, in cui, parlando della~non ancora chiara generazione delle api, si dice:
80
www.scribd.com/Baruhk
I fatti non sono stati ancora sufficientemente afferrati; se lo saranno bisognerà dar credito all'osservazione piuttosto che alle teorie, e alle teorie, solo se ciò che esse affermano si accorda con i fatti osservati (De gen. an., 760b, 30-33).
Non possiamo dire se sia o no un caso di coincidenza, ma, sia pure polemicamente, torna alla mente un testo de l precetti del corpus ippocrateo, che sembra sia stato composto proprio in questa epoca e dal quale chiara traspare la polemica contro le pericolose astrazioni scientifiche di tipo platonico: " Approvo la teoria solo se è basata sui fatti e se le sue conclusioni concordano con i fenomeni." Qui il significato piu intimo delle ricerche biologiche di Aristotele e il suo notevole tentativo di una classificazione degli animali, non a caso estremamente polemico contro l'astratta classificazione divisoria della "dicotomia" platonica (cfr. libro I De part. an.), e basato, invece, su di una netta distinzione per specie, per rinvenire entro ciascuna - e non nediante cause esterne -la causa e il fine. Di qui, sulla linea della contiguità naturale, la celebre " scala naturae " di Aristotele, per cui la natura procede dagli esseri inanimati agli animali (cfr. De part. an., IV, 5, 68la 12 sgg.), ed entro questi dagli zoofiti all'animale uomo, dagli animali senza sangue (anaima) agli animali con sangue (énaima). Animali senza sangue: l) Prodotti per generazione spontanea: zoofiti; 2) Prodotti su di un sostrato generativo per gemmazione: molluschi non cefalopodi (conchiglie, ecc.); 3) Ovipari con un uovo imperfetto: a) cefalopodi; b) crostacei (malaci e malacrostaci). Animali con sangue: l) Vermipari: insetti; 2) Ovipari con uovo perfetto: a) uccelli; b)quadrupedi e apodi con squame (rettili, anfibi); 3) Vivipari: a) cetacei (mammiferi marini); b) quadrupedi pelosi (mammiferi terrestri); c) uomo. c) Il mondo animale. L'anima. La nutrtztone. Senso, fantasia, intelletto ("Anima" e" Parva naturalia "). Là dove c'è vita (dalla pianta all'uomo), c'è organicità; ogni organo è in funzione di un tutto che logicamente precede le parti. Ciò per cui gli esseri viventi sono tali, che è ciò che precede le parti, è la loro forma, e quindi la loro natura (" la forma è piu natura della materia, perché ciascuna cosa è detta essere quella che è, piuttosto quando è in atto (meJ.ex.d~), che quando è in potenza ( 8uvcX.(.LE:~) ": Fis., II, 193b 7) è ciò senza di cui gli esseri non sarebbero, e realizzando la quale sono quello che sono. Condizione, dunque, perché sia pensabile l'essere vivente è, insieme alla ma-
www.scribd.com/Baruhk
81
teria, la forma, e, quindi, accanto allo studio delle parti, degli organi (De pare. an.), è necessario lo studio di ciò senza di cui le parti stesse resterebbero tali e non si realizzerebbero in un tutt'uno, appunto in organismo vivente. Tale principio di vita, proprio perché forma, è impensabile sia se venga entificato in un elemento o in p!u elementi, sia se venga considerato come entità per sé immateriale. D'altra parte, se a tale principio, comunque inteso, si è dato il nome di anima (ljiux.~ ), la nozione di anima, se rettamente, cioè, non contraddittoriamente compresa, non può non. essere assunta, se non determinando l'anima come forma dei corpi viventi.
La sua conoscenza sembra rechi, inoltre, grande contributo alla verità tutta, specie poi a quella inerente alla natura, poiché l'anima sussiste quale principio degli esseri viventi (De anima, I, l, 402a 5). L'anima, dunque, proprio perché principio e unità di vita, non è concepibile né come entità astratta, né come avente, quale suo stesso sostrato, un proprio elemento, sia pur esso, per spiegarne le superiori facoltà che assume nell'uomo, il quinto elemento (l'elemento dei corpi celesti), come sembra che lo stesso Aristotele avesse sostenuto al tempo del De philosophia, dando all'anima perché platonicamente fonte di perpetuo movimento il nome di ~v8a:J.éx.eta: (endelécheia, perpetuità) (Cicerone, Tusc., I, 10, 22; cfr. Bignone, L'Arist. perduto, Firenze, 1936, l, p. 228). Ora, invece, accantonato come contraddittorio, mediante l'approfondimento del concetto di una come sinolo, ogni principio trascendente e per sé stante e vedendo la finalità come interna ad ogni specie, si capisce che, relativamente ai corpi viventi, Aristotele respinga la sua stessa tesi dell'anima quinta natura, e endelécheia (e a tal proposito è interessante ricordare che, qui, nel De anima, affermi: " oggi coloro che conducono dissertazioni e ricerche intorno all'anima, sembrano considerare solo quella dell'uomo " : l, l, 402a 3-41), sia le tesi che pongono l'anima come costituita di uno o piu elementi, sia le tesi che vedono nell'anima un principio movente o semovente, sia le tesi per cui l'anima è armonia (qui Aristotele riprende, attenuando, l'obbiezione che alla tesi filolaica dell'anima armonia egli aveva già mosso nell'Eudemo: cfr. sopra; ora, De an., I, 4), sia le tesi che vedono l'anima come ente per sé, indipendente dai corpi (e, criticando Platone, qui Aristotele critica il se stesso del Protrettico .e dell'Eudemo: sull'evo-
82
www.scribd.com/Baruhk
luzione della psicologia di Aristotele, cfr., in particolare, F. Nuy-ens, L'évolutùm de la psychologie d'Arist., Parigi, 1948), sia le tesi che considerano l'anima come divisibile, si che una sua parte pensi e un'altra desideri (De anima, libro I, 2-5). Se accanto ai corpi inanimati, aventi la loro forma, vi sono corpi viventi, questi ultimi, a loro volta, suppongono: l) un'indeterminata possibilità di vita (materia); 2) che si attua in una determinata possibilità di vita, cioè in un abito (l~~c;) o possesso della. forma vitale. Tale possesso della vitalità è l'anima, che è, dunque, la prima condizione della vita in atto, fondamento comune ad ogni essere vivente (pianta, animale, uomo), per cui un corpo è vivo, onde l'anima non è nei corpi ("non è chiaro se l'anima sia entelechia del corpo alla guisa di un nocchiero di nave," De an., 413a 8) ma, pur non essendo corpo, costituisce un tutt'uno con quei corpi che diciamo viventi. Dovendo dare una definizione generale valida per ogni anima, essa potrebbe essere: l'Entdcchia [atto compiuto] prima di un corpo naturale che ha la vita in potenza, cioè di un corpo che sia organico (e per vita intendiamo la nutrizione e la crescita e il deperimento spontanei: 412a 15) ... L'anima è, dunque, la quiddità di un corpo del genere specificato [avente vita in potenza], come appunto se uno degli strumenti - ad esempio urta scure - fosse in un corpo naturale; la quiddità di scure sarebbe stata la sua usia e quindi l'anima; separata questa, non avrebbe potuto essere ancora scure, se non di nome. Ma appunto è scure; l'anima invero è la quiddità e il concetto di un corpo non come questo, ma naturale, del genere specificato, che ha in se stesso un principio di moto e di stasi. Quanto si è detto deve contemplare anche le parti: se infatti l'occhio fosse un essere vivente, sua anima sarebbe la vista, venuta meno quella, non è piu occhio, se non di nome, come appunto l'occhio di pietra o l'occhio dipinto. Bisogna ora trasferire la considerazione fatta per le parti, su tutto il corpo dell'essere vivente: infatti si ha analogamente che, come la parte sta alla parte, cosi la sensazione tutta sta a tutto il corpo che ha facoltà sensiriva, in quanto tal('. E il corpo che ha in potenza capacità di vita non è quello che ha perduto l'anima, ma quello che ·.la possiede; il seme e il frutto, invece, sono in potenza tali corpi. La veglia dunque è entelechia [atto perfetto] cosi come il taglio e la visione, l'anima come la vista e la capacità strumentale, mentre il corpo è ciò che è in potenza. Ma come la pupilla e la vista costituiscono un occhio, cosi l'anima e il corpo danno luogo a un essere vivente. ~ chiaro, dunque, che l'anima non è separabile dal corpo, o almeno - se per natura essa è divisibile - non sono separabili certe sue parti: infatti l'atto perfetto di alcune sue parti è l'atto perfetto delle rispondenti parti del corpo ... (Dc anima, II, l, 412b-413a).
www.scribd.com/Baruhk
83
Il problema dell'anima, dunque, è oramai decisamente affrontato da Aristotele in chiave, diciamo, fisico-biologica. I corpi viventi esistono: essi sono organismi, cioè individui, costituiti di materia e di forma, forma che ne è lo stesso principio vitale, evidentemente non separato e che non ha un suo luogo nei corpi. Domandarsi donde provenga l'anima è domanda senza significato, si come domandarsi donde provenga l'universo stesso, poiché andremmo inutilmente all'infinito, mentre bastano le condizioni logiche che permettono di pensare la realtà e questo è in conclusione il valore della tesi aristotelica dell'impossibilità di andare all'infinito. Entro questi termini ed entro un àmbito ben definito è valido il ragionamento intorno alla forma dei corpi viventi, come spiegazione di una realtà che viene offerta dall'esperienza, senza oltrepassare, appunto, le condizioni logiche che ne permettono la pensabilità: causa formale, causa finale, causa motrice (una delle quattro specie di movimento). Causa dell'essere è per tutti l'essenza; per gli esseri viventi l'essere è il vivere; causa e principio della vita è l'anima; l'anima è essenza (causa formale) ... È chiaro che l'anima è anche causa finale; infatti, come l'intelletto agisce per un fine, allo stesso modo agisce la natura, e questo fine è il suo compimento. Tale è secondo natura, negli esseri viventi, l'anima perché tutti i corpi naturali - animali e piante - sono strumenti dell'anima in quanto esistono al fine dell'anima. Ora, il termine fine indica, in duplice accezione, e il fine stesso e l'essere per cui è fine (dunque l'anima è causa finale) ... D'altra parte, sia alterazione che accrescimento si deter· minano in virtu dell'anima... , ché la sensazione è una alterazione (o modificazione) e non percepisce chi non ha anima, ... s{ come né deperisce né accresce naturalmente chi non si nutre e non si nutre chi non è parte· cipe di vita (onde l'anima è causa motrice) (De anima, II, 4, 415b 13-28). Ora·, l'atto di vivere ("affermiamo, dunque, dopo aver dato inizio alla ricerca, che l'essere animato si distingue dall'inanimato per l'atto di vivere ": De an., II, 2, 413a, 20) si assume in piu accezioni: la prima è che tutti gli organismi (dalla pianta all'uomo) sono tali, cioè viventi, in quanto è presente in loro la capacità nutritiva (nutrizione, deperimento, cr_escita, generazione); la seconda è che in alcu'1i esseri viventi (animali, uomo) il vivere si rivela non solo come nutri:z;ione, ma anche come sensazione, appetito, movimento; la terza è che nell'uomo, vivere non solo è nutrizione, sensazione, appetito, moto, ma anche coscienza di vivere e soprattutto intelligenza. Facoltà dell'anima umana sono, dunque, la nutritiva, la sensitiva, la cinetica locale e la dianoetica.
84
www.scribd.com/Baruhk
Il precedente è insito in potenza nel susseguente... ; la facoltà nutritiva, ad esempio, nella sensitiva. SI che bisogna ricercare, per ogni singolo ordine, quale è la singola anima ... , ma anche la causa per cui le anime sono disposte in questa successione: infatti, senza la facoltà nutritiva non esiste la sensitiva, mentre nelle piante la nutritiva è disgiunta dalla sensiriva ... (De an., II, 3, 414b 34-415a sgg.). Non, dunque, separazione fra le tre facoltà (vegetativa, sensitiva, intellettiva), non, dunque, tre parti dell'anima, in un rapporto di dominio dell'una sulle altre, ma tre funzioni di un unico abito (proprietà), in un rapporto di potenza ed atto, per cui la prima si invera nella seconda e ambedue nella terza. Se l'attuazione piena della pianta è vivere pienamente, svolgendo le proprie funzioni nutritive, l'attuazione piena degli animali (i superiori) è svolgere pienamente le proprie funzioni vegetative realizzandosi insieme come sensazione, appetito, e movimenti appropriati secondo i desideri e le repulsioni; l'attuazione piena dell'animale uomo è non solo vivere vegetativamente e sentire e appetire e muoversi, ma, a un tempo, coscienza piena di tutto ciò, e pensare, cioè giudicare, realizzando in sé la consapevolezza (scienza) di tutta la realtà, onde ancora una volta, Aristotele poteva dire che la natura propria dell'uomo, ciò per cui l'uomo è uomo, è, alla fine, la vita contemplativa. Nell'architettura del De anima non molte pagine sono dedicate alla anima nutritiva (II, 4, 415a 23- 416b 31). Esse vanno, comunque, integrate con alcuni testi del De generatione animalium, del De partibus animalium e della Historia animalium. Molte pagine, invece, sono dedicate all'anima sensitiva e alle sue funzioni (II, cc. 5-12; III, cc. 1-2). " La sensazione ... si determina nel subire moto e affezione: infatti sembra sia un'alterazione" (Il, 5, 416b 33). Ogni sensazione è una modificazione. Perché ciò sia, è necessario che da un lato vi sia ciò che ha la capacità di far modificare (sensibile), e dall'altro lato ciò che ha la capacità d'essere modificato (sensitivo ). Indipendentemente dall'esistenza dei dati, è un fatto che la sensazione in atto in cui sensibile e sensi ti w si unificano appunto nell'atto di sentire, implica sia un sensibile in potenza, sia un sensitivo in potenza, sia, da parte dell'oggetto, un sensibile in atto, che permette al sensitivo in potenza (o come capacità pura di sentire, o come già capace di sentire, ma non in atto: pur in atto non sentendo, ad esempio, io posso benissimo sentire, ho cioè l'abito di sentire) di passare all'atto del sentire.
www.scribd.com/Baruhk
85
L'essere sens1Uvo in potenza è simile al sensibile che sia in atto [entelechia]. Ne subisce l'azione in quanto non è simile, ma quando l'ha subita è fatto simile, ed è anzi tale quale è il sensibile (Il, 5, 418a 4). Il testo si chiarisce quando si tenga presente che il sensibile (oggetto di sensazione) in atto, è tale in quanto attua la sua capacità di presentarsi al soggetto come capacità di sentire (sensitivo in potenza), e che, dunque, non vi sarebbe sensazione senza la presenza in atto del sensibile. La sensazione è sempre di particolari ... e perché vi sia sensazione attuale, bisogna sia presente il sensibile (Il, 5, 417 b 20-25). D'altra parte non vi sarebbe, evidentemente, sensazione, come atto del sentire, se l'atto del sensibile e quello del sensitivo, non fossero nel sensitivo: cosi, ad esempio, pur essendovi la capacità di udire - l'abito dell'udire - se non è presente il risuonare in atto, non vi sarebbe audizione in atto, ma ugualmente il risuonare in atto (il sensibile in atto) non ci sarebbe se non fosse presente al sensitivo · (cfr. III, 2, 425b). In questa sua fenomenologia della sensazione Aristotele poteva cosi distinguere tra sensibili propn·;, sensibili comuni e senso comune, condizioni tutte dell'atto del sentire. Sensibili proprii sono quelli proprii di un solo senso, comuni quelli comuni a tutti i sensi. Il colore, ad esempio, è un sensibile proprio della vista, il suono dell'udito, il sapore del gusto, l'odore dell'olfatto. Il movimento, la quiete, il numero, la figura, la grandezza, non sono, inv_ece, proprii di questo o di quel senso, ma comuni a tutti: " un certo movimento, infatti, si apprende tanto per mezzo del tatto, quanto per mezzo della vista " (II, 6, 418a 20). Lunga e minuziosa è la discussione sui cinque sensi, vista (II, c. 7), udito (Il, c. 8), odorato (Il, c. 9), gusto (II, c. 10), tatto (II, c. 11), e sugli intermediari (termini medi tra gli estremi - organo sensoriale e sensibile - del processo di alterazione), proprii ai sensi: ad esempio, intermediario della visione è il diafano, di cui l'atto è la luce; dell'audizione è l'aria; dell'odorato l'aria o l'acqua; del gusto l'intumediario non è esterno, ma interno, ed è la carne, cioè le papille gustative; del tatto è la carne, ave l'azione dell'intermediario è simultanea a quella del sensibile. Vi sono qui pagine estremamente interessanti, per la storia della scienza, come in particolare quelle sui colori e la luce, e quelle sui suoni e sulla voce.
86
www.scribd.com/Baruhk
In generale, poi, per ogni percezione, bisogna tener presente che il senso è il ricettacolo delle forme sensibili senza la materia, come la cera riceve l'impronta dell'anello senza il ferro e l'oro: accoglie cioè l'impronta aurea o ferrea, ma non in quanto oro o ferro. Analogamente il senso patisce sotto l'azione di ciascun ente che ha colore o sapore o suono, ma non in quanto è considerato ognuno di questi enti, ma in quanto esso è tale, e in virtu della forma. L'organo sensibile primo è quello in cui risiede la facoltà siffatta, e con essa quindi s'immedesima, ma l'essenza è diversa; infatti il senziente sarebbe una grandezza, mentre né l'essenza di una facoltà sensitiva né il senso sono una grandezza, ma sono una form"l e potenza del senziente (Il, 12, 424a 16-28). Tramite i cinque sensi, dunque, si costituisce l'atto del sentire, come presenza al soggetto delle forme sensibili, per cui si determina, nella sensazione, l'obiectum, onde nella sensazione in atto si annulla la distinzione logica tra soggetto (sensitivo in potenza) e cosa (sensibile in potenza e in atto). D'altra parte il sentire implica sentir di sentire, il che non significa che accanto ai cinque sensi vi sia un sesto senso, ché altrimenti si andrebbe all'infinito. Proprio del sentire, e senza di cui non vi sarebbe sentire, è l'accorgersi di sentire, sia che si tratti dei singoli sensi ("il senso della vista, ad es., avverte S!! stesso," III, 1), sia che si tratti dei sensibili comuni (ché anche questi, grandezza, figura, ecc., si determinano mediante i sensi propri), sia, infine, che si tratti dell'atto proprio della sensazione, che consiste nella consapevolezza del sentire (senso comune: 11ta&rja~ç xo~vlj ), come unificante nella coscienza la molteplicità delle sensazioni (ché altrimenti volta a volta il soggetto si perderebbe nella cosa sentita) determinate dai sensi specifici, distinguendo ad un tempo le sensazioni fornite dai diversi organi (III, 1-2). Non si può giudicare con sensi separati che, ad esempio, il dolce è diverso dal bianco, ... perché altrimenti, anche se ne sentissi uno io e l'altro tu, dovrebb'essere evidente, che sono diversi tra loro. Ma un che unico deve dire che sono diversi; perché è diverso, si, il dolce dal bianco, ma chi lo dice è uno stesso; sicché in quanto lo dice, è insieme intelletto e senso (III, 2, 426e - 15 sgg.; cfr. anche De somn., II, 455). Evidentemente il senso comune non è un senso accanto agli altri sensi, ma la forma stessa del sentire, separata relativamente a ciascuna sensazione e precedente qualsiasi sensazione, in quanto condizione prima del sentire: inesistente tuttavia se non nel concreto atto del sentire, mediante cui si rivela, rivelando a un tempo al soggetto la coscienza della
www.scribd.com/Baruhk 87
propria esistenza. Vi è, anzi, sotto questo aspetto, un testo dell'Etica Nicomachea assai importante che da un lato chiarisce il significato del senso comune come condizione prima del sentire e dall'altro lato chiarisce che tanto il senso comune quanto lo stesso pensare - anche su piani diversi - sono forme separate logicamente, cioè sempre in atto, in quanto permettono l'uno l'atto del sentire che, comunque, implica sempre la materia del sentire, l'altro l'atto del giudicare (donde il celebre intelletto agente) che non implica piu una materia attuale (il sensibile in atto) id sentire. Chi vede, sente che vede, e chi ode sente che ode, e chi cammina sente che cammina; e negli atti, similmente, c'è un che (in noi) che sente che noi compiamo atti; s( che sentiamo di sentire e pensiamo di pensare; ora il fatto che sentiamo e pensiamo è che siamo; poiché essere è sentire e pensare (Etica Nic., IX, 9, 1170a 16-19). Il sentire di sentire porta poi dietro a sé una serie di considerazioni sulla funzione che, nell'animale superiore, ha l'immaginazione, la memoria e il tempo, condizioni, nell'uomo, dell'atto del pensare. Ogni sensazione, in quanto presente alla coscienza, resta tale, finché è presente il dato (sensibile). In quanto modificazione e coscienza di una modificazione o affezione, la sensazione è memoria, cioè ricordo di altra modificazione, senza di cui neppure sarebbe la presente modificazione; la sensazione, quindi, come coscienza e rapporto di modificazione, nell'unità della coscienza, è tempo (cfr. De memoria et reminiscentia, 449b 10- 450a 23). Ricordo e tempo, in quanto sentire di sentire, non sarebbero, se non si determinassero, nell'obbiettivazione del ricordo del sentito, in una immagine. La memoria, dunque, in quanto presenza alla coscien:;_~ .-Ii una modificazione passata, ordina nell'unità temporale una serie d1 _:-- _.:nagini, per cui data la presenza di una x impressione (Ti11toç: D-~ mem. et rem., 450b 15), scattano per associazione i ricordi y e z (De mem. et rem., 452a 15 sgg.). L'immaginazione è la visione ("poiché la vista è senso per eccellenza, la fantasia [o immaginazione] ha tratto anche il suo nome dalla luce, 't'Ò ~p
88
www.scribd.com/Baruhk
dell'oggetto immaginato, come invece avviene nell'opinione (l'opinione implica sempre una fede, anche se poi si rivela errata, in ciò che si opina), per cui l'immaginazione non fa riferimento all'attività noetica; libera dal giudizio, l'immaginazione non è né intelletto, come capacità di cogliere la forma universale, né scienza, come discorso verace (cfr. De an., III, 3). L'immaginazione, dunque, è distinta da sensazione e da riflessione: tuttavia essa non nasce senza sensazione e senza di lei non vi è nozione (III, 3, 427b 14 ). Non è questo però che un accenno ove, in realtà, non si vede be.ne la mediazione operata dall'immaginazione tra dati sensibilì e attività dell'intelletto. La questione è, invece, finemente approfondita nel De memoria et reminiscentia, in cui, puntando Aristo~ele la sua attenzione sulla funzione della memoria (come capacità di mantenere le immagini con riferimento al passato = ricordo; con riferimento al futuro = previsione), egli distingue tra meccanico ricordo di immagini (proprio anche degli animali) e cosciente collegamento di immagini (proprio dell 'uomo), in cui, distinta dal ricordo, consiste la reminiscenza e per cui è possibile un discorso (per contiguità, o somiglianza, o contrarietà) tra le immagini, in nessi che costituiscono come il fondamento, la materia del discorso intellettuale (cfr. De mem. et rem., 45lb 10 - 453a 4). La memoria differisce dalla reminiscenza, non solo in ciò che concerne il tempo, ma perché tra gli animali, meno che nell'animale uomo, molti hanno meli).oria, mentre nessuno degli animali conosciuti possiede remini· scenza, ad eccezione dell'uomo. La causa di tale privilegio è che la reminiscenza è una specie di sillogismo. Chi ha infatti una reminiscenza sillogizza d'avere prima visto o ascoltato qualcosa o provato qualche impressione, ed è come una specie di ricerca (De mem. et rem., 453a 6 sggl.~.
Di qui il valore delle immagini come ricordi delle forme sensibili senza materia, possibili oggetti di sussunzione all'intelletto, che, d'altra parte, si costituiscono in parole, che sono " simboli delle affezioni che hanno luogo nell'anima ..., onde suoni e lettere risultano segni ... delle affezioni dell'anima che sono le medesime per tutti e costituiscono le immagini di oggetti, già identici per tutti " (De interpretatione, l, 16a 2 sgg.) e mediante cui è possibile il discorso. Abbiamo qui il passaggio allo studio della facoltà dianoetica propria dell'animale uomo, ove si tratta di determinare - posto il fatto che l'uomo è attività intellettiva -
www.scribd.com/Baruhk
89
quali siano le leggi della genesi del pensiero, descrivendone il processo. Non sembra un caso, anzi, che Aristotde cominci questa parte del De anima, dedicata alla facoltà intellettiva (III, 4-8), precisando in primo luogo un chiaro parallelismo - anche se su piani diversi - tra processo mediante cui si genera l'atto della sensazione e il processo mediante cui si genera l'intellezione, e in secondo luogo l'accezione con cui egli usa il termine intelletto: " dico intelletto ciò per cui l'anima riflette e concepisce," onde " la parte dell'anima chiamata intelletto prima di pensare non è in atto alcuna realtà " (III, 4, 429a 23-25). L'intelletto, dunque, non è cosa, ma funzione, e per ciò Aristotele può dire ch'esso non è mescolato al corpo, perché altrimenti diverrebbe una qualità determinata (freddo, caldo) e avrebbe un organo, come la facoltà sensitiva. L'intelletto, funzione in quanto è nell'atto che pensa, e coscienza di esistere in quanto pensa, preso a sé è capacità, possibilità di tutte le forme, onde condizione perché ci sia l'intellezione è che da un lato vi sia la funzione d'intendere (l'intelletto) e dall'altro l'oggetto da intendere (intelligibile) che si presenti all'intelletto stesso. Sotto questo aspetto possibilità è l'intelletto e possibilità è l'intelligibile, ché l'intelligibile stesso è la presenza all'intelletto di immagini sensibili (" la facoltà noetica pensa le forme nelle immagini:" III, 7, 431b 2), come possibilità che da esse siano enucleate le forme essenziali, cioè l'universale. E allora, usando la terminologia propria del tempo di Aristotele, mutuata da Platone, è evidente il senso in cui Aristotele dice che l'intelletto è possibilità di tutte le forme (" è vero, come sostengono alcuni - i platonici - che l'anima è luogo di idee, solo che non bisogna riferirsi all'anima tutta intera, ma alla noetica, e alle idee non in atto perfetto, ma in potenza ": III, 4, 429a 28), ma che in sé, non esistendo se non nell'atto stesso in cui pensa, non ha nessuna forma (" deve allora accadere ciò che accade in una tavoletta in cui nulla è scritto in atto perfetto- entelechia": III, 4, 430a 1). Non è questo che un esempio, ma sta a indicare che l'intelletto è, appunto, possibilità e, dunque, materia di tutte le forme (intelletto potenziale o possibile o materiale), che sono in atto solo allorché l'intelletto si identifichi con l'intelligibile, per cui, in effetto, v'è intellezione quando l'intelletto, patendo (intelletto passivo) l'intelligibile, ha presente a sé le forme. Condizioni perché vi sia la sensazione in atto, sono il sensitivo, il sensibile in atto e il sentir di sentire, che non è né il sensitivo né il sensibile, ma la coscienza stessa dell'unità dei due termini nell'unità della coscienza, che, sotto questo aspetto, non· è né di questo né di quell'individuo, ma, diciamo, la forma che permette il sentire, anche
90
www.scribd.com/Baruhk
se ora questo o quell'individuo non sentono. Cosi, condizione perché vi sia l'atto dell'intendere, è che vi sia l'intelletto (come capacità di sussumere le forme: intelletto possibile o materiale; e come affétto dall'intelligibile: intelletto passivo), l'intelligibile come presenza all'intelletto delle forme (non in atto come il sensibile, in quanto l'intelligibile è privo di materia), e, infine, il pensar di pensare, che è lo stesso atto dell'intendere, per cui intelletto e intelligibile si identificano nell'intellezione. Il pensar di pensare, dunque, non è nessuno dei singoli atti d'intendere, ma ciò senza di cui non vi sarebbe intellezione, ciò che permette il passaggio di due potenze (intelletto e intelligibile) all'atto e senza di cui la stessa potenzialità non sarebbe. Il pensare di pensare è, sotto questo aspetto, logicamente separato dall'intelletto passivo e dall'intelligibile, e, in quanto condizione prima perché vi sia l'intellezione in atto, è in atto sempre, mentre singolarmente questo o quell'intelletto può o non può pensare. Tale è, accanto all'intelletto passivo (o materiale o potenziale), l'intelletto agente (voi.ic:; 7tonrmt6c:;), che, appunto, fa si che l'intelletto divenga gl'intelligibili. Si è molto discusso sin dall'antichità sul significato da dare all'intelletto agente, sull'affermazione aristotelica ch'esso è separato e che vien dal di fuori, ch'esso è eterno e luce divina (ma non va dimenticato che i commenti e i commenti dei commenti, da Alessandro di Afrodisia in poi, a Temistio ed Averroè, hanno risposto, volta a volta, a problemi e a motivi diversi da quelli di Aristotele). Certo, fin dal principio del De anima, Aristotele si è dimostrato sulla questione estremamente cauto e oscillante. Ad ogni modo il celebre testo (De an., III, 5, 430a 10-26) sull'intelletto agente, che opera sull'intelletto potenziale come la luce che fa passare all'atto i colori che al buio sono in potenza, è, in effetto, un brevissimo testo, intessuto, tra l'altro, di esempi, dove, dunque, va tenuto conto del significato dato da Aristotele all'esempio ("l'argomentazione, fondata sull'esempio, non passa dalla parte al tutto né dal tutto alla parte, ma procede dalla parte alla parte, quando cioè entrambe le parti sono subordinate a una medesima nozione, e una delle due risulti nota ": Primi Analitici, II, 24, 69a 15). Come nell'univ-ersa natura vi sono un elemento che è materia a ogni singolo genere (ed è in potenza tutti gli oggetti che costituiscono il genere), e un altro elemento che è la causa efficiente in quanto li produce ... , è necessario che anche nell'anima vi siano questi diversi elementi. E infatti da un lato vi è l'intelletto che ha la potenzialità di essere tutti gli oggetti, dall'altro l'intelletto che tutti li produce, quasi sia uno stato simile alla luce, poiché, sotto un certo aspetto, anche la luce rende colori in atto i
www.scribd.com/Baruhk
91
colori che lo sono in potenza. E questo intelletto è separato e impassibile e senza mescolanza, poiché nell'essenza è atto. Sempre, infatti, l'agente è superiore al paziente e il principio alla materia. La scienza in atto è identica al suo oggetto; la scienza in potenza, nell'individuo è - rispetto al tempo - anteriore; assolutamente, non è anteriore neppure al tempo. Ma non è che questo intelletto a volte pensi e a volte non pensi. Separato, esso è solo ciò che appunto è, e ciò solo è immortale ed eterno ... Tale intelletto è impassibile, mentre l'intelletto passivo è corruttibile, e senza di questo non può pensare (III, 5, 430a 10-26) ... Il principio che opera l'unità di ogrii composizione è l'intelletto ... (III, 6, 430b 7) ... In conclusione l'intelletto in atto si identifica con i suoi oggetti ... (III, 7, 431b 18).
E cosi, l'affermazione, che leggiamo nel De generatione animalium (II, 3, 736a 28), che l'intelletto ~ttivo venga dal di fuori (&Op<X&&v) e che esso solo sia divino, assume un suo preciso significato quando ci si riferisca alla nozione aristotelica di Dio, come condizione prima di tutti gli atti, attualità in atto: appunto, l'intelletto agente non è nessuno degli atti d'intendere, ma essendo la condizione perché vi sia l'atto d'intendere, esso logicamente precede tutti gli atti, è cioè intelletto in atto, e logicamente sussiste anche quando questo o quell'intelletto non intendano o siano morti col corpo, impassibile e compiuto rispetto alle accidentalità del sensibile. In altri termini, perché vi sia l'atto dell'intendere, che implica un intelletto e un intelligibile, è necessario che vi sia la forma dell'intendere, che in quanto tale non è di questo o quell'intelletto. Che poi esista in sé e per sé, che sia sostanza, quale sia la sua vita di là da questo o quell'intendere umano, è un altro discorso, e non sembra sia il discorso di Aristotele. Può darsi che ancora una volta, com'è stato detto, risorga la trascendenza platonica, ma non certo nell'intenzione di Platone, ché qui abbiamo piuttosto la constatazione del fenomeno atto d'intendere, irriducibile ad altro se non a se stesso, e da cui, poi, è possibile prendere le mosse per un'indagine del come è che l'uomo conosce. Accanto alla nutrizione, al senso-fantasia, all'intelletto, sembra che haaoltà dell'anima sia anche quella che determina il movimento. Ora, poiché il movimento è sempre movimento verso, esso non è dovuto alla facoltà nutritiva (le piante, ad esempio, pur nutrendosi non si muovono), tanto piu che il movimento è accompagnato da fantasia e appetito. Né, d'altra parte, prosegu.e Aristotele, il movimento può esser dovuto alla facoltà sensitiva, ché, molti animali, pur avendo sensazioni, non posseggono organi di locomozione; e neppure alla facoltà intellettiva, ché, in quanto conoscenza, l'intelletto non pensa qualcosa che sia
92
www.scribd.com/Baruhk
da respingere o da perseguire, " mentre il movimento è sempre proprio di chi fugge o persegue qualcosa " (III, 9, 432b 29). Ma neppure quando l'intelletto considera qualcosa di pratico, subito induce a perseguirlo o a rifuggirlo... ; mentre anche quando l'intelletto impone e la riflessione consiglia di rifuggire qualcosa o di perseguirla, l'animale non si muove, ma agisce secondo il desiderio, e n'è esempio l'intemperanza ... Ma neppure l'appetito determina questo movimento: infatti gli esseri temperati, quando sentono appetito e desiderio, non operano ciò per cui hanno desiderio, ma seguono l'intelletto (III, 9, 432b 30 " 433a 8). Facoltà cinetica, dunque, conclude Aristotele, non è né la nutritiva, né la sensitiva, né l'intellettiva. Essa piuttosto è dovuta all'immaginazione o fantasia (" qualora si supponga la fantasia come una specie di intellezione ": III, 10, 433a 10) che presenta un fine appetibile, i mezzi per raggiungere il quale sono dovuti all'intelletta pratica: ambedue, intelletto e appetito, sono facoltà cinetiche locali: per intelletto intendo quello che ragiona in vista di un fine e che è l'intelletto pratico, che si distingue dallo speculativo appunto nel fine (III, 10, 433a 13-15). Ne segue che la facoltà cinetica, se da un lato implica due principii motori, appetito e intelletto pratico, dall'altro lato implica un motore immobile, l'appetibile, che presentato dall'immaginazione, muove, appunto, a sé, senza essere mosso (motore immobile) la capacità dell'appetire (motore mosso) che si realizza nell'essere vivente (il mosso), per cui, in conclusione, se il tendere all'appetibile è immediato e non riflesso abbiamo il desiderio come tensione subitanea a ciò che l'immaginazione presenta (piacere attuale), se invece il tendere all'appetibile è dovuto all'intelletto pratico, che guarda al futuro, abbiamo la deliberazione (cfr. tutto il c. 10 del III libro). L'intelletto non muove senza appetito, poiché la volontà è appetito, quando ci si muove secondo il ragionamento ci si muove anche secondo la volontà ... In breve, dunque, l'essere vivente in quanto può appetire, in tanto può muovere se stesso; ma esso non può possedere appetito senza fantasia: d'altra parte ogni fantasia è o ragionativa [deliberativa], o è sensitiva ... (III, 10, 433a 23, 433b 27; cfr. anche Etica Nicomachea, III, I, 2, 3, 4).
www.scribd.com/Baruhk
93
Veniamo cosi ad avere, o azione dovuta al desiderio immediato (azione irragionevole), o dovuta al desiderio razionale (deliberazione), o dovuta al conflitto tra appetito e desiderio razionale con alterna vittoria (III, 11 ).
7. La "filosofia dell'uomo." Le scienze pratiche e poetiche a) Etica ("Etica Eudemea," "Magna moralia," "Etica Nicomachea "). L'analisi condotta da Aristotele, con intenti chiaramente descrittivi, delle condizioni che permettono di determinare e di classificare le funzioni proprie dell'attività psichica, indipendentemente da quello che possa essere il destino dell'anima o la sua provenienza, e soprattutto la parte dedicata alla facoltà cinetica e al desiderio, che nell'ùomo si rivela come immediato appetito (il che è comune anche agli altri animali) o come deliberazione raziocinativa dovuta all'intelletto pratico, aprono la via a intendere i corsi di lezioni tenuti da Aristotele al Liceo sulla fondazione di quella che è la condotta umana, indipendentemente da edificanti discorsi sul Bene in sé. Sembra cosi non senza importanza ricordare innanzi tutto la sottile distinzione fatta da Aristotele tra scienza in quanto tale, come studio delle condizioni che permettono di pensare una certa realtà, e come atto speculativo, che non implica come conseguenza nessuna azione (prassi), e la capacità di effettuare l'azione in conformità alla scienza: " ad esempio, chi possiede la scienza medica non cura, perché altro, non la scienza stessa, ha potere di effettuare l'azione in conformità alla scienza " (De anima, III, 10, 433a 4-8). E allora, l'uomo di scienza - e tale è l'intenzione di Aristotele si propone da un lato la conoscenza di quelli che sono i principii k:omuni ad ogni ·scienza e dei principii propri che permettono di pensare la realtà in quello che essa è, indipendentemente da ogni giudizio di valutazione (scienze teoretiche: filosofia. prima, fisica, matematica); dall'altro lato, poiché esiste anche la condotta umana, le cui condizioni Aristotele individua nell'immaginazione che presenta l'appetibile, che viene realizzato immediatamente e impulsivamente, o deliberatamente. mediante la ragione, l'uomo di scienza ha anche il compito di individuare come è che l'uomo si comporta, le condizioni che permettono all'uomo di realizzare compiutamente la propria peculiare natura, in una parola quello che è il costume (~3-o~ = ethos, mos), il carattere umano. D'altra parte, poiché in questo campo non si possono prea-
94
www.scribd.com/Baruhk
dere le mosse che dall'osservazione e dalla descrizione della stessa condotta umana per giungere a determinare certe guise di comportamento, si capisce come Aristotele dica che la scienza pratica non possa presumere al rigore e alla universalità delle scienze teoretiche. " È proprio dell'uomo colto richiedere in ciascun genere di ricerca tanta esattezza quanta ne permettè la natura dell'argomento" (Etica Nicomachea, l, 3, 1094b 24). Solo che la prima difficoltà consiste proprio nella delimitazione dell'argomento - il campo proprio dell'etica - ché se da un lato si dovrebbe determinare - appurato che ogni azione umana è volta a realizzare un certo fine, che, in quanto tale, si pone, di volta in volta; come bene - quale sia il fine, attuandosi il quale l'uomo realizza se stesso, cioè quale sia il fine ultimo e quale sia la tecnica che permette di realizzare quel fine; dall'altro lato sembra che la moralità si attui proprio mediante la stessa riflessione sulla morale. E allora, se la ricerca sulla condotta umana s'imposta come scienza della morale, essa si pone anche come moralità che consiste nella stessa riflessione morale, per cui si è a un tempo padri e figli delle proprie azioni. Ogni attività è sempre volta a un certo fine (" ogni arte e ogni ricerca, e similmente ogni azione, sembrano mirare a qualche bene; per ciò, a ragione, definirono il bene: ciò a cui ogni cosa tende ": Et. Nic., I, l, 1094a l sgg.); ogni fine realizzato è, a seconda dell'una o dell'altra arte, subordinato a un fine superiore (ad esempio, l'azione militare è subordinata alla strategia e questa a conseguire la vittoria: ib.); bene, dunque, non è in se stesso il contenuto cui è volta questa o quella attività, ma come è che tale fine si realizza, e l'articolarsi dei fini volti a realizzare un fine che li coordini; e allora, se vi è un fine delle nostre azioni che vogliamo di per se stesso, mentre gli altri li vogliamo solo in virtU. di quello, . e non desideriamo ogni cosa in vista di un'altra cosa singola - cosi si andrebbe all'infinito, si che la nostra tendenza sarebbe vuota e inutile, - in tal caso è chiaro che questo deve essere il bene e il bene migliore (Et. Nic., I, I094a 18-22). In altri termini, poiché ogni azione è sempre volta a qualcosa di concreto, e poiché molti sono i fini e le capacità di re..:izzarli bene, la attività propriamente etica non può esaurirsi in questa o in quell'attività, ma deve consistere in una funzione sua propria, cioè nella capacità di coordinare in unità i vari fini della condotta umana, per cui Aristotele afferma che 'l'etica è scienza architettonica e che, dunque, è politica, arte delle arti (Et. Nic., I, 1094a 27). Si pone cosi il problema di determinare da un lato il contenuto del fine proprio dell'etica, cioè in
www.scribd.com/Baruhk
95
che consista il bene (che non può essere inteso nel senso in cui lo poneva Platone) e dall'altro lato le condizioni che permettono di realizzare. tale bene, che, in conclusione, non sta in qualcosa di già dato, ma nella stessa attuazione della eticità come armonizzazione dei fini particolari. Evidentemente è necessario rendersi conto, innanzi tutto, del significato dato da Aristotele al termine virtu (&pe-dj, da &p~axCil come !ptcrroç = ottimo, eccellente) in senso lato: virtu, precisa Aristotele, consiste nell'attuare pienamente la propria natura (sotto questo aspetto, ad esempio, un occhio buono è un occhio che attua eccellentemente, pienamente la propria capacità o virtu visiva ...). E allora, se un buon architetto è chi, attraverso l'arte, attua in pieno la propria capacità di costruire, l'uomo buono, che è - e non può non essere - ad un tempo architetto, o .ingegnere, o flautista, o medico e cosi via, è chi, accanto ad attuare bene la propria natura particolare, ha la capacità di realizzare un ordinato e armonico rapporto tra i vari fini; ciascuno, cosi, per ciò che gli compete, attua misura tra i suoi vari movimenti verso i singoli fini, in un solo fine, che è la stessa attuazione in atto della misura. Entro questi termini, l'attività morale si determina come tensione e misura interiore che è, ad un tempo, misura complessiva della società. Se, d'altra parte, la moltitudine e le persone raffinate, ritengono che il viver bene e l'aver successo sia felicità, e se la virtu consiste, appunto, nell'attuare bene, eccellentemente, la propria natura, virtu e felicità coincidono, qualora si determinino i generi di vita perseguiti dall'uomo. Evidentemente, sotto questo aspetto, cangia il significato dato volta a volta dall'uomo al termine felicità (cò8oct!J.ov(oc). Non a torto gli uomini sembrano concepire il bene e la felicità a seconda del loro genere di vita. La massa e le persone piu rozze li trovano nel piacere: perciò prediligono una vita di godimento. Tre, infatti, sono 1 generi di vita piu notevoli: quello suddetto, quello che mira alla vita politica, infine quello contemplativo (Et. Nic., I, 3, 1095b 14 sgg.). Sembra, questa, la chiave per intendere l'assunto proprio dell'Etica Nicomachea. Aristotele, in fondo, non presenta qui la sua morale, ma, entro i termini di tutta la sua piu matura indagine, cerca di determinare tipi di vita, ch'egli, alla fine, individua in due grandi generi. Abbiamo cosi da un lato la morale (éthos) vera e propria, come complesso delle condizioni che permettono la convivenza umana, in un rapporto di misura, il cui fine è, dunque, la stessa vita sociale (politica), fine che non esiste in sé, ma che si attua a seconda della capacità con cui
96
www.scribd.com/Baruhk
ciascuno realizza se medesimo, che sta, perciò, nella stessa azione, mdipendentemente da qualsivoglia contenuto già dato, e che è il modo pilu alto e proprio di attuare un aspetto di quella che è la natura dell'uomo, essere sociale (" il bene perfetto sembra essere autosufficiente: noi intendiamo per autosufficienza non il bastare a sé solo di un singolo, che conduca una vita solitaria, ma anche il bastare ai suoi parenti, ai figli, alla moglie e infine agli amici e ai concittadini, poiché per sua natura l'uomo è un essere politico": Et. Nic., I, 5; 1097b 7; cfr. anche Politica, I, 2, 1253a); dall'altro lato, relativamente all'attuazione piena della natura umana, e, quindi, relativamente alla felicità, poiché l'uomo è anche capacità contemplativa, abbiamo che virtu, eccellenza umana è anche la vita contemplativa, ma ciò non significa che, dunque, la vita contemplativa sia vita etica. Anzi, anche se la vita contemplativa rappresenta la piu alta capacità, l'eccellenza dell'uomo, per cui essa è virtu, la piu eccellente eccellenza, la vita contemplativa, in quanto in sé solitaria (" l'uomo sapiente, invece, anche da se stesso potrà contemplare e ciò tanto piu, quanto piu è sapiente ": Et. Nic., X, 7, 1177a 32) e inattiva (" se a chi vive si toglie l'agire, e ancor piu il creare, cosa resta se non la contemplazione? ": Et. Nic ... X, 8, 1178b 20), non ha nulla a che fare con l'etica (" la vita contemplativa sarà superiore alla natura dell'uomo: infatti non in quanto uomo egli vivrà in tal maniera, bensi in quanto in lui vi è qualcosa di divino": Et. Nic., X, 7, 1177b 27; mentre" le attività conformi alla vita etica sono quelle umane: infatti tra di noi esercitiamo le azioni giuste, quelle coraggiose e quelle conformi alle altre virtu sia nei contratti, sia nei rapporti sociali, sia nelle azioni di ogni genere e nelle passioni, avendo cura di rispettare ciò che compete a ciascuno: e tutte queste appaiono essere cose umane": Et. Nic., X, 8, 1178a 9 sgg.), se non solo in quanto costituisce un costume, un abito del singolo. Aristotele pone cosi due tipi di vita: un tipo di vita mondano, sociale (etico); e un tipo di vita monastico, intellettivo (noetico). In effetto Aristotele non ha mai confuso i due piani, né presentato due etiche: si tratta piuttosto di due piani diversi, di due diversi tipi di beni. L'uno, il bene etico, che si realizza in quanto ciascuno sa porre misura in sé, attuando una relazione armonica con l'altrui misura, che non è un bene dato, contemplabile, ma 11architettonica misura dei beni, bene che, dunque, non si coglie per via conoscitiva, ma in quanto mediante l'azione stessa si costituisce un abito, la capacità di sapere volta a volta come realizzare quella misura (" come una sola rondine non fa primavera, né un sol giorno; cosi neppure una sola giornata o un
www.scribd.com/Baruhk
97
breve tempo rendono la beatitudine o la felicità ": Et. Nic., I, 7, 1098a 18-20); l'altro, un bene amorale, che si dice b~ne perché si pone come fine perseguibile dall'uomo in quanto capacità di scire, onde l'attuazione della conoscenza, per il fatto che realizza un aspetto proprio della natura umana, è una forma di felicità, la piu alta. Certo, tra l'ideale della vita contemplativa e l'ideale della vita come azione, che si realizza, volta a volta, in una misura non data, mediante una serie di atti che generano un abito per cui, volta a volta, si è ca~ paci di determinare il giusto mezzo, che non è aurea mediocritas, ma, appunto, misura, per cui so quando è bene arrabbiarsi e quando no, quando essere generosi e quando no, costituendo un interipre equilibrio che è, ad un tempo, equilibrio sociale, tra l'uno e l'altro ideale di vita c'è un iato che non sembra facile colmare, ché si tratta di piani diversi. Ad ogni modo, Aristotele, dopo avere determinato che molla dell'azione sono certi fini che si presentano all'immaginazione come appetibili, che il bene è la felicità in quanto realizzazione di quei fini e della natura propria dell'uomo e che il bene morale consiste nell'attuazione armonica dei fini; posto che virtu consiste nell'attitudine a realizzare la propria natura, Aristotele, distinguendo due tipi di vita, poteva distinguere due tipi di virtu: virtu etiche e vi1·tu dianoetiche, ove le prime sono le attitudini proprie all'attuazione della vita sociale in quanto rapporto e misura, :ostituenti il complesso della condotta, del costume (éthos) umano, le seconde le disposizioni proprie all'attuazione dell'attività dell'intelletto {8ttx-VO'Y)crtc;)in quanto soggetto di conoscenza. Se pure il dire che la felicità è il bene migliore sembra qualcosa di oramai concordato, tuttavia si sente il bisogno che sia ancor detto qualcosa di piu preciso intorno alla sua natura. Potremo riuscirei rapidamente se esamineremo l'opera dell'uomo. Come infatti per il flautista, il costrut tore di statue, ogni artigiano, insomma chiunque ha un lavoro e un'attività sembra che il bene e la perfezione risiedano nella sua opera, cosi potrebbe sembrare anche per l'uomo, se pur esiste qualche opera a lui propria ... Come ·sembra esservi un'opera propria dell'occhio, della mano, del piede e insomma di ogni membro, cosi oltre a tutte queste si deve ammetter:: un'opera propria dell'uomo? E quale sarebbe, dunque, questa? Non già il vivere, ché questo è comune anche alle piante, mentre si ricerca quakosa che gli sia proprio. Bisogna dunque escludere la nutrizione e h crescita. Seguirebbe la sensazione, ma anche questa appare essere comune al cavallo, al bue e ad ogni altro animale. Resta dunque una vi1a atciva propria di un essere razionale. E di essa si distingue ancora una
98
www.scribd.com/Baruhk
parte obbediente alla ragione, un'altra che la possiede e ragiona. Potendosi dunque considerare anche questa in due maniere, bisogna considerare quella in reale attività: questa infatti sembra essere superiore ... Se è cosi noi supponiamo che dell'uomo sia proprio un dato genere di vita, e questa sia costituita dall'attività dell'anima e dalle azioni razionali ... Il bene proprio dell'uomo è, dunque, l'attività dell'anima secondo virt6, e se molteplici sono le virt6, secondo la migliore e la piu perfetta ... (Et. Nic., 1,, 7, 1097b - 1098a).
E allora, se proprio dell'uomo è vi vere secondo ragione e la razionalità implica da un .lato un complesso di istinti e di passioni, di appetiti che possono essere condotti, volta a volta, moderatamente, alla realizzazione dell'ordine sociale, costituente un ragionevole costume umano (Et. Nic., l, 13), e dall'altro lato implica l'esercizio del giudizio e della scienza, risulta evidente la distinzione aristotelica tra le virtu proprie del costume (virtu etiche), entro cui si scandisce la moralità, e le virtu proprie dell'intelletto (virtu dianoetiche), che prese a sé non hanno nulla a che fare con la moralità, anche se per altro verso pos~ sano costituire un abito atto alla realizzazione della eticità. Parlando di costumi, non diciamo che qualcuno è sapiente ( ao:p6c;) o assennato ( auv&-r6c;), bens{ che è mansueto o moderato ( acl>cppCùv), ma lodiamo anche il sapiente ( aocp6c;) per la sua disposizione (xcx-rcì -rijv ~~LV); e di tali disposizioni quelle lodevoli le chiamiamo virtu (Et. Nic., l, 13, 1103a 7-10) ... Che la parte irrazionale dell'anima obbedisca in qualche modo alla ragione, ce lo dimostrano l'ammonimento, ogni rimprovero e l'esortazione. Che se poi bisogna ammettere che anche questa parte ha la ragione, bisogna allora ammettere che anche la ragione ha due parti: quella principale e autonoma e quella che invece obbedisce come al padre ... (Et. Nic., l, 13, ll02b 33 - ll03a 5). Va, d'altra parte, sottolineato qui un testo dell'Etica Nicomachea (VI, cc. 3-8), in cui Aristotele sostiene che la scienza è apodittica e ha un suo preciso contenuto che consiste in ciò che non può accadere se non come accade, "non può essere diversamente da quello che (VI, 3, 1139b 21); che la intelligenza è l'atto con cui l'intelletto coglie i primi principii di tutte le scienze; che la sapienza è capacità di dedurre dai principii e giudicarne la verità. Scienza, intelligenza e sapienza costituiscono, dunque, un tutt'uno e sono volte a determinare le condizioni adialettiche (indiscutibili) che permettono di pensare la realtà, condizioni da cui, d'altra parte, si viene snodando il discorso veràce, su cui si scandisce lo stesso ordine del reale. Il discorso scientifico non implica, perciò, né azione né costruzione, ma contemplazione. Aristotele tuttavia, accanto alla teoreticità, volta al necessario, a ciò che non può essere altro da come è, pone che vi sia un'attivit?&
e"
www.scribd.com/Baruhk 99
della ragione volta al possibile, a ciò che può essere diversamente da ciò che è, per cui, in tal caso, la ragione, tenendo presenti i dati del mondo possibile (il mondo degli uomini), può determinarsi uno scopo, un fine che non è dato, ma ch'essa, conoscendo quei dati, realizza e che si risolve nel suo stesso realizzarsi. E tale è la ragione pratica. Se la razionalità, dunque, da un lato, c'è nell'atto in cui si costituisce un ordine, che è tale in quanto divenga rapporto e misura sociali, e dall'altro lato nell'atto in cui si attua conoscenza, per cui si hanno su piani distinti, azioni ragionevoli (eticità) e attuazioni intellettive (dianoeticità), la virtuosità, in quanto eccellenza dell'una o dell'altra funzione, non è determinabile una volta per tutte, non è né un dato di natura, una facoltà ( 8Uvoq.LLt;) come potrebbe esserlo la vista, né un impulso naturale, una passione, come l'ira o il timore, ma è un<J disposizione (~~Lt;), che si acquisisce, appunto, mediante l'esercizio (Et. Nic., II, 5), onde la virtu è un abito (Et. Nic., Il, 1-4), cioè disposizione a porre in atto, volta per volta, o misura interiore e sociale ( virtu etiche), o conoscenza (vìrtu dianoetiche). Di qui un'altra capitale distinzione aristotelica, consistente nella affermazione che mentre la virtu dianoetica è insegnabile in quanto scienza (~ 1-Lèv 8LcxVOl)'t'LX~ 't'Ò 7tÀe:rov èx 8L8cxaxCXÀ(cxç è)(E:L xcxt ~V ytve:aLV Xott ~V ot6~7laLv, 8L67te:p è!J.7tELp(cxç 8e:hotL xott x.p6vov: II, l, ll03a 15), la virtu etica non è insegna-
bile, perché in quanto determinazione di una misura, che si realizza volta a volta, nel giuoco delle passioni e dei rapporti sociali, essa si acquisisce mediante l'esercizio e la riflessione sull'esercizio stesso, siccome avviene per l'arte (" la virtu etica, ~.&Lx~, invece, deriva dall'abitudine, è~ t&ouç, da cui trae anche il suo nome, éthos, che poco differisce da quello dell'abitudine, éthos: II, l, 1103a 18: le virtu etiche le acquistiamo quando prima ci siamo esercitati, come accade anche nelle arti:" ib., 1103a 30). L'arte della costumanza (etica) non è, dunque, insegnabile, perché non è scienza (la scienza è apodittica e ha un suo preciso contenuto che consiste in ciò che non può accadere se non come accade), non è intelligenza, intesa come atto con cui l'intelletto, il vouç, coglie i primi principii di tutte le scienze), non è sapienza (aocplot, intesa come capacità di dedurre dai principii e giudicarne la verità); l'arte della costumanza, cioè l'arte la cui opera è l'istituzione dei rapporti umani, consiste nella capacità, nel gusto, che si acquisisce mediante l'esercizio, si che divenga proprio di ciascuno (habitus), di sapere volta a volta cogliere la misura tra l'eccesso e il difetto. Tale misura non è misura matematica, sottolinea Aristotele (Etica Nic., II, 5), ma con-
100
www.scribd.com/Baruhk
sapevolezza cntlca, volta a volta, di ciò che è bene fare, perché si attui quel certo equilibrato rapporto, onde la virtu, l'eccellenza di tale arte, sta nel costituire il " giusto mezzo " (mesòtes) e "questo mezzo è stabilito non in relazione alla cosa, bens1 in relazione a noi " (Et. Nic., II, 6, 1106b 6). Ad esempio, ponendo il dieci come quantità eccessiva e il due come quantità difettiva, il sei si considera come il mezzo rispetto alla cosa: questo è infatti il mezzo secondo la proporzione numerica. La posizione di mezzo riguardo a noi non va invece interpretata cosf: infatti se per qualcuno il mangiare dieci mine è troppo e il mangiarne due è poco, il maestro di ginnastica non per questo ordinerà di "mangiare sei mine; ... questa o quella razione per Milone è poca, per un principiante di ginnastica è molta ... La virtu, dunque, dovrà tendere al mezzo. Io qui parlo della virtu etica: essa infatti riguarda le passioni e le azioni, ed è in esse che s'incontrano l'eccesso, il difetto e la posizione di mezzo (Il, 6, llOa, 361106b 19). La virtu [etica] è, quindi, una disposizione del proponimento (~~t<; nella medietà rispetto a noi stessi (~v tJ.E:0"6nrn dalla ragione, e come l'uomo saggio ( ò cpp6vttJ.O<:;) la definirebbe (Et. Nic., Il, 6, 1106b 36, 1107a) ... Infatti il proponimento è sempre accompagnato dalla ragione e dalla riflessione (III, 2, 1112a 15).
7tpo~tpntx~ ), consistente oi5o-<X 7tpÒç ~tJ.iiç ), definita
Il piano dell'etica, dunque, è misurabile entro il mondo umano; e la virtu etica, appunto perché determinabile come giusto mezzo, e perché acquisizione di un abito per cui si sa (consapevolezza) volta a volta ciò che è giusto fare, non è definibile una volta per tutte, proprio perché tale consapevolezza implica la volontarietà, cioè l'atto libero, e la libera volontà è tale solo volta per volta. Del \'olontario e dell'involontario si deve parlare sempre in relazione al momento in cui si agisce ... Non è facile prescrivere quali azioni si debbano compiere a preferenza di altre, poiché vi· sono molte differenze nei casi singoli (Et. Nic., III, l, lllOa 14, lllOh 7) ... e le azioni le cui cause stanno in noi debbono dipendere esse stesse da noi ed essere quindi volontarie (III, 5, 1113b 20) ... , ché l'uomo virtuoso è, egli, canone e misura delle cose (III, 4, 1113a 33). Deriva di qui che entro i termini dell'eticità non siano determinabili norme che valgano una volta per tutte, ché l'unica norma è la misura, ed è la misura stessa che rende virtuose le azioni, per cui Ari-
www.scribd.com/Baruhk
101
stotele nel proporre una serie di virtu etiche (Et. Nic., III e IV) non a caso procede per esemplificazione, non potendo, evidentemente, né determinarne il numero, né precisarne il contenuto, se non come esemplificazione della tesi della medietà. Cosi come non è un caso che le virtu etiche proposte da Aristotele siano appunto etiche, cioè tali in quanto istituiscano una misura determinante un rapporto di equilibrio tra uomini, e che la virtu etica per eccellenza sia la giustizia, la quale, a sua volta, non è considerata in astratto, ma nei concreti rapporti umani, dai contratti ai processi giudiziari, alle leggi. La giustizia è una virtu perfetta ... E per questo spesso la giustl,_zta sembra essere la piu importante delle virtu ... e, nel proverbio, diciamo: "nella giustizia è insieme compresa ogni virtu" [Teognide, 147] ... Essa è perfetta perché chi la possiede può servirsi di questa virtu anche nei riguardi di un altro e non solo di se stesso; infatti molti nelle proprie cose possono servirsi della virtu, ma non possono servirsene nelle cose che concernono altri ... Per questo la giustizia è la sola delle virtu che sembra essere un bene altrui, in quanto riguarda gli altri: essa infatti compie ciò che è utile ad altri, sia ai capi, sia alla comunità ... (Et. Nic., V, I, 1129b 25 - 1130a 5). Nella giustizia, dunque, è compresa ogni virtu: primo, perché ciascuna virtu etica è tale in quanto giusto mezzo e misura di sentimenti, onde si costituisce un giusto e ragionevole equilibrio interiore; secondo, perché la giustizia, essendo misura delle virtu, le abbraccia tutte, costituendo un giusto rapporto umano, realizzando cioè la sociale natura umana. Al lume di questo concetto di giustizia, che Aristotele sembra abbia elaborato precedentemente ai primi tre libri dell'Etica Nicomachea ed al relativo concetto di giusto mezzo, si chiarifica da un lato l'evoluzione del pensiero morale di Aristotele nel senso di un'etica mondana (quale appare dai primi tre libri dell'Etica Nicomachea) e dall'altro lato l'esemplificazione delle virtu etiche in un rintraccio di quella che ne è la forma in quanto misura (libri III, 5, 1115a l - IV). Se difatti si considerano le dodici virtu etiche esposte da Aristotele (coraggio, temperanza, liberalità, magnificenza, rispetto di sé, equilibrio tra ambizione e mancanza di ambizione, gentilezza, veracità, spiritu, cortesia, modestia, giusta indignazione) ci si rende conto - a parte le molte confusioni e incertezze - che Aristotele non tenta affatto di darne un contenuto, ma la forma il cui contenuto può volta a volta cangiare.
102
www.scribd.com/Baruhk
Il coraggio, ad esempio, in quanto dominio dei sentimenti di paura o di confidenza, si determina in quanto media tra la temerarietà (eccesso) e la codardia (difetto), ma volta a volta cangiando a seconda dell'oggetto (coraggio civile, fisico, e cosi via). La temperanza si determina come media tra l'intemperanza e l'indifferenza; la liberalità come media tra la prodigalità e l'avarizia; la magnificenza tra la esagerazione volgare e la spilorceria; il rispetto di sé tra la vanità e l'umiltà, e via di seguito. Gli studi piu recenti sull'evoluzione del pensiero morale di Aristotele hanno chiarito molte cose e molte delle contraddizioni e delle tortuosità che presenta l'Etica Nicomachea, se letta in blocco cosi come fu sistemata e ordinata, probabilmente da Andronico, il quale riprese testi e trattatelli che non facevano parte dell'originaria Etica Nicomachea. È noto che l'etica aristotelica ci è giunta attraverso tre opere: la Etica Eudemea (in 7 libri), l'Etica Nicomachea (in 10 libri) e i Magna moralia (in 2 libri). Sembra oggi accertato (per la storia dell'evoluzione del pensiero etico di Aristotele, della formazione delle tre etiche e delle varie tesi critiche, rimandiamo al saggio di A. Plebe, premesso alla sua traduzione italiana dell'Etica Nicomachea, Bari, 1957) che l'Etica Eudemea, nella sua essenza molto vicina alla morale teologica di Platone ed estremamente normativa - per lungo tempo ritenuta opera di Eudemo di Rodi, discepolo di Aristotele, ma assai vicino alla visione religiosa di Platone - sia per certe parti almeno (libri l, 2, 3 e 7), un corso di lezioni, redatto poi da Eudemo, ma tenuto da Aristotele quand'egli insegnava ad Asso. Sembra poi che ancora al tempo del suo insegnamento in Asia Minore, Aristotele, sempre piu distaccandosi da Platone, sia tornato a piu riprese sul problema dell'etica: da questi suoi corsi molteplici di lezioni sarebbero venuti fuori, forse in appunti, dei trattatelli sulla giustizia, sulla saggezza (forse due e in epoche diverse), sul piacere (anche questi piu d'uno e in epoche diverse), sull'amicizia. In questi trattatelli Aristotele discute sempre piu a fondo contro la morale intellettualistica e teologica, distinguendo virtu proprie dell'intelletto, che non hanno a che fare con la condotta e il costume, e virtu proprie dell'éthos, cercando, comunque, di veder la saggezza come il tratt d'union tra l'attività della ragione volta alla contemplazione dell'essere e dell'ordine in sé della realtà, e l'attività della ragione volta all'ordine e alla misura dei desideri e delle passioni, donde scaturisca la ragionevolezza della vita pratica, la cui applicazione concreta si risolve nelle leggi e nella giustizia. Sia per la polemica, sia per l'oscillazione
www.scribd.com/Baruhk
103
stessa del pensiero aristotelico di questo periodo (tra il 345 e il 335) si capiscono molte tortuosità, contraddizioni, difficoltà che investono questi trattatelli, che, molto probabilmente, in epoca piu tarda, certo molto dopo .la morte di Aristotele (Diogene Laerzio li cita come separati, mentre non cita l'Etica Eudemea, e cita l'Etica Nicomachea in 5 libri), vennero raccolti in 2 blocchi, con la giustapposizione di testi, anche in contrasto tra loro (alcuni sul piacere, e sulla saggezza, di epoche diverse). Di qui un insieme di tre libri: sulla giustizia, sulle virtu dianoetiche (con particolar riguardo alla saggezza), sull'incontinenza e il piacere (tipici appunti di corsi di lezioni); e due libri intorno all'amicizia (secondo Porfirio, Andronico "divise le opere di Aristotele e di Teofrasto in sistemi, mettendo insieme sotto il titolo comune le speculazioni che trattavano argome11to affine"). Sembra in terzo luogo che, sempre al tempo del suo insegnamento in Asia, Aristotele, in difesa del nuovo concetto di virtu etica, abbia teso a svalutare le virtu dianoetiche: forse a questo periodo risalgono l'insieme delle lezioni o degli appunti presi dai discepoli da cui, piu tardi, scolari di scolari di Aristotele avrebbero ricavato i libri dei Magna moralia, antimetafisici ed essenzialmente pratici da un lato, dall'altro lato stilisticamente vicini alle prime opere di Aristotele. Aristotele infine, ritornato ad Atene, ha ancora tenuto "dei corsi suil'Etica, in cui, oramai giunto alla piena maturità del suo pensiero, ha distinto con precisione due tipi di vita, pratica e intellettiva, determinando le guise e i modi mediante cui si attua l'una e l'altra, separando l'una dall'altra, senza che l'una sia· oramai opposta all'altra. Sembra che da queste lezioni, o forse da una stesura vera e propria, sia nato il nucleo originario, stilisticamente e essenzialmente coerente, dell'opera etica, che, redatta da Nicomaco, prese il nome.di Etica Nicomachea, in 5 libri, gli attuali: primo (Sul bene e la felicità), secondo (la virtu), terzo (la virtu etica: volontà, proponimento, deliberazione; coraggio e temperanza); quarto (le altre virtu etiche); decimo (il piacere e la felicità, la vita contemplativa). Gli attuali libri quinto (la giustizia), sesto (le virtu dianoetiche e la saggezza), settimo (sul piacere e l'incontinenza), ottavo (sull'amicizia), nono (ancora sull'amicizia), si è convinti siano stati aggiunti al tempo di Andronico, desunti dai trattatelli sull'etica ricavati dalle lezioni di Aristotele precedenti il suo ritorno ad Atene. Tre di questi libri - gli attuali 5, 6 e 7 della Etica Nicomachea - sarebbero stati aggiunti, in epoca piu tarda, alla originaria Etica Eudemea, costituendone gli attuali libri 4, 5 e 6, che, appunto perché identici a quelli
104
www.scribd.com/Baruhk
della Nicomachea, sono stati detti i libri "comuni." In conclusione, sia l'analisi stilistica, sia l'esame delle fonti sul tempo e del modo con cui si è formato il corpus etico di Aristotele, sia l'indagine sulle citazioni interne delle tre etiche, e sulla tortuosità e difficoltà di alcune loro parti, sul modo diverso con cui è trattata la saggezza e discusso il piacere, o è considerata virtu etica solo la realizzazione della vita mondana, hanno portato a ritenere, con un buon margine di certezza, le seguenti concluswm. Alla prima Etica Eudemea (momento piu strettamente platoni;o), in cui ancora la saggezza è considerata come riflessione teoretica sulla verità, sarebbero succeduti quelli che poi son divenuti i tre libri comuni (già essi rielaborazione di altri trattatelli precedenti), in cui si vien formulando la tesi della giustizia virtu etica perfetta e della saggezza, come ragionevolezza e non piu come sapienza né come intelligenza. Ne derivava la distinzione tra virtu etica per eccellenza (cioè la giustizia) che determinerà la possibilità delle virtu etiche, e le virtu dianoetiche entro cui tuttavia la saggezza già assume una sua specifica funzione che la differenzia dalle virtu intellettuali: di qui forse, in un tentativo di estrema differenziazione, gli appunti, o lezioni, divenuti piu tardi, nell'ambiente del peripato, i Magna moralia. Si giungeva, cosi, infine, attraverso la problematica sul significato da dare ai beni, al bene e alla felicità, alla determinazione del concetto di virtu etica, come abito e giusto mezzo, che assume luce dalle conclusioni sulla giustizia, accantonando il motivo della saggezza come in parte virtu intellettuale e in parte virtu pratica (risolvendosi la saggezza nella consapevolezza critica del giusto mezzo) e distinguendo dalla vita morale, in quanto costume e sapiente istituzione di equilibrati rapporti umani, non definibili una volta per tutte, la vita intellettiva che ha una sua virtuosità e che realizzando la piu alta capacità umana realizza ad un tempo la piu alta possibile felicità dell'uomo, ma su di un piano diverso da quello che può essere il piano della felicità etica. Di qui l'originaria Etica Nicomachea (libri l, 2, 3, 4, 10), che rappresenta il momento piU! maturo del pensiero morale di Aristotele ed alla quale si giunge attraverso le precedenti discussioni sulla giustizia (libro 5) e sulle virtu dianoetiche (libro 6) dalle quali, in effetto, Aristotele distingur ne'ttamente la saggezza (fr6nesis). Già nell'Etica Eudemeà (Il, 4, l) Aristotele, sulla scia di Platone, aveva distinto l'anima in due parti, la razionale e l'irrazionale. Ora - egli dice - dobbiamo suddividere similmente la parte razionale. Stabiliamo dunque che due sono le parti razionali: una è quella con
www.scribd.com/Baruhk
105
cui vediamo quelle cose i cui principii non possono essere diversamente da quel che sono, l'altra con cui vediamo le cose che possono essere diversamente da quel che sono ... Chiamiamo queste parti l'una scientific::~, l'altra discorsiva (ì.oyL
106
www.scribd.com/Baruhk
Resta ch'essa sia una disposizione pratica, accompagnata da ragione verace, intorno a ciò ch'è bene e male per l'uomo. Infatti della creazione artistica v'è un fine diverso da essa stessa, dell'azione invece non·. ci può essere: il fine è infatti la stessa bontà dell'azione (Et. Nic., VI, 5, 1140b 1-7). Ora, l'insistenza di Aristotele nell'affermare che scienza, intelletto e sapienza sono del necessario e saggezza è di ciò che può essere e non essere, chiarisce il significato dato da lui alla saggezza come capacità di sapersi inserire volta a volta nelle situazioni di fatto, conoscendo mezzi mediante cui consapevolmente agire secondo misura, entro i termini e i limiti del mondo umano: E non importa per nulla che l'uomo sia il migliore degli esseri viventi: infatti vi sono altre cose molto piu divine dell'uomo per natura, come le splendidissime luci di cui si compone il mondo. Da ciò che si è detto ~ chiaro che la sapienza è insieme scienza e intelletto delle cose piu eccelse per natura... Invece la saggezza riguarda le cose umane e ciò intorno a cui ç possibile deliberare... E bravo... è chi, seguendo il ragionamento, sa mirare al migliore dei beni realizzabili per l'uomo. La saggezza poi... deve conoscere anche i particolari: essa infatti riguarda l'azione e l'azione riguarda i casi particolari (VI, 7, 114la 16).
Sulla saggezza, dunque, che non ha un suo contenuto specifico, si fonda la virtuosità etica (" non è possibile esser buoni senza la saggezza né esser saggi senza la virtu etica ": VII, 13, 1144b 31 ), in q).lanto, appunto, la saggezza è la capacità (acquisita mediante il suo stesso esercizio) di comportarsi volta a volta a seconda delle situazioni e dei mezzi a disposizione (donde la fortuna), misuratamente e socialmente (per cui Aristotele accosta saggezza e politicità) ed anche accortamente, senza tuttavia che saggezza e accortezza coincidano: L'a,:cortezza consiste nel fatto d'esser capaci di eseguire e conseguire quelle cose che conducono allo scopo che ci siam proposti. Se lo scopo è buono, essa è lodevole, se invece è cattivo, essa diviene malizia; perciò noi chiamiamo accorti tanto i saggi quanto i maliziosi. La saggezza quindi non si identifica con questa facoltà, ma non può esistere senza di essa (VI, 12, 1144a 23 sgg.). Sotto questo aspetto - della saggezza intesa come capacità di sapere abilmente istituire misura interiore e sociale, mediante la conoscenza dei mezzi a disposizione, - sembra molto importante che Ari-
www.scribd.com/Baruhk
107
stotele la definisca qui (VI libro) una " virtu architettonica," ché piu tardi, in quello che oggi è il I libro della Nicomacbea, sarà proprio l'eticità che vien definita da Aristotele virtu architettonica per eccellenza. E allora, se da un lato la saggezza poteva ancora essere detta virtu dianoetica in quanto conoscenza dei mezzi, dall'altro lato essa, già da qui, veniva identificandosi con la virtu etica intesa come ragionevole misura e medietà, che si realizza volta a volta in concreto nei vari atti umani, e in maniera perfetta nella giustizia, virtu etica perfetta, " perché chi la possiede può servirsene anche nei riguardi di un altro e non solo di se stesso" (V, l, 1129b 31). In altri tremini se la saggezza veniva ad essere per Aristotele la condizione formale della eticità, che non si risolve una volta per tutte, in quanto non ha per oggetto l'essere che è, ma il contingente mondo umano nella sua strutturazione storica e culturale, si capisce come la stessa saggezza non esista a sé, ma in quanto si attui nelle" diverse opere umane rendendo sagge, cioè virtuose, le varie azioni umane, per cui o il coraggio o la magnanimità o altra virtu etica sono virtu in quanto vengono realizzate saggiamente, e, in conclusione, giustamente; cioè con misura ·e proporzione e quindi secondo un saggio coordinamento che implica una medietà non solo negli atti del singolo, ma nel rapporto degli atti dei singoli, costituendo un giusto rapporto sociale. Entro questi termini Aristotele sostiene che la giustizia è virtu etica perfetta in quanto capacità non solo di tener conto della misura interiore e quindi dell'attuazione propria di ciascuno, ma anche della misura che realizza un ordinato rapporto sociale e quindi dell'attuazione propria dell'uomo animale sociale. Mentre, difatti, le singole virtu etiche trovano il loro fondamento nella misura propria a ciascuna, non determinabile una volta per tutte, la giustizia è l'abito di determinare la misura della misura; e poiché la giustizia presa a· sé è puramente formale, in sé non esiste giustizia, ma esistono gli atti giusti, il concretarsi della giustizia in atti che siano giusti, cioè conformi a leggi, istituenti appunto una società giusta, che non ha realtà se non nelle varie strutture storiche e culturali. Si ha cosi giustizia, quando si giunge a renderei ragione che ogni azione è virtuosa in quanto conforme a una sua norma, onde la legge viene ad essere la determinazione precisa di quella ragione e perciò diventa regola dell'azione; e poiché per Aristotele l'uomo è animale sociale, e la virtu è attuazione propria della natura peculiare dell'uomo, cioè della socialità, la legge non può non essere che norma regolante l'uomo come essere sociale, si che la giustizia in concreto è la capacità di tener conto dei rapporti interindividuali, per cui giustizia in assoluto viene a coin-
108
www.scribd.com/Baruhk
cidere con virtu in generale, e, quindi, con saggc~za, e, nel suo concretarsi, con legge e giustizia civile, e, perciò stesso, con diritto. Ora, se in senso assoluto il concetto di ordine è base della giustizia, in senso particolare elemento fondamentale della giustizia è l'uguaglianza, che implica due forme entro cui si può realizzare l'ordine e la misura sociale: la distribuzione (giustizia distributiva: -rb 3LctV&:!L1)'t'LX6v ), la. compensazione (giustizia correttiva: -rò 3Lop&(a)'t'Lx6v ). La giustizia, dunque, sia nell'una sia nell'altra forma tende a stabilire una proporzione (livoù.oy[ct ), che è del tipo di quella geometrica per la giustizia distributiva e di quella aritmetica per la correttiva, s1 che se da un lato a ciascuno si deve ciò che gli è proprio per cui a ciascuno deve essere distribuito quel che gli spetta (onori, denaro, beni, che siano divisibili tra i membri di una certa comunità), dall'altro lato si deve far si che vengano corretti, equilibrati gli svantaggi e le disuguaglianze di partenza. In effetto, l'uguaglianza di cui parla Aristotele, che è il comune determinatore della distribuzione, non è un'uguaglianza puramente numerica, nel senso che ciascuno sia uguale all'altro, ma uguaglianza della disugUaglianza, s1 che a ciascuno spetti ugualmente il suo, per cui la distribuzione non è, appunto, uguale, ma proporzionale. Sotto questo aspetto è illuminante un testo della Politica (II, 2, 1361a) nel quale Aristotele sostiene che la città non è costituita di unità tutte uguali, ma da una eterogeneità di componenti, onde l'unità risulta da elementi di specie diversa e che perciò è ~'antitesi nell'uguaglianza che salva la Città. L'uguaglianza sta per i cittadini liberi nel punto di partenza - ciascuno deve avere uguale all'altro il diritto di essere se stesso, d'essere diverso dall'altro, a seconda della sua natura e del suo merito-: di qui l'importanza della compensazione, che deve, appunto, in ogni rapporto tra cittadini (contratti volontari: compre, vendite, depositi, affitti, ecc.; contratti involontari, fraudolenti o violenti: furto, veneficio, tradimento, ecc., percosse, uccisioni, rapine e cosi via), ristabilire, correggendola, l'uguaglianza dei rapporti stessi. Se giustizia, dunque, formalmente è la capacità di determinare l'ordine sociale, e in concreto essa si costituisce come il complesso delle leggi che ordinano, distribuendo e correggendo, una certa società nel suo esserci storico c culturale, proprio in questo suo esserci diviene, rispetto ai singoli e alle condizioni dei singoli, di cui non può considerare il caso di ciascuno, estremamente rigida nella sua universale formalità. La legge dà .norme che valgono per tutto in tutti i casi. La legge non considera i singoli, donde, osserva Aristotele, il conflitto tra la legge e i singoli, ché ognuna delle norme, nella sua universalità, può entrare in contrasto con la ~i-
www.scribd.com/Baruhk
109
tuazione specifica di ogni singolo. In altri termini Aristòtele precisa qui con molta finezza il contrasto tra giustizia ideale (o diritto naturale), che non esiste se non come forma, e giustizia positiva (diritto positivo), storica, che esiste e senza la quale la norma resterebbe puramente astratta e predicatoria (cfr. Et. Nic., V, 7, 10), ma che una volta determinatasi, e senza di cui non potremmo socialmente vivere, può entrare in conflitto, volta a volta, con i singoli casi e situazioni particolari. Di qui un doppio conflitto: tra la giustizia ideale, ma senza contenuto, e le leggi, in cui, una volta determinatesi, il contenuto è dato; e tra le leggi date e i singoli casi che fanno sentire come insufficiente l'ordine dato. Le leggi tendono a costituire un ordine; la coscienza dell'insufficienza di quell'ordine fa sorgere l'esigenza di una giustizia piu ampia, della giustizia come termine ideale cui tende l'umanità. Di qui, dall'osservazione di questo continuo ritmo che si scandisce tra l'ordine dato, che volta a volta si rivela insufficiente, e l'esigenza di correggere l'ordine stesso, nasce il concetto aristotelico di equità (~7ttdxttot}, che, accanto alla giustizia distributiva e a quella correttiva, si pone come una forma di giustizia superiore che interviene per c0rreggere la norma insufficiente nel caso specifico (Et. Nic., V, 10). L'equo è pur giusto, ma non secondo la legge, bensi come correzione del giusto legale. La causa è che ogni legge è universale, mentre non è possibile in universale prescrivere rettamente intorno ad alcune cose particolari (Et. Nic., V, IO, 1137b 12).
L'equità, dunque, sottolinea Aristotele (Et. Nic., V, IO), non è in contrasto con la giustizia, in quanto, pur essendo di là dalle norme legali, è stato d'animo che agisce in nome dell'esigenza di una norma nuova, piu conveniente (~1ttt(xttot): questa, appunto, è la natura dell'equo, di correggere la legge là dove essa è insufficiente a causa del suo esprimersi in universale. E la causa anch:: del non essere ogni cosa inclusa nella legge è il fatto che intorno ad alcuni particolari è impossibile porre una legge fissa ... Di ciò che è indeterminato, anche la norma deve essere indeterminata, come è il regolo di piombo che si usa nella edilizia di Lesbo: esso infatti si piega alla forma della pietra e non rimane rigido, e altrettanto è del decreto rispetto ai fatti. [È di qui evidente anche chi sia l'uomo equo]: chi è incline a prororsi e a compiere tali cose; e non è rigido nella legge in ciò che porta al peggio, bensi incline a mitigare, anche se può invocare l'aiuto della legge: e una tal disposizione d'animo è la equità, la quale è giustizia ... (Et. Nic., V, 10, 1137b 26 l 138a).
110
www.scribd.com/Baruhk
In questo senso giustizia è l'equità del saggio, perché il saggio tende sempre verso un ordine che elimini tutti i contrasti, onde, appunto, equità è amore, per cui Leibniz potrà dire che: " La giustizia è la carità del saggio." "Un formalismo matematico," scrive il Garin, " trionfa sulla dolorosa protesta socratica; e percorre non solo Platone, ma anche Aristotele, nonostante ogni sua polemica antiplatonica. Eppure Aristotele, soprattutto in quel libro della Nicomachea cosi complesso e contorto, ha scritto pagine destinate ad avere una funzione determinante per secoli e secoli di meditazione sulla giustizia. La quale, se nella sua piu ampia accezioné è abito di conformare le azioni 'tlle leggi, e quindi in certo senso è la virtu per eccellenza e l'insieme di tutte le virtu, nel suo valore specifico è considerazione dell'altrui bene, e volontà rispettosa del bene altrui ... Essa è, cosi, volontà di uguaglianza come commisurazione e correzione. Ma se, da un lato, Aristotele si compiace di un linguaggio matematico che sottolinea il carattere della giustizia come ordine proporzionale, d'altro lato batte senza posa sul carattere SOCiale della giustizia ..., mentre tUtta la .dottrina della rnLdXELCX (equità) rivela la preoccupazione del valore dell'uomo reale e dell'atto concreto di fronte alla forma astratta della legge. Commenterà, nella Rettorica, Brunetto Latini, che, spesso, ' le parole che son scritte non pare suonino come fue lo intendimento di colui che le scrisse '; e nell'esempio caratteristico del conflitto fra la forma della legge scritta ('chiunque aprirà la porta della città di notte, in tempo di guerra, sia punito nella testa ') e l'azione che la viola per il bene comune in nome del quale è da supporsi stabilita la legge, il bene degli altri è fondamentale e costante crite,rio di giustizia: 'sopraggiustizia (che) è piu che giu~tizia'" (E. Garin, Giustizia, in "Revue Internat. de philos.," 1957, pp. 280-81. Confusi, meno approfonditi, piu col sapore di appunti o di schede, sono i due trattatelli sull'amicizia (!pù.(cx), che inseriti nel complesso dell'Etica Nicomachea ne formano i libri ortavo e nono. Il discorso sull'amicizia, l'insistere di Aristotele sulle varie forme di amicizia, o meglio su ciò che per amicizia si intendeva entro i termini della cultura greca, rivelano ancora una volta l'intento dell'indagine aristotelica: precisa messa a fuoco dell'accezione in cui è da intendere un termine, rivelante una certa condizione, nel caso specifico rispetto a quella che è la condotta umana. L'amicizia, cosi, è considerata da Aristotele piu che in astratto o in senso edificante, nel suo aspetto psicologico, come "cosa necessarissima per la vita " (Et. Nic., VIII, l, 1155a 2) e utile alla convivenza umana in qualsiasi grado presa: sia che trovi il suo fon-
www.scribd.com/Baruhk
111
damento sul piacere, sia che lo trovi sull'utile, o sul bene. Sotto questo aspetto; poiché attraverso l'amicizia si possono costituire rapporti di concordia e di amore, e quindi di giustizia, l'amicizia è considerata una virtu etica, o meglio un elementò che si accompagna alla virtu (" essa è una virtu o si accompagna alla virtu ": VIII, l, l ISSa 2). Sembra che persino le città siano tenute unite dall'amicizia, ed i legislatori si preoccupano di essa ancor piu che della giustizia; infatti la concordia sembra essere qualcosa di simile all'amicizia ed essi mirano essenzialmente a quella e vogliono tener lontana soprattutto la discordia, che le è nemica. E poi, quando si è amici, non v'è per nulla bisogno di giustizia, mentre, anche essendo giusti, si ha bisogno dell'amicizia, e il piu alto punto della giustizia sembra appartenere alla natura dell'amicizia (Et. Nic., VIII, l, 1155a 22). L'amicizia perfetta ("quella dei buoni e dei simili nella virtu ":
Et. Nic., VIII, 3, 1156b 7), che non si basi solo sulla piacevolezza o sull'utilità che può generare la compagnia dell'altro, ma sul rispetto dell'altrui virtuosità, eleva il rapporto sociale da rapporto di giustizia in conformità alle leggi, in rapporto di amore, che, pur rimanendo amore di sé è ad un tempo amore per gli altri, in quanto amando sé, quello per cui l'uomo è uomo, cioè socialità, si ama gli altri (cfr. Et. Nic.,
IX, 8): quindi chi [ama la parte sua piu elevata, sé come intelletto e capacità di agire secondo ragione], poiché ciascuno è soprattutto intelletto e la persona moralmente equa ama l'intelletto, costui soprattutto sarebbe egoista, ma di una specie diversa di quella biasimata - chi compiace i proprii desideri e, in genere, le passioni e la parte irrazionale dell'anima - e tanto differente da essa quanto lo è il vivere secondo ragione dal vivere secondo passione (Et. Niç., IX, 8 ll68b - 1169a). L'indagine aristotelica sul come è che l'uomo è uomo, indipendentemente dal proporsi un divenire dell'uomo, s1 che l'uomo possa farsi altro da quello che è costruendo se ~·esso (per Aristotele, come per ogni altro greco, ciascun oggetto, compreso l'uomo, è quello che è, e rientra in uno dei piani in cui si scandisce e si ordina la realtà) ha condotto Aristotele alla nota conclusione che per tutto la felicità il bene-essere, &Ò3otL!J.OV(ot - consiste nella realizzazione piena della propria natura, di ciò per cui ciascuna cosa è quello che è (entelechia), e che, dunque, il bene, la felicità JlCOPriamente umana consiste nella
112
www.scribd.com/Baruhk
realizzazione piena della natura dell'uomo, che, almeno per un aspetto, consiste nel suo essere sociale, nell'istituzione di un rapporto di misura che è misura interiore e politica a un tempo. Questo il bene etico, onde - sia pur idealmente - uomo felice è il saggio che in quanto tale è il giusto. Di qui anche la dottrina aristotelica del piacere, particolarmente trattata nei libri VII e X della Nicomachea, probabilmente di epoche diverse, ché il VII non in tutto si accorda col X, anzi, almeno apparentemente il VII appare in piu punti in contraddizione col X. Sembra che il VII sia nato all'epoca della polemica sul piacere sorta dalle discussioni suscitate dal Filebo di Platone e nella quale intervennero Speusippo, che sosteneva che nessun piacere è buono né in sé né per accidens (Et. Nic., VII, 11, 1152b; 13, 1153b), portando a estrema' conseguenza la tesi platonica del Filebo che se anche alcuni piaceri sono buoni i piu sono cattivi e che se anche tutti sono buoni tale non può essere il Sommo bene (Et. Nic., VII, 11, 1152b 12; e Filebo, 48a sgg., 53c, 66a-67b); ed Eudosso, il quale, invece, faceva coincidere il piacere con il bene. Nel VII libro, anche se per altra via, Aristotele sembra d'accordo con Eudosso, sostenendo che bene e felicità coincidono, ché il piacere consiste nell'esercizio non ostacolato di tutte o di alcune nostre facoltà, per cui, in effetto, tutti gli uomini tendono alla felicità, cioè a colmare le proprie mancanze, realizzando la propria natura e fuggendo il dolore. Se pur alcuni piaceri sono cattivi, nulla impedisce che il sommo bene sia un piacere ... E forse è necessario che sia cosi, se di ciascuna disposizione [ virtu] vi sono attività non ostacolate, e se l'attività di ogni disposizione o di qualcuna di esse, è felicità e che quindi essa sia la cosa desiderabile, qualora non sia ostacolata: ciò è il piacere. Cosicché il sommo bene può essere un piacere, anche se la maggior parte dei piaceri possono trovarsi ad essere assolutamente cattivi. E per questo tutti ritengono che la vita felice sia piacevole e connettono il piacere con la felicità 1 logicamente: infatti nessuna attività è perfetta se è ostacolata, e la felicità appartiene alle cose perfette; perciò l'uomo felice ha bisogno dei beni del corpo, di quelli esteriori e di quelli della fortuna affinché in essi non sia ostacolato. Quelli poi che affermano che, se uno è buono, è felice anche se sottoposto al supplizio della ruota e anche se cade in grandi disgrazie, fanno volontariamente o involontariamente, una affermazione priva di senso. Per il fatto poi che la felicità ha bisogno della fortuna, ad alcuni sembra che la buona fortuna sia la stessa cosa che la felicità, mentre invece essa non è tale, poiché anche la buona fortuna, se è eccessiva, è d'impedimento, e forse non è neppur giusto chiamarla buona fortuna; infatti la sua definizione dev'essere in vista della felicità... Ma poiché neppure la miglior natura né la miglior
www.scribd.com/Baruhk
113
disposizione sono eguali per tutti né appaion esser tali, neanche tutti cercano lo stesso piacere, benché tutti cerchino il piacere... (Et. Nic., VII, 13, 1153b 7-31).
Nel X libro, invece, Aristotele non identifica piu, con Eudosso, il piacere con il bene tanto da sostenere ch'esso sia il sommo bene (cfr. Et. Nic., X, 2), senza tuttavia affermare che sia un male. Se è vero che il piacere si compie nell'atto in cui vi è realizzazione della propria natura (si tratti di sensi o di altro), onde vi sono piaceri diversi non per quantità, ma per qualità (il piacere quindi è in ogni momento perfetto nel suo genere: X, 4), è altrettanto vero. che la molla che spinge all'azione, ciò per cui ci muoviamo in quanto è mancante, non è il pia· cere, ma il senso dell'insufficienza e quindi l'oggetto, l'essere che sentiamo come mancanza e che pure è proprio perché si compia la nostra essenza. Il piacere, dunque, non si identifica con il bene, ma ogni bene ha il SUO piacere, Sl come ogni azione virtuosa non è compiuta in vista del piacere, anche se da essa ne consegue un suo genere di piacere. Il movimento verso una qualunque attuazione è antecedente alla conseguenza piacevole che ne può derivare, per cui la spinta a costituire un rapporto e una misura tra i fini, in cui consiste la virtu etica e la felicità come attuazione sociale, non è il piacere, ma la stessa socialità come fine dei fini e, dunque, come bene, voluto per se stesso. Il piacere perfeziona l'attività non come una disposizione conseguita, bensi come un perfezionamento che vi si aggiunge, come ad esempio la bellezza per quelli che sono nel fiore della gioventu; vi sarà, dunque, piacere nell'attività finché tanto l'oggetto pensabile o sensibile quanto ciò che discerne o contempla siano come debbano essere (Et. Nic., X, 4, 1174b 31).
Vi sono, dunque, piu piaceri qualitativamente diversi a seconda delle diverse attività; e tali essi sono in quanto compimento dell'attività medesima, la quale si compirebbe lo stesso indipendentemente dal piacere che ne può conseguire, onde piacere e felicità non coincidono, ché la felicità consiste nell'attuazione stessa della virtu: " felicità è un'attività conforme a virtu" (Et. Nic., X, 7, 1177a 12). Tra i piaceri che sembrano essere moralmente convenienti quale e di qual natura diremo che è quello dell'uomo? Non è forse evidentemente quello che deriva dalle sue attività? Ad esse infatti conseguono i piaceri. Sia dunque che vi sia una sola attività dell'uomo perfetto e beato, sia che
114
www.scribd.com/Baruhk
ve ne siano parecchie, si potranno dire propriamente piaceri dell'uomo quelli che perfezionano queste attività; gli altri invece saranno piaceri solo in via secondaria e del tutto accessoriamente, come pure le attività ad essi corrispondenti (Et. Nic., X, 5, 1176a 24). Non esiste, dunque, il piacere, ma esistono i piaceri, ognuno dei quali è diverso dall'altro qualitativamente, ed è in sé quello che è, in quanto accompagna e compie ogni attività che pienamente realizzi il proprio fine. A ciascuna virtu, quindi, si accompagna il suo piacere. Sul piano etico, alla virtu etica per eccellenza, che è ad un tempo l'insieme di tutte le virtu, la giustizia, si accompagna il suo piacere, compimento della felicità etica. Sembra ora determinante sottolineare che proprio qui, in questa fine distinzione dei piaceri diversi per qualità e, perciò, della felicità, di cui vi sono. piu generi, Aristotele passa a discutere del valore da dare, accanto alla felicità propria della vita attiva, alla felicità propria della vita contemplativa. Queste del libro X della Nicomachea sono pagine celebri, sulle quali si è molto discusso e che hanno avuto un'influenza notevole per un certo modo di interpretare Aristotele e da cui si è costruita l'immagine di una morale aristotelica mistica e religiosa, in contrasto con il momento mondano e sociale espresso nell'altrettanto celebre libro quinto. In effetto se consideriamo non isolatamente le poche pagine dedicate da Aristotele alla vita contemplativa e alla suprema felicità propria della virtu teoretica che si compie n<;m piu nell'azione e nella costruzione di un costume sociale, ma nel passivo stare a guardare, immedesimandosi nell'essere che è; o se si cerca di considerare quelle pagine, non solo nell'insieme delle altre opere di Aristotele, ma anche nel loro momento cronologico, entro i termini .del tipo di indagine di Aristotele, volta a considerare quelli che sono gli aspetti del reale e le loro forme e condizioni, e sul piano della realtà-uomo ·quelli che ne sono i tipi di vita; sembra si possa sostenere che Aristotele né ha confuso, né ha opposto due tipi di morale, ma ha cercato di distinguere due piani di vita e di virtu (qualora virtu s'intenda nel modo preciso in cui la intende Aristotele), che di fatto, rappresentano due aspetti del fenomeno uomo. Si è molto parlato di due etiche di Aristotele: una mondana, formale; l'altra monastico-contemplativa, del contenuto. Se tuttavia a etica si dà il significato che il termine aveva per i Greci, che è il genuino significato con .cui lo usa Aristotele, cioè di arte di costituire il costume umano, evidentemente illegittimo ne è l'uso qualora si adoperi per la solitaria contemplazione dell'Essere, cui possono giungere
www.scribd.com/Baruhk
115
solo pochissimi, la ristretta cerchia degli uomini di scienza. Aristotele, difatti, non usa mai il termine etica - né noi potremmo usare il termine morale - per indicare il momento in cui l'uomo può elevarsi mediante l'iJttelletto, alla contemplazione della verità. Certo è questo, per Aristotele, il momento supremo e peculiare dell'uomo, e, in quanto tale, in quanto attuazione compiuta di quella che è una disposizione che solo l'uomo ha, compiendone la sua natura, tale atto è virtu, la suprema virtu che costituisce la~.suprema felicità, ma che non ha nulla a che fare con l'eticità, con il bene morale, tanto è vero - sottolinea Aristotele - che la stessa divinità, in quanto pe; essa intendiamo la suprema perfezione in atto, non è né giusta, né coraggiosa, né temperante, in una sola parola è amorale, tutta presa nell'assoluta contemplazione di se stessa (Et. Nic., X, 8, 1178b). Una tale vita sarà superiore alla natura dell'uomo: infatti non in quanto uomo egli vivrà in tal maniera, bens{ in quanto in lui vi è qualcosa di divino; e di quanto esso eccelle sulla struttura composta dell'uomo, di tanto . eccelle anche la sua attività su quella conforme alle altre virnl. Se dunque in confronto alla natura dell'uomo l'intelletto è qualcosa di divino, anche la vita conforme ad esso sarà divina in confronto alla vita umana (Et. Nic., x, 7, ll77b 26). Che l'atto intellettivo sia virtu e sia l'atto supremo dell'uomo e ne costituisca la suprema felicità è chiaro, come è altrettanto chiaro ch'esso si pone su di un piano diverso da quello etico, e se anche a questo superiore, non è con esso che si conclude l'eticità. Anche se questo poteva essere l:ideale tipo di vita, di origine platonica, auspicato dal professore Aristotele (" non bisogna però seguire quelli che consigliano che, essendo uomini, si attenda a cose· umane, ed essendo mortali a cose mortali, bens1 per quanto è possibile bisogna farsi immortali e far di tutto per vivere secondo la parte piu elevata di quelle che sono in noi... ché quello che a ciascuno è proprio per natura è la cosa per lui migliore e piu piacevole: e per l'uomo ciò è la vita conforme all'intelletto, se pur in ciò consiste soprattutto l'uomo": Et. Nic., X, 7, 1177b 31- 1178a), esso, tuttavia, interessa solo entro certi limiti l'indagine sull'accertamento storico di quella che fu la ricerca aristotelica sulla struttura e sulle condizioni della vita umana. . Certo è proprio la distinzione dei due piani, di un piano umano e di un piano superumano, che chiarisce meglio l'atteggiamento teoretico di Aristotele nei confronti di tutta la realtà, e, in particolare, di quella umana, momento che è quello che è in un tutto che, nel suo
116
www.scribd.com/Baruhk
insieme, è quello che è, in atto, perfezione senza piu aggettivi. Se sottolinea Aristotele - rimanessimo sul piano umano, se l'uomo si esaurisse nel costruire - con fatica - la sua città umana, si dovrebbe concludere che l'uomo è l'essere piu perfetto della realtà: sarebbe assurdo, infatti, che la cosa che ha maggior valore sia la virtu politica, a meno che non si arrivi a considerare l'uomo come l'essere piu perfetto del reale. Ma l'uomo non è perfezione: è tensione di potenza e atto, che, entro i suoi limiti, entro la sua natura, potrà attuare se stesso ed essere perfetto, ma umanamente, ché, sempre egli resterà aspetto dell'essere che è. Ogni essere ha una sua forma, una sua essenza definita, determinata, eterna: chi nasce uomo muore uomo, come chi nasce ape o porco muore ape o porco. Oltre l'uomo, dunque, c'è un fine di perfezione che non è l'uomo e al quale l'uomo, in quanto uomo, non potrà mai giungere, se non cercando, sul piano umano, mediante l'intelletto, di guardarlo. È questo un motivo singolarmente presente in gran parte delle concezioni greche, una sostanziale sfiducia nell'uomo, un sostanziale pessimismo, per cui sembra difficile, anche per Aristotele, che pur tanto ha insistito sulla concreta e mondana attività dell'uomo, parlare, cqme si è fatto, di umanesimo, ché, in effetto, l'uomo e la sua attività si perde nell'Essere che è ed in cui tutto si scandisce in ben definiti gradi. Comunque, entro questi termini, l'indagine aristotelica si svolge, accanto alla ricerca di come è che si conosce e di quali ne siano le condizioni, alla ricerca di come è che l'uomo è uomo, della sua struttura composta (TÒ aUve-3-ov: Et. Nic., X, 1177b 28): da un late volta alla realizzazione di sé in quanto uomo (etica), dall'altro lato alh contemplazione dell'Essere, che può essere un ideale di vita, bello, forse, piu che giusto. Sul piano dell'etica, la questione è di considerare. >eientificamente come è che l'uomo può realizzare sé politicamente, p)iché questa sola è la possibilità umana, e di come sia possibile educ~re a questo, tenendo presente quella che è la realtà storica e cultura!! di una certa società. Di qui, da un lato, l'importanza di studiare come sorgono per natura gli stati, di quali siano le loro forme attuali, di qnali debbano essere le loro strutture, perché pienamente si realizzi la natura dell'uomo " essere sociale " (" la città è un fatto naturale, ché l'uomo è animale per natura socievole, si che l'uomo estraneo a ogn convivenza civile per natura e non per sorte è un essere o al di sopra o al di sotto dell'umanità ..., e cosi quando l'uomo non si regola secondo le leggi e non si ispira all'idea di giustizia, non compiendo sé,
www.scribd.com/Baruhk
è il pessimo degli animali ": Politica, I, l, 1253a, 2, 12); e, dall'altro lato, lo studio di quali siano le tecniche del rapporto umano, il linguaggio, l'arte del dire in quanto capacità di realizzare certi rapporti, che, perché sociali, non possono essere che politici e giuridici, svolgentisi sulle piazze e nei tribunali. Sotto questo aspetto sembra chiaro come l'interesse scientifico di Aristotele si sia svolto, accanto agli studi di etica, e corollario di essa, allo studio delle strutture politiche (Politica), e, accanto agli studi sulla dialettica, e corollario di essa, allo studio delle forme e delle tecniche del dire (Retorica). Poiché i nostri predecessori lasciarono indiscusso ciò che riguarda la legislazione, forse è meglio che noi stessi esaminiamo ciò e, in genere, ciò. che riguarda il governo, affinché, per quanto possiamo, portiamo a compimento la filosofia dell'uomo (nept TOC !Xv.&pC:mtvoc · !pLÀOO"O!p(oc ). Anzitutto, dunque, se qualche argomento parziale fu trattato bene dai nostri predecessori, cercheremo di esporlo; quindi dal confronto dei diversi governi cercheremo di studiare quali cose salvaguardano e quali danneggiano le città e quali ciascuna delle forme di governo e per quali alcune di queste reggono bene, altre no; avendo esaminato queste cose, forse discerneremo meglio sia quale forma di governo è la migliore, sia come ciascuna è ordinata e di quali leggi e di quali consuetudini si serve (Et. Nic., X, 9, 1l8lb 12-23, fine).
b) Politica (" Politica "). Il precedente testo del decimo libro della Nicomachea con cui si chiude l'opera, e che fa parte dell'ultima e piu matura produzione di Aristotele, rimanda con esattezza a quei testi della Politica, che costituiscono gli attuali libri IV e V, in cui, appunto, Aristotele esamina gli ordinamenti politici del suo tempo, per trame, in concreto, le logiche conclusioni su quelle che ·debbono essere le condizioni perché sia possibile lo Stato, realizzatore della natura propria dell'uomo. Tale rinvio e il sottinteso materiale tratto dalla Raccolta delle Costituzioni (nel X dell'Etica Nicomachea Aristotele accenna alla raccolta: " anche le raccolte di leggi e di costituzioni possono essere molto utili a coloro che sono in grado di vedere e di giudicare che cosa è bene o il contrario, e quali cose a quali cose convengono": 118lb 21), hanno giustamente fatto pensare che il IV e il V libro della Politica (in otto libri) siano il frutto di una rielaborazione di una piu antica Politica volta a una costruzione logica dello Stato ideale, composta senza conoscere a sufficienza i dati di fatto empirici (Jaeger, Arist., cit., pp. 357 sgg.). La critica contemporanea (sull'evoluzione del pensiero politico di Aristotele rimando a J. Aubonnet, Introduzione alla Po-
118
www.scribd.com/Baruhk
li tic a, testo e trad. francese, " Belles Lettres," Parigi, 1960) è, ad ogni modo, convinta che i libri piu antichi siano il U. (in cui, secondo il metodo proprio della prima maturità di Aristotele, si discutono le tesi altrui su di un determinato argomento: qui, in particolare, dopo la critica alle dottrine platoniche sulla comunanza delle donne, dei figli e della proprietà e la critica alla dottrina esposta nelle Leggi, ove si tempera la questione dei matrimoni, si espongono le dottrine di Falea Calcedonio, di Ippodamo di Mileto, presentando quindi gli ordinamenti degli spartani, dei cretesi e dei cartaginesi, concludendo con un elenco dei maggiori legislatori); e il III (in cui si delinea quale debba essere la struttura dello Stato, la natura del cittadino, per avviarsi a fondare la migliore forma di governo); posteriori, ma non molto, dovrebbero essere i libri VII e VIII (in cui si delinea lo Stato ideale e l'ideale educazione); relativamente tardi (al tempo del secondo soggiorno ad Atene e contemporanei della originaria Etica Nicvmachea in 5 libri) sarebbero i libri IV-V e VI (in cui effettivamente l'analisi si presenta piu descrittiva che normativa, fondata su di un materiale positivo e sui dati di fatto), a cui va aggiunto il libro I. "Esso," ha chiarito lo Jaeger (op. cit., p. 365), " venne aggiunto solo quando Aristotele, con la inserzione della parte puramente empirica (IV e V), ampliò il testo già esistente per trasformarlo in una teoria generale della politica. Il libro è dedicato all'esposizione del piano complessivo dell'opera, quale Aristotele aveva innanzi agli occhi nel momento della rielaborazion~ piu tarda. Nell'introduzione egli si propone di trattare delle fondamentali condizioni di natura di ogni esistenza statale, per erigere l'edificio dello Stato sulla base naturale, in funzione dei suoi presupposti piu semplici. Questi sono costituiti dai tre rapporti elementari di ogni vita sociale: padrone e schiavo, marito e moglie, genitore e figli." Ciò che interessa, tuttavia, non è tanto la constatazione estrinseca di un'evoluzione interna del pensiero politico di· Aristotele, quanto da un lato il fatto che tale evoluzione non solo s'inquadra nel complesso dell'evoluzione di tutto il pensiero di Aristotele e soprattutto nel suo modo di indagare, ma, particolarmente, entro i termini dell'etica, di cui, in effetto, i vari libri della politica sono 'stati, di volta in volta, la concretizzazione - ché etica e politica coincidono -; e dall'altro lato che proprio il passaggio dalla strutturazione dello Stato ideale (in gran parte vicino all'ideale platonico) all'analisi di quelle che sono le co~iddette condizioni di fatto - studiate nelle varie forme di governo storicamente determinatesi al tempo di Aristotele - hanno portato Aristotele a una giustificazione di una certa situazione politica - storica-
www.scribd.com/Baruhk
119
mente e culturalmente valida, - bloccandola tuttavia come realtà naturale e giustificandone, appunto, al di là di ogni possibile processo storico, le strutture di unico stato possibile. Non mai quanto nella Politica piu tarda (IV, V, I) si rivela, nella sua giustificazione razionale dei dati e del materiale raccolto, relativo ai tipi del governo del tempo, interpretati e corretti al lume della sua concezione etica, il naturalismo e il conservatorismo di Aristotele. In effetto la Politica non è un libro " politico," come, invece, lo era stato la Repubblica di Platone. L~ Politica, anche nè:i suoi vari tempi, è, in fondo, un'indagine di fisicapolitica, la ricerca di come è che l'uomo, per definizione animale sociale, si costituisce in stato politico, esso stesso dunque naturale e non storico, anche se non può esserci se non nelle sue realizzazioni storiche, s1 come la " forma " che non è se non nel suo realizzarsi nella "materia." Si capisce di qui come Aristotele, da un lato, vedesse di malocchio la tesi di un Licofrone o di un Trasimaco, per i quali lo stato è convenzione, e la concezione cosmopolita e anarchica di alcuni Cinici e, dall'altro lato, abbia taciuto dell'avventura imperialistica di Alessandro, che, doveva, alla fine, rappresentare per Aristotele la negazione piena dello Stato-città. Nessun documento, nessun accenno da parte di Aristotele permette di poter dire qualcosa intorno ai rapporti tra Alessandro e il suo antico maestro, dopo il ritorno di quest'ultimo ad Atepè, e le battaglie e le vittorie del primo in Grecia, in Egitto, in Asia. nel tentativo di fondere popolazioni diverse nel potere autocratico e teocratico di uno solo. Sappiamo solo che nel 327, senza alcuna procedura giuridica che ne accertasse la colpa, Alessandro eliminò il nipote di Aristotele, Callistene, che di Aristotele fu anche discepolo al tempo di Asso e di Pella, che aveva poi seguito Alessandro, da storico, per scriverne le gesta, ma che fu accusato di aver fatto parte di una congiura contro Alessandro, essendosi rifiutato, per dignità filosofica, di accettare la "prosternazione" (TtpoaxUVIJcnc;) di fronte al sovrano divino. Senza dubbio anche questo spiega molto poco, a meno che non si dia un qualche valore determinante alla " tracotanza " di Alessandro, che, divinizzandosi, veniva, agli occhi di Aristotele, a negare, per ciò stesso, lo Stato come attuazione storica dell'astorica " natura etica " dell'uomo e della umana giustizia. Aristotele si serve pure delle costituzioni politiche del suo tempo; tiene presenti i tentativi politici piu diversi; di contro a certi atteggiamenti utopistici di Platone, come, ad esempio, contro quello per cui le città debbano essere cinte di virtu piuttosto che di mura, si riferisce alle tecniche piu moderne e realistiche di difesa ed agli esempi di fortificazioni e di assedi dati dal suo
120
www.scribd.com/Baruhk
amico Ermia di Atarneo; per certi modi di accorta politica equilibratrice e di economia nel tentativo di porre un rapporto di misura e di temperanza tra le classi, si rifà ad Eubulo e a Licurgo, i quali, saggiamente, insieme al governatore militare di Alessandro, Antipatro, governarono Atene fino al 326. Tuttavia Aristotele, nella Politica, mai si riferisce ai tentativi di Alessandro, vedendo, piuttosto, nella Città, nella 7t6ÀLc;, nella piccola città-stato, retta con un tipo di temperata democrazia, salvata dalla uguaglianza della disuguaglianza, in una misura che sia. saggia giustizia, " non solo la piu alta forma di vita politica del suo tempo, ma addirittura la piu alta che la vita politica fosse capace di raggiungere " (Ross., cit., p. 353). E questo rientra esattamente nell'orizzonte della ricerca aristotelica e della sua prospettiva, per cui,· in conclusione, tutta la realtà, anche la realtà umana, e per ciò lo Stato, è quella che è, definita ed eterna. Se l'Etica è un trattato di politica (" se identico è il bene per il singolo e per la città, sembra piu importante e piu perfetto scegliere e difendere quello della città; certo esso è desiderabile anche quando riguarda una sola persona, ma è piu bello e piu divino se riguarda un popolo e le città. A queste cose mira dunque il nostro trattato, l'Etica, che è un trattato di politica": Et. Nic., I, 2, 1094b 7-11), la discussione intorno alla costituzione dello Stato è studio di come è che lo Stato sia realizzazione concreta di quell'umano rapporto in cui consiste l'eticità, nella sua giusta attuazione. E se -l'eticità mira a determinare il sommo bene umano, che risulta essere armonia e architettonico rapporto di singoli fini, ritenuti beni, parallelamente, partendo dall'osservazione (opw~;Le:v ••• ) che di fatto ogni comunità (e ogni stato è una specie di comunità) è costituita in virtu di un certo bene, l'arte politica ha il compito di determinare quale sia il bene cui tende l"' associazione che è sovrana tra tutte e tutte le altre comprende, cioè quella che vien chiamata Stato (7t6ÀLc;) e associazione politica" (Politica, l, l, 1252a) Prendendo, dunque, le mosse dall'osservazione della naturalità delle singole associazioni (di cui prima è la famiglia), ognuna delle quali tende a un bene, e dalla associazione delle associazioni, che di esse non è la somma, ma la ragion d'essere, il tutto che precede le parti, che di quelle vien ad essere come la forma e quindi l'essenza, si deve, per determinare l'esserci dello Stato e le sue guise, delineare una scienza dello Stato che, tuttavia, rimarrebbe méra astrazione, se non scaturisse da un'indagine degli Stati e delle costituzioni di fatto, da un confronto tra di esse, da una loro giustificazione. " Sicché al buon legislatore ed esperto uomo di Stato non deve sfuggire quale sia la costitu-
www.scribd.com/Baruhk
zione migliore assolutamente («7tÀwç), e quale relativamente agli elementi che si hanno (h 't'Clv ~1tOXCL(Lévwv)" (Politica, IV, l, 1288b 25); i quali elementi e dati, d'altra parte, " sono s1 utili agli esperti, ma inutili a chi non possiede scienza" (Et. Nic., X, 9, 1181b 5). Sembrano questi due testi - avvicinati dallo stesso Aristotele di non poca importanza per chiarire le molte facce con cui si presenta l'attuale Politica: da un lato essa si presenta come analisi minuta delle vari"e costituzioni e delle forme molteplici in cui si può presentare ciascuna costituzione, con un andamento estremamente espositivo e didascalico - non va scordato che Aristotele fu soprattutto un grande professore, - dall'altro lato, individuati i tratt.i comuni a tutte le costituzioni, si presenta come analisi fisiologica dello Stato preso in sé, in una scomposizione del tutto politico nei suoi vari elementi, per ricomporne alla fine le strutture, determinandone le condizioni prime. Come in tutti gli altri procedimenti sarà necessario scomporre il composto fino ai piu semplici elementi (che sono infatti le minime parti del tutto); cosi osservando di quali elementi è composta la città, vedremo anche riguardo ad essi in che differiscono tra loro; e come è possibile in· torno a ciascuno di questi trarre qualche conclusione rigorosamente scientifica. Come in ogni altra materia anche in questa si avrà una perfetta visione della realtà, se l'osservazione seguirà fin da principio il naturale prodursi delle cose ('t'tX 7tp&.y(Lot't'ot cpu61Levot) (Politica, I, 1-2, 1252a 18 sgg.). Occorre proporre un ordine di costituzione, che abbia fondamento in quelle già esistenti, e a cui quindi sia facile uniformarsi, o introdurre gli opportuni cambiamenti... È necessario quindi che l'uomo di stato possa adoperarsi efficacemente a correggere le costituzioni esistenti... Ma è impossibile far ciò quando si ignorano quante sono le specie di costituzione ... La causa della pluralità di forme costituzionali sta nella pluralità degli elementi che concorrono a costituire la città... (Polit., IV, 1-3, 1289a 1289b).
