GEORGETTE HEYER VELENI DI FAMIGLIA (Behold, Here's Poison, 1936) Al dottor C. Ford affettuosamente Personaggi principali...
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GEORGETTE HEYER VELENI DI FAMIGLIA (Behold, Here's Poison, 1936) Al dottor C. Ford affettuosamente Personaggi principali GREGORY MATTHEWS uomo d'affari HARRIET MATTHEWS sua sorella ZOE MATTHEWS sua cognata GUY MATTHEWS figlio di Zoe STELLA MATTHEWS figlia di Zoe GERTRUDE LUPTON sorella di Gregory e Harriet HENRY LUPTON marito di Gertrude RANDALL MATTHEWS figlio del fratello defunto di Gregory EDWARD RUMBOLD vicino di casa DOLLY RUMBOLD sua moglie DERYK FIELDING medico, fidanzato di Stella HANNASYDE sovrintendente di polizia HEMINGWAY sergente di polizia 1 Sarebbe stata una bella giornata. Una nebbiolina candida che si arricciava in lente volute sulla brughiera diceva a Mary, ferma in piedi sul pianerottolo fra le due rampe di scale con la paletta per la spazzatura in mano e intenta a guardare fuori dell'alto finestrone, che per l'ora di pranzo sarebbe venuto fuori il sole e avrebbe fatto veramente caldo. Così, alla fin fine, a dispetto dei sinistri presentimenti di Rose, lei avrebbe potuto mettere il vestito di voile blu. Rose diceva che quando qualcuno di loro aveva la mezza giornata di libertà pioveva sempre. Bene, stavolta non avrebbe piovuto, proprio per niente, se lei lo poteva capire da certi segni. Si appoggiò al finestrone a contemplare la nebbia, osservando favorevolmente la rugiada che copriva come un greve manto grigio il prato di fronte alla casa. Era presto. La brughiera, che qualche ora dopo sarebbe stata punteggiata
di bambini e di bambinaie che spingevano le loro carrozzine, sembrava assolutamente deserta, e non c'era il minimo traffico sulla strada che divideva il cancello di ferro dei Pioppi dal limitare della brughiera. Allungando il collo, Mary poté dare un'occhiata alla casa accanto attraverso un varco fra gli alberi. Alla scala posteriore le tende erano ancora chiuse, osservò. Bene, non se la sentiva di criticare le ragazze del Villino dell'Agrifoglio, no di sicuro. Se il tuo padrone e la tua padrona andavano via e se ne stavano in qualche località di villeggiatura al mare, tu eri nel tuo pieno diritto se te la prendevi un po' comoda. Eppure, adesso che ci pensava, quelle ragazze erano un branco di pigracce, una più fannullona dell'altra. E ordinarie, per di più. Ma già, tale la padrona tale la cameriera, diceva Rose, ed era abbastanza vero. Non aveva neanche un briciolo di classe, la signora Rumbold. Mary girò la testa dall'altra parte, trasferendo il suo sguardo dal Villino dell'Agrifoglio alla casa che si trovava sul lato opposto dei Pioppi. Era una costruzione di dimensioni più piccole, e lei non poteva vederne granché, però si accorse che le porte del garage erano spalancate. Il che significava che il dottore era stato chiamato fuori presto. Era una vergogna il modo in cui la gente mandava a chiamare il dottore a ogni ora del giorno, e in una buona metà dei casi per niente di più grave di un attacco di indigestione: così almeno diceva la signorina Stella. E lui era un vero gentiluomo, anche, e per di più talmente bello! Non si meravigliava affatto che la signorina Stella ne fosse innamorata. Era un peccato che il padrone lo avesse preso così in antipatia. Perché loro, giù nei quartieri della servitù, lo sapevano tutti che lo trovava antipatico, né più né meno com'erano al corrente delle difficoltà con il signor Guy, che voleva dei soldi per quella sua stramba attività che mandava avanti con il signor Brooke, e che il padrone voleva spedire in Sudamerica. Bisognava essere proprio stupidi per non capire quello che stava succedendo in casa, con il padrone che perdeva le staffe e andava su tutte le furie e il dottore che veniva chiamato a prendergli la pressione sanguigna; con la signorina Harriet che saltava su a dire la sua in proposito a chiunque l'ascoltasse, perfino alla sguattera; con la signora Matthews che si era messa a letto per colpa di tutte le preoccupazioni che le dava il povero signorino Guy, e il signorino Guy stesso che non faceva che parlarne a tutto spiano con la signorina Stella senza preoccuparsi di controllare se nei dintorni ci fosse qualcuno che stava ad ascoltarlo. No, non si poteva proprio dire che ci fossero molti segreti lì, ai Pioppi!
Troppe persone costrette a rimanere confinate insieme, pensò Mary spazzando vigorosamente gli ultimi sei gradini della scala. Non andava mai bene avere due famiglie sotto lo stesso tetto; era inevitabile che scoppiassero un mucchio di litigi, specialmente quando si aveva in casa una vecchia zitella come la signorina Harriet, che qualche volta si comportava come una vera e propria credulona, mentre in altre occasioni si mostrava furba e sveglia; e taccagna, poi, come... Mary non riuscì a trovare nessuno che potesse essere paragonato, quanto a taccagneria, alla signorina Harriet. Matta, ecco quello che era. Bastava soltanto vedere come faceva collezione di tutti i pezzetti di sapone che erano avanzati, e poi li adoperava proprio come se non avesse neanche il becco di un quattrino. Con quella fissazione di raccogliere e metter da parte le cose piccole e inutili, era come una gazza, attratta da tutto quello che luccica. Invece la signora Matthews era tutta diversa, bisognava riconoscerglielo. Anche lei una grande scocciatrice, con quei suoi bicchieri di acqua calda e i vassoi di roba da mangiare che bisognava servirle di sopra, in camera, però non era tipo da cacciare il naso negli armadi della dispensa. E in fondo, a nessuno pesava molto farsi in quattro per accontentare la signora Matthews e servirla di tutto punto come lei si aspettava, perché aveva sempre un modo garbato di rivolgerti la parola, e si comportava come una vera gentildonna. E neanche ti dava fastidio occuparti della signorina Stella, anche se aveva quella brutta abitudine di lasciare la sua roba buttata di qua e di là e di chiederti di fare per lei cose che non c'entravano un bel niente con il tuo lavoro. Quanto al signorino Guy, era talmente bello che si provava un vero piacere a servirlo. Invece quando si arrivava alla signorina Harriet e al padrone le cose erano differenti. Era strano che fossero fratello e sorella, rifletté Mary salendo lentamente di sopra a ritirare tutte le scarpe che erano state messe fuori per essere lucidate. Non si assomigliavano neanche un po'. Invece la signora Lupton, che abitava a Bella Vista, dall'altra parte della brughiera, si sarebbe capito subito che era sorella del padrone. Aveva lo stesso modo di fare prepotente, anche se non ti metteva paura come, invece, te la metteva il padrone. Con il padrone le cose dovevano essere come voleva lui, oppure si finiva nei guai; e quando andava su tutte le furie uno si sentiva come se avesse le ginocchia imbottite di cotone. Tutti avevano paura di lui, fu la riflessione che fece Mary mentre tirava su dal pavimento le sue scarpe, appena fuori della porta della camera da letto, perfino la signora Matthews, anche se lei sapeva come aggirare gli ostacoli e prenderlo
per il verso giusto. Quelle che andò a ritirare subito dopo furono le scarpe della signora Matthews, col tacco alto, costose, ed era come se ci fosse scritto sopra che arrivavano da un negozio di Bond Street, pensò Mary, soffermandosi un momento ad ammirarle. Quanti soldi la signora Matthews doveva spendere per i suoi vestiti! Ecco, quello era un segno sicuro che lei sapeva come trattare il padrone, perché tutti erano al corrente del fatto che suo marito, cioè il fratello minore del padrone, l'aveva lasciata in condizioni economiche piuttosto difficili. Buon per lei che fosse così graziosa e piena di attrattive, perché anche se nessuno avrebbe mai potuto dire che il padrone era uno spilorcio, sarebbe stato difficile illudersi che provvedesse a una cognata, se l'aveva in antipatia, e che la tenesse in casa con i figli. Già, e non era forse qualcosa che dava un fastidio tremendo alla signorina Harriet averli lì a vivere tutti insieme, quando si comportavano come se i soldi non fossero un problema? Ecco quel che pensava mentre raccoglieva le scarpe di pelle nera glacé, col tacco basso, un po' scalcagnate, della signorina Matthews e se le cacciava sotto il braccio. No, era chiaro che si detestavano, lei e la signora Matthews, anche se bisognava renderle giustizia, perché sembrava che la vecchia taccagna fosse abbastanza affezionata al signorino Guy e alla signorina Stella. Scarpe di camoscio davanti alla porta del signor Guy; eleganti, ma una seccatura da pulire. Avrebbe dovuto occuparsene di persona, rifletté, perché il vicegiardiniere prima o poi avrebbe finito di sicuro per spalmarci sopra il lucido da scarpe. E infine le scarpe della signorina Stella. Ce n'erano due paia: quelle robuste, sportive, che portava sulla brughiera, e le altre di capretto blu che metteva per andare in città. Raccolse tutte le scarpe nel grembiule e le portò giù per la scala di servizio, nel retrocucina. La signora Beecher, la cuoca, la chiamò perché andasse a prendere una tazza di tè in cucina. Fa sempre una gran bella differenza, pensò Mary, quando sei in un posto dove la cuoca ha buon carattere, mentre sedeva al suo solito posto fra la signora Beecher e Rose. Rose se ne stava con i gomiti sul tavolo e la tazza fra le mani, e descriveva con frasi colorite quello che era successo fra il padrone e la signorina Stella in biblioteca la sera prima. «E poi lui le ha detto chiaro e tondo che non aveva più nessuna intenzione di sopportare il dottor Fielding che veniva a farle la corte sotto il suo tetto. I titoli che ha dato al dottore sono roba da non credere! E poi ha detto
quella cosa che ho già riferito, cioè che il dottore è un imbecille senza nessuna prospettiva, e se volete sapere come la penso io, è stato proprio quello che ha messo la signora Matthews contro il dottore, perché è chiaro come il sole che ce l'ha con lui, e nessuno riuscirà mai a farmi credere il contrario.» «Tu non dovresti stare ad ascoltare quello che non è destinato alle tue orecchie» disse la signora Beecher. «Insomma, a me sembra una cosa vergognosa questa storia del dottore e della signorina Stella!» disse Mary. «Io sono sicura che nessuno è più gentiluomo di lui.» «Ah, ma non c'è solo questo, c'è anche dell'altro» replicò Beecher passando la sua tazza alla moglie. «Dicono che ha un debole per la bottiglia. E guardate che io personalmente non posso dire di averlo mai visto conciato male perché aveva alzato il gomito, ma non c'è fumo senza arrosto.» «A quello io non riesco a credere» dichiarò la signora Beecher rivolgendosi genericamente a tutti i presenti. «Anzi, mi meraviglia che tu voglia parlare di questo fatto, Beecher.» Rose, che stava ascoltando avidamente questo pettegolezzo fresco fresco, annuì. «Allora, ecco che tutto si spiega! E non c'è da meravigliarsi che la signora Matthews abbia uno dei suoi soliti attacchi di nervi. Quando l'ho vista, mi sono subito detta...» «Allora ti sei detta qualcosa di sbagliato» interloquì la signora Beecher tagliando corto, perché ci teneva a mettere a tacere certe notizie scandalistiche. «Io non ho mai creduto a questa storia dei nervi della signora Matthews, né ci crederò mai, ma se ha avuto l'attacco che dici, cosa di cui dubito, non è stato di sicuro per la signorina Stella, perché di lei non gliene importa un bel niente, se volete sapere come la penso, ma piuttosto perché il signorino Guy sta per essere spedito in Brasile.» «Oh, ma il padrone non farà mai una cosa simile!» esclamò Mary. «Così credo io» disse la signora Beecher sollevando lentamente la figura poderosa dalla seggiola e avviandosi verso i fornelli. «Non mi va di ficcare il naso negli affari altrui, ma l'ho sentito direttamente dalla bocca della signorina Harriet non più tardi di giovedì scorso. Adesso è venuto il momento che venga servito di sopra il primo tè del mattino a tutti. Portami qui il barattolo del tè, Rose, da brava.» Rose ubbidì e rimase ad aspettare mentre la signora Beecher riempiva tre piccole teiere e un bicchiere nel suo portabicchiere in argento. «Tu puoi portarmi di sopra il vassoio della signorina Stella, cara, per
piacere» disse a Mary, mentre si faceva dare il bicchiere di acqua calda dalla signora Beecher e lo deponeva su un vassoietto. Mary finì il tè che aveva nella tazza e si alzò. Aveva anche lei il suo bel lavoro da sbrigare, e ne aveva in abbondanza, anche, ma quando si era soltanto la seconda cameriera valeva sempre la pena di tenersi buoni i domestici di grado più alto. Così andò a prendere il vassoio della signorina Stella e seguì Rose su per la scala di servizio, mentre Beecher chiudeva il piccolo corteo reggendo i vassoi per il padrone e il signorino Guy con le sue mani robuste. La signorina Stella non era sveglia, e come al solito aveva lasciato vestiti e biancheria sparsi qua e là sul pavimento. Mary aprì le tende scostandole bene, raccolse e riordinò i vestiti, e poi sgusciò fuori della camera La signorina Stella non l'avrebbe certo ringraziata se si fosse azzardata a svegliarla. Il vassoio del signorino Guy era appoggiato sul tavolo del vestibolo del piano superiore, e Rose era ancora nella camera della signora Matthews. Mary poteva sentire la voce della signora Matthews che si alzava, vagamente lagnosa, dietro la porta chiusa. Stava per andare a riempire le brocche dell'acqua calda quando la porta della camera del padrone si aprì e Beecher ne venne fuori a passo insolitamente lesto. Mary lo guardò con tanto d'occhi. La sua faccia aveva una strana espressione. Sembrava impaurito. «Qualcosa che non va, signor Beecher?» gli domandò. Lui si passò la lingua sulle labbra e parlò con voce strozzata. «Sì... Il padrone. È morto.» Mary socchiuse la bocca, ma si accorse di non trovare niente da dire. Un caleidoscopio di impressioni le passò in un lampo per il cervello. Era sconvolgente, terribile, e nello stesso tempo emozionante. Ci sarebbe stata un'inchiesta. Lei non voleva aver niente a che fare con un'inchiesta, ma non avrebbe voluto rimanerne fuori per niente al mondo. Rose uscì dalla camera della signora Matthews. «Allora!» disse. «Chiunque penserebbe che in questa casa non c'è niente da fare. Dove sono le mie brocche?» Mary ritrovò la voce. «Oh, Rose» balbettò. «Il padrone è morto!» «Qualcuno dovrà andare a dirlo a loro» disse Beecher con un'occhiata alla quattro porte chiuse. «Io non so chi.» Fu Rose a risolvere questo problema per lui. Scoppiò in un pianto rumoroso non perché fosse stata affezionata al padrone o perché le ripugnasse l'idea di una morte in casa, ma semplicemente perché era sbalordita. Il ru-
more dei suoi singhiozzi isterici fece salire le lacrime anche agli occhi di Mary, che aveva il pianto facile. E ottenne anche lo scopo di far uscire sul pianerottolo la signorina Matthews, con i capelli grigi avvolti sui bigodini, imbacuccata in una vecchia vestaglia di flanella. Si era dimenticata gli occhiali e si mise a scrutare il gruppetto con gli occhi miopi. «Si può sapere cosa c'è? Rose... sei tu, Rose? Che vergogna! Se hai rotto qualche pezzo del servizio, ti verrà trattenuto sullo stipendio, e non servono tutte queste lacrime. Gli oggetti che vanno in frantumi in questa casa...» «Oh, signora!» mormorò Mary con voce strozzata. «Si tratta del padrone!» La porta adiacente a quella della signorina Matthews si aprì. Sulla soglia comparve Stella che sbadigliava, in pigiama di seta color pesca e i capelli corti e arruffati che le circondavano la faccia in una specie di alone scomposto. «Si può sapere cosa accidenti è tutto questo baccano?» si informò, visibilmente di cattivo umore. «Stella, la vestaglia!» esclamò sua zia. «Oh, va bene così. E tu smettila un po', Rose. Sta' zitta. Cosa c'è?» Adesso tutte e due le cameriere singhiozzavano di gusto. Beecher intervenne. «Si tratta del padrone, signorina. È morto.» La signorina Matthews proruppe in uno strillo, ma Stella, fissando per un momento Beecher con gli occhi sgranati, scosse il capo. «Stupidaggini! Non ci credo.» «È vero, signorina. Lui è... è freddo.» Chissà perché, quella spiegazione le sembrò divertente. Stella proruppe in una risatina irrefrenabile, venata d'incertezza. Sua zia sbruffò: «Come fai a star lì a quel modo e a ridere? Ti giuro che non capisco nessuna di voi, ragazze moderne; e non voglio neanche capirvi. Per quanto... non credo nemmeno io a una sola parola di tutta questa storia. Vado a vedere con i miei occhi. Dove sono gli occhiali? Mary, i miei occhiali!» «Andrò io» disse Stella attraversando il corridoio. «Stella, non così in pigiama!» strillò la signorina Matthews. Stella cominciò di nuovo a ridere, poi tentò di soffocare quel suono così sconveniente, mordendosi le labbra. La camera di suo zio guardava sulla facciata principale della casa, ed era separata da quella della cognata da una stanza da bagno. Beecher aveva aperto le tende e deposto il vassoio con la prima tazza di tè del mattino su
un comodino vicino al letto. Risultò subito chiaro persino a Stella, che si trovava davanti alla morte per la prima volta in vita sua, che Gregory Matthews non avrebbe mai più bevuto un tè. Era disteso sul dorso in un atteggiamento rigido e scomodo, le braccia allargate fuori delle coperte, le dita aggrappate al lenzuolo, come in un'ultima convulsione. I suoi occhi erano aperti, le pupille contratte. Stella rimase immobile, con la testa china, a guardarlo mentre la sua faccia impallidiva lentamente. Sentì la voce querula della zia, il rumore dei suoi passi nel corridoio, e tornò indietro verso la porta. «No, zia Harriet» disse parlando a scatti. «Non venire... È orribile!» La signorina Matthews, tuttavia, dopo essersi fissata ben bene gli occhiali a pince-nez sul naso con le mani che le tremavano, scostò la nipote con uno spintone, entrò nella stanza e si avvicinò al letto. «Oh, è morto!» disse, anche se era un'osservazione superflua. Poi indietreggiò. «È la pressione sanguigna. Sapevo che sarebbe successo. Non avrebbe mai dovuto mangiare quell'anatra, e non serve che qualcuno pensi di rimproverare me, perché io, per lui, avevo ordinato le cotolette, e se non ha voluto mangiarle, nessuno può dire che è stata colpa mia. Santo cielo, ha proprio un aspetto da far spavento! Vorrei che non se ne fosse andato a questo modo. Avremo anche avuto le nostre differenze di opinione, ma il sangue non è acqua, dite quello che volete. E voi non ci crederete mai, ma da bambino era un tesoro... E adesso che cosa facciamo?» «Non lo so» disse Stella, prendendola per un braccio e tirandola verso la porta. «A ogni modo, vediamo di uscire da questa camera. Oh zia, no, per amor di Dio, no!» La signorina Matthews si lasciò condurre via, ma continuò a piangere. Stella, per la quale riusciva incomprensibile il fatto che il carattere di Gregory Matthews, quand'era stato bambino, potesse compensare in qualche modo la zia di tutti gli anni successivi di continui conflitti, si accorse di essere soltanto spazientita di fronte a quel dolore così plateale, e l'affidò con riconoscenza alle cure di Mary. Rose, che continuava a soffocare i singhiozzi, riferì con voce tremula un messaggio da parte della signora Matthews: la signorina Stella doveva recarsi immediatamente da sua madre. La signora Matthews era appoggiata mollemente a un mucchio di guanciali, avvolta in una liseuse che le donava moltissimo, e aveva evidentemente avuto la presenza di spirito di ripulirsi la faccia dalle ultime tracce di una costosa crema da notte e di passarci sopra una spolveratina di cipria.
Voltò la testa non appena Stella entrò nella sua camera e allungò verso di lei una mano scossa da un tremito. «Oh, mia cara bambina» disse con voce languida. «Povero Gregory... Per me è stato uno shock terribile. Ma avevo già una strana sensazione, quando Rose mi ha portato la mia acqua calda.» «La zia Harriet pensa che sia stata l'anatra che lui ha mangiato a cena» disse Stella, che si sforzava ancora di controllare un altro accesso di risatine isteriche. La signora Matthews si lasciò sfuggire un lieve sospiro dolente. «Nessuno conosce le buone qualità della cara Harriet meglio di me, ma non si può fare a meno di sentirsi un po' rattristati che i suoi primi pensieri di fronte a un simile evento debbano essere rivolti a cose tanto misere. Lo sai, tesoro mio, che quando Rose mi ha raccontato quello che era successo sono stata capace soltanto di pensare a quelle bellissime parole... Le vie del Signore sono...» «Sì, lo so» si affrettò a interromperla Stella. «Ma il nocciolo della questione adesso è un altro: cosa dobbiamo fare? La zia Harriet si è lasciata prendere da una specie di attacco isterico. Devo chiamare Guy?» «Povero Guy!» disse sua madre. «Ognuno di noi darebbe chissà cosa pur di tenere la tragedia lontana dai giovani. Eppure, in un modo o nell'altro...» «Be', se la vediamo sotto questo punto di vista io ho tre anni meno di Guy» le fece notare Stella. «Non che sia convinta che lui possa essere di molta utilità, ma...» La signora Matthews posò una mano su quella di sua figlia. «Mia cara bambina, non con questo tono così privo di rispetto, per favore! Cerca di ricordarti che l'ombra della morte è calata su questa casa. E Guy è molto, molto più fragile di nervi di te, tesoro.» «Oh, mamma, smettila! Ti giuro che non ho nessuna voglia di farmi prendere da un attacco isterico anch'io, ma è quello che succederà fra un minuto. Quale sarebbe la prima cosa che dobbiamo fare?» Zoe Matthews ritirò la mano. «La mia figliolina piena di senso pratico! Dove saremmo noi povere Marie di questo mondo, mi chiedo, senza le nostre Marte? E nello stesso tempo non so come spiegarlo... ma sento il bisogno di stare un po' con me stessa in silenzio per affrontare la nostra perdita, prima di dedicarci interamente al lato sordido di ciò che non dovrebbe essere assolutamente sordido, ma molto, molto bello.» Stella si lasciò sfuggire un singhiozzo soffocato, poi si abbandonò a un accesso di risate convulse, cercando inutilmente di dominarle. Nel bel
mezzo di tutta questa scena entrò nella camera suo fratello, i capelli arruffati e l'aria intontita di chi non è ancora sveglio del tutto. «Ehi, ma... di-dico io!» balbettò. «Lo zio è morto, lo sapevate? Beecher ha chiuso a chiave la porta ed è andato a telefonare a Fielding. Lui sostiene che non c'è assolutamente il minimo dubbio in proposito.» «Su, su, cara!» disse la signora Matthews. «Stella, cerca di controllarti! È logico che sia doveroso chiamare un dottore, ma in un certo senso si prova una gran voglia di schivare l'idea che si presenti qui, in un momento simile, proprio il dottor Fielding, che era antipatico a vostro zio. Forse io sono eccessivamente sensibile, e suppongo che questa cosa sia inevitabile, ma...» «Non riesco a vedere come possa avere anche la più piccola importanza» disse Guy. Si aggrappò alla sbarra ai piedi del letto di sua madre e rimase a guardarla dall'alto della sua statura con occhi attenti e vivaci, ma che lasciavano sospettare come non avesse ancora compreso a fondo quello che era accaduto. «Mi sfugge il concetto» annunciò. «Che lo zio sia morto in questo modo, voglio dire. Naturalmente tutti se l'aspettavano, in un certo senso. Cioè, voglio dire, per via della pressione sanguigna. Di che cosa pensate che sia morto? Immaginate che sia stato un colpo apoplettico? Io ho sempre pensato che presto o tardi sarebbe morto di apoplessia, dico bene, Stella? Ci dovrà essere un'inchiesta? Non vedo per quale motivo dovrebbe esserci, e voi? Lo sanno tutti che aveva il cuore debole. È chiaro che la sua morte è dovuta a quello.» «Sì, caro, ma ora evitiamo di parlare di questo» disse sua madre nel tentativo di arginare quel fiume di parole. «Sei scombussolato e non riesci a tenere a freno la lingua. Ma devi capire che cosa significa per me. A volte penso che il povero Gregory fosse più affezionato a me che alle sue stesse sorelle. Io cerco sempre di vedere soltanto il buono in ogni persona, e la reazione di Gregory a questo mio modo di comportarmi era tale che adesso mi rende molto felice, quando ci torno sopra con il pensiero.» «Oh, Dio santo!» esclamò Guy villanamente. La signora Matthews strinse le labbra per un attimo, ma replicò quasi subito con voce infinitamente dolce. «Vai a vestirti, Guy caro. Un completo scuro, naturalmente, e non quel pullover arancione. Anche tu, Stella.» «A dir la verità, io non avevo affatto pensato al pullover arancione» precisò lui con sussiego. «Ma sono pienamente d'accordo con Nigel per quel che riguarda il lutto. È un residuo delle epoche barbariche, e come dice
lui...» «Tesoro, so che non hai nessuna intenzione di offendermi né di addolorarmi» disse la signora Matthews con voce rattristata. «Ma quando tratti le cose sacre con quello spirito di...» «Tu devi semplicemente rassegnarti a renderti conto che io sono un agnostico puro. Quando parli di certe cose come, per esempio, che la morte è sacra, tutto questo per me non ha assolutamente il minimo significato, e...» «Oh, stai un po' zitto!» lo interruppe Stella, mentre gli dava una spinta per farlo andare verso la porta. «Nessuno ha voglia di star qui ad ascoltare le tue opinioni in fatto di religione.» «Non sono le mie opinioni in modo particolare, ma praticamente di tutta la gente capace di riflettere.» «Ma guarda un po'!» ribatté Stella, e uscì anche lei per tornare in camera. La supposizione di Mary che il dottor Fielding fosse stato chiamato fuori prima di colazione si dimostrò corretta. Non era ancora tornato a casa quando Beecher provò a telefonare, e fu solamente dopo che sia Stella sia Guy avevano già fatto il bagno e si erano vestiti che lui arrivò ai Pioppi. A quel punto la signorina Matthews, dopo essersi ripresa dalla crisi di pianto, si era vestita anche lei, e non solo aveva telefonato alla sorella maggiore, Gertrude Lupton, ma aveva anche trovato il tempo di dare una quantità di ordini alla signora Beecher su come sfruttare in un momento successivo, e in modo che venissero consumati completamente, il pesce e le uova già cucinati per una prima colazione che nessuno avrebbe mai pensato di mangiare. Questi ordini vennero immediatamente annullati da Stella e Guy, i quali avevano una gran fame, e un'accanita discussione in merito era al culmine quando entrò il dottor Fielding. Era un uomo alto sui trentacinque anni, con occhi grigi molto distanziati e la bocca atteggiata a quella smorfia arguta, caratteristica delle persone che non mancano di un certo senso dell'umorismo. Nello stesso momento in cui entrò in anticamera, vi fu uno scambio di occhiate fra lui e Stella, che si fece subito avanti per salutarlo. «Oh Deryk, grazie a Dio sei arrivato!» disse prendendogli una mano. «No, Stella, così non va, quando c'è tuo zio morto nel suo letto, di sopra» la supplicò la signorina Matthews, stralunata. «Non che io disapprovi, perché sono sicura che il caro dottor Fielding... Ma dopo tutto quello che Gregory ha detto... Per quanto io credo di poter dire che deve avere idee
completamente differenti, adesso che è passato a miglior vita... Oh, santo cielo, tutto questo ci crea una confusione terribile! Se avessi immaginato che tutto sarebbe stato così difficile e spiacevole sarei sicuramente stata l'ultima persona al mondo a desiderare che Gregory morisse. È stata l'anatra, dottore. Io l'ho implorato di non mangiarla, ma lui ha voluto fare a modo suo, e adesso è morto, e di là ci sono due bellissime cotolette di agnello che andranno sprecate. Agnello inglese!» Il dottor Fielding, dopo aver ricambiato la stretta della mano di Stella, intervenne in questo monologo con la richiesta di essere accompagnato immediatamente nella camera di Gregory Matthews. «Oh, sì» disse la signorina Matthews, guardandosi intorno frastornata. «Naturalmente. Dovrei essere io stessa ad accompagnarla di sopra, ma ho la sensazione che non sarò mai più capace di entrare in quella camera. Guy, adesso sei tu l'uomo di casa.» «Non c'è nessun bisogno che qualcuno mi accompagni di sopra» rispose il dottor Fielding. «Conosco la strada.» Beecher tossicchiò e si fece avanti, portandosi ai piedi della scala. «Prego, signore, l'accompagnerò io.» Il dottore lo squadrò. «È stato lei che ha trovato il signor Matthews, vero? Venga pure su con me.» In cima alla scala venne accolto dalla signora Matthews. Indossava un abito nero che le donava molto, e lo salutò con una voce più fievole del solito. Non era una sua paziente, perché non aveva la minima fiducia di tutti i medici generici, ma come uomo le piaceva moltissimo. Adesso che l'opposizione di Gregory Matthews era caduta, si sentiva perfino preparata ad accettare il dottore come genero. Di conseguenza c'era appena appena una sfumatura di comprensione piena di simpatia nel sorriso che gli dedicò. «Mi aspetto che Stella gliel'abbia detto. Non riusciamo ancora a rendercene conto... e forse questo è un bene. Con tutto ciò, quando mi sono svegliata stamattina ho avuto una specie di presentimento. Non so descriverglielo, ma le persone che sono sempre un po' con i nervi a fior di pelle, come purtroppo capita a me, sono più sensibili di altre per... come posso chiamarla? L'atmosfera, ecco.» «Senza dubbio» rispose il dottore, che la conosceva da molto tempo. «Naturalmente è stato un attacco di cuore in seguito a una forte indigestione» dichiarò la signora Matthews. «Il mio povero cognato a volte era un po' testardo, come mi aspetto che lei sappia.» «Sì» confermò il dottore, e intanto stava cercando di passarle di fianco e
proseguire per la sua strada. «Molto testardo, purtroppo.» Lei lo lasciò andare e si decise a scendere la scala mentre Beecher apriva la porta della camera di Gregory Matthews, che aveva chiuso a chiave, e faceva entrare il dottore. Fielding non disse niente quando vide il corpo che giaceva nel letto, ma si chinò su di esso con le sopracciglia aggrottate. Beecher rimase ad osservarlo intanto che lui procedeva a eseguire il suo esame, e dopo un po' ruppe il silenzio. «Suppongo che si sia trattato di una morte naturale, signore...» Il dottore alzò di scatto la testa a guardarlo. «Lei ha qualche motivo per pensare che non sia stato così?» «Oh, no, signore, solo che ha un aspetto orribile, e con gli occhi sbarrati a quel modo dà l'impressione che qualcosa non torni, come dire.» «Tutto qui? Se vuole un consiglio, eviti di mettere in giro voci di questo genere. Potrebbero cacciarla in qualche pasticcio.» Il dottor Fielding riportò di nuovo la sua attenzione sul letto, concluse il suo esame e si raddrizzò. Beecher, intanto che gli apriva la porta, gli diede volontariamente, e in tono piuttosto offeso, l'informazione che il corpo era freddo, quando lui lo aveva trovato alle otto del mattino. Il dottore fece un segno affermativo con la testa e uscì dalla camera da letto avviandosi verso la scala. In anticamera, il gruppetto delle persone che già si trovavano là adesso era aumentato di numero con l'arrivo della signora Lupton e di suo marito, i quali erano venuti in macchina dalla loro casa, che si trovava sull'altro lato della brughiera. La presenza di Henry Lupton, un ometto con i baffi rossicci e gli occhi azzurri dall'espressione preoccupata e indecisa, era priva di qualsiasi significato. Ma la personalità di Gertrude Lupton faceva di lei una visitatrice straordinaria e sgradita. Era una donna di corporatura massiccia e imponente, sui cinquantacinque anni, estremamente rigida e impettita, anche perché questo portamento veniva accentuato da formidabili stecche di balena. Le portava perfino nella pettorina di pizzo che le copriva invariabilmente la gola. I suoi cappelli avevano sempre l'ala ampia e la cupola alta, e la cipria con cui si copriva la faccia era tinta lievemente di mauve. Era stata la più vicina di tutta la famiglia a Gregory Matthews come età, e gli assomigliava anche nel temperamento, per la sua forza travolgente nel modo di trattare gli altri; ma la differenza fra loro stava nel fatto che, mentre Gregory Matthews era stato incline ad accessi di rabbia che ispiravano
un timore reverenziale, nessuno aveva mai veduto Gertrude perdere una briciola della sua implacabile calma. Era perfettamente calma anche adesso, per quanto in preda a una certa commozione. Si teneva ben eretta, in piedi, con una mano appoggiata sul tavolo nel mezzo dell'anticamera mentre esprimeva con enfasi una serie di opinioni energiche e svariate. Il dottor Fielding, che si era fermato sul primo gradino in alto della scala, la sentì reprimere la loquacità di Harriet, consigliando severamente alla disgraziata zitella di esercitare un minimo di autocontrollo, e lasciare annichilita la signora Matthews, la quale aveva poco saggiamente raccontato anche a lei la storia del presentimento che aveva avuto. «Io provo la massima avversione per quel genere di stupide fandonie, e devo dire che le considero assolutamente gratuite e fuori posto in una persona che non è mai stata, nel modo più assoluto, una consanguinea del mio povero fratello. Non solo, ma sono sinceramente convinta, Zoe, che rinuncerai a qualsiasi tentativo di trasformarti nella protagonista di questa faccenda sconvolgente, per quanto mi veda costretta a pensare, conoscendoti, che sarebbe proprio da te, e anzi quasi me lo aspetto, se tentassi di far convergere le luci della ribalta soltanto sulla tua persona.» Il candore crudo di questo discorso non avrebbe mai potuto ottenere di confondere la signora Matthews, lasciandola allibita. Il dottore, scendendo le scale, pensò che la reazione della donna diceva molto sulla sua abilità di dominarsi, mentre rispondeva con impareggiabile compostezza. «Ah, mia cara Gertrude, temo proprio che voi donne tanto risolute e forti di carattere non sappiate sempre comprendere le creature dai nervi troppo sensibili come noi.» «Io ti comprendo perfettamente, e posso dire che l'ho sempre fatto» replicò la signora Lupton in un tono che non ammetteva repliche. Si accorse che stava arrivando il medico e girò sui tacchi per affrontarlo. «Il dottor Fielding, credo. Ho sentito parlare di lei da mio fratello.» Il suo tono sottintendeva che non ne aveva sentito parlare affatto bene. Lui rispose in tono un po' brusco. «È da parecchio tempo che sono il medico curante del signor Matthews, quindi immagino che questo sia stato possibile.» Lei lo squadrò dalla testa ai piedi. «E qual è stata a suo giudizio la causa della morte del mio disgraziato fratello?» «A mio giudizio» rispose Fielding con una sfumatura di sarcasmo nella voce «suo fratello è morto per una sincope.»
«E cosa diamine sarebbe?» provò a domandare Stella, che era uscita dalla sala da pranzo non appena aveva sentito la sua voce. «Le sarò grata» proseguì la signora Lupton ignorando l'arrivo della nipote «se vorrà essere più preciso.» «Certamente. Suo fratello, come lei saprà sicuramente, soffriva di ipertensione, unitamente a un leggero disturbo alle valvole cardiache...» «Sono al corrente del fatto che lei stava curando mio fratello per un disturbo di cuore» lo interruppe la signora Lupton. «Ma posso soltanto dire che se soffriva di un cuore debole era l'unico di noi che fosse afflitto da tale malattia. Io non ci ho mai creduto. Noi siamo di una razza che ha sempre goduto di ottima salute. Sono sicura che nella nostra famiglia di un cuore debole non si è mai sentito parlare.» «Probabilmente no, ma resta il fatto che suo fratello aveva, come lo definisce lei, il cuore debole. E io credo di averlo messo ripetutamente in guardia contro i pericoli di un'eccessiva emotività e di una dieta poco giudiziosa. Ma dal momento che lui non teneva conto dei miei consigli, ho pochissimi dubbi sul fatto che la sua morte sia stata provocata da una sincope, in seguito, con ogni probabilità, a un forte attacco di indigestione.» «L'anatra!» esclamò la signorina Matthews. «Lo sapevo.» «Sì, cara» disse la signora Matthews nell'intento di consolarla. «A suo tempo avevo pensato che fosse un po' rischioso, da parte tua, ordinare l'anatra, ma mi sono imposta la regola di non interferire mai nella tua giurisdizione. Se soltanto si fosse potuto prevedere il risultato...» «Cosa ha mangiato suo fratello a cena, ieri sera?» domandò il dottore. «Anatra arrosto» rispose la signorina Matthews in tono afflitto. «Non è una pietanza adatta a lui; gli ha sempre fatto male, ma c'erano due bellissime cotolette d'agnello che invece non ha voluto neanche toccare. Non riesco a pensarci.» «Ho paura» disse la signora Matthews, attirando di nuovo su di sé l'attenzione del dottore «che la cena di ieri sera non fosse del tutto appropriata per chi ha lo stomaco delicato. Tanto per cominciare, c'era il cocktail di aragosta...» «Oh, ma lo zio quello non l'ha neanche toccato» obiettò Stella. «Ne ha assaggiato soltanto un boccone e ha detto che non era assolutamente commestibile per gli esseri umani.» «Cara bambina, per favore, non interrompere» disse sua madre. «E sogliole con una salsa piuttosto sostanziosa, dottore, e un savoury appetitoso e piccante a base di formaggio come piatto di fine pranzo, che io considero
sempre molto indigesto.» «A me sembra esattamente quel genere di pasto scelto male che mi sarei aspettata di vederti ordinare, Harriet» replicò la signorina Lupton in tono severo. «Ma sento per la prima volta che nella digestione di Gregory ci fosse qualcosa che non funzionava. La mia sincera impressione è che in tutto questo c'è molto di più di quanto può sembrare a prima vista, quindi insisto per poter vedere immediatamente il cadavere di mio fratello.» La signora Matthews trasalì e chiuse gli occhi. «Per favore» disse con un filo di voce. «Non quella terribile parola, Gertrude.» «Non ho nessuna pazienza con i sentimentalismi di questo genere» replicò la signora Lupton. «Io sono convinta che le cose vadano sempre chiamate con il loro nome, e se tu puoi garantirmi che il mio disgraziato fratello non è un cadavere, te ne sarò estremamente grata. Henry, adesso io salgo nella camera di Gregory. Sarà meglio che tu venga con me.» Henry Lupton fino a quel punto si era tenuto con molta discrezione in disparte. «Sì, mia cara, senz'altro» disse, e con un'occhiata di critica verso il dottor Fielding si mosse per seguire sua moglie. Nessuno disse niente fino a quando i Lupton furono fuori portata d'orecchio. Il dottor Fielding stava guardando Stella con un sorriso malinconico; la signora Matthews si era lasciata cadere in una poltrona e aveva assunto un'espressione rassegnata. Harriet, che aveva continuato a muovere le labbra come se fosse in tacita comunicazione con se stessa, parlò improvvisamente, a voce alta, con aria enormemente indignata. «Non glielo perdonerò mai, mai! Sono anni che penso io a ordinare tutti i pasti per Gregory. Nessuno degli altri lo ha mai ucciso; e allora perché avrebbe dovuto farlo proprio questo? Ditemelo un po' voi!» «Ah, Harriet» fece la signora Matthews, scrollando la testa con aria dolente. «E, quanto a te, non pensare di rivolgerti a me con questo tono» scattò la signorina Matthews in modo brusco. «Se c'è qualcuno che l'ha ucciso sei stata tu, con tutte le preoccupazioni e i fastidi sul conto di Guy... e anche di Stella, adesso che ci penso!» «Oh, Deryk!» mormorò Stella. «Siamo una famiglia terribile!» Le loro dita si unirono e si strinsero per un attimo. «Come vorrei che non si sentissero tutte queste stupidaggini!» sbottò improvvisamente Guy, che era apparso sulla soglia della sala da pranzo. «Ma è chiaro di che cosa lo zio è morto. Nessuno l'ha ucciso.» «Se qualcuno si azzarda ancora a menzionare la parola anatra, comincio
a credere che mi metterò a urlare» disse Stella. Il rumore di una porta che veniva richiusa al piano superiore li avvertì del ritorno della signora Lupton, la quale scese le scale con le labbra strette e non pronunciò una sola parola fino a quando non raggiunse l'anticamera. A quel punto si lasciò sfuggire un sospiro sibilante. «Terribile! Sono indicibilmente sconvolta da quello che ho visto. Il mio povero fratello!» «Sì, davvero» disse Henry Lupton, che adesso sembrava più a disagio che mai. «Terribile, terribile!» «Basta così, Henry. A parlare le cose non si aggiustano» lo rimbeccò sua moglie. Poi il suo sguardo spietato si concentrò sul dottore. «Devo dedurre che lei è pronto a firmare un certificato di morte?» Lui ricambiò lo sguardo con aria accigliata, mentre nei suoi occhi balenava una sfumatura di imbarazzo. «Nella mia posizione di medico generico...» «Medico generico un corno!» sbottò la signora Lupton. «Io insisto perché venga richiesta un'altra opinione!» Tutti la fissarono allarmati. Calò un greve silenzio. Poi questo silenzio venne spezzato dalla signora Matthews. La sua voce era leggermente stridula, per quanto parlasse ancora con il suo solito tono mellifluo. «Cara Gertrude, sei sconvolta, e non c'è da meravigliarsene. Ma sono sicura che non hai intenzione di ferire i sentimenti di nessuno.» «Non mi preoccupo minimamente delle sensibilità del mio prossimo» disse la signora Lupton. «Lo ripeto: insisto per avere una seconda opinione in proposito.» «Forse» disse il dottor Fielding guardandola dritto negli occhi «gradirebbe che io notificassi al coroner il decesso di suo fratello?» «Sì, è precisamente quello che gradirei, dottor Fielding!» 2 Nessuno aprì bocca per un po'. Non era possibile fraintendere quello che era sottinteso nelle parole della signora Lupton, ma ci volle un po' di tempo perché il loro significato fosse assimilato completamente. Tutti si volsero a guardarla smarriti, all'infuori del dottore, il quale era rimasto immobile, con gli occhi abbassati sul piano lucido del tavolo e la fronte sempre aggrottata. Harriet fu la prima a sbottare. «Tanto vale che tu lo dica subito: pensi
che io l'abbia avvelenato, e mi meraviglia molto che tu non lo faccia! E quanto al modo di governare la casa, potrai pensare di farlo molto meglio di me, ma posso soltanto dire che mi vergognerei di tutti quegli sprechi che si fanno da te. E se pensi che io abbia dato l'anatra a Gregory con lo scopo di ucciderlo, ci sono le cotolette a provare che non è stato così!» «No, non ci sono» disse Stella con voce un po' tremula. «Le hanno mangiate in cucina.» La signora Matthews tirò fuori l'astuccio delle sigarette dalla borsetta, l'aprì con le dita un po' incerte, ne scelse una e se l'accese. «Stella, per favore!» Guy venne avanti di qualche passo. «Intendi forse dire che vuoi u... un'autopsia?» domandò. «Ma è la più totale scemenza! E devo dire che mi piacerebbe sapere che diritto hai di arrivare qui come se niente fosse a interferire! Adesso che lo zio è morto il capo di casa sono io, e...» «No, mio caro Guy, non lo sei» disse sua zia rimanendo assolutamente imperturbabile. «Ho pochissimi dubbi che ti piacerebbe crederti il capofamiglia, e sono perfettamente al corrente delle macchinazioni tue e di tua madre per persuadere tuo zio a nominarti suo erede. Quello di cui io invece non sono affatto al corrente è che lui abbia mai preso una decisione simile. Quindi, stando così le cose, è mio dovere ricordarti che il capofamiglia adesso è tuo cugino Randall.» Guy arrossì per la rabbia. «In ogni caso, il capofamiglia non sei tu, e non hai nessun diritto...» «Se Randall sta per essere tirato dentro in tutta questa faccenda, io me ne andrò all'istante di qui» disse Stella in tono disgustato. «Sono in grado di sopportare molte cose, ma Randall no. E c'è di più: se qualcuno ha avvelenato lo zio, dovrei pensare che è stato lui.» «Questa» disse la signora Lupton «è un'osservazione stupida e mi auguro che ti pentirai di averla fatta non appena ti sarai concessa un po' di tempo per rifletterci. Io non sono assolutamente una sostenitrice di Randall. Tutt'altro. Ma accusarlo di aver avvelenato vostro zio è assurdo. Randall non è più venuto qui a Grinley Heath da domenica scorsa.» «Non siamo tutti un pochino tesi?» interloquì la signora Matthews con aria blanda. «Non c'è nessuno seriamente convinto che il povero Gregory è morto per qualcos'altro che non siano i risultati di una forte indigestione. Se ci fosse la minima ragione di sospettare un delitto sarei io la prima a esigere un'indagine approfondita. Ma sono sicura che nessuno può aver desiderato la sua morte... e davvero, Gertrude, quando si considera fino a che
punto possa essere sgradevole... una... un'inchiesta, e le cose che...» «Spero di non essere io la persona che si tira indietro di fronte a qualcosa di sgradevole» disse la signora Lupton. «E quando dici di essere sicura che nessuno può aver desiderato la morte di Gregory, mi permetto di non essere d'accordo. Ti prego, comunque, di renderti conto che io non faccio accuse di nessun genere. Ma sono al corrente dei dissensi che esistono nell'ambito di questa famiglia, e per quanto penoso sia questo pensiero, non posso chiudere gli occhi davanti al fatto che parecchie persone trarranno un vantaggio dalla sua morte.» Suo marito entrò inaspettatamente nella discussione dopo qualche colpetto di tosse. «Ecco, mia cara, io credo che dovremmo lasciarci guidare da quello che dice il dottore. Non vorrai far scoppiare uno scandalo di qualche genere, vero? Troveresti molto poco simpatico il fatto di poter essere trascinata in... ehm... quel genere di pubblicità, capisci.» «Sii tanto cortese da permettermi di manifestare apertamente la mia opinione, Henry» disse la signora Lupton in tono glaciale. «Tu e io, perlomeno, non abbiamo nessun motivo di temere un'indagine.» Lui nel frattempo aveva preso un'aria un po' spaventata. «No, mia cara, naturalmente no, ma non faremmo meglio a riflettere un momento, prima di agire?» «Deryk, tu non pensi che lo zio sia stato avvelenato, vero?» domandò Stella con ansia. Fielding le rivolse il lampo di un sorriso. «No, affatto. Nello stesso tempo, se la signora Lupton ha la sensazione che ci sia qualche possibilità di dubbio, naturalmente preferirei che venisse fatto un esame autoptico.» Lanciò un'occhiata alla sorella del defunto. «Per quanto mi riguarda non ho nessuna obiezione che la faccenda venga messa nelle mani del coroner.» «Be', e invece io penso che ci siano tutte le obiezioni possibili!» esclamò Guy infuriato. «Tutti all'infuori della zia Gertrude sono pienamente soddisfatti della tua diagnosi, e io non riesco assolutamente a vedere che senso abbia far tagliare a pezzetti lo zio e costringerci a lavare un mucchio di biancheria sporca in pubblico! Naturale che non è stato avvelenato! Ma nel preciso momento in cui avremo un'autopsia e un'inchiesta la gente comincerà a parlare e a dire che non c'è fumo senza arrosto. La nostra vita diventerà un autentico inferno!» «È verissimo» disse sua madre, pienamente d'accordo. «E nessuno può fare a meno di domandarsi se sia proprio quello che avrebbe fatto piacere al povero Gregory.»
«Certo che non lo è» intervenne la signorina Matthews in tono esplicito. «Diceva di non voler avere più niente a che fare con i medici. E io la penso come lui, anche se nessuno prende in considerazione i miei sentimenti, in questa casa. Io so quello che succederà. Dovremo tutti rispondere a certe domande che non hanno niente a che vedere con il caso in questione, e a ben pensarci non c'è nessuno che abbia mai potuto vivere con Gregory senza litigare con lui. Da parte mia racconterò a quella gente con tutta la franchezza possibile che era sempre Gertrude quella che litigava con lui, quando eravamo bambini. Non è altro che la pura verità, come i poveri Hubert e Arthur confermerebbero se soltanto fossero vivi e mi potessero sentire!» Questa allusione del tutto casuale ai suoi due fratelli ormai defunti le provocò un nuovo accesso di lacrime. Tirò fuori di tasca un ampio fazzoletto e ci si soffiò il naso. «Se almeno avessi un uomo a cui appoggiarmi... Ma i miei fratelli sono tutti morti, il signor Rumbold è via e voi potete buttarmi addosso tutte le accuse che volete!» «Non essere ridicola, Harriet!» le ordinò sua sorella. «Nessuno sospetta che tu c'entri in qualche modo.» «Questo, lo dici tu!» ribatté la signorina Matthews. «Ma io non ho il minimo dubbio che finiranno per dare la colpa di tutto all'anatra, e a non credere neanche una parola di quello che io ho detto a proposto delle cotolette. Se non incolperanno il povero Guy, perché suo zio aveva intenzione di mandarlo in Sudamerica, che era proprio una di quelle cose che Gregory era capace di fare, così se Guy lo avesse ucciso ci sarebbe stato senz'altro un movente valido. Ecco cosa racconterò a quella gente! Guy è l'unico fra tutti voi che provi un po' di affetto per la sua povera vecchia zia, e sono pienamente convinta che ti stai comportando a questo modo per puro dispetto, Gertrude.» Dopo essersi liberata di tutto quello che aveva sul cuore con questo accanito sproloquio, la signorina Matthews si abbandonò alla disperazione e continuò a singhiozzare con tale accanimento, e a respingere la sorella e la cognata con tale violenza, che toccò a Guy e Stella accompagnarla di sopra, in camera sua. Guy eseguì la sua parte di questo dovere senza dare l'impressione di provare un particolare affetto nei confronti della zia, mentre Stella fece un sacco di smorfie, senza preoccuparsi di nasconderle, rivolgendosi al dottor Fielding. Poi si vide costretta a rimanere con la signorina Matthews fino a quando quell'afflitta creatura ebbe riacquistato un minimo di compostezza e di autocontrollo, e non appena fu finalmente libera di ridiscendere, il dottor Fielding se n'era già andato e la signora Mat-
thews stava salutando i Lupton che erano in partenza anche loro, sotto il portico. Stella trovò suo fratello in biblioteca, occupato a telefonare a un certo Nigel Brooke, il socio con il quale, un anno prima, aveva dato inizio a un'attività commerciale che a quanto pareva stava già navigando in cattive acque. La vocazione del signor Brooke era l'arredamento d'interni e Guy, dal momento che univa una certa inclinazione verso l'arte a una profonda venerazione per il suddetto signor Brooke, di quattro anni maggiore di lui, non aveva avuto la minima difficoltà a sentire la stessa vocazione. L'uno e l'altro avevano in comune il fatto di essere l'unico figlio maschio di madre vedova, ma mentre Nigel aveva il controllo completo del capitale ereditato, il poco denaro che Arthur Matthews aveva potuto lasciare al figlio, invece, era stato trasformato in un patrimonio fiduciario i cui amministratori erano sua moglie e il suo fratello maggiore, Gregory. Guy era riuscito a diventare socio di Nigel Brooke grazie all'abilità con cui sua madre era stata capace di influenzare lo zio Gregory, il quale aveva un debole per le belle donne e ignorava praticamente tutto su quelle che potevano essere le capacità del nipote, eppure si era lasciato persuadere a investire un migliaio di sterline, come quota di Guy, nella neonata società. Ma da quel giorno aveva avuto ampie opportunità di valutare quali fossero le reali capacità di Guy. Perciò, quando si era sentito chiedere un ulteriore anticipo di denaro a sostegno delle fortune della ditta Brooke & Matthews che faticava a stare in piedi, aveva risposto con un'offerta ricevuta da un conoscente d'affari che aveva un posto libero per un giovanotto negli uffici delle sue piantagioni di gomma in Brasile. L'adulazione, i modi persuasivi e le lacrime di una bella donna in quest'occasione avevano fallito nell'intento di commuoverlo, e Gregory aveva definito il nipote un perditempo e uno sprecone, manifestando con parole di una violenza assolutamente insolita il suo desiderio di liberarsene. Forse per la prima volta in vita sua Zoe Matthews aveva scoperto come fosse impossibile ottenere quel che voleva. Il suo unico mezzo per gratificare l'ambizione del figlio, e per conservarselo vicino, rimaneva quello di liquidare parte del proprio capitale a suo uso e consumo, ma dal momento che il reddito che ne ricavava era già del tutto insufficiente per le sue necessità, una soluzione del genere era fuori questione. Anzi, non poteva neppure prenderla in considerazione. Né tanto meno poteva permettersi di manifestare apertamente a Gregory il proprio risentimento, perché sarebbe
stata una grossa stupidaggine e avrebbe potuto perdere una casa estremamente comoda e tutti quegli agi per i quali fino a quel momento nessuno si era mai aspettato che lei pagasse neanche un centesimo. La casa aveva i suoi svantaggi, naturalmente. Non era di sua proprietà, e la presenza della cognata era sempre un motivo di fastidio, ma dal momento che la povera Harriet era l'antitesi di tutto quel che secondo Gregory Matthews doveva essere una femmina, guadagnarsi il suo appoggio in qualsiasi dissenso le capitasse di avere con la cognata richiedeva pochissima fatica. La pazienza e un'inesauribile dolcezza avevano conseguito il loro scopo: al termine di una permanenza di cinque anni ai Pioppi, Zoe Matthews aveva saputo trasformarsi, se non proprio nella padrona di casa, almeno in un'ospite cara e amata, le cui comodità dovevano essere il pensiero principale di tutti. "Che donna spietata e crudele... la mia cara zia Zoe" aveva mormorato una volta Randall Matthews, allungandole un'occhiata maliziosa da sotto le lunghe ciglia. Era proprio a Randall che Stella stava pensando mentre aspettava che il fratello concludesse la sua conversazione con Nigel Brooke. Quando finalmente lui posò il ricevitore sulla forcella, entrò subito in argomento. «Secondo te, Guy, lo zio ha lasciato tutto a Randall?» «Puoi scommetterci... o comunque gliene ha lasciata la massima parte. Randall non ha fatto che lavorare a questo scopo, se vuoi sapere come la penso... presentandosi sempre qui senza nessuna ragione al mondo, salvo quella di adulare lo zio circondandolo improvvisamente di mille attenzioni. È maledettamente ingiusto, ecco! Io me ne vengo via da Oxford, trovo un lavoro assolutamente formidabile e non lo mollo, mentre tutto quello che Randall è capace di fare sembra sia soltanto andare alla deriva, lasciandosi trasportare dalla corrente, con quella sua aria fragile e delicata, dando fondo a un bel po' di soldi senza mai lavorare, o tentare di lavorare, neanche un giorno della sua vita. Mi fa venire il vomito! A parte il fatto che non esiste tipo più maligno e velenoso di lui.» Stella accese una sigaretta. «Immagino che si farà vivo quanto prima. E dirà cose terribili a tutti con voce amabile e gentile. Secondo te, lo zio ha lasciato dei soldi alla mamma?» «Sì, ne sono abbastanza sicuro» disse Guy fiducioso. «In ogni caso, il nocciolo della faccenda è che adesso lei diventa la unica e sola amministratrice fiduciaria del mio patrimonio, il che significa che sarò in grado di continuare con Nigel.» La sua faccia si rabbuiò. «Tutto andrebbe per il
meglio se non ci fosse di mezzo anche quella dannata vecchia strega della zia Gertrude! Perché diavolo voglia cacciare il naso in quello che è successo non so proprio immaginarlo.» «È gelosa di noi» disse lei con indifferenza. «Probabilmente è persuasa che la mamma ci guadagnerà più di lei dalla morte dello zio. Effettivamente è una bella scocciatura, però immagino che non abbia importanza... L'autopsia, voglio dire.» «Ah, non ha importanza?» esclamò Guy con un tono di voce che trasudava amarezza. «Be', per una volta nella vita la zia Harriet ha colpito nel segno. Avremo la polizia che si precipiterà qui a fare un sacco di domande una più imbarazzante dell'altra, accidenti! E se è questa la tua idea di un po' di divertimento, ti assicuro che io non sono dello stesso parere. Lo sanno tutti che ho litigato furiosamente con lo zio per quel suo progetto sudamericano al quale teneva moltissimo, e quando la polizia lo verrà a sapere mi ritroverò proprio in una brutta posizione.» Stella diede un colpetto alla sigaretta per far cadere la cenere sul tappeto. «Ma quando non troveranno nessun veleno nello zio, non ci faranno più nessuna domanda.» «Già, ma se invece lo trovassero, il veleno?» «Non lo troveranno.» Lei sollevò la testa di scatto. «Buon Dio, non... non stai pensando sul serio che qualcuno l'abbia fatto fuori, eh?» «No, naturalmente no... Comunque, ci resta sempre da affrontare la possibilità che invece qualcuno possa davvero averlo fatto fuori. E bada bene, io non ci credo, ma quell'imbecille di Fielding non mi è sembrato troppo sicuro in proposito.» «Ti dispiacerebbe molto non chiamare Deryk "quell'imbecille"?» disse Stella in tono gelido. «Si dà il caso che io abbia intenzione di sposarlo.» «Bene, sarà divertente vedere che ti fai in quattro per spiegarlo alla polizia. E sarai anche capace di raccontare a quella gente cos'ha detto lo zio in proposito, senza dimenticare la parte che riguarda la casa di cura per alcolisti?» «Sta' zitto! Non è colpa di Deryk se suo padre beveva!» «No, ma è senz'altro una sfortuna per lui» la beffeggiò Guy. «Soprattutto se verrà fuori anche la storia che lo zio, con quel suo modo di fare lo spiritoso che ben conosciamo, l'ha minacciato di rivelare il segreto a destra e a sinistra se non dava un taglio al suo fidanzamento con te.» La mano di Stella, mentre si portava la sigaretta alle labbra, adesso era scossa da un tremito; però lei riuscì a controllare il suo malumore.
«Devi proprio essere volgare, oltre che vendicativo e dispettoso? Non riesco a capirlo, sai?» «Potrò essere volgare, ma non sono affatto dispettoso. Ti sto semplicemente facendo notare quale sia la tua posizione. Io non critico Fielding per aver avuto un alcolista senza speranze come padre, ma se credi che qui a Grinley Heath faranno finta di niente e ci passeranno sopra, sarà meglio che ti tolga quest'idea dalla testa. Cosa credi, che si ritroverebbe ad avere ancora un bel mucchio di clienti, a questo punto, se lo zio avesse vuotato il sacco? E poi non è che lui sia astemio, sai? Anzi, è tutt'altro che astemio!» «Sei un piccolo mascalzone schifoso, e le tue sono vere e proprie maldicenze!» esplose Stella. «Se stai cercando di alludere alla possibilità che sia stato Deryk ad avvelenare lo zio, sarei quasi più pronta a credere che il colpevole sei tu!» «Oh, saresti pronta a crederlo, eh? Dici sul serio? Grazie, grazie mille! Bene, io non l'ho avvelenato, e vorrei che ti risparmiassi allusioni del genere. Se verrò a sapere che da parte tua è stato detto qualcosa in proposito, provvederò a non misurar le parole per quel che riguarda il tuo adorato Deryk. Ci siamo capiti?» «Se pensi che io...» Stella s'interruppe e rimase a fissarlo con tanto d'occhi. Poi scoppiò in una risatina. «Perché diavolo hai cominciato questa stupida discussione? Parli come se sapessimo che lo zio è stato avvelenato, mentre sono tutte stupidaggini. E te ne rendi conto benissimo anche tu.» «Sì, certo» disse Guy, mentre la sua stizza di poco prima scompariva come neve al sole. «Enormi stupidaggini. Scusami, non avevo intenzione di essere offensivo. Comunque, dico soltanto questo: se dovessero nascere dei guai, sarà meglio schierarci dalla stessa parte e restare uniti.» «E adesso che cosa succederà? La zia Gertrude ha telefonato alla polizia, per caso?» «No; sarà Fielding a mettersi in contatto con il coroner. Poi verranno a portar via il cadavere, e suppongo che non ne sapremo più niente per un paio di giorni. L'ho domandato a Fielding, e lui ha detto che il problema potrebbe essere quello che vorranno mandare i suoi organi al ministero degli Interni o in qualche altro posto del genere. Ho chiamato al telefono l'avvocato dello zio, e non c'è dubbio che arriverà qui con il testamento. In ogni caso, non vedo il motivo per cui non potrei andare in città come al solito.» Sua madre, che stava entrando in quel momento e aveva sentito quest'ultima osservazione, si affrettò a fargli una lezioncina, piena di affetto ma
severa, in cui lo rimproverava ricordandogli il rispetto che si deve ai defunti. Stella, accorgendosi che stava anche per mettersi a sproloquiare tristemente sulla solitudine della vedovanza, sgusciò fuori e salì al piano di sopra, ma soltanto per incappare nella zia, la quale aveva dimenticato temporaneamente tutti i suoi patemi d'animo in seguito alla scoperta che la finestra della stanza da bagno di Gregory Matthews doveva essere stata lasciata aperta da chissà chi, e di conseguenza la bottiglietta nuova della sua medicina era precipitata nel lavabo, andando in mille pezzi. «Non riesco a capire che importanza abbia» osservò Stella di malumore. «In ogni caso non puoi prendere tu il ricostituente che è stato preparato per qualcun altro.» «No, ma il farmacista ci fa sempre un piccolo sconto sulle bottiglie» rispose la signorina Matthews in tono severo. Con un vago senso di repulsione Stella posò gli occhi sull'assortimento di oggetti che la zia stringeva fra le mani e si domandò come ci si potesse aspettare che lei e suo fratello prendessero atto di tutta la solennità della morte quando avevano dei parenti che si comportavano come la zia Harriet. Quest'ultima, infatti, aveva trionfalmente raccolto dalla stanza da bagno del fratello le sue spugne e il guanto di flanella per la faccia, che sarebbero potuti tornare utili come stracci per le pulizie, una saponetta, due spazzolini da denti, eccellenti per sfregare bene i piatti di filigrana d'argento quando si lucidavano, un tubetto pieno a metà di dentifricio, una boccettina di collutorio e un guanto di spugna vegetale. «Pensavo che questo guanto avrebbe potuto far comodo a Guy,» disse. «È veramente ottimo. E poi c'è anche il fondo di un bastoncino di sapone da barba.» «Se vuoi ascoltare il mio consiglio, non pensare neanche a offrirglielo» osservò Stella. «È un po' schifiltoso, mio fratello.» «Se c'è qualcosa che odio più di tutto» dichiarò la signorina Matthews «è lo spreco.» Le sue attività per il resto della mattinata furono sorprendenti. Dopo aver ordinato agnello freddo e budino di riso per il pranzo, non prestando il minimo ascolto a tutti i suggerimenti più appetitosi della signora Beecher, perché partiva dal presupposto che nessuno avrebbe badato a quello che c'era da mangiare in un'occasione del genere, annunciò la sua intenzione di dare una bella ripassata alla camera di Gregory per riordinarla da cima a fondo. Il suo cadavere era appena stato portato via su un'ambulanza quando disse a Rose e a Mary di andare di sopra a cominciare quest'opera di purifica-
zione. Rose cominciò subito a piangere, dicendo di non sopportare l'idea di entrare nella camera del padrone, ma la signorina Matthews, dimenticati tutti i suoi recenti scrupoli, le rispose di non fare la sciocca e di raccogliere tutta la biancheria usata del padrone e metterla nella cesta della roba sporca. Rose si affrettò a licenziarsi, e si ritirò singhiozzando. La signora Matthews salì a raggiungere la cognata proponendo che tutti insieme dedicassero il resto di quell'infelice giornata al silenzio e alla meditazione, ma venne informata in tono acido che se una cosa andava assolutamente fatta, lei non era tipo da rimandarla. Allora si ritirò sconfitta, e poiché Guy era occupato a disegnare il progetto di una mensola da camino per una casa di Dorking e si rifiutava senza tanti scrupoli di meditare in sua compagnia e Stella era irreperibile, abbandonò tutte le idee di una giornata contemplativa e diede ordine all'autista di condurla in città allo scopo di acquistare una serie di abiti da lutto. Quando la signorina Matthews, che si stava dedicando con ardore a un'ispezione degli abiti di Gregory per vedere in quali condizioni fossero, in vista della possibilità di venderli, venne a sapere cosa intendeva fare la cognata Zoe, faticò enormemente a dominarsi. Andare a Londra con uno scopo così poco nobile come quello di sperperare soldi in vestiti le sembrava il massimo dell'insensibilità. «Dopo tutti i suoi discorsi sulla necessità di rivolgere la nostra mente a cosa più alte... Meditazione, un corno!» esplose. «Mi piacerebbe moltissimo sapere che diritto ha lei di prendere la macchina e farsi scarrozzare chissà dove senza dirmi neanche una parola in merito!» Ben presto questo aspetto della situazione superò in importanza tutti gli altri e si mise a girare per la casa borbottando tra sé. Quando arrivò l'ora di pranzo, si era ridotta in uno stato di agitazione che trovò modo di esprimersi nell'annuncio improvviso ai due nipoti che lei non sarebbe più riuscita ad avere neanche un momento di pace fino a quando non avesse visto il testamento di Gregory e l'intera faccenda non fosse stata sistemata una volta per tutte. Un'occhiata al budino di riso che era stato servito dopo l'agnello bastò a far alzare Stella da tavola. Con voce fievole disse che non si sentiva nelle condizioni di rimanere a mangiarlo e si trasferì nella casa accanto. Il dottor Fielding era appena rientrato da un giro di visite quando lei arrivò, e si era seduto a tavola in quel momento. Stava sfogliando rapidamente il taccuino dove prendeva i suoi appunti quando Stella venne fatta entrare nella stanza, ma gli bastò un'occhiata per metter da parte il taccuino
e alzarsi dalla seggiola di scatto. «Stella, mia cara!» «Sono venuta a pranzo» disse lei. «Non c'è altro che carne di montone e riso, e io non ce la faccio neanche a guardarli.» «Povero tesoro! Jenner, apparecchia per la signorina Matthews. Accomodati, cara, e raccontami tutto. Hai avuto una mattinata difficile?» «Orrenda» disse Stella, accettando un bicchiere di sherry. «Quanto basta per farmi desiderare che lo zio non fosse morto.» Fielding le scoccò un'occhiata di avvertimento. «Avevo paura che avresti passato un brutto momento. Va bene, Jenner, basta così. Ci serviremo da soli.» Rimase in silenzio fino a quando il domestico non si fu ritirato. «Stella, stai attenta a quello che dici davanti alla gente. Non credo che tu voglia dare l'impressione che desideravi la morte dello zio.» «Non la desideravo affatto. È una possibilità che non ho mai preso in considerazione. Lui era quel tipo di persona che non ci si aspetta di veder morire, dico bene?» «Be', io sono medico» obiettò lui sorridendo. «Cioè, te lo aspettavi? Non me l'avevi mai detto.» «No, non posso dire esattamente che me l'aspettavo. E neanche te l'avrei detto, nel caso in cui me lo fossi aspettato, tesoro mio.» Stella posò coltello e forchetta. «Deryk, ti prego, dimmi una cosa: credi che lo zio sia stato avvelenato?» «No, affatto. Ma anche se non ci sono segni non compatibili con una morte per sincope, non potrei assumermi l'impegno di affermare che non è stato avvelenato sulla base di un esame puramente superficiale.» Lei prese l'aria di chi comincia a preoccuparsi. «Come vorrei che non si fosse arrivati a un'autopsia... Di' quello che vuoi, ma sono convinta che tu abbia un po' paura che possano trovare qualcosa.» «Io non ho nessuna paura» disse Fielding tranquillamente. «Spero che non trovino niente per amor vostro, ma se ci fosse qualche dubbio voglio che sia chiarito.» Stella continuava a non darsi pace. «Be', per noi è abbastanza orribile. Confesso che speravo di non vederti arrendere di fronte alla zia Gertrude. Non potevi impedire tutta quella storia?» Lui inarcò le sopracciglia con espressione interrogativa. «Mia cara, e la mia reputazione professionale?» «Non so... l'hai detto tu stesso che eri pronto a firmare un certificato di morte. Non capisco perché tu voglia un'autopsia. Supponiamo che trovino
un veleno. Tutti sanno che hai avuto un'accanita discussione con lo zio per me, e mi sembra che la polizia possa sospettare facilmente che sia stato tu a somministrargli un veleno.» «Possono sospettare quello che vogliono» rispose lui gelido. «Ma sarebbero proprio furbi se riuscissero a provarlo. Non tormentarti il cervello per me, Stella: non ho assolutamente la minima paura di un'autopsia.» «Certo. Ma io non volevo dire che tu potresti aver avvelenato lo zio. Però mi sembra che le cose, in un modo o nell'altro, abbiano preso una brutta strada. L'unica parte piacevole in tutto questo è che potremo sposarci senza che ci sia un'altra odiosa discussione. Non credo proprio che la mamma abbia obiezioni in proposito. È troppo presa dai problemi di Guy per pensare a me. Non vive che per lui!» Il dottore allungò una mano attraverso il tavolo. «Bene, questa comunque è una parte molto piacevole.» Lei annuì. «Sì, perché io detesto i bisticci. Ti avrei sposato indipendentemente da quello che lo zio poteva dire, ma adesso che lui è morto tutto diventa più semplice.» Fielding si alzò, e venne a mettersi dietro la sua seggiola. «Sto per suonare perché Jenner venga a servire la portata successiva» disse, appoggiandole le mani sulle spalle. «Ma prima devo darti assolutamente un bacio.» Stella alzò la faccia, e mentre Fielding si curvava su di lei allungò una mano per accarezzargli la guancia scarna. «Quante sono le ragazze che hai baciato così?» domandò quando riuscì finalmente a parlare. «Una quantità» rispose lui, ridendo. Stella sorrise, ma era ridiventata seria quando parlò di nuovo. «Immagino che sia vero. Però ti piaceva Betty Mason prima di pensare a me, vero?» «Mai.» «Guarda che non ho nessuna intenzione di farti una scenata di gelosia. Anche se lo confessi, non ha importanza. Secondo me sei il tipo che non può fare a meno di innamorarsi di tutte le ragazze che non hanno gli occhi storti e il labbro leporino. Quando saremo sposati, con ogni probabilità mi ritroverò a passare momenti terribili.» «Invece, a giudicare da quello che vedo, ho l'impressione che sarò io a passare momenti terribili» ribatté lui in tono scherzoso. «Be', devo dire che non mi farebbe affatto piacere se mi piantassi in asso
perché hai perduto la testa per un'altra, adesso che sei fidanzato con me.» «Starò attento a comportarmi bene» le giurò lui, andando a premere il pulsante del campanello. L'entrata di Jenner mise fine alla conversazione. Portava a Fielding la notizia che c'erano due pazienti in ambulatorio ad aspettarlo. «Chi sono?» «Il ragazzo Jones e la signora Thomas per la gamba della sua bambina.» «Vai ad avvertirli che non ricevo fino alle due. Vedi di riportare indietro gli orologi, o qualcosa del genere.» «Molto bene, signore.» «Non sentirti obbligato a rimanere qui con me» disse Stella. «Stavo già pensando di andarmene.» «Non sono clienti importanti» disse lui con noncuranza. Lei lo scrutò con un lampo di severità negli occhi pieni di candore. «A te interessano soltanto le persone importanti, dico bene, Deryk?» «No, affatto. Ma non sono due casi urgenti. Vuoi ancora un po' di crema?» «No, grazie. Se si tratta della signora Thomas di North End Cottage, vorrei che andassi. Ha detto alla zia Harriet che Minnie ha un vero terrore di farsi medicare la gamba, e devo dire che non mi meraviglia. Non sopporto che i bambini abbiano paura di qualche cosa, e tu? C'è stato un periodo in cui dovevo andare in continuazione dal dentista e lui mi faceva sempre aspettare, il che peggiorava le cose.» Fielding si alzò, scostando la seggiola dal tavolo, e un po' amareggiato. «Sei proprio decisa a farmi lavorare come un mulo, cara la mia ragazza. Ma mi sarà mai permesso di fare un pasto in pace, quando saremo sposati?» «Sì, moltissime volte» disse Stella mandandogli un bacio sulla punta delle dita. Finì da sola, poi tornò senza fretta ai Pioppi. Mentre imboccava il viale d'accesso si accorse che le tende erano state abbassate a tutte le finestre che davano sulla facciata principale e scoprì, entrando in casa, che era il risultato delle reiterate richieste di un'irremovibile zia Gertrude la quale era già tornata, stavolta in compagnia della figlia più giovane, Janet. Data la tetraggine che adesso regnava in biblioteca e in sala da pranzo, la famiglia era stata costretta a radunarsi in salotto, una stanza vasta e deprimente che dava sul retro della casa, arredata con eleganza ma con mobili di un'assoluta scomodità, in stile Luigi XV. La signora Lupton stava discu-
tendo con sua sorella quale fosse la soluzione migliore per il guardaroba di Gregory, e Janet, una giovane donna pallida e seria di venticinque anni, stava cercando di mostrarsi vivace e intelligente mentre osservava il progetto che suo cugino Guy aveva disegnato per quella famosa mensola da camino destinata alla casa di Dorking. Stella si soffermò un attimo sulla soglia, meditando di squagliarsela all'istante, ma Guy le lanciò un'occhiata supplichevole, e rendendosi conto che, se non altro, lei si era almeno goduta un ottimo pranzo mentre suo fratello aveva dovuto accontentarsi di agnello freddo e budino di riso, ne ebbe compassione e venne avanti. «Ciao, Janet!» disse. La signora Lupton alzò la testa, stringendo le labbra. Era una donna alla quale non mancava il senso della giustizia e non se la sentiva di criticare Stella perché era molto più carina delle sue figlie. Le dispiaceva semplicemente che Stella si rovinasse la carnagione con tutto quel trucco e sperperasse i soldi di sua madre (o più probabilmente di Gregory) comprandosi quegli assurdi vestiti, assolutamente non adatti. «E allora, Stella?» domandò. «Dove sei stata? Si può chiedere?» «Fuori» rispose Stella asciutta. La signora Lupton si rallegrò al pensiero che le sue figlie non si sarebbero mai sognate di risponderle in un modo tanto scortese. «Avrei pensato che, almeno per un giorno, potessi rimanere in casa. E non hai niente da mettere che sia un po' meno sgargiante del vestito che ti vedo addosso?» «No, niente.» «Forse ne hai uno nero.» «Se dovesse pensarci, magari la mamma me ne compra uno» ribatté la ragazza tranquillamente. La signora Lupton si raddrizzò sulla poltrona, mettendosi ancora più impettita di prima. «Meno si parla di questa spedizione in città di tua madre, meglio è.» Guy alzò la testa, mentre negli occhi gli passava un lampo di rabbia. «Infatti!» disse con enfasi. Janet, che non sopportava di veder litigare la gente, intervenne prontamente. «La zia Zoe ha un gusto splendido! Io, invece, non so mai cosa comprare, ma i vestiti non mi interessano molto. E neanche i gioielli. Buffo, eh? Perché Agnes...» «Non buffo, tragico» disse Stella con un sorriso che toglieva tutto il veleno da quelle parole pungenti. «Tra l'altro, hai anche un vago aspetto da
pagana, con quel cappello.» «Oh, Stella, sei terribile! È proprio vero?» «Sì» disse Guy con uno sguardo maligno. «Lo so che vuoi soltanto prendermi in giro, ma non me ne importa. Secondo me ci sono tante cose molto più importanti dei vestiti, non trovi?» «No. Lo puoi vedere anche tu che non la penso così.» «Oh, so benissimo che lo dici tanto per dire. Guy mi stava facendo vedere il progetto per una mensola da camino. La trovo meravigliosa. Non avrei mai pensato al marmo verde. Ma a dire la verità, io non ho neanche un po' di senso artistico. Vi mettereste a urlare se vi capitasse di vedere i miei tentativi di fare qualche disegno. È buffo, però, perché Agnes una volta ne faceva di splendidi, ma lei ha un buon gusto incredibile. A proposito, la mamma le ha telefonato appena ha saputo, e vi manda tutti i suoi pensieri più affettuosi. Vuole che sappiate come è dispiaciuta per quello che è successo. Sarebbe già venuta anche lei, ma il bambino sta mettendo i denti e non si sente di lasciarlo.» «Farò a quel bambino un costosissimo regalo di battesimo» disse Guy, grato. Janet scoppiò in una risatina convulsa. «Sei pazzo! Lo sai anche tu che è stato battezzato secoli fa, il nostro tesorino. Figuriamoci, adesso ha addirittura sei mesi!» Poiché né Stella né Guy riuscirono a trovare qualcos'altro da dire, calò il silenzio. Fu Janet a romperlo, a voce bassa. «È buffo che non si possa semplicemente fare a meno di parlare delle cose di tutti i giorni anche quando è successo un fatto terribile, eh? Forse perché all'inizio uno non se ne rende assolutamente conto.» «No, io penso che succeda perché, tutto sommato, dello zio non importava niente a nessuno di noi» rispose Stella con aria meditabonda. «Come puoi dire una cosa simile?» gridò Janet, scandalizzata. «Ma è la pura verità» ribatté Stella corrugando la fronte. «Quand'era qui, faceva sentire sempre la sua presenza perché, tanto per cominciare, era il classico tiranno domestico, e poi perché aveva una personalità dominatrice. Ma tutto questo ci lasciava indifferenti perché non gli volevamo bene.» «Io ho sempre provato molto affetto per lui» ribatté Janet con sussiego. Calò un altro silenzio. Dal fondo della stanza si fece sentire la voce della signorina Matthews. «E tutte quelle splendide spazzole e gli altri oggetti del servizio da toilette in avorio, con la sigla G.M. sul dorso... e così Randall non potrà utilizzarle; di conseguenza, è chiaro che dovrebbe averle
Guy. E poi penso proprio che bisognerebbe offrire qualcosa di Gregory al signor Rumbold.» «Mi sfugge il motivo per il quale il signor Rumbold potrebbe avere diritto a uno qualsiasi degli oggetti di Gregory» obiettò la signora Lupton. «Ecco, non si può esattamente dire che ne abbia diritto, ma è un amico talmente intimo... L'abbiamo anche invitato qui quando la signora Rumbold è andata in visita da sua sorella. Era diventato proprio uno di famiglia, e sono sicura che considerava i Pioppi come una seconda casa... e giocava a scacchi con Gregory, sapete? Anche se io continuerò sempre a essere dell'opinione che è un peccato che abbia sposato quella donna.» «Harriet» disse la signora Lupton, che era abituata a parlare con tutta la franchezza possibile. «Sei una sciocca sentimentale, e lo sei sempre stata.» «Potrò essere una sciocca, ma vorrei proprio con tutto il cuore che il signor Rumbold non fosse in vacanza, perché, se non altro, lui è un vero uomo, malgrado sia sposato con quella donna, e potrebbe consigliarmi.» «Ho una modestissima opinione degli uomini, e non riesco a capire perché tu senta il bisogno di avere qualche consiglio. Non si può far niente fintantoché il testamento non viene aperto. Non ho dubbi che ascolteremo notizie molto sgradevoli, ma non saranno sicuramente uno shock per quelli di noi che hanno visto cosa succedeva sotto il nostro naso negli ultimi cinque anni.» Stella pensò che fosse opportuno non lasciar passare quell'osservazione facendo finta di niente. «Sì, la mamma diceva proprio oggi di essere convinta che lo zio fosse molto più affezionato a lei che alle sorelle.» La signora Lupton rivolse alla nipote uno sguardo gelido. «Non faccio nessuna fatica a immaginare che tua madre possa aver detto qualcosa del genere, ma se si illude che vostro zio provasse un vero affetto per qualcuno all'infuori di se stesso è molto più stupida di quanto credessi.» Poi tornò a rivolgersi a sua sorella. «C'è stato per caso qualcuno che si sia ricordato di informare Randall della morte di suo zio?» domandò. «Inutile chiederlo a me» rispose Harriet. «Ho avuto troppo da fare per pensarci.» «Se c'è una cosa assolutamente indiscutibile è che non abbiamo nessuna voglia di veder arrivare qui Randall a rendere le cose dieci volte più insopportabili di quanto già non siano» disse Guy. «La mia opinione sul conto di Randall dev'essere ben nota a tutti voi, né più né meno come a lui» disse la signora Lupton. «Ma in questo caso i sentimenti personali non c'entrano. Finora sappiamo che Randall è l'erede di
suo zio. E sicuramente anche il capofamiglia. Quindi dovrebbe essere convocato.» «Devo dire» osservò Janet con il tono di chi rivela qualcosa di originale «che Randall non mi è simpatico. So di sbagliare, ma non posso farci niente. È proprio quel genere di persona di cui non potrei mai fidarmi. E non saprei dire perché.» «Forse perché assomiglia a un amabile serpente» disse Stella con aria spensierata. «Mellifluo, e con i denti velenosi.» La porta si aprì. «Il signor Randall Matthews» annunciò Beecher. 3 «Maledizione!» disse Guy a voce tanto alta che tutti lo poterono sentire. Entrò un giovanotto elegante e bello, che soffermandosi un attimo sulla soglia, girò gli occhi intorno a sé a contemplare il gruppo dei parenti radunati tutti insieme mentre sulle sue labbra si disegnava un blando sorriso vagamente derisorio. Era vestito con un'accuratezza estremamente ricercata, e niente sarebbe stato più in sintonia dell'armonioso accostamento dei colori della sua camicia con quelli dei calzini di seta e della costosa cravatta. Tutto, nel suo aspetto, rivelava un estremo buon gusto: le mani e le unghie curatissime; i capelli corvini spazzolati all'indietro, ma con un'ondulazione impeccabile e assolutamente indisturbata; i denti tanto regolari e di un candore talmente abbagliante che avrebbero potuto servire ottimamente come pubblicità per un dentifricio. Aveva la bocca con le labbra un po' troppo sottili per essere perfetta, e in quel momento era arricciata in una smorfia un po' troppo sarcastica per essere gradevole, ma, sotto le sopracciglia dritte, gli occhi dalle lunghe ciglia frangiate apparivano singolari sia per il colore sia per la luminosità. Erano di uno straordinario azzurro intenso, ma molto duri, abitualmente seminascosti dalle palpebre piegate all'ingiù e di tanto in tanto sconcertanti per l'espressione che diventava in un lampo vigile e attenta. In questo momento, mentre osservava l'uno dopo l'altro i suoi parenti, gli occhi sorridevano, ed erano limpidissimi. «Ma è un vero piacere per me!» disse con una voce che trasudava dolcezza. «Non soltanto la mia cara zia Gertrude, ma anche la mia affascinante cugina Janet!» Venne avanti con un passo aggraziato, quasi felino, chinandosi a baciare la zia sulla guancia. «Cara zia, come ti sta bene questo cappello.»
«Dici sul serio?» fece la signora Lupton con la più sublime indifferenza. «Sono anni che lo penso» lui rispose gentilmente, e passò alla signorina Matthews. «Nessuno di voi deve prendersi la briga di dire com'è felice di vedermi» attaccò. «Lo leggo su tutte le vostre facce, così espressive.» Scrutò con aria critica Stella e poi venne avanti senza fretta verso di lei. «Sì, tesoro, il vestito è proprio carino, ma il foulard non soltanto è della sfumatura sbagliata di grigio, ma l'hai anche annodato in un modo inaccettabile. Lascia che ti faccia vedere come dev'essere, cuoricino mio.» Stella gli scostò la mano. «No, grazie!» Lui continuava a sorridere. «Come mi detesti, vero?» disse sottovoce. «E Guy? Come stai, cuginetto?» Guy, il quale mostrava di non gradire affatto di essere chiamato così, gli lanciò un'occhiataccia. La signora Lupton, ancora impietrita dal furore per il complimento a doppio taglio che le era stato fatto, intervenne in tono brusco. «Devo presumere che tu abbia sentito la notizia della morte di tuo zio?» «Oh, sì!» disse Randall. «Forse avrete notato che porto una fascia nera al braccio. A me è sempre piaciuta l'osservanza delle convenzioni. E chi di voi» provò a indagare, rivolgendo ai presenti uno sguardo pieno di amabilità «è il responsabile per la morte del caro zio? Oppure non lo sapete?» La domanda, buttata lì in tono frivolo, produsse una certa tensione, che probabilmente era lo scopo cui Randall mirava. La signora Lupton fece una smorfia. «Non è divertente quello che hai detto, e non è neanche il momento per le battute di cattivo gusto.» Randall la guardò con tanto d'occhi. «Cara zia, pensavi che scherzassi?» «Se lo zio è stato avvelenato, e io non sono capace di crederlo neanche per un attimo» disse Stella «eri tu ad avere il movente maggiore per ucciderlo rispetto a chiunque altro.» Randall tirò fuori una sigaretta da un liscio e sottile astuccio d'oro e l'accese senza fretta. «È vero, cocchina, è verissimo, ma non dimenticarti che quando lui è morto io ero lontano parecchi chilometri. E visto che siamo in argomento, posso chiedere chi è il responsabile di aver dato inizio a tutto questo canard che lo zio è stato avvelenato?» «Quanto all'autopsia, sono io la responsabile» disse la signora Lupton. «È proprio quello che avevo pensato.» «Non sono assolutamente convinta che quella di tuo zio sia stata una morte naturale. Non accuso nessuno; non faccio insinuazioni; ma non mi meraviglierei affatto se i miei sospetti si rivelassero fondati.»
«So che ti piace quando ti si parla fuori dai denti, mia adorata zietta» disse Randall «e quindi non te la prenderai se ti dico che trovo il tuo comportamento eccessivamente zelante.» «Davvero?» «E inopportuno.» «A me non...» «E anche abbastanza stupido. Ma bisognava aspettarselo.» «Se può interessarti sapere...» «L'esperienza, mia cara zia, mi consente di risponderti senza timore di sbagliare che, qualsiasi cosa tu abbia da dire, con molta probabilità non mi interessa minimamente.» Mentre la signora Lupton lottava tra sé in cerca delle parole più adatte per rispondergli, Stella interloquì incuriosita. «Allora, tu non credi che lo zio possa essere stato avvelenato sul serio, Randall?» «Non ne ho la più vaga idea. La questione mi interessa tanto poco quanto mi possono interessare le osservazioni della zia Gertrude.» «Ma se è stato avvelenato, sono sicura che noi tutti desideriamo soltanto che la faccenda venga chiarita.» «Lo pensi davvero, cara?» la provocò Randall. «Ecco... non vorrai che una cosa del genere resti impunita, vero?» «Se c'è un dubbio qualsiasi, naturalmente tutti vogliamo che venga chiarito» disse Guy, guardando la signora Lupton con aria di sfida. «Non era questo il tono che adoperavi stamattina» fu l'asciutto commento di sua zia. «Non prestare troppa attenzione a Guy, zia» disse Randall. «Sta semplicemente cercando di far colpo.» «Accidenti a te, ma cosa stai insinuando? Che avrei qualche motivo per mettere tutto a tacere?» domandò Guy infuriato. «Perché non capisci che sta cercando semplicemente di farti perder le staffe?» disse Stella. Poi incrociò lo sguardo ironico di Randall. «Si può sapere perché sei così contrario a un'autopsia, tu?» «Oh, ma io no sono affatto contrario. Stavo semplicemente esaminando la situazione dal vostro punto di vista.» «Dal mio?» «Sì, tesoro bello, dal tuo, e da quello di Guy, e da quello della zia Harriet, e perfino della mia furba e intelligente zietta Zoe. Voi tutti dovreste essere contenti che la scomparsa dello zio si sia verificata al momento più
opportuno. A caval donato non si guarda in bocca. E tu, Stella, non avresti potuto persuadere quel tuo premuroso amico medico a firmare il certificato di morte?» Lei arrossì. «Il dottor Fielding era prontissimo a firmare il certificato senza che io dovessi persuaderlo. Nessuno di noi voleva far scoppiare uno scandalo, all'infuori della zia Gertrude.» «Certamente» si affrettò a confermare Guy. «Anzi, io ho fatto di tutto per impedirlo.» «In tal caso non assumere un atteggiamento così ipocrita proprio ora, cuginetto» disse Randall. «Credimi, è nauseante.» La signorina Matthews, la quale fino a quel momento non aveva fatto che aprire e chiudere la bocca come chi sta aspettando l'opportunità migliore per partecipare alla conversazione, intervenne all'improvviso. «Come hai il coraggio di dire che io volevo che Gregory morisse? Non ho mai neanche pensato a una cosa simile! Posso non essergli stata particolarmente affezionata, ma...» S'interruppe, perché il nipote ormai sorrideva apertamente, e riprese con voce tremula. «Sei insopportabile! Proprio come tuo padre!» «Mia cara zia, tu non provavi il minimo affetto per lo zio. Né Stella, né Guy, e men che meno la mia furba e intelligente zietta Zoe.» «Ma non gli eri affezionato neanche tu!» ribatté Stella. «No, neanch'io. Anzi, non riesco a trovare nessuno, con l'eventuale eccezione della zia Gertrude, che provasse affetto per lui. Gli volevi bene, zia, oppure era una semplice affinità di carattere?» «Io ti garantisco che ero molto affezionata al povero zio Gregory» disse Janet poco saggiamente. «Proprio commovente! Ma allora... chissà che tu non sia molto affezionata anche a me?» «Io cerco sempre di vedere il lato migliore delle persone» rispose lei con un luminoso sorriso. «E sono sicura che non è vera neanche la metà delle cose che dici.» Randall si volse a guardarla con profonda antipatia. «Mi congratulo, Janet. I tuoi cugini hanno tentato per anni di ridurmi al silenzio, ma tu ci sei riuscita con una sola osservazione incredibilmente stupida.» «Posso chiedere se sei venuto qui con qualche altra intenzione, oltre a quella di essere offensivo nei confronti di mia figlia?» domandò la signora Lupton. «Ma certo. Sono venuto a soddisfare la mia più che naturale curiosità.»