Si capisce che Aristotele, ritornando in altra sede (il Liceo) e con altre intenzioni a far lezione sulle costituzioni statali, avendo oramai un piu ampio materiale, dati, osservazioni, su cui discutere; abbandoni certe prospettive ideali e normative quali potevano essere quelle del Protrettico, di cui vi è ancora una eco al principio del VII libro (cc. 1-12), insieme, forse, a una Citazione (VII, l, 1323a), prospettando l'ideale vita del politico come quella del filosofo nel senso platonico (Politico), avente precise nozioni scientifiche quali si possono ricavare dà! Filebo di Platone. Ma anche si capisce che si rifaccia - senza rin-
122
www.scribd.com/Baruhk
negarla - all'analisi della genesi naturale dello Stato e quindi del suo concretarsi nelle varie forme politiche, ognuna delle quali, a seconda di come si è costituita, può essere retta o degenerativa, per determinare quale sia - nell'una o nell'altra forma assunta dagli stati storici - lo Stato giusto, ave giustizia va intesa nel senso positivo delineato nel V della Nicomachea. I libri IV-VI della Politica possono cosi riallacciarsi ai libri II-III e ai libri VII-VIII, ave va ricordato che Aristotele, sul piano del concetto di misura e di giusto mezzo, espone una costruzione di uno Stato ideale, occupandosi, soprattutto (fine del VII e VIII) dei suoi ordinamenti educativi, che, sia pur con una prospettiva diversa, seguono lè linee schizzate da Platone: è stato questo, in particolare, che ha fatto pensare che i due libri in questione risalgano al tempo dell'insegnamento di Aristotele precedente il suo ritorno ad Atene. Nel I libro, invece, a mo' d'introduzione generale, Aristotele torna a determinare gli elementi, la materia, senza di cui non vi sarebbe Stato e i quali, a loro volta, ·non sarebbero se non nella forma statale. Orbene, sottolinea Aristotele, la prima forma naturale di associazione è la famiglia, che si costituisce del maschio, della femmina e dello schiavo, che sorge meccanicamente per gl'immediati bisogni della vita. La seconda forma di associazione è il villaggio, che sorge dall'unione di piu famiglie, e che ha per fine il raggiungimento di un'utilità meno angusta e piu complessa, ma che nella sua struttura mantiene sempre il rapporto familiare scandendosi in servo (schiavo e femmina) e padrone (il re). Infine, l'associazione salda di piu villaggi è la città, tale da bastare a se stessa e che si forma per lo scopo dell'esistenza, e senza di cui, dunque, non sarebbe né la famiglia né il villaggio. Ogni città è per natura, se per natura sono anche le prime associ:a_zioni, essendo la città il risultato finale cui tendono queste associazioni; e il fine determina la natura degli esseri: la condizione di ciascuna cosa all'ultimo del suo svolgimento diciamo essere la sua natura, e questo principio applichiamo all'uomo, al cavallo, alla casa. La ragione della loro esistenza e il fine cui tendono costituiscono il bene supremo dell'essere; il bastare a se stesso è quindi il fine supremo e piu alto. È per ciò manifesto che la città è un fatto naturale e che l'uomo è animale per natura sociale... Per natura, quindi, la città è la condizione della famiglia e del singolo: il tutto infatti è necessariamente condizione della parte, poiché tolto il tutto non si ha né piede né mano, se non di nome, come se si dicesse una mano di pietra: infatti, il valore di ogni organo consiste nella sua funzione e nella sua potenza ... (Politica, l, 2, 1252b 30 - 1253a).
www.scribd.com/Baruhk
123
Sotto questo aspetto è chiaro in che senso abbiamo potuto dire, con linguaggio aristotelico, che lo Stato è la " forma " di ogni asrociazione, e che, anzi, un'associazione che, pur essendo tale, non realizzi la natura sociale dell'uomo, cioè non ne attui la sua natura, ordinandone i fini in un tutt'uno armonico, sarebbe Stato, 7t6Àtç, solo di nome. Il motivo centrale della politica aristotelica consiste perciò piu che nel determinare, come Platone, uno Stato ideale o nel proclamare una riforma radicale, nel dimostrare quali siano le guise e le condizioni con cui organizzare lo Stato, che salvi quella che, secondo Aristotele, è la natura umana (quale, d'altra parte, è, per Aristotele, dimostrata dai fatti e dalle società storiche), in una armonia che componga le differenze e le attitudini di ciascuno, onde l'unità dello Stato dev'essere non il risultato di enti tutti uguali, ma unità che si fondi su di una eguaglianza relativa, cioè sulla possibilità che tutti ugualmente possano realizzare nei loro modi diversi la propria natura. La città non risulta solo da una somma numerica, ma anche qualitativa di individui, non potendo essere composta di elementi tra loro omogenei. Altro infatti è simmachia, altro città. Il vantaggio della simmachia consiste nella quantità degli alleati, anche se specificamente identici ... , non diversamente dalla bilancia, in cui il piatto piu carico finisce con il traboccare. La città differirà anche da un aggregato etnico appunto per l'eterogeneità dei suoi componenti ... ; l'unità, infine, risulta da elementi di specie diversi. Perciò l'antitesi nell'uguaglianza salva la Città, come abbiamo detto nei trattati sulla morale [Et. Eudemea, VII, 10, l243b sgg., Et. Nicomachea, V, 8, l 132b 33 sgg.] (Polit., Il, 2, 126la 22 sgg.). Il motivo dell'uguaglianza relativa, e della proporzionalità per cui ciascuno possa realizzare se stesso ed attuare ciò che gli compete, spettando a ciascuno il suo, onde si costituisce una .società buona, in quanto architettonicamente compone in un unico fine i fini di ciascuno e delle associazioni che si ordinano nello Stato, si delinea e s'inquadra entro il concetto aristotelico di giustizia, sia in senso formale, sia in quello concreto e positivo di giustizia distributiva e correttiva (cfr. sopra), e da quello prende luce e significato. È manifesto che quante costituzioni perseguono la pubblica utilità, si mantegono integre, perché praticano la giustizia; ma quante mirano solo al vantaggio dei reggitori, sono viziate, e rassomigliano piuttosto alle degenerazioni delle costituzioni buone. Esse invero sono informate a spirito
124
www.scribd.com/Baruhk
dispotico, mentre la città è un'associazione di uomini liberi (Polit., III, 4, 1279a 17-20). Discende di qui, attraverso l'analisi delle varie costituzioni, che non una forma di costituzione è perfetta o buona rispetto alle altre, ma buone sono quelle che, in una o altra forma, si concretano se,. guendo giustizia e in cui il governo - in mano di uno, o di pochi privilegiati, o della maggioranza - esercita il proprio potere secondo le leggi per la comune utilità. Le costituzioni in cui chi esercita il potere lo usa per il proprio interesse sono degenerazioni dello Stato (cfr. Polit., III, 5, 1279a). Aristotele, cosi, dall'analisi dei tipi diversi di costituzione, poteva, sia pur in modo molto approssimativo, raggruppare - sull'esempio del Politico di Platone - tre forme fondamentali di costituzione, ognuna delle quali poi, sottolinea e a lungo descrive Aristotele nel libro IV, in effetti assume aspetti e caratteri diversi a seconda delle condizioni in cui si realizza. Ad ogni modo, su di un piano generale, i tre tipi fondamentali di costituzione sono: monarchia, aristocrazia e politèia; cui corrispondono le forme degenerate della tirannide, oligarchia, democrazia. Siamo soliti chiamare regno quella monarchia che ha di mira il pubblico bene; il governo di pochi che mira pur esso al pubblico bene. aristocrazia ... ; quando poi la moltitudine governa per il vantaggio comune, questa democrazia prende il nome generico di tutte le costituzioni, e si chiama politèia, cioè costituzione per antonomasia... Ci sono poi le deviazioni da queste costituzioni, la tirannide dal principato, l'oligarchia dalla aristocrazia, la democrazia dalla politèia (Polit., III, 5, 1279a-b). Certo la discussione sulle varie forme di governo, l'analisi minuziosa del vasto materiale raccolto da Aristotele e dai suoi discepoli, relativo alle forme attuali di Stato, lo studio delle cause delle sedizioni e delle rivoluzioni (libri IV e V), servono ad Aristotele per dimostrare che, per l'attuazione pratica dello Stato, tra le forme di governo, la forma che può garantire, entro i limiti del possibile, la realizzazione della natura umana, è la politèia, ché le altre, per un verso o per l'altro, possono sempre peccare di ingiustizia ("gli uni, infatti, sovrastando gli altri in qualche cosa, per esempio nelle ricchezze, stimano di soprastare in tutto; gli altri essendo uguali, perché godono la libertà, stimano di essere uguali in tutto": Polit., III, 5, 1280a 22), non costituendo una vera e propria Città, anche se vi è comunanza di luogo tra i cittadini e garanzia reciproca d'inviolabilità e di scambi (altri-
www.scribd.com/Baruhk
125
menti due stati contigui e alleati costituirebbero un solo stato); la " Città, invece, è associazione formata con lo scopo della felicità per le famiglie e per i gruppi delle genti, rispondente a tutte le esigenze di una vita perfetta e bastante a se stessa " (Polit., III, 5, 1280b 34). Se, ora, " si deve ricercare quale sia la migliore costituzione, e quale il miglior sistema di vita per la maggior parte delle città e degli uomini, non alla stregua di una virtu superiore alla consueta, né a quella di un'educazione che abbia bisogno di una buona disposizione naturale e di un fortunato concorso di circostanze, né a quella di un governo ideale; ma a quella di una vita cui tutti possono partecipare, e d'una costituzione che possa venire attuata in molte città " (Polit., IV, 9, 1295a 25 sgg.), ove va ·sottolineato che il testo è del IV libro, uno dei piu tardi, è chiaro perché Aristotele volga la sua preferenza a un tipo di Stato in cui non prevalga " una sola parte del diritto" (Polit., III, 5, 1280a), a quel tipo di Stato che possa realizzare un giusto mezzo, un equilibrio tra ricchi e poveri, che è poi una contemperanza fra oligarchia e democrazia, e che è quello cui Aristotele non dà intenzionalmente un nome preciso, ma chiama, appunto, stato costituzionale: per antonomasia, politèia. Se è giusto l'aforisma da noi formulato nell'Etica, che la vita felice è quella secondo virtu, priva di impedimenti, e la virtu è nel mezzo, in tal caso la vita che toccherà questa mèta, accessibile ad ognuno, è la migliore. E questi termini medesimi di virtU e di vizio sono necessariamente caratteristici della città e della _costituzione, poiché la costituzione è la vita della città. In tqtte le città vi sono tre classi, quella dei molto ricchi, quella dei molto poveri e la terza formata di quelli che hanno fortune medie. Poiché, dunque, si conviene che la moderazioqe e la media rappresentino il meglio, è manifesto che tra gli strumenti di prosperità civile il piu efficace sia quello fornito dalle fortune medie, poiché l'uomo in queste condizioni di vita, piu facilmente ubbidirà ai dettami della ragione ... L'associazione civile migliore è quella degli uomini di media fortuna, e si ritiene che siano ben governate quelle città nelle quali la classe media sia numerosa e piu forte di ambedue le altre (Polit., IV, 9, 1295a-b).
Se, dunque, '"l'antitesi nell'uguaglianza salva la città," se la Città è tale in quanto in essa si realizzano ugualmente i fini di ciascuno e di ciascuna associazione, in architettonica armonia, onde a ciascuno spetti il suo, in una giustizia, che distribuisca e corregga, contemperando le funzioni delle varie classi, si poneva il problema, entro i termini della società e della cultura del tempo, di come è che debba avvenire
126
www.scribd.com/Baruhk
in concreto la distribuzione stessa delle paru m società, e in particolare la distribuzione delle magistrature, cioè delle parti che abbiano la capacità di governare. La costituzione di uno stato consiste nel congegno con cui sono ordinate le pubbliche autorità, e soprattutto quella sovrana. Giacché sovrano nella città è dappertutto il governo e con il governo si immedesima la costituzione. Nelle democrazie, per ésempio, è sovrano il popolo, nelle oligarchie pochi privilegiati... (Polit., III, 3, 1278b 8). Parrebbe cosi che, nello Stato delineato da Aristotele, dovrebbero poter partecipare al governo, perché giustamente si realizzi lo Stato, coloro che ne hanno la capacità (cfr. Polit., II, 126la-b) e che possono indirizzare a un solo fine i fini di ciascun aspetto dello Stato stesso, indipendentemente da interessi personali. In effetto, posta l'uguaglianza della disuguaglianza, questa è la tesi di Aristotele: per natura vi sono uomini capaci di realizzare pienamente la natura dell'uomo (virtu) e; quindi, tali che per natura possono essere " utili alla vita civile " (Polit., I, 2, 1254b); altri, invece, che per natura non ne sono capaci e che sono, dunque, utili, in quanto strumenti, all'esistenza materiale dello Stato. Solo che poiché lo Stato non esiste in astratto, ma positivamente, cioè giuridicamente, la traduzione giuriqica dello stato di natura è che la costituzione del governo della politèia spetta ai liberi cittadini. Il problema diviene allora quello di determinare cosa si debba intendere per cittadino (Polit., III, 1-4). Il circolo diviene vizioso, poiché per cittadino non si può non intendere se non- chi abbia la capacità di partecipare al governo della Città. E allora la definizione del cittadino non può essere che giuridica, e, naturalmente, cangia a seconda del tipo di costituzione e di diritto .posi ti vo: il concetto di cittadino è controverso, poiché non tutti convengono sulla definizione di cittadino: quello infatti che secondo il concetto della democrazia è cittadino, spesso non lo è secondo quello dell'oligarchia (Polit., III, l, 1275a 2). Aristotele, entro i termini del suo concetto di politèia, ma soprattutto tenendo presente la pratica ateniese del suo tempo, definisce cittadino " uno il cui padre e Ja cui madre sono cittadini " (Polit., III, l, 1275b 22), e che, dunque, i1a il diritto d'essere giurato e membro dell'assemblea:
www.scribd.com/Baruhk
chi in una città ha il diritto di partecipare alla magistratura buleutica o giudiziaria, diciamo essere cittadino di questa città: in breve, la città è la totalità di siffatti cittadini, adatta, mercé l'associazione, a provvedere completamente a tutti i bisogni della esistenza (Polit., III, l, 1275b 18). Dalla Città, in tal modo estremamente ristretta e da cui quindi si distinguono le colonie, vengono cosi esclusi, sul piano giuridico, i lavoratori manuali, s1 come, sul piano teorico, vengono esclusi dall'essere umani gli uomini per natura non capaci di vita intellettuale, cioè incapaci di realizzare in sé quella che, per Aristotele, è la "forma " dell'uomo: "servo per natura è chi può essere cosa di altri - potendo finisce per esser tale effettivamente - e quello che partecipa dell'umana intelligenza fino allo stadio delle percezioni immediate, ma non giunge a quello di riflessione .matura" (Polit., l, 2, 1254b 21). Questi ultin,i appunto, giuridicamente, sono i nati da gente non libera e gli schiavi. Sul piano del diritto, dunque, si nasce liberi o no, e la Città è costituita di uomini liberi che sono i cittadini, i quali soli hanno giuridicamente la possibilità di condurre insieme la Città, alla giusta realizzazione del proprio fine. Fuori del consorzio civile sono i lavoratori, s1 come lo sono gli animali da lavoro, che pur fanno parte integrante di una comunità per l'esistenza delle famiglie e degli stati. Strumenti di lavoro, operai e schiavi, fanno tutt'uno, sono proprietà del capo famiglia (" lo schiavo appartiene interamente al padrone ": Polit., I, 2, 1254a 13), onde il rapporto di costoro con i liberi cittadini non è il rapporto tra i magistrati o il corpo sovrano e i cittadini che è un rapporto di libertàJ e di uguaglianza nella disuguaglianza, ma un rapporto di servo-padrone, s1 come si manifesta nelle famiglie, in cui il rapporto è, appunto, di padrone-servo. E perciò non si può ammettere - sostiene Aristotele che lo Stato, in quanto composto di famiglie e di genti, sia come una grande famiglia, e che la differenza specifica sia solo di quantità (Polit., I, l). Le molte, tormentate e tortuose, pagine, dedicate da Aristotele al problema della schiavitu e dei barbari per natura non liberi, di contro ai greci per natura liberi, nel I libro della Politica (in cui analizzando gli elementi costitutivi dello Stato, si discute della amministrazione domestica e del rapporto.tra marito e moglie, padrone e schiavo, padre e figli) rivelano che la questione della schiavitu e dei barbari, per natura non liberi, era sul tappeto e rappresentava un problema grosso e dibattuto. Se da un lato è evidente qui la problematica scaturita da certe po-
128
www.scribd.com/Baruhk
sizioni sofistiche (Alcidamante aveva sostenuto che "tutti liberi fece nascere il dio; nessuno la natura fece schiavo": in Aristotele, Retorica, I, 13, 1373b; e Antifonte negando la distinzione tra liberi e schiavi, tra greci e barbari, diceva: " tutti, infatti, respiriamo nell'aria con la bocca e le nari! ": 87 B. 44 Diels), polemicamente riprese dai Cinici, dall'altro lato, forse, per altro verso, erano presenti le preoccupazioni che sorgevano nei confronti dell'imperialismo di Alessandro, giunto a identificare lo Stato con se stesso, soprattutto dopo che assuni:o il ruolo di re-divino, al modo dei sovrani orientali, pretese la prosternazione, la npoaxÒVY)a~. Callistene, nipote e discepolo di Aristotele, storico al seguito di Alessandro,· ci rimise la vita per essersi rifiutato di proster- , narsi, avvicinandosi a chi cominciava a congiurare contro Alessandro, il quale, sembra, se vogliamo dar valore a Plutarco (Alessandro, 55), scoperta la cospirazione annunciò che avrebbe punito quel sofista (ciarlatano) di Callistene e "coloro che l'avevano imitato" (e nei mandanti il Merlan, in " Historia," 1954, pp. 60-81, e l'Aubonnet, cit., pp. LXXXIX, pensano si debba sottintendere Aristotele). Non solo, ma per i suoi fini politici, di dominio sull'Oriente, Alessandro proclamò anche la fusione di barbari e greci, dandone egli stesso l'esempio, sposando prima, nel 3?J, la barbara Rossana é, poi, di ritorno dall'India, nel 324, a Susa, la figlia di Dario. Purtroppo non sappiamo nulla sull'effettivo contenuto di un'operetta di Aristotele, andata perduta, il cui titolo sembra fosse Alessandro o delle Colonie. Essa, forse, avrebbe illuminato (se è vero che fu una specie di lettera aperta all'antico discepolo) sul pensiero di Aristotele relativo alle conquiste di Alessandro, che, nella fusione di terre e popolazioni diverse, annullava di fatto le colonie e ciò ch'esse politicamente ed economicamente avevano rappresentato per le città-Stato greche. Plutarco (De fortuna Alex., I, 6), ri· prendendo da Eratostene (del III sec. a. C.) sostiene che, nell'Alessandro, Aristotele avrebbe consigliato il sovrano, il giovane " egemone dei greci," di "trattare i greci da capo di esercito, i barbari da padrone di schiavi, curandosi dei primi come di amici e familiari, servendosi dei secondi come si fa con animali e piante" (cfr. Aubonnet, cit., pp. 91-2). Sarebbe ozioso ora accostare questo testo con qut;llo del I della Politica (1253b - 1254a - 1255a 29; anche III, 14, 128Sa 20), in cui, appunto, si sostiene che il barbaro, ~chiavo per natura, è, per essenza, come uno strumento, un animale, o qualsivoglia altro oggetto di proprietà, fra le mani del padrone. Certo si è che Alessandro, se annullava anche mediante i matrimoni, la distinzione tra barbari e greci, annullava ad un tempo il concetto di Città, eliminando i " cittadini," alla fine ridotti
www.scribd.com/Baruhk
129
a funzionari, non piu liberi uomini di governo. Non solo, ma queste pagine del I libro della Politica rivelano, ancora una volta, l'aporia aristotelica tra "sopragiustizia" e giustizia (cfr. sopra), sul piano del diritto; e sul piano teoretico, tra l'essere che è l'uomo, che nonostante le sue aspirazioni, è, nell'essere, anch'esso, quello che è, per natura. Le differenze di natura, dunque (che non solo si rivelano sul piano intellettuale, ma anche su quello fisico), si traducono, giuridicamente, nella netta distinzione tra uomini nel senso pieno della parola e sub-uomini, strumenti; tra liberi cittadini e greci che si costituiscono in famiglie (nuclei compatti, formati dal pater familias, dalla moglie, dai figli e dagli schiavi parte integrante, _in quanto proprietà della famiglia stessa) e schiavi e barbari (i possibili schiavi dei greci in caso di vittoriose guerre) che fan parte dello Stato solo in quanto sono un tutt'uno con le libere famiglie, provvedendo, mediante le famiglie medesime, all'esistenza materiale della Città, utili in ciò a se stessi, in quanto inferiori che realizzano sé facendo unità col padrone, con l'uomo libero. L'attitudine a servJ.re e a comandare si delinea bene quando ad alcuni è utile e giusto servire, ad altri invece comandare, ed è necessario da una parte prestare obbedienza, dall'altra esercitare il comando che si ha dalla natura, s1 da avere in sé autorità piena e assoluta: il cattivo esercizio di questa è dall'altra parte dannoso ai padroni e agli schiavi. Identico è infatti l'interesse della parte e del tutto, del corpo e dell'anima, e lo schiavo è parte del padrone, mentre l'uno e l'altro separati non sono piu un qualcosa di a11i.'rutto ma membra staccate. Perciò lo schiavo e il signore che hanno sortito da natura la loro rispettiva condizione, possono contrarre tra loro rapporti d'interesse e d'amicizia (Polit., I, 2, 1255b 6 sgg.). Ed è molto interessante ora, per illuminare il conflitto tra giustizia civile e " sopragiustizia," tra diritto naturale e diritto positivo, tra città e "sopracittà" (umana e non statale) accostare al testo della Politica citllto, quest'altro testo dell'ottavo libro della Nicomachea: non v'è giustizia né amicizia verso ciò che è inanimato. E neppure ve n'è verso un cavallo o un bue, né verso uno schiavo, in quanto schiavo.. Nulla infatti vi è di comune tra il padrone e lo schiavo; infatti il servo è uno strumento dotato di anima, e lo strumento è uno schiavo inanimato. In quanto schiavo, dunque, non v'è amicizia verso di lui, ma può esservene in quanto uomo: sembra infatti che ogni uomo abbia un qualche rapporto di giustizia verso tutti coloro che possono avere comunanza di leggi e di
130
www.scribd.com/Baruhk
convenzioni; quindi vi può essere amicizia in quanto sono uomini (Et. Nic., VIII, 11, 116lb l sgg.). D'altra parte Aristotele, coerente alla sua tesi che l'essenza è sinolo di materia-forma, e che, dunque, lo Stato in quanto forma non esiste se non nella sua individualizzazione giuridica, sa benissimo che la netta distinzione tra uomini e uomini-strumenti è una distinzione giuridicopolitica ed economica, che corrisponde a una situazione economicosociale e culturale precisa. Come dall'uomo nasce l'uomo e dagli animali l'animale, cosi, alcuni stimano che dagli uomini di liberi sensi nasca l'uomo di liberi sensi. La natura certamente tende spesso a questa trasmissione dell'indole dei progenitori, nei discendenti, ma non sempre vi riesce... (Polit., l, 2, 1255h l sgg.). Se ciascuno degli strumenti potesse in virtU. di una prescnz10ne o di una ispirazione compiere la propria opera, ... se le spole tessessero da sé e i plettri suonassero, i fabbricanti non avrebbero bisogno di operai, né i signori di schiavi (Polit., I, 2, 1253b 28 sgg.). Distinzione naturale, dunque, che in realtà non può non essere che distinzione giuridico-politica ed economica, che corrisponde a una situazione sociale e culturale precisa, venendo meno la quale - sia accettando la tesi egalitaria di origine sofistica, antimetafisica e umanitaria e che aveva larghi consensi nella popolazione proletaria; sia accettando le conseguenze dello Stato di Alessandro che poteva giungere all'annullamento del " cittadino " - veniva meno quell'unica libertà (sia pur molto limitata) che poteva sussistere tra uomini entro l'ambito della politèia, venendo meno con ciò la stessa definizione di uomo e di eticità cui era giunto Aristotele: mondo etico e vita umana, contingenti ·e possibili, ma pur sempre sc.andentisi, nella loro totalità, entro un sempiternu e perfetto universo, onde le guise di quello stesso mondo degli uomini (e sono queste che deve accertare e determinare chi faccia " filosofia umana ") non si possono rompere, ché eterne esse sono nella loro necessità. Di qui deriva anche (a parte la descrizione e la delineazione geografica e urbanistica dello stato ideale, quale è presentata nel libro VII) il lungo capitolo dedicato, nel I libro, all'amministrazione della famiglia e piu in generale all'economia e all'acquisto delle ricchezze. Aristotele analizza, nella prima parte del capitolo, indipendente-
www.scribd.com/Baruhk
131
mente da ogni considerazione politica, la genesi della proprietà, dimostrandone la naturalezza, ché la genesi prima della proprietà è di far propri i prodotti naturali che servono all'esistenza (pastorizia, coltivazione, caccia, in cui, accanto alla pesca, rientra anche il brigantaggio). L'economia, propriamente detta, sia domestica sia statale, ha per dato il materiale che serve a vivere e consiste nell'arte di saperlo amministrare e di procurarsi le fonti della esistenza, senza danneggiare altri; e tale essa è finché resta naturale, s1 come naturale è il bisogno che per vivere spinge a procurarsi la ricchezza. Mentre, dunque, l'economia domestica consiste nel sapersi procurare le risorse del vivere, l'arte di acquistare ricchezze (crematistica) consiste nel saper usare e nel saper fare fruttare quelle risorse stesse. E allora, poiché l'economia trova un limite in se medesima, cioè in ciò che è sufficiente a vivere, la crematistica, finché rimane arte del sapere usare le ricchezze,- entro i limiti di ciò che serve per vivere, è scopo dell'economia. Quando, invece, dal sapere se conviene o no tagliare un bosco o incrementare l'agricoltura, allevare cavalli o pecore (a seconda delle situazioni del paese), quando dalla determinazione del valore di uso delle cose e del loro valore di scambio, quando dagli scambi e baratti di beni, d'onde è nata la moneta (" non essendo sempre facilmente trasportabili le materie destinate allo scambio di natura": 1257a) e dal piccolo commercio si passa al commercio del danaro stesso, cioè all'accumulo della ricchezza per la ricchezza, allora, andando di là da quel che occorre per gli scopi della vita, la crematistica diviene innaturale e senza limiti. La ricchezza naturale è cosa ben diversa dalla cremausuca; poièhé quella è un prodotto dell'amministrazione domestica, quest'ultima è un coefficiente di ricchezza non in modo assoluto ma risultante dagli scambi; e quèsti hanno per condizione imprescindibile la moneta, che è elemento o fine degli scambi. Ora, la ricchezza chç: proviene dalla crematistica non ha limiti..., di essa non vi è limite allo scopo, e lo scopo consiste nella ricchezza e acquisto di beni. Ma un limite ha l'economia ... La crematistica e l'economia (non ben netti sono i loro confini, poiché il modo di adoperare il denaro proprio dell'una è pur praticato nell'altra) versano ambedue nello uso della proprietà, ma non allo stesso modo, avendo la prima per fine l'accrescimento del denaro, l'altra di provvedere ai bisogni delle famiglie (Polit., I, 3, 1257b 19 sgg.). Mentre, dunque, l'economia, in senso stretto, è l'arte di procacciarsi la ricchezza necessaria, la crematistica, nelle sue estreme conseguen-
132
www.scribd.com/Baruhk
ze, è la degenerazione dell'economia. Ora - e sono queste le conclusioni politiche di Aristotele, - se la politica ha come scopo l'armonico e architettonico ordinarsi dei fini proprii dei gruppi, e se tra i fini naturali dei gruppi vi è quello di procacciarsi le ricchezze che servano alla vita, una delle facce della politica è l'economia, in quanto saggia e misurata amministrazione dei beni, si ch'essi siano equamente distribuiti a ciascun gruppo familiare, d'onde la condanna della crematistica come accumulo di ricchezza per la ricchezza (culminante, secondo Aristotele, nel fenomeno dell'usura}, che rende ingiusta la città perché effetto di "sfruttamento reciproco" (Polit., I, 3,. 1258b 1). Non è ora senza interesse sottolineare che anche la questione dell'economia e della crematistica (non a caso posta accanto a quella del rapporto servo-padrone, che è, nel tipo di società difeso da Aristotele, un modo di risolvere la distribuzione del lavoro, cioè una questione economica) è stata posta da Aristotele nel I libro, a mo' di introduzione alla Politica, ché sull'una e sull'altra questione, il lavoro e la capacità governativa, l'economia e la capacità di sapere amministrare le ricchezze, poggia l'edificio dello Stato. E ciò è tanto piu interessante quando si tenga presente che il I libro sembra sia stato scritto se non da ultimo, almeno in un'epoca in cui già il grosso delle lezioni politiche era stato tenuto. Se la politica è architettonica ed è la capacità giuridica di costituire non una monofonia, ma una sinfonia, realizzante la natura dell'uomo, onde la Città è principio e fine della vita etica, in una misura che sia armonica medietà, si capisce come Aristotele respinga, perché non si annulli il concetto stesso di Città e di libertà politica (entro i termini che abbiamo veduti), sia il cosmopolitismo e il concetto di Stato-convenzione, proprio di certe posizioni di punta popolari, sia l'imperialismo che poteva scaturire dall'opera di Alessandro, insistendo sul motivo della giusta misura che, in concreto, portava a porre l'accento su di un tipo di costituzione che temperasse l'estrema povertà come l'estrema ricchezza, in un sopravvento della classe media che traesse le proprie risorse soprattutto da una moderata economia agricola e non commerciale o industriale. ~ necessario che, data una costituzione [sostiene Aristotele nel IV libro, che, ricordiamo, è tra i piu recenti], il legislatore cerchi di accogliere nel governo gli uomini di media fortuna ... Dove la moltitudine della classe media soverchia il numero di ambedue le estreme o solo una di esse, allora si avrà una costituzione stabile... (IV, IO, 1296b - 1297a).
www.scribd.com/Baruhk
133
Certo tutto ciò assume il suo piu esatto significato quando lo si vede entro il quadro politico di Atene sotto la dominazione macedone, in un'oramai definitiva mutata atmosfera. "Come conseguenza delle guerre perdute ed in contrasto con l'apparente pace esterna imposta dalle guarnigioni macedoni, i vortici politici e Io squilibrio economico, di cui approfittavano i privilegiati della fortuna, portavano a turbamenti sociali; in questo smarrimento generale ..., la lotta tra i ricchi e i poveri ... prendeva tra i cittadini un'ampiezza e una violenza inaudite: all'opulenza insultante, beneficiaria di tecniche nuove, s'opponeva l'estremo impoverimento provocato, nell'ambiente del lavoro, dall'aspra concorrenza degli schiavi, e si tendeva verso la vera lotta di classe che ben presto conoscerà il periodo ellenistico. Tale era in questa Atene, che pur rimaneva il centro intellettuale e commerciale della Grecia, il nuovo clima della città: Licurgo solo, per un tempo troppo breve, saprà addolcirlo" (Aubonnet, op. cit., pp. LXIV-V). E senza dubbio a Licurgo, vecchio discepolo di Platone, amico di Senocrate, " finanziere che credette alla sua missione morale" (W. W. Tarn, Cambr. Anc. Hist., VI, p. 440) ed alla possibilità di instaurare in Atene una forma di vita che come mai le restituisse " la sua forza e la sua grandezza " (Decreto di Stratocle, in lsc. Gr., II, 2, 457), si rifà Aristotele, si come egli si rifece ad Antipatro che cercò di governare militarmente la Grecia, in nome di Alessandro, con una certa temperanza, anche se, ripetiamo, il vecchio mondo ateniese e greco doveva oramai fare i conti con altro, anche se una crisi economica, sia pure gravissima, bastò nel 326 a far sparire dalla scena politica Io stesso Licurgo. Certo si è che nella sua polemica politica Aristotele si mantenne a un livello di grande discrezione e delicatezza: d'altra parte non va scordato che egli era, in Atene, un metèco (privo dunque dei diritti del cittadino) e ch'era strettamente legato di amicizia con Antipatro, malveduto e osteggiato dai partiti democratici. Ma, quale che sia stato il suo atteggiamento politico, ciò che soprattutto è necessario sottolineare, e che chiaro emerge dall'insieme dell'opera aristotelica, è il significato dato da Aristotele alla funzione della ricerca, intesa come indagine delle condizioni che rendono pensabile l~ realtà, lo studio del come è che la realtà (ivi compreso l'uomo) è tale, scientificamente. In questo atteggiamento, piu che in una o altra determinata azione di Aristotele, in questa funzione data alla cultura, funzione scaturita dalla sua problematica e dalla sua ricerca e precisazione e discussione dialettica di tutto un mondo culturale sembra che bene si veda il significato dell'insegnamento aristotelico
134
www.scribd.com/Baruhk
che si inquadra nei termini del suo tempo facendosi voce e interpretazione di quella che fu, allora, la disperata condi.zione politica e culturale di Atene e della Grecia, costituendo un ideale di vita, la vita dello scienziato disinteressato, ed insieme, sulla linea di quell'ideale, costruendo nel rintraccio del passato, una tradizione, che Aristotele stesso fece cominciare con Talete. c) La retorica e il frammento sulla poetica (" Retorica," " Poetica "). Se l'indagine sull'uomo ha portato a distinguere due tipi di vita, due possibilità ed eccellenze da parte dell'uomo (da un lato capace di gitmgere alla contemplazione di ciò che è in quanto è, a guardare il necessario, il perfetto senza aggettivi; dall'altro lato di costruire, insieme agli altri, un rapporto umano, entro i termini dell'umano mondo possibile), è chiaro come da una parte si sia trattato di cogliere le guise e le condizioni che permettono la conoscenza istituendo un " discorso vero " mediante la discussione dei possibili discorsi, d'onde l'importanza della dialettica, che doveva trovare il suo esito nella determinazione dell'unico discorso scientifico, adialettico, cui altri non se ne oppongono; e dall'altra parte, entro l'àmbito del mondo umano, del mondo possibile, delineate le condizioni dei rapporti sociali, dell'eticità, lo studio dei discorsi possibili sul piano umano, ossia politico, cioè di come, situazione per situazione, siano possibili discorsi convincenti, d'onde sotto l'aspetto del contingente, neutro da ogni contenuto di necessità, sempre attraverso la dialettica, un'indagine critica dei tipi di discorso capaci di persuadere (retorica). In altri termini, s1 come si sono distinti due tipi di vita, Aristotele distingue due tipi di logica, o meglio due tipi di discorso, l'uno universale e necessario, condizione dellà pensabilità della realtà, che non ammette contrapposizione, l'altro verisimile, che si concreta in :~-.:niche diverse (di qui i molti tipi di discorso tmano) a seconda d(''le situazipni, valido sul piano eticopolitico ( sotto la politica si trovano anche le scienze piu onorate, come la strategia, l'econr·rnia e la retorica": Et:Nic., I, 2, 1094b 2), condizione dei rappc..~ sociali. Uno viene ad e.,!ìsere cosi il discorso scientifico, che non tende a persuadere, ma la cui persuasione si ricava, mediante la dialettica, dalla sua stessa non contraddittorietà, e, dunque, dal suo rigoroso dedurre, che vale per le strutture della realtà che necessariamente si deducono dal discorso medesir ·); l'altro viene ad essere il discorso retoricamente impostato, che nasc dalla contrap· posizione, dalla dialettica, che vale per un ordine non dato, non defi-
www.scribd.com/Baruhk
135
nito, ma che si costltmsce, volta a volta, mediante quei discorsi stessi sul piano dei rapporti umani. Anche qui l'indagine aristotelica rivela, delineato l'oggetto e il campo della ricerca, il distacco di chi tenta di determinare le guise e le condizioni di un certo complesso di fenomeni per quello ch'esso è. Nel campo delle tecniche del dire, delle arti or;itorie, dei possibili discorsi giudiziari, Aristotelè aveva di fronte a sé un vastissimo materiale e, soprattutto, un diffuso interesse per la questione che rispondeva esattamente alla struttura sociale di un certo mondo greco e, dai sofisti in poi, al dibattito drammatico tra la concezione della verità come unica e trascendente il mondo umano (onde unico diviene il discorso, specchio di quella realtà, per cui a seconda di come venga concepita quella realtà o si giunge al silenzio, o se dialetticamente concepita, come per Platone, si giunge al discorso dialettico, che ripercorrendo le strutture della realtà a quella convince, usando tecniche e conoscenze dell'anima umana, facendosi " psicagogia ": Fedro), e la concezione della verità come scaturiente, sul piano umano, dagli stessi discorsi, o dall'abile e sapiente giuoco degli affetti e delle emozioni (Gorgia) o dal dialettico contrapporsi dei discorsi, d'onde, di volta in volta, si costituisce un certo ordine e rapporto sociale (Protagora) indipendentemente da ogni già data e fissa strutturazione del reale. In tali dibattiti assume significato l'indagine aristotelica sulla retorica, allorché si tenga presente il duplice esito cui, mediante la discussione· dell'una e dell'altra soluzione, giunge la " dialettica " aristotelica: a una logica del sapere teorico da un lato (su cui si impiantan0 le condizioni necessarie e non. contradditorie che rendono pensabile~ e deducibile il rra!P) e a una logica del mondo politico (per il qi'ìale sono validi i dist. si contrapposti e le relative tecniche di persuasione). La retorica viene ad essere cosi un aspetto della dialettica che invece di esser volta, attraverso· la discussione di qualsiasi soggetto, al ritrovamc ,1to dell'unico discorso scientifico, si volge, sempre attraverso la discussione di qualsiasi soggetto per · contrapposizione, a ciò su cui gli uomini deliberano: " la retorica è un aspetto della dialettica e dello studio del carattere che si può propriamente chiamare politica " (Ret., l, ·2, 1356a 25-27). Entro questi termini, delineatone il campo d'azione, cioè il mondo politico-morale, la retorica può essere oggetto di classificazione, ossia una {rt)TOpLx~ (retoriché), in quanto se ne determinino le varie tecniche o modi di discorso a seconda delle varie situazioni, cercando quali siano i mezzi persuasivi e argomentativi che scaturiscano dal tipo di discorso stesso, senza ricorrere ad elementi estranei
136
www.scribd.com/Baruhk
(come pur facevano gli oratori del tempo nella pratica quotidiana dei tribunali, introducendo, ad esempio, per commuovere, vedove od orfani in pianto: cfr. anche Apologia di Platone). E qui sta la novità di Aristotele nel trattare della retorica, ché il suo non è, né ha voluto essere, un manuale di retorica, ad uso dell'oratore (di tali ma.nuali ve n'erano molti, ma Aristotele, pur facendo uso di essi per le esemplificazioni e per i contenuti, ne rimprovera il non aver impostato il carattere formale della retorica, ricorrendo agli elementi estranei della persuasione e non, nel campo entro cui si muove la retorica, all'aspetto argomentativo), ma una canonica della retorica. La funzione della retorica (p'r)'t'OfHX~) non è di persuadere, ma di vedere le possibili vie di persuadere su ciascun argomento... scoprendo, su ciascun argomento dato, ciò che serve alla persuasione (Ret., I, 2, l355bi 26),... ché la retorica non ha un suo contenuto, un suo genere particolare e definito, si come non lo ha la dialettica (Ret., l, l, 1355b 8). E allora, a parte quelli che possano essere i contenuti, si vede bene qui la distinzione formale tra un tipo di discorso (il discorso scientifico su cui si fonda la struttura dell'essere) e un altro tipo di discorso, il discorso politico-sociale, dialettico, che si fonda sulla possibilità e il verosimile, sulla deliberazione, e che deve trovare in sé, dalla contrapposizione con altro discorso, situazione per situazione (anche queste entro un certo margine classificabili, a seconda del pubblico o delle persone con cui si parla) la forza della propria convinzione. Non si delibera indifferentemente su tutto, ma su ciò su cui è possibile all'uomo. Quanto a ciò che avviene o avverrà necessariamente, o necessariamente non può avvenire o essere avvenuto, non vi è deliberazione. Non solo, ma neppure si delibera su tutto ciò che è contingente. Tra le cose contingenti, 'infa.tti, ve ne sono che derivano dalla natura o son dovute alla fortuna: inutile è deliberare su di esse. Evidentemente bisogna deliberare su ciò che è oggetto di deliberazione. Ora, ciò su cui deliberiamo, è: ciò che<: è naturalmente suscettibile d'essere riferito alla nostra persona il cui prin~tpio di produzione è in nostro potere... Non dobbiamo ora enumerare esattamente, punto per punto, e distinguere per specie le questioni che ordinariamente si trattano nelle assemblee, e tanto meno darne un'esatta definizione secondo la verità: non questo è l'oggetto dell'arte retorica, ma quello di una disciplina piu penetrante e meglio in accordo con il vc:ro... La retorica è formata dalla scienza analitica e dalla parte della politica che si riferisce ai costumi; somiglia in parte alla dialettica, in parte ai discorsi sofistici. N ella misura in cui ci si sforza di erigere a scienze (lm a't"'j IL l) )
www.scribd.com/Baruhk
137
e non a semplici possibilità (Mva!LLç - facoltà), la Dialettica e la Retorica, senza accorgercene, annulliamo la loro vera natura, andando oltre loro e trasformandole in scienze aventi per contenuto oggetti determinati e non solamente discorsi (MyoL) (Ret., I, 4, 1359a 30-1359b 16). Esattamente distinte le due " logiche," i due tipi di discorsi si trattava, entro l'ambito del discorso politico-sociale, facendo tesoro del materiale e delle osservazioni della letteratura oratoria e della pratica del tempo, di ordinare e di classificare formalmente i tipi di argomenti persuasivi. Essi, sottolinea Aristotele, si distinguono in due grandi categorie: argomenti extratecnici, costituiti dai dati su cui ha da svolgersi il lavoro dell'oratore e che non sono frutto dell'arte, come, ad esempio, le testimonianze, le confessioni ottenùte con la tortura, le prove documentarie e cosf via (Ret., I, 2); e argomenti tecnici, che sono frutto della stessa arte, "tutti quelli che, possono essere forniti dal metodo e dai nostri propri mezzi" (Ret., ~. 2, 1355b 37-40). Tra gli argomenti proprii dell'arte Aristotele pone kli artifici mediante cui l'oratore provoca nell'ascoltatore una buona opinione sul suo carattere, una certa ben dosata emozione, e, infine, e soprattutto, quegli argomenti che con la stessa loro forza argomentativa costituiscono la prova. Abbiamo cosf un materiale extratecnico su cui giuocare situazione per situazione, e un materiale tecnico (carattere, emozione) su cui ha da esplicarsi, nelle condizioni che si presentano, la forza della prova, sviluppando le ragioni interne ad ogni situazione, mediante l'esempio (induzione) e l'entimema (che sta al sillogismo). "Le argomentazioni basate sull'esempio sono meno persuasive, gli entimemi riscuotono maggiori applausi" (Ret., l, 2, 1356b 24), ed è il metodo dell'entimema il " corpo della persuasione " (Ret., I, l, 1354a 15). " La deduzione che tende a persuadere è, appunto, un sillogismo fondato su premesse probabili o su segni" (Primi Analitici, II, 7, 70a 9-10: definizione dell'entimema). Naturalmente, sia l'esempio sia l'entimema vanno usati a seconda delle situazioni e a seconda del pubblico che ascolta, entro i termini di ciò su cui si deve deliberare, adoperando anche, quando è ìl caso, argomenti non retorici. Tre sono cosf per Aristotele i generi dell'argomentazione retorica (1, 3): il genere deliberativo, in cui l'oratore dimostra all'P.cclesià che un futuro corso di azioni è o no vantaggioso; il genere g•.-~ .. :ziario, in cui l'oratore (avvocato) dimostra, nel giuoco dell'accusa e della difesa, se un atto è stato o no legale; il genere dimortrativo o epidittico, in cui l'oratore dimostra la nobiltà o no di una azione presente. Il genere deliberativo si riferisce al futuro, il genere giudiziario al passato, e l'epidittico al presente; il fine del genere deli-
138
www.scribd.com/Baruhk
berativo è l'utile o il nocivo; del giudiziario il giusto o l'ingiusto; dell'epidittico il bello o il brutto. Di qui i capitoli sugli argomenti proprii all'oratoria politica (1, 4-8), all'oratoria dimostrativa (I, 9) e all'oratoria adatta ai tribunali (1, 10-14), ave estremamente interessante è il capitolo (1, 13) dedicato all'equità, che è, appunto, ciò che in un dibattito deve far risaltare l'avvocato, per dimostrare la particolare posizione dell'imputato nei confronti della rigidità dell'anonima legge. Il primo libro si chiude con un capitolo (1, 15) dedicato alle prove extratecniche, mentre nel secondo libro Aristotele espone l'aspetto soggettivo-psicologico della retorica, puntando da un lato sugli accorgimenti che deve tenere l'oratore per determinare nel giudice un'impressione favorevole sul proprio carattere (Il, 1), suscitando quindi certe emozioni su chi l'ascolta (Il, 2-11), e, dall'altro lato, studiando e generalizzando, i caratteri dei possibili ascoltatori (dei vecchi, degli uomini maturi, dei nobili, dei ricchi e cosi via) (c. 12-17), per giungere, infine, ai "luoghi comuni" (-r61to~) dell'oratoria e a quelli confutatori (c. 18-26). Un vero e proprio trattatello a sé sullo stile e la composizione è il III (e ultimo) libro della Retorica, che il Diels (" Abhandl. d. ~. preuss. Akad. f. Wiss.," 1886) ritiene sia stato aggiunto posteriormente. Ciò che, comunque, soprattutto colpisce è la netta distinzione posta da Aristotele tra lo stile oratorio e lo stile proprio della poesia. È una sottile distinzione, che se da un lato ribadisce la distinzione tra discorso scientifico, di cui una è l'espressione e uno il linguaggio, e discorso della convinzione umana, che si fonda su altre ragioni e di cui altra è l'espressione, altro il linguaggio; dall'altro lato, in seno alla stessa arte del dire, tale distinzione chiarisce il peso dato da Aristotele alla parola e ai ·nessi delle parole, che costituiscono una o altra convinzione, una o altra possibile " verità," e, poiché i discorsi retorici hanno un loro campo ben determinato, l'ambito politico-sociale (ecclesia, tribunali, orazioni pubbliche), altrettanto delimitata è, volta a volta, la "verità " o la ragione di quei discorsi; dunque, la scelta dei termini, dei nessi, l'ordine grammaticale e sintattico debbono rispondere a quel tipo di verità di ragionamento. E se chiaro è il discorso, chiaro il linguaggio, ossia le parole e la sintassi. E allora, se, ripetiamo, sempre entro l'arte del dire, diversa è la " verità" da esprimere mediante parole e ritmi, diverso sarà lo stile e diversa quindi la scelta delle parole e dello stesso nesso delle parole. Una cosa, dunque, è lo stile oratorio, altra lo stile poetico, ché pur usando ambedue parole e pur essendo le parole (voci, suoni, ritmi) imitazioni (III, 1), l'oratoria imita (cioè esprime) un mondo e certe
www.scribd.com/Baruhk
139
ragioni, la poetica 1m1ta (cioè esprime e crea) un altro tipo di mondo. Entro questi termini, da questa distinzione tra arte del dire come capacità di costituire un ordine che scaturisce dalla medesima forza in atto del discorso, avente le sue ragioni e in se stesso la propria realizzazione (per cui la retorica è pur sempre pratica) e arte del dire come capacità di realizzare un certo mondo a parte, un prodotto che assuma una sua realtà per sé (questo il significato dato da Aristotele a paiesis), e non piu nel suo esplicarsi, imitazione di una certa verità umana, assume significato, nel complesso del pensiero aristotelico, il celebre frammento sull'~rte poetica, indipendentemente da ciò che poi è su di esso fermentato. "Di ciò che può essere diversamente da ciò che è, altro è l'oggetto della p6iesis, altro quello della praxis" (Et. Nic., VI, 4, 1140 a 2). L'oggetto della pratica si risolve nell'azione stessa (per esempio le istituzioni civili, i rapporti umani, il mondo etico in una parola, cessano allorché cessa la realizzazione di quei fini); la ragione, in-vece, che pur usando un materiale che è, avendone conoscenza, realizza un oggetto che non è, in quanto volta al possibile, è poietica, perché, sapendo usare i dati, avendone esperienza (tecnica), fa (7toLet) un oggetto che assume una realtà per sé. Pur rimanendo sul piano dell'arte del dire, la poetica si distingue dalla retorica, ché diverso è l'oggetto di studio. Una cosa, sottolinea Aristotele, è il discorso politico-sociale, che si esaurisce e si risolve nella stessa azione; altra cosa il discorso poetico, che è, appunto, tale in quanto fa (poiéo) un mondo (di parole, di ritmi, di voci; di segni) che resta a sé. Ora, la poetica consiste nello studio di quali siano le condizioni che permettono la creazione di tali mondi poetici. Sotto questo aspetto (posto che ogni opera poietica è mimèsi, imitazione) Aristotele distingue tra le imitazioni che avvengono mediante il colore e la forma (arti plastiche e figurative) e quelle che si realizzano mediante la voce (suoni, parole: poesia in tutte le sue forme, musica) e i movimenti (danze). Ma se, in effetto, da un lato (almeno nella Poetica quale noi la leggiamo) la discussione di Aristotele si restringe al mondo imitativo espresso da suoni, ritmi e parole, e, in particolare, alla tragedia, con qualche accenno all'epopea e alla commedia (che, sembra, doveva venir trattata nel II libro della Poetica); dall'altro lato, sia il termine poesia sia il termine mimèsi, accolti dalla terminologia corrente, assumono (anche se non dichiaratamente) fin dalle prime pagine della Poetica un piu ampio significato, tale da divenire il criterio formale onde un'opera possa dirsi poetica.
140
www.scribd.com/Baruhk
Ciò si vede _bene rileggendo la celebre affermazione che un'opera poetica non è tale perché in versi, ma perché mimetica: " tanto che, per esempio, se uno dà fuori, in versi, qualche trattato di medicina o di scienza naturale, costui per abitudine lo chiamiamo poeta: ma in realtà non c'è niente di comune tra Omero ed Empedocle a eccezione del verso; e perciò quello sarebbe giusto chiamarlo poeta, questo invece non poeta, ma fisiologo" (Poetica, 1447b 15 sgg.). E un po' piu sopra, chiarendo quali siano i mezzi della mimèsi (mutando i quali, muta la specie di poesia), sostenendo che anche i danzatori, pur usando il solo ritmo, compiono opera poetica, aveva affermato che questo avviene perché l'opera di costoro, mediante certi gesti e movimenti, riesce a " rappresentare caratteri ("YJ&~), emozioni (rt.X.-S-1)) e aziohl-(rtp~~eLc;)" (1447a 25 sgg.). Sembra cosi esplicitamente detto cosa Aristotele intenda per imitazione - e si badi che nella Retorica, III, l, 1404a 21, si legge " i nomi sono imitazioni ... "; e nel De interpretatione, 16a 3 sgg. "i suoni della voce sono simboli, aUfJ.f:3o>..cx, delle affezioni, rtcx.&"t)!J.&:rwv, che hanno luogo nell'anima e le lettere scritte sono simboli dei suoni delle voci" - : cioè l'opera poetica è tale qualora sia la realizzazione di un mondo che assume una realtà per sé (poietico), imitazione mediante parole o suoni o ritmi - di "verità morali" (caratteri, emozioni, azioni), che, accadute o nqn accadute, in quanto rappresentazioni verosimili di "verità" umane, _sono universali. Ufficio del poeta non è descrivere cose realmente accadute, b _ns{ quali possono accadere: cioè cose le quali siano possibili secondo le leggi della verosimiglianza e della necessità. Infatti lo storico e il poeta non differiscono perché l'uno scriva in versi e l'altro in prosa: la storia di Erodoto, per esempio, potrebbe benissimo essere messa in versi; e anche in versi non sarebbe meno storia di quel che sia senza versi: la vera differenza è questa, che lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti quali possono accadere. Perciò la poesia è qualcosa di piu filosofico e di piu elevato della storia: la poesia tende piuttosto a rappresentare l'universale, la storia il particolare (Poetica, 14Sla 36 - 14Slb). Si capisce cosi come il mito sia per Aristotele il nerbo della poesia (" il poeta ha da esser poeta di miti anzi che di versi, in quanto egli è poeta solo in virtu della sua capacità mimetica, e sono le azioni che egli imita," 145lb 26), nel senso che il mito è, appunto, narrazione verosimile di un mondo umano che si realizza in un mondo a sé di parole, di ritmi e di gesti, avente una sua architettura, e dunque una sua unità, a mo' di organismo vivente (1451a 3 sgg.), imitazione di umane "ve-
www.scribd.com/Baruhk
141
rità " eterne. Di qui assumono significato le considerazioni di Aristotele sulla tragedia: mimesi di un'azione seria e compiuta in se stessa, con una certa estensione, in un linguaggio abbellito di varie specie di abbellimenti, ma ciascuno a suo luogo nelle parti diverse; in forma drammatica e non espositiva, e che mediante una serie di casi, che suscitano pietà e terrore, opera una purga (catharsis) di simili emozioni (Poet., 1449b 23-27). Non è qui il caso di soffermarci sulle minuziose analisi di Aristotele sulla tragedia, sulla differenza tra l'epica e la tragedia, sui caratteri rappresentati dalla tragedia e su quelli rappresentati dalla commedia (il ridicolo), ché ciò che ora importava era determinare quale fosse piu che la funzione data da Aristotele alla poesia, la condizione che permette di pensare e di rendersi conto del fenomeno poetico sul piano della realtà umana, entr_o i termini della ricerca aristotelica, e delle condizioni che fanno bella - indipendentemente dall'esser vera - un'opera (ordine, limitazione e simmetria, come appare da Metafisica, XIII, 3, 1078b 1). Certo estremamente dubbio resta il significato dato da Aristotele alla funzione catartica della tragedia. Dalla definizione- che Aristotele dà della tragedia, che sopra abbiamo riportato - ed è solo in quel tesw che appare il termine catharlis, - sembrerebbe che la causa finale della tragedia sia, appunto, la cdtharsis. A parte i " bei " discorsi sulla catarsi artistica, la critica piu recente si è dibattuta tra l'attribuzione a catarsi di un significato di purificazione cerimoniale per cui attraverso la tragedia lo spettatore si libererebbe dalle sue passioni, e l'attribuzione a catarsi di un significato medico di purga, nel senso che la tragedia eccitando nello spettatore le passioni lo libererebbe da esse riconducendolo a un equilibrio mentale. Alla fine è probabile che, entro la terminologia del tempo, il doppio significato da dare a catarti sia in conclusione lo stesso, e cioè sempre - sia per l'aspetto lustrale, sia per l'aspetto terapeutico - un significato tratto dal linguaggio medico (si ricordi il significato medico delle purificazioni di Empedocle, e che Gorgia, Encomio di Elena, 14, paragonava l'effetto della poesia all'effetto che hanno certi farmachi di espellere i cattivi umori). C'è in questo senso un testo della Politica (VIII, 7, 1342a 5 sgg.) assai sintomatico, in cui si dice: Coloro che talvolta son dominati dai movimenti interni dell'anima, li vediamo, per effetto dei canti ... , quando intonano canti atti a scuotere la anima, nella condizione di spirito di chi è stato risanato e purificato. Questo
142
www.scribd.com/Baruhk
stesso trattamento deve perciò essere applicato a coloro che sono inclini in modo speciale alla pietà o alla paura o, in generale, all'emozione, e deve essere applicato in genere a tutti, in quanto ciascuno è suscettibile di tali em~zioni, tutti hanno bisogno in qualche modo di essere purificati e che le loro anime siano alleggerite e ddiziate. Per l'appunto in questo modo anche le melodie purificatrici danno un innocente piacere all'umanità (Politica, VIII, 7, 1342a 5 sgg.). I due testi sono molto vicini nell'intento (e non a caso in questo stesso testo della Politica, 1341b 3 s., Aristotele dice che tratterà particolarmente della catarsi nella Poetica, anche se poi tale trattazione particolare non l'abbiamo e, se forse, doveva essere nel II libro). Corto, l'opera poetica - e nel caso specifico la tragedia, che, infine, è per gente normale e non per folli - crea, suscitando una " con-emozione," mediante parole, ritmi, gesti, un mito, un mondo umano a sé, compiuto, imitazione di stati d'animo che hanno in sé il loro principio mezzo e fine, in un'architettura che ne rivela le loro ragioni. Tali ragioni delle passioni si rivelano nel loro ordine e armonia costituendo una purificazione (x«.&ocpatc;) delle passioni: ricordiamo che il testo greco ha un genitivo epesegetico, 3l ~Mou xoct tp6~ou ne:poc(vouaoc rljv -r~v 't"OLOO't"(I)V 7toc.&l){L«T(I)V x«.&ocpatv 1 per cui bisogna tradurre, non catarsi dalle passioni, ma delle passioni (cfr. Dirlmeier, "Hermes," 194()). Questa purificazione non significa affatto negazione delle passioni, ma comprensione di esse in un'armonia che ne è appunto equilibrio, in un compiacimento in cui consiste quell'innocente " piacere" di cui si parla nella Politica, quel piacere a sé (sulle differenze qualitative dei piaceri, cfr. sopra) proprio della terapeutica mentale dei misteri, ottenuta con la danza o con un certo tipo di musica, realizzatasi poi nel teat:ro tragico di origine dionisiaca; dove non va scordato che lo stesso termine mimèsi deriva da !J.L(Lti:a&ocL (mimèistha•), cioè rappresentare mediante mimo e, quindi, mediante danza.
www.scribd.com/Baruhk
143
Capitolo secondo
Da Aristotele a Epicuro e a Zenone di Cizio
l. La polemica sulle condizioni del dùcorso scientifico. Scienza e dialettica. Eubulide, Diodoro Crono e Stilpone megarici, Cratete cinico. Le " Categorie" e il " De interpretatione " di Aristotele Di proposito abbiamo fino ad ora accantonato l'esposizione dei due celebri testi che fanno parte dell'Organon, le Categorie e il De interpretatirme: primo, perché sembra che siano stati composti da Aristotele molto tardi (almeno le Categorie, di cui si dubita che la seconda parte, i cosiddetti post-praedicamenta, sia autentica: per la discussione cfr. G. Colli, cit., pp. 735 sgg.); secondo, perché tanto il De interpretatione quanto le Categorie, anche se non dichiaratamente, sembrano nati dalla vivacissima discussione sulla " dialettica " e sulla validità di ogni fondazione oggettiva della scienza: discussione che, particolarmente impostata da Eubulide, discepolo di Euclide di Megara, e da Diodoro Crono megarjco, sulla scia della problematica dialettica, sorta in certi ambienti socratici in contrapposizione alla dialettica antologica di Platone, si svolgeva ora in contrapposizione alla soluzione aristotelica del discorso scientifico che trovava il suo fondamento su premesse oggettive non contraddittorie. La discussione, molto seria, e di cui non si può sottovalutare l'importanza storica, investiva in pieno la possibilità o meno di qualsiasi tipo di discorso scientifico e, attraverso il dubbio sulla necessità della proposizione, metteva in forse la soluzione aristotelica della validità oggettiva delle premesse, e, quindi, per altra via, il sillogismo apodittico riproducente la struttura sillogistica del reale, onde, in definitiva, l'unica validità della proposizione veniva ad essere una validità retorico-linguistica. Aristotele, imptlstata la dialettica in un senso nettamente differente da Platone, attraverso la dialettica stessa, come arte di contrapporre tesi diverse, era giunto a cogliere principii non piu apponibili ad altri per la loro stessa non contraddittorietà, donde poi dedurre ciò che in quei principii stessi era implicito (sillogismo apodittico), costituendo
144
www.scribd.com/Baruhk
un discorso necessario e adialettico, basato, appunto, sulle· condizioni necessarie (non contraddittorie), e perciò stesso veraci, che permettono di pensare la realtà. E poiché tali principii sono la condizione senza di cui la realtà non è pensabile, con essi, intuitivamente, si identifica_ la realtà medesima. In altri termini, ad esempio, dalla contrapposizione dell'essenza del tutto intesa come materia e dell'essenza del tutto intesà come forma, data l'impossibilità di pensare la materia a sé o la forma a sé (contraddittorio l'uno e l'altro modo) scaturisce che l'unica maniera senza di cui nulla è pensabile è l'oùC"(oc come simbolo di materia- forma, onde, appunto, l' oÙC'L<Jt è. Sappiamo già le implicazioni della dottrina aristotelica dell' oÙC'LIX. Ciò che ora, invece, è opportuno sottolineare è che uno degli esiti della dialettica è di portare all'unico discorso adialettico, in cui, posto che la premessa, in quanto condizione non contraddittoria, che permette di pensare la realtà, sia premessa assoluta (donde l'impossibilità di andare all'infinito), si scandisce, identificandovisi, lo stesso discorso deduttivo -non dialettico come per Platonec- della realtà. Se ora questo è da un lato uno degli esiti dell'esercizio della dialettica, l'altro esito è, sul piano della opinione e del mondo pratico, lo stesso discorso dialettico (" dialettiche sono le argomentazioni che deducono da premesse fondate sull'opinione, una conclusione contraddittoria ad una certa tesi": Elen· chi sofistici, 165b 2-4) in quanto discorso retorico. Solo che il problema - pur formalmente determinandosi l'àmbito del discorso scientifico e, entro questo, le -condizioni che permettono le scienze diverse - rimaÌl.!!Va aperto relativamente alla fondazione oggettiva delle premesse, e, di conseguenza, relativamente alla possibilità oggettiva e non puramente linguistica della predicazione e quindi del giudizio. Qui si innesta e si chiarisce la polemica dei megarici Eubulide, 1 Diodoro Crono, 2 Clinomaco di Turi, non per niente chiamato il" dialettico," i quali, anche ammettendo le premesse, rifiutano che le premesse stesse siano accettabili per la loro stessa necessità, ché qualsiasi premessa può condurre su di un piano linguistico - e la premessa stessa non può essere che linguisticamente espressa - a conclusioni che contraddicono la premessa, per cui si rivela che la premessa è valida solo se accordata, o contraddicono, per assurdo, un altro possibile 1 Nativo di Mileto, Eubulide visse a Mègara, dapprima discepolo di Euclide. Nulla possiamo accertare della sua vita. Sembra che oltre i suoi. celebri sofismi, d'altronde usati da tutti i megarici, abbia elaborato un'opera polemica contro Aristotele. 2 Diodoro, discepolo di Apollonia di Ctrene detto Crono, come poi sarà chiamato lo stesso Diodoro, e discepolo di Eubulide, nacque a Iaso, in Caria, e mori tra il 305 e il 295. Poco o niente sappiamo della sua vita. ·
www.scribd.com/Baruhk
145
discorso basato su altra premr.ssa, anch'essa, dunque, valida se accordata dall'interlocutore, onde, appunto, non si esce dal piano della dialettica, in sé intesa come la intendeva Aristotele, al quale, in conclusione, si nega la possibilità del discorso scientifico, fondazione dell'edificio logico-ontologico. È in tale polemica che assumono significato e notevole peso i cosiddetti dilemmi, sofismi, " soriti " di Eubulide e di Diodoro, ivi compreso l'argomento di Diodoro, argomento detto il " dominatore " ( & xupt<±:OCùv). Celebri sono di Eubulide di Mileto, vissuto nel IV secolo, i sofismi (accettata una certa premessa, apparentemente necessaria, trame ambiguamente una conclusione contraddittoria di fatto), quali il nascosto, l'Elettra, il velato e il cornuto; i dilemmi (ragionamenti in cui, pur ammettendo che due proposizioni sono incompatibili, l'una implica l'altra), quali, il mentitore; i " soriti " (impossibilità di passare logicamente da una grandezza ad altra grandezza), quali il mucchio e il calvo. Chiunque non può non accettare per la sua stessa contraddittorietà che ognuno " possiede ciò che non ha perduto "; ora, poiché non abbiamo perduto le corna si deve ammettere che, dunque, abbiamo le corna (" cornuto "). Se, poi, si afferma con verità che si mente, nell'atto che si mente si dice a un tempo il vero, per cui logicamente due propo· sizioni incompatibili si implicano; si ha, perciò, il dilemma che dico il vero dicendo il falso (" mentitore "). Infine, poiché, ad esempio, un mucchio (s6ros, onde sorite) di grano si costituisce con l'aggiunzione successiva di un chicco ad altri chicchi, se ne conclude che o basta anche un chicco solo a formare il mucchio, oppure se non basta un chicco a formare un mucchio, il mucchio non si formerà mai, perché è sempre l'aggiunzione di un chicco la via per formarlo (il ragionamento può naturalmente farsi anche in senso inverso, con la diminuzione successiva di un chicco da un mucchio o di un capello da una testa: il " calvo "), per cui logicamente non c'è passaggio da un· chicco al mucchio. Per Diodoro Crono - nativo della Caria, vissuto nel IV secolo, anch'egli seguace di Euclide di Megara, - come, del resto, per tutti i megarici, l'Essere che è quello che è (in senso parmenideo) resta indicibile, ché ogni dire spezza l'Essere in parole, le quali sonu convenzionali e arbitrarie, onde essendo il mondo delle parole l'unico mondo possibile dell'uomo, ogni discorso, non adeguandosi alla struttura della realtà, è arbitrario, ma, se preso in sé, è valido. Si capisce, quindi, come, su di un piano dialettico, ritornassero, per Diodoro, estremamente indicative le aporie di Zenone di.Elea, entro cui, a parte le aporie sul movimento e sul divenire, rientra l'aporia del possibile, ov'è chiaramente
146
www.scribd.com/Baruhk
messa in discussione la tesi aristotelica sui futuri contingenti. Che il futuro sia possibile è accettabile: è contraddittorio se il possibile lo si vuol ·tradurre in termini logici. Se con Aristotele è accettabile che la proposizione "domani ci sarà una battaglia navale" (Aristotele, De interpr., 9, 19a 30 sgg.) non è né vera né falsa, tale affermazione non è piu accettabile qualora, con Aristotele, si sia cercato di dedurre ogni avvenimento accaduto come necessario, cioè sul piano del sillogismo apodittico. Se è vero che ciò che è avvenuto ieri non poteva non accadere (e post eventum si ritrovano le condizioni necessarie dell'avvenimento), bisogna anche ammettere che, dunque, quell'avvénimento era altrettanto necessario ieri l'altro quando non era ancora avvenuto, cioè che anche rispetto al futuro era impossibile che fosse possibile, e per ciò tutto è sempre in atto, onde logicamente non sono ammissibili condizioni che permettano di pensare il divenire e la possibile attuazione, e quindi la potenza, il possibile (cfr. Epitteto, Diatribe, II, 19, l sgg.). Di qui, ancora una volta, particolarmente in Stilpone 3 megarico, vissuto tra il 370 e il 290, l'impossibilità sia della definizione di un concetto (" chi dice uomo dice nessuno, poiché non dice questo o quello ": Diogene L., Il, 119), che non si riduca a nome; sia della predicazione, ché ogni predicazione implica l'identificazione di termini tra loro distinti. Dire, ad esempio, " l'uomo è buono," è quanto dire che il buono è identico all'uomo; dire che il " cavallo corre " è quanto dire che il correre è identico al cavallo. Ma allora, come si potrebbe predicare il buono oltre che dell'uomo anche del cibo e della medicina, e come si potrebbe predicare il correre. oltre che del cavallo anche del leone e del cane? Se poi si vuoi sostenere che quando si dièe che l'uomo è buono, buono e uomo sono diversi, allora non è corretto fare la predicazione (Plutarco, Contra Colot., 23, 1120a).
Si capisce come su questa linea, o definitivamente si abbandoni ogni tentativo di discorso scientifico (o discorso tout ·court), assumendo, sia pur polemicamente, atteggiamenti pratici che confinano con il modello di vita presentato da un Diogene di Sinope (cfr. sopra), a cui, appunto, verrà accostandosi Stilpone, e oltre i seguaci di Diogene, One3 Nativo di Mègara, Stilpone visse tra il 370 e il 290 circa. Probabilmente discepolo di Euclide e di Eubulide, megarici, ascoltò anche Diogene cinico. Divenne capo della scuola megarica dopo lttia. Diogene Laerzio cita tra i suoi scritti nove dialoghi, tra cui Aristotele, Tolomeo, Anassimene, Alla propria figlia.
www.scribd.com/Baruhk
147
sicrate e Monimo, il cm1co Cratete • di Tebe, che, nobile e ricco, abbandonò tutto, predicando l'autarchia - e quindi povertà, cosmopolitismo, filantropismo - seguito dalla moglie Ipparchia, un tempo donna ricca e raffinata, oppure si tenti, senza uscir fuori - ché non è possibile - dalla dialettica-rettorica, di determinare la possibilità della predicazione, e quindi del discorso verace, studiando come a un termine significante qualcosa corrisponda altro termine, e come questi si implichino vicendevolmente, costituendo, appunto, un discorso verace, quando le implicazioni sono lecite, falso quando non sono lecite, o non sane (come dice Sesto Empirico, lpotip. Pirr., Il, 11-113), sempre naturalmente, su di un piano linguistico-mnemonico, ossia nominalistico-empirico. Sembra, per quel poco che ne sappiamo, che questa sia la via sulla quale si posero, in polemica con Aristotele, Diodoro Crono e Filone megarico, e che sarà .poi proseguita e approfondita da Zenone stoico, in contrapposizione all'impossibilità di qualsiasi discorso cd alla tesi dell'identità, denunciata da Stilpone e da Alexino di Elide, altro megarico, non a caso detto Elenchino, ossia il " confutatore." La polemica, nei confronti di Aristotele è, dunque, una polemica di fondo, né è, ripetiamo, da sottovalutare, riducendo le discussioni sulla dialettica e sulle condizioni linguistiche del discorso a un puro gusto elenchistico (confutatorio) o eristico. Anzi, proprio il fatto che sul piano della dialettica, nello studio di quelle che sono le condizioni del discorso dialettico retorico (l'entimema, da un lato, e, dall'altro lato, l'esempio, con il conseguente tipo di sillogismo ipotetico e del discorso fondato sull'implicazione), Aristotele e almeno certi cosiddetti megarici (Diodoro Crono e Filone) si trovino d'accordo, e che il disaccordo nasca, invece, quando dal dato, presente alla coscienza, e tale in quanto definito, cioè divenuto parola, Aristotele sembra passare a far coincidere le parole con gli oggetti stessi, e quindi un tipo di discorso (il discorso apodittico) con il medesimo discorso della realtà; tale accordo e, a un tempo, disaccordo, rivela, appunto attraverso le lunghe discussioni logico-linguistiche, che il conflitto tra Aristotele e i cosiddetti " dialettici " del IV secolo s'impiantava sulla possibilità o meno, sulla liceità o meno, del passaggio dal mondo delle parole, costituenti il mondo umano ed entro quel mondo anche le condizioni della scienza, alla • Nativo di Tebe, Cratete visse d~lla fine del V alla seconda metà del IV secolo. Accademico dapprima, egli •egul poi Diogene ci n ico, abbandonando ogni sua ricchezza, si come fece la nobile lpparchia - sorella di un seguace di Cratete, Metrocle di Maronea, - la quale sposò Cratete. Lo scandalo sociale da essi provocatx>, fu proprio quello che Cratctc cd lpparchia volevano. Pochi frammenti possediamo delle sue poesie satiriche e parodistichc.
148
www.scribd.com/Baruhk
struttura della realtà, che, dialettica (Platone) o non dialettica (Aristotele), trova sempre di fronte a sé il diaframma della parola, dell'oggetto che è tale solo in quanto sia parola. Tale conflitto rivela, insomma, al limite, lo spezzarsi del grande tentativo aristotelico di far wincidere le condizioni che permettono di pensare la realtà (logicamente necessarie) con gli stessi principii della realtà, istituendo accanto a una logica del mondo umano, una logica antica entro cui tutto alla fine si esaurisce in un mero contemplare, che ripercorre i gradi in cui, in fisse gerarchie, si scandisce il sillogismo del tutto. Ora, chi al lume di questa polemica legge le Categorie e il De interpretatione di Aristotele, si rende conto che, entro i termini di quella discussione, Aristotele non è solo particolarmente sensibile al problema del linguaggio, ma tende a risolvere la possibilità della predicazione, e, quindi, di qualsiasi tipo di discorso, proprio sul piano del linguaggio stesso, rispondendo - in particolare ai megarici - da un lato mediante la tesi del nome come immagine o simbolo di un'affezione dell'animo (onde il nome può essere tanto simbolo di un particolare quanto di un universale, su cui ci intendiamo per convenzione, una volta stabilito che un certo nome significa, evocando, una certa affezione comune: De interpretatione, 16a); dall'altro lato, posto che i nomi sono oggetti (particolari o universali è lo stesso, in quanto essi sono perché presenti alla coscienza), cercando di delineare le condizioni che permettono il giudizio (Categorie) e determinando quindi le possibili proposizioni (giudizi) e le opposizioni tra le proposizioni (De interpretatione). Questo, in altri termini, sembra il ragionamento di Aristotele. Ogni discorso implica dei nomi - immagine o simbolo di oggetti o nozioni -; ogni nome a sé, atemporale, significativo per convenzione, non implica né falsità né verità: il falso e il vero consistono nella congiunzione e nella separazione. In sé i nomi ed i verbi (- verbo è il nome che esprime una determinazione temporale... e risulta sempre espressione caratteristica di ciò che si dice di qualcos'altro -: De interpret. 3, 16b 6-7) assomigliano. alle nozioni, quando queste non siano congiunte a nulla né separate da nulla (De interpret., 13' sgg.).
Parole jn libertà, pur avendo un significato a sé, non costltmscono un discorso; pensare, discorrere è giudicare, è affermare o negare, è dichiarare sia affermando che negando. Sotto questo aspetto non tutti i discorsi sono dichiarativi; la preghiera, ad esempio, pur essendo un discorso e pur essendo significativa, poiché non afferma né nega, non
www.scribd.com/Baruhk
149
è un discorso dichiarativo, cioè non è né vero né falso (cfr. De interpr., 17a). È qui che nasce il problema, impostato particolarmente da Eubulide e Diodoro, p ili tardi da Stilpone: com'è che i nomi, ciascuno dei quali è significativo e, dunque, individuale (cane è cane e significa quella certa modificazione dell'anima che ci siamo accordati di chiamare cane) si possono connettere ad altri nomi senza che l'uno si risolva nell'altro, riducendosi, dunque, ogni nome a un sol nome, o senza che si possa indifferentemente dire cane è animale e animale è cane, per cui, in effetti, si annulla la predicazione, o meglio la possibilità del vero e del falso? In altri termini, qual è la condizione prima che permette di connettere in uno o altro modo i nomi tra loro? È qui che assume significato la dottrina aristotelica delle categorie, già implicita in tutta la precedente ricerca di Aristotele su quelle che sono le condizioni che rendono possibile la realtà e che, dunque, rendono possibile un discorso. Posto, dunque, che ogni discorso implica nomi e verbi, e che ogni nome a sé è significativo, si tratta di determinare prima, appunto perché siano possibili i nessi tra significati, i nomi ultimi (o primi) che determinano il significato degli altri nomi, e, quindi, la pensabilità di tutti gli altri, e senza i quali non si può dire nulla di nulla. Ora, qualsiasi cosa si pensi non può non significare che " è " e poiché non può non essere se non ciò che è sino/o di materia-forma, e tale è la sostanza, non si può pensare nulla se non in quanto significante una sostanzialità, onde la sostanzialità, in quanto tale, ha il significato piu estesa entro cui èl possibile determinare tutto il resto. Di tutto, in ultima analisi, non si può dire che non sia sostanza, non si può non predicare la sostanzialità, per cui la sostanza è categoria (predicato) per eccellenza. In termini grammaticali (e, in fondo, le categorie sono una grammatica) diremmo che ·la prima delle parti del discorso, e senza di cui non vi è discorso, è costituita dai nomi indicanti gli esseri, dai sostantivi, e poiché ogni nome è, appunto, significativo (come simbolo convenzionale o immagine di uno stato d'animo o di un'intuizione), linguisticamente condizione della pensabilità degli esseri sono i sostantivi, qualora per sostantivi s'intendano i sostantivi propri e concreti (Socrate, Platone, questo cane, questo albero), indicanti la sostanza vera e propria (sostanze prime) e i sostantivi comuni e astratti (uomo, animale, albero, ecc.) indicanti la forma, ciò senza di cui un oggetto non è (sostanze seconde, o specie o generi) e non quei sostantivi che, in effetto, non indicano esseri (sostanze), ma ciò che non è se non in quanto si attribuisce a qualcosa (la bianchezza, ad es., che per la nostra grammatica è sostantivo).
150
www.scribd.com/Baruhk
Sostanza nel senso piu proprio, in primo luogo e nella piu grande misura, è quella che non si dice di un qualche soggetto, né è in qualche soggetto, ad esempio, un determinato uomo, o un determinato cavallo. D'altro canto sostanze seconde si dicono le specie, cui sono immanenti le sostanze che si dicono prime, e, oltre alle specie, i generi di queste: ad esempio, un determinato uomo è immanente a una specie, cioè alla nozione di uomo, e d'altra parte il genere di tale specie è la nozione di animale. Queste - ad esempio la nozione di uomo e di animale - si dicono dun· que sostanze seconde (Categorie, 2a Il sgg.).
In realtà esistono solo le sostanze prime, ché le sostanze seconde esi· stono in quanto inerenti al soggetto: linguisticamente le sostanze esistono in quanto condizione che permette di dire, di predicare il soggetto: Socrate, ad esempio, rientra in uomo, uomo in animale, animale in qualche altra cosa, fino a che tutto ciò rientra, alla fine, in sostanza, onde sostanza è ciò senza di cui nulla è significante, avendo la massima estensione e la minima comprensione (" riguardo a un determinato uomo, ad esempio, dichiarando che è uomo si fornirà un elemento noto, piu di quanto non si faccia dicendo che è animale; in realtà, il primo elemento è in maggior misura proprio di un determinato uomo, mentre il secondo ha un'estensione piu grande ": 2b lO}, per cui sostanza essendo un termine che si estende a tutto, e che a sua volta non rientra in alcun altro termine, è predicato per eccellenza, cioè categoria. Sotto questo aspetto categoria non è né la sostanza prima, né la sostanza seconda (ambedue prese in sé, né piu né meno sostanze}, ma la sostanza in quanto indicante il ciò senza di cui nulla è pensabile, ed entro cui si scandisce il rapporto di estensione e comprensione, il legame tra individuo, specie e genere, tra sostanze prime (" sostanze in massimo grado, perché stanno alla base di tutti gli altri oggetti e perché tutti gli altri oggetti si predicano di esse, oppure sussistono in esse ": 2b 15) e sostanze seconde (che relativamente al soggetto sono predicati, relativamente a concetti piu estesi sono soggetti: " alle sostanze seconde e alle differenze appartiene il carattere di dar luogo a predicazioni, che vengono attribuite tutte quante in forma sinonima - sinonimi sono quegli oggetti che hanno il nome in comune e il medesimo discorso definitorio": 3a 34 - 3b 8). D'altra parte come nulla è pensabile e, dunque, predicabile senza la sostanza - di cui nulla è predicato, - nulla nella sua sostanzialità pensato per quello che è, è pensabile, se non in quanto se ne poss.a dire una certa quantità, determinandone una certa qualità, avente una certa relazione; se non in quanto sia in un certo luogo, in un certo
www.scribd.com/Baruhk
151
tempo, avente una certa postztone, e il possesso di qualcosa; se non in quanto si trovi ad agire o a patire (Categorie, lb 25 - 2a). Categoria fondamentale, la sostanza, le altre nove categorie sono i termini ultimi e non ulteriormente analizzabili indicanti le condizioni che determinano l'esserci delle sostanze (sostantivi, aggettivi, numerali, preposizioni, verbi), permettendo cosi rapporti e nessi tra nomi, linguisticamente distinguibili e quindi predicabili, e rendendo cosi possibile il giudizio, falso o vero, a seconda che sia stata osservata o no la re~ gola dei rapporti tra i nomi. Di qui anche lo studio (De interpretatione) delle possibili proposizioni e delle opposizioni delle proposizioni. Ora, a parte le distinzioni ddle proposizioni e le distinzioni tra le possibili varietà di forme che dànno le varie j!Jlpostazioni delle proposizioni, a parte la divisione dei giudizi in quantitativi, qualitativi, modali, tra giudizi possibili e necessari, ciò che particolarmente colpisce nel De interpretatione, è che, una volta impostata la questione sul piano delle nozioni-nomi, il giudizio è considerato in senso puramente linguistico-formale. E allora, quando dalle condizioni dei giudizi (Categorie) e dai possibili giudizi (De interpretatione), si passa a riproporsi la questione delle premesse opinabili (d'onde la dial~ttica) e delle P.remesse necessarie (d'ondr il sillogismo apodittico e il discorso scientifico), torna in pieno il probtema se le premesse non contraddittorie, e quindi necessarie, siano tali linguisticamente o se ai nomi indicanti quelle nozioni e perciò tutti nessi, che articolano necessariamente, di deduzione in deduzioJIIe, una certa serie di altre nozioni, corrisponda la realtà! onde il giudizio è vero, quando si afferma e si nega (si unisce e si divide) gli elementi che nella realtà sono davvero uniti e divisi, ripercorrendo la stessa impalcatura della realtà, per cui struttura del pensiero e struttura della realtà sono una sola e identica cosa; oppure se le categorie, e quindi, poi, anche le premesse, non restano che possibili modi di pensare, le prime permettendo le possibili forme del giudizio · - linguisticamente non contraddittorio, - da cui può derivare o il discorso dialettico-oratorio basato su premesse opinabili o il discorso scientifico basato su premesse non opinabili, ma necessarie perché anch'esse non contraddittorie linguisticamente. I testi aristotelici non sono, su questo punto fondamentale, perfettamente chiari e coerenti, né possiamo esattamente dire quale delle due vie abbia scelto Aristotele. Sembra solo si possa affermare che Aristotde abbia imboccato l'una e l'altra ma in epoche diverse. Se si legge un testo della Metafisica (IX, 10, 105lb 3 sgg.) parrebbe
152
www.scribd.com/Baruhk
si dovesse dire che per Aristotele il giudizio vero si ha quando tura del pensiero e struttura del reale coincidono :
stru~
Poiché l'essere, o il non essere, si dice e secondo gli schemi delle categorie e secondo la potenza o l'atto di tali schemi, e viceversa, e poiché, d'altra parte, soprattutto si predica l'essere o veracemente o falsamente, la verità consiste nel coincidere con le cose, la falsità nd differirne, cosi che ~ nel vero colui che pensa esser diviso ciò che è diviso e composto ciò che è composto, e nd falso chi pensa altrimenti di come le cose stanno... In queste cose è possibile la verità e l'errore soltanto nd senso che coglierle (lhye!v )è già enunciarne la verità (enunciare non è lo stesso che affermare), non coglierle vuol dire ignorarle (Metaf., loc. cit.). Nel De Anima (posteriore al testo sopra citato della Metafisica) si legge, invece, che " dove sono possibili il falso e il vero, v1 e g1a una sintesi di cancetti, tali da costituire una specie di unità " (III, 430a 2829), e che il principio che permetté l'unità di tali cancetti, noeticamente colti, che permette cioè il discorso, non è il fatto che tali strutture cor· rispondano alle strutture della realtà, ma l'attività dello stesso intelletto ("il principio che opera l'unità di ogni composizione è l'intelletto ": 430b 3). In altri termini nel De Anima la struttura del discorso è tale non in quan:to corrisponda alla struttura della realtà, ma in quantÒ i concetti che sono nell'anima (i concetti sono intuizioni delle forme, cui si giunge dall'esperienza) si costituiscono in ordine e in un rapporto gerarchico mediante le regole dell'intelletto. E allora può non essere un caso che al principio del De interpretatione, proprio dopo aver detto che " i suoni della voce sono simboli delle affezioni che hanno luogo nell'anima e che le lettere scritte sono simboli dei suoni delle voci," e dopo aver sottolineato che "suoni e lettere risultano segni (aYjf.LELOt) anzitutto delle affezioni dell'anima, che sono le medesime per tutti e costituiscono le immagini di oggetti, già identici per tutti " (16a 3 sgg.), Aristotele citi " i libri che riguardano l'anima " (16a 6), aggiungendo poi eh~ il nome (che assomiglia ai concetti sussistenti nell'anima) "è suono della voce, significativo per convenzione (aYjf.I.OCVTtX~ xoc-rà: auv&ljXYJV) " (J6a 19). Tra il testo citato della Metafisica e il De Anima e il De interpretatiane v'è una notevole rlifferenza, che assume ancor piu significato, quando si ricordi che nella storia interna del pensiero aristotelico si passa ad un atteggiamento sempre piu metodologico e descrittivo, fino a giungere alla distinzione metodologica delle varie scienze, per ciascuna delle quali è da studiare quali ne siano le condizioni, fino, da
www.scribd.com/Baruhk
153
un lato, alla raccolta dei materiali e delle prove (raccolta di piante, di animali, di pietre, di documenti, di costituzioni, di opinioni intorno ai vari problemi), e dall'altro lato alla rielaborazione di quei dati sr ch'essi possano essere raccolti entro condizioni che permettano di rendersene ragione. E ciò sembra valere anche per la questione delle premesse e dei conseguenti discorsi ·scientifici per i quali, alla fine, pare che basti rintracciare le condizioni linguistiche che permettano il giudizio per non giungere, equivocando nei termini, alla negazione del giudizio stesso, risolventesi nell'identità, cui erano arrivati, in polemica con Aristotele, un Eubulide e piu tardi uno Stilpone. Sotto questo aspetto, anzi, è indicativo che le categorie comincino precisando il significato degli omonimi, dei sinonimi e dei paronimi.
2. Atene alla morte di Alessandro Magno e di Aristotele. La scuola ài Aristotele: Teofrasto, Eudemo, Aristosseno, Dicearco, Stratone di Lampsaco e il. Peripato ad Alessandria
Già gravi erano stati i fermenti contro Alessandro e contro il governo macedonico, quando nel 324 il figlio adottivo di Aristotele, Nicanore, aveva, nella sua qualità di messo di Alessandro, ufficialmente annunciato alla Grecia, riunita in Olimpia, i voleri del Sovrano, che decretava onori divini alla propria persona, ed il richiamo degli esiliati: Atene, " nonostante che Alessandro avesse prescritto ad Antipatro di costringere con la forza le città che si rifiutassero di richiamare gli esiliati " ( Diodoro, XVIII, 3-5), non si sottomise al decreto. Nel 323, all'annuncio improvviso e imprevisto della morte di Alessandro, Atene apertamente ~i rivoltò. Fu dichiarata guerra alla Macedonia e si espulsero dall'Attica le guarnigioni macedoni. In effetto fu guerra contro Antipatro e di conseguenza fu visto di malocchio Aristotele, considerato una specie di collaborazionista del governo macedonico. Si ritenne, anzi, che l'inno scritto da Aristotele tanti anni prima per la morte di Ermia, alleato di Filippo di Macedonia, fosse un inno sacrilego, in quanto Ermia vi era cantato come un dio. Aristotele fu cosi accusato di empietà. Egli, allora, ritenne opportuno - perché, come disse, " una seconda volta gli ateniesi non pecchino contro la filosofia ": Rose, 2 fr. 667 - di abbandonare il Liceo ed Atene (323-322). Lasciò il Liceo a Teofrasto e, insieme, certo, i suoi scritti, appunti, note, lezioni, raccolte, libri, e si rifugiò con la seconda moglie Erpillide ed i figli Pizia e Nicomaco, a Calcide in Eubea, patria di sua madre, ove, in solitu-
154
www.scribd.com/Baruhk
dine (cfr. lettera ad Antipatro, Rose, 2 fr. 668), dopo aver veduto togliersi gli onori che Delfo gli aveva decretati per il suo catalogo dei vincitori pitici (cfr. lettera ad Antipatro, Rose, 2 fr. 666), ma dopo aver sapuiXl che anche Antipatro aveva domato la rivolta di Atene, si spense, molto probabilmente per cancro allo stomaco. Era l'anno 322. Il 6 novembre di quello stesso anno Demostene si suicidò avvelenandosi, per non cadere nelle mani del vincitore Antipatro, che, sconfitti i ribelli a Crannone in Tessaglia, aveva imposto un governo filomacedone e richiedeva la consegna dei capi, nessuno dei quali _:_ tra essi era anche l'oratore Iperide - sfuggi alla morte. Affettuoso e umano il testamento di Aristotele, conservatoci da Diogene Laerzio (y, 11), di cui Aristotele volle che esecutore fosse Antipatro. Scolarca del Liceo diveniva intanto Teofrasto, 5 nato a Ereso nel 372 circa, che fu dapprima alla scuola di Platone, poi, per venticinque anni, intimo di Aristotele e suo collaboratore nell'insegnamento. Scolarca del Liceo, ne organizzò sempre meglio la ricerca scientifica entro i termini di un indirizzo metodico volto alla sistemazione descrittivoempirica delle singole scienze, seguito in particolare anche da Clearco di Soli, da Menone, da Fania di Ereso, da Aristosseno, da Dicearco, e, infine, tra gli aristotelici della seconda generazione, da Stratone di Lampsaco, che successe a Teofrasto nella direzione della scuola (287), trasferendo in gran parte la propria attività scientifica ad Alessandria. Teofrasto resse il Liceo per trentacinque anni, fino alla morte, avvenuta nel 287, sorretto dal governo macedonico. Amico di Antipatro prima, Teofrasto consigliò poi Demetrio Falereo negli anni in cui quest'ultimo governò Atene in nome di Cassandra, dal 317 al 307. Demetrio Falereo, peripatetico, discepolo di Teofrasto, non solo protesse il Liceo, ma nel suo governo non poche volte si ispirò ai concetti di un'oligarchia moderata proprii della Politica di Aristotele. Cacciato da Demetrio Poliorcete, il Falereo si rifugiò in Egitto, ad Alessandria, presso T olomeo Sotér. Situazione difficile quella del Peripato in Atene: molti dei discepoli 5 Teofrasto nacque ad Ereso nel 372 circa. Il suo vero nome fu Tyrtamos, ma Aristotele lo chiamò " il divin parlatore," appunto Teofrano. Scolaro di Platone dapprima, segui poi Aristotele, di cui fu il successore nella direzione della scuola, dal 322 ali~ morte, avvenuta nel 287 circa. Delle molte opere di lui sono rimaste: Storia delle piante, Cause delle piante, un frammento della Metafisica, Caratteri; e frammenti di opere Sui venti, Sui segni delle piogge, Sui segni dei venti, St1i segni delle tempeste, Segni sulla tranquillità e serenità, Sulle pietre, Sul fuoco, Sugli occhi, Sulle fatiche, Sugli odori, Sui sudori. Perduti sono andati i suoi ~elebri 18 libri St4lle opinioni dei fisici: ne leggiamo solo un lungo frammento St4lle sensazioni; perduti anche i suoi scritti di politica.
www.scribd.com/Baruhk
155
e,
di Aristotele piu tardi, molti dei peripatetici si recarono ad Alessandria, ove ottennero l'appoggio di Tolomeo, e dove, fondato da Demetrio Falereo, durante il suo soggiorno ad Alessandria, sotto gli auspici di Tolomeo, un Museo ed una Biblioteca (che diverrà la celebre Biblioteca di Alessandria), trovarono possibilità di lavoro e di ricerca, in un sempre piu vasto approfondimento dell'indirizzo descrittivo-empirico, già delineatosi al tempo di Aristotelé. Certo, sulla scia di un famoso capitolo dell'Aristotele dello Jaeger ,è divenuto oggi di prammatica parlare dell'attività aristotelica del secondo soggiorno ateniese (335323) soprattutto volta all"' organizzazione della ricerca scientifica " (Jaeger, cit., pp. 440-65), e dell'interesse sempre piu preciso da parte di Aristotele, e quindi della sua scuola, per l'indagine concreta e sperimentale, in ciò aiutato dai suoi discepoli, tra i quali primeggia Teofrasto, e dall'istituzione, al Liceo, di un vero e proprio Museo, ricco di materiali, e di una biblioteca, che ispirarono poi a Demetrio Falereo e a Tolomeo la fondazione del Museo e della Biblioteca di Alessandria. In effetto la questione è piu complessa di quanto possa sembrare a prima vista. Da un lato l'interpretazione aristotelica della problematica dell'ultimo Platone ha condotto Aristotele, gradualmente, a indicare la fondazione del sapere scientifico in un rintraccio delle condizioni che permettono di pensare l'uno o l'altro oggetto della riflessione, onde quello che ancora in principio era, platonicamente, teleologismo teologico (come risulta dalle parti piu antiche della Metafisica), si è venuto, poco a poco, a trasformare in teleologismo logico; dall'altro lato, il graduale venir meno, per le note ragioni storiche, dell'attività politica ateniese, tra l'avvento di Alessandro e la sua morte, e la delicata posizione di Aristotele in seno all'ambiente ateniese hanno portato a uno spengersi di quel mordente politico, che aveva tanto stimolato Platone e la sua primissima scuola da indurii a ricorrere alla menzogna politica, che indicasse, di là dalla ricerca scientifica, i nuovi miti che servissero allo Stato conservatore. Aristotele, invece, giungeva oramai a una piu spassionata considerazione di quella che è la realtà, nei suoi vari gradi e aspetti, ivi compreso l'uomo, indipendentemente da ogni superiore jntervento, fino a l;he, almeno, si resta sul piano della ricerca scientifica e fenomenologica. Sotto questo aspetto sembrano assumere un loro significato non solo le contraddizioni interne di molte pagine di Aristotele, scritte in epoche diverse e in situazioni diverse, ma anche molte oscillazioni e tormentati momenti del suo pensiero, insieme a tutte le discussioni logicoliaguistiche, che, pur provenendo da ambienti culturali diversi da quello
156
www.scribd.com/Baruhk
aristotelico, rispondevano alla stessa situazione e problematica che alla fine potevano coincidere formalmente, entro la comune questione delle possibili condizioni che permettono il sapere, quali che poi ne siano le conclusioni. In epoca piu tarda (in fondo entro lo spirito di sistemazione e di enciclopedismo che veniva a formarsi ora) si determineranno delle erecise e cristallizzate successioni (8LIX3ox1Xl), che già da allora ebbero una utilità scolastica. Spregiudicatamente leggendo, invece, i pochi frammenti che restano degli immediati discepoli di Aristotele e di T eofrasto, e degli atomisti, dei cinici, dei megarici, dei cirenaici della seconda metà del 300, lo storico si trova di fronte si, forse, a conclusioni diverse, ma maturate in un'atmosfera culturale e politica ormai molto lontane da quelle in cui visse e operò Platone, un'atmosfera comune in cui si vennero delineando scuole diverse - la scuola di Alessandria, lo Stoicismo, l'Epicureismo, - ma che, almeno in principio. si mossero - non è un caso il loro rifarsi, anche se per vie diverse, alle correnti -della fisica ionica - in atteggiamenti antiplatonici e antiaristotelici per quanto di platonismo poteva essere in Aristotele, in quell'Aristotele che, dopo Teofrasto, si leggeva ancora in Atene (l'Aristotele platonico) e non di quell'altro Aristotele (l'Aristotele di alcuni testi esoterici finiti nelle cantine di Neleo a Scepsi), in parte conosciuto ad Alessandria, lo Stoicismo, l'Epicureismo, - ma che, almeno in principio, scrittiva avrà un suo particolare significato, e dove, appunto, il Peri· pato ebbe il suo maggior successo, dove fioriranno uno Stratone di Lampsaco, un Aristarco di Samo, un Erofilo, un Euclide, dove si formerà Archimede. L'epoca che va dalla fondazione del Liceo (verso il 335) a tutto il III secolo, la società del III secolo - ha scritto il Dodds, l Greci e l'irrazionale, trad. it., Firenze, 1959, pp. 278-79 - fu " per molti aspetti la società piu aperta che il mondo avesse veduto... Quantunque la città sopravvivesse, le sue mura, com'è stato detto, erano cadute; le istituzioni erano esposte al vaglio della critica razionalista: il costume tradizionale veniva sempre piu penetrato e modificato da una civiltà cosmopolita. Per la prima volta nella storia greca, poco importava dove un uomo fosse nato o da chi discendesse; fra gli uomini che dominarono la vita intellettuale ateniese in questo periodo, Aristotele e Teofrasto, Zenone, Cleante e Crisippo erano tutti stranieri, soltanto Epicuro era di famiglia ateniese, ma nato in una colonia." E d'altra parte non va scordato che da quando Atene, con l'età di Pericle, divenne il maggior centro di cultura greco, gli uomini
www.scribd.com/Baruhk
157
che piu influirono sulla formazione di questo atteggiamento culturale di cui ora parliamo, non furono ateniesi : si pensi a un Gorgia e a un Protagora, a un Prodico e a un Ippia, a un Anassagora e a un Democrito, a un Euclide di Megara e a un n6thos come Antistene, e alla rivolta, invece, contro tutti questi atteggiamenti di un ateniese dello stampo di Platone. A parte Eudemo di Rodi, 8 che si mantenne su di una linea platonica, soprattutto per ciò che riguardava l'aspetto religioso e morale (non a caso egli fu l'editore dell'Etica Eudemea), il Peripato giungeva a un deciso accantonamento di ogni teleologismo in una ricerca e descrizione strettamente scientifica e fisica, raccogliendo quindi le tesi e le opinioni sulle piu varie questioni, dando loro una coerenza interna entro l'àmbito d'un tipo di discorso. Teofrasto, in quel frammento rimastoci di una sua opera, cui fu
158
www.scribd.com/Baruhk
il numero stesso può farlo, anche se da qualcuno si sostiene che esso sia il principio primo e dominante (Teofrasto, Metaf., 1-5). Era facile, di qui, giungere ad accantonare ogni teleologismo teologico o antico ed a mettere in dubbio anche le celesti sfere di Aristotele, entità divine, non cercando la ragione della materia e del movimento in cause supreme e intelligenti. ' Per quanto riguarda l'opinione che vorrebbe che tutto abbia un fine e nulla accada invano, osserviamo in primo luogo che non è facile, come spesso si dice, definire questo fine; infatti, da dove dovremmo cominciare e dove dovremmo decidere di fermarci? In secondo luogo tale opinione non sembra essere vera per molte cose, alcune delle quali sono dovute al caso ed altre a una certa necessità, come vediamo nei cieli e in molti fenomeni della terra (Teofrasto, Metaf., 28).
Sono, questi, due testi molto importanti, illuminanti tutto un atteggiamento metodologico e di cautela scientifica, che portava sul piano della logica a un approfondimento della logica formale con particolare riguardo ai sillogismi ipotetici e ai sillogismi disgiuntivi (cfr. fr. 62 Wimmer), mentre sul piano della ricerca concreta portava alla raccolta sistematica dei dati delle singole indagini, in un ordine logicamente giustificato e classificato (" poiché avviene che la conoscenza è piu chiara quando si riferisce a oggetti divisi per specie, XOt't"cX e:t~1J, è bene stabilire tale divisione in ogni materia, ogni volta che sia possibile ": Hist. plant., l, 3.1), che non considera un fenomeno veramente studiato, se non quando tutti i concomitanti (-roc cruf.L~IX(vov-rOt) del fenomeno stesso non siano stati osservati (cfr. Hist. piant., I, 9), in tal modo costituendosi l'àmbito delle singole scienze. Si hanno cosi da un lato la Storia delle piante (in nove libri), Le cause delle piante (in 6 libri), il lungo frammento sulle pietre; i frammenti su l venti, l segni delle piogge, l segni dei venti, l segni delle tempeste, sul Tempo buono e sereno, i frammenti su Il fuoco, La vertigine degli occhi, Le fatiche, Gli odori, l sudori; e, dall'altro lato, la raccolta delle Opinioni dei Fisici, in 18 libri, da Talete a Platone e a Senocrate, andata perduta tranne un lungo frammento su le sensazioni e altri pochi frammenti (cfr. H. Diels, Doxographi graeci), da cui deriva la " doxografia " pres'ocratica. Ne fu dapprima fatta un'epitome in due libri, probabilmente ad Alessandria, e poi, nel I secolo a.C., una seconda in sei, andata sotto il nome di vetusta placita. Il frammento sulle sensazioni è indicativo di un metodo c di un interesse: raccolta sistematica di opinioni intorno a sin-
www.scribd.com/Baruhk 159
goli problemi (l'ordine ongmario dell'opera era: principii, dio, cosmo, fenomeni celesti, psicologia, fisiologia), perché sia possibile la discussione critica; non opera storica, certo, ma opera storico-dialetica in senso aristotelico, " ove si guarda al significato particolare di una dottrina, al suo rapporto con altre, alla sua funzione all'interno di una filosofia " (Pasquinelli, cit., p. xxvii). I Caratteri, che sono giunti interi - il prologo e le chiusure dei trenta capitoletti sono spurii, - formano un libriccino vivo e spregiudicato, in cui sono ritagliate e scolpite a tutto tondo trenta figurine di uomini, in una precisa caratterizzazione di vizi, difetti di natura e di educazione, e costituiscono lo " specchio piu fedele e piu terso di vita attica che ci sia rimasto" (Pasquali, Introduzione a I caratteri, Firenze, 1956, 2 p. x). Sono un divertimento, e sottile e distaccata è l'ironia di Teofrasto. Ma sono anche qualcosa di piu. Sono un'opera didattica di descrittiva eticO-psicologica. I trenta caratteri presentati (l'ironia, l'adulazione, il non finirla piu, la rusticità, ecc.; la superstizione, ambizione piccina e cosi via), rientrano esattamente nell'indirizzo empirico-descrittivo e, sul piano del fenomeno costume, stanno alla descrizione, caratterizzazione e classificazione delle piante o delle pietre, e, sempre sul piano del costume, tali caratterizzazioni possono servire a comprendere i vari tipi di uomo per condurre una adeguata attività retorica, come già trovavamo in Aristotele, soprattutto nel secondo libro della Retorica (cc. V-XVIII). Su questa linea, a parte il loro interesse documentario e di fonte. assumono particolare importanza i frammenti rimasti degli altri discepoli di Aristotele della prima generazione. Eudemo di Rodi, fiorito tra il 320 e il 315, oltre un commento alla Fisica di Aristotele, che, insieme a quello di Alessandro di Afrodisia (fiorito nel 200 d.C.), fu una delle fonti principali del commento di Simplicio (VI secolo d.C.), scrisse una Storia della geometria e dell'astronomia. Aristosseno/ nato a Taranto nel 360 circa, formatosi nell'ambiente del pitagorismo tarantino (sembra abbia avuto per maestro il pitagorico Xenofilo), discepolo poi di Aristotele, si occupò soprattutto di musica
r
7 Aristosseno nacque a Taranto. Non abbiamo sufficienti elementi per determinarne la cronologia. Fu discepolo di Aristotele, insieme a Dicearco. Pitagorico dapprima, risolse il problema dell'anima armonia in termini aristotelici. Si occupò di teoria musicale, studiando la funzione etica e terapeutica della musica. Dei suoi scritti sull'anima, sulla musica, sulle leggi dell'educazione e sulle leggi politiche, sulla tragedia, sulle vite de1 filosofi (Vita pitagorica, Vita di Archita, Vita di Socrate, T'ita di Platone), non restano che pochi frammenti. ·
160
www.scribd.com/Baruhk
e scrisse opere sulla Storia della musica, sull'Armonia, sul Ritmo, oltre a biografie di filosofi. I frammenti rimasti di tali opere, se da un lato rivelano l'interesse di Aristosseno per certi aspetti del pitagorismo filolaico, rivelano, dall'altro lato, un approfondimento sul piano fisico della musica, considerata anche nel suo aspetto curativo (cfr. fr. 6 Wehrli), si come su di un piano puramente fisico egli considera l'anima armonia e tensione del corpo e dei suoi diversi moti, rifacendosi all'anima armonia di un Simmia (cfr. Platone, Pedone) e al concetto di anima forma di un corpo avente la vita in potenza del De Anima di Aristotele. Alle stesse conclusioni, rispetto all'anima, giungeva Dicearco 8 di Messina (vissuto tra il 350 e il 290): Dicearco ... fa sostenere al suo oratore che non esiste affatto l'anima, che questo è un nome del tutto vuoto, che è vano parlare di animali, e che non esiste animo o anima né nell'uomo né nella bestia; tutta quella forza, per cui operiamo o sentiamo alcunché è ugualmente diffusa in tutti i corpi viventi, e non è separabile dal corpo, come quella che non esiste e non è altro che il corpo unico e semplice, configurato per modo di averd forza e sensibilità per temperamento naturale (Cicerone, Tusculanae, I, 21). Dicearco, poi, condusse a estrema conseguenza la concezione aristotelica dell'ultima etica, sottolineando di contro all'ideale della vita contemplativa (~(oç &e:wp'1)·nx6ç ), la validità della vita attiva (~(oç 7tpcxx·nx6ç), in quanto ideale di vita. Attività volta alla conoscenza delle condizioni che permettono le singole scienze, il filosofare non è piu inteso come teoria dell'essère, in cui ha da risolversi l'uomo, ma da un lato come scienza tesa alla comprensione dei vari aspetti del reale e dall'altro lato come riflessione morale che si risolve nella stessa azione costituente un certo costume. " Quanto piu nel corso dell'evoluzione, la scienza diventava teoretica nel senso nostro della parola, quanto piu essa si ritraeva da'"a vita, tanto meno poteva far pienamente proprio l'ideale del ~[c.ç &e:wp'1)'rtx6ç, e con la sua stessa unilateralità provocava la genesi dell'antitesi, l'ideale del ~(oç 7tpo:x-nx6ç. Dicearco mostrava agli epigoni di Aristotele che essi non rappresentavano affatto il supremo fiore~'dell'umanità, e che anche nella storia non si trovava 8 Poco sappiamo di Dicearco, nato a Messina, vissuto ad Atene presso Aristotele. Dedito soprattutto a studi scientifici ed eruditi, preferl l'ideale della vita pratica. Delle opere di Dicearco sono rimasti alcuni frammenti dell'Anima, di scritti intorno alla mantica, intorno alla superiorità della vita pratica sulla vita teoretica, sulla Vita d~lla Grecia, sulla Repubblica degli spartani, su Omero, sulla musica, sulla politica (Tripolitico).
www.scribd.com/Baruhk
161
mai ombra di una tale supremazia della pura intelligenza sull'attività creatrice " (Jaeger, Ideale, cit., pp. 601-2). Si capisce cosi come nelle sue Vite dei filosofi, Dicearco tentasse di mostrare che i filosofi antichi non erano stati solo dei puri contemplatori, ma, ad un tempo, uomini volti all'azione, per i quali il filosofare era st~to insieme pensiero e azione. E si capiscono le sue simpatie per gli ionici, il cui pensiero si risolveva in opere tecniche e le tecniche davano luogo a nuovi modi di pensare, per i quali le teorie si risolvevano in creazioni e cost. uzioni. Di qui, forse, anche la Geografia di Dicearco, che, volta a una descrizione ordinatrice delle terre sconosciute, dalle Colonne d'Ercole al Gange e dall'Alto Egitto al Chersoneso, tentandone una misurazione, si rifà - per quanto possiamo indurne dai pochi frammenti rimasti - alla Geografia di Ecateo di Mileto e alle descrizioni geografiche di Anassimandro di Mileto. Entro questo stesso orizzonte dovevano poi rientrare la Vita della Grecia e il Tripolitico. Nella prima opera, da quel poco che n'è rimasto, sembra che Dicearco, delineando una storia del mondo greco, prendesse le mosse dalla descrizione di un'età dell'oro, l'età di Crono. per giungere a sostenere che l'umanità è decaduta per l'insipienza degli uomini, che non sanno rettamente usar la ragione, facendo a se stessi piu danni che non la volontà degli dèi (fr. 24 Wehrli). Le conclusioni erano che è l'uomo il responsabile del proprio destino. Nella seconda opera, sembra (pochissimi sono i frammenti rimasti) che Dicearco, tenendo fermo il suo principio della superiorità della vita attiva sulla contemplativa, sostenesse che spetta all'uomo, indipendentemente da ordini già costituiti e metafisici, costruire razionalmente la sua Città, di cui, appunto, egli è responsabile. Di qui l'ideale di un tipo di costituzione politica (che piu tardi fu detto l'd8oç .1-txoctapxtxé.v, il eipo dicearcheo, a cui s'ispirò Cicerone) nella quale fossero armonicamente fus~ le tre classiche forme di costituzione - fr. 71 (di qui, forse, il titolo delliopera: T npolitico). Pro~abilmente Dicearco sviluppava il concetto aristotelico di classe media e di costituzione mista (cfr. sopra), ma concludendo per una politèia assai piu duttile ed aperta, sganciata da pregiudiziali metafisiche. "Una · ~e costituzione - scriverà Cicerone - ha innanzi tutto un notevole grado di uguaglianza, senza di cui i popoli liberi non possono andare avanti a lungo, e, in secondo luogo, gode di stabilità, mentre le forme non miste degenerano troppo rapidamente nelle corrispondenti cattive" (De repub., l, 69) (cfr. T. Sinclair, Il pensiero politico classico, trad. it., Bari, 1961, pp. 336-8).