«Alludi alla morte di tuo zio?» «Assolutamente no. Ne ero già stato informato, come anche dell'imminente autopsia, dall'avvocato dello zio. Ero curioso di vedere come vi stavate comportando in un momento come questo, nel quale dovete affrontare una dura prova, e anche perché volevo sapere come mai a nessuno di voi è venuto in mente di avvertirmi.» Intanto che parlava, si stava guardando in giro con aria interrogativa. Fu Guy a rispondere. «Perché non avevamo nessuna voglia che tu venissi qui a ficcare il naso e a far nascere discussioni.» «Oh, spero di non aver fatto niente del genere!» esclamò Randall. «A dir la verità» dichiarò la signora Lupton «stavo proprio dicendo a tua zia Harriet che bisognava avvisarti nel preciso momento in cui ti abbiamo visto arrivare. Anche se mi pare che tu non abbia da lagnarti, in proposito. E per favore, non pensare di darti delle arie semplicemente per il fatto che la sorte ha voluto che tu diventassi il capofamiglia. Per quello ci sarà tempo quando avremo aperto il testamento di tuo zio. Il che mi fa venire in mente, Harriet, che bisogna sentire dal signor Carrington quando gli può far comodo venire qui da noi. Suppongo che dovrebbe venire immediatamente dopo il funerale, ma in questo caso la mia opinione è che prima viene, meglio è.» «Ne ho piacere» disse Randall. «Verrà dopodomani.» La signora Lupton lo occhieggiò con un'espressione che rivelava qualcosa di molto simile alla più profonda avversione. «A quanto dici, mi par di capire che ti sei assunto l'incarico di combinare le cose senza farne parola con nessuno.» «Sì,» disse Randall. In quel momento ci fu un'interruzione tutt'altro che sgradita. Entrò nella stanza la signora Matthews che tese una mano guantata verso Randall. «Ho visto la tua macchina, e così ho capito che eri qui anche tu. E c'è anche Janet! Proprio una piccola riunione di famiglia, a quanto vedo. Mi sto domandando se hai pensato a ordinare che venisse fatta una torta fresca, Harriet cara. Mi pare di ricordare che non ne fosse rimasta moltissima, ieri. Ma sono sicura che ci hai pensato.» Posò una mano sulla spalla della cognata, esercitando una lieve pressione. «Povera Harriet! Una giornata così triste... È anche per me.» «A quanto mi pare di capire, sei stata in città a fare acquisti» disse la signora Lupton. La signora Matthews le rivolse un'occhiata di doloroso rimprovero. «So-
no stata a comperare gli abiti da lutto, Gertrude, ma se tu vuoi definirlo "fare acquisti"...» «Non so in che altro modo si possa chiamare.» Randall accompagnò la signora Matthews verso una poltrona. «Come devi essere stanca! Trovo che non c'è niente di più faticoso di scegliere dei vestiti.» «Sì» disse la signora Matthews, lasciandosi cadere nella poltrona e cominciando a togliersi lentamente i guanti. «Non si tratta tanto di scegliere, quanto di prendere qualcosa che possa essere adatto. In momenti simili nessuno bada a quello che si mette addosso.» «Tu hai uno splendido carattere, cara zia. Ma ho la sensazione, anzi sono sicuro, che non potresti mai sbagliare, per quanto desolata e sconvolta tu possa essere, come ben sappiamo.» La signora Matthews si volse a fissarlo con occhi dolenti. «Non desolata, non sconvolta, Randall, ma di un umore.... Come potrei definirlo... Sì, di un umore malinconico, forse, eppure non è neanche giusto definirlo così. Gregory è stato moltissimo nei miei pensieri.» «Vorrei pregarti, Zoe, di non renderti ridicola parlando in modo così commosso» disse la signora Lupton, andando per le spicce. «Ti accorgerai che è molto difficile convincere una come me che Gregory sia stato nei tuoi pensieri, come stai dicendo, per più di dieci secondi.» «E io vi garantisco che non capisco per quale motivo dovrebbe esserci stato» soggiunse la signorina Matthews, visibilmente indispettita. «Ho vissuto con Gregory per tutta la mia vita, e per di più era mio fratello, e se lui era nei pensieri di qualcuno, devo dire che sono stati i miei, proprio così, perché non ho fatto che esaminare e fare una scelta di tutti i suoi vestiti, domandandomi se non dovremmo venderne una gran parte. Per quanto ci sia un vecchio cappotto che potrebbe essere regalato al giardiniere, e non c'è dubbio che Guy sarebbe contento di avere il suo impermeabile nuovo.» «I miei pensieri erano piuttosto diversi, cara» disse la signora Matthews. «Ero a Knightsbridge, e ho trovato il tempo di passare nell'Oratorio per qualche minuto. Quanta pace! C'è qualcosa in tutta l'atmosfera di quel luogo che mi riesce difficile descrivere, ma che, anche se non so spiegarlo, mi sembra proprio quella giusta.» «Dev'essere stato l'incenso» osservò la signorina Matthews con aria dubbiosa. «Non che a me piaccia in modo particolare, e neanche mi piacciono tutti quei bastoncini, benché mia madre ci tenesse moltissimo ad accenderli in salotto. E poi non riesco a capire il motivo per cui tu dovessi
entrare in una chiesa cattolica.» «O nella chiesa di una qualsiasi altra religione» aggiunse la signora Lupton. Janet volle dire la sua con l'aria di chi è di larghe vedute. «Io credo di capire quello che intendi, zia. C'è qualcosa di particolare in tutti quei luoghi, e posso immaginare quello che devi aver provato.» «No, cara, per tua fortuna sei troppo giovane per immaginare qualcosa del genere» disse la signora Matthews, rifiutandosi di approfittare di quella difesa animata dalle migliori intenzioni. «Tu ancora non conosci un bel niente del lato buio della vita, e prega Iddio di non doverlo mai conoscere.» «Oh, mamma!» gemette Guy, che si sentiva terribilmente a disagio. «Se tutte queste assurde chiacchiere si riferiscono alla morte di Gregory, io posso soltanto dire che non ho mai ascoltato sciocchezze simili in vita mia» dichiarò la signora Lupton. Randall alzò un lungo dito affusolato. «Un po' di rispetto: sta ricordando che è vedova, la zia Zoe.» «Accidenti a te!» bisbigliò Stella, che gli stava proprio dietro le spalle. «Sì, Randall, me ne ricordo» disse la signora Matthews. «E adesso che Gregory se n'è andato per sempre, mi rendo conto che sono rimasta completamente sola al mondo.» Randall abbozzò un gesto in direzione dei suoi imbronciati cugini. «Ma zietta, dimentichi questi due inestimabili tesori che possiedi!» E fissando Stella negli occhi tempestosi, abbassò la voce. «E questo, cocca, ti insegnerà a dire accidenti a te, rivolgendoti al sottoscritto, ci siamo capiti?» Approfittando del rumore di fondo creato dalle voci della signora Lupton e della signorina Matthews, che si erano levate piene di indignazione, Stella rispose nello stesso tono. «Sei un mascalzone schifoso!» Lui rise. «Controllo, Stella, controllo!» «Dio solo sa come vorrei che te ne andassi via di qui e non ci mettessi più piede.» «Ma pensa come ti annoieresti senza di me» ribatté lui, voltandole le spalle. «Oh, santo cielo, non ci posso credere! Le mie adorate zie stanno litigando?» Il bisticcio si concluse bruscamente. «Hai intenzione di fermarti per il tè, Randall?» domandò seccamente la signorina Matthews. «No, Stella ha manifestato il desiderio che io dovrei andarmene e rima-
nere fuori di qui per sempre» rispose lui senza mostrare il minimo rancore. «Stella, tesoro, sono sicura che non parlavi sul serio, vero?» disse la signora Matthews. «Ecco cosa succede a diventare il capofamiglia!» mormorò Randall. «Comincio ad avere una certa popolarità, qui dentro.» E con quest'ultima frecciata mandò un bacio alla compagnia e uscì dalla stanza. Si lasciò indietro un'atmosfera carica di tensione che le giornate successive non fecero niente per allentare. L'intera famiglia era inquieta, a disagio, e la notizia, confidata a Stella dal dottor Fielding, che gli organi del corpo di Gregory Matthews erano stati mandati al ministero degli Interni per un'analisi risultò tutt'altro che rassicurante. L'incertezza e l'attesa ansiosa ridussero tutti con i nervi a fior di pelle, e venerdì la visita del signor Giles Carrington dello studio Carrington, Radclyffe e Carrington per la lettura del testamento ottenne l'effetto di far esplodere un'inquietudine e una commozione che fino a quel momento si era tentato di tenere sotto controllo. Tutti, ciascuno a modo proprio, avevano nutrito delle aspettative nel segreto del loro cuore, e tutti, a eccezione di Randall, rimasero delusi. Alla signora Lupton venne lasciato soltanto un migliaio di sterline e un ritratto a olio del fratello che non le piaceva, oltre al fatto di non avere il posto dove attaccarlo alle pareti della sua casa, già sovraccariche di quadri, tanto che si sentì propensa a considerarlo come un'offesa in più perché, nel testamento, veniva denominata da Gregory come l'"amata sorella Gertrude". Nessuna delle sue due figliole vi era menzionata, e il fatto che Guy venisse ignorato a sua volta non le parve una consolazione sufficiente. Stella, in un codicillo che portava la data di tre settimane prima, doveva ricevere duemila sterline al compimento del suo venticinquesimo anno d'età, ma a condizione che, per quell'epoca, non fosse né fidanzata né sposata con il dottor Fielding. Il grosso del patrimonio veniva ereditato da Randall, ma vi era aggiunta una clausola disastrosa per la signora Matthews e per Harriet. Gregory Matthews, con quella che le due cognate potevano soltanto interpretare come una maliziosa ripicca, aveva lasciato a entrambe, congiuntamente, la sua casa e tutto ciò che conteneva, con una somma sufficiente per il suo mantenimento che andava amministrata dai due esecutori testamentari, Randall e Giles Carrington. Fintantoché Giles Carrington, considerato da tutti un estraneo, era stato
presente, i membri della famiglia, per un minimo di decenza, si erano visti costretti a controllare i loro sentimenti; ma non appena lui si era congedato, la signora Lupton aveva cominciato per prima. «Ecco, nessuno pensi che sono meravigliata, almeno in un certo senso, perché non è affatto così. Gregory non ha mai manifestato la minima considerazione per nessuno, durante la sua vita, e sarebbe stato sciocco presumere che potesse cambiare nella morte.» Randall inarcò le sopracciglia e obiettò amabilmente. «Questo documento non è una comunicazione dall'aldilà, te lo posso assicurare.» «Lo so benissimo, grazie. Né tanto meno mi meraviglierebbe sapere che tu hai avuto a che fare con la compilazione del testamento. Chiamarmi la sua amata sorella e poi lasciarmi un ritratto che non ho mai ammirato, e che non voglio, mi fa nascere il fortissimo sospetto che tu abbia avuto le mani in pasta.» «Forse» disse Stella, fissandolo dritto negli occhi «sei stato tu ad avere la brillante idea di lasciarmi duemila sterline con quelle clausole limitative?» «Io non ti avrei lasciato neppure un centesimo, mia cara» replicò Randall in tono pieno di affetto. «Per me sarebbe andato altrettanto bene. E non voglio le sue sporche duemila sterline. Non le toccherei neanche se morissi di fame.» Agnes Crewe, la quale si era presentata con il marito alla cerimonia, tossicchiò. «Non mi aspettavo certo che lo zio si ricordasse di me nel suo testamento, ma devo ammettere che sono letteralmente sconvolta perché il mio bambino non è stato neanche nominato. In fondo, quel povero piccolo è l'unico rappresentante della terza generazione, e sono pienamente convinta che lo zio avrebbe potuto lasciargli qualcosa, anche soltanto una piccolezza.» Owen Crewe, un uomo tranquillo e pacato sulla quarantina, parlò in tono bonario. «Deve aver pensato che fosse un po' difficile considerare mio figlio come un membro della famiglia Matthews.» Agnes, che possedeva la stessa equanimità di sua madre ma anche l'indomabile buon carattere di sua sorella, si strinse nelle spalle. «Bene, allora non c'è più nulla da discutere in proposito; però, a ben pensarci, io sono una Matthews, e...» «Mi spiace contraddirti, cara» disse Owen. «Tu eri una Lupton, prima di sposare me.» Agnes proruppe in un'allegra risata. «Oh, gli uomini! Voi avete sempre
una risposta per tutto. Bene, a me sembra che ormai sia inutile piangere sul latte versato, come suol dirsi, e quindi non aggiungo più una sola parola in merito.» «Una risoluzione eccellente, cara. Io mi auguro soltanto che non ti dimenticherai di questo bel proponimento più di tre volte al giorno» replicò Owen in tono grave. Henry Lupton, che fino a quel momento non aveva portato il minimo contributo al discorso, tutto d'un tratto fece una risatina di evidente disapprovazione. «Benedetto è colui che non si aspetta niente.» «Fai come credi» disse sua moglie in tono severo. «Io invece sono ben lontana dal considerare la situazione sotto questa luce. Gregory era un egoista fatto e finito, anche se mi duole di dover dire una cosa del genere sul conto del mio unico fratello, ma quando penso che, se non ci fossi stata io, ormai sarebbe già stato seppellito e nessuno saprebbe niente di più sulla causa della sua morte, mi dispiace di non essermi lavata le mani dell'intera faccenda.» «A me pare che tutto quel testamento sia maledettamente ingiusto!» esclamò Guy con amarezza. «Perché Stella dovrebbe ricevere duemila sterline e io niente? E perché Randall dovrebbe incassare tutto il resto? In fondo non era figlio dello zio Gregory più di quanto lo fossi io!» «È stato soltanto per merito della mia personalità irresistibile, cuginetto» gli spiegò Randall. «Nessuno... nessuno ha più motivo di lagnarsi di me!» esclamò la signorina Matthews con una voce bassa, venata da un tremito. «Per anni ho lavorato come una schiava per circondare Gregory di tutti i suoi comodi e non ho sperperato i soldi destinati al governo della casa come avrebbe fatto qualcun altro, e adesso... qual è la mia ricompensa? È stata una vera e propria cattiveria da parte sua, e la mia unica speranza è di non doverlo incontrare, quando morirò, perché altrimenti gli direi in faccia chiaro e tondo quello che penso di lui.» Non aveva ancora finito di parlare che era già uscita in fretta dalla stanza; e fu a quel punto che Randall si rivolse alla signora Matthews, con un tono che trasudava affabilità. «E che cos'ha la mia cara zietta Zoe da dire?» La signora Matthews si dimostrò nobilmente all'altezza della situazione. Fece un lieve sorriso, che doveva lasciar capire come non si facesse più nessuna illusione né sulla vita né sui suoi simili.
«Io non ho niente da dire, Randall. Ho tentato di dimenticare tutte queste cose terrene, prive d'importanza, e di concentrare la mia mente sul lato spirituale di quanto è accaduto.» Henry Lupton, il quale la considerava una donna d'infinita dolcezza, si guardò intorno con aria di sfida, non esente da un certo nervosismo. «Bene, a me pare di poter dire che Zoe si sta dimostrando un esempio per tutti, vero?» «Henry» disse sua moglie con un tono di voce che metteva spavento. «Sono pronta per andare a casa.» La signora Matthews continuò a conservare la sua aria piena di rassegnazione, ma quando si ritrovò sola, a quattr'occhi coi suoi figli, trovò parecchie cose da dire anche lei, a proposito del testamento. «Non è che uno voglia qualcosa, ma ci si accorge purtroppo che non c'è stato neanche un pensiero per gli altri. La considerazione per i sentimenti altrui significa moltissimo, in questo mondo triste e disperato, e spero che tutti e due lo ricorderete sempre. Io non potevo pretendere niente da parte di Gregory, per quanto essendo la moglie di suo fratello oso dire che molte persone non sarebbero d'accordo con me su questo punto. Quanto alla vera e propria questione dei soldi, non mi aspettavo niente, anche se sarebbe stato un grande conforto qualche piccolo segno che dimostrasse come non ero stata completamente dimenticata. Ho proprio paura che il povero Gregory...» «Be', un piccolo segno c'è» disse Stella andando al sodo. «Ti sei ritrovata con metà della casa a disposizione, e il suo mantenimento non ti costerà niente.» «Non è quello che intendevo, cara» disse la signora Matthews, sempre esprimendosi in termini vaghi, nei quali però si era insinuata una sfumatura di ribellione. «Povero Gregory! Io non ho nient'altro che i ricordi più dolci di lui, ma ho proprio paura che il suo fosse uno di quei caratteri che definisco privi di sensibilità. Non ha mai conosciuto la gioia di dare. Sotto certi aspetti era stranamente duro, spietato. Forse, se avesse avuto più fantasia... eppure non so se anche quella avrebbe fatto qualche differenza. A volte penso che sia stato educato per essere di un egoismo totale. Io gli ero molto, molto affezionata, ma credo che in tutta la sua vita non abbia mai avuto un pensiero per nessuno all'infuori di se stesso.» «Effettivamente si poteva definire un bruto gretto e meschino» dichiarò Stella. «No, tesoro, non devi mai pensare niente di simile» disse sua madre dol-
cemente. «Cerca soltanto di vedere il lato migliore delle persone. Tuo zio aveva grandissime qualità, e non era colpa sua se si mostrava difficile, egoista, e non sempre molto gentile verso gli altri. Nessuno può far niente per il carattere che si ritrova ad avere, anche se qualcuno di noi ci prova.» «Bene» disse Stella, indovinando la ragione di queste critiche. «C'è un aspetto positivo in tutto questo, e cioè che la zia Harriet non può vivere in eterno.» «Quel tipo di persone ci riesce quasi sempre» disse la madre, dimenticandosi per un momento di essere una buona cristiana. «Tirerà avanti chissà fino a quando, diventando sempre più stramba ogni giorno che passa.» Stella rise. «Consolati, mamma. In ogni caso, ha molti anni più di te.» «Io invece vorrei soltanto avere la sua salute» ribatté la signora Matthews con aria depressa. «Disgraziatamente non sono mai stata robusta, e non c'è speranza di qualche miglioramento, alla mia età. I miei nervi non sono una cosa per la quale possa aspettarmi un minimo di comprensione da parte di tua zia. Ho notato come le persone che non sono mai malate non riescano assolutamente a capire cosa vuol dire essere indisposti o sofferenti... ma per quanto io ci metta tutto l'impegno a non far indovinare a nessuno che spesso mi sento tutt'altro che bene, vi giuro che gradirei un po' più di considerazione.» «La zia Harriet, in fondo, non è poi troppo male» obiettò Guy alzando gli occhi dal libro che teneva fra le mani. «Tu non devi vivere con lei tutto il giorno» rispose sua madre con una sfumatura di asprezza nella voce. Ma si riprese subito. «Per carità. Figuriamoci se non mi rendo conto di tutte le sue buone qualità, ma non posso fare a meno di chiedermi che cos'abbia spinto vostro zio a lasciarle una metà di questa grande dimora. Lei sarebbe stata molto più felice in una casetta tutta sua. Non fa che lamentarsi che questa è troppo grande, che ci vogliono troppi soldi, e tutti sappiamo che non è fatta per l'economia domestica e non è capace di mandarla avanti... mentre non dubito affatto che insisterà perché tutto continui come prima.» «D'altra parte, con la tua salute, tu non riusciresti mai a farcela» obiettò Stella con molto tatto. «Ma tesoro, non c'è neanche da pensarci... Però, se potessi fare a modo mio, dovrei assumere una governante abile e competente.» «Cioè quello che è, più o meno, la zia Harriet» disse Guy. «Lei non è affatto né competente né abile. Anzi, quella sua mania di usare e consumare le cose fino all'estremo e risparmiare su quelle che sono
pure e semplici necessità, come il carbone, mi condurrà alla tomba. Andrà benissimo per voi due, con la vostra vita e i vostri divertimenti, ma alla mia età non mi pare di essere poco ragionevole se voglio una casa tutta mia dove poter ricevere i miei amici senza Harriet che brontola per ogni boccone che mangiano, e vorrebbe spegnere tutte le luci alle undici di sera.» «Se te ne importa fino a questo punto» disse Stella «non pensi che il tuo reddito ti potrebbe permettere l'affitto di un appartamentino?» «Non se ne parla neanche!» esclamò la signora Matthews con fermezza. «Devo già stare molto attenta lasciando le cose come stanno.» Era evidente che la situazione la lasciava scombussolata e Stella, che fino a quel momento non si era resa conto della sua convinzione di rimanere l'unica proprietaria dei Pioppi, fece quello che poteva per consolarla. Il che non era moltissimo, perché doveva ammettere che Harriet era una compagna insopportabile per chiunque avesse il temperamento di sua madre. Ma doveva ammettere anche che la madre non era la compagna ideale con la quale convivere. Guy, benché alla zia fosse veramente affezionato, difendeva sempre sua madre da qualsiasi critica le venisse rivolta, all'infuori delle sue o di quelle di Stella, e di conseguenza la signorina Matthews si trovava nell'infelice posizione di non potersi lamentare con nessuno. Quindi girava per la casa borbottando, abbandonandosi a cupe e oscure previsioni e comportandosi sempre più spesso come se l'avessero offesa mortalmente, quando si verificò il provvidenziale ritorno da Eastbourne del signor Edward Rumbold e di sua moglie. La signorina Matthews era felice. Provava un sincero affetto per Edward Rumbold, che la trattava sempre con cortesia e non sembrava mai annoiato dalla sua conversazione sconnessa e piena di divagazioni. Non solo, ma oltre a essere pienamente convinta che il sesso maschile fosse infallibile, aveva scoperto che i consigli del signor Rumbold erano ottimi. Più di una volta suo fratello l'aveva avvertita in tono mordace di non comportarsi come una stupida nei confronti di un uomo sposato, ma lei sapeva benissimo come non vi fosse niente di disdicevole nei suoi rapporti con Edward Rumbold, e perfino nel caso in cui lui non fosse stato già sposato, non avrebbe desiderato niente di più che uno stretto legame di amicizia con lui. Una volta Randall aveva osservato che Edward Rumbold sembrava proprio il classico esempio dell'amico di famiglia. E in effetti era vero che nelle sue orecchie non venivano riversate soltanto le lagnanze della signorina Matthews, ma Stella, Guy e la signora Matthews, in modo diverso, gli a-
vevano fatto le loro confidenze, e se lui trovava sgradevole sentirsi snocciolare la storia dei loro guai, era troppo beneducato per dimostrarlo. Naturalmente aveva letto l'annuncio della morte di Gregory Matthews sui giornali e si era presentato ai Pioppi il sabato, per fare le condoglianze e offrire ogni aiuto necessario. Lo aveva accompagnato la signora Rumbold, un fatto che, almeno dalle due signore più anziane, era stato considerato negativo. "Ci si domanda che cosa Edward abbia visto in lei" e "Mi piacerebbe sapere come lei ha fatto a mettergli le grinfie addosso" erano espressioni che si sentivano spesso sulle labbra della signora e della signorina Matthews, e l'una e l'altra, a dispetto dell'evidente amore che lui provava per la moglie, persistevano a compassionarlo dal profondo del cuore. La signorina Matthews di solito alludeva alla signora Rumbold definendola "quella donna", mentre la sua più caritatevole cognata ne parlava come della "povera signora Rumbold", e sosteneva che quel tipo di femmina era ben conosciuto per l'abilità con cui riusciva a fare di qualsiasi uomo uno straccio. Di tanto in tanto si rammaricava che i Rumbold non avessero figli e lasciava capire che tale circostanza era un'ulteriore macchia sul giudizio che si era fatta della signora Rumbold. Eppure sarebbe stato difficile trovare una coppia che più di Edward e Dorothy Rumbold, senza tante smancerie, rivelasse un sincero e profondo attaccamento reciproco. Partecipavano molto poco alle attività mondane di Grinley Heath, ma dedicavano una parte considerevole dell'anno ai viaggi, e sembravano sempre felici. Edward Rumbold era un bell'uomo sulla cinquantina, con i capelli grigio ferro, le fattezze regolari e un paio di occhi dall'espressione pacata, ma anche molto attenta e incisiva. Sua moglie era meno accattivante, come tipo, ma persone meno prevenute delle Matthews non avrebbero avuto nessuna difficoltà a comprendere quali fossero state, per Edward Rumbold, le sue attrattive. "Dev'essere stata straordinariamente bella, da giovane" diceva Stella. E quando la luce era gentile nei suoi confronti, sembrava ancora bella, perché i grandi occhi azzurri e il nasino all'insù davano qualcosa di arguto e piccante alla sua fisionomia. Purtroppo era una di quelle bionde che appassiscono in fretta, e se aveva tentato di ringiovanirsi col trucco e la tintura dei capelli, le sue scelte non erano state particolarmente felici. La natura l'avrebbe destinata a essere grigia di capelli e grassoccia, ma l'istituto di estetica e la ginnastica le avevano fornito, invece, una selva di riccioli color bronzo e una silhouette da silfide. Era sempre esageratamente truccata, e
da un po' di tempo aveva deciso a favore di un imprevedibile ombretto azzurro vivo per gli occhi, e di uno smalto per le unghie di un rosso violaceo piuttosto ripugnante. Era tanto gentile quanto ordinaria, come donna, ma Stella e Guy, anche se facevano a gara per inventare le storie più incredibili sul suo passato, la trovavano simpatica. Prese posto vicino ad Harriet sul divano del salotto quando si presentò con il marito a fare le condoglianze. «Povera cara!» disse. «Dev'essere stato uno shock tremendo. Se sapesse come sono rimasta quando l'ho letto sul giornale... In un primo momento non riuscivo neanche a crederci, e mi sono convinta soltanto quando ho visto l'indirizzo; ma continuavo a rifiutarmi di accettarlo, vero, Ned?» «Ma è successo in un modo assolutamente inaspettato, dico bene?» fece lui con un tono di voce chiaramente in contrasto con quello stridulo di sua moglie. Questa domanda cortese e beneducata ebbe l'effetto di provocare un profluvio di spiegazioni da parte della signorina Matthews. La costituzione fisica di Gregory Matthews, il suo più totale disprezzo per tutto quanto riguardasse la salute, l'anatra che aveva mangiato durante il suo ultimo pasto, le ripicche e la malignità della signora Lupton, nonché lo scandalo di un'autopsia, tutto si affastellò alla rinfusa nella sua risposta. «Non so dirle quanto io sia spiacente. Non immaginavo niente di simile!» esclamò il signor Rumbold. «Naturalmente dev'essere stato molto sgradevole per tutti voi.» «Ma perché? Cosa può essere successo per far saltar fuori la signora Lupton con una richiesta simile?» si stupì la signora Rumbold. «Come se ci fosse stato qualcuno che voleva assassinare il signor Matthews... No, sul serio, io lo definisco un vero e proprio dispetto, non trovi anche tu, Ned?» «Immagino che fosse sconvolta» rispose lui. «Anche noialtri lo eravamo, però non abbiamo detto che l'avevano avvelenato» intervenne la signorina Matthews. «Oh, come avrei voluto che lei fosse stato qui a consigliarmi! Dicano quello che vogliono, ma io continuerò a pensare che si dovesse fare qualcosa per impedirlo!» Lui abbozzò un sorriso. «Ho proprio paura che nessuno di voi potesse impedirlo. E a conti fatti, se ci fosse anche soltanto il più vago sospetto, questa è la soluzione migliore per chiarire definitivamente il problema, non le pare?» «Sempreché venga chiarito sul serio. Ma io sono convinta che appena si cominciano ad agitare le acque, presto o tardi è inevitabile che si finisca
per scoprire qualcosa dove meno te lo aspetti.» «L'idea che Gregory sia stato avvelenato è semplicemente assurda» disse la signora Matthews. «Ne sono convinta.» «Non ne dubito affatto, ma sai benissimo che Guy aveva avuto un terribile litigio con Gregory. E non parliamo di Stella.» L'effetto di questa battuta fu di trasformare la signora Matthews da buona cristiana in qualcosa di molto simile a una tigre affamata, nel modo in cui si protese verso gli ospiti dalla poltrona dov'era seduta, stringendo convulsamente le mani sui braccioli. «Vuoi essere tanto gentile da spiegarti meglio, Harriet?» le domandò a voce bassa e minacciosa. «Ti prego di farlo, e subito! E ricordati che stai parlando dei miei figli.» La signorina Matthews non poté fare a meno di manifestare il proprio sgomento, di fronte a tale accusa, e si affrettò a rispondere con voce lacrimosa che non aveva voluto fare allusioni di nessun genere. «Ah!» disse la signora Matthews, rilassando i muscoli tesi. «Ne sono lieta, Harriet.» Sotto il trucco delicato era diventata pallidissima. Guy, in piedi dietro la sua poltrona, si protese a sorriderle. «Brava mamma, ecco come si deve fare!» le disse in tono di approvazione. «Io invece trovo» disse la signorina Matthews frugandosi in tasca in cerca del fazzoletto «che non sia il caso di prendersela con me, Zoe. Nessuno è più affezionato di me a Guy... e anche a Stella, naturalmente. Stavo semplicemente pensando come un estraneo può giudicare la situazione.» La signora Matthews aveva recuperato tutto il suo autocontrollo. «Non parliamone più. Naturalmente non ci si può aspettare che tu comprenda i sentimenti di una madre.» Poi si rivolse alla signora Rumbold. «Le ha giovato il soggiorno al mare?» «Oh, io sto magnificamente, grazie!» rispose la donna. «Era soltanto Ned a dire che avevo bisogno di un cambiamento d'aria.» E gli allungò un'occhiata affettuosa. «Non può credere come mi vizia, lui!» La signora Matthews sorrise cortesemente, ma senza fare commenti. Harriet, con un'occhiata piena di odio nella sua direzione, domandò al signor Rumbold se voleva accompagnarla a dare anche lui un'occhiata alla dentellaria, e lo condusse via con aria trionfante in direzione della serra. Era un'appassionata di orticultura, e presto si sentì dilaniata fra il desiderio di parlare unicamente dei propri guai e la smania di discutere e confrontare con lui i progressi delle rispettive piante rare. In conclusione, riuscì a fare
l'una e l'altra cosa, ma cominciò a confondersi e a mettergli fra le mani i vasi di terracotta dei suoi fiori, che lui avrebbe potuto osservare altrettanto facilmente senza doverli maneggiare, con la raccomandazione abbastanza sconclusionata di guardare come si stava comportando Zoe, né più né meno come se fosse stata la padrona della casa intera. Rumbold riuscì a liberarsi della sua compagnia quasi subito, con la scusa di andare a lavarsi le mani, e salì al piano superiore, ma soltanto per ritrovarsi vittima, mentre ridiscendeva, della signora Matthews, che pareva fosse lì ad aspettarlo. Poco dopo, Stella accompagnò i visitatori lungo il viale fino al cancello, e lo interrogò sorridendo. «Anche la mamma le ha descritto i dispiaceri che ha, quando la zia Harriet ha finito di raccontarle i suoi, signor Rumbold?» Lui rise. «Tu sei una piccola sfacciata senza un briciolo di rispetto, Stella. Effettivamente me li ha raccontati... almeno in parte.» «Bene, la mia speranza è che lei sia riuscito a lisciare il pelo a tutte due. Perché bisogna dire che in questo momento non si sopportano.» «A me pare che non sia il caso di meravigliarsene» disse la signora Rumbold con gentilezza. «Una morte in casa è più che sufficiente a scombussolare chiunque, e quando si arriva a un'inchiesta, è logico che tua madre e la tua zietta abbiano i nervi a fior di pelle.» «Li abbiamo tutti. Lo zio non è stato avvelenato, naturalmente, ma bene o male, quando qualcuno fa certe insinuazioni, ci si ritrova... ecco, diciamo, a domandarsi chi può essere stato. È orribile.» «Io non ci penserei neanche, se mi trovassi nei tuoi panni» disse Edward Rumbold con il solito pacato buon senso. «Il dottor Fielding è molto più adatto della zia Gertrude a dare un giudizio di merito.» «Sì» ammise Stella. «Però se fosse vero e la polizia arrivasse a interrogarci, non farebbe una gran brutta impressione che Guy e D... che Guy e io abbiamo bisticciato con lo zio?» «Niente affatto» disse lui cercando di consolarla. «La polizia non arresta la gente semplicemente perché ha litigato, sai? Cara la mia ragazza, a te piace un po' troppo vedere problemi dove non ce ne sono.» «Bene, posso soltanto dire che mi auguro con tutto il cuore che la polizia non si faccia vedere.» «Io ne sono convinto» disse il signor Rumbold. Ma alle dieci del lunedì mattina Beecher andò in dispensa a cercare la signorina Matthews, e in un silenzio gravido di sinistri presagi le presentò un vassoio d'argento sul quale si trovava un biglietto da visita.
Il biglietto portava il nome del sovrintendente detective Hannasyde, del reparto di polizia giudiziaria di New Scotland Yard. Harriet Matthews proruppe in un'esclamazione di sgomento, e lo lasciò cadere come se scottasse. «Li ho fatti passare in biblioteca, signorina» disse Beecher. 4 In biblioteca c'erano tre persone: un uomo di mezza età con i capelli brizzolati e gli occhi infossati su una faccia tozza dall'espressione bonaria, un ometto magro con un paio di folti baffi accuratamente rifilati e il collo striminzito, e il dottor Fielding. Quando Harriet entrò nella stanza, tenendosi stretta al braccio del nipote, il dottore si fece avanti. «Signorina Matthews, sono spiacente di doverla informare che le cose sono più serie di quanto avessi immaginato. Ecco il sovrintendente Hannasyde di Scotland Yard, e questo» soggiunse indicando l'uomo con i baffi «è l'ispettore Davis della polizia locale.» La signorina Matthews si volse a osservare il sovrintendente più o meno con la stessa espressione con la quale avrebbe guardato un serpente boa, e gli diede il buongiorno in un bisbiglio terrorizzato. Quanto all'ispettore della polizia locale, lo ignorò. «Buon giorno a lei» rispose Hannasyde in tono amabile. «L'ispettore Davis e io siamo venuti a farle un paio di domande che riguardano la morte di suo fratello.» «Non sarà venuto a dirci che è stato realmente avvelenato, eh?» esclamò Guy. «Io non ci credo! Perché diavolo qualcuno avrebbe avuto interesse ad avvelenarlo?» Hannasyde si volse per dargli un'occhiata. «Non lo so, signor... Matthews? Ecco, è proprio una delle cose che vorrei scoprire.» «Ma è incredibile! Non posso crederci.» «Ho paura che non ci siano dubbi, Guy» interloquì Fielding. «L'analista ha scoperto della nicotina.» «Nicotina? Ma se lo zio non fumava!» «Così mi stava dicendo il dottor Fielding» rispose Hannasyde. La signorina Matthews ritrovò la voce. «Allora non può essere stata l'anatra!» esclamò. «L'anatra?» ripeté Hannasyde, perplesso. «Sì, perché se nell'anatra ci fosse stato qualche veleno dovremmo essere
tutti morti. In ogni caso io ho il conto del macellaio per due cotolette d'agnello, e chiunque potrà dirle che erano state ordinate per mio fratello, anche se poi non le ha mangiate.» «La signorina Matthews aveva paura che l'anatra arrosto, consumata a cena da suo fratello quella sera, potesse averne provocato la morte» spiegò il dottore. «Vedo» disse Hannasyde. «No, è praticamente impossibile che sia stata l'anatra, signorina Matthews. Riesce a ricordare cos'altro suo fratello ha mangiato o bevuto la sera precedente al decesso?» Lei cominciò a elencare i piatti che erano stati serviti, ma il sovrintendente la fermò subito. «No, dopo cena, signorina Matthews. Ha forse preso qualcosa appena prima di andare a letto? Una tazza di ovomaltina, magari, oppure...» «Lui non poteva sopportare tutto quello che conteneva il malto» disse Harriet. «Quante volte l'ho supplicato di provarla, almeno una volta, perché non dormiva molto bene... Ma lui non ascoltava mai i consigli di nessuno, neanche da bambino.» «Non prendeva proprio niente per l'insonnia?» «Oh, ma non si poteva proprio definire insonnia, la sua. Anzi, io sono sempre stata convinta che dormisse molto meglio di quel che credeva.» Hannasyde si girò verso il dottore, sollevando le sopracciglia in una tacita domanda. Fielding si schiarì la voce. «Io non gli ho prescritto niente. Può darsi che di tanto in tanto prendesse un'aspirina. Non so.» «No, sono sicura che non ne prendeva» disse la signorina Matthews. «Era contrario ai farmaci, e anche agli antidolorifici.» «Allora, che lei sappia, non può aver preso qualcos'altro, fra la cena e l'ora di andare a letto? Una bevanda? Un whisky al seltz, per esempio, oppure...» «Oh, è a quello che vuole alludere!» disse Harriet. «Prendeva spesso un whisky al seltz una mezz'ora prima di andare a letto. Non sempre, mi capisce, ma molto spesso. Ci facevamo portare un vassoio con il necessario in salotto, alle dieci. Ma da parte mia sono convinta che sia assolutamente inutile. Non fa che incoraggiare i giovani a rimanere alzati fin tardi, a bere, fumare e consumare elettricità.» «Ricorda se suo fratello abbia bevuto un whisky al seltz, o un'altra bevanda di qualsiasi genere, martedì sera? Oppure forse può aiutarmi lei, signor Matthews?»
«Stavo proprio cercando di ricordarmene» disse Guy. «Ma non credo...» «E invece sì, che ha preso qualcosa» interloquì la signorina Matthews. «Sei tu che me l'hai fatto venire in mente, Guy. Ha voluto un piccolo whisky e ha detto che, quando chiedeva che fosse piccolo, non significava che dovesse essere annegato nel seltz. E tu hai detto che il sifone era quasi vuoto. Non te ne ricordi?» «È stato la sera prima della sua morte?» domandò Guy. «Sì... credo di sì.» «Era lei, signor Matthews, che di solito preparava allo zio il suo drink?» «Sì. Lo facevo spesso.» «E a che ora ha preso quel whisky?» «Non lo so. All'ora solita, mi pare. Verso le dieci e mezzo.» «Mi sa anche dire quando è andato a letto?» «No, ero nella sala da biliardo con mia sorella.» «Mio fratello saliva sempre in camera alle undici, a meno che non avessimo gente» disse Harriet Matthews. «Nella mia famiglia abbiamo tutti abitudini molto regolari, anche se devo dire che Gregory sprecava un mucchio di tempo a gingillarsi qua e là per la camera, prima di infilarsi a letto.» «Lei non sa che cos'abbia fatto dopo essere salito di sopra, o quando si è messo definitivamente a letto?» Lei non nascose di considerare la domanda quasi come un affronto. «No di sicuro. Non avevo l'abitudine di spiarlo.» «Non stavo insinuando niente di simile, signorina Matthews» replicò il sovrintendente in tono conciliante. «Magari lo aveva sentito muoversi per la camera.» «No. La casa è costruita molto bene, e la mia camera non è vicina alla sua.» «Capisco. Chi dormiva nella camera vicina a quella del signor Matthews?» «Ecco... mia cognata. Ma era vicina soltanto in un certo senso, perché fra l'una e l'altra c'è di mezzo il bagno.» Hannasyde si rivolse a Guy. «A che ora è salito a letto lei?» «Non ne ho idea» rispose Guy con distacco. «Più o meno fra le undici e mezzo e mezzanotte, direi.» «Non ha notato se la luce era ancora accesa in camera di suo zio?» «No, purtroppo no. Forse mia sorella ne sa qualcosa. È salita alla stessa ora.»
«Sì, avrei piacere di parlare con la signorina... Stella Matthews» disse Hannasyde consultando il suo taccuino. «E anche con la signora Matthews, prego.» «Mia madre non si alza fin dopo aver fatto colazione, ma vado a dirglielo» si offrì Guy, e lasciò la stanza. La signora Matthews si stava pettinando alla toilette, quando il figlio bussò. Sorrise vedendolo entrare. «Allora, tesoro, non sei ancora andato in ufficio?» «No, maledizione! Ma non hai sentito? Giù in biblioteca c'è un tizio che viene da Scotland Yard, e sta facendo una specie di interrogatorio a tutti!» Il pettine della signora Matthews rimase sospeso a mezz'aria; nello specchio i suoi occhi si fissarono sconcertati per un attimo in quelli di Guy. Poi posò il pettine e si voltò sulla seggiola a guardarlo. «Scotland Yard. Il che vuol dire che è stato avvelenato.» «Sì, c'entra in qualche modo la nicotina. Io non ho mai sentito di nessuno che venisse avvelenato con la nicotina, ma è quello che ha detto Fielding. Il sovrintendente adesso sta interrogando la zia Harriet, e poi vuole vedere te e Stella. Ha già fatto alla zia e a me una quantità di domande.» «Cos'ha detto Harriet?» «Oh, un sacco di scempiaggini secondo il suo stile! In gran parte cose assolutamente irrilevanti. Salvo che ha insistito per mettere l'accento sul fatto che la sera prima della sua morte sono stato io a versare il whisky nel bicchiere dello zio. Non sarebbe una brutta idea se qualcuno le strizzasse l'occhio per farle capire di non parlare tanto. Se appena appena le verrà concesso il tempo di farlo, racconterà alla polizia tutti i particolari più intimi sulla famiglia, risalendo fino a com'era e a cosa faceva lo zio quando stava ancora in culla.» La signora Matthews cominciò a raccogliersi i capelli in una crocchia sulla testa. «Scenderò immediatamente. Corri via, caro, intanto che finisco di vestirmi. Ah, Guy... e cerca Stella. Per favore, devi dirle che ho bisogno di lei. E poi ricordati, caro, che meno parli meglio è. Non che ci sia qualcosa da nascondere, ma tu e Stella chiacchierate a vanvera troppo spesso, e date un'impressione totalmente sbagliata alla gente. Per amore di noi tutti, cerca di stare attento a quello che dici.» «Ma è logico, no?» ribatté Guy, che stava perdendo la pazienza. «Non penserai che mi lasci sfuggire qualcosa, vero, mamma?» «Non c'è niente da lasciarsi sfuggire, caro. Intendevo dire soltanto che non vorrei sentirvi parlare in quel vostro modo un po' stupido e pieno di
esagerazioni, soprattutto quando c'è di mezzo vostro zio.» «Va bene, va bene. Non sono un perfetto imbecille, mamma.» Poi Guy tornò di nuovo giù e trovò sua sorella in anticamera che stava chiacchierando a bassa voce con il dottor Fielding. Tutti e due alzarono la testa, quando comparve sul pianerottolo a metà delle scale, e lui si accorse che Stella era un po' pallida. «La mamma ti vuole» la informò. «Hai già visto il detective con quell'aria stordita?» «No. Ma ho una paura matta di lui» confessò Stella. «Non devi, non ha niente di allarmante» disse il dottore cercando di rassicurarla. «Io, invece, so che appena entrata là dentro dirò subito qualcosa di stupido. I poliziotti mi terrorizzano sempre. E sai una cosa, Guy? Per quanto ne abbiamo parlato e mi sia domandata cosa sarebbe successo se lo zio fosse stato avvelenato, devo confessare di non aver mai creduto sul serio che potesse succedere. Deryk sostiene che è stato un avvelenamento da nicotina, mentre io ho sempre pensato che la nicotina si trovasse nel tabacco.» «Così è, infatti» rispose Guy. «Ma neanch'io sapevo che si poteva avvelenare la gente con la nicotina. Capita spesso, Deryk?» «No, non credo.» «Non c'è neanche da pensare che abbia potuto prenderla così, per un puro caso, vero?» insinuò Stella con un filo di speranza. Il dottore si strinse nelle spalle. «Direi che è estremamente improbabile.» «D'accordo, ma quando avrebbe potuto inghiottirla, se non a cena?» «Cara la mia ragazza, a cosa serve domandarlo a me? Non lo so.» «Non è il caso di prenderla su questo tono, e neanche di mettersi di cattivo umore» osservò Stella gentilmente. «Io sono convinta che tu ne sappia di più su questa storia della nicotina.» «A dir la verità, so veramente poco sulla nicotina. Mi dispiace se può essere un duro colpo alla fiducia che hai in me, ma non è quel tipo di veleno che un medico generico incontri facilmente nel suo lavoro.» «Un bel colpo di fortuna il tuo» osservò Guy. «Se si fosse trattato di un tipo di veleno dei più comuni, come l'arsenico, avrebbero potuto sospettare di te.» «E per quale motivo?» domandò Stella inalberandosi. «Non c'è nessuna ragione di sospettare di Deryk!»
Fielding sorrise. «Eccome se c'è! Guy ha pienamente ragione, e io non esito a riconoscerlo: non sarebbe stato difficile sospettare che potrei essere stato io, se si trattasse di una di quelle di sostanze che si trovano nell'armadietto dei veleni di un medico. Molta gente sa che non ero nei termini migliori del mondo con vostro zio. E non dubito che tutte le persone della vostra famiglia sappiano che mi aveva minacciato di... far scoppiare uno spiacevole scandalo che mi avrebbe danneggiato nella professione.» «Sì, ma noi non ne parleremo, lo sai» disse Guy imbarazzato. «Io non voglio che venga tenuto nascosto, ve lo assicuro. Se mi verrà chiesto, racconterò senza problemi tutta la storia alla polizia. Ma non credo che la signorina Matthews userà la stessa discrezione che potreste usare tu e Stella.» In biblioteca, la signorina Matthews stava dimostrando quanto fosse azzeccata tale mancanza di fiducia nei suoi confronti. Aveva scoperto che il sovrintendente Hannasyde era un ascoltatore comprensivo e pieno di simpatia, quindi si era dimenticata quasi subito di aver provato un vero terrore nei suoi confronti, e di conseguenza gli aveva riferito un certo numero di notizie che la sua famiglia avrebbe sicuramente preferito che tenesse nascoste. Gli raccontò tutta la storia dell'anatra; gli raccontò che tipo d'uomo sgradevole e insopportabile fosse sempre stato Gregory; si lamentò della cattiveria e dell'ingiustizia rivelate dal suo testamento. «Effettivamente, mi ero persuasa che dopo tutti quegli anni di vita comune mio fratello avrebbe avuto tanto senso del decoro da lasciare soltanto a me la casa. Ma questo dimostra che razza d'uomo fosse. Non mi meraviglio affatto che sia stato avvelenato. E credo che se potessimo vederlo adesso, là dove si trova, riderebbe come un matto per il bello scherzo che ci ha combinato.» «Ha vissuto con lui per molto tempo, signorina Matthews?» «Da quando mia madre è morta, diciotto... o forse soltanto diciassette... no, diciotto anni fa. Non che io abbia mai avuto una gran voglia di mandare avanti la casa per mio fratello; anzi, se non fosse stato per mia sorella, avrei preferito di gran lunga lavorare per guadagnarmi da vivere, perché non sono mai andata molto d'accordo con Gregory, neanche quand'eravamo bambini. Lui voleva sempre essere quello che comandava a bacchetta gli altri, mentre io lo considero sbagliatissimo, anche se è poco probabile che la mia opinione conti qualcosa per chiunque, in questa famiglia. Ma quando, per anni, non hai fatto altro che sognare l'ora di ritrovarti, un bel giorno, con questa casa tutta per te, e invece scopri che devi dividerla con
l'ultima persona al mondo che sceglieresti...» «La casa quindi è stata lasciata a lei e anche a qualche altra persona?» «Sì, a mia cognata. Oh, non ho dubbi che lei, vedendola, non possa che giudicarla una persona molto dolce e piena di fascino. Perché è quello che capita sempre. Ma io, in questo caso, sono miglior giudice. In apparenza è abbastanza simpatica e gradevole, però io non ho mai incontrato in vita mia nessuno che sia più completamente egoista di lei. È una donna pronta a fare qualsiasi cosa pur di ottenere quello che vuole. La mia unica consolazione è che qualsiasi cosa decida di dichiarare, anche lei è rimasta delusa dal testamento né più né meno come chiunque altro. So benissimo che contava di vedersi lasciare la casa, e anche dei soldi. E qualora le venisse a raccontare che si trova in difficoltà finanziarie, non ci creda. Ha quanto basta per una persona sola; anche troppo, se vuole sapere come la penso. Anzi, la mia opinione è che avrebbe potuto benissimo dare lei una certa somma di denaro a Guy, invece di aspettarsi che fosse suo zio a lasciargliela in eredità.» «Guy?» ripeté Hannasyde. «Sarebbe il nipote che è venuto in biblioteca con lei poco fa, vero?» «Sì» rispose la signorina Matthews. «Un così bravo ragazzo... E spero che lei non darà importanza a nessuna di quelle storie odiose sul suo conto che sentirà raccontare da mia sorella. Gregory è stato estremamente duro e crudele con lui, ed è comprensibile che Guy non lo vedesse di buon occhio. L'idea di mandare un ragazzo come quello in Sudamerica... Non mi sarei affatto meravigliata se fosse stato lui ad avvelenare lo zio. Non che l'abbia fatto, naturalmente. Sono sicurissima che lui non c'entra, e se vuole saperlo, sarei piuttosto dell'opinione che sia stato Randall... l'altro mio nipote. Solo che non era qui quand'è avvenuta la tragedia, e quindi ho paura che sia fuori questione.» L'ispettore Davis, il quale aveva prestato ascolto a questo monologo chiarificatore con un'espressione leggermente sbalordita ma attenta, si lasciò sfuggire un lieve suono che si soffocò subito portandosi una mano sulla bocca. Ma il sovrintendente, per quanto in fondo ai suoi occhi si potesse leggere un lampo divertito, le rispose con la massima gravità. «Ecco, sì, al primo colpo d'occhio si direbbe che questo lo faccia escludere automaticamente. E in quale parte del Sudamerica il signor Matthews si proponeva di mandare il nipote?» Harriet, alla quale era capitato molto di rado, con l'eccezione di Edward Rumbold, di trovare un pubblico così incoraggiante, rispose prontamente.
«Si trattava di non so quale posto in Brasile... ho dimenticato come si chiama. Ma assolutamente non per il ragazzo! A Guy la gomma non piace, e a parte quello sta andando molto bene nel suo lavoro, che è qualcosa di assolutamente originale... cioè voglio dire il modo in cui lo fa... e del resto non ci si può aspettare che un'attività appena agli inizi possa far guadagnare dei soldi fin dal primo giorno, vero?» «No» disse Hannasyde. «E di quale impresa si tratterebbe, se posso domandarlo?» «Ecco, lo chiamano arredamento d'interni, e per quanto io non avrei la minima voglia di ritrovarmi con il soffitto dorato e la boiserie nera, mi rendo perfettamente conto che i gusti possono essere differenti. Ma Gregory non ha mai avuto la minima simpatia per tutto quello che riguardava l'arte, e per di più non credo che avesse simpatia per Guy, e devo dire che Guy a volte si mostrava inutilmente maleducato e scortese con suo zio, che nello stesso tempo gliene offriva pretesti in abbondanza! E poi questa storia dell'industria del Sudamerica... Anche riguardo a quello si può soltanto dire che Guy aveva mille scuse, e il povero ragazzo era letteralmente ridotto alla disperazione... me l'ha detto proprio lui... e chi potrebbe meravigliarsi? Insomma, nel complesso le cose sono state molto difficili, e se anche la morte di Gregory non ha fatto tutto quel bene che si poteva sperare, almeno ha messo la parola fine a quei continui litigi e alle altre cose spiacevoli che succedevano in casa.» «A sentirla ci sarebbe da pensare che oltre al signor Guy Matthews ci fossero anche altri che non andavano d'accordo con suo fratello» disse Hannasyde. «La definizione che darei io a quello che stava succedendo sarebbe un'altra: erano letteralmente ai ferri corti!» rispose lei con il suo solito candore. «Per sua somma disgrazia Stella, mia nipote, vuole sposare il dottor Fielding, ed è inutile che io le racconti che Gregory aveva preso quel poveruomo in antipatia, e per di più in un modo assolutamente irragionevole. Come se qualcuno potesse criticarlo per quello che ha fatto suo padre... Non che io voglia accennare a niente del genere, perché mi vergognavo terribilmente per il modo di comportarsi di mio fratello, e c'è di più: sono arrivata addirittura a dirgli che secondo me quello che stava facendo era un puro e semplice ricatto. Ma preferirei non parlarne, quindi la prego di non farmi domande in merito.» «Capisco benissimo. Dev'essere stata una cosa esasperante ed estremamente difficile da sopportare per lei e per la signora Matthews. Però mi
auguro, per amor di sua nipote, che non si opponesse anche lei al matrimonio, eh?» «Le garantisco che non so affatto quali siano le sue opinioni in materia, ma non credo mai a una sola parola di quello che dice. E comunque, se c'è qualcuno che per lei abbia importanza all'infuori di se stessa, è sicuramente Guy, e non Stella. Anzi, in un primo momento ero rimasta piacevolmente sorpresa vedendo il suo modo di comportarsi per la faccenda del Sudamerica. Non sapevo che fosse tanto sensibile e non mi aspettavo proprio che bisticciasse con mio fratello. C'è stato un momento in cui ho creduto che si arrivasse addirittura a una rottura fra lei e Gregory, ma non appena lei ha capito di non riuscire a smuovere Gregory neanche di un millimetro dalla posizione che aveva preso, ha cambiato completamente tono e ha preso un'aria da santarellina... Mia sorella Gertrude aveva ragione... non che io ci tenga a ripetere i commenti di Gertrude, perché penso che si è comportata in un modo molto poco gentile con me, quando ha dichiarato che ero una pessima donna di casa... e non so cos'altro. Le sta bene che Gregory le abbia lasciato soltanto il suo ritratto e un piccolo lascito, e anzi la considero una punizione divina, e spero che le servirà di lezione, così in futuro non andrà ancora in giro a chiedere a destra e a sinistra che si facciano autopsie.» L'ispettore sussultò, lanciando un'occhiata ad Hannasyde, il quale si limitò a corrugare lievemente la fronte. Stava osservando Harriet con estrema attenzione. «Allora, è stata sua sorella a mettere la faccenda nelle mani del coroner, signorina Matthews?» «Ecco, veramente è stato il dottor Fielding che ha chiamato al telefono il coroner» rispose lei. «Ma non l'avrebbe fatto mai, se non si fosse messa di mezzo Gertrude. Lui non sospettava minimamente la possibilità di un veleno; anzi, si è mostrato contrario a un'autopsia... ma Gertrude vuole quello che vuole. Lei interferisce sempre. Ha sollevato una tale gazzarra, e in un modo così assurdo, che naturalmente il dottore ha dovuto accontentarla, e adesso mi piacerebbe sapere a cosa è servito. Se Gregory è morto, è morto; e noi possiamo soltanto essere gra... be', forse non proprio grati, ma lei capisce cosa voglio dire.» «Perfettamente» disse il sovrintendente. «Mi sto chiedendo se sarebbe così gentile da domandare se il dottor Fielding è ancora qui in casa. Perché gradirei dirgli una parola.» La signorina Matthews provò un briciolo di disappunto a vedere che si
tagliava corto a tutto il suo bel discorsino, ma acconsentì con buona grazia e andò in cerca del dottore. Cosa che non risultò difficile, in quanto stava ancora chiacchierando con Stella in anticamera. «Entri, dottore» disse Hannasyde in un tono pieno di cordialità. «Ci sono soltanto una o due domande ancora che vorrei farle.» Allungò un'occhiata al taccuino che si teneva aperto davanti. «Se non sbaglio, lei ha dichiarato, quando ha visto il corpo del defunto, di non aver notato niente che, a suo giudizio, non fosse possibile collegare direttamente con un decesso per sincope?» «Proprio così» disse il dottore. «Ho i miei dubbi che qualcuno potesse scoprire un avvelenamento per mezzo di un esame superficiale.» «È già da un po' che il signor Matthews era suo paziente?» «Da circa un anno.» «E sicuramente lei era abbastanza in intimità con le varie persone della famiglia...» «Non saprei come rispondere. Per un certo periodo di tempo c'è stata molta intimità con la signorina Stella Matthews; anzi, siamo fidanzati e ci sposeremo... e ho assistito professionalmente sua zia. Quanto agli altri membri della famiglia, so pochissimo sul loro conto.» «Sapeva, comunque, che c'erano parecchie frizioni in questa casa, o sbaglio?» «Tutti lo sapevano» rispose il dottore bruscamente. «E aveva quel tipo di frizioni in mente quando ha deciso di mettere la questione nelle mani della polizia?» Il dottore alzò gli occhi e lo fissò. «Dev'essere vittima di un equivoco, sovrintendente. È stata la signora Lupton, non io, a insistere per un'inchiesta.» «Questo, però, lei non me l'aveva detto» obiettò Hannasyde. «Le chiedo perdono. Immagino che mi sia sfuggito. In ogni caso non mi sembra particolarmente rilevante. La signora Lupton medesima potrà confermarle che non mi sono mostrato affatto contrario a un'eventuale autopsia. Anzi, è stato esattamente l'opposto: se c'era anche un minimo sospetto di qualcosa di losco io non potevo che essere il primo a chiedere che si facesse piena luce in proposito.» «Era in buoni termini con il defunto?» Fielding lo guardò con un'espressione vagamente divertita. «No, ispettore. Per niente.» «Ci vuole dire perché?»
«Dal momento che me lo domanda, mi sento impegnato a spiegarle perché. Non è particolarmente piacevole per me, ma non ho il minimo desiderio di metterle i bastoni fra le ruote tacendo su un fatto che lei potrebbe considerare importante. Il signor Matthews si opponeva accanitamente al mio fidanzamento con sua nipote.» «Perché?» Il dottore rimase in silenzio per un momento. «Il signor Matthews aveva scoperto... come, non lo so... che mio padre era morto in una casa di cura per alcolisti cronici.» L'ispettore sembrò scosso da quell'informazione, e tossicchiò imbarazzato. Hannasyde parlò con la sua solita voce pacata. «Naturalmente per lei è molto poco gradevole discutere la questione, dottore, ma il signor Matthews aveva voluto mettere la signorina Stella Matthews a conoscenza di questo fatto?» «Per lei non faceva nessuna differenza.» «Capisco. E lui non aveva controllo sulle decisioni della nipote?» «Ci saremmo sposati indipendentemente da qualsiasi cosa lui potesse dire, se è questo che intende.» Fielding tacque per qualche istante, poi riprese con un sorrisetto amaro. «Via, sovrintendente, non le sembra che sia inutile menare il can per l'aia? Vuole sapere se mi aveva minacciato di far scoppiare uno scandalo, vero? Certo che l'aveva fatto, e naturalmente per me sarebbe stato molto spiacevole che mettesse in atto la minaccia.» «La ringrazio, dottore» disse Hannasyde, e si voltò verso la porta che si apriva in quel momento. La signora Matthews entrò nella stanza, seguita da Stella. Aveva un aspetto molto attraente, nell'abito nero con qualche tocco di bianco alla gola e ai polsi, e si era raccolta i capelli in una crocchia in cima alla testa. Si fermò di colpo sulla soglia. «Oh, vi abbiamo interrotti? Come mi dispiace, ma mio figlio mi ha detto che lei voleva vedermi, ehm... sovrintendente.» «No, prego. Si accomodi. Non ho bisogno di trattenerla ancora, dottore.» La signora Matthews attese che Fielding lasciasse la stanza, poi venne avanti e si accomodò in una poltroncina che si trovava sul lato opposto del tavolo, indicando con un gesto pieno di garbo che poteva tornare anche lui a occupare il suo posto di prima. Stella, ammirando tanta raffinata compostezza, si appollaiò sul bracciolo della poltroncina di sua madre e si mise a osservare con aria grave il sovrintendente. «Lei voleva vedere anche mia figlia, dico bene?» domandò la signora
Matthews. Posò la mano su quelle di Stella e fece una risatina; si sarebbe detto che volesse fare al sovrintendente una confidenza. «So che a mia figlia non importa se rimango qui intanto che le parla. Ho paura che abbia la coscienza molto sporca e sono terrorizzata al pensiero che lei le faccia qualche domanda imbarazzante, per esempio se ha guidato la macchina con un fanalino posteriore guasto.» Stella si dimenò al suo posto, a disagio. «Oh, mamma, insomma!» «Quelle non sono cose che mi riguardino, signorina Matthews» disse Hannasyde. «Lo so» rispose Stella con indignazione. La pressione delle dita di sua madre la ridusse al silenzio. «La prego, mi domandi tutto quello che vuole, sovrintendente» riprese la signora Matthews. «Si vorrebbe evitare di parlarne, ma capisco come sia necessario. Io ero molto attaccata al mio povero cognato, e tutto questo mi ha sconvolto profondamente. Dovrei dirle che i nervi non sono il mio punto forte. Ma sono prontissima a rispondere a tutto quanto posso.» «Grazie» disse Hannasyde. «Capisco quello che prova, naturalmente. Lei vive sotto il tetto del signor Gregory Matthews già da qualche anno, se non sbaglio.» «Sì, da cinque anni. Mio cognato è stato molto buono con me in un momento di grande dolore, e anche soltanto per questo motivo non potrò che avere pensieri gentili nei suoi confronti.» «Mio padre è morto cinque anni fa» interloquì Stella. «Lo zio è diventato tutore e amministratore fiduciario congiunto, con la mamma, per mio fratello e per me.» «Vedo. Ed è stato nella sua qualità di tutore che il signor Matthews si proponeva di mandare suo figlio in Sudamerica, signora?» Lei inarcò le sopracciglia. «Quel progetto assurdo! Ho paura di non averlo preso molto sul serio, sovrintendente. Lei deve aver ascoltato quello che dice mia cognata. È una carissima creatura, ma avrà già capito che ha una certa tendenza all'esagerazione. Certo, non direi niente di simile se lei fosse qui ad ascoltarmi, ma non capiva suo fratello, proprio per niente. Credo che succeda molto spesso quando due persone non vanno d'accordo. Fra loro viene a galla quella mancanza di simpatia e comprensione che invece aiuta a intuire quale sia il vero carattere di un'altra persona. A volte penso che nessuno comprendesse mio cognato bene come me.» Per un attimo l'ispettore Davis riuscì ad incrociare lo sguardo del sovrintendente. E l'occhiata che gli diede la diceva lunga in proposito. A suo
giudizio, l'intera famiglia Matthews sembrava composta di femmine eccessivamente loquaci. «Ma quello di mandare suo figlio in Brasile non era un progetto serio?» domandò Hannasyde. «Mio cognato era sicuramente convinto che avrebbe potuto rivelarsi una buona opportunità per lui, ma...» «E lei? Non era d'accordo?» La signora Matthews gli rivolse un sorrisetto pieno d'indulgenza. «Se lei fosse una donna, sovrintendente, non mi farebbe questa domanda. Io sono la madre di Guy. Non avrei mai acconsentito a dividermi dal mio ragazzo, a meno che non fosse stato per qualche motivo molto, ma molto valido.» «In sostanza, era contraria.» La signora Matthews proruppe in una risatina cauta. «Ecco, sì, suppongo che si possa dire che ero contraria. Ma le ho già spiegato che capivo mio cognato, e sapevo che il suo progetto sarebbe finito in niente.» Hannasyde allungò un'occhiata a Stella, che sedeva perfettamente immobile con gli occhi abbassati, le labbra strette e l'aria severa. Allora riportò lo sguardo sulla faccia della signora Matthews. «E dopo questa faccenda è nato qualche rancore fra di voi?» «Dio sia ringraziato, no! Quand'è morto, eravamo negli stessi termini affettuosi di sempre.» «Non c'è stato nessun bisticcio fra voi?» La voce della signora Matthews si abbassò di un tono. «Effettivamente c'era stato... non un bisticcio, ma una sensazione di... di... come posso definirla? Di dispiacere da parte mia, ecco; mi sentivo addolorata e offesa e, mi duole dirlo, anche un po' amareggiata. Non ho potuto dominarmi e non sono riuscita a impedirmi di mettergli il broncio, quando ha affrontato la questione del Brasile. Il mio era puro e semplice istinto materno, e molto sciocco, anche; ma posso dichiarare onestamente che sono riuscita a controllarlo. Sapevo, come ho sempre saputo fin dal primo momento, che mio cognato non avrebbe mai insistito a voler fare qualcosa che andava contro i miei desideri. Solo che bisogna avere un po' di tatto. Lei non immagina neanche quale conforto sia adesso, per me, poter dire che all'epoca della sua morte fra me e Gregory non c'era neanche un'ombra di freddezza.» «Lo posso immaginare benissimo.» Fu dopo più di un'ora che, in compagnia dell'ispettore Davis, Hannasyde lasciò i Pioppi. L'ispettore, a quel punto, era francamente esasperato. Men-
tre camminava al fianco di Hannasyde lungo il viale verso il cancello, si girò a guardarlo. «Bene, ho sempre saputo che la vecchia signorina era un tipo originale, ma se vuole sapere come la penso, la signora Matthews è la peggiore delle due. Accidenti, le giuro che non so assolutamente come giudicarla, ecco la verità.» «Sì, è un personaggio difficile. Nei casi in cui si deve affrontare quel tipo di donna, è sempre arduo valutare quando dicono la verità e quando la descrivono come loro vorrebbero, o credono che sia... Ehilà, Hemingway!» Il sergente, un tipo che andava per le spicce, con un paio di occhietti vivaci e un sorriso accattivante, in attesa del suo capo fuori del cancello, gli si affiancò, mettendosi a camminare al suo passo con aria giuliva. «Voglio dirle una cosa, sovrintendente. È un caso di quelli che ci garbano poco, ma proprio poco, sa? Vuole che le descriva l'impressione che ho avuto dopo essere stato nei quartieri della servitù? Be', è quella di navigare a vista in un bel nebbione.» L'ispettore, che non conosceva Hemingway, sembrò un po' perplesso. «Come?» domandò. «Dico per dire» spiegò il sergente. «E lei, invece, ha cominciato a vedere qualcosa d'interessante?» «Non molto» rispose Hannasyde. «È ancora presto.» «Presto o tardi che sia, a me i casi di avvelenamento non piacciono» riprese il sergente. «Datemi una bella ferita di pallottola, pulita pulita, così ho qualcosa su cui mettere le mani e non troppi medici a pasticciare intorno al caso, perché sono sempre in disaccordo l'uno con l'altro. Ha mai avuto per le mani, prima di oggi, un caso di avvelenamento da nicotina, ispettore?» «No, confesso di non averlo mai avuto» ammise Davis. «Se io ne so qualcosa, le assicuro che quando avremo finito con questo non potrà che augurarsi di non incontrarne un altro» pronosticò il sergente. «E neanch'io. Il nostro sovrintendente non crede nei presentimenti, e io ne ho avuto uno proprio adesso.» «Veramente ne ha già avuti anche prima» osservò Hannasyde in tono scortese. «Non posso dire di no. Questo caso non le ricorda proprio niente, capo?» «No. Ma sarà meglio che lei me lo rammenti subito, così si toglie il peso dal cuore al più presto. Allora?» Il sergente gli fece una strizzatina d'occhi. «Alludo al caso Vereker.»
«Il caso Vereker? Ma è stata tutt'altra faccenda! Lì si trattava di un ferimento con arma da taglio.» «Non dico che non lo fosse, ma quando sono riuscito finalmente a capire qualcosa di quest'ambiente e ho dato un'occhiata a qualcuna delle signore, mi è balenato subito quello.» «Quel che non mi piace» disse l'ispettore lentamente «è la faccenda della nicotina. A me sembra che i medici non l'abbiano valutata nel modo giusto, a giudicare dal referto che lei mi ha mostrato, sovrintendente. Cioè, mi spiego, in realtà nello stomaco non ne è stata rilevata niente più di una traccia molto lieve, al punto che sono arrivati a concludere che non doveva averne inghiottita molta; eppure sono riusciti a trovare dalle condizioni del sangue... e della bocca, dico bene?» «Le membrane della mucosa e la lingua» interloquì il sergente con l'aria di chi la sa lunga in materia. «Mi dicono che la nicotina si cerca sempre in bocca. E anche nel fegato e nei reni. Per me è un mistero che a qualcuno venga in mente di fare il medico.» «Allora, quello che mi chiedo è come possa avere tutto quel veleno nelle budella» disse l'ispettore. «È possibilissimo che non abbia inghiottito neanche un po' di quel veleno. Si conoscono casi nei quali la nicotina è stata iniettata per via sottocutanea, oppure addirittura assorbita dalla pelle, con risultati mortali. A quanto pare, ce n'è stato uno, anni fa, di un intero squadrone di ussari che sono rimasti avvelenati perché cercavano di far passare del tabacco di contrabbando tenendolo contro la pelle.» «Proprio come dicevo!» sbottò il sergente. «Eccoci qua con un bel caso nel quale non sappiamo neanche se quel poveraccio si è scolato qualcosa di tossico oppure se gliel'hanno versato addosso. C'è una cosa, però, di cui tener conto; a quanto sembra, chiunque abbia commesso l'omicidio doveva saperne qualcosina di veleni, eh?» «Sì. Oppure ha fatto qualche buona lettura in proposito» osservò Hannasyde. «Da come la vedo io, non dovrebbe essere molto difficile, con un minimo di conoscenza della chimica, preparare la nicotina. Che cosa è riuscito a sapere dal personale di servizio, Hemingway?» «Un mucchio di cose» rispose il sergente con prontezza. «Forse anche un tantino troppe, per i miei gusti. A sentire loro, chiunque in quella famiglia sarebbe stato ben contento che gli venisse offerta la possibilità di far fuori il vecchio Matthews. Sembra che sia stato il classico tipo del tiranno. La cuoca è persuasa che sia stata la signora Matthews per il fatto che il
vecchio voleva spedire il nipote in Brasile, ma che utilità poteva avere una cosa del genere? Io non dico che non sia una buona interpretazione psicologica. Ma almeno fino a questo momento non sono riuscito a sapere niente di utile sulla signora Matthews. Neanche un indizio. Poi c'è un bel bocconcino, roba di gran glasse, proprio appetitoso, che risponde al nome di Rose Daventry. Se lei dovesse chiedermi cosa penso sul suo conto, capo, le direi soltanto che non mi piacerebbe adoperare una parola di quelle che possono scandalizzare l'ispettore.» Davis ridacchiò. «La conosco» disse. «Ecco, lei è persuasa che sia stata la nipote, perché allo zio non garbava che sposasse il dottore. O perlomeno, questa è la ragione che mi ha dato, ma quello che invece voleva farmi intendere sotto sotto è che la signorina Stella Matthews esige un sacco di lavoro in più di quel che garba a quel bocciolino di rosa. Dopodiché sono passato alla seconda cameriera. Ragazza di campagna. Stevens, di cognome. A suo giudizio non ci sarebbe stato nessun motivo per combinare una cosa del genere. Se poi si eliminano un paio di giardinieri e la sguattera, rimane il maggiordomo. Ho fatto mettere per iscritto la sua testimonianza, capo, ed è il meglio che sono riuscito a cavare da tutte quelle chiacchiere inutili. La cosa più interessante è che quando lui è salito di sopra per andare a letto, pochi minuti dopo le undici, ha visto la signorina Harriet Matthews venir fuori dalla camera del fratello.» «Ah, davvero?» esclamò Hannasyde. «Questo sì che è interessante. Lei, invece, a me aveva lasciato capire di non aver più visto il fratello, dopo che si era ritirato nella sua camera.» «È una donna molto strana» disse l'ispettore con aria meditabonda. «E linguacciuta, poi.» «Be', devo dire che fino a questo momento non mi era ancora capitato di incappare in un caso in cui qualcuno ha commesso un delitto semplicemente perché era un tipo un po' strano» osservò il sergente. «Ma questo non significa che non possa capitare. E magari non le dispiacerà l'indizio che adesso le riferisco. A dare retta a Beecher, c'era una boccetta nuova di non so più quale ricostituente che è caduta nel lavabo del bagno del signor Matthews, e di conseguenza è andata in mille pezzi. La signorina Harriet l'ha trovata e si è liberata dei vetri rotti buttandoli nel fuoco sotto i fornelli, in cucina. Una cosa un po' curiosa, a mio giudizio, eppure si direbbe che il personale di servizio non l'abbia trovata altrettanto interessante. Mi hanno detto che è proprio quel genere di stupido giochetto che lei è abituata a fa-
re. Ma la mia ultima notizia ghiotta è addirittura scandalosa, e molto. Dicono che il dottore beve. Beecher si è cacciato in testa, e non c'è verso di smuoverlo, che Matthews fosse al corrente di qualcosa sul conto del dottore, ma se non si tratta del fatto che ha un debole per la bottiglia non immagina cos'altro potrebbe essere.» «Quanto a quello, il dottore mi ha dato una spiegazione perfettamente chiara con molta franchezza» replicò Hannasyde. «A quanto pare Matthews avrebbe minacciato di divulgare la notizia che il padre di Fielding è morto in una casa di cura per alcolisti cronici, se lui non tagliava i ponti con sua nipote.» A questa notizia il sergente sgranò gli occhi. «Ma che cose si mettono a combinare nei quartieri residenziali!» esclamò in tono pieno di ammirazione. «Ecco, roba del genere si potrebbe anche chiamare ricatto, sovrintendente.» «La chiamerei anch'io così.» «E il ricatto è uno dei moventi più forti di un omicidio.» «Senz'altro. Ma non ho avuto l'impressione che Fielding fosse innamorato tanto follemente della signorina Stella da arrivare all'omicidio per amor suo.» L'ispettore, che era rimasto ad ascoltarli con le sopracciglia aggrottate, intervenne. «Non mi meraviglierei se il dottore pensasse che la signorina Stella sta per ereditare un bel gruzzoletto. Per quel che mi riguarda, sarei stato pronto a scommettere che Matthews le avrebbe lasciato il suo intero patrimonio. Le era molto affezionato, a quanto sento. Appena sei mesi fa le ha regalato una Riley sportiva, e non era certamente un tipo disposto a dare qualcosa a qualcuno, se non entrava nelle sue grazie.» Hannasyde rimase in silenzio per un attimo. «Ma perché la nicotina?» disse poi. Era il medico curante di Matthews, e noi sappiamo che Matthews non godeva di una ottima salute. Se proprio avesse voluto assassinarlo, perché non farlo a poco a poco, in modo che nessuno venisse mai sfiorato neanche dal più piccolo sospetto? «Sì, anche questo è vero» dovette ammettere Hemingway. «D'altra parte, a me la nicotina sembra proprio quel veleno che nessuno si aspetterebbe mai di veder usare da un dottore. Come se lo spiega, capo?» «Lo avevo pensato anch'io.» «Ecco dove entra in gioco la psicologia» disse il sergente riprendendo animo. «Qual è la nostra prossima mossa?» «Io devo andare a parlare con la signora Lupton, la sorella maggiore di
Matthews. A quanto ci risulta, è stata lei a pretendere che venisse fatta l'autopsia.» «Guarda guarda!» fece il sergente. «Io pensavo a un'altra persona. Adesso sì che si comincia a fare qualche passo avanti!» «Se con questo vuole dire che non è stato Fielding a chiedere l'autopsia, no, non è stato lui. Ma dal momento che, a giudicare da tutte le testimonianze che ho sentito finora, sembra disponibile, anzi addirittura ansioso di avere l'autopsia, non credo andremo avanti su questa strada come lei immagina. Vedremo che cos'ha da raccontarci la signora Lupton, poi dovrò fare anche una visita all'erede.» «E chi sarebbe?» s'informò il sergente. «Fra quelli di Gregory Matthews, il nipote maggiore d'età. Abita in città, e sono molto interessato a fare la sua conoscenza. A quanto sono riuscito a capire, sembra un giovane gentiluomo molto poco popolare.» «Per me questa è nuova. E come entra nel nostro caso?» Hannasyde proruppe in una risata. «Ecco l'intoppo. Non c'entra affatto. E io non posso fare a meno di pensare che invece è proprio la persona che dovrebbe entrarci.» 5 «Le donne!» esclamò l'ispettore mezz'ora più tardi. «Le donne!» Venivano via in quel momento da un colloquio con Gertrude Lupton, e il commento agro in cui il funzionario era sbottato poteva avere qualche valida scusa. Hannasyde si mise a ridere, ma il sergente Hemingway rimase serio. «Chi crederebbe mai che qualcuno fosse disposto a far scoppiare uno scandalo in famiglia soltanto per divertirsi, eh?» «Non per divertirsi, ma per gelosia» lo corresse Hannasyde. «E il destino vuole che abbia avuto ragione.» «Che avesse ragione o no, sono convinto che non avesse, invece, il minimo motivo per esigere che si facesse l'autopsia» disse l'ispettore indignato. «E non mi meraviglia affatto che suo marito si mostrasse così imbarazzato. Dovrebbe vergognarsi, piuttosto, perché le permette di comportarsi in quel modo.» «Poveraccio. Comunque, se non fosse stato per lei, questo caso non sarebbe mai esistito; quindi non possiamo avere proprio niente di cui lamentarci, indipendentemente da quelli che possono essere stati i suoi motivi.»
Il sergente si grattò la punta del naso con aria assorta. «Nessun motivo. Un pizzico di intuito femminile, se vuole sapere come la penso. Strane creature, le donne.» «Non crederà sul serio a quello che dice, vero?» domandò Davis in tono sprezzante. Il sergente si girò a guardarlo con occhi penetranti. «Lei è sposato, ispettore?» «No, non sono sposato.» «La mia era quella che viene definita, di solito, una domanda retorica. Lo so che lei non è sposato. Se fosse sposato non ci metterebbe un attimo a credere nell'istinto femminile. Figuriamoci! Lo sbandierano in continuazione, e una volta su due salta fuori che hanno ragione. Quella Gertrude dalla faccia di granito ha sospettato che qualcuno avesse fatto fuori suo fratello, e se lei conoscesse l'intuito delle donne come lo conosco io non direbbe che lo ha fatto unicamente per dispetto. Lei? Proprio per niente! Ecco quello che ha pensato: "A me non piace nessuna delle persone che ci sono in questa casa". E mi creda, ispettore, una volta che una donna si mette in testa un'idea del genere, il sospetto nei confronti di tutto quel branco di parenti le nasce dentro in un batter d'occhio.» «Non mi meraviglierebbe affatto» disse l'ispettore, il quale stava cominciando a provare un'irragionevole antipatia per la signora Lupton «se scoprissimo che è stata lei, e che si è comportata in quel modo per deviare i nostri sospetti.» Il sergente scambiò uno sguardo pieno d'indulgenza con Hannasyde. «Pessima psicologia» disse. «Lei è un tipo inattaccabile.» «Stiamo sprecando il nostro tempo!» sbuffò l'ispettore, incattivito. «Non c'è una sola cosa, fra quelle che ci abbia raccontato, che non sapessimo già. Non è d'accordo, sovrintendente?» «D'accordo? No. Non sono d'accordo con nessuno di voi due. Secondo me quella donna di intuito ne ha avuto parecchio, e credo che ci abbia raccontato svariate cosette.» «Lo sapevo che lei stava già battendo una pista tutta sua» osservò il sergente. «E invece si sbaglia» rispose Hannasyde tranquillamente. «Ma questa donna, Gertrude Lupton, per quanto sgradevole e antipatica, è scrupolosamente onesta. In casa Matthews abbiamo interrogato un buon numero di persone. Erano tutte impaurite, e di conseguenza hanno detto quello che pensavano fosse meno pericoloso per loro. La signora Lupton non ha paura
né di me né di nessun altro poliziotto, e si è mostrata decisa a non lanciare la più piccola accusa contro nessuno. Non si sta comportando come una persona vendicativa o malintenzionata; vuole soltanto giustizia. Il che rende molto importante e prezioso quello che ci ha detto. Quando una donna come la signorina Matthews afferma che sua cognata è capace di qualsiasi cosa, io non sono disposto a crederle, né più né meno come non tengo nel minimo conto l'allusione che mi è stata fatta dalla signora Matthews, secondo la quale Harriet avrebbe avuto piacere di vedere suo fratello liquidato il più tranquillamente possibile e senza il minimo clamore. Ma quando una donna di un'onestà e di una intransigenza assolute, come la signora Lupton, mi racconta che sua cognata sarebbe disposta a fare qualsiasi cosa per ottenere ciò che vuole, io ne prendo debitamente nota. Le persone delle quali lei sospetta sono la signora Matthews, il figlio Guy e il dottore.» «Lo definirei un sospetto di massa» fu il commento dell'ispettore. «No, non la penso come lei. La signora Lupton ha eliminato la ragazza, Stella, eppure mi ero fatto l'impressione che le fosse antipatica. Però ha sostenuto esplicitamente che Stella non avrebbe mai fatto una cosa del genere, e questo, a parer mio, ha dato un notevole peso alla sua dichiarazione che uno qualsiasi degli altri tre sia capace di commettere un omicidio. Io non ne so niente di intuito femminile, Hemingway, ma se la signora Lupton ha sospettato che ci fosse qualcosa di losco in quanto è successo, non è stato perché ha scoperto qualcosa che non la convinceva nel cadavere di suo fratello, ma perché sapeva che la situazione ai Pioppi era abbastanza tesa da sfociare in un assassinio. Ed è quel che voglio scoprire.» Il sergente annuì. «Giusto, capo.» L'ispettore Davis lasciò capire di non essere soddisfatto. «Con tutto ciò, mi piacerebbe sapere come Matthews ha preso il veleno. È la cosa che mi preoccupa di più, perché finora non abbiamo ancora scoperto un accidenti di niente che lui può aver inghiottito, e invece gli altri non hanno toccato, con l'esclusione del ricostituente che potrebbe aver preso dopo cena.» «Non si può escludere che Guy Matthews abbia versato il veleno in quel whisky al seltz da una fialetta che teneva nascosta in mano» insinuò Hannasyde. L'ispettore sbuffò, sprezzante. «Non si crucci così» disse Hemingway. «Il capo sta meditando su qualcosa di un po' più astruso. Dico bene, sovrintendente?» «Più o meno. Comunque, adesso noi ce ne torniamo in città e andiamo in cerca di Randall Matthews.»
Dopo essersi separati dall'ispettore alla stazione di polizia, Hannasyde e il sergente tornarono a Londra con la metropolitana. Randall Matthews occupava un appartamento in affitto in una via secondaria a poca distanza di St. James's Street, ma non c'era all'una, quando il sovrintendente si presentò. Il suo domestico, dopo aver occhieggiato sfavorevolmente la polizia, si rifiutò di azzardare una qualsiasi opinione sulla probabile ora del ritorno del padrone, ma Hannasyde e il sergente, ripresentandosi alla stessa porta alle tre del pomeriggio, trovarono una Mercedes parcheggiata fuori e non sbagliarono a pensare che il suo proprietario fosse Randall Matthews. Stavolta il domestico, invece di parlare con loro attraverso la fessura più piccola possibile della porta padronale, la spalancò con visibile riluttanza. I due uomini vennero fatti entrare in una piccola anticamera tutta nelle più svariate sfumature di grigio, e lì furono lasciati, mentre Benton andava a informare il padrone del loro arrivo. Il sergente si guardò intorno con aria alquanto dubbiosa e si grattò il mento con l'orlo della bombetta. «Ecco quello che si potrebbe definire un arredamento con qualche pretesa artistica» osservò. «Ha mai pensato che l'arredamento abbia un grande significato, capo? Prenda un po' quel divano, per esempio.» «Cos'avrebbe che non va?» domandò Hannasyde, allungando un'occhiata un po' sdegnosa al mobile in questione, capace e comodo, basso e imbottito di velluto grigio tortora. «Non ne sono del tutto sicuro. Se ci fossero sopra una dozzina di cuscini con le nappine dorate, buttati lì in modo volutamente trascurato, credo che saprei cosa pensare. Invece le nappine e i cuscini non ci sono. Comunque, possiamo prendere nota che questo bel tipo ha gusti costosi. E per quel che riguarda i quadri, lei li definirebbe di carattere orientale?» «Sono stampe cinesi» replicò Hannasyde asciutto. «Non me ne meraviglierei, perché tutto quadra proprio con quello che stavo pensando.» La porta a vetri su un lato dell'anticamera si spalancò in quel momento e Randall Matthews venne verso di loro, stringendo il biglietto da visita di Hannasyde fra l'indice e il pollice. «Qui si continua sempre con l'arredamento di cui stavamo parlando prima» bofonchiò il sergente. Era un po' difficile pensare che quella scelta fosse voluta, ma Randall portava un completo di flanella grigio perla che armonizzava in modo squisito con toni e tinte, nonché con l'atmosfera, della stanza in cui si tro-
vavano. Alzò gli occhi dal biglietto da visita. «Ah, buon giorno, sovrintendente. E potrei anche dire: benvenuto nella mia umile casa. Non vuole accomodarsi?» E fece un gesto verso la stanza dalla quale era appena uscito. «Tutti e due, naturalmente. Lei deve presentarmi al suo amico.» «Il sergente Hemingway» disse Hannasyde, e i suoi occhi solitamente sereni si fecero corrucciati. «Come sta, sergente? Piacere di conoscerla» disse Randall affabilmente. «Benson, prenda il cappello del sergente.» Il sergente anche in questo caso si dimostrò all'altezza della situazione; senza nascondere a ogni momento che passava il proprio crescente interesse per tutto ciò che aveva intorno, consegnò prontamente il cappello al domestico e seguì Hannasyde in una stanza che dava sulla strada e che a quanto sembrava, con l'eccezione delle scaffalature delle librerie, si sarebbe detta interamente composta di cuoio spagnolo. Randall prese una scatola che conteneva sigarette russe e la offrì ai visitatori. Quando risposero con un rifiuto, ne scelse una per sé, l'accese e indicò due poltrone. «Non vogliono accomodarsi? E prima di procedere oltre, mi dicano, per favore, in che modo il mio povero zio è stato avvelenato.» Hannasyde alzò le sopracciglia. «Allora lei stava già pensando che fosse stato avvelenato? A quanto mi par di capire, aveva definito il sospetto manifestato dalla signora Lupton come un canard.» «E dev'essere proprio stato così, perché in effetti è proprio quel genere di cose che direi senza esitazione di fronte alle dichiarazioni della mia cara zia Gertrude. Ma ho anche moltissimo intuito, mio caro sovrintendente. E la sua simpatica presenza qui mi convince dell'errore che ho commesso. D'altra parte non mi vergogno affatto di riconoscere i miei errori. Ne faccio pochissimi.» «Devo congratularmi con lei» fu il commento asciutto di Hannasyde. «Suo zio è stato effettivamente avvelenato.» «Sì, certo. Altrimenti non si spiegherebbe il motivo della sua presenza qui. Mi è concesso di sapere come?» «È morto per avvelenamento da nicotina.» «Che peccato! Sembra molto banale... quasi volgare. Credo che butterò via quello che rimane della mia sigaretta.» «Non mi propongo di chiederle di dedicarmi il suo tempo...» «Il mio tempo prezioso» interloquì Randall garbatamente.
«Non più di quanto sia necessario, signor Matthews, ma dal momento che sono venuto a sapere che lei non è soltanto l'erede del patrimonio di suo zio, ma adesso anche il capofamiglia, ho pensato che venire a farle visita fosse la cosa più opportuna. Sarà necessario, per la polizia, esaminare carte e documenti del defunto.» «Per questo avrà bisogno dell'avvocato di mio zio. Sono sicuro che lo troverà simpatico.» «Non credo di sapere chi è.» «Si chiama Carrington.» Hannasyde alzò gli occhi dal suo taccuino. «Carrington?» «Giles Carrington. Mi pare che siano più d'uno, e sono sicuro di essere andato in Adam Street a trovarli nel loro studio, una volta.» «La ringrazio» disse Hannasyde. «Conosco molto bene il signor Giles Carrington. E adesso, se lei fosse così cortese da rispondere a una o due domande, non avrò ulteriori necessità di trattenerla. Qual è stata l'ultima volta che ha visto suo zio?» «L'ultima volta che ho visto mio zio è stato la domenica precedente alla sua morte. E più precisamente...» «Il 13 maggio. Quel giorno lei è stato a Grinley Heath?» «Proprio così» disse Randall mentre rabbrividiva leggermente. «Perdoni la mia curiosità, ma ha qualche particolare motivo per ricordare quell'occasione?» domandò Hannasyde, al quale quel brivido non era sfuggito. «È rimasta impressa in modo indelebile nella mia memoria. La mia visita è avvenuta contemporaneamente a quella di mia cugina, la signora... credo che si chiami Crewe, ma non ne sono del tutto sicuro.» «Solamente per quello?» «No, assolutamente, no. Lei aveva portato con sé il suo insopportabile rampollo e dava l'impressione di considerare fortunata la circostanza che io fossi presente per ammirarlo.» Hannasyde ignorò la battuta di spirito. «Ed è stata l'ultima volta che ha visto il defunto?» «Sì.» «Era in buoni rapporti con lui?» «Buonissimi» rispose Randall con indifferenza. «Termini di intimità, signor Matthews?» Randall lo scrutò. «Dovrò domandarle di spiegarsi meglio, mio caro sovrintendente.»
«Vediamo di metterla così, allora: lei aveva piena confidenza con suo zio?» «Non credo proprio. In me c'è qualcosina d'indefinibile che non incoraggia la mia famiglia a confidarsi con me.» «Di conseguenza non può dirmi se suo zio avesse dei nemici?» «No» rispose Randall a voce bassa. «E neanche se avesse degli amici.» Le risulta che qualcuno avesse un motivo per augurarsi di vederlo morto? «All'infuori del sottoscritto?» Il sergente trasalì e il sovrintendente aggrottò la fronte. «Ne aveva qualche motivo, signor Matthews?» Randall sorrise. «Mio carissimo signore, io sono l'erede. Vediamo di capirci. Non c'è assolutamente bisogno che lei mi faccia queste domande con tanta cautela. Sarò felice di rispondere a qualsiasi cosa voglia domandarmi. Anzi, confesso di non stare più nella pelle, letteralmente, dalla smania di aiutarla a scovare l'assassino.» «Grazie.» «Per carità, si figuri. Ma non sia timido, per carità! Tanto per cominciare, avrà piacere di sapere qual è il saldo del mio conto corrente. So di non poter rispondere così, sui due piedi, ma le consegnerò una lettera di presentazione per il direttore della mia banca.» «Preferirei che mi fornisse un resoconto dei suoi movimenti per il 14 maggio.» «Faciliterebbe le cose? Naturalmente ero a Newmarket.» «È un appassionato di ippica, signor Matthews?» «Molto appassionato» disse Randall, che nel frattempo si era avvicinato alla scrivania e aveva cominciato a buttar giù qualche appunto su un mezzo foglio di carta da lettere. «Dopo essere tornato in città al termine della corsa delle 15.30 in compagnia di un certo Frank Clutterbuck... di cui le scrivo qui l'indirizzo, sono rientrato a casa, mi sono cambiato e ho proseguito per il Duval's, ristorante che senza dubbio le è ben noto. Faccia il mio nome al maître. Lì sono stato raggiunto da due amici, di cui in questo preciso momento le sto mettendo per iscritto nome e indirizzo. Da Duval's siamo andati al Palladium, fila B, e precisamente ai posti numero 8, 9 e 10. Lasciato il Palladium poco prima che lo spettacolo finisse, sentendomi schiavo del dovere, sono salito su un taxi, ma stupidamente ho trascurato di prender nota del numero, per raggiungere South Street dove ho fatto un'apparizione, ritardata ma cortese, al ballo della signora Massingham. Le
darò anche il suo indirizzo. Verso le tre del mattino ho lasciato South Street, sono tornato qui e me ne sono andato a letto.» Alzandosi, consegnò il foglio di carta ad Hannasyde. «E a letto sono rimasto fino a quando il signor Giles Carrington non mi ha telefonato, fra le undici e mezzogiorno, per informarmi che mio zio era morto, si stava procedendo a un'indagine di carattere medico ed era imminente un'inchiesta della polizia.» Hannasyde ripiegò il pezzo di carta e lo mise nel portafoglio. «Ne è rimasto sorpreso, signor Matthews?» «E lei non lo sarebbe stato?» «Sì, penso di sì... se avessi saputo che nessuno poteva avere un qualsiasi movente per l'omicidio.» Randall sorrise e rispose in tono vagamente derisorio. «Ah, credo che voglia riferirsi ai... ehm... ai dissensi familiari. Quale dei miei parenti gradirebbe che incriminassi con una dichiarazione alla polizia? In pratica non ho preferenze, sa?» «Io non voglio che incrimini nessuno, signor Matthews, ma se è al corrente di qualcosa che può essere rilevante nel caso in questione, avrei piacere di sentirlo.» Randall allungò una mano per prendere una sigaretta dalla scatola che aveva vicino e cominciò a batterla ritmicamente sull'unghia del pollice. «Ma io non credo di sapere niente di rilevante» disse in tono rattristato. «In tal caso non le porteremo via altro tempo» disse Hannasyde, e si alzò. Randall toccò un campanello sulla scrivania e appena Benson fece la sua apparizione lo istruì, sempre con il solito tono languido, di occuparsi dei visitatori che andavano via. Mentre scendevano le scale, Hemingway guardò il sovrintendente «Un po' troppo mellifluo nel modo di parlare, capo. Un po' troppo, davvero.» Hannasyde si lasciò sfuggire una specie di grugnito. «Alibi e tutto» insistette il sergente. «Bello e pronto. E ce l'ha snocciolato con un'aria gongolante. Prova-a-trovarci-un-buco-se-ci-riesci. La domanda è: possiamo?» «Direi proprio di no. Può fare un controllo per vedere se è tutto vero... ma più che altro per una questione di forma. Io adesso vado dal signor Carrington.» «Mi auguro che possa chiamare quella visita l'unica luce in una buia giornata. Che buffo doversi mettere in contatto proprio con lui dopo che ho appena citato il caso Vereker. Chissà se la signorina Vereker... adesso è diventata la signora Carrington, vero? Chissà se continua sempre ad alle-
vare bull-terrier?» «Lo chiederò a lui.» «Nello stesso tempo potrebbe anche domandargli se il giovane Vereker è già finito sulla forca» insistette il sergente. Il signor Giles Carrington non lasciò aspettare troppo il sovrintendente Hannasyde. Non appena venne fatto passare nel suo ufficio, si alzò da dietro la grande scrivania sulla quale le scartoffie si ammucchiavano nel più completo disordine e si fece avanti tendendogli la mano. «Be', questa sì che è una bella sorpresa! Come sta? Prego, si accomodi.» Hannasyde gli strinse la mano calorosamente e accettò una poltrona e una sigaretta. «Come sta lei, signor Carrington? E la signora?» «Oh, siamo tutti e due in splendida forma, grazie.» «E il signor Vereker? Hemingway, se lo ricorda? Vuole sapere se è già finito sulla forca. Quei disegni a penna che aveva fatto della polizia... se sapesse come l'amareggiano ancora.» «È andato all'estero non appena il caso è stato chiuso, e sono lieto di poterle dire che è stato combinato, e verrà celebrato fra breve, un matrimonio.» «La signorina Rivers? Che splendida notizia. La prego di fargli i miei migliori auguri.» «Certamente, con piacere. Casomai le capitasse di fare un salto a trovarci, una sera, potrà farglieli di persona. Al momento abita da noi.» «Un simpatico invito, e lo gradisco» disse Hannasyde. «Ma non pensa che il fatto di vedermi potrebbe far riaffiorare certi ricordi penosi?» «Con Kenneth non si sa mai cosa pensare» rispose l'avvocato. «Probabilmente, no.» Intanto lanciava al sovrintendente un'occhiata vagamente inquisitrice. «A proposito, la sua presenza qui cosa annuncia? Affari o piacere?» «L'uno e l'altro. Deve sapere che è stato un gran piacere per me lavorare con lei.» «Me lo dice con un tono molto gentile, ma non si illuda di infinocchiarmi. Io non so un bel niente sul conto del defunto Gregory Matthews.» Negli occhi del sovrintendente passò un guizzo di divertimento. «Via, via, signor Carrington! Lasciamo perdere questo tono da Sherlock Holmes. Certo che si tratta del caso Matthews.» «È stato avvelenato?» «Sì, precisamente. Nicotina. Avrò bisogno di esaminare le sue carte e i
documenti.» «D'accordo. Domani le può andar bene?» Hannasyde annuì. «Non troveremo niente. Siamo partiti con cinque giorni di ritardo. E dovevano proprio affidare a me questo omicidio... Mi dica quello che sa sul conto di Matthews.» «Non è granché. È nostro cliente da cinque anni all'incirca. In passato era Digby Bryant a occuparsi dei suoi affari, e quando lui è morto, Matthews è venuto da noi. A quanto pare non andava d'accordo con il giovane Bryant. A noi non ha dato mai fastidi. Pochi lavoretti di routine. Non godevo della sua confidenza.» «Sa come ha fatto i soldi?» «Si occupava di finanza, ma come uno che punta alle corse... Aveva un ufficio nella City e credo che si divertisse a giocare con i titoli. Deve aver cominciato nell'ufficio di un broker, e immagino che abbia fatto qualche colpo fortunato.» «Daremo anche un'occhiata a quest'ufficio. Lei sa qualcosa del resto della famiglia?» «Niente, salvo quello che ho visto quando sono andato da loro per l'apertura del testamento.» «Non mi pare che lei mi sia di grande aiuto» si lagnò Hannasyde. «Cosa ne pensa di Randall Matthews?» Giles Carrington diede un colpetto alla sua sigaretta per farne cadere un po' di cenere. «Be', visto che me lo chiede, non posso dire di provare una grande simpatia per lui.» «Neanch'io. Sa qualcosa sul suo conto?» «È il classico tipo del playboy; quindi non il mio genere. Le interessa?» «Sono interessato a chiunque abbia a che fare con questo caso. Hemingway dice che ha la sensazione di brancolare in un bel nebbione. Tutta colpa di questa maledetta nicotina. Può darsi che sia stata inghiottita, ma non si escludono altre possibilità. Sulla mano sinistra del defunto c'era un brutto graffio.» «Roba da Borgia!» «Ci sarebbe da pensarlo, eh? Ma uno dei nostri esperti ha espresso l'opinione che il veleno potrebbe essere stato assorbito dal graffio. La sorella, Harriet Matthews, è stata l'ultima persona a vedere Matthews la sera in cui è morto... anche se con me non l'ha ammesso. Possiamo dire, se vuole, che è stata lei a fargli quel graffio, ma...» «Con un paio di forbicine da unghie avvelenate» lo interruppe l'avvocato
in tono derisorio. «Mi piace questo suo lato romanzesco!» «Lo so. Ma non sto scherzando, signor Carrington. Supponiamo che sia stata lei a fargli quella piccola ferita, magari casualmente, e poi gliel'abbia pulita con un disinfettante nel quale poteva aver messo il veleno...» «Un momento, per favore. Harriet Matthews sarebbe la signorina un po' stramba che è anche una maniaca dell'economia?» «Proprio lei.» «Che scelta, fra tutte le sue persone sospette. Non ne avrebbe la capacità, e non parliamo poi delle cognizioni in materia!» «Le donne strambe e chiacchierone non sempre sono candide e ingenue come possono sembrare, signor Carrington. Non che io la giudichi così. Ma il guaio è che non ho ancora trovato nessuno che possa essere il colpevole. Almeno al primo colpo d'occhio, la persona che si potrebbe sospettare più facilmente è l'erede. Vive nel lusso, spende e spande, probabilmente più di quello che si può permettere con il suo reddito, e non credo di sbagliarmi dicendo che gioca e scommette alle corse. Un tipo intelligente, e anche freddo e calcolatore, direi. Ma c'è di più: mi ha presentato un alibi talmente dettagliato che non mi aspetto di trovarci neanche il più piccolo buco. E finora non ho niente di cui poterlo accusare. È stato informato da lei della morte dello zio. Come ha preso la notizia?» «Gli ho parlato per telefono. Con la massima calma, penso. Io mi sono semplicemente limitato a dire che Matthews era morto, e ho aggiunto che sembrava fosse sorto qualche dubbio sulla causa del decesso, e che ci sarebbe stata un'autopsia. Lui mi è sembrato chiaramente infastidito da quest'ultimo fatto, ma credo che chiunque lo sarebbe. A nessuno piace uno scandalo in famiglia, no?» «E cos'ha detto?» «Non me ne ricordo. Qualcosa a proposito della mancanza di competenza dei medici, e che avrebbe fatto meglio a venire a parlarmi personalmente.» «È venuto qui da lei proprio quello stesso giorno? Quando?» «Poco prima dell'una. Era perfettamente controllato. È venuto per combinare la questione del testamento, e anche per discutere altre questioni di affari.» «Sapeva di essere l'erede, suppongo?» «Sì. È esecutore testamentario, insieme a me.» «Le è sembrato che fosse ansioso di scoprire cos'era successo a Grinley Heath?»