162
www.scribd.com/Baruhk
A Teofrasto, morto nel 287, successe nella direzione del Liceo il suo discepolo Stratone di Lampsaco,8 che resse le sorti del Peripato per circa un ventennio, fino alla morte, avvenuta nel 268. Stratone, di fatto, trasportò il Liceo ad Alessandria. Là, prima di divenire scolarca del Peripato, era stato maestro di T olomeo Filadelfo, figlio di T olomeo Sotér. Là, la stessa ricerca scientifica, per l'aiuto dato dai Tolomei (ad Atene il Peripato era sempre considerato di malocchio), era divenuta piu proficua e resa possibile in quel grande centro di studi organizzato che fu il Museo e la Biblioteca sempre piu ricca e preziosa. Non a caso detto " il fisico," Stratone ancor piu decisamente accantonò ogni teleologismo, riducendo tutto a meccanismo e ritenendo inutile per spiegare la realtà ricorrere a cause allotrie e trascendenti. Stratone, detto il fisico, crede che tutta la forza divina sia collocata nella natura avente in sé le cause della generazione, dell'accrescimento e della diminuzione, ma priva di ogni coscienza e figura (Cicerone, De natura deorum, l, 35). Qualsiasi cosa esista o nasca, insegna che è o è stata fatta dai pesi e moti naturali... rifiutando di servirsi dell'opera degli dèi per fabbricare il mondo (Cicerone, Acad. post., 121). In quegli stessi anni, Epicuro scriveva: I movimenti dei corpi celesti, ·i loro giri ed eclissi, il loro ~rgere e tramontare e i fenomeni a tutto ciò congiunti, non si devono pensare come dovuti a qualche essere. che li controlla e li ordina o li ha ordinati e che nello stesso tempo gode di una perfetta felicità unita all'immortalità... I corpi celesti non sono che fuoco tenuto insieme in una massa... la legge di regolare successione è dovuta all'originaria inclusione della materia in tali agglomerati, avvenuta durante il processo di formazione del mondo (Epicuro, Lettera a Erodoto, 76-77). Abbiamo di proposito accostato questi due testi (pur nelle loro provenienze diverse, pur nella polemica di Epicuro nei confronti di certo aristotelismo, ma soprattutto di quel platonismo che interpretava, in funzione di fini politici, teleologicamente i movimenti dei corpi celesti e delle loro orbite) perché illuminano una comPne mentalità scientifica, volta alla comprensione razionale della realtà, per cui basta 8 Di Stratonc di Lampsaco, detto il fisico, sappiamo che fu discepolo di Tcofrasto c maestro di Tolomco Filadclfo, figlio di Tololl\'Co Sotér. Successo (288/87) a Tcofrasto nella direzione della Scuola, ne fu scolarca fino alla morte (268). Delle opere di Stratonc possediamo alcuni frammenti c testimonianze, da cui risulta ch'egli scrisse di Logica c di Topica, Sul ài11ino, sulla fisica, sul 11uoto, sulla meccanica, di cosmologia, meteorologia c geografia, di zoologia, fisiologia e medicina, di psicologia, di etica.
www.scribd.com/Baruhk
163
trarre condizioni non contraddittorie e non supremi e dogmatici perché. Si capisce anzi di qui come ci si potesse rifare, anche se per fini diversi, al metodo democriteo, che era proseguito nel corso del IV-III secolo con Metrodoro di Chio, Anassarco l'Eudemonico, Ecateo di Abdera, Nausifane di Teo, maestro di Epicuro, pur non tradendo il significato. piu alto dell'insegnamento di Aristotele (come fu per Stratone), e per combattere l'impalcatura teologico-politica di Platone e dell'Aristotele delle opere pubblicate e del suo primo insegnamento (come fu per Epicuro). Stratone di Lampsaco, morto nel 268, ed Epicuro, vissuto fra· il 342 e il 270, tendono, l'uno, in un certo ambiente, Alessandria, a formare lo scienziato, il dotto che sappia, entro l'àmbito di una ricerca, i propri limiti; l'altro, in un altro ambiente (Atene tra la fine del IV secolo e il primo trentennio del III, ancora piena di fermenti contro il dominio macedone), entro i termini di un razionalismo naturalistico, senza uscire fuori dall'uomo in impossibili conturbanti sogni di forze e di intelligenze extraumane ed extranaturali, a determinare un modo di vita umano, che dia all'uomo una felicità (piacere) che sia conquista, dell'uomo stesso. Diremmo che siano questi 'i due poli estremi, e caratterizzanti, di un'epoca - la fine del IV e la prima metà del III secolo, - culturalmente altissima, dove, non essendo piu possibile la politica militante e cittadina, nel costituirsi dei nuovi regni, eredi dell'impero d'Alessandro, politica diviene la stessa cultura, o meglio l'una o l'altra delle posizioni culturali assunte. È entro questi due poli che prendono un loro preciso significato posizioni, a prima vista molto distanti tra di loro, se non opposte, che s'erano venute maturando fin dal tempo di Aristotele, e che costituiscono la coerente prosecuzione, in situazioni mutate, della problematica impostata da Democrito, dai Sofisti e da Socrate. Basti qui pensare ad Anassarco democriteo e a Pirrone d'Elide da un lato, e dall'altrn !alO ai cirenaici Arete, Aristippo il giovane e particolarmente F;:, . . sta ~~rsuasor di morte e Teodoro l'ateo.
3. L'atomismo nel IV secolo: Metrodoro di Chio e Anassarco. L'atteggiamento dei Cinici (Cratete, Ipparchia) e dei Cirenaici (Arete, Aristippo Metrodidatta, Teodoro l'ateo, Egesia, Anniceride). Pirrone e il primo Scetticismo Con Democrito (morto circa nel 370), la questione dell'Essere si risolveva non nel cercare ragioni o principii intelligenti (il perché), ma
www.scribd.com/Baruhk 164
condizioni logiche che permettano di rendersi conto del reale (gli atomi invisibili ali'occhio fisico; il pieno e il vuoto; il movimento: inesistenti, forse, come tali, ma condizioni dell'esistere), onde, sul piano gnoseologico, reali sono le cose quali appaiono alla coscienza e quali, perciò, vengono espresse linguisticamente, per cui gl'infiniti mondi e lo stesso mondo umano - mondo tra i mondi - hanno una loro storia ed entro la propria storia infinite storie possibili, e quindi infiniti possibili linguaggi. Il linguaggio umano, .di conseguenza, non è per natura, ma per convenzione, si come convenzionali - storico-culturali - sono i costumi. Posti i due tipi di conoscenza, la conoscenza genuina ("(V1la(1J) e quella oscura (axoT(1J ), Democrito con la prima, intesa come ipotesi mentale delle condizioni che permettono di pensare il costituirsi del reale, poteva coerentemente spiegare l'altra, cioè' perché non è dato all'uomo cogliere le strutture in sé del reale, perché uomini e cose mutano, perché ci sono molti linguaggi e molti costumi. È cosf chiaro come Democrito potesse dire che: Noi in realtà non conosciamo nulla che ·sia invariabile, ma solo aspetti mutevoli... : [perciò] non conosciamo conforme a verità come sia o come non sia c.ostituito ciascun oggetto... (fr. 9 e 10, da Sesto Empirico, Atlv. math.1 VII, 136).
In un'epoca, appena piu tarda, in cui da parte di un Antistene prima e dei megarici poi, si negava l'intuizionismo platonico e l'identità tra strutture della ragione e strutture della realtà, si capisce come il democriteo Metrodoro di Chio, 10 che sembra sia stato discepolo diretto di Democrito, aprendo la sua opera su La Natura (di cui sono rimasti due frammenti appena), insista sulla oscurità della conoscenza, qualora per conoscenza s'intenda l'adeguazione dell'intelletto e della cosa (" affer10 Impossibile stabilire date esatte per i membri della scuola atomistica di Abdera. Sembra che Metrodoro di Chio sia stato discepolo diretto di Democrito, e di poco piu giovane di lui, se effettivamCllte nel Filometore del comico Antifane, posteriore al 388, è da ravvisare Metrodoro nel diminutivo Metta. Di Metrodoro fu discepolo Nessa di Chio, mentre non piu che un nome è Diogene di Smirne, del quale sarebbe stato discepolo Anassarco. Anassarco visse al tempo di Alessandro Magno e lo seguf, insieme a Pirrone, nella spedizione in Asia (334-324). Di altri pensatori che gli autori delle successioni pongono tra gli abderiti o gli atomisti vanno ricordati: Apollodoro di Cizico, di cui non sappiamo nulla, Ecateo di Abdera, nato a Teo, che fu storico, Diotimo di Tiro, che fu polemico nei confronti di Epicuro, Bione di Abdera, matematico e geografo, ed infine Nausifane di Teo, che si dice fu maestro di Epicuro. I pochi frammenti e testimonianze ri· masti di Metrodoro, di Anassarco, di Apollodoro, di Ecat~, di Diotimo, di Bione e di Nausifane si vedano in Diels, Vorsol(rat.
www.scribd.com/Baruhk 165
mo che non sappiamo neppure se sappiamo o non sappiamo questa cosa stessa, né se esista qualche cosa o no assolutamente": fr. l, in Cicerone, Acad. prior., II, 23, 73); sottolineando tuttavia che tutto è quel che si pensa, 1ttX'\I''C"O( &cr't'LV, a &v 't'L<; VO~O"O(L (fr. l, in Eusebio, Praep. Evang., XIV, 19, 8), che, cioè, solo ciò che è pensabile assume realtà. Sotto questo aspetto - consapevolezza critica delle condizioni che permettono la scienza, e, entro queste, validità del sapere scientifico prendono un particolare significato la netta presa di posizione contro ogni forma di intuizionismo - sempre dogmatico - e quindi la sospensione del giudizio intorno alle strutture in sé del reale, intorno a ordini già costituiti cui ci si debba adeguare. Singolarmente interessante sembra allora la seguente testimonianza su Anassarco, forse disceeolo di Metrodoro (degli altri atomisti del IV secolo non abbiamo piu che dei nomi: N essa di Chio, Diogene di Smirne, Ecateo d'Abdera}, vissuto nella seconda metà del IV secolo. E non pochi erano ... quelli che dicevano che anche Metrodoro e Anassarco, e inoltre Monimo [cinico, nato a Siracusa), negarono l'esistenza dd criterio di giudizio; anzitutto Metrodoro, perché disse: Nulla sappiamo, e non sappiamo neppure questa stessa cosa, che nulla sappiamo... Anassarco e Monimo poi, perché riducevano la realtà ad una scenografia [cioè all'illusione prospettica della scena, cosf aspramente criticata da Platone] e ritenevano le cose reali non diverse da quelle che ci si presentano nel sogno o nel delirio (Sesto Empirico, Adv. math., VII, 87-88).
Ricerca, dunque, delle condizioni che permettono il sapere scientifico, e consapevolezza critica dei limiti della scienza, ma entro questi limiti, della fecondità e della validità delle scienze stesse. Sul piano democriteo, poi, rispetto al mondo umano - in un'epoca di netti mutamenti, in cui violentemente si rompono tradizioni e costumi, in cui l'orizzonte geografico e culturale va ben al di là delle antiche p6leis si fa sempre piu attuale e urgente la comprensione razionale del formarsi storico e convenzionale dei linguaggi e dei costumi, entro i quali e per i quali si deve vivere. Non si rifiutano o si negano tali costumi in nome di astratte teorie morali. Si cerca di comprenderli per sapervisi ragionevolmente adeguare (Anassarco ·diceva: " Bisogna saper conoscere i limiti dell'opportunità: e veramente questo è indizio sicuro di sapienza": fr. l, da Clemente, Stromata, I, 36; Stobeo, Fior., III, 34, 19H), e proprio in questa saggia e ragionevole adeguazione e misura, sembra consistere la propria liberazione, sembra si salvi la propria indipendenza. Non sappiamo quanto rispondano a verità storica i molti
www.scribd.com/Baruhk 166
aneddoti fioriti intorno ad Anassarco: probabilmente tendono, a seconda dell'ideale del saggio che si venne formando tra il II sec. a.C. e il II d.C., a disegnare un tipo. Volta a volta Anassarco è rappresentato come un cinico (cfr. Sesto Emp., Adv. math., VII, 88), cui tutto è indifferente, e che assume atteggiamenti sprezzanti e di estremo coraggio (cfr. Diogene L., IX, 58-60), o un cirenaica- fu detto l'eudemonico - "poiché diceva che il fine della filosofia da lui professata era la felicità " (Ps. Galeno, Hist. philos., 4, in Doxographi, 602); ed in effetto la concezione democritea degli infiniti mondi, e di ogni mondo, provvi· sorio equilibrio di atomi (cfr. Plutarco, De tranquillitate an., 4, 466D; Val. Max., v III, 14), lo porta a un abile equilibrio in mezzo al mondo in cui vive, sostenendo, appunto, che il saggio, cioè chi sa essere opportuno (fr. l, Clem., Strom, l, 36), è felice; uno scettico (cfr. Galeno, Hist. philos., 4, in Doxographi, 604). Da un lato, ad esempio, vien rappresentato come adulatore di Alessandro (Anassarco segui Alessandro fino in India, insieme a Pirrone di Elide, dove conobbe i fachiri e i gimnosofisti) facendo finta di credere nella sua divinità (cfr. Plutarco, Akss., 28), dall'altro lato come sfidante il sovrano stesso, proprio sullo stesso punto: " una volta che Alessandro si era ammalato e il medico gli ordinò di farsi preparare una farinata, Anassarco commentò ridendo: dunque le speranze del nostro dio stanno tutte in una farinata! " (Eliano, V. H., IX, 37). Sconcertante figura quella che di Anassarco è stata tramandata, essa è la tipica figura del saggio, la cui concezione - atomistica in questo caso - lo libera da ogni superstizione, da ogni scrupolo in un ordine trascendente e divino, che giudica uomini e cose razionalmente. In questo ambiente culturale, nel dibattito della questione sulla possibilità o meno di cogliere le strutture del reale, nelle discussioni sullà possibilità o meno del discorso, nel contrapporsi di aristotelismo e megarismo, nel delinearsi della validità delle scienze entro l'àmbho delle scienze stesse, come possibili e utili interpretazioni della realtà e del mondo umano, realizzantesi, indipendenteme~lte dalle varie costruzioni, orizzontalmente sul piano della retorica, nella sempre piu vasta esperienza di uomini, di costumi, di linguaggi, di paesi diversi, sembrano chiari, ora, molti degli atteggiamenti pratico-retorici, proprii di uomini vissuti in questo scorcio del IV secolo. Abbiamo, per un momento, rivolto l'attenzione su Anassarco, perché dietro i suoi atteggiamenti pratici v'era una certa concezione fisicoatomistica; ma, indipendentemente da quella o da altra, potevamo con ugual esito rivolgere l'attenzione a quelle posizioni che, lasciando da
www.scribd.com/Baruhk
167
parte, a chi di dovere, le questioni scientifiche, assumevano sul piano pratico-retorico eguale atteggiamento, senza scrupoli religiosi o politici, senza accettare superstizioni provenienti dall'alto, anzi moralmente impegnate contro, appunto, superstizioni e scrupoli. Estremamente vicini, come presa di posizione, si trovano ad essere cosi tanto i cirenaici (Arete, Aristippo il giovane, detto "metrodidatta," Egesia il persuasor di morte, Teodoro l'ateo, Anniceride), quanto i cinici (Monimo, Cratete, Ipparchia) e un megarico quale fu Stilpone. Se di Aristippo Metrodidatta, 11 avviato dalla madre Arete all'atteggiamento proprio del nonno Aristippo (cfr. sopra), si dice che teorizzò quell'atteggiamento in una filosofia del piacere, inteso come movimento lieve, cioè come interno equilibrio e misura (cfr. Eusebio, Praep. Evang., XIV, 18, 32, 764a ed. Mras); di Teodoro l'ateo,' 2 fiorito tra il 308 e il 305, si afferma che, accantonata ogni preoccupazione sull'esistenza o meno degli déi - di qui il suo soprannome, - .soatenne che non tanto il piacere (il piacere dell'ora) è il fine dell'uomo, ma la saggezza e il giusto mezzo, opera di ragionevole calcolo, in cui consiste la felicità. E se Egesia, 13 vissuto al tempo di Alessandro, e detto il " persuasor di morte" (Peisithanatos), per un suo scritto su Il suicida, che gli valse l'interdizione dall'insegnamento ad Alessandria, giungeva alla conclusione cinica che il saggio è tale, in quanto comprende che tutto è indifferente, e che il bene consiste in un saggio evitare i mali (molti di piu nella vita che non i beni), per cui, alla fine bene può essere anche evitare il male della vita; Anniceride poteva concludere che la felicità consiste in un liberarsi da se stessi mediante un'equilibrata comprensione degli altri, in un comune patire (simpatia umana), donde nasce l'amicizia (per questo, forse, si disse ch'egli si converti a Epicuro; cfr. Suda, s.v. Anniceris). 11 Seguace del padre Aristippo, Arete educò il figlio Aristippo, il giovane, secondo le dottrine del padre, per cui il giovane Aristippo fu detto anche metrodidatta, cioè l"" educato dalla madre." Di Aristippo Metrodidatta, di cui poco o nulla sappiamo, si dice che ordinò in sistema filosofico la posizione del nonno. 11 Di Teodoro, detto !"ateo, vissuto dalla seconda metà del IV al principio del III secolo, è possibile accertare solo qualche notizia: che fu seguace della scuola cirenaica e che venne bandito da Atene per il suo atteggiamento critico e polemico nei confronti della fede popolare e per la sua negazione di ogni divinità. Nulla è rimasto di suoi .mtti. Fonte principale è Diogene Laerzio (II). 13 Nulla è rimasto di Egesia, che conosciamo attraverso Cicerone (Tusculanae, I, 83-84) e Diogene Laerzio (Il, 93 sgg.). Nativo di Cirene, Egesia visse sotto Tolomeo Sotér, che gli proibi l'insegnamento, preoccupato per l'influenza negativa che poteva avere la parola di Egesia che persuadeva al suicidio. Per tal ragione egli fu detto il " persuasor di morte."
www.scribd.com/Baruhk 168
Monimo di Siracusa, Cratete di Tebe e la moglie Ipparchia (cfr. sopra) furono, invece, i rappresentanti tipici di un atteggiamento iconoclastico. Assumendo polemicamente, sia nei confronti di costruzioni dogmatiche sia contro un certo tipo di società, economicamente agiata, e culturalmente cristallizzata e statica, posizioni di rottura, di disprezzo, di indifferenza, essi predicarono autarchia, filantropismo, cosmopolitismo e - sul modello di una figura come quella di Diogene di Sinope, il cane - insegnarono, piu che con la parola, con il loro comportamento esteriore, con l'esempio. I celebri distici con cui Sesto Empirico sembra (non si trovano in tutti i codici) che abbia chiuso le Ipotipos; Pirroniane: O Pirrone, che sei apparso come gran meraviglia, di cui nessuna è piu grande, che apparso sei come un essere straordinario, diverso dagli altri, per avere osato muovere vigorosamente contro tutti i filosofi, oh, quanto fosti ardito! Ma per avere disprezzato la scienza umana, tu il primo onore riporti fra coloro la cui sapienza hai .disprezzato! rivelano, certo, come, al tempo di Sesto, la figura di Pirrone " fosse ormai divenuta un simbolo e come in Pirrone stesso si vedesse contratto in unità tutto ciò che in effetto è stato nel corso di molti secoli lo sviluppo di quella che dopo Pirrone sarà la posizione cosiddetta scettica (basti ricordare che il termine " scetticismo," per indicare una ben precisa posizione, verrà usato solo dal I secolo a.C. in poi). Quegli stessi distici, tuttavia, rivelano anche un senso di irritazione e di noia nei confronti dei ben costruiti sistemi, " alti e troneggianti sopra le nubi," che, in conclusione, non servono né a vivere né a fondare scienze che abbiano una qualche utilità. Sotto quest'ultimo aspetto le espressioni di Sesto Empirico- anzi tutte le Ipotiposi - riflettono, anche se in situazione diversa, anche se non servono come fonte storica per ricostruire la figura di Pirrone, quello che fu l'atteggiamento storico di Pirrone, a Incerta la data della nascita di Pirrone. Si ritiene ch'egli sia nato nel 365 circa. Poiché sappiamo che nel 334 Pirrone parti al seguito di Alessandro per la spedizione in Asia, e che in quell'anno doveva già essere uomo maturo, se ne desume che in qllel tempo dovesse avere almeno una trentina d'anni (cfr. Bròchard, Les sceptiques grecs, Parigi, 1887; Dal Pra, Lo scetticismo greco, Milano, 1950). Nato ad Elide, Pirrone da giovane visse stentatamente e si occupò di pittura. Semb•a si sia formato entro l'atmosfera della scuola megarica. Certo ebbe contatti con il demo· criteo Anassarco, insieme al quale segui Alessandro in Àsia· (dal 334 al 324). Di ri· torno dall'Asia (324) e stabilitosi ad Elide, Pirrone dette inizio al suo insegnamento. Non lasciò nessun scritto. La maggior fonte su Firrone è Diogene Laerzio, IX, 61-69, il quale attinge a Antigono Caristo del III secolo a.C. Sul valore delle fonti usate da Diogene, cfr. Dal Pra, cit.
www.scribd.com/Baruhk
169
ché ciò pur risulta dalle piu attendibili testimonianze, quelle di Timone di Fliunte, discepolo diretto di Pirrone, e di Antigono di Caristo, medico e biografo, vissuto poco dopo la morte di Pirrone, largamente usato da Diogene Laerzio, che si servi anche di Eratostene, Apollodoro, Alessandro Polyhistor, derivanti tutti da Antigono, come da Antigono deriva Aristocle, sfruttato da Eusebio. Pirrone, nato ad Elide, nel 365 circa, alla morte di Platone aveva quasi diciotto anni, e oltre quaranta quando venne meno Aristotele; s'era formato nella sua città, dove fior! la scuola del socratico Pedone, proseguita poi, con atteggiamenti cinici, in Eretria, con Menedemo; sembra ch'egli abbia avuto interesse per le discussioni logico-linguistiche dei megarici, che abbia letto le opere di Democrito, che sia stato intimo di Anassarco e che con lui abbia viaggiato in India, al se.. guito di Alessandro Magno, facendo larga esperienza di uomini e di cose, di costumi e di posizioni, tra le quali quelle degli asceti indiani, gl'imperturbabili gimnosofisti. È noto che Pirrone non ha, di proposito, lasciato alcuno scritto. È già, questo, indizio di una precisa presa di posizione e di una coerenza che ben si determina sia attraverso Timone di Fliunte, nei cui scritti (Silloi, Pitone, Sulle sensazioni, rimasti in pochi frammenti) pare che non altro si volesse manifestare se non il pensiero di Pirrone, sia attraverso ciò che di Pirrone scrisse Antigono di Caristo, come si desume da Diogene Laerzio. Gli autori delle succes· sioni hanno accostato Pirrone ora ai cinici, ora ai megarici, ora ai cirenaici, ora agli atomisti. Anche questo è un indizio piuttosto chiaro. Se a seconda del punto prospettico dal quale ci si è posti, era possibile rintracciare in Pirrone atteggiamenti a prima vista diversi tra di loro (nel delineare le fonti della formazione di Pirrone si è detto che fu discepolo di Brisone e di Anassarco, che fortemente sub1 l'in~uenza dei Gimnosofisti e dei Magi: cfr. Diogene Laerzio, IX, 61 ), per altro verso ciò rivela la rispondenza di Pirrone ad una comune atmosfera culturale, che, almeno, se ci fidiamo delle testimonianze piu antiche - Timone e Antigono di Caristo, - assume in Pirrone una giustificazione. logica di primo piano. Sembra cosi che Pirrone, al suo ritorno dall'India, nel 324, fermatosi ad Elide, abbia, non in una scuola vera e propria, ma socraticamente discusso, in forma popolare, la propria tesi, che giustificasse non solo un certo atteggiamento pratico, ma una coerente presa di posizione; n~i confronti di qualsiasi sistema e, di conseguenza, l'indicazione· di un modo di vita. Pirrone di Elide non lasciò alcun scritto, ma il suo discepolo Timone insegna che colui che vuoi vivere di buon genio (e:ò3oct(.l.ovf)crew) deve vol-
170
www.scribd.com/Baruhk
gere lo sguardo ai tre seguenti punti: primo, deve considerare in che consiste la natura delle cose; secondo, quale disposizione dobbiamo avere nei loro confronti; infine, cosa consegua da un simile atteggiamento. Quanto al primo punto Pirrone sostiene che le cose sono tutte uguali c indifferenti, incerte e indiscernibili, e che, dunque, le nostre sensazioni e le nostre opinioni non sono né vere né false. Quanto al secondo punto, sostiene che non bisogna assumer fede in nulla, ma rimanere senza opinioni, senza inclinazioni, tenendo fermamente presenti queste massime: nessuna cosa è piuttosto che non essere; è e non è; né è né non è. Sul terzo punto dice che a tale disposizione conseguiranno dapprima il silenzio, afasia (icpatalat) e quindi la mancanza di qualsiasi preoccupazione, atarassia ( i~czp~€«) {Aristocle, in Eusebio, Praep. Evang., XIV, 18).
Ci troviamo qui di fronte a una posizione ben precisa. Né coi sensi né con la ragione è possibile andare di là dai sensi o dalla ragione (cfr. Aristocle in Eusebio, loc. cit.). Tutto ciò che ha realtà è tale in quanto si manifesta, appare alla coscienza: qualsiasi affermazione o definizione su quella che sia l'essenza della cosa suppone un oltrepassamento dei sensi o della ragione, che dovrebbe avvenire coi sensi o con la ragione (cfr. Diogene Laerzio, IX, 74-76), il che è contraddittorio (si veda in tal senso, di contro a Platone Antistene ed Euclide, di contro ad Aristotele Eubulide e Diodoro Crono), onde, appunto, relativamente all'essenza (indiscernibile) le nostre sensazioni e le nostre opinioni non sono né vere né false. Ogni cosa, dunque, in quanto rappresentazione è uguale all'altra, non ha né maggiore né minor valore, è indifferente, può essere e non essere (incerta). Pirrone non nega la realtà, nega una qualsiasi definizione teoretica di essa, nega che le costruzioni dei dogma· tici possano essere spacciate come rispondenti o meno al vero. Noi conveniamo intorno a ciò cui, come uomini, andiamo affetti; perché che sia giorno e che viviamo e molte altre cose che appaiono nella vita riconosciamo... Conosciamo solo le nostre affezioni. Consentiamo infatti che vediamo, e sappiamo che questo l'intendiamo; ma come intendiamo ignoriamo; e che questo ci appar bianco lo diciamo a mo' di racconto, ma senza affermare se tale sia anche in realtà. Noi possiamo affermare ciò che appare ( cpattV6(.LtVOV ), ma non che la sua essenza sia quale appare. Che il fuoco brucia lo sentiamo; ma se abbia una natura caustica non affermiamo. Che uno si muove e che uno muore lo vediamo; ma come ciò avvenga -non sappiamo... Anche Timone... nelle sensazioni dice: che il miele sia dolce non affermo, ma che tale mi appaia riconosco~ Ed Enesidemo nel primo dei Discorsi pirroniani afferma che Pirrone nulla definisce per la possibilità del discorso contrario, ma segue i fenomeni... [La torre da lontano
www.scribd.com/Baruhk
171
appare quadrata, da vicino rotonda: la torre è e quadrata e rotonda, o meglio non è né quadrata né rotonda] (Diogene Laerzio, IX, 103-107). Se le cose, dunque, in quanto rappresentazioni (fenomeni), non sono né vere né false né buorie né cattive, ma ciascuna è quella che è e non si struttura secondo alcun ordine o scala gerarchica, ne consegue che un retto atteggiamento nei confronti delle cose stesse consiste nel non assumere maggiore o minor fede nell'una o nell'altra, nel non avere sulla struttura della realtà alcuna opinione, nel non farsi prendere (patire) dall'una piuttosto che dall'altra cosa, 11el non inclinare per l'una o per l'altra. Convenzionali, dunque, i costumi, non l'uno è migliore, piu giusto, piu buono dell'altro: Nulla Pirrone diceva hé bello né brutto, né giuste. né ingiusto; e similmente in ogni cosa nulla esiste in verità, ma per convenzione e per abitudine gli uomini han fatto tutto; poiché ciascuna cosa non è in. quel dato modo piu che in quel dato altro (Diogene L., IX, 61). Vi sono ora due frammenti del Pitone di Timone di Fliunte che sembrano chiarire l'atteggiamento di Pirrone nei confronti delle cose e nei confronti dei costumi, illuminando, d'altra parte, gli ultimi due punti della testimonianza di Aristocle. L'espressione pirroniana "nulla piu" (où3~ !Liillov) e "ad ogni discorso.fe ne oppone un altro" (cfr. Diogene Laerzio, IX, 75-76) significa, secondo Timone, " non definire (-rò IL"'l~ 6p(~e:w ), ma astener.si dal dare la propria adesione («ll' «npoa.&e:-re:!v) "(Diogene L., IX, ·· 76: fr. 80 in Diels, Poet. graec. fragm.): •di qui l'affermazione di Pirrone che intorno alPessenza delle cose non è possibile dire né si né no, onde saggio è rimanere in silenzio, afasia («cpocaLot). Piu tardi, certo dopo Timone, l'approfondimento teoretico della tesi pirroniana dell'afasia, porterà alla pottrina del dubbio mentale sull'essenza delle cose, e, di conseguenza, alla sospensione del giudizio, epochè (~ox-IJ ), alla relativa dichiarazione della inafferrabilità, acatalessia («xoc-riXÀ1)\jl(oc) del " vero." Le dottrine dell'epoché e della acatalessia, che un certo Ascanio di Abdera, citato da Diogene Laerzio (IX, 61-62; cfr. anche per I'epochè Enesidemo in Diogene L., 106), fa risalire allo stesso Pirrone, pur se derivanti dalla tesi pirroniana dell'afasia, non trovandosene cenno né in Timone né in Antigono di Caristo, né in Aristocle, poiché invece assumono un loro preciso significato, piu teoretico che pratico, nella polemica sorta nei confronti della posizione degli Stoici, i quali certo usavano i termini epochè e fantasia catalettica, si è oggi ritenuto (cfr.
172
www.scribd.com/Baruhk
in parùcolare Couissin, L'origine et l'évolution de l'epoché, Rev. d. ét. grec., 1929, pp. 373-97 e Dal Pra, Lo scetticismo greco, Milano, 1950, pp. 28-32) che vadano riferite piu che a Pirrone alle discussioni fiorite in seno alla media Accademia, che poi diverranno proprie delle correnti scettiche piu tarde. Senza parola (afasia), dunque, intorno all'essenza della realtà, il saggio, l,ibero da pregiudizi e superstizioni, non preso dalle cose, da esse non piu turbato (atarassia), sa, di volta in volta, adeguarsi alle umane situazioni, ai costumi umani - in sé né buoni né cattivi, per cui, appunto, Timone, nel secondo frammento del Pitone, poteva dire che egli mai era " uscito dalla consuetuçline " (Diogene L., IX, 105: fr. 81 Diels, op. cit.), e, molti secoli dopo, Sesto Empirico ripeteva: Aderiamo ad una maniera di ragionare che ci insegna, in conformità del fenomeno, a vivere secondo i costumi, le leggi, le istituzioni degli avi e le nostre proprie affezioni (Ipotiposi Pirroniane, I, 17). Cosi, nei soliti aneddoti biografici - secondo l'uso degli anùchi di riferire a episodi di vita la concezione dell'autore - si trovano due precisi filoni. Il primo corrisponde a un certo modo di interpretare la concezione pirroniana in -chiave cinico-socratica, facendo di Pirrone un uomo solitario, silenzioso, meditati vb, indifferente a tutto: Pirrone era conseguente anche nella vita, nulla scansando né guardando, affrontando tutto: carri se ne incontrava, e precipizii e cani e cosf via, non avendo alcuna fiducia nei sensi ... Antigono di Caristo poi nel libro che scrisse intorno a Pirrone dice di lui che si allontanava dagli uomini e viveva in solitudine, mostrandosi raramente ai suoi, e che faceva que'soo avendo udito un certo indiano rinfacciare ad Anassarco che non avrebbe potuto insegnare niente di buono restando a servizio presso le corti dei re: ... essendo una volta caduto Anassarco in un pantano, egli passò oltre senza dargli aiuto; mentre alcuni lo incolpavano di ciò, Io stesso Anassarco lodò il suo comportamento indifferente e impassibile ... (Antigono, in Diogene L., IX, 62-64).
Il secondo filone fa di Pirrone un uomo wmprensivo e modesto. Secondo Enesidemo (in Diogene L., IX, 62), di contro alla testimonianza di Antigono, l'indifferenza e l'apatia di Pirrone dovevano essersi manifestate in un'abile prudenza, se è vero ch'egli visse novant'anni (sarebbe morto nel 275) - nonostante carri, cani e preCipizu, - in un modo di vita distaccato ma, indifferente ai costumi e alle consue-
www.scribd.com/Baruhk
173
tudini, senza scandali nei confronti dei costumi stessi, se è vero che grandi onori egli ebbe dalla sua città e che Atene gli offri il diritto di cittadinanza. Secondo la testimonianza di Eratostene (Diogene L., IX, 66-fJ7), infine, Pirrone si comportò da uomo tra uomini, senza alcun atteggiamento teatrale, eroico, professorale e sacerdotale, vivendo insieme alla sorella, la levatrice Filista, aiutandola nelle faccende di casa, andando a fare la spesa, stando dietro ai polli e alla scrofa. T alc l'atarassia di Pirrone e la sua coerente filosofia contro la "filosofia." Conveniamo sf che talvolta lo scettico senta freddo e farne e altre affezioni del genere; ma anche in queste gli uomini doppiamente soffrono le circostanze: per le affezioni stesse, e perché credono che queste circostanze siano cattive per natura. Lo scettico, invece, togliendo di mezzo l'opinione aggiunta, che ognuna di queste cose sia un male per natura, riesce anche ad affrancarsene con molta maggiore moderazione (Sesto Empirico, lpot. Pirr., I, 25-30). Né mistica né estatica la posizione di Pirrone, in quanto si fonda - per quel che le fonti piu attendibili testimoniano - su di una revisione critica delle capacità umane e delle " filosofie," essa si deiinea piuttosto come atteggiamento pratico, che, rimanendo " senza parola " intorno alle essenze, si mantiene da un ~ato in una consapevole ricerca sempre aperta (skèpsis: onde piu tardi si dirà che Pirrone è stato il primo degli scettici: cfr. Sesto Emp., lpot. Pirr., I, 3), e, dall'altro lato, nel non accogliere mai come definitivo un costume, mai come definitiva una condotta morale.
4. Epicuro e Zenone di Gizio Quando Pirrone, celebre e glorificato, moriva, vecchissimo, in Elide, già da circa trenta anni, ad Atene, nella calma del suo giardino, Epicuro, con l'acutezza della propria concezione e con il fascino della propria personalità, non solo dava un esempio di vita, ma, entro i termini di una precisa e coerente ipotesi nei confronti della realtà, se da un lato giustificava la vanità del mondo umano e dei suoi affanni (la vanità delle paure e dei turbamenti umani, la vanità della superstizione e dei regimi politici che si spacciano per definitivi, la vanità del timor di Dio e della morte), dall'altro lato dava all'uomo, con la consapevolezza critica dei limiti proprii dell'uomo, la coscienza delle
174
www.scribd.com/Baruhk
sue possibilità e della fecondità del suo lavoro, senza uscire dal piano umano, ché questo è, per l'uomo, l'unico mondo reale C' quando noi siamo, la morte non c'è, e quando la morte c'è, allora noi non siamo piu ": Lettera a Meneceo, 125). E già da circa venticinque anni, ad Atene, nella sua scuola, aperta presso il portico (stoà) dipinto (poiklle) da Polignoto, insegnava il " feniciuzzo " Zenone, nato a Cizio, nell'isola di Cipro, stabilitosi ad Atene nel 310 circa, che portando alle estreme conseguenze sia le contrapposizioni dei discorsi di origine antistenica, sia le discussioni logicolinguistiche di Eubulide e di Stilpone e facendo tesoro delle implicazioni logiche di Diodoro Crono e dei sillogismi ipotetici di Teofrasto, venne delineando le condizioni che permettono un retto pensare, dal .quale è possibile dedurre una certa coerente condotta di vita, e una fisica che scaturisce da quella stessa logica. Certo l'ipotesi di Epicuro, rispetto alla struttura della realtà, e l'ipotesi di Zenone (in effetto sviluppata e tradita dai discepoli di Zenone, ché di Zenone è soprattutto la soluzione delle aporie logiche dei cinici, dei megarici, del pirtonismo), sono assai lontane tra di loro, ma sul piano dell'ipotesi scientifica si basano ambedue sui termini dell'ultimo insegnamento di Aristotele e sulla linea segnata da Teofra11to e da Stratone di Lampsaco, cioè nell'indagine di quelle che sono le condizioni logiche che permettono di· pensare la realtà. Innanzi tutto - sottolinea Epicuro in quella specie di epitome della propria dottrina che è la Lettera a Erodoto - convien renderei conto del significato fondamentale delle parole, per poterei ad esso riferire come criterio nei giudizi, o nelle indagini, o nei casi ·dubbi: se no senza criterio procederemo all'infinito nelle dichiarazioni, o useremo parole vuote di senso. Per avere un criterio di giudizio a cui riferirsi nei casi dubbi o nelle indagini o nei giudizi, è necessario badare sempre al significato primitivo di ognj vocabolo, senza avere bisogno ancora di particolare dichiarazione. Cosi pure bisogna scrutare sempre le sensazioni che riceviamo di ogni cosa e in generale le intuizioni presenti, sia dell'intelletto, sia di qualsivoglia dei criteri, come pure la testimonianza effettiva dei sensi interni, per aver modo di determinare ciò che deve aver conferma e ciò che non. cade sotto i sensi (Lettera .z Erodoto, 37-38). E sappiamo che Zenone sosteneva: Nell'ordine dell'insegnamento va Jnessa prima la logica..., perché la mente deve prima esser fortificata per conservare tenacemente le dottrine, e tutto il tirocinio dialettico è come un corroborante della mente... (Dio-
www.scribd.com/Baruhk 175
gene Laerzio, VII, 40 e Sesto Empirico, Adv. math., VII, 22; Arnim, I, 46 e II, 44) ... È proprio del sapiente avere percezioni sicure e idee precise. L'opinione vaga e incerta non è degna di lui ... (Arnim, I, 52-54). L'appello alla precisazione del significato delle parole usate, alla chiarezza delle idee, comune a Epicuro e a Zenone, per altra via presente nella scuola aristotelica - si pensi anche alle raccolte di opinioni, donde la doxografia - e in Pirrone, attraverso il suo atteggiamento di fronte a tutte le opinioni, è chiaro indizio di una comune esigenza critica rispetto a un tipo di cultura, sviluppatasi soprattutto ad Atene, mediante la polemica politica di Platone (in contrasto coi pericoli che, per la conservazione dello Stato, Platone vedeva in gran parte nella componente ionica e sofistica), e risolventesi alla fine in un accantonamento della " fisica " e in una mèra contemplazione dell'ordine supremo dato e divino, " visione " di pochi, che pur avevano il diritto di imporlo - anche con la menzogna, e con leggi - alla massa che non sarà mai filosofa (cfr. Platone, Rep., 494a) e la cui unica possibilità d'essere pensato ne era la traduzione in termini geometrici e matematici, ai quali veniva a ridursi anche la fisica. Se in seno alla prima Accademia (Speus!ppo, Senocrate) si er.l portato alle estreme conseguenze la soluzione geometrico-matematica, in Aristotele l'appello alla " fisica " e alle condizioni logiche che permettono di pensare il reale, aveva, anche se lentamente, anche se con molti aspetti edificanti, preso il sopravvento. Ciò si vede bene considerando le posizioni assunte da uomini che apertamente si proclamarono aristotelici, un Teofrasto prima, uno Stratone di Lampsaco poi, nella loro polemica nei confronti della soluzione matematica e del teleologismo ontico per cui sembra di particolare interesse che Stratone, non a caso detto il " fisico," si sia rifatto all'atomismo democriteo. Tali ricerche fisiche e metodologiche portarono, a seconda anche dell'ambiente politico, a esiti diversi. Si capisce, anzi, come ad Alessandria, dove di fatto si trasfer1 il Peripato, malvisto ad Atene per le note ragioni, la ricerca filosofica, da un lato per il sopravvento di uno stabile regime monarchico, ma pur, dall'altro lato, per le grandi disponibilità economiche di cui godeva il Museo e la Biblioteca, si sia determinata in ben precise indagini scientifiche particolari, ove l'abbondanza di mezzi permise lavori in collaborazione e risultati notevoli interni a ciascuna scienza (dalla matematica alla geometria, alla fisica, all'applicazione delle tecniche, alla filologia). Ad Atene, invece, la tradizione di una cultura aperta e spregiudicata che aveva avuto inizio con Anassagora e s'era proseguita con l'intervento dei Sofisti, di So-
176
www.scribd.com/Baruhk
crate, dei meganc1, con l'atteggiamento iconoclastico di certi cinici, generandovi un fecondo contrasto con l'altro aspetto della cultura ateniese, con il mondo chiuso e conservatore, il cui piu illuminato e intelligente rappresentante era stato Platone, faceva vedere ora, di contro alle chiusure e alle astrazioni matematiche del platonismo, la portata etico-politica delle indagini di fisica (Epicuro) e delle indagini logico-linguistiche (Zenone). Ad Atene, poi, la lotta politica era stata sempre una lotta cittadina, una difesa della Città e delle prerogative della classe dirigente e anche la lotta contro i macedoni si era svolta in tal senso (si pensi a Demostene). Il fermento culturale, la critica nei confronti delle vecchie idee e delle vecchie istituzioni era provenuta dal di fuori, eccezion fatta per Socrate, che di quel nuovo clima aveva tentato di rendere consapevoli i proprii concittadini perché ne assumessero una nuova coscienza morale. Con la morte di Alessandro Magno, le lotte politiche furono lotte militari estranee ad Atene, dii volta in volta investita dal prevalere de"tl'uno o dell'altro successore nella spartizione dell'Impero, mentre in Città, se da un lato, sempre piu debolmente si tentava la difesa della vecchia democrazia, dall'altro lato l'antica classe dirigente sempre piu esautorata si rifugiava nella tradizione e nel giuoco di imprese economiche redditizie e la classe artigiana e contadina diveniva sempre piu povera e improduttiva.
a) Epicuro. Sotto questo aspetto l'appello di Epicuro 15 allo studio della fisica - che si risolverà in una ripresa dell'atomismo, ed il suo appello a romperla contro la cultura suonano chiaramente come un atteggiamento polemico, come invito alla serietà dell'indagine che non esca fuori dalle possibilità umane e non finisca in vuote chiacchiere o in astratti sistemi che non servono a niente (questa la Cultura contro cui se la prende Epicuro). Il filosofare, inteso come riflessione sulla realtà, ha un senso in quanto aiuti l'uomo, attraverso la com15 Nato a Samo nel 342140, da genitori ateniesi, emigrati a Samo, Epicuro, giovinetto, avrebbe avuto contatti col platonico Pamfilo. Negativamente avrebbe influito su Epicuro il mestiere della madre Cherestrata, che, sembra, fosse lettrice di carmi lustrali. Sappiamo che nel 322 circa Epicuro venne ad Atene, ma che presto ne riparti per soggiornare in alcllrie città dell'Asia Minore, in particolare a Colofone e a Teo, dove avrebbe conosciuto il democriteo Nawlfane. Nel 310 circa si stabili a Mitilene. Qui ebbe inizio il suo insegnamento e qui si formo una prima comunità di amici epicurei. Si trasferl poi a Lampsaco, dove ebbe nuovi discepoli e dove si formò un'altra comunità epicurea. A trentaquattro anni, nel 307, era di nuovo ad Atene, dove insegnò fino alla mone, avvenuta nel 270. Moil, tra terribili sofferenze, per calcoli vescicali: celebre in tanti tormenti, la sua serenità é il suo coraggio. La scuola di Epicuro fu detta anche il " Giardino " (Képos) per un giardino ch'era nell'edificio, che Epicuro, nel 306, aveva comperato
www.scribd.com/Baruhk
prensione del mondo in cui vive, a rendersi conto della propria natura e delle proprie possibilità restituendo sé a se stesso, liberandosi dai timori e dalle apprensioni di una realtà soprannaturale. Della scienza della natura non avremmo bisogno, se sospetto e timore delle cose dei cieli non ci turbasse, e non temessimo che la morte possa essere per noi qualcosa, e non ci nuocesse il non conoscere i limiti dei dolori e dei desideri. Non scioglie il terrore di ciò che all'uomo piu importa, chi non sa quale sia la natura dell'universo e sta in ansia e sospetto per le favole dei miti... (Massime Capitali, XI e XII). Non dobbiamo pretendere di studiare la filosofia, ma studiarla realmente, poiché non abbiamo bisogno dell'apparenza della salute, ma della salute stessa (Gnomologium Vaticanum, 54).
Si è parlato - ha sostenuto il Farrington, Scienza e politica nel mondo antico, trad. it., Milano, 1960 - di una totale indifferenza dell'epicureismo per i valori della cultura greca, mentre esso rappresenta, invece, una conservazione dell'elemento piu caratteristico e vitale di tale cultura, della sua essenziale originalità, dell'unico suo contributo all'umanità: la ricerca cioè della conoscenza della natura e lo sforzo di basare su di essa la vita. A sostegno della loro opinione gli avversari dell'epicureismo citano la frase di una lettera indirizzata da Epicuro a Pitocle e giunta fino a noi (in Diogene Laerzio, X, 6): " Salpa l'àncora, ragazzo, e fuggi da ogni forma di cultura," come se essa significasse qualcosa di diverso da un attacco giustificabilissimo alla per sé e per i suoi discepoli. La scuola era aperta a chiunque, dotti e non dotti, donne e schiavi. Tra i piu celebri discepoli di Epicuro, dei quali, tuttavia, sappiamo pochissimo, furono Neocle, Cheredemo, Aristobulo, moi fratelli, Metrodoro di Lampsaco - lo scolaro preferito, che premorl al maestro e che da lui è ricordato nel testamento, - Policeno, un matematico che Epicuro converti alla fisica - anch'egli morto prima di lui, - ldomeneo, Leonteo di Lam,psaco e la m,oglie Tern.istia, Colore, esaltatore della vita epicurea, contro cui scrisse Plutarco, lo schiavo Mys. Dei moltissimi scritti di Epicuro, sembra circa un trecento, è rimasto poco. Leggiamc per intero tre lettere (a Erodoto, sulla fisica; a Pitocle, sui fenomeni celesti; a Meneceo sulla morale) e 40 Massime Capitali, conservateci da Diogene Laerzio. Nel 1888 K. Wotke sçopn una raccolta di 81 sentenze presso la Biblioteca Vaticana (Gnomologium Vaticanum 1950). Frammenti e scritti di epicurei, in particolare di Filodemo, insieme alle scritto di Epicuro Sulla natura in 37 libri - di cui non si Pc>ssono leggere che fram 111CDti, - sono stati ritrovati, in papiri, durante gli scavi di Ercolano. Delle molte lettere scritte da Epicuro ai suoi discepoli delle comunità epicuree di Lampsaco, di Mitilene, ci Aaia e di Egitto, leggiamo alcuni frammenti. Oltre la Fisica, di cui sembra che Epicun avesse steso due compendii, uno grande e uno piccolo, Epicuro scrisse il Canone, Sugl atomi e il 1/Uoto, Sulla santità, Sugli d~i, Le cose da ricercare e quelle da evitare. Fondamentale è la vita di Epicuro scritta da Diogene Laerzio, che riporta anche il bcltis limo testamento di lui.
178
www.scribd.com/Baruhk
cultura con la C maiuscola, di cui la Grecia era completamente infetta. Il vero significato dell' incitamento a Pitocle potrà essere subito com· preso se si porrà in relazione con la difesa della filosofia naturale contro la " Cultura " : Lo studio della natura non forma un tipo d'uomo bravo a vantarsi e a straparlare e a sciorinare quella cultura che è tanto ricercata dai piu: anzi forma uomini gravi e indipendentissimi, che fondano il loro orgoglio sulle qualità personali, e non sulle circostanze esterne (Gnomologium Vaticanum, 45).
" Vano è discorso di filosofo che non medichi qualche sofferenza umana: e come l'arte medica a nulla giova se non ci libera dalle malattie corporee, cosi neppure la filosofia, se non ci libera dai mali dell'anima" (Porfirio, ad Marcellam, 31, p. 394, 7 sgg. Nauck 2 ; Usener, p. 169, 14). " Questa è la sentenza piu caratteristica di Epicuro, in cui meglio riassume la tradizione ionica secondo cui amore dell'umanità e amore della scienza sono gemelli. Concetto base del pensiero di Epicuro fu che una vera conoscenza della natura delle cose fosse il miglior rimedio ai mali dell'umanità, tanto per l'individuo quanto per la società. Per chi non arriva a comprenderlo, questo concetto sembra una prova che Epicuro in fondo non si interessava della scienza e non era capace di dedicarsi ad essa. Cosi, c'è chi dice che Epicuro si occupava soprattutto di morale, e si interessava della scienza soltanto per quanto gli sembrava adatta a promuovere il suo programma etico. Ma cosi . dicendo si trascura di considerare che, nella concezione di Epicuro, se la scienza non è vera non può servire né a un fine etico né ad alcun altro fine ... " (Farrington, r>p. cit., p. 122 e p. 110). In effetto la soluzione delle umane paure - paura della morte, della divinità, dell'oltretomba,- che turbano una certa società, Epicureo la vedeva in una pacata e prudente (" anche piu pregevole della filosofia è la prudenza ": Lett. a Meneceo, 132) interpretazione razionalistica della realtà, che nulla concedesse ad apriorismi o a intuizionismi, o ad un razionalismo, diremmo, metafisico: probabilmente matematico-geometrico (ove gli enti numerici divengono le stesse strutture della realtà) si sarebbe detto allora (si confronti in questo senso, Teofrasto, Metafisica, 1-5, cit. sopra). Sotto questo aspetto, invece, il ragionamento di Epicuro è molto semplice: non a caso, anzi, egli, accanto a un grosso volume sulla natura, andato quasi del tutto perduto, in cui v'erano parti, per quel che risulta dai frammenti dei papiri di Ercolano, estremamente difficili,
www.scribd.com/Baruhk
179
tecniche e da iniziati, scrisse lettere agli amici e ai discepoli, di carattere divulgativo e sintetico, iri cui esponeva la propria dottrina in poche linee e basandosi su principii accettabili, appunto, per la loro non contraddittorietà : Per coloro che non possono, o Erodoto, dedicarsi allo studio delle opere da me scritte sulla natura, né esaminare almeno le maggiori fra quelle che ho composto, ho preparato un compendio di tutta la dottrina, perché possano ritenere sufficientemente nella memoria i principii fondamentali, affinché per ciascuna occasione, nelle questioni piu importanti, possano venire in aiuto a se stessi a seconda di quanto posseggano di scienza della natura. E anche coloro, che hanno sufficientemente progredito cosi da sapersi orientare nel complesso delle dottrine, devono ritenere nella memoria l'impronta delle proposizioni fondamentali nellè quali si compendia tutta la trattazione. Poiché dell'atto apprensivo dell'insieme abbiamo bisogno spesso, ma non è cosi per le singole parti. Certo anche al complesso delle dottrine bisogna rifarsi continuamente, ma ciò va fatto nella memoria, per la qual cosa, se gli stampi fondamentali saranno ben compresi e ricordati, si avrà l'atto apprensivo principale delle cose, e si potrà poi anche arrivare all'esatta conoscenza delle singole parti. Poiché anche per chi abbia raggiunto la perfezione, questo è il punto fondamentale di tutta la dottrina: la possibilità di servirsi velocemente degli atti apprensivi; e questo è impossibile se non si riduce il complesso delle dottrine a semplici formulazioni e a voci... Bisogna esser capaci di racchiudere in sé ciò che si è indagato particolarmente. Per cui, essendo questo metodo utile a tutti coloro che hanno dimestichezza con la scienza della natura, io che raccomando di applicare una continua attività in questa scienza e in ciò che in queste dottrine procura massimamente serenità nella vita, ho preparato per te anche questa .epitome -:on i sommi principii del complesso delle dottrine (Lett. ad E'rodato. · 37).
Condizione che rende possibile la pensabilità di qualsiasi cosa è la corporeità, che, d'altra parte, è impensabile se non come estensione, onde, accanto alla corporeità e sua stessa condizione, viene a porsi lo spazio in quanto estensione (non a caso il termine usato da Epicuro è x~p~: Lett. ad Erodoto, 40, 1). Di qui l'affermazione che "nulla nasce da un qualcosa che non sia" (7tpw-rov !Jh 11-rL oò8èv yEyvtTIXL è-..c -rou IL~ !lv-roe;: Lett. ad Er., 38, 8), appunto perché il qualcosa che non è, è impensabile. eotto questo aspetto, la corporeità in quanto estensione è divisib;Ie; solo che la stessa divisibilità richiede a sua volta, perché all'infinit. la corporeità non si annullì allo zero (divenendo impensabile), la indivisibilità. In altri termini, condizioni della corporeità sono;
180
www.scribd.com/Baruhk
al limite, gl'infiniti indivisibili (atomz). Poiché in questo ch'era stato lo stesso modo di indurre di Democrito, v'era implicito il pericolo di trasformare l'atomo visibile all'occhio della mente in punto geometrico o ente matematico, astratto, pericolo ch'era stato il motivo della critica che a Democrito aveva mosso Aristotele, Epicuro, tenendo presente quella critica e le aporie di Zenone di Elea, sottolinea la contraddizione di pensare l'atomo come ente matematico o punto geometrico. Sembra, anzi, a tal proposito di notevole importanza ch'egli chiami l'atomo "seme generatore" (mp(J.ot: Lett. ad Er., 38, 9), tanto piu quando si ricordi che tale termine, per indicare la condizione fisica d'onde tutto deriva, era stato usato da Anassagora. Non è un caso che l'unico che Epicuro,' critico risoluto non solo di Platone, ma anche di Democrito e dei democritei matematizzanti (come il suo maestro· Nausifane), nonostante abbia discusso negativamente le "omeòmerie" di Anassagora (si badi, per altro, che il termine '' omeomeria" derivava da una interpretazione che Aristotele dava dei semi di Anassagora); l'unico che Epicuro lodi sia, appunto, Anassagora (Diogene L., X, 12). Ora, tenuto presente che l'atomo epicureo è seme, esso viene ad essere effettivamente individuum minimum (ÈÀcXX,L
Epicuro rovescia cosi la spiegazione data da Aristotele della generazione e della corruzione, risolte finalisticamente. Epicuro spiega il perire come effetto di dissoluzione (8tùue:Lv) nei semi e la generazione come genesi dai semi stessi. Ora, posto che condizione degli esi-
www.scribd.com/Baruhk
181
stenti (npiXyfLotTot) sono i semi, cioè gli atomi (enti, non esistenti), perché siano possibili gli aggregati (gli esistenti), loro condizione è lo spazio continuo (:x,wpot ), o vuoto '{x&V6v ). In effetto reali non sono, presi a sé, né gli atomi né il vuoto, ma reale è solo l'esistente, la logica relazione dei due termini. Questo spiega perché Epicuro possa sostenere che l'indefinita :x,wpiX implica gl'infiniti atomi, e che gl'infiniti atomi implicano l'indefinita :x,wpot. Tutto è corpi e vuoto. Che i corpi siano di per sé lo testimonia la sensazione, in base alla quale bisogna, con la ragione, giudicare di ciò che non cade sotto i sensi ... ; se poi non fosse ciò a cui diamo il nome di vuoto (xe:v6v ),di spazio (:x,~pot ), di natura intattile (livti
L'alto e il basso dell'indefinito non si può predicare né come il punto Plll alto né come il punto piu basso (xotl fLlJV XIXL TOU ane:tpou ~<; fLkV liV(s)TtXT(s) ~ XIXT(s)TtXT(s) OÙ 3e:i: Xot"t'l)yopf:!v TÒ !v(s) ~ XclT(s)) (Lett. ad Er., 60). In sé, invece, ciascuna direzione, in quanto tale, ha un alto e un basso - ove il basso è la direzione costante in cui il peso specifico dirige l'atomo. Allora, relativamente alle infinite direzioni, tutte, prese in se stesse, tese verso il basso, ognuna è .,interrotta dalle altre direzioni, ché gli atomi, localmente, vanno senza una sola direzione. Di qui
182
www.scribd.com/Baruhk
l'urto reciproco degli atomi, donde i rimbalzi e gli aggregati e quindi i modi di relazione tra atomi e atomi, oppure tra aggregati e aggregati e le relative direzioni locali e la maggiore o minore velocità. Sembra cosi chiarirsi ii celebre testo della Lettera ad Erodoto (43, 8 sgg.), dove si afferma che alcuni atomi "rimbalzano via lontano gli uni dagli altri (xatl IX{ (.L!v ctç (.LIXXpCÌ.v tbc• à)J..-Ij).(J)v 8LLaTiX(.LEVIXL ), altri, invece, trattengono in sé la propria forza d'urto, allorché avviene che si avviluppino attorc~gliandosi, O siano avvolti da altri intrecci (1Xl 8! IXÒ• -rou -ròv 7tiXÀ(.LÒV (ax_uaiXL 1 MIXV TUX(J)GL
-rfl m:pLnÀoxjj xcxùL(.LéviXL
~ a~E
'YIX~6(.LEVIXL 7t1XpCÌ. -:&lv 7tÀI:X":Lx&lV ).
Gli atomi - ciascuno dei quali, in sé, procede a velocità pari a quella degli altri (in sé la velocità è assoluta, mentre la maggiore o minor velocità è sempre relativa ai rapporti d'urto, a seconda della diversità dei pesi) c: procede, in sé, costantemente dall'alto in basso si deviano reciprocamente dalla loro direzione nell'atto dell'urto, che avviene in quanto le direzioni reciprocamente s'intersecano. E allora, mentre ciascun atomo in assoluto nell'infinito spazio si muove secondo una direzione rettilinea, gli atomi essendo indefiniti c: perciò indefinite le loro direzioni, indefinitamente s'incontrano Ùrtandosi, e sono quindi devianti gli uni rispetto agli altri dalla origina· ria direzione. Non solo, ma se da un lato abbiamo il rimbalzo, dall'altro lato, allorché gli atomi si agganciano e per lo stesso urto ruotano su se stessi_ ~n una discesa a vite ( 7tEpL7tÀoxfl) 1 essi determinano a loro volta una serie di nuove deviazioni e di altri possibili agganci. Si capisce di qui come sia nata l'interpretazione che gli atomi possano incontrarsi tra loro per una spontanea deviazione (clinamen). Nel De rerum natura di Lucrezio (II, 218 sgg.), com'è noto, nelle testimonianze di Cicerone (De 'finibus, l, 6, 18), in un frammento dell'iscrizione di Enoanda (fr. 33), si dice che secondo Epicuro gli atomi cadono perpendicolarmente nel vuoto a velocità uguali, onde perché s'incontrino necessita che alcuni atomi spontaneamente deviino dalla perpendicolare. Non può - scrive Luerezio - lo spazio vuoto impedire a nessuna cosa, in nessun momento, per nessun verso, che seguiti a cadere giu come chiede la sua natura, e_ per questo debbono gli atomi tutti nel vuoto immobile, se anche son disuguali di peso, muoversi con la medesima velocità. Non potranno dunque cader mai dall'alto sui piu leggeri i piu gravi, c: con il peso produrre gli urti che déstino i varii moti per cui la natura effettua il suo compito. È quindi indispensabile ch'essi deviino un po', ma pochissimo, perché non sembri che noi immaginiamo dei moti obliqui e che
www.scribd.com/Baruhk
183
l'esperienza li neghi: poiché fin dove l'occhio riesca a distinguere, a noi risulta evidente questo, che i pesi non possono, precipitando dall'alto, per proprio conto cadere in senso obliquo: ma chi v'è che potrebbe distinguere ad occhio nudo se proprio non abbandonino per nulla la traiettoria diretta? (Il, 237-252) .... Se gli atomi non deviassero come usano, tutti cadrebbero, come le gocce di pioggia in giu, nel vuoto infinito, a perpendicolo... (II, 222-224). È probabilmente, questa, un'interpretazione che risale ai primi discepoli di Epicuro, traduzione in immagine metaforico-divulgativa di ciò che in Epicuro era una condizione logica. In tal senso, anzi, sembra suonare il frammento 33 di Diogene di Enoanda: " Ebbene non sai, chiunq1,1e tu sia, che negli atomi c'è anche un movimento libero... che Epicuro mise in luce, e cioè un moto obliquo come egli dimostra attraverso i fenomeni? " Il motivo del clinamen pur non trovandosi testualmente in Epicuro - almeno per ciò che possediamo - è sottinteso come immagine ·fisica di una condizione logica, per cui, appunto, non è da escludersi come interpretazione della tesi di Epicuro, che sottolinea la non necessità dell'incontro degli atomi (si sarebbe dovuto altrimenti ricorrere a un'impensabile Mente extranaturale), ch'era poi l'aspetto piu profondo dell'impostazione epicurea della non teleologicità del mondo, condizione per intendere il libero formarsi dei mondi, quali che essi siano, anche del mondo umano, esso stesso risultato di un gratuito e non necessario incontro d'atomi.
Se i moti tutti - sottolinea Lucrezio - fossero concatenati, se il nuovo sempre con ordine fisso sorgesse dal vecchio, e non si desse dagli atomi, col deviare, principio a nessun moto c.he rompa le leggi imposte dal fato, sf che non segua una causa, all'infinito, dall'altra, donde, io domando, qui in terra. donde verrebbe mai ai viventi questo libero potere, sciolto dal fato, per cui andiamo ognuno là dove ci conduce la nostra propria volontà?... (Il, 253 sgg.). E in Diogene di Enoanda leggiamo: c'è negli atomi un movimento libero... E la prova maggiore: una volta che si sia prestata fede alla legge del fato, cadono ogni punizione e ogni biasimo e neppure i malvagi è lecito punire secondo giustizia, se gli uomini non giungono ai misfatti per un loro libero potere, ma vi sono trascinati dal fato (fr. 33, col. III; cfr. anche Cicerone, De fato, IO, 17, 40).
184
www.scribd.com/Baruhk
Certo, l'insistenza di Lucrezio (anche di Cicerone) e poi di Diogene di Enoanda sul termine " fato " (fatum el!L«P~ ), fa sospettare una interpretazione del testo epicureo dovuta alla polemica nei confronti del " fato" stoico, che, tuttavia, ripetiamo, era posizione già implicita nell'antiteleologismo di Epicuro. Ad ogni modo, poste le condizioni della realtà e posta, come dato, l'equivelocità degli atomi nell'infinita ch6ra, si capisce come, una volta avvenuti gli urti, costituitesi le relazioni, a seconda della gravità (~cfpo~) gli atomi stessi assumano maggiore o minore velocità. In effetto, l'equivelocità degli atomi nello spazio infinito è l'unica immagine che esprime l'assoluta velocità degli atomi in assoluto, cioè né la loro lentezza né la loro velocità. Gli atomi, dunque, individui primi (.remz), il vuoto, il movimento, il loro stesso aggregarsi o disgregarsi, sono condizioni della realtà, cui si giunge analogicamente, ma non sono esistenti di per sé, ché, di fatto, esiste solo la realtà quale la sentiamo (rtp«r!L«Ta:), i fenomeni, risultanza dell'aggregarsi degli atomi, attraverso cui giungiamo, appunto, a porre quegli atomi, quello spazio, quel moto, non visibili all'occhio fisico. Ciò ancora sembra spiegare perché Epicuro sottolinei che gli atomi non hanno una qualsivoglia grandezza, ché, altrimenti, emergendo alla soglia della sensibilità, non sarebbero piu le condizioni logico-fisiche che ci permettono di spiegare la realtà sensibile stessa. D'altra parte, se gli atomi avessero una qualsivoglia grandezza, sarebbe valida ll!. critica aristotelica dell'atomo democriteo, che appunto ha una qualsivoglia grandezza, perché avremmo l'identificazione dell'infinitamente grande con l'infinitamente piccolo, e quindi l'annullamento dell'atomo, perché divisibile all'infinito, o ridotto a punto matematico.
=
Non si deve credere che gli atomi possano avere qualsiasi grandezza, perché non vi si opponga la testimonianza dei fenomeni. Qualche differenza di grandezza si deve però credere che abbiano, poiché se avranno anche questa proprietà, si potrà dar meglio ragione di ciò che riguarda le nostre sensazioni ed affezioni. Che invece possano avere qualsiasi grandezza, non solo non è necessario per spiegare le differenti qualità dei complessi, ma per di piu gli atomi, in tal caso, dovrebbero divenir visibili, ciò che non si vede accadere, né si può comprendere in qual modo potrebbe aversi un atomo visibile. Oltre a ciò non si deve credere che in un corpo limitato vi sia un numero illimitato di parti, e neppure parti di qualsivoglia grandezza. Perciò non solo si deve escludere la divisione all'infinito in certe parti sempre minori, per non .togliere ad ogni cosa la forza di resistenza e perché nella concezione dei complessi corporei non si debba
www.scribd.com/Baruhk
185
esser costretti a ridurre all'infinito le cose esistenti, riducendone progressivamente la grandezza; ma anche nel passaggio da parte a parte, non si deve pensare si possa, quando si tratti di grandezze limitate, seguitare all'infinito, neppure procedendo a parti sempre minori (Lett. ad Er., 55, Il-56). Proprietà degli atomi è, dunque, di avere un peso, una certa grandezza ed una certa forma, il che basta a permettere di pensare le molte forme dei fenomeni, i molti diversi pesi delle cose, le molte qualità, il tutto dovuto alle diverse, infinite possibilità di aggregazioni, per cui, mentre in sé gli atomi restano sempre quelli che sono, immutabili (con il loro peso, la loro grandezza, la loro forma: " il tutto sempre fu come è ora e sempre sarà, poiché nulla èsiste in cui possa tramutarsi, né oltre il tutto vi è nulla che penetrandovi possa produrre mutazione ": Lett. ad Er., 39, l sgg.), ciò che muta è il fenomeno, la sua condizione, per cui sparita quella condizione (quell'intessimento) sparisce anche quel fenomeno, che, pur avendo a suo fondamento quei certi atomi, è realtà nuova rispetto ai suoi componenti in sé. Non credere che agli atomi indistruttibili possa esser proprio ciò che ondeggiare vediamo alla superficie dei corpi, quel loro nascere a volte e scomparire improvviso. E proprio in questi miei versi importa come ogni lettera è combinata con l'altra, ed in quale ordine: uguali lettere infatti designano il cielo, il mare, la terra, i fiumi, il sole, e designano le biade, gli alberi, gli esseri viventi. E sono, se non tutte, simili in massima parte, ma dànno un senso diverso secondo la posizione. Cosi per i corpi: mutandosi gli spazi, i nessi, i meati, i pesi, gli urti, gli accozzi, i movimenti, le forme, l'ordine, la posiziçme della materia, anche i corpi debbono mutarsi per forza (Lucrezio, De rer. nat., II, 1015-1026). Infiniti gli atomi nell'indefinito spazio, infiniti i possibili mondi, .. sia quelli uguali al nostro, sia quelli diversi" (Lett. ad Er., 45, 3; cfr. anche Lettera a Pitocle, 89 sgg.). E un mondo può sparire, un altro ne può sorgere. Costituito dall'urto, dall'accozzo, dal moto degli atomi, ogni mondo è quello che è, indipendentemente da ogni causa prima e da ogni fine ultimo. Anche il nostro mondo, accanto agli altri mondi - " il cosmo è un perimetro di cielo che comprende astri e terra e tutti i fenomeni, separato dall'infinito, e il suo estremo, in cui termina, può essere di costituzione rada o fitta (e quando si dissolverà tutto ciò ch'esso contiene avrà fine), in moto o fermo, di forma rotonda o triangolare o di qualsiasi altro genere" (Lett. a Pitocle, 88, 4-10). Anche il nostro mondo accanto ad altri mondi:
186
www.scribd.com/Baruhk
I movimenti dei corpi celesti, i loro giri ed eclissi, il loro sorgere e tramontare e i fenomeni a tutto ciò congiunti, non si devono pensare come dovuti a qualche essere che li controlla e li ordina, o li ha adunati e che nello stesso tempo gode di una perfetta felicità unita all'immortalità. Infatti afflizione e preoccupazione, ira e favori non sono conformi a una vit1 felice, ma si hanno là dove c'è debolezza e timore e dipendenza dai vicini. Né dobbiamo per altro credere che i corpi celesti, i quali non sono altro che fuoco tenuto insieme in una massa, siano felici di imporsi volontariamente questi movimenti ... Questa stessa legge di regolare successione è do-· vuta all'originaria inclusione della materia in tali agglomerati, avvenuta durante il processo di formazione del mondo (Lett. ad Erodoto, 76-77; cfr. anche Lucrezio De rer. nat., V, 419-431). T aie il mondo, che ha un suo processo ed una sua realtà, che una volta scaturito dall'incontro fortuito di certi atomi, si costituisce in un certo modo, in un complesso meccanico, anch'esso ricostruibile attraverso l'indagine dei fenomeni, indipendentemente dal far ricorso a menti supreme o a superiori, impensabili, forze. E ciò vale anche per i fenomeni celesti, pur essendo essi piu complessi, per la loro lontananza da una diretta esperienza. I segni dei fenomeni celesti - sottolinea Epicuro nella Lettera a Pìtocle, che è un breve trattatello divulgativo sui fenomeni celesti - ce li forniscono i fenomeni che accadono presso di noi, e che si vede dove e ç:ome avvengono, e non i fenomeni celesti stessi, che possono avvenire in molte maniere. All'immagine che di ciascuno percepiamo bisogna porre ben attenzione, e va determinata in base a ciò che ad essa è congiunto e riguardo a cui i fenomeni che accadono presso di noi non si oppongono a che avvenga in molti modi (87, 9-88) ... Non bisogna indagare la scienza della natura secondo vacui assiomi e legiferazioni, ma come richiedono i fenomeni; ché la nostn vita non ha bisogno d'irragionevolezza e di vuote opinioni, ma di trascorrere tranquilla. E si ottiene la massima serenità riguardo a tutti i problemi che vengono risolti secondo il metodo delle molteplici spiegazioni in accordo con i fenomeni, quando si ammetta in proposito, com'è conveniente, il verosimile. Ma quando qualcosa si ammette, qualcos'altro invece si rifiuta, pur essendo in accordo coi fenomeni, è chiaro che allora si abbandona qualsiasi genere di scienza della natura per cadere nella mitologia (Lett. a Pit., 86, 8-87, 8). Sembra cosi di non poco conto, a parte le singole conclusioni di Epicuro, il pr
www.scribd.com/Baruhk
187
quali si giunga per induzione a porre delle ipotesi verosimili, c10e non contraddittorie. Questo, in una continua chiarificazione razionale dei fenomeni celesti, lo svolgimento della Lettera a Pitocle (cosmi, metacosmi, sole, luna, eclissi, diversità di lunghezza dei giorni e delle notti, pronostici del tempo, nubi e piogge, tuoni e lampi, fulmini, turbini, terremoti, venti, grandine, neve, rugiada, brina, ghiaccio, iride, aloni lunari, comete, moto degli astri, stelle cadenti), dove chiaramente nsulta la polemica nei confronti dell'astrologia religioso-politica: e non si chiami in causa la natura divina per queste cose, ma la si conservi esente da qualsiasi ministerio, e in piena beatitudine. Se non si farà cosf, ogni indagine sulle cause dei fenomeni celesti sarà vana, come è accaduto a certuni che ignorando il metodo delle possibili spiegazioni caddero in vuote argomentazioni, perché credevano al metodo dell'unica spiegazione, e quindi rifiutavano tutti gli altri basati sul criterio della possibilità, e resero incomprensibili anche i fenomeni, che ci devono fornire gli indizi, non conoscendo il modo in cui devono essere considerati (Lett. a Pit., 97, 4-12). Incontro di atomi lo strutturarsi di tutte le cose; disposizione di atomi - oseremmo dire in combinazioni chimiche - l'apparire delle qualità; ogni mondo, costituitosi, può sparire formandosene un altro; ognuno, costituitosi, si determina secondo le proprie leggi meccaniche, almeno finché esse risultano dall'indagine dei fenomeni. Tale anche la natura degli uomini. Anche l'uomo esiste in quanto combinazione di semi generatori, in quanto, costituitosi, complesso e intessimento di quella che chiamiamo anima - soffio vitale - e di quello éhe chiamiamo corpo: atomi l'una - atomi leggeri, veloci, ventosi, - atomi gli altri, in una certa posizione che dà luogo a quest'essere vivente che è l'uomo, concreta esistenza, concreto tutt'uno. L'anima, forza vitale, è ammessa in quanto, appunto, esperienza di vita, in quanto ci sentiamo vivere, ci sentiamo corpi viventi in tutto il loro complesso, onde l'unica condizione che permette di pensare l'anima è non ch'essa sia incorporea o per sé stante, ché si ridurrebbe al vuoto, al nulla, ma che sia forza fisica, che costituisce l'unità organica del corpo, che per la sua stessa composizione può modificarsi per esterne pressioni (sensazione). Riferendoci ai sensi esterni ed interni, poiché cosf si avrà la piu saldl persuasione, occorre considerare che l'anima è una sostanza corporea composta di sottili particelle, diffusa per tutto l'organismo, assai simile all'ele-
188
www.scribd.com/Baruhk
mento ventoso con una qualche mescolanza di calore, in qualche modo somigliante all'uno, in qualche modo all'altro. C'è poi una parte che per sottigliezza nettamente si differenzia anche da questi ed è perciò piu adatta a subire modificazioni insieme al rimanente dell'organismo. Tutto ciò è provato dalle facoltà dell'anima e dalle affezioni, dai moti e dai pensieri, e da tutto ciò di cui privati moriamo... E invero se tutto il corpo si distrugge l'anima si disperde, e non ha piu quei poteri e quei moti e quindi perde anche la facoltà di sentire. Non si può infatti concepire come senziente (l'anima) se non in questo complesso (di anima e di corpo), né che possa piu avere quei moti, quando il corpo che la contiene e la circonda non sia piu tale com'è ora, stando nel quale tali moti possiede. Non solo, ma bisogna anche ritenere che noi diciamo incorporeo, secondo l'accezione piu generale della parola, ciò a proposito di cui, di per se stesso, si può pensare cosf. Ma incorporeo di per sé non si può concepire che il vuoto, e il vuoto non può né agire né patire alcunché, ma solo permettere ai corpi il moto attraverso se stesso; sf che coloro i quali dicono che l'anima è incorporea si comportano da stolti, poiché se fosse tale non potrebbe né agire né patire, mentre noi vediamo chiaramente che ambedue queste contingenze sono proprie dell'anima (Lett. ad Erodoto, 63-67).
Spezzatasi l'unità del complesso, non abbiamo pm sensazioni, mo· dificazioni, ricordi di modificazioni, non abbiamo piu l'uomo, la cui esistenza, la cui unica realtà è questo suo esser complesso. Di là dal nostro nascere, di là dal nostro morire è, umanamente, il nulla. L'uomo è uomo entro l'arco della sua vita, entro lo stesso mondo umano; andar parlando di una vita prenatale, o di una vita oltre la morte del corpo, in cui avremo o premii o pene da parte di divinità che abbiano loro volontà o intelligenze, e per le quali saremmo stati fatti, è andar favoleggiando, o inventare supremi ordini e fini per spaventare le masse ignoranti. Coerentemente a questa dottrina dell'anima, che a sua volta con esattezza s'inquadra entro i termini di tutta la concezione e della dimostrazione di Epicuro, egli discute la meccanica della sensazione e della conoscenza, rinnovando la celebre tesi democritea degli effluvi e degli éidola. Anche a questo si giunge per via sperimentale e analogica. Dato che ogni sensazione è una impressione e una modificazione. che nell'animale uomo si configura in un ricordo e in un rapporto di ricordi, condizione che permette di rendersi conto dell'impressione e della modificazione, che evidentemente non possono essere dovute al vuoto, è che tali impressioni e modificazioni siano dovute ad atomi che impressionano e modificano gli atomi occhio (vista), gli atomi orecchio (udito), gli atomi naso (olfatto) (cfr. Lett. ad Er., 490:53) e via di
www.scribd.com/Baruhk
189
seguito per il gusto e per il tatto (cfr. Lucrezio, IV, 615 sgg.: Il, 398 sgg.; Il, 434 sgg.; IV, 230 sgg.), a loro volta modificanti gli atomi anima, costituendo cosi il fondamento della conoscenza. Epicuro è molto preciso: da questo o quell'oggetto promanano degli efflussi, delle correnti di atomi, "calchi {-ru7toL} che hanno lo stesso schema degli oggetti solidi, ma che per sottigliezza superano di gran lunga le cose quali appaiono " (Lett. ad Erodoto, 46): ·invisibili, in udibili, inodori cioè, per la loro sottigliezza, come meglio è spiegato in un frammento del II libro Della Natura: "la sottigliezza di gran lunga maggiore di quella che può cadere sotto il dominio dei nostri sensi, sta a dimostrare la insuperabile velocità del movimento dei simulacri " (Papiro 993, col. 16, IV); " e simulacri, éidola, noi chiamiamo questi calchi " (Lett. ad Erod., 46, 7), che per la loro stessa sottigliezza e leggerezza sono ve-' locissimi, e, quim!i, immediati, se nessun ostacolo si frappone (cfr. Papiro 993, coll. 16 V, 17 V, 18 1-11, V, Lettera ad Erodoto, 47-48). Tali calchi sono costituiti da correnti di atomi provenienti dagli oggetti, " adatte a riprodurre - e in tal senso i calchi sono detti, appunto, éidola, simulacri, immagini - le parti cave e quelle piane, emanazioni tali da conservare la disposizione e l'ordine che avevano anche nei corpi solidi " (Lett. ad Erod., 46); essi continuamente colpiscono gli organi sensoriali determinandovi le impressioni degli oggetti d'onde emanano, raffigurandosi in visioni, audizioni, odori, ecc., senza d'altra parte che gli stessi oggetti ne restino via via diminuiti, ché continuo è il rimpiazzamento della materia (" dalla superficie dei corpi si parte urt continuo flusso di simulacri, che non è visibile con la diminuzione dd corpo stesso a causa del continuo rimpiazzamento della materia ": Lett. ad Erod., 48, 2). Bisogna ritenere anche che per mezzo di afflussi esterni non solo vediamo le forme delle cose, ma anche pensiamo. Infatti non potrebbero le cose esterne imprimere la loro particolare forma e colore mediante l'aria intercedente fra esse e noi, e neppure per mezzo dei raggi o di efflussi di qualsiasi natura - che si dipartano da noi verso di esse - cosf facilmente come per afflusso, delle cose esterne a noi, di certi simulacri, uguali ad esse in colore e forma, i quali simulacri, secondo la rispettiva grandezza, f>.:aetrano negli occhi o nella mente, ed hanno celere moto perciò [poiché provengono uno dopo l'altro a massima velocità la loro successione appare non intermittente, ma continua] e perciò producono l'impressione di un tutto unico e continuo; e per di piu essi conservano dell'oggetto percepito la costante continuità delle sue proprietà sensibili, per la loro immediata e simmetrica continuità da quell'oggetto a noi, prodotta dall'interna vibra-
190
www.scribd.com/Baruhk
zione degli atomi del corpo solido donde le immagini si dipartono (Lett.
ad Er., 49-50).
Secondo la testimonianza di Diogene Laerzio, gli epicurei avrebbero sostenuto che ai" fisici basta seguire le voci (q>&llyyouc;) delle çose" (X, 31, 2): esatto. Una frase del genere sottintende, anzi, tutta una polemica nei confronti di cJtruzioni teleologico-teologiche ed unilaterali, la polemica contro una c tura retorico-dialettica, patrimonio di pochi che si esaurisce in chiacc iere. professorali che piu non tengon conto dei fenomeni. Di qui non solo deriva da parte di Epicuro l'accantonamento della dialettica (cfr. Diogene L., X, 311) e della retorica, qualora non le si usino per ciò che servono, cioè nei tribunali e nelle assemblee politiche (cfr. i frammenti della Retcmca, 53, 46, 50, 51, 55 Usener), ma anche il suo atteggiamento di rottura nei confronti di qualsiasi autore, ché il filosofare, in quanto rendersi conto, non ha bisogno di araldiche ascendenze, non è di pochi, ma di chiunque abbia una testa per ragionare - e a questo è inteso il maestro, a liberare gli altri perché sian capaci di ragionare con la propria testa - per cui Epicuro poteva dire d'essere stato " scolaro di se stesso (cfr. Lettera a Euriloço, 123 Usoner), sia pur accettando il metodo e molte delle tesi del piu maturo Aristotele, sia pur riprendendo la tradizione atomistica ed il significato piu intimo della concezione di Anassagora. Non si tratta -di riprendere da una o da altra autorità, ma di assentire in quanto l'una o l'altra tesi concordano con il retto uso della ragione e con la voce delle cose, a tutti comune (cfr. Della Natura, XIV, Pap. erç., 1148, col. 15 II-III; anche XXVIII, Pap. ere., 1479/1417, 3, 1). Accantonato, nella ricerca di quelle che sono le condizioni che rendono pensabile la realtà, il metodo dialettico, ché esso serve solo sul piano retorico e in concreto nei tribunali e nelle questioni di politica, ma accantonato anche il sillogismo (" riguardo alle singole cose, non diremmo che il sillogismo è tale che in base ad esso si possa ammettere di conoscere alcunché": Della Natura, XXVIII, Pap, ere:; 1479/1417, 5, 1), ché esso preclude la conoscenza del particolare (cfr. Della Natura, cit., e id., 5 IX), l'unico criterio consiste nell'ascoltare, liberi da pregiudiziali dottrine, la voce delle cose, con metodo sperimentale-analogico. L'anima, dunque, tutt'uno col corpo, impensabile in sé se non come esperienza di vita, è sensazione, affezione, modificazione, ricordo, presenza delle cose, in quanto sentite. Ogni cosa è, in quanto è sensazione, modificazione di uno stato d'animo, e perciò che è sensazione, ogni sensazione è sempre vera. Si capisce cosi perché Epicuro, secondo la testimonianza di Diogene Laerzio, abbia potuto dire che ogni sen-
www.scribd.com/Baruhk
191
sazione, per il fatto di essere sensazione, è irrelativa, cioè, per usare il termine riportato da Diogene Laerzio, alogica (7tiicrcx cx!a&7JcrLç &Àoyoç io-n: &ì..oyoç da «-).éyo, distaccata), non discorsiva e, sempre in quanto sensazione, non partecipante della memoria (xcxt (LV~(L'Y)ç où8e:(l.Liiç 8e:x-rLx~) (Diog. L., X, 31, 7-8). né - avrebbe aggiunto Epicuro -vi è alcunché che possa confutarla. Non può una sensazione omogenea confutarne un'altra; né una eterogenea una altra eterogenea, perché non giudicano le stesse cose, né il ragionamento può confutare le sensazioni, perché ogni ragionamento è condizionato dalle sensazioni; né, infine, l'una può confutare l'altra, perché le dobbiamo accogliere tutte (Diogene L., X, 32). · Ogni sensazione è, dunque, sempre vera. D'altra parte non vi sarebbe sensazione se non sentissimo di sentire. Ogni sentir di sentire viene a essere un rapporto di sensazioni, la cui condizione è il ricordo, in quanto, ad esempio, io posso dire: sento un uomo, da un lato perché mi sento modificato rispetto a quando sento qualche altra cosa, dall'altro lato perché quando dico uomo, mi ricordo un oggetto altre volte sentito, simile a quello cui abbiamo dato nome uomo: " nel momento stesso che si dice uomo, ... si pensa ai suoi caratteri secondo i dati precedenti delle sensazioni " (Diog. L., X, 33, 3-4). Il ricordo - anche esso un fatto di esperienza, - quindi, è il fondamento del pensare, in quanto rapporto e connessione di sensazioni: Tutte le nozioni (mtvoLCXL) provengono dalle sensazioni per impres· sione (ne:p(1t't'C.)OW ), analogia («vCXÀoy(«v }, simiglianza (O(LOL6't"rj't'« }, associa· zione (cr6v&e:aLV }, concorrendovi anche l'attività discorsiva (cru(L~CXÀÀO!LÉVOU 't'L X«~ 't'OU ì..oyLG(LOU) (Diog. L., X, 32, 8-10). Le nozioni, i concetti, corrispondenti alle impressioni sensoriali, di cose o di affetti - come abbiamo, ad esempio, l'impressione cane o uomo, cosi abbiamo l'impressione dolore o piacere, a seconda che la impressione stessa colpisca l'anima in modo perturbante o armonico le nozioni si configurano in immagini che assumono una loro realtà, in quanto divengono nomi, che ricordano le impressioni ricevute, ricordi che permettono di anticipare, di preafferrare (7tpoì..cx(L~OCV<ù) le possibili impressioni da ricevere. L'anticipazione (pro/essi = 7tp6ì..-r,tj1Lç)è come un apprendimento, o retta opinione, o nozione, o concetto universale (xcx&oì..Lx~v ), insita in noi, vale
192
www.scribd.com/Baruhk
a dire la memoria (!J.V~!J.l)) di ciò che spesso si è presentato alla nostra mente dall'esterno (~~(l)&e:v ), come per esempio: quella cosa fatta in una determinata maniera è un uomo. Infatti, nel momento stesso in cui si dice uomo, grazie alla prolessi si pensa ai suoi caratteri secondo i dati prece• denti delle sensazioni. Per ogni nome ciò che immediatamente da esso è significato ha i caratteri dell'evidenza. E non potremmo mai ricercare alcun· ché se prima non ne avessimo avuto esperienza; come, per esempio, quando ci domandiamo: "quello laggiu è un cavallo o un bue? " bisogna che sia conosciuta già da prima la forma del cavallo e del bue, per mezzo della prolessi. Né potremmo mai nominare alcuna cosa, se prima non ne conoscessimo per mezzo della prolessi i suoi caratteri. Le prolessi dunque sono evidenti (Diog. L., X, 33). Le sensazioni, gli affetti e le pro/essi vengono a costituire i regoli misuratori (cànuni, donde, sembra, un libro di Epicuro, andato perso, intitolato canonica: cfr. Diog. L., X, 30) di ciò che affermiamo vero. V ere le sensazioni, veri gli affetti, vere le prolessi, dalle sensazioni, dagli affetti, dalle prolessi scaturiscono le opinioni, che possono essere false o vere, in quanto, prese in sé, non sono che presunzioni (ipolèsn) che attendono conferma o no (se confermate sono vere, se no false) da nuove e ripetute evidenziali impressioni e sensazioni. Chiamano l'opinare anche presunzione (ù<>6Àl)\jJLc;), e dicono che può esser vera o falsa: se riceve conferma oppure non riceve attestazione con· traria, è vera: se invece' non riceve conferma o riceve attestazione contraria, è falsa. Di qui fu introdotta l'espressione "ciò che attende"; come per esempio l'attendere e avvicinarsi alla torre e apprendere come è da vicino (Diog. L., X, 34 ). L'inganno e l'errore, dunque, non stanno né nei sensi né nei ricordi (intesi come atomi psichici, rappresentazione degli esistenti), ma in quell'attività (anch'essa presente in quanto fatto d'esperienza) che collega i ricordi, " in quel che nel giudizio aggiungiamo a ciò che attende di essere confermato o di non avere attestazione contraria ... per un moto che sorge in noi congiunto ·all'atto apprensivo, ma da esso distinto" (Lettera ad Erod., 50, 8-51). Il sapere si fonda sul retto uso dei criteri (sensazioni, prolessi, affetti: Dio g. L., X, 31, 3-4), mediante i quali risulta vero ciò che non è in contraddizione con l'esperienza, onde per induzione e analogicamente si giungono a porre le condizioni (invisibili all'occhio fisico: " anche riguardo alle cose che non cadono sotto i sensi bisogna proce-
www.scribd.com/Baruhk
193
der e nell'induzione significando/e mediante i fenomeni "; Diog. L., 32, 7-8), che permettono di pensare la realtà (atomi, vuoto, moto, peso), principii costitutivi dell'esistenza e ad un tempo principii logici. Fisica e logica vengono cosi a saldarsi esattamente (" gli epicurei usano unire la canonica e la fisica: chiamano la prima scienza del criterio e del primo principio e degli elementi; la fisica scienza della generazione, della distruzione, della natura ": Diog. L., X, 30, 5-9). I principii della fisica sono gli stessi della logica, in quanto condizioni che permettono un retto discorso. T orniamo cosi all'inizio della Let.tera ad Erodoto (" innanzi tutto bisogna aver ben chiaro il significato delle parole... " : cfr. sopra il testo), ove Epicuro, per determinare i principii della fisica (" nulla si genera da ciò che sia formalmente indefinito," atomi-semi, vuoto-spazio, moto, peso, luoghi) si appella a un retto uso delle parole, cioè alla determinazione del preciso significato delle parole, ognuna delle quali significa appunto la rappresentazione della cosa, reale nella rappresentazione, dunque, nel nome significante, ché la stessa rappresentazione non sarebbe, se non divenisse nome. Ogni sensazione, quindi, ogni impressione, nella sua puntualità, si manifesta in una voce, in un suono. E come ogni sensazione in sé è alogica, cosi il suo suono, la sua voce è apofantica, è " interiezione," com'è sta:to detto (M. Miiller, Lectures on the Science of Language, 1861, trad. it., p. 363). Sotto questo aspetto si capisce che Epicuro dica che la prima espressione linguistica è fisica, non è convenzionale, non è dovuta ad un accordo, ma è la spontanea, naturale espressione dell'impressione. Questa o quella lingua sarà convenzionale (come voleva Democrito), la origine del linguaggio è, invece, per natura ( qlUae:L ), in parte nel senso espresso da Antistene (" il linguaggio manifesta ciò che era o è ": Diog. L., VI, l, 3). I nomi - sottolinea Epicuro - non furono in principio stabiliti per un accordo (&éaeL ), ma le diverse nature degli uomini, dovendo subire affezioni particolari a seconda dei singoli popoli e cogliendo particolari rappresentazioni, facevano uscire in maniera particolare l'aria dietro l'impulso di ciascuna di quelle affezioni, a seconda anche delle eventuali differenze tra pop<>lo e popolo, dipendenti dai luoghi da essi abitati (Lett. ad Er., 75, 6 sgg.). In queste poche righe è sottesa la lunga discussione sul linguaggio, come problema dell'uso dei segni che permettano la comunicazione e la rivelazione della verità, quale si era dibattuta da Democrito e da alcuni Sofisti a Platone, ad Antistene, ad Euclide, ad Aristotele, ad
194
www.scribd.com/Baruhk
Eubulide. Entrando subito nel vivo della questione, se il linguaggio sia per convenzione o per natura, Epicuro sembra evitare l'una e l'altra soluzione in senso unilaterale. Ogni espressione, la cui realtà è d'esser voce) significa una impressione. Vera la sensazione, vera n'è la voce. Un grido significa dolore, ed è per natura. E cosi via. Non a caso, appunto, Epicuro dice: " cogliendo particolari rappresentazioni gli uomini facevano uscire in maniera particolare l'aria dietro l'impulso di ciascuna di quelle affezioni e rappresentazioni." D'altra parte, come ogni realtà è costituita da un aggregato di atomi, ogni rappresentazione è ricordo di un aggregato di rappresentazioni e catena di ricordi, cosi un aggregato di suoni, atomi linguistici, specchio di atomi sensoriali, costituisce una realtà linguistica, cioè un nome significante un'esistenza. E come un'esistenza, un fenomeno, l'uno o l'altro mondo (anche quello degli uomini) tra gl'infiniti, scaturiscono per natura, assumendo tuttavia una loro nuova natura, una loro qualità fenomenica, oltre le qualità proprie degli atomi componenti (grandezza-forma-peso), cosi il linguaggio scaturendo per natura, dà tuttavia luogo a nomi e a complessi di nomi, significanti una realtà storica, divenendo col tempo storicamente convenzionale, naturalmente convenzionale, dando luogo alle_ diverse lingue a seconda dei popoli, della loro cultura, delle loro diverse affezioni. Di comune accordo, infine, a seconda di ciascun popolo furono stabi· lite particolari espressioni per potersi capire reciprocamente con la maggior chiarezza e piu concisamente. E chi essendone esperto introduceva cose non note dava loro determinati nomi, alcuni in quanto dettati dalla necessità naturale, altri scelti dietro ragionamento seguendo la ragione piu forte che consigliava di esprimersi in tal modo (Lett. ad Er., 76, l, 7). Non sembra, dunque, tanto che sì debba discutere sulla astratta questione se il linguaggio sia per natura o per convenzione, quanto sottolineare che anche il linguaggio esattamente rientra nei termini della concezione epicurea, per cui posti i. criteri e i canoni e quindi le condizioni naturali che permettono di pensare la realtà, anche la realtà, gl'infiniti mondi possibili sono determinazioni storiche, che potevano essere diverse, e di cui le parole, che potevano essere diverse, sono rappresentazione, anche se le voci componenti rimangono, idealmente, le stesse. Torniamo cosi all'aspetto metodologico proprio di Epicuro: non dalla teoria dell'atomo si passa alla spiegazione della realtà, ma viceversa, dai fatti di esperienza, dalle sensazioni si passa alla teoria atomistica, perché non contraddittoria coi dati, vagliati e confermati. Cosi, chi dal di fuori dell'atteggiamento e del metodo di Epicuro,
www.scribd.com/Baruhk
195
si è posto a discutere, ad esempio, la questione dell'incontro casuale e gratuito degli atomi (anche nell'interpretazione del clinamen ), alla fine si è trovato costretto o a tacciare di puerilità il ritrovato della " deviazione " o a parlare d'irrazionalismo epicureo. Ma ciò è possibile qualora ci si ponga al di fuori del metodo e dell'esigenza di Epicuro. In effetto ciò che interessava Epicuro era, sul piano dell'esperienza umana, di ricondurre i fenomeni al!a loro naturalezza, d'interpretare la realtà per quello ch'essa è, ragionevolmente. Un'eclisse, insomma, vuoi dire Epicuro, è un'eclisse, e un fulmine è un fulmine. Un fenomeno può essere effettivamente piu pauroso di un altro, uno può dare piu gioia di un altro, ma tutti, infine, sono fenomeni, nessuno è dovuto a superiori volontà o intelligenze. Questo l'appello di Epicuro. Di questo dobbiamo renderei conto. E proprio in questo rendersi conto possibile a tutti in quanto dotati di ragione - consiste la saggezza e la liberazione. Entro tali termini, la dottrina epicurea della " deviazione " spontanea, dei mondi che - se vogliamo - nascono dal caso, ha una sua logicità che la può rendere piu verosimile di altre dottrine che si fon·dano sulla causalità e su intelligenze prime che il tutto ordinano secondo un fine, preoccupandosi perfino delle faccende umane. Molto piu modestamente Epicuro richiama ai fatti, ai dati dell'esperienza. E come proprio dai dati si risale a porre - quale condizione che permette di rendersi conto dell'esistenza - gli atomi-semi, il vuotospazio, il moto, il peso, cosi dal fatto, quotidianamente sperimentabile, che vi è nell'uomo un moto spontaneo, che lo distingue dal moto proprio delle cose che diciamo inanimate, la possibilità di una determinazione piuttosto che di un'altra, una non ner.essità, si può risalire a porre a fondamento dell'incontro stesso degli atomi una spontaneità, una casualità, a sua volta condizione che permette di rendersi conto della libera volontà umana : Sono certi modi e atteggiamenti dell'anima che hanno tutta o almeno la maggior parte di causa nelle azioni ... , determinandosi un moto psichico differente dalla natura degli atomi per una distinzione stabilita da noi e non per una differenza d'altro genere. Tenendo fermo il principio della causalità volontaria, esso va ricondotto fino alle prime nature [gli atomisemi], ed ogni riferimento va tratto donde è necessario ... Dipende dalla nostra volontà il moto dell'anima e che si determini in un senso o nell'altro ... Se poi non si è capaci di dimostrare questo, né si può rifiutare il fatto che qualcosa agisca dentro di noi, o l'esistenza di un impulso in quelle cose che facciamo, e delle quali diciamo che la causa è in noi, ma se tutte quelle
196
www.scribd.com/Baruhk
cose dipendenti da noi, pur rifiutando il principio causale (che è posto nel nostro volere), affermiamo tuttavia che in qualche modo le compiamo, invocando una stolta necessità, in tal caso si cambia solo il nome, non si spiega nessuno dei nostri atti; come se uno, ben sapendo riguardo ad alcune cose quali sono per necessità, si rifiutasse sistematicamente di riconoscere quelle persone che si sforzano di agire contro di essa. La mente, invece, dovrà ricercare quali azioni bisogna considerare rc:almente o potenzialmente in nostro pGtere... (Della Natura, libro incerto, Papiro ere., 1056, fr. 7 II, III, VII, X). È questa una pagina - in un papiro d'Ercolano purtroppo estremamente malridotto, - molto importante, in cui si pone la libertà come fatto di coscienza, come principio di moto, irriducibile ad altri, causa prima, onde consegue che, entro questo o quel mondo uinano, scaturito da un certo incontro di atomi, si dà la possibilità di altrettanti mondi, storicamente determinabili, frutto dell'uomo stesso. Di qui, sembra, prende significato l'aspetto piu strettamente etico della tesi epicurea, ché, appunto, l'uomo, che è uomo in quanto aggregato di atomi, in rapporto e relazione con altri aggregati di atomi, è tale istituendo una certa relazione che costituisce uno o altro tipo di costume, di étos. Storici i costumi, storico il formarsi delle società umane e della cultura, non storica è la forma della saggezza, come appello - in uno o altro costume, in uno o altro mondo umano - ad assumere coscienza di giudicare tutto entro i termini di una coerente razionalità, riconducendo tutto alla sua giusta prospettiva e proporzione, alla sua naturalità. Sorgere e perire di mondi, incessantemente, il mondo, tutto, è da prem.dere per quello che è, senza paure, senza superstizioni; nascere e perire di uomini, l'uomo è reale nella sua esistenza, non esiste prima della sua nascita, non dopo la sua morte ("si nasce una volta, due non è concesso, ed è necessario non essere piu in eterno ": Gnomologium vat., 14): vano quindi il timer della morte nella quale mai c'incontreremo (cfr. Lett. a Meneceo, sulla morale, 124-125). Ma vano è anche il timer degli dèi. Non che gli dèi non siano, sottolinea Epicuro. In quanto di fatto esistono nell'immaginazione umana, per la teoria dei simulacri, essi sono. Solo che è contraddittorio - ed è quindi falsa opinione, falsa presunzione, pseudoipolessi - pensare gli dèi turbabili, affettivi, che si occupino dei mondi e degli uomini : condizione perché siano pensabili gli dèi è che, pur essi formati di atomi, siano imperturbabili, indifferenti a tutto, fuori delle vicende dei mondi, appunto esistenti tra mondo e mondo (negli " intermundi "), dove non è cozzo e urti, dove non è tempesta. Epi-
www.scribd.com/Baruhk
197
curo poneva cosi la divinità, da un lato ideale per il saggio, dall'altro lato come consapevole rispetto per la naturale religiosità dell'uomo. Gli dèi esistono - scrive Epicuro a Meneceo -: evidente è infatti la loro conoscenza; non esistono piuttosto nella maniera in cui li considerano i piu, perché cosi come li reputano vengono a toglier loro ogni fondamento di esistenza. Empio poi non è colui che rinnega gli dèi dei piu, ma chi le opinioni del volgo attribuisce agli dèi, perché non sono prenozioni (prol~m), ma fallaci presunzioni (pseudo-ipol~m) i giudizi del volgo a proposito degli dèi ... Considera la divinità come un essere incorruttibile e beato, secondo quanto suggerisce la comune nozione del divino e non attribuire ad essa niente che non sia estraneo all'immortalità o discorde dalla beatitudine... (Lettera a Meneceo, 123, 7-124; 123; cfr. anche, Lettera a Erodoto, 77; Massime capitali, I; fr. 374 Usener; Sesto Emp., lpot. Pirr., III, 3, 11; Cicerone, De nat. deorum, I, 17, 45; 19, 51; II, 17, 46). Certo, anche qui, la polemica di Epicuro è chiara, sia nei confronti della superstizione, sia nei confronti di quella " religione che era edificata a sostegno della legge ... E quando egli fu chiamato ateo da Plutarco (Contro Colate) e da altri, lo fu perché essi non potevano o non volevano distinguere tra religione di Stato e semplice fede negli dèi" (Farrington, cit., pp. 138-139). Sensazioni, rapporto di sensazioni, ricordi, prolessi, affezioni e reazioni, desiderii e impulsi, la vita dell'uomo si scandisce tra due poli, piacere e dolore. E se da un lato, l'ignoranza delle cose, da cui cleri· vano turbamenti e superstizioni, appunto perché turba l'anima, è sensazione dolorosa, dall'altro lato' la liberazione dall'ignoranza, la comprensione delle cose nella loro naturalezza, è tranquillità, è sensazione piacevole. In altri termini, anche sul piano dell'indagine di quello che è l'uomo e di ciò che diciamo bene o male per l'uomo, il bene e il male non si risolvono con edificanti diséorsi, ma riconducendo il bene e il male a quello ch'essi sono per natu~;a: stati d'animo e sensazioni dolorose l'uno - un suono troppo forte diviene dolore - stati d'animo, sensazioni piacevoli l'altro - equilibrio e armonia. D'altra parte, poiché lo stesso piacere, portato alla massima acutezza, è turbamento, il piacere acuto e violento è dolore. E allora come dove non c'è tempesta e turbini, ni.a tranquilla e serena giornata, là è equilibrio di atomi, misurata aggregazione e non rimbalzi e urti, cosi, qualora si ottenga misurato equilibrio interiore, misurato rapporto tra gli ·atomi che ci colpiscono e gli atomi dell'anima, armonia interiore (" l'essenziale per la felicità è la nostra condizione intima, di cui siamo padroni noi": fr. 109
198
www.scribd.com/Baruhk
Bignone), conquistata e ragionevole serenità, si ha il piacere piu puro, l'ottimo bene, per cui il bene, il piacere come equilibrio è dovuto alla volontà, ad un atto di libera elezione, è frutto di razionalità e di prudenza e sotto questo aspetto la mancanza di dolore (aponia) e l'atarassia (mancanza di affanno) è calcolo (ÀoyLalL6c;} e simmetria (aulLlLÉ'rpljaLc;); bene e prudenza vengono dunque a coincidere. La mancanza di turbamento ( &:rocpo#oc) e di dolore (cbtov(oc) sono piaceri stabili (catastematici, ~aovoct xoc-rocanJlLIXTLXoc[) ; la gioia e la letizia, invece, si vede dalla loro attività che sono piaceri in moto (xoc-rcì XLV1jCJLV )(Di ciò che si deve scegliere e fuggire, Diog. L., X, 136, fr. 2 Usener). Dei desideri alcuni sono naturali, altri vani, e di' quelli naturali alcuni necessari, altri sono solo naturali; e di quelli naturali alcuni lo sono per la felicità, altri per il benessere del corpo, altri per la vita stessa. Infatti una giusta conoscenza di essi sa riferire ogni atto di scelta e di rifiuto alla sa• Iute del corpo e alla tranquillità dell'anima, perché questo è il termine entro cui la vita è beata. Perché è in vista di questo che compiamo tutte le nostre azioni, per non soffrire né aver turbamento. Quando avremo ottenuto questo, ogni tempesta dell'anima si placherà, non avendo allora l'essere animato alcuna cosa da appetire come a lui mancante, né altro da cercare con cui rendere completo il bene dell'anima e del corpo. È allora infatti che abbiamo bisogno del piacere, quando soffriamo perché esso non c'è; quando non soffriamo non abbiamo bisogno dd piacere. Per questo noi diciamo che il piacere è principio e termine estremo di vita felice. Sappiamo ch'esso è il bene primo a noi connaturato, e da e>;so prendiamo inizio per ogni atto di scelta e di rifiuto, e ad esso ci rifacciamo giudi" cando pgni bene in base alle affezioni assunte come norma. E pokhé questo è il bene primo e connaturato, per ciò non tutti i piaceri noi eleggiamo, ma può darsi anche che molti ne tralasciamo, qu~ndo ad essi segue incomodo maggiore; e molti dolori consideriamo preferibili ai piaceri quando piacere maggiore ne consegua per aver sopportato a lungo i dolt)ri. Tutti i piaceri dunque, per loro natura a noi congeniali, sono bene, ma non tutti sono da eleggersi, cosi come tutti i dolori sono male, ma non tutti sono tali da doversi fuggire. In base al calcolo e alla considerazione degli utili e dei danni bisogna giudicare tutte queste cose. Talora infatti sperimentiamo che il bene è per noi un male, e di converso il male è un bene.. Quando, dunque, diciamo che il piacere è il bene, non intendiamo i piaceri dei dissoluti e quelli delle crapule... Vita felice dà saggio calcolo che indaga le cause di ogni atto di scelta e di rifiuto, che scacci le 'false opinioni dalle quali nasce quel grande turbamento che prende le anime. Di tutte queste cose il principio e il massimo bene è la prudenza ( cpp6v1jaLc;); pèr questo anche piu apprezzabile della filosofia è la prudenza dalla quald provengono tutte le altre virtu ... (Lettera a Meneceo, 127, 7-132, 10).
www.scribd.com/Baruhk
199
L'appello di Epicuro è un appello a una vita razionale e illuminata, possibile a tutti - di proposito il suo insegnamento si rivolge non ad iniziati, ma a chiunque, ad uomini e donne, anche in forma popolare, - è un appello ad una saggezza che sia consapevole conquista di una misura, che non è né un rifiuto per il rifiuto né sacrificio per il sacrificio, ma neppure godimento violento, neppure accoglimento dell'istante gioioso (Aristippo), sempre entro i limiti di un'indagine che non presume di esprimere giudizi di valore, ma vuoi mettere in chiaro il fatto, il movente della condotta umana, si che tale indagine risulti, alla fine, utile, e non vana chiacchiera. Preferirei, usando tutta la franchezza, vaucmare nell'indagine della natura ciò che a tutti gli uomini è utile, anche se nessuno mi dovesse comprendere, piuttosto che adagiato sui pregiudizi cogliere il fitto plauso tributatomi dai piu (Gnomologium Vatic., 29). Sputo sul bello (-réi> XIXÀ) e su coloro che vanamente lo ammirano, quando non procura alcun piacere (Ateneo, XII, 547a: Usener 512; Arrighetti 126). Bisogna ridere e insieme filosofare, attendendo alle cose domestiche ed esercitando tutte le nostre facoltà, senza mai smettere di proclamare i detti della filosofia (Gnom. Vat., 41). Entro questi termmt, m questo suo richiamo ad assumere le cose per quello che le cose sono, in una tranquillità d'animo che è consapevole conquista, indipendentemente da ogni costruzione già data o da dimostrazioni che si fondano su discussioni dialettiche che hanno per principii presunte opinioni probabili, senza fondarsi sui dati, sui sensi, sui fatti e sul loro vaglio, indipendentemente dai miti e dalle superstizioni del volgo - che in tali paure e. miti è consapevolmente lasciato dalla filosofia sacerdotale, - entro questi termini, se assume un suo specifico significato la polemica di Epicuro contro la cultura, contro la dialettica e la retorica (vedi sopra), sembra assumere signifitato anche la sua polemica contro la politica, il suo appello a che ii saggio si ritiri dalla folla. " Bisogna liberarsi dal carcere degli affari e della politica" (Gnom. Vat., 58); "allora soprattutto ritirati in te stesso, quando sei costretto a stare nella folla" (Seneca, ep. 25, 6: Usener 209: Arrighetti 121; cfr. anche Massime Capitali, 14; Lett. a Pitocle, 85; 106 Bignone). In effetto Epicuro se la prende contro un certo tipo storico di politica, coiJ.tro i tipi di associazione umana basati sulla violenza e sui dolore, ove il rapporto umano non si fonda su di una consapevole misura (sul piacere, che è il frutto della libertà di pensiero: "l'essenziale per la felicità è la nostra condizione intima di cui siamo padroni noi ...
200
www.scribd.com/Baruhk
Perché dovremmo ambire con ansia ciò che è un arbitrio altrui? ": Diogene di Enoanda, fr. 57), ma sulla paura, la doppia paura dei soggetti e dei dominanti, che cercano dominio, potenza, ricchezza per affrancarsi dalla paura degli altri. Gli uomini desiderano divenire famosi e ricchi perché pensano di mettersi cosi al sicuro dagli altri uomini... (Massime Capitali, 7). A niente giova il procacciarsi sicurezza .dagli uomini finché rimarranno i sospetti e le paure per le cose del cielo e dell'Ade e di ciò che avviene nell'universo (Mass. Cap., 13).
La cosiddetta apoliticità di Epicuro, è non un appello a vivere una vita individuale e monastica, ma a rifuggire da una vita politica che non è politica, che non è comprensione dell'uomo, di quello che dovrebbe essere il rapporto e la relazione umana. In realtà il mondo degli uomini è, per Epicuro, essenzialmente politico. Aggregato di atomi l'uomo, esso è relazione con altri aggregati di atomi-uomo, cioè in quanto si costituisce in polit~ia, giustamente, armoniosamente. E come di fatto esistono le cose - di cui gli atomi, lo spazio, il moto sono condizioni, - cosf di fatto esistono gli uomini e i mondi umani, i loro linguaggi, le loro relazioni, gli Stati: la giustizia c'è, il diritto c'è, la politk;a c'è, ma nè la giustizia (o l'ingiustizia), né il diritto, .né la politica sono di per sé; esistono solo in quanto si costituisca una certa relazione, che, in quanto st9rica, possiamo dire frutto di un contratto (sf come si poteva parlare d'un linguaggio storicamente convenzionale, naturale nei suoi elementi) che può cangiare di luogo in luogo, di circostanza in circostanza. "Non è la giustizia un qualcosa che è per sé (xot.&'ÉotuT6 ), ma solo nei rapporti reciproci e sempre a seconda dei luoghi dove si stringe un accordo di non recare e di non ricevere danno (Mass. Cap., 33). Il di.ritto secondo natura è il simbolo dell'utilità allo scopo che non sia fatto né ricevuto danno (Mass. Cap., 31). Da un punto di vista generale il diritto è uguale per tutti, poiché rappresenta l'utile nei rapporti reciproci, ma dal punto di vista delle particolarità dei vari luoghi e di ogni genere dei principii causali segue che una medesima cosa non è per tutti giusta (Mass. Cap., 36). Per tutti quegli animali che non poterono stringere patti ~er non ricevere né recarsi danno reciprocamente, non esiste né il giusto né l'ingiusto ... " (Mass. Cap., 32). Giusto, quindi, viene ad essere di volta in volta ciò che permette il mantenimento di equilibrato e armonico rapporto sociale, s( che
www.scribd.com/Baruhk
201
ciascuno entro questo rapporto, determinatosi in legge, rispetti la libertà e l'armonia altrui, come che poi si realizzi, per cui il diritto varia nel contenuto da luogo a luogo, ed anche in ciascun luogo è valido finché si mantengono certe circostanze, finché serve. Fra le cose prescritte come giuste dalla legge, ciò che è comprovato essere utile nelle necessità dei rapporti reciproci bisogna che costituisca il diritto, sia che sia uguale per tutti, oppure no. Ma se viene sancita una legge che non risulti conforme all'utile dei rapporti reciproci, questa non ha piu la natura del giusto ... Quando, essendo mutate le circostanze, quelle medesime prescrizioni che erano giuste non sono piu utili, in tal caso erano giuste allora quando erano utili per la vita in comune dei concittadini, ma piu tardi non erano piu giuste, quando si rivelarono non piu utili (Mass. Cap., 37, 38). Comprendere: tale è il fine e l'impegno dell'uomo; tale la saggezza: di qui tranquillità e serenità che non è insensibilità o inazione, 1na dominio di sé, capacità di sapersi inserire - " l'uomo sereno procura serenità a sé e agli altri ": Gnom. Vat., 79 - in uno o altro rapporto sociale, senza provocare turbamenti, senza violenza; comprendere, che è storicizzare, oggettivare, e, quindi, nei confronti degli altri, rispetto, che viene a porre la piu alta relazione sociale, senza di cui l'uomo non è uomo, perché isolato, strappato dalla sua capacità di rapporto e di misura, e in cui, per Epicuro, consiste l'amicizia, che, in conclusione, è la piu verace forma di vita politica, e, sotto questo aspetto, la piu utile, in contrapposizione con quella forma di politica propria del tempo di Epicuro. Ogni amicizia è di per se stessa desiderabile, pur traendo origine dalla necessità (Gnom. Vat., 24). Di tutti quei beni che la saggezza procura per la completa felicità della vita il piu grande di tutti è l'amicizia. La mede· sima persuasione che ci assicura che nessun male è eterno o durevole, ci fa anche persuasi che in questo breve periodo della vita esiste la sicurezza dell'amicizia (Mass. Cap., 27, 28; cfr. anche Gnom. Vat., 34, 52, 78). Chiaro dovrebbe apparire ora il' peso politico ch'ebbe, fin dall'inizio, l'insegnamento di Epicuro, sia da un lato come posizione che venne aspramente combattuta (fino alla denigrazione sistematica della persona di Epicuro, raffigurata come quella di un uomo dedito ai piaceri piu crassi e alle pratiche piu basse) e ritenuta pericolosa per lo Stato
202
www.scribd.com/Baruhk
(in particolar modo per il suo atteggiamento nei confronti della religiosità); sia dall'altro lato, invece, come posizione assunta da comunità di amici, che, nell'insegnamento del maestro, trovavano una possibilità di unione, la costruzione di una vita sociale, da cui politicamente si sentivano ormai esclusi. Ma soprattutto, piu tardi, nell'epicureismo si vide il simbolo ci una rottura contro ogni conformismo, l'indicazione del significato della libertà dl pensiero, che, a seconda di certe condizioni sociali, culturali e politiche, ha potuto giuocare tanto in ambienti popolari (non sembra un caso che Cicerone nella sua polemica antiepicurea, dica· che il pensiero degli epicurei si diffuse in Italia presso i " plebei "), quanto in chiusi ambienti signorili, culturalmente raffinati, che si distaccavano dalla politica ufficiale, in compiaciuti atteggiamenti di fronda (può essere interessante ricordare che una ricca biblioteca di testi fu ritrovata in una nobile villa di Ercolano). Ma questo avverrà in epoche diverse e lo si vedrà delinearsi bene al tempo in cui certe componenti del pensiero greco, accanto ad altre di origine orientale, verranno a determinare in un complesso giuoco l'atmosfera culturale entro cui si muoverà, in Roma, tra il II e il I secolo a.C., il conflitto delle " filosofie " e delle religioni. Certo è che la struttura dottrinaria dell'epicureismo si mantiene fin dal principio, e poi nei secoli, quale la troviamo in Epicuro stesso, tranne per qualche dettaglio interpretativo: sia per la semplicità dei principii che per la sua razionalità, sia per il suo tono di rottura che per il fatto di essere, piu che un sistema compiuto, una metodologia. b) Zenone di Gizio e la fondazione della " Stoà." Quando Epicuro giunse ad Atene nel 307/306 - "i era già stato per poco tempo nel 322 circa, - dopo avere insegnato a Lampsaco e a Mitilene, o~ . si erano costituite delle comunità epicuree, la sua personalità era già formata ed il suo modo di pensare egli già lo esponeva come un appello, come un richiamo a liberarsi, mediante esperienza e ragione - ·comuni a tutti - da ogni " filosofia " e da ogni " religione," tenendo presenti quei " canoni " o regoli misuratori del vero che rendono possibile misurare la realtà senza contraddizioni e mediante cui a tutti è possibile giungere a quéi certi principii formulati da Epicuro; ma anche se ad essi altri sono giunti, giungervi non significa affatto dipendere da quei primi. Di qui, anzi, l'irritazione di Epicuro allorché certi ambienti di Atene ne rintracciavano le __origini in Democrito, in Nausifane, o in altri.
www.scribd.com/Baruhk
203
Pur se in un ambiente simile a quello di Epicuro, diversissima, invece la provenienza e la formazione di Zenone, 16 che, ad Atene, nella scuola del Portico (Stoà), aperta nel 300 circa, insegnò parallelamente ad Epicuro. Zenone non era greco. Di origine fenicia, era nato a Cizio, nell'isola di Cipro, nel 332 circa. Commerciante come lo era stato il padre Mnaseo, e dedito ai commerci marittimi, come narrano le " vite dei filosofi," egli si sarebbe dato alla filosofia, quando, trovandosi ad Atene, per i suoi commerci, il naufragio di una sua nave lo ridusse in estrema povertà, costringendolo all'inazione. Zenone aveva allora ventidue anni circa. In quei giorni di inazione, gironzolando per le vie di Atene, si trovò per caso presso un libraio e si mise a leggere l Memorabili di Senofonte. Chiesto al libraiò dove si trovassero gli uomini che scrivevano libri del genere e uomini come Socrate, il libraio gl'indicò Cratete, il cinico, che per l'appunto passava in quel momento. Zenone segui Cratete, il cui disprezzo per le ricchezze, in nome della ricchezza del saggio, conquistò Zenone, che piu tardi, sembra, dicev.1 che la sua piu vera ricchezza l'aveva conquistata con la perdita (il naufragio) della ric~.:hezza (Diogene L., VII, 5). È senza dubbio, questa, una ricostruzione a posteriori, tipica delle " biografie antiche," sorta allorché si era già venuta delineando la figura dello " stoico" Zenone. Egli, anzi, avrebbe accolto con tale imperturbabilità la notizia del naufragio che tutta Atene ne rimase ammirata. A parte che, allora, bisognava, per accettare questa ricostruzione, che Zenone· fosse già noto in Atene, troppo " stoicamente " egli accolse ,la notizia:• Altre fonti, ri16 Nato a Cizio, nell'isola di Cipro nel 332 circa, Zenone si dedicò dapprima al commercio. Commerciante era stato anche il padre. Per i suoi commerci di porpora, Zenone doveva viaggiare per recarsi nei maggiori mercati. Si narra che, durante uno di questi viaggi, mentre si trovava ad Atene, in attesa della sua nave che trasportava merci, ebbe la uotizia del naufragio della nave e, di conseguenza, del suo disastro finanziario. Rimasto ad Atene inoperoso e preoccupato sul da farsi, un giorno, presso un libraio, si mise a legg~re i Detti Memorabili. di Senofonte. Profondamente colpito dal modo di vita e dalla concezione socratica, si rivolse al libraio chiedendogli dove poteva trovare uo· mini come quelli di cui aveva letto. Il libraio, allora, gl'indicò Cratete cinico, che per caso passava di là. Zenone entrò cosi in dimestichezza con Cratete, volgendosi quindi alla filGsofia. ~ certo, questa, una ricostruzione a posteriori, che vuoi indicare 1 rapporti tra la conc::zione di Zenone e il cinismo. Sembra, comunque, che Zenone, oltre Cratete, abbia ascoltato anche Stii!>One :negarico, abbia avuto contatti con gli accademici e i peripatetiei. Di sicuro ·sappiamo che nel 300 circa apri una Scuola, in un edificio che aveva un portico dipinto da Polignoto (Stoà poikile), ove insegnò fino alla morte: sem· bra che si sia ucciso intorno al 264/3. Dei molti scritti di Zenone non leggiamo che pochi ed incerti frammenti. Titoli di sue opere sono: Repubblica, Passioni, Il dovere, LA logica, L'Universo, La legge, L'educazione greca, Sui segni, Problemi omerici, L'ascoltar poesia, Sull'arte, Sulle soluzioni, Elenchi, Commenti, L'etica di Cratere. Discepoli di Zenone fu· rono Aristone, Erillo, Perseo, Cleante che gli successe nello scolarcato della Stoà.
204
www.scribd.com/Baruhk
portate da Diogene Laerzio, dicono, invece, che Zenone, già prima di venire ad Atene, aveva letto libri che il padre, il quale viaggiava per i suoi commerci, gli aveva portato dai maggiori centri culturali, e che giunto in Atene, oltre che di commerci, si interessava, per diletto, delle dispute dei filosofi, tra i quali avrebbe ascoltato Cratete, il megarico Stilpone, Teofrasto e Stratone di Lampsaco, Polemone, terzo scolarca - dopo Speusippo e Senocrate, morto nel 314 - dell'Accademia. Avvenuto il naufragio, si sarebbe quindi deciso a rimanere ad Atene, dove nel 300 apri la sua scuola. Sicuro resta, comunque, che Zenone si formò in Atene, che ad Atene soggiornò fin dal 300 circa, che frequentò Cratete e Stilpone, T eofrasto e Stratone, Polemone. È sembrato opportuno sottolineare queste notizie, perché subito presentano un quadro delle discussioni e degli interessi che senza dubbio stanno alla base della concezione di Zenone e che fin dal principio servono a delineare il tentativo di Zenone. Egli, sfruttando il motivo della " implicazione " dei megarici Diodoro Crono e Filone e del " sillogismo ipotetico " di Teofrasto, e basandosi sulla tesi sia cinica, sia megarica, sia aristotelica, che ogni conoscenza proviene dalle sen· sazioni, e si traduce in immagini e in nomi, e sviluppando la tesi aristotelica della memoria (De memoria et reminiscentia) e uno dei possibili esiti (grammaticale) delle Categorie di Aristotele, ha cercato di delineare le condizioni che determinano un retto discorso (l&gos) persuasivo, capace di comunicazione, eliminando le difficoltà della dialettica platonica, messa in luce da Antistene, da Euclide, da Eubulide, da Aristotele, con la conseguente implicazione della teoria della sostanza, messe in luce da un Eubulide, da un Diodoro Crono, da uno Stilpone. Entro l'àmbito di queste discussioni, che investivano in pieno la possibilità della scienza - come conoscenza delle cause prime e delle essenze - e la possibilità del discorso e della comunicazione, la soluzione zenoniana non fu quella cinica. In .effetto Zenone, affrontando tutte le difficoltà ch'erano sul tappeto, tentò di risolverle entro il campo dello stesso discorso (pensiero), in uno studio sistematico del " discorso," in una puntualizzazicne dd!e sue condizioni interne (èv3L&.~e-ro~,endùi tlzetos) e del suo esserci in quanto espressione linguistica ('TL'po<popn(O~ pmforic6s), grammaticale e retorica. Ed entro il discorso medesimo Zenone venne risolvendo tutta la realtà, che è tale, anche se ipoteticamente ,posta fuori del discorso, in quanto è presente nel discorso e si rivela e si esprime nel discorso, per cui da un lato la rettitudine del discorrere manifesta la vera realtà, la ragione e l'ordine sintattico delle cose (fisica), dall'altro lato la ragione e l'ordine del nostro vivere (ben
www.scribd.com/Baruhk
205
pensare, che è ben parlare, sarà anche ben vivere), cioè la rettitudine
etica. Risolvere la cognizione esatta delle cose (fisica) e l'etica, come arte del ben vivere, nel saper pensare bene, implicava porre a fondamento del " sapere" la logica (arte del pensare, dialettica; e del discorrere, retorica: sembra, e non è un caso, che il termine " logica " per indicare la fenomenologia del discorso sia stato usato per la prima volta da Zenone) e far della logica, dell'etica e della fisica tre virtu, ché, per usare un paragone che fu proprio degli stoici, la seconda e la terza sono contenute nella prima "come il torio (fisica) e la chiara (etica) entro il guscio (logica) " (Diogene L., VII, 40). Il sapere è il bene perfetto della mente umana (Seneca, Ep., 89) ... e la filosofia è esercizio dell'arte necessaria al sapere (Aezio, Plac., I, 2) ... [La virro, dunque, consiste nel saper usare bene quest'arte necessaria, onde] la filosofia è studio della virro, ma per mezzo della virro stessa; ché non può esserci né virro senza studio di se stessa, né studio della virtU senza lei medesima (Seneca, Ep., 98). E le virtU piu generali sono tre: la naturale, la morale e la razionale; per la qual cosa anche la filosofia è Lripartita in fisica, etica e logica (Aezio, Plac., I, 2), di cui Zenone pone prima la logica, seconda la fisica e terza l'etica (Diogene L., VII, 40). Senza dubbio lo Stoicismo ad un certo momento raccolse e riso}. vette in sé molte posizioni originariamente distinte, usando sia Platone sia Aristotele, tesi ciniche come tesi megariche, costituendosi con l'andar dd tempo piu che in una precisa dottrina in un'atmosfera culturale. Ciò avvenne - e ne vedremo le ragioni e la portata storica - tra il II secolo a.C. e il II d.C., dal periodo che va dalla cosiddetta media-stoa (Panezio-Posidonio) allo stoicismo romano fino a Marco Aurelio e oltre. Ciò - data la perdita dei testi originali dei primi stoici, Zenone (332-264), Cleante, che resse la scuola dal 264 al 232, Crisippo (277-204 circa) - rende, nel complesso delle testimonianze, risalenti quasi tutte all'arco di tempo che va dal I a.C. al V d.C., e dei frammenti, molto difficile distinguere quella che fu la dottrina dei singoli stoici e l'architettura dello sviluppo e delle modificazioni interne dello stoicismo, che hanno portato in epoche diverse, rispondendo a situazioni e ad esigenze diverse, alla costruzione di uno " stoicismo " che di gran lunga si è allontanato dal primo stoicismo di Zenone. Ad ogni modo, da alcuni tentativi fatti, è risultata una prima netta distinzione tra la tesi e la soluzione di Zenone e quella del suo discepolo e successore Cleante, che di Zenone ha dato un'interpretazione piu fisico-teologica che non logica e quella del successore di Cleante, Crisippo, " il secondo fonda-
206
www.scribd.com/Baruhk
tore della Sto a," che, organizzando in sistema le tesi di Zenone e di Cleante, ha approfondito l'aspetto logico dello zenonismo, con particolare riguardo alla dialettica e alla retorica, in uno studio sistematico del linguaggio significativo e dei suoi significati {mJ!L«(vov-roc, mJJLottV6JLV«E ), il cui esito, d;altra parte, lo ha condotto ad un'interpretazione teleologica-teologica del tutto, entro cui, per altre vie, potevano rientrare un certo platonismo ed un certo aristotelismo, si come un corpus di istituzioni dialettico-retoriche, che se da un lato ha potuto servire per la preparazione tecnica degli uomini di cultura, dall'altro lato ha potuto servire d'introduzione alla visione di un tutto ordinato e perfettamente scandito in ordini gerarchici, di cui facili a vedere sono le soluzioni politiche nell'ambiente romano. Ben diversa, sotto questo aspetto, la posizione del primo fondatore della Scuola, che soprattutto si preoccupò, entro i termini di una fenomenologia della conoscenza, e quindi di uno studio delle condizioni proprie del discorso, di risolvere le aporie messe in discussione. nei confronti della dialettica platonica e dell'analitica aristotelica, dai cinici e dai megarici. A Zenone si presentava particolarmente grave il problema ,della predicazione e il problema delle premesse, e qui ndi da un lato il problema della comunicazione e dall'altro lato dc-··_ strutture del reale corrispondenti ai principii logici, con la consegue.nte validità o meno dei sillogismi deduttivi. Il tentativo zenoniano poteva riuscire solo rovesciando l'impostazione platonico-aristotelica delle forme e sfruttando in senso linguistico-grammaticale - come d'altra parte era possibile le Categorie e il De interpretatione di Aristotele, insieme al motivo aristotelico della memoria, intesa psicologicamente. Di qui il concetto nuovo di dialettica, rispetto alla dicotomia di Platone e alla dialettica (non scienza) di Aristotele, e il fondamento della logica stoica, che, come è stato detto (Mates, Stoic Logic, Berkeley-Las Angeles, 1953), invece d'essere una logica di classi diviene una logica delle proposizioni. Il primo problema di Zenone è cosi quello di ricercare non t nto le condizioni che rendono possibile pensare il reale, quanto il proble~ di quali siano le condizioni dello stesso pensare. I dati del pensare sono le rappresentazioni (fantasie): "la rappresentazione (cpotv-rotaLot, fantasia), diceva Zenone, è un'impressione (TÒ7tCrl
www.scribd.com/Baruhk
207
l'anima " (Sesto Emp., Adv. math., VII, 227). La rappresentazione ha luogo mediante la sensazione. Il significato di sensazione in Zenone è oscillante. E si capisce, ché, in effetto, la sensazione it;t quanto tale non esiste, se non come presenza alla coscienza (impressione) di un qualcosa che ci rappresentiamo (fantasia, fantasma), onde il fantasma è tale in quanto rappresentato (jantast6n ). L'oggetto rappresentato è, quindi, in quanto presente alla coscienza. Ecco perché Zenone poteva dire che sensazion~ è tanto recezione per mezzo dell'apparato sensorio, quanto il soffio vitale (pnéuma) che dalla nostra capacità unificatrice e ordinatrice (egemonico) si estende fino ai sensi (Diocle Magnete, in Diogene L., VII, 52). Sotto questo aspetto ogni rappresentazione non è né vera né falsa, ma è quella che è; impressione esterna o interna che sia. Qualora, invece, forte, evidente è l'impressione, assumiamo fede nell'esistere di ciò che ci rappresentiamo, tanto che assentiamo alla sua esistenza, per cui la rappresentazione è rappresentazione afferrante (fantasia catalettica), mediante cui viene posto l'oggetto (~ncipxov, hypdrchon). Interrogati - dice Sesto Empirico - su cosa s {-r( ~cnL) l'oggetto (Ayp4rchon) dicono essere ciò che muove la fantasia catalettica. Esaminati quindi sulla fantasia catalettica, si rifanno nuovamente all' Aypdrchon, ugualmente ignoto, dicendo: catalettica è la fant.asia che è dall'hypdrchon, conformemente all'hypdrchon (Adv. math., VIII,'.SS-86). Di qui, secondo Sesto Empirico, un diallele, o circolo vizioso, ché con l'ignoto si spiega l'ignoto e viceversa. Dicer-lo, infatti, fantasia catalettica quella che sorge dall' hypdrchon. e dicendo che l'hypdrchon è il qualcosa che muove la fantasia catalettica, cadono nell'aporia del diallele (Sesto Emp., Pi". ipot., III, 242). Preziosa la testimonianza e la polemica di Sesto Empirico: ignoto
è l'hypdrchon ·e ignota la fantasia catalettica, finché si ritenga che il termine usato da Zenone, hypdrchon, stia a indicare l'oggetto reale per ~ (come se hypdrchon fosse sinonimo di tò 6n, ente, o di prdgma). Se, invece, ci limitiamo a considerare il termine negli ~lementi verbali che lo compongono {wo-!pxeLv ), senza assumerlo come·oggetto per sé stante (tò on o prdgma), hyparchon non c'è, come non c'è fantasia catalettica, come non c'è impressione (typosis) e sensazione (disthesis). A ~ sensazione, impressione, rappresentazione, sono puri nomi, astrazioni. In concreto, sensazione, impressione e fantasia sono una stessa cosa, "alterazione o modificazione dell'anima." E poiché l'impressione,
208
www.scribd.com/Baruhk
appunto. perché modificazione, è accorgersi di essere modificato, è ad un tempo atto del rappresentarsi (fantasia) e rappresentazione (fantasma), cioè aggettivazione, obiectum.
La fantasia differisce dal fdntasma. Il fantasma è, infatti, visione· della mente, si come avviene nei sogni; la fantasia è, invece, un'impressione (TÙ7t<ùat:;) nell'anima, ossia una modificazione (!XJJ.o(<ùat:;) (Diocle Magnesio, in Diogene L., VII, SO). Chiara, di qui, sembra la distinzione, che pare si possa far risalire a Zenone, delle vaiietà delle fantasie: a) probabili, improbabili, probabili e improbabili, né improbabili né probabili; b) vere, false, vere e false, né vere né false; c) le vere suddivise in catalettiche e non catalettiche (cfr. Sesto Emp., Adv. math., VII, 242 sgg.). E chiara anche l'altra distinzione tra fantasia dovuta al senso e quella dovuta all'attività del pensiero discorsivo (cfr. Diogene L., YII, 51). Vi è modificazione, dunque, solò se c'è r'appresentazione e viceversa, ed ogni rappresentazione appunto perché modificazione e accorgimento non è se non in quanto diviene rappresentato. Anche un'allucinazione, anche un sogno, anche questa o quella immagine (l'una distaccata dall'altra, le rappresentazioni alogoi: Diogene L., VII, 52), anche un'immagine cosiddetta mentale (" il fantasma nel pensiero dell'animale razionale è intellezione, perché l'immagine quando cada in un'anima razionale, allora si chiama intellezione, prendendo il nome dall'intelletto": Aezio, Plac.; IV, Il), è in quanto sia impressione e dunque in quanto sia rappresentazione (fantasia) e rappresentato (jantasma). È qui che in tutti i testi abbiamo la definizione della fantasia catalettica. La rappresentazione è davvero comprensiva, afferrante (xor:"C"ot· ÀYJ7tTtx~, da xor.Toc-Àot(L~OCV<ù = afferrare) quando tanto vivace e :forte è l'impressione (TU7t<ùatc;) che nasce fede ( 7t(&nc; :Cicerone, Acad. post., I, 41) nell'esistere ( Ù7tocp)',Etv) del ftintasma, .che è, dunque, fantast6n e non fantastic6n (Aezio, Plac., IV, 12, 1-3). "La·fantasia è un'affezione che si produce nell'anima e che manife;ta in se stessa anche la causa produttrice; per esempio, quando con la vista vediamo il bianco, s'ingenera nell'anima un'affezione per mezzo della visione, e secondo questa affezione possiamo dire che il bianco che c'impressiona sussiste (1~m6xEtToct)" (Aezio, Plac., IV, 12, 1). L'oggetto reale per sé stante, qualitativamente determinato, non c'è se non nell'atto del sentire, e non c'è se non come rappresentazione e oggettivamente (ob-iectum) della rappresentazione medesima, e c;è in quanto la forte impressione afferra (xor.TocÀot(L~OCvEt) tanto da portare al-
www.scribd.com/Baruhk
209
l'assenso (cruy:v.~X't'oc3-e:cnç ). " Zenone, a queste che sono rappresentazioni, quasi ricevute dai sensi, aggiunge l'assenso dell'anima, ch'egli vuole sia posto in noi stessi e volontario " (Cicerone, Acad. Post., I, 40). Non volontario, l'assenso in quanto dovuto ad una forte ed evidenziale impressione, esso è volontario in quanto la stessa forte impressione non sarebbe se non venisse riconosciuta (cfr. Sesto Emp., Adv. math., VIII, 396). Il termine forte impressione e rappresentazione catalettica, mediante cui si costituisce la fede nell'esistere dell'oggetto, tale in quanto è pres1!nte nelranima, richiama l'altro termine correlativo, che rende possibili i dati stessi del discorso: le rappresentàzioni. Non vi sarebbe rappresentazione se non ci fosse aggettivazione di ciò che ci rappresent.iamo, onde nulla che ci rappresentiamo sarebbe se non assumesse, nell'immaginazione, estensione, corporeità; accanto quindi al sentire non può non esserci un sentir di sentire, quell'assentire dovuto ad una attività propria dell'anima, mediante cui si qualifica e si nomina ciò che nel sentire, nell'impressione si presenta come estensione-quantità. L'oggetto, dunque, scaturisce dalla tensione {-r6voç) tra il dato dell'impressione e la qualificazione di quel dato stesso, che viene cosi significato. Gli oggetti, come rappresentazioni, sono corporeità qualificata dall'attività dell'anima, onde essi sono corpi-nome. Ora, l'esperienza dell'anima, quale attività che riconosce e assentisce qualificando, determina che l'anima sia pensabile come energia, come soffio (spiritus), che si pone e ponendosi si estrinseca. " L'anima," dice Zenone, " è soffio caldo (nve:UfLIX !v3-e:pfLov) ed esalazione (ocv~X3-UfLLIXcrtç) " (Diogene L., VII, 157; Eusebio, Praep. ev., XV, 20, 2), "che si presenta in otto parti, la egemonica [o coordinatrice], i cinque sensi, l'organo della voce e quello della generazione" (Nemesio, De nat. horn., p. 196). Il fatto vitale del soffio come consapevolezza di una forza implica da un lato l'estrinsecarsi di quella forza nel moto e nelle funzioni vitali, e dall'altro lato il porsi stesso di quella forza come centro vitale originario che, ponendosi, informa di sé il suo stesso estrinsecarsi, costituendo una coordinazione, una egemonia (~ye:fLOVLot). Esatta appare, cosi, la immagine con cui Aezio spiega l~ttività dell'anima secondo gli Stoici: testa di polipo l'aspetto unificante dell'anima (egemonico); tentacoli le altre parti dell'anima che si protendono dalla testa del polipo stesso (Aezio, Plac., IV, 21). Pur distinguendosi in otto parti, una è, in effetto, l'anima, irradiantesi in una continuità b cui forza irradiante e quindi unificante e coor-
210
www.scribd.com/Baruhk
dinatrice è ciò che Zenone ha chiamato heghemonic6n, che non è ancora, come piu tardi, sinonimo di mente (vouc;) o di ragione (>.6yoç). Tale, dunque, la genesi delle rappresentazioni costituènti gli oggetti: rappresentazioni dette anche concetti (bivo~!L«-t«), "visioni mentali dell'anima egemonica" (Aezio, Plac., IV, 11; Diogene L., yn, 61}, I concetti (&vvo~fLot'tot: ennoèmata) non sono né entità né qualità, ma immagini mentali aventi una quasi-qualità. Sono quelli che gli antichi chia· mavano idee. Infatti si può parlare di idee per ogni cosa che ci si offra in forma di concetto, per esempio: di uomini, di cavalli e in genere di tutti gli animali e di tutti gli esseri di cui si dice che abbiamo le idee. Le idee non hanno una loro esistenza a sé: siamo noi che partecipiamo alla formazione dei concetti e troviamo i termini del linguaggio, i cosiddetti appellativi (Stobeo, Ecl., I, 136, 21 W.). Rappresentazioni mentali i concetti, indipendentemente dalla loro esistenza per sé, essi, grammaticalmente parlando, sono i soggetti, cui, perché sia possibile dirli, è dato un nome, che, ad un tempo, è l'unica realtà dell'oggetto in quanto pensato. Lo studio della genesi dei concetti, o nomi-oggetti-rappresentazioni, veniva a capovolgere il problema delle premesse del discorso. Le premP.sse, i concetti non sono né veri né falsi, né opinabili né non opimbiE, onde l'impossibilità, o l'astrattezza, una volta passati allo studio del come è possibile il discorso tra i concetti (la logica), della distinzione aristotelica tra premesse necessariamente vere e premesse probabili, d'onde la distinzione tra sillogismi dimostrativi e sillogismi dialettici, con le conseguenti aporie che ne derivano. Posti i soggetti come nomi-oggetti-rappresèntazioni, la logica, studio del discorso, si configura quale studio della, meccanica per cui l'un nome-rappresentazione-oggetto si articola all'altro. La verità o la falsità non sta nelle premesse, tutte ipotetiche, ma nella connessione dei dati rappresentazioni, onde la logica, come studio del discorso, delle condizioni che permettono il discorso (dialéghesthat), coincide con la dialettica, intesa, su testimonianza di Cice· rone, come " l'arte che instgita a distribuire una cosa intera nelle sue parti, a spiegare una cosa nascosta co.'!l la definizione, a chiarire una cosa oscura con una interpretazione, a scorgere prima, poi a distin· guere ciò che è ambiguo e da ultimo a ottenere una regola con la quale si giudichi il vero e il falso e se le conseguenze derivino dalle premesse assunte" (Cicerone, Brut., 41, 152; cfr. anche De orat., II, 38, 157; Tusc., V, 25, 72; Acad. Post., 28, 91; Top., 2, 6).
www.scribd.com/Baruhk
211
Senza lo studio della dialettica il sapiente non può essere sicuro nel ragionamento. Essa insegna a distinguere il vero dal falso, ad accertare i gradi della probabilità, a scoprire le ambiguità. Senza la sua guida non è possibile procedere metodicamente nell'interrogare e nel rispondere (Diogene L., VII, 46). Sembra cosi chiaro il significato dato da Zenone alla dialettica che costituisce la parte generale della logica: arte del discorso, " con funzione discriminativa (8t1Xxpt·nx~) e ispettiva (è7ttaxrn't'tX~ ), che, per cosi dire, pesa e misura le altre parti della filosofia" (Arriano, Epict. diss., I, 17 sgg.), onde le arti dei dialettici sono definite " come misure di precisione adoperate per la paglia o per il letame, invece che per il frumento o per altre derrate di pregio " (Stobeo, Ecl., Il, 2, 12), spettando alla dialettica di " scoprire e confutare i sofismi " (Plutarco, St. rep., 1034 F.), cioè di eliminare, rendendosi conto della meccanica del discorso, gli errori clel calcolo ragionativo, in cui cons!ste il falso, msegnando perciò a " discutere bene " (Alessandro, Sopra ;,J.rist., 3). Il discorso è di due maniere: ragionativo e oratorio. Sicché, o dialettica o retorica. Col pugno chiuso Zenone soleva indicare il carattere conciso e serrato della dialettica, con la palma aperta e le dita tese l'ampiezza e la diffusione della retorica (Sesto Empirico, Adv. math., II, 17. Cfr. anche Cicerone, De finib., Il, 17; Orat., 32, 113; Quintiliano, lnst. Orat., II, 20, 7).
La funzione " ispetti va " e " discrimirÌatrice " della logica, il " so p· pesamento " della dialettica, porta1 ~ determinare, scoprendo gli scivolamenti tra il significato di un termine e il significato di un altro, in cui consistopo i sofismi (la paglia o il letame), a determinare che la verità non sta nelle premesse, né nelle rappresentazioni, ma nel giudizio, cioè nel modo con cui si afferma cr si m!ga qualcosa di qualche altra, nel come è che si articolano (unificando o disgiungendo) i concetti tra di loro, articolazione impossibile (e quindi impossibile predicazione, come giustamente volevano certi megarici e certi cinici) qualora i concetti siano qualitativi, premesse in sé già vere. La meccanica del discorso si fonda sulla memoria che costituisce necessarie implicazioni; "la memoria è una tesaurizzazione (&1ja1Xuptcr!J.6t;) di fantasie" (Sesto Emp., Adv. math., VII, 373): "chi ha avuto sensazione di qualche cosa, ad esempio del bianco, allo scomparire del bianco ne ha memoria. E quanJo molti ricordi. simili si generano, allora diciamo che si fa esperienza (è!J.7tetp(1X). L'esperienza, infatti, è
212
www.scribd.com/Baruhk
un complesso di rappresentazioni dello stesso. genere" (Aezio, Plac., IV, 11). L'impressione A, ad esempio, in quanto fantasia catalettica, mediante l'assenso si determina come immagine dell'esistenza dell'oggetto cui diamo il nome di A. Una nuova impressione, modificante in modo simile ad A, si sovrappone al ricordo A, per cui resta nella memoria l'impressione dell'esistenza di A, la nozione di A. D'altra parte se non vi fosse che l'impressione A e non vi fosse ricordo, non riconosceremmo A, ma ci fonderemmo con A. L'impressione A è possibile solo se l'impressione A, modificandomi in modo diverso dall'impressione B, mi ricorda B, per cui posso dire che c'è A perché mi sento diverso da B, onde da un lato si costituiscono necessarie implicazioni, dall'altro lato previsioni e anticipazioni. Un certo complesso di impressioni-ricordi fa scattare un altro complesso di impressioni-ricordi, in una catena necessaria; un certo complesso di impressioni fa scattare, nel ricordo, l'anticipazione di un altro complesso di impressioni o nozioni. Sono queste quelle che gli Stoici chiamarono anticipazioni (prolèm) o nozioni comuni (xotvot( ~vvotott, koinai énnoiai), che si formano nell'uomo naturalmente, avendo la funzione di guise entro cui si determina il meccanismo del ragionamento, per cui il discorso si indirizza necessariamente in un certo modo (cfr. Aezio, Plac., IV, 11). Di qui, ~ella meccanica di ricordi e anticipazioni, il ragionamento anapodittico e i sillogismi ipotetici. I ragionamenti anapodittici, basandosi su nozioni non dimostrabili, ma evidenti in quanto fantasie catalettiche (sensibili), giungono a conclusioni evidenti, e su di essi si fondano i sillogismi ipotetici, per cui "mediante le cose piu comprensibili (evidenti per i sensi) si spiegano le cose meno evidenti " (Diogene L., VII, I, 45 e l, 46). Cosi, ad esempio, su testimonianza di Sesto Empirico, (lpot. Pirr., II, 157-158), l'impressione giorno meccanicamente si associa all'impressione luce, onde implicando il giorno la !uce, e viceversa, possiamo dire: " Se è giorno, c'è luce: è giorno, dunque c'è luce "; oppure: " Se è giorno c'è luce: non c'è luce: dunque non c'è giorno "; oppure: "Se non è giorno, è notte: è giorno; dunque non è notte"; "o è giorno o è notte: è giorno; dunque non è notte"; "o è giorno o è notte; non è notte: dunque è giorno." Tale, secondo Sesto, l'esemplificazione dei cinque tipi di ragionamenti anapodittici, o indimostrabili. Solo che a Zenone non interessava affatto la dimostrabilità sul piano ontico del sillogismo, quanto il modo con cui funziona il ragionamento, la cui verità consiste nel modo mediante il quale si articolano tra di loro i concetti, costituendo un discorso necessario, e la possibilità
www.scribd.com/Baruhk
213
della predicazione, ché le nozioni, i concetti, non sono forme qualitativamente distinte. Le cose si pensano o per accostamento fortuito, o per simiglianza o per analogia, o per trasposizione, o per composizione, o per opposizioflo(' (Diogene L., VII, 52). Il discorso consiste nel distinguere gli elementi razionali concordi o ripugnanti fra loro, per cui si procede alle operazioni di divisione e composizione, analisi e dimostrazione (Sesto Emp., Adv. math., VIII, 275 e Galeno in Hipp. dc mcd. of/., XVIII, B 649 K). Il vero s'intende come qualcosa di semplice per natura, come, in questo momento qui " è giorno," " io parlo." La verità, invece, secondo scienza, si concepisce come costruzione sistematica di molte cose. Allo stesso modo altro è il popolo, altro il cittadino (Sesto Emp., Adv. math., VII, 40). Zenone, presentando la mano aperta con le dita tese: ecco, diceva, cosi è la rappresentazione. Poi, contraendo un po' le dita: e cosi è l'assenso. E quando le aveva strette del tutto e chiuso il pugno, questa diceva essere la comprensione. Quando infine aveva accostata la mano sinistra alla destra stretta a pugno e con essa stretto quel pugno con gran forza, cosi diceva essere la scienza (Cicerone, Acad. pr., II, 144-145).
Il ragionare, dunque, è il collegarsi e l'implicarsi necessario, mediante il ricordo, delle impressioni. Ogni impressione, che è quella che è, vera in quanto fantasia catalettica (" semplice per natura "), per mezzo dell'estrinsecarsi dell'attività dell'anima (heghemonic6n ), si collega e s'impagina con altre rappresentazioni catalettiche tesaurizzate dalla memoria. Ogni imp,ressione, fantasia, memoria, d'altra parte, resterebbe indeterminata, cioè inesistente, se nell'atto della qualificazione non le venisse dato un nome, che ne costituisca, appunto, la qualità: il suono che esprime la rappresentazione, suono fisico, costitQisce il segno dell'oggetto, che cosi designato assume la sua realtà, e che viene compreso da chi conosce quella certa lingua, perché altro potrebbe essere il 'egno, la voce, che designa un certo oggetto, evocando in chi ascolta, quel certo insieme di impressioni cui, appunto, si è dato un certo segno. Segno e designato, costituenti l'oggetto della rappresentazione, articolandosi, nella meccanica del ragionamento, del discorso, con altri segni e designati, dànno luogo alla significazione del ragionamento, cioè ne costituiscono la sua verità, che sta, perciò, nel giudizio, che rende enunciabile (~-r6v -lect6n) il discorso stesso, e, quindi, possibile la predicazione. Ecco perché Zenone poteva sostenere che mentre il segno e il designato sono corporei, non corporeo è il giudizio, ossia
214
www.scribd.com/Baruhk
l'enunciabile, il lectén, o meglio, alla lettera, il " ciò che vien significato" (cfr., in particolare, Sesto Emp., Adv. math., VIII, 10-11).
Il problema del rapporto tra l'enunciabile e la cosa significata, e le relative discussioni e interpretazioni, la questione delle due parti della logica, quella che si occupa dei segni e dei significati (-rà: ln)!L«(vov't'<X-tà semainonta) e quella che si occupa dei significati ('t'à: ln)!J.<XLV6!J.&v« - semain6mena), non risalgono a Zenone, ma a Crisippo, e sottintendono tutta una nuova problematica relativa al passaggio dalla struttura del discorso significante alla struttura della realtà significata, che in Zenone, piu vicino alle discussioni megariche e ciniche nei confronti delle soluzioni ontiche di Platone e di Aristotele, restava tra parentesi. La questione, invece, si· rifarà viva e preoccupante dopo che Cleante svilupperà, in senso teologico e metafisica, certe implicazioni che si potevano trarre dall'impostazione dello zenonismo. Per Zenone, in effetto, tutta la realtà si risolve nel discorso, che esiste appunto solo in quanto discorso, per cui l'unica scienza è la logica (sia come dialettica sia come retorica), che postula, quali condizioni del discorso medesimo, il fatto dell'oggetto come presenza "impressionante" (l'hyparchon) e il fatto coscienza come attività unificatrice (l'heghemonic6n). Non a caso anzi l'heghemonic6n sarà detto "io" {-rò lyca: cfr. Galeno, De Plac. Hipp. et Plat., II, 2, 172 Miiller), centro di vita che, come testa di polipo irradiantesi nelle branche unifica il molteplice nel discorso {lMvoL«- dianoia) delle rappresentazioni, per cui non sembra senza interesse che il termine usato dagli Stoici per indicare l'implicazione, il legame con cui si costituisce il discorso, sia il termine ~yoÒ!J.e:voç (hegoumenos), che ha la stessa radice di heghemonic6n (cfr. Sesto Emp., lpot. Pirr., II, 157). L'hyparchon e l'heghemonic6n sono, dunque, solo in quanto dati di coscienza, fatti, ulteriormente non riducibili e che si risolvono nella realtà del discorso, senza piu alcuna distinzione tra soggetto e oggetto, nell'unità della coscienza che è lo stesso egemonico. Chi si volga ora a quei pochi frammenti, che sembrano proprii di Zenone, relativi alla fisica e all'etica, si rende conto che sia la concezione sulle co~dizioni che costituiscono la realtà sia la concezione sulla condotta si risolvono esattamente nel discorso, e che, in Zenone, non abbiamo alcun passaggio né alla visione di una realtà per sé stante né ad un conseguente assoggettamento dèll'uomo all'ordine e alla ragione di quella realtà. In un celebre frammento, riportato da Sesto Empirico, si legge:
www.scribd.com/Baruhk
215
Il mondo è il prodotto piu perfetto della natura, e si può provare con buoni argomenti che esso è un essere vivente animato, intelligente e razionale. Ciò che fa uso della ragione è superiore a ciò che è privo di ragione; ma non c'è nulla di superiore al mondo; dunque il mondo ha l'uso della ragione. Ciò che è privo di sentimento e di ragione non può produrre da sé un essere vivente fornito di ragione; ma il mondo genera esseri viventi forniti di ragione; dunque il mondo è un essere vivente e fornito di ragione. Se dall'olivo nascessero flauti melodiosamente suonanti, dubiteresti un momento che l'olivo avesse una certa conoscenza dell'arte auletica? .E se i platani producessero corde armoniosamente vibranti? Certamente riconosceresti nei platani il possesso della musica. Perché, dunque, non s'avrebbe a ritenere animato e sapiente il mondo che genera dal proprio seno esseri animati e sapienti? Ciò che emette dal proprio corpo il seme dell'essere razionale è razionale anch'esso; ma il mondo emette da sé il seme del razionale; dunque il mondo è razionale. E ciò implica la di~ mostrazione della sua esistenza. La natura universale abbraccia le nature particolari, comprende perciò in sé le nature razionali, e deve essere razionale essa stessa, perché non è possibile che il tutto sia inferiore alla parte. Ciò che è privo di senso non può avere una parte senziente; ma il mondo ha parti senzienti, dunque il mondo non può essere privo di senso (Sesto Emp., Adv. math., IX, 85, 104, 107, 110; Cicerone, De nat. d., II, 21 sgg.).
È questo un testo estremamente indicativo che chiaramente rivela il metodo dell'argomentazione anapodittica e del sillogismo ipotetico, per cui da impressioni catalettiche, evidenti, mediante implicazioni, si postulano le condizioni che rendono pensabile la realtà. Ad esse, anzi, si passa dalle condizioni stesse che permettono il discorso. Se il discorso implica un principio attivo (egemonico, attività, forza vitale unificatrice, anima) e un principio passivo (il dato, il fatto, l'hyparchon, per cui è possibile il sentire), ambedue fatti di esperienza, dalla cui tensione (t6nos) si esplica il discorso, entro il quale si risolve tutta la realtà, principii della realtà possono, dunque, essere,. ipoteticamente o logicamente, un principio attivo e un principio passivo, corporei ambedue (ché l'incorporeo è impensabile: " niente può essere prodotto da un'entità incorporea: tutto ciò che agisce e produce effetti è materiale ": Cicerone, Acad. post., I, 39), dalla cui tensione scaturisce tutta la realtà, in un ordine fatale, concatenazione di cause ed effetti (destino: heimarméne), s( come fatale nel suo costituirsi, nelle necessarie implicazioni e anticipazioni, è il discorso. Tutto viene ad essere determinato, anche il futuro, secondo l'" argomento principe " di Diodoro Crono (cfr. sopra). In effetto non esiste né il passato né il fu-
216
www.scribd.com/Baruhk
turo; il passato, il futuro, il tempo, sono memoria, ed è la memoria che costituisce la necessità delle implicazioni e delle anticipazioni, per cui è possibile la " divinazione," onde il tempo diventando giudizio, esso, come il lect6n, è incorporeo, accanto al luogo e al vuoto, incorporei, in quanto anch'essi giudizio. L'universo ha due principii: uno passivo, la sostanza informe, la materia [la quantità indifferenziata dell'impressione]; l'altro attivo, la mente, Dio [il soffio vitale, la ragione come attività unificatrice e qualificatricQ, l'anima]. Questo principio penetra nella materia, produce i quattro elementi e produce tutte le cose (Diogene L., VII, 134 sgg.). Questo spirito movente non è la natura, ma l'anima razionale che dà vita al mondo sensibile e gli imprime la bellezza di cui esso risplende, sf che il mondo è animato, beato, divino (Calcidio, In Tim., c. 292). Alito caldo, soffio vitale l'anima, il L6gos, la ragione che il tutto ordina e penetra, per cui tutte le cose nel tutto hanno la loro ragione, il proprio seme razionale (i l6goi spermatik6t), ché quella stessa Ragione non è se non costituendosi nel discorso del tutto, l'anima dell'universo, determinandosi come natura (il vivente discorso del tutto) è detta fuoco: " fuoco industrioso che procede con metodo nella produzione. Il piu alto merito dell'arte è nel fare e produrre; ora ciò che nelle nostre arti si compie per mezzo delle nostre mani, lo stesso, con molta maggiore abilità, si compie dalla natura, cioè dal fuoco industrioso e maestro di tutte le altre arti. Sicché la natura non è soltanto industriosa, ma è artista, e prevede e provvede tutto ciò che può essere opportuno e utile " (Cicerone, De nat. deor., II, 57 sgg.). Non sappiamo se già queste ultime tesi si possano far risalire a Zenone, e tanto meno se le conseguenze che da esse sono state tratte - le testimonianze sono tarde e mai viene fatto il nome di Zenone, ma si parla sempre genericamente di stoici - possano essere di Zenone stesso. Certo, ammesso pure che l'implicazione logica, risolventesi in sillogismi ipotetici, abbia portato Zenone a determinare come condizioni che rendono pensabile il discorso della rea,ltà il principio attivo (/6gos), il principio passivo (hyle, materia), il t6nos, la corporeità del tutto (incorporei il giudizio, il tempo, il vuoto, il luogo), non sembrano di Zenone gli esiti che, tuttavia, non ben comprese le ipotesi logiche di Zenone, se ne potevano trarre: una visione teologica e teleologica del tutto. Il tutto è animato e uno è il mondo; "l'universo (to h6lon) si distingue dal tutto (tò pan ). L'universo è il mondo; il tutto comprende anche il vuoto che è fuori
www.scribd.com/Baruhk
del mondo. L'universo è finito, perchè il mondo è finito: il tutto è infinito, perché infinito è il vuoto fuori del mondo " (Sesto Em., Adv. math., IX, 322; Aezio, II, l, 7; Achille, lsag., 5, 129). "Il mondo è uno (Diogene L., VII, 143). Scandito in un ordine necessario, razionale, fatale e provvidenziale a un tempo, l'universo, scaturito dalla tensione del fuoco e della materia, si conclude nella conflagrazione universale (ekPfrosis), per ripetersi in necessari cicli identici a sé (eterno ritorno). Tutto avviene perciò come deve avvenire, tutto avendo la sua ragione (l6gos spermatik6s), momento della Ragione universale, ogni cosa implicante l'altra, in un'articolazione dovuta alla simpatia per cui tutto ha il suo destino. Sembra cosi che la concezione zenoniana si sia rovesciata e che dalla logica si sia passati a una visione fisico-teleologica e teologica a cui poi ha da adeguarsi e la logica e l'etica. A tal proposito, anzi, è interessante fin da ora ricordare che tra le parti della filosofia Cleante porrà anche la teologia (Diogene L., VII, 41) e che sua sarà l'espressione: "vivi secondo natura"; il saggio, chi sa, vive secondo la piu genuina natura deH'uomo, che è la ragione, la stessa ragione del tutto in uno sforzo continuo per liberarsi dall'esser preso (patire) da questa o guella cosa, assunta singolarmente, in un amore, invece, ordinato per tutti gli aspetti del· reale (apatia), ché tutti, anche quelli che a noi sembrano mali, per errore di prospettiva, sono un bene rispetto al tutto (donde, per il saggio, il fato, il destino, è provvidenza). A Zenone, piu che una cosmologia e una visione religiosa del tutto, piu che la concezione deHa simpatia universale e dell'universale determinismo razionale - cui tutto è sottoposto, l'uomo compreso sembra, invece, si possa far risalire la riduzione del tutto a discorso - da cui, certo, era possibile trarre le conseguenze che abbiamo detto: e questo sarà proprio di Cleante prima, di Crisippo poi - mediante la dialettica, arte che conduce a ben pensare, e la retorica, arte che conduce a ben parlare, in cui, d'altra parte, consiste anche l'etica, ché se bene pensiamo e parliamo, bene viviamo. In altri termini il saper vivere consiste nel saper ragionare. Il disordine, la passione, il vizio, sono errori logici. Non esiste una ragione per sé e una realtà per sé, ma un centro di coscienza attivo e ordinante (l'heghemonic6n), che si esplica ed è in quanto costituisce un tutto con la realtà del discorso, per cui la ragione non è né prima né dopo, ma è discorso. Se il discorso è retto, razionale, esso non presuppone passioni e vizi, ma le passioni e i vizi risolve in sé in quanto retto e ordinato discorso, onde passioni e vizi sono, presi a sé, irrazionalità, sono do-
www.scribd.com/Baruhk 218
vuti, appunto, al non sapere pensar bene. Vi è a tale proposito un testo che possiamo far risalire a Zenone e che chiaramente precisa il significato logico dell'etica zenoniana, per la quale spetta all'uomo saper pensare, e per la quale, in conclusione, socraticamente la virtu umana non dipende affatto da ordini precostituiti, ma dallo sforzo umano d'essere se stesso, cioè ragionevole e quindi coerente a sé, donde scaturisce la virtu come coerenza (homologhfa) e atto conveniente (cathécon ). ~ l'egemonico che acquista varie disposizioni (7tot.&~aL) e abiti (l~L\1) e diviene vizio (xotx(otv) e virtu (&pE't"ljv).Ma non ha in sé niente di irrazionale (~>.oyov): e se si dice irrazionale, ciò avviene quando per il soverchio dell'impeto ('Iii~ Op(J.lj~) divenuto predominante (xpot'rfjaotV't'L ), si lascia trasportare a qualcosa di assurdo ( &'t'67t(J)\I) contro la ragione che decide (7totpli 't'Òv otlpoU\I't'ot Myov lxq;épc't'otL). La passione, infatti, non è che ragione (Myo~) guasta (7tOV't)p6c;) e dissoluta (&x6>.ota-ro~) che assume violenza e vigore in seguito ad un giudizio falso ed errato (Plutarco, De' vit. mor., 3, 44lc). Zenone considera la passione come volontaria e la fa derivare da un falso giudizio della ragione (Cicerone, Ac. post., I, 38).
Il vizio, dunque, è passione nel senso che è mancanza di ragione, o meglio è non capacità (non virtu) di ben pensare in cui consiste il ragionare,· per cui errare, l'errato giudizio, è un farsi prendere, un patire le rappresentazioni stesse che vanno in libertà (" Zenone, paragonando al cieco volo di uccelli spauriti la mobilità del passionale ..., sostiene che la passione è un correre sbigottito dell'anima ": Stobeo, Ecl., II, 7, l, 2); mentre il ragionare è un porre ordine (~yéo(J.otL), un confederare, legandole secondo la loro misura e implicazione, quelle medesime rappresentazioni. La virtU è una disposizione coerente, e si deve cercare per se S!tessa, non per nlcun timore o per alcuna speranza di cose esterne; e in essa consiste la felicità, in quanto l'anima è stata fatta per .la coerenza di tutta la vita (Diogene L., VII, 89) ... , onde la definizione del fine è, secondo Zenone, "viver con coerenza" (homologhia) il che vuoi dire vivere in conformità di una ragione unica e concorde, in quanto che coloro che vivono in modo contraddittorio sono infelici (Stobeo, Ecl., II, 75, 11) ... Si dice fine un bene perfetto, come si dice che è fine la coerenza; ma si dice fine anche lo scopo, come si dice che un fine è il vivere coerentemente e f.ìnr si dice l'ultimo dei beni desiderabili, al quale tutti gli altri si riportano (Stobeo, Ecl., II, 76, 16). Convenevole, cathècon [Diogene Laerzio, VII, 25,
www.scribd.com/Baruhk
219
dice che il termine fu coniato da Zenone] è quello che quando sia compiuto nell'azione, si può pienamente giustificare dinanzi alla ragione ..., per cui il vivere convenientemente, applicato all'animale ragionevole, dà la formula: "coerenza nella vita" (Cicerone, De fin., III, 58 e Stobeo, Ecl.,
II, 7, 8). Poteva di qui derivare la netta distinzione tra bene (coerenza, implicante intelligenza, temperanza, giustizia, forza d'animo) e male (incoerenza, implicante stoltezza, dissolutezza, ingiustizia, viltà), tra saggio o virtuoso e non saggio o vizioso, donde, poi, tra bene e male, i cosiddetti indifferenti (&8t!Xcpopot): vita e morte, celebrità e oscurità, dolore e piacere, ricchezza e povertà, infermità e buona salute, che possono essere promossi qualora si eleggano per ragione di preferenza, retrocessi qualora si respingano perché non preferibili (cfr. Cicerone, Acad. post., I, 36, 37; De finibus, III, 50-54, 56; Stobeo, Ecl., II, 57, 19, 84, 18, 21; Diogene L., VII, 106). . Saranno questi i temi che verranno sviluppati dalla scuola di Zenone, ma in una interpretazione piu ontologica-teologica che non logico-linguistica (Cleante), e conseguentemente in una sistemazione dottrinaria che sarà propria di Crisippo e da cui sarà poi possibile la stoicizzazione del platonismo, o, com'è stato detto, la platonizzazione dello stoicismo, in uno sviluppo, d'altra parte, della logica stoica in senso aristotelico-grammaticale mantenendosi gran parte della terminologia propria degli Stoici, ove la dialettica e la retorica serviranno da introduzione alla comprensione del tutto, dell'uno da cui tutto, in gradi necessari, proviene.
220
www.scribd.com/Baruhk
Parte seconda
Movimenti e correnti dal III secolo all'ambasceria di Critolao, Diogene di Babilonia e Carneade a Roma (155 a.C.)
www.scribd.com/Baruhk
www.scribd.com/Baruhk
Capitolo primo
Circolazione delle idee nel III secolo
l. Timone di Fliunte ad Atene. Idee e polemiche. Cultura e politica. Eurolico e Filone di Atene scettici. l primi epicurei. l primi discepoli di Zenone e le prime interpretazioni. Alexino megarico. Aristone, Erillo, Perseo stoici Timone/ il discepolo di Pirrone, giunse ad Atene, circa ne~ 275, al tempo in cui Epicuro1 che' mori nel 270 per una grave malattia renale, e Zenone, che mori - sembra si sia ucciso - nel 264/3, erano nella loro piu piena attività, circondati di discepoli e di gente che intorno all'uno o all'altro maestro costituivano già delle comunità, fedeli a un certo corpo dottrinario. Timone aveva allora cinquant'anni circa, e da una ventina, conosciuto Pirrone, se n'era fatto il propagandista. Nato a Fliunte, nella Argolide, nel 325, da giovane Timone fu danzatore e mimo, ma sui venticinque anni, recatosi a Mègara, entrò in dimestichezza con Stilpone megarico, abbandonando l'arte del saltatore e della satira di palcoscenico. L'incontro con Stilpone ·ebbe, certo, una notevole influenza nella formazione di Timone e sul suo atteggiamento criticodialettico, soprattutto per quel che riguarda l'impossibilità del giudizio e della predicazione, le cui estreme conseguenze gli furono rivelate da Pirrone, che, d'altra parte, s'era formato anch'egli entro l'atmosfera delle dispute dialettiche, proprie dei megarici. lncontiatosi con Pirrone, forse a Oropo o a Fliuntt, nel 295 circa, Timone si trasferi a Elide, presso di lui, dove soggiornò, con la moglie e con i figli, fin verso l'anno della morte del maestro (275). Poi venne ad Atene 1 Nato a Fliunte nel 325 circa, Timone da giovane fece parte di una compagnia di danzatori. Sui venticinque anni, intorno al 300, conobbe Stilpone di Megara. Abbandonata l'arte dei mimi, si trasferl a Megara per ascoltare Stilpone. Ma l'incontro decisivo fu per Timone quello con Pirrone. Timone allora, che nel frattempo era tornato a Fliunte, dove aveva preso moglie, si trasferi con la famiglia ad Elide (àrca nel 295). Viaggiò molto facendosi maestro itinerante, sl come avevano fatto i Sofisti, fincM nel 275 circa, poeo dopo la morte di Pirrone, si stabiH ad Atene, ove rimase fino alla morte. Delle ~ue opere si ricordano: Piton~, I Silli, Appar~nzt!, L~ unrazioni, Contro i firici, 11 banchmo fun~br~ di Arcerilao.
www.scribd.com/Baruhk
223
e ad Atene rimase per il resto della vita, che si concluse nel 230-225 ctrca. Non sappiamo niente di quello che nei confronti del pirronismo sia stato il pensiero genuino di Timone: o meglio, è facile che il Pirrone di cui parliamo sia in effetto la traccia delle discussioni lasciate da Timone negli ambienti stoici, epicurei e dell'Accademia. Certo è che del pirronismo egli si p,oclamò espositore e propagatore, sia oralmente - come vuole la tradizione - .;:.:! per quel che in effetto risulta dai pochi frammenti che abbiamo dei suoi scritti (Pitone, Silli, Sulle sensazionz). Ma ciò che piu colpisce in Timone - e che di lui tutti dicono da Antigono Caristo a Cicerone ad Aristocle a Diogene Laerzio - è il suo atteggiamento polemico e satirico nei confronti di ogni " filosofia " e ogni "opinione" (doxa), che non solo egli ben conosce, ma anche raggruppa per posizione, avendo senza dubbio a modello le doxografie uscite dalla scuola di Aristotele. Anzi, il tratto caratteristico di Timone, che rivela il suo inserirsi nella situazione culturale, fu, appunto, quello di far scaturire la validità e l'inoppugnabilità dell'insegnamento di Pirrone, attraverso una discussione serrata delle varie posizioni, per dimostrarne dialetticamente l'impossibilità teoretica. Q•Jesto è proprio dei Silli (in tre canti). I greci indicarono con il termine si/lo la poesia a carattere parodistico e scherzoso, che divertiva per quel che di maligno e di schernevole v'era sottinteso. Tali furono i Silli di Timone di cui possediamo 65 frammenti. Difficile è dire quale fosse la struttura dei tre canti. Si è sostenuto che i Si/li fossero una " fabula," oppure che fossero in parte (libri II e III) una parodia della nechia dell'Odissea omerica, una discesa agli inferi, dove si narrava l'incontro con le " ombre " dei filosofi (gli antichi nel Il, i moderni nel III), mentre il I libro sarebbe stato una " filosofomachia," risolventesi in una pura " logomachia," in una pura battaglia di opinioni, di pesci e pesciolini - antidogmatici e scolari - e di gente che va a pesca - stoici ed epicurei, - ma le cui reti (argomenti) sono troppo deboli per afferrare i pesci che continuamente scappano via (vedi Diels, Poet. graec. fragm.). Nel Pitone (di cui in realtà solo due possono dirsi frammenti: 80 e 81 Di.els) sembra, invece, che Timone si limitasse a esporre il pensiero di Pirrone senza far cenno ad altre filosofie, per cui si è pensato che il Pitone sia stato scritto duraf!te il soggiorno di Timone ad Elide, mentre i Si/li siano stati composti, dopo la morte di Pirrone, durante il soggiorno ad Atene, anche per la netta presa di posizione nei confronti della "catalettica " stoica, dell'insegnamento dogmatico
224
www.scribd.com/Baruhk
di Epicuro e nei confronti di Arcesilao platonico. E cosi sembra che del periodo ateniese sia il trattatello Sulle sensazioni, in cui pare che egli prendesse posizione nei confronti del valore dato alla sensazione dagli epicurei e dagli stoici. Se Pirrone aveva insegnato attraverso l'esempio e la "parola," Timone piu che teorizzare quella " parola " e quella dialettica, tendeva, particolarmente nei Silli, a dimostrarne l'efficacia, mediante la polemica e la satira, cui era sotteso un piu profondo atteggiamento critico, che non solo doveva colpire la presunzione dei " sistemi " e la mentalità dell'" unico," tipica dei professori, ma anche delineare l'importanza storica ed etica della posizione di Pirrone, il significato dell'istanza pirroniana, secondo cui tutto va sottoposto a critica, nulla va assunto se non in forma ipotetica; ogni principio cosiddetto evidente si rivela alla fine discutibile, tanto che, appunto, relativamente a quella che è la realtà, sia quella attinta mediante i sensi sia quella presup~ posta medial).te la ragione, altro non resta che l'afasia. Naturalmente dovremmç~ ora ripeterei su quanto già abbiamo detto· relativamente a Pirrone. Ciò che, invece, sembra adesso opportuno sottolineare è il fatto che Timone scrisse dei Silli. I silli erano un genere letterario a carattere popolare. La polemica di Timone va veduta sotto questo aspetto: una popolarizzazione dell'atteggiamento etico di Pirrone, che mette in crisi, mediante la parola e la satira (" non è improbabile che a svolgere questa disposizione naturale abbia contribuito il fàtto d'avere egli passato gli· anni in cui il suo carattere si andava formando in mezzo ad una gente che, col riso, col motteggio e con lo scherno, si guadagnava il pane ": Voghera, Timone e la poesia si/lografica, Padova, 1904, p. 15), i tentativi dell'alta cultura, e soprattutto la mentalità acritica dei discepoli imbambolati dietro ai maestri. Se è vero, ad esempio, che a Zenone di Cizio Timone rimprovera la fragilità degli argomenti, è altrettanto vero che gli strali piu maligni sono rivolti ai suoi "leggeri" discepoli (fr. 38-39 Diels). E cosi è indicativa la frecciata contro Arcesilao (lo scolarca dell'Accademia, con cui l'Accademia assunse caratteri scetticheggianti) rivolta al suo compiacersi di avere incantato i discepoli con i propri discorsi, i quali discepoli sono come uccelletti che restano ammaliati dallo sguardo della civetta (fr. 34 Diels). Tale, sembra, il significato di Timone, soprattutto quando se ne consideri l'azione in Atene, entro i termini di un ben preciso ambiente culturale, in un inserimento dell'originario pirronismo nella circolazione delle idee, in una discussione, di cui si rintracciano chiare le in-
www.scribd.com/Baruhk
225
fluenze, sia nell'irrigidimento difensivo della Scuola Stoica, con Cleante, che teologizzò in un corpo dottrinario assai fisso, utile alla scuola (alla setta), .in una forma di catechizzazione, quella ch'era stata la problematica logica di Zenone, sia nell'atteggiamento antistoico del megarico Alexino, il disputatore dialettico (per cui fu detto Elenchino), sia, infine, nella nuova problematica assunta con Arcesilao in seno alla vecchia Accademia. Nelle biografie antiche di Pirrone si rintracciano due precisi filoni, uno che interpreta la concezione pirroniana in chiave cinico-socratica, facendo di lui un uomo solitario, silenzioso, alieno da ogni cultura; l'altro che, invece, ne fa un uomo comprensivo e moderato, anche se polemista, che sa comprendere e vivere in ogni tipo di regime politico, ché l'uno vale l'altro, essendo tutti storicamente determinabili. Molto probabilmente il sorgere di questi due modi di interpretare la posizione di Pirrone risale ai suoi primi seguaci: a Timone di Fliunte da un lato, che sviluppò, inserendosi in una certa situazione culturale, l'aspetto dialettico e polemico, dando allo scetticismo una sua funzione critica, di non accettazione supina di alcuna dottrina; a Eurolico e Filone di Atene, dall'altro lato, che, almeno per quel pochissimo che ne sappiamo da Antigono Caristo (in Diogene Laerzio, IX, 68/9) e dallo stesso Timone (in Diogene Laerzio, IX, 69), abbandonarono ogni discussione, ogni interesse culturale, vivendo in solitudine. D'altra parte è troppo facile e storicamente falso delineare in aggruppamenti ben definiti posizioni stoiGhe da un lato (da Zenone a çleante a Crisippo) e posizioni scettiche dall'altro lato (da Timone ad Arcesilao a Carneade), in una oleografica opposizione tra filosofia positiva e filosofia negativa, accanto alle quali si delineerebbero posizioni di netto rifiuto di tutto, quali quelle di un Eurolico e di un Filone di Atene, o quella di un Aristone, discepolo di Zenone, che sarebbe tornato ad atteggiamenti cinico-megarici. In effetto la questione è ben piu complessa. L'indefinita problematica con cui si presentano le varie posizioni va considerata entro i termini di precise discussioni, che investivano anche, e soprattutto, a seconda di una o altra soluzione, la questione della condotta umana, il proprio comportamento politico, in una situazione, ad Atene in particolare, estremamente fluida. Non vanno per ciò scordate le conseguenze, cui, con un Teofrasto e uno Stratone di Lampsaco, era potuta giungere la ricerca metodologicodescrittiva di Aristotele (in Alessandria, ove, con i Tolomei, si era determinato un forte potere monarchico); l'atteggiamento dialetticoaporetico assunto dai tardi megarici e da Pirrone; la polemica di Epi-
226
www.scribd.com/Baruhk
curo ed il suo appello alla fisica di contro alla riduzione della fisica a matematica, con tutte le conseguenze politiche che tale riduzione comportava nell'atteggiamento dei platonici di stretta osservanza (dalla religione astrale alle conclusioni mistico-simboliche del sorgente orfismo platonico-pitagorico: i cosiddetti pitagorici costituivano " allora in verità non tanto una scuola filosofica, quanto una specie di framn:tassoneria morale e religiosa ": Robin, Pyrrhon, Parigi, 1944, p. 5). Sotto questo aspetto si capisce bene in che senso, almeno nel primo ventennio del III secolo, il filosofare inteso come scire venga considerato non tan~o come amore di un sapere assoluto, ma come ricerca di quelle eh-:; sono le condizioni ipotetiche che permettono di pensare la realtà, in· dipendentemente òa ogni costruzione teologica (la fisica di Stratone di Lampsaco, il tipo di ricerca di Epicuro e la sua p~lemica contro Platone e un certo Aristotele); o come ricerca delle condizioni che permettono il pensare e il parlare, per cui si istituisce a scienza la logica e la retorica, e per cui si risolve entro il discorso la stessa realtà e la condotta umana (Zenone di Cizio, con tutte le conseguenze antologiche che il rovesciamento di questa stessa posizione poteva avere in sé); o come indagine precisa e concreta delle condizioni che permettono la fondazione dell'una o dell'altra scienza, verace entro i suoi limiti, onde, apparentemente, tale ricerca poteva non turbar~ la classe al potere (in Alessandria, il fondarsi delle scienze specifiche da Euclide ad Archimede); o, sempre entro quest'atmosfera, come descrizione, indipendentemente da ogni giudizio di valore, di quelli che sono i costumi dei popoli, la loro storia (si pensi ad Ecateo di Teo, detto anche di Abdera, perché tardo epigono dell'impostazione democritea dei costumi umani, frutto di convenzione non a caso ritenuto vicino a Pierone; di lui purtroppo non abbiamo che scarsissimi frammenti e testimonianze delle sue opere sugli lperborei, sugli Egizi, su Omero ed Esiodo, dei ,suoi accenni al popolo degli Ebrei, tanto che, secondo Giuseppe Ebreo, Ecateo di Abdera avrebbe scritto un libro sugli Ebrei: cfr. Ecateo di Abdera, fr. e test. in Diels, Vors.). Non solo, ma ciascuno di questi motivi non va considerato come isolato e a sé stante, ma in una circolazione di idee e scontro di idee che venne determinando, nel corso del III secolo, da un lato l'irrigidimento di certe posizioni, dall'altro lato profondi mutamenti nel loro stesso seno. In Alessandria, per le ragioni che sappiamo, si vennero delineando i fondamenti e lo sviluppo delle singole scienze, senza che tale attività influisse direttamente sulla direzione politica dell'Egitto; in Ate-
www.scribd.com/Baruhk
227
ne, invece, anche perché, nel primo quarantennio almeno del III secolo, non si era ancora definitivamente determinato il potere dei Macedoni (solo dal 263 in poi Atene fu saldamente assoggettata ad Antigone Gonata), le conclusioni che si potevano trarre dall'insegnamento di Epicuro, in uno svincolamento del tutto dalla presunta necessità e divinità, portavano, nella polemica contro il teologismo e la superstizione astrale, su cui aveva puntato per costituire un ordine politico il Platone del X delle Leggi, e l'autore dell'Epinomide, a rivendicare da parte dell'uomo, con accenti sofistici e socratici, la libertà della propria azione in una libera costruzione della città e delle leggi; mentre l'interpretazione antologica e teologica, che Cleante dette del maestro Zenone, riconduceva, sia pure in un appello al cosmopolitismo, ad una visione teologica del tutto - anche se gli dèi della tradizione eran veduti come simboli delle leggi di natura - ove tutto si scandisce in un ritmo fatale e necessario e dove la libertà consiste in un'adeguazione del singolo al tutto stesso, in una liberazione da e non· in una libertà di. Proprio qui si rivela l'opposizione piu netta tra epicureismo e stoicismo, che ancor piu rilevante si farà in Roma, durante il I secolo a C., determinandosi in un'opposizione di carattere storicopolitico sempre piu precisa, e che si rivela dalle discussioni lunghe e serrate intorno al motivo del fato (heimarmène) e intorno a ciò che serve perché sia possibile una vita politica, sino a giungere alla molto chiara frase ciceroniana contro la tesi epicureo-lucreziana: " un simile modo di ragionare merita di esser soppresso non da qualche filosofo, ma da un censore" (De fin. bon. et mal., II, 10, 30). Ciò sembra spiegare chiaramente come fin dal principio, in Atene, epicureismo e stoicismo abbiano, da parte dei discepoli di Epicuro e di Zenone, significato una scelta politica, l'una o l'altra scuola divenendo col tempo veri e propri partiti politici. Certo, a prima vista, tale funzione sembra piu facile a capire per l'epicureismo, dato il suo appello, attraverso la liberazione dalla superstizione e dalla religio, alla libera - e comune a tutti - costruzione della propria condizione umana. Solo che proprio questo atteggiamento dell'epicureismo, nonostante la propagazione ~he ne fecero i discepoli in tutte le parti del mondo ("l'amicizia danza intorno al mondo abitato intimandoci di svegliarci e di partecipare alla vita beata," aveva esclamato Epicuro), venne sempre ostacolato da chi aveva in mano il potere, e non a caso Plutarco, scrivendo contro Colate, immediato discepolo di Epicuro, poteva dire: " La religione è ciò che unisce e tiene insieme la società umana, è il fondamento, il sostegno, la base di tutte le leggi che, in-
228
www.scribd.com/Baruhk
vece, gli epicurei sovvertono e sconvolgono completamente" (Contra Colot., 1125e, 13-17 Bernardakis). In tal senso, certo, fin dal. principio si dovette svolgere la propaganda epicurea, piu che in una 'rielaborazione del genuino pensiero di Epicuro, da parte delle comunità di amici epicurei -- a Lampsaco, a Mitilene, a Atene - e da parte dei primi scolarchi del " giardino," dei quali quasi tutto è andato perduto, probabilmente perché essi costituirono, nel complesso della cultura greca del III secolo, la minoranza. Dei fratelli di Epicuro Neocle, Cheredemo, Aristobulo, dello schiavo Mys, che furono tra i primi a vivere insieme a Epicuro non sappiamo nulla; Metrodoro di Lampsaco, il piu caro discepolo di Epicuro, di cui Epicuro parla anche nel suo testamento, e il matematico Polieno, che Epicuro convinse ad abbandonare la matematica per la fisica, morirono prima del maestro. Non piu che nomi sono quelli di Idomeneo che sposò Bastide, figlia di Metrodoro di Lampsa.co, di Leonteo di Lampsaco e di s4a moglie T emistia, di Colate, per il quale non si sarebbe potuto vivere senza il conforto della filosofia di Epicuro, e contro il quale scrisse Plutarco, attraverso cui sappiamo dell'antiplatonismo di Colate, ugualmente critico dell'Aristotele platonico. E cosi sappiamo pochissimo del primo scolarca del " giardino," Ermarco di Mitilene, che fu l'esecutore del testamento di Epicuro, e dei suoi successori, in ordine di tempo, Polistrato (avrebbe scritto un'opera Ilepl &Myou XIX't'IX
www.scribd.com/Baruhk
229
Alexino contraffà il ragionamento di Zenone, a questo modo: Ciò che è poetico è superiore a ciò che non è poetico, ciò che è grammatico a ciò che non è grammatico, e ciò che si contempla conforme alle altre parti è superiore a ciò che non è tale; ma niente è superiore al mondo: dunque il mondo è poeta e grammatico. Alla qual canzonatura cos1 risponde Aristone·: Zenone intese " superiore " in senso unico (-rò XIX·IhhtiX!;) quando diceva che il dotato di ragione è superiore al privo di ragione, l'intelligente al non intelligente, l'animato all'inanimato. Non cosi Alexino: perché non in senso unico il poetico è superiore al non poetico e il letterato al noni letterato. Per esempio Archiloco, che è poeta, non è superiore a Socrate che non è poeta (Sesto Emp., Adv. math., IX, 108-109). Accettato che davvero in Zenone ci sia un passaggio dal p1ano logico a quello antologico, esatta sembra la critica di Alexino, anche se in forma sofistica, ché la molto acuta precisazione di Aristone non confuta la validità della tesi di Alexino secondo la quale, appunto, non c'è passaggio dall'uno all'altro piano, poiché anche assumendo che entro certi termini possano rientrare. tutti gli altri, in " senso unico," non è men vero ·che tra quei termini stessi e una loro presunta essenzialità, resta il diaframma dell'idea, cioè della parola, per cui i termini non possono esser presi :n senso assoluto, per cui poetico e grammatico valgono tanto quanto intelligente, animato e cosi via. D'altra parte, proprio tale divieto logico-linguistico al passaggio scolaro di Zenone:, si allontanò dalla Stoà, per accostarsi dapprima allo scolarca dell'Accademia Polemone, poi per foudare una propria scuola nel Cinosarge. Degli scritti .:; lui si son conservati frammenti delle Lezioni, dei Paragoni, delle Repliche alle critiche di Aierino. Anche di Erillo, n:ltivo di Cartagine, abbiamo informazioni scarsissime, sia sulla sua vita sia 5•.tl)e opere. Anche Erillo, come Aristone, si allontanò dalla Stoà. Tra gli stoici, discepoli di Zenone, che abbandonarono la scuola, è anche Dionigi di Eracle1, nominato il " disertore," del quale non possiamo piu fare che il nome. Qualche frammento di piu abbiamo degli scritti di Perseo. Non sappiamo con cer· tezza se Petseo fosse nativo di Cizio, come il maestro Zenone. Certo fu in grande in· timità con Zenone. Richiesto da Antigono Gonata, Perseo si recò alla corte di Pella, ove, oltre ad essere maestro del figlio di Antigono, ordinò una notevole biblioteca divenendo quindi anche consigliere politico del re. " Tra le imprese memorande di Arato di Sicione fu il colpo di mano con cui egli si impadroni di Corinto (242 a.C.) che era allora in possesso di Antigono e difesa da un presidio di macedoni con a capo il filosofo Perseo. Quando la rocca fu e>pugnata, Perseo riparò a Kencre e di H raggiunse Antigono. Se· condo altri egli fu ucciso in quel combattimento" (Pausania, II, 8, 4, VII, 8, 3; Plutarco, Vita Arati, l 8,23: Arnim l, 442-43). Secondo l'In der Stoic. Herc., col XV Perseo incontrò morte gloriosa combattendo contro i traci. Degli scritti di Perseo abbiamo alcuni fr3mmenti di opere Sugli de'i, sui Conviti, Sullo Stato di Sporta.
230
www.scribd.com/Baruhk
dal piano del discorso al piano antologico, passaggio dogmaticamente operato, invece, dall'interpretazione che di Zenone dava Cleante, portò Aristone ad allontanarsi dallo stoicismo della scuola e a fargli interpretare lo zenonismo in chiave socratico-cinica, in un netto accantonamento di ogni ricerca intorno a quella che sia l'essenza della realtà, in un rifiuto della natura. La filosofia - dice Aristone - deve occuparsi soltanto delle questioni morali. Queste infatti sono possibili e utili; laddove le ricerche intorno alla natura, tutt'al contrario, non sono conclusive, e poi, se anche ci si vedesse chiaro, non avrebbero in sé alcuna utilità... A V!!Va ragione Socrate di dire che le cose in parte sono sopra di noi e in parte non ci riguardano... Solo le cose umane ci riguardano (Eusebio, Praep. ev., XV, 62, 7). Il fin= che il sapiente deve proporsi è di vivere con assoluta indifferenza (ci8toc(j)6pwç ~XOVTOC ~!fjv) rispetto a tutto ciò che si trova nel mezzo tra la virtU e la nequizia, senza far la minima distinzione, ma serbandosi uguale di fronte a ogni cosa; perché il sapiente rassomiglia a un attore bravo, che, o faccia la parte di Tersite o quella di Agamennone, l'una e l'altra recita a dovere (Diogene L., VII, 160). Lo zenonismo cinico, proprio di Aristone, che tornava ad una delle fonti di Zenone, Cratete, se da un lato chiarisce l'atteggiamento di rigido moralismo di Aristone, dall'altro lato rende conto dell'insinuarsi, piu tardi, in seno allo stoicismo ortodosso, di venature ciniche, come sarà il caso di Epitteto. Di un altro immediato discepolo di Zenone, Erillo di Cartagine, sappiamo che dello zenonismo soprattutto approfondi l'aspetto morale, anche egli non occupandosi della realtà. Erillo, a differenza di Aristone, non pone un taglio netto tra bene e non bene, ma cerca di risolvere in beni, se ragionevolmente accolti, quelli che vengono detti dalla scuola oggetti indifferenti (adùifora), che costituiscono fini, sia pur di tipo inferiore (\monÀ(ç)rispetto al fine della scienza(&mcrT/ltJ.'I)),ma sempre fini, in quanto ad essi tende la natura umana, e sono beni qualora si realizzino secondo ragione (cfr. Cicerone, De fin., IV, 15, 40; Diogene L., VII, 165; Stobeo, Ecl., II, 60). E cosi se è chiaro perché si sia detto che Aristone abbandonò la Stoà per tornare al Cinosarge, è altrettanto evidente perché sia stato detto che Erillo abbandonò la Stoà per andare verso l'interpretazione che il Peripato aveva dato dell'etica aristotelica. Troppo poco sappiamo di Dionigi d'Eraclea per renderei conto del perché la scuola stoica l'abbia chiamato il "disertore," né la semplice notizia ch'egli dallo zenonismo sia passato ad Epicuro o ai Cirenaici,
www.scribd.com/Baruhk
231
basta per chiarire un altro aspetto delle possibili interpretazioni della posizione di Zenone, tutte evidentemente in contrasto con quella di Cleante (cfr. Diogene L., VII, 166; Ateneo, VII, 281d). Certo, se avessimo a disposizione piu ampii frammenti dell'opera dedicata da Zenone allo Stato, potremmo meglio renderei conto se l'ordine e la misura conquistati attraverso il ben pensare - che è ben parlare - corrispondano o meno a un ordine in sé delle cose, ad una razionalità universale e divina, su cui ha da scandirsi anche l'ordine politico, oppure se quell'ordine e quella misura sono dovuti, in senso socratico, al retto ragionare dell'uomo, tagliando via alla radice ogni or'dine presupposto e divino. Senza dubbio dal piano di un ordine razionale, dovuto alla naturale ragionevolezza umana, si giungeva chiaramente a una tesi cosmopolitica, senza distinzioni di patrie e di razze, ché, se la umana e naturale ragione è ben condotta, istituisce rapporti e misure, una giustizia corrispondente a un discorso fatto bene, non errato, ove il comando e il criterio di obbligatorietà alla legge non viene dal difuori o dall'alto, ma è il frutto dello stesso ben pensare. Sembra che Zenone abbia scritto la sua Politèia per confutare quella di Platone (Plutarco, De St. Rep., 1034 F), ed alcuni frammenti riportati da Stobeo, sembra si possano interpretare nel senso che abbiamo ora detto (cfr. fr. in Festa}. Solo che altre testimonianze - si tenga presente che son di Plutarco - porterebbero a interpretare il cosmopolitismo di Zenone nel senso opposto, cioè nel senso di un universale razionalismo metafisica, per cui all'uomo non spetta altro che adeguarsi, liberandosi dalla propria individualità, a quell'ordine stesso. Di fatto sappiamo che Antigono Gonata di Macedonia invitò Zenone alla propria corte, che Zenone rifiutò e che mandò in sua vece uno dei discepoli piu intimi, forse schiavo nato in casa sua e da lui allevato, Perseo, figlio di Demetrio, nativo di Cizio (Diogene L., VII, 36; Suda, s. v.; lndex Stoic. Herc., col. XII, 3; Gellio, Noct. Att., II, 18, 8}, che fu accompagnato da un altro discepolo di Zenone, Filonide, e dal poeta Arato (Diog. L., VII, 6, 9). Perseo divenne ben presto familiare del sovrano, ne educò il figlio Alcioneo, ordinò in Pella una biblioteca, che fu costituita in gran parte di libri stoici. (fu questa biblioteca che dopo la battaglia di Pidna, 168, venne portata a Roma da Emilio Paolo divenendone patrimonio personale, passando quindi a Fabio Massimo Emiliano e a Sci pio ne Emiliano: essa " ebbe un'importanza decisiva nello sviluppo della cultura letteraria e filosofica del cosiddetto cenacolo dell'Emiliano": F. Della Corte, Stoicismo in Mace-
232
www.scribd.com/Baruhk
donia e in Roma, in Studi di filosofia greca, Bari, 1950, p. 311; e fu uno dei veicoli dell'introduzione dello stoicismo a Roma). Perseo si adeguò alla mondanità cortigiana, cambiando la sua vita di filosofo in quella di cortigiano (Index Stoic. Herc., col. XIII)', comandò eserciti del re e morì o combattendo contro Arato di Sicione durante la difesa ddl'acropoli di Corinto nel 242 (Pausania, Il, 8, 4), o combattendo contro i traci (lndex Stoic. Herc., col. XV). Probabilmente Antigono Gonata, ripreso il suo potere in Macedonia e in Grecia, dopo le lotte contro Pirro re dell'Epiro (274), mediante il giuoco delle leghe e delle egemonie, ritenne opportuno dare un significato culturale alla sua P,olitica egemonico-imperiale e, su imitazione degli avversari sovrani di Egitto, far di Pella un centro di cultura da opporre ad Alessandria, ripetendo per il figlio Alcioneo, quello che con Aristotele aveva fatto Filippo di Macedonia per Alessandro. Ma a parte queste, che non sono che ip~tesi, resta che Antigono Gonata, piuttosto che rivolgersi ad Epicuro o alla scuola epicurea, piuttosto che rivolgersi ad altri pensatori celebri allora in Atene, si sia rivolto a Zenone, e, avendo Zenone rifiutato, abbia accettato un suo discepolo. Non sappiamo quanto abbia potuto giuocare presso il Gonata il possibile ideale stoico di un'egemonia tra gli stati, specchio della funzione egemonica dell'unica ragione, che, impersonata dal sovrano, poteva assumere il significato di un non trascurabile strumento politico, nel tentativo di unificare gli stati greci definitivamente sotto la Macedonia. Ad ogni modo, e comunque si sia poi svolta la stor:a sotto il governo del Gonata, non poco indicativa sembra sia stata la sua scelta. Ma altrettanto indicativa di un opposto modo di interpretare la. condotta e la vita politica dello zenonismo è la notizia che l'ultima ribellione di Atene ad Antigono Gonata, avvenuta nel 266, fu capeggiata dallo stoico Cremonide, ribellione che durò fino al 263, anno in cui il Gonata definitivamente riusd ad avere in mano la Macedonia e l'egemonia sulla Grecia, nonostante la netta ostilità dr.l Peloponneso, mentre Cremonide si rifugiava presso la corte dei Tolomei.
2. Cleante primo sco/arca della Stoà. Arcesilao e la Media Accademia a) Cleante. Cleante, 4 nato ad Asso nella Troade - non si sa quando, - che fu per diciotto anni scolaro di Zenone - dal 282, 4
Nato ad Asso, nella Troade, non si sa esJttamente quando (tra il 330 e il 320),
www.scribd.com/Baruhk
233
l'anno in cui venne ad Atene, al 264, l'anno della morte di Zenone e che successe a Zenone nella direzione della Scuola ch'egli tenne fino alla morte (232 circa), fu scelto da Zenone non tanto per la sua intelligenza e originalità - sembra fosse piuttosto ottuso: cfr. Diogene L., VII, 170, - quanto perché fedelissimo discepolo che riferiva con estremo zelo l'insegnamento del maestro (cfr. Diogene L., VII, 1-1). Sembra, anzi, che alle sottili critiche contro lo zenonismo, da un lato svolte da Alexino e dai pirroniani, dall'altro lato dagli Epicurei, Cleante abbia risposto opponendo il blocco della concezione zenoniana, oltrepassando cos{ le difficoltà implicite nella logica di Zenone, in una semplificazione della problematica zenoniana, che se prestò meglio il fianco alle obbiezioni dei dialettici, serv1 di piu alla Scuola, determinando quel complesso dottrinario che costitu1 poi la vera e propria tradizione stoica. Se Zenone aveva risolto tutta la realtà entro i termini del discorso, per cui l'oggetto stesso era in quanto presente alla coscienza, e l'ordine delle cose medesime si costituiva mediante rapporti dovuti alla memoria, Cleante - e ciò è documentato: Diogene L., VII, l, 50; Sesto Emp., Adv. math., VII, 229-231, 372-373 - interpretando l'impressione di Zenone non come modificazione dell'anima, ma come diretta impressione dell'oggetto, " come l'impronta che si fa con i sigilli sulla cera " (Diog. L., VII, 46; Sesto Emp., Adv. math., VII, 228, 372; VIII, 400; lpot. Pirr., II, 70), essendo l'anima una "specie di carta bianca su cui viene a registrarsi ciascuna delle nozioni " (Aezi:o, Plac., IV, 11), semplificando tina delle tesi piu acute di Zenone, poneva lo zenonismo su di una via ben lontana da quella che Zenone aveva battuto, facendo risorgere lo spettro dell'oggetto in sé, che mediante la sensazione s'imprime nel soggetto, onde, se evidente è la sensazione, il soggetto af!~rra l'oggetto quale esso è, assentendo alla sua verità. Posta cos1 la questione, è chiaro che tutto ciò che è presente ,alla Cleante che da giovane, nella sua patria, si dice fusse pugile, giunto ad Atene con solo quattro dramme, lavorò sodo, di notte, al servizio di un ortolano, per potersi permettere il lusso di ascoltare Zenone. È, certo, questo, un aneddoto coniato per dimostrare la ru· dezza e la fatica proprie della ideale virtU stoica, ravvicinata poi ali 'ideale cinico. Non a caso Cleante fu detto " Ercole," il patrono dei cinici. Di Cleante sappiamo molto poco, se non che fu zelante discepolo di Zenone e suo fedele ripetitore. Successo a Zenone nello scolarcato, mori ad Atene nel 232 circa. Degli scritti di Cleante possediamo non molti .frammenti. Tra i titoli delle sue opere si ricordano: Sul tempo, Sulla fisiologia di Zenone, Su Eraclito, Sul senso, Sull'arte, Contro Democrito, Contro Aristarco, Contro Erillo, Sui desideri, Archeologia, Sugli dèi, sul dot1ere, sulle tJirtu, Il politico, e cosi via; tutti titoli incertissimi. Possediamo di lui alcuni frammenti di logica, di grammatica e retorica, di fisica, di teologia, di polemica, di etica.
234
www.scribd.com/Baruhk
coscienza corrisponde esattamente al reale, per cui non è piu il discorso che risolve in sé la realtà, ma è il discorso che, in quanto scoperto nella sua attività intima, corrisponde al discorso del reale. E poiché secondo Zenone i termini che permettono il discorso sono l'egemonico da un lato, come esperienza, non oltre riducibile, di una attività unificatrice, e i nomi-oggetti come dati che si presentano con forza alla coscienza (hyparchon ), né l'uno né l'altro esistenti per sé, ma nella meccanica mnemonica del discorso, solo analogicamente condizioni (principio attivo c passivo) dalla cui tensione (t6nos) scaturisce la realtà, Cleante, interpretata la fantasia catalettica come presenza, mediante l'impressione, dello stesso oggetto reale, poteva giungere a sostenere la tesi che il principio attivo (soffio vitale) e il prin-, cipio passivo (materia) sono enti per sé dalla cui tensione scaturisce il discorso della reald. Non a caso, infatti, mentre Zenone non definisce mai il luogo dell'egemonico, Cleante può sostenere che l'egemonico è il sole (" l'egemonico dd mondo è il sole, in quanto è il piu grande degli astri e quello che massimamente conferisce al governo dell'universo, dando origine al giorno, all'anno e alle stagioni ": Eusebio, Praep. ev., XV, 15, 7). Con Cleante l'egemonico, che in Zenone non è da identificarsi con la ragione, il l6gos, diviene, in quanto principio attivo (poioùn ), il L6gos divino, il fuoco, che· tutto di sé permea, informando di sé, dando le proprie ragioni seminali (l6goi spermatik6t) al principio passivo (paschon ), alla materia per sé inerte e pura quantità, onde la materia è la sostanza (hypokéimenon), dalla cui tensione col principio attivo e seminante, Dio, si causano tutte le determinazioni, il discorso della realtà. Sostrato la materia, causa Dio: Dio dà vita e significato a tutto; Dio o fuoco, in quanto pneuma caldo, vitale, Dio è il seme, la ragione seminale (l6gos spermatìk6s) donde tutte le cose assumono la loro ragione, il loro perché, il loro seme divino che, appunto, le fa essere e sviluppare, per cui Dio presente a tutte le cose, pur non essendo nessuna delle cose, è l'essenza di tutte, cioè della natura. " Natura naturata," diremmo, i corpi e le cose, aventi ciascuno la propria ragione, ciascuno nel suo determinarsi assumendo la propria qualità; "natura naturans" il divino, il pneuma, il l6gos che come seme unico che dal di dentro si espande differenzia la materia nelle singole qualità, per cui ogni cosa diviene quella che è, diversa dall'altra, mai uguale ad altra, mantenendo comunque il tutto unito nella tensione dei due termini, in una visione del cosmo simile a grande organismo vivente, ove ogni parte quanto piu è se stessa, tanto piu realizza l'unità del tutto.
www.scribd.com/Baruhk
235
Dio, dunque, natura, ragion d'essere (l6gos) e causa, legge, in quanto principio di vita, attivo, del tutto, è ad un tempo l'anima del mondo, onde l'uomo, in quanto essere vivente e animato, razionale, ha nell'universo una posizione media tra la natura divin.a e la natura materiale, e la sua essenza, la sua piu vera natura è la ragione, e il SlJ(} esserci è tensione. Entro questa visione ontologica-cosmologica, monistica, si capisce come il mondo uno non abbia storia, o meglio la sua storia sia il suo fatale scandirsi, in una catena ·di cause e di effetti (fatoheimarmène), del necessario ritmo del definirsi e distinguersi delle cose dall'originario fuoco, principio attivo, che si espande e si rivela a se stesso nella materia, fino al ritorno del tutto al fuoco (conflagrazione: ekpirosù), in un chiudersi del circolo, ch'eternamente ruota, per cui tutto eternamente ritornerà, fatalmente tutto si ripeterà. Dal fuoco al fuoco, entro i due termini del ciclo, si scandiscono i vari momenti del processo della realtà: terra (condensamento e· appesantimento della materia prima); aria, umidità, acqua e infine fuoço (assottigliamento della materia); aria e fuoco sono elementi attivi; terra e aèqua sono passivi. Tutto il mondo con le sue parti chiamano dio; questo dicono che sia uno, determinato, vivente ed eterno. In esso sono compresi tutti i corpi, ed il vuoto non esiste in esso. Chiamano dio la qualità della sostanza universale, e non ciò che ha un certo ordine secondo la distribuzione: degli elementi. Perciò, secondo la prima accezione, dicono che 'il mondo è eterno e dio. Il mondo è composto· dal cielo, dall'a.ia, dalla terra e dal mare e dalle nature che si trovano in questi; il cosmo è il luogo dove abitano dì:i ed uomini, e perciò è un composto di tutte queste cose ... Il mondo in un certo modq è una città che consta di dèi e di uomini; di dèi che vi hanno il comando e di uomini che sono sudditi. Vi è una relazione reciproca, poiché tutti partecipano della ragione e questa è legge di natura: tutte le altre cose sono a causa di queste. In conseguenza di ciò bisogna credere che dio, il quale ordina tutte le cose umane, le preveda, e sia benefattore degli uomini e utile a loro, filantropo e giusto, e abbia insomma tutte le virtu. Perciò il mondo è chiamato anche Zeus, poiché è per noi la causa della vita vivere. In quanto per la suddetta ragione facendo derivare Zeus da Zdo dispone immutabilmente ogni cosa dall'eternità, viene chiamato destino. Inoltre viene chiamato Adrastea, poiché non v'è cosa, che possa sfuggirgli; è chiamato provvidenza, poiché governa ogni cosa secondo utilità (Ario Didimo, in Eusebio, Praep. Ev-, XV, 15).
=
Dopo che l'universo è andato in fiamme, si rassoda per prima la sua parte centrale, e poi di mano in mano, procedendo da quella, si spenge il
236
www.scribd.com/Baruhk
tutto. Divenuto poi liquido il tutto, anche l'ultimo avanzo del fuoco, per la resistenza che gli oppone il centro, si muta nel suo contrario, e cosi mutato si espande in alto e comincia a ordinare e a disporre il tutto. E mentre esso compie un siffatto ciclo perennemente e dispone il mondo, non cessa mai la tensione propria della sostanza universale. Come di ogni individuo tutte le singole parti si producono dal seme nei periodi di tempo assegnati, cosi le parti dell'universo, tra le quali vengono a trovarsi gli animali e le piante, si producono nei tempi stabiliti. E come certi elementi delle parti, incontrandosi nel seme, si mescolano, e poi si separano di nuovo nel formarsi di esse parti, cosi da un seme unico nascono le cose tutte, e tutte si fondono in uno, svolgendosi il ciclo in modo regolare e armonico (Ario Didimo, in Stobeo, Ecl., I, 17, 3, p. 153, 7 W.). La realtà, dunque, si ordina da Dio a Dio, principio e fine, legge del tutto, onde tutto, nel ritmo ciclico, essendo là dove è bene che sia per il necessario compimento del tutto, tutto è bene, è come doveva essere, provvidenzialmente: " ciò che avviene per disposizione della Provvidenza avviene anche fatalmente" (Calcidio, Commento al Timeo, c. 144); "tutti gli dèi nascono e muoiono, tranne il Dio supremo, Zeus, che s'identifica con il fuoco eterno, e permane attraverso le conflagrazioni e i successivi rinnovamenti dell'universo" (Plutarco, De comm. notitiis, 1075 a), mentre le "anime de( trapassati continuano a vivere fino alla prossima conflagrazione " (Diogene L., VII, 157), nel necessario ritmo dell'universo divino, " di cui la divinità suprema è la ragione, il l6gos " (Cicerone, De natttra deor., I, 37); " Mondo è lo stesso Dio, che è la qualità propria di ogni sostanza, immortale e ingenerato, facitore dell'ordine universale e che, secondo i cicli dei tempi, consuma in sé tutta la realtà e di nuovo da sé la genera " (Diogene L., VII, 37). Di questa traduzione dello zenonismo in termini teologici da parte di Cleante, per cui, appunto, Cleante tra le .parti della filosofia, che sembra sia stato egli a definire " eserciziò de1l'arte necessaria alla sapienza, scienza delle cose divine e umane ,. (Aezio, Placita, proemio, 2), poneva la teologia (Diogene L., VII, 41), definendo la logica çome arte mediante cui si scopre la logica del tutto, anteponendo cos1 la fisica all'etica, avente, al contrario che in Zenone, il suo fondamento sulla conoscenza dell'ordine e della ragione del tutto; di tale interpretazione teologica di Cleante il miglior documento è il suo celebre inno a Zeus, riportato da Stobeo (Bel., I, l, 12, p. 25): O glorioso piu di ogni altro, o somma / potenza eterna, Dio dai molti nomi l Zeus, guida e signor della Natura, l tu che con Legge l'universo
www.scribd.com/Baruhk
237
reggi, l salve! poiché a te porgere il saluto l è diritto in ciascun di noi mortali: l di tua stirpe noi siamo, e la parola l come riflesso di tua men~e abbiamo, l soli fra tutti gli esseri animati l che sulla nostra terra han vita e moto. l A te dal labbro mio, dunque si levi l l'inno, e che io canti il tuo poterei l A te tutto il mirabile universo l che ruota intorno a questa terra ognora, .l obbedisce, da te guidar si lascia l e del comando tuo fa il suo volere: l tale strumento, nelle invitte mani, l hai di tua possa il fulmine forcuto, l tutto il fuoco sempre acceso e vivo, l sotto i cui colpi la Natura tutta l compie le opere sue ad una ad una. l E con esso dirigi la Ragione l comun, che in tutti penetra, toccando l del pari il grande ed i minori lumi: l e per esso, Signor, tu cosi grande, l hai l'alta signoria in ogni tempo. l Nessuna, sulla terra, opra si compie, l Dio, senza te; né per la sacra sfera l dell'ampio cieJ, né tra i marini gorghi; l salvo quelle che spiriti perversi l fanno seguendo lor consigli stolti. 1 Ma pur gli eccessi livellar tu sai, l dar ordine al disordine; son care l a te le creature a te nemiche: l il tutto, insieme, in armonia, Si; gnore, l hai tu raccolto, il bene, il mal, per modo l .che una sola Ragione, unica in tutti, l si volge e vive per .l'eternità. l Se non che da lei partonsi fuggendo l quei mortali dall'anima corrotta, l miseri! che pur vanno in ogni tempo l cercando d'acquistare il loro bene, 1 ma non vedon la Legge universale l di Dio, e piu non odon la sua voce; l ché se quella seguissero con senno, l goder potrebber la piu bella vita. l Ma da sé ciascheduno or questo cerca, l or quel malanno, nella sua stoltezza: l chi per acquistar fama, in aspre gare l d'ambiziose cure è tutto preso; l e chi al guadagno volge i suoi pensieri l senza ritegno e senza alcun decoro; l e chi cerca una vita inoperosa, l e per godere ogni piacer carnale, l ora all'uno portato ed ora all'altro, l insaziato, insoddisfatto, sempre, l intanto il folle fa ogni studio e cura / che tutto contro il suo desio gli avvenga. l Ma tu, dispensator di tutti i beni, l Signor dei nembi e dell'accesa folgore l gli uomini tutti dall'errar distogli, l e l'ignoranza che a soffrir li mena, l o Padre, tu dall'anima disperdi l a ciascuno, e fa' si che ognun raggiunga l il tuo pensier, sul qual poggiando reggi l con la Giustizia l'universo intero; l si che, di tale onor da te degnàti, l noi ti rendiamo a nostra volta onore, l celebrando negl'inni senza fine l l'opere tue, cosi come s'addice l al mortale. Non c'è pregio piu alto l per gli uomini del pari e per gli dèi l che inneggiando lodar come si deve l la comun Legge che governa il mondo .. (trad. Festa). Se l'inno a Zeus, che chiaramente suona come una preghiera ed un atto di fede e di volontà, fu scritto in funzione della Scuola, esso rivela da un lato un profondo sentimento di dipendenza (religio)· dal divino principio di vita (Zeus),_ dallà "comune Legge che governa il mondo, " che " il tutto insieme raccoglie, il bene e il male, in armo-
238
www.scribd.com/Baruhk
nia," e dall'altro lato, il motivo piu originale di Cleante, che, ribaltando la concezione di Zenone, avrà poi la massima influenza nello stoicismù posteriore: il concetto di un Dio uno, che non è, ma è in quanto, come padre nei figli, si rivela nel circolo del tempo, negli eventi, spirito vitale la cui manifestazione è l'ordine del tutto, onde Dio e Legge e Logos coincidono nello scandirsi necessario del tutto. Certo in quel Dio padre, che ordina secondo la legge, la cui volontà è la legge stessa, la sua stessa necessità, se da un lato è da vedere, piu nell'espressione che nel concetto, un ricordo del Timeo platonico (ed in tal senso il Timeo verrà interpretato nel commento di Calcidio), in cui tutta la realtà fisica si risolve in termini matematico-geometrici, dall'altro lato è da vedere proprio un rovesciamento della concezione platonica, in una risoluzione della legge-modello, astratta, nella stessa realizzazione della legge, tale nel costituirsi e differenziarsi della realtà, in un succedersi di eventi, l'uno legato all'altro, in funzione del tutto (e sarà in tal senso, che verrà interpretato l'aspetto della teologia platonica). Tale visione implicava, a sua volta, nell'interpretazione dell'etica zenoniana, una concezione del modo con cui l'uomo ha da realizzare se stesso, in cui consiste - secondo il canone proprio del pensiero greco - il bene e la felicità, rovesciata rispetto a quella ch'era la " coerenza " di Zenone, e che si esprimeva nel noto appello: "vivi secondo ragione." Eliminato il soggetto e l'oggetto nella tensione che costituisce la realtà come discorso, divenuta la ragione il discorso medesimo, per Zenone la realizzazione di sé sta nel realizzarsi come discorso, che non è affatto ';In adeguarsi a un inesistente ordine per sé, ma un costituirsi come retto ragionamento, per cui pensare bene e vivere bene sono la stessa cosa: tale, sembra, il significato dell'espressione: vivi secondo ragione. In Cleante, invece, con cui il soggetto e l'oggetto sono eliminati nel senso che il soggetto si annulla nell'oggetto, e viene ad essere momento dello scandirsi del tutto, momento della ragione e dell'anima dell'universo, realizzare se stesso, attuare pienamente la propria natura, consiste si in un ben pensare, ma dove il ben pensare, la " coerenza," è adeguarsi al necessario discorso del tutto, alla " coerenza," che è il behe, con cui il tutto appare. Non a caso, cosi, l'espressione zenoniana " vivi secondo ragione," si trasforma in Cleante nell'espressione "vivi secondo natura." Tutto in natura, e tutto è natura, avviene come deve avvenire, come è bene che sia, secondo legge, in una serie di eventi e di momenti, ognuno dei quali è quello che è, e che realizzandosi, conservando se stesso, realizza e conserva il tutto, Dio, cioè la ragione, il bene. Solo che se tutto avviene come deve avvenire, tutto si
www.scribd.com/Baruhk
239
realizza (in quanto realizzazione di Dio nella Legge) da sé, necessariamente, naturalmente, onde tutto è natura, e quindi tutto è bene. E allora, posto cosi decisamente un contenuto, un valore, la virtu non sta tanto nell'attuare, nel costruire un ordine che non è in sé, o nell'adeguarsi a un ordine posto come dover essere, ma nella consapevolezza o meno della Legge, della necessità, per cui agire bene o realizzare se stesso, non sta tanto in ciò che facciamo, ma nel come lo facciamo. Guidami, o Zeus, e tu, Destino, al termine, qual esso sia, che di assegnarmi piacquevi; seguirò pronto, ché se poi m'indugio, per esser vile, pur dovrò raggiungervi (Epitteto, Manuale, 53). Posto che il bene è l'ordine con cui tutto si scandisce, l'armonia, per cui in sé non v'è male, che tutto è lo stesso avvenire di Dio, ta virtu, in quanto vivere bene, consiste appunto nel vivere secondo natura, cioè accettando la natura, o meglio sapendo che tutto avviene come deve avvenire; il vizio, invece, consiste in un errore di prospettiva, nel credere reali le cose accanto alle cose, nel dare piu valore ad una che ad un'altra, nell'immediata visione di una realtà senza nessi, senza legge, per cui valutando piu una cosa di un'altra, si è presi piu dall'una che dall'altra, si patiscono le cose (passioni), in quanto non se n'è compresa la natura, cioè la ragione e la legge, non s'è compresa delle cose la coerenza e concordanza. E allora vivere secondo natura significa vivere secondo quella ragione che è in noi specchio della ragione universale, vivere comprendendo, razionalmente secondo la rettitudine del tutto. "Nel principio: seguire la natura, dobbiamo intendere la natura universale " (Diogene L., VII, 89). Gli affetti nascono dal noa comprendere, dal non sapere, per cui siamo un insieme di rappresmtazioni disperse, non ordinate, siamo una molteplicità e non unità: in tal caso, perciò, non viviamo secondo l'impulso, l'istinto naturale, che ci porta a conservare noi stessi, cioè a mantenere l'ordine della natura stessa. Gli affetti sono dovuti a rappresentazioni inadeguate, che impediscono di cogliere le cose nel loro ordine, per cui abbiamo un complesso di false gioie, di false ripugnanze, e cosi via. Il peccato, il vizio, consistono nell'abbandonarsi ai moti immediati dell'anima, per una inadeguata rappresentazione: passivi nei confronti delle rappresentazioni, patiamo anche noi stessi. Peccare è, dunque, errare, in quanto si dà troppo presto l'assenso, in quanto non sospendiamo prima il giudizio (epoché: il concetto e il termine erano già stati usati da Zenone), anzi lo
240
www.scribd.com/Baruhk
precipitiamo e dall'affrettato assenso si producono rappresentazioni inadeguate, che ci prendono; di qui, gli affetti, le passioni, che consistono, dunque, in una oscura visione delle cose. Se tale è il vizio, virtu è conoscenza, è giusto assenso, e sotto questo aspetto è conoscenza che è ad un tempo volontà, per cui mediante la virtu ci liberiamo dalle passioni (onde virtu è " apatia," libertà dalle passioni), che non è negazione delle passioni come opposte a ragione e a conoscenza, ma è soluzione delle passioni (inadeguatezza e oscurità) in un'adeguata visione, che coincide con la concordanza e la rettitudine della Legge. Ne viene che la stessa ragione, in quanto articolarsi di rappresentazioni adeguate, è armonia di passioni, in una sola passione che è appetito (volontà) per la Legge e per il Bene, ché nella visione adeguata dell'ordine non siamo piu presi da una cosa piuttosto che da un'altra, non amiamo o odiamo una cosa piu di un'altra, ma tutto amiamo dello stesso amore, in Dio. Uno, dunque, è il bene e uno il male: soggettivamente il bene e il male non esistono per sé, che per sé tutto è bene, ma il bene e il male stanno nel sapere e nel non sapere. Tra bene e male, perciò, tra virtu e vizio non v'è passaggio, per cui virtuosi sono i saggi e viziosi sono gli stolti e i pazzi, i dissociati, appunto perché non razionali, innaturali. " Non c'è via di mezzo tra la virtu e il vizio. Tutti gli uomini hanno dalla natura una spinta (&:rpop!L~) verso la virtu e per cosi dire le parole di un mezzo verso, sicché se restano in tronco, non compiuti, sono inetti, se giungono alla chiusa sono valenti" (Stobeo, Ecl., li, 65 W.). Di qui uno dei celebri paradossi stoici che tanto si affoga se l'acqua arriva appena un po' piu sopra della bocca quanto' se sopra di noi vi sono mille metri d'acqua, che tanto si è viziosi se si ruba un soldo quanto se si compia un efferato delitto. Non sappiamo se tale formulazione già si trovi in Cleante. Certo simili conclusioni erano implicite nel suo " stoicismo," si come le altre, apparentemente paradossali, del rapporto tra legge ed istinto e della libertà come comprensione e accettazione del fato, onde entro i termini dei dati v'è una possibilità di scelta, che consiste o nel voler comprendere, dando un adeguato assenso (donde l'importanza della logica e della dialettica) o nell'abbandonarsi ai dati immediati e alle rappresentazioni fantastiche, che alla fine si rivelano contro natura, contro l'impulso di conservazione. Di qui, anche, posto l'unico bene, la affermazione che tutti quelli che si chiamano beni, sono tali unilateralmente, per errore di prospettiva, e che essi, per il saggio, sono puramente indifferenti (&8Locrpop~). Senza dubbio i pochi frammenti rimastici dell'opera di Cleante sul Politico non permettono di precisare il suo esatto atteggiamento intorno alla vita politica, se non che il sag.-
www.scribd.com/Baruhk
241
gio deve occuparsi di politica (1toÀ.L't'E:Oe:a&cxL ), compiendo le proprie funzioni di cittadino e di magistrato, " se non ha qualche speciale impedimento" (Sene.ca, De tranquillitate animi, I, 7), rimanendo d'altra parte indifferente a qualsiasi forma storica di regime politico. Ciò sembra rientrare esattamente entro i termini della concezione di . Cleante, quale appare anche dall'Inno a Zeus. Poiché il saggio vive secondo la legge universale, in concordia con sé e col tutto che avviene secondo legge, amando tutto in Dio, egli amerà anche gli altri in Dio, indipendentemente da nazioni o da razze, onde, sotto questo aspetto, la socialità intesa come concordia degli uomini, nell'unità e distinzio_ne della legge, è naturale (ed in ciò consiste il cosmopolitismo proprio di Cleante) e si determina da un lato nel diritto naturale e dall'altro lato come giustizia e benevolenza. Solo che questo non implica affatto un riconoscimento dell'un regime politico rispetto a un altro, ché l'uno e l'altro, in quanto ci sono di fatto, sono quello che sono, indifferenti se presi in sé, validi tutti se consapevolmente accettati, per cui anche qui l'atteggiamento dello stoico non sta in quello che egli fa, ma in come assume la propria responsabilità politica, in nome della socialità, che, anche se non nel termine, che resta sempre "politica," sembra si venga oramai chiaramente distinguendo da politica in senso stretto. Da questo punto di vista possiamo dire, anche se in via ipotetica, che, soprattutto in Atene, dove ogni attività politica si era spenta dal 263, l'azione politica di Cleante è consistita proprio nella sua seriet~ di maestro di scuol.t, nel suo appello alla saggezza e all'amore per il tutto e per gli uomini, e nel suo rifiuto di andare presso la corte di Tolomeo Filadelfo di Alessandria, rifiuto cui si associò anche il discepolo di Cleante, Crisippo, mentre l'invito veniva accettato da un altro discepolo di Cleante, Sfera di Bosforo 5 di Boristene, del quale si sa che si fece propagandista delle idee del maestro e che scrisse moltissimo e di tutto, ma del quale poco o niente è rimasto. Quali che siano state le conclusioni piu elaborate di Cleante, la sua diretta influenza sulla Scuola, il suo essere maestro di vita, in un'epoca, ad Atene particolarmente, di delusioni e di povertà, certo, anche da quel poco che dai frammenti rimasti di lui si è potuto ricavare, ci si rende conto, ch'erano implicati in Cleante molti di quei motivi, che, svilup5 Discepolo di Cleante fu Sfero del Bosforo, nato ad Olbia, nel 290 circa. Scolaro prima di Zenone, poi di Cleante, Sfero lasciò Atene per recarsi ad Alessandria e a Sparta. Ad Alessandria Sfero tornò al tempo di Tolomeo Filopatore. Probabilmente durante il suo primo soggiorno ad Alessandria ebbe contatti con Tolomeo Filadelfo, morto nel 24 7. A Sparta fu in contatto con il re Agi de e poi con Cleomene, ed è certa l'influenza ch'egli ebbe sui due re, soprattutto sul fallito esperimento socialista di Cleomene.