«Non più di quanto ci si potesse aspettare. Voleva sapere chi fosse stato quello stupido che aveva sospettato un omicidio, ma dal momento che io non...» «Chi gli ha riferito che si ventilava la possibilità di un omicidio? Lei?» Giles lo guardò dritto negli occhi. «No, non penso di essere stato io. D'altra parte è la prima cosa che viene in mente quando si sente dire che si farà un'autopsia, o sbaglio? Dev'essere partito dal presupposto che si sospettasse un avvelenamento, né più né meno come ho fatto io. Comunque, non sembrava che tenesse in gran conto quest'eventualità. Ha detto di essere convinto che i membri della sua famiglia avessero cominciato a comportarsi né più né meno com'era prevedibile, tenendo conto del loro carattere, e ha soggiunto che la tentazione di andare a vedere la figura di autentici imbecilli che stavano facendo era troppo forte per poterle resistere. Credo che sia andato a Grinley quel pomeriggio stesso.» «Non ne ho il minimo dubbio» disse Hannasyde. «Molto comprensibile che dovesse farlo... e se c'era qualche indizio ai Pioppi in attesa di essere distrutto, ancor più comprensibile.» «A sentirla, mi dà l'impressione di essere un po' permaloso, caro amico. Non è da lei.» «Be', ce n'è più che abbastanza per far bestemmiare un santo, signor Carrington. Un uomo viene avvelenato la sera del 14 maggio. Il suo medico curante trova che il decesso è avvenuto per cause naturali ed è pronto a firmare il relativo certificato, ma una persona della famiglia solleva qualche obiezione e così pensano di chiedere un'autopsia. Il nostro anatomopatologo interpreta le cose né più né meno come il medico di famiglia ma gli organi del defunto vengono spediti al ministero degli Interni perché così vuole il regolamento. A Grinley nessuno prende sul serio la situazione e non si interviene con un'azione ufficiale. Risultato: passano cinque giorni prima che il caso ci venga affidato, e durante questo periodo di tempo chiunque tra quelli coinvolti in qualche modo con l'accaduto non solo è stato informato che si intende procedere a un'inchiesta, ma ha avuto tempo in abbondanza per far scomparire qualsiasi indizio possa esserci stato. La camera da letto del defunto ci viene presentata tutta pulita e nell'ordine più perfetto, una boccetta di ricostituente è andata molto provvidenzialmente in mille pezzi e ogni altra cosa è stata portata via.» «Ah, capisco!» L'avvocato sorrise. «Lei vuole il cadavere in situ, con la lettera incriminante nel cestino della carta straccia, il bicchiere con tracce di veleno sul tavolo e tutto sotto chiave fino al suo arrivo.»
Anche Hannasyde sorrise a malincuore. «Be', ammetterà che sarebbe stato molto più facile da affrontare e risolvere. A proposito, lei è in possesso delle chiavi del defunto?» «Me ne sono fatto carico venerdì. Randall me le ha consegnate, in attesa del risultato delle indagini.» «Pensa proprio a tutto... Un modo di comportarsi molto corretto da parte del signor Randall Matthews. E il resto della famiglia lo odia.» Il sovrintendente si mise a picchiettare con le dita sul piano della scrivania per un momento. «Bisogna chiedere al reparto di guardare un po' meglio nella vita e negli affari del signor Matthews. Lei è impegnato, signor Carrington?» «Cosa vuole che faccia?» «Che venga con me nell'ufficio di Gregory.» Il legale diede un'occhiata al suo orologio da polso. «Va bene, ma devo essere di nuovo qui per le cinque. Ho un appuntamento.» Un taxi portò i due uomini nella City e li lasciò davanti a un grande palazzo diviso in appartamenti. Durante tutta la sua vita Gregory Matthews aveva affittato un unico locale al quarto piano dove, a quanto pareva, sbrigava i suoi affari. Si trattava di una stanza piccola, che conteneva una scrivania, un paio di poltrone di cuoio, un tavolo sul quale c'era una macchina per scrivere, un grande cestino per la carta straccia, un casellario e una cassaforte. Tutto era molto in ordine, ma dopo essere rimasta chiusa per parecchi giorni, la stanza aveva l'aria viziata. Ci si soffocava. «Niente lettere fatte in mille pezzi qui» osservò Carrington. «Questo è uno di quei palazzi moderni dove la donna delle pulizie ha un passepartout per entrare e pulisce gli uffici ogni mattina.» Sedette alla scrivania e cominciò a ispezionare le chiavi infilate nell'anello che teneva fra le mani. «Che cosa preferisce prima di tutto il resto? Scrivania, cassaforte o casellario?» Hannasyde aveva preso dal tavolo un'agenda e la stava sfogliando. «Non ha importanza. Scrivania» disse con aria assorta. «Parker & Snell... si direbbe che siano stati i suoi agenti di borsa. A quanto pare, aveva un appuntamento con loro il 14 maggio. Non ci dice molto.» «Sì, infatti erano i suoi broker» confermò l'avvocato mentre infilava la chiave nella serratura del cassetto più alto della scrivania. «Ecco qua. Tutto per lei.» «Aspetti un momento.» Hannasyde stava sfogliando all'indietro l'agenda. «In pratica non c'è segnato nessun appuntamento. Ogni giorno prendeva appunti sul prezzo delle azioni. Si direbbe che avesse dei gusti piuttosto
eclettici nei suoi investimenti... Lunedì 13 maggio: Lupton, ore 12.00» Posò l'agenda. «Lupton? Ma è il cognato! Chissà per quale motivo voleva vederlo...» «Sarebbe l'ometto rinsecchito che ha per consorte quella donna autoritaria e dispotica?» «Sì, proprio lui. Per quale motivo Matthews ha preso un appuntamento con lui qui, quando vivono nello stesso posto? Potrebbe essere utile saperlo.» «Lei ha un cervello magnifico e terribile, Hannasyde. Io potrei trovarle almeno una dozzina di motivi.» «Oh, lo so, posso farlo anch'io... ma non si sa mai. E per caso sa qualcosa sul conto di una certa signora che si chiama Gladys Smith e abita al 531 di Fairleigh Court, Golders Green?» «Mai sentito niente sul suo conto» rispose Carrington, tirando fuori un fascio di documenti dal cassetto che aveva aperto. «Ha qualcosa a che vedere con il nostro caso oppure vuole raccontarmi una storiella piccante?» «Il suo nome e indirizzo sono scritti qui alla data del 9 maggio. Non è segnata un'ora specifica, quindi potrebbe anche non essere un appuntamento.» «Ho la sensazione che lei si aggrappi alle pagliuzze» osservò il legale, intanto che dava rapidamente un'occhiata alle carte che aveva fra le mani. Hannasyde prese nota dell'indirizzo della signora Smith. «Non c'è molto altro a cui aggrapparsi. A volte anche le pagliuzze possono essere importanti. Quanto a lei, cos'ha lì?» «Niente di interessante.» Esaminarono insieme il resto delle carte che c'erano nella scrivania e poi si dedicarono alla cassaforte. Anche lì venne scoperto molto poco di importante, ma Hannasyde requisì un libretto di conto corrente, un grosso libro mastro, e si accomodò alla scrivania dove si mise a esaminarli in silenzio per un certo tempo. L'avvocato cominciò a riempirsi di tabacco la pipa. «Io tutto questo lo definisco noioso» osservò dopo un po'. Hannasyde gli rispose con un grugnito. «Non c'è niente nel libretto del conto corrente?» «Alla prima occhiata, no. Si direbbe che il defunto abbia fatto le sue registrazioni con un po' di disinvoltura. Non sempre annota quel che ha venduto per acquistare alcuni di questi blocchi di azioni.» Dovrò esaminarlo molto più a fondo. Diamo un'occhiata al casellario. Questo non rivelò niente che avesse un minimo di interesse. Controlla-
rono in fretta quel poco che conteneva e Carrington, sbadigliando, osservò che era ben contento di non fare parte della polizia giudiziaria. «Molta gente si meraviglierebbe se sapesse com'è noiosa gran parte del nostro lavoro» replicò Hannasyde. «Io voglio farmi carico del libretto del conto corrente, del libro mastro e di quell'agenda. Non credo che qui ci sia nient'altro. Auguriamoci di avere maggior fortuna a casa del defunto. Crede che potrebbe trovarsi con me ai Pioppi domattina alle dieci?» «L'accompagno con la macchina. Immagino che adesso lei vada a far visita a Gladys Smith, vero?» «Gladys Smith deve dare delle spiegazioni» rispose Hannasyde imperturbabile. «Chi è e cosa ci fa tra tutte queste quotazioni di borsa e questi appuntamenti?» «Io non lo so, ma non dubito che lei riuscirà a saperlo» disse l'avvocato con un tono pieno di cordialità. «Probabilmente scoprirà che è una dattilografa la quale aveva presentato una domanda di assunzione a Matthews, ma ammiro il suo zelo.» «Non risulta che abbia mai avuto come dipendente una dattilografa.» «Questo non prova che non avesse intenzione di assumerne una.» «Probabilmente lei ha ragione.» Ma la mattina successiva, dopo essersi accomodato sul sedile della macchina di Giles Carrington, il sovrintendente tornò alla carica. «Le mie pagliuzze stanno cominciando a diventare una corda. Quella non era affatto una dattilografa in cerca di impiego.» «Oh, Gladys Smith... Allora è andato a trovarla. Che tipo è?» Hannasyde si accese un fiammifero e cominciò a dar fuoco alla pipa. «Una graziosa donnina. Non molto giovane e non particolarmente raffinata. La si potrebbe descrivere una creatura amabile, di quelle che ti fanno sentire a tuo agio. Begli occhi e un sorriso materno.» Tacque per qualche istante e poi, fra un tiro e l'altro alla pipa, riprese: «E non ha mai sentito parlare di Gregory Matthews.» L'avvocato proruppe in una risata scrosciante. «Allora è ancora meglio di quanto mi aspettassi! Mio povero Hannasyde, che colpo per lei.» «Io non l'ho affatto presa così. L'ho considerata la circostanza più interessante che sia venuta alla luce finora. In questo lei non è all'altezza della sua fama, signor Carrington. Non trova un pochino strano che Gladys Smith non abbia mai sentito parlare di un uomo che ha il suo nome e indirizzo segnati nella propria agenda?»
«Forse lo conosce sotto falso nome» insinuò il legale continuando a prendere la questione alla leggera. «Tutto questo puzza molto di intrigo. Possibile che ci sia stata una liaison?» «No, non ha neanche riconosciuto la sua fotografia.» «Ammetto che sembra un po' strano, ma, nel complesso, non è neanche di grande utilità. Dove salterebbe fuori questa corda alla quale ha alluso poco fa?» «Mi ha fatto entrare nel suo salotto» riprese Hannasyde. «Una piccola stanza comoda e accogliente. Mucchi di cuscini e gingilli di ogni genere. Conosce quello stile, immagino. E proprio nel bel mezzo della mensola del camino c'era il grande ritratto di un uomo. Mi ha detto che era quello di suo marito.» «Forse era vero.» «Non penso proprio» rispose Hannasyde con il suo solito tono di voce imperturbabile. «Si trattava di una fotografia del signor Henry Lupton.» 6 «Henry Lupton? Il cognato che la moglie tiranneggia? Mantiene una donna? La sua amante? Io lo trovo straordinariamente buffo.» «Forse non così buffo come si potrebbe credere» disse Hannasyde. «Comunque le cose stanno proprio così. Non sono riuscito a cavare molto di bocca a Gladys Smith. Lei mi ha detto che suo marito fa il rappresentante di commercio ed è spesso lontano da casa. Tutta la faccenda, comunque, ha una grande aria di rispettabilità. Poveretto...» «Chi, Henry? Si direbbe che una certa consolazione l'abbia trovata.» «Non sarà una grande consolazione, se la cosa arriva alle orecchie di sua moglie.» «Bene, ma cosa ce ne importa? Cos'hanno a che vedere i peccatucci di Lupton con la morte di Matthews?» «Forse niente. Ma, se ben ricorda, Gladys Smith figurava nell'agenda di Matthews sotto la data del 9 maggio. E il 13 luì aveva fissato un appuntamento con Lupton. Non le sembra che tra le due cose possa esserci un legame?» «Sì... suppongo di sì. Matthews ha scoperto l'esistenza di Gladys Smith e ha minacciato Lupton di rivelare tutto se non si liberava di quella donna. Era molto affezionato alla sorella?» «A quanto sembra era più affezionato a lei che al resto dei familiari. E
da quello che ho sentito sul suo conto può sicuramente essere giudicato capace di un ricatto così spietato.» «Sembrerebbe una specie di bruto, a sentirla. Devo concludere che adesso Lupton entra nel ruolo di Prima persona sospetta. E me ne dispiace: avevo certe notizie che mi auguravo le facessero piacere.» «E quali sarebbero?» «Oh, si tratta semplicemente del suo amico Randall. Ieri sera mi ha telefonato per sapere cosa stava combinando lei... o perlomeno così mi è sembrato di capire dal tono del suo discorso. Comunque, oggi anche lui sarà ad aspettarci ai Pioppi.» «E per quale motivo?» Carrington si strinse nelle spalle. «Ecco, ha tutti i diritti di essere presente quando lei si metterà a esaminare le carte di Matthews. È uno degli esecutori testamentari, lo sa bene.» «Non ho obiezioni in proposito» disse Hannasyde. «Ma mi piacerebbe sapere per quale motivo vuol essere presente.» «Farà meglio a domandarlo a lui. Io non l'ho fatto.» «Ottima idea» approvò il sovrintendente, poi ricadde in un silenzio meditabondo. La macchina di Randall non si vedeva da nessuna parte quando arrivarono, ma il primo suono che giunse alle loro orecchie, appena vennero fatti entrare in casa, fu quello della voce della signora Lupton. Un cappello da uomo a fianco di un paio di guanti di pelle marrone lasciava pensare che potesse essere presente anche suo marito. Hannasyde diede al cappello un'occhiata di sfuggita e si voltò a salutare la signorina Matthews che stava uscendo dalla biblioteca e gli veniva incontro. Sembrava inquieta e confusa, e anche indispettita, e cominciò subito a parlare in modo più sconnesso del solito. «Oh, lei è qui! Bene, io non c'entro affatto in tutto questo... Come sta, signor Carrington? Non l'avevo vista... Ma devo dire che non riesco a capire cos'abbiano a che vedere con la polizia i documenti privati del povero Gregory, e lo considero un atto eccessivamente zelante... per quanto nessuno presti la minima attenzione a quello che dico. Non deve credere che troverà qualcosa perché so benissimo che non c'è niente da trovare, e se per caso esistesse qualche lettera al riguardo della questione brasiliana, questo non proverebbe niente, malgrado tutto quello che mia sorella può averle detto di diverso, come non dubito che sia effettivamente successo.» La signora Lupton uscì dalla biblioteca nel bel mezzo di questo discorso,
seguita dal marito, e subito si fece sentire con la sua solita aria saccente: «Non renderti ridicola, Harriet. Buon giorno, signori. Devo supporre che siate qui per esaminare le carte di mio fratello?» «Questo non ha niente a che vedere con te nel modo più assoluto, Gertrude!» sbottò Harriet eccitata. «Io non intendo essere trattata come una nullità in casa mia! Tu non c'entri con tutto questo e non hai il minimo motivo di essere presente, soprattutto comportandoti come se fossi l'unica che dev'essere consultata. Nessuno ti ha chiesto di venire qui e nessuno ti voleva.» «Ah, buon giorno, signor Carrington» cinguettò una voce dall'alto delle scale. La signora Matthews fece anche lei la sua comparsa e dedicò un sorriso gentile all'avvocato e uno un po' più formale al sovrintendente. «Che giornata splendida, vero? Cara Gertrude, che sorpresa! E anche Henry...» Harriet la occhieggiò con irritazione. «Sei scesa molto presto, Zoe» disse. «Una cosa assolutamente straordinaria. E di sicuro nessuno di noi è capace di indovinare perché.» «Forse non è stato proprio saggio da parte mia» ammise la signora Matthews. «Ma in una giornata come questa ci si sente felici di essere vivi.» Il suo sorriso, ancora una volta, fu diretto a Giles Carrington. «Ho proprio paura che le diranno che ormai sono praticamente una povera vecchietta malandata.» «Se alludi a me, Zoe» disse la signora Lupton con un tono di voce che trasudava disprezzo «non credo proprio che direi al signor Carrington niente del genere. Anzi, non mi propongo affatto di parlargli di te. Se però dovessi farlo, credo che ti descriverei non come una povera vecchietta fragile e malandata, ma piuttosto come una malade immaginaire. Signor Carrington, credo che siano state affidate a lei le chiavi di mio fratello. La prego di accomodarsi da questa parte.» La signora Matthews ebbe un piccolo brivido. «Tutti questi dettagli così sordidi... Ma suppongo che sia inevitabile.» «Sì, purtroppo» confermò l'avvocato con il suo solito tono garbato e amabile. «Se c'è qualcuno che ha diritto di sollevare qualche obiezione sono io, e non mia cognata» interloquì la signorina Matthews con voce tagliente. «Non che io voglia obiettare. Per quale motivo dovrei farlo?» Fu in questo preciso momento che entrò Randall Matthews. Era arrivato appena in tempo per ascoltare le osservazioni della zia senza che nessuno si fosse accorto della sua presenza perché intervenne come se partecipasse
anche lui alla conversazione. «Nessuno ha il diritto di obiettare. Buon Dio, non posso fare a meno di domandarmi cosa può aver portato qui la mia cara zia Gertrude.» «Non sai neanche di cosa stiamo parlando!» esclamò Harriet, su tutte le furie. «No, ma sono sicuro che la mia risposta è stata quella giusta» rispose lui. Il suo sguardo tornò a posarsi sulla signora Lupton. «Tu non sei inaspettata, mia cara zia, ma superflua.» «Non voglio fingere di non capire cosa significhi quello che hai detto» ribatté la signora Lupton. «Ai tuoi occhi sono sicuramente superflua, ma suppongo di poter essere interessata anch'io, perlomeno come lo sei tu, alla morte di mio fratello. Se si fa luce su una questione come quella dei suoi documenti privati, mi aspetto di esserne messa al corrente.» «Se un fenomeno così singolare dovesse verificarsi, lo saprà il mondo intero. Carrington, lei ha la chiave della camera di Barbablù. Venga e l'apra.» Di fronte a tanta irriverenza si levò un coro di proteste. Ma Randall, senza prestarvi la minima attenzione, condusse Giles Carrington e Hannasyde nello studio dello zio e rimase tranquillamente ad aspettare che la chiave venisse infilata nella serratura. Hannasyde lo fissò accigliato. «Mi dispiace che le signore debbano affliggersi tanto a questo proposito, signor Matthews. Purtroppo sono sempre faccende penose per il resto della famiglia.» Negli occhi di Randall si era acceso un lampo. «Be', non si può mai sapere, vero? Nella nostra vita sono le piccole cose che preferiremmo seppellire decorosamente nell'oblio.» «Per esempio quali, signor Matthews?» «Non ho ancora visto la corrispondenza di mio zio.» L'avvocato girò la chiave nella serratura e aprì la porta. Entrarono nello studio, una stanza di forma quadrata con un tappeto turco e un mobilio massiccio. Randall si avviò senza fretta alla finestra, l'aprì e rimase lì vicino, le mani in tasca, le spalle appoggiate alla parete. Non rivelò la minima curiosità per le scoperte fatte da Hannasyde, le quali, in effetti, non risultarono affatto interessanti. C'erano alcune fatture, molte ricevute, un certo numero di lettere dattiloscritte che facevano riferimento al futuro di Guy Matthews in Brasile e un biglietto di Henry Lupton che portava la dava del 13 maggio. Appena Carrington lo trovò, si affrettò a consegnarlo ad Hannasyde senza commenti. Sembrava che fosse stato scritto in fretta, e co-
minciava senza preamboli. "Facendo seguito al colloquio che abbiamo avuto in data odierna, devo assolutamente vederti di nuovo prima di agire. Confido che, a questo punto, avrai riflettuto meglio e ti avverto che lo rimpiangerai amaramente, se dovessi spingermi a un gesto disperato." Hannasyde stava per ripiegarlo quando Randall si fece avanti. «Le spiace?» mormorò, e glielo tolse di mano. «Non ha una particolare importanza.» «Forse è per quello che le interessava» ribatté Randall con la sua voce più melliflua. Lo lesse e glielo restituì. «Che ometto drammatico!» «Sa a che cosa si riferisce questo messaggio, signor Matthews?» «E lei?» «Sì, credo di saperlo.» «E allora perché lo domanda a me?» indagò Randall. Intanto aveva allungato un'occhiata al cassetto che Giles aveva aperto. «È una gran delusione. Ho paura che lo zio abbia distrutto tutta la sua corrispondenza più scabrosa.» Il cassetto conteneva una collezione degli oggetti più disparati, uno più curioso dell'altro. Hannasyde, spostando un blocchetto di etichette, fece spuntare un paio di occhiali da sole cerchiati di corno, una manciata di graffette sparpagliate qua e là e un tubetto di mastice. Poi c'erano alcuni fogli di carta bollata, un pezzetto di ceralacca, un temperino, una boccettina d'inchiostro rosso e un rotolo di nastro adesivo. Il sovrintendente tirò fuori tutti questi articoli disponendoli sulla scrivania, ma sotto non c'era nascosto niente. Randall era intento a osservare quella collezione eterogenea con una ruga appena accennata fra gli occhi. «È il solito cassetto dove uno caccia abitualmente di tutto» disse l'avvocato. Randall alzò gli occhi. «Infatti. Ed è molto scoraggiante.» I rimanenti cassetti risultarono non meno privi di interesse. Avevano appena chiuso l'ultimo quando si sentì bussare piano alla porta. Henry Lupton mise dentro la testa con aria incerta. «Disturbo? Spero di no. Il fatto è che a mia moglie piacerebbe... volevamo dare soltanto un'occhiata, più che altro per sapere come vanno le cose perché il tempo stringe, ecco. Quindi, se non c'è bisogno di noi...» Non concluse la frase e passò con gli occhi da Hannasyde all'avvocato, riportandoli poi sul sovrintendente, che annuì.
«Perché non entra, signor Lupton? A dir la verità, ci sono un paio di domande che vorrei farle.» Henry Lupton, per quanto si affrettasse a richiudere la porta, non avanzò neanche di un passo. «Oh, senz'altro! Sarei ben felice se ci fosse una cosa sulla quale poter rispondere, ma a dir la verità brancolo anch'io nel buio come chiunque altro. Una faccenda assolutamente incomprensibile. Proprio quello che stavo dicendo a mia moglie appena ieri sera. Non mi sono mai sentito così sconvolto in vita mia come quando l'ho saputo.» Randall tirò fuori l'astuccio delle sigarette. «Cerca di non calcare la mano!» esclamò, e adesso il suo sorriso assomigliava a un sogghigno. Hannasyde si volse a guardarlo. «Non voglio trattenerla ancora, signor Matthews.» «Chissà perché ho la sensazione che lei, invece, scoprirà di avere bisogno proprio di me» rispose Randall, facendo scattare l'accendino. «Può darsi, naturalmente, che mi sbagli, ma... no, non mi sbaglio.» Intanto la porta si era spalancata di nuovo, e stavolta senza nessun avvertimento preliminare, per fare entrare maestosamente la signora Lupton. «Posso chiedere cosa sta succedendo qui?» domandò con una voce che trasudava malumore. «Lo sai, Henry, che ho una mattinata piena d'impegni. Ormai hai avuto tutto il tempo di riferire il mio messaggio non una sola volta, ma almeno due. A meno che la mia presenza non sia espressamente richiesta, adesso me ne vado.» «Senz'altro» disse Hannasyde. «Però vorrei dire due parole a suo marito, se vorrà scusarci per qualche minuto.» «A mio marito?» ripeté la signora Lupton. «Mi piacerebbe proprio sapere cosa può avere lei da dire a mio marito, sovrintendente.» Henry Lupton, che era visibilmente impallidito e aveva l'aria di chi si sente male, tossicchiò: «Ecco, mia cara, il... il sovrintendente vuole dirmi una parola in privato, se... se non ti dispiace.» «Figuriamoci!» rispose la donna. E si rivolse di nuovo ad Hannasyde. «Lei può parlare in tutta libertà di fronte a me, sovrintendente. Mio marito e io non abbiamo segreti l'uno per l'altra.» «Qui non è una questione di segreti, signora Lupton, ma semplicemente del fatto che io preferisco...» «Se lei ha qualcosa da chiedere a mio marito può chiederglielo alla mia presenza. Sono molto più competente di lui a rispondere su qualsiasi argomento che riguardi questa casa.» «Ho paura che lei non capisca, signora Lupton» intervenne Giles Car-
rington. «Il sovrintendente deve procedere secondo... secondo le regole. Non c'è...» «Henry!» esclamò la signora Lupton, senza badargli. «Vuoi cortesemente informare il sovrintendente che tu non hai nessuna obiezione alla mia presenza?» «Ecco, mia cara, naturalmente io... naturalmente io... vorrei...» «Ormai è chiaro che lui ha tutte le obiezioni possibili in merito» intervenne Randall. «Cerca di capire, mia cara zia, che faresti molto meglio ad andartene. Sono sicuro che la doppia vita dello zio Henry sta per essere messa in piazza. Quanto a me, non dubito che abbia un'amante da anni.» Giles Carrington non poté impedirsi di passare rapidamente con gli occhi dal bel viso canzonatorio di Randall a quello di Henry Lupton, che era diventato livido. L'ometto cercò di sbottare in una risata, ma non c'era nessuna allegria nei suoi occhi. Il sovrintendente rimase impassibile. La signora Lupton arrossì. «Vedi di controllarti, Randall. Stai mancando di dignità. E io non ho nessuna intenzione di rimanere qui a vederti insultare mio marito, da quel maleducato che sei, con una battuta per niente spiritosa.» «Oh, ma non lo stavo insultando. Perché non dovrebbe avere un'amante? Sto pensando che se fossi al suo posto, come tuo sposo, mia cara zia Gertrude, io ne avrei parecchie.» Sembrò che la signora Lupton diventasse ancora più imponente e maestosa. «Adesso chiedi scusa della tua impertinenza, Randall, o te ne vai da questa stanza. Nessuno mi ha mai parlato con un tono simile!» «Cara zietta» disse Randall, e dopo essersi sfiorato la bocca con la punta delle dita le lanciò un bacio. La signora Lupton girò sui tacchi e, piena di sussiego, uscì a passo lento e pesante. «Lo avevo detto che poteva aver bisogno di me, sovrintendente» osservò Randall, avviandosi anche lui senza fretta verso la porta. Henry Lupton parlò con voce strozzata. «Aspetta, Randall! Si può sapere cosa vuoi dire con questa... questa battuta che non è per niente spiritosa, ma anzi di pessimo gusto?» Randall, dall'alto della sua statura, gli rivolse un'occhiata piena di disprezzo. «Mio caro zio, ti ho già tirato fuori da un pasticcio. Adesso pensa tu a tirarti fuori da quest'altro!» rispose, e uscì con l'aria più noncurante del mondo. Il legale lo avrebbe seguito, ma Lupton, sulle cui guance era tornato un
po' di colore, lo trattenne. «Per favore, non se ne vada, signor Carrington. Io... insomma, preferirei che rimanesse. Lei è un uomo di legge, e ...» «Non posso assumermi l'incarico di consigliarla, signor Lupton. Io sono qui unicamente nella veste di avvocato del defunto signor Matthews.» «Certo, certo. Ma la mia posizione...» «Per carità, rimanga!» interloquì Hannasyde. Intanto metteva davanti agli occhi di Henry Lupton il biglietto che teneva sempre fra le mani. «È stato lei a scriverlo?» Lupton esaminò il biglietto, visibilmente a disagio. «Sì. Ecco... sì, l'ho scritto io. Noi... mio cognato e io... abbiamo avuto un piccolo dissenso su una questione personale. Cose simili succedono anche nelle migliori famiglie, sa? Ho pensato che sarebbe stato opportuno se avessimo potuto discuterne a voce. Senza prevenzioni, capisce.» «E questo incontro c'è stato?» «No. Lui è morto prima che ce ne fosse il tempo.» «Aveva risposto alla sua lettera, signor Lupton?» «Soltanto per telefono. E più che altro per farmi sapere che non avrebbe potuto fissarmi un appuntamento. Al momento mi sono seccato terribilmente.... Vede, mio cognato aveva un certo modo di fare... piuttosto offensivo, se mi capisce.» Hannasyde disse: «Signor Lupton, voglio che lei si renda conto di una cosa. Non mi interessano i suoi affari privati, se non possono avere un riferimento a questo caso. Né tanto meno, glielo assicuro, provo il minimo desiderio di crearle qualche complicazione del tutto gratuita nella cerchia dei suoi familiari. Ma quando ho esaminato carte e documenti del defunto signor Matthews nel suo ufficio, unitamente al signor Carrington qui presente, ho trovato il nome e l'indirizzo di una certa signora Gladys Smith. Come potrà capire non ho potuto fare a meno di seguire un indizio del genere. Ieri sono stato a farle visita e quanto ho visto e sentito in tale occasione è stato sufficiente a convincermi che lei ha... una conoscenza intima con quella signora.» Henry Lupton lanciò un'occhiata all'avvocato come se cercasse il suo appoggio, ma visto che da quella parte non ne riceveva nessuno, assunse un tono spavaldo. «Be', e anche se così fosse? Mi piacerebbe sapere che legame può avere con questo caso.» «È quello che voglio sapere anch'io, signor Lupton. Lei aveva un appuntamento nell'ufficio di suo cognato lunedì, 13 maggio.»
Lupton si agitò, a disagio, nella poltrona in cui era seduto. «Sì, certo. Ma questo è... assolutamente ridicolo. Non c'è nessuna ragione per la quale lei debba trascinare in questa storia il nome della signora Smith.» «Mi sta forse dicendo che il suo appuntamento con il signor Matthews non aveva niente a che vedere con la signora Smith... della quale ho trovato nome e indirizzo nell'agenda del defunto?» A questo punto, ormai, era evidente che Henry Lupton non sapeva più cosa rispondere. Mormorò qualcosa sull'eventualità di consultarsi con il suo legale, poi sembrò che ci ripensasse, e quando i suoi occhi si posarono di nuovo sul biglietto che aveva scritto a Gregory Matthews, cedette: «Non sono stato io ad avvelenarlo, se è questo che sospetta. Sì, sì, so benissimo cos'ha in mente e ammetto di essere stato uno stupido a scrivere quella lettera. Ma io non ho mai neanche immaginato lontanamente che potesse succedere qualcosa del genere.» «Io non sospetto di niente» disse Hannasyde pacatamente. «Ma per me è ovvio che lei era in cattivi rapporti con Gregory Matthews; ed è altrettanto ovvio che l'esistenza della signora Smith aveva qualcosa a che vedere con i suddetti cattivi rapporti. E penso che il signor Carrington, in assenza del suo legale, le consiglierà di essere sincero con me.» Il legale non aprì bocca, ma Henry Lupton, nascondendo la faccia fra le mani, si lasciò sfuggire un gemito disperato. «Certo che non ho nessun desiderio di ostacolare l'opera della polizia, e mi rendo benissimo conto di quale sia la sua posizione, sovrintendente, ma la mia è... è estremamente equivoca. Mia moglie non ha il minimo sospetto... io ho le mie figlie a cui pensare, e l'unico mio obiettivo è quello di... è quello di...» «La prego di capirmi, signor Lupton. Io non sono qui a fare indagini sulla pubblica morale» ribatté Hannasyde gelido. «Posso soltanto dirle che i suoi rapporti con la signora Smith è molto più probabile che diventino di pubblico dominio per colpa di un rifiuto da parte sua di essere sincero con me, piuttosto che in seguito a una dichiarazione che può rilasciarmi di sua spontanea volontà.» «Sì» ammise Lupton con aria infelice. «Certo che lo capisco. Suppongo che lei farà delle indagini e la faccenda diventerà di pubblico dominio.» Rabbrividì e rialzò la testa. «Io... conosco la signora Smith da un certo numero di anni» si mise a raccontare, evitando di guardare Hannasyde negli occhi. «Non c'è bisogno che approfondisca il concetto, vero? Il mio lavoro mi porta a essere molto spesso in viaggio, così... ci sono sempre state
opportunità in abbondanza senza far nascere sospetti. E sono stato estremamente attento. Non so come mio cognato l'abbia scoperto. Per me è un mistero. A ogni modo, che l'abbia scoperto è un fatto. Mi ha chiesto di andare da lui, nel suo ufficio. Io non avevo la minima idea... l'ho trovato strano, ma lui era uno strano uomo, e non mi è neanche passato per il cervello... Comunque ci sono andato, e lui mi ha rimproverato il mio legame con la signora Smith.» Sulla sua faccia passò un fremito. Si strinse convulsamente le mani che teneva intrecciate sulle ginocchia. «Sapeva tutto. Sapeva perfino quand'era stata l'ultima volta che l'avevo vista, e come loro credessero... cioè, le altre persone che abitano nello stesso edificio, voglio dire... che fossi rappresentante di commercio. Deve avere eseguito indagini minuziosissime. Non aveva senso negarlo. Sapeva tutto... anche certe cose che non avrei mai pensato possibile che lui sapesse. È stato... è stato molto sgradevole.» S'interruppe, e si volse in una specie di appello verso l'avvocato. «Lei lo conosceva, Carrington. È inutile cercare di spiegarlo al sovrintendente. Nessuno che non conoscesse Gregory potrebbe capire.» «Veramente io non lo conoscevo bene.» «Ma deve pur avere capito che tipo di uomo fosse. Il potere... Ecco quello che gli piaceva! Non gliene importava niente di mia moglie, sa? O, perlomeno, non abbastanza per spingersi fino a minacciarmi di rivelare ogni cosa. Era... un lato crudele del suo carattere. In un certo senso i Matthews sono tutti così. Lui voleva essere il burattinaio che muoveva i fili. Bene, io gli ho detto che invece con me non poteva farlo! Non voglio che lei lo consideri un puro e semplice adulterio, perché le giuro che non si tratta di niente di simile. La signora Smith... ecco, per me è come se fosse una moglie. Se potessi la sposerei, ma come si rende conto non è assolutamente possibile. Ci sono le mie figlie, tanto per cominciare, e la mia posizione, e... e mia moglie, soprattutto! Ho anche un nipotino. Non posso farlo, capisce? Ecco cosa intendevo quando gli ho scritto quella lettera.» E la indicò. Adesso era sul piano della scrivania davanti ad Hannasyde. «Quando lei dice "lo rimpiangerai amaramente se dovessi spingermi a un gesto disperato..." voleva dire che lei stava meditando seriamente sulla possibilità di un divorzio, signor Lupton?» «Sì, credo che quella fosse la mia intenzione. Non so. Ero letteralmente angosciato. Non riuscivo a vedere nessuna via d'uscita. Quello gliel'ho scritto per cercare di spaventarlo. Pensavo che forse avrebbe esitato a mettermi troppo alle strette, se avesse saputo che ero pronto a schierarmi a fianco a Gladys e a lasciare che tutto il resto andasse al diavolo. Non pote-
va desiderare uno scandalo clamoroso in famiglia; e fra l'altro mia moglie non ha mai sofferto in nessun modo per colpa della signora Smith.» «Lo capisco benissimo» disse Hannasyde. «Lei gli aveva chiesto un incontro successivo, ma il signor Matthews l'ha rifiutato, giusto?» Henry Lupton fece segno di sì e deglutì come se avesse un groppo alla gola. «Sì, infatti. Quella è stata l'ultima volta che io gli ho parlato. Per telefono, la mattina del giorno in cui è morto. È stato lui a chiamarmi dal suo ufficio. E non l'ho più riveduto.» «A che ora le ha telefonato?» «Oh, prestissimo... Non più tardi delle undici.» «Vedo. E dopo cos'ha fatto?» Lupton lo guardò con gli occhi sbarrati. «Niente. Mi trovavo anch'io in ufficio, capisce? Avevo il mio lavoro. Non potevo fare niente.» «E non ha fatto nessun tentativo di incontrare il signor Matthews... durante l'intervallo del pranzo, per esempio?» «No. Sarebbe stato del tutto inutile. Conoscevo Gregory. Ho pranzato per conto mio, da solo. Avevo bisogno di riflettere.» «E dov'è andato a pranzare, signor Lupton?» «Nel mio solito posto. Un ristorantino tranquillo che si chiama La Pergola. Lì mi conoscono. Sono sicuro che potranno confermarle quello che le sto dicendo.» «E dopo il pranzo?» «Sono tornato in ufficio, naturalmente. Però sono venuto via prima di quanto sia abituato a fare. Prima del tè, ecco.» «E dov'è andato?» «A Golders Green. Volevo vedere la signora Smith.» «Naturalmente desiderava discutere la questione con lei.» «Be', no. In realtà non gliene ho parlato. Era mia intenzione farlo, ma... ma continuavo ancora a sperare che ci fosse qualche via d'uscita per risolvere la situazione, e come può capire, non parlavamo mai della mia... mia vita casalinga. E poi non volevo che Gladys rimanesse troppo scombussolata. Non le ho mai detto niente di quello che era successo. Semplicemente che abbiamo avuto un lutto in famiglia.» «Oh!» fece Hannasyde. «E a che ora ha lasciato la signora Smith?» «Veramente non lo so. Ero a casa per l'ora di cena. Cioè, voglio dire che sono tornato direttamente a casa da Golders Green.» «E dopo cena?» «È venuto qualcuno per una partita di bridge. E non sono più uscito fino
al giorno successivo, quando siamo venuti qui.» «Grazie.» Hannasyde stava prendendo qualche appunto sul taccuino. Il suo tono di voce non rivelava niente. Lupton gli lanciò un'occhiata carica di ansietà. «Non so se c'è qualcosa di più che lei vorrebbe sapere, oppure posso andarmene? Mia moglie sarà...» «No, non c'è nient'altro, al presente.» Henry Lupton si alzò. «Allora...» «Ma sì, senz'altro» disse Hannasyde. L'ometto si dileguò e Giles Carrington, che era rimasto fino a quel momento alla finestra, se ne allontanò. «Poveretto, in che pasticcio si è cacciato. A lei non piace la sua versione dei fatti?» «Non mi piace il suo alibi.» «Quale? Oh, Gladys Smith. Secondo me, invece, è proprio andato da lei. Con la vaga idea di cercare conforto. Abbastanza patetico.» «A ogni modo, la signora Smith giurerà che Lupton si trovava in casa sua.» «Probabilmente. Comunque, non riesco a vedere come potrebbe essere venuto qui, a quell'ora, senza essere visto da nessuno, se è questo che pensa.» «Con la massima facilità» ribatté Hannasyde, e la sua voce aveva una sfumatura di disprezzo. «Ci sono molti altri modi di entrare in questa casa, oltre che dalla porta principale. Per esempio, c'è la porticina del giardino sulla facciata laterale della casa, che si apre su una specie di guardarobaripostiglio. Chiunque userebbe quella porta, se volesse passare inosservato. La scala di servizio scende proprio di fianco a quel piccolo locale. A lui sarebbe bastato scegliere il momento più opportuno. La famiglia e la servitù, a quell'ora, erano a prendere il tè. Quindi non si può escludere che abbia fatto ragionevolmente conto di avere via libera.» «Sì, ma di quale utilità poteva essergli? In quel momento Matthew non era in casa. In che cosa avrebbe messo il veleno?» «Pensavo a quella boccetta di ricostituente andata in pezzi in un modo tanto provvidenziale.» «Davvero c'è da credere che sapesse dove il cognato la teneva? E come avrebbe potuto combinare che andasse in pezzi?» «Quanto a sapere dove la teneva, era possibile. Sarebbe stato abbastanza semplice farla cadere perché si rompesse la mattina dopo, quando è venuto
qui con la moglie.» «Oh! E lei pensa che l'esecuzione di un progetto del genere sia in armonia con il suo carattere? Un ometto così debole...» «Doveva essere sull'orlo della disperazione, signor Carrington. L'ha ammesso perfino lui. E secondo me Gladys Smith è l'evento più grande della sua vita.» «A me sembra che il divorzio fosse una soluzione più attraente, rispetto a un omicidio.» Hannasyde scrollò la testa con decisione. «Non sono d'accordo. Non avrebbe mai affrontato quel genere di scandalo. E in più, è molto affezionato alle figlie. Se ha ucciso, l'ha fatto unicamente perché era persuaso di potersela cavare senza che nessuno sospettasse di lui. Mentre con un divorzio non se la sarebbe cavata altrettanto bene... soprattutto con quella moglie. Ci sarebbero state scenatacce a non finire.» «Sarà. Ma come poteva essere sicuro, uccidendo Matthews, di proteggersi definitivamente? Il cognato potrebbe avere raccontato quella storia a qualcun altro. Anzi, l'ha fatto di sicuro. Il ragazzo ficcanaso, Randall, non stava lanciando una freccia a caso. Lo sapeva, lui.» «Sì. Ma si sarà accorto che Lupton è rimasto sbalordito che lo sapesse. Probabilmente credeva che Matthews, almeno fino a quel momento, avesse conservato il segreto senza parlarne con nessuno.» Il sovrintendente prese la lettera di Lupton e la infilò nel portafoglio. Poi rivolse uno sguardo meditabondo alla scrivania, spalancò uno dei cassetti e corrugò la fronte. Era il cassetto delle cianfrusaglie. «Mi piacerebbe... mi piacerebbe moltissimo sapere che cos'ha trovato d'interessante, il signor Randall Matthews, in questo guazzabuglio di oggetti uno più disparato dell'altro.» «C'era qualcosa che lo ha interessato? Non me ne sono accorto.» «Io, invece, sono quasi sicuro di sì. Ma che si trattasse di qualcosa che c'era dentro e lui ha visto, oppure se invece non fosse stato qualcosa che si aspettava di vedere, e non ha visto... questo non lo so proprio. A parte i suoi doveri di esecutore testamentario, che non credo lo preoccupassero molto, per quale motivo ha voluto assolutamente essere presente mentre esaminavamo le carte e i documenti di suo zio? Cosa pensava che avremmo trovato?» «Forse proprio quello che abbiamo trovato. Cioè la lettera di Lupton.» «Magari. Anzi, è probabilissimo, se il vecchio Matthews si era confidato con lui. Ma cosa c'è in questo cassetto?» «Forse ha ragione di pensare, come diceva poco fa, che sia invece qual-
cosa che nel cassetto non c'era.» «Può darsi. A ogni modo, c'è un fatto che mi ha colpito perché lo trovo piuttosto insolito: qui, come nell'ufficio della City, non esiste vecchia corrispondenza di Matthews.» «Ci sono uomini che hanno l'abitudine di strappare le lettere non appena hanno spedito la risposta. Vorrebbe forse insinuare che qualcuno si è già messo all'opera prima di noi?» «Io non insinuo niente» rispose Hannasyde. «Ma trovo che se Matthews ha distrutto con le sue mani tutte le lettere che riceveva doveva essere una forma di mania, la sua.» «Oppure la mano funesta di Randall» replicò il legale con un'occhiata divertita. «Lei sta pensando che io mi sono fissato sul giovanotto. E che non riesco a togliermelo dal cervello. Dovrei dirle che non sono capace di scoprire se è venuto da queste parti fra il 12 e il 15 maggio. Lei ha pienamente ragione; sono pieno di sospetti su di lui e i suoi alibi. Sono talmente buoni che potrebbero essere stati addirittura preparati per uno scopo determinato. Ma in tutta franchezza non vedo come abbia potuto commettere questo omicidio.» «A sentirla, si direbbe quasi che le dispiaccia.» «No, però sono preoccupato. Sto brancolando nella nebbia più fitta, e continuo ad avere la spiacevole sensazione di essere sulla pista sbagliata. Se almeno potessi scoprire il mezzo tramite il quale il veleno è stato somministrato... Può essere stato il whisky al seltz che il nipote ha versato nel bicchiere dello zio; oppure Matthews potrebbe essersi ripulito la mano graffiata con un disinfettante che conteneva il veleno... ma tutto quello che sono riuscito a trovare in questa casa, quanto a medicamenti, è stata soltanto una bottiglia nuova di Pond's Extract con la carta che sigilla il tappo ancora intatta. Può essere stato il ricostituente... e la bottiglia è andata in frantumi. Mi sono lambiccato il cervello a furia di pensare a qualcos'altro che potrebbe essere stato adulterato o fatturato in un momento qualsiasi, magari alcuni giorni prima della morte di Matthews. Ho pensato alle pastiglie di aspirina, però quell'uomo non prendeva farmaci. Hemingway ha torchiato tutti i domestici, ma non è riuscito a scoprire che cosa Matthews abbia mangiato o bevuto di diverso dal resto della famiglia, a eccezione di quel whisky e del ricostituente. Bene, a ogni modo è inutile star qui seduto a parlarne con lei, signor Carrington. Devo andare avanti con il mio lavoro e sono sicuro che anche lei non vede l'ora di tornare in città.»
«Non so se si possa esattamente dire così, ma non c'è dubbio che devo tornarci, e presto» confermò l'avvocato, con un'occhiata all'orologio da polso. «Sono contento di non lasciare Lupton nel ruolo del primo in lista fra i sospettati» soggiunse con un lampo malizioso negli occhi. «Se sapesse come mi fa pena quel poveraccio...» «Oh, quanto a quello, eccome se è in lista!» rispose Hannasyde. «Dovrò fare un controllo più rigoroso sul suo conto. Ma è un delitto portato a termine con troppa astuzia. Se è stato Lupton, deve averlo commesso lì per lì, d'impulso, e proprio perché era ridotto alla disperazione. Posso sempre sbagliarmi ma non mi sembra che sia andata così. Questo omicidio è stato preparato con estrema cura, in tutti i minimi particolari, fino al veleno che si è usato. Un uomo qualsiasi non mette le mani proprio in qualcosa come la nicotina, soprattutto se agisce seguendo un impulso momentaneo.» «Vedo. Lei è dell'opinione che siano necessarie alcune ricerche, per arrivare alla nicotina.» «Sì. Ricerche e un cervello freddo, intelligente» disse Hannasyde, mettendosi il taccuino in tasca e avviandosi sul folto tappeto verso la porta. Quando l'aprì, si trovò a ridosso della signorina Matthews. «Oh, chiedo scusa!» Lei teneva fra le mani un vaso di fiori, e gli rispose nel suo solito modo concitato. «Che spavento mi ha fatto prendere, sovrintendente! Stavo soltanto cambiando l'acqua ai miei fiori. Lo faccio sempre nel ripostiglio, perché è uno di quei lavoretti con i quali si sporca dappertutto.» E concluse la frase con uno di quei risolini futili, un po' ansanti, che le erano caratteristici. Poi si avviò in tutta fretta verso la porta imbottita di panno in fondo al corridoio. I due uomini si guardarono negli occhi. «Stava ascoltando» disse Carrington a bassa voce. «Sì. Ha la reputazione di essere una perfetta ficcanaso.» 7 Randall, che aveva lasciato lo studio alle calcagna della zia, non la seguì in biblioteca, dove adesso poteva sentire la sua voce tonante che si levava accusatrice nei suoi confronti, ma si avviò senza fretta fino ai piedi delle scale e dopo una rapida occhiata intorno a sé per controllare che l'anticamera fosse deserta, cominciò a salire i gradini senza fretta, ma anche senza rumore. Sul pianerottolo superiore non c'era nessuno. La prima porta dava nella camera da letto di Gregory Matthews e non era chiusa a chiave. Ran-
dall abbassò la maniglia ed entrò, richiudendola piano dietro di sé. La camera, ampia e tetra, arredata com'era da scuri mobili di mogano, aveva l'aspetto poco accogliente che assumono sempre i locali non abitati. Sul letto era drappeggiato un telo per ripararlo dalla polvere; le finestre erano chiuse e dalla toilette del cassettone e perfino dalla mensola del camino era stato portato via qualsiasi oggetto di carattere personale. Randall girò gli occhi intorno e si diresse subito verso il guardaroba, un enorme armadio a tre ante che occupava quasi per intero una parete. Dentro c'erano, appesi ordinatamente, tutti i vestiti di Gregory Matthews, ma non erano quelli a interessare Randall, il quale, dopo averli osservati brevemente, richiuse di nuovo le ante e si diresse verso la toilette. Non c'era niente nei cassetti, salvo un orologio con la relativa catena e una scatoletta che conteneva gemelli e bottoncini da sparato per la camicia da smoking; il cassettone sul lato opposto della camera conteneva soltanto pile ordinate di biancheria. Si strinse nelle spalle e si avviò alla porta che comunicava con la stanza da bagno. Qui trovò altri mobili non meno spogli; non era rimasta neanche una coramella per affilare il rasoio a ricordargli la presenza ancora recente dello zio. Si diresse immediatamente verso l'armadietto dei medicinali appeso al muro, ma risultò vuoto nel modo più totale. Lo richiuse lentamente e si avviò verso la porta che dava sul pianerottolo. L'aprì, uscendone proprio mentre Stella saliva le scale. La cugina si fermò di botto, appena lo vide, guardandolo con tanto d'occhi. Poi la sua faccia s'incupì lentamente. Randall incrociò il suo sguardo e le rivolse un sorriso insulso. Intanto richiudeva la porta del bagno dietro di sé. «Buon giorno, bellezza» disse. Lei rimase con la mano sempre appoggiata sul pomo di legno della balaustrata. «Cosa stavi facendo là dentro?» domandò insospettita. «Ero semplicemente venuto a dare un'occhiata alla scena del delitto» rispose Randall, e le offrì l'astuccio delle sigarette aperto. «Vuoi fumare, amore mio?» «No, grazie. Cosa stavi cercando?» Lui inarcò le sopracciglia. «Ho forse detto che stavo cercando qualcosa?» «So che stavi cercando qualcosa.» «Bene, di qualsiasi cosa si trattasse, sono rimasto deluso. Qualcuno si è già dato da fare.»