242
www.scribd.com/Baruhk
patì e discussi in seno alla Scuola, soprattutto per merito di Crisippo, non poche volte critico del maestro, costituiranno poi gran parte dei dogmi proprii della Scuola, fino a divenire, in altra epoca, veri e proprii t6poi, luoghi comuni, che serviranno da esercitazione nelle scuole di morale e di retorica, insieme alle descrizioni delle vite dei saggi, posti come esempio di coerenza morale, di fortezza d'animo. Ma ci si rende conto anche che l'accettazione della tesi di Cleante era subordinata al grosso problema del passaggio da parte di Cleante dalla rappresentazione catalettica e dalla sensazione che denuncia il vero all'assenso sull'ordine logico del tutto, onde si costituisce la stessa vita etica. Di qui le lunghe discussioni sulla veracità della sensazione e sulla possibil~ adeguazione della ragione alla ragione del tutto, e le conseguenti pole- ' miche sulla volontarietà dell'assenso e, quindi, sul rapporto tra libertà e fatalità, e in Crisippo, di contro a chi negava la validità dello stoicismo, il risorto problema sul rapporto tra segno, significato e significante, solo risolvendo il quale in senso positivo, nel senso, cioè, che il significante significa davvero il significato, era possibile la difesa della tesi stoica, ivi compresa la questione della fatalità e della possibile azione umana. Cosi, se tra Zenone e Cleante v'è una notevok differenza, senza sottolineare la quale è difficile rendersi conto della costruzione dello stoicismo, ugualmente tra Cleante e Crisippo c'è una differenza, che farà si che entro il termine comune stoicismo si affaccino nuovi problemi e soluzioni, rispecchianti epoche diverse; differenza, d'altra parte, dovuta in gran parte alla polemica svolta n~i confronti di Cleante e di Zenone da parte di Arcesilao, scolarca dell'Accademia al tempo in cui Cleante era scolarca della Stoà, e senza il quale non si comprendono la problematica e la discussione di Crisippo. b) Arcesilao. L'Accademia da Speusippo è Senocrate a Polemone e Cratete. Dalle testimonianze che abbiamo su Arcesilao, 6 che di suo non scrisse nulla, ricaviamo tre punti fondamentaii (critica della vera6 Nacque a Pitane, nell'Eolide, nel 315 circa. Secondo Ermippo (Diogene Laerzio, IV, 44) Arcelisao mori a settantacinque anni; poiché Diogene Laerzio (IV, 61) afferma che ad Arcesilao successe Lacide, nel quarto anno della trentaquattresima olimpiade (241/240), di qui si è desunto che l'arco di vita di Arcesilao va dal 315 al 240. Da giovane, di contro al fratellastro, che gli faceva da tutore, e che avrebbe desiderato avviarlo alla retorica, si appassionò, invece, per gli studi scientifici. Studiò prima matem~ tiche a Pitane, poi astronomia con Autolico, il quale allora insegnava a Sardi. Si recò quindi a Chio e, infine, ad Atene (tra il 300 e il 296). Ad Atene conobbe il musico Xanto e il geometra Ipponico, fece parte del Liceo studiando sotto Teofrasto, finché, per l'amicizia che lo legava ai due accademici Crantore e Cratete di Atene, passò al-
www.scribd.com/Baruhk 243
cità della sensazione, critica dell'assenso, estensione a tutto della sospensione del giudizio o epoché), esattamente corrispondenti ai tre punti fondamentali su cui si basa la dottrina stoica: veracità della sensazione e fantasia catalettica, assenso, e attraverso l'assenso comprensione dell'ordine del tutto; che Arcesilao, sembra, metteva in discussione senza uscir fuori dalle stesse affermazioni degli stoici, dimostrandone, mediante il metodo dell'ironia socratica, l'interna contraddittorietà, ponendo il dubbio sulla validità di tutto il sistema, e ad un tempo, soprattutto per mezzo della critica sulla veracità della sensazione e dell'analogia, ponendo in dubbio la validità dell'Epicureismo. Posto con Zenone e con Cleante che non tutte le rappresentazioni sensibili corrispondono al vero, onde bisogna non. affrettare il giudizio, anzi sospenderlo finché la rappresentazione stessa è tanto evidente da dare l'assenso, si può con Epicuro sostenere· che tutte le sensazioni in quanto tali sono vere, per cui si può dubitare di tutte, ché sia ch'esse costituiscano un'impressione diretta nell'anima (Cieante), sia ch'esse determinino una modificazione nell'animo si che ogni rappresentazione è tale in quanto presente alla coscienza (Zenone), nell'uno e nell'altro caso non è detto che la rappresentazione sensibile corrisponda al dato che l'ha suscitata, divenendo anzi il dato tale proprio nella sensazionerappresentazione. Sotto questo aspetto ogni rappresentazione è vera, ma è dubitabile ciò che, invece, afferma Cleante, e cioè che 1 ':\ veracità della rappresentazione sia tale in quanto coglie la verità in sé del dato. " Tolto cosi il giudizio per mezzo del quale dovrebbe avvenire il riconoscimento, anche se colui che ti sembrerà di vedere sarà proprio quello che tu avrai visto, non potrai mai però stabilire ciò in base a quel segno sicuro per mezzo del quale tu dici che è necessario giudicare, affinché non accada che il falso possa essere identico al vero " (Cicerone, Lucullus, 59). Certo, tolta la possibilità di un'adeguazione della rappr::sentazione e della cosa, si toglieva l'altro caposaldo della tesi di Cleante, la possibilità dell'assenso (" se nulla può essere percepito, bisogna abolire l'assenso; che cos'è infatti piu futile che dare l'assenso a qualche cosa senza prima averla conosciuta? ": Cic., Luc., 59) e di conseguenza si doveva passare non ad una momentanea sospensione del giudizio (epoche'), come Zenone, ma ad estendere l'epoché a qualsiasi affermazione assoluta, sia relativamente a quella che è la struttura del tutto, l'Accademia. Alla morte di Cratete, scolarca dell'Accademia dal 270 al 268, i maestri del l'Accademia decisero che Arcesibo gli succedesse nello scobrcato. Arcesilao. supr~ttuttc dedito a insegnare e a destare, sempre, negli scolari un attelo(giamento di consapevolezz. critica, non lasciò alcun scritto.
244
www.scribd.com/Baruhk
sia relativamente a qualsivoglia dottrina positiva (" prendeva posizione contro i pareri di tutti ed allontanava i piu dal loro punto di vista; ciò in quanto per ogni singola questione si trovano ragioni di ugual peso sia per il pro che per il contro: e cosi risultava piu facile sospendere l'assenso sia in una direzione che nell'altra ": Cic., Varro, XII, 45). Non essendoci rappresentazione comprensiva (fantasia catalettica), neppure ci sarà comprensione: poiché questa è l'assenso alla rappresentazione comprensiva. E non essendoci comprensione, tutte le cose saranno non comprese (acatalette); ed essendo tutte non comprese dovrebbe seguirne anche per gli stoici, che il saggio sospenderà il suo assenso. Essendo tutte le cose incomprese per l'insussistenza del criterio stoico, se il saggio darà il suo assenso, resterà nel campo dell'opinione che nulla essendo comprensibile, egli, se assentirà alcunché, assentirà al non-compreso; ma l'assenso all'incompreso è opinione. Sicché, se il saggio è tra gli assenzienti, sarà tra gli opinanti; ma non c'è saggio, tra gli opinanti (giacché questo, secondo lo stoico, è causa di stoltezza e d'errore); dunque il saggio non è tra gli assenzienti. E se cosi è, bisognerà che su tutto resti senza assentire; il che null'altro è che sospendere l'assenso. Su tutto dunque sospenderà l'assenso il saggio (Sesto Emp., Adv. math., VII, 155-7) [e, perciò, entro i termini dello stoicismo, poiché fine non è piu l'assenso, ma la sospensione, dobbiamo concluderne, mettendo in contraddizione lo stoico, che, dunque, l'imperturbabilità non la si ottiene mediante la comprensione, ma per mezzo della sospensione: cfr. Sesto Emp., lpot. Pirr., I, 233].
L'epoché, cui giunge Arcesilao, non è una dottrina, né in essa Arcesilao vedeva la positiva possibi,lità dell'imperturbabilità, se non come rovesciamento polemico nei confronti degli Stoici, che vengono costretti a sostenere che la felicità e la tranquillità consistono proprio nella incomprensione, cioè nella sospensione del giudizio. In effetto la tesi dell'epoché è l'indicazione di un atteggiamento che tende a mettere in crisi, sul piano della ragione, ogni affermazione relativa all'essere. Nella polemica serrata nei confronti di Cleante e indirettamente dell'Epicureismo, v'era la ormai lunga e sempre presente tradizione antidogmatica e antiontologica, che risalendo a Zenone di Elea, a Gorgia e a Protagora si allunga con Socrate e con i Megarici, e che, in contrasto con l'interpretazione che di Platone avevano dato i primi scolarchi dell'Accademia, Speusippo e Senocrate, o i rigidi moralisti Polemone, Crantore, Cratete di Atene, si poteva vedere in Platone stesso, puntando da un lato sui dialoghi socratici e, dall'altro, sui miti platonici, considerati come ipotesi e non come affermazioni positive sulla realtà e sulla sua essenza, e sulla ricerca metodologica dell'ultimo Pia-
www.scribd.com/Baruhk
245
tone, che poteva sfociare nella dialettica di tipo aristotelico, basata sul possibile. Non a caso cos1 si è detto, fin dall'antichità, che Arcesilao fu un pirroniano, un megarico, che usò il metodo della discussione proprio di Gorgia e di Socrate. Anzitutto vi prego di n_on prenàermi per un filosofo che voglia tenervi una qualche conferenza; non ho mai nutrito entusiasmo per simile metodo neppure se applicato da veri e -propri filosofi. Quando mai Socrate, che a diritto può dirsi il padre della filosofia, fece qualche cosa di simile? Il metodo di quelli che allora venivano chiamati sofisti era questo: fu Gorgia di Leontini il primo che osò in una pubblica riunione chiedere un argomento di discussione, cioè invitare a dire su che cosa lo si volesse sentir parlare. Impresa audace e, direi quasi, sfacciata, se questo metodo non fosse poi stato applicato dai filosofi della nostra scuola [gli Accademici] ... Socrate, invece, chiedendo informazioni e interrogando, era solito C'avar fuori da quelli con cui discuteva, ciò che pensavano, in modo che, riferendosi alle risposte che gli avevano dato, diceva quello che gli pareva. E questa consuetudine, mentre non era stata mantenuta da quelli che vennero dopo di lui, fu rimessa in vigore da Arcesilao, il quale adottò come criterio che quelli che lo volevano sentir parlare, non dovessero chiedergli quel che pensava, ma essi stessi dovessero esprimere le loro opinioni; egli poi le ribatteva, ma quelli che lo ascoltavano potevano difendere il loro punto di vista finché potevano (Cicerone, De fin., Il, l, 1-2). Aristone di Chio diceva di Arcesilao ch'egli era " Platone davanti, di dietro Pirrone, in mezzo Diodoro" (Diogene L., IV, 33; Sesto Emp., lpotip. Pirr., I, 234), e aggiungeva che la sua dialettica l'aveva ricavata dal socratico Menedemo di Eretria (Diogene L., IV, 33) in un atteggiamento pirroniano di origine megarica. E mentre Sesto Empirico sosteneva che "Arcesilao usava la dialettica di Diodoro" (lpotip. Pirr., I, 234), Numenio riferiva che Arcesilao si serviva della persuasività di Crantore platonico, della sofistica di Diodoro e di Menedemo, della critica e della ricerca (sképsi) di tipo pirroniano (in Eusebio, Praep. ev., XIV, 5, 12). A parte la ricostruzione di Cicerone- che probabilmente si serviva come fonte, relativamente alla sospensione del giudizio, quale egli discute ed espone nel Lucullus, 79-108, del Peri epochés di un discepolo e successore di Carneade, Clitomaco di Cartagine (187-110), che sembra abbia esposto le varie tesi sull'epoché a cominciare da Arcesilao, - sia in Aristone come in Numenio è sottintesa una critica ad Arcesilao, accusato di plagio. Plagio o non plagio, i nomi fatti - Gorgia, Socrate,
www.scribd.com/Baruhk 246
Platone dialettico e problematico, Pirrone, Diodoro, Menedemo stanno a dimostrare l'atmosfera entro cui si muove Arcesilao nella sua polemica nei confronti del dogmatismo teologico-gnoseologico di Cleante, ed il suo atteggiamento critico-problematico nei confronti di ogni soluzione teoretica, che si determinava nel suo modo di insegnare, nel non esporre ciò che pensava, ma nell'opporre e discutere ciascuna tesi dal di dentro: "Nel discutere, lo, diceva, sostengo che..., ma un tale altro, e indicava per nome uno dei suoi uditori, non condividerà la mia opinione " (Diogene L., IV, 36): egli dava cos1 inizio a quelle che poi saranno dette diatribe. Tutto ciò, d'altra parte, sembra chiarire il significato dato da Arcesilao all'éulogon (e:GÀoyov), ragionevole (da non scambiare col probabile o credibile, pithan6n, che sarà proprio di Carneade), come unico possibile criterio di condotta. Posto in dubbio che le strutture della realtà corrispondano alle strutture della ragione, l'unico piano che resta all'uomo è lo stesso piano umano, il piano del ragionevole, ove la veracità di un'affermazione o la rettitudine di un'azione non sta nel suo adeguarsi alla verità o alla rettitudine di un'ipotetica ragione universale, ma nel sa persi condurre ragionevolmente: Secondo Arcesilao colui che sospende universalmente il suo assenso potrà non di meno avere una regola delle sue scelte o delle sue avversioni e in linea generale delle sue azioni nel ricorso al ragionevole (Tij) e:òMyc,> ) ; procedendo secondo questo criterio, agirà bene; infatti la felicità risulta dalla prudenza, ma la prudenza si esercita nelle azioni rette; ma azione retta è quella che, una volta compiuta, si giustifica come ragionevole; colui, dunque, che fa ricorso al ragionevole, agirà rettamente e conseguirà la felicità (Sesto Emp., Adv. math., VII, 158).
Si è molto discusso sul motivo dell'éulogon (cfr. Dal Pra, Lo scetticismo greco, Milano, 1950) e vi si è voluto vedere una contraddizione, ché, ci si chiede, tolto ogni assenso, sospeso ogni giudizio, quale è allora il criterio per determinare il ragionevole?, oppure vi si è voluto vedere non una tesi propria di Arcesilao, ma una sottesa critica allo stoicismo, che privato di ogni assenso deve porre, appunto, la felicità nel ragionevole, cadendo in contraddizione con se stesso (Couissin, Robin, Dal Pra), ché lo stoico di stretta osservanza concede la virtu e la felicità solo al sapiente in quanto sa la verità, lasciando all'insipiente, perciò stesso non saggio, una vita infelice, basata solo sul conveniente, mentre se vuoi essere coerente con se stesso, dimostrata l'impossibilità dell'assenso, deve concedere la capacità di una
www.scribd.com/Baruhk 247
vita retta a tutti, poiché la rettitudine della vita sta in un sapere di volta in volta agire, ragionevolmente, indipendentemente da ogni contenuto già dato. Era questo, d'altra parte, sia pur per altra via, un proseguimento dell'etica socratica, che poteva benissimo esser veduta entro i termini del socratismo della prima parte dell'Etica Nicomachea di Aristotele. Con Arcesilao, dunque, che fu scolarca dell'Accademia dal 268 all'anno della morte (il 240 circa), la vecchia Accademia platonica assunse un nuovo atteggiamento (" Di Accademie, come dicono i piu, ce ne sono state tre: la prima e piu antica fu quella di Platone, la seconda o media, quella di Arcesilao, uditore di Polemone, la terza e nuova quella di Carneade ·e Clitomaco ": Sesto Emp., !potip. Pirr., I, 220), in un'interpretazione del platonismo che ne sottolineava l'aspetto della discussione e del dialogo, del filosofare come ricerca e consapevolezza critica, piuttosto che l'aspetto dogmatico, che aveva trovato la sua soluzione o nella traduzione in termini matematici delle strutture della realtà, che si era rivelato attraverso Speusippo (scolarca dal 347 al 339) e Senocrate (scolarca dal 339 al 314), o ne sottolineava l'aspetto di una morale fissa e teologica, che trovava la sua soluzione nell'abbandono della vita mondana, come dimostra la Consolazione di Crantore sul lutto (7te:pt 1tév-S-ouç ), che si era delineata appunto con Crantore, il cui genere consolatorio, diverrà, poi, un " topos " della piu tarda letteratura stoico-platonica (Panezio, Cicerone, Plutarco, Seneca) e con Cratete di Atene, scolarca dell'Accademia dal 270 al 268, successo a Polemone che aveva retto la Scuola dal 314 al 270. Ma non è forse senza interesse ricordare anche che Crantore fece un commento del Timeo. Non va, d'altra parte, scordato che Arcesilao, nato a Pitane nell'Eolide, nel 315 circa, fu dapprima discepolo, a Sardi, dell'astronomo Autolico di Pitane, e che, venuto ad Atene intorno al 296, all'età di diciannove anni, studiò teoria dell'armonia con Xanto e geometrià con Ipponico, che per alcuni anni fece parte del Liceo, sotto la direzione di Teofrasto il quale ne ammirò sia le doti di oratore, sia la preparazione in particolari campi scientifici (astronomia, musica, geometria), come in quelli della letteratura (fu lettore appassionato di Omero, di Pindaro, di Platone), e che, infine, avendo già acquistato una sua personalità, entrò all'Accademia, pare soprattutto per l'amicizia che lo legava a Crantore e attraverso Crantore a Cratete. Abbiamo ricordato queste notizie (cfr. Diogene L., V, 41; IV, 28, 44, 29, 32, 43, 30-32), per.:hé sia il suo primo contatto con Autolico, sia poi quello con Teofrasto, possono in parte spiegare l'atteggiamento critico di Arcesilao. Da Auto-
248
www.scribd.com/Baruhk
lico aveva imparato piu che un'astronomia teologica di .tipo platonico il metodo scientifico di Autolico, che impostava l'astronomia non come ricerca delle leggi su cui il tutto si ordina, ma come studio delle condizioni che rendono misurabili i fenomeni celesti, particolarrpente per quel che riguarda il sorgere e il tramontare delle stelle fisse e il movimento delle sfere, come appare dai due trattati di Autolico' su Il movimento della sfera e su Il sorgere e il tramontare delle stelle. Da T eofrasto aveva potuto ascoltare sia che le scienze sono valide entro l'àmbito delle particolari scienze stesse, sia ·il metodo dialettico come discussione delle varie opinioni, onde in effetto il filosofare se da un lato si risolve nell'indagine su quelle che sono le condizioni che permettono le singole scienze, senza alcuna pretesa. a cogliere strutture e ragioni del tutto, dall'altro lato mantiene la sua validità in quanto consapevolezza critica delle umane possibilità, in cui, concludendo, Arcesilao vedeva il significato piu intimo dell'insegnamento socratico-platonico, e su cui fondò il proprio insegnamento per il quale fu zelantissimo, dedicandovisi tutto, e curando che i discepoli non solo ascoltassero le sue lezioni, che si dice furon sempre persuasive e ricche di problematica, ma desiderando che ascoltassero anche le lezioni degli altri maestri che insegnavano ad Atene, senza mai contrapporre alle altrui dottrine una propria dottrina.
3. La " filosofia " come ricerca critica e il costituirsi delle " scienze." l " filosofi " di Atene e i " filosofi " di Alessandria Cleante aveva definito la scienza conoscenza delle cose umane e divine, e tra le parti della filosofia aveva posto h teologia: l'ordine umano, la virtu dell'uomo consisteva per lui nel realizzare se stessi, in quanto tale realizzazione, se consapevole, significava realizzare ad un tempo la Legge e Dio, per cui, anche se in contenuti diversi e in conclusioni metafisicamente diverse, tornava a farsi viva l'impostazione del Platone delle Leggi, o, almeno, quella stessa religiosità che, se per un lato poteva servire come strumento politico con cui giuocare sulle masse incolte, legate ai vecchi dèi, ai vecchi riti e culti, dall'altro lato rispondeva a certe esigenze di evasione dalla vita mondana che, senza dubbio, si facevano sempre piu vive soprattutto in Atene, durante il III secolo. Esse in seguito dettero luogo a molte forme di irrazionalismo religioso, che si tradussero poi (11-1 secolo a.C.) in tentativi di gnosticismo simbolico, per il quale si usarono sia certe espressioni di Platone, sia certe espressioni ed aspirazioni di alcuni stoici, sia una certa interpretazione
www.scribd.com/Baruhk
249
della tradizione pitagorica, in una sistemazione di antiche tradizioni cultuali diverse, che facevano capo ai misteri e particolarmente al Dionisismo: è appunto in quest'epoca e anche oltre che si vien costituend~ la teologia orfica, che rifiorisce l'astrologia, che nasce il " pitagorismo," che si vien sistemando la magia. Tuttavia, a fianco di Cleante, con Arcesilao e piu tardi con Carneade, in un ambiente che, accettate certe condizioni politiche, lontano dall'immediata presenza dei sovrani residenti a Pella, aveva, nell'àmbito delle Scuole, che vennero cost a costituire veri e proprii centri politici, una sua libertà culturale, il filosofare poteva essere inteso come consapevolezza critica della validità delle opinioni, tutte discutibili sul piano di una loro pretesa assolutezza. Sembra cosf interessante ricordare che né per Arcesilao né per Carneade si trovino testimonianze che parlino di loro critiche o polemiche nei confronti delle scienze o delle opinioni scientifiche che fioriscono contemporaneamente (III secolo) nell'ambiente del Museo di Alessandria, mentre essi se la prendono con quel tipo di scienza (stoica) che pretende di determinare in assoluto le strutture della realtà, spacciandosi per fisica. Ora, a parte la situazione politica di Alessandria, che forse non permise la discussione filosofica nei termini con cui si svolse ad Atene, permettendo invece, anche per le possibilità economiche concesse dai sovrani al Museo, ricerche particolari, sta di fatto che se da un lato il filosofare si pone come limitazione critica delle capacità umane rispetto alla costruzione e conoscenza del tutto (dalla scuola di Aristotele ai Megarici, ai Pirroniani, ad Epicuro stesso e a Zenone di Cizio, ad Arcesilao), dall'altro lato, ma sempre entro i termini di tale consapevolezza critica, filosofia diviene la matematica, la geometria, la medicina empirica, l'astronomia, la geografia, la meccanica e tos1 via, valide in quanto di ciascuna si colgano le condizioni che ne permettano la costruzione, che le facciano divenire appunto matematica;· geometria, astronomia, geografia. In altri termini non è tanto che Euclide, o Eratostene, o Apollonia di Perga, o Archimede, abbiano fatto delle scoperte in geometria, in fisico-meccanica, in matematica, quanto ch'essi, determinando certi postulati di discorsi, validi entro i termini, i confini (h6ro1) di quei discorsi stessi, hanno dato luogo a quella geometria, a quella astronomia, a quella meccanica e cosf via. Sotto questo aspetto sembra difficile ripetere il vecéhio luogo comune che mentre Atene rimase la capitale della filosofia e della retorica, in Alessandria, al Museo, venne meno la filosofia che dette il passo alle scienze particolari, alle doocrizioni, alla filologia. In effetto, quelle scien-
250
www.scribd.com/Baruhk
ze particolari, quelle descrizioni, quella stessa filologia, erano esse, entro i termini dello studio delle condizioni logiche dei vari tipi di discorso, quale si era delineato in seno alla scuola aristotelica da T eofrasto a Strato ne di Lampsaco, il " fisico," a costituire l'indagine filosofica, la scienza nell'accezione aristotelica, o di deduzione da principii evidenti per sé, formalmente veri e tali da dar luogo a un discorso coerente e necessario (su cui appunto si verrà costituendo il tipo di discorso aritmetico-geometrico, indipendentemente dalla pretesa che quel discorso coincida con il discorso del reale, com'era per certi platonici, e, forse, per Platone stesso, e contro cui aveva polemizzato Aristotele), oppure di raccolta di materiale, dovuto all'osservazione diretta, e descrizioni, mediante cui determinare certi principii, o meglio regole, che permettano la classificazione di quelle stesse osservazioni, in un ordine che renda razionale il rintraccio dei dati (medicina, astronomia, geografia, meccanica). Non sembra cosi un caso che quelli che noi chiamiamo scienziati, che vissero, operarono, o si formarono ad Alessandria, fossero dagli antichi chiamati filosofi (mentre verranno poi chiamati " matematici " coloro che presunsero ad un apprendimento, mathema, assoluto: cfr. Sesto Empirico, Adv. math.); filologi furono detti invece quei ricercatori che lavorarono al Museo, occupandosi particolarmente di testi, di grammatica, e di edizioni. E cosi è non poco indicativo che a quelli detti filosofi sia stata in genere aggiunta la specificazione di " peripatetici" o "aristotelici." D'altra parte, già sappiamo, (cfr. sopra) che, ad Alessandria fondata nel 332 da Alessandro Magno, divenuta la ca· pitale del regno dei Lagidi quando l'Egitto divenne regno autonomo (con Tolomeo I Sotér, nel 305), Tolomeo I, interessato a raccogliere del vecchio Impero anèhe la tradizione culturale, non solo chiamò alla sua corte uomini celebri per cultura, ma anche, su consiglio dell'aristotelico Demetrio Falereo, fondò, a imitazione di quello già sorto in Atene presso il Peripato, con gli aiuti di Demetrio Faleceo quando era governatore di Atene, un vasto edificio a sede degli studi, detto Museo, come quello di Atene, ad onor delle Muse, ov'era compresa anche una ricca Biblioteca. Sappiamo inoltre che qua vennero, non solo per ragioni politiche, ma anche perché al Museo trovavano maggiori possibilità di lavoro, molti peripatetici e tra questi Stratone di Lampsaco, che, prima di divenire scolarca del Liceo, fu maestro del figlio di Tolomeo l, e che, sembra, trasfer1 ad Alessandria gran parte délla Biblioteca di Atene. Si venivano cosi costituendo le prime linee di quel tipo di ricerche, di raccolte, di descrizioni, in cui, secondo T eofrasto prima, Stratone poi, consisteva il piu serio filosofare.
www.scribd.com/Baruhk
251
"Gli edifici del Museo comprendevano anche alloggi per i suoi membri, sale di dissezione per i medici e osservatorii per gli astronomi : Tolomeo ricorda, nel II secolo d.C., una palestra ed un portico quadrangolare contenente ciascuno un gran cerchio di bronzo destinato ad alcune osservazioni astronomiche, che facevano parte del Museo; e del Museo doveva far parte quel Giardino Zoologico in cui Tolomeo II Filadelfo raccolse diverse specie di animali esotici. Oltre i pasti collettivi, i membri del Museo ricevevano un'indennità, prelevata dalle casse dello Stato, senza pertanto esser costretti, sembra, a tenere dei corsi regolari; circondati da alcuni discepoli, potevano cosi consacrare tutto il loro tempo alla ricerca ed alla discussione sia tra loro, sia coi visitaturi di fama. Il loro numero raggiunse il centinaio circa, nei periodi di maggior splendore ... Avevano tutti a loro disposizione non solo le fonti materiali del Museo, ma anche una incomparabile Biblioteca, fondata ugualmente da Tolomeo I Sotér, su consiglio di Demetrio Falereo, ingrandita e arricchita dal suo successore Tolomeo Il Filadelfo, eh~ ne creò un'altra, piu piccola, nel santuario di Serapide. Questa biblioteca, ricca, si dice, di oltre 700.000 volumi, forniva ai filologi principalmente, ma anche agli 'scientifici,' una documentazione unica ... " (J. Beaujeu, La science hellénistique et romaine, in Hist. génér. d. sciences, I, Parigi, 1957; pp. 302-3). Il periodò in cui si ebbe al Museo maggior fervore e intensità di studi e di attività, in cui vi circolarono e vi si formarono i maggiori cultori delle scienze, .in cui dal Museo si irradiarono nuovi centri èi cultura, su imitazione del Museo ed in sua concorrenza negli altri regni ~llenistici, per elargizione dei re (si ricordino le biblioteche di Pella in Macedonia, di Antiochia in Siria, di Pergamo in Asia Minore), fu il periodo che va dal III secolo alla prima metà del II (nel 145 la Biblioteca e il Museo subirono i primi gravi danni per un saccheggio dovuto ad una rappresaglia durante una guerra civile), anche se fino al IV secolo dopo Cristo vi troviamo notevoli nomi di scienziati, nonostante l'incendio del 48 a.C., al tempo della campagna di Cesare in Egitto, nonostante la provvisoria chiusura dopo la conquista definitiva di Roma, nonostante i mutati interessi dal I secolo a.C. in poi: Sosigene e il fisico Erone vi operarono nel I secolo a.C.; nel II secolo d.C. il matematico Menelao, il medico Sorano, il celeberrimo astronomo T olomeo; nel III e IV secolo i grandi matematici Diofante, Pappo e Teone. Ipazia è l'ultima interna del Museo che conosciamo. Nel 390 d.C. la Biblioteca venne quasi del tutto distrutta su ordine di Teofilo, vescovo cristiano.
www.scribd.com/Baruhk 252
Nel III secolo a.C. e nella prima metà del II, lavorarono ad Alessandria, si. formarono presso il Museo, o comunque ebbero a che fare con essp, o con i primi discepoli di Aristotele, oltre Stratone di Lampsaco e il suo scolaro, il grande astronomo Aristarco di Samo, Euclide (fiorito sotto il regno di Tolomeo I), i medici Erofilo di Calcedonia ed Erasistrato di Coo, Archimede di Siracusa e Apollonia di Perga, il geografo e matematico Eratostene di Cirene, tecnici e ingegneri come Ctesibio e il suo scolaro Filone di Bisanzio. Naturalmente non è questo il luogo per soffermarci a descrivere e a esporre il contenuto dell'opera di ciascuno dei citati scienziati (rimandiamo alle singole monografie e alle storie della scienza). Ciò che, invece, qui sembra interessante è ricordare che, anche se ciascuno giunse a possibili conclusioni diverse, tutti accantonarono coi primi discepoli di Aristotele, la pretesa della ragione a cogliere i supremi perché, le supreme cause e i primi principii (e forse per ciò non ebbe seguito il tentativo di una " fisica" autonoma operato da Stratone di Lampsaco). In altri ambienti, intanto, altri - da Pirrone e Timone a Zenone di Cizio a Epicuro ad Arcesilao, che, non si scordi, fu discepolo dell'astronomo Autolico e di Teofrasto, a Carneade, - accantonavano proprio quella pretesa metafisica, dimostrando dialetticamente le ragioni della sua insufficienza e puntavano quindi, liberatisi da quegli ordini precostituiti, sulla capacità umana a costituire il proprio mondo (donde l'importanza ancora una volta data alla dialettica e alla retorica), potendo, appunto, l'uomo, mediante la retorica e la dialettica, ragionevolmente inserirsi nell'uno o nell'altro storico costume, modificandolo; o, prendendo le mosse dal fatto che l'uomo può inserirsi, modificandolo, nel suo stesso mondo, senza che già tutto sia compiuto, facevano l'ipotesi che la stessa struttura della realtà non sia necessariamente costituita;_ ma sia dovuta al caso (Epicuro). Sotto questo aspetto i filosofi di Atene - a parte Cleante - e i " filosofi " di Alessandria, o, comunque,' gli " scientifici," si mossero sullo stesso piano, anche se i primi, o per mancanza di mezzi adeguati, o per una maggiore libertà, o, soprattutto, innestandosi sulla tradizione che aveva avuto il suo inizio con i Sofisti, portarono il proprio discorso sulle condizioni dell'uomo e sulle sue possibilità di conoscenza e di azione (pratica), senza uscire dall'uomo stesso. I "filosofi " di Alessandria, neppure essi uscendo dal piano umano, vennero, invece, determinando, nell'ambito di ciascuna ricerca, i principii propri a quella ricerca stessa, consapevoli della formalità dei principii e che ogni scienza
www.scribd.com/Baruhk
253
è valida, ma entro i termini dei suoi stessi principii, per cui a seconda del tipo di discorso può variare il metodo (dar luogo al discorso geometrico-aritmetico da condizioni logiche; o risalire dall'osservazione dei dati e dalla loro raccolta a postulare regole comuni che indirizzino nuove ricerche, dando luogo ai discorsi che costruiscono la botanica, la meccanica, la geografia, la medicina), senza con questo che i risultati raggiunti mettano in discussione la validità di ogni scienza, ché,. anzi, le une e le altre possono vicendevolmente trarre, dalle proprie conclusioni, tecniche operative che a loro volta possono determinare nuove teorie (Archimede). Cosi non è poco indicativo sottolineare il modo diverso per cui fu messa in discussione l'ipotesi eliocentrica formulata da Aristarco di Samo da parte dei " filosofi " alessandrini da un lato, e da parte di Cleante dall'altro lato. Aristarco, 7 nato nel 310 circa, fu discepolo di Strato ne di Lampsaco, e, come Stratone, si occupò di determinare le condizioni che permettono di. pensare la realtà (fisica), con particolar riguardo alla possibile misurazione dei fenomeni celesti e dei movimenti, apparenti e reali, delle stelle e delle sfere, cercando, d'altra parte, di determinare con metodo rigorosamente geometrico le distanze del sole e della luna e le loro dimensioni (cfr. il trattato di Aristarco, conservatoci, Sulle dimensioni e le distanze del Sole e della Luna). Abbiamo già visto come Eu~ dosso di Cnido ed Eraclide Pontico avessero tentato, forse anche con l'ausilio di modelli geometrici, di rendere conto dei movimenti erranti, che, appunto, sfuggono ad ogni misurazione. Eraclide Pontico, poi, a correzione del sistema astronomico di Eudosso, che non spiegava perché Mercurio e Venere nei vari periodi della loro rotazione presentassero diversi gradi di splendore, formulò l'ipotesi per " salvare i fenomeni " - che le orbite di Venere e di Mercurio non circondino affatto la terra, ma ruotino intorno al sole con un moto piu libero, e che a sua volta il sole, con Venere e Mercurio che ruotano int6rno a lui, ruoti - insieme alla Luna, a Marte, Giove e Saturno intorno alla terra, che, posta al centro del mondo, ruota su se stessa in 24 ore. Comunque c'è chi (Schiaparelli) ha sostenuto che da questa prima ipotesi Eraclide fosse passato a sostenere l'ipotesi eliocentrica. Nes1 Nato a Samo, Aristarco visse tra la fine del IV secolo e la seconda metà del III (mori nel 230 circa). Discepolo di Stratone di Lampsaco, Aristarco si occupò di fisica, studiando i rapporti tra la vista e la luce. I suoi interessi furono soprattutto volti all'astronomia. Di lui si conserva un trattato sulle dimensioni e le distanze del sole e della luna (tradotto e commentato dagli arabi, fu pubblicato in traduzione latina da Giorgio Valla e dal Commandino.
254
www.scribd.com/Baruhk
suna testimonianza abbiamo in merito, mentre in Archimede, che pur conosceva il celebre Eraclide, leggiamo che l'ipotesi eliocentrica fu formulata da Aristarco: " l'ipotesi di Aristarco è che le stelle fisse e il sole sono immobili, che la terra gira intorno al sole, descrivendo una circonferenza e che il sole occupa il centro di tale orbita" (Archimede, Arenario, 5). La terra poi, testimonia Plutarco (De facie in orbe lunae, 6, 3), avrebbe avuto per Aristarco un doppio movimento di rotazione su se stessa, che spiega la rivoluzione quotidiana apparente della volta celeste, mentre la luna gira intorno alla terra. Ora, l'ipotesi eliocentrica di Aristarco, che non fu formulata come una cosmologia e come fede in un reale movimento del tutto, ma, appunto, come ipotesi che servisse a meglio indirizzarsi nella comprensione dei fenomeni, fu ostacolata da altri astronomi, non tanto perché falsa, ma perché, non conoscendosi la distanza incommensurabile delle stelle e del sole, nè era formulata l'ipotesi della gravitazione universale, sole, le costellazioni avrebbero dovuto subire deformazioni angolari; poiché, d'altra parte, si riteneva che la terra fosse piu pesante delle stelle e del sole, né era formulata l'ipotesi della gravitazione universale, ci si domandava come allora fosse possibile che il sole stesse immobile e che la terra si potesse muovere (cfr. Beaujeu, cit., p. 349) L'ipotesi di Aristarco veniva abbandonata (Archimede, Apollonia di Perga, Ipparco, Tolomeo), perché serviva meno a spiegare i fenomeni che non l'ipotesi geocentrica, che permetteva meglio, almeno allora, le misurazioni. Non si trattava, dunque, per i " filosofi " di Alessandria di contrapporre ad una falsità una verità, quanto di contfapporre a una ipotesi che serviva meno, un'ipotesi che serviva di piu, e per cui risultava piu vera l'ipotesi geocentrica che non quella eliocentrica. Ben altro, invece, il motivo per cui Cleante respinse con disprezzo l'eliocentrismo di Aristarco. Secondo Cleante i greci avrebbero dovuto intentare contro Aristarco un processo per empietà - " come la Chiesa," è stato detto, " doveva farlo diciannove secoli piu tardi a Galileo ": Beaujeu, cit., p. 349, -avendo egli rovesciato l'ordine naturale dell'unico mondo, rivelante lo stesso processo attraverso cui si rivela la legge di Dio (Cleante, Contro Aristarco, in Plutarco, De facie in orbe Junae, 6, 3, 923a). Se, d'altra parte, la stessa ipotesi geocentrica rispondeva meglio alla richiesta di Platone di salvare le apparenze, certo essa cosi come venne accettata dagli astronomi alessandrini (corretta da Ipparco nella seconda metà del II secolo), non avrebbe soddisfatto Platone, cosi come, anche se rintracciamo in Platone molte definizioni di geometria, quali ven-
www.scribd.com/Baruhk
nero definite da Euclide, 8 non sapremmo dire se Platone avrebbe potuto accettare le condizioni dalle quali prende le mosse il ragionamento euclideo. Per Platone la geometria e l'aritmetica sono mezzi mediante cui, in un esercizio del pensiero, liberandosi dalla sensibilità, si doveva giungere a cogliere la ragion d'essere del tutto; per Euclide la geometria è un tipo di ragionamento fine a se stesso, vero, qualora se ne siano poste le condizioni evidenti, d'onde trarre tutto il seguito del discorso, inserendovi via via, in una necessaria catena, le varie definizioni, o i vari problemi e teoremi, isolatamente formulati nel corso della storia (sotto questo aspetto piu che a Platone, Euclide è vicino al procedimento scientifico di Aristotele, qualora si assuma in senso formale). In effetto, chi legga le opere di Euclide, dai tred:ici libri degli Elementi di Geometria (il XIV e il XV si è dimostrato che sono posteriori), all'Ottica geometrica, alla Catottrica, ai Dati, pur rintracciandovi definizioni e teoremi (sia geometrici, sia aritmetico-geometrici, come gl'i~ra zionali, la teoria delle proporzioni, il procedimento di esaustione), che furono determinati e discussi prima di Euclide (da Talete a Pitagora a Filolao ad Archita ad lppia ad Antifonte a Teodoro a Teeteto a P1atone a Eudosso di Cnido), se da un lato si rende conto che l'opera di lui fu essenzialmente una summa del raggiunto sapere geometrico, scritta con intenti espositivi, dall'altro lato si rende altrettantp conto ch'egli ha svuotato criticamente quegli stessi risultati dei predecessori dai contenuti extrageometrici e li ha tolti dai contesti in cui si trovano, per inserirli in un discorso che, puramente geometrico, determinasse la condizione che permette la costruzione della geometria stessa. Cosi se è vero che le definizioni euclidee di punto (aYjfLd6v !crnv, oo fLÉpoç oò.&év)- " segno [punto] è ciò di cui non c'è parte "; Punto è ciò cht non ha parti, - di linea e di superficie, possono farsi risalire a Platone (cfr. Sofista, 245a, dove però si tratta dell'unità, :he è ben altre e altro implica), o meglio alla rielaborazione della scuola .di Elea e ai primi pitagorici, o se si volesse anche ad Aristotele (cfr. De Anima. III, 6, 430b 20); è altrettanto vero che proprio la definizione di punto non a caso posta al principio del primo libro degli Elementi (stoichèia nel senso che si tratta di determinare le " lettere " che rendono possibile il linguaggio e le proposizioni geometrici), come primo termim 8 Poco o nulla sappiamo di Euclide ed incerta è anche l'epoca in cui visse, se non ch'egli operò ed insegnò ad Alessandria durante il III secolo. La prima citazione dd sue nome la troviamo nella prefazione che Apollonio di Perga (260-principio dd II secolo; premise alla sua opera. Gli seritti piu celebri di Euclide sono: Elementi, Dati, Ottica, Catottn.ca, Fenomeni, Questioni di Armonia. Possediamo di lui anche un certo numero ài
frammenti.
www.scribd.com/Baruhk 256
(opoc:; = h61'os) non implica altro - si come l'atomo di Democrito o di Epicuro o di Stratone perché sia pensabile la realtà, - se non d'essere la condizione prima, terminale, perché sia possibile la costruzione di qualsiasi figura. E' chiaro cosi perché subito dopo il " termine '1 punto, abbiamo il " termine " linea e poi il " termine " retta e superficie, superficie piana e angoli piani e cosi via, e quindi i " termini" triangoli come prime figure semplici e i " termini" quadrangoli, per giungere infine alla celebre definizione, o " termine " delle parallele (" parallele sono quelle rette che situate in un medesimo piano, e prolungate all'infinito da ambe le parti, non si incontrano mai "). Già sappiamo che la parola termìne (ISpoc:;) era stata usata da Aristotele per indicare i confini (ISpoL) entro cui è valido il sillogismo. Sembra cosi evidente che termine ha in Euclide, che visse e operò nei primi anni del III secolo ad Alessandria, a contatto coi discepoli di Aristotele, lo stesso significato di confini, cioè, appunto, di termini oltre i guaii non è lecito andare, si come non è lecito andare oltre i termini di una proprietà (ISpo~ significa anche il termine della proprietà). Punto, linea, retta, superficie, triangoli, quadrangoli, parallele, sono cioè i termini che, indipendentemente dal loro esistere o dall'avere una loro essenzialità, rendono possibile tutto il discorso geometrico, che, d'altra parte, richiede ((tt't'ÉCù: aitéo chiedo, postulo: ed ecco perché dopo i termini o definizioni, Euclide pone le richieste, o postulati, aitémata): l) che da ogni punto si possa condurre una linea retta ad ogni altro punto; 2) che una retta terJ:llinata si possa prolungare continuamente in linea retta; 3) che con ogni centro e distanza si possa descrivere un cerchio; 4) che tutti gli angoli retti siano uguali fra loro; 5) che se una retta, incontrandone altre due, formi gli angoli interni dalla stessa parte minori di due retti, le due rette prolungate all'infinito s'inco~trano da quella parte in cui gli angoli siano minori di due retti. Poste le definizioni (o termini), ne derivano le richieste (postulati), perché siano possibili gl'incontri tra quei termini, cioè perché siano possibili tutte le costruzioni; si determinano, poi, certi concetti (lwoL«Lénnoiai), che non implicando contraddizione sono formalmente evidenti :1 tutti in quanto usiamo ragione, e sono, d'altra parte, comuni · (xoLV(tL-koinai) a tutte le scienze. Cosi dopo i Termini e i Postulati, Euclide pone i Concetti Comuni (koinai énnoiai: già in Democrito e poi negli Stoici), detti anche Assiomi, da axiumata, termine usato, invece, da Aristotele che con assiomi intendeva " quei principii che debbono essere
=
www.scribd.com/Baruhk
257
necessariamente posseduti da chi vuole apprendere qualsiasi cosa ... costituendo una proposizione che rende possibile una dimostrazione " (Secondi Analitici, 72a 15 sgg., 75a 41-42). I comuni concetti vertono sul concetto di uguaglianza, disuguaglianza, il tutto maggiore della parte. Termini, postulati, comuni concetti rendono quindi possibile la deduzione e costruzione del discorso geometrico: Problemi, teoremi e proposizioni. I primi quattro libri degli Elementi trattano cosi le proposizioni fondamentali della geometria piana, il libro V tratta delle proporzioni tra grandezze, secondo la teoria di Eudosso, il libro VI applica alla geometria piana la teoria delle proporzioni, i libri VII-IX, o libri aritmetici, son dedicati ai numeri interi e alle loro proprietà, il libro X tratta geometricamente gl'irrazionali, i libri XI-XIII son dedicati alla geometria solida, che si conclude con la costruzione dei poliedri regolari, i cosiddetti " poliedri platonici," perché di essi Platone aveva discusso nel Timeo. Lo stesso procedimento di Euclide, indipendentemente dai presupposti teorici sull'essenzialità e la sostanzialità di ciò di cui si tratta, è usato da Apollonia di Perga 9 (nato nel 260 circa, morto sui primi del II secolo, che studiò a lungo al Museo, insegnando quindi a Pergamo e tenendo talvolta dei corsi ad Alessandria) nel suo trattato su Le sezioni coniche (in otto libri, di cui possediamo i primi sette, quattro in greco, gli altri tre in arabo), in cui, riprendendo studi già compiuti (da Menecmo, Aristeo, Euclide) sull'argomento, ne trae nuove conclusioni, aprendo il campo a ulteriori ricerche. Con metodo rigorosamente geometrico, su cui si è poi fondata la geometria analitica, Apollonia di P erga, detto il "gran geometra," ha dedotto le proprietà dell'ellisse, della prrrabola e dell'iperbole (tutti e tre termini coniati dallo stesso Apollonia), determinando quindi una relazione " che pone in diretta corrispondenza le tre specie di coniche con le tre specie di problemi di applicazione delle aree" (A. Frajese, La matematica nel mondo antico, Roma, 1951, p. 131). Di questi otto libri scrive Apollonia nell'introduzione generale al suo trattato sulle coniche - i primi quattro usano un procedimento ele1
Nato a Perga, in Panfilia, nel 260 circa, Apollonia studiò ad Alessandria al tempo
di Tolomeo III Evergete (247-222). Insegnò a Efeso e a Pergamo. Tornò di tanto in tanto ad Alessandria, ove tenne dci corsi, al tempo di Tolomeo IV Filopatore. Al re
di Pergamo, Attalo I (241-197), dedicò il IV libro delle ConiciJt!. Del suo trattato sulle Conicht! (in 8 libri) si sono conservati sette libri (i primi quattro in greco, gli altri tre in arabo). Dei rimanenti scritti di Apollomo è rimasta notizia attraver~o i commenti J1 Pappa (St!zione di rapporto, Sezwne di !fazio, Sez10TJe determmata, L~ mcl•nazzoni, i /uochi piuni, l conralll, Uk,ytokwn).
258
www.scribd.com/Baruhk
mentare; il primo contiene la genesi delle tre sezioni e degli opposti (cioè i due aspetti della iperbole), e le loro proprietà fondamentali, con ùn'esposizione piu ampia e piu generale che non quella degli altri ~attati sulla materia. Il secondo libro si occupa dei diametri e delle assi dèlle sezioni, degli asimptoti e d'altre questioni d'uso generale o indispensabile per determinare i limiti dei problemi (diorismi). Dal primo libro si apprenderà quali sono le linee che chiamo diametri e quelle che chiamo assi. Il terzo contiene un gran numero di singoli teoremi che servono sia per la sintesi dei luoghi solidi, sia per i limiti; la maggior parte e i migliori sono nuovi; nel determinarli ci siamo accorti che Euclide non aveva effettuato la sintesi dello spazio a tre e a quattro linee, ma solo una a caso di una parte di tale spazio, e non felicemente, ma ciò non gli era possibile perché non aveva trovato quello che noi abbiamo scoperto. Il quarto libro determina in quante maniere le sezioni coniche possono incontrarsi tra loro e con una circonferenza di circolo, e, inoltre, risolve altri problemi, mai trattati da chi :i ha preceduto, e cioè in quanti punti una sezione conica o una circonferenza di circolo incontra sezioni opposte. Gli ultimi libri trattano teorie piu :omplesse: l'una discute, infatti, dei minimi e dei massimi, l'altra dell'eguaglianza e della simiglianza delle sezioni coniche, la seguente dei teoremt riguardanti i limiti, l'ultima infine di determinati problemi sulle coniche. D'altra parte non è senza interesse ricordare che Apollonia di Perga giunse a certi risultati e a formulare le sue teorie, attraverso l'aperta discussione e la ricerca comune con altri geometri e aritmetici dell'ambiente alessandrino, com'egli stesso ricorda nella prefazione al IV libro delle Sezioni coniche, in cui afferma che il IV libro rielabora e approfondisce uno scritto del geometra Canone, messo in discussione da Nicotele di Cirene, perché secondo quest'ultimo le conclusioni di Canone non sono utili. Celebre nella storia della geografia è rimasto Eratostene di Cirene, 10 nato nel276/272, vissuto ad Alessandria dove studiò, dove insegnò, dove fu maestro del figlio del re Tolomeo III Evergete, il futuro Tolomeo IV Filopatore, dove fu bibliotecario del Museo, e dove mori nel 195/192. Eratostene, di contro alla geografia fantastica di coloro che ancora in Omero vedevano la suprema autorità, raccogliendo da un lato le notizie e le precisazioni dei geografi a lui precedenti e i dati che poteva rica10 Eratostene, nato a Cirene nel 276/72, morto tra il 196 e il 192, visse prima ad Atene, poi ad Alessandria, dove fu chiamato da Tolomeo III Evergete (247-222). Fu maestro del figlio di Tolomeo III, il futuro Tolomeo IV Filopatore, e fu conservatore della Bibliotec~. Storico, poeta, grammatico, fu soprattutto matematico, astronomo, geografo. Della sua opera, di cui particolarmente c'informa Cleomede (De motu corp. raelestit<m, I, IO), sono rimasti solo frammenti e riassunti.
www.scribd.com/Baruhk
259
vare dalle raccolte del Museo e dai viaggiatori, dall'altro lato applicando i risultati della geometria e della geometria astronomica, compose un grande trattato di Geografia e uno su La misura della T et·ra (dell'uno e dell'altro non abbiamo che pochi frammenti), in cui tentò di determinare geometricamente la materia trattata, occupandosi soprattutto di ricavare la grandezza della terra e di costruire carte geografiche (cartografia). Tolomeo dirà che oggetto proprio della geografia è: Far luce sulla forma e sulla grandezza della terra e sulla sua posizione rispetto alla sfera celeste, perché si possa definire l'estensione e la costituzione della parte da noi conosciuta, sotto quali paralleli celesti sono post:: le sue diverse regioni. Di qui si deducono le lunghezze dei giorni e del!: notti, le stelle visibili allo Zenith e quelle che si trovano sempre al disotto o al di sopra dell'orizzonte, tutto ciò, insomma, che è compreso nella no· zione di ecumène [di luogo abitato]. Tale, almeno per ciò che possiamo ricavare dai frammenti e dalle testimonianze, l'oggetto della geografia per Eratostene. La questione della misurazione della circonferenza della terra egli cercò di dedurla con argomenti geometrici basati su osservazioni astronomiche. Posto che Alessandria e Siene, in Egitto, siano sullo stesso meridiano, prendendo in considerazione l'arco di meridiano Alessandria-Siene, conoscendo la distanza tra le due città (5.000 stadi egiziani) e sapendo che il raggio solare è verticale a Siene e che, proseguendo in linea retta, raggiunge il centro della terra, mentre il raggio solare, parallelo a quello di Siene, forma ad Alessandria un angolo - misurato mediante lo gnomone emisferico - con la verticale che viene dal centro della terra, Eratostene poteva calcolare la misura della circonferenza terrestre mediante l'angolo Alessandria-Centro della terra-Siene, con un risultato che si sposta di pochi chilometri rispetto agli attuali risultati. Ma ciò che qui interessa non sono tanto i risultati in sé dei " filosofi " di Alessandria nel III secolo, quanto la loro indipendenza da pregiudizi teorici e il loro metodo critico, che se da un lato costruiva rigorosamente certe verità, dall'altro lato giungeva a quelle verità mediante l'osservazione diretta e il vaglio dei dati. Sembra, cosf, chiaro perché si possa dire che né Euclide, né Apollonia di Perga, né Eratostene, o alu;i, abbiano scoperto la Geometria o l'Aritmetica o la Geografia e via di seguito, facendo fare dei passi avanti a tali scienze (come se esse esistessero per conto proprio), ma piuttosto che, basandosi su certi dati, essi abbiano determinato certe condizioni che permettono certi
260
www.scribd.com/Baruhk
tipi di ragionamenti su quei dati stessi, ragionamenti che hanno costituito quel certo tipo di discorso che è il discorso geometrico o il discorso aritmeticp e cosi via, s1 come per altre vie si cercava di determinare quei tipi di discorso, che servono a costituire i rapporti umani, e che sono i discorsi retorici, risolventisi in tecniche di discorso. Cosi le scienze, determinandosi come studio delle condizioni che permettono certi tipi di ragionamenti, atti a sinteticamente e ordinatamente inquadrare certi dati, divenivano valide in quanto tecniche di misurazione (geometria), tecniche di calcolo (aritmetica; per cui non a caso tanto Eratostene, quanto Archimede cercarono nuovi metodi di numerazione che rendessero piu facili i calcoli) mediante cui far luce, come diceva Tolomeo per la geografia matematica, e fare nuove e piu utili misurazioni, che a loro volta rendessero possibili costruzioni di utili macchine. Non va dimenticato che per quanto si tratti di aneddotica, Archimede 11 avrebbe formulato le sue piu alte teorie, prendendo le mosse da richieste fattegli da Gerone di Siracusa e dai siracusani, o per sapere se tutta d'oro era una corona senza doverla disfare, o per difendere o per abbellire la città. Certo, senza esporre qui i risultati celebri, r noti, di Archimede e le sue formulazioni scientifiche, ciò che ora piu interessa è che in Archimede - nato a Siracusa nel 287, formatosi ad Alessandria, operante per tutta la vita a Siracusa, allora centro di studi scientifici e tecnici, corrispondenti ad una notevole attività politica ed economica della città, stroncata dall'invasione di Roma, du~ante la quale, nel 212 Archimede venne ucciso, rimasto in contatto con i " filosofi " di Alessandria, e particolarmente con Eratostene, - in Archimede si vede bene il significato di tecnica dato alla scienza, cioè che la scienza è tale in quanto si realizzi tecnicamente e ·che la tecnica è tale in quanto la si deduce scientificamente, in un unico metodo le cui facce sono l'invenzione da un lato, la dimostrazione dall'altro lato. Non a caso Archimede poteva scrivere che· se da una parte certe.leggi si trovano (s'inventano) mediante la meccanica, dall'altra parte ciò che si è inventato va dimostrato geometricamente (Quadratura della parabola, II, p. 262 Heiberg), mediante un passaggio intuitivo dalla meccanica e dalla sta· tica alla geometria e alla deduzione geometrica. Il Nacque a Siracusa nel 287 circa, dall'astronomo Fidia, parente di Gerone, re di Siracusa. Archimede studiò ad Alessandria, dove entrò in amicizia con Conone di Samo (3Q0-240), Dositeo di Pelusio (270-200), Eratostenc di Cirene. Visse e operò nella sua Città, ove mori nel 212, ucciso da un soldato romano, durante il sacco di Siracusa. Dei suoi scritti conserviamo: Dd/a sfera e il cilindro. Misura dd circolo, Conoidi e sferoidi, Le spirali, Stt/1' eqttilibrio dei piani, Arenario, Qrradratura del/,, parabola, Sui corpi galleggianti, Stomachion, Ad Erarostene: metodo sulle proposizioni meccaniche, Frammenti.
www.scribd.com/Baruhk
261
Ma siccome ti riconosco studioso e maestro eccellente di filosofia scrive Archimede nella prefazione al Metodo, scoperto nel 1907, in cui si rivolge all'amico Eratostene - e sai apprezzare, quando è il caso, le ricerche relative all'apprendere (matematiche), ho creduto bene esporti e dichiararti in questo stesso libro, le particolarità di un metodo, mediante il quale ti sarà possibile acquistare una certa facilità di trattare cose matematiche [relative all'apprendere] per mezzo di considerazioni meccaniche. Son persuaso, del resto, che questo metodo sarà non meno utile anche per la dimostrazione degli stessi· teoremi. Infatti, anche a me alcune cose si manifestarono prima per via meccanica e poi le dimostrai geometricamente; perché la ricerca fatta con questo metodo non importa una vera dimostrazione. Però è certamente piu facile, dopo avere con tale metodo acquistato una certa cognizione delle questioni, trovarne la dimostrazione, anziché cercarla senza averne alcuna cognizione preliminare. Per questa ragione, anche dei teoremi riguardanti il cono e la piramide, di cui Eudosso trovò per primo la dimostrazione, cioè che il cono è la terza parte del cilindro e la piramide è la terza parte del prisma, aventi la stessa base e altezza eguale, un merito non piccolo dovrebbe attribuirsi a Democrito che per primo- enunciò queste proprietà delle dette figure (Archimede, Ad Erato· stene sul Metodo, 43 r, col. l - 46 v, col. 2, 43 r, col. 2).
Della prima metà del III secolo sono le due grandi scuole mediche di Erofilo di Calcedonia 12 e di Erasistrato di Coo, 13 vissuti ad Alessandria. Erofilo ed Erasistrat~, per quanto avversari, si riallacciano ambedue alla tradizione ippocratica, a Prassagora di Coo e a Crisippo il giovane; Erasistrato, in particolare, all'atomismo di Democrito. Erofilo ed Erasistrato, in Alessandria, ebbero le piu larghe possibilità d'indagine, tra cui la dissezione dei cadaveri, proibita nel resto del mondo greco. Erofilo, celebre anatomico (si occupò del sistema nervoso e di quello vascolare, degli organi genitali e digestivi, dell'occhio, del cuore) ed Erasistrato, celebre fisiologo (trattò la circolazione del sangue e la funzione dell'aria per la vita animale), fondarono le loro ricerche mediche, in contrasto con i cosiddetti medici teorici o dogmatici (che risalgono a Diocle di Caristo), sull'osservazione diretta (autopsia), attraverso cui, mediante un certo complesso di segni comuni 12 Delle opere di Erofilo, nativo di- Calcedone, vissuto ad Alessandria, nel III secolo, celebri furono quelle sull'Anatomia, sugli Occhi, sulla Dietetica e sulla Terapia. 13 Erasistrato, nato nell'Isola di Coo, sulla fine del IV secolo,, studiò ad Atene sotto Metrodoro, marito di una figlia di Aristotele. e a Cnido ov'ebbe contatti col medico Cri· sippo il giovane. Si stabili ad Alessandria dove insegnò e agi fino alla morte. Nulla si è conservato dei suoi scritti, dei quali abbiamo soprattutto notizia da Galeno e da Celso Aureliano. Celebri furono le sue opere su Le febbri, e su Il sangue.
262
www.scribd.com/Baruhk
determinare dei quadri clinici entro cui di volta in volta ordinare i singoli casi. Di qui la loro esigenza di conoscere a fondò e con precisione il corpo umano (Erasistrato oltre che di anatomia umana normale si océupò anche di anatomia comparata), donde, indipendentemente da og'!i causa in senso aristotelico (Erofilo sembra sia stato d'accordo con Teofrasto e con Stratone di Lampsaco ad accantonare ogni teleologismo) precisare le condizioni che permettono, ordinando i dati delle osservazioni, un retto discorso medico, una razionale tecnica medica. Non è cosi senza interesse ricordare la funzione che ha l'aria (pneuma) per Erasistrato, intesa da un lato come forza vitale (principio di vita), dall'altro lato come forza psichica, che, provenendo dall'aria esterna me~ diante i polmoni, permette la respirazione e giungendo al cuore, permettendone la pulsazione e l'irradiazione del sangue, dà vita ai corpi, nutrendone e rinnovandone continuamente i tessuti c gli elementi. Non forza occulta o divina, il pneuma ha per Erasistrato una funzione fisiologica. È stato detto (J. Beaujeu, cit., p. 388) che l'ostacolo maggiore che impedf a Erasistmto di comprendere totalm:::nte il meccanismo della circolazione fu l'ignoranza del fenomeno chimico reversibile, mediante cui il sangue si libera dall'acido carbonico, per impregnarsi di ossigeno, e per distribuire l'ossigeno mentre si carica di acido carbonico. Certo, mediante l'osservazione, fatta sui cadaveri, distinguendo le vene dalle arterie, come Erofilo, Erasistrato aveva ragione di ritenere che mentre il sangue circola per le vene, per le arterie circola l'aria, dando l'impulso alla circolazione del sangue. Pur basandosi sull'osservazione e sull'esperienza, sembra che tanto Erofilo quanto Erasistrato, allorché dal piano strettamente anatomÌ'co e fisiologico descrittivo, passavano al piano della patologia, sforzandosi di cogliere le cause delle malattie (Erofilo nella qualità del sangue; Erasistrato, le cui cure furon tutte basate sulla dietetica, nel modo con cui si muove il sangue), risolvevano i dati dell'esperienza in ragionamenti a priori, teoreticamente. Di contro a tali conclusioni, di contro a certo apriorismo di Erofilo, si mosse un discepolo di Erofilo, Filino di Cos, che, circa nel 250, fondò in Alessandria la cosiddetta medicina empirica. Secondo Filino, per il quale era necessario anche sganciarsi dalla troppa autorità assunta da Ippocrate, compito della medicina è solo quello di guarire, onde ogni caso è da risolvere per sé, indipendentemente da dogmi o teorie, ragionando solo sui dati e solo paragonando i dati tra di loro, analogicamente.
www.scribd.com/Baruhk
263
La medicina non è stata, al suo pnnc1p10, frutto del ragionamento, quanto piuttosto dell'esperienza... Se i medici sono riusciti a qualcosa, è perché i loro metodi non sono stati attinti da cause oscure o dalla ragion d'essere delle cose..., ma dalle esperienze che sono loro riuscite (Celso, De medicina, Proemio, 48).
La scuola empirica prosegui con Glaucia di Taranto (II secolo) e con Serapione di Alessandria, che, riprendendo da Glaucia, fissava in tre le regole fondamentali della medicina (il tripode empirico): osservazioni e ricerche fatte dal medico in persona (autopsia); raccolta sistematica delle osservazioni fatte da altri medici (hystorie); le malattie vanno curate facendo ricorso ad altre malattie simili ed impiegando farmaci che l'esperienza insegna esser serviti per altre malattie analoghe (esperienza analogica). Già con Erofilo ed Erasistrato, detti dogmatici perché troppo legati a Ippocrate - le cui osservazioni erano or~mai da gran parte dei medici assunte come dogmi, - proprio per il loro riallacciarsi alla tradizione ippocratica, l'osservazione,. l'esperienza erano ritenute il fondamento dell'arte medica. Con Filino di Cos, l'empirismo medico assume un valore di metodo, che va oltre i limiti della medicina, e che piu tardi (II-I sec. a.C.) verrà scontrandosi cb~ la scuola pneumatica, che applicava alla ricerca medica il motivo del " pneuma .. stoico. Lo scontro tra medici empirici e medici pneumatici è assai indicativo, poiché per altra via rispecchia la piu ampia questione della discussione tra scettici e stoici, che dopo Cleante ed Arcesilao, proseguiva in Atene tra lo stoico Crisippo (2811277~208/204) e l'accademico Carneade (219-129), nell'arco di tempo che va dalla seconda metà del III secolo alla prima metà del II.
264
www.scribd.com/Baruhk
Capitolo secondo
Da Crisippo, il "secondo fondatore" della Stoà, a Carneade. Il compimento del pensiero greco e Roma
Rispetto al complesso della dottrina stoica nella sua sistemazione, è difficile distinguere ciò che è proprio di Crisippo. 1 Sembra, anzi, attraverso le non molte testimonianze che direttamente parlano di lui, e non di " ciò che tutti gli Stoici ammettono in comune " (Diogene L., VII, 38), ch'egli, relativamente alla struttura della realtà, alla funzione di Dio, alla massiccia visione dell'universo, alla concezione per cui tutto avviene come deve avvenire, abbia ripetuto ciò ch'era stato esposto e sistemato da Cleante. Solo che altre testimonianze permettono di poter accertare che opera propria di Crisippo fu di ricostruire la dottrina stoica, cosf profondamente messa in discussione da Arcesilao, mediante argomentazioni che potessero resistere sia alle criti~he proprie della dia1 Crisippo nacque a Soli nell'isola di Cipro da genitori originari di Tarso in Ci· licia, tra il 281 c il 277. Nulla sappiamo della sua prima formazione c degli anni che passò in patria. Leggenda, sorta per inquadrare Crisippo nel solito clicM stoico, è quella secondo cui Crisippo si sarebbe dato alla filosofia dopo che gli furono confiscati i beni. Poco sappiamo anche del suo soggiorno in Atene, se non che fu seguace fedele di Clcantc, ch'egli, con la sua dialettica, difese dagli attacchi degli avversari. Crisippo conobbe a fondo le discussioni proprie degli Accademici, tanto da impadronirsi delle loro argomentazioni c del loro metodo. Forse, di qui, la voce, riportata da Diogene Laerzio, per cui Crisippo sarebbe passato all'Accademia e avrebbe filosofato con Arccsilao c Lacidc, scrivendo un libro Sull'abitudine e contro l'abitudine, in cui avrebbe esposto tesi proprie di Arccsilao (Diogene L., VII, 183). L'opera, come risulta da Cicerone (Arnim, II, 34, 12), sarebbe stata, in effetto, una raccolta di argomenti usati dagli accademici, che Crisippo avrebbe elaborato come strumenti da usare contro gli stessi avversari. Succcs'IO a Cleantc nello scolarcato della Stoà, nel 232, a cinquant'anni circa, Crisippo risollevò le sorti della Scuola, tanto che fu detto il •• secondo fondatore " dello stoicismo. Morl nella olimpiade 14 3 (208-204 ). Dei molti scritti di logica di Crisippo, sembra che sicuramente si possa dire ch'egli compose un'opera intitolata Prima introduzione sui sillogismi (in cui, forse, ci si riferiva agli Analitici di Aristotele) c un'altra intitolata JOcerche di logica; degli scritti di fisica conosciamo alcuni titoli: Sulla sostanza, Sul vuoto, Sulle abitudini, Sul moto, Sulla provvidenza, Sugli d~i. Sul fato, Fisica, Sull'anima; degli scritti di morale possiamo citare: Sulle passioni, Sui generi di vita, St4lla Repubblica, Sulla giustizia.
www.scribd.com/Baruhk
265
lettic.a cinico-megarica, sia alle contraddizioni in cui Arcesilao aveva posto i principii fondamentali della concezione di Cleante. Tale, probabilmente, il senso delle affermazioni di Plutarco (Stoic. rep., 2) secondo cui Crisippo fu l'ascia che spezzò le argomentazioni degli accademici, di Cicerone (Lucullus, 24, 75, 22), il quale dice che Crisippo è ritenuto l'uomo che ha messo i puntelli al Portico degli Stoici, di Diogene Laerzio (VII, 83) che afferma che, se Crisippo non ci fosse stato, neppure ci sarebbe stata la Stoà. Sembrano poi derivare da Crisippo certe tesi secondo cui, di contro a sicure polemiche, si sosteneva che la perfezione del mondo non è affatto compromessa dalla presenza del male fisico e del male morale e che l'indipendenza della volontà umana può conciliarsi con la legge del destino, ché la volontà in quanto appetito del fine viene a coinci· dere, poiché il fine supremo è Dio, con lo stesso intelletto in un'opzione tra l'adeguarsi all'ordine e alla Legge o il rimaner dispersi nelle passioni. Certo è, invece, che l'aspetto piu appariscente e piu originale di Crisippo, che già maggiormente colpi i suoi contemporanei, consiste nella sua revisione del sistema di Cleante e di Zenone, in un approfondimento delle stesse argomentazioni di Arcesilao, e, di conseguenza, nel significato dato alla dialettica. "A me basta conoscer le tesi, avrebbe detto, penso io a trovarne le prove " (Diogene L., VII, 179). Per poter controbattere Arcesilao, bisognava porsi sullo stesso piano, cioè rimettere in discussione i tre punti fondamentali della tesi stoica: la genesi della fantasia catalettica con la conseguente problematica se il dato-impressione sia un puro calco dell'oggetto; il possibile passaggio dal " segno " e dal " significante " al " significato," corrispondente o no allo stesso significato del reale; il possibile passaggio dalla legge costituente i discorsi e la loro veracità alla legge e al discorso su cui si scandisce la realizzazione dell6gos spermatik6s. Riprendendo con Zenone la questione della possibilità della predicazione, indipendentemente dall'oggettività delle premesse, mediante la discussione della dialettica cinico-megarica, e l'approfondimento delle implicazioni di Diodoro, Crisippo poteva, con Zenone, determinare i termini entro cui funziona un ragionamento, vero se rispetta certe condizioni, falso se non le rispetta. Si capisce cosi' come Crisippo, sempre rifacendosi a Zenone, sostenga di contro a Cleante (cfr. Diogene L., VII, 50; Sesto Emp., Adv. math., VII, 229-231, 372-373) che l'impressione non è un puro calco che direttamente stampa nell'anima l'immagine della cosa, ma che ogni rappresentazione è una modificazione (hepo(6>atc;) dell'anima, che ci afferra a seconda della sua evidenzialità, e a cui diamo l'" assenso "
266
www.scribd.com/Baruhk
non tanto perché corrispondente o meno all'oggetto, che già dovremmo conoscere per sapere se corrisponda o no all'impressione, ma in quanto fortemente presente. Il discorso, quindi, sganciandosi di nuovo dai dati presi per sé, e basandosi su dati-modificazioni, che si implicano l'un l'altro mediante la memoria, in nessi dovuti all'attività del soggetto, assume una sua verità o falsità a seconda di come si costituiscono quei nessi, indipendentemente dal riferimento all'ordine e ai nessi con cui procede la realtà, anche se la parola, il segno significante la rappresentazione comprensiva (catalettica), rispecchia l'oggetto che ha provocato la impressione stessa - come,. sembra secondo Crisippo, dimostrerebbe l'etimologia delle parole, in un certo qual modo imitazione degli oggetti nei loro primi elementi fonici: cfr. Origene, Contra Celsum, l, 24; Ethymol. Magn., s.v.; Ammonio, In Arist. de interpret., p. 42 Busse, ma che, in quanto tale, senza l'attività propria del soggetto, resta senza nessuna possibilità di nessi e implicazioni. Una cosa è dare l' " assenso " a ciò che evidenzialmente colpisce, onde non v'è comprensione senza assenso, altra cosa è la comprensione e l'implicazione dei dati " compresi," donde scaturiscono il vero e il falso. Crisippo, riconosciute valide le obbiezioni di Arcesilao e dei megarici, finché dogmaticamente e univocamente si sostenga la corrispondenza tra cosa e rappresentazione, ché, allora, non si può sostenere che un discorso possa essere vero o falso, e posta, invece, la tesi della modificazione, poteva concludere che le rappresentazioni puntualmente prese non sono né vere né false, ma che falso e vero sta nel giudizio, nel lekt6n. Di qui la dialettica di Crisippo, intesa come scienza del discorso, mediante cui si determina la validità delle proposizioni, se si ordinano le proposizioni in sillogismi ipotetici e ragionamenti anapodittici, studiando i vari tipi dei lekta, o significati enunciati, come espressioni verbali che possono essere incomplete (~ÀÀL mj) o complete (otÒTOTEÀljj ), risolventisi in tal caso, in proposizioni (interrogative, esortative, imperative), vere o false qualora siano dichiarative (assiomatiche). Tale studio delle parti del discorso e del loro ordinarsi, costituisce una grammatica e una sintassi (cfr. soprattutto Sesto Empirico, Adv. math., VIII; Diogene L., VII, 64-69). Entro questi termini dovevano rientrare le quattro categorie stoiche (soggetto, qualità. stato, relazione), delle quali, si badi, non parlano né Sesto né Diogene Laerzio, ma i commentatori di Aristotele (Alessandro, Simplicio, Porfirio). Crisippo sembra cosi aver risolto la logica in un'analisi del linguaggio, che serve a scoprire le regole di come è che funzionano i ragionamenti, il loro costituirsi in premesse e conclusioni mediante im-
www.scribd.com/Baruhk
267
plicazioni, determinando certi legami linguistici, donde scaturisce il vero o il falso del discorso stesso (sillogismi ipotetici, ragionamenti anapodittici), per cui la dialettica, in quanto analisi di ciò che permette il ragionare (8~et-Àéy(l) ), viene definita: Scienza delle cose che sono vere, di quelle che sono false, e di quelle che non sono né vere né false: la dialettica verte perciò, come dice Crisippo, sui segni e sulle cose significate (Sesto Emp., Adv. math., XI, 187). Ogni rappresentazione, in quanto modificazione dell'anima e ricordo, è un "segno" (..-ò
268
www.scribd.com/Baruhk
nomi; memoria; significati; sillogismi ipotetici, anapodittici) abbia delineato un comp!.eto quadro dei possibili tipi di ragionamento, delle possibili tecniche discorsive, per cui, in fine, la dialettica assume il valore di scienza per eccellenza, in quanto rivela i processi con cui si costituiscono per loro intrinseca necessità i discorsi su cui si fonda ogni tipo di sapere, indipendentemente dal valore oggettivo o meno delle premesse. Di contro ai sillogismi scientifici di Aristotele, che pone la dialettica sul piano della esercitazione mediante cui cogliere premesse non piu opinabili e quindi univoche, e di contro alla dialettica plato· nica che dovrebbe rivelare la stessa dialetticità dell'Essere, la dialettica crisippea, come studio dei possibili tipi di ragionamento, rivela la possibilità della validità di tipi diversi di discorsi, il loro carattere ipotetico. Si vede, cos1, bene come se l'uno aspetto della logica è la dialettica, l'altro sia la retorica. Se la dialettica è l'arte mediante cui si pensa bene, la retorica è l'arte del ben dire. E come la dialettica studia i possibili aspetti dei ragionamenti, cos1 la retorica studia le tecniche dei discorsi proferiti. Nello studio delle tecniche dei discorsi proferiti, Crisippo e gli Stoici si potevano rifare alla tradizione e in particolare alla rielaborazione delle forme retoriche dovute ad Aristotele, 'che nella retorica è perfettamente sganciato dai sillogismi scientifici. Sotto questo aspetto lo studio della retorica, come determinazione di quelle che sono le re· gole del dire e del persuadere a seconda degli ambienti e del pubblico cui il discorso è rivolto, poteva tener presente la Retorica di Aristotele. Sembra cosf che Crisippo abbia diviso in tre parti la retorica: deliberativa, giudiziaria, encomiastica e che abbia studiato particolarmente l'invenzione, l'elocuzione, la disposizione e la recitazione (Diogene L., VII, 42), soffermandosi anche sulle regole che governano le parti dell'orazione, con particolar riguardo all'epilogo (Anonymus, ars. rhet. in Rhet. graec., l, ed. Spengel, p. 454; Arnim, II, 296). La rielaborazione e la tecnicizzazione da parte di Crisippo della logica zenoniana, insieme alla determinazi~' di istituzioni retoriche, e certi aspetti della logica aristotelica - qualora la si consideri indipendente da conte"imti, qual è particolarmente il caso delle Categorie - insieme a certe tecniche retoriche di Aristotele, potevano essere accostati, contribuendo in tal modo alla formazione di manuali di logica, e, per altro rispetto, di retorica, che si avranno ad uso delle scuole e per la formazione della classe dirigente, soprattutto nell'ambiente romano. Su tali rielaborazioni e istituzioni dialettiche c retoriche si formeranno uomini che con la problematica di Aristotele e di Platone e con quella di Crisippo o dei primi stoici, non avranno piu nulla a che fare, anche se
www.scribd.com/Baruhk
269
poi in loro si troveranno sia tesi aristoteliche, sia platoniche, sia stoiche, o interpretazioni della dialettica platonica, della logica aristotelica in chiave di logica stoica o con termini tratti da quella logica, o viceversa. A tal proposito sembra, anzi, interessante ricordare che già sulla metà circa del II secolo si venga sempre piu definendo il campo proprio della dialettica e particolarmente della retorica come scienze a sé, approfondendone il significato educativo. Da un lato ciò si rivela da quel poco che sappiamo della Retorica dello stoico Diogene di Babilonia, che insieme a Carneade si recò a Roma per l'ambasceria del 155, il quale vedeva nella retorica l'arte con cui si formano uomini politici utili alla città (cfr. Filodemo, De rhet., I, p. 333. Sudh.); o dall'altro lato attraverso la sistemazione della retorica del celebre Ermagora di T emno. Egli, oltre a determinare le tecniche dei discorsi relative alle questioni di dispute particolari da parte di singole persone (ipoten), delineò la possibilità di discutere sul piano retorico argomenti di carattere generale (ten), vedendone il pro e il contro, come in tribunale, e che possono essere utiii sia per la parte deliberativa della retorica, sia per quella giudiziaria, sia per quella encomiastica, in uno sviluppo di quelli che in Aristotele erano i luoghi comuni (tesi) e i luoghi propri (ipotesi). Si capisce come poi di qui si potranno assumere, per esercitazione retorica nelle scuole, o per utilità di discussione in tribunale o in wlitica, le tesi dalle tesi stoiche di morale, dalle tesi platoniche, da quelle aristoteliche, indipendentemente dai contesti e dal loro significato in quei contesti. Ma qui il discorso si fa diverso, anche se era necessario questo accenno per prospettare quelli che saranno certi aspetti della cultura quale troveremo dalla seconda metà del II secolo a. C. in poi a Roma, nel costituirsi di un ambiente, di una tematica, di un complesso di esigenze, che prendendo mosse e strumenti dal pensiero e dalla problematica della cultura greca si delinea in modi diversi, risolvendosi alla fine in una diversa strutturazione, ove altre sono le domande e le richieste. Ad ogni modo, posta la formalità della logica crisippea e la sua soluzione in termini di grammatica e di sintassi, in un'analisi del linguaggio, ammesso pure che l'assenso venga dato a ciò che piu fortemente. impressiona, onde assumiamo fede nella esistenza di ciò che si vien oresentando ('tUrx«vov )su cui poi si costituisce il discorso, posta l'analisi rivelante i vari tipi di discorso, la loro verità o falsità, e posti con ciò i sillogism! ipotetici, i ragionamenti anapodittici, ciò che sembra difficile spiegare è come Crisippo sia poi potuto passare, sul fondamento di quella logica, a determinare la ragion d'essere, la logica
www.scribd.com/Baruhk 270
dd tutto, il cui esito è una teologia, una fisica, una concezione del diritto naturàle simili a quelle di Cleante. Qui non vengono in aiuto né le testimonianze, né i pochi e sospetti frammenti. Se da un lato troviamo un certo insieme di testimonianze, che, riferendosi particolarmehte a Crisippo, permettono di ricostruire la sua logica e la sua dialettica, il suo studio dei significanti e dei significati, e certi termini tecnici, nel senso che sopra abbiamo detto; dall'altro lato, dall'e·sposizione che gli antichi dettero dello stoicismo parlando insieme di Zenone, di Cleante e di Crisippo, vengono fuori, soprattutto comuni a Cleante e a Crisippo, la stessa teologia, la stessa fisica, la stessa etica. Possiamo cos1 solo sospettare o che la dimostrazione del tutto (fatalmente ordinantesi in una catena, manifestazione della Legge con cui Dio si realizza) è tratta per analogia dal modo con cui si costituisce il discorso, per cui lo stesso tutto e la sua ragion d'essere e concatena-. zione fatale è, alla fine, un possibile discorso ipotetico, che viene accettato o respinto solo per opzione, per un atto di volontà, in un ripiegamento, dal punto di vista ontologico, sul probabile o credibile; oppure che Crisippo abbia nettamente distinto dalla logica (dialettica e retorica) come unica scienza umana, valida per provare uno o altro tipo di discorso, la fisica e la teologia valide a spiegare in quanto basate su di un ragionamento, che può essere formalmente vero, e al quale diamo quindi l'assenso, una certa condotta morale. L'uomo, cos1, razionalmente ricostruendo un ipotetico tutto razionale, ove tutto è determinato, nella consapevolezza critica delle proprie determinazioni e limitazioni, da esse si libera accettandole e, in un giuoco ove le pedine sono date e date sono le mosse, ha possibilità - tale sembra l'affermazione crisippea che fato e volontà umana possono coesistere - di determinare tra le possibili mosse date una mossa piuttosto che un'altra. Dice Crisippo: a quel modo che chi ha dato la spinta a un cilindr~ gli ha dato l'inizio del movimento, ma non la capacità di girare, cosf la rappresentazione imprime, si, l'oggetto, ma l'assenso sarà in nostro potere... Cosi l'ordine e la ragione e la necessità del fato muovon gli stessi gelliO"i e priiÌcipii delle cause, ma l'impeto delle risoluzioni e delle menti nostre e le azioni stesse le governa la volontà propria di ciascuno e l'indole degli animi (Cicerone, De fato, 41-43; Aulo Gellio, Notti Attiche, VII, 2). Altro di Crisippo non possiamo dire, ché gran parte delle piu duttili discussioni sugli indifferenti, sul rapporto tra utile e onesto, probabilmente certi sviluppi relativi alla giustizia, all'unica ragione per cui tutti gli uomini sono uguali e, idealmente almeno, hanno quindi
www.scribd.com/Baruhk
271
tutti gli stessi diritti da natura (" il giusto è per natura e non per convenzione, come anche la legge e la retta ragione, secondo dice Crisippo ": Diogene L., VII, 128), le interpretazioni allegoriche degli dèi, alcune affermazioni paradossali, sono certo posteriori a Crisippo, e se prestiamo fede alle ricostruzioni di Cicerone, furono proprii della Scuola e in particolare di Diogene di Seleucia o di Babilonia e di Antipatro di T arso, che, dopo Zenone di T arso, successero nello scolarcato della Stoà durante il II secolo. Secondo Antipatro si deve rivelare ogni cosa, perché il compratore non ignori nulla di ciò che conosce il venditore: e per Diogene il venditore deve dire i difetti di ciò che vende, fin quanto vuole la legge; per il resto agisca senza inganno e, poiché vendè, venda nel modo migliore ... E mentre Antipatro dice: "Ma come? Mentre devi provvedere agli uomini e renderti utile al consorzio umano, a tale scopo sei nato, e riconosci il principio naturale, per cui l'utile tuo è inseparabile dall'utile comune e viceversa, terrai nascosto agli uomini quel vantaggio che può favorirli? "; Diogene risponderà: "Altro è nascondere, altro è tacere... " (Cicerone, De officiis, III, 51-52). In effetto sembra che se da un lato molte delle discussioni di etica1 sorte nella Scuola, hanno un sapore di esercitazioni dialettiche e retoriche, dall'altro lato proprio tali esercitazioni ponevano il problema della eticità su di un piano casistico, che venne, non poco, spostando la rigidità dell'originario stoicismo, permettendo una maggiore duttilità nei confronti delle singole situazioni politiche, mentre il motivo dell'uguaglianza di tutti gli uomini in nome dell'unica ragione naturale assumeva significato polemico di fronte alle sempre piu gravi sperequazioni sociali, anche se, alla fine, entro l'ambito di una realtà ove tutto si dispone in ben precisi gradi, rispecchianti la Legge di Dio, poteva giustificare proprio quelle stesse sperequazioni sociali. L'atteggiamento polemico, invece, tanto meglio si vede in alcune posizioni di Cinici del III secolo (Bione di Boristene, Menippo di Gàdara, Cercida di Megalopoli, Telete), che, mantenendo il tipico aspetto cinico, di ribellione ad ogni tipo di società, nelle loro satire e diatribe e meliambi, forme letterarie propriamente popolari e rivolte al popolo, vennero puntando l'accento sulla sperequazione tra ricchi e poveri: Perché mai il cielo - scriveva Cercida - non toglie ai ricchi la loro maialesca ricchezza ... ? A quali signori, dunque, a quali celesti dovremo rivolgerei, per avere il giusto compenso, quando il Cronide, che tutti
272
www.scribd.com/Baruhk
ci ha generati, che anche a noi ha dato la vita, degli uni si mostra padre [dei ricchi], degli altri patrigno [dei poveri]? (Meliambo I, v. 9, w. 23-27).
Alla morte di Crisippo, avvenuta ad Atene tra il 208 e il 204, scolarca dell'Accademia era Telecle, successo a Lacide di Cirene, ch'era stato a capo della Scuola dalla morte di Arcesilao (240 circa) al 223. Di Lacide, ch'ebbe notevole fama di maestro, che fu circondato da molti discepoli venuti ad Atene da· tutte le parti del mondo greco, sappiamo solo che espose per scritto il pensiero del maestro. COs1, poco o niente sappiamo di Telecle, morto verso il 178, e meno ancora del suo successore Evandro, che lasciò la direzione dell'Accademia a Egesino di Pergamo, al quale successe il discepolo Carneade. Di altri Accademici di questo periodo sappiamo solo i nomi, Aristippo di Cirene e Pitodoro, che dedicò i suoi scritti all'esposizione delle argomentazioni di Arcesilao (si cfr. Diogene L., IV, 51; Il, 83; lndex Herc., XXVII, 9; Cicerone, Lucullus, VI, 16; Suda, s. v. Aotxu31Jc;). La loro importanza sembra, dunque, soprattutto dovuta all'avere costituito una tradizione arcesilea, prendendo le mosse dalla quale Carneade, 1 in un approfondimento delle argomentazioni di Arcesilao, serratamente discusse gli scrhti di Crisippo (" Se Crisippo non fosse stato, neppure io sarei : Diog. L., IV, 62) e le tesi stoiche elaborate dai discepoli di Crisippo, Diogene di Babilonia, alla cui scuola fu Carneade (Cicerone, Lucullus, XXX, 98), e Antipatro di Tarso, contemporaneo di Carneade, del quale si dice che mai osò attaccare Carneade nella scuola o in piazza, preferendo difendere lo stoicismo attraverso gli scritti (N umenio, fr. 5). Nato a Cirene nel 219 circa o nel 214, in una città ricca di tradizioni scientifiche e culturali - da dove erano venuti ad Atene anche 2 Nato a Cirene tra il 219 e il 214, Carnéade venne ad Atene in un'epoca che non è dato precisare. Ad Atene si preoccupò soprattutto di rendersi conto delle varie com-
ponenti culturali: ascoltò Egcsino di Pergamo, scolarca dell'Accademia, Diogene di Babilonia, scolarca della Stoà e discepolo di Crisippo. Fu uomo di vastissima cultura, dialettico sottile, buon parlatore. Successe nello scolarcato dell'Accademia a Egesino di Pergamo. Probabilmente fu proprio la sua fama di dialettico e di buon parlatore che fece decidere gli ateniesi ad inviare a Roma Carneade insieme allo scolarca della Stoà Diogene di Babilonia, e allo scolarca del Peripato, Critolao, in qualità di ·ambasciatore presso il senato romano (155 a.C.). Gli ateniesi, condannati da Roma a pagare una·forte multa per avere saccheggiato Oropo, inviarono Carneade, Diogene di Babilonia e Critolao, a Roma perché cercassero di far ritirare il provvedimento. Giunti a Roma e non ascoltati subito dal senato, i tre ambasciatori presero contatto coi giovani romani, discutendo con loro di filosofia. Chi fece la massima impressione, per la sua arte dialettica, per avere un giorno esaltato la giustizia e il giorno dopo, con altrettanti argomenti convincenti, sostenuto che la giustizia è stoltezza, fu Carneade.
www.scribd.com/Baruhk
273
gli accademici Aristippo e Lacide, - Carnel).de, ad Atene, ascoltò le lezioni e le discussioni dei maggiori maestri, dallo scolarca dell'Accademia Egesino di Pergamo a Diogene di Babilonia, scolarca del Portico (Cicerone, Lucullus, VI, 16; XXX, 98). Studioso e lettore attento di scritti filosofici di ogni provenienza - dice Cicerone che Carneade conosceva a fondo ogni parte della filosofia: V a"o, XII, 46, - ottimo parlatore e sottile dialettico, sembra che per queste sue doti sia stato scelto da Egesino a succedergli nello scolarcato dell'Accademia. Che Carneade, come Arcesilao, non abbia scritto nulla, indica chiaramente una netta presa di posizione e l'assunzione della filosofia come sempre attenta e aperta consapevolezza critica. Di qui, non tanto un atteggiamento polemico nei confronti dello stoicismo, quanto un continuo richiamo alle ingiustificate evasioni dai limiti delle possibilità umane verso cui lo stoicismo veniva scivolando. Non a caso, anzi, tutta la discussione di Carneade si svolge al di dentro della stessa logica dello stoicismo. Carneade non oppone allo stoicismo altra concezione, sia pur rovesciata, ché sempre si sarebbe trattato di una " filosofia," ma egli, riconoscendo con lo stoicismo, o meglio con Crisippo, che i fondamenti del discorso umano sono da un lato i dati dell'impressione sensibile e dall'altro lato l'attività del soggetto che ordina e unisce in nessi e implicazioni quei dati stessi, proprio per questo, non potendo la ragione umana uscire da se stessa e dal proprio discorso, sottolinea l'illeceità del passaggio dal discorso umano ad un presunto discorso della realtà. E, soprattutto, usando il metodo delle antiCarneade visse fino al 129 circa. Intorno al 137, vecchio e ammalato, aveva lasciato la direzione dell'Accademia, che passò al discepolo Carneade di Polemarco che prem.ori al maesto (131). Lo scolarcato dell'Accademia fu quindi tenuto da Cratete di Tarso, al quale, morto nel 129, successe Clitomaco di Cartagine. Carneade non lasciò scritti. Su di lui e sul suo modo di pensare scrisse Clitomaco, che, probabilmente, fu la maggior fonte di Cicerone. Per utilità ricordiamo che dopo Platone scolarchi dell'Accademia furono: Speusippo (347·339), Senocrate (339-314), Polemone (314-270), Cratete di Atene (270-268), Arcesilao (268-240), Lacide (240-223), Tclecle (223-178), Evandro, Egesino di Pergamo, Carneade. Di Diogene di Babilonia e di Critolao, che accompagnarono Carneade a Roma nel 155, sappiamo molto poco. Diogene di Babilonia, discepolo di Crisippo, successe nello scolarcato della Stoà a Zenone di Tarso: soprattutto si occupò di dialettica e di retorica. Fu il quarto scolarca della Stoà dopo Zenone: Cleante (264-232), Crisippo (232-208), Zenone di Tarso, Diogene di Babilonia. Pochi i frammenti di Critolao, nativo di Faselide, nella Licia, e scarse le notizie su di lui. Successe nello scolarcato del Liceo ad Aristone di Ceo che scrisse una Storia d~l P~ripato, in cui sono inseriti i testamenti degli scolarchi suoi predecessori. Critolao fu il quinto scolarca del Liceo, dopo Aristotele: Teofrasto (322-288/86), Stratone di Lampsaco (288/86-27-2/68), Licone di Troade (272/68-228/25), Aristone di Ceo, Critoli10. A Critalao successe Diodoro di Tiro.
www.scribd.com/Baruhk 274
logie, egli tende a chiarire l'impossibilità di affidarsi a una qualsiasi dottrina che presuma d'essere l'unica vera o la possibilità che una dottrina abbia di dimostrarsi vera razionalmente. Di qui, di contro ad ogni tipo di teologia o di dimostrazione dell'esistenza degli dèi o del divino, l'appello di Carneade a rendersi conto dei propri limiti e delle proprie possibilità è, si, da un lato, la dichiarazione di morte di un certo tipo di filosofia, ma dall'altro lato è anche il piu alto riconoscimento della serietà dell'indagine che, negando alla filosofia la sua presunta funzione di scienza delle scienze, dà alla filosofia la funzione di determinare volta per volta il limite e la validità di questa o di quella ricerca, la consapevolezza dell'umana responsabilità, della responsabilità del pensiero. Carneade, certo, non si spiega senza Crisippo (soprattutto per ciò che riguarda i limiti della logica e della dialettica), senza la tesi stoica del fato e della Legge, e senza i conseguenti problemi sulla possibilità o meno della libertà e della umana capacità di azione. Sotto questo aspetto, l'appello di Carneade alla consapevolezza critica, alla responsabilità del pensiero, al significato e alla funzione che ha il filosofare, non è un vuoto appello, ma una concretissima presa di posizione, nei confronti di tesi che finivano per alienare- l'uomo, in una situazione storica particolarmente favorevole a simili evasioni ed evitate responsabilità in astratte pacificazioni. Cosi, accanto alla discussione svolta da Carneade nei confronti della fantasia catalettica, della veracità o meno dell'impressione sensibile, della dialettica come capacità di discernere i ragionamenti veri dai falsi, dell'assenso, della necessità della epoché (discussione, del resto, anche se piu approfondita, molto simile a quella svolta da Arcesilao ), sembra di non poco conto ricordare la precisa problematica posta da Carneade nei confronti dell'impossibilità di porre da un lato una realtà fatalmente ordinantesi in nessi, ove tutto è là dove dev'essere necessariamente, momento del necessario realizzarsi di una legge universale, e, dall'altro lato, l'uomo avente la capacità di volere, per cui almeno alcune cose sono in suo potere. Carneade, ed è naturale, non si decide né per l'una né per l'altra tesi. Ciò ch'egli vuole è giungere a porre l'inconciliabilità tra libertà e necessità, tra possibilità umana di costruire il proprio mondo e d'esserne responsabile, e la visione di un tutto ove Dio è legge. Ma nel sottolineare tale aporia, Carneade portava ad estrema conseguenza ed a consapevolezza quella ch'era stata la problematica propria di gran parte del pensiero greco. E qui pensiamo particolarmente ad Aristotele nel quale si vede bene il conflitto tra un tutto che sillogistica-
www.scribd.com/Baruhk
275
mente si scandisce e la volontà come capacità di realizzare in armonia dei fini che dipendono dall'attività propria dell'uomo e alla soluzione di una parte almeno della scuola aristotelica, che svincolando il filosofare dalla ricerca delle cause prime e dei fini ultimi, aveva posto la funzione del filosofare nell'indagine delle condizioni che permettono la costruzione delle singole scienze, o, per altra via, del come è che si pensa, del come è che si parla. Ma pensiamo anche ad Epicuro, alla sua polemica contro l'astrologia e la dialettica di Platone, contro il sillogismo di Aristotele, contro la matematicizza:z;ione dell'universo. Ed infine pensiamo agli stessi Stoici, in particolar modo a Zenone e a Crisippo, e cioè ai loro sillogismi ipotetici, alla loro logica proposizionale, che, invece di un esito religioso-teologico - non va dimenticato che gran parte degli stoici provenivano da zone orientali, particolarmente semitiche, ove giovani si erano formati - poteva aver quell'esito, che, in effetto, ebbe proprio in Carneade. Posto cioè che ogni discorso si costituisce di implicazioni dovute al ricordo di impressioni ricevute, ognuna delle quali non è, presa in sé, né falsa né vera (non abbiamo alcun criterio per poter affermare che l'impressione vera è quella che corrisponde all'oggetto impressionante, perché dovremmo già prima conoscere l'oggetto), e posta quindi l'ipoteticità del discorso, si deve avere il coraggio di mostrare che proprio perché ogni discorso è ipotetico, per cui l'uno si può opporre all'altro (antilogia), ogni discorso è valido sul piano umano, e la sua stessa verità - la coerenza o meno delle implicazioni - può cangiare, se diverse sono le impressioni e i relativi ricordi, per cui la stessa dialettica, intesa come scienza che dovrebbe distinguere il vero dal falso nei discorsi, non ha alcun criterio assoluto e quindi è vana, sf come vano sul piano ontologico si rivela il criterio dell'analogia con cui gli Stoici hanno costruito la loro cosmologia, la loro concezione del di vino, della Provvidenza, con cui provano l'esistenza di Dio, e pongono la tesi del diritto naturale. Costruzione umana, gli umani discorsi e le umane verità, le une e gli altri validi entro i termini della mobile storia degli uomini e delle loro esperienze, la stessa giustizia è storica e non naturale. Gli uomini sancirono il diritto per proprio utile, dal momento che spesso esso venne cangiato a seconda dei costumi e, nell'ambito di una medesima società, a seconda dei tempi: non esiste pertanto alcun diritto naturale; tutti, uomini ed esseri viventi, sono portati all'utile proprio, sotto la guida della propria natura; di conseguenza o non esiste affatto la giustizia o, se esiste in qualche modo, è il colmo della stoltezza, perché in servizio del vantaggio altrui nuocerebbe a se stessa (Lattanzio, Div. inst., V,
276
www.scribd.com/Baruhk
16, 2-3) ... C'è, dunque, un diritto civile, non un diritto naturale (Cicerone, Rep., III, 7 sgg.) ... Distinta la giustizia in due parti, chiamando l'una sociale e l'altra naturale, Carneade le capovolge ambedue, dal momento che la prima è civile saggezza, ma non vera giustizia, e la seconda è 1..erto naturale giustizia, ma non saggezza (Cicerone, Rep., III, 20, 31).
Il che, ancora una volta, non significa affatto negare la giusuz1a o opporre alla tesi stoica un altro concetto di giustizia, ma dimostrare l'impossibilità di cogliere la giustizia in sé, di cogliere, di là dall'umano discorso e dalle situazioni umane, la ragion d'essere del tutto, la legge come recta ratio su cui tutto si fonda. Carneade, testimonia Cicerone, confutò la giust1z1a, non già perché pensasse che essa dovesse essere ingiuriata, ma per dimostrare che i suoi difensori discutevano intorno alla giustizia, senza avere alcun fondamento certo e solido (Rep., III, 7, 11). Lo stesso potremmo ripetere per ciò che riguarda gli dèi, la cosmologia, la provvidenza, la divinazione (artificiale e naturale) e cosi via, tutte tesi stoiche, che Carneade discute senza uscire fuori dalle stesse argomentazioni stoiche, dimostrandone la contraddittorietà sia ricorrendo alle antilogie sia ai vecchi sofismi megarici, come i soriti, sia all"' ironia" socratica (si cfr., anche per ciò che sopra è stato esposto, Cicerone, Lucullus; De natura deorum, III; De divinatione, II; De fato, VII, XIV; De finibus, II, 35-41; Sesto Empirico, Adv. math., IX e VII passim). D'altra parte, infine, poiché, almeno in Crisippo, la dimostrazione del tutto e di quelle che sono le leggi del tutto è tratta per analogia dal mondo con cui si costituisce il discorso, per cui di implicazione in implicazione si giunge a porre la condizione prima nel principio attivo e in quello passivo, lo stesso tutto e la sua ragion d'essere e concatenazione fatale sono, alla fine, un possibile discorso ipotetico, che viene accettato o respinto per opzione. Sembra chiaro, allora, come di qui Carneade potesse trarre che, dunque, l'esito non· contraddittorio della logica stoica doveva essere non la certezza in un sapere assoluto, che accantona ogni altra opinione, ma il ripiegamento sul probabile o credibile (7tr.&«vov- pithan6n ). Molto si è discusso sul significato che ha in Carneade la tesi del credibile. " È in valso l'uso," scrive il Dal Pra (Grande Antologia filosofica, Milano, 1954, l, pp. 515-16}, " di considerare del tutto a parte... la dottrina carneadiana del pithan6n, che darebbe fondamen-
www.scribd.com/Baruhk
277
mente si scandisce e la volontà come capacità di realizzare in armonia dei fini che dipendono dall'attività propria dell'uomo e alla soluzione di una parte almeno della scuola aristotelica, che svincolando il filosofare dalla ricerca delle cause prime e dei fini ultimi, aveva posto la funzione del filosofare nell'indagine delle condizioni che permettono la costruzione delle singole scienze, o, per altra via, del come è che si pensa, del come è che si parla. Ma pensiamo anche ad Epicuro, alla sua polemica contro l'astrologia e la dialettica di Platone, contro il sillogismo di Aristotele, contro la matematicizza~ione dell'universo. Ed infine pensiamo agli stessi Stoici, in particolar modo a Zenone e a Crisippo, e cioè ai loro sillogismi ipotetici, alla loro logica proposizionale, che, invece di un esito religioso-teologico - non va dimenticato che gran parte degli stoici provenivano da zone orientali, particolarmente semitiche, ove giovani si erano formati - poteva aver quell'esito, che, in effetto, ebbe proprio in Carneade. Posto cioè che ogni discorso si costituisce di implicazioni dovute al ricordo di impressioni ricevute, ognuna delle quali non è, presa in sé1 né falsa né vera (non abbiamo alcun criterio per poter affermare che l'impressione vera è quella che corrisponde all'oggetto impressionante, perché dovremmo già prima conoscere l'oggetto), e posta quindi l'ipoteticità del discorso, si deve avere il coraggio di mostrare che proprio perché ogni discorso è ipotetico, per cui l'uno si può opporre all'altro (antilogia), ogni discorso è valido sul piano umano, e la sua stessa verità - la coerenza o meno delle implicazioni - può cangiare, se diverse sono le impressioni e i relativi ricordi, per cui la stessa dialettica, intesa come scienza che dovrebbe distinguere il vero dal falso nei discorsi, non ha alcun criterio assoluto e quindi è vana, s1 come vano sul piano ontologico si rivela il criterio dell'analogia con cui gli Stoici hanno costruito la loro cosmologia, la loro concezione del divino, della Provvidenza, con cui provano l'esistenza di Dio, e pongono la tesi del diritto naturale. Costruzione umana, gli umani discorsi e le umane verità, le une e gli altri validi entro i termini della mobile storia degli uomini e delle loro esperienze, la stessa giustizia è storica e non naturale. Gli uomini sancirono il diritto per proprio utile, dal momento che spesso esso venne cangiato a seconda dei costumi e, nell'ambito di una medesima società, a seconda dei tempi: non esiste pertanto alcun diritto naturale; tutti, uomini ed esseri viventi, sono portati all'utile proprio, sotto la guida della propria natura; di conseguenza o non esiste affatto la giustizia o, se esiste in qualche modo, è il colmo della stoltezza, perché in servizio del vantaggio altrui nuocerebbe a se stessa (Lattanzio, Div. inst., V,
276
www.scribd.com/Baruhk
16, 2-3) ... C'è, dunque, un diritto civile, non un diritto naturale (Cicerone, Rep., III, 7 sgg.) ... Distinta la giustizia in due parti, chiamando l'una sociale e l'altra naturale, Carneade le capovolge ambedue, dal momento che la prima è civile saggezza, ma non vera giustizia, e la seconda è terto naturale giustizia, ma non saggezza (Cicerone, Rep., III, 20, 31).