«La zia Harriet ha portato via tutto il giorno stesso in cui lo zio è morto» ribatté Stella seccamente. Randall si accese una sigaretta, meditabondo. «A volte mi domando se la zia Harriet è proprio quella stupida che dà l'impressione di essere.» «Non penserai che lo abbia fatto per eliminare qualche indizio, eh?» esclamò Stella, incredula. «Non sono assolutamente in grado di decidere qualcosa su questo punto. Prova un po' a far riflettere quel peso piuma che è il tuo cervellino, andando a ritroso nel tempo. Che cosa la cara zia Harriet ha tolto dall'armadietto dei medicinali?» «Oh, non lo so proprio. Cose di tutti i generi: cerotto per i calli, tintura di iodio, i Sali di frutta Eno...» «E il ricostituente dello zio, naturalmente» disse Randall, seguendo con gli occhi il fumo azzurrino che si levava dalla punta della sua sigaretta. «No, la boccetta si è rotta. Fra l'altro, era anche nuova.» Lui alzò subito gli occhi. «Rotta» ripeté. «Davvero? Guarda guarda... E chi è stato?» «Nessuno. Lo zio deve averla lasciata sul ripiano sopra il lavabo e il vento l'ha fatta cadere.» «Non è stata fatta nessuna domanda in proposito?» «Vuoi dire dalla polizia? Sì, credo di sì. Ma non a me.» «Mi domando chi, fra tutti, è più dispiaciuto per lo zelo eccessivo della zia Gertrude. La famiglia Matthews o il sovrintendente Hannasyde?» «Non lo so, ma parlando della zia, si può sapere cosa diavolo le hai detto poco fa? Dichiara di non essere mai stata così insultata in vita sua.» «Non c'è da crederlo.» «Ma insomma, si può sapere cos'hai detto?» insistette Stella. «Semplicemente che se fosse mia moglie mi prenderei non una, ma parecchie amanti.» Lei non poté trattenere una risatina. «Ecco, se vuoi che ti dica come la penso, hai passato i limiti, sai? Non avresti potuto dire niente di più scortese e villano.» «Al momento non sono stato capace di pensare a niente di più scortese e villano infatti» ammise Randall. «Ma è servito a liberarci di lei.» «Non puoi continuare a comportarti in un modo così maleducato con la gente unicamente per liberartene.» «Posso farlo e lo faccio» rispose lui imperturbabile. «Oh, certo che lo fai!» ribatté Stella accalorandosi. «Non conosco nes-
suno che abbia una lingua più velenosa della tua!» «E me ne hai informato spesso» fece Randall abbozzando un inchino. Poi la osservò con un curioso sorriso. «Non mi sopporti, eh, piccola? Cos'ho fatto?» «Niente. Non fai niente, e sei pigro. Sei capace soltanto di dire cose antipatiche e ti lasci vivere come il classico dandy. Ti odiavo, quando siamo venuti a vivere con lo zio.» «Ma continui ancora adesso a odiarmi, tesoro!» «Figurati! Non mi ricordo neanche che esisti. Sei stato orribile con me, quand'ero piccola...» «Il classico tipo della maschietta, ma goffa, impacciata... Me ne ricordo benissimo.» «Non ero così, proprio per niente.» «E anche immatura, ignorante e senza un po' di garbo.» Lei diventò rossa. «Tutte le ragazze sono così, a quell'età!» «Può darsi, ma io non vedo per quale motivo dovrei essere gentile con loro.» «Tu non sei gentile con nessuno. Ti sei comportato in un modo schifoso con Guy, e continui a farlo.» «Ma anch'io sono umano, amore mio. Se lui continua ad abboccare, io continuerò a tormentarlo buttandogli l'esca.» «Sarei pronta a scommettere che da ragazzino avevi l'abitudine di strappare le ali alle mosche» osservò Stella con la voce che fremeva di disgusto. «Uno dei miei passatempi preferiti.» «E caso mai ti interessasse... io disapprovo, e molto, la tua abitudine di canzonare mia madre!» Le palpebre di Randall si abbassarono rapidamente. «Canzonare la mia intelligentissima zia? Come mi giudichi male. Anzi, sono quello dei suoi ammiratori che l'apprezza di più.» «Basta così, per favore.» «Insomma, non esiste proprio nessun mezzo di entrare nelle tue grazie, cocca? Cosa posso trovare da dire sul tuo amichetto?» «Lascia stare Deryk! Siamo fidanzati e ci sposeremo.» «Allora il programma è sempre quello?» Lei rimase incerta per un momento. «Stai bene a sentire, Randall. Se credi di farmi perdere la pazienza, ti sbagli di grosso. Immagino che ti sia arrivata alle orecchie qualche storia riguardo a Deryk e a quella Foster. Con te non c'è da meravigliarsene. È verissimo che ha fatto da cavaliere a
Maisie Foster al ballo degli Hope, ma se consideri che io non ho potuto andarci e lui conosce Maisie praticamente da quando conosce me, non ne sono per niente gelosa... per quanto strano possa sembrare.» Il sorriso di Randall si accentuò. «A quanto sembra, sono riuscito a farti perdere la pazienza con più successo di quel che speravo. Tutta questa storia, per me, è assolutamente nuova.» «E allora a cosa alludevi?» «A niente!» rispose lui in tono pieno di distacco. «Raccontami qualcosina di più sul conto di questa tua rivale. Dove abita?» «In Park Terrace... e non è una rivale.» «Mmm... tutto molto promettente. Una zona abitata da persone molto facoltose. Mi auguro che sia figlia unica.» A Stella venne risparmiata la necessità di rispondere perché in quel momento arrivò sul pianerottolo Guy che usciva dalla propria camera. E Randall, fingendo con poco successo di essere meravigliato, si rivolse a lui. «Ma questo è proprio il mio cuginetto? Cosa sei diventato, adesso? Un gentiluomo che vive di rendita oppure la società Brooke & Matthews è andata in liquidazione?» Guy, che aveva l'aria stanca ed era piuttosto pallido, lo scrutò impermalito. «No, affatto. E tu non sei l'unico che abbia il diritto di essere qui.» «Un po' giù di morale? Oggi non sei il solito Guy, geniale e brillante.» «Non vedo come si possa essere geniali e brillanti in una situazione del genere» ribatté Guy parlando a scatti. «Io faccio il possibile per conservare la mia solita serenità. Vuoi una sigaretta? È un tranquillante per chi ha i nervi a fior di pelle.» Guy ne accettò automaticamente una ma continuò a tenerla fra le dita fino a quando Randall, alzando le sopracciglia, tirò fuori l'accendino e lo aprì con un colpetto secco. Guy trasalì. «Oh, grazie» disse imbarazzato, e si curvò ad accendere. «Hanno finito, giù?» «Alludi alla polizia? Altrimenti, perché io sarei qui?» Guy gli lanciò un'occhiata e poi girò subito la testa dall'altra parte. «Non hanno trovato niente, vero? Non c'era niente da trovare.» Fece una pausa come se aspettasse una risposta, ma dal momento che Randall non manifestava nessuna opinione in merito, lo squadrò furioso. «Non puoi rispondere almeno?» «Credevo che tu me ne avresti risparmiato il fastidio» replicò Randall in tono soave. «Hai detto che non c'era niente da trovare. Mi aspetto che tu lo
sappia.» «Vai al diavolo! Cosa credi, che sia andato a frugare fra le carte dello zio?» «Guy!» sbottò sua sorella. «Non essere così stupido. Come fai a non capire che sta soltanto cercando di mandarti su tutte le furie?» Guy proruppe in una risatina aspra. «In ogni caso, è quello che pensa.» Poi, un po' incerto, allungò un'altra occhiata a Randall. «Quale linea di condotta stanno prendendo? Come spiega la faccenda quel bel tipo del sovrintendente?» «Povero bambino, stai forse pensando che mi abbia fatto le sue confidenze?» «Pensavo che magari fossi riuscito a capire qualcosa. Sono sconcertati, eh? Non possono essere nient'altro che sconcertati. Non ci sono prove contro nessuno. Potrebbe essere stato chiunque, ma come faranno a dimostrare la colpevolezza di uno di noi?» «Non ne ho la più pallida idea. Immagino che potrebbe essere di qualche utilità scoprire come è stata somministrata la nicotina, ma a quanto mi risulta non ci sono ancora arrivati. Naturalmente potrà esserci qualche rivelazione sconcertante, all'inchiesta di domani. A proposito, spero che avrai imparato bene la tua parte.» «Stai pensando a quel dannato whisky al seltz? Credi che sarebbe stato facile versare chissà cosa nel bicchiere dello zio con tutta la famiglia seduta intorno?» «Be', quanto a questo, non so. Io però credo che ci sarei riuscito.» «Sì, senz'altro. E probabilmente è quello che avresti fatto se te ne fosse stata offerta una minima occasione.» Randall proruppe nella sua solita risata sommessa. «Ma io quella benché minima occasione non l'ho avuta, cuginetto. Perché non ero qui. Purtroppo dovrai eliminarmi dall'elenco. Peccato, ma così è.» «Oh, chiudi il becco!» Esclamò Stella in tono di supplica. «A cosa serve andare avanti in questo modo? Fa diventare ogni cosa dieci volte peggiore di quello che è già. Non riesco a capire perché ti stai preoccupando, Guy. Noi sappiamo che non sei stato tu, e se la polizia è convinta del contrario non ci può far niente, perché non ha niente a cui appigliarsi. Non possono neanche fare un esame del bicchiere nel quale lo zio ha bevuto perché è stato lavato parecchi giorni prima che loro entrassero in scena.» «Guy non si stava preoccupando di quello» disse Randall, scrutando di sottecchi il cugino. «Forse il veleno non era nel whisky al seltz.»
«Naturale che non era lì! Non è che ci sia qualcosa di cui preoccuparmi, ma questa... questa atmosfera di sospetto mi logora i nervi. E mi convinco sempre di più che la faccenda finirà in niente per mancanza di prove.» «Come vorrei che la zia Gertrude non avesse messo in piedi quest'orribile faccenda» osservò Stella. «Dio, ho una tale voglia di strangolarla!» disse Guy con la voce che gli tremava per lo sforzo di controllarsi. Si accorse che gli altri due lo stavano fissando con tanto d'occhi e tentò di fare una risata. «Be', sarà meglio che vada giù, così vedo che cosa stanno combinando.» E passando di fianco a sua sorella scese le scale di corsa. Randall lo seguì con lo sguardo e spense accuratamente il mozzicone della sua sigaretta in un vaso di felci là vicino. «Poveri noi!» «È più che abbastanza per logorare i nervi di chiunque» osservò Stella in tono di sfida. «Tu non vivi qui e quindi non sai cosa significa.» «Non mi garba dare consigli non richiesti, ma se fossi l'affezionata sorella di Guy mi farei premura di dirgli di andare in ufficio come al solito. Farebbe un'impressione migliore.» «Non ci andrà. Figurati se non gli ho detto che dovrebbe continuare con la sua solita vita. Anzi, ho perfino pregato il signor Rumbold di consigliarglielo anche lui, ma è nervosissimo, sempre con i nervi a fior di pelle. Tutta colpa della sua fantasia. Perché ne ha tanta, sai?» «A giudicare dall'unico esempio del suo lavoro che ho avuto il privilegio di vedere, credo che potrei descrivere la sua fantasia non soltanto come qualcosa di eccessivo, ma addirittura di morboso.» Stella, che non ammirava affatto i progetti di arredamento di suo fratello, non diede nessuna risposta a questa battuta e si limitò semplicemente ad annuire. «Bene, adesso torno giù di nuovo. E tanto vale che ti avverta, Randall: se la polizia me lo domanda io dirò che ti ho visto uscire dalla stanza da bagno dello zio.» «Ottima idea» ribatté lui in tono cordiale. «Perché non apriamo un ufficio di informazioni? Tu puoi passare la notizia che ero nel bagno dello zio e io la ricambio ripetendo qualcuna delle battute di Guy.» «Sei un bel mascalzone!» Lui sorrise. «Vuoi una tregua, tesoro?» Stella rimase immobile per un attimo, con la mano sulla balaustrata; poi, senza una parola, girò rapidamente sui tacchi e scese i gradini a precipizio. Sempre sorridendo, Randall la seguì più lentamente.
La signora Lupton non aveva aspettato che suo marito la raggiungesse, ma dopo una profusione di critiche impetuose e indiscriminate sul comportamento e la moralità del maggiore dei suoi nipoti, se n'era andata per partecipare a una riunione dell'Associazione locale delle infermiere. Henry Lupton, appena venuto fuori dallo studio, si era soffermato con aria un po' incerta vicino alla porta padronale. Sembrò un po' meravigliato quando Stella, dopo averlo salutato in fretta, gli passò davanti per entrare in biblioteca, ma appena vide Randall che, alla curva della scala, stava scendendo in anticamera, gli andò incontro. «Devo parlarti!» disse a bassa voce, in tono fremente. «Davvero?» disse Randall, continuando la sua languida discesa. «Sì, proprio! Io...» L'ometto si guardò alle spalle per assicurarsi che Stella avesse chiuso la porta della biblioteca dietro di sé. «...Voglio sapere a che cosa alludevi con... con quelle cose assolutamente volgari e scortesi che hai detto a tua zia.» «Che tante persone dall'intelligenza apparentemente normale sentano la necessità di venire informate di quello che già sanno benissimo per me è fonte di continuo stupore. Comunque, sono dispostissimo ad accontentarti, se proprio vuoi.» Henry Lupton alzò la testa a guardarlo, mentre Randall era ancora sulla scala, con un'espressione sconcertata e dubbiosa. «Cosa ti ha raccontato lo zio sul mio conto?» domandò. «Ecco quel che voglio sapere. La domenica precedente alla sua morte, quando ti ha chiamato nello studio. Dovevo capirlo. Come ho fatto a non pensare che te l'avrebbe raccontato?» «Già, potevi davvero illuderti che non lo facesse? Conoscendo il mio senso dell'umorismo ha pensato che mi sarei divertito. E adesso possiamo considerare chiuso questo discorso?» «No. Voglio sapere... insisto per sapere cos'hai intenzione di fare.» «Cos'ho intenzione di fare? Ma è possibile? Come puoi pensare che io voglia occuparmi dei tuoi affarucci amorosi, totalmente privi di qualsiasi interesse?» Lupton arrossì, ma diede l'impressione di sentirsi più rilassato. «Non lo so. Ma sono pronto a credere a qualsiasi cosa sul conto della tua famiglia, a qualsiasi cosa! E quanto a te personalmente, non appena vedi profilarsi l'occasione di combinare qualche guaio la cogli al volo.» «In questo caso mi è consentito di sentirmi sinceramente gratificato perché posso immaginare la cara zia Gertrude abbindolata e tradita.»
«Tua zia non ne soffre in nessun modo.» «Che peccato!» La porta imbottita di panno in fondo all'anticamera si spalancò in quel momento per far passare la signorina Matthews che reggeva fra le mani un vaso nel quale l'acqua era stata cambiata e i fiori sostituiti con altri più freschi. «Oh, Henry! Gertrude è andata via» disse. «E confesso, Randall, che trovo assolutamente gratuito tutto quello che le hai detto. Non che io sappia di cosa si trattava, perché non lo so, e ti assicuro che non voglio neanche saperlo. E se hai intenzione di fermarti a pranzo sarebbe meglio avvertirmi, perché quali che siano le idee di Zoe sulla conduzione di una casa, le mie sono diverse, e c'è il rischio che non ci sia roba abbastanza per tutti.» «Fortunatamente non ho questa intenzione.» «Bene. Spero di non sembrare poco ospitale» disse lei un po' più addolcita «ma sono lieta di saperlo. Ci sono già anche troppe persone da nutrire in questa casa senza aggiungerne altre. E l'ho già detto chiaro e tondo a Zoe che non ho nessuna intenzione di avere i suoi amici che si presentato qui all'ora dei pasti tutti i giorni e si comportano come se il salotto esistesse soltanto perché loro ci possano giocare a bridge. Conosco benissimo le sue idee in proposito, ma non intendo sopportarle. La casa è mia né più né meno com'è sua. E posso anche aggiungere che la stessa cosa vale per l'automobile, e non voglio che venga usata senza che lei mi chieda se mi può servire... Sì, Zoe, sto proprio parlando di te, e non me ne importa di chi può ascoltarmi.» La signora Matthews, probabilmente richiamata in anticamera dalla voce della cognata, era uscita dalla biblioteca, e replicò in tono soave. «Eri tu, cara? Be', parla pure di me quanto vuoi, se ti fa piacere.» «E lo farò. Anzi, mi auguro che tu abbia sentito quello che dicevo!» La signora Matthews le dedicò un sorriso pieno di indulgenza. «No, cara, purtroppo no. Sono venuta a ricordarti che questo pomeriggio avrò bisogno della macchina, se sei sicura che per te vada bene così.» «Be', invece no, non mi va bene» ribatté Harriet, con malcelato trionfo. «Pullen l'ha portata a far pulire il motore.» Il sorriso della signora Matthews si spense e sulla sua faccia si disegnò un'espressione alquanto dura. Dopo una piccola pausa, parlò con un tono che si sforzava di rendere cortese. «Mia cara Harriet, eppure dovevi sapere che ho un appuntamento dal parrucchiere, nel pomeriggio. Ricordo benissimo di avertelo detto e anche
di averti domandato se per caso volevi tu la macchina. Davvero non si poteva rimandare questa pulizia del motore a qualche altro giorno?» «Pullen ha detto che andava fatta» rispose la signorina Matthews, incaponita. La signora Matthews strinse le labbra. Nei suoi occhi era apparso un lampo assolutamente poco cristiano, ma quando parlò lo fece in tono amabile. «Sono sicura che hai deciso per il meglio, Harriet, ma in futuro forse sarebbe più saggio se ci consultassimo prima di dare ordini assolutamente arbitrari. Sei d'accordo?» «No, per niente!» rispose in tono secco Harriet, e se ne andò a portare il vaso di fiori in salotto. Randall la seguì con gli occhi e poi guardò la signora Matthews. «Mia povera zia, trovi la vita molto poco sopportabile, vero?» disse piano. Lei stava seguendo con lo sguardo la cognata che si allontanava, ma alle parole di Randall si voltò. E fissandolo in quei suoi occhi pieni di cinismo, replicò senza che la sua voce rivelasse la minima traccia di dispetto. «No, Randall. Quando arriverai alla mia età avrai imparato a non giudicare severamente le persone, caro figliolo. Io sono molto, molto affezionata a tua zia Harriet, e tutte quelle piccole cose che fanno spazientire voi giovani per me non hanno il minimo significato. Dovresti sempre cercare di guardare sotto la superficie e ricordare che quando le persone fanno cose non molto gentili, può darsi che abbiano i loro buoni motivi.» «Mi hai ridotto al silenzio» rispose lui facendole un piccolo inchino. Intanto Zoe era arrivata ai piedi delle scale e passandogli accanto gli posò la mano sul braccio. «Cerca di essere più tollerante, caro» disse con una voce che vibrava di commozione. «È sempre uno sbaglio condannare le piccole fissazioni della gente. Si dovrebbe cercare di capire e aiutare, invece.» Gli diede una piccola stretta al braccio e cominciò a salire i gradini. Randall dopo essersi guardato ansiosamente la manica della giacca, la lisciò. «Dopo tutto questo, ho la sensazione che qualsiasi risposta sarebbe della banalità più assoluta. Me ne andrò a casa.» «Tua zia è una donna dolcissima» disse Henry Lupton affettuosamente. «Non ti so dire quanta sia l'ammirazione che ho per lei.» «Anch'io» disse Randall. «L'ho sempre avuta.» «Allora penso che come minimo potresti trattenerti dal canzonarla.»
«Questa è la seconda volta nella giornata che vengo accusato di canzonare la mia brillante e intelligente zietta. Credimi, sono del tutto innocente. Anzi, la mia ammirazione per lei sta facendo passi da gigante.» Henry Lupton lo squadrò con aria sospettosa, ma il nipote si limitò a rivolgergli un sorriso provocatorio e attraversò l'anticamera per andare a prendere cappello e guanti. «Suppongo che verrai per l'inchiesta» disse Lupton. Randall sbadigliò. «Se non mi viene offerto niente di più divertente, non lo escludo» rispose. «Naturalmente no, se dovessero fissarla per qualche ora assurda della mattinata. Ti prego di trasmettere i miei saluti più rispettosi alle zie, casomai le dovessi rivedere.» E con questa disinvolta raccomandazione se ne andò senza fretta, lasciando lo zio per metà indignato e per metà sollevato. Contrariamente alle aspettative dei suoi parenti, Randall non si degnò di fare neanche la più rapida apparizione, all'inchiesta della mattina successiva, e questa circostanza diede origine a una sincera, anche se poco durevole, alleanza fra le sue tre zie. La signora Lupton manifestò il sospetto che si vergognasse di guardarla in faccia, ma aggiunse che, per un minimo di decoro, sarebbe dovuto essere presente; la signorina Matthews interpretò la sua assenza come un'offesa deliberata alla memoria dello zio defunto e la signora Matthews, più caritatevole, manifestò il timore che rivelasse una certa insensibilità di carattere dovuta, senza dubbio, alla sua giovane età. Tutti gli altri membri della famiglia intervennero all'inchiesta. Arrivò perfino Owen Crewe, visibilmente di malavoglia. Agnes, con un'aria stranamente serena e giuliva, parlando a bassa voce come riteneva corretto, data l'occasione, ma in modo che tutti i presenti potessero sentirla, si affrettò a spiegare a sua madre che aveva avuto un vero e proprio bisticcio con Owen per convincerlo a presentarsi perché lo considerava un dovere da parte sua, non foss'altro che per darle il conforto della sua presenza. «Non riesco assolutamente a capire che cosa tutto questo abbia a che vedere con te, oppure con me» obiettò Owen col tono di voce di chi è stato costretto controvoglia a venir via dall'ufficio. «Immagino che permetterai ad Agnes di manifestare un minimo di sollecitudine per la morte di suo zio, vero?» osservò la signora Lupton severamente. Owen, che non si imbarcava mai in una discussione con la suocera, tagliò corto. «Non vedo il motivo di sprecare un'intera mattinata per una fac-
cenda del genere» disse, e andò a sedersi il più lontano possibile da lei. Quando scoprì che Randall non era presente, proruppe in una risatina agra. «Che uomo saggio!» disse gongolante, ma ottenne soltanto l'effetto di provocare da parte di sua moglie il commento che lui, alla mattina, era sempre di cattivo umore. La signora Rumbold, vicino alla quale Owen era andato a sedersi, si rivolse a lui con il tono di voce sommesso di chi vuole fare una confidenza. «È abbastanza orribile tutto questo, non le sembra? Conoscendo il povero signor Matthews, intendo dire.» Owen, voltandosi a guardarla con la diffidenza istintiva dell'uomo timido che si sente rivolgere la parola da una persona sconosciuta, si limitò ad annuire. La signora Rumbold gli rivolse un sorriso radioso. «Non si ricorda di me, vero? Be', lo capisco. Non so proprio perché dovrebbe ricordarsene. Mi chiamo Rumbold. Conoscevamo il povero signor Matthews molto bene. Abitiamo nella casa accanto.» Owen arrossì e si alzò a metà dal suo posto per stringerle la mano. «Oh, certamente... Mi scusi. Purtroppo non sono molto bravo a ricordare le facce della gente. Come sta? Ehm... è stata molto gentile a venire...» «Ecco, da un certo punto di vista ci sentivamo in dovere di farlo» bisbigliò la signora Rumbold. «Devo dire che io non sono proprio fatta per questo genere di cose, ma quelle due povere, care signore volevano che Ned, cioè mio marito, venisse... e così eccoci qua. Comunque Ned è dell'opinione che non succederà niente di straordinario.» «Assolutamente niente, direi anch'io» rispose Owen, soffermandosi con un certo piacere a riflettere quali sarebbero potuti essere i sentimenti della signora Matthews in proposito, se si fosse sentita descrivere come una povera, cara signora. «D'altra parte, non siamo le uniche persone presenti che non facciano parte della famiglia» osservò la signora Rumbold. «Si direbbe che sia venuta anche una buona metà degli abitanti di Grinley. Pura e semplice curiosità, se vuole sapere come la penso... Oh, ecco che arriva il dottor Fielding! Be', non ha per niente l'aria di essere preoccupato, mi sembra.» «Non c'è nessuna ragione perché debba esserlo.» «Ecco, non saprei» disse la signora Rumbold dubbiosa. «Cioè, mi spiego, a quanto pare ignorava che il signor Matthews fosse stato avvelenato... eppure è medico. Ned continua a ripetermi che nessuno può criticarlo per questo, invece io dico che avrebbe dovuto capirlo. Non è d'accordo?» «A dir la verità, io di queste faccende non me ne intendo affatto» rispose
Owen, il quale, pur non essendo un tipo particolarmente osservatore, ormai aveva fatto in tempo a notare non soltanto l'ombretto azzurro carico con cui la signora Rumbold si era truccata gli occhi, ma anche il suo spettacolare cappello che attirava immediatamente lo sguardo, specialmente per la guarnizione di un tralcio di enormi rose rosse che le scendeva su una spalla, e di conseguenza cominciava a sentirsi terribilmente imbarazzato a essere notato in compagnia di una persona dall'aspetto così vistoso. Anzi, a quel punto si affrettò a informarla che doveva andare a dire una parola al suocero e batté in ritirata, prendendo posto vicino a Henry Lupton nel preciso momento in cui il coroner entrava in aula. L'inchiesta, nell'opinione di chi si era presentato con la speranza di assistere a un dramma emozionante, risultò estremamente deludente. Il primo a essere chiamato fu Beecher, il quale descrisse come avesse trovato il corpo del padrone la mattina del 15 maggio. Gli furono fatte pochissime domande, e lui lasciò quasi subito il posto al dottor Fielding. A questo punto la sensazione generale cominciò a essere quella che il dibattito diventasse sempre più interessante, e quando il dottore si alzò in piedi un fremito di commozione passò per tutta l'aula. Furono parecchie le signore che lo giudicarono molto bello, e una o due persone confidarono ai loro vicini, più o meno come aveva fatto la signora Rumbold, che a guardarlo dava l'impressione di essere assolutamente imperturbabile. In effetti Fielding mostrò di possedere un perfetto autocontrollo, e testimoniò con sicurezza, disinvoltura e il minimo indispensabile di parole. Quando gli fu posta la domanda chiave, ammise che a un primo esame superficiale non aveva scoperto niente sul cadavere che non fosse compatibile con il primo verdetto di morte dovuta a sincope. Il suo discorso cominciò a diventare piuttosto tecnico, e una buona metà del pubblico pensò che perfino i medici non sanno tutto, mentre l'altra metà rimase aggrappata alla propria convinzione che i medici dovessero sapere tutto. Rispondendo a ulteriori domande, Fielding fornì una descrizione ancora più tecnica del disturbo cardiaco per il quale stava da tempo curando il defunto. Quando gli venne chiesto quali circostanze lo avessero indotto a comunicare la morte del suo paziente al coroner, non esitò. «L'insoddisfazione per la mia diagnosi manifestata da una persona della famiglia.» Questa risposta, benché pronunciata con voce calma, provocò un'altra ondata di subbuglio nell'aula. L'impressione generale, a quel punto, cominciò a orientarsi sulla possibilità che da un momento all'altro dovessero
venire alla luce i particolari di qualche deplorevole scandalo familiare, e quando la signora Lupton si alzò a fare la propria deposizione tutti la guardarono speranzosi e attesero in un silenzio fremente di sentire quel che stava per rivelare. Ma la signora Lupton, che risultò una testimone abile e capace quasi come il dottore, non rivelò niente. Lei ignorava l'esistenza di un qualsiasi motivo per il quale suo fratello dovesse essere stato avvelenato; molto più semplicemente aveva avuto la sensazione che il suo decesso non fosse dovuto a cause naturali. No, non credeva di poter spiegare il motivo di tale sensazione. Comunque, c'era qualcosa che l'aveva colpita subito di fronte al cadavere. E capitava raramente che il suo istinto si sbagliasse. «Che cosa le avevo detto?» bisbigliò il sergente Hemingway al sovrintendente. La signora Lupton tornò a sedersi fra il disappunto generale. I presenti cominciarono a occhieggiare il resto della famiglia Matthews, domandandosi chi di loro sarebbe stato il prossimo testimone. Il coroner mormorò qualcosa al cancelliere e il sovrintendente distrusse definitivamente qualsiasi speranza fosse ancora rimasta nel cuore dei curiosi quando si alzò in piedi e chiese che l'inchiesta venisse aggiornata in quanto le indagini della polizia erano ancora in corso. L'aggiornamento gli venne concesso e agli spettatori, dispiaciuti e indispettiti, non rimase altro da fare che tornarsene a casa e lasciare che la loro fantasia si scatenasse in un buon numero di supposizioni fantasiose. Owen Crewe, mentre si faceva largo tra la folla al seguito della moglie per uscire dall'aula del tribunale, accostò la bocca all'orecchio di lei. «Te l'avevo detto che avresti buttato via il tuo tempo» disse, e cominciò a sentirsi di umore molto più amabile, tanto che evitò di snobbare Janet quando lei, aprendosi a fatica un varco fra la gente, si avvicinò per annunciargli di essere felice che non ci fossero stati altri colpi di scena. Non appena si ritrovò fuori, rifiutò con fermezza l'invito a pranzo della suocera, informò la moglie che era liberissima di fare quello che preferiva, ma che lui aveva tutte le intenzioni di ritornarsene in città, e si allontanò a passo deciso verso il posto dove aveva parcheggiato la macchina. Ad Agnes sarebbe piaciuto poter discutere gli eventi della mattinata con la madre, ma dal momento che il suo ideale del matrimonio era soprattutto fondato sulla teoria che, non appena possibile, la moglie dovesse seguire il marito, salutò con rammarico i familiari e se ne andò, com'era suo dovere, insieme a Owen.
La signorina Matthews, che aveva assistito all'inchiesta armata di un cestino per fare la spesa, unito alla relativa lista, si allontanò come una freccia in direzione di High Street e la signora Matthews, appoggiandosi leggermente al braccio del figlio, rivolse un pallido sorriso a quelle delle sue conoscenze sulle quali le capitava di posare gli occhi, proclamandosi letteralmente esausta dal punto di vista spirituale. «Sento» disse con voce solenne «che devo avere almeno un piccolo intervallo di quiete. Stella cara, riesci a vedere Pullen da qualche parte?» «Sta aspettandoci sul lato opposto della piazza.» «Vai a dirgli di portare qui la macchina, tesoro... Oh, ci ha visti!» Zoe si volse per porgere a Edward Rumbold una mano ricoperta da un raffinato guanto che doveva essere costato un occhio della testa. «Non l'ho neanche ringraziata per essere venuto» disse con voce calda e grave. «Ma penso che lei capisca cosa stiamo provando. Sapere che c'è un amico al tuo fianco in questa terribile prova... Forse è una sciocchezza da parte mia essere così sensibile? Per me è stata un'autentica agonia dello spirito. Tutte quelle centinaia di occhi a fissarti...» Rabbrividì, tenne stretta la mano del signor Rumbold un attimo più del necessario, poi la lasciò andare. «Se almeno si potesse avere l'illusione che tutte le cose sgradevoli ci sono rimaste alle spalle in quell'aula di tribunale dall'aria così viziata e soffocante.» «Cerchi di non lasciarsi mettere in agitazione» rispose Rumbold gentilmente. «Certo che sono cose molto penose per lei, e ce ne dispiace molto.» Lei gli rivolse un lieve sorriso pieno di coraggio. «Adesso non posso parlarne. Quando avrò avuto il tempo di raccogliere i miei pensieri... vuole venire a trovarci più tardi? Magari per l'ora del tè?» «Sì, se ne ha piacere, ma...» «Oh, sì, venga!» interloquì improvvisamente Stella. «È orribile quando in casa non c'è nessuno all'infuori della famiglia.» Lui non poté trattenersi dal ridere. «Dopo un invito altamente lusinghiero come questo, come potrei rifiutare?» disse prendendola garbatamente in giro. «Be', veramente non era proprio quello che volevo dire» confessò Stella. «E naturalmente porti anche la signora Rumbold.» «Tesoro» disse la signora Matthews con aria di rimprovero. «Ma quello è già scontato, come il signor Rumbold sa benissimo.» Che per il signor Rumbold fosse scontato o no, non si fece comunque accompagnare dalla moglie quando si presentò per il tè ai Pioppi, e a Stella, che gli era venuta incontro fino a metà del viale d'ingresso, spiegò che
aveva già un altro impegno. «Non me la sento di rimproverarla» disse Stella con candore. «La nostra è una famiglia deprimente. E a peggiorare la situazione, è tutta la giornata che non facciamo che difenderci dai cronisti. Si sono presentati in massa, e com'è logico la mamma si è lasciata intervistare. Quindi Dio solo sa cosa leggeremo sui giornali domani.» «Sciocchezze, Stella. Guarda che ti lasci coinvolgere troppo da tutta questa storia.» «Non so cosa farci» rispose lei riaccompagnandolo verso casa. «Mi ha ridotto un vero e proprio straccio. D'altra parte, lei lo capisce bene, non si tratta soltanto della morte dello zio. C'è anche la zia Harriet. Non che voglia prendere le parti della mamma...» «Invece dovresti.» «Be', so benissimo che può essere tremendamente noiosa» disse Stella, mettendosi sulla difensiva. «Ma quello che stavo per dire, quando lei mi ha interrotto con estrema scortesia, è che per quanto non sentissi nessuna voglia di prendere le parti della mamma, mi pare che la zia Harriet si sia messa a trattarla incredibilmente male. Fa tutto, ma proprio tutto quello che le viene in mente per metterle i bastoni fra le ruote, e se la mamma si azzarda anche soltanto a spostare un tavolino di mezzo centimetro da quello che è il suo solito posto, va su tutte le furie e sostiene che prima doveva consultarsi con lei.» «Non mi preoccuperei troppo di cose del genere, se fossi nei tuoi panni. Non soltanto tua madre, ma anche tua zia ha i nervi a fior di pelle e... diciamolo pure: entrambe sono deluse di non essere rimaste uniche proprietarie della casa, giusto?» Il lampo divertito che era balenato nei suoi occhi adesso fu come se si riflettesse in quelli di Stella. «Eccome se sono rimaste male! Anch'io penso la medesima cosa» disse. «Però devi dare a tutte due un po' di tempo perché si rassegnino alla realtà dei fatti» fu il consiglio di Rumbold. «E scoprirai che alla fin fine ci si adatteranno, e facilmente, anche.» «È la mia speranza» disse Stella. «Io so soltanto una cosa, e cioè che non ho nessuna intenzione di continuare a vivere qui se la situazione va avanti come adesso. La zia Harriet fila d'amore e d'accordo con Guy, ma io non le sono affatto simpatica, e non mi lascia in pace un momento. Tutto quello che faccio è sempre sbagliato. Ieri sera ho detto alla mamma che non credo di riuscire a tener duro ancora per molto.»
«Be', non ci sarai neanche costretta, vero? Quando pensi di sposarti?» Lei non rispose subito e, quando lo fece, parlò in tono volutamente disinvolto. «Almeno per un anno, no. Non era mai stata nostra intenzione di sposarci quest'anno, e adesso, con tutto quello che è successo, pensiamo che si dovrebbero rimandare le nozze almeno fino a quando le cose non sono state messe in chiaro e io avrò finito il periodo del lutto.» Lui la prese per un polso, costringendola a fermarsi di colpo. «Mia cara bambina, c'è qualcosa che non va?» «Oh, buon Dio, no!» rispose Stella. «Anzi, quella di aspettare è stata una mia idea. In pratica sono stata io a insistere su questa decisione perché c'è anche da considerare lo studio medico di Deryk, e... e se abbiamo un assassino in famiglia, lui forse preferisce pensarci due volte prima di entrare a farne parte.» «Assolutamente no, se è una persona per bene.» «Be', naturale che lui non ha detto niente del genere. Però si è dimostrato perfettamente d'accordo con me di non precipitarci a celebrare il matrimonio fino a quando la faccenda non si sarà sgonfiata. Quello che io ho una gran voglia di fare è dividere un appartamentino con una ragazza che conoscevo a scuola. Lei adesso fa la disegnatrice di moda, e pensavo che potrei trovarmi anch'io un lavoro di qualche genere. Non crede che sarei capace di fare l'indossatrice?» «No, proprio per niente. E cosa dice tua madre in proposito?» «Lei è contraria, naturalmente, ma io mi aspetto che col tempo si adatterà al mio punto di vista. È stata costretta ad ammettere che a casa, adesso, la situazione è abbastanza orribile, ma io sono stufa da morire perché non fa che lamentarsi. Sostiene che per lei è molto peggio di quanto lo sia per Guy e per me.» Intanto erano arrivati alla soglia di casa. Vennero accolti in anticamera dalla signorina Matthews, che salutò il signor Rumbold con effusione e lo trascinò subito in salotto, in modo da potergli parlare a quattr'occhi per un po' prima che la cognata scendesse dalla sua camera. Questo progetto, comunque, era destinato al fallimento perché la signora Matthews aveva deciso di abbreviare il suo riposino pomeridiano e si trovava già seduta sul divano del salotto con un lavoretto di ricamo fra le mani e una sigaretta accesa nel portacenere. Harriet, enormemente infastidita da tutto questo, disse subito che la stanza puzzava di fumo e si precipitò ad aprire tutte finestre. La signora Matthews non si degnò di prestare la minima attenzione a questo atto di
ostilità, ma si alzò per stringere la mano a Edward Rumbold e lo invitò a sedersi sul divano, al suo fianco. Poi la porta si aprì per lasciar passare Beecher che portava il vassoio con tutto il necessario per il tè, ma c'era un po' di vento, le tende delle finestre svolazzarono verso l'interno della stanza, un vaso di fiori si rovesciò e il maggiordomo fece appena in tempo a impedire che la porta si richiudesse con un tonfo alle sue spalle. Questa disavventura costrinse la signorina Matthews a chiudere di nuovo le finestre, cosa che la indispettì ulteriormente, e quando finalmente l'acqua del vaso di fiori venne asciugata, il vaso messo nuovamente al suo posto e Guy comparve domandando il motivo di tutto quel trambusto, il suo malumore era paurosamente aumentato, al punto che si affrettò a riversarlo anche sul nipote, che di solito rimaneva immune da simili attacchi. Fu proprio in questo momento particolarmente infausto che la porta si aprì una seconda volta e Randall, abbigliato in una vera e propria sinfonia di tonalità sul marrone bruciato, entrò con aria languida. 8 A un osservatore disinteressato l'effetto provocato da quell'entrata non sarebbe potuto apparire nient'altro che comico. Il signor Edward Rumbold, dopo avere rivolto una rapida occhiata a tutta la compagnia, fu improvvisamente colpito da una tosse tanto violenta che lo costrinse a coprirsi la bocca con la mano; il sorriso dolce della signora Matthews svanì di colpo e la signorina Matthews s'interruppe nel bel mezzo di quello che stava dicendo lanciandogli un'occhiataccia, mentre Guy sbottava in un'imprecazione soffocata, come se la sua capacità di sopportazione fosse ormai al limite. Randall si guardò in giro con un lampo divertito negli occhi. «È un vero piacere vedervi tutti qui con un'aria così serena e rilassata.» «Che cosa accidenti vuoi?» domandò Guy sgarbatamente. «Guy carissimo!» intervenne sua madre in tono di blando rimprovero. «Ah, come sta?» fece Randall, stringendo la mano a Rumbold. «È un vero piacere vederla. Avevo paura di trovare soltanto la famiglia al gran completo. Non preoccuparti di suonare il campanello, cara zia Harriet: Beecher sa che sono qui.» «Non avevo la minima intenzione di suonare il campanello» disse la signorina Matthews, che faticava a dominare la stizza. «Ma ti giuro che non
capisco per quale motivo tu abbia deciso di venire. Ho notato che, invece, non ti sei preso il fastidio di presentarti all'inchiesta.» «No, ho pensato che sarebbe stato molto più carino farmi raccontare da te tutto quello che è successo» rispose lui, accostando alle altre una poltrona e tirando un po' su i pantaloni al ginocchio con cura, prima di sedersi. «Io non ho nessuna voglia di parlarne, tanto meno con te!» «Davvero? Se penso che quasi quasi rinunciavo a venire, quest'oggi, per paura di trovarti a parlare soltanto, e sempre, dell'inchiesta nel solo modo ripetitivo che ti è caratteristico...» «Se avessi almeno un briciolo di buon senso e di decoro, ti saresti fatto vedere in aula» osservò la signorina Matthews, mentre si dava un gran daffare con le tazze per il tè, accompagnata da un fragoroso acciottolio di porcellane. «Non che me lo aspettassi, sai? Ormai non mi illudo più che tu riesca a comportarti in un modo che non sia unicamente e profondamente egoista. Proprio come tuo zio. Anche se tu non sei l'unica persona che potrei citare capace di pensare soltanto a se stessa e a nessun altro. Preferisco non far nomi, ma a buon intenditor poche parole.» A questo punto la signora Matthews interloquì con voce grave. «Tutto questo non manca un pochino di dignità? Quando si pensa che appena una settimana fa la morte ha visitato questa casa, non trovate che dovremmo ispirarci a qualcosa di più alto e migliore, tralasciando certi battibecchi meschini?» A Guy sfuggì un gesto d'impazienza e si avvicinò a lunghi passi alla finestra, dove rimase con le spalle rivolte verso la stanza a gingillarsi con la corda della tenda. «Senz'altro, mia cara zia» disse Randall, che era rimasto ad ascoltarla con aria di cortese interesse. «Proviamoci tutti. Però tocca a te proporre l'argomento. Nessuno sa farlo meglio.» «Io credo che ciascuno di noi riuscirebbe a pensare qualcosa, se ci si provasse» disse la signora Matthews con dolcezza. «Perfino tu, Randall.» «Io posso raccontarvi la storia di un giocatore di golf che è andato in paradiso, ma con quella esaurirei il mio repertorio di cose più alte.» «Se stai cercando di scandalizzarmi, ti assicuro che non ci sei affatto riuscito. Sono soltanto molto triste a pensare che riesci a prenderti gioco di cose che per me sono sacre.» «Cara zia, tu non mi deludi mai!» A questo punto Edward Rumbold giudicò che fosse venuto il momento di intervenire. «La generazione più giovane è sfacciata e priva di rispetto
in un modo veramente desolante, signora Matthews» disse. «L'altro giorno ho fatto la conoscenza di una cara bambina che manifestava le opinioni più sconvolgenti sulla religione cristiana.» Con molta abilità, passò a raccontare un aneddoto e riuscì a distrarre, e anche a divertire, non soltanto la signora Matthews, ma perfino Harriet. Guy si staccò dalla finestra mentre il signor Rumbold terminava di raccontare la sua storia e si mise a servire il tè. Quasi subito entrò Stella, che rivolse a Randall soltanto un cenno di saluto e prese posto su un cuscino sul pavimento, vicino a sua madre. Randall la squadrò con espressione dolente. «Tesoro, non ti sei accorta che ci sono anch'io?» «Ho visto la tua macchina sul viale, quindi sapevo cosa aspettarmi. Immagino che sarai venuto a sentire qualcosa dell'inchiesta. La polizia ha chiesto un rinvio, così ci ritroviamo esattamente al punto di prima.» «Se hanno un minimo di buon senso rinunceranno a proseguire le indagini» disse Guy. «Nessuno saprà mai la verità. Non crede anche lei che molleranno tutto abbastanza presto, signor Rumbold?» «Non lo so, Guy. Dipende da quello che hanno in mano finora.» «Non hanno in mano un bel niente. A quello ha provveduto la zia Harriet» disse Guy con una risatina. «Vi garantisco che se avessi immaginato di provocare un simile scalpore perché ho ripulito a dovere la camera del povero Gregory e portato via la sua roba, non avrei toccato niente!» esclamò Harriet, agitatissima. «Chiunque penserebbe che l'ho fatto di proposito. Nessuno mi ha detto che non dovevo, mentre io trovo che, se c'è un lavoro da fare, è meglio farlo subito. È sempre stato il mio motto. A parte il fatto che non c'era niente fra tutta quella roba che avrebbe potuto contenere del veleno, ed è quello che ho detto al sovrintendente. Se lei pensa che ci fosse del veleno in una boccetta di tintura di iodio e in un pacchetto di cerotti per i calli, può andare a prenderli per controllare con i suoi occhi.» «E lui è andato a controllare?» domandò il signor Rumbold. La signorina Matthews sbuffò. «Sì. Che assurdità! Avrei potuto capire che gli interessassero i sali e le pillole per il fegato, ma devo ancora sentire che qualcuno si metta a bere la tintura di iodio! Così gli ho dato tutto quello che avevo tolto dall'armadietto dei medicinali del povero Gregory, e spero che sia soddisfatto.» «Cara signorina, che cos'ha fatto, invece, degli effetti personali di suo fratello?» domandò Rumbold.
«Non ne ho fatto un bel niente!» rispose lei accalorandosi. «Ho lasciato tutti i suoi abiti, le spazzole con il manico d'avorio, l'orologio con la catena e il resto bene in ordine nell'armadio. Quello che ho buttato via sono state, per esempio, le spugne, che non potevano servire a nessuno. E se la polizia vuole vederle, me ne duole enormemente, ma sono finite nella caldaia con tutti gli altri rifiuti.» «Capisco. Insomma, ha fatto piazza pulita.» «Be', che utilità poteva avere conservare un mucchio di cose che nessuno avrebbe mai adoperato?» domandò la signorina Matthews. «Se continuiamo così, adesso suppongo che mi sentirò rimproverare anche perché ho fatto dare una bella spazzata alla camera.» «Mia cara, io non credo che nessuno ti rimproveri» disse Zoe. «Tu non potevi saperlo. In fondo, nessuno di noi si è mai sognato che ci fosse un minimo di verità nei sospetti di Gertrude. E se tu forse, senza neanche immaginarlo, hai buttato qualcosa che conteneva il veleno, lo sai che sono quasi contenta? Niente può riportarci indietro Gregory, e allora non è meglio rimanere nella nostra ignoranza?» «A quanto sembra, è molto probabile che succederà proprio così» bofonchiò Guy. Stella, invece, aveva aggrottato le sopracciglia. «No! Se qualcuno l'ha avvelenato, dobbiamo sapere chi è» disse. «Buon Dio, come si farebbe ad andare avanti se si venisse a sapere che uno di noi è un assassino?» «Come osi esprimerti a questo modo?» mormorò sua zia con un filo di voce. «Ma è la verità! Ecco quello che è veramente terribile. Sembra che tu non lo capisca. Ma come fai a non renderti conto che, se la polizia non dovesse scoprire chi è stato, noi continueremo a chiederci per il resto della nostra vita chi di noi è il colpevole?» «Stupidaggini morbose!» esclamò Guy. «Io preferirei continuare a domandarmi chi è stato piuttosto che avere un brutto scandalo da affrontare.» «Davvero?» fece Stella, voltandosi a guardarlo con una vaga espressione di orrore negli occhi. «Quando potrei essere io, o addirittura la mamma?» «Oh, non dire scemenze!» La signora Matthews lasciò cadere la mano sulla spalla di Stella. «Tesoro mio, non devi assolutamente permettere alla tua fantasia di scatenarsi in questo modo.» «Comunque rimane il fatto che lei ha detto soltanto la pura e semplice verità» intervenne Randall. «Mi congratulo con te, Stella.» «Non sono affatto d'accordo con te, mio caro Randall.» La signora Mat-
thews lo fissò con occhi pieni di innocenza. «Stella stava parlando con tutte quelle esagerazioni che mi è capitato tanto spesso di deplorare. La mia speranza è che non sospetti di sua madre o di suo fratello come esecutori di un delitto tanto orribile più di quanto io potrei mai sospettare di qualcuno dei miei figli.» «State sbagliando tutti» disse Rumbold. «Non c'è nessuna ragione di supporre che Gregory sia stato assassinato da uno di voi. Siete proprio così sicuri che non ci sia nessun altra persona, all'infuori dei suoi familiari, che può averlo fatto?» Guy si voltò a guardarlo con tanto d'occhi. «E chi diavolo potrebbe essere?» domandò brusco. «Non lo so, ma credo che se fossi in voi preferirei credere che dev'essere stato qualcuno al di fuori dell'ambito familiare, piuttosto che tormentarmi con tutti questi sospetti sulle persone del mio stesso sangue» disse Rumbold con dolcezza, ma con un'occhiata che fece diventare di fiamma le guance di Guy. «Io preferirei che la faccenda venisse chiarita una volta per tutte» disse Stella in tono deciso. «Be', questo è un chiaro segno che non ti domandi sul serio se possano essere stati tua madre o tuo fratello a commettere il delitto.» «Io non ho mai sentito niente di simile» disse la signorina Matthews. «Oh, non vorrà andarsene, signor Rumbold? Ma come, appena finito il tè!» «Probabilmente ha intenzione di andare altrove a integrare il pasto con qualcos'altro» osservò Randall. «E non mi sento di criticarlo» soggiunse, con un'occhiata al vassoio di torte e pasticcini che era alquanto leggero. «C'è un certo spirito quaresimale che aleggia sui tè pomeridiani, quando è la cara zia Harriet a dare gli ordini in merito, apprezzato solamente da poche persone!» Stella proruppe in una risatina irrefrenabile e perfino la signora Matthews dovette mordersi un labbro. Harriet si raddrizzò di scatto al suo posto. «Io non ti ho invitato qui a prendere il tè, Randall, e non ho invitato neanche il signor Rumbold, anche se sono sempre lieta di vederlo, come mi auguro che sappia. E se lui trova che il mio tè è insufficiente...» «Grazie, grazie, ma è stato eccellente!» si affrettò a precisare l'interessato. «Lei sa benissimo quanto mi piacciano i suoi piccoli panini dolci, signorina Matthews. Dico sempre a mia moglie che i suoi non sono neanche da paragonare a questi. E adesso, per favore, non voglio che nessuno di voi
si disturbi. Conosco la strada.» In obbedienza a un'occhiata che sua madre gli rivolse, Guy posò il proprio piatto e si alzò. Ma anche Randall si era alzato, dopo avergli fatto segno di tornare a sedersi. «Non lasciarti sfuggire la possibilità di metter le mani sull'ultima fetta di torta» disse. «In fondo, sei tu quello che cenerà qui. Penso io ad accompagnare il signor Rumbold.» Intanto si era avviato alla porta, che tenne aperta per far passare l'uomo più anziano. «Non c'era proprio bisogno che ti disturbassi» disse Rumbold, prendendo il cappello dal tavolo dell'anticamera. «È un piacere. La compagnia dei miei parenti può essere apprezzata soltanto con frequenti intervalli.» Rumbold gli allungò un'occhiata metà divertita e metà severa. «Come mi spieghi questo tuo modo di comportarti? La tua presenza non si può esattamente definire un contributo alla pace generale.» «No, ma non trova che sia bello, per loro, avere qualcuno su cui scaricare le proprie opinioni e i propri sentimenti?» rispose Randall, sempre in tono cortesissimo. «Sono tutti un po' sulle spine, come può darsi che abbia notato.» «È una situazione estremamente sgradevole, quella in cui si trovano» rispose Rumbold con aria grave. Randall lo accompagnò fin sul viale. «Oh, certo» confermò. «A proposito, è trapelato qualcosa d'interessante all'inchiesta?» «No, assolutamente no. La polizia ha chiesto che venisse aggiornata, appena la signora Lupton ha fatto la sua deposizione.» «Tutto considerato, c'era da aspettarselo. Devo concludere che il nostro affascinante e simpatico dottorino abbia fatto ampiamente la sua parte?» «È stato uno dei testimoni, sì. A mio giudizio ha rilasciato un'ottima deposizione.» «C'era da aspettarsi anche questo. E tutti hanno dato l'impressione di essere pienamente soddisfatti di ciò che ha dichiarato?» «Soddisfattissimi. Non c'era nessun motivo perché non dovessero esserlo. Lui si è comportato in modo perfettamente corretto dal principio alla fine.» «Sì, l'avevo notato anch'io. Non è tipo da perdere la testa, il nostro ambizioso dottorino.» Il tono canzonatorio era appena velato, e chiaramente percepibile. Non voglio fingere che non ho capito a cosa stai alludendo, ma perché? Hai
qualcosa contro Fielding? «Lo trovo assolutamente insopportabile» rispose Randall tranquillamente. «Il che potrebbe farti venir voglia di sospettare di lui, ma mi sembra poco convincente come ragione.» «Accetto il rimprovero» disse Randall in tono ossequente. Intanto aveva raggiunto il cancello. Rumbold si voltò e gli tese la mano. «Veramente non avevo intenzione di rimproverarti, ma sono molto più vecchio di te, e forse mi permetterai di consigliarti di non esprimere osservazioni del genere a portata d'orecchio di tua cugina. Prima di tutto non è particolarmente gentile, e poi mi pare di capire che abbia già abbastanza preoccupazioni da quel lato senza che gliene vengano aggiunte altre.» Randall lo guardò sgranando gli occhi. Edward Rumbold per un attimo rimase sconcertato dallo strano lampo che vi era apparso, e non riuscì a capire se la loro espressione fosse gentile o stupita. Un attimo più tardi Randall vi aveva già calato sopra le palpebre, tornando ad assumere la solita espressione insolente. «Dice davvero?» rispose. «Le sono riconoscente.» Poi tornò senza fretta verso la casa ed entrò in salotto, dove le sue zie, dimenticate momentaneamente le solite controversie, erano lanciate nell'esaltazione delle virtù dell'ospite che se n'era appena andato, deplorando allo stesso tempo la volgarità di sua moglie. «Un uomo così istruito e beneducato» sospirò la signora Matthews. «Non si può fare a meno di domandarsi...» «Che cos'abbia visto in lei» completò Stella. «Ha visto un bel faccino e un cuore gentile.» «Quel cappello!» riprese con un brivido sua madre. «Una sfumatura di rosa così volgare... E alla sua età, poi!» «Assolutamente inadatto» dichiarò Harriet, pienamente d'accordo. «Non è il genere di cappello che si dovrebbe portare a un'inchiesta. Sono rimasta davvero scandalizzata.» Stella si alzò dal soffice cuscino sul pavimento e si spostò all'altra estremità della stanza. Le due signore più anziane continuarono quella stimolante conversazione, ed erano arrivate al punto in cui si stavano dichiarando pienamente d'accordo che l'unico motivo per il quale il signor Rumbold aveva accettato di vivere in una casa di proporzioni modeste come il Villino dell'Agrifoglio era che sua moglie con ogni probabilità non conosceva niente di meglio della case popolari quando tale armonia parve de-
stinata a svanire bruscamente non appena la signora Matthews suonò il campanello per far portar via il vassoio del tè. Bastò perché Harriet giudicasse necessario prenderne un'altra tazza. Ma dal momento che il tè ormai non soltanto era troppo forte, ma anche tiepido, il suo umore ne risentì e le rispettive perfezioni e imperfezioni di Edward e Dolly Rumbold vennero dimenticate e sommerse dalle sue amareggiate lamentele. Guy, agitato e irrequieto più del solito, fece un altro tentativo di sapere da Randall quale fosse la linea che la polizia stava seguendo nelle indagini. Il cugino professò la più totale ignoranza in materia, e quando Guy mostrò una certa insistenza ad approfondire l'argomento, si alzò con aria annoiata e diede un taglio alla discussione, salutando i parenti e andandosene. Nessuno manifestò il minimo desiderio di accompagnarlo in anticamera, quindi lui, superata la porta padronale col solito passo di chi non ha nessuna fretta al mondo, era già salito in macchina e aveva acceso il motore quando vide Deryk Fielding che arrivava a passo lesto sul viale. Rimase a osservarlo mentre nei suoi occhi appariva un'espressione singolarmente sgradevole, e dopo un momento avviò di nuovo il motore. Ma quando il medico raggiunse la macchina, l'espressione bieca era completamente scomparsa dai suoi occhi e le sue labbra sottili si erano incurvate in quello che poteva passare per un sorriso. «Come sta, dottore?» gli domandò, e dopo essersi tolto un guanto di pelle scamosciata gli tese la mano. Fielding non sembrò particolarmente felice di vederlo, ma gliela strinse e osservò che era passato un po' di tempo dall'ultima volta in cui si erano incontrati. «Non l'ho vista, all'inchiesta.» «Non c'ero, infatti.» «Oh, davvero?» «No» disse Randall. «Ho pensato che sarebbe stata noiosa, e probabilmente banale. Però mi spiace di non aver sentito la sua deposizione» soggiunse in tono cortese. «A quanto mi par di capire, lei ha avuto il posto della stella in uno spettacolo altrimenti mediocre.» «Ah, sì?» Fielding lo guardò con aria piuttosto sospettosa. «E in che senso, se posso chiederlo?» «Nel suo modo di comportarsi, mio caro dottore, che a quanto ho sentito è stato poco meno che nobile. E per la sua testimonianza, naturalmente, che non dubito sia stata esemplare.» «Lei è troppo gentile. D'altra parte, sono abbastanza abituato a fornire
deposizioni, considerate le mie qualifiche professionali.» «Ma in circostanze così difficili... Sa quanti sono i testimoni che dimostrano una deplorevole tendenza a perdere la testa? Non che io mi aspettassi qualcosa del genere da lei, naturalmente. Non occorre che lo dica.» «Grazie» rispose Fielding con un tono di voce che trasudava ironia. «Non c'era nessuna ragione per la quale dovessi perder la testa.» «No, infatti; sembra che tutto sia stato gestito nel modo più corretto e cortese possibile. Non sono state fatte domande imbarazzanti e non c'è stato nessun controinterrogatorio di quelli che logorano i nervi. E io ho sempre avuto la sensazione che trovarsi sottoposti a una cosa simile sia più che abbastanza per dare una brutta scossa anche ai nervi più solidi.» «In tal caso, speriamo che lei non venga mai chiamato ad affrontare una dura prova del genere» disse Fielding. «Molto gentile da parte sua. Non posso fare a meno di augurarmi che neanche lei venga convocato ad affrontarla.» «Non è una prospettiva che mi allarmi molto» replicò il dottore con un sorrisetto. «Se questa storia dovesse arrivare a un processo, naturalmente dovrò presentarmi!» Randall scrollò la testa. «È stata un'autentica sfortuna» osservò. «Per l'assassino, intendo. Chi avrebbe potuto immaginare che la cara zia Gertrude diventasse lo strumento scelto per risolvere uno degli omicidi più ingegnosi del secolo?» «Certo che, per rispetto alla famiglia, ci sarebbe stato da augurarsi che la verità non venisse a galla» disse Fielding. «È estremamente spiacevole per loro.» Ricambiò l'occhiata ironica di Randall con uno sguardo onesto e limpido. «E ancor più spiacevole per me» continuò in tono deliberato. «Devono essere in molti a pensare che, essendo medico, io mi sarei reso conto subito che Gregory Matthews era morto, vittima di chissà quale misterioso veleno.» «Oh, le chiacchiere sono sempre prevedibili» rispose Randall allegramente. «La gente è sospettosa. E oso anche dire che dà un'enorme importanza a quella boccetta di ricostituente andata così in frantumi tanto fortunatamente.» «Fortunatamente?» ripeté Fielding. «Un po' difficile giudicarlo una fortuna dal mio punto di vista!» «Ho detto fortunatamente? Volevo dire sfortunatamente... si capisce.» «Grazie al cielo il ricostituente non era stato preparato al nostro dispensario.»
«No. Ma neanche me l'aspettavo.» L'espressione di Fielding si era fatta un po' più dura. «Per di più, la nicotina non si può definire uno di quei veleni dei quali un medico faccia uso abitualmente, come sa benissimo anche lei, con gli studi di medicina che ha fatto.» Randall, che stava guardando con occhio meditabondo il panorama al di là del parabrezza, a queste parole girò la testa verso di lui e fece un sorriso poco simpatico. «Oh, lo sa anche lei, allora?» «Certamente. Una volta, qualche tempo fa, ne ha accennato suo zio. Ha detto che lei era stato uno studente molto promettente, ma aveva deciso di abbandonare quella carriera in seguito alla morte di suo padre.» «E lei ha passato questa informazione alla polizia?» «No. Ho pensato che non fosse affar mio.» Randall si curvò un po' in avanti e accese nuovamente il motore. «Be', invece penso che dovrebbe farlo» ribatté. «Chissà che piacere sarebbe per il sovrintendente Hannasyde.» Fielding si strinse nelle spalle. «Non ho voglia di combinare guai» disse. «Lei ha un concetto troppo alto di sé, mio caro dottore, mi creda. Passi pure la sua informazione a chi di dovere: sarà un raggio di sole nella tetra esistenza del sovrintendente, e non mi danneggerà affatto.» «Ma allora perché dovrei prendermi questo fastidio?» esclamò Fielding, e rivolgendo a Randall un rapido cenno di saluto gli voltò le spalle, avviandosi verso i Pioppi. Il suo scopo era di avvisare i suoi abitanti di guardarsi bene dal rilasciare qualsiasi dichiarazione alla stampa. Tornando dal giro di visite pomeridiano aveva trovato la propria casa letteralmente assediata dai cronisti, e di conseguenza non era dell'umore migliore. Quando si accorse che la sua fidanzata considerava il pericolo della stampa come un male minore, non poté trattenersi dall'osservare in tono piuttosto acido che gli avrebbe fatto piacere se lei si fosse almeno un po' preoccupata di valutare quale fosse la sua posizione di medico. La signora Matthews, rivolgendogli il sorriso saggio di chi conosce il mondo, si affrettò subito a rassicurarlo sostenendo che non aveva niente da temere. «Ho visto uno dei cronisti anch'io» gli spiegò seria. «E credo di avergli fatto capire qual è la nostra opinione in proposito. Gli ho parlato... come se un'illuminazione dall'alto mi avesse dettato quel che dovevo dire... e credo che abbia capito e provato vergogna.» Guy era visibilmente a disagio. «Senti, mamma, non avrai rilasciato di-
chiarazioni di nessun genere, vero?» «Caro ragazzo, non ho appena finito di dirti che non ho fatto niente di simile?» Guy si vide ridotto al silenzio, ma il dottore, quando Stella andò ad accompagnarlo in anticamera, insistette di nuovo. «Insomma, Stella, non ti pare che avresti potuto impedire a tua madre di vedere quel tizio? Se a te non importa niente di tutta questa pubblicità, io la penso in modo diverso. Questo caso mi sta già creando abbastanza guai.» «Credo» disse Stella con una vocina piccola piccola ma ferma «che sia un bel danno essere fidanzato con me, o sbaglio? Perché lo sanno tutti.» «Parlarne non serve. Non si tratta certo di un fatto positivo, ma non c'è soluzione, ti pare?» «Una soluzione potrebbe esserci» disse lei alzando gli occhi e guardandolo bene in faccia. «Mia cara ragazza, non pensare che io cerchi di tirarmi indietro o di rimangiarmi quello che ho detto.» In quel momento comparve Guy in anticamera, e di conseguenza la conversazione dovette essere interrotta. Guy era preoccupato né più né meno come il dottore, e si disse pronto a scommettere che sua madre avesse raccontato un sacco di fandonie a quel cronista. Aria fritta, d'accordo, ma sempre una cosa pericolosa. La sua mancanza di fiducia nei confronti della signora Matthews risultò pienamente giustificata. La mattina seguente il "Daily Reflector" portava un bel titolone a caratteri di scatola in prima pagina, una fotografia dei Pioppi e un'altra della signora Matthews che usciva dall'aula del tribunale dopo l'inchiesta. Quando scese a colazione, Guy trovò sua zia e sua sorella, con almeno quattro giornali illustrati davanti, mentre, piene di indignazione, se ne stavano leggendo reciprocamente ad alta voce qualche brano. «"Cognata dell'uomo assassinato nel dramma dell'avvelenamento in un quartiere residenziale si rifiuta di discutere il mistero della sua morte"» lesse Stella con voce venata di sgomento. «"'Noi siamo dell'opinione che sia più saggio non dire niente', afferma la signora Zoe Matthews, elegante e bella vedova bionda, preoccupata per il misterioso caso di avvelenamento a Grinley Heath che lascia sconcertati gli esperti di Scotland Yard." Alla mamma piacerà enormemente questo pezzetto. Guy, guarda la sua fotografia. Ma dico io!» «Ascoltate un po' questo» li supplicò la signorina Matthews con voce
tremante. «Non ho mai sentito niente di simile, mai! "Nel lutto più stretto e con un'espressione sconvolta negli occhi dolorosi, l'affascinante signora Zoe Matthews, la cognata, vedova, di Gregory Matthews, il cui decesso in circostanze misteriose ha avuto luogo nella sua residenza di Grinley Heath una settimana fa, ieri mi ha ricevuto nel suo salotto pieno di sole." Il suo salotto, ma guarda un po'. Oh, sono sicura che gli ha detto che il salotto era di sua proprietà, ma quanto a essere pieno di sole... non ce ne arriva neanche un raggio in tutto il giorno, e lo sa benissimo.» Guy, livido per la costernazione, attraversò in fretta e furia la stanza e fermandosi alle spalle della zia osservò l'offensivo paragrafo sul giornale che lei teneva aperto fra le mani. «"'Bisogna ricordare che la vita continua... perdita irreparabile... è un mistero per noi come lo è per Scotland Yard...'" Buon Dio, ma non è possibile che abbia detto tutte queste scempiaggini!» «Certo che le ha dette!» ribatté con astio la signorina Matthews. «È proprio quel genere di stupidaggini che mi aspetterei di sentirle dire. "'C'era uno stretto legame fra il mio povero cognato e me.'"... Oh, davvero? E non una sola parola a proposito dei miei sentimenti!... "Calma e perfettamente controllata."... Perfettamente controllata! Sfrontata sarebbe stato molto più vicino alla realtà dei fatti! Dio, tutta questa storia mi fa proprio perdere la pazienza!» Guy si affrettò ad accorrere al salvataggio del giornale che, a quanto sembrava, la zia Harriet sembrava pronta a fare a pezzi, e si ritirò vicino alla finestra per esaminarlo meglio. Stella, che nel frattempo era profondamente assorta nella lettura del "Morning Star", si lasciò sfuggire un'esclamazione soffocata di orrore. «Una sfacciataggine incredibile! Zia Harriet, senti un po' questo... "'La morte del signor Matthews è stata un colpo terribile per tutti noi', ecco come ha confessato ieri la graziosa Rose Daventry dagli occhi cerulei, la ventitreenne prima cameriera ai Pioppi, al nostro cronista." E si continua con questo sproloquio a non finire. C'è perfino un trafiletto in cui si parla del fidanzato di Rose... Ah, lei dice che tutti la considerano come la perdita di una persona di famiglia.» «Cosa?» strillò la signorina Matthews. «E c'è anche una fotografia» disse Stella. Harriet le strappò il giornale dalle mani. «Lei se ne va da questa casa oggi stesso, e non c'è mese di preavviso che tenga» dichiarò. «L'impertinenza, la sfacciataggine... La perdita di una persona di famiglia! Fra l'altro
è una bella bugia, perché tutti i domestici che abbiamo avuto odiavano Gregory! E lei non avrebbe mai osato fare niente di simile, se non si fosse già licenziata.» In quel momento entrò Beecher, il quale fu immediatamente fatto bersaglio di un'occhiataccia della sua infuriata padrona. «Non ne sa niente, lei, di questa vergognosa faccenda?» gli domandò Harriet, battendo con la mano sulla pagina del giornale. Beecher tossicchiò. «Sì. Molto riprovevole, davvero. La signora Beecher ha detto chiaro e tondo a Rose quello che ne pensava. C'è il signor Randall al telefono, signorina.» «Cosa vuole?» brontolò Guy. «Non l'ha detto, signore.» «Bene, io non vado a rispondergli» dichiarò Guy sedendosi a tavola. «Gli dica che siamo fuori.» «Vai tu, Stella» disse sua zia. «Anche se non so cosa possa volere.» La ragazza sospirò e posò il giornale. «Per quale motivo debba proprio toccare a me non riesco assolutamente a capirlo» protestò, ma uscì in anticamera e afferrò la cornetta del telefono. «Pronto?» disse nel suo tono di voce meno entusiasta. «Sono Stella. Cosa c'è?» «Buon giorno, tesoro. Dimmi subito... sono qui letteralmente senza fiato per l'eccitazione... Per quale motivo io non ho mai avuto la fortuna di posare gli occhi sulla graziosa Rose Daventry dagli occhi cerulei?» «Oh, vai all'inferno!» sbottò Stella su tutte le furie. «Si può sapere cosa vuoi?» Alle sue orecchie giunse una risata divertita. «Soltanto quello, cara.» «Allora piantala di scocciare!» disse lei, e sbatté giù la cornetta. Anche qualcun altro aveva visto i giornali illustrati quella mattina e non passò molto prima che arrivasse la signora Lupton con l'aria di chi deve vendicare un vero e proprio atto di lesa maestà. Manifestò subito il desiderio di sapere se Rose era stata buttata fuori di casa, e in caso contrario perché non fosse già successo; se la signora Matthews si rendesse conto dell'entità della propria follia; per quale motivo sua sorella Harriet avesse concesso a un cronista di metter piede in casa; quali passi fossero stati presi dalla polizia per scoprire l'assassino di Gregory. Nessuno fu in grado di fornire una risposta a quest'ultima domanda e la signora Lupton, senza dimostrare la minima fretta, ma come se il suo verdetto fosse il risultato di una serie di considerazioni imparziali, emise la sua sentenza.
«Il caso è stato affrontato con la più grossolana incompetenza. Trovo che la polizia non stia facendo il minimo sforzo per smascherare l'assassino del mio disgraziato fratello.» A dir la verità, questo giudizio così severo non era del tutto obiettivo nei confronti del sovrintendente Hannasyde, il quale in quel momento si trovava seduto nell'ufficio di Giles Carrington con il libretto del conto corrente di Gregory Matthews spalancato sulla scrivania in mezzo a loro. «Le risulta quali rapporti intercorressero fra Matthews e un tizio che risponde al nome di Hyde?» domandò Hannasyde. «No, temo di no. Per quale motivo vuole saperlo?» «Ho esaminato a fondo il conto corrente e sembra che un numero considerevole degli assegni versati in questa banca da Matthews arrivassero da parte di un certo Hyde. Guardi un po' anche lei. Sono somme sostanziose, e si direbbe che venissero pagate regolarmente una volta al mese.» L'avvocato studiò con interesse le registrazioni contabili. «A prima vista sembrerebbero gli introiti di qualche specie di attività commerciale» osservò. «Ma in questo caso io non ne ho mai sentito parlare. Lei cosa ne pensa? C'è da supporre che fosse proprietario di una agenzia di prestiti su pegno oppure di una friggitoria, o qualcosa del genere, e non volesse farlo sapere in giro?» «Io non riesco a trovare una spiegazione. Potrebbe essere come dice lei. Ho avuto anche un colloquio con il direttore della banca, ma ne sa quanto me. Gli assegni sono tutti emessi sull'agenzia della banca Forster's nella City. Il capo cassiere se li è ricordati subito. Dovrò andare a vedere cosa posso trovare in quella sede. Sono venuto a parlare con lei, prima di andarci, perché farsi fornire informazioni dalle banche è sempre una faticaccia.» «Mi spiace. Qui da me, niente da fare. Però posso dirle una cosa: se qualcuno è al corrente della faccenda, non può trattarsi che di Randall Matthews. Sono convinto che ci sia molto poco sul conto di suo zio di cui quel bravo giovanotto sia all'oscuro.» Il sorriso che Hannasyde gli rivolse era poco allegro. «Già, è quello che penso anch'io. Purtroppo mi sono accorto che Randall Matthews non è molto ben disposto a concedermi la sua confidenza. Comunque, casomai tutto il resto andasse storto, farò un tentativo con lui.» Il sovrintendente lasciò Adam Street e si avviò a est, verso la City. Il direttore della banca Forster's fu cortese, ma non gli dimostrò la minima cordialità. La banca, disse, era indubbiamente una di quelle che il sovrintendente avrebbe considerato all'antica, e anche nel loro modo di fare erano
all'antica; personalmente lui deplorava molto i metodi moderni della polizia che cercava di ottenere informazioni tramite le banche. Certo che i tempi erano... Hannasyde, il quale non voleva mai farsi inutilmente dei nemici, gli prestò ascolto, gli mostrò la propria comprensione e si disse pienamente d'accordo con lui. E alla fine ottenne qualche informazione, ma di scarsa utilità. Il direttore di quella specifica agenzia sapeva molto poco sul conto di John Hyde, che di persona non veniva quasi mai. Aveva aperto un conto corrente ormai già da molti anni. L'opinione generale era che fosse il rappresentante di qualche ditta manifatturiera del nord; il suo indirizzo era al 17 di Gadsby Row; ma oltre a questo il direttore di rammaricava di non potergli passare ulteriori informazioni. Non ci volle molto tempo perché Hannasyde trovasse Gadsby Row, una stradina nel cuore della City. La imboccò dal grande viale che la tagliava e dove il traffico era intenso, facendosi largo fra giovani fattorini e dattilografe frettolose. Arrivò quasi subito al numero 17. Fu in questo modo che scoprì come si trattasse di un negozietto di giornalaio dove si vendevano anche tabacco e sigarette della qualità meno costosa, un posticino modesto e deprimente, con le vetrine sporche, punteggiate da caccole di mosca e sull'insegna solamente il nome: H. Brown. Un paio di gradini gli diedero l'accesso all'interno, che era buio e piccolo, e puzzava di fumo vecchio. Hannasyde era appena entrato quando si aprì la porta che dava nel retrobottega per far passare un donnone robusto in grembiule, che gli domandò cosa volesse. «Sto cercando un certo signor John Hyde» disse Hannasyde. «A quando mi sembra di capire è qui che abita.» «Non c'è» rispose lei asciutta. «E non so quando tornerà.» «Non saprebbe dove posso trovarlo?» «No, non saprei proprio.» La porta che dava nel retrobottega si aprì di nuovo e stavolta venne fuori un uomo di mezz'età con folti baffi arruffati e acquosi occhi celesti, in maniche di camicia. «Che cosa vuole il signore, Emma?» domandò. «È uno che chiede del signor Hyde.» «Dovrà ritornare. Non c'è.» «È quello che gli ho detto anch'io» confermò lei. «Abita qui?» domandò Hannasyde. «No, non abita qui» disse il signor Brown, occhieggiandolo con crescen-
te antipatia. «In tal caso, potrebbe dirmi dove?» «No, spiacente ma non posso. Se vuole, lasci un messaggio.» Hannasyde tirò fuori il proprio biglietto da visita e glielo consegnò. «Qui c'è il mio nome. Può darsi che le risvegli un po' la memoria.» Il signor Brown lesse il cartoncino e scoccò un'occhiata arcigna, dal sotto in su, al sovrintendente. La moglie allungò il collo per leggerlo anche lei e impallidì visibilmente. Poi si mise a fissare Hannasyde sporgendo in fuori il labbro inferiore. «Qui non vogliamo ficcanasi!» annunciò «Cos'è che vuole sapere?» Hannasyde, abituato com'era a venir considerato con profondo sospetto da tutte le signore Brown di questo mondo, non si lasciò impressionare dalla sua ben visibile apprensione, ma rispose nel tono di voce pratico ed efficiente di chi va per le spicce. «Vi ho già detto quello che voglio sapere. Dove posso trovare il signor Hyde?» «E come facciamo a dirle quello che non sappiamo?» sbraitò lei. «Qui non c'è, e basta.» Il marito la fece scostare con una gomitata. «Va bene così, Emma; torna in cucina.» Posò sul banco il biglietto da visita e mostrò una chiostra di denti giallastri in un sorriso forzato. «È proprio come dice lei. Non abbiamo più posato gli occhi sul signor Hyde fin da martedì scorso, a voler essere precisi.» «Cosa viene a fare qui?» Lui si accarezzò il mento ispido. «Ecco, vede, in un certo senso è il padrone di questo posto.» Hannasyde corrugò la fronte. «Vuole dire che è il padrone del negozio?» «No... non soltanto, ecco. Ma dell'intera casa.» «Allora è il vostro padrone di casa, o sbaglio?» «Infatti» confermò il signor Brown. «Lui lavora come rappresentante di una di quelle grandi aziende che ci sono nel nord. E non so se abbia quello che lei potrebbe definire un indirizzo fisso, all'infuori di questo. Viaggia molto per affari.» «Il che significa che lui ha qui un ufficio.» «Proprio così. Può anche vederlo, se vuole. Ma non c'è molto, lì dentro.» «Da quanto tempo è qui?» «Ecco, così sui due piedi non saprei dirglielo» rispose l'uomo con aria vaga. «Ma è già un bel po' di tempo. Diciamo... almeno sette, otto anni, e
credo di non sbagliare.» «Che età potrebbe avere? Che tipo di uomo è?» «A guardarlo, niente di particolare. Non so neanche come potrei descriverglielo. Non ha una di quelle facce con qualcosa di caratteristico... Di mezz'età, direi. Un tipo che se ne sta per conto suo. Per quale motivo le interessa?» «Questi sono affari miei. Viene molto spesso?» «Abbastanza spesso» disse il signor Brown, un po' offeso. «Su, da bravo, veda se è in grado di rispondere. Viene ogni giorno?» «A volte. A volte no. Ma non ha niente a che vedere con me. Lui viene quando gli accomoda.» «Quando l'ha visto per l'ultima volta?» «Gliel'ho già detto: martedì scorso. E da allora più niente.» «Aveva detto che sarebbe andato via?» «No. Non ha detto niente.» «Non le ha dato un indirizzo perché gli venisse inoltrata la corrispondenza?» Il signor Brown gli lanciò un'altra delle sue occhiate arcigne. «Non ci sono state lettere di nessun genere.» Ci fu ben poco d'altro che Hannasyde poté cavargli di bocca. Dopo avergli posto un altro paio di domande, alle quali l'uomo rispose nello stesso modo burbero e riluttante, il sovrintendente lasciò il negozietto. La personalità di John Hyde, sul conto del quale lui aveva provato, appena un'ora prima, soltanto una blanda curiosità, era diventata improvvisamente un problema d'importanza imprevista. L'elusivo signor Hyde doveva essere rintracciato e il suo legame con Gregory Matthews spiegato chiaramente. Era un altro compito immediato, ma intanto che stava tornando verso Scotland Yard, Hannasyde cambiò improvvisamente idea e invece di proseguire per Whitehall salì su un omnibus diretto a Piccadilly e andò a far visita a Randall Matthews. 9 Era quasi mezzogiorno quando il sovrintendente arrivò all'appartamento di Randall Matthews, eppure l'elegante giovanotto lo ricevette avvolto in una vestaglia di un broccato dal disegno e dai colori sgargianti. Ma con l'eccezione della giacca, si sarebbe detto completamente vestito sotto quella vestaglia così vistosa, quindi Hannasyde arrivò alla conclusione che la
portasse unicamente perché aveva un debole per l'esotico, più che per autentica pigrizia. Sorrise tra sé al pensiero di quello che sarebbe stato il commento del sergente Hemingway sulla vestaglia, se avesse potuto vederla, e s'imbarcò senza preamboli in una spiegazione del motivo della sua visita. «Spiacente di disturbarla, signor Matthews, ma credo che lei sia in grado di aiutarmi.» «Molto gratificante!» esclamò Randall. «Mi consenta di offrirle un bicchiere di sherry.» «La ringrazio, ma al momento non gradisco niente. Le dice qualcosa il nome di Hyde?» Randall si versò un bicchiere di sherry e mise il tappo sulla caraffa. Ecco... mi viene in mente Hyde Park. «No.» «Mi dia un po' di tempo» riprese il giovanotto prendendo in mano il bicchiere. «Stevenson?» suggerì. «Il dottor Jekyll e mister Hyde?» «Nient'altro, signor Matthews?» domandò Hannasyde, scrutandolo con sempre maggiore attenzione. Randall ricambiò quello sguardo fisso e penetrante con una delle sue occhiate languide. «Ecco, al momento proprio no» disse. «Vuole approfondire l'argomento? Perché in tal caso ho paura che dovrà spiegarmi qualcosa. Non mi sembra di essere molto pronto, stamattina.» «Non le sembra di ricordare che in un momento qualsiasi suo zio abbia pronunciato quel nome?» Randall continuò a scrutarlo al di sopra dell'orlo del suo bicchiere. «No, direi proprio di no.» Si avvicinò lentamente a una poltrona e si appollaiò sul bracciolo. «Lei mi delude, signor Matthews. Avevo la speranza che potesse essere in grado di gettare un po' di luce su questo problemino. Ho esaminato a fondo il libretto del conto corrente di suo zio. E ho trovato che una sostanziosa parte del suo reddito derivava, a quanto pare, dai proventi ricevuti da una persona che risponde al nome di John Hyde. Oppure, non posso escluderlo, da qualche attività commerciale della quale questo Hyde potrebbe essere il gerente o il responsabile.» Randall continuò a sorseggiare lo sherry. Sulla sua faccia non si poteva leggere nient'altro che un blando interesse. «Quando lei parla di una parte sostanziosa, a cosa vuole alludere, sovrintendente?»
«Non ho fatto il conto delle varie somme, ma a colpo d'occhio, l'ammontare complessivo va dalle dodici alle tredicimila sterline l'anno.» «Un reddito rispettabile. Posso domandare com'è stato versato sul conto dello zio?» «Mediante assegni» rispose Hannasyde. «E a intervalli mensili e regolari, anche se l'ammontare non è regolare.» Si infilò la mano nella tasca interna della giacca e tirò fuori il libretto del conto corrente di Gregory Matthews. «Forse avrà piacere di esaminarlo.» «Credo che dovrei» rispose Randall posando il bicchiere di sherry e prendendo in mano il libretto. Il silenzio regnò fintantoché fece passare senza la minima fretta tutte le pagine. Poi lo restituì a Hannasyde. «Mi sento nella più totale impossibilità di gettare un po' della luce da lei tanto attesa su tutto questo, sovrintendente. Qual è la sua opinione in materia?» «Non so neanche se ne ho una.» Devo ricordarle che non ho mai conosciuto personalmente suo zio. Ecco il motivo per cui sono qui. Immagino che lei lo conoscesse bene, invece. «Non ho mai preso in considerazione il problema. Non solo, ma credo di averle già detto, quando ha avuto inizio questa nostra piacevole conoscenza reciproca, che non ho mai goduto della fiducia di mio. zio.» «Infatti» ammise Hannasyde. «Ma non posso fare a meno di sospettare che sia stato eccessivamente modesto. A quanto credo, lei è stato l'unico della famiglia al quale il defunto avesse rivelato la scoperta della doppia vita del signor Lupton.» «E lei questo lo chiamerebbe fare una confidenza? Io l'avevo giudicata una storia sporca.» «Be', accantoniamo la questione delle confidenze, signor Matthews, e diciamo che fra voi esisteva un legame di simpatia» insinuò Hannasyde. Intanto che parlava gli capitò di cogliere una strana espressione negli occhi di Randall, un'espressione che lo turbò. Non ebbe il tempo di decidere cosa significasse: era apparsa e scomparsa in un baleno, ma lo lasciò stranamente scosso e il suo cervello la registrò come qualcosa di molto sgradevole. Poi Randall riprese, nel suo solito tono di voce languido e perfettamente controllato. «No, non penso che ci sia mai stato un legame di simpatia fra noi. Forse lei è stato erroneamente indotto a pensarlo perché ero l'unico di tutta la mia famiglia a non litigare con lui.» «Su, andiamo, signor Matthews» disse Hannasyde in tono suadente. «Perché non può essere sincero con me? Che ci fosse o no della simpatia
fra voi, credo che lei sappia sul conto di suo zio più di quello che mi ha detto finora. Per esempio sulla questione di questi assegni di John Hyde: vuole proprio farmi credere che lei, erede dell'intero patrimonio di suo zio, ignorasse la fonte di una parte del suo reddito?» «No, ma la varietà dell'ammontare degli assegni, unito alla loro regolarità, indurrebbe a pensare che lo zio si divertisse con qualche attività imprenditoriale azzardata o qualche speculazione dalla quale preferiva tenere fuori il proprio nome. Probabilmente, a tempo debito, verrà alla luce tutto.» «Ma lei non ci fa gran conto, dico bene, signor Matthews?» Randall si strinse nelle spalle. «No, confesso di no. Se vuole che sia sincero, credo che lei perda il suo tempo se continua a cercare John Hyde. Il suo significato, nel caso di cui si sta occupando, mi sembra piuttosto oscuro.» «Proprio così. Ma quando mi trovo davanti a qualche cosa che esige una spiegazione, scopro sempre che conviene andare a fondo alla faccenda, per quanto banale possa sembrare. Ho già fatto qualche ricerca sull'identità di Hyde non soltanto alla banca, ma anche all'unico indirizzo che si conosce.» «Posso augurarmi che tanta diligenza sia stata ricompensata in modo adeguato?» «Ritengo di sì» disse Hannasyde imperturbabile. «Ho scoperto che John Hyde si faceva passare da agente, o rappresentante di commercio, e che è il proprietario di una squallida casetta in Gadsby Row, nella City, della quale fa parte anche un negozietto di giornali e tabacchi. Tale proprietà, a quanto sembra, viene affittata a un uomo di nome Brown; però Hyde ha conservato una stanza a proprio uso e consumo.» «Veramente?» «Il fatto che un uomo con una posizione tale da poter versare sostanziose somme di denaro ogni mese dovesse avere come suo unico indirizzo un ufficio in una miseranda viuzza mi ha colpito come qualcosa di tanto insolito da richiedere indagini più approfondite. Cosa ne pensa, signor Matthews?» «Che sta sprecando il suo tempo, mio caro sovrintendente.» «E quando le dico che questo John Hyde non si è fatto più vedere da quelle parti fin da martedì 14 maggio?» Randall, nel frattempo, era andato a cercare la scatola delle sigarette, e di conseguenza voltava momentaneamente le spalle ad Hannasyde. «Chi lo dice?»