Il che, ancora una volta, non significa affatto negare la giust1z1a o opporre alla tesi stoica un altro concetto di giustizia, ma dimostrare l'impossibilità di cogliere la giustizia in sé, di cogliere, di là dall'umano discorso e dalle situazioni umane, la ragion d'essere del tutto, la legge come recta ratio su cui tutto si fonda. Carneade, testimonia Cicerone, confutò la giusUZla, non già perché pensasse che essa dovesse essere ingiuriata, ma per dimostrare che i suoi difensori discutevano intorno alla giustizia, senza avere alcun fondamento certo e solido (Rep., III, 7, 11). Lo stesso potremmo ripetere per ciò che riguarda gli dèi, la cosmologia, la provvidenza, la divinazione (artificiale e naturale) e cos1 via, tutte tesi stoiche, che Carneade discute senza uscire fuori dalle stesse argomentazioni stoiche, dimostrandone la contraddittorietà sia ricorrendo alle antilogie sia ai vecchi sofismi megarici, come i soriti, sia all'" ironia " socratica (si cfr., anche per ciò che sopra è stato esposto, Cicerone, Lucullus; De natura deorum, III; De divinatione, II; De fato, VII, XIV; De finibus, II, 35-41; Sesto Empirico, Adv. math., IX e VII passim). D'altra parte, infine, poiché, almeno in Crisippo, la dimostrazione del tutto e di quelle che sono le leggi del tutto è tratta per analogia dal mondo con cui si costituisce il discorso, per cui di implicazione in implicazione si giunge a porre la condizione prima nel principio attivo e in quello passivo, lo stesso tutto e la sua ragion d'essere e concatenazione fatale sono, alla fine, un possibile discorso ipotetico, che viene accettato o respinto per opzione. Sembra chiaro, allora, come di qui Carneade potesse trarre che, dunque, l'esito non· contraddittorio della logica stoica doveva essere non la certezza in un sapere assoluto, che accantona ogni altra opinione, ma il ripiegamento sul probabile o credibile (7tt&otv6v- pithan6n). Molto si è discusso sul significato che ha in Carneade la tesi del credibile. " È in valso l'uso," scrive il Dal Pra (Grande Antologia filosofica, Milano, 1954, l, pp. 515-16}, " di considerare del tutto a parte... la dottrina carneadiana del pithan6n, che darebbe fondameo-
www.scribd.com/Baruhk
277
to al suo probabilismo, come anche di considerare il probabilismo del tutto a parte rispetto allo scetticismo vero e proprio. Per contro, un attento esame della questione porta a concludere che, anche a proposito del problema dell'azione e del motivo della probabilità, Carneade non ha fatto che attenersi al classico metodo della ritorsione polemica nei confronti dello stoicismo. Crisippo... aveva sostenuto che il probabile conduce all'assenso, ma non certo all'assenso della rappresentazione comprensiva; mentre tale assenso infatti è criterio di verità, la probabilità è causa permanente di errore; ci si potrà difendere da esso percorrendo interamente ogni enunciazione, evitando che il conflitto delle ragioni in pro ed in contro ci distolga dalla rappresentazione comprensiva, evitando soprattutto che l'indebolimento dell'assenso ci porti a !asciarci sfuggire la rappresentazione comprensiva. Ebbene, Carneade rispondeva all'incirca nei termini seguenti: il vostro criterio, o stoici, della rappresentazione comprensiva non è in fondo che un pithan6n, ossia una di quelle probabilità che voi considerate come perenne fonte di errori; la vostra dialettica, che è tutta la vostra scienza, fondata sulla persuasione e sulla probabilità diviene una pura e semplice arte di persuadere, una retorica; la vostra pretesa di costituire, partendo dalla sensibilità, una scienza del vero e del falso, è vana; per l'azione è sufficiente la persuasione, come mostra lo stesso sapiente stoico; e la persuasione rende inutile la conoscenza comprensiva; la vostra teoria della conoscenza non ha dunque oggetto; proprio e solo alla persuasione voi siete costretti a ridurvi; il pithanon è l'unico punto che vi resta di tutta la vostra filosofia." La rappresentazione ha due aspetti, uno relativo all'oggetto, l'altro al soggetto. Rispetto all'oggetto essa ~ vera o falsa ... Rispetto al soggetto appare vera o faisa: e quella che appare vera si chiama persuasiva (" pithané ")... Ora, quella rappresentazione che appare vera, e in modo abbastanza chiaro, è per Carneade criterio di verità... per la. condotta della vita e l'acquisto della felicità... Talvolta accade anche che una tal rappresenta· zione sia falsa ... : ma siccome questo capita di rado, si pu~ prestar fede a quella che per lo piu è vera, poiché noi non possiamo regolare giudizi e azioni che in conformità di ci~ che è il piu consueto (Sesto Empirico, Atlv. math., VII, 166-173). Il criterio primo e comune secondo Carneade è dato dalla rappresentazione persuasiva. Ma poiché le rappresentazioni non sono mai isolate,. ma formano come una catena nella quale ciascuna è collegata con le altre, il secondo criterio sarà la rappresentazione persuasiva e insieme non contraddetta . (" aperispastos ") ... Come alcuni medici comprendono chi ha dav·
278
www.scribd.com/Baruhk
vero la febbre non da un solo sintomo ... , ma dal concorso di tutti..., cos{ l'Accademico dal concorso delle rappresentazioni giudica la verità; e se nessuna delle rappresentazioni concomitanti la contraddica come falsa, dice che è vera quella che gli appare. Ma ancor piu della rappresentazione non contraddetta è persuasiva e perfetta generatrice di giudizio quella che aggiunga al non esser contraddetta anche l'esser esaminata in ogni parte (" diexodeuméne ") ... , per esempio, per quel che riguarda il giudicante, il giudicato, il mezzo attraverso cui si giudica, la distanza e l'intervallo,. il luogo, il tempo, la disposizione, l'attività, e cosi via. Nelle contingenze comuni, dice Carneade, usiamo per criterio la sola rappresentazione persuasiva; in quelle un po' importanti la non contraddetta; in quelle poi che influiscono sulla felicità, quella esamim ta in ogni parte (Sesto Empirico, Adv. math., VII, 176 sgg.). Cicerone e Sesto sono le uniche fonti per avvicinarsi alla pos1z10ne di Carneade: Cicerone sembra attingesse - ma personalmente li rielabora, - agli scritti di un discepolo di Carneade, Clitomaco di Cartagine, che fedelmente espose il pensiero del maestro. Ad ogni modo, comunque s'intenda o s'interpreti la tesi del pithan6n, sia pur attraverso la ricostruzione che dell'atteggiamento di Carne~de dà Cicerone e l'esposizione che del cosiddetto scetticismo di Carneade dà Sesto Empirico, ciò che chiaramente emerge è il continuo appello di Carneade a non uscire fuori dal proprio mondo umano, ad assumere di fronte ad ogni opinione o concezione, per venerata o venerabile che sia, una consapevolezza critica che, chiarendo le nostre idee, rende conto di ciò che siamo e di ciò che possiamo plausibilmente fare, in un accantonamento delle supreme verità, quali che siano, oggetto di fede, ma distruggitrici di quell'umano dovere che è il ragionare. Sotto questo profilo ed entro i termini delle discussioni antilogiche di Carneade, ci rendiamo conto dell'impressione che fece in Roma il suo celebre discorso sulla giustizia, in cui, dopo aver sostenuto il valore della giustizia con argomenti convincenti, con altrettanti convincenti argomenti ne dimostrò l'assurdità. Ma ci rendiamo conto anche delle preoccupazioni di un Catone di fronte a uomini come Carnead,e, e il suo darsi da fare, perché gli ambasciatori (Carneade accademico, Diogene di Babilonia stoico, Critolao peripatetico), inviati da Atene a Roma (156-155), per convincere il Senato a ritirare il decreto con cui Atene era stata condannata a pagare una forte multa per aver saccheggiato Oropo, venissero subito ricevuti e se ne andassero al piu presto. L'ambasceria di Carneade a Roma, nel 155, è un episodio, ma è
www.scribd.com/Baruhk
279
un episodio che è pure un sintomo e che, anche se con cautela, può indicare un termine bifronte: la conclusione di quella ch'era stata la problematica propria del pensiero greco, e l'inizio di tutta una problematica rispondente a situazioni diverse, a diverse richieste ed esigenze, nell'incontro tra due culture diverse, di origini diverse, in un sempre maggiore allargamento anche a culture orientali, non piu filtrate solo dai greci, ma ritornanti al mondo greco attraverso Roma. Certo non fu all'indomani del 155 che tutto divenne diverso. Ma è sicuro che già coi primi discepoli di Carneade (dei quali peraltro sappiamo pochissimo: Carneade di Polemarco, premorto al vecchio Carneade, che venne meno nel 129 erica, Cratete di T arso, Clitomaco che fedelmente espose il pensiero del maestro), e particolarmente con Carmada e Metrodoro dai quali derivò Filone di Larissa (160-79), che fu a Roma e del quale Cicerone ascoltò le lezioni, e Antioco di Ascalona (130-68), possiamo determinare una problematica diversa, rispondente, appunto, a situazioni diverse e a diverse richieste. E cos1 troviamo entro la scuola stoica modificazicini e compromessi che dettero luogo alla cosiddetta Media Stoà, indicativi anch'essi di situazioni diverse e di diversi controlli umani e politici, ove in nome dell'ordine e della razionalità del tutto, del diritto naturale e della Legge universale, si poteva riconoscere Roma la capitale del Mondo (Caput mundt), recuperando ~ia vecchie concezioni astrali e cosmologiche dei Caldei, sia certi aspetti piu mistici e religiosi di Platone. Non solo, ma non è un caso che proprio in questi tempi, tra la fine del II e l'inizio del I secolo, vi sia un rifiorire dell'Epicureismo e si diffonda un epicureismo romano che già condannato dal senato romano, nel 173 o nel 154, con l'espulsione degli epicurei Alceo e Filisco, "per avere introdotto costumi licenziosi" (Ateneo, XII, 547a), è indicativo di una opposizione nuova, di un appello alla ple-be, fino all'esplosivo canto di Lucrezio, il quale vide in Epicuro piu che una dottrina un'arma politica e culturale. Né certo possiamo comprendere Lucrezio e l'epicureismo romano se non si tengono presenti proprio quelle situazioni di cui parlavamo, e senza di cui è difficile rendersi conto del delinearsi di una nuova civiltà, frutto di un incontro, di uno scontro e di un dialogo, diversi da quelli da cui si generò il complesso delle componenti della cultura greca: la quale, a sua volta, offri i suoi elaborati strumenti, ma in una modificazione dei suoi contenuti. Roma si assicurò il dominio dell'Egeo nel 190, nel 188 (pace di Apamea) conquistò l'Asia Minore fino al Tauro, nel 168, con la battaglia di Pidna, la Macedonia fu definitivamente sconfitta, e, nel 148,
280
www.scribd.com/Baruhk
con la seconda battaglia di Pidna, divenne provincia romana; nel 146, a causa di un'ultima rivolta della Lega greca, Roma, dopo avere distrutto Corinto, rese tributarie tutte le città greche, trann~ Atene e Sparta. Il poeta Antipatro di Sidone, nato verso il 1..70, cosi cantava la dist1mzione di Corinto: Dov'è, dorica Corinto, la tua ammirata bellezza, dove le tue corone di torri e le ricchezze antiche? Dove i templi degli immortali e le case? Dove le spose sisifee e le miriadi di folla? Nessun vestigio è rimasto, infelice, di te. Tutto ha rapito, tutto ha divorato la guerra. Noi sole, le alcioni, immortali Nereidi oceanine; restiamo a testimoniare il tuo dolore (Ant. Pal., VII, 87). Sono versi come tanti ve ne potevano essere, s1 come tante erano state le guerre e le distruzioni durante la lunga e tormentata storia della Grecia, ma sono versi che possono avere, ora, un loro significato simbolico, come significativo è il fatto che Antipatro di Sidone fu il primo poeta greco che volontariamente andò a Roma. Cosi altrettanto indicativa è la vicenda di Polibio, che, nemico di Roma, difensore della Macedonia, fu, dopo la battaglia di Pidna (168) tra i mille ostaggi inviati a Roma da Emilio Paolo; a Roma entrò in dimestichezza con Scipione Emiliano e col suo circolo, descrivendo, infine, la grandezza di Roma, con chiara consapevolezza che tutto un mondo culturale e civile s'era compiuto e che, con Roma, altro si richiedeva, altre erano le esigenze, altra diveniva la cultura. Oserò avanzare l'ipotesi che quanto il resto dell'umanità [i greci] deride è il fondamento della grandezza romana, cioè la superstizione. Questo elemento è stato introdotto in ogni aspetto della loro vita pubblica e privata con ogni artificio per impressionare l'immaginazione a un grado tale, che non se ne potrebbe concepire uno piu alto. Molti probabilmente si stupiranno nell'apprendere ciò; la mia opinione è che ciò fu fatto per impressionare le masse. Se fosse possibile fondare uno Stato in cui tutti i cittadini fossero filosofi, potremmo forse far a meno di questo genere di cose; ma in ogni Stato le masse sono instabili, piene di desideri illeciti, di violente passioni. Tutto quel che si può fare è quindi tenerle a freno col timore dell'invisibile e con altri inganni di tal genere. Non a caso, ma a ragion . veduta, gli antichi insi.nuavano nelle masse idee sugli dèi e pensieri su~la v1ta. ultrate~re~a. La folha. ~ la .incapacità sono nostre [dei greci] poiche cerchtamo dt dtsperdere tah liluswni (VI, 56).
www.scribd.com/Baruhk
281
E non è, forse, senza interesse ricordare che proprio il Circolo degli Scipioni aveva accolto ostilmente la celebre opera (Scritto sacro) di Evemero di Messana ·(vissuto tra il 340 e il 260 a. C.), in cui E vemero, rifacendosi a certe tesi sofistìche sull'origine storica della nascita degli dèi, sosteneva che gli dèi non sòno altro che uomini celebri e famosi in vita, che, per i loro meriti verso il genere umano, furono divinizzati dopo la morte.
282
www.scribd.com/Baruhk
INDICE DELLA BIBLIOGRAFIA
Il pensiero dal IV al II secolo avanti Cristo
Parte prima
Da Aristotele a Epicuro e Zenone di Cizio I. ARISTOTELE
1: Opere [Pag. 287] a. Il 'corpus' aristotelico: formazione del 'corpus' e singoli scritti; critica del testo e il testo dal medioevo all'età moderna; lessici e indici; versioni italiane delle 'Opere' e di singoli scritti; il 'corpus' nelle principali versioni inglesi, francesi, tedesche [Pagg. 287-297] b. Repertori bibliografici specifici; storiografia e interpretazioni; cronologia e storicità degli scritti di Aristotele, "l'Aristotele perduto" [Pagg. 297-299]
2. Studi [Pag. 299] a. La vita: fonti e tradizioni [Pagg. 299-300] b. Monografie e studi d'insieme (vari e autori singoli) [Pagg. 300-303] c. Studi su singoli scritti delle opere perdute; Aristotele e Platone [Pagg. 303-306] d. Studi su singoli aspetti [i. La 'filosofia prima'; ii. Logica, dialettica, linguaggio, scienze, metodo; iii. Fisica, scienze naturali, zoologia, matematica, cosmologia; iv. Psicologia e conoscenza; v. Etica; vi. Politica, economia; vii. Retorica, poetica] [Pagg. 306-339]
www.scribd.com/Baruhk
283
II. DALLA MORTE DI ARISTOTELE ALL'APERTURA DEL 'GIARDINO' DI EPICURO E DELLA 'STOÀ' DI ZENONE DI CIZIO E DEI PRIMI STOICI l.
npensiero 'ellenistico'. Storiografia e interpretazioni [Pag. 339]
2. Tra Platone-Aristotele e il dopo Aristotele. Democritei, cinici e megarici: logici. La ricerca aperta ('scepsi'): Pirrone di Elide [Pag. 343] 3.
nprimo Peripato. Da Teofrasto a Stratone di Lampsaco [Pag. 344]
a. Il Peripato [Pagg. 344-345] b. Da Teofrasto a Stratone di Lampsaco [1. Testi: frammenti e 'reliquiae'; i. Teofrasto; ii. Da Dicearco a Sozione. - 2. Studi] [Pagg. 345-349]
Parte seconda
Epicuro. Lo Stoicismo: Zenone di Cizio e i primi stoici I. EPICURO l. Opere [Pag. 350] 2. Studi [Pag. 351]
3. I primi Epicurei [Pag. 356] II. LO STOICISMO. ZENONE DI CIZIO E I PRIMI STOICI l. Opere [Pag. 356] 2. Studi [Pag. 357] 3. Da Zenone di Cizio a Cleante [Pag. 363]
284
www.scribd.com/Baruhk
Parte terza
Il III e il II secolo a. C. Componenti culturali I. LA 'FILOSOFIA' COME 'SCEPSI'. DA PIRRONE A TIMONE. LO 'SCETTICISMO' l. La scienza e il filosofare come 'ricerca'. Lo 'scetticismo' [Pag. 366]
2. Testimonianze e frammenti: edizioni. Traduzione italiana del 'corpus' degli scettici [Pag. 36 7] 3. Studi d'insieme [Pag. 368] 4. Da Pirrone di Elide a Timone di Fliunte [Pag. 369] II. MOVIMENTI E CORRENTI DAL III AL II SECOLO A.C. IL COMPIMENTO DEL PENSIERO GRECO E ROMA
l. Crisippo, il secondo fondatore della Stoà e Diogene di Babilonia. L'Accademia da Arcesilao a Carneade [Pag. 3 70] a. Crisippo [Pagg. 3 70-3 72] b. Diogene di Babilonia [Pag. 3 72] c. L'Accademia da Arcesilao a Carneade [Pagg. 372-375] 2. I 'filosofi' di Alessandria: le scienze dal IV-III secolo al II secolo a.C. [Pag. 375]
www.scribd.com/Baruhk
285
www.scribd.com/Baruhk
Parte prima
Da Aristotele a Epicuro e Zenone di Cizio
I. ARISTOTELE
l. Opere a. Il 'corpus' aristotelico: formazione del 'corpus' e singoli scritti; critica del
testo e il testo dal medioevo all'età moderna; lessici e indici; versioni italiane delle 'Opere' e di singoli scritti; il 'corpus' nelle principali versioni inglesi, francesi, tedesche Fino dal I secolo a.C. le opere di Aristotele furono divise in scritti essoterici (dedicati ad un pubblico vasto: probabilmente le conferenze tenute in scuola il pomeriggio, divulgative e tese a dare platonicamente un significato alla filosofia come 'cultura' necessaria all'uomo) e scritti esoterici (le 'lezioni' e i 'seminari' veri e propri che Aristotele teneva al mattino, dedicati agli studiosi). Le essoteriche, preso il sopravvento le esoteriche, con il tempo andarono perdute. Le esoteriche, secondo la tradizione, passarono a Teofrasto che, alla sua morte, lasciò la biblioteca e gli scritti di Aristotele a Neleo di Scepsi, il quale a sua volta li lasciò ai suoi eredi che li abbandonarono in una cantina. Può darsi che altre siano le ragioni storiche dell'abbandono degli scritti-lezioni di Aristotele. Indubbiamente alcuni di essi si trovavano nella biblioteca di Alessandria e altrove. Certo è che fino al II-I sec. a.C. rimasero ignoti (non letti, non commentati). Essi riapparvero per merito di un bibliofilo, Apellicone, che - si dice -li acquistò dagli eredi di Neleo e li riportò ad Atene. Morto Apellicone, confiscati da Silla, furono portati a Roma nell'86 a.C. Ne fece una prima trascrizione il grammatico Tirannione, finché uno scolarca del Peripato, Andronico di Rodi, venuto appositamente da Atene, ne fece la prima edizione dando alle lezioni di Aristotele un ordine per argomenti, in uno schema che rispecchia la concezione scolastico-culturale del I sec. a.C. e del I sec. d.C. Indipendentemente da giudizi e interpretazioni storiche, è lecito dire che oggi non leggiamo più in diretta le singole lezioni di Aristotele,
www.scribd.com/Baruhk
287
ma leggiamo il 'libro' Aristotele. L'edizione di Andronico di Rodi costituisce già una indicazione storiografica. Perdute le opere essoteriche, esse si sono rintracciate attraverso citazioni, resoconti, discussioni. Le esoteriche si sono, con il tempo, coordinate e edite sulla traccia del Corpus di Andronico di Rodi. Per le une e per le altre si ritrovano e si discutono le liste antiche delle opere aristoteliche (Diogene Laerzio, Esichio, liste arabe di al-Qifti e Ahi Usaiba). Per le liste delle opere di Aristotele cfr.: P. MoRAUX, Les listes anciennes des ouvrages d'Aristate, Louvain 1951; V. MASELLIS, Tradizione e cataloghi delle opere aristoteliche, "Rivista di Filologia e d'Istruzione classica", 1956, pp. 337-363; I. DiJRING, voce in PAULY-WissowA, Realenzyklopiidie der Classichen Altertumswissenschaft, a cura di AA.VV. (d'ora in poi citato come R.E. PAULY-WissowA), suppl. XI, 1968, coli. 184-190 (vedi anche I.D., Ariston or Hermippus?, "Classica et Mediaevalia", 1956, pp. 11-21); C. BAFFIONI, Antiche liste arabe delle opere di Aristotele, "Rassegna di scienze filosofiche", 1976, pp. 83-114; F. BosSIER-]. BRAMS, Quelques additions au catalogue de l"Aristoteles Latinus', "Bulletin de Philosophie Médiévale", 1983, pp. 85-96; H. FLASHAR, Aristoteles, in nuovo F. UBERWEG, Grundriss der Geschichte der Philosophie, Die Antike, III, Basel-Stuttgart 1983, pp. 190-191, 193; R. GouLET, Aristate de Stagire, voce in Dictionnaire des Philosophes Antiques, a cura di R. GouLET, pref. di P. HADOT, Paris 1989, I, pp. 424-442. Su l'edizione e l'architettura del 'corpus' aristotelico a cura di Andronico di Rodi, cfr.: M. PLEZIA, De Andronici Rhodii studiis Aristotelicis, Krak6w, 1946; I. DiJRING, Aristoteles, voce in R.E. PAULY-WissoWA, suppl. XI, 1968, coli. 196-200; P. MoRAUX, Der Aristotelismus bei den Griechen, von Andronikos bis Alexander von Aphrodisias, Berlin 1973; C. LoRD, On the early history of the Aristotelian corpus, "The AmericanJournal of Philology", 1986, pp. 137-161; H.B. GoTTSCHALK, Aristotelian philosophy in the Roman world /rom the time of Cicero to the end of the second century A.D., "Aufstieg und Niedergang der romischen Welt", II, 36, 2, Berlin, 1987, pp. 1089-1107, 1112-1116 (si veda anche alla voce Andronico di Rodi, a cura di R. GouLET, in Dictionnaire des Philosophes Antiques, cit., 1989, I, pp. 200-202). Si confronti inoltre: R. SHUTE, On the history of the process by which the Aristotelian writings arrived at their present form, London 1888, New York 1976; P.M. HuBY, The transmission of Aristotle's writings and the p !ace where copies of his works existed, "Classica et Mediaevalia", 1979, pp. 241-257. L'incunabolo, presso Aldo Manuzio, Venezia 1495-1498, in 6 voli.,
288
www.scribd.com/Baruhk
è la prima edizione a stampa del testo greco delle Aristotelis Opera, Graece [.. .] (1551-1553, seconda edizione con aggiunte e correzioni di J.B. CAMOTIUS: edizione detta camotiana). Oltre le edizioni di Basilea del1531 (a cura di ERASMO DA RoTTERDAM), 1539 (riproduzione di quella del 1531), 1550 (riproduzione con correzioni delle prime due, a cura del tipografo IsiNGRIN), si vedano le edizioni di Francoforte, a cura del SYLBURG, 5 voll., 11 tomi, 1584-1587; di Lione, a cura del CASAUBONUS, 1590, 15962 ; del PACIUS, Ginevra 1596, Lugduni 1597. Altre cinque edizioni delle opere di Aristotele si hanno tra il1600 e il1700. Sulle edizioni antiche di tutte le opere, cfr.: J. GLUCKER, Casaubon's Aristotle, "Classica et Mediaevalia",)964, pp. 274-296; G. RHODE, Bibliographie der deutschen Aristoteles-Ubersetzungen von Beginn des Buchdrucks bis 1964, Frankfurt a.M. 1967; G. REALE, Introduzione ad Aristotele, Bari 1974, 19895 , pp. 207-208; F.E. CRANZ, A Bibliography of Aristatte editions 1501-1600, seconda edizione con aggiunte e migliorata, a cura di CH.B. ScHMITT, Baden-Baden 1984. Per le edizioni del testo greco dal1831 alla prima metà del XX secolo, cfr. A. BoNETTI, Le edizioni del testo greco di Aristotele da/1831 ai nostri giorni, in AA.VV., Aristotele nella critica e negli studi contemporanei, suppl. speciale della "Rivista di Filosofia Neoscolastica", Milano, 1956, pp. 166-201. La maggiore edizione delle Opere di Aristotele è quella pubblicata dall'Accademia delle Scienze di Berlino, Aristotelis Opera ed. Academia Regia Borussica, di cui si usa la paginatura, in 5 volumi, Berlin 1831-1870: vol. I e vol. II, testo greco, a cura di I. BEKKER (1831); vol. III, traduzioni latine del Rinascimento (1831); vol. IV, Scholia in Aristotelem, a cura di C.A. BRANDIS (1836); vol. V, Frammenti opere perdute, a cura di V. RosE, Supplemento di scolii e l'Index aristotelicum, a cura di H. BoNITZ (1870) (cfr. M. SICHERL, Handschriftliche Vorlagen der Editio princeps des Aristoteles, in onore di F. DIRLMEIER, Mainz 1976). La citata Aristotelis Opera, rimasta fondamentale, è stata nuovamente edita, a cura di O. GIGON: Aristotelis Opera ed. Academia Regia Borus-
sica. Acced. fragmenta, scholia index arist.. Editio altera. Add. instr. fragmentorum collectionem retract. O. Gigon, 5 voll., Berlin 1960-1961: voll. I e II, riprod. fotostatica, 1960, 19702 (l. Organo n - "Categorie", "De Interpretatione", "Analitici primi", "Analitici secondi", "Topici", "Elenchi sofistici" -, Physica, De caelo, De generatione et corruptione, Metereo logica, De Mundo ad Alexandrum, De anima, Parva naturalia, De spiri-
www.scribd.com/Baruhk
289
tu, Historia animalium, De partibus animalium, De motu animalium, De animalium incessu, De generatione animalium; II. De coloribus, De audibilibus, Physiognomica, De plantis, Mirabilium auscultationes, Mechanica, Problemata, De lineis insecabilibus, De ventorum situ et nominibus, De Melissa Xenophane et Gorgia, Metaphysica, Ethica Nicomachea, Magna M aralia, Ethica Eudemia, De virtutibus et vitiis, Politica, Oeconomica, De arte rhetorica, Rhetorica ad Alexandrum, De arte poetica); vol. III, Fragmenta, a cura di O. GIGON (1987); vol. IV, Scholia in Aristotelem, a cura di C.A. BRANDIS; Supplementum scholiorum: Syriani in Met. comm., a cura di H. UsENER, e Vita Marciana, a cura di O. GIGON (1961); vol. V, Index aristotelicum, a cura di H. BoNITZ (1961) (l' Index del BoNITZ, ristampato singolarmente, Gratz-Darmstadt 1955). Si ha, sempre a cura dell'Accademia di Berlino, un Supplementum aristotelicum, in 3 voli., Berlin 1885-1903, che contiene: I. Excerptorum Constantini de natura animalium libri duo, a cura di P. LAMBROS, 1885; Prisciani Lydi, Quae extant Metaphrasis in Theophraltum e Solutionum ad Chosroem liber, a cura di I. BYWATER, 1886; II. Alessandro di Afrodisia, Praeter commentaria scripta minora, a cura di I. BRUNS, De anima liber cum mantissa, 1887; Quaestiones, De fato, De mixtione, 1892; III. Anonymi Londinensi ex Aristotelis Iatricis Menoniis et aliis medicis eclogae, a cura di H. DIELS, 1893; Aristotele, La costituzione di Atene, scoperta nel1891 nel verso di un papiro del British Museum, a cura di F.G. KENYON, 1893 (si veda l'ed. critica a cura di M. CHAMBERS nella Biblioteca Teubneriana, 1986). La stessa Accademia ha pubblicato una monumentale edizione dei commentatori greci, in 23 voli., Commentaria in Aristotelem graeca, a cura di AA.VV., Berlin 1882-1907 (anast., Berlin 1960-1981) (cfr. anche Corpus philosophorum medii aevi- Aristoteles latinus, Roma-CambridgeBruges-Paris 1939 sgg.; F.E. PETERS, Aristoteles arabus. The Orienta! translations and commentaries on the Aristotelian 'Corpus', Leiden 1968. Sui commentari greci e bizantini, arabi e medievali, cfr. R. GoULET, Aristate de Stagire, voce in Dictionnaire des Philosophes Antiques, cit., 1989, I, pp. 437-442). Su Aristotele nel Rinascimento, cfr.: Aristoteles latine interpretibus variis, vol. III dell'Accademia Prussiana, cit., 1831; E. GARIN, Le traduzioni umanistiche di Aristotele nel secolo XV, Atti e Memorie dell'Accademia Fiorentina di Scienze Morali "la Colombaria", Firenze, 1950 (dal 1952 Accademia Toscana di Scienze e Lettere "la Colombaria"); C.B. ScHMITT, A Critica! survey and bibliography of Studies in Renaissance Aristotelianism: 1958-1969, "Saggi e Testi", Roma, 1971; E. GARIN, La diffusione della "Poetica" di Aristotele dal sec. XV in poi, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1973, pp. 447-454; CH.H. LoHR, Renaissance La-
290
www.scribd.com/Baruhk
tin Aristotles Commentaries, "Studies in the Renaissance", 1974, pp. 228-289 (seguito in "Renaissance Quarterly", 1975, pp. 689-741; 1976, pp. 714-745; 1977,pp.681-741; 1978,pp.532-603; 1979,pp.529-580; 1980, pp. 623-734; 1982, pp. 164-256); H.B. GERL, Philosophie und Philologie. Leonardo Brunis. d. Nikomachischen Ethik in ihren philosoph. Pramissen, Mi.inchen 1981; Aristotelismo veneto e scienza moderna. Atti del25° Anno Accademico del Centro per la Storia della tradizione aristotelica nel Veneto, a cura di L. OuviERI, Padova 1983 (si veda, pubblicata a sé, la prolusione di E. GARIN, Aristotelismo veneto e scienza moderna, Padova 1981); C.B. ScHMITT, Aristotle and the Renaissance, Cambridge (Mass.)-London 1983; C.B. ScHMITT, The Aristotelian Tradition and Renaissance Universities, London 1984; C.B. ScHMITT, La tradizione aristotelica: fra Italia e Inghilterra, trad. di A. GARGANO, Napoli 1985; Aristotelismus und Renaissance, a cura di E. KESSLER, Wiesbaden 1988; E. GARIN, Commenti aristotelici, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1988, pp. 369-372. Per i frammenti cfr.: V. RosE, Aristoteles Pseudepigraphus, Leipzig 1873; V. RosE, Aristotelis quae ferebantur librorum fragmenta, Leipzig 1886 (1863 e 1870, per l'Accademia di Berlino); R. W ALZER, Aristotelis dialogorum fragmenta, Firenze 1934 (anast., Hildesheim 1963); W.D. Ross, Fragmenta selecta, Oxford 1955, 19672 ; O. GrGON, vol. III della cit. Opera Ar., Librorum deperditorum fragmenta, Berlin-New York 1987; R. LAURENTI, Aristotele, I frammenti dei Dialoghi, testo, trad. it., intr., comm. a cura di R.L., Napoli 1987 (anche M.P. PLEZIA, Aristotelis epistularum fragmenta cum testamento, Warszaw 1961). (Opere perdute di Aristotele: Grillo o della Retorica, Simposio, Sofista, Eudemo o dell'anima, Nerinto, Erotico, Protrettico, Sulla ricchezza, Sulla preghiera, Sulla nobiltà, Il piacere, L'educazione, Il Regno, Alessandro, Il politico, Sui poeti, Sulla filosofia, Sulla giustizia, Divisioni, Ipomnemata, Categorie, Sui contrari, Sui beni, Le idee, Sui Pitagorici, Sulla filosofia di Archita, Su Democrito: cfr. WALZER, Ross, GrGON, LAURENTI, citt. Opere dubbie o apocrife, facenti parte del Corpus: De spiritu, De coloribus, De audibilibus, Physiognomica, De plantis, Mirabilium auscultationes, Mechanica, Problemata, De lineis insecabilibus, De Melissa, Xenophane et Gorgia, De virtutibus et vitiis, Oeconomica, Rhetorica ad Alexandrum, De mundo ad Alexandrum.) Oltre le edizioni del DrnoT (Paris 1848-1874, rist. Hildesheim 1973) e diJ. BARTHÉLEMY SAINT-HILAIRE, con trad. frane. (Paris 1887-1891), si vedano l'edizione, in volumi distinti, della Teubner e quelle della "Bibliotheca Oxoniensis" (ricordiamo Categorie e De Interpretatione, a cura di L. MrNro-PALUELLO; Topici, Elenchi sofistici, Fisica, Anima, Politica, Fragmenta, a cura di W.D. Ross; Etica e Arte poetica, a cura di I. BYWA-
www.scribd.com/Baruhk
291
ter; Metafisica, a cura di W. ]AEGER) e della "Collection G. Budé", Belles Lettres, con trad. frane. a fronte (citiamo la Fisica di C. CARTERON; i Parva naturalia, a cura di R. MuGNIER; la Politica, a cura di ]. AUBONNET). Si veda anche l'edizione, con trad. ingl., di gran parte delle opere aristoteliche, della "Loeb Classica! Library"e quella, in corso, con trad. it. a fronte, della Rizzoli (BUR). I papiri contenenti frammenti delle opere di Aristotele sono raccolti, in nuove edizioni e commenti, nel Corpus dei Papiri Filosofici Greci e Latini, a cura dell'Accademia Toscana di Scienze e Lettere "la Colombada", tomo I, l, Firenze 1989 (fa eccezione il papiro della Costituzione degli Ateniesi, pubblicato a cura di M. CHAMBERS, Bibl. Teubneriana, 1986). Delle molte edizioni separate di opere aristoteliche, con commento, sono qui da segnalare, sia per il testo sia per il commento e per l'interpretazione:
Organon: Aristotelis Organon, a cura di TH. W AITZ, con commento, Leipzig 1844-1846, in 2 voli. (anast., Aalen 1962: cfr. V. SAINATI, Storia dell"Organon' aristotelico, I-II, Firenze 1968-1973); Analitici primi e secondi, testo, trad., commento puntuale, a cura di W.D. Ross, Oxford 1949, 1957 2 ; Categorie e De Interpretatione, a cura di L. MrNIO-PALUELLO, cit., Oxford 1949; Aristotelis Analytica priora et posteriora, a cura di W.D. Ross-L. MrNro-PALUELLO, Oxford 1964; Topica et Sophistici Elenchi, Oxford 1958 (1970 riveduta); Fisica: oltre la citata ed. di H. CARTERON, Paris 1926-1931 ("Belles Lettres"), si veda l'ed., con intr., comm., note, a cura di W.D. Ross, Oxford 1936, 1955, 1960; De generatione et corruptione: a cura di H.H. JoACHIM, testo, intr., comm., Oxford 1922; a cura di C. MuGLER, Paris 1966 ("Belles Lettres"); De caelo: ed. a cura di D.J. ALLAN, Oxford 1936; testo, trad. it. e comm. a cura di O. Longo, Firenze 1962; testo, trad. e comm. a cura di P. MoRAUX, Paris 1965 ("Belles Lettres"); Metereo logici: testo e trad. frane. di P. Lours, Paris 1982; Aristotle's Chemical Treatise, Metereologica IV, a cura di I. DuRING, Goteborg 1944; De anima: a cura di F.A. TRENDELENBURG, comm. in latino, Berlin 18772 (ana-
292
www.scribd.com/Baruhk
st., Graz 1957); a cura di R.D. HrcKs, con trad. ingl., intr., note, Cambridge 1907, Amsterdam 1955; oltre le ed. "Belles Lettres", Teubner e Loeb, cfr. D.W. Ross, con intr. e comm., Oxford 1961 (anche di P. SrWEK, Roma 1967); Parva naturalia: a cura di W.D. Ross, testo e comm., Oxford 1955; Storia degli animali: a cura di P. Lours, con trad. frane., Paris 1964 ("Belles Lettres"); Parti degli animali: a cura di P. Louis, con trad. frane., Paris 1965 (anche a cura di I. DuRING, Géiteborg 1944); De generatione animalium: a cura di P. Lours, con trad. frane., Paris 1962; H.J. DROSSAART, Oxford 1965; De motu animalium: testo e trad. a cura di P. Lours, Paris 1973; testo, trad. e comm. a cura di N. NussBAUM, Princeton (N.}.) 1978; Metafisica: testo e comm. a cura di W.D. Ross, 2 voli., Oxford 1924, 1958 4 (di H. BoNITZ, Bonn 1848-1849); a cura di W. }AEGER, Oxford 1957; testo di W. CHRIST, trad. di H. BoNITZ, comm. di H. SEIDL, Hamburg 1978-1980 (cfr. Aristoteles. Metaphysica, index verborum, listes de fréquence, a cura di L. DELATTE, Hildesheim-Ziirich-New York 1984); Etica Nicomachea -Etica Eudemea -Magna Moralia: Etica Nicomachea: a cura di ].A. STEWART, Oxford 1892 (anche a cura di A. GRANT, The Ethics of Aristotle, con saggi e note, London 1857, 1884 4 ; F. SusEMIHL, Leipzig 1880; a cura di I. BYWATER, Oxford 1890, più ristampe); D.A. REES-H.H. }oACHIM, Oxford 1951 (si veda anche trad. e comm. a cura di R.A. GAUTHIER-}.Y. JouF, Louvain 19702 ; e, nella BUR, intr., trad., comm., testo a fronte, a cura di M. ZANATTA, Milano 1986); Etica Eudemea: a cura di F. SusEMIHL, Leipzig 1884, Amsterdam 1967; Magna Moralia: a cura di F. SusEMIHL, Leipzig 1883; nella "Loeb", con trad. ingl., a cura di G. C. ARMSTRONG, London 1935; Politica: a cura di W.D. Ross, Oxford 1957; a cura di}. AuBONNET, con trad. frane., Paris 1960-1973, ed. "Belles Lettres" (si veda Atheniensium Respublica, a cura di F.G. KENYON, Oxford 19702 ; testo e trad. frane., a cura di G. MATHIEu-B. HAUSSOULLIER, Paris 1967, ed. "Belles Lettres"; ed. critica a cura di M. CHAMBERS, Biblioteca Teubneriana, 1986);
www.scribd.com/Baruhk
293
Poetica: a cura di L BYWATER, Oxford 1909; A. GunEMAN, Berlin 1934; A. RosTAGNI, Torino 1945; P.W. LucAs, Oxford 1968; intr., trad. it., testo, comm., a cura di C. GALLAVOTTI, Milano 1974: Cfr. anche A. WARTELLE, Léxique de la "Poétique" d'Aristate, Paris 1985; Retorica: a cura di E. SANDYs-E.M. CaPE, London 1877; testo e trad., a cura di M. DuFOUR e A. WARTELLE, Paris 1932-1973; a cura di W.D. Ross, 1959; di R. KASSEL, Berlin 1976 (si veda anche E.I. GRANERO, Mendoza 1951).
Per il De Mundo, di cui si dubita che sia di Aristotele (in contrario vedi G. REALE, Trattato sul cosmo per Alessandro, testo greco, trad. it. a fronte, Napoli 1974), cfr. a cura di L. LoRIMER, Paris 1933. Per lo pseudoaristotelico De lineis insecabilibus, si veda l'ed. a cura di M. TIMPANARO CARDINI, Milano 1970. Per raccolte di frammenti di singole opere perdute di Aristotele si veda: Protrepticus, a cura di I. DuRING, Stockholm 1961 (vedi anche: W.G. RABINOWITZ, Aristotle's Protrepticus, Berkeley-Las Angeles 1957; A.-H.CH. CHROUST, Aristotle, Protrepticus. A Reconstruction, Notre Dame 1964; G. ScHNEEWEISS, Der Protrepticus des Aristate/es, Bamberg 1966); Della filosofia, intr., testo, trad. e comm. esegetico a cura di M. UNTERSTEINER, Roma 1963; Della ricchezza, testo, trad. frane., comm., a cura di P.M. ScHUHL, Paris 1968; De ideis, a cura di W. LESZL, Il "De ideis"di Aristotele e la teoria platonica delle idee, ed. critica del testo a cura di D. HARLFINGER, coli. "Studi" 45 dell'Accademia Toscana di Scienze e Lettere "la Colombaria", Firenze 1975 (si veda anche M. PLEZIA, Aristotelis epistularum fragmenta cum textamento, cit., 1961; e Friihschriften des Aristate/es, a cura di P. MoRAUX, Darmstadt 1975). Per una storia del testo di Aristotele (oltre mille manoscritti greci e duemila manoscritti latini) cfr.: R. SHUTE, On the history of the process by which the Aristotelian writings arrived at their present form, London 1888 (anast., New York 1976); A. WARTELLE, Inventaire des manuscrits grecs d'Aristate et de ses commentateurs. Contribution à l'histoire du texte d'Aristate, Paris 1963; D. HARLFINGER - ]. WrESNER, Die griechischen Handschriften des Arist. und seinen Kommentatoren, "ScÌ:-iptorium", 1964, pp. 238-257; P.M. HuBY, The transmission of Aristotle's writings and the p !ace where copies of his works existed, "Classica et Mediaevalia",
294
www.scribd.com/Baruhk
1969, pp. 241-257; S. BERNARDINELLI, Eliminatio codicum della Metafisica di Aristotele, Padova 1970; P. MoRAux, D'Aristate à Bessarion. Trois exposés sur l'histoire et la transmission de l'aristotélisme grec, Québec 1970; P. MoRAux-D. HARLFINGER-D. REINSCH-]. WIESNER, Aristoteles graecus. Die griechischen Manuskripte des Aristoteles, I, coli. "Peripatoi", 8, Berlin-New York 1976; M. SICHERL, Handschriftliche Vorlagen der Editio princeps des Aristoteles, in onore di F. DIRLMEIER, Mainz 1976; O. KRESTEN, Aristoteles graecus. Reflexionen zu einer Neuerscheinung auf dem Gebiete der griechischen Handschriftenkatalogisierung, "Codices Manuscripti", 1977, pp. 130-136; R.D. ARGYROPOULOS- I. CARAS, Inventaire des manuscrits grecs d'Aristate et de ses commentateurs. Contribution à l'histoire du texte d'Aristate. Supplément (completamento del cit. W ARTELLE, 1963), Paris 1980; M.F. WILLIAMS, Studies in the manuscript tradition of Aristotle's Analytica, Konigstein 1984; J. lRIGOIN, Deux traditions dissymétriques: Platon et Aristate, "Annuaire du Collège de France", 1985-1986, pp. 683-698 e 1986-1987, pp. 599-613. Si veda inoltre: M. MARKOWSKI-S. WLODEK, Repertorium commentatiorum medii aevi in Aristotelem Latinorum quae in Bibliotheca ]agellonica Cracoviae asservantur, Wrodaw 1974; M. MARKOWSKI, Repertorium commentariorum medi aevi in Aristotelem Latinorum quae in Bibliothecis Wiennae asservantur, Warszawa 1985; Pseudo-Aristotle in the Middle Ages: The 'Theology' [... ], a cura di J. KRAYE-W.F. RYAN-C.B. ScHMITT, London 1986; G. VERBEKE, Répertoire des commentaires latins médiévaux sur Aristate, in L'homme et son univers au moyen age, Atti del 7° congresso internaz. di filos. mediev. (30 agosto-4 settembre), a cura di C. WENIN, Louvain-la-Neuve, 1986, pp. 141-154; A.P. Boss, The relation between Aristotle's lost writings and the surviving Aristotelian corpus, "Philosophia Reformata", 1987, pp. 24-40; M. MARKOWSKI, Repertorium commentariorum medii aevi in Aristotelem Latinorum quae in Bibliotheca Amploniana Erffordiae asservantur, Wrodaw 1987; G. VERBEKE, L'Aristate latin et les commentaires latins médiévaux sur Aristate, "Bulletin de Fhilosophie Médiévale", 1987, pp. 12-23; [AvERROES], La psicologia de Averroes. Commentario allibro Sobre el alma de Arist6teles, trad., intr. e note di S. G6MEZ NoGALES, Madrid 1987; Alfred of Sareshel's Commentari on the Metheora of Aristotle, a cura, intr. e note di J.K. 0TTE, Leiden-New York 1988; C.H. LoHR, Commentateurs d'Aristate au moyen-age latin, trad. frane. di M.H. MÉLÉARD, Paris 1988; Averroè, Commento al 'Perì Poietikès', intr., trad., comm., a cura di C. BAFFIONI, Milano 1990. Lessici e dizionari: ancora di prima utilità l' Index Aristotelicus, a cura di H. BoNITZ (V vol. delle Opere di Aristotele dell'Accademia prussiana,
www.scribd.com/Baruhk
295
cit., 1831), edito a sé, Darmstadt 1955. Si confronti inoltre: T. W. ORGAN, An Index to Aristotle, Princeton 1948; T. KIERMANN, Aristotle Dictionary, New York 1961.
In traduzione italiana: Opere, trad. di AA.VV., in 2 voli., a cura di G. GIANNANTONI, Laterza, Roma-Bari 1973 (in 11 voli. nella "Univ. Laterza", Bari 1973). Da prendere singolarmente in considerazione sono: I frammenti, in 2 voli., a cura di L. LAURENTI, Napoli 1987; Organon, a cura di G. CoLLI, Torino 1955, Bari 1970; Analitici primi, a cura di M. MIGNUCCI, Napoli 1969; Analitici secondi, a cura di M. MIGNUCCI, Bologna 1970; I Topici, a cura di A. ZADRO, Napoli 1974; Fisica, a cura di A. Russo, Bari 1968; De motu animalium, testo, trad., comm. a cura di L. ToRRACA, Napoli 1958; Le parti degli animali, testo, intr., note a cura di L. ToRRACA, Padova 1961; Generazione e corruzione, a cura di P. CRISTOFOLINI, Torino 1963, e di M. MIGLIORI, Napoli 1976; De caelo, testo, trad., note a cura di O. LoNGO, Firenze 1962; De anima, a cura di A. BARBIERI, Bari 1957, e di R. LAURENTI, Napoli 1970; Parva naturalia, a cura di R. LAURENTI, Bari 1971; Opere biologiche, a cura di D. LANZA-M. VEGETTI, Torino 1971; Metafisica, a cura di A. CARLINI, Bari 1928, 1965 4 , di G. REALE, con ampio commento, 2 voll., Napoli 1968, di C.A. VIANO, Torino 1974, di G. REALE, Milano 1978, 19893 ; Etica Nicomachea, a cura di A. PLEBE, Bari 1957, 1965 2 , di M. ZANATTA, BUR, Milano 1986; Grande Etica e Etica eudemia, a cura di A. PLEBE, Bari 1965; Politica, a cura di R. LAURENTI, Bari 1966 (vedi anche a cura di C.A. VIANO, con la Costituzione di Atene, Torino 1955); Poetica, a cura di M. VALGIMIGLI, Bari 1916, 1964, di F. ALBEGGIANI, Firenze 1934, di C. GALLAVOTTI, con intr., testo greco, trad. it. a fronte, note, Milano 1974, di D. LANZA, BUR, Milano 1989; Retorica, a cura di A. PLEBE, Bari 1961; i frammenti Della filosofia si vedano in M. UNTERSTEINER, cit., Roma 1963; il Protrettico, a cura di E. BERTI, Padova 1967; il De ideis, a cura di W. LESZL, cit., Firenze 1975; gli pseudoaristotelici Economico, a cura di R. LAURENTI, Bari 1967 e De lineis insecabilibus, à cura di M. TIMPANARO CARDINI, Milano-Varese 1970. Cfr. inoltre Trattato sul cosmo, a cura di G. REALE, Napoli 1974. In traduzione inglese: The Works of Aristotle Translated into English, a cura di J.A. SMITH-W.D. Ross, 12 voli., Oxford 1908-1962; The Complete W orks of Aristotle. The Revised Oxford Translation, a cura di J. BARNES, "Bollingen Series",·2 voli., Princeton (N.J.) 1984. In traduzione francese, oltre quella a cura di]. BARTHÉLEMY SAINTHILAIRE, si veda Aristate, traduction nouvelle et notes, a cura di A. TRIcoT, Paris 1934 sgg.
296
www.scribd.com/Baruhk
In traduzione tedesca cfr.: Aristate/es, Die Lehrschriften, herausgegeben, iibertragen und in ihrer Entstehung erliiutert, Paderborn 1945 sgg.; Deutsche Aristate/es Gesamt-Ausgabe. Aristate/es Werke in deutscher iibersetzung, a cura di E. GRUMACH (defunto) e di H. FLASHAR, "Wissenschaftliche Buchgesellschaft Darmstadt", 20 voli., con commento, a cura di AA.VV., Berlin 1962 sgg.
b. Repertori bibliografici specifici; storiografia e interpretazioni; cronologia e storicità degli scritti di Aristotele, "l'Aristotele perduto"
Repertori bibliografici Per la vastissima lette~!ltura su Aristotele, oltre i repertori bibliografici citati nel I volume (UBERWEG-PRAECHTER, 1926 12 ; ToTOK, 1969; Année philologique del MAROUZEAU e il Répertoire bibliographique de la philosophie), si confrontino le bibliografie specifiche: M. ScHWAB, Bibliographie d'Aristate, Paris 1896, Dubuque 1965; D.D. PHILIPPE, Aristate/es, fase. 8 "Bibliographische Einfiihrungen in das Studium der Philosophie", a cura di LM. BocHENSKI, Bern 1948; H.S. LoNG, A bibliographical Survey of Recent Works an Aristotle, "Classica! Weekly", 1957-1958, pp. 47-51,57-60,69-76,96-98, 117-119, 204-209; A. MANSION, Travaux d'ensemble sur Aristate, san reuvre et sa philosophie, "Revue Philosophique de Louvain", 1959, pp. 44-70; Aristotle and Plato in the Midfourth Century, a cura di AA.VV., I Simposio aristotelico, a cura di L DuRING-G.E.L. OwEN, Goteborg 1960; E. BERTI, La filosofia del primo Aristotele, Firenze 1962' (bibliografia ragionata nel I capitolo); J. MoREAU, Bibliographie, in Aristate et san école, Paris 1962, pp. 297-308; C.A. VIANO, Recenti studi italiani su Aristotele, "Rivista di Filosofia", 1964, pp. 187-205; L DURING, Kleine Aristate/es Bibliographie, in Aristate/es, Heidelberg 1966, pp. 623-640 (trad. it., Milano 1976, pp. 703-724); G. REALE, IntroduzioneaAristotele, Bari 1974,19895 (Bibliografia, pp. 201-241); S. ARCOLEO, La rinascita degli studi aristotelici in Italia da/1961 a oggi (1972), "Rivista di Filosofia Neoscolastica", 1975, pp. 84-102, 336-355, 547-565, 688-714; C.H. LoHR, Some early Arstotelian bibliographies, "Nouvelles de la République des Lettres", Napoli 1981, I, pp. 87-116; R. SoRABJI, Aristotle. A bibliography, Oxford 1981; H. FLASHAR, Grundriss der Ge~ç:hichte der Philosophie, nuovo F. UBERWEG, Die Philos. d. Antike, III: Altere Akademie - Aristoteles-Peripatos, BaselStuttgart 1983; F.E. CRANZ, A bibliography of Aristotle editions, sec. ed. a cura di C.B. SCHMITT, Baden-Baden 19842 ; Aristate de Stagire, a cura di AA.VV., in Dictionnaire des Philosophes Antiques, a cura di R. GouLET, cit., 1989, I, pp. 413 sgg.
www.scribd.com/Baruhk
297
Storiografia e interpretazioni Per una storia delle interpretazioni del pensiero aristotelico confronta sopra (critica del testo e il testo in età medioevale, rinascimentale per il Rinascimento si veda in particolare i citati: E. GARIN, 1950; C.B. ScHMrTT, 1971; CH.H. LoHR; Aristotelismo veneto e scienza moderna, Padova 1983; C.B. ScHMITT, 1983, 1984 e 1985 e in età moderna). Si veda inoltre: E. BERTI, La filosofia del primo Aristotele, Padova 1962, pp. 9-122 (discusse le varie interpretazioni sulla formazione e genesi del pensiero di Aristotele). Cfr. anche: Aristotele nella critica e negli studi contemporanei, "Rivista di Filosofia Neoscolastica", suppl. vol. 48, Milano 1956; Actes du Congrès de l'Association G. Budé, Lyon 1958; Synusia, Festgabe fiir W. ScHADEWALDT, a cura di H. FLASHAR-K. GArSER, Tiibingen 19.65, pp. 222-322; G. REALE, Introduzione a Aristotele, Roma-Bari 1974, 1989, pp. 171-200 (l. Storia della scuola peripatetica e degli scritti di Aristotele, fino all'edizione di Andronico di Rodi; 2. I commentatori greci di Aristotele; 3. Aristotele nel Medioevo; 4. Aristotele nel Rinascimento e nei primi secoli dell'età moderna; 5. La Rinascita di Aristotele nei secoli XIX e XX; 6. L'innovazione del metodo genetico e la riscoperta del giovane Aristotele); S. ARCOLEO, La rinascita degli studi aristotelici in Italia dal 1961 ad oggi (1972), "Rivista di Filosofia Neoscolastica", 1975 (cit.); E. BERTI, Aristotele, in AA.VV., Questioni di storiografia filosofica, a cura di V. MATHIEU, Brescia 1975, I, pp. 24 ~.- 317; H. FLASHAR, Grundriss der Geschichte der Philosophie, nuovo F. UBERWEG, cit., III, 1983. Cronologia e storicità degli scritti di Aristotele: "Aristotele perduto" Per la prospettiva storiografica di un ripensamento storico di Aristotele, nel tentativo di cogliere, di là dalla sistemazione del 'corpus', la storia dell'evoluzione del pensiero di Aristotele, di prima importanza è l'opera di W. ]AEGER, Aristoteles Grundlegung einer Geschichte seiner Entwicklung, Berlin 1923, 1955 2 (trad. it., a cura di G. CALOGERO, Aristotele: prime linee di una sua evoluzione spirituale, Firenze 1934 sgg.). L'opera dello ]AEGER ha aperto, in positivo o in negativo, una ampia discussione sulla storicità o meno del pensiero di Aristotele, sulla cronologia dei suoi scritti, sui suoi rapporti con Platone e la prima Accademia, sulla questione di un 'primo' Aristotele. Si vedano in proposito: A. MANSION, La genèse de l'reuvre d'Aristate d'après !es travaux récents, "Revue Néoscolastique de Philosophie", 1927, pp. 297-341, 423-466 (del MANSION si veda anche, in discussione con la tesi di }AEGER, le pp. 1-13 della seconda edizione della sua Introduction à la physique aristotélicienne, Paris 1945); E. BIGNONE, L'Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro, Firenze 1936, 1973 2 (in
298
www.scribd.com/Baruhk
2 voll.); G. LAZZATI, L'Aristotele perduto e gli scritti cristiani, Milano 1938; S. MARIOTTI, Nuove testimonianze ed echi dell'Aristotele giovanile, "Atene e Roma", 1940, pp. 48-60; P. WILPERT, Reste verlorener Aristotelesschriften bei Alexander von Aphrodisia, "Hermes", 1940, pp. 369-396; J. BIDEZ, Un singulier naufrage dans l'Antiquité. A la recherche des épaves de l'Aristate perdu, Bruxelles 1943; P. Loms, Sur la chronologie des CEuvres d'Aristate, "Bulletin de l' Association G. Budé", 1948, pp. 90 sgg.; F. NUYENS, L'évolution de la psychologie d'Aristate, Louvain-Den Haag-Paris 1948; J. ZuERCHER, Aristate/es Werk und Geist, Paderborn 1951 (tesi sostenuta: nulla del 'corpus' è di Aristotele, ma è dovuto alla rielaborazione della scuola ç: in particolare di Teofrasto); W.D. Ross, The Development of Aristotle's Thought, "Proceedings of the British Academy", 1957, pp. 63-78; E. BERTI, La filosofia del primo Aristotele, Padova 1962; A. BADAWI, Commentari sull'Aristotele perduto in greco e altre epistole [in arabo], Beyrouth 1973 (pref. in francese); A.H.CH. CHROUST, Aristotle: new light an his !ife and an some of bis lost works, Notre Dame 1973 (in 2 voli.). Sulle nuove prospettive riguardo ai rapporti Platone-Accademia prima-Aristotele, si veda oltre. 2. Studi a. La vita: fonti e tradizioni Per una ricostruzione della vita di Aristotele si veda la raccolta di documenti biografici e testimonianze a cura di L DuRING, Aristotle in the ancient biographical tradition, Goteborg 1957 (cfr.: O. GIGON, Interpretationen zu den antiken Ar.-Vitae, "Museum Helveticum", 1958, pp. 147-193; M. PLEZIA, Supplementary Remarks an Aristotle in the Ancient BiographicalTradition, "Eos", 1961, pp. 241-249). Sulle Vite arabe di Aristotele, cfr.: D. GuTAS, The Spurious and the Authentic in the Arabic Lives of Aristotle, in Pseudo-Aristotle in the Middle Ages. The Theology and other texts, London 1986, pp. 15-36. Per le interpretazioni dei Cristiani e nel Medioevo, cfr. L HADOT, Les introductions aux commentaires exégétiques chez les auteurs néoplatoniciens et les auteurs chrétiens, in Les règles de l'interprétation, Paris 1987, pp. 103-105, 120-121. Sulla vita cfr. inoltre: L DURING, Aristate/es. Darstellung und Interpretationen seines Denkens, Heidelberg 1966; L DuRING, voce Ar. in R.E. PAULY-WISSOWA, suppl. XI, 1968, coli. 171-184; R.A. GAUTHIER, in R.A. GAUTHIER-J.Y.
www.scribd.com/Baruhk
299
JouF, L'Éthique à Nicomaque. Introduction, traduction et commentaire, seconda ed. con nuova introduzione, I, parte prima (sulla vita), Louvain-Paris 1970, pp. 5-62; A.H. CHROUST, Did Aristotle own a school in Athens between 335/34 and 323 B.C.?, "Rheinisches Museum fur Philologie", 1972, pp. 310-318; A.H. CHROUST, Aristotle. New light on his life and on some of his lost works, L Some nove! interpretation of the man and his life, London 1973; G. HuxLEY, Aristotle's interest in biography, "Greek-Roman-and-Byzantine-Studies", 1974, pp. 203-213; W.K.C. GuTHRIE, A History of Greek Philosophy, VI, 1981, pp. 18-45; H. FLASHAR, Aristoteles, in F. UBERWEG, Grundriss der Geschichte der Philosophie, nuova ed. completamente riveduta, Die Philosophie der Antike, 3: Attere Akademie- Aristoteles- Peripatos, a cura di H.F., Basel-Stuttgart 1983, pp. 229-235. Per una bibliografia relativa alle fonti sulle Vite aristoteliche (Diogene Laerzio; Vita di Esichio, o "Menagiana", dall'edizione di Gille Ménage, 1663; Suda; Dionigi di Alicarnasso; Aristocle; Tolomeo e Vita Marciana; Vita di Tolomeo in versione araba; cronologia della vita di Aristotele; sulla famiglia) si confronti Aristate de Stagire, voce in Dictionnaire des Philosophes Antiques, cit., 1989, I, pp. 413-423.
b. Monografie e studi d'insieme Si rimanda alle bibliografie sopra citate, limitandoci a indicare le maggiori monografie dalla fine del XIX secolo: G. GROTE, Aristotle, London 188Y; U. WrLAMOWITZ-MOELLENDORF, Aristate und Athen, Berlin 1893; C. PrAT, Aristate, Paris 1903, 19122 ; P. ALFARIC, Aristate, Paris 1905; F. BRENTANO, Aristoteles und seine Weltanschauungen, Leipzig 1911, Darmstadt 1917; A.E. TAYLOR, Aristotle, London-New York 1912, 1955 4 , 19645 ; O. HAMELIN, Le système d'Aristate, corso di lezioni del1903-1904, postumo, a cura di L. RoBIN, Paris 1920, 19763 ; W.D. Ross, Aristotle, London 1923, 1955 6 (trad. it., Bari 1946, Milano 1971); W. ]AEGER, Aristoteles Grundlegung einer Geschichte seiner Entwicklung, Berlin 1923, 1955 2 (trad. it., a cura di G. CALOGERO, Aristotele: prime linee di una sua evoluzione spirituale, Firenze 1934, l a ed.) (vedi sopra al § l.b sulla storia delle interpretazioni); L. RoBIN, Aristate, Paris 1944; D.]. ALLAN, The Philosophy of Aristotle, Oxford 1951 (trad. it., Milano 1973); J. BRUN, Aristate et le Lycée, Paris 1961 sgg.; J. MoREAU, Aristate et son école, Paris 1962, 1985; M. GRENE, A portrait of Aristotle, London 1963; L DuRING, Aristoteles. Darstellung und Interpretation seines Denkens, Heidelberg 1966 (trad. it., Milano 1976); A. STIEGEN, The Structure of Aristotle's Thought. An Introduction to the Study of Aristotle's Writings, Oslo 1966; A. EnEL, Aristotle, New York 1967 (Aristotle
300
www.scribd.com/Baruhk
and his philosophy, Chapel Hill1982); M. GRENE-GLICKSMAN, A portrait of Aristotle, .Chicago 1967; G.E.R. LLOYD, Aristotle: the Growth and Structure of his Thought, Cambridge 1968 (trad. it., Bologna 1985); A. VIANO, Aristotele, in I Protagonisti della Storia Universale, vol. II, Milano 1968; J. FERGUSON, Aristotle, New York 1972; A.H.Ch. CHROUST, Aristatte[ ... ], 2 voli., London 1973; G. GALLI, Sguardo sulla filosofia di Aristotele, Milano 1973; W. BROCKER, Aristoteles, Frankfurt a.M. 1974 4, 19875 ; F. GRAYEFF, Aristotle and his School, New York 1974; R. McKEoN, Introduction to Aristotle, Chicago-London 19742 ; G. REALE, Introduzione a Aristotele, Bari 1974, 19895 ; H.B. VEATCH, Aristotle: a contemporary appreciation, Bloomington 1974; G.R.G. l'4URE, Aristotle, Westport 1975 2 ; Philosophie grecque: Platon, Aristate, Epicure, 2 voli., Paris, I: 1975, II: 1976; E. BERTI, Aristotele: dalla dialettica alla filosofia prima, Padova 1977; M.J. AnLER, Aristotele per tutti, Roma 1979; E. BERTI, Profilo di Aristotele, Roma 1979; J.L. AcKRILL, Aristotle the Philosopher, Oxford 1981, Berlin-New York 1985; J. BARNES, Aristotle, Oxford 1982 (trad. it., Milano 1983); P.L. DoNINI, La filosofia di Aristotele (con una raccolta di testi), Torino 1982; G. RoMEYER DHERBEY, Les choses memes. La pensée du réel chez Aristate, Lausanne 1983; ].D.G. EvANS, Aristotle, Brighton 1984; I. DuRING, Aristotle in the ancient biographical tradition, Goteborg 1957, New York 1987; G. GIANNINI, Guida ad Aristotele, Roma 1984; F. ]uRss-D. EHLERS, Aristoteles, Leipzig 1984; J. ALSINA CLOTA, Arist6teles, Barcelona 1985; E. BERTI, Aristotele, voce in Dizionario degli Scrittori Greci e Latini, dir. F. DELLA CoRTE, Milano 1987, I, pp. 185-213; W. BROCHER, Aristoteles, Frankfurt a.M. 1987; Gr. FELIX, Aristotle and his School, London 1987; L. MILLET, Aristate, Paris 1987; E. BERTI, Le ragioni di Aristotele, Bari 1989.
Studi d'insieme di vari o di autori singoli. Per singole problematiche confrontare oltre, alle voci; si veda in complesso: H. BoNITZ, Aristotelische Studien, Wien 1866; AA.VV., Autour d'Aristate, in onore di A. MANSION, Louvain 1955; AA.VV., Aristotele nella critica e negli studi contemporanei, suppl. della "Rivista di Filosofia Neoscolastica", Milano, 1956; New Essays on Plato and Aristotle, a cura di R. BAMBROUGH, London 1959; Aristotle and Plato in the Mid Fourth Century, a cura di I. DuRING-G.E.L. OwEN, Goteborg 1960; Aristate et les problèmes de méthode, Louvain 1961; L. SICHIROLLO, Aristotelica, Urbino 1961; G.A. BoAs, Some Assumptions of Aristotle, "Transactions and Proceedings of the American Philological Association", 49, 6, Philadelphia 1966; AA.VV., Aristotle. A Collection of Critica! Essays, a cura diJ.M.E. MoRAVCSIK, New York 1967; "Monist", LII, 2, aprile 1968 (numero dedicato al pensiero di Aristotele); AA.VV., L'attualità della problematica
www.scribd.com/Baruhk
301
aristotelica, Padova 1970 (Atti del convegno franco-italiano su Aristotele); R. STARK, Aristotelesstudien, Miinchen 1972; G.E.R. LLOYD, Greek science after Aristotle, New York 1973; A. ELZINGER, Some remarks an a theory of research in the work of Aristotle, "Zeitschrift fiir Allgemeine Wissenschaftstheorie", 1974, pp. 9-38; G.E.R. LLOYD, Early Greek Science: Thales to Aristotle, New York 1974; G. MASI, Il problema aristotelico, 2 voll., Bologna 1974, 1975; On Aristotle's philosophy of Science, Dordrecht 1974; Articles an Aristotle, vol. I: Science, a cura di J. BARNES-M. ScHOFIELD-R. SoRABJI, London 1975; E. BERTI, Studi aristotelici, L'Aquila 1975; G.G. GRANGER, La théorie aristotélicienne de la Science, Paris 1976; Outlines of the philpsophy of Aristotle, a cura di E. W ALLACE (ristampa della 4a ed. del1894), New York 1976; K.T. BARNES, Aristotle an identity and its problems, "Phronesis", 1977, pp. 48-62; F.R. PrcKERING, Aristotle an Walking, "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", 1977, pp. 37-43; A.H. CHROUST, Some observations an Aristotle's doctrine of the uncreatedness and indestructibility of the Universe, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1977, pp. 123-143; K. ScHICKERT, Die Form der Widerlegung beim friihen Aristate/es, Miinchen 1977; P. FEYERABEND, Bine Lanze fiir Aristate/es, in Fortschrift und Rationalitiit der Wissenschaft, Tiibingen 1980 (trad. it., Roma 1984); Proceedings of the World Congress an Aristotle (Tessalonica 7-12 agosto 1978), Athénai 1981-1983; Studies in Aristotle, a cura di D.J. O'MEARA, Washington 1981; O. GrGON, Der menschliche und der absolute Geist bei Aristate/es, "Hegel-Jahrbuch", 1981-1982, pp. 19-38; K. VON FRITZ, Beitriige zu Aristate/es, Berlin-New York 1983; S. MANSION, Études aristotéliciennes, intr., bibliografia, indici, a cura di]. FoLLON, Louvain-La Neuve 1984; New essays an Aristotle, a cura di F.J. PELLETIER - ]. KrNG-FARLOW, Guelph (Ont.) 1984; H. SEIDEL, Aristate/es und der Ausgang der antiken Philosophie, Berlin 1984; Aristate/es und seine Schule, a cura di]. WmSNER, Berlin-New York 1985; Aristotelica, in onore di M. DE CoRTE, intr. di A. MaTTE-C. RuTTEN, Bruxelles 1985; Aristate/es. Werk und Wirkung, a cura di P. MoREAUX: l. Aristate/es und seine Schule; 2. Kommentierung. Uberlieferung. Nachleben, Berlin-New York 1985 (1), 1987 (2); Energeia. Études aristotéliciennes offertes à Mgr. A. ]annone, Paris 1986; H.G. GADAMER, The idea of the good in Platonic-Aristotelian philosophy, New Haven 1986; AA.VV., Aristate et la fragilité de la bonté (I), Le particulier et l'universel (II), "Bulletin de la Société française de Philosophie" (scritti di: M. NussBAUM, ].M. BEYSSADE, H. BRUNSCHWIG, J. BRUNSCHWIG, J. D'HoNDT, P. NAULIN, P. PELLEGRIN, A. SouRrAN, S. ZAc, P.]. HouNT9NDJr,J. D'IvorRE, G. GALIBA, G.N. GAL), Paris 1987; H.A. FECHNER, Uber den Gerechtigkeitsbegriff des Aristate/es: e. Beitr. zur Geschichte d. alten Philosophie, Leipzig 1855, Aalen 1987; O. GrGON, La
302
www.scribd.com/Baruhk
teoria e i suoi problemi in Platone e Aristotele, a cura di M. GIGANTE, Napoli 1987; D.W. GRAHAM, Aristotle's two systems, Oxford 1987, 1990; Aristoteles. Werk und Wirkung, a cura diJ. WIESNER, Berlin-New York 1987; A new Arist9tle reader, a cura diJ.L. AcKRILL, Oxford 1987; Aristate aujourd'hui. Etudes réunies sous la direction de M.A. Sinaceur, Paris 1988; Philosophiegrecque. Aristate, "Les Études Philosophiques", 1988, pp. 145-286; É. BouTRoux, Leçons sur Aristate, édition critique établie par J. DE GRAMONT, Paris 1990.
c. Studi su singoli scritti delle opere perdute; Aristotele e Platone Sul problema storiografico delle opere perdute e sulla relativa bibliografia confronta sopra. Sui singoli scritti, si veda: Filosofia: A.J. FESTUGIÈRE, Aristate: Le dialogue "Sur la philosophie", in A.J.F., La Révélation d'Hermès Trismegiste, II, Paris 19493, pp. 249-259; M.D. SoFFREY, Le Perì Philosophias d'Aristate et la théorie platonicienne des idées et des nombres, Leiden 1955; P. WILPERT, Die aristotelische Schrift Ueber die Philosophie, in AA.VV., Autour d'Aristate, Louvain 1955, pp. 96-116 (anche in "Journal of Hellenic Studies", 1957, pp. 155-162); M. UNTERSTEINER, Il 'Perì Philosophias' di Aristotele, "Rivista di Filologia e d'Istruzione classica", 1960, pp. 337-362 (anche M.U., Aristotele. Della filosofia. Intr., testo. comm. eseg., Roma 196}); J. PEPIN, L'interprétation du De Philosophia d'Aristate, "Revue des Etudes Grecques", 1964, pp. 445-488; A.-H. CHROUST, The Concept of God in Aristotle's Lost Dialogue On Phylosophy, "Emérita", 1965, pp. 205-228; A.-H. CHROUST, The Doctrine of the Soul in Aristotle's Lost Dialogue On Philosophy, "The New Scholasticism", 1968, n. 3; A.-H. CHROUST, The 'akatonomaston' in Aristotle's "On philosophy", "Emérita", 1972, pp. 461-468; A.-H. CHROUST, Aristotle's "Protrepticus" versus Aristotle's "On philosophy". A controversy over the nature of dreams, "0.0.", 1974, pp. 168-178; A.-H. CHROUST, A fragment of Aristotle's "On philosophy" in Philo of Alexandria "De Opificio mundi" I,l., "Divus Thomas", 1974, pp. 224-235; A.-H. CHROUST, Pseudo-Ocellus "De universi natura" 3.4.41 (Harder): a fragment of Aristotle's "On philosophy "?, "Classica! Philology", 1974, pp. 209-210; A.-H. CHROUST, Was Plato one of the discussants in Aristotle's dialogue "On philosophy "?, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1974, pp. 284-287; A.-H. CHROUST, A fragment of Aristotle's "On philosophy ". Some remarks about Philo of Alexandria. "De ae-
www.scribd.com/Baruhk
303
temitate-mundi" 8,41, "Wiener Studien", 1974, pp. 15-19; A.-H. CHROUST, A tentative outline fora possible reconstruction of Aristotle 's lost dialogue "On philosophy", "L'Antiquité Classique", 1975, pp. 553-569. Protrettico: H.G. GADAMER, Deraristotelische Protreptikos und die entwicklungsgeschichtliche Betrachtung der aristotelischen Ethik, "Hermes", 1928, pp. 138-164; B. EINARSON, Aristotle's Protrepticus and the Structure of the Epinomis, "Transactions and Proceedings of the American Philological Association", 1936, pp. 261-285; P. VON DER MUHL, Isokrates und der Protreptikos des Aristate/es, "Philologus", 1941, pp. 259-265; I. DuRING, Problems in Aristotle's Protrepticus, "Eranos", 1954, pp. 139-171 (anche I.D., in AA.VV., Autour d'Aristate, Louvain 1955, pp. 81-97); W.G. RABINOWITZ, Aristotle's Protrepticus and the Sources of Its Reconstruction, Berkeley-Los Angeles 1957; ].D. MoNAN, La connaissance morale dans le Protreptique d'Aristate, "Revue Philosophique de Louvain", 1960, pp. 185-219; I. DURING, Aristotle's Protrepticus. An Attempt at Reconstruction, Goteborg 1961 (fondamentale); A.H. CHROUST, Aristotle's Protrepticus. A Reconstruction, Notre Dame (Ind.) 1964; G. SCHNEEWEISS, Der Protrepticus des Aristate/es, Bamberg 1966; E. BERTI, Esortazione alla filosofia (Protreptico), a cura di E.B., Padova 1967; D.J. ALLAN, Critica! and explanatory notes on some passages assigned to iJristotle's Protrepticus, "Phronesis", 1976, pp. 219-240; E. LA CROCE, Etica y metafisica en el Protréptico de Arist6teles, "Ethos", 1982-1983, pp. 169-181; A. BuELA, El 'Protréptico' de Arist6teles. Interpretaci6n, desarrollo y bibliografia, "Sapientia", 1984, pp. 231-234; M. HASLAM, Comparative worth in Aristotle's 'Protrepticus', "Phronesis", 1989, pp. 109-110.
Grillo: P. THILLET, Note sur le 'Gryllos', ouvrage de jeunesse d'Aristate, "Revue Philosophique de la France et de l'Étranger", 1957, pp. 352-354; A.H. CHROUST, Aristotle's First Literary Effort: the 'Gryllus', "Revue des Études Grecques", 1965, pp. 571-591; M. LossAu, Der aristotelische Gryllos antilogisch, "Philologus", 197 4, pp. 12-21.
La Giustizia: P. MoRAUX, À la recherche de l'Aristate perdu: le dialogue sur la justice, Louvain 1957.
Sui poeti: A. RosTAGNI, Il dialogo aristotelico 'Perì Poieton', "Rivista di Filologia e d'Istruzione classica", 1926, pp. 4 33-4 70; 1927, pp. 15 5-17 3.
304
www.scribd.com/Baruhk
Sulle Idee: H. KARPP, Die Schrift des Aristoteles Perì Ideòn, "Hermes", 1933, pp. 384-391; R. PHILIPPSON, Il 'Perì Ideon' di Aristotele, "Rivista di Filologia e d'Istruzione classica", 1936, pp. 113-125; S. MANSION, La critique de la théorie des Idées dans le 'Perì Ideòn' d'Aristate, "Revue Philosophique de Louvain", 1949, pp. 169-202; P. WILPERT, Zwei aristotelische Friihschriften iiberdie Ideenlehre, Regensburg 1949; G.E.L. OwEN, A proof in the Perì Ideòn, "Journal of Hellenic Studies", 1957, pp. 103-111; W. LESZL, Il 'De ideis' di Aristotele e la teoria platonica delle idee, ed. critica del testo a cura di D. HARLFINGER (Accademia Toscana di Scienze e Lettere "la Colombaria", Studi, 40), Firenze 1975; D.H. FRANK, The arguments "from the sciences" in Aristotle's 'Perì Ideon', New York-BernFrankfurt a.M. 1984. Meccanica: ARisTOTELE, Mechanika, tradizione manoscritta, testo critico, scolii a cura di M.E. BoTTECCHIA, Padova 1982. Le Divisioni: Aristotele ed altri, Divisioni, intr., trad. e commento di C. RossiTTO, Padova 1984.
Si veda inoltre: E. BERTI, La filosofia del primo Aristotele, Padova 1962; P.M. ScHUHL, Aristate, De la richesse, De la prière, De la noblesse, Du plaisir, De l'éducation, fragments et témoignages, ed., trad. e comm. a cura di P.M.S., Paris 1968 (prefazione); R. LAURENTI, Introduzione e note a Aristotele, I frammenti dei dialoghi, trad., intr. e comm. a cura di R.L., 2 voli., Napoli 1987 (cfr. anche E. BERTI, Le nuove ricerche sui frammenti di Aristotele, "Bollettino filosofico", XXII, 3, 1988, pp. 33-39). Su Aristotele interprete di Platone, degli Accademici, dei 'presocratici', e sul rapporto di Aristotele con le 'idee' di Platone e le 'idee numero', si veda: L. RoBIN, La théorie platonicienne des Idées et des nombres d'après Aristate, Paris 1908, Hildesheim 1963; Ch. WERNER, Aristate et l'idéalisme platonicien, Paris 1910;]. STENZEL, Studien zur Entwicklung der platonischen Dialektik von Sokrates bis Aristoteles, Breslau 1917, Darmstadt 1961 5 ; J. STENZEL, Zahl und Gesta/t bei Platon und Aristoteles, Leipzig 1921, 192Y; M. GENTILE, La dottrina platonica delle idee numeri e Aristotele, Pisa 1930; A.E. TAYLOR, Philosophical Studies, London 1936, pp. 91-150; H. C:HERNISS, Aristotle's Criticism of Plato and the Academy, Baltimore 1944, New York 1962; H. CHERNISS, The Riddle of
www.scribd.com/Baruhk
305
the Early Academy, Berkeley (Ca.) 1945, New York 1962 (trad. it., Firenze 1974); W.D. Ross, Plato's Theory of Ideas, Oxford 1951, 1953 (trad. it., Bologna 1989); G.S. GLAGHAN, Aristotle's Criticism of Plato's "Timaeus", Den Haag 1954; H.]. KRAMER, Areté bei Platon und Aristoteles. Zum Wesen und zur Geschichte derplatonischen Ontologie, 1959, Amsterdam 1967; K. GAISER, Platons ungeschriebene Lehre, Stuttgart 1963; G.E.L. OWEN, The Platonism of Aristotle, London 1965; Das Problem der ungeschriebenen Lehre Platons. Beitriige zum Verstiindnis der platonischen Prinzipienphilosophie, a cura diJ. WIPPERN, Darmstadt 1972; W. LESZL, Alcune osseroazioni sulla critica aristotelica ai platonici in "Metafisica" N. 2., "Rivista di Filologia e di Istruzione classica", 1973, pp. 70-87; ].G. STEVENSON, Aristotle as historian of philosophy, "TheJournal of Hellenic Studies", 1974, pp. 138-143; J. WIESNER, Ps.-Aristoteles, MXG; der historische Wert des Xenophanesreferats. Beitriige zur Geschichte des Eleatismus, Amsterdam 1974; CH.-Hw. CHENG, Aristotle's analysis of change and Plato's theory of transcendent ideas, "Phronesis", 1975, pp. 129-145; W. LESZL, Il "De ideis" di Aristotele e la teoria platonica delle idee, ed. critica del testo a cura di D. HARLFINGER (Accademia Toscana di Scienze e Lettere "la Colombaria", Studi, 40), Firenze 1975; G.E.L. OWEN, The platonism of Aristotle, in Articles on Aristotle, l, Science, a cura diJ. BARNEs-M. ScHoFIELD-R. SoRABJI, London 1975, pp. 14-34; D. MouKANOS, iJJas Problem
der Erzeugung der Zahlen bei Platon. Erliiuterungen von Aristoteles' "Metaphysik"A6, 987b33, "
Sul carattere "dialettico" della storiografia filosofica di Aristotele, in La storiografia filosofica antica, Atti del Convegno Internazionale su "La storiografiafilosofica antica" (Stresa, 27-29 sett. 1984), a cura di G. CAMBIANO, Torino 1986, pp. 101-125; M.-D. RICHARD, L'enseignementoralde Platon, pref. di P. HAnoT, Paris 1986; C.T. PowELL, WhyAristotlehasnophilosophy ofhistory, "HistoryofPhilosophy Quarterly", 1987, pp. 343-357.
d. Studi su singoli aspetti Storiograficamente si delineano, tenuta presente la citata opera dello }AEGER (trad. it., Aristotele, prime linee di una sua evoluzione spirituale, Fi-
306
www.scribd.com/Baruhk
renze 1934, ed. ted. Berlin 1923), più linee interpretative, sia nell'esegesi della 'filosofia prima' o 'teologia' (Metafisica), sia nell'esegesi della formazione delle opere aristoteliche di logica (Organon), sia in quelle di 'fisica', sia in quelle etico-pratiche. A seconda di come si interpreta la cosiddetta 'metafisica' di Aristotele, s'interpretano le altre opere di lui, i suoi rapporti con Platone e il platonismo, e la sua impostazione scientifica relativa ai problemi aperti da Platone. Basti sottolineare alcune interpretazioni della Metafisica: l. rifiutata la tesi evolutiva di}AEGER, o ammessa come un passaggio dalla dialettica all'antologia (cfr. sotto, E. BERTI), si è insistito, mantenendosi nell'ambito della tradizione neoscolastica, su una articolazione di teologia e antologia e su di una interpretazione platonizzante, rifacendosi agli àgrafa dogmata di Platone (cfr. oltre: A. MANSION, 1958; P. MERLAN, 1953;]. 0WENS, 1951, 1963 2 ; G. REALE, 1961, 1967 3 ; E. BERTI, 1965, 1977; H.]. KRAMER, 1967 e altre opere; K. 0EHLER, 1969; ecc.); 2. Interpretazione della metafisica come studio delle condizioni che permettono l'esistere e che permettono di dire il reale (cfr.: P. AUBENQUE, 1966; L. LuGARINI, 1961, 19722 ; E. WELL, 1967); 3. Studio della metafisica intesa come ricerca epistemologica (cfr. M. VEGETTI, 1970); 4. Opere che ricostruiscono il pensiero di Aristotele, in una ricerca dei vari modi con cui sono corretti più tipi di sapere (G. PATZIG, 1960-1961; I. DuRING, 1966, fondamentale). Sulla metafisica, la logica e cosl via, rimandiamo agli studi d'insieme, alle introduzioni, alle singole opere, ai repertori bibliografici specifici sopra citati. i. La 'filosofia prima' F. RAVAISSON, Essai sur la métaphysique d'Aristate, Paris 1837-1846, Hildesheim 1963; E. 0GGIONI, Introduzione alla Metafisica di Aristotele, Padova 1950;]. OwENS, The Doctrine of Being in the Aristotelian Metaphysics, Toronto 1951, 196J2; P. MERLAN, From Platonism to Neoplatonism, Den Haag 1953; A. MANSION, Philosophie première, philosophie seconde et métaphysique chez Aristate, "Revue Philosophique de Louvain", 1958, pp. 165-221; H. WAGNER, Zum Problem des aristotelischen Metaphysikbegriffs, "Philosophische Rundschau", 1959, pp. 121-148; G. PATZIG, Theologie und Ontologie in der 'Metaphysik' des Aristate/es, "Kantstudien", 1960-1961, pp. 185-205; L. LuGARINI, Aristotele e l'idea della filosofia, Firenze 1961, 19722 ; G. REALE, Il concetto di filosofia prima e l'unità della Metafisica di Aristotele, Milano 1961, 1967 3 ; E. RroNDATO, Storia e Metafisica nel pensiero di Aristotele, Padova 1961; E. BuCHMAN, Aristotle's Theory of Being, Cambridge (Mass.) 1962; C. VIANO,
www.scribd.com/Baruhk
307
Il primato del sapere nella filosofia di Aristotele, "Rivista di Filosofia", 1964, pp. 383-420; E. BERTI, L'unità del sapere in Aristotele, Padova 1965; P. AuBENQUE, Le problème de tetre chez Aristate, Paris 1966; I. DuRING, Aristoteles, Heidelberg 1966 (trad. it., Milano 1976); A. STIGEN, The Structure of Aristotle's Thought, Osio 1966; H.]. KRAMER, Zur geschichtlichen Stellung der aristotelischen Metaphysik, "Kantstudien", 1967; H.-J. KRAMER, Der Ursprung der Geistmetaphysik, Amsterdam 1967 2 ; J. VUILLEMIN, De la logique à la théologie. Cinq études sur Aristate, Paris 1967; E. WELL, Quelques remarques sur le sens et l'intention de la métaphysique d'Aristate, "Studi Urbinati", 1967, pp. 831-853; F.P. HAGER, Metaphysik und Theologie des Aristoteles, Darmstadt 1969; K. 0EHLER, Die systematische Integration der aristotelischen Metaphysik, "Antike Philosophie und Byzantinisches Mittelalter", Miinchen 1969; L. RouTILA, Die aristotelische Idee der ersten Philosophie, Amsterdam 1969; W. LESZL, Logic and Metaphysics in Aristotle, Padova 1970; W. PoTSCHER, Strukturprobleme der aristotelischen und theophrastischen Gottesvorstellung, Liiten 1970; M. VEGETTI, Tre tesi sulla 'Metafisica' aristotelica, "Rivista di Filosofia", 1970, pp. 343-383; H. HAPP, 'Hyle', Studien zum aristotelischen Materiebegriff, Berlin 1971; J.C. DAVIES, Motion and the prime mover in Aristotle's philosophy, "Emérita", 1972, pp. 51-58; L. ELDERS, Aristotle's Theolog;y. A Commentary on Book XII of the 'Metaphysics', Assen 1972; W. MARX, Einfiihrung in Aristoteles Theorie vom Seiendem, Freiburg i.Br. 1972; F.C. TRINDADE, O sentido da antologia em Arist6teles, Porto Alegre 1972; D. BosTOCK, Aristotle, Zeno and the potential infinite, "Proceedings of the American Philosophical Society", 1972-1973, pp. 37-51; H.G. GADAMER, Gibtes.dieMaterie? EineStudie zur Begriffsbildung in Philosophie und Wissenschaft, "Convivium Cosmologicum" (Basel), 1973, pp. 93-109; W. LESZL, La materia in Aristotele, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1973, pp. 243-270, 381-402, 1974, pp. 143-159; Symposium: Aristotle's conception of Matter, "The Journal of Philosophy", 1973; M. GRENE, Is genus to species as matter to form? Aristotle and taxonomy, "Synthese", 1974, pp. 51-69; B. JoNES, Aristotle's introduction of matter, "Philosophical Review", 1974, pp. 474-500; C. NATALI, Cosmo e divinità. La struttura logica della teologia aristotelica, L'Aquila 197 4; G. REALE, Introduzione a Aristotele, Bari 1974, 19895, H.M. RoBINSON, Prime Matter in Aristotle, "Phronesis", 1974, pp. 168-188; L. RuGGIU, Teoria e prassi in Aristotele, Napoli Ì974; J.W. THORP, Aristotle's use of categories. An easing of the oddness in Metaphysica 1!17, "Phronesis", 1974, pp. 238-256; M.J. Woons, Substance and essence in Aristotle, "Proceedings of the Aristotelian Society", 1974-1975, pp. 167-180; E. BERTI, Logica! and antologica! priority among the genera of substance in Aristotle, in Kephalaion, Studies in
308
www.scribd.com/Baruhk
Greek philosophy and its continuation, in onore di C.J. DE VoGEL, a cura di}. MANSFELD-R.M. DE RIJK, Assen 1975, pp. 55-69; E. BERTI, Studi aristotelici, L'Aquila 1975; R. BoDÉus, En marge de la 'théologie' aristotélicienne, "Revue Philosophique de Louvain", 1975, pp. 5-33; H. CARTERON, Does Aristotle bave a mechanics?, in Articles on Aristotle, l, Science, cit., 1975, pp. 161-174; R. DANCY, On some of Aristotle's first thoughts about substances, "The Philosophical Review", 1975, pp. 338-375; U. GuzzoNI, Grund und Allgemeinheit. Unters. zum aristate!. Verstandnis d. ontolog. Griinde, Meisenheim a. G. 1975; E.D. HARTER, Aristotle on primary oòaia, "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", 1975, pp. 1-20; W. LESZL, Aristotle's conception of ontology, Padova 1975; E. MoNTANARI, Su akuni luoghi della "Metafisica" e del "De sensu" di Aristotele, "Studi italiani di Filologia classica", 1975, pp. 27-51;J.M. MoRAVCSIK, Aitia as generative factor in Aristotle's philosophy, "Dialogue", 1975, pp. 622-638; M.]. WHITE, Genus as matter in Aristotle?, "Studi internazionali di Filosofia", 1975, pp. 41-56; W. WIELAND, The problem of teleology, in Articles on Aristotle, l, cit., 1975, pp. 141-160; J. ANNAS, Introduction: Aristotle's Metaphysics, Books M and N, Oxford 1976; R. BoEHM, La métaphysique d'Aristate. Le fondamenta! et l'essential (Livre VII), Paris 1976; A.P. Bos, Providentia divina. The theme of divine pronoia in Plato and Aristotle, Assen 1976; R. CLAIX, Cosmologie et métaphysique. A propos du concept aristotélien de matière, "Revue lnternationale de Philosophie", 1976, pp. 143-150; A. CoDE, The persistence of Aristotelian matter, "Philosophical Studies", 1976, pp. 357-367; H.J. EASTERLING, The unmoved mover in early Aristotle, "Phronesis", 1976, pp. 252-265; Études sur la Métaphysique d'Aristate, a cura di P. AuBENQUE, Paris 1976; E. HARTMAN, Aristotle on the identity of substance and essence, "Philosophical Review", 1976, pp. 541-561; J. LoRITE MENA, Pourquoi la métaphysique? La voie de la sagesse selon Aristate, Paris 1976; J. OwENS, Aristotle. Cognition, a way of being, "Canadian Journal of Philosophy", 1976, pp. 1-11; S. SKOUSGAARD, Wisdom and being in Aristotle's first philosophy, "Thomist", 1976, pp. 444-474; R.B. ToDD, The four causes. Aristotle's exposition and the ancients, "Journal of History of ldeas", 1976, pp. 319-322; A. GoTTHELF, Aristotle's conception of fina! causality, "Review of Metaphysics", 1976-1977, pp. 226-254; ]. ANNAS, Aristotle on substance, accident and Plato 's forms, "Phronesis", 1977, pp. 146-160; E. BERTI, Aristotele: dalla dialettica alla filosofia prima, Padova 1977; A.H. CHROUST, Some Observations on Aristotle's Doctrine of the Uncreatedness and Indestructibility of the Universe, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1977, pp. 123 sgg.; M.F. LowE, Aristotle on being and the one, "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", 1977, pp. 44-55; ]. MoREAU, Remarques sur l'antologie aristotélicienne, "Revue Philoso-
www.scribd.com/Baruhk
309
phique de Louvain", 1977, pp. 577-611; Articles on Aristotle, III, Metaphysics, a cura diJ. BARNES e altri, London 1979; K. BRINKMANN, Aristoteles allgemeine und spezielle Metaphysik, Berlin 1979; M. BuRNYEAT, Notes on Book Zeta of Aristotle's Metaphysics (seminario tenuto a Londra nel 1975-1979), Oxford 1979; G. RoMEYER-DHERBEY, Chose, cause et ceuvre chez Aristate, "Archives de Philosophie du Droit", 1979; L. CouLOUBARITSIS, Considérations sur la notion 'tò ti en einai', "L' Antiquité Classique", 1981, pp. 148-157; A.C. LLOYD, Form and universal in Aristotle, Liverpool1981; D. MouKANOS, Ontologie der "Mathematik"in der Metaphysik des Aristoteles, Athénai 1981; A.M. DILLENS, La naissance du discours ontologique. Étude de la notion d"en soi' dans l'ceuvre d'Aristate, Bruxelles 1982; CH.L. MICHELET, Examen critique de l'ouvrage d'Aristate intitulé "Métaphysique", Paris 1982 {ristampa dell'ed. di Parigi del 1836); J. OWENS, The doctrine of being in the Aristotelian 'Metaphysics', in Philosophies of existence: ancient and medieval, a cura di P. MoREWEDGE, New York 1982; P. RicrnuR, Etre, essence et substance chez Platon et Aristate, Paris 1982; H. SEIDL, Die Wissenschafts-theoretische Grundlage der aristotelischen Metaphysik (zum Begriff -rò -ri Ti v eìvat dem Seienden als sokhem, "Proceedings of the World Congress on Aristotle", 1982, pp. 175-182; W. VIERTEL, Der Begriff der Substanz bei Aristoteles, Konigstein 1982; G. VLADUTESCU, La philosophie première d'Aristate en tant qu'ontologie formelle, "Revue Roumaine des• Sciences Sociales", 1982, pp. 133-143; E. BERTI, Quelques remarques sur la conception aristotélicienne du non-etre, "Revue de Philosophie Ancienne", 1983, pp. 115-142; W. CHARLTON, Prime matter a rejoinder, "Phronesis", 1983, pp. 197-211; L. CouLOUBARITSIS, L 'Etre et l'Un chez Aristate, "Revue de Philosophie Ancienne", 1983, pp. 143-195; G. RoMEYER DHERBEY, Les choses memes. La pensée réel chez Aristate, Lausanne 1983; R. SoRABJI, Necessity, cause, and blame. Perspectives on Aristotle's theory, Ithaca (N.Y.) 1983; Aristoteles, Metaphysica, index verborum, listes de fréquence, a cura di L. DELATTE, Hildesheim-Ziirich-New York 1984; W. BROGAN, Is Aristotle a metaphysician?, "The Journal of the British Society for Phenomenology", 1984, pp. 249-261; S. CoHEN, Aristotle's doctrine of the materia! substrate, "The Philosophical Review", 1984, pp. 171-194; H. SEIDL, Beitriige zu Aristoteles Erkenntnislehre und Metaphysik, Amsterdam 1984; S. BARBELLION, Le principe et le premier des etres. Voie d'interprétation philosophique du livre "A" de la "Métaphysique" d'Aristate, Buxy 1985; A. BRANCACCI, La 'Metafisica' di Aristotele in akune recenti interpretazioni, "Elenchos", 1985, pp. 163-179; L. CouLOUBARITSIS, La notion d"entelecheia' dans la 'Métaphysique', in Aristotelica, in onore di M. DE CoRTE, intr. di A. MaTTE-C. RuTTEN, Bruxelles 1985, pp. 129-155; Études aristotéliciennes. Métaphysique et théologie (scritti di: P. AUBENQUE, J.
310
www.scribd.com/Baruhk
BRUNSCHWIG, V. DÉCARIE, A. DE MuRALT, A. MANSION,]. MoREAU), Paris 1985;. M. T. LrsKE, Aristoteles und der aristotelische Essentialismus. Individuum, Art, Gattung, Freiburg 1985; H. ScHMITZ, Die Ideenlehre des Aristoteles., I: Aristoteles. 1. Kommentar zum 7. Buch der Metaphysik, 2. Ontologie, Noologie, Theologie, II: Platon und Aristoteles, Bonn 1985; P. CASPAR, Le problème de l'individu chez Aristate, "Revue Philosophique de Louvain", 1986, pp. 173-186; B. DuMOULIN, Analyse génétique de la "Métaphysique"d'Aristote, Paris 1986; N. WHITE, Identity, modal individuation, and matter in Aristotle, "Midwest Studies in Philosophy", 1986, pp. 475-494; Mathematik und Metaphysik bei Aristoteles, Akten des 10. Symposium Aristotelic., 6-12 sett. 1984, a cura di A. GRAESER, Bern-Stuttgart 1987; F. MoRIANI, Aspetti della relazione tra UÀ.TJ e U7tOKElJl.EVOV in Aristotele, "Annali del Dipartimento di Filosofia" (Univ. di Firenze), Firenze 1987, pp. 3-28; W. PATT, Aristotle's notion of theology and the meaning of oòaia "Proceedings of the American Philosophical Society", 1987, pp. 69-77; M.C. SoMMERS, Aristotle an substance and predication. A mediaeval view, "Proceedings of the American Philosophical Society", 1987, pp. 78-87; E. BERTI, Il concetto di 'sostanza prima' nel libro Z della "Metafisica", "Rivista di Filosofia", 1988, pp. 3-23, 1989, pp. 3-33; G. BRAKAS, Aristotle's concept of the universal, Hildesheim-Ziirich-New York 1988; ].]. CLEARY, Aristotle an the many sense ofpriority, Carbondale (Ill.) 1988; A. FERRARIN, La 'Metafisica' aristotelica e l'idea hegeliana della logica, "Verifiche", 1988, pp. 107-159;]. FoLLON, Réflexion sur la théorie aristotélicienne des quatre causes, "Revue Philosophique de Louvain", 1988, pp. 317-352; E. HALPER, Aristotle an the possibility of metaphysics, "Revue de Philosophie Ancienne", 1988, pp. 215-226; S. MAKIN, Aristotle an unity and being, "Proceedings of the Cambridge Philological Society", 1988, pp. 76-103; Ontologie und Theologie. Beitriige zum Problem d. Metaphysik bei Aristoteles u. Thomas von Aquin, a cura di M. LuTz-BACHMANN, Frankfurt a.M.-Bern-New York 1988; R. PoLANSKY-M. KuczEWSKI, Accidents and Processes in Aristotle's "Metaphysics" E.J, "Elenchos", 1988, pp. 295-310; A. URBANAS, La notion d'accident chez Aristate. Logique et métaphysique, Paris 1988; Zeit, Bewegung, Handlung, in Studien zur Zeitabhandlung d. Aristoteles, a cura di E. RuooLPH, Stuttgart 1988; A.P. Bos, Cosmic and meta-cosmic theology in Aristotle's lost dialogue, Leiden 1989; B. CASSIN-M. NARCY, La décision du sens. Le livre 'Gamma' de la 'Métaphysique' d'Aristate, Paris 1989; J. OWENS, An ambiguity in Aristate, "Apeiron", 1989, pp. 127-13 7; ].M. PousSEUR, Su;et et détermination. L 'aporie de la substance dans la "réfutation "aristotélicienne du principe de contradiction, "Archives de Philosophie", 1989, pp. 191-202; E. RuNGGALDIER, Einheit und Identitiit als 'formale Begriffe' in der Metaphysik des Aristoteles, "Theologie
www.scribd.com/Baruhk
.311
und Philosophie", 1989, pp. 557-566; C. WITT, Substance and essence in Aristotle. An interpretation of Metaphysics, Ithaca (N.Y.) 1989; M.L. GILL, Aristotle an substance. The paradox of unity, Princeton (N.J.) 1990; T.H. lRWIN Le caractère aporetique de la "Métaphysique" d'Aristate, "Revue de Métaphysique et de Morale", 1990, pp. 221-248. ii. Logica, dialettica, linguaggio, scienze, metodo F.A. TRENDELENBURG, Geschichte der Kategorienlehre, Leipzig 1846, Berlin 1876; H. MAIER, Die Syllogistik des Aristoteles, Tiibingen 1896-1900, Leipzig 1936 (anast., Hildesheim 1969-1970); G. CALOGERO, I fondamenti della logica aristotelica, Firenze 1927 (nuova ed. con appendici di G. GIANNANTONI-G. SILLITTI, Firenze 1968); O. BEKKER, Die aristotelische Theorie der Moglichkeits-Schliisse, Berlin 1933; P. GoHLKE, Die Entstehung der aristotelischen Logik, Berlin 1936; J. MILLER, The structure of aristotelian logic, London 1938; J.M. LE BLOND, Logique et méthode chez Aristate, Paris 1939, 197V; A. MANSION, Le jugement d'existence chez Aristate, Paris 1939; E. W. BETH, Mathematische Logik und Grundlegungderexakten Wissenschaften, Bern 1948; TH. HEATH, Mathematics in Aristotle, Oxford 1949; I.M. BocHÉNSKI, Ancient Formai Logic, Amsterdam 1951; J. LuKASIEWICZ, Aristotle's Syllogistic from the Standpoint of Modern Formai Logic, Oxford 1951, 1954; G. PATZIG, Die aristatelische Syllogistik, Gottingen 195 3, 1963; C .A. VIANO, La logica di Aristotele, Torino 1955; E. RIONDATO, La teoria aristotelica della enunciazione, Padova 1957; G. PATZIG, Die aristotelische Syllogistik. Logisch-philologische Untersuchungen iiber das Buch A der Ersten Analytiken, Gottingen 1959, 1963; AA.VV., Aristate et les problèmes de méthode, Louvain 1961; S. McCALL, Aristotle's Modal Syllogism, Amsterdam 1963; A. PLEBE, Introduzione alla logica formale, Bari 1964; M. MIGNUCCI, La teoria aristotelica della scienza, Firenze 1965; F. ADORNO, Tipi di 'discorso' in Aristotele, in F.A., Studi sul pensiero greco, Firenze 1966, pp. 83-120; F. BARONE, Eudosso di Cnido, Aristotele e la nascita della logica formale, "De Homine", 1967, pp. 393-405; ]. DuERLINGER, Aristotle's Conception of Syllogism, "Mind", 1968, pp. 480-499; G. GIANNANTONI, Gli studi di logica aristotelica dal1927 a oggi, in G. CALOGERO, I fondamenti della logica aristotelica, co_n appendici di G. GIANNANTONI-G. SILLITTI, cit., 19682 ; C. NEGRO, La sillogistica di Aristotele come metodo della conoscenza scientifica, Bologna 1968; G.E.L. OwEN, Aristotle an Dialectic. The 'Topics', Atti del 3° Simposio Aristotelico, Oxford 1968; V. SAINATI, Storia dell"Organon' aristotelico, Firenze 1968-1973; J.P. ANTON, Ancient interpretations of Aristotle's doctrine of 'Homonyma', "Journal of the History of Philosophy", 1969, pp. 1-18; J. MoLINE, Aristotle, Eubulides and the Sorites, "Mind", 1969, pp. 393•407; S. McCALL, La modalité du
312
www.scribd.com/Baruhk
jugement chez Aristate et dans la logique moderne, "Analele Universitìiti Bucuresti", serie 'Acta logica', 12, 1969; P. AuBENQUE, Aristate et le langage, in Annales de la Faculté d'Aix-en-Provence, 1970; M. T. LABKIN, Language in the Philosophy of Aristotle, Den Haag-Paris 1971; S.E. LuCAS, Notes on Aristotle's concept of 'Logos', "The Quarterly Journal of Speech", 1971, pp. 456-458; L.W. RosENFIELD, Aristotle and Information Theory, Den Haag, 1971; J.L. AcKRILL, Aristotle on "good" and the categories, in Islamic philosophy and the classica! tradition, Oxford 1972, pp. 17-25; H. BARREAU, Aristate et l'analyse du savoir, Paris 1972; B.A. BRODY, Towards an Aristotelian theory of scientific explanation, "Philosophy of Science", 1972, pp. 20-31; P. CosENZA, Tecniche di trasformazione nella sillogistica di Aristotele, Napoli 1972; L. CouLOUBARITSIS, Le problème de la 'proairesis' chez Aristate, "Annales de l'Institut des Philosophies" (Bruxelles), 1972, pp. 7-50; H. DE LEY, Arisoteles' Kategorieenleer, I, "Communication et Cognition", 1972, pp. 173-182; C. DEOSPOTOPOULOS, Le raisonnement juridique d'après Aristate, "Archives de Philosophie du Droit", 1972, pp. 89-97; V. GAJENDRAGADKAR, Two modes of predication in Plato and Aristotle, "Journal of the University of Bombay", 1972, pp. 162-177; G. GRANEL, Notesdetravail. Scienceetdialectique chez Aristate, "Annales publiées trimestriellement par l'Université de Toulouse-Le Mirai!", 1972, pp. 111-121; J. HINTIKKA, On the ingredients of an Aristotelian science, "Noùs", 1972, pp. 55-69; Logik und Erkenntnislehre des Aristoteles, a cura di F.P. HAGER, Darmstadt 1972; A.]. RECK, Aristotle's Concept of Substance in the Logica! Writings, "The South Western Journal of Philosophy", 1972, pp. 7-15; A. SCHUTZE, Die Kategorien des Aristoteles und der Logos, Stuttgart 1972; M. SoRETH, Zum infiniten Pràaikat im zehnten Kapitel der aristotelischen Hermeneutik, in Islamic philosophy and the classica! tradition, in onore di R. W ALZER, Oxford 1972, pp. 389-424; R. ZANE, One formalizing Aristotle's theory of mora! syllogism, "Notre Dame Journal of Formai Logic", 1972, pp. 385-386; R.E. ALLEN, Substance and predication in Aristotle's "Categories", in Exegesis and argument ("Phronesis", suppl. vol. 1), Assen 1973, pp. 362-373; J. HINTIKKA, Time and Necessity. Studies in Aristotle's Theory of Modality, London 1973; L.A. KosMAN, Understanding explanation, and insight in ·the "Posterior Analytics ", in Exegesis and argument ("Phronesis", suppl. vol. 1), Assen 1973, pp. 374-392; B. MAiaLI, Gli universali. Alle origini del problema, Roma 1973; D.B. RAsMUSSEN, Aristatte and the defence of the law of contradiction, "Personalist", 1973, pp. 149-162; J. ANNAS, Individuals in Aristotle's ·"Categories": two queries, "Phronesis", 1974, pp. 146-152; G. CAPOZZI, Giudizio, prova e verità. I principi della scienza nell'analitica di Aristotele, Napoli 1974; F. CoLLIN, The concept of substance in the "Categories" and the "Physics", "Danish
www.scribd.com/Baruhk
313
Yearbook of Philosophy", 1974, pp. 72-119; J. CoRCORAN, Aristotelian syllogism: valid arguments or the universalized conditionals?, "Mind", 1974, pp. 278-281; }.D.G. EvANS, Aristotle on relativism, "Philosophical Quarterly", 1974, pp. 193-203; M. PREDA, Stoic vs. Aristotelian syllogistic, "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", 1974, pp. 1-32; K. GYEKYE, Aristotle on language and meaning, "International Philosophical Quarterly", 1974, pp. 71-77; K. GYEKYE, Substance in Aristotle's "Categories"and "Metaphysics", "Second Order", 1974, pp. 61-65; J. HrNTIKKA, On Aristotle's Philosophy of Sciences, Dordrecht 1974; W. KuLLMAN, Wissenschaft und Methode, Berlin-New York 1974; W. LESZL, Conoscenza dell'universale e conoscenza del particolare in Aristotele, in Atti del convegno di storia della logica (Parma, 8-10 ott. 1972), Padova 1974, pp. 169-175; S. RAPHAEL, Rhetoric, dialectic and syllogistic argument: Aristotle's position in "Rhetoric I-II", "Phronesis", 1974, pp. 153-167; K. REISINGER, Kategorien und Seinsbedeutung bei Aristoteles, in Sein und Geschichtlichkeit, a cura di I. ScaussLER-W. }ANKE, Frankfurt a.M. 1974, pp. 37-51; D.A. RoHATYN, Some notes on Aristotle's logoi, "Athenaeum", 1974, pp. 349-351; V. SAINATI, La matematica della scuola eudossiana e le origini dell'apodittica aristotelica, in Atti del convegno di storia della logica (Parma, 8-10 ott. 1972), Padova 1974, pp. 131-149; W. ScHMIDT, Theory der Induktion, Miinchen 1974; A. ZADRO, Interpretazione e rappresentazione. Una aporia formale classica e la critica della tradizione. Aristotele, Padova 1974, 1975 2 ; J.P. ANTON, Some observations on Aristotle's theory of categories, "Diotima", 1975, pp. 67-81; Articles on Aristotle, I, Science, cit., 1975; J. BARNES, Aristotle's theory of demonstration, in ibidem, pp. 65-87; W. BELARDI, Illinguagj[,io nella filosofia di Aristotle, Roma 1975; R. BonÉus, Notes sur quelques aspects de la conscience dans la pensée aristotélicienne, "Phronesis", 1975, pp. 63-74; R. BosLEY, Aspects of Aristotle's logic, Assen 1975; L. BouRGEY, Observation and experiment in analogica! explanation, in Articles on Aristotle, I, Science, cit., 1975, pp. 175-182; R.M. DANCY, Sense and Contradiction. A Study in Aristotle, Dordrecht 1975; F. DE GANDT, La 'mathésis' d'Aristate. Introduction aux "Analytiques seconds", "Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques", 1975, pp. 564-599; }.D.G. EvANS, The codification of false refutations in Aristotle's "De Sophisticis elenchis", "Proceedings of the Cambridge Philological Society", 1975, pp. 42-52; A. GHOSE, Singular propositions and Aristotle's conception of logic, "International Philosophical Quarterly", 1975, pp. 327-331; B.S. GRYAZNOV, On the historical interpretation of Aristotle's "Analytics", "Organon", 1975, pp. 193-203; B. }oNES, An introduction to the first five chapters of Aristotle's Categories, "Phronesis", 1975, pp. 146-172; E. KAPP, Syllogistic, in Articles on Aristate, I, Science, cit., 1975, pp. 65-87; M. MrGNUC-
314
www.scribd.com/Baruhk
CI, L 'argomentazione dimostrativa in Aristotele. Commento agli Analitici secondi, Padova 1975; M. MIGNUCCI, Universalità e necessità nella logica di Aristotele, in Atti del convegno di storia della logica (Parma, 8-10 ott. 1972), Padova 1975, pp. 151-167; G.E.L. OwEN, "Tithenai ta phainomena", in Articles an Aristotle, I, Science, cit., 1975, pp. 113-126; W.D. Ross, The development of Aristotle's thought, in ibidem, pp. 1-13; J.G. STEVENSON, Aristotle and the principle of contradiction as law of thought, "Personalist", 1975, pp. 403-413; R.D. SYKES, Form in Aristotle: universal or particular?, "Philosophy", 1975, pp. 311-331; W.N. THOMPSON, Aristotle's Deduction and Induction, Amsterdam 1975; E. WEIL, The place of logic in Aristotle's thought, in Articles an Aristotle, l, Science, cit., 1975, pp. 88-112; W. WIELAND, Die aristotelische Theorie der Syllogismen mit moda! gemischten Priimissen, "Phronesis", 1975, pp. 77-92; A. EoEL, Aristotle's categories and the nature of categoria! theory, "Review of Metaphysics", 1975-1976, pp. 45-65; R. BoLTON, Essentialism and semantic theory in Aristotle's "Posterior analytics", II, 7-10, "The Philosophical Review", 1976, pp. 514-544; CHUNG-HWAN CHEN, Sophia, the Science in Aristotle's Thought, Hildesheim-New York 1976; F. DE GANDT, La 'mathésis' d'Aristate. Introduction aux "Analytiques seconds", II, "Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques", 1976, pp. 37-83; M.G. EvANS, A truth-functional analysis of Aristotelian logic, "International Logic Review", 1976, pp~ 198-215; G. EvEN-GRANBOULAN, Le syllogisme pratique chez Aristate, "Etudes Philosophiques", 1976, pp. 57-78; G.G. GRANGER, La théorie aristotélicienne de la science, Paris 1976; K. GYEKYE, Aristotle an predication, "International Logic Review", 1976, pp. 102-105; D.}. HADGOPOULOS, The definition of the "predicables"in Aristotle, "Phronesis", 1976, pp. 59-63; D. W. HAMLYN, Aristotelian 'epagoge', ibidem, pp. 167-184; W.F.R. HARDIE, Concepts of consciousness in Aristotle, "Mind", 1976, pp. 388-411; M. KESSLER, Arisoteles Lehre von der Einheit der Definition, Miinchen 1976; S. MANSION, Le jugement d'existence chez Aristate, Louvain 19762 (ed. riveduta e ampliata); E. REGIS }R., Aristotle's "Principle of individuation", "Phronesis", 1976, pp. 157-166; E. REGIS}R., Aristotle an universals, "Thomist", 1976, pp. 135-152; H. SPANU, Methodologische Untersuchungen zur aristotelischen Wissenschaftheorie, Miinchen 1976; W. WIELAND, Probleme der aristotelischen Theorie iiber die Schliisse aus falschen Priùnissen, "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", 1976, pp. 1-9; V. CELLUPRICA, Il capitolo 9 del "De interpretatione" di Aristotele. Rassegna di studi: 1930-1973, Bologna 1977; T. EBERT, Zur Formulierungpriidikativer Aussagen in den logischen Schriften des Aristate!es, "Phronesis", 1977, pp. 123-145; }.D.G. EvANS, Aristotle's concept of dialectic, London-New York 1977; A. GRAESER, Probleme der Kategorienlehre des Aristoteles,
www.scribd.com/Baruhk
315
"Studia Philosophica", 1977, pp. 59-81; J. KUNG, Aristotle an essence and explanation, "Philosophical Studies" (Dordrecht), 1977, pp. 361-383; N. MIGNUCCI, Teoria della scienza e matematica in Aristotele, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1977, pp. 204-233; A. ZADRO, Tempo ed enunciati nel "De Interpretatione" di Aristotele, Padova 1979; B.C. VAN FRAASSEN, A re-examination o(Aristotle's philosophy of science, "Dialogue", 1980, pp. 20-45; G. RIGAMONTI, L 'origine del sillogismo in Aristotele, Palermo 1980; AA.VV., Aristotle an Science. The "Posterior analytics", Atti del Simposio (VIII) aristotelico (Padova, 7-15 ott. 1981), a cura di E. BERTI, Padova 1981; G. ENGLEBRETSEN, Three logicians: Aristotle, Leibniz and Sommers and the syllogistic, Assen 1981; M. HusAIN, The multiplicity in unity of being 'qua' being in Aristotle's 'pros hen' equivocity, "The New Scholasticism", 1981, pp. 208-218;}. KuNG, Aristotle an thises, suches and the Third Man Argument, "Phronesis", 1981, pp. 207-247; V. SAINATI, La sillogistica modale aristotelica: problemi storici e teorici, "Teoria" (Pisa), 1981, pp. 25-69; ]. SPRUTE, Aristate/es' Theorie rhetorischer Argumentation, "Gymnasium", 1981, pp. 254-273; F. O'FARRELL, Aristotle's categories of being, "Gregorianum", 1982, pp. 87-131; W.N.A. KLEVER, Aristotle's logic as a constructivistic theory of science, "Proceedings of the World Congress on Aristotle", 1982, pp. 128-131; E. LAWRENCE, Aristotle and definition, ibidem, pp. 148-168; I. ScHUSSLER, Aristoteles: Philosophie u. Wiss. d. Problem d. Verselbstiindigung d. Wiss., Frankfurt a.M. 1982; G. SEEL, Die aristotelische Modaltheorie, Berlin-New York 1982; S. WATERLOW, Passage and possibility. A study of Aristotle's modal concepts, Oxford 1982; J.A. WEISHEIPL, The interpretation of Aristotle's 'Physics' and the science of motion, in The Cambridge history of later Medieval philosophy, a cura di N. KRETZMANN-A. KENNY-}. PINBORG, Cambridge 1982; S. BESOLI, Percezione, verità e giudizio: luoghi dell'intuizionismo aristotelico, "Annali di discipline filosofiche dell'Università di Bologna", 1982-1983, pp. 5-40; Aristoteles als Wissenschaftstheoretiker, a cura di J. lRMSCHER-R. MuLLER, Berlin 1983; E. BERTI, Logica aristotelica e dialettica, Bologna 1983; E. THIONVILLE, De la théorie des lieux communs dans les "Topiques"d'Aristote. Et des principales modifications qu'elle a subies ;usqu'à nos ;ours, (Paris 1855), Paris 1983; O. GIGON, Aristoteles und die Konstruktion der Philosophie, "
316
www.scribd.com/Baruhk
ries, "Revue de P~ilosophie Ancienne", 1984, pp. 121-137; J.E. BoLZAN, Ciencia en Arist6teles, Asunci6n (Paraguay) 1984; T. LEE, Die griechische Tradition der aristotelischen Syllogistik in der Spà"tantike: e. Unters. iiber d. Kommentare zu Analytica priora von Alexander Aphrodisiensis, Gottingen 1984; P. LoRENZ, War Aristoteles Nominalist?, "Wiener Studien", 1984, pp. 71-88; E. MoNTANARI, La sezione linguistica del 'Peri hermeneias' di Aristotele, 2 voll., Firenze 1984-1988; T.V. UPTON, The role of dialectic and objections in Aristotelian science, "The Southern Journal of Philosophy", 1984, pp. 241-256; R. Pau, Elementi per un'analisi delle modalità in Aristotele, "Annali di discipline filosofiche dell'Università di Bologna", 1984-1985, pp. 209-218; W. CAVINI, La negazione di frase nella logica greca [da Aristotele a Crisippo], in Studi su papiri Greci di Logica e di Medicina (Accademia Toscana di Scienze e Lettere "la Colombaria", Studi, 74), Firenze 1985; A. CAZZULLO, Tra simbolo e segno. Considerazioni su Aristotele, gli antichi e i moderni, "Materiali Filosofici", 1985, pp. 126-137; J.J. CLEARY, On the terminology of "abstraction"in Aristotle, "Phronesis", 1985, pp. 13-45; A. DE MuRALT, Comment dire l'etre? L 'invention du discours métaphysique chez Aristate, Paris 1985; P. ENGEL, Structure sémantique et forme logique d'après l'analyse aristotélicienne des phrases d'action, Actes du colloque sur "Philosophie du langage et théories linguistiques dans l' Antiquité", 1985, in Philosophie du laangage et grammaire dans l'Antiquité, a cura di H. JoLY, Bruxelles-Grenoble 1986, pp. 181-202; D. PREDE, The sea-battle reconsidered: a defence of the traditional interpretation, "Oxford Studies in Ancient Philosophy", 1985, pp. 31-87; B. LANDOR, Aristotle on demonstrating essence, "Apeiron", 1985, pp. 116-132; Zu~.modernen Deutung der Aristotelischen Logik, a cura di A. MENNE-N. 0FFENBERGER, Hildesheim 1985, 19882 ; G. SILLITTI, La concezione del 'pros ti' e il problema degli enti astratti in Aristotele, "Elenchos", 1985, pp. 357-377; R. SMITH, New light on Aristotle's moda! concepts, "Ancient Philosophy", 1985, pp. 67-75; B. STAROSTIN, L'historicité du savoir selon Aristate, in La philosophie grecque et sa portée culturelle et historique, trad. dal russo di A. GARCIA e S. MouRAVIEV, Moscou, 1985, pp. 176-210; B. voN FREYTAG LoRINGHOFF, Neues System der Logik. Symbol.- symmetr., Hamburg 1985; D. ZASLAWSKY, Paradoxes linguistiques. A propos du 'lexis' chez Aristate, Actes du colloque sur "Philosophie du language et théories linguistiques dans l'Antiquité", cit, pp. 239-262; P. AuBENQUE, The origins of the doctrine of the analogy of being. On the history of a misunderstanding, trad. di Z.H. BILGIN, "Graduate Faculty Philosophy Journal", 1986, pp. 35-46; A. BoBoc, Aporetics and its piace in Aristotle's theory of science, "Revue Roumaine des Sciences Sociales. ~érie de Philosophie et Logique", 1986, pp. 328-330; F. BRENTANO, Uber Aristoteles nachgelassene Aufsiit-
www.scribd.com/Baruhk
317
ze, a cura di R. GEORGE, Hamburg 1986; A. CASSINI, Naturaleza y funci6n de las axiomas en la epistemologia aristotélica, "Revista de Filosofia", 1986, pp. 75-97; A. CoDE, Aristotle's investigation of a basic logica! principle. Which science investigates the principle of non-contradiction?, "Canadian Journal of Philosophy", 1986, pp. 341-358; S.M. CoHEN, Aristotle an the principle of non-contradiction, ibidem, pp. 359-370; J.P. DuMONT, Introduction à la méthode d'Aristate, Paris 1986; R. ENSKAT, Ein aussagenlogischer Aspekt der aristotelischen Syllogistik, "Archiv fi.ir Geschichte der Philosophie", 1986, pp. 126-135; G. GIANNANTONI, Il principio aristotelico di contraddizione, "Annali dell'Istituto di Filosofia di Urbino", 1986, pp. 419-4 36; G. GRAFFI, Una nota sui concetti di pfiJlU e Myoç in Aristotele, "Athenaeum", 1986, pp. 91-101; M. MIGNUCCI, Aristotle's definitions of relatives in 'Cat. 7', "Phronesis", 1986, pp. 101-127; Aristate today. Essays an Aristotle's ideal of science, a cura di M. MATTHEN, Edmonton (Alberta) 1987; E. BERTI, L'analogia in Aristotele. Interpretazioni recenti e possibili sviluppi, in Origini e sviluppi dell'analogia, Roma 1987, pp. 94-115; S.W. BROADIE, Necessity and deliberation. An argument from 'De interpretatione' 9., "Canadian Journal of Philosophy", 1987, pp. 289-306; V. CELLUPRICA, Logica e semantica nella teoria aristotelica della predicazione, "Phronesis", 1987, pp. 166-187; P. CosENZA, Logica formale e antiformalismo. Da Aristotele a Descartes, Napoli 1987; W. DETEL, Eine Notiz iiber vollkommene Syllogismen bei Aristate/es, "Archiv fi.ir Geschichte der Philosophie", 1987, pp. 129-139; G.V. DRAc-V.V. KoNDSELKA, Aristoteles und die Probleme der antiken Wissenschaftstheorie. Bemerkungen zu einem Sammelband, "Philologus", 1987, pp. 109-118; M. GIANNI, Aristotele e la nozione di separazione, "Annali del Dipartimento di Filosofia" (Università di Firenze), 1987, pp. 29-51; M. KATo,Aristotelesiiberden Ursprungwissenschaftlicher Erkenntnis, "Phronesis", 1987, pp. 188-205; E. MELANDRI, The "analogia entis" according to Franz Brentano. A speculative-grammatica! analysis of Aristotle's "Metaphysics", "Topoi", 1987, pp. 51-58; L.B. GRANT-M.A.B. DEAKIN, Aristotle's 'telos' and modern scientific method, "Methodology and Science", 1988, pp. 124-141; M. HoHELikHTER, Kontrarietiit Explikation in Auseinandersetzung mit Aristate/es, Mi.inchen 1988; G. lMBRAGUGLIA, Il problema dell'universale in Aristotele esposto ed esaminato da A. Rosmini, L'Aquila-Roma 1988; V. KARL, On intuition and discursive reasoning in Aristotle, Leiden-New York 1988; C. LARMORE, Logik und Zeit bei Aristate/es, in Zeit, Bewegung, Handlung, Studien zu Zeitabhandlung d. Aristate/es, a cura di E. RuDOLPH, Stuttgart 1988, pp. 97-108; M. MARIANI, Determinismo e verità: 'De Int. ', 9 e sue interpretazioni, "Teoria", 1988, pp. 3-33; L. SEIDEL, Logik, I: Vollendung der Analytik des Aristate/es, Frankfurt a.M. 1988; E.W. SNIDER]R.,
318
www.scribd.com/Baruhk
Aristotle on deliberation and the practical syllogism. Interpretation and disputed texts, "The New Scholasticism", 1988, pp. 179-209; J. VAN EcK, Another interpretation of Aristotle's 'De Interpretatione IX', "Vivarium", 1988, pp. 19-38; C.J. KELLY, The logic of eterna! knowledge from the standpoint of the Aristotelian syllogistic, "The Modern Schoolman", 1988-1989, pp. 29-54; A. BERIGER, Die aristotelische Dialektik, Heidelberg 1989; P. CRIVELLI, Presupposti esistenziali della negazione in Aristotele, "Annali del Dipartimento di Filosofia"(Università di Firenze), 1989, pp. 45-90; K.J. ScHMIDT, Bine modalpriidikatenlogische Interpretation der modalen Syllogistik des Aristoteles, "Phronesis", 1989, pp. 80-106; J. THORP, Does primacy confer universality? Logic and theology in Aristotle, "Apeiron", 1989, pp. 101-125;}. VAN Rr]EN, Aspects of Aristotle's logic of modalities, Dordrecht 1989; W. WrANS, Aristotele, demonstration and teaching, "Ancient Philosophy", 1989, pp. 245-253; E. BERTI, Etre et non-étre chez Aristate: contraires ou contradictoires?, "Revue de Théologie et de Philosophie", 1990, pp. 365-373; M. DESLAURIES, Aristotle's four types of definition, "Apeiron", 1990, pp. 1-26.
iii. Fisica, scienze naturali, zoologia, matematica, cosmologia Anche relativamente alla "fisica"e alle altre opere di "scienze naturali e matematiche", gli studi si sono spostati a considerare il problema aristotelico come volto a rendersi conto delle condizioni logiche che permettono una scienza della "natura", in una molteplicità di prospettive, entro l'ambito della problematica di Aristotele e della storia del suo pensiero (non necessariamente in senso evolutivo). Se ancora fondamentale resta l'opera di A. MANSION, Introduction à la Physique aristotélicienne, Paris 1913 (2a ed., riveduta e dove si discute la tesi di W. }AEGER, Louvain 1945-1973; anast. del 1945, Louvain 1987), si veda inoltre: M. MANQUAT, Aristate naturaliste, Paris 1932; H. STROHM, Untersuchungen zur Entwicklung der aristotelischen Meteorologie, Leipzig 1935; W. }AEGER, Diokles von Karystos. Die griechische Medizin und die Schule des Aristoteles, Berlin 1938; I.M. LE BLOND, Logique et méthode chez Aristate. Étude sur la recherche des principes dans la physique aristotélicienne, Paris 1939; T. HEATH, Mathematics in Aristotle, Oxford 1949; H. G. APOSTLE, Aristotle's Philosophy of Mathematics, Chicago 1952; C.S. CLAGHORN, Aristotle's Criticism of Plato's 'Timaeus', Den Haag 1954; L. BouRGEY, Obseroation et expérience chez Aristate, Paris 1955; F. SoLMSEN, Aristotle's System of the Physical World, Ithaca 1960; W. WIELAND, Die aristotelische Physik, Géittingen 1962; G. DowNEY, Aristotle and Greek Science, London 1964; M.G. EvANS, The Physi,qal Philosophy of Aristotle, Albuquerque (N. Mex.) 1964; G.A. SEECK, Uberdie Elemente
www.scribd.com/Baruhk
319
in der Kosmologie des Aristoteles, Miinchen 1964; B. FARRINGTON, Aristotle: Founder of Scientific Philosophy, London 1965; M. MIGNUCCI, La teoria aristotelica della scienza, Firenze 1965; F. WooDBRIDGE, Aristotle's Vision of Nature, a cura di H. RANDALL-M. KAHN-H. LARSABEE, New York 1965; L. ELDERS, Aristotle's Cosmology, Assen 1966; F. ADORNO, Nota sul significato di 'tUXTJ in Aristotele: 'Fisica', II, 195b31-198a13, "Dialoghi di Archeologia", 196 7, pp. 82-92; F. BARONE, Eudosso di Cnido. Aristotele e la nascita della logica formale, "De Homine", 1967, pp. 393-405; R. ]OJ.-Y, La biologie d'Aristate, "Revue Philosophique de la France et de l'Etranger", 1968, pp. 219-253; G.E.R. LLOYD, The Role of Medicai and Biologica! Analogies in Aristotle's Ethics, "Phronesis", 1968, pp. 68-83; TH.C. ANDERSON, Intelligible Matter and the Objects of Mathematics in Aristotle, "The New Scholasticism", 1969, l; Naturphilosophie bei Aristate/es und Theophrast, IV, in Symposium aristotelicum (1966), a cura di I. DuRING, Heidelberg 1969; B. EFFE, Studien zur Kosmologie und Theologie der aristotelische Schrift iiber die Philosophie, Miinchen 1970; R. ]oLY, La biologie d'Aristate, in XIIe Congrès Internatiana! d'Histoire des Sciences, III A., Paris 1971, p. 93; FR. WIPLINGER, Physis und Logos. Zum Korperphisionomen in seiner Bedeutung fiir den Ursprung der Metaphysik bei Aristate/es, Freiburg-Mlinchen 1971; A.P. Bos, On the Elements. Aristotle's Early Cosmology, Assen 1972; G. SERRA, Note sulla traduzione arabo-latina del "De generatione et corruptione"di Aristotele, "Giornale Critico della Filosofia Italiana", 1973, pp. 383-427; FR.D. MILLER ]R., Aristotle on the reality of time, "Archiv flir Geschichte der Philosophie", 1974, pp. 132-155; C. NATALI, Cosmo e divinità. La struttura logica della teologia aristotelica, L'Aquila 1974; H.S. THAYER, Aristotle on nature: a study in the relativity of concepts and procedures of analysis, "Review of Metaphysics", 1974-1975, pp. 725-744; J. ANNAS, Aristotle, number and time, "The Philosophical Quarterly", 1975, pp. 97-113; H. BARREAU, L'espace et le temps chez Aristate, "Revue de Métaphysique et de Morale", 1975, pp. 417-438; P. LoUis, La découverte de la vie: Aristate, Paris 1975; Die Naturphilosophie des Aristate/es, a cura di G.A. SEECK, Darmstadt 1975 (con articoli di G.A. SEECK, su Aristotele tra filosofia della natura e scienza della natura; A.W. D'ARCY THOMPSON; A. MANSION, sul carattere della fisica di A.; E. IvANKA, sulla dottrina della visione; I. DuRING, sul metodo della biologia;]. MoREAU, sul finalismo cosmologico; H.D.P. LEE, sulla biologia; P. MoRAUX, sul "De caelo"; O. REGENBOGEN, sulla storia degli animali; H.B. GoTTSCHALK, sulla meteorologia; D.M. BALME, su yÉvoç e eicSoç nella biologia; H. CHERNISS, su argomenti dell'empirismo; G. BoAs, fisica; M. DEHN, su spazio, tempo, numero e matematica; K. REIDEMEISTER, sulla cosmologia; I.B. CoHEN, sul concetto di fisica; J.H. RAN-
320
www.scribd.com/Baruhk
DALL, sulla filosofia della natura; K. v. FRITZ, sulla teologia; W. WmLAND, sul continuo nella fisica; W. KuLLMANN, sul metodo scientifico; R.A. HoRNE, sulla chimica; etc ... ); J.B. MEYER, Aristoteles Thierkunde: e. Beitr. zur Geschichte d. Zoologie, Physiologie u. alten Philosophie (ed. 1855), Frankfurt a.M. 1975; A. PREUS, Scienceand Philosophy in Aristotle's Biologica! Works, Hildesheim-New York 1975; G.A. SEECK, Bibliographie zur Naturphilosophie des Aristoteles, in Die Naturphilosophie des Aristate/es, a cura di G.A. SEECK, Darmstadt 1975, pp. 401-419; D. CoRISH, Aristotle's attempted derivation of temporal arder from that of movementandspace, "Phronesis", 1976, pp. 241-251; G.A. FERRARI, L'officina di Aristotele: natura e tecnica nel II libro della "Fisica", "Rivista critica di Storia della filosofia", 1976, pp. 144-173; M. PEDRAZZI, "La quantità continua" in Aristotele, "Physis", 1976, pp. 64-72; A.]. CAPPELLETTI, La teoria aristotélica de la visi6n, Caracas 1977; T.A. WILSON, On time and motion as natura! phenomena, "Kinesis", 1979-1980, pp. 92-103; F. FRANCO-REPELLINI, Il "De Caelo" di Aristotele come risposta 'dialettica' al "Timeo ", "Rivista critica di Storia della filosofia", 1980, pp. 99-126 (vedi anche F.F.-R., Introduzione a De Caelo. De Generatione et corruptione, Torino 1985); M. BoYLAN, Mechanism and teleology in Aristotle's biology, "Apeiron", 1981, pp. 96-102; ]. CoNILL SANCHO, El tiempo en la filosofia de Arist6teles, Valencia 1981; L. CouLOUBARITsrs, L'avènement de la science physique, Bruxelles 1981; W. LESZL, Mathematics, Axiomatization and the Hypotheses, in Aristotle on Science. The "Posterior Analytics", cit., 1981, pp. 271-328; A. SZAB6, Aristoteles und das System der griechischen Mathematik, "Proceedings of the World Congress on Aristotle", 1981, pp. 227-232; E. BERTI, L'analisi geometrica della tradizione euclidea e l'analitica di Aristotele, "La scienza ellenistica", 1982, pp. 93-127; R. BRAGUE, Du temps chez Platon et Aristate, Paris 1982; V. GoLDSCHMIDT, Temps physique et temps tragique chez Aristate. Commentaire sur le quatrième livre de la "Physique", 10-14, et sur la "Poétique", indici a cura di C. lMPRERT-J. BRUNSCHWIG, Paris 1982; J. LEAR, Aristotle's philosophy of mathematics, "The Philosophical Review", 1982, pp. 161-192; J.G. LENNOX, Teleology, chance and Aristotle's theory of spontaneous generation, "Journal of the History of Philosophy", 1982, pp. 219-238; J. MoRSINK, Aristotle. On the generation of animals. A philosophical study, Washington 1982; P. PELLEGRIN, La classification des animaux chez Aristate. Statut de la biologie et unité de l'aristotélisme, Paris 1982; B.D. SMITH, Aristotle's theory of continuity, "Kinesis", 1982, pp. 36-41; S. WATERLOW, Nature, change, and agency in Aristotle's Physics. A philosophical study, Oxford 1982; F. ADORNO, Fisica epicurea, fisica platonica e fisica aristotelica, "Elenchos", 1983, pp. 207-233; M. BoYLAN, Method and practice in Aristotle's biology, Washington 1983;
www.scribd.com/Baruhk
321
P. FEYERABEND, Some observations on Aristotle's theory of mathematics and of the continuum, "Midwest Studies in Philosophy", 1983, pp. 67-88; P.H. NIDDITCH, The first stage of the idea of mathematics. Pythagoreans, Plato, Aristotle, ibidem, pp. 3-34; A. PREUS, 'Eidos' as norm in Aristotle's biology, in Essays in ancient Greek philosophy, a cura di J.P. ANTON-A. PREUS, Albany (N.Y.) 1983; R. QuERALTO MaRENO, Naturaleza y finalidad en Aristotele, Sevilla 1983; F.J.E. WooDBRIDGE, Aristotle's vision of nature, intr. a cura di ].H. RANDALL ]R., in collaborazione con C.H. KAHN-H.A. LARRABEE (1965), Westport (Conn.) 1983; M. BoYLAN, The piace of nature in Aristotle's teleology, "Apeiron", 1984, pp. 126-140; M. BRADLE-F.D. MILLER}R., Teleology and natura! necessity in Aristotle, "History of Philosophy Quarterly", 1984, pp. 133-146; D.W. GRAHAM, Aristotle's discovery of matter, "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", 1984, pp. 37-51; ].G. LENNOX, Recent philosophical studies of Aristotle's biology, "Ancient Philosophy", 1984, pp. 73-82; K. 0EHLER, Der unbewegte Beweger des Aristate/es, Frankfurt a.M. 1984; V. PRATT, The essence o/ Aristotle's zoology, "Phronesis", 1984, pp. 267-278; A. PREVOSTI MoNELUS, La fisica d'Aristati! com a ciencia de la natura, Barcelona 1984; H. SEIDEL, Aristoteles und der Ausgang der antiken Philosophie, Berlin 1984; ].W. SuMMERS, Aristotle's concept o/ time, "Apeiron", 1984, pp. 59-71; G. W6HRLE, Die Teleologie in den botanischen Schriften des Theophrast: Abkehr von Aristate/es?, "Wiirzburger Jahrbiicher fiir die Altertumswissenschaft", 1984; W.A. W ALLACE, The intelligibility of nature. A neo-Aristotelian view, "Review of Metaphysics", 1984-1985, pp. 33-56; Aristotle on nature and living things, in onore di D.M. BALME, a cura di A. GoTTHELF, Pittsburgh (Penn.) 1985;]. BARNES, Aristotelian arithmetic, "Revue de Philosophie Ancienne", 1985, pp. 97-133; A. G6RLAND, Aristoteles und die Mathematik (1899), nuova ed. Frankfurt a.M. 1985; H. GRANGER, The 'scala naturae' and the continuity of kinds, "Phronesis", 1985, pp. 181-200; P. PELLEGRIN, Les fonctions explicatives de l"Histoire des animaux' d'Aristate, "Phronesis", 1985, pp. 148-166; A. PREVOSTI MoNELUS, Teoria del infinito en Arist6teles, Barcelona 1985; V. CAUCHY, Art, métaphysique et nature chez Aristate, "Diotima", 1986, pp. 83-92;]. FRITSCHE, Methode und Beweisziel im ersten Buch der "Physikvorlesung" des Aristoteles, Frankfurt a.M. 1986; O. GrGON, Physik und Metaphysik in Aristoteles, in Energeia, studi in onore di A. }ANNONE, -a cura di E.A. MouTSOPOULOS, Paris 1986, pp. 158-184; P. PELLEGRIN, Aristotle's classification o/ anima/s. Biology and the conceptual unity of the Aristotelian corpus, trad. di A. PREUS, Berkeley (Ca.) 1986; A. RosALES, Una pregunta sobre el tiempo [Aristoteles], "Revista Venezolana de Filosofia", 1986, pp. 131-152; C. VrLAIN, Aristate et l'espace, "Fundamenta Scientiae", 1986, pp. 223-241; R. FRIEDMAN,
322
www.scribd.com/Baruhk
Simple necessity in Aristotle's biology, "International in Philosophy", 1987, pp. 1-9; Mathematics and metaphysics in Aristotle, Atti del Simposio su Aristotele, 6-12 sett. 1984: Mathematik und Metaphysik bei Aristate/es, a cura di A. GRAESER, Bern-Stuttgart 1987; H. MENDELL, Topoi on topos: The development of Aristotle's concept of piace, "Phronesis", 1987, pp. 206-231; D.K.W. MonRAK, Aristotle. The power of perception, Chicago (Ill.) 1987; G. SANTos GoMEZ, El problema del movimiento en Arist6teles, "Pensamiento", 1987, pp. 259-279; G.A. SEECK, Zeit als Zahl bei Aristoteles, "Rheinisches Museum fiir Philologie", 1987, pp. 107-124; R. BRAGUE, Aristate et la question du monde. Essai sur le contexte cosmologique et anthropologique de l'antologie, Paris 1988; S. EvERSON, L'explication aristotélicienne du hasard, trad. dall'inglese di J.C. NILLES, "Revue de Philosophie Ancienne", 1988, pp. 39-76; D. KoNSTAN, Points, lines, and infinity. Aristotle's 'Physics' Zeta and Hellenistic philosophy, "Proceedings of the Boston area colloquium in ancient philosophy" (Lanham), 1988; G. KREISEL, Logique et mathématiques, Paris 1988; C. MEGONE, Aristate. Sur l'essentialisme et les genres naturels (Physique II, I), trad. di P. TuLKENS, "Revue de Philosophie Ancienne", 1988, pp. 185-212; F. MoRIANI, Materia comune e generazione degli elementi in Aristotele, "Elenchos", 1988, pp. 329-351; C. WILDBERG, John Philoponus' criticism of Aristotle's theory of aether, Berlin-New York 1988; A.F. BEAVERS, Motion, mobility, and method in Aristotle's 'Physics', "Review of Metaphysics", 1988-1989, pp. 357-374; A.P. Bos, Cosmic and metacosmic theology in Aristotle's lost dialogues, Leiden-New York 1989; A. GoTTHELF, Theology and spontaneous generation in Aristotle "Apeiron", 1989, pp. 181-193; W.D. LUDWIG, Aristotle's conception of the science of being, "The New Scholasticism", 1989, pp. 379-404; M. MATTHEN, The four causes in Aristotle's embryology, "Apeiron", 1989, pp. 159-179; D.K.W. MonRAK, Aristotle on the difference between mathematics and physics and first philosophy, "Apeiron", 1989, pp. 121-139; S.F. BAEKERS, L'équivoc du temps chez Aristate, "Archives de Philosophie", 1990, pp. 461-477; M. CAVEING, Platon, Aristate et les hypothèses des mathématiciens, in La naissance de la raison en Grèce, Actes du congrès de Nice, Mai 1987, Parigi 1990, pp. 119-128; P. PELLEGRIN, De l'explication causale dans la biologie d'Aristate, "Revue de Métaphysique et de Morale", 1990, pp. 197-219.
iv. Psicologia e conoscenza F. BRENTANO, Die Psychologie des Aristoteles insbesondere seine Lehre vom Noiis poietikòs, Mainz 1867, Darmstadt 1967 (anche The psychology of Aristotle, in particular his doctrine of the active intellect. With an app. concerning the activity of Aristotle's God, a cura di R. GEORGE, Ber-
www.scribd.com/Baruhk
323
keley, Ca., 1977); A.En. CHAIGNET, Essai sur la psychologie d'Aristate, 1883 (anast., Bruxelles 1966); M. DE CoRTE, La doctrine de l'intelligence chez Aristate, Paris 1934; J. TRICOT, Aristate. De l'ame, Paris 1947; F. NuYENS, L'évolution de la psychologie d'Aristate, Paris-Louvain 1948; O. HAMELIN, La théorie de l'intellect d'après Aristate et ses commentateurs, postumo, a cura di E. BARBOTIN, Paris 1953; J.M. LE BLOND, Aristate, philosophe de la vie, in Introduzione a L'éloge de la biologie chez Aristate, "Revue des Études Anciennes", 1959, pp. 57-64; C.W. SHUTE, The Psychology of Aristotle, N ew York 1964; P. CosENZA, Sensibilità, percezione, esperienza secondo Aristotele, Napoli 1968; G. MoviA, Anima e Intelletto, ricerche sulla psicologia peripatetica da Teofrasto a Cratippo, Padova 1968; CH. LEFÈVRE, Sur l'évolution d'Aristate en Psychologie, Louvain 1972; J.J. RoMANO, Aristotle's assumption of an intelligible world, "Apeiron", 1973, pp. 1-15; G. MoviA, Due studi sul "De anima" di Aristotele, Padova 1974; R. SoRABJI, Body and Soul in Aristotle, "Philosophy", 1974, pp. 63-89; W.W. FoRTENBAUGH, Aristotle on emotion, New York 1975; E. MARTINO, Arist6teles. El alma y la comparaci6n, Madrid 1975; J. ScHILLER, Aristotle and the concept of awareness in sense perception, "Journal of History of Philosophy", 1975, pp. 283-296; E. MARTINO, El alma y la recta en Arist6teles. Sobre un pasaje dificil del "De Anima", "Pensamiento", 1976, pp. 303-322; F. PECCORINI, Aristotle's agent intellect: myth or literal account?, "Thomist", 1976, pp. 505-534; A.]. CAPPELLETTI, La teoria aristotélica de la visi6n, Caracas 1977; J. BARNES e altri, Articles on Ar., IV: Psychology and Aesthetic, London 1979; A. BARKER, Aristotle on perception and ratios, "Phronesis", 1981, pp. 248-266; A.P. FoTINIS, Alexander on Aristotle's notion of the intellect as agent, "Proceedings of the World Congress on Aristotle", 1981, pp. 168-171; L. BRUNET, La genèse de la connaissance selon Aristate, "Dialogue", 1982, pp. 273-291; G. WATSON,
324
www.scribd.com/Baruhk
Hamburg 1985; D. W. GRAHAM, Some myths about Aristotle's biologica! motivation, "Journal of the History of Ideas", 1986, pp. 529-545; A.]. CAPPELLETTI, Memoria y reminiscencia en Arist6teles, "Revista Venezolana de Filosofia", 1986, pp. 69-129; T. W. BYNUM, A new look at Aristotle's theory of perception, "History of Philosophy Quarterly", 1987, pp: 163-178; A. CoDE, Soul as efficient cause in Aristotle's embryology, "Philosophical Topics", 1987, pp. 51-59; Philosophical issues in Aristotle's biology, a cura di A. GoTTHELF-l.G. LENNOX, Cambridge-New York 1987; R. SoRABJI, Aristotle an Memory, London 1987; W. WELSCH, Aisthesis. Grundzuge v. Perspektiven d. Aristate!. Sinneslehre, Stuttgart 1987; J.M. CooPER, Metaphysics in Aristotle's embryology, "Proceedirigs of the Cambridge Philological Society", 1988, pp. 14-41;]. OwENS, The Self in Aristotle, "The Review of Metaphysics", 1988, pp. 707-722; C. SHIELDS, Soul as subject in Aristotle's 'De anima', "Classica! Quarterly", 1988, pp. 140-149; M.V. WEmN, Mind and imagination in Aristotle, New Haven (Conn.) 1988; J.M. RisT, The mind of Aristotle. A study in philosophical growth, Torino-Buffalo-London 1989; D.N. RoBINSON, Aristotle's psychology, Irvington (N.Y.) 1989; A. SILVERMAN, Color and color-perception in Aristotle's "De anima", "Ancient Philosophy", 1989, pp. 271-292. v. Etica Sulle varie interpretazioni degli scritti etici di Aristotele e sull,a composizione del "corpus" etico, cfr. R.A. GAUTHIER-J.Y. JouF, L'Ethique à Nicomaque, 3 voli., Louvain-Paris 1958-1959 (riveduta, 1970). Si confrontino inoltre le introduzioni e i commenti alle Etiche nelle edizioni e traduzioni sopra citate, e le opere d'insieme su Aristotele (anche ZELLER-PLEBE, La questione dello sviluppo dell'etica aristotelica, in E. ZELLER-R. MoNDOLFO, La filosofia dei Greci, parte II, vol. VI, Aristotele, a cura di A.P., Firenze 1966). Cfr.: L. 0LLÉ-LAPRUNE, Essai sur la morale d'Aristate, Paris 1881; M. WITTMANN, Die Ethik des Aristate/es, Regensburg 1920; A. GoEDECKEMEYER, Aristate/es praktische Philosophie, Leipzig 1922; H. VON ARNIM, Die drei aristotelischen Ethiken, Wien-Leipzig 1924; R. W ALZER, Magna Moralia und die aristotelische Ethik, Berlin 1929; H. ScHILLING, Das Ethos des Mesites, Tiibingen 1930; K.O. BRINK, Stil und Form der pseudoaristotelischen Magna Moralia, Ohlau 1933; J. LÉONARD, Le bonheur chez Aristate, Bruxelles 1948; D.J. ALLAN, The Practical Syllogism, in Autour d'Aristate, cit., Louvain 1955; G. LIEBERG, Die Lehre von der Lust in den Ethiken des Aristate/es, Miinchen 1958; P. AuBENQUE, La prudence chez Aristate, Paris 1963 (1986, con aggiunta La prudence chez Kant); W.J. 0ATES, Aristotle and the Problem of Value, Princeton 1963;
www.scribd.com/Baruhk
325
J.J. WALSH, Aristotle's Conception of Mora! Weakness, New York 1963; P.L. DoNINI, L'Etica dei 'Magna Moralia', Torino 1965; B.B. GARDNER, Mora! responsability; A Modern Aristotelian Analysis, New York 1965; J. V ANIER, Le bonheur, principe et fin de la morale aristotélicienne, Paris 1965; R.D. MILO, Aristotle on Practical Knowledge and Weakness of Will, Den Haag 1966, New York 1967; W.F.R. HARDIE, Aristotle's Ethical Theory, Oxford 1968; J.D. MoNAN, Mora! Knowledge and its Methodology in Aristotle, Oxford 1968; A. BARUZZI, Der Freie und der Sklave in Ethik und Politik des Aristoteles, "Philosophisches J ahrbuch", 1970, pp. 15-28; Untersuchungen zur Eudemischen Ethik, Atti del 5° Symposium Aristotelicum, a cura di P. MoRAux-D. HARLFINGER, Berlin 1971; T. ANno, Aristotle's Theory of Practical Cognition, pref. di W.D. Ross, Den Haag 1971; H. FLASHAR, Ethik und Politik in der Philosophie des Aristoteles, "Gymnasiun", 1971, pp. 287-293; O. HAFFE, Praktische Philosophie, das Mode! des Aristoteles, Miinchen-Salzburg 1971; C.J. RoWE, The Eudemian and Nicomachean ethics. A study in the development of Aristotle's thought, Cambridge 1971; H.A.S. ScHANKULA, Plato and Aristatte: EÙÙatJ.LOVia, &çtç, arÈvÉpyEta?, "Classica! Philology", 1971, pp. 244-266; H. ScHWEIZER, Zur Logik der Praxis, Freiburg i.B.-Miinchen 1971; M.A. BERTMAN, Pleasure and the two happinesses in Aristotle, "Apeiron", 1972, pp. 30-36; Ethik und Politik des Aristoteles, a cura di F.P. HAGER, Darmstadt 1972; A.D. REES, The classification of goods in Plato and Aristotle, in Islamic philosophy and the Classica! tradition, Oxford 1972, pp. 327-336; The Greek commentaries on the Nichomachean ethics of Aristotle in the latin translation of Robert Grosseteste, ed. critica con introd. e studio di H.P.F. MEREKEN (Corpus latinum commentariorum in Aristotelem Graecorum, VI, 1), Leiden 1973;J.W. Galkowski, La libertà morale secondo Socrate e Aristotele (in polacco), "Roczniki filozoficzne", 1973, pp. 13-29; R.-A. GAUTHIER, La morale d'Aristate, Paris 1973 3 ; O. GuARIGLIA, Jerarquia natura!, ser social y valores en la filosofia practica de Arist6teles, l, "Dialogos", 1973, pp. 77-102; ].0. URMSON, Aristotle's doctrine of the mean, "American Philosophical Quarterly", 1973, pp. 223-230; D. WAGNER, Zur Biographie des Nicasius Ellebodius ( + 1587) und zu seinen Notae zu den aristotelischen "Magna Moralia", Heidelberg 1973; R. SoRABJI, Aristotle on the role of intellect in virtue, "Proceedings of the Aristotelian Society", 1973-1974, pp. 107-129;].1. AcKRILL, Aristotle on 'Eudaimonia', "Proceedings of the British Academy", 1974, pp. 339-359; W. BoNDESON, Aristotle on responsability far one's charachter and the possibility of charachter change, "Phronesis", 1974, pp. 59-65; A. BROADIE, Aristotle on rational action, ibidem, pp. 70-80; J. DovER, Greek popular morality in the time of Plato and Aristotle, Oxford 1974; A. VON FRAGSTEIN, Studien zur Ethik des Aristoteles,
326
www.scribd.com/Baruhk
Amsterdam 1974; M. GANTER, Mittel und Ziel in der praktischen Philosophie des Aristoteles, Freiburg i.Br. 1974; A.M. IoPPOLO, La dottrina stoica dei beni esterni e i suoi rapporti con l'etica aristotelica, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1974, pp. 363-385; J.E. PATTANTYUS, Aristotle's doctrine of equity, "The Modero Schoolman", 1974, pp. 313-322; A. O. RoRTY, The place of pleasure in Aristotle's ethics, "Mind", 1974, pp. 481-497; J.M. RisT, Aristotle: the value of man and the origin of morality, "Canadian Journal of Philosophy", 1974-1975, pp. 1-21; R.L. CLARK, Aristotle's man. Speculations upon Aristotelian anthropology, London 1975; J.M. CooPER, Reason and human good in Aristotle, Cambridge (Mass.) 1975; J.M. CooPER, Reason and the man good in Aristotle, Cambridge (Mass.) 1975, Indianapolis 1986; V. DÉcARIE, Vertu 'totale', vertu 'parfaite' et kafokagathie dans l'Ethique à Eudème, in Sens et existence, in onore di P. RrcoEUR, a cura di G.B. MADISON, Paris 1975, pp. 60-76; W.W. FoRTENBAUGH, Aristotle's analysis of friendship: function andanalogy, resemblance and foca! meaning, "Phronesis", 1975, pp. 51-62; W. W. FoRTENBAUGH, Aristotle on emotion. A contribution to philosophical psychology, rhetoric, poetics, politics and ethics, London 1975; O. GrGON, Phronesis und Sophia in der Nicomach. Ethik des Aristoteles, in Kephalaion, Stu.dies in Greek philosophy and its continuation, in onore di C.J. DE VoGEL. a cura di J. MANSFELD-L.M. DE Rr]K, Assen 1975, pp. 91-104; M.H. HANZ, Justice and equality in Aristotle's "Nicomachean Ethics"and "Politics", "Diotima", 1975, pp. 83-94; T.H. lRWIN, Aristotle on reason, desire, and virtue, "TheJournal of Philosophy", 1975, pp. 567-578; H. SEIDL, Das sittliche Gute (als Gliickseligkeit) nach Aristotels. Formale Bestimmung und metaphysische Voraussetzung, "Philosophisches Jahrbuch", 1975, pp. 31-53; G. VERBEKE, Mora! behavior and time in Aristotle's Nicomachean ethics, in Kephalaion, cit., 1975, pp. 78-90; M. BÉDARD, L'akrasia chez Aristate ou l'échec de l'éducation morale, "Dialogue", 1976, pp. 62-74; R. BRAGUE, Note sur le concept d'iJòovr1 chez Aristate, "Études Philosophiques", 1976, pp. 49-55; A.J. CAPPELLETTI, Ética y politica en Arist6teles, "Pensamiento", 1976, pp. 323-328; T.B. ERIKSEN, Bios theoretikos. Notes on Aristotle's "Ethica Nicomachea" X, 6-8, Oslo 1976, New York 1977; E. FrNK, Phronesis und Theoria (Aristotele), inDie Welt des Menschen - Die Welt der Philosophie, in onore di J. PATOCKA, a cura di W. BIEMEL, Den Haag 1976, pp. 134-158; M. FLEISCHER, Hermeneutische Anthropologie: Platon, Aristoteles, Berlin-New York 1976; O. GrGON, Die Bestimmung des Menschen in der praktischen Philosophie des Aristoteles, "Allgemeine Zeitschrift fiir Philosophie", 1976, pp. 1-25; R. KRAuT, Aristotle on choosing virtue for itself, "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", 1976, pp. 223-239; S. MANSION, Le plaisir et la peine, matière de l'agir mora! selon Aristate, in Images of man in
www.scribd.com/Baruhk
327
ancient and medieval thought, in onore di G. VERBEKE, a cura di F. BosSIER-F. DE WACHTER-]. IJSEWIJN-G. MAERTENS-W. VANHAMEL-D. VERHELST-A. WELKENHUYSEN, pres. C. L~GA, Leuven 1976, pp. 37-51; M.F. MANZANEDA, La amistad en la "Etica Eudemiana"de Arist6teles, "Studium", 1976, pp. 437-461; F. RICKEN, Der Lustbegriff in der nikomachischen Ethik des Aristoteles, Géittingen 1976; R.C. SoLOMON, Is there happiness afterdeath? (Aristotle), "Philosophy", 1976, pp. 189-193; M. VENTURI FERRIOLO, Note su 'etica' e 'politica' nella Nicomachea aristotelica, "Studi Urbinati", 1976, pp. 281-298; J.M. CooPER, Aristotle an the forms of friendship, "Review of Metaphysics", 1976-1977, pp. 619-648; P.L. DoNINI, Incontinenza e sillogismo pratico nell'Etica Nicomachea, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1977, pp. 174-194; S. HAMPSHIRE, Two Theories of Morality, London 1977; R.J. SuLLIVAN, Morality and the good !ife. A commentary an Aristotle's 'Nichomachean ethics', Memphis (Tenn.) 1977; R. VANCOURT, Politique et morale: le point de vue d'Aristate, "Universitas" (Lille), 1977, pp. 8-42; H.G. GADAMER, Die Idee des Guten zwischen Plato und Aristoteles, Heidelberg 1978; G.C. KouMAKIS, Ethik und Politik bei Aristoteles, "Dodone", 1979, pp. 55-72; A.].P. KENNY, Aristotle's Theory of the Will, London 1979; T. TRACY, Perfect friendship in Aristotle's 'Nicomachean Ethics', "Illinois Classica! Studies", 1979, pp. 65-75; Essay an Aristotle's Ethics, a cura di A.O. RoRTY, Berkeley (Ca.))980; A. GALIMBERTI, Commentaire critique sur le sixième livre de l"Ethique à Nicomaque', "Proceedings of the World Congress on Aristotle", 1981, pp. 273-276; L. NANNERY, The problem of the two lives in Aristotle's ethics. The human good and the best !ife far a man, "International Philosophical Quarterly", 1981, pp. 277-29 3; J. DunLEY, Gott und theoria bei Aristoteles: d. metaphys. Grundlage d. Nikomach. Ethik, Frankfurt a.M. 1982; A.W. MuLLER, Praktisches Folgern und Selbstgestaltung nach Aristoteles, Freiburg i.Br. 1982; M. PETRELLI, 'Philia, eudaimonia, omonimia'. Commento a un passo dell"Etica Nicomachea', "Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto", 1982, pp. 577-594; ].A. DunLEG, El sentido de la felicidad de la vida perfecta (bios teleios) en la ética de Arist6teles, "Ethos", 1982-1983, pp. 39-53; C. DESPOTOPOULOS, Aristate sur la famille et la justice, Bruxelles 1983; T. ENGHERG-PEDERSEN, Aristotle's theory of mora! insight, Oxford 1983; A. LINGUITI, Amicizia e conoscenza di sé ... nelle "Etiche"di Aristotele, "Annali dell'Istituto di Filosofia" (Università di Firenze), 1983, pp. 1-28; C. NATALI, K. Marx lettore della "Politica"e dell'"Etica Nicomachea ", "Rivista critica di Storia della filosofia", 1983, pp. 159-189; M. WITTMANN, Die Ethik des Aristoteles. In ihrer systemat. Einheit u. in ihrer geschichtl. Stellung untersucht, Frankfurt a.M. 1983; L. BERNS, Spiritedness in ethics and politics. A study in Aristotelian psychology, "Inter-
328
www.scribd.com/Baruhk
pretatio", 1984, pp. 335-348; A. BuELA, La ética Eudemia. La normatividad indirecta de la idea de contemplaci6n, "Philosophica" (Valparaiso), 1984, pp. 78-81; D. CHARLES, Aristotle's philosophy of action, London 1984; L. CoULOUBARITSIS, Le role de la 'technè' dans les 'étiques' aristotéliciennes, in Justifications de l'éthique, XIX Congresso dell'Ass. di Soc. Filos. di lingua francese (6-9 sett. 1982), Bruxelles 1984; N.O. DAHL, Practical reason, Aristotle, and weakness of the will, Minneapolis 1984; E. GARVER, Aristotle's genealogs of morals, "Philosophy and Phenomenological Research", 1984, pp. 471-492; H. HAIR, La définition aristotélicienne du bonheur ('étique à Nicomaque'), "Revue de Métaphysique et de Morale", 1984, pp. 33-57; C. NATALI, Virtù o scienza? Aspetti della q>p6VT]atç nei "Topici" e nelle "Etiche" di Aristotele, "Phronesis", 1984, pp. 50-72; D. PESCE, Nota sulla relazione tra etica e politica in Aristotele, "Rivista di Filosofia Neoscolastica", 1984, pp. 140-144; J. SAINT-ARNAUD, Les définitions aristotéliciennes de la justice. Leurs rapports à la notion d'égalité, "Philosophiques", 1984, pp. 157-173; B. Bossi DE KIRCHNER, El concepto aristotélico de eudaimonia, "Ethos", 1984-1985, pp. 247-283; E. Nuzzo, Vico e !"'Aristotele pratico": la meditazione sulle forme "civili" nelle pratiche della 'Scienza Nuova prima', "Bollettino del Centro di Studi Vichiani", 1984-1985, pp. 63-129; A. GIULIANI, La definizione aristotelica della giustizia. Metodo dialettico e analisi del linguaggio normativa, Perugia 1985; M.L. HOMIAK, The pleasure of virtue in Aristotle's mora! theory, "Pacific Philosophical Quarterly", 1985, pp. 93-110; T.H. lRWIN, Mora! science and politica! theory in Aristotle, "History of Politica! Thought", 1985, pp. 150-168; D. KsYT, Distributive justice in Aristotle's 'Ethics' and 'Politics', "Topoi", 1985, pp. 21-45; E. LA CROCE, Etica e metafisica nell"Etica Eudemia' di Aristotele, "Elenchos", 1985, pp. ~9-41; E. PROULX, Le thème de l'amitié dans l"Étique à Nicomaque' et l"Ethique à Eudème', "Lavai Théologique et Philosophique", 1985, pp. 317-328; W. VON LEYDEN, Aristotle on equality and justice. His politica! argument, London 1985; A.J. CELANO, The understanding of the concept of 'felicitas' in the precommentaries on the 'Ethica Nicomachea', "Medioevo", 1986, pp. 29-53; R. HEINAMAN, The 'Eudemian Ethics' on knowledge and voluntary action, "Phronesis", 1986, pp. 128-147; R. HuRSTHOUSE, Aristotle "Nicomachean ethics", "Philosophy", suppl., 1986, pp. 35-53; D.S. HUTCHINSON, The virtues of Aristat/e, London-New York 1986; C.M. KoRSGAARD, Aristotle on function and virtue, "History of Philosophy Quarterly", 1986, pp. 259-279; T. ScALTSAS, Weakness of will in Aristotle's ethics, "The Southern Journal of Philosophy", 1986, pp. 375-382; B. WALD, Genitrix virtutum. Zum Wandel d. aristate!. Begriffs prakt. Vernunjt, Miinchen 1986; J.E. HARE, Aristotelian justice and the pull to consensus, "Journal of Applied Philoso-
www.scribd.com/Baruhk
329
phy", 1986-1987, pp. 37-49; S. BROADIE, Nature, craft and phronesis in Aristotle, "Philosophical Topics", 1987, pp. 35-50; ]ustice, law and method in Plato and Aristotle, a cura di S. PANAGIOTOU, Edmonton 1987; L. MELINA, La conoscenza morale. Linee di riflessione sul commento di san Tommaso all'Etica nicomachea, Roma 1987; C. NATALI, Recenti interpretazioni delle etiche aristoteliche, "Elenchos", 1987, pp. 131-139; J. PALMOUR, On mora! character. A practical guide to Aristotle's Virtues and vices, Based on a psychoanalytic perspective and the theory of the four causes. Cross-referenced. to both The Nichomachean ethics and The art of rhetoric, Washington 1987; G. RoMEYER DHERBEY, Le bien et l'universel selon Aristate, "Revista da Faculdade de Letres", Sér. Filos. (Porto), pp. 193-199; P. DuMONT, La méditation d'autrui dans !es éthiques aristotéliciennes, "L'Enseignement Philosophique", 1987-1988, pp. 4-11; B. DuMOULIN, Sur l'éthique théonome du premier Aristate, "Les Études Philosophiques", 1988, pp. 167-179; M. FASCHING, Eudaimonia- Arete- Philia. Zur Systematik der 'Nikomachischen Ethik', "Wiener Jahrbuch fiir Philosophie", 1988, pp. 115-129; R. HEINAMAN, Compulsion and voluntary action in the "Eudemian ethics", "Nous", 1988, pp. 253-281; R. HEINAMAN, Eudaimonia and self-sufficiency in the Nicomachean Ethics, "Phronesis", 1988, pp. 31-53; T.H. lRWIN, Disunity in the Aristotelian virtues, "Oxford Studies in Ancient Philosophy", 1988; H. KRAMER, Aktualitiit und Obsoleszens der aristotelischen Ethik, "Prima Philosophia", 1988, pp. 284-300; G. LAWRENCE, Akrasia and clear-eyed akrasia in 'Nicomachean Ethics 7', "Revue de Philosophie Ancienne", 1988, pp. 77-106; T.D. RocHE, On the alleged metaphysical foundation of Aristotle's 'Ethics', "Ancient Philosophy", 1988, pp. 49-62; A. BuELA, El fundamento metafisica de la ética en Arist6teles, Caracas s.d.; Schriften zur aristotelischen Ethik, a cura di C. VON MuELLER-GOLDINGEN, Hildesheim 1988; J.O. URMSON, Aristotle's ethics, Oxford 1988; D. AcHTENBERG, The role of the 'ergon' argument in Aristotle's 'Nichomachean ethics', "Ancient Philosophy", 1989, pp. 3 7-4 7; ]. ANNAS, Self-love in Aristotle, "The Southern Journal of Philosophy", 1989; Aristotle's ethics, a cura di T.D. RocHE, ibidem; D. AssELIN, Human nature and eudaimonia in Aristatte, Bern-Frankfurt a.M.-New York 1989; J.M. CooPER, Some remarks on Aristotle's mora! psychology, "The SouthernJournal of Philosophy", 1989, pp. 25-42; P.L. DoNINI, Ethos. Aristotele e il determinismo, Alessandria 1989; Etica, Politica, Retorica. Studi su Aristotele e la sua presenza nell'età moderna, a cura di E. BERTr-L.M. NAPOLITANO"VALDITARA (scritti di: P.L. DoNINI, Volontarietà di Vizio e Virtù; L. CaRTELLA, La riabilitazione e i limiti della 'phronesis'; E. SPINELLI, Una 'presenza' democritea; W. KuLLMANN, La còncezione dell'uomo nella 'Politica' di Aristotele; G. SEEL, La giustificazione del dominio nella 'Politica' di Aristotele;
330
www.scribd.com/Baruhk
W. LESZL, La politica è una 'techne'? E richiede un"episteme'? Uno studio sull'epistemologia nella politica di Aristotele; L.M. NAPOLITANO VALDITARA, La trattazione aristotelica della 'Politèia' di Platone; C. RossiTTO, Sull'uso dialettico e retorico del termine 'exétasis' nella tradizione platonico aristotelica; T. DoRANDI, La polemica fra Aristotele e Isocrate nella testimonianza filomedea; M.G. CREPALDI, L'analogia tra scienza e retorica; G.A. LucCHETTA, La coppa di Ares: strategie metaforiche in 'Rhet. 'III; G. LoNGO, La presenza di Aristotele in Machiavelli; G.F. FRIGO, La fortuna della 'Politica' aristotelica nella storiografia filosofica moderna; A. DA RE, N. Hartmann e la teoria aristotelica del giusto mezzo; G. GroRGINI, Esiste un neoaristotelismo anglosassone?), L'Aquila 1989; R. KRAUT, Aristotle an the human good, Princeton (N.}.), 1989; C. Natali, La saggezza di Aristotele, Napoli 1989; A.W. PRicE, Lave and friendship, in Lave and friendship in Plato and Aristotle, Oxford 1989; R.C. RoBERTS, Aristotle on virtues and emotion, "Philosophical Studies", 1989, pp. 293-306; G. SANTAS, Desire and perfection in Aristotle's theory of the good, "Apeiron", 1989, pp. 75-99; P. ScHOLLMEIER, Aristotle on practical wisdom, "Zeitschrift fi.ir Philosophische Forschung", 1989, pp. 124-132; E. SCHuTRUMPF, Magnanimity and the system of Aristotle's "Nicomachean Ethics", "Archiv fi.ir Geschichte der Philosophie", 1989, pp. 10-22; N. SHERMAN, The fabric of character. Aristotle's theory of virtue, Oxford 1989; PH.}. VAN DER EIJK, Divine movement and human nature in Eudemian Ethics 8, 2, "Hermes", 1989, pp. 24-42; Studi sull'Etica di Aristotele, a cura di A. ALBERTI (scritti di: E. BERTI, Il metodo della filosofia pratica secondo Aristotele; W. LESZL, Alcune specificità del sapere pratico in Aristotele; A.M. loPPOLO, Virtue and Happiness in the First Book of the "Nicomacheans Ethics"; C. KIRWAN, Two Aristotelian Theses about "Eudaimonia"; C. RowE, The Good far Man in Aristotle's 'Ethics' and 'Politics'; M. Woons, Aristotle an 'Akrasia'; A. ALBERTI, 'Philia' e identità personale in Aristotele; G. GIANNANTONI, Etica aristotelica ed etica socratica), Napoli 1990; E. BERTI, La philosophie pratique d'Aristate et sa "réhabilitation" récente, "Revue de Métaphysique et de Morale", 1990, pp. 249-266; F. CHIEREGHIN, 'Vivere' e 'vivere bene'. Note sul concetto aristotelico di 7tpà!;tç, "Revue de Métaphysique et de Morale", 1990, pp. 57-74. vi. Politica, economia Sulla politica, oltre le citate ibliografie, gli studi d'insieme, gli studi citati sull'etica, cfr.: W.L. NEWMAN, The Politics of Arisotle, Oxford 1887-1902; U. WILAMOWITZ, Aristoteles und Athen, Berlin 1893; E. BARKER, The Politica! Thought of Plato and Aristotle, New York 1906, 1959; G. MATHIEU, Aristate. Constitution d'Athènes, Paris 1915; H. VON ARNIM, Zur Entste-
www.scribd.com/Baruhk
331
hungsgeschichte der aristotelischen Politik, "Sitzungsberichte der Akademie der Wissenschaft in Wien", 200, 1924; M. DEFOURNY, Aristate: études sur la Politique, Paris 1932; K. FRITZ-E. KAPP, Aristotle's Constitution of Athens, New York 1950; M. HAMBURGER, Morals and Laws. The Growth of Aristotle's Legai Theory, New Haven 1951, New York 1965; P. TRUDE, Der Begriff der Gerechtigkeit in der aristotelischen Staatsphilosophie, Berlin 1955;]. AuBONNET, Politique d'Aristate, I, Introdu:t.ione alla Politica, Paris 1960; R. WEIL, Aristate et l'histoire. Essai sur la Politique, Paris 1960; J. RITTER, Naturrecht bei Aristoteles, Stuttgart 1961; J.-H. DAY-M. CHAMBERS, Aristotle's History of Athenian Democracy, Los Angeles 1962; R. LAURENTI, Genesi e formazione della Politica di Aristotele, Padova 1965; La "Politique"d'Aristote, 11, VandoeuvresGenève 1965 (contiene saggi di: R. STARK, Der Gesamtaufbau der aristotelischen Politics; D.J. ALLAN, Individua! and State in the Ethics and Politics; P. AuBENQUE, Théorie et pratique politiques chez Aristate; P. MoRAUX, Quelques apories de la politique et leur arrièreplan historique; R. WEIL, Philosophie et histoire: la vision de l'histoire chez Aristate; G.].D. AALDERS, Die Mischverfassung und ihre historische Dokumentation in den 'Politika' des Aristate/es; O. GJGON, Die Sklaverei bei Aristoteles); R. LAURENTI, Studi sull'economico attribuito ad Aristotele, Milano 1968; A. BARUZZI, Der Freie und der Sklave in Ethik und Politik des Aristoteles, "Philosophisches Jahrbuch", 1970, pp. 15-28; M. RIEDEL, Metaphysik und Politik bei Aristoteles, ibidem, pp. 1-14; H. FLASHAR, Ethik und Politik in der Philosophie des Aristate/es, "Gymnasium", 1971, pp. 287-293; A.B. HENTSCHKE, Politik und Philosophie bei Plato und Aristate/es, Frankfurt a.M. 1971; AA.VV., Schriften zu den Politika des Aristate/es, a cura di P. STEINMETZ, Hildesheim-New York 1973;(scritti di E. BARKER, E. BRAUN, P. CLOCHÉ, O. GJGON, K. KAHLENBERG, O. LENDLE, ]. MESK, A. RosENBERG, W. SIEGFRIED. J.L. STocKs, M. WHEELER, D. WILLERs); G. BIEN, Die Grundlegung der politischen Philosophie bei Aristate/es, Freiburg i.Br. 1973, 1980 2 (trad. it., Bologna 1985); L. BuRELLI, Allusioni a Senofane nel I libro della "Politica"di Aristotele (1252b-25, 1254b-30), "Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa", Classe Lett. Stor. Filos., 1973, pp. 49-52; R. BRANDT, Untersuchungen zur politischen Philosophie des Aristate/es, "H ermes", 197 4, pp. 191-200; J.P. DoLEZAL, Aristate/es und die Demokratie, Frankfurt a.M. 1974; W. KULLMAN, Wissenschaft und Methode. Interpretationen z. aristate!. Theorie d. Naturwiss., Berlin 1974; S. T. LowRY, Aristotle's 'naturallimit' and the economics of price regulation, "Greek-Roman-and-Byzantine-Studies", 1974, pp. 57-63; R. G. MuLGAN, Aristotle's doctrine that man is a politica! anima!, "Hermes", 1974, pp. 438-445; L. SJCHIROLLO, Dialettica e politica in Aristotele, "Bollettino di Storia della filosofia" (Universi-
332
www.scribd.com/Baruhk
tà di Lecce), 1974, pp. 102-123; AA.VV., Aristotle and Xenophan ondemocracy and oligarchy, a cura di M. MooRE, Berkeley (Ca.) 1975; O.P. BAKSHI, Politics and prejudice. Notes on Aristotle's politica! theory, Delhi 1975; H.H. HANZ, Justice and equality in Aristotle's "Nicomachean Ethics"and "Politics", "Diotima", 1975, pp. 83-94; W.]. McCoY, Aristat/e 's "Athenaion Politeia "and the establishment of the thirty tyrans, "Y al e Classica! Studies", 1975, pp. 131-145; M. RIEDEL, Metaphysik und Metapolitik. Studien zu Aristate/es u. zur polit. Sprache d. neuzeitl. Philosophie, Frankfurt a.M. 1975; F. RosEN, The politica! context of Aristotle's categories of justice, "Phronesis", 1975, pp. 228-240; W. WIELAND, Aristotle's physics and the problem of inquiry into principles, in Articles on Aristotle, I, Science, cit., 1975, pp. 127-140; L. BERNS, Rational animaipolitica! anima!: nature and convention in human speech and,politics, "Review of Politics", 1976, pp. 177-189; A.]. CAPPELLETTI, Etica y politica en Arist6teles, "Pensamiento", 1976, pp. 323-328; C.]. RowE, Aims and methods in Aristotle's "Politics", "Classica! Quarterly", 1976, pp. 159-17 2; E. ScHUTRUMPF, Probleme der aristotelischen Verfassungstheorie in Politik, "Hermes", 1976, pp. 308-331; Aristotele e la crisi della politica, a cura di S. CAMPESE, Napoli 1977; S. BLASUCCI, Il pensiero politico di Aristotele, Bari 1977; J. RITTER, Metaphysik und Politik. Studien zu Aristate/es und Hegel, Frankfurt a.M. 1977 (trad. it., Torino 1983); R.G. MuLGAM, Aristotle's politica! theory, Leiden 1978; P. AuBENQUE, La loi selon Aristate, "Archives de Philosophie du Droit", 1980, pp. 147-157; P. AuBENQUE, Politique et éthique chez Aristate, "Ktema", 1980, pp. 211-221; J. BoRDES, La place d'Aristate dans l'évolution de la notion de 'politeia', ibidem, pp. 249-256; W. KuLLMANN, Der Mensch als politischer Lebewesen bei Aristate/es, "Hermes", 1980, pp. 419-443; C. NATALI, Studi sulla 'filosofia pratica' di Aristotele da/1970 ad oggi, "Cultura e Scuola", 1980, pp. 110-122; E. ScHUTRUMPF, Die Analyse der Polis durch Aristate/es, Amsterdam 1980; H. T. JoHANN, Gerechtigkeit und Nutzen. Studien zur ciceron. u. hellenist. Naturrechts- u. Staatslehre, Heidelberg 1981; P. KosLOWSKI, Sobre la distinci6n aristotélica entre politica, economia y crematistica, trad. di G.D. CoRBI, "Ethos", 1981, pp. 9-36; M.]. LASSAU, Pros krisin tina politiken. Unters. zu aristate!. Rhetorik, Wiesbaden 1981; P.]. RHODES, A commentary on the Aristotelian Athenaion politeia, Oxford 1981; R. WEIL, Politique et vérité, "Proceedings of the World Congress on Aristotle", 1981, pp. 150-152; R. BonÉus, La philosophie et la cité. Recherch~s sur !es rapports entre morale et politique dans la pensée d'Aristate, Paris 1982; C. LoRn, Education and culture in the politica! thought of Aristotle, Ithaca (N.Y.) 1982; P. PELLEGRIN, La théorie aristotélicienne de l'esclavage. Tendances actuelles de l'interprétation, "Revue Philosophique de la France et de l'Étranger", 1982, pp.
www.scribd.com/Baruhk
333
345-357; M. VENTURI FERRIOLO, La lenza e la moneta. Per un'introduzione ad Aristotele e la crematistica, "Pensiero", 1982, pp. 14 3-156; M. DE VICIANA, Comentari a l'Economica d'Aristati!, Sant Boi de Llobreg~t 1982; R. BonÉus, La recherche politique d'après le 'programme' de l'"Ethique à Nicomaque" d'Aristate, "Les Etudes Classiques"(Namur), 1983, pp. 23-33; M.P. NICHOLS, The good life, slavery, and acquisition. Aristotle's introduction to politics, "Interpretation", 1983, pp. 171-183; N.D. SMITH, Aristotle's theory of natura! slavery, "Phoenix", 1983, pp. 109-122; M. VENTURI FERRIOLO, Aristotele e la crematistica. La storia di un problema e le sue fonti, Firenze 1983; D.L. BLANK, Dialectical method in the Aristotelian 'Athenaion Politeia', "Greek-Roman-and-Byzantine Studies", 1984, pp. 275-284; R. BonÉus, La durée des régimes politiques camme condition de la moral selon Aristate, in Justifications de l'éthique, XIX Congresso dell' Ass. di Soc. Filos. di lingua francese (6-9 sett. 1982), Bruxelles 1984, pp. 103-108; F. CALABI, La città dell"oikos'. La 'politeia' di Aristotele, Lucca 1984; J. RITTER, Metafisica e politica. Studi su Aristotele e Hegel, a cura di G. CuNICO, Casale Monferrato 1984; P. RYBICKI, Aristate et la pensée sociale moderne, Warszawa 1984; A. KAMP, Die aristotelische Theorie der Tyrannis, "Philosophisches Jahrbuch", 1985, pp. 17-34; A. KAMP, Die politische Philosophie des Aristoteles und ihre metaphysischen Grundlagen, Freiburg-Miinchen 1985; D. STERNBERGER, Der Staat des Aristoteles und der moderne Verfassungstaat, Bamberg 1985; P.A. VANDER WAERDT, Kingship and philosophy in Aristotle's best regime, "Phronesis", 1985, pp. 249-273; P.A. VANDER WAERDT, The politica! intention of Aristotle's mora! philosophy, "Ancient Philosophy", 1985, pp. 77-89; W. VON LEYDEN, Aristotle on equality and justice. His politica! argument, London 1985; S. CAMPESE, Pubblico e privato nella 'Politica' di Aristotele, "Sandalion", 1985-1986, pp. 59-83; P. AccATINO, L'anatomia della città nella "Politica"di Aristotele, Torino 1986; W. AMBLER, Aristotle on nature and politics. The case of slavery, "Politica! Theory", 1987, pp. 390-410; C. GEORGIADIS, Equitable and equity in Aristotle, Edmonton 1987; D. KEYT, Three fundamental theorems in Aristotle's 'Politics', "Phronesis", 1987, pp. 54-79; ]. OWENS, Aristotle's notion of wisdom, "Apeiron", 1987, pp. 1-16; P. PELLEGRIN, La "Politique"d'Aristote. Unité et fractures, "Revue Philosophique de la France et de l'Étranger", 1987, pp. 129-159; P. RonRIGO, D'une excellente constitution. Notes sur 'politeia' chez Aristate, "Revue de Philosophie Ancienne", 1987, pp. 71-93; R.A. SHINER, Aristotle's theory of equity, Edmonton 198 7; G. BRAZZINI, Dall'economia aristotelica all'economia politica, Pisa 1988; A. CRuz PRADOS, La politica de Arist6teles y la Democracia, "Anuario Filosofico", 1988, pp. 9-34; Individu et société. L 'influence d'Aristate dans le monde méditerranéen, a cura di T. ZARCONE, Paris
334
www.scribd.com/Baruhk
1988; M. NussBAUM, Nature, function, and capability: Aristotle on politica! distribution, "Oxford Studies in Ancient Philosophy", 1988, ·pp. 145-184; La "Politica"di Aristotele e il problema della schiavitù nel mondo antico, a cura di M. MARUZZI, Torino 1988, 1990; J. RITTER, Metaphysik und Politik. Studien zu Aristoteles u. Hegel, Frankfurt a.M. 1988; G. SEEL, Les classes sociales et le pouvoir dans 'La politique' d'Aristate, "Cahiers de Philosophie Politique et Juridique", 1988, pp. 23-45; M. VEGETTI, Akropolis-Hestia. Sul senso di una metafora aristotelica, in I filosofi e il potere nella società e nella cultura antiche, a cura di G. CASERTANO, Napoli 1988, pp. 59-73; F. WoLFF, Aristate démocrate, "Philosophie", 1988, pp. 53-87; F. WoLFF, ]ustice et pouvoir (Aristate, 'Politique' III, 9-13), "Phronesis", 1988, pp. 273-296; Etica, Politica, Retorica. Studi su Aristotele e la sua presenza nell'età moderna, a cura di E. BERTI-L.M. NAPOLITANO VALDITARA, L'Aquila 1989 (vedi sopra a Etica gli scritti interessanti la politica); W. KuLLMANN, L'image de l'homme dans la pensée politique d'Aristate, "Les Études Philosophiques", 1989, pp. 1-20; J. RoBERTS, Politica! animals in the Nicomachean Ethics, "Phronesis", 1989, pp. 185-204; Aristoteles "Politik", Akten des XI. Symposium Aristotelicum (Friedrichshafen/Bodensee, 25 agosto-3 settembre 1987), a cura di G. PATZIG, Gottingen 1990; C. NATALI, Aristate et la chrématistique, in ibidem, pp. 296-324. vii. Retorica, poetica Sulla "retorica"e la "poetica" rimandiamo ai repertori bibliografici sopra citati e alle introduzioni e note delle singole edizioni dell'una e dell'altra opera. In particolare cfr.: L. CooPER-A. GunENNAN, A Bibliography of the Poetics of Aristotle, New Haven (Conn.) 1928, 1932 2 (anche Aristotle on the Art of Poetry, an Amplified Version with Supplements, Ithaca, N.Y., 1962; L. CooPER, The Poetics of Aristotle, Ithaca-New York 1963 2); A. PLEBE, in ZELLERMoNDOLFO, La filosofia dei Greci, cit., parte II, vol. VI, 1966; Aristate de Stagire, voce in Dictionnaire des Philosophes Antiques, cit., I, 1989 (Poetica e Retorica, pp. 448-454); A. W ARTELLE, Lexique de la "Poétique" d'Aristate, Paris 1985; J. DENOOZ, Aristate, Poetica. Index verborum. Liste de fréquence, Liège 1988; P.D. BRANDES, A history of Aristotle's rhetoric. With a bibliography of early printings, Metuchen (N.J.) 1989. Tra i maggiori studi cfr.: CH. BERNARD, L'esthétique d'Aristate, Paris 1887; Aristotle on the Art of Poetry, testo riveduto, con note critiche, trad. e comm. a cura di I. BYWATER, Oxford 1909; S.H. BATCHER, Aristotle's Theory of Poetry and Fine Arts, London 1911 4 ; A. KANTELHARDT, De Aristotelis rhetoricis, Gottingen 1911; J. VAHLEN, Beitriige zu Aristate-
www.scribd.com/Baruhk
335
les Poetik, Leipzig-Berlin 1914 (anast., Hildesheim 1956); A. RosTAGNI, L 'aristotelismo nella storia dell'estetica, "Studi italiani di Filologia classica", 1922, pp. 1-47; K. SvoBODA, L'esthétique d'Aristate, Brno 1927; F. SoLMSEN, Die Entwicklung der aristotelischen Logik und Rhetorik, Berlin 1929; E. BIGNAMI, La poetica di Aristotele, Firenze 1932; F.W. TRENCH, Mimesis in Aristotle's Poetics, "Hermatena", 1933, pp. 1-24; F. SoLMSEN, The Origins and Methods of Aristotle's Poetics, "Classica! Quarterly", 1935, pp. 192-201; E. ALBEGGIANI, Intorno alla poetica di Aristotele, "Giornale Critico della Filosofia Italiana", 1937, pp. 371-382; F. W. TRENCH, The place of 'katharsis' in Aristotle's Aesthetics, "Hermatena", 1938, pp. 110-134; FR. DIRLMEIER, Katharsis pathemàton, "Hermes", 1940, pp. 81-91; M. KoMMEREL, Lessing und Aristoteles. Untersuchungen iiber die Theorie der Tragodie, Frankfurt a.M. 1940; P. GoHLKE, Die Entstehung deraristotelischen Ethik, Politik, Rhetorik, "Sitzungsberichte der osterreichischen Akademie der Wissen. Wien"' 1944; L. PAREYSON, Il verisimile nella "Poetica" di Aristotele, Torino 1950; D. DE MoNTMOLLIN, La poétique d'Aristate, Neuchatel1951; W.I. VERDENIUS, Kàtarsis tòn pathemàton, in Autour d'Aristate, cit., 1955, pp. 367-373; L. CooPER, The Poetics of Aristotle, Ithaca (N.Y.) 1956, 1963 e 1977; H. HousE, Aristotle's Poetics, London 1956; G.F. ELSE, Aristotle's Poetics, Cambridge (Mass.) 1957; A. Russo, La filosofia della retorica in Aristotele, Napoli 1962; F. ADORNO, Aristotele e le Arti del suo tempo, in F.A., Studi sul pensiero greco, Firenze 1966, pp. 43-68; T. BRUNIUS, Inspiration and Katharsis, Stockholm 1966; C. MoRPURGo-TAGLIABUE, Linguistica e stilistica di Aristotele, Roma 1967; C.A. VIANO, Aristotele e la redazione della Retorica, "Rivista di Filosofia", 1967, pp. 371-425; J. ]oNES, On Aristotle and Greek Tragedy, New York-Oxford 1968; A. NicEv, L'énigme de la catharsis tragique dans Aristate, Sofija 1970; E. ScHUTRUMPF, Die Bedeutung des Wortes 'ethos' in der Poetik des Aristoteles, Sofija 1970; G. VATTIMO, Il concetto di fare in Aristotele, Cuneo 1971; Aristoteles, Poetik, a cura di O. GIGON, Stuttgart 1972; W.M.A. GRIMALDI, Studies in the Philosophy of Aristotle's Rhetoric, Wiesbaden 1972; B.A. KYRKOS, Die Dichtung als Wissenproblem bei Aristoteles, Athénai 1972; A. PIERETTI, I quadri "soc_io-culturali"della "Retorica"di Aristotele, Roma 1973; Aristotle. The classica! heritage of rhetoric, a cura di K. ERICKSON, Metuchen (N.J.) 1974; C. GALLAVOTTI, Introduzione a Dell'arte poetica, trad. it. a fronte, a cura di C. G., Milano 1974; C. LoRD, Aristotle's history of poetry, "Transactions and Proceedings of the American Philological Association", 1974, pp. 195-229; M. BATTIN, Aristotle's definition of tragedy in the "Poetics"I-II, "Journal of Aesthetics and Art Criticisms", 1974-1975, pp. 155-170, 293-302; Aristotle's Rhetoric, a cura di K. ERICKSON, Metuchen (N.J.) 1975; L. GoLDEN, Aristotle, Frye and the
336
www.scribd.com/Baruhk
theory of tragedy, "Comparative Literature", 1975, pp. 47-58; B. MuRCHLAND, Aristotle, metaphor and the task of philosophy, "Diotima", 1975, pp. 95-104; P. SoMVILLE, Essai sur la poétique d'Aristate et sur quelques aspects da sa posterité, Paris 1975; J. SPRUTE, Topos und Enthymem in der aristotelischen Rhetorik, "Hermes", 1975, pp. 68-90; K.G. SRIVASTAVA, How does tragedy achieve katharsis according to Aristotle?, "British Journal of Aesthetics", 1975, pp. 132-143; T. STINTON-W. STINTON, 'Hamartia' in Aristotle and Greek tragedy, "Classica! Quarterly", 1975, pp. 221-254; S. CAZZOLA GAsTALDI, Lo statuto concettuale della retorica aristotelica, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1976, pp. 41-72; G.M. RisPOLI, Per uno statuto della narrativa in Platone e in Aristotele, Napoli 1979; L. ARNHART, Aristotle on politica! reasoning. A commentary on the Rhetoric, Dekalb (Ill.) 1981; S. GASTALDI, Discorso della città e discorso della scuola. Ricerche sulla "Retorica"di Aristotele, Firenze 1981; W. SoFFLING, Deskriptive und normative Bestimmungen in der "Poetik"des Aristate/es, Amsterdam 1981; J.C. FRAISSE, Imitation, ressemblance et métaphore dans la 'Poétique' d'Aristate, "Proceedings of the World Congress on Aristotle", 1982, pp. 202-206; D. KIMPEL, Begriff und Metapher. Die Stellung des philosphischen Gedankens zur Metapher bei Aristate/es und Kant, "Zeitschrift fur Didaktik der Philosophie", 1982, pp. 82-89; A. NICEV, La catharsis tragique d'Aristate. Nouvelles contributions, Sofija 1982; ]. SPRUTE, Die Enthymemtheorie der aristotelischen Rhetorik, Gottingen 1982; R.]. YANAL, Aristotle's definition of poetry, "Nous", 1982, pp. 499-525; E. HAVET, Étude sur la "Rhétorique" d'Aristate (Paris 1846), Paris 1983; D. LANZA, Aristotele e la poesia: un problema di classificazione, "Quaderni Urbinati di Cultura Classica", 1983, pp. 51-66;]. SMITHSON, The mora! view of Aristotle's 'Poetics', "Journal of the History of Ideas", 1983, pp. 3-17; E. EGGS, Die Rhetorik des Aristate/es: e. Beitr. zur Theorie d. Alltag,5argumentation u. zur Syntax von komplexen Séitzen, Frankfurt a.M.-Bern-New York 1984; H. FLASHAR, Die Poetik des Aristate/es und di e griechische Tragodie, "Poetica", 1984, pp. 1-23; D.F. FoRTE, Injustice and tragedy in Aristotle, in The Georgetown symposium on ethics, 1984, pp. 131-144; R. ]ANKO, Aristotle on Comedy. Towards a reconstruction of Poetics, London 1984; E.E. RYAN, Aristotle's theory of rhetorical argumentation (Noésis), Montréal1984; P. SWIGGERS, Cognitive aspects of Aristotle's theory of metaphor, "Glotta", 1984, pp. 40-45; C. WAGNER, "Katharsis" in deraristotelischen Tragodiendefinition, "Grazer Beitrage", 1984, pp. 67-87; G. BARBERINI, Ontologia e poesia nella critica aristotelica del platonismo, "Annali di discipline filosofiche dell'Università di Bologna", 1984-1985, pp. 33-54; E. BELFIORE, Pleasure, Tragedy, and Aristotelian Psychology, "Classica! Quarterly", 1985, pp. 349-351; V. CESSI, "Praxis"e "mythos"nella "Poetica" di Ari-
www.scribd.com/Baruhk
337
stotele, "Quaderni Urbinati di Cultura Classica", 1985, pp. 45-60; L. Cozzou, Sulla teoria aristotelica della metafora, "Studi di Estetica", 1985, pp. 29-48; A. WARTELLE, Lexique de la "Poétique" d'Aristate, Paris 1985; L. CouLOUBARITsrs, Dialectique, rhétorique et critique chez Aristate, De la métaphysique à la rhétorique, 1986, pp. 103-118; K. EDEN, Poetic and legai fiction in the Aristotelian tradition, Lawrenceville (N.J.) 1986; G.F. ELsE, Plato and Aristotle on poetry, a cura e con intr. di P. BuRIAN, Chapel Hill (N.C.) 1986; C. GALLAVOTTI, La flessione di nome e verbo nella poetica di Aristotele, in Energeia, studi in onore di A. }ANNONE, a cura di E.A. MOUTSOPOULOS, Paris 1986, pp. 240-248; E. GARVER, Aristotle's "Rhetoric"as a work of philosophy, "Philosophy and Rhetoric", 1986, pp. 1-22; S. HALLIWELL, Aristotle's Poetics, Chapel Hill 1986; J. VEVEY, La definizione della metafora nella 'Poetica' di Aristotele, "Annali del Dipartimento di Filosofia"(Università di Firenze), 1986, pp. 37-72; G. CARCHIA, La "Retorica"di Aristotele: dialettica e magia, "Rivista di Estetica", 1987, pp. 29-41; A. CAZZULLO, La verità della parola. Ricerca sui fondamenti filosofici della metafora in Aristotele e nei contemporanei, Milano 1987; TH.A. LosoNCY, The being of the work of art: Aristotle on his predecessors, "Diotima", 1987, pp. 60-65; G.K. MAINBERGER, Rhetorica, I: Reden mit Vernunft: Aristoteles, Cicero, Augustinus, Stuttgart 1987; E. BELFIORE, Aristotle's 'Poetics' II, 1452a 22-29, "Classica! Philology", 1988, pp. 183-194; C. CAREY, "Philanthropy"in Aristotle's 'Poetics', "Eranos", 1988, pp. 131-139; S. DES BouVRIE, Aristotle's 'Poetics' and the subject of tragic drama: An anthropological approach, "Arethusa", 1988, pp. 47-73; P. GAUTHIER, Aristate ou l'art pour l'homme: la 'Poétique', "Revue Thomiste", 1988, pp. 573-588; W.M.A. GRIMALDI, Aristotle, Rhetoric II. A commentary, Bronx (N.Y.) 1988; H.J. HoRN, Zum neunten Kapitel der Aristotelischen Poetik, "Rheinisches Museum fiir Philologie", 1988, pp. 113-136; ]. LEAR, Katharsis, "Phronesis", 1988, pp. 297-326; A.B. MARCHAND, Mimèsis et catharsis. De la représentation à la dénégation du réel chez Aristate, Artaud et Brecht, "Philosophique", 1988, pp. 107-127; S. NIMIS, Aristotle's analogica! metaphor, "Arethusa", 1988, pp. 215-226; C.]. CLASSEN, Principi e concetti morali nella 'Retorica' di Aristotele, "Elenchos", 1989, pp. 5-22; E. GARVER, The human function and Aristotle's art of rhetoric, "History of Philosophy Quarterly", 1989, pp. 133-145; D. LANZA, Il medico dipinto: forma, forme e unità nella 'Poetica' di Aristotele, in Forma, rappresentazione, struttura, Atti del Convegno di Studio, Padova 3-6 dicembre 1986, a cura di O. LoNGO, Napoli 1989, pp. 169-174; Etica, Politica, Retorica, cit., 1989 (vedi sopra Etica, gli scritti interessanti la Retorica); H. WEIDEMANN, Aristotle on inferences from
338
www.scribd.com/Baruhk
sings: 'Rhetoric', 1357bl-25, "Phronesis", 1989, pp. 343-351; S. GASTALDI, Aristotele e la politica delle passioni. Retorica, Psicologia ed Etica dei comportamenti emozionali, Torino 1990.
Il. DALLA MORTE DI ARISTOTELE ALL'APERTURA DEL 'GIARDINO' DI EPICURO E DELLA 'STOÀ' DI ZENONE DI CIZIO E DEI PRIMI STOICI l. TI pensiero 'ellenistico'. Storiografia e interpretazioni
La riflessione filosofica sui modi con cui si determinano le condizioni che permettono i tipi di sapere (di scienze) si prosegue dopo Aristotele, sulle suggestioni di Aristotele, con il primo Peripato - da Teofrasto a Stratone di Lampsaco - e, ad un tempo, con le correnti che si muovono, in discussione con Aristotele, dagli epigoni di Democrito - Metrodoro di Chio, Anassarco - alla ripresa della messa in discussione della liceità di passare dai modi di pensare dell'uomo alla struttura della realtà, in una ripresa di posizioni sofistiche e socratiche- cinici, megarici -, dove s'impostano vivaci problematiche logiche (Alexino di Elide, Eubulide, Diodoro Crono, Stilpone di Megara) e di 'ricerca' aperta (Pirrone). Difficile è, perciò, rigidamente tagliare scuole e movimenti, se non vedendone genesi ed esiti in situazioni storiche precise, senza confondere tutto in una sola parabola, dalla morte di Aristotele al L sec. a.C., sotto l'unica denominazione di 'Ellenismo'. Indipendentemente dai vecchi schemi, quali ch'essi siano, su di un piano più strettamente "storico", si è tesi a studiare la cosiddetta filosofia 'ellenistica' non più come la parabola discendente (volta all'individuo e all'isolamento o a una ricerca dell'universale nella conversione religiosa) della "via regia" del filosofare che sarebbe culminata in Platone e Aristotele. In uno studio delle condizioni storiche mutate, come accertamento delle maniere con cui, di volta in volta, dapprima fino all'incontro con Roma (dal315 circa al200 a.C.), poi nell'incontro con essa (da Scipione ad Augusto), si è tentato di rispondere a tali situazioni mutate, a esigenze e richieste diverse, in un costituirsi di concezioni e di problematiche che hanno dato luogo, in particolare dal I sec. a.C. in poi, a culture e a modi di pensare assai diversi da quella che fu la cultura greca in senso stretto: cultura greca già diversa da quella del periodo platonico-aristotelico tra il 315 e il 250, e già diversa da questa tra il250 e il200, e via di seguito.
www.scribd.com/Baruhk
339
La denominazione "ellenistico"per intendere il periodo successivo ad Alessandro Magno in una delineazione del travagliato trapasso dalla civiltà greca classica alla civiltà cristiana, in un prevalere del problema religioso, unica salvezza, per l'uomo, finite le pòleis, abbandonato a se stesso e disperamente solo, nell'incontro tra mondo greco e mondo orientale, fu coniata daJ.G. DROYSEN, dal significato ch'egli dette agli "Ellenisti" degli Atti degli Apostoli (6, 1), che, a torto, riteneva fossero greci orientalizzati (cfr.: Geschichte Alexanders des Grossen, 1833; Geschichte des Hellenismus, 1836 e 1843, 1883) (cfr. B. BRAVO, Philologie, Histoire, Philosophie de l'Histoire. Étude sur ].G. Droysen, Warszawa 1968). Prima del Droysen il termine 'ellenistico' era stato usato, fin da circa il XVI secolo, per indicare il greco del Nuovo Testamento, che si considerava un greco modificato da influenze dell'ebraico (cfr. A. MoMIGLIANO, Introduzione all'Ellenismo, "Rivista storica italiana", 1970, p. 781). Dopo il Droysen, "Ellenismo" è divenuto una nozione se non una 'categoria' storica, mediante cui a seconda dei momenti, delle culture, delle situazioni, si è cercato di unificare in uno o altro modo, ma sempre in una sola caratterizzazione, i molteplici aspetti diversi con cui, invece, si presenta allo storico il periodo che va da Alessandro al sorgere del cristianesimo (cfr.: F. ADORNO, La filosofia antica, 2 voli., Milano 1962-1965; A. MoMIGLIANO, cit., 1970; F. ADORNO, Filosofia e Scienza, tra il IV e il I sec. a.C., in vol. V, La cultura ellenistica, t. 9, Filosofia e scienza, letteratura, di AA.VV., Storia e civiltà dei Greci, dir. R. BIANCHI-BANDINELLI, Milano 1977, pp. 5-108; M. IsNARDI PAREN'l'E, La valutazione dell'epistemologia dei peripatetici, in AA.VV., Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, a cura di G. GIANNANTONI, Bologna 1977, pp. 195-198 e, sempre della IsNARDI, La filosofia dell'Ellenismo, Torino 1977; M. IsNARDI PARENTE, Filosofia postaristotelica e filosofia ellenistica: storia di un concetto storiografico, "Annali dell'Istituto italiano per gli studi storici", 1985-1986, pp. 165-193). Accanto alle storie della filosofia antica e ai citati repertori bibliografici, si veda in particolare la bibliografia a cura di A.A. LoNG-D.N. SEDLEY, The Hellenistic Philosophers: Greek and Latin texts with notes and bibliography, Cambridge-New York 1987. Sull'Ellenismo, in genere, bastino alcune opere di fondo che hanno delineato i vari modi di intendere l"Ellenismo' come 'figura' fisolofica a sé o, infine, a rompere tale strutturazione. Per l'Ellenismo considerato come intreccio di motivi religiosi orientali e greci fino al coronamento del cristianesimo (non a caso è stato definito anche l'età della "conversione"), oltre al citato Droysen cfr.: R. REITZENSTEIN, Poimandres, Leipzig 1904 e Hellenistische Mysterienreligionen, Leipzig 1927 3 ; F. CuMONT,
340
www.scribd.com/Baruhk
Les religions orienta/es dans le paganisme romain, Paris 1906; A.D. NocK, Conversion: the Old and the New in Religion /rom Alexander the Great to Augustine of Hippo, Oxford 1933 (trad. it., Bari 1974); A.]. FESTUGIÈRE, La Révelation d'Hermès Trismégiste, II, Paris 1949; ha insistito sul giudaismo ellenistico più che sul cristianesimo ellenizzato e trasfigurato mediante le religioni di mistero, E. BrcKERMANN, Der Gott der Makkabiier, Berlin 1937 e FourStrange Books of the Bible, New York 1968. Per una interpretazione della civiltà ellenistica come origine di una civiltà capitalistico-borghese e liberale si veda in particolare M. RosTOVTZEFF, Social and Economie History of the Hellenistic World, Oxford 1941, 1953 2 (trad. it., Firenze 1966 I, 1974 II; cfr. anche M. RASKOLNIKOFF, La recherche soviétique et l'histoire économique et sociale du monde hellénistique et romain, Strasbourg 1975); W.W. TARN, Hellenistic Civilisation, London 19302 . La supremazia dei Greci sulla vita intellettuale e sui rapporti tra indigeni e Greci, in uno spirito definito razzista dal Momigliano, è stata studiata da C. PRÉAux, L'économie royale des Lagides, Bruxelles 1939 e da C. ScHNEIDER, Kulturgeschichte des Hellenismus, Miinchen 1967-1969. Per altre indicazioni rimandiamo a E. WILL, Histoire politique du monde hellénistique, Nancy 1966-1967, a C. BRANDFORD WELLES, Alexander and the Hellenistic World, Toronto 1970, a P. LÉVEQUE, Le monde hellénistique, Paris 1970, ad A. MoMIGLIANO, art. cit., 1970 (anche Genesi storica e funzione attuale del concetto di Ellenismo, "Giornale Critico della Filosofia Italiana", 1935, pp. 10 sgg., e Contributo alla storia degli Studi Classici, Roma 1955, pp. 165 sgg.). Si veda inoltre: A. GRILLI, Il problema della vita contemplativa nel mondo greco-romano, Milano 1953; R. MoNDOLFO, La comprensione del soggetto umano nell'antichità classica, Firenze 1958; F. ADORNO, La filosofia antica, cit., 1962-1965; H. SAPHIRo-G.M. GuRLEY, Hellenistic Philosophy, New York 1965; I.L. SAUNDERS, Greek and Roman Philosophy after Aristotle, New York 1966; L. EDELSTEIN, The Idea of Progress in Classica! Antiquity, Baltimore 1967; H.J. KRAMER, Platonismus und hellenistische Philosophie, Berlin-New York 1971, 1972; P. AuBENQUE, Les philosophies hellénistiques, in Histoire de la Philosophie. Idées et doctrines, dir. F. CHATELET, I., Paris 1972, pp. 190 sgg.; M. HADAS, Hellenistic Culture, Fusion and Diffusion, New York 1972; D. AMAND, Fatalisme et liberté dans l'antiquité grecque, Amsterdam 1973; G.E.R. LLOYD, Greek Science after Aristotle, New York 1973; G. REALE, I problemi del pensiero antico. Le scuole ellenistico-romane, Milano 1973; A.A. LoNG, Hellenistic Philosophy, London 1974, Berkeley 1986 (trad, it., Bologna 1989); H. WARTH, Epoche und Repriisentation. Zum Verfall mytholog. und philosoph. Erfahrungen im Oikumenismus Alexanders d. Grossen, Frankfurt a.M. 1974; V. GuAZZONI FoÀ, Ricerche sull'etica delle scuole ellenistiche,
www.scribd.com/Baruhk
341
Genova 1976; M. IsNARDI PARENTE, La filosofia dell'Ellenismo, cit., 1977; Storia e civiltà dei Greci, di AA.VV., cit., 1977, vol. IV (La società ellenistica, t. 7: quadro politico; t. 8: Economia, diritto, religione) e vol. V (La cultura ellenistica, t. 9: Filosofia, scienza, letteratura; t. 10: Le arti figurative); Doubt and Dogmatism. Studies in Hellenistic Epistemology, a cura di M. ScHOFIELD-M. BuRNYEAT-J. BARNES, Oxford 1980; G. MAsr, Il Pensiero Ellenistico, Bologna 1981; J. ONIANS, Art and thought in the Hellenistic Age. The Greek world view, 350-50 B.C., London 1982; Science and speculation: Studies in Hellenistic theory and practice, a cura di J. BARNEs-J. BRUNSCHWIG-M. BuRNYEAT-M. ScHOFIELD, Cambridge 1982; R. BrcHLER, Hellenismus. Geschichte eines Epochenbegriffs, Darmstadt 1983; M.J. WHITE, Time and determinism in the Hellenistic philosophical schools, "Archiv fi.ir Geschichte der Philosophie", 1983, pp. 40-62; La Scienza Ellenistica, Atti delle tre giornate di studio tenutesi a Pavia dal14 al16 aprile 1982, a cura di G. GrANNANTONI-M. VEGETTI, Napoli 1984 (cfr. F. DECLEVA CArzzr, Un Convegno sulla scienza ellenistica, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1983, pp. 109-113); M. HAsSENFELDER, Die Philosophie der Antike, III: Stoa, Epikureismus und Skepsis, a cura di W. v. Ron, Mi.inchen 1985; Le trasformazioni della cultura nella tarda antichità, Atti del Convegno - Catania 27 sett.-2 ott. 1982, voli. I-II, Roma 1985; M. IsNARDI PARENTE, Filosofia postaristotelica o filosofia ellenistica: storia di un concetto storiografico, "Annali dell'Istituto italiano per gli studi storici", 1985-1986, pp. 165-193; Aspects de la philosophie hellénistique, pres. H. FLASHAR-0. GrGON, Vandoeuvres-Genève (Fondation Hardt), 1986 (cfr. F. MINONZIO, Nuovi studi sulla filosofia ellenistica, "Elenchos", 1988, pp. 127-138); C. GARdA GuAL, La filosofia helenfstica. Éticas y sistemas, Madrid 1986; The norms of nature. Studies in Hellenistic ethics, a cura di M. ScHOFIELD-G. STRIKER, Cambridge 1986; L. CANFORA, Ellenismo, Roma-Bari 1987; A.A. LoNG-D.N. SEDLEY, The Hellenistic philosopher, II: Greek and Latin texts with notes and bibliography, Cambridge-New York 1987; G. GIANNANTONI, Cinici e Stoici su Alessandro Magno, in I filosofi e il potere nella società e nella cultura antiche, a cura di G. CASERTANO, Napoli 1988, pp. 75-87; Hellenistic Philosophy, a cura di B. INwoon-L.P. GERSON, Indianapolis 1988; M. IsNARDI PARENTE, L'Accademia antica e la politica del primo ellenismo, a cura di G. CASERTANO, Napoli 1988, pp. 89-117; The question of 'eclectism': Studies in later Greek philosophy, a cura di J.M. DrLLON-A.A. LoNG, Berkeley (Ca.) 1988. Per gli studi particolari sull"ellenismo' e le varie concezioni, confronta sotto, alle voci. Per le concezioni dette 'ellenistiche' dopo l'incontro con Roma, vedi oltre, nel III volume.
342
www.scribd.com/Baruhk
2. Tra Platone-Aristotele e il dopo Aristotele. Democritei, cinici e megarici: logici. La ricerca aperta ('scepsi'): Pirrone di Elide
Sugli epigoni di Democrito, che negano ogni passaggio dalla struttura dell'uomo alla struttura dell'essere (Metrodoro di Chio e Anassarco: su Anassarco vedi alla voce in Dictionnaire des Philosophes Antiques, a cura di R. GouLET, pref. di P. HADOT, I, Paris 1989), rimandiamo alla Bibliografia in vol. I (I, 3, iv. 4). Per i testi cfr. Griechische Atomisten. Texte und Komm. Zum materialischen Denken der Antiken, a cura di F. }URs-R. MuLLER-E.G. ScHMIDT, Leiden 1973. Vedi: A.M. IoPPOLO, Anassarco e il cinismo, in Democrito e l'atomismo antico, Atti del Convegno Internazionale - Catania 18-21 aprile 1979, a cura di F. RoMANO, "Siculorum Gymnasium", 1980, pp. 499-506. Per i megarici, i cinici e i logici di derivazione sofistico-socratica (Alexino, Eubulide, Diodoro Crono, Stilpone) cfr. sopra, nel I volume, Bibliografia, II, 2. Per i frammenti e le 'reliquiae' di Alexino, Eubulide, Diodoro Crono, Stilpone, cfr. Socraticorum reliquiae, collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G. Giannantoni, Napoli 1983 sgg. Sui democritei, sui logici, cfr.: F. ADORNO, Filosofia e scienza, in Storia e civiltà dei Greci, cit., vol. IX, 1977 (in particolare, Tra IV e III secolo: cinici, megarici, scettici, democritei, peripatetici). Sui megarici si veda: K. DoERING, Die Megariker. Kommentierte Sammlung der Testimonien, Amsterdam 1972 (anche L. MoNTONERI, I Megarici. Studio storico critico e traduzione delle testimonianze antiche, Catania 1984) R. MuLLER, Les Mégariques. Fragments et témoignages, Paris 1985; e R. MuLLER, Introduction à la pensée des Mégariques, Paris-Bruxelles 1988). Si veda inoltre: J. MoLINE, Aristotle, Eubulides and the Sorites, "Mind", 1969, pp. 393-407. Per Diodoro Crono cfr: F.S. MrcHAEL, What is the master argument of Diodorus Cronus, "American Philosophical Quarterly", 1976, pp. 229-235; ]. SuTULA, Diodorus and the "master argument", "The Southern Journal of Philosophy", 1976, pp. 323-343; V. CELLUPRICA, L'argomento dominatore di Diodoro Crono e il concetto di possibile in Crisippo, in Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, a cura di G. GIANNANTONI, Bologna 1977, pp. 755-773; R. MULLER, Signification historique et philosophique de l'argument souverain de Diodore, "Revue de Philosophie Ancienne", 1984, pp. 3-37; J. VUILLEMIN, Nécessité ou contingence. L'aporie de Diodore et les systèmes philosophiques, Paris 1984; J. VUILLEMIN, Un système de fatalisme logique. Diodore Kronos, "Revue de Philosophie Ancienne", 1984, pp. 39-72; H. WEIDEMANN, Das sogenannte Meisterargument des Diodoros
www.scribd.com/Baruhk
343
Kronos und der aristotelische Moglichkeitsbegriff, "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", 1987, pp. 18-53.
Si veda anche: AA.VV., Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, a cura di G. GrANNANTONI, Bologna 1977; F.P. HAGER, Zur Bedeutung der Theologie des Aristate/es fiir den Mittleren Platonismus und den Neuplatonismus, "Proceedings of the World Congress on Aristotle", 1981, pp. 242-246; A. BRANCACCI, Teodoro l'Ateo e Bione di Boristene fra Pirrone e Arcesilao, "Elenchos", 1982, pp. 55-85 (vedi Bion of Borysthenes, Frammenti, a cura di J.F. KrNDSTRAND, intr. e comm., Uppsala 1976); A.M. BATTEGAZZORE, La filosofia platonica nei continuatori dell'Accademia antica, "Discorsi", 1984, pp. 97-115; ].F. KrNDSTRAND, A supposed testimony to Bion of Borysthenes, "Classica! Quarterly", 1985, pp. 527-529. Per il cinico Telete si veda l'edizione con trad. a cura di E. O'NEIL, Missoula (Montana) 1977. Pirrone di Elide, vissuto tra il 365 e il 300 a.C., considerato uno dei primi ad avere assunto atteggiamento di ricerca aperta ('scepsi'), in contatto sia con un democriteo come Anassarco, sia con i logici della scuola megarica, va distinto nettamente dallo schema scolastico della corrente 'scettica' e ricondotto alle problematiche proprie dell'epoca di Aristotele. Per le testimonianze pirroniane, cfr. Pirrone. Testimonianze, a cura di F. DECLEVA C AIZZI, N apoli 1981 (vedi Introduzione, nota bibliografica, commento). Per il resto rimandiamo al paragrafo sullo 'scetticismo'. Si confronti anche: F. DECLEVA CArzzr, Pirrone e Democrito. Gli atomi: un 'mito'?, "Elenchos", 1984, pp. 5-23; S. ZEPPI, Leradicipresocratiche della gnoseologia scettica di Pirrone, in La storia della filosofia come sapere storico, Studi offerti a M. DAL PRA, intr. di E. GARIN, Milano 1984, pp. 75-91; P. WooDRUFF, Aporetic pyrrhonism, in Oxford Studies in Ancient Philosophy, 1988, pp. 139-168.
3. D primo Peripato. Da Teofrasto a Stratone di Lampsaco a. Il Peripato Storicamente la scuola di Aristotele non è omogenea. Una problemadca muove il primo Peripato. in una discussione con Aristotele e in una presa di posizione nel proporre la filosofia come studio che permetta di cogliere le condizioni per cui sono possibili le singole scienze; altra problematica si pone al Peripato con il cambiare di situazioni storiche e cui-
344
www.scribd.com/Baruhk
turali. Conviene pertanto distinguere tra primi peripatetici (IV-II sec. a.C.) e secondi peripatetici (dal I sec. a.C. in poi). Per il Peripato come struttura scolastica, si veda].P. LYNCH, Aristotle's School. A Study of a Greek Educational Institution, Berkeley-Los Angeles-London 1972. Sulla scuola cfr. anche La Scuola dei filosofi, a cura di C. NATALI, L'Aquila 1981. Per una storia dell'aristotelismo dal I sec. a.C. al III sec. d.C., cfr. P. MoRAux, Der Aristotelismus bei den Griechen, 2 voli., Berlin-New York 1973-1984. Sul Peripato in genere cfr. inoltre: M.J. LAGRANGE, Les péripatéticiens ;usqu'à l'ère chrétienne, "Revue Thomiste", 1927, pp. 196-216; K.O. BRINK, Peripatos, in R.E. PAULYWrssowA, suppl. 7, 1940, pp. 899-949; I. DuRING, Aristotle in the Biographical Tradition, Goteborg 1957; F. WEHRLI, Die Schule des Aristoteles. Texte und Kommentar, fase. X, 1959, pp. 93-128;}. MoREAU, Aristate et san école, Paris 1962; W. }AEGER, Diokles von Karystos. Die griechische Medizin und die Schule des Aristoteles, Berlin 1963 2 (anche G. HARING-}. KoLLESH, Diokles von Karystos und die zoologische Systematik, in
Schriftenreihe fur Geschichte der Naturwissenschaften, Technik und Medizin, 1974, pp. 24-31); A. PLEBE, Il Peripato, in ZELLER-MONDOLFO, La filosofia dei Greci, cit., parte II, vol. VI, 1966; G. MoviA, Anima e intelletto. Ricerche sulla psicologia peripatetica da Teofrasto a Cratippo, Padova 1968; P. BoYANCÉ, Sur les origines péripatéticiennes de l"humanitas', in Forschungen zur romischen Literatur, I, Wiesbaden 1970, pp. 21 sgg.; A. MoMIGLIANO, Lo sviluppo della biografia greca, Torino 1974; M. IsNARDI PARENTE, La valutazione dell'epistemologia dei paripatetici, in Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, cit., 1977; L. REPICI, Lo sviluppo delle dottriche etiche nel Peripato, in ibidem, pp. 215-243; P.L. DoNINI, Peripatetici, voce in Dizionario degli Scrittori Greci e Latini, cit., 1988.
b. Da Teofrasto a Stratone di Lampsaco l. Testi: frammenti e 'reliquiae'
i. Teofrasto Per le opere di Teofrasto non abbiamo ancora un'edizione critica sufficiente, anche se n'è in corso una compiuta (cfr. H.B. GorrscHALK,
Prolegomena to an edition of Theophrastus' fragments, in Aristoteles. Werk und Wirkung, I, Berlin 1985, New York 1987). Ancora utile: Opera quae supersunt omnia, a cura di F. WIMMER, 1866 (anast., Frankfurt a.M. 1964).
www.scribd.com/Baruhk
345
Si veda per il testo: W. BuRNIKEL, Textgeschichtliche Untersuchungen zu neuen Opuscula Theophrast, Wiesbaden 1974. Per i singoli scritti, citiamo le migliori edizioni: De sensu et sensibilibus e Opinioni dei Fisici, in H. DIELS, Doxographi graeci, Berlin 1879 (trad. it., a cura di L. ToRRACA, I dossografi greci, Padova 1961, pp. 281 sgg.); De sensu et sensibilibus, a cura di G.M. STRATTON, London-New York 1917 (anast., Amsterdam 1964); Inquiry in to Plants, a cura di A. HoRT, "Loeb Class. Library", Cambridge (Mass.) 1948-1949 (trad. it., a cura di P.F. MANCINI, Roma 1901); De lapidibus, a cura di E. EICHOLZ, New York-London 1965; De igne, intr., trad., comm., a cura di V. CouTANT, Assen 1971; Peri Lèxeos, a cura di A. MAYER, Leipzig 1910; Metafisica, a cura di W.D. Ross-F.H. FoBES, Oxford 1929 (trad. it., a cura di G. REALE, in Teofrasto e la sua aporetica metafisica, Brescia 1964); Frammenti sull'intelletto, in E. BARBOTIN, La théorie aristotélicienne de l'Intellect d'après Théophraste, Paris 1954; i frammenti logici, Die logischen Fragmente des Theophrast, a cura di A. GRAESER, Berlin-New York 1973 (anche L. REPICI, La logica di Teofrasto, studio critico e raccolta di frammenti e testimonianze, Bologna 1977); Caratteri, a cura di H. DIELS, Oxford 1909, 1952 (a cura di O. NAVARRE, Paris 1920; a cura di R. UsSHER, New York 1960; a cura di D. KLOsE, Stuttgart 1974; trad. it., a cura di G. PASQUALI, Firenze 1919, 1956); Peri eusebèias, a cura di W. PoTSCHER, Leiden 1964; Theophrastus, Enquiry into Plants and Minor Works. On Odours and Weather Signs, With an English Translation, Cambridge-London 1916, 1961 3 ; Metereologica, frammenti a cura di G. BERGSTRASSER, Neue meteorologische Fragmente des Theophrast, "Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaft" (Philos. Hist. Klasse), 1918; E. WAGNER-P. STEINMETZ, Der Syrische Auszug der Meteorologie des Theophrast, Wiesbaden 1964; De ventis, intr., trad. e comm., a cura di V. CouTANT-V.L. EICHENLAUB, London 1975; De Causis plantarum, a cura di B. EINARSON-G.K.K. LINK, con trad. inglese, 3 voli., London-Cambridge 1976; Recherches sur !es plantes, testo e trad. francese a cura di S. AMIGUES, Paris 1988. ii. Da Dicearco a Sozione Per le testimonianze e i frammenti relativi agli appartenenti alla s,buola di Aristotele (Dicearco, Aristosseno, Clearco, Demetrio Falereo, $tratone di Lampsaco, Licone e Aristone di Chio, Eraclide Pontico, Eudemo di Rodi, Fainia di Ereso, Camaleonte, Praxifane, Ieronimo di Rodi, Critolao e la sua scuola, Ermippo e Sozione) si veda l'edizione critica, con ampio commento e discussione, a cura di F. WEHRLI, Die Schule des Aristate/es. Texte und Kommentar, in 10 fase., Basel1944-1959 (anast., 1969; nuova ed. con 2 voli. di supplementi, 1974-1978).
346
www.scribd.com/Baruhk
Per Aristosseno di Taranto, cfr. anche R. DA Rms, Aristoxeni E/e· Per Stratone di Lampsaco cfr. inoltre Some Texts, a cura di H.B. GoTTSCHALK, "Proceedings of the Leeds Philosophical and Literaty Society"(Lit. and Hist. Section), 1965, pp. 95-182. Si veda: A. BÉus, Aristoxène de Tarente et Aristate, in Le traité d'harmonique, Paris 1_986.
menta harmonica, Roma 1954 (con trad. it.).
2. Studi Su Teofrasto, oltre le citate opere e introdu?ioni e commenti ai singoli scritti, cfr.: H. DmLs, Theophrastea, Berlin 1883; O. REGENBOGEN, Theophrastus von Eresos, Stuttgart 1940; I.M. BocHÉNSKI, La logique de Théophraste, Freiburg 1947; J.H.A. lNDEMANS, Studies over Theophrastus, Niemegen 1953; J.B. McDIARMID, Theophrastus on the Presocratic causes, "Harvard Studies in Classica! Philology", 1953, pp. 85-156; W. CAPELLE, Das Problem der Urzeugung bei Aristoteles, "Rheinisches Museum fiir Philologie", 1955, pp. 150-180, 1958, pp. 4-41; R. STARK, La definizione teofrastea della retorica, "Maia", 1958, pp. 101-105; W. THEILER, Die Entstehung der Metaphysik des Aristoteles mit einem Anhang iiber Theophrasts Metaphysics, "Museum Helveticum", 1958, pp. 85-105; R. STARK, Zu Theophrasts "Charakteren", "Rheinisches Museum fiir Philologie", 1960, pp. 193-200; P. STEINMETZ, Die Physik des Theophrastos von Eresos, Bad Homburg 1964; P. LoRENZEN, Theophrastische Modallogik, "Archiv fiir mathematische Logik", 1969, pp. 72 sgg. (cfr. anche: G. MoviA, Anima e intelletto; ricerche sulla psicologia peripatetica da Teofrasto a Cratippo, Padova 1968; Naturphilosophie bei Aristoteles und Theophrast, cit., 1969); F. WEHRLI, Die Ethica Theophrasts, in Islamic philosophy and the classica/ tradition, Oxford 1972, pp. 491-494; A. lEVOLO, Testimonianze biografiche e motivi dossografici di Teofrasto nei papiri ercolanesi, "Cronache Ercolanesi", 1973, pp. 93-96; J. SCHNAYDER, Der Begriff 'Dynamis' in den Werken des Theophrastos, "Eos. CommentarH Societatis Philologae Polonarum", 1973, pp. 49-56; W.W. FoRTENBAUGH, Die Charaktere Theophrasts; Verhaltensregelmiissigkeiten und aristotelische Laster, "Rheinisches Museum fiir Philologie", 1975, pp. 68-82; J. LoNGRIGG, Two notes on Theophrastus 'De sensibus', "Philologus", 1975, pp. 163-169; R.W. BALnEs, Theophrastus' witness to Democritus on perception, "Apeiron", 1976, pp. 42-48; L. REPICI, La logica di Teofrasto. Studio critico e raccolta dei frammenti e delle testimonianze, Bologna 1977; A. SzEGEDY-MASZAK, The Nomoi of Theophrastus, New York 1981; J. BRUNSCHWIG, "Indéterminé"et "indéfini "dans la }ogique de Théophraste, "Revue Philosophique de la France et de l'Etranger", 1982, pp. 359-370; J. BARNES, Terms and sentences. Theophrastus on hy-
www.scribd.com/Baruhk
347
potbetical syllogisms, "Proceedings of the Aristotelian Society", 1983, pp. 279-326; A. BATTEGAZZORE, Aristotelismo e antiaristotelismo del "De igne" teofrasteo, "Elenchos", 1984, pp. 1-58; W.W. FoRTENBAUGH, Quellen zur Etbik Tbeopbrasts, Amsterdam 1984; G. REALE, Il concetto di filosofia prima e l'unità della Metafisica di Aristotele, Milano 1984 (trad. e comm. della Metafisica di Teofrasto); G. WoHRLE, Die Teleologie in den botaniscben Scbriften des Tbeoprast: Abkebr von Aristate/es, "Wiirzburger Jahrbiicher fiir die Altertumswissenschaft", 1984; Tbeopbrastus of Eresus. On bis !ife and work, a cura di W.W. FoRTENBAUGHP.M. HuBY-A.A. LONG, New Brunswick (N.J.)-Oxford 1985; J. BARNES, Tbeopbrastus and bypotetical syllogistic, in ibidem, pp. 125-141 (in Aristate/es. Werk und Wirkung, II, Berlin-New York 1987, pp. 557-576); K. GAISER, Tbeopbrast in Assos. Zur Entwicklung der Naturwissenscbaft zwiscben Akademie und Peripatos, Heidelberg 1985; P.M. HuBY, Tbeopbrastus in tbe Aristotelian corpus, witb particular reference to biologica! problem, in Aristotle on nature and living tbings, pres. D.M. BALME, a cura di A. GoTTHELF, Pittsburgh (Penn.) 1985; ].G. LENNOX, Tbeopbrastus on tbe limits of teleology, in Tbeopbrastus of Eresus. On bis !ife and work, cit., 1985, pp. 143-163; L. REPICI CAMBIANO, Il paradigma animale nella botanica di Teofrasto, "Rivista di Filosofia", 1985, pp. 367-398; G. WoHRLE, Tbeopbrasts Metbode in seinen botaniscben Scbriften, Amsterdam 1985; I. DI SALVO, Koraìs e i Caratteri di Teofrasto, Palermo 1986; H.B. GoTTSCHALK, Did Tbeopbrastus Write a Categories?, "Philologus", 1987, pp. 245-253;]. DESAUTELS, La classification des végétaux dans la "Recbercbe sur les plantes"de Tbéopbraste d'Erésos, "Phoenix", 1988, pp. 219-243; Tbeopbrastean studies. On natura! science, pbysics and metapbysics, etbics, religion and rbetoric, a cura di W. FoRTENBAUGH-R.W. SHARPLES, New Brunswick (N.].) 1988; A.M. BATTEGAZZORE, La posizione di Teofrasto tra metafisica e fisica, "Epistemologia", 1989, pp. 49-72.
Sui singoli peripatetici, oltre alle voci in R.E. PAULY-WISSOWA, alla citata Filosofia dei Greci di E. ZELLER-R. MoNDOLFO, a cura di A. PLEBE, 1966, e aF. WEHRLI, cit., indichiamo: Dicearco: O. GIGON, Antike Erzà"hlungen iiber die Berufung zur Pbilosopbie, "Museum Helveticum", 1946, pp. 1-21 (anche T. SINCLAIR, Il pensiero politico classico, Bari 1961, pp. 336-338); S.E. SMETHURST, Cicero und Dicearcus, "Transactions and Proceedings of the American Philological Association", 1952, pp. 224-232; W. LuPPE, Dikaiarcbos' Ù1touéae1ç (mit einem Beitrag zur "Troades-Hupotbesis''), in Aristate/es. Werk und Wirkung, l, Berlin-New York 1987, pp. 610-615.
348
www.scribd.com/Baruhk
Aristosseno: L. Laloy, Aristoxène de Tarente, Paris 1924; R. DA Rms, Elementa harmonica di Aristosseno, Roma 1954; P. KucHARSKI, Le 'Philèbe' et les Éléments harmoniques d'Aristoxène, "Revue Philosophique de la France et de l'Étranger", 1959, pp. 41-72; A. BÉus, La théorie de l'ame chez Aristoxène de Tarente, "Revue de Philologie, de Littérature et d'Histoire Anciennes", 1985, pp. 239-246; A. BRANCACCI, Aristosseno e lo statuto epistemologico della scienza armonica, in La Scienza ellenis#ca, Atti delle tre giornate di studio- Pavia 14-16 aprile 1982, a cura di G. GIANNANTONI-M. VEGETTI, Napoli 1985, pp. 131-185. Stratone di Lampsaco: G. RoDIER, La physique de Straton de Lampsaque, Paris 1890; H. DIELS, Ueber das physikalische System des Straton, "Sitzungberichte der Berliner Akademie der Wissenschaften", 1893; W. }AEGER, Das Pneuma in Lykeion, "Hermes", 1931, pp. 29-74; M. GATZEMEIER, Die Naturphilosophie des Straton von Lampsakos, Meisenheim a.G. 1970 (bibliografia); M. lsNARDI PARENTE, Le obiezioni di Strato ne al Pedone e l' epistemologia peripatetica nel primo ellenismo, "Rivista di Filologia e d'Istruzione Classica", 1977; L. REPICI, La Natura e l'anima. Saggi su Stratone di Lampsaco, Torino 1988. Eraclide Pontico: cfr. alla voce Accademici; su Eudemo di Rodi, cfr. U. ScHOBE, Quaestiones Eudemeae, Halle 1931.
www.scribd.com/Baruhk
349
Parte seconda
Epicuro. Lo Stoicismo: Zenone di Cizio e i primi stoici
L EPICURO
l. Opere Le opere di Epicuro sono pervenute in frammenti, tranne tre lettere (a Erodoto, a Pitocle, a Meneceo) e una raccolta di 40 massime (Massime capitali), conservateci da Diogene Laerzio nella sua Vita di Epicuro (X), in cui dà anche un breve sunto della Canonica di lui. Nel1888 K.. WoTÌ<:E scoprl una raccolta di 81 Sentenze presso la Biblioteca Vaticana (Gnomologium Vaticanum 1950), pubblicata nel1888 ("Wiener Studien", X, 2, con uno studio di H. UsENER). Frammenti e scritti di Epicurei, in particolare di Filodemo, insieme allo scritto di Epicuro Sulla natura - mal ridotto e dei cui 3 7 libri si leggono alcuni frammenti - sono stati ritrovati, in papiri, durante gli scavi di Ercolano (papiri ercolanesi: ora sistematicamente studiati e ordinati presso la Biblioteca Nazionale di Napoli sotto la guida di MARCELLO GIGANTE: vedi oltre; per nuove edizioni degli Epicurei e di Filodemo cfr.la collana "La Scuola di Epicuro", diretta da M. Gigante, Napoli 1978 sgg.). Le altre fonti per una ricostruzione del pensiero di EPICURO e degli Epicurei sono il De rerum natura di LucREZIO, alcune opere di CICERONE, molte delle Lettere a Lucilio di SENECA, l'iscrizione di DIOGENE DI ENOANDA (D. di E., a cura di J. WILLIAM, Leipzig 1907; a cura di A. GRILLI, Milano 1961; di C.W. CHILTON, Diogenes Oenoandensis Fragmenta, Leipzig 1967; a cura di A. CASANOVA, I frammenti di D. d'E., intr., testo con apparato critico, trad., Firenze 1984). Fondamentale resta l'edizione delle testimonianze e dei testi di Epicuro e degli Epicurei di H. USENER, Epicurea, Leipzig 1887 (anast., Stuttgart 1966) (non vi sono compresi i frammenti Sulla natura scoperti a Ercolano: importante il Glossarium Epicureum dell'Usener, rimasto inedito, e ora pubblicato a cura del "Lessico Intellettuale Europeo", Roma 1977, con la revisione e il coordinamento di M. GIGANTE-W. ScHMIDT; anche W. ScHMIDT, Use-
350
www.scribd.com/Baruhk
ners "Glossarium Epicureum"und seine 'epicurea', "Wiirzburger Jahrbiicher fiir die Altertumswissenschaft", 1980). Si veda inoltre, per Epicuro, l'edizione, con trad. inglese e note, a cura di C. BAILEY, Epicurus. The Extant Remains, Oxford 1926 (anast., Hildesheim-New York 1970) e l'edizione, con trad. italiana a fronte, note e commento (sono inclusi anche i frammenti Sulla natura, e discusse e citate le altre edizioni parziali, dal VoGLIANO al DIANO allo ScHMID al DE WITT) a cura di G. ARRIGHETTI, Epicuro, Opere, Torino 1960, 1973 (in trad. it. senza il testo greco, con un saggio su Epicuro, si veda l'ed., a cura sempre di G. ARRIGHETTI, Torino 1967; anche a cura di E. BIGNONE, Epicuro. Opere, Bari 1920, frammenti, testimonianze sulla sua vita, mancano i frammenti dei papiri ercolanesi: una nuova ed. senza l'introd. del BIGNONE, sostituita da un saggio su Epicuro di G. GIANNANTONI, Bari 1966, 1989). In traduzione italiana, oltre le versioni del BIGNONE e dell'ARRIGHETTI, si vedano quelle di L. MAssA PosiTANO, Catania 1970 (Epicurea, che riproduce gli Epicurea dell'UsENER) e di M. IsNARDI PARENTE, Opere di Epicuro (sono tradotti anche i frammenti e le testimonianze relative a Metrodoro e altri discepoli, Ermarco, Colote, Polistrato), U.T.E.T., Torino 1974, 198Y. Per alcune edizioni di testi particolari cfr.: A. VoGLIANO, Epicuri et Epicureorum Scripta, Berlin 1928; A. VoGLIANO, I frammenti del XIV libro del 'Peri Physeos' di Epicuro, Bologna 1932; A. VoGLIANO, I resti dell'XI libro, Il Cairo 1940; P. VON DER Mi.iHLL, Epicuri Epistolae tres etratae sententiae, Leipzig 1922; D. SEDLEY, Perì phhyseos XXVIII, "Cronache Ercolanesi", 1973; D. SEDLEY, Epicurus. On nature book 28, "Cronache Ercolanesi", 1973, pp. 5-83; Epicuri Ethica et epistulae, 2a ed. anast. a cura di C. DIANO (fascicoli 1946 e 1948), Firenze 1974; M. CAPASSO, Trattato etico epicureo (P. Herc. 346), Napoli 1982; Diogene d'Enoanda . .J frammenti di D. d'E., intr., testo con app. critico, trad. a cura di A. CASANOVA, Firenze 1984.
2. Studi Se da un lato gli studi su Epicuro, dall'Usener in poi (BAILEY, VoGLIANO, DIANO, ARRIGHETTI), si sono volti ad una ricostruzione filologica di tutto il materiale reperibile, dall'altro lato, dopo l'opera di G.M. GuYAU (La morale d'Épicure, Paris 1881 2 ), la critica si è particolarmente interessata della etica epicurea, vedendo la fisica di Epicuro in funzione della sua morale. Oggi, accanto all'Epicuro morale, si tende a rivalutare il significato della "fisica" di Epicuro, della sua logica, da cui scaturisce,
www.scribd.com/Baruhk
351
di contro a quella aristotelica, una nuova metodologia scientifica e la fondazione di una scienza fisica. Per altro verso, la concezione fisica di Epicuro ha portato alcuni studiosi a vederne l'importanza rivoluzionaria in campo politico, in una restituzione dell'uomo a se stesso, non solo nel mondo più strettamente greco, ma anche e soprattutto nel mondo romano del I secolo a.C., con Lucrezio (si veda in quest'ultimo senso il suggestivo, anche se unilaterale, lavoro di B. FARRINGTON, Science and Politics in the Ancient World, London 1946, trad. it. Milano 1960: vedi anche The Faith of Epicurzts, London 1967, trad. it. Roma 1967; cfr., di contro, P. BoYANCÉ, Epicure, Paris 1969). Sulle discussioni relative all'Epicureismo, si veda PH. DE LACY, Some Recent Publications on Epicurus and Epicureanism (1937-1954), "Classica! Weekly", 1954, pp. 167 sgg. e 1955, pp. 232 sgg.; P.M. ScHUHL, Actualité de l'épicurisme, "Revue Philosophique de la France et de l'Etranger", 1968, pp. 255-262. Per rassegne bibliografiche relative all'Epicureismo si vedano O.R. BLOCH-P. GRIMAL, in "Actes de l'VIII Congrès de l' Association G. Budé 1968", Paris 1969, pp. 93 sgg., 139 sgg., e M. IsNARDI PARENTE, in Opere di Epicuro, cit., 1974, 1983, e, storiograficamente, Epicureismo, nelle citate Questioni di storiografia filosofica, 1975 (si veda anche P. INNOCENTI,
Per una storia dell'Epicureismo nei primi secoli dell'era volgare: temi e problemi, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1972, pp. 123 sgg., e Epicuro, Firenze 1975); H.J. METTE, Epikuros 1980-1983, "Lustrum", 1984, pp. 5-6 (bibliografia). Si vedano inoltre: A.E. TAYLOR, Epicurus, London 1911; C. BAILEY, The Greek Atomists and Epicurus, Oxford 1928; E. BIGNONE, L 'Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro, Firenze 1936 (2 ed. con altri studi in appendice, Firenze 1973); C. DIANO, La psicologia di Epicuro e la teoria delle passioni, "Giornale Critico della Filosofia Italiana", 1939 e 1942 (ora in Scritti Epicurei, Firenze 1974); A.]. FESTUGIÈRE, Épicure et ses dieux, Paris 1946, 1985 (trad. it., Brescia 1952, Milano 1987); C. DIANO, Lettere di Epicuro agli amici di Lampsaco, a Pitocle, a Mitre, "Studi italiani di Filologia classica", 1948, pp. 59-68; C. CAPONE BRAGA, Studi su Epicuro, Milano 1951; J. FALLOT, Le plaisir et la mort dans la philosophie d'Épicure, Paris 1951, 19772 (trad. it., Roma 1977); N.W. DE WITT, Epicurus and His philosophy, Minneapolis 1954, 19642 , Westport 1973; F. MEHRING, La thèse de Marx sur Démocrite et Épicure, "Nouvelle Critique", 1955, pp. 17-29; J. BRUN, L'épicurisme, Paris 1959 sgg.; Epicurea in memoriam Hectoris Bignonis, di AA.VV., Genova 1959; PH. MERLAN, Studies in Epicurus and Aristotle, "Klassisch-Philologische Studien", a cura di H. HERTER-W. ScHMID, fase. 22, Wiesbaden 1960; R. MoNDOLFO, Moralisti greci. La coscienza morale da Omero a Epi-
352
www.scribd.com/Baruhk
curo, Milano-Napoli 1960; le introduzioni di G. GIANNANTONI a Epicuro, cit., 1966, di G. ARRIGHETTI a Epicuro, cit., 1967; D.J. FuRLEY, Two Studies in Greek Atomists, Princeton 1967; F. SoLMSEN, AicJUTJotc; in Aristotelian and Epicurean thought, in F.S., Kleine Schriften, Hildesheim 1968 (ora in Probleme der Lukrezforschung, a cura di C.J. CLASSEN, Hildesheim 1986); P. BoYANCÉ, Épicure, Paris 1969, 1971; E.G. SCljMIDT, Zu Karl Marx Epikurstudien, "Philologus", 1969, pp. 129-149; Epicurisme grec, romain et du XVIe siècle. Plutarque, in "Actes du VIII Congrès de l'Association G. Budé, Paris 5-10 avril 1968", Paris _1969; J. BoLLACK-M. BOLLACK-H. WISMANN, intr. e comm. a Lettre d'Epicure (a Erodoto), Paris 1971; A.A. LoNG, Aisthesis, Prolepsis and Linguistic Theory in Epicurus, "Bulletin of the Institute of Classica! Studies"(University of London), 1971, pp. 114-131; A. GARdA CARLO, Para la interpretaci6n de la carta a Her6doto de Epicuro, "Emerita", 1972, pp. 69-140; F. GIANCOTTI, Postille sui rapporti fra epicureismo e poesia in Epicuro e in Lucrezio, "Giornale italiano di Filologia", 1972, pp. 192-233; A. MANUWALD, Die Prolepsislehre Epikurus, Bonn 1972; R. MuLLER, Die epikureische Gesellschaftstheorie, Berlin 1972; J.M. RisT, Epikurus, London-New York 1972, 1977 (trad. it., Milano 1978); M.L. CLARKE, The garden of Epicurus, "Phoenix", 1973, pp. 386-387; B. WI]~IEWSKI e C.J. DE VaGEL, Le problème du dualisme chez Démocrite et Epicure, "0 TI", 1973, pp. 114-123; W. FAUTH, Divus Epicurus. Zum Problemgeschichte philosophischer Religiositiit bei Lukrez, in Aufstieg und Niedergang der romischen Welt, l, a cura di H. TEMPORINI, Berlin 1973, pp. 205-225; D. KoNSTAN, Some aspects of Epicurean psychologs, Leiden 1973; D. LEMKE, Die Theologie Epikurs, Miinchen 1973; A. LLANOS, La filosofia de Epicuro, Buenos Aires 1973; J. MAu, Was there a special Epicurean mathematics?, in Exegesis and argument ("Phronesis", suppl. vol. 1), Assen 1973, pp. 421-430; E. P ARATORE, La problematica sull'epicureismo a Roma, in Aufstieg und Niedergang der romischen Welt, a cura di H. TEMPORINI, Berlin 1973, pp. 116-204; A. RoNCONI, Poetica e critica epicurea, i9 Interpretazioni letterarie dei Classici, Firenze 1973; C. GARdA GuAL, Etica de Epicuro, Barcelona 1974; C. GARdA GuAL-E. AcosTA MÉNDEZ, Ética de Epicuro. La génesis de una mora! utilitaria, Barcelona 1974; M. lsNARDI PARENTE, Introduzione a Opere di Epicuro, cit., 1974; M. lsNARDI PARENTE, Gli dèi di Epicuro nello scolio ai Kyriai Doxai I, "La Parola de! Passato", 1974, pp. 171-179; F. MARKOVITS, Marx dans le jardin d'Epicure, Paris 1974; D. PESCE, Saggio su Epicuro, Bari-Roma 1974; J.M. GABAUDE, Le jeune K. Marx, lecteur d'Épicure, "Revue de l'Enseignement ~hi losophique", 1974-1975, pp. l sgg. (sulla stessa rivista: J.M.G., Sur Epicure et l'épicurisme, 1974-1975, 1975-1976); P.A. BoGAARD, The status of complex bodies in Epicurean atomism, "Studies in History and Philo-
www.scribd.com/Baruhk
353
s9phy of Sciences", 1975, pp. 315-329; J. BoLLACK, La pensée du plaisir. Epicure, textes moraux: commentaires, Paris 1975; W. DETEL, Aiat1T)
Nature et civilisation dans l'épicurisme, ibidem, pp. 415-433; F. TRIMARCHI-R.V. CRISTALDI, Epicuro e la morte,,"Teoresi", 1975, pp. 113-126; Philosophie grecque: Platon - Aristate - Epicure, 2 voli., Paris, 1975 (l), 1976 (Il); AA.VV. Études sur l'Épicurisme antique, a cura di J. BoLLACK-A. LAKS, Lille 1976; J.-M. GABAUDE, Du perceptible au non perçu pour l'épicurisme, "Annales publiées trimestriellement par l'Uniyersité de Toulouse", 1976, pp. 67-73; I. GoBRY, La sagesse d'Epicure, "Etudes Philosophiques", 1976, pp. 79-90; F. HEIDSIEK, Épicure, et la 'Logique du Vivant', "Revue cles Etudes Grecques", 1976, pp. 611-614; I. KRONSKA, Atome und Menschen. Die Anthropologie in der Physik Epikurs, in Die Welt des Menschen - Die W elt der Philosophie, in onore di J. PATOcKA, a cura di W. BIEMEL, Den Haag 1976, pp. 159-176; H. LUDWIG,
Materialismus und Metaphysik. Studien zur epikureischen Philosophie bei Titus Lucretius Carus, Ki:iln 1976; G. Roms LEWIS, Épicure et san école, Paris 1976; E. AcosTA MÉNDEZ, Estudios sobre la mora! de Epicuro 1' el Arist6teles esotérico, Madrid 1977; V. GoLDSCHMIDT, La doctrine d'Epicure et le droit, Paris 1977 (si veda anche, sulla questione del 'progresso', A. BARIGAZZI, Un pensiero avveniristico nel Giardino d'Epicuro, "Prometheus", IV, 1978, pp. l sgg.); A.A. LoNG, Chance and naturallaw in Epicureanism, "Phronesis", 1977, pp. 63-88; F. SoLMSEN, Epicurus on void, matter and genesis. Some historical observations, "Phronesis", 1977, pp. 263-281; AA.VV., Ricerche su Epicuro e l'epicureismo, "Rivista critica di Storia sfella filosofia", 1978; J. BoLLACK-A. LAKS, Introduzione e commento a Epicure à Pythoclès, Paris 1978; F. ADORNO, Epicuro: 'Epistola a Erodoto' 39,7-40,3, "Elenchos", 1980, pp. 245-275; A. ALBERTI, Atomo e "materia prima" nell'epicureismo di Gassendi, "Studi Filosofici", 1981, pp. 95-126; M. GIGANTE, Scetticismo e epicureismo, Napoli 1981; V. GoLDSCHMIDT, La théorie épicurienne du droit, "Archives de Philosophie du Droit", 1981, pp. 73-91; F. WoLFF, Logique de l'élément. Clinamen, Paris 1981; Euçlll'T)
354
www.scribd.com/Baruhk
"Diotima", 1983, pp. 211-214; D. KoNSTAN, Problems in Epicurean phy· sics, in Essays in ancient Greek philosophy, a cura di ].P. ANTON-A. PREUS, Albany (N.Y.) 1983; R. PHILIPPSON, Studien zu Epikur und der. Epikureen, intr. di W. ScHMID, a cyra di C.J. CLASSEN, Hildesheim-Zii· rich-New York 1983; J. PIGEAUD, Epicure et Lucrèce et l'origine du langa· ge, "Revue des Études Latines", 1983, pp. 122-144;J.P. GABAUDE, Anthropologie épicuriste du plaisir, "Revue de l'Enseignement Philosophique", 1983-1984, pp. 1-13; E. AsMIS, Epicurus' scientific method, Ithaca (N.Y.) 1984; G. GIANNANTONI, Il piacere cinetico nell'etica epicurea, "Elenchos", 1984, pp. 25-44; R. W. HIBLER, Happiness through tranquillity. The school of Epicurus, Washington 1984; W. HoEHKEPPEL, War Epikur ein Epikureer? Aktuelle Weisheitslehren d. Antike, Miinchen 1984; M. IsNARDI PARENTE, I democritei e l'antiscetticismo di Epicuro (Ratae sententiae XXIII-XXIV), in La storia della filosofia come sapere critico, studi offerti a M. DAL PRA, intr. di E. GARIN, Milano 1984, pp. 106-121; E. LLEDO I~uGo, El epicureismo, Barcelona 1984; W. ScHMID, Epicuro e l'Epicureismo cristiano, ed. it. con bibl. aggiornata da I. RocCA, Brescia 1984; A. ANGELI, L'esattezza scientifica in Epicuro e Filodemo, "Cronache Ercolanesi", 1985, pp. 63-84; C. DoMINICI, Epicureismo e stoicismo nella Roma antica. Lucrezio, Virgilio, Orazio, Seneca, Abano Terme 1985; C. GARdA GuAL, Epicuro, Madrid 1985; G. GIANNANTONI, Le plaisir cinétique dans l'éthique d'Épicure, in Histoire et structure, in memoria di V. GOLDSCHMIDT, a cura di}. BRUNSCHWIG-P. lMBERT-A. RoGER, Paris 1985, pp. 213-227; D.K. GLIDDEN, Epicurean prolèpsis, "Oxford Studies in Ancient Philosophy", 1985, pp. 175-217; M. IsNARDI PARENTE, Epicuro fra empirismo e apriorismo, "La Cultura", 1985, pp. 255-275; M.L. SILVESTRE, Democrito e Epicuro, Napoli 1985; R.M. STROZIER, Epicurus and Hellenistic philosophy, Washington 1985; D. CLAY, The cults of Epicurus, "Cronache Ercolanesi", 1986, pp. 11-28; O. GIGON, Zur Psychologie Epikurs, in Aspects de la philosophie hellénistique, a cura di H. FLASHAR-0. GIGON, Vandreuvres-Genève 1986, pp. 67-98; A.A. LoNG, Pleasure and social utility. The virtues of being Epicurean, in ibidem, pp. 283-324; M. PoPE, Epicureanism and the atomic swerve, "Symbolae Osloenses", 1986, pp. 77-97; M. CAPAsso, Comunità senza rivolta (Quattro saggi sull'epicureismo), premessa di M. GIGANTE, Napoli 1987; W. ENGLERT, Epicurus an the swerve and voluntary action, Decatur (Ga.) 1987; M. GIGANTE, La bibliothèque de Philodème et l'épicurisme romain, pref. di P. GRIMAL, Paris 1987; P. MITSIS, Epicurus an friendship and altruism, "Oxford Studies in Ancient Philosophy", 1987, pp. 127-153; R. MuLLER, Anthropologie und Ethik in der epikureischen Philosophie, Berlin 1987; W.F. OTTo, Epikur, Stuttgart 19872 ; A. ALBERTI, Sensazione e realtà. Epicuro e Gassendi (Accademia Toscana di
www.scribd.com/Baruhk
355
Scienze e Lettere "la Colombaria"), Firenze 1988; P. MITSIS, Epicurus' ethical theory. The pleasure of invulnerability, Ithaca (N.Y.)-London 1988; H. Jones, The Epicurean tradition, London-New York 1989; J. SALEM, Tel un Dieu parmi les hommes. L'éthique d'Épicure, Paris 1989; D. ScoTT, Epicurean illusions, "Classica! Quarterly", 1989, pp. 360-374; F. ADORNO, Le parole e le cose nell'epicureismo lucreziano. Alcune riflessioni sulla posizione storica di Epicuro e di Lucrezio, in Lucrezio. L 'atomo e la parola (Colloquio lucreziano- Bologna 26 gennaio 1989), Bologna 1990.
3. I primi Epicurei Oltre gli studi sopra citati sull'Epicureismo ed Epicuro, per gli immediati discepoli di lui (Aminomaco di Atene, insieme a Timocrate ed Ermarco, che ressero per primi 'il Giardino'; Ermarco di Mitilene; Metrodoto di Lampsaco; Polistrato), cfr. M. IsNARDI PARENTE, in Opere di Epicuro, cit., 1974, 1983 2 • Si veda inoltre, nella collana di testi ercolanesi diretta da M. GIGANTE, La Scuola di Epicuro: Polistrato. Sul disprezzo irrazionale delle opinioni popolari, a cura di G. INDELLI, Napoli 1978 (vedi anche M. CAPAsso, L 'opera polistratea sulla filosofia, "Cronache Ercolanesi", 1976, pp. 81-84; F. ADORNO, Polistrato e il suo tempo. Termini platonici e aristotelici in nuovi 'significati', "Elenchos", 1980, pp. 151-160); Ermarco. Frammenti, a cura di F. LoNGO AuRICCHIO, Napoli 1988; Demetrio Lacone. Aporie testuali ed esegetiche in Epicuro, a cura di E. PuGLIA, Napoli 1988; Demetrio Lacone. La poesia, a cura di C. RoMEO, Napoli 1988. Per gli altri Epicurei e per l'Epicureismo a Roma, con particolar riguardo a Filodemo di Gadara, cfr. nel III vol. (alle voci).
Il. LO STOICISMO. ZENONE DI CIZIO E I PRIMI STOICI l. Opere
Ancora fondamentale - pur se discutibile - resta la raccolta dei frammenti e delle testimonianze degli stoici antichi (da Zenone di Cizio a Boeto di Sidone) a cura di H. VON ARNIM, Stoicorum veterum fragmenta, 4 voll., Leipzig 1903-1924, anast., Stuttgart 1964 (I. Introduzione sulle fonti; frammenti di Zenone, Aristone, Erillo, Perseo, Cleante, Sfero;
356
www.scribd.com/Baruhk
II. Frammenti sulla logica e la fisica di Crisippo; III. Frammenti sulla morale di Crisippo; frammenti di Zenone di Tarso, Diogene di Babilonia, Antipatro di Tarso, Apollodoro di Seleucia, Archedamo di Tarso, Boeto di Sidone; IV. Indice lessico, a cura di M. AnLER). Per i frammenti e le testimonianze sulla logica si veda: La logica stoica. Testimonianze e frammenti, testi originali con introd. e trad. commentata, a cura di M. BALDASSARRI, 9 voli., Como 1984-1987 sgg. Per i testi relativi alla dialettica si veda l'ottima edizione critica a cura di K. HuLSER, in 4 voli., Stuttgart 1986-1988. Si veda anche: S. YAN RIET, Stoicorum veterum fragmenta arabica. A propos de Némésius d'Emèse, in Mélanges d'islamologie, in memoria di A. ALEF, a cura di P. SALMON, Leiden 1974, pp. 254-263. In traduzione italiana, accanto a una versione parziale degli "stoici antichi" (Zenone, immediati discepoli, Cleante) a cura di N. FESTA, 2 voli., Bari 1932-1935 (anast., 1971) e alla traduzione dei Frammenti morali di Crisippo, a cura di R. ANASTASI, Padova 1962, si veda la traduzione completa, Stoici antichi, con intr., note, bibliografia, a cura di M. IsNARDI PARENTE, 2 voli., Torino 1989. Si confronti anche l'antologia in francese, costituita di opere intere, o quasi, di autori che parlano dello stoicismo (Diogene Laerzio, Plutarco, Cicerone, Seneca, Epitteto, Marco Aurelio), di É. BRÉHIER, a cura di P.M. ScHUHL, Paris 1962, 1983 2 . Utile l'antologia a cura di P. INNOCENTI, La saggezza stoica, Firenze 1982. 2. Studi Di contro alla tradizionale maniera di esporre lo stoicismo come unica dottrina, tutta in blocco (ZELLER), e di contro alla netta svalutazione della logica degli stoici antichi (ZELLER; K. PRANTL, Geschichte der Logik im Abendlande, I, Leipzig 1855, anast. Graz 1955), la critica più recente ha teso a periodizzare sempre di più, delineando non un solo "stoicismo", ma più "stoicismi", rispondenti volta a volta a situazioni storiche e politiche diverse ove certe posizioni di fondo del primo stoicismo sono state assunte poi soprattutto in via ipotetica e in funzione di azioni politiche e di riforme etiche (indubbiamente lo stoicismo di Cicerone, mutuato in gran parte da Panezio, non è lo stoicismo di Zenone né ha la stessa funzione dello stoicismo-epicureo di Seneca, e lo "stoicismo" di Seneca non è lo "stoicismo"di Epitteto o di Marco Aurelio). Per altro verso, soprattutto per Zenone e Crisippo, in una maggiore storicizzazione dell'uno e dell'altro, si è veduto che il punto focale, da cui scaturisce
www.scribd.com/Baruhk
357
anche una 'fisica' e una 'morale', è stata la loro impostazione della logica, nel primo in discussione con !"analitica' aristotelica, nel secondo in una sistemazione della logica, in senso linguistico-semantico. Una prima delineazione di una storia della storiografia relativa agli stoici si veda in G. CAMBIANO, Lo Stoicismo, in Questioni di storiografia filosofica, a cura di V. MATHIEU, I, Brescia 1975, pp. 319 sgg. (anche P.M. ScHUHL, L'état des études stoi'ciennes, Congrès d' Aix en Provence, Paris 1964). Per una prima bibliografia vedi: P. INNOCENTI, La saggezza stoica, Firenze 1982; R.H. EPP, Stoicism Bibliography, "The SouthernJournal of Philosophy", (vol. XXIII, suppl.: Spindel Conference - Recovering the Stoics), 1985, pp. 125-171. In particolare confronta la bibliografia a cura di M. IsNARDI PARENTE, in Stoici antichi, cit., I, 1989, pp. 75-95. Per il primo aspetto (stoicismo in generale, 'ontologia' e 'fisica', 'psicologia' ed 'etica') e per uno studio dei vari momenti dello stoicismo, resta fondamentale l'opera di M. PoHLENZ, Die Stoa. Geschichte einer geistigen Bewegung, Gottingen 1959, 1984 (trad. it., La Stoa. Storia di un movimento spirituale, 2 voll., con aggiunta dell'autore per l'ed. italiana, Firenze 1967). Ma sempre per il primo aspetto si veda anche: V. 0GEREAU, Essai sur le système philosophique des Stoi'ciens, Paris 1885; P. STEIN, Die Psychologie der Stoa, 2 voll., Berlin 1886-1888; A. DYROFF, Die Ethik der alten Stoa, Berlin 1897; P. BARTH,, Die Stoa, Stuttgart 1902 (ed. riveduta da A. GoEDECKMEYER, 1946); E. BRÉHIER, La théorie des incorporels dans l'ancien Stoi'cisme, Paris 1908, 1982; É. BRÉHIER, Chrisippe, Paris 1910; E. BEVAN, Stoics and Sceptics, Oxford 1913, New York 1959; R.M. WENLEY, Stoicism and its influence, Boston 1924, New York 1963; K. REINHARDT, Kosmos und Sympathie, Miinchen 1926; J. BmEZ, La cité du monde et la cité du soleil chez !es Stoi'ciens, Paris 1932; E. GRUMACH, Physis und Agathos in der alten Stoa, Berlin 1932; O. RIETH, Grundbegriffe der stoischen Ethik, Berlin 1933, 1936; E. ELOURDUY, DieSozialphilosophiederStoa, "Philologus", suppl. XXVIII, 1936; P. PHILIPPSON, Zur Psychologie der Stoa, "Rheinisches Museum", 1937, pp. 59-82, 129-151; J. MoREAU, L'dme du monde de Platon aux Stoi'ciens, Paris 1939 (anast., Hildesheim 1965); G. MANCINI, L'etica stoica da Zenone a Crisippo, Padova 19402 ; M. PoHLENZ, Grundfragen der stoischen Philosophie, Gottingen 1940; G. VERBEKE, L'évolution de la doctrine du Pneuma du Stoi'cisme à saint Augustin, Louvain 1945, New York 1988; E. HoFFMANN, Leben und Tod in der stoischen Philosophie, Heidelberg 1946; M. PoHLENZ, Stoa und Stoiker, Ziirich 1950; M. REESOR, The politica! theory of the old and middle Stoa, New York 1951; V. GowscHMIDT, Le système stoi'cien et l'idée du temps, Paris 1953, 19773 ; H. e M. SIMON, Die alte Stoa und ihr Naturbegriff, Berlin 1956; J. BRUN, Le Stoici-
358
www.scribd.com/Baruhk
sme, Paris 1958 sgg. (1976 7 ed. riveduta); O. LuscHNAT, Das Problem der 1tPOK01tll in der alten Stoa, "Philologus", 1958, pp. 178-214; S. SAMBURSKI, Physics of the Stoics, London 1959, 197Jl; }. CHRISTENSEN, An Essay on the Unity of Stoic Philosophy, K0benhavn 1962; R. M. WENLEY, Stoicism and its Influence, New York 1963; E.A. ALAIN CHARTIER, La théorie de la connaissance des Stoiciens, a cura di L. GoMBERT, Paris 1964; P. AuBENQUE, La phronesis chez !es StoiCiens, "Actes du VII Congrès Budé" (aprile 1963), Paris 1964, pp. 291-293; G. VERBEKE, Le stoi~ cisme et le progrès de l'histoire, "Revue Philosophique de Louvain", 1964, pp. 5-38; M.E. REESOR, Fate and Possibility in early Stoic Philosophy, "Phoenix", 1965, pp. 285-297; A. BRinoux, Le stoiCisme et son influence, Paris 1966; G. WATSON, The Stoic Theory of Knowledge, Belfast 1966; L. EDELSTEIN, The Meaning of Stoicism, New York 1967, Cambridge (Mass.) 1969; A.A. LoNG, The Stoic Concept of Evi!, "The Philosophical Quarterly", 1968, 73; D. BABUT, Plutarque et le stoicisme, Paris 1969; P. HADOT, Zur Vorgeschichte des Begriffs-Existenz: Ù1t
www.scribd.com/Baruhk
359
1974; D. TsEKOURAKIS, Studies in the terminology of early Stoic ethics, Wiesbaden 1974; J.B. GouLD, Being, the world, and appearance in early stoicism and some other Greek philosophies, "Review of Metaphysics", 1974-1975, pp. 261-288; R. BL. Enww, The stoics on ambiguity, "Journal of the History of Philosophy", 1975, pp. 423-435; A. LE BouLLUEC, L 'allégorie chez les Stoi"ciens, "Poétique. Revue de Théorie et d' Analyse Littéraire", 1975, pp. 301-321; J. LoNGRIGG, Elementary physics in the Lyceum and Stoa, "Isis", 1975, pp. 211-229; L. MALUNowrcz6wNA, Les éléments stoiciens dans la consolation grecque chrétienne, "Studia Patristica", 1975, XIII, pp. 35-45; K.-H. RoLKE, Die bildhaften Vergleiche in den Fragmenten der Stoiker von Zenon bis Panaitios, Hildesheim-New York 1975; F.H. SANDBACH, TheStoics, London 1975; R.W. SHARPLES, Arisotelian and Stoic conceptions of Necessity in the "De Fato"of Alexanderof Aphrodisias, "Phronesis", 1975, pp. 247-274; B. WrsNIEWSKI, Le problème du dualisme chez les stoiciens, "Rivista di Cultura Classica e Medioevale", 1975, pp. 57-64; R. ALPERs-GoLz, Der Begriff Skopos in der Stoa und seine Vorgeschichte, Hildesheim-New York 1976; Y. BELAVAL, Sur la liberté stoi"cienne, "Kant Studien", 1976, pp. 333-338; M. DRAGONA MoNACHOU, The Stoic Arguments for the Existence and the Providence of the Gods, Athénai 1976; J. MARTINEZ LACALLE, Three Stoic propositions in Diogenes Laertius VII 69-80, "Phronesis", 1976, pp. 115-119; A. VrRIEUX-REYMOND, Pour connattre la pensée des Stoiciens, Paris 1976; W. GoRLER, Aat1EVJÌç aunKa-rat1Emç Zur stoischen Erkenntnistheorie, "Wiirzburger Jahrbiicher fiir die Altertumswissenschaft", 1977; D.E. HAHM, The origins of Stoic cosmology, Columbus (Ohio) 1977; AA.VV., The Stoics, a cura di J.M. RrsT, Berkeley (Ca.) 1978; A.A. LoNG, Dialectic and the Stoic Sage, in ibidem pp. 101-124; M. IsNARDI PARENTE, La politica della Stoa antica, "Sandalion", 1980, pp. 67-98; M. FoRSCHNER, Die stoische Ethik: iiber den Zusammenhang von Natur-, Sprach- und Moralphilosophie im altstoischen System, Stuttgart 1981; R. W. SHARPLES, Necessity in the Stoic doctrine of fate, "Symbolae Osloenses", 1981, pp. 81-97; A.A. LoNG, Soul and body in Stoicism, "Phronesis", 1982, pp. 34-57; J.B. GouLD, The Stoic conception of fate, in Essays in ancient Greek philosophy, a cura di J.P. ANTON-A. PREUS, Albany (N.Y.) 1983; On Stoic and Peripatetic ethics, a cura di W.W. FoRTENBAUGH, New Brunswick (N.J.) 1983 (da Ario Didimo); G. STRIKER, The role of 'oikeiosis' in Stoic ethics, "Oxford Studies in Ancient Philosophy", 1983, pp. 145-167; M. VEGETTI, La saggezza dell'attore. Problemi dell'etica stoica,· "Aut Aut", 1983, pp. 19-41; K. ABEL, Der historische Ort einer stoischen Schmerztheorie, "Hermes", 1985, pp. 293-311; F. ALESSE, Il problema della nascita dei concetti morali nello stoicismo antico, "Elenchos", 1985, pp. 43-65; S. BoTROS,
360
www.scribd.com/Baruhk
Freedom, causality, fatalism and earl Stoic philosophy, "Phronesis", 1985, pp. 274-304; K. CAMPBELL, Self-mastery and Stoic ethics, "Philosophy", 1985, pp. 61-83; M. DRAGONA-MONACHOU, Stoi'cisme et droits de l'homme, 1, "Discorsi", 1985, pp. 209-235; B. KIMPEL, Stoic mora! philosophies. Their counsel for today, New York 1985; B. INwooo, Ethics and human action in early Stoicism, Oxford 1985; A.M. IoPPOLO, L 'astrologia nello stoicismo antico, in La scienza ellenistica, Atti delle 3 giornate di studio - Pavia 14-16 aprile 1982, a cura di G. GrANNANTONr-M. VEGETTI, Napoli 1985, pp. 124-149; M. IsNARDI PARENTE, Il fuoco eonico di Cleante e i Pitagorici, in Sapienza antica, Studi in onore di D. PESCE, Milano 1985, pp. 120-129; R. L6BL, Die Relation in der Philosophie der Stoiker, Wiirzburg-Amsterdam 1985; F.H. SANDBACH, Aristotle and the Stoics, Cambridge 1985; B.D. SHAW, The divine economy: Stoicism as ideology, "Latomus", 1985, pp. 16-54; Spindel Conference: Recovering the Stoics, "The Southern Journal of Philosophy", suppl. vol. XXIII, a cura di R.H. EPP, 1985 (scritti di: P. BARKER, Jean Pena and Stoic Physics in the 10th Century, B.]. T. DoBBS, Newton and Stoicism, R.H. EPP, Stoicism Bibliography, D.E. HAHM, The Stoic Theory of Change, B. INwooo, The Stoics on the Grammar of Action, A.A. LoNG, The Stoics on World-Conflagration and Everlasting Recurrence; ].M. RrsT, Stoicism: Some Reflections on the State of the Art; D. SEDLEY, Stoic Metaphysics; N.P. WHITE, The Role of Physics in Stoic Ethics; M. FoRSCHNER, Das Cute und die Giiter. Zur Aktualitiit der stoischen Ethik, in Aspects de la philosophie hellénistique, a cura di H. FLASHAR-0. GrGON, Vandoeuvres-Genève 1986, pp. 325-359; A.M. IoPPOLO, Opinione e scienza. Il dibattito tra Stoici e Accademici nel III e nel II secolo a.C., Napoli 1986; J. MANSFELD, Diogenes Laertius on Stoic philosophy, "Elenchos", 1986, pp. 295-382; P. MrTsrs, Mora! rules and the aims of Stoic ethics, "TheJournal of Philosophy", 1986, pp. 556-557; P. STEINMETZ, Allegorische Deutung und allegorische Dichtung in der alten Stoa, "Rheinisches Museum fiir Philologie", 1986, pp. 18-30; J. GosLING, The Stoics and àKpaaia, "Apeiron", 1987, pp. 179-202; M. NussBAUM, The Stoics on the extirpation of the passions, "Apeiron", 1987; H. TARRANT, Peripatetic and Stoic epistemology in Boethus and Antiochus, "Apeiron", 1987, pp. 17-37; K. ALGRA, The early Stoics on the immobility and coherence of the cosmos, "Phronesis", 1988, pp. 155-180; C. ATHERTON, Hand over fist: the failure of Stoic rhetoric, ."Classica! Quarterly", 1988, pp. 392-427; R.J. HANKINSON, Stoicism, science and divination, in Method, medicine and metaphysics, Studies in the philosophy of ancient science, !":cura di R.J. HANKINSON, Edmonton 1988, pp. 123-160; U. WoLF, Uber den Sinn der Aristotelischen Mesoteslehre, "Phronesis", 1988, pp. 54-75; J.J. DuHOT, La conception stoi'cienne de la causalité, Pa-
www.scribd.com/Baruhk
361
ris 1989; M. IsNARDI PARENTE, Introduzione agli Stoici antichi, I, a cura di M.I.P., Torino 1989, pp. 9-74; G. LESSES, Virtue and the goods of fortune in Stoic mora! theory, "Oxford Studies in Ancient Philosophy", 1989, pp. 95-127; Recherches sur !es Stoi'ciens, a cura di]. BRUNSCHWIG, Paris 1989 (scritti di:]. BARNES; T.H. lRWIN; D. SEDLEY); M.E. REESOR, The nature of man in early stoic philosophy, London 1989. Per il second9 aspetto (la logica), oltre V.B. BROCHARD, La logique des Stoi'ciens, in Etudes de philosophie ancienne et de philosophie morale, Paris 1926, 19542 ; É. BRÉHIER, Chrysippe et l'ancien stoi'cisme, Paris 1932, 1977; A. REYMOND, Les principes de la logique et la critique contemporaine, Paris 1932, si vedano ora, entro i termini della logica moderna, formale e 'proposizionale', gli studi di H. }oERGENSENN, A Treatise of Forma! Logic, K0benhavn 1931; J. LuKASIEWICZ, Zur Geschichte der Aussagenlogik, "·Erkenntnis", 1935, pp. 111 sgg.; M. PoHLENZ, Die Begriindung der abendliindischen Sprachlehre durch die Stoa, Gottingen 1939; A. VIRIEUX REYMOND, La logique et l'épistémologie des Stoi'ciens, Chambéry 1950; B. MATES, Stoic Logic, Berkeley-Las Angeles 1953, 197Y; G. PRETI, Sulla dottrina del "semeion"nella logica stoica, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1956, pp. 5-14; K. BARWICK, Probleme der stoischen Sprachlehre und Rethorik, Berlin 1957; O. BECKER, Zwei Untersuchungen zur antiken Logik, Wiesbaden 1957; J. MAu, Stoische Logik, "Hermes", 1957, pp. 147 sgg.; E. CASARI, Sulla disgiunzione nella logica megarico stoica, "Actes du VIlle Congrès Internationale d'Histoire des Sciences", Firenze 1958; C.A. VIANO, La dialettica stoica, "Rivista di Filosofia", 1958, pp. 179 sgg.; A. PLEBE, Studi sulla retorica stoica, Torino 1960; V. GoLDSCHMIDT, Logique et rhétorique chez les Stoi'ciens, in La théorie de l'argumentation, Louvain 1963; M. MIGNUCCI, Il significato della logica stoica, Bologna 1965; F. ADORNO, I fondamenti della logica in Zenone stoico, in Studi sul pensiero greco, Firenze 1966; Symposion iiber die stoische Logik (St. Louis, Missouri, l maggio 1968) di AA.VV., in "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", 1969; R. B. ToDD, The Stoic Common Notions, "Symbolae Osloenses", 1973, pp. 47 sgg.; M. PREDE, Die Stoische Logik, Gottingen 1974 (si veda anche, tesi intermedia tra quelle del BROCHARD, del BRÉHIER e del REYMOND e quella del LuKASIEWICZ, la posizione assunta da A. VIRIEUX-REYMOND, La logique et l'épistémologie des Stoi'ciens, Lausanne 1949; si cfr. inoltre A.A. LoNG, The Logica! Basis of the Stoic Ethics, "Proceedings of the Aristotelian Society", 1970-1971, pp. 85-104); L. Pozzi, Il nesso di implicazione nella logica stoica, in Atti del convegno di storia della logica (Parma, 8-10 ott. 1972), Padova 1974, pp. 177-187; G. STRIKER, Kpt't'llPlOV 't'fjç CÌÀ.llt1Eiaç, "Nachrichten der Akademie der Wissenschaft Gottingen", 2, 1974; L. MELAZzo, La teoria del segno linguistico negli Stoci, "Lingua e Stile", 1975, pp.
362
www.scribd.com/Baruhk
199-230; A. SuRnu, Das Problem der stoischen deduktiven Schliisse, "Revue Roumaine des Sciences Sociales" (serie di Filosofia e Logica), 1975, pp. 253-264; G. CoRTASSA, Pensiero e linguagjf,io nella teoria stoica del OTJJ.lElOV, "Rivista di Filologia e d'Istruzione classica", 1978, pp. 385-394; Les Stoi'ciens et leur logique, Actes du Colloque de Chantilly1976, a cura diJ. BRUNSCHWIG, Paris 1978; M. BARATIN, L'identité de la pensée et de la parole dans l'ancien stoièisme, "Languages", 1982, pp. 9-21; D. SEDLEY, The stoic criterion of identity, "Phronesis", 1982, pp. 255-275; D. SEDLEY, On Signs, in Science and Speculation. Studies in Hellenistic theory and practice, a cura di}. BARNES-}. BRUNSCHWIG-M. BURNYEAT-M. ScHOFIELD, Cambridge-Paris 1982, pp. 239-273; P. SwrGGERS, Logica en grammatica bij de Stoa, "Tijdschrift voor Filosofie", 1983, pp. 256-260; J. BRUNSCHWIG, Remarques sur la théorie stoièienne du nom propre, "Histoire, Épistémologie, Langage", 1984, pp. 3-19; L. MARRONE, Il problema dei singolari e dei plurali nel pap. herc. 307, "Atti del XVII Congresso Internazionale di Papirologia" (N apoli 1983), N apoli 1984, pp. 419-427; D. SEDLEY, The negated conjunction in Stoicism, "Elenchos", 1984, pp. 311-316; A. VIRIEUx-REYMOND, L'originalité de la logique mégaro-stoi'cienne, "Diotima", 1984, pp. 172-174; W. CAVINI, La negazione di frase nella logica greca [da Aristotele a Crisippo] (in appendice Papiro Parigino 2, stoico, testo e commento), in Studi su Papiri greci di logica e di medicina, (Accademia Toscana di Scienze e Lettere "la Colorobaria", Studi 74), Firenze 1985; J.L. GARDIES, Sur le Òt&çwyJ,lévov de la logique stoièienne, "Logique et Analyse", 1985, pp. 385-394; D. SEDLEY, The Stoic theory of universals, "The Southern Journal of Philosophy", 1985, pp. 87-92; S. BoBZIEN, Die stoische Modallogik, Wiirzburg 1986; T. DoRANDI, Sulla logica stoica, "Giornale critico della filosofia italiana", 1989, pp. 260-262. 3. Da Zenone di Cizio a Cleante
Sui singoli stoici, oltre le opere d'insieme sopra citate, repertori bibliografici indicati e la specifica bibliografia a cura di M. IsNARDI PARENTE, negli Stoici antichi, cit., I, 1989, pp. 89-91 (Zenone), 91-92 (Cleante), 92-93 (Aristone di Chio, Erillo di Calcedone), 93-94 (Crisippo), 94-95 (Diogene di Babilonia), si vedano i seguenti studi di fondo: Zenone di Cizio I frammenti e le traduzioni, oltre che nelle raccolte sopra citate, si vedano a cura di A.C. PEARSON, The fragments of Zeno and Cleanthes,
www.scribd.com/Baruhk
363
London 1891 (anast., New York 1973). Si cfr.: E. WELLMANN, Die Philosophie des Stoikers Zenon, Leipzig 1873; C.B. ARMSTRONG, The Chronologs of Zeno of Citium, "Hermathena", 1930, pp. 360-365; G. MANCINI, L'etica stoica da Zenone a Crisippo, Padova 19402 ; A. ]AGU, Zénon de Citium, san role dans l'établissement de la morale stoicienne, Paris 1946; A.]. FESTUGIÈRE, La révélation d'Hermès Trismégiste, II, Paris 19493 ; F. ADORNO, I fondamenti della logica in Zenone stoico, in F .A., Studi sul pensiero greco, Firenze 1966, pp. 121-178; F.A. SHAMSI, Zeno's paradoxes. Towards a solution at last, "Islamic Studies", 1972, pp. 125-151; A. GRAESER, Zenon von Kition. Positionen und Probleme, Berlin-New York 1975; P. PACHET, La 'deixis' selon Zénon et Chrysippe, "Phronesis", 1975, pp. 241-246; J.M. RrsT, Zeno and Stoic consistency, "Phronesis", 1977, pp. 161-174 (anche in Essays in ancient Greek philosophy, a cura di ].P. ANTON-A. PREUS, II, New York 1983, pp. 465-477); J.M. RrsT, Zeno and the origins of Stoic Logic, in Les StoiCiens et leur logique, Colloque de Chantilly, Paris 1978, pp. 387-400; J.P. DuMONT, Le citoyen-roi dans la République de Zénon, "Cahiers de Philosophie Politique et Juridique", 1983, pp. 35-48; M. ScHOFIELD, The Syllogisms of Zeno of Citium, "Phronesis", 1983, pp. 31-58; J. VUILLEMIN, Sur deux cas d'application de l'axiomatique à la philosophie. L 'analyse du mouvement par Zénon d'Élée et l'analyse de la liberté par Diodore Kronos, "Fundamenta Scientiae", 1985, pp. 209-219; G. RoMEYER DHERBEY, Zénon appelle !es choses par leur nom. La chasteté de la langue d'après !es Stoiciens, "Mesure", 1990, pp. 47-59. Aristone di Chio ed Erillo: Oltre le bibliografie sopra citate, per una interpretazione complessiva di Aristone nel suo tempo, cfr.: A.M. IoPPOLO, Aristone di Chio e lo stoicismo antico, Napoli 1980; M. LANCIA, Aristone di Chio e Bione di Boristene, "Elenchos", 1980, pp. 276-291; M. ScHOFIELD, Ariston of Chios and the unity of virtue, "Ancient Philosophy", 1984, pp. 83-96. Su Erillo si veda: A.M. IoPPOLO, Lo stoicismo di Brillo, "Phronesis", 1985, pp. 58-78. Cleante: Oltre i frammenti nelle raccolte citate, si veda: A.C. PEARSON, The Fragments of Zeno and Cleanthes, London 1891 (anast., New York 1973); Cleanthes' Fragments: Texts and Commentary, diss., University of Illinois, 1988 a cura di A. ToHRU WATANAHE. Confronta:]. AnAM, The Hymn of Cleanthes, in The vitality of Plato-
364
www.scribd.com/Baruhk
nism and other. Essays, Cambridge 1911; H. VON ARNIM, Kleanthes, in R.E. PAULY-WISSOWA, l, 1921, coli. 558-574; E. NEUSTADT, Der Zeushymnus des Kleanthes, "Hermes", 1931, pp. 387-401; M. PoHLENZ, Kleanthes Zeushymnus, "Hermes", 1940, pp. 117-123; G. VERBEKE, Kleanthes von Assos, Bruxelles 1949; H. DoRRIE, Kleanthes, in R.E. PAULY-WissowA, suppl. 12, 1970, coli. 1705-1709; F. ALBINI, Osservazioni sull'Inno a Zeus di Cleante, "La Parola del Passato", 1985, pp. 275-280; M. lsNARDI PARENTE, Il fuoco eonico di Cleante e i Pitagorici, in Sapienza antica, Studi in onore di D. Pesce, Milano 1985, pp. 120-129; P.A. MEIJER, répaç in the Hymn of Cleanthes an Zeus, "Rheinisches Museum fiir Philologie", 1986, pp. 31-35; A. ToHRU WATANAHE, Introduzione e Commenti a Cleanthes Fragments, dissertazione, University of Illinois, 1988.
www.scribd.com/Baruhk
365
Parte terza
Il III e il II secolo a. C. Componenti culturali
l. LA 'FILOSOFIA' COME 'SCEPSI'. DA PIRRONE A TIMONE.
LO 'SCETTICISMO'
l. La scienza e il filosofare come 'ricerca'. Lo 'scetticismo' Di contro a una visione del cosiddetto "scetticismo" e alla posizione scettica considerate come una parentesi morta nei confronti dell' evoluzione della "filosofia regia"(Zeller), gli studi critici più recenti si sono volti a distinguere più forme di scetticismo, non riducibili l'uno all'altro, marispondenti ciascuno a situazioni e condizioni storico-culturali precise. Già cosl, molto giustamente, il Robin, autore di un libro su Pyrrhon et le scepticisme grec, Paris 1944, distingue lo "scetticismo" di Pirrone, contemporaneo circa di Aristotele, intrecciantesi con posizioni di 'afasia', relativamente alla struttura in sé della realtà, di democritei quali Metrodoro di Chio e Anassarco, per cui si mette in discussione la possibilità della 'definizione' aristotelica relativa alle 'usie' in sé, e lo 'scetticismo' come "atteggiamento" di un Timone di Fliunte, dal cosiddetto 'scetticismo' della Nuova Accademia (da Arcesilao a Carneade vissuti tra il III e il II secolo a.C.), ch'egli tratta in un paragrafo a sé, riallacciando invece al primo 'scetticismo' le posizioni di Enesidemo (I a.C.-I d.C.), di Agrippa (I d.C.) e di Sesto Empirico (II-III d.C.). In realtà queste ultime posizioni rispondono ad altri e più complessi problemi e andrebbero trattate in altro modo e in altra panoramica storico-culturale (da Carneade in poi si veda bibliografia in III e IV volume). Per una delineazione storica dei pensa tori e degli scienziati che si sono mossi tenendo un atteggiamento di 'ricerca' (scepsi) aperta di fronte a posizioni definitive e dogmatiche ('stoicismo' dopo Cleante e interpretazioni stoiche di Platone e di Aristotele), bisogna ricorrere a Sesto Empirico, medico del II secolo d.C., che nelle sue opere (dalle Ipotiposi pirroniane al Contro i dogmatici) ha ripercorso le posizioni che nella storia si sono indirizzate secondo il 'metodo' scettico (valido in tutti i campi e per tutte le scienze: fisiche, naturali, matematiche, filologiche, morali e politiche)
366
www.scribd.com/Baruhk
(cfr. F. ADORNO, Sesto Empirico: metodologia delle scienze e 'scetticismo', in Lo scetticismo antico, Atti del Convegno -Roma 1980, a cura di G. GrANNANTONI, II, Napoli 1982, pp. 447-485). 'Scetticismo' ha preso solo dopo un significato negativo, da parte di concezioni teologiche, religiose e dogmatico-ideologiche, per cui si sono dette scettiche le posizioni che impostano la 'scienza' sulla 'ricerca' e non su verità date, o imposte dogmaticamente.
2. Testimonianze e frammenti: edizioni. Traduzione italiana del 'corpus' degli scettici Per i cosiddetti 'scettici' manca una raccolta in un solo 'corpus' dei frammenti e delle testimonianze. Per Pirrone di Elide (cfr. sopra, bibliografia I. II. 2) abbiamo dal1981 una raccolta sistematico-critica delle testimonianze a cura di F. DECLEVA CArzzr, Napoli 1981. Rimandiamo a quest'opera per il commento, il testo, la traduzione, la bibliografia. Per i Si !li di Timone di Fliunte si veda H. DrELS, Poetarum philosophorum fragmenta, Berlin 1901, pp. 173-206; U. VON WrLAMOWITZ-MOELLENDORFF, Antigonos von Karystos, Berlin-Ziirich 1965 2 (per le testimonianze relative a Timone, pp. 41-44). Per gli Accademici da Arcesilao a Carneade (cfr. S. MECKLER, Academicorum Philosophorum Index Herculanensis, Berlin 19582 ) di cui abbiamo poche testimonianze, indichiamo A. GoEDECKMEYER, Die Geschichte des griechischen Skeptizismus, Leipzig 1905 (anast., Aalen 1968), che indica le fonti per gli Accademici (cfr. anche Bibliografia in A. Russo, Scettici antichi, Torino 1978). Per Arcesilao si veda H.J. METTE, Zwei Akademiker heute: Krantor von Solai und Arkesilaos von Pitane, "Lustrum", 1984, pp. 41-94. Per Carneade cfr. B. WrsNIEWSKI, Karneades. Fragmente und Kommentar, Wrodaw-Warszawa-Krak6w 1970. Per gli Accademici dopo Carneade si veda bibliografia in vol. III, I, 9. In versione italiana (oltre Pirrone. Testimonianze, a cura di F. DECLEVA CArzzr, cit., 1981) il 'corpus' delle testimonianze e delle fonti è raccolto a cura di A. Russo, Scettici antichi (da Pirrone a Sesto ecluso), Torino 1978 (Introduzione, Bibliografia: Pirrone; Timone; La crisi dell'Accademia antica; Arcesilao; Lacide; Carneade; Clitomaco; Filone di Larissa; Antioco d'Ascalona; gli Accademici di Cicerone; Enesidemo; Agrippa; Favorino; Scetticismo e Medicina). Per Sesto Empirico si veda oltre nel IV vol.: Sexti Empirici Opera, a cura di H. MuTSCHMAN-}. MAu, 4 voli., Leipzig 1912-1954 (il IV volume contiene i preziosi indici, a cura di K. JANACEK, Leipzig 1954, 19622).
www.scribd.com/Baruhk
367
3. Studid'insieme Per una prima bibliografia sistematica cfr. L. FERRARlA-G. SANTESE,
Bibliografia sullo scetticismo antico (1880-1979), Atti del Convegno- Roma, 5-8 nov. 1980, II, a cura di G. GIANNANTONI, Napoli 1981, pp. 753-850; P. MISURI Bibliografia sullo scetticismo antico (1979-1988), "Elenchos", 1990,pp.257-334. In generale rimandiamo alle opere di maggior rilievo: N. MACCOLL, The Greek Sceptics from Pyrrho to Sextus, London-Cambridge 1869; V. BROCHARD, Les sceptiques grecs, Paris 1887, 19232; S. SEPP, Pyrrhoneische Studien, Freising 189 3; P. RicHTER, Der Skepsis in der Philosophie, I, Leipzig 1904; A. GoEDECKEMEYER, Die Geschichte des griechischen Skeptizismus, Leipzig 1905 (anast., Aalen 1968); E. BEVAN, Stoics and Sceptics, Oxford.1913; L. RoBIN, Pyrrhon et le scepticismegrec, Paris 1944; A. LEVI, Il problema dell'errore nello scetticismo antico, "Rivista di filosofia", 1949, pp. 273 sgg.; M. DALPRA, Lo scetticismo greco, Milano 1950 (nuova ed. in 2 voli., Bari 1975, 1989); Les sceptiques grecs, scelta e trad. diJ.P. DuMONT, Paris 1966, 19892 ; A. NAESS, Scepticism, London 1969; C.L. STOUGH, Greek Skepticism: A Study in Epistemology, Berkeley-Los Angeles 1969; A.E. CHATZIBYSANDROS, Geschichte der skeptischen Tropen, Miinchen 1970; A. VERDAN, Le scepticisme philosophique, Paris 1971;J.P. DUMONT, Le scepticisme et le phénomène. Essai sur la signification et !es origines du pyrrhonisme, Paris 197 2; G. PRETI, Lo scetticismo e il problema della conoscenza, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1974, pp. 3-31, 123-143, 24 3-263; F. ADORNO, Filosofia e scienza, in La cultura ellenistica, t. 9 del vol. V della Storia e civiltà dei greci, cit., 1977, pp. 31 sgg.; Doubt and Dogmatism. Studies in Ellenistic Epistemology, a cura di M. ScHoFIELD-M. BURNYEAT-}. BARNES, Oxford 1980; Lo Scetticismo antico, Atti del Convegno organizzato dal Centro di studio del pensiero antico del C.N.R.- Roma, 5-8.nov. 1980, a cura di G. GIANNANTONI, Napoli 1981; G. CALOGERO, Socratismo e Scetticismo nel pensiero antico, in ibidem pp. 35-46; M. DAL PRA, Scetticismo e Realismo, in ibidem II, pp. 737-751; M. GIGANTE, Scetticismo e epicureismo. Per l'avviamento di un discorso storiagrafico, Napoli 1981; The skeptical tradition, a cura di M. BuRNYEAT, Berkeley (Ca.) 1983; G. DRAGO, Ricerche sulla problematica scettica antica: da Pirrone a Favorino, "Rivista Rosminiana di Filosofia e di Cultura", 1984, pp. 225-235; J. ANNAs-J. BARNES, The modes of scepticism. Ancient texts and modern interpretations, Cambridge 1985; P. AuBENQUE, V érité et scepticisme. Sur !es limites d'une réfutation philosophique du scepticisme, "Diogène", 1985, pp. 100-110; F. DECLEVA CAIZZI, Pirroniani ed Accademici
368
www.scribd.com/Baruhk
nel III secolo a.C., in Aspects de la philosophie hellénistique, a cura di H. FLASHAR-0. GIGON, Vandoeuvres-Genève 1986, pp. 147-183; T. MAuDUN, The structure of skepticism, "Ancient Philosophy", 1986, pp. 177-193; F. INCIARTE, Skepsis und Glaube. Zur Aktualitiit der hellenistischen Philosophie, "Theologische Revue", 1987, pp. 177-186; M.L. McPHERRAN, Skeptical homeopathy and self-refutation, "Phronesis", 1987, pp. 290-328; P. WoonRUFF, Aporetic pyrronism, "Oxford Studies in Ancient Philosophy", 1988, pp. 139-168;}. BARNES, The Toils of Scepticism, Cambridge 1990. 4. Da Pirrone di Elide a Timone di Fliunte
Sulla posizione di Pirrone, volto alla 'ricerca' aperta nel quadro storico del pensiero tra Platone-Aristotele e i dibattiti svoltisi tra democritei, cinici, logici, e la 'schematizzazione' storiografica di un Pirrone fondatore dello "Scetticismo', cfr. sopra, bibliografia I. II. 2. e Generalia sullo scetticismo (L. FERRARlA-G. SANTESE e P. MISURI, cit., 1981 e 1990). Per i testi, la bibliografia, il commento rimandiamo a Pirrone. Testimonianze, a cura di F. DECLEVA CAIZZI, Napoli 1981 (Pirrone non ha lasciato alcuno scritto: le testimonianze si ricavano da Diogene Laerzio, PirroneIX, 61 sgg.- e Timone- IX, 109 sgg. -,che usò una vita di Pirronescrittada Antigono Caristo, del III secolo a.C.; per il resto si veda il citato Pirrone.
Testimonianze). In traduzione italiana, oltre il citato Testimonianze a cura di F. DECLEVA C AIZZI, vedi A. Russo, Scettici antichi, cit., 1978. Per i rapporti tra Pirrone e i democritei, i megarici e i cinici, sul piano della problematica logica e nell'impostazione della prima fase della nuova epoca, cfr. F. ADORNO, Filosofia e scienze, in La cultura ellenistica, vol. V, t. 9 di Storia e civiltà dei Greci, cit., 1977, pp. 31 sgg. Mentre rimandiamo alle bibliografie citate di A. Russo (1978), F. DECLEVA CAIZZI (1981), L. FERRARlA-G. SANTESE (1982), P. MISURI (1990) e agli studi sullo 'scetticismo' in generale, indichiamo: CH. WADDINGTON, Pyrrhon et le pyrrhonisme, Paris 1887; S. SEPP, Pyrronische Studien, Freising 1893; M. RAPHAEL, Die pyrrhoneische Skepsis, "Philosophische Hefte", 1931, pp. 47-70; ].P. DuMONT, Le scepticisme et le phénomène. Essai sur la signification et les origines du pyrrhonisme, Paris 1972; M. CoNCHE, Pyrrhon ou l'apparence, Villers-sur-Mer 1973; M. PIANTELLI, Possibili elementi indiani nella formazione di Pirrone di Elide, "Filosofia", 1978, pp. 135-164; A. BRANCACCI, La filosofia di Pirrone e le sue relazioni con il Cinismo, in Lo Scetticismo antico, a cura di G. GIANNANTONI, cit., 1981, I, pp.
www.scribd.com/Baruhk
369
211-242; G. GIANNANTONI, Pirrone. La Scuola Scettica, in ibidem pp. 15-34; G. REALE, Ipotesi per una rilettura della filosofia di Pirrone di Elide, in ibidem, pp. 243-336; F. DECLEVA CAIZZI, Démocrite, l'Écoled'Abdèreet le premier Pyrrhonisme, in Proceedings of the Ist international Congress on Democritus, Xanto 1984; S. ZEPPI, Le radici presocratiche della gnoseologia scettica di Pirrone, in La storia della filosofia come sapere critico, Studi offerti a M. DAL PRA, intr. di E. GARIN, Milano 1984, pp. 75-91; B. NANAJIVAKO, The Indian origin of Pyrrho's philosophy of epoche, "Indian Philosophical Quarterly", 1985, pp. 319-340;}. BARNES, Diogene Laerzio e ilpirronismo, "Elenchos", 1986, pp. 383-427; P. WooDRUFF,Aporeticpyrrhonism, "Oxford Studies in Ancient Philosophy", 1988, pp. 139-168; H. W. AuSLAND, On the mora! origin of the Pyrrhonian philosophy, "Elenchos", 1989, pp. 359-434. Per i testi di Timone di Fliunte (Silli), cfr. sopra 2. Oltre gli studi d'insieme sullo 'scetticismo', le citate traduzioni (DECLEVA CAIZZI, Russo) e le relative bibliografie, indichiamo: G. VoGHERA, Timone di Fliunte e la poesia sillografica, Padova 1904. Cfr. anche: W. NESTLE, voce Timon, in R.E. PAULY-WISSOWA, VI A.2, 1937, coli. 1301-1303; M. GIGANTE, Di una lectio difficilior in un frammento di Timone, "La Parola del Passato", 1950, pp. 62-66; M. UNTERSTEINER, Contributi filosofici per la storia della filosofia: I, L 'incontro fra Timone e Pirrone, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1954, pp. 285-287; G. CoRTASsA, Due giudizi di Timone di Fliunte, "Rivista di Filologia e d'Istruzione classica", 1976, pp. 312-326; G. CoRTASSA, Note ai Silli di Timone di Fliunte, "Rivista di Filologia e d'Istruzione classica", 1978, pp. 140-155; A. LoNG, Timon of Phlius: PyrrhonistandSatirist, "Proceedings of the Cambridge Philological Society", 1978, pp. 68-91; F. DEeLEVA CAIZZI, Timone di Fliunte: i frammenti 74, 75, 76 Diels, in Storia della filosofia come sapere critico, cit., 1984, pp. 92-105. II. MOVIMENTI E CORRENTI DAL III AL II SECOLO A.C. IL COMPIMENTO DEL PENSIERO GRECO E ROMA
l. Crisippo, il secondo fondatore della Stoà, e Diogene di Babilonia. L'Accademia da Arcesilao a Carneade
a. Crisippo
Vissuto tra il281/277 e il208/204 a.C., già considerato dagli antichi come il secondo fondatore della Stoa, Crisippo di Soli si muove per un lato in contrapposizione allo stoicismo ontico scolastico di Cleante, per altro la-
370
www.scribd.com/Baruhk
to in un approfondimento di problematiche logico-linguistiche, proponendo- di contro all'aporetica dell'Accademia- un modo diverso d'intendere il rapporto tra i tre piani: il piano della logica e quelli dell'etica e della fisica. Si veda sopra la letteratura sullo 'stoicismo' in generale. In particolare si confronti la bibliografia relativa a Crisippo in Stoici antichi, a cura di M. IsNARDI PARENTE, cit., 1989. Indichiamo alcuni studi di fondo: É. BRÉHIER, Chrysippe, Paris 1910 (nuova ed., Chrysippeetl'ancienStoiCisme, Paris 1951, Paris-London-New York 1971); M. PoHLENZ, Zenon und Chrysippe, Gottingen 19 38; A. MATTIOLI, Ricerche sul problema della libertà in Crisippo, "Rendiconti dell'Istituto Lombardo", Classe di Lettere, Scienze morali e Storiche, 1939-1940, pp. 161-201; G. MANCINI, L'etica stoica da Zenone a Crisippo, Padova 19402 ; A.M. CoLOMBO, Un nuovo frammento di Crisippo?, "La Parola del Passato", 1954, pp. 376-384;J.B. GouLD, Chrysippus on the criterion for the Truth of a Conditional Proposition, "Phronesis", 1967, pp. 152-161; H. DoRRIE, Chrysippos, voceinR.E. PAULY-WissowA, suppl.12, 1970. coll.148-155;J.B. GouLD, ThePhilosophyofChrysippus, Leiden 1970 (con ampia bibliografia); D.E. HAHM, Chrysippus' Solution to the Democritean dilemma of the eone, "Isis", 1972, pp. 205-220; A.M. IoPPOLO, La dottrina della passione in Crisippo, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1972, pp. 251-268; P.L. DoNINI, Crisippo e la nozione del possibile, "Rivista di Filologia e d'Istruzione classica", 1973, pp. 333-351 (anche Fato e volontà umana in<.:.risippo, "Atti dell'Accademia delle Scienze di Torino", 1975, pp. 187-230); R.B. Tono, Chrysippus on infinite divisibility, "Apeiron", 1973, pp. 21-29; P. PACHET, La 'deixis' seton Zénon et Crysippe, "Phronesis", 1975, pp. 241-246; V. CELLUPRICA,
L 'argomento dominatore di Diodoro Crono e il concetto di possibile in Crisippo, in Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, a cura di G. GIANNANTONI, Bologna 1977, pp. 55-73; W. CAVINI, I sillogismi ipotetici del papiro parigino attribuito a Crisippo, "Siculorum Gymnasium", 1978, pp. 281-285; M. NADDEI CARBONARA, Crisippo. Vita, opere e prolegomeni alla filosofia secondo Arnim, II, "Atti dell'Accademia delle Scienze di Napoli", 1979, pp. 463-484; P. HAGER, Chrysippus's Theory of pneuma, "Prudentia", 1982, pp. 97 -108; M.J. WHITE, Zeno 's arrow, divisible infinitesimals and Chrysippus, "Phronesis", 1982, pp. 239-254; C. GILL, Did Chrysippus understand Medea?, "Phronesis", 1983, pp. 136-149; J. MANSFELD, Techne. A new Fragment of Chrysippus, "Greek-Roman-andByzantine Studies", 1983, pp. 57-65; L. MARRONE, Proposizione e predicato in Crisippo, "Cronache Ercolanesi", 1984, pp. 135-146; J. BARNES, Ilu1avà OUVTJJlÉVa (Crisippo), "Elenchos", 1985, pp. 453-467; W. CAVINI, La negazione di frase nella logica greca [da Aristotele a Crisippo], in Studi su papiri greci di logica e di medicina, (Accademia To-
www.scribd.com/Baruhk
371
scana di Scienze e Lettere "la Colombaria", Studi, 74), Firenze 1985; L. CouLOUBARITSIS, La 1psychologie chez Chrysippe, in Aspects de la philosophie hellénistique, a cura di H. FLASHAR-0. GIGON, Vandoeuvres-Genève 1986, pp. 99-146;]. MANSFELD, Chrysippus and the "Placita", "Phronesis"j 1989, pp. 311-342.
b. Diogene di Babilonia Oltre le opere d'insieme sullo stoicismo, i testi e i frammenti citati sopra, e le traduzioni, cfr. la bibliografia, in Stoici antichi, a cura di M. IsNARDI PARENTE, cit., 1989. Indichiamo: H. VON ARNIM, voce Diogenes von Seleukeia, in R.E. PAULY-WissowA, I, 1905; E. HoLZER, Zu Philodemus 7t&pì J.lOUOtKKf\ç, "Philologus", 1907, pp. 498-502; M. ScHAFER, Diogenes als Mittelstoiker, "Philologus", 1936, pp. 174-196; O. LusCHNATH, Zum Texte von Philodemus Schrift 'De Musica', Berlin 1953; F. SBORDONE, Filodemo e la teoria dell'eufonia, "Rendiconti dell'Accademia Archeologica di Napoli", 1955, pp. 25-51; A.J. NEUBECKER, Die Bewertung der Musik bei Stoikern und Epikureern: eine Analyse von Philodemus Schrift "De Musica", Berlin 1956; G.M. RisPOLI, Filodemo sulla musica, "Cronache Ercolanesi", 1974, pp. 57-87;J.P. DUMONT, DiogènedeBabyloneetlapreuveontologique, "Revue Philosophique de la France et de l'Étranger", 1982, pp. 389-395; J.P. DuMONT, Diogène de Babylone et la déesse Raison, "Bulletin de l'Association G. Budé", 198,4, pp. 260-278. c. L 'Accademia da Arcesilao a Carneade
Per i testi, le versioni, le bibliografie generali cfr. sopra. La critica, in una revisione storica della posizione di Platone, è volta a riprendere le testimonianze della Nuova Accademia studiandone il significato antistoico in una interpretazione del Platone aporetico e socratico. Sulla Accademia nel III-II sec. in generale, oltre gli studi sopra citati relativi allo 'scetticismo', con particolare riguardo ai volumi del DAL PRA, Lo scetticismo greco, cit., 1989 3 , e della STOUGH, Greek Scept., cit., si veda: L. CREDARO, Lo scetticismo degli Accademici, 2 voll., Roma 1888-1893 (con una premessa di F. DECLEVA CAIZZI, anast., Milano 1985); CH. WADDINGTON, Le scepticisme après Pyrrhon: /es nouveaux Académiciens, "Séances et travaux de l' Académie des Sciences morales et politiques", Paris, 1902; H. HARTMAN, Gewissheit und Wahrheit: der Streit zwischen Stoa und akademischer Skepsis, Halle 1927; P. ComsSIN, Le Stoi'cisme de la nouvelle Académie, "Revue d'histoire de la philosophie", 1929, pp. 241 sgg.; P. ComssiN, L'origine et l'évolution de l'epo-
372
www.scribd.com/Baruhk
ché, "Revue des Études Grecques", 1929, pp. 373 sgg.; O. GIGON, Zur Geschichte der sogenannten Neuen Akademie, "Museum Helveticum", 1944, pp. 47 sgg.; H. CHERNISS, The Riddle of the Early Academy, Berkely (Ca.) 1945 (trad. it., Firenze 1974); A. WEISCHE, Cicero und die Neue Akademie, Miinster 1961, 1975 2 (si veda ora in R. HIRZEL, Untersuchungen zu Ciceros philosophischen Schriften, Leipzig 1877-1883, anast., Hildesheim 1964). Si veda inoltre C. MoRESCHINI, Atteggiamenti scettici ed atteggiamenti dogmatici nella filosofia accademica, "La Parola del Passato", 1969, pp. 426 sgg. Cfr. inoltre: A.M. IoPPOLO, Opinione e scienza. Il dibattito tra Stoici e Accademici nel III e II secolo a.C., Napoli 1981; H. TARRANT, Scepticism or Platonism? The philosophy of the Fourth Academy, London-New York 1985; F. DECLEVA CAIZZI, Pirroniani e Accademici nel III secolo a.C., in Aspects de la philosophie hellénique, a cura di H. FLASHAR-0. GIGON, Vandoeuvres-Genève, 1986, pp. 147-183; J. ANNAS, Platon le sceptique, "Revue de Métaphysique et de quorale", 1990, pp. 267-291. Arcesilao Per le testimonianze e i frammenti relativi ad Arcesilao, oltre U. WILAMOWITZ-MOELLENDORFF, Antigonos von Karistos, cit., pp. 70-76, si veda la prima raccolta sistematica a cura di H.J. METTE, Zwei Akademiker heute: Krantor von Soloi und Arkesilaos von Pitane, "Lustrum", 1984, pp. 41-94. In traduzione italiana si vedano i citati Scettici antichi, a cura di A. Russo, 1978, pp. 161-202 (cfr. Bibliografia). Si vedano sopra gli studi sullo 'scetticismo' in generale, sulla Accademia tra il IV e il II secolo a.C. e le relative bibliografie. In particolare si confronti: L. FERRARlA-G. SANTESE, Bibliografia sullo scetticismo antico: 1880-1978, in Lo Scetticismo antico, cit., a cura di G. GIANNANTONI, 1981, pp. 753-780 e P. MISURI, Bibliografia sullo scetticismo antico (1979-1988), "Elenchos", 1990, pp. 257-334; T. DORANDI, in Dictionnaire des Philosophes Antiques, cit. I, pp. 326-330 (si veda anche in T. DoRANDI, cit., le fonti biografiche antiche). Si veda inoltre: E. BICKEL, Ein Dialog aus der Akademie des Arkesilaos, "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", 1904, pp. 460-479; A. CARLINI, Alcuni dialoghi pseudo platonici e l'Accademia di Arcesilao, "Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa", 1962, pp. 33-63; H. DoRRIE, voce Arkesilaos in R.E. PAULY-WissowA, 5, I, 1964, col. 596; M. GIGANTE, Poesia e critica letteraria in Arcesilao, in Ricerche Storiche ed Economiche in memoria di C. Barbagallo, a cura di L. DE RosA, 3 voll., Napoli 1970, pp. 429-441; C. LEVY, Scepticisme et dogmatisme dans l'A-
www.scribd.com/Baruhk
373
cadémie. 'L 'Ésoterisme de Arcésilas', "Revue des Études Latines", 1978, pp. 335-348; A.M. IoPPOLO, Il concetto di 'Eulogon' nella filosofia di Ar- . cesilao, in Lo Scetticismo antico, cit., a cura di G. GIANNANTONI, 1981, I, pp. 143-161; M. LANCIA, Arcesilao e Bione di Boristene, in ibidem, pp. 163-177; L.M. NAPOLITANO, Arcesilao, Carneade e la cultura matematica, in ibidem, pp. 179-193; A. BRANCACCI, Teodoro l'ateo e Bione di Baristene fra Pirrone e Arcesilao, "Elenchos", 1982, pp. 55-85; A.M. IoPPOLO, 'Doxa' e epoché in Arcesilao, "Elenchos", 1984, pp. 317-363; A.A. LoNG, Diogenes Laertius, Life of Arcesilaus, "Elenchos", 1986, pp. 429-449; T. DoRANDI, voce Arcésilas de Pitane, in Dictionnaire des Philosophes Antiques, cit., 1989, I, pp. 326-330. Carneade Non scrisse; platonico antidogmatico e aporetico, scolarca dell'Accademia, venuto a Roma in ambasceria nel156 a.C., abbiamo di lui testimonianze da parte di suoi discepoli. Testimonianze sono state raccolte da B. WISNIEWSKI, Karneades, Fragmente und Kommentar ("Archiwum Filologiczne", 24), WrodawWarszawa-Krak6w 1970. In versione italiana le testimonianze relative a Carneade e alla sua scuola si vedano in Scettici antichi, a cura di A. Russo, cit., 1978 (non viene seguita la raccolta del Wisniewski). Oltre le bibliografie (per le particolari cfr. A. Russo, L. FERRARlA-G. SANTESE, P. MISURI) e gli studi sopra ciati, indichiamo: C. MARTHA, Le Philosophe Ca,rnéade à Rome, "Revue des Deux Mondes", 1878, pp. 71-104 (ora in Etudes mora/es sur l'antiquité, Paris 1883, 18892 , 1986 3 ,); F. ALESSIO, Carneade, Mondovl 1890; H. VON ARNIM, voce Karneades, in R.E. PAULY-WISSOWA, X, 2, 1919, coli. 1964-1985; F.M. DI MARTINO, L 'Ambasciata a Roma del156 da parte di Atene per la riduzione delle riparazioni, "Mouseion", 1923, pp. 189-192; M.A. MUEGGE,
Carneades of Injustice. An Amoral Story with the Famous Lecture of 155 b.C., Kent 1923; A. KROKIEWICZ, Karneades, "Kwartalnik Filozoficzny", 1929, pp. 353-418; J. CROISSANT, La morale de Carnéade, "Revue Internationale de Philosophie", 1938-1939, pp. 545-570; P. çomsSIN, Les sorites de Carnéade contre le polythéisme, "Revue des Etudes Grecques", 1941, pp. 43-57; E.L. MINAR, The Positive Beliefs of the Skeptic Carneades, "The Classica! Weekly", 1949, pp. 67-71; N. D'AMATI, Carneade, chi era costui?, "Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto", 1954, pp. 398-406; A.A. LoNG, Carneades and the Stoic Telos, "Phronesis", 1967, pp. 59-90; D. AMAND, Fatalisme et liberté dans l'anti-
quité grecque. Recherches sur la survivance de l'argumentation morale an/ifataliste de Carnéade [. ..],Amsterdam 1973; S. NoNVEL PIERI, Carneade,
374
www.scribd.com/Baruhk
Padova 1978; W.N.A. KLEVER, Carneades, Louvain-Paris 1982; R. BETI, Carneades' 'pithanon': A reappraisal of its role and Status, "Oxford Studies in Ancient Philosophy", 1989, pp. 59-94. 2. I 'filosofi' di Alessandria: le scienze dal IV-ill sec. al II sec. a.C.
Parte del Peripato si trasferl ad Alessandria e là, nel Museo e nella Biblioteca, sulla scia di Teofrasto e di Stratone di Lampsaco, accantonata la possibilità di cogliere sul piano scientifico il 'ciò che è', si pose a studiare le condizioni che rendono possibili le scienze. In Alessandria si precisò in tal modo una grande scuola scientifica, simile, come metodo, alle prime scuole di logica e di etica. I 'filosofi' di Alessandria (gli 'scien" tifici') furono dagli antichi posti sullo stesso piano dei filosofi dell'uomo, almeno fino a Cleante e al suo ontologismo teologico. Tra la scuola di Aristotele e il II secolo a.C. fiorirono Euclide, Archimede, Apollonia di Perge, Aristarco di Samo, Eratostene di Cirene; medici come Prassagora, Erofilo, Erasistrato. Sulle scienze da Eudosso di Cnido al II secolo a.C. si confrontino le citate storie della scienza e delle scienze particolari, in I vol., Generalia, 4,i. In particolare si veda: A. REYMOND, Histoire des sciences exactes et naturelles dans l'antiquité gréco-romaine, Paris 1924; ]. BEAUJEU, La science hellénistique et romaine, in Histoire générale des sciences, I, Paris 1957; P. BuRNET, La science dans l'Antiquité et le Moyen .Age, in Histoire de la science, a cura di M. DAUMAS, Paris 1957; R. TATON, Histoire générale des sciences, I, Paris 1961; J. LINDSAY, Origins of astrology, New York 1971; Greek science alter Aristotle, London 1973; T. RITTI, Scienza e tecnica (Aspetti della ricer-
ca scientifica; Matematica; Astronomia e Geografia; Botanica e Zoologia; Chimica e Geologia; Meccanica; Acustica e Ottica; Realizzazioni tecniche; Medicina; Le esplorazioni geografiche), in Storia e civiltà dei Greci, V., cit., 1977, pp. 108-168; AA.VV., La scienza ellenistica, Atti delle tre giornate di studio - Pavia 14-16 aprile 1982 -, a cura di G. GIANNANTONI-M. VEGETTI, Napoli 1985; F. FRANCO REPELLINI, Ipparco e la tradizione astronomica, in ibidem, pp. 187-223; M. CoNTI, voce Scientifici (scrittori), in Dizionario degli scrittori Greci e Latini, dir. F. DELLA CoRTE, III, Milano 1987, pp. 1941-1961. I due testi di Autolico di Pitane (fine del IV secolo) si vedano nell'edizione a cura di FR. HuLTSCH, Autolyci De Sphaera quae movetur liber; De ortibus et occasibus libri duo, Leipzig 1885, e nell'edizione a cura di P. MoGENET, Autolycus de Pitane, storia del testo, seguita dall'edizione critica dei Traités, Louvain 1950.
www.scribd.com/Baruhk
375
Le opere di Euclide si vedano nelle edizioni a cura di L. HEIBERG-H. MENGE, Opera, Leipzig 1883-1916 e suppl., e di TH. HEATH, testo, intr. e commento, Cambridge 1908 (con il solo testo, Cambridge 1908, 19262). Per Aristarco di Samo cfr. TH. HEATH, Aristarchus of Samos the Ancient Copernicus, a New Greek Text with Translation and Notes, Oxford 1913 (cfr. A. V. LEBEDEV, Aristarchus of Samos on Thales' theory of ecli-pses, "Apeiron", 1990, pp. 77-85). Per Archimede cfr. le edizioni a cura di J.L. HEIBERG, Archimedes Opera, Leipzig 1910-1915; di TH. HEATH, The Works of Archimedes, note, introd., NewYork 19532. Per Eratostene cfr. E. HrLLER, Der 'Platonikòs' des Eratosthenes, "Philologus", 1870; Eratosthenis Carminum reliquiae, a cura di E. HrLLER, Leipzig 1872; C. RoBERT, Pseudo-Eratosthenes Catasterismorum reliquiae, Berlin 1878; H. BERGER, Die geographischen Fragmente des Eratothenes, Leipzig 1880. Per i frammenti dell'opera di Apollonia di Perga si vedano i frammenti, a cura diJ.L. HEIBERG, Leipzig 1891-1893; TH. HEATH, Apollonius Treatise of Conic Section, comm. e note, Cambridge 1961 2 . Per Arato di Soli si veda l'edizione a cura di J. MARTIN, Arati Phaenomena, ed. crit., con trad. frane. in appendice, Firenze 1956 (anche a cura di M. ERREN, Die Phainomena des Aratos von Solai, Wiesbaden 1967). Delle opere di Ipparco di Nicea è rimasto solo un commento ai Fenomeni di Arato (si veda a cura di K. MANITIUS, In Arati et Eudoxi Phaenomena commentariorum libri tres, Leipzig 1894) e alcuni frammenti dell'opera geografica: H. BERGER, Die geographischen Fragmente des Hipparch, Leipzig 1869, e The Geographical Fragments of Hipparchus, a cura di D.R. DrcKs, London 1960. Per il medico Prassagora cfr: The Fragments of Praxagoras of Cos and His School, ed. e trad. a cura di F. STECKERL, Leiden 1958. Per il medico Erofilo cfr.: Herophilus. The art of medicine in early Alessandria, edizione, trad. e saggi, a cura di H. VON STADEN,Cambridge 1989. In traduzione italiana si vedano: EucLIDE, Gli Elementi, a cura di A. FRAJESE-L. MACCIONI, Torino 1970 (cfr. Introduzione e Nota bibliografica) (si cfr. anche: M. CAVEING, Le sens de l'axiomatisation euclidienne, Strasbourg 1980; D.H. FoWLER, Investigating Euclid's 'Elements', "The British Journal of the Philosophy of Science", 1983, pp. 57-70). . ARCHIMEDE, Opere, a cura di A. FRAJESE, Torino 1974 (cfr. Introduzione e Nota bibliografica) (si veda inoltre: E. RuFJNI, Il ''Metodo"di Ar-
376
www.scribd.com/Baruhk
chimede e le origini del cakolo infinitesimale nell'antichità, Milano 1961; A. FRAJESE, Archimede, in I Protagonisti della Storia Universale, II, Milano 1968; M. CLAGETT, Archimedes in the Middle Ages, Philadelphia 1980; G. CAMBIANO, Archimede e la crescita della geometria, in La scienza ellenistica, cit., 1985, pp. 129-149). PRASSAGORA DI Cos, Frammenti, a cura di I. C. CAPRIGUONE, Napoli 1982 (Introduzione e note bibliografiche). EROFILO, Frammenti, a cura di H. VON STADEN, Cambridge 1989 (Introduzione e saggi).
www.scribd.com/Baruhk
377
www.scribd.com/Baruhk
Indice dei nomi
Achille Tazio, 218. Aezio, 206, 209, 210, 211, 213, 218, 234,237. Agide di Sparta, 242. Agostino (S.), 13. Alceo, 280. Alcibiade, l 7. Alcidamante, 129. Alcioneo, 232, 233. Alessandro di Afrodisia, 13, 14, 91, 160, 212,267. Alessandro di Tessaglia, 15. Alessandro Magno, 7, 8, 22, 27, 28, 120, 121, 129, 131, 133, 134, 154, 156, 164, 165, 167, 168, 169, 170, 177,233. Alessandro Polyhistor, 170. Alexino di Elide, 148, 226, 229, 230, 234. Aminta II di Macedonia, 7, 20. Ammonio, 26 7. Anassagora, 62, 158, 176, 181, 191. Anassarco, 164, 165, 166-167, 169, 170, 173. Anassimandro, 162. Andronico di Rodi, 13, 103, 104. Anniceride, 168. Antifane di Rodi, 165. Antifonte di Atene, 129, 256. Antigono Caristo, 169, 170, 172, 173, 224, 226. Antigono Gonata, 228, 230, 232, 233. Antioco di Ascalona, 280. Antipatro di Macedonia, 27, 121, 134, 154, 155.
Antipatro di Sidone, 281. Antipatro di T arso, 272, 273. Antistene, 11, 158, 165, 171, 194. 205. Apellico di Teo, 13. Apollodoro di Atene, 170. Apollodoro di Cizico, 165. Apollonio di Cirene, 145. Apollonio di Perga, 250, 253, 255, 256, 258-259, 260. Apuleio, 13. Arato di Sicione, 230, 233. Arato di Soli, 232. Arcesilao, 225, 226, 243-249, 250, 253,264,265,266,267,268,273, 274,275. Archiloco, 230. Archimede, 157, 227, 250, 253, 254, 255, 261-262. Archita, 256. Arete, 164, 168. Ario Didimo, 236, 23 7. Aristarco di Samo, 157, 253, 254255. Aristeo, 258. Aristippo di Cirene, 168, 200. Aristippo di Cirene accademico, 273, 274, Aristippo Metrodidatta, 164, 168. Aristobulo epicureo, 178, 229. Aristocle, 170, 171, 172, 224. Aristone di Ceo, 274. Aristone di Chio, 204, 226, 229-230, 246. Aristosseno, 155, 160-161.
www.scribd.com/Baruhk
379
Aristotele, 7-143, 144, 145, 146, 147, 148, 149-154, 155, 156, 157, 158, 159, 160, 161, 164, 170, 171, 175, 176, 181, 191, 194,205,206,207, 215, 224, 226, 227, 229, 233, 248,; 250,251,253,256,257,265,267, 269,270,274,275,276. Arnim, H. von, 176, 230,265, 269. Arriano, 212. Arrighetti, G., 200. Ascanio di Abdera, 172. Asdrubale Clitomaco v. Clitomaco. Ateneo di Naucrati, 13, 200, 232, 280. Attalo I di Pergamo, 258. Aubonnet,J., 118, 129, 134. Aulo Gellio, 232, 271. Autolico di Pitane, 243, 248, 249, 253. Averroè, 40, 91. Basilide, 229. Bastide di Metrodoro, 229. Beaujeu,J., 252,255,263. Bernardakis, G. N., 229. Bignone, E., 17, 82, 199,200. Bione di Abdera, 165. Bione di Boristene, 272. Boezio, 13. Brisone, 170. Brochard, V., 169. Brunetto Latini, 111. Calcidio, 217, 237, 239. Callippo, 72. Callistene, 22, 27, 120, 129. Carmada, 280. Carneade, 226, 246, 247, 248, 250, 253, 264, 270, 273-280. Carneade di Polemarco, 274, 280. Cassandro, 155. Catone, 279. Celso Aureliano, 262, 264. Cercida di Megalopoli, 272. Cesare, 252.
380
Cheredemo, 178, 229. Cherestrata, l 77. Cicerone, 13, 15, 17, 82, 161, 162, 163, 166, 168, 183, 184, 185, 198, 203, 209,210,211,212,214i216, 217,219,220,224,228,231,237, 244,245,246,248,265,266,271, 272,273,274,277,279,280. Cleante, 157, 204, 206, 207, 215, 218, 220, 226, 228, 231, 232, 233-243, 244, 245, 247, 249, 250, 253,254,255,264,265,266,271, 274. Clearco dlSoli, 155. Clemente Alessandrino, 13, 166. Cleomede, 259. Cleomene di Sparta, 242. Clinomaco di Turi, 145. Clitomaco di Cartagine, 246, 248, 274, 279, 280. Colli, G., 37, 144. Colote, 178, 228, 229. Commandino, F., 254. Conone di Samo, 259, 261. Corisco di Scepsi, 20, 21, 22. Coussin, P., 173,247. Crantore,243,245,246,248. Cratete di Atene, 243, 244, 245, 248, 274. Cratete di T arso, 274, 280. Cratete di Tebe, 148, 168, 169, 204, 205,231. Cremonide, 233. Crisippo, 157, 206, 207, 215, 218, 220, 226, 242, 243, 264, 265-273, 274,275,276,277,278. Crisippo il giovane, 262. Critolao, 273, 274, 279. Ctesibio, 253. Dal Pra, M., 169, 173,247, 277,278. David, 13. Della Corte, F., 232. Demetrio Falareo, 13, 155, 156, 251, 252. Demetrio Poliorcete, 155.
www.scribd.com/Baruhk
Democrate v. Democrito. Democrito, 56, 62, 158, 164, 165, 170,181,194,203,257,262. Demostene, 21, 22, 155, 177. Dicearco, 155, 160, 161-162. Didimo, 21, 22. Diels, H., 139, 159, 165, 172, 173, 224, 225, 227. Diocle di Caristo, 262. Diocle Magnesio, 208, 209. Diodoro Crono, 144, 145, 146-147, 148, 150, 171, 175, 205, 216, 246, 247,266. Diodoro di Tiro, 274. Diodoro Siculo, 154. Diofante, 252. Diogene di Babilonia (o di Seleucia), 270,272,273,274,279. Diogene di Enoanda, 184, 185, 201. DiogenediSinope, 147,148,169. Diogene di Smirne, 165, 166. Diogene Laerzio, 13, 14, 27, 104, 147, 155, 167, 168, 169, 170, 171, 172, 173, 174, 176, 178, 181, 191, 192,193,194,204,205,206,207, 208,209,210,211,212,213,214, 217,218,219,220,224,226,229, 231,232,234,237,240,243,246, 247,248,265,266,267,269,272, 273. Dione di Siracusa, 15, 24. Dionigi di Eraclea, 230,231. Dionisio epicureo, 229. Dionisio II di Siracusa, 15, 24. Diotimo di Tiro, 165. Dirlmeier, F., 143. Dodds, E. R., 157. Dositeo, 261. Ecateo di Abdera, 164, 165, 166. Ecateo di Mileto, 162. Ecateo di Teo v. Ecateo di Abdera. Egesia, 164, 168. Egesino di Pergamo, 273, 274. Elenchino v. Alexino. Elia, 13, 14.
Eliano, 167. Emilio Paolo, 232, 281. Empedocle, 62, 142. Enesidemo, 171, 172, 173. Epicuro, 157, 163, 164, 165, 168, 174, 175, 176, 177-203, 204, 223, 225,226,227,228,229,231,233, 244,250,253,257,276,280. Epitteto, 147,212,231,240. Eraclide Pontico, 254, 255. Erasistrato, 253, 262-263, 264. Erasto di Scepsi, 20, 21, 22. Eratostene, 129, 170, 174,250,253, 259-260, 261. Erillo di Cartagine, 204, 230,231. Ermagoa di Temno, 270. Ermarco di Mitilene, 229. Ermia di Atarneo, 7, 20, 21, 22, 121, 154. Ermippo, 243. Erofilo, 157, 253, 262-263, 264. Erone, 252. Erpillide, 7, 154. Eubulide, 140, 145-146, 147, 150, 154,171,175,195,205,229. Eubulo, 121. Euclide, 157, 227,253, 256-258, 259, 260. Euclide di Mègara, 11, 37, 144, 145, 146,147,158,171,194,205. Eudemo di Cipro, 15, 16. Eudemo di Rodi, 103, 158, 160. Eudosso di Cnido, 72, 113, 114, 254, 256,258. Eurolico, 226. Eusebio, 166, 168, 170, 171, 210, 231,235,236,246. Evandro, 273, 274. Evemero di Messana, 282. Fàlanthos v. Aristone di Chio. Falea Calcedonio, 119. FaniadiEreso, 155. Farrington, B., 79, 80, 178, 179, 198. Pedone di Elide, 170. Festa, N., 232, 238.
www.scribd.com/Baruhk
381
Festi, 7. Fidia di Siracusa, 261. Filino di Cos, 263, 264. Filippo di Macedonia, 7, 20, 21, 22, 24, 154, 233. Filisco, 280. Filista, 174. Filodemo di Gadara, 13, 178,270. Filolao, 256. Filone di Atene, 226. Filone di Bisanzio, 253. Filone di Larissa, 280. Filone Ebreo, 13. Filone megarico, 148, 205. Filonide, 232. Filopono, 13. Frajese, A., 258. Galeno, 7, 40,214, 215,262. Galeno (psuedo), 167. Galilei, 255. Garin, E., 111. Gerone II di Siracusa, 261. Giamblico, 13. Giuseppe Ebreo, 227. Glaucia di Taranto, 264. Gorgia, 136, 142, 158, 245, 246. Grillo, 15. Guglielmo di Shyreswood, 41. Helberg, J.L., 261. Idomeneo, 178, 229. lpazia, 252. lperide di Atene, 155. lpparchia, 148, 168, 169. lpparco di Nicea, 255. lppia, 158, 256. lppocrate di Cos, 263, 264. lppodamo di Mileto, 119. lpponico, 243, 248. Isocrate, 16, 18, 21. lttia, 147.
382
Jaeger, W., 14, 15, 16, 17, 18, 20, 21, 28,67, 118,119,156,162. Lacide, 243, '265, 273, 274. Latini, B. v. Brunetto L. Lattanzio, 13, 276. Leibniz, G. W., 111. Leonteo di Lampsaco, 178, 229. Licofrone, 120. Licone di Troade, 274. Licurgo (platonico), 121, 134. Lucrezio, 183, 184, 185, 186, 187, 190,280. Lukasiewicz}., 38. Maier, H., 30. Mansion, A., 78. Marco Aurelio, 206. Mates, B., 207. Menecmo, 258. Menedemo di Eretria, 170, 246, 24 7. Menelao di Alessandria, 252. Menippo di Gadara, 272. Menone aristotelico, 155. Mentore, 22. Merlan, Ph., 129. Metrocle di Maronea, 148. Metrodoro accademico, 280. Metrodoro di Chio, 164, 165-166. Metrodoro di Lampsaco, 178, 229. Metrodoro medico, 262. Michele Psello, 13. Mnaseo, 204. Monimo di Siracusa, 148, 166, 168, 169. Moraux P., 17. Miiller M., 194. Mys, 178-229. Nauck A., 179, Nausifane, 164, 165, 177, 181,203. NeleodiScepsi, 13,22, 157. Nemesio, 210. Neocle, 178, 229.
www.scribd.com/Baruhk
Nessa, 165, 166. Nicanore, 7, 154. Nicomaco (padre di Aristotele), 7. Nicomaco di Aristotele, 7, 154. Nicotele di Cirene, 259. Numenio, 246, 273. Nuyens F., 83. Ocello (pseudo), l 7. Olimpiodoro, 13. Omero, 248, 259. Onesicrate, 147, 148. Origene, 267. Pamfilo platonico, 177. Panezio, 206, 248. Pappo, 252, 258. Pasquali G., 160. Pasquinelli, A., 160. Pausania di Magnesia, 230, 233. Pericle, 157. Perseo, 204, 230, 232-233. Pindaro, 248. Pirro dell'Epiro, 233. Pirrone d'Elide, 164, 165, 167, 169-174, 176, 223, 224, 225, 226, 227,246,247,253. Pitagora, 256. Pitodoro accademico, 273. Pizia (moglie di Aristotele), 7, 22. Pizia di Aristotele, 154. Platone, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 25, 28, 30, 42, 43, 62, 63, 66, 67, 68, 69, 72, 78, 79,82,90,92,96, 103, 105, 111, 113, 119, 120, 122, 123, 124, 125, 134, 136, 137, 144, 145, 149, 155, 156, 157, 158, 159, 161, 164, 166, 170, 171, 176, 177, 181, 194,206,207,215,227,228,232, 245,246,247,248,249,251,255, 256,269,274,276,280. Plebe, A., 103. Plinio, 13.
Plutarco, 13, 14, 15, 17, 129, 147, 167, 178, 198, 219,228,229, 230, 232,237,248,255,266. Polemone, 274. Polibio, 281. Polieno, 178,229. Polignoto, 175, 204. Polistrato, 229. Porfirio, 13, 104, 179,267. Posidonio, 206. Prassagora di Coo, 292. Proclo, 13, 14. Prodico, 158. Prosseno (tutore di Aristotele), 7. Protagora, 136, 158, 245. P sello v. Michele P. Quintiliano, 212. Robin, L., 227,247. Rose, V., 154, 155. Ross, W.D., 8, 11, 31, 35, 47, 49, 62, 63, 72, 80, 121. Rossana, 129. Schiaparelli, G., 254. Scipione Emiliano, 232, 281. Seneca, 13,200,206,242,248. Senocrate, 9, 20, 21, 69, 134, 158, 159,176,205,245,248,274. Senofonte, 204. Serapione di Alessandria, 264. Sesto Empirico, 113, 148, 165, 166, . 167, 169, 173, 174, 176, 198,207, 208,209,210,212,213,214,215, 216,218,229,230,234,245,246, 247,248,251,267,268,277,278, 279. Sfero di Bosforo, 242. Shyreswood G. v. Guglielmo di S. Silla, 13. Simmia, 161. Simplicio, 13, 160, 267. Sinclair, T., 162.
www.scribd.com/Baruhk
383
Siriano, 13. Sinesio, 13. Socrate, 111, 164, 176, 177, 230,231,245,246. Sofonia, 13. Sorano, 252. Sosigene, 252. Spengel, L., 269. Speusippo, 9, 20, 21, 69, 113, 205, 245, 248, 274. Stilpone, 147, 148, 150, 154, 175,204,205,223. Stobeo, 13, 17, 166, 211, 219, 231,232,237,241. Strabone, 13. Stratocle, 134. Stratone di Lampsaco, 13, 155, 163-164, 175, 176,205, 226, 251,253,254,257,263,274. Suda, 168, 273. Sudhaus, S., 270.
204,
176, 168, 220,
Usener, H., 179, 191, 198, 199,200. 157, 227,
Talete, 23, 135, 159, 256. Tarn, W.W., 134. Teeteto, 8, 256. Telecle, 273, 274. Telete, 272. Temisone di Cipro, 16. Temistio, 13, 91. Temistiua, 178, 229. Teodoro di Cirene, 256. Teodoro l'ateo, 164, 168. Teofilo, 252. Teofrasto, 7, 13, 22, 27, 28, 77, 104, 154, 155, 156, 157, 158-160, 163, 175,176,179,205,226,243,248, 249,251,253,263,274. Teognide, 102. T eone, 252.
384
Timone di Fliunte, 170, 171, 172, 173,223-226, 253. Tirannione, 13. Tolomeo Claudio, 252, 255, 260, 261. Tolomeo Evergete, 258, 259. Tolomeo Filadelfo, 163,242, 252. Tolomeo Filopatore, 242, 253, 258, 259. Tolomeo Sotér, 155, 156, 163, 168, 251,252. Trasimaco, 120. Tytamos v. Teofrasto.
Valla, G., 254. Voghera, 6, 225.
Wallies, M., 254. Walzer, R., 8. Wehrli, F., 161, 162. Wimmer, F., 159. Wotke, K., 178. Xanto, 243, 248. Xenofilo, 160. Zenone di Cizio, 11,148,157,175, 176, 177, 203-220, 223, 225, 226, 227,228,229,230,231,232,233, 234,235,237,239,240,242,243, 244,250,253,266,271,274,276. Zenone di Elea, 63, 146, 181,245. Zenone di T arso, 272, 274. Ziircher, J., 28.
www.scribd.com/Baruhk
Indice
Pagina
5
Parte Prima
Le componenti del pensiero da Aristotele a Epicuro e Zenone di Cizio. 7
Capitolo primo.
Aristotele l. La tematica di Platone e la posizione di Aristotele
13
2. Gli scritti e i problemi di Aristotele al tempo del primo soggiorno ad Atene
20
3. Aristotele ad Asso, a Mitilene e a Pella. Il ritorno ad Atene e il Liceo. I fondamenti del sapere
30
4. La fondazione del sapere e il metodo ("Topici," "Elenchi solistici," Secondi e Primi "Analitici")
45 5. La filosofia della natura e le scienze teoriche Le condizioni perché sia pensabile la realtà. La sostanza, forma e materia. Le scienze (''Fisica," I-II; "Metafisica"). -b) I principi che permettono di pensare: forma, materia e privazione (''Fisica" II; "Metafisica"). c) La fortuna e ikaso. Finalità e meccanicità ("Fisica, " II; "Metafisica"). - d) Potenza e atto. Indagine scientifica e metodo. Fisica, matematica e filosofia prima (''Fisica"; "Metafisica"). e) Il movimento e le sue condizioni {ogiche: l'indefinito, il luogo, il vuoto, il tempo (''Fisica," III-IV). - f) La condizione prima del moto: il motore immobile. Dio postulat~' e condizione del sapere scientifico e in particolare della fisica come cienza. L 'atto puro, pensiero di pensiero. I cieli ("Fisica, V- VIII; "M fisica" XII) a)
72
6. La filosofia della natura. L 'edificio dell'Universo Il cielo. I cinque elementi. Il mondo sublunare. I luoghi naturali e il concetto di peso. Movimenti naturali e violenti. Fenomeni celesti e terrestri (''De coelo," "De gen. et corrupt., ") "Meteorologica"). - b) Il mondo animale e la "scala naturae" (i libri biologici). - c) Il mondo animale. L'anima. La nutrizione. Senso, fantasia, intelletto (''Anima" e "Parva naturalia") a)
www.scribd.com/Baruhk
385
94
7. La "filosofia dell'uomo." Le scienze pratiche e poetiche a) Etica ("Etica Eudemea," "Magna moralia," "Etica Nicomachea"). ·b) Politica ("Politica"). -c) La retorica e il frammento sul-
la poetica ("Retorica," "Poetica")
144
Capitolo secondo
Da Aristotele a Epicuro e a Zenone di Cizio 144
l. La polemica sulle condizioni del discorso scientifico. Scienza e dialettica. Eubulide, Diodoro Crono e Stilpone megarici, Cratete cinico. Le "Categorie" e il "De interpetatione" di Aristotele
154
2. Atene alla morte di Alessandro Magno e di Aristotele. La scuola di Aristotele: Teofrasto, Eudemo, Aristosseno, Dicearco, Stratone di Lampsaco e il Peripato ad Alessandria
164
3. L'atomismo nel IV secolo: Metrodoro di Chio e Anassarco. L'atteggiamento dei Cinici (Cratete, Ipparchia) e dei Cirenaici (Arete, Aristippo Metrodidatta, Teodoro l'ateo, Egesia, Anniceride). Pirrone e il primo Scetticismo
l 74
4. Epicuro e Zenone di Cizio a) Epicuro. ·b) Zenone di Cizio e la fondazione della "Stoà"
221
Parte seconda
Movimenti e correnti dal III secolo all'ambasceria di Critolao, Diogene di Babilonia e Carneade a Roma (155 a.C.) 223
Capitolo primo
Circolazione delle idee nel III secolo
386
223
1. Timone di Fliunte ad Atene. Idee e polemiche. Cultura e politica. Eurolico e Filone di Atene scettici. I primi epicurei. I primi discepoli di Zenone e le prime interpretazioni. Alexino megarico. Aristone, Eri/lo, Perseo stoici
233
2. Cleante primo sco/arca della Stoà. Arcesilao e la Media Accademia a) Cleante. · b) Arcesilao. L 'Accademia da Speusippo e Senocrate a Polemone e Cratete
249
3. La "filosofia" come ricerca critica e il costituirsi delle "scienze." I "filosofi" di Atene e i "filosofi" di Alessandria
www.scribd.com/Baruhk
265
Capitolo secondo
Da Crisippo, il "secondo fondatore" della Stoà a Carneade. Il compimento del pensiero greco e Roma 283
Indice della bibliografia
379
Indice dei nomi
www.scribd.com/Baruhk
387