«L'uomo che gestisce il negozio... e non credo che mi raccontasse una fandonia.» «A me non sembra un'informazione particolarmente preziosa» osservò il giovanotto, tornando a sedersi in poltrona. «Magari è ammalato, oppure è partito.» «Certo. Ma c'è qualcosa di sfuggente nel personaggio di questo signor Hyde che richiede qualche spiegazione. E mi spiace che lei non possa essermi di aiuto.» «Dare una soluzione a scoperte deludenti non è mai stato uno dei miei passatempi preferiti, sovrintendente. Posso sapere se è stato tanto fortunato da ottenere una descrizione dell'oggetto delle sue ricerche?» «Vaghissima, e possibilmente anche falsa.» «Molto utile. E quale?» «Un uomo di mezz'età con una faccia banale, anonima. Finora, tutto qui.» «Io mi arrenderei, se fossi nei suoi panni.» «Non può aspettarsi sul serio che segua un consiglio del genere, vero?» ribatté Hannasyde bruscamente, e prese congedo. Ma effettivamente la ricerca di John Hyde si rivelò un compito singolarmente ingrato. Nessuno lo conosceva; e quando Hannasyde e il sergente Hemingway, armati di un mandato di perquisizione, visitarono il suo ufficio, non poterono scoprire nessun indizio che aiutasse a rivelare la sua identità. Si trattava di una squallida stanzetta sopra il negozio, e non conteneva nient'altro all'infuori di un tavolo, una seggiola, una macchina per scrivere e una cassaforte. «Se questo bel tipo è un agente di commercio, dov'è andato a finire il campionario di quello che vende?» fu la domanda del sergente Hemingway. Il signor Brown, sempre in maniche di camicia, si guardò intorno, per la stanza nuda e squallida, con aria vagamente ansiosa. «Non è mai capitato che se ne andasse a questo modo, e senza dire una parola» bofonchiò. «L'ho visto martedì dell'altra settimana, e sono pronto a scommetterci la testa che da quel giorno non si è più visto qui o nei dintorni.» Tale affermazione, ripetuta più di una volta, venne confermata almeno fino a un certo punto dalla banca Forster's. Il 14 maggio era stato presentato un assegno al portatore di Hyde per la somma di 25 sterline. Il cassiere, a sua volta interrogato, descrisse fedelmente il signor Brown, e aggiunse
che aveva l'abitudine di incassare assegni al portatore firmati da Hyde. Il signor Brown non negò questo fatto. E dichiarò che il signor Hyde si era sempre servito di lui per incassare assegni a suo nome e che lui si limitava semplicemente a ritirare il denaro e poi a passarlo al suddetto signor Hyde. Poiché si venne anche a sapere che aveva versato molto spesso per Hyde somme in contanti, non sembrava che esistesse nessun motivo di dubitare di questa dichiarazione, ma per quale motivo ci si fosse serviti di lui in questo modo o quale fosse il suo rapporto personale con Hyde non ci fu verso di cavarglielo di bocca. Continuò a insistere che non lo sapeva e che il signor Hyde non gli aveva mai raccontato niente. Quando si sentì chiedere se quell'uomo avesse mai ricevuto visite, rispose di malavoglia che di tanto in tanto Hyde vedeva qualcuno per motivi di affari, ma chi fossero queste persone o da dove venissero lui non era assolutamente in grado di dirlo. La cassaforte non rivelò nient'altro che un libretto di assegni usato a metà, con ogni singola matrice bianca, e un pacchetto di certificati azionari. «Be', questa è la cosa più strana che abbia visto in vita mia» disse Hemingway. «Ho sentito di gente che tagliava la corda, ma non mi era mai capitato che si lasciassero indietro il libretto degli assegni e un bel gruzzolo in banca. Sembra quasi che questo bel tipo sia stato costretto a squagliarsela con una fretta del diavolo, capo. Dev'essere successo qualcosa, dopo che ha lasciato questo posto il 14 maggio. Qualcosa che gli ha messo una tale paura in corpo da impedirgli di tornare.» «Ma per quale motivo teneva il libretto degli assegni nella cassaforte?» domandò Hannasyde. «A quanto ci hanno detto in banca, era l'unico che possedesse. Gran parte della gente lo porta con sé, quando ne ha uno solo. Oppure lo tiene nella scrivania di casa... non in un ufficio nel quale si fa vedere a intervalli irregolari.» «Chi lo sa» disse il sergente. «Ma, dove si trova questa casa... ecco il nocciolo della questione!» E fu proprio ciò che l'indagine più rigorosa non riuscì a scoprire. Un annuncio inserito nella pubblicità dei quotidiani con il quale si chiedevano informazioni sul signor Hyde non produsse il minimo risultato, e un tentativo di scoprire, alla sua banca, documenti che potessero offrire qualche indizio per arrivare alla sua identità ebbe lo stesso insuccesso. Il signor Hyde non teneva nessun documento all'istituto di credito. Il sergente Hemingway, che era abilissimo nell'ottenere che la gente si
confidasse con lui, riuscì a far materializzare la padrona del numero 11 di Gadsby Row, una corpulenta signora con il mento guarnito da un velo di barba, la quale ricordava di aver visto il signor Hyde una sola volta, quando aveva fatto un salto dal signor Brown a comprare un giornale. Disgraziatamente non l'aveva osservato in modo particolare, perché stava salutando il signor Brown, quando lui era entrato, e senza dire una parola a nessuno aveva attraversato il negozio passando nel retrobottega. Ecco: quel modo di fare l'aveva colpita e, trovandolo così strano, aveva domandato istintivamente al signor Brown chi era quel tale e ricordava benissimo, proprio come se fosse successo il giorno prima, che lui aveva risposto: "È soltanto il signor Hyde". Era stato un po' difficile dire che tipo fosse, perché aveva il cappello calcato sulla testa e un paio di occhiali scuri, ma era vestito da vero signore, questo sì. Non era stato molto utile, ma di meglio il sergente non aveva saputo fare. Nessun altro, fra gli abitanti della viuzza, sembrava aver mai notato Hyde, e nessun negozio del vicinato lo aveva mai avuto come cliente. Di conseguenza era stata organizzata una sorveglianza continua del numero 17 di Gadsby Row e aperta un'indagine sul passato del signor Brown. Non lasciò sorpresi né Hannasyde né il sergente la scoperta che era noto alla polizia e sette anni prima aveva scontato una condanna per truffa, ma li meravigliò scoprire che dal giorno in cui era stato rilasciato sembrava si fosse tenuto accuratamente alla lontana da ogni genere di losche faccende. Il signor Brown, interrogato a fondo dal sergente, che su questo punto non aveva nascosto il proprio scetticismo, aveva preso l'aria della persona perbene profondamente offesa e spiegato con amarezza che a quanto sembrava la polizia non aveva mai sentito che un uomo, deciso a cambiar vita, si fosse messo a rigare dritto. I poliziotti in borghese mandati a sorvegliare la zona per non farsi sfuggire un signore di mezz'età che portava gli occhiali scuri trovarono il loro incarico particolarmente noioso, e benché parecchi uomini di mezz'età entrassero nel negozio, nessuno di questi si era presentato con gli occhiali né tanto meno vi era rimasto più a lungo del necessario a comprare il solito quotidiano del mattino oppure l'abituale pacchetto di sigarette. Il negozio non aveva fra i suoi clienti uomini che fossero vestiti "da veri signori", una circostanza che spinse il signor Peel, il più giovane dei due poliziotti, a dedicare un notevole interesse a uno di questi, un giovanotto vestito da autentico gentiluomo, che un giorno, nelle prime ore pomeriggio, arrivando giù per la strada con il passo tranquillo di chi non ha nessuna fretta era en-
trato nel negozio del signor Brown. Il suddetto signor Brown, il quale stava servendo mezz'etto di trinciato forte a un manovale, allungò una rapida occhiata al nuovo arrivato ma non gli dedicò ulteriormente la sua attenzione fino a quando il primo cliente non ebbe intascato il resto e non si fu avviato verso la porta del negozio. Soltanto allora si appoggiò con le mani al banco e domandò che cosa poteva avere il piacere di fare per l'elegantissimo giovanotto. Randall Matthews aspettò che il manovale uscisse e tirò fuori di tasca uno scellino. «Venti Players, per favore» disse. Il signor Brown spinse un pacchetto attraverso il banco e prese in mano lo scellino. Randall aprì il pacchetto, ne estrasse una sigaretta e l'accese. Al di sopra della fiamma dell'accendino i suoi occhi cercarono di incontrare quelli del negoziante. «C'è Hyde?» domandò a bassa voce. Un'espressione guardinga calò come un sipario sulla faccia del signor Brown. «No» rispose. «E neanche so quando ci sarà.» Randall mise via l'accendino e tirò fuori un elegante portafoglio dal quale estrasse con la massima calma una banconota piacevolmente frusciante. «Un vero peccato» fu il suo commento. «Devo vederlo per una questione importante.» «Non posso dirle quello che non so» rispose il signor Brown, mentre aguzzava lo sguardo per la curiosità di scoprire se la banconota stretta fra le dita sottili del cliente fosse da dieci oppure soltanto da cinque sterline. «Forse dovrei dirle che io non sono un poliziotto. Anche se credo che uno di quelli che vanno in giro vestiti in borghese sia qua intorno.» «Crede che non lo sappia?» fece il signor Brown in tono sprezzante. «Io riconosco un piedipiatti a un chilometro di distanza.» Intanto, però, gli era balenato in mente che lo sconosciuto doveva possedere la stessa utilissima capacità, e quindi riprese con maggior rispetto nella voce. «Farà meglio ad alzare i tacchi. Non voglio altri guai, più di quelli che ho già, e le posso dire subito chiaro e tondo che il signor Hyde qui non c'è e che non ha più messo piede da queste parti da almeno dieci giorni.» «Considerando la presenza di quel tipo che c'è fuori la notizia non mi sorprende affatto» rispose Randall. «Ma sono convinto che potrebbe indicarmi come fare a mettermi in contatto con lui... naturalmente dietro un adeguato corrispettivo in denaro.» «Be', e invece non potrei» rispose seccamente il signor Brown. «Si può
sapere cosa vuole da lui?» Le labbra di Randall si incurvarono in un lento sorriso. «Di solito, chi viene a trovare Hyde si confida con lei?» domandò. Ci fu una piccola pausa. Il negoziante lo fissò con aria corrucciata, prima di rispondere alla domanda. «Stia un po' a sentire: io non so, più di quanto lo sappia lei, dove si trova il signor Hyde, ma c'è di più. Ne ho fin sopra i capelli di lui e dei suoi giochetti! Lei adesso alza i tacchi e se ne va, come le ho già detto, prima che quel piedipiatti che c'è fuori cominci a insospettirsi sul suo conto. Ecco il mio consiglio!» Randall lo squadrò con aria pensierosa. «Se lasciassi qui una lettera per lui e la mettessi nelle sue mani, gli verrebbe consegnata? Oh, sempre dietro il debito corrispettivo, naturalmente.» Il signor Brown si affrettò ad allungare un'occhiata verso la porta del negozio. «Ecco, anche quello non sarebbe possibile perché non saprei dove consegnarla. Ma si può sapere cosa vuole? Cos'è tutta questa maledetta fretta di mettersi in contatto con il signor Hyde?» «Non credo che sia necessario fornirle informazioni in proposito. Il fatto è, molto semplicemente, che ho degli affari con lui... affari importanti, ecco. Chissà se le potrebbero far comodo dieci sterline...» «È inutile, gliel'ho già detto. Se n'è andato... è sparito.» «Sì, questo l'avevo già capito» disse Randall. «Ma a lei potrebbe comunque fare comodo guadagnare dieci sterline, eh?» «Già, ma come?» Si lasciò sfuggire involontariamente il signor Brown. «Oh, nel modo più facile possibile. Può dirmi dove Hyde tiene le sue carte.» «No. A parte il fatto che non lo so.» Randall lasciò cadere la sigaretta fumata a metà sul pavimento e la spense schiacciandola con il tacco della scarpa. «Che delusione! L'informazione avrebbe potuto meritare un bel mucchio di denaro... Non solo, ma se avesse conservato qui una qualsiasi corrispondenza indirizzata al signor Hyde, anche quello potrebbe valere dieci sterline, forse anche di più.» «Io non ho nessuna corrispondenza» mormorò il negoziante. «Cosa crede, che voglia tener qui anche soltanto una lettera, con quei piedipiatti che cacciano il naso dappertutto? Qualsiasi corrispondenza sia arrivata... e badi bene, non dico che ne sia arrivata... l'ho bruciata, com'è vero Dio! Insomma, glielo ripeto: io ne ho piene le tasche di tutta questa storia.» Rimase a
osservare Randall che tornava a infilare la banconota nel portafoglio. Il lieve fruscio che accompagnò quel gesto fece illuminare i suoi occhi di un lampo di dispiacere e di avidità. Si passò la lingua sulle labbra. «Come faccio a sapere che non mi aizzerà contro i piedipiatti... sempre supponendo che ci sia qualcosa che potrei raccontarle?» «Non può saperlo, infatti» rispose Randall affabilmente. «Ma dal momento che non può raccontarmi niente di quello che mi interessa sapere, non è il caso di mettersi tanto in agitazione.» Il portafoglio venne richiuso e la mano che lo stringeva fece lentamente il gesto di infilarlo di nuovo nella tasca interna della giacca. Il signor Brown allungò un'altra occhiata alla porta e dopo essere rimasto incerto per un momento si sporse leggermente attraverso il banco e parlò sottovoce. «Potrei raccontarle qualcosa per quel che riguarda le carte e i documenti, ma non le servirà a un bel niente. Mi sembra che il mio sia un avvertimento onesto, non le pare?» Randall tirò fuori di nuovo il portafoglio. «Dove si trovano?» «In un posto dove nessuno può arrivare a metterci su le mani. Non che io lo sappia proprio con sicurezza, e può darsi che lui le abbia portate via con sé...» «È un rischio che mi sento di correre.» «Ecco... le teneva in una di quelle cassette di sicurezza delle banche» disse il signor Brown di malavoglia. «Naturalmente. Quale?» «Questo non lo so. Non me l'ha mai detto, né io l'ho chiesto. L'avevo avvertita che non le sarebbe servito a un bel niente, no?» «Dove teneva la chiave?» «Appesa alla catena dell'orologio. Non la toglieva mai di lì. Io l'ho vista più di una volta. È tutto quello che so, e se non è abbastanza non può dire che non l'avevo avvertita.» «Appesa alla catena dell'orologio» ripeté Randall, mentre il sorriso si spegneva sulle sue labbra. Il signor Brown, che lo stava osservando con attenzione, pensò che l'espressione apparsa sulla sua faccia in quel momento era decisamente inquietante, e si sentì a disagio. «Non è colpa mia se l'informazione non le garba neanche un po'. Le ho detto la verità, quindi mi dia una mano, anche perché più di tanto non avrei potuto fare. Cosa può valere la promessa di non raccontare la stessa cosa
alla polizia?» «Non riesco assolutamente a credere che sia così ansioso di confidarsi con la polizia, ma per me vale... né più né meno quello che ho detto che sarei stato disposto a pagarle.» Il signor Brown allungò una mano avida per impossessarsi della banconota. Un sorriso si disegnò sulla sua faccia. «Lei ci teneva moltissimo a saperlo, vero? Spero che sia rimasto soddisfatto.» «Assolutamente» disse Randall, e con un colpetto alla banconota gliela fece cadere in mano. Dopo aver controllato con una rapida occhiata che fosse quella giusta, il negoziante se la cacciò in tasca e allungò un'altra occhiata perplessa a Randall. Lo osservò riporre il portafoglio e infilarsi un guanto, e a un certo punto aggrottò la fronte. «Ma io non l'ho mai vista prima?» «Mi sembra estremamente improbabile.» «Che buffo! Eppure appena è entrato nel negozio ho avuto la sensazione di aver già visto lei o uno come lei in qualche posto.» Randall s'immobilizzò per un attimo, mentre stava allungando la mano verso il bastone di malacca posato sul banco, e gli consentì di guardarlo negli occhi. «Ci provi di nuovo» disse amabilmente. «Proprio sicuro di avermi già visto?» Lo sguardo del signor Brown sfuggì subito quello attento, incisivo e stranamente luccicante, di Randall. «No... non so come ho potuto dirlo» osservò incerto. «Non tanto da esserne proprio sicuro, a ogni modo. Ma c'è qualcosa nel suo aspetto che mi ha colpito come se fosse un po' familiare, tutto qui. Non volevo offenderla.» «Non sono affatto offeso. Ma lei non mi ha mai visto prima d'ora, signor Brown, glielo garantisco. E molto probabilmente non mi rivedrà mai più.» «Sono capace di tenere il becco chiuso, non si preoccupi!» Un sorriso, che al signor Brown piacque ancor meno dell'espressione che vi era affiorata pochi minuti prima, e che già gli era piaciuta poco, passò d'un lampo sulla faccia di Randall. «No, non me ne preoccupo affatto» gli rispose, e uscì dal negozio con il suo solito passo lento ed elegante. L'agente Peel, che lo stava osservando dal lato opposto della strada, fece
il ragionamento che poteva tornare utile seguirlo a una certa distanza e con discrezione. Il rapporto che, qualche ora più tardi, fece al sovrintendente Hannasyde interessò notevolmente quest'ultimo. «Il signor Randall Matthews» disse piano. «Sì, hai fatto benissimo a seguirlo. Quanto tempo è rimasto nel negozio?» «Più o meno venti minuti» rispose Peel. «È arrivato giù per la strada come se non gliene importasse un accidenti di niente e di nessuno.» «Non ne dubito affatto, conoscendolo» disse Hannasyde. «Può darsi, naturalmente, che non gli sia neanche venuto in mente che tenevamo sotto controllo il negozio.» Cominciò a battere ritmicamente sulla scrivania con la matita. «Sto pensando che varrebbe la pena di mettere sotto controllo il signor Randall Matthews. Suppongo che tu non abbia ascoltato quello che è stato detto nel negozio, vero?» «No, sovrintendente. È un po' difficile girellare intorno alla porta con tanta gente che va e viene» rispose Peel in tono di scusa. Hannasyde annuì. «Sì, capisco. Non ha importanza. Ma m'interesserà vedere quale può essere la mossa successiva del signorino.» La mossa successiva del signorino fu assolutamente irreprensibile. Il pomeriggio del giorno seguente, abbigliato con sobria eleganza in un tight dal taglio perfetto, un lucente cappello a cilindro calcato a un angolo sconvenientemente sbarazzino sugli ancora più lucenti capelli neri, a bordo di una limousine presa a nolo raggiunse Grinley Heath per assistere al funerale dello zio. Il servizio funebre venne tenuto nella chiesa parrocchiale e i presenti furono pochissimi. All'infuori dei parenti del defunto c'erano soltanto i Rumbold, il dottor Fielding e il signor Nigel Brooke, un giovanotto alto con i capelli biondi ricci e un profilo che Brooke, da quando in un momento di aberrazione qualcuno gli aveva detto che più greco di così non sarebbe potuto essere, sembrava un po' troppo desideroso di esibire in pubblico anche nei momenti meno opportuni. Il bellimbusto, apparentemente in vena di confidenze, informò sottovoce il dottor Fielding di aver fatto la sua apparizione alla cerimonia soltanto perché voleva che le convenienze fossero rispettate. «Parlando, invece, per quello che mi riguarda» soggiunse «considero i funerali come un puro e semplice residuo dell'epoca barbarica. E credo che lei la pensi allo stesso modo.» «Veramente non ho mai pensato che valesse la pena di prendere in con-
siderazione la questione» rispose Fielding. Una risposta del genere non era incoraggiante, ma il signor Brooke riprese imperterrito. «Ho una certa tendenza a pensare che questo punto di vista sia singolarmente indicativo dello spirito dell'epoca.» «Non ne sarei affatto sorpreso.» «Purtroppo ho paura» disse ancora il signor Brooke passando a un nuovo argomento «che il caro, vecchio Guy sia rimasto troppo profondamente colpito da tutto questo.» «Mi sembra che non ci sia da meravigliarsi.» «E così ci si sente portati a spiegarlo piuttosto come l'espressione di un vero e proprio temperamento artistico, e non di un profondo dolore per la morte dello zio.» «Lo penserei anch'io.» «In fondo il vecchio Matthews era il classico tipo del fetente, o sbaglio?» esclamò il signor Brooke, abbandonando per un attimo l'affettazione di poco prima. A questa battuta il dottore non diede risposta, e dopo una breve pausa il signor Brooke decise comunque di proseguire. «Qui c'è una donna che, alla prima occhiata, sembra messa insieme con crine di cavallo e tubi d'acciaio.» «Cosa?» «Ah, forse lei lo giudica un po' troppo azzardato, e me l'aspettavo» disse il giovanotto con un sorriso di superiorità. «Comunque, non si dovrebbe mai aver paura dei contrasti. È una lezione che ho imparato molto presto nella mia carriera, e mi creda, spesso ho usato gli anacronismi più stupefacenti per ottenere risultati di un successo incredibile.» «Non ho la più vaga idea di quale sia il soggetto del suo discorso.» Lo sguardo del signor Brooke si era posato con aria sognante sulla signora Lupton, che in quel momento stava per risalire in macchina. «Quella donna» replicò semplicemente. «Non sembra anche a lei? Naturalmente bisognerebbe resistere alla logica tentazione di ricoprire il tutto di peluche rosso.» Il dottore gli scoccò uno sguardo di antipatia e si allontanò. Intanto la famiglia Matthews stava uscendo alla spicciolata sul sagrato della chiesa, ciascuno in cerca della propria automobile, e Owen Crewe stava tentando ansiosamente di far capire a sua moglie, per mezzo di un corrucciato mutismo, di non avere nessuna voglia di accompagnarla a casa di suo padre a prendere il tè. Per sua disgrazia, Agnes non era pronta a ri-
cevere messaggi che le venissero inviati sotto tale forma, e invece di confermare l'assoluta urgenza di un immediato ritorno in città da parte sua e del consorte accettò l'invito della signora Lupton sostenendo che ne sarebbe stato felicissimo anche lui. La faccia scura con la quale Owen accolse questa interpretazione dei propri desideri non avrebbe potuto essere fraintesa neppure dalla più cieca delle mogli, e infatti Agnes lo intuì. «Non te ne importa, vero, caro? Mi pareva di aver sentito che ti saresti preso il resto del pomeriggio di libertà...» «Voglio togliermi questa roba di dosso» le spiegò Owen con l'aria di chi è stato trascinato controvoglia a un ballo in costume. «Non sono un cicisbeo come il tuo cuginetto Randall, e mi sembra di fare la figura dell'imbecille, vestito in questo modo!» Randall, che era riuscito a far indispettire non soltanto la signora Lupton, ma anche Harriet, stringendo affettuosamente la mano di Zoe e manifestando con voce preoccupata il timore che la dolorosa natura dell'occasione potesse influire gravemente sui suoi nervi scossi, si era allontanato per raggiungere i Rumbold, che stavano aspettando la macchina. «Come va?» disse. «Uno spettacolo veramente toccante, eh?» «Ma... ecco... potrebbe spiegarsi meglio?» domandò la signora Rumbold. «Alludo a quello dei miei parenti che fingono di manifestare un decoroso dispiacere.» «Ma le sembrano cose da dire, signor Matthews? Sono sicura che il loro dolore è sincero. Cioè, mi spiego, mi pare logico... Non trovi anche tu, Ned?» «Sì. Secondo me è un po' ingiusto partire dal presupposto che nessuno di loro provi anche soltanto un po' di rimpianto.» Randall inarcò le sopracciglia. «Da quanto tempo conosce la mia amorevole famiglia?» «Da tre anni.» «E la sua buona fede resiste ancora! Immagino che rimarrebbe scandalizzato se mi azzardassi a domandare quale fra tutti gli affezionati parenti di mio zio, secondo la sua meditata opinione, è la persona più probabile da sospettare.» «Sì, è proprio quello che farei» ribatté Rumbold in tono severo. «Come sono convinto che tu non dovresti fare neanche a te stesso una domanda del genere.» La signora Rumbold, timorosa che Randall si sentisse mortificato da una
simile battuta, si affrettò a intervenire. «Ecco, sono sicura che chiunque potrebbe essere perdonato, se si facesse venire qualche sospetto simile, tenendo conto del modo in cui erano quasi sempre ai ferri corti. So che non si dovrebbe parlar male dei defunti, ma la mia convinzione è che il signor Matthews fosse assolutamente insopportabile. Quando si parla di persone prepotenti e scortesi... Be', a mio giudizio la palma sarebbe toccata a lui. E così litigioso, poi...» «Mia cara, non hai nessuna ragione di dire cose simili.» «No, però l'ho visto all'opera con la sua famiglia e posso dire soltanto questo: se uno riesce a essere beneducato e cortese con gli estranei, può esserlo anche in casa propria. Non che lui fosse educato e cortese neanche con gli estranei, perché lo sanno tutti che è stato di una vera e propria villania con il parroco, per non parlare del modo in cui si comportava nei confronti del dottor Fielding. E non gli fa onore che tu gli fossi simpatico, Ned, perché tu sei simpatico a tutti.» «Frottole!» sbottò suo marito. «Gli ero simpatico perché accettavo sempre di buon grado di fare una partita a scacchi con lui.» I suoi occhi ebbero un lampo divertito. «E perché era persuaso di potermi sempre battere.» «Sì, ho sempre sospettato che lei fosse la personificazione del tatto nei suoi rapporti con mio zio» osservò Randall con aria pensosa. «Come me. Questo evitava molte seccature.» La signora Rumbold proruppe in una risatina sommessa. «Oh, signor Matthews, come se lei si fosse mai preso la briga di mostrare un po' di tatto in tutta la sua vita!» «Forse sarebbe opportuno che spiegassi che il tatto, fra nipoti e zio, consisteva nel nostro caso semplicemente nell'evitare di chiedergli dei soldi.» «Bene, dicono che la virtù è già una ricompensa di per sé, vero?» osservò la signora Rumbold. «Come vorrei che qualcuno mi lasciasse in eredità un patrimonio semplicemente per essere stata, come lei dice, piena di tatto.» «Anche questa faccenda dell'eredità ha i suoi svantaggi» affermò Randall un po' seccato. «Mette idee strane in testa ai poliziotti, tanto per cominciare, e una cosa del genere, per quanto possa essere divertente fino a un certo punto, finisce per diventare un fastidio.» «Per carità!» disse la signora Rumbold, diventando un po' rossa. «Nessuno pensa sul serio che lei abbia qualcosa a che fare con quello che è successo. Vero, Ned?» «Quello che lei vuole veramente dire» la corresse Randall con gentilezza
«è che tutti hanno paura che io non possa aver avuto niente, ma proprio niente a che fare con quello che è successo.» La signora Rumbold scoprì di non saper che cosa rispondere a questa battuta, così fu suo marito a ribattere seccamente a quell'uscita. «Di fronte a quello che tu stesso dici, è un po' difficile sollevare qualche obiezione sul fatto che i tuoi parenti possano domandarsi se non potresti essere proprio tu il colpevole.» «Oh, ma io non mi pongo simili obiezioni... assolutamente!» Il giovanotto adocchiò un po' di polvere sulla manica della giacca e la tolse accuratamente con un colpetto del guanto che teneva nell'altra mano. «Il che mi fa venire in mente» riprese «che mi sono completamente dimenticato di congratularmi con la mia brillante e intelligente zia Zoe per le bellissime parole che ha rivolto al mondo tramite la stampa. Adesso, tutto considerato, dovrò andare ai Pioppi.» Rumbold non poté trattenersi, a dispetto di se stesso, dal soffocare la risatina che gli era salita improvvisamente alle labbra. «Perché prendersi un fastidio del genere?» «Io non trascuro mai i piccoli gesti di cortesia.» La signora Rumbold lo seguì con gli occhi mentre si avviava senza fretta verso la limousine che aveva noleggiato per l'occasione, e osservò che il giovanotto era proprio un bell'originale. «Che strano ragazzo» disse il marito guardandolo allontanarsi. «Non sono mai riuscito a capire come giudicarlo. Sono tutte pose, le sue, oppure è veramente maligno come sembra che voglia farci credere?» I parenti di Randall non avevano il minimo dubbio in proposito. Il suo arrivo fu accolto soltanto da una persona della famiglia con quello che poteva essere considerato un vago consenso, e fu proprio Stella, cosa abbastanza stupefacente, che dalla finestra della biblioteca lo vide scendere dalla limousine e agitò una mano. «Oh, bene! Ecco Randall.» La signora Matthews, molto scortesemente interrotta nel bel mezzo del patetico sproloquio che stava facendo sulla morte, la fragilità umana e quelle che erano state le proprie riflessioni durante la funzione funebre, sospirò e disse che la rattristava doppiamente dover riconoscere che perfino la sua stessa figlia dimostrava tanto poco interesse per le cose serie, mentre Guy fissava sua sorella con gli occhi sgranati. «Cos'hai detto? Bene? Ma ti ha dato di volta il cervello o cosa?» «No» rispose lei con asprezza. «Per niente! Ma ti assicuro che preferisco
Randall con tutte le sue punzecchiature bisbetiche piuttosto che questa... questa atmosfera di finta commozione. Perlomeno lui è normale, mentre tu, la mamma e la zia Harriet sembrate i personaggi di un'opera teatrale russa.» «Mi auguro» disse la signora Matthews con un fremito di collera nella voce «che tu sia stanca e nervosa, Stella. Perché potrebbe essere l'unica scusa accettabile per questo modo di comportarti. Mi addolori in un modo veramente inesprimibile.» Randall era entrato nella stanza all'inizio di questo discorsino, e fermandosi di botto sulla soglia si volse a guardare sua zia con apparente preoccupazione. «No, no, questo non possiamo crederlo! In questo momento, forse, ti ritrovi senza la tua solita capacità di esprimere quello che provi, ma troverai presto le parole adatte, mia cara zia. Dai tempo al tempo. In fondo, quando mai è successo che tu non trovassi i termini più convenienti per qualsiasi occasione?» Stella voltò le spalle e si mise a guardar fuori della finestra, mordendosi le labbra. Perfino la signorina Matthews smise di tirar su col naso e si permise di abbozzare un sorrisetto acido. La signora Matthews pregò Randall di ricordare che si trovavano in una casa in lutto. «Mia cara zia, non hai nessun messaggio consolatorio da offrirci, nessun pensiero elevato per accompagnarci sino alla fine di questa triste giornata?» «Ma non hai proprio niente di sacro, Randall?» replicò Zoe con aria tragica. «Certo. Il mio aspetto personale, per me, è assolutamente sacro. E sono scandalizzato a sentirmi fare una simile domanda.» Stella trasalì. «Randall!» disse con voce strozzata. «Sei un imbecille!» fu il commento di Guy. «E tu sei ingiusto nei miei confronti, cuginetto. Carissima zia, non prendere quell'aria così offesa. Io son venuto appositamente per complimentarmi col tuo messaggio rivolto al pubblico che legge giornali. È stato impareggiabile. E direi che soltanto le commoventi parole della graziosa Rose Daventry dagli occhi cerulei sono da mettere sullo stesso piano.» Il suo sguardo ironico si posò sulla signorina Matthews. «Zia Harriet, devo avvisarti che ho tutte le intenzioni di fermarmi per il tè. So benissimo che non ci sarà torta a sufficienza perché tutti ne abbiano una fetta, ma la mia speranza è che né tu né la povera cara zia Zoe abbiate la forza di mangiare
qualcosina. Adesso vado di sopra a lavarmi le mani, così avrete tutto il tempo di pensare a una risposta mordace con cui accogliermi quando torno.» «Aprì la porta mentre parlava, e dopo aver lanciato un sorriso incoraggiante a entrambe le zie uscì dalla stanza. Si lasciò alle spalle un'atmosfera carica di ostilità. Le zie si unirono nella condanna del suo comportamento, della sua moralità e della totale mancanza di commozione. Guy soggiunse che se aveva qualcosa da dire in proposito era solo per confermare la stramaledetta arroganza che il cugino mostrava nei loro confronti, mentre Stella rimase seduta dov'era a guardare, corrucciata, la porta chiusa. Guy, che se n'era accorto, la fissò.» «Cosa c'è che ti rode, sorellina? Credevo che tu fossi contenta di vedere quel piccolo raggio di sole, o no?» «Non me importa niente di lui» ribatté Stella spazientita. «Anzi, gli sono grata perché ha creato un diversivo. Ma non sono convinta che le sue mani avessero bisogno di essere lavate.» «Si può sapere cosa diavolo stai blaterando?» Stella rimase a fissarlo per un momento. «Oh, lascia perdere!» disse poi, uscì in fretta dalla stanza e si avviò alle scale di corsa. Non aveva ancora raggiunto il pianerottolo che Randall stava già ridiscendendo. Si fermò di botto e alzò gli occhi a guardarlo, la mano appoggiata sulla balaustrata. Lui sorrise e continuò a scendere a passo lesto. Quando arrivò alla sua altezza, le fece una rapida carezza su una guancia con la punta di un dito. «Piccola Stella sospettosa!» disse dolcemente. «Ti piacerebbe sapere che cosa ho combinato, cocca?» «Sì, certo che mi piacerebbe.» «Mi sono soltanto lavato le mani, tesoro. Mi sono soltanto lavato le mani» disse Randall. Un'ora più tardi era di nuovo a casa propria e stava telefonando ad Hannasyde. «Oh... sovrintendente!» disse in tono di scusa. «C'è qualcosa che mi sento in dovere di riferirle. Come sono contento di averla trovata in ufficio.» «Di che si tratterebbe?» «Il poliziotto che mi sta alle calcagna» riprese Randall in tono lamentoso. «Non gli si può dire che non è corretto portare le scarpe marrone con un vestito blu, eh?»
10 «Be', che mi venga un accidente!» disse il sergente Hemingway. «Proprio così» fu il secco commento di Hannasyde, che prese di nuovo in mano il giornale per leggere una volta di più l'annuncio in prima pagina. «"Il 22 maggio 1935, in una casa di cura, è deceduto improvvisamente, a 50 anni di età, John Hyde, abitante al n. 17 di Gadsby Row. Niente fiori su precisa richiesta dell'estinto."» Il sergente si grattò il naso. «E c'è di più, capo. Potrebbe essere vero» dichiarò. «Cosa dice? Ah, sì, improvvisamente. Così tutto si spiega. Intanto che noi non facevamo che dargli la caccia quel poveretto era all'ospedale con l'appendicite. Non c'è da meravigliarsi se non lo rintracciavamo... Bene, e adesso cosa si fa?» «Vada negli uffici del giornale e cerchi di sapere chi ha messo quell'annuncio» fu l'ordine che Hannasyde gli diede in tono piuttosto irritato. «E veda anche di tenere sotto controllo questa sua immaginazione infernale!» Il sergente scrollò la testa con aria triste. «Lo sapevo che questo caso ci avrebbe ridotto con i nervi a pezzi prima di arrivare a risolverlo» commentò, e uscì dalla stanza senza aspettare che il suo superiore avesse il tempo di rispondergli. Dopo un po' ricomparve. «Ho una sorpresa per lei, sovrintendente» disse. «L'annuncio è stato mandato da un generale, sir Montague Hyde, di Crayly Court, Hertfordshire.» «Cosa?» «Non sapevamo che avesse parenti di alta classe come questi, eh?» fece il sergente tutto giulivo. «E chi sarebbe sir Montague Hyde?» Il sergente consultò il foglietto che teneva in mano. «Nato nel 1871... figlio primogenito di sir Montague Hyde, quinto baronetto... ha studiato a Eton e a Sand...» «Non voglio sapere dove ha studiato, e puoi anche farla breve con la guerra boera, la guerra mondiale e le sue decorazioni, se mai gliene hanno date!» sbottò Hannasyde. «Quali sono i club di cui è socio? Ha un indirizzo, qui a Londra?» «Green Street, Mayfair. Quanto ai club: il Boodle's e il Cavalry.» Hannasyde diede un'occhiata all'orologio. «Se è in città, forse riesco a trovarlo ancora in casa» disse, e si alzò affrettandosi a prendere il cappello
e una copia del quotidiano. Il generale era in città, ma un austero maggiordomo, guardando il sovrintendente Hannasyde dall'alto in basso, lo informò in tono gelido che stava ancora facendo colazione. Hannasyde manifestò la propria buona volontà di aspettare i comodi del generale e gli fece consegnare il proprio biglietto da visita. Venne fatto passare in una stanzetta che guardava sul retro della casa e poco dopo il maggiordomo tornò a informarlo che sir Montague lo avrebbe ricevuto nel giro di pochi minuti. Un quarto d'ora più tardi il generale, un bell'uomo anziano con i capelli grigio ferro e il naso aquilino, entrò nella lugubre stanzetta, salutò Hannasyde con un cenno del capo e dopo aver allungato un'occhiata al biglietto che teneva in mano, con la voce di chi è abituato a comandare interi eserciti, lo interrogò. «Ebbene, sovrintendente? Cos'è questa faccenda?» «Devo chiedere scusa per essere venuto a cercarla a un'ora così antelucana, signore, ma la mia attenzione è stata richiamata da un particolare annuncio che è apparso sul giornale di oggi per il quale, a quanto mi è stato detto, lei è il responsabile.» «Di cosa diavolo sta parlando, brav'uomo? Quale annuncio e su quale giornale?» Hannasyde glielo mostrò, puntando il dito sull'annuncio mortuario. L'alto ufficiale, dopo avergli dato, stavolta, uno sguardo estremamente sagace e penetrante, tirò fuori un paio di occhiali e dopo averli messi sul naso se ne servì per scrutare l'annuncio mortuario di John Hyde. Poi abbassò il giornale, si tolse gli occhiali e manifestò il desiderio che gli venisse spiegato cosa questo tizio avesse a che fare con lui. «Sono stato informato, signore, che l'annuncio è stato pubblicato dietro sua richiesta» rispose Hannasyde. «Lei è stato informato? Chi l'ha informata?» «L'ufficio del giornale in questione.» «In tal caso mi consenta a mia volta di informarla, sovrintendente, che l'informazione da lei ricevuta è errata! John Hyde? Mai sentito parlare di questo individuo in vita mia.» Hannasyde intuì subito che il generale era dispiaciuto. E si sentì domandare all'istante di spiegargli che cosa Scotland Yard volesse sapere in merito. Così lui si affrettò a spiegarlo, il più brevemente possibile, ma il suo ospite, affermando di non avere il minimo interesse per quelle che poteva-
no essere le stramaledette attività di Scotland Yard e di non volerne neanche sentire parlare, pretese piuttosto di sapere chi era stato quel mascalzone, quella faccia di bronzo che aveva osato servirsi del suo nome. Quando scoprì che Hannasyde non poteva fornirgli la minima indicazione in proposito giurò sul proprio onore di essere stupefatto di fronte a un simile modo di agire da parte di Scotland Yard. Non solo, ma adesso si aspettava dal sovrintendente che si mettesse immediatamente alla ricerca della persona che si era azzardata a fargli uno scherzo così sfrontato. Quanto a lui, aveva tutte le intenzioni di andare a fondo della faccenda. Hannasyde lo lasciò venti minuti più tardi, furibondo e smanioso di vendicarsi ma anche pieno di compassione per l'innocente redattore che stava per ricevere la sua visita. Andò alla redazione del giornale, ma poté scoprire ben poco anche lì. L'annuncio era arrivato, scritto a macchina, accluso a un mezzo foglio della carta da lettere con l'intestazione del Cavalry Club e con sopra, sempre scritti a macchina, il nome e l'indirizzo di sir Montague Hyde. «Dunque non è stato Brown» disse il sergente, sicuro di sé. «Che sia un bello sfacciato siamo d'accordo, ma non ha di sicuro il coraggio necessario a entrare come se niente fosse al Cavalry Club a chiedere che gli diano un foglio di carta da lettere debitamente intestato. Figuriamoci, neanch'io avrei avuto la faccia di fare una cosa del genere. Adesso che ci penso, chiunque sia stato deve aver avuto un coraggio da rinoceronte.» «Sì» disse Hannasyde. «E anche un certo senso dell'umorismo. A proposito, ho fatto sospendere a Ferguson quella sorveglianza.» «Davvero? Cosa devo pensare, che non avesse un paio di scarpe nere?» Hannasyde ignorò questa battuta di un sarcasmo un po' pesante. «A cosa serviva tenere Matthews sotto sorveglianza se lui se n'era accorto? È riuscito a squagliarsela e a far perdere a Ferguson le sue tracce per ben tre volte, lo sa?» «Se vuole che le dica come la penso io, si è lamentato delle scarpe unicamente allo scopo di costringerla a dare a Ferguson l'ordine di non pedinarlo più.» «La lamentela sulle scarpe era stata fatta soltanto per darmi fastidio» disse Hannasyde. «Avrebbe potuto squagliarsela e far perdere le sue tracce al poliziotto che lo pedinava in qualsiasi momento. Se tu sai di essere seguito, a Londra è un gioco da ragazzi.» Rimase soprappensiero per un momento. «Se è stato lui a far pubblicare l'annuncio mortuario, qual era il suo scopo?»
«Buttare le cose sul comico per prendere un po' di tempo» insinuò il sergente. Hannasyde lo guardò con la fronte aggrottata. «Le carte di Hyde» disse bruscamente. «Qualcuno vuole metterci su le mani.» «Be', anche a noi non dispiacerebbe dare un'occhiatina a quella roba, ma se il giovane Matthews è riuscito a cavare di bocca a Brown il nome dell'avvocato di Hyde, è più abile di me, non posso dire altro. A meno che non lo sapesse fin dal principio. Ma non ci credo.» «Matthews non sarebbe riuscito a farsele consegnare da un avvocato puntando soltanto sull'annuncio mortuario. E se le carte non fossero... Buon Dio, come ho fatto a non pensarci? Una cassetta di sicurezza, sergente! Si procuri i nomi di tutti i più importanti depositi di cassette di sicurezza bancarie che ci sono a Londra: non devono essere molti. Dobbiamo impedire che qualcuno s'impadronisca di quei documenti... sempreché facciamo in tempo.» Ma non fecero in tempo. Al primo dei depositi al quale telefonò Hannasyde si sentì rispondere che i documenti e le carte del signor John Hyde erano stati ritirati un'ora prima da suo fratello, il signor Samuel Hyde, il quale aveva anche firmato una ricevuta alla banca medesima. Hannasyde, ringoiando una sfilza di bestemmie, si precipitò nella City più in fretta che poté, e si presentò di persona nel luogo indicato. La ricevuta per il contenuto della cassetta di sicurezza di John Hyde era firmata con una grafia inclinata da scolaretto. Il signor Samuel Hyde, gli riferì il funzionario che lo aveva ricevuto, aveva mostrato l'annuncio dell'improvvisa morte del fratello unitamente a una copia del testamento nel quale il proprio nome appariva come quello di unico esecutore testamentario. Il signor Samuel Hyde era in possesso delle chiavi del signor John Hyde, quindi tutto era risultato perfettamente in ordine. «Che tipo era? Un giovanotto vestito con eleganza?» «No, per niente» rispose il funzionario. «A dire la verità, non l'ho osservato con particolare attenzione ma sono sicuro che avesse i capelli grigi. E quella che definirei una carnagione abbronzata, come se fosse stato in Oriente. Non ricordo se fosse vestito con eleganza. Aveva addosso un soprabito... dall'aspetto molto strano. In effetti assomigliava al fratello... e gli assomigliava molto.» «Se è l'uomo che sospetto, c'è una cosa in lui che non può aver fatto a meno di notare. Aveva occhi azzurri vivacissimi e penetranti, e ciglia molto lunghe?»
«Purtroppo non glielo posso assolutamente dire» si scusò il funzionario. «Portava le lenti affumicate.» «Signore Iddio!» sbottò il sergente pochi minuti più tardi, quando avevano già lasciato l'istituto. «È proprio lui, capo. Chissà come, Brown è riuscito a dargli l'imbeccata! E se vuole sapere cosa ne penso, quando avremo messo le mani su questo signor Hyde fantasma avremo anche trovato l'assassino di Gregory Matthews. Ci pensi bene: prima di tutto c'è...» «Grazie, ci sto già pensando, e posso vedere che molto probabilmente la persona che ha fatto pubblicare l'annuncio della propria morte è sempre Hyde... se voleva scomparire. E posso vedere che per lui non può esserci stato niente di più facile che farsi fare un testamento nel quale una persona fittizia veniva indicata come suo esecutore testamentario. Ma quello che non vedo è per quale motivo abbia giudicato necessario truccarsi per diventare un po' più scuro di carnagione e fingere di essere qualcun altro unicamente per tirar fuori i documenti di sua proprietà dalla sua stessa cassetta di sicurezza. Se lei ha una risposta a tutto questo me la dia seduta stante.» «Veramente ce l'ho» ribatté il sergente. «L'annuncio della morte non è stato fatto per quelli delle cassette di sicurezza, sovrintendente. Ma per noi. Vuole persuaderci che è morto, e non è molto probabile che noi possiamo persuaderci di una cosa del genere, se veniamo a sapere che è entrato con i suoi piedi in quel posto e ha tirato fuori i suoi documenti dalla sua cassetta di sicurezza, le pare? Ha cervello, questo bel tipo, bisogna dirlo. Quando lei ha domandato a quelli del deposito di descrivere John Hyde, non hanno detto una sola parola sugli occhiali da sole. Hanno parlato solo vagamente di lenti affumicate. A quanto pare, li portava soltanto quando andava in Gadsby Row. Tutto quello che è riuscito a cavar di bocca ai funzionario è stato che si trattava di un uomo di mezz'età senza nessun segno caratteristico particolare. E adesso, ecco come vedo io la faccenda: casomai le fosse venuto in mente che poteva esistere una cassetta di sicurezza, Hyde voleva far mettere agli atti che non era stato lui a portar via tutto quello che c'era dentro. Ma per quanto io non possa definire molto osservatori quei funzionari con i quali abbiamo parlato poco fa, è logico pensare che avrebbero riconosciuto Hyde, se l'avessero visto. E allora ecco che lui, per evitare che questo succeda, mette le lenti affumicate, si trucca facendo diventare un po' più scura la pelle e si presenta come il fratello di Hyde. Semplice.» Hannasyde continuò a camminare a fianco del sergente, accigliato. «Può
darsi che lei abbia ragione» disse infine. «Però non riesco ad avere le idee chiare come vorrei. Senta un po', Hemingway, vada a cercare Brown e lo spaventi quanto basta per farsi raccontare cosa voleva Randall Matthews. Io vado a fargli una visitina.» «Posso anche mettere paura a Brown, ma sono pienamente convinto che per mettere paura al ragazzo Randall ci vorrebbe un'orda di elefanti imbizzarriti. E c'è di più: continuo a non capire perché lei si interessi tanto a Hyde. O a quei maledetti documenti, se vogliamo andare al nocciolo della questione. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, come suol dirsi, capo. A me sembra che, invece, è proprio quello che stiamo cercando di ottenere.» «Se lei vuole dire che questo caso è un gran pasticcio, lo so anch'io» disse Hannasyde con amarezza. «È sempre stato un gran pasticcio» confermò il sergente. «Il guaio è che più ci guardiamo dentro, peggio diventa. Un caos vero e proprio, ecco la verità. Ma quel che voglio dire è che se Hyde è l'uomo che stiamo cercando di rintracciare... per motivi che al momento sono ancora ignoti... Randall in tutto questo non c'entra. E se è stato Randall a commettere l'omicidio, Hyde non ha nessuna colpa in proposito.» «Eppure bene o male c'è una connessione fra loro. Deve esserci. Non pretendo di capire qual è, ma voglio scoprirla.» Il sergente si grattò il naso. «Be', mi vedo costretto a dire che io non la vedo affatto» confessò. «L'amico Randall aveva un movente per far fuori lo zio che è chiaro come il sole. Noi non sappiamo quale possa essere stato il movente di Hyde, ma come possa avere in qualche modo aiutato Randall a metter le mani su un bel patrimonio mi lascia di stucco. Non ha il minimo senso, da qualsiasi parte si provi a prenderlo in esame.» «Lo so, lo so. Ma devo seguire gli indizi che ho in mano. Randall non voleva che approfondissi le indagini sulla questione di Hyde. Ha parlato di scoperte deludenti e ha cercato di farmi credere che non provava il minimo interesse per Hyde. Però era interessato a sufficienza per fare una visita a Brown e rimanere quasi mezz'ora nel suo negozietto.» «Sì. E non mi meraviglierei affatto se conoscesse un paio di soci del Cavalry Club.» «Non c'è niente di più probabile. Bisogna che cerchi di spaventarlo con tutti i mezzi possibili.» «È lui, piuttosto, quello che spaventa gli altri» osservò il sergente con espressione tetra. «È la cosa più vicina a un serpente che mi sia mai capita-
to di vedere fuori dallo zoo.» E su questa dichiarazione si separarono, il sergente per salire su un omnibus, diretto alla banca, e Hannasyde avviandosi in direzione di St. James's Street. Trovò Randall a casa, occupato a sbrigare la corrispondenza alla sua scrivania. Quando Benson lo fece entrare nella stanza, senza alzare gli occhi da quello che stava facendo lo invitò con un gesto. «Entri, entri, per carità! E si accomodi, mio caro sovrintendente. Stiamo quasi per diventare compagni di bisboccia, mi pare. Troverà le sigarette su quel tavolo vicino al divano. Mi perdona se finisco questa lettera?» «Prego, la finisca pure. Perché voglio che lei mi dedichi tutta la sua attenzione.» «È quello che farò» rispose Randall, mentre la sua mano continuava a spostarsi sul foglio di carta. Firmò ciò che aveva scritto, chiuse la lettera in una busta e la sigillò. Poi tolse il ricevitore del telefono dalla forcella, compose un numero, e intanto che aspettava una risposta scrisse l'indirizzo sulla busta. Dopodiché prese un giornale, lo ripiegò alla pagina delle notizie ippiche e parlò al suo allibratore. Dopo aver piazzato tre scommesse, posò di nuovo il ricevitore sulla forcella e si alzò dalla scrivania. «I compiti più ardui della mia giornata sono stati eseguiti e adesso sono completamente a sua disposizione, sovrintendente» disse. «Il che mi fa venire in mente che devo ringraziarla per avere rimosso dalla sorveglianza alla mia persona quel signore con le scarpe marrone. È stato molto premuroso da parte sua, ma bastava fornirgli un paio di scarpe nere. Io non ho niente di personale contro quel poveretto, glielo posso assicurare. Anzi, trovavo che avesse una faccia simpatica e bonaria.» «Sarebbe sicuramente lusingato di sentire quello che lei sta dicendo» replicò Hannasyde. «Mi duole soltanto se la presenza del mio uomo ha limitato in qualche modo i suoi movimenti. Non era mia intenzione.» «Naturale che non lo era» convenne Randall affabilmente. «Forse ha indovinato il motivo per il quale sono qui oggi?» «Non credo proprio. A meno che non sia per domandarmi che cosa sono riuscito a sapere da quell'antipatico individuo di Gadsby Row.» Hannasyde provò all'istante il desiderio prorompente di prendere per il collo Randall. Invece rispose nel suo tono più controllato. «Sì, sono qui proprio per domandarle quello, signor Matthews.» «Felicissimo di saperlo. Ma ho paura di non avere scoperto niente di importanza vitale.»
«Secondo le mie informazioni, lei avrebbe domandato a Brown se sapeva dove Hyde conservasse i suoi documenti.» Era un colpo azzardato ma, se la sua intenzione era stata quella di costringere Randall a tradire, sia pure con un piccolissimo segno, il proprio imbarazzo, fallì nell'intento. «E le informazioni delle quali è in possesso includono anche la risposta di Brown?» domandò Randall cortesemente. «Sto aspettando che sia lei a darmi quella risposta, signor Matthews. E credo che sarebbe saggio se lo facesse.» «Mio caro sovrintendente, lei non deve pronunciare minacce velate, quando parla con me» disse il giovanotto in tono di garbato rimprovero. «Sono assolutamente inutili, mi creda. Se ignora dove siano le carte e i documenti di Hyde, anche se mi sembra quasi incredibile, glielo dirò io. In una cassetta di sicurezza. Non lo trova scoraggiante? E ho pagato dieci sterline per saperlo!» «E perché non è venuto a riferirmi questa notizia, signor Matthews?» «Per quale motivo avrei dovuto farlo? Se sono stato capace di scoprirlo io potevate arrivarci anche voi, che siete gli abilissimi esperti in materia, no?» «Noi esperti non possiamo ricorrere alla corruzione!» «Certo che una cosa del genere vi mette parecchi bastoni fra le ruote, come suol dirsi, eh?» «Perché tanto interesse per Hyde da parte sua? E così, all'improvviso? L'ultima volta che ci siamo visti si è dato molto da fare per convincermi di non provare il minimo interesse per quel personaggio.» «Lei mi ha contagiato con il suo entusiasmo, sovrintendente.» «Dice sul serio?» domandò Hannasyde in tono ironico. «Ed è stato il mio entusiasmo che le ha messo addosso la smania di scoprire dove venissero conservate le carte di Hyde?» «A rigor di termini non provavo nessuna smania di avere per le mani quelle carte. Ma quale esecutore testamentario di mio zio devo mettere a punto tutte le questioni che riguardano il suo patrimonio. E come tutto il resto, anche quella del signor Hyde dev'essere liquidata, non le pare?» «Ma allora non capisco per quale motivo si sia rifiutato di collaborare con me quando io sono venuto qui da lei a chiederglielo.» «Mio caro sovrintendente, se non sbaglio la sua visita precedente aveva avuto unicamente lo scopo di domandarmi che cosa sapevo sul conto di un certo John Hyde. Non sapevo niente, e gliel'ho detto. Non ricordo, invece,
che mi sia stato chiesto di collaborare con lei.» «In ogni caso, aveva perfettamente capito che io davo importanza a quel personaggio. Per quale motivo ha deciso di andare da Brown senza dirmelo?» «Per l'identica ragione per la quale ieri ho scelto di andare a farmi tagliare i capelli senza avvertirla, sovrintendente. E comunque non le pare che il fatto di non avergliene parlato fosse irrilevante? Ero sicurissimo che il suo scagnozzo di servizio in Gadsby Row le avrebbe riferito tutto quello che riguardava la mia visita.» «Certo, ma non sarebbe stato in grado di riferirmi quello che lei aveva scoperto, signor Matthews. Né lei ha fatto il minimo tentativo di rivelarmelo. Come devo interpretare la faccenda?» «La interpreti come preferisce. Ma gradirei ricordarle che io non sono alle dipendenze di Scotland Yard per raccogliere informazioni, e posso assicurarle che se lei immagina che io abbia l'abitudine di aiutare a titolo gratuito i poliziotti oppure qualsiasi altra persona, dev'essersi fatto un'idea singolarmente sbagliata del mio carattere.» «Signor Matthews» disse Hannasyde andando per le spicce. «Le dico francamente che l'atteggiamento che lei ha scelto di adottare non le sarà affatto utile. Anzi, mi porta a sospettare, e molto, che per qualche sua ragione personale non desideri che l'assassino di suo zio venga scoperto.» Le sopracciglia scure e molto espressive di Randall si inarcarono. «Non dovrebbe essere così prevenuto nei miei confronti, sa? Mi sta forse accusando di nascondere prove preziose? Vorrei farle notare che quando mi ha domandato se fossi riuscito a farmi rivelare da Brown dove Hyde tenesse le sue carte le ho risposto con la massima prontezza.» «Già, con la massima prontezza, ma quando era troppo tardi perché ci potesse essere di qualche utilità!» «Adesso lei parla per enigmi. Se vuole che la capisca deve esprimersi in modo più intelligibile.» «La meraviglierebbe molto venire a sapere che la cassetta di sicurezza di John Hyde è stata aperta stamattina presto, e tutto quanto conteneva è stato portato via?» Randall corrugò lievemente la fronte. «Non so se la cosa mi sorprenderebbe molto... Forse quell'uomo si è accorto dell'interesse che lei stava manifestando nei suoi confronti.» Hannasyde tirò fuori di tasca il giornale piegato e glielo porse. «Dia un'occhiata agli annunci mortuari, signor Matthews.»
Randall scorse con gli occhi la colonna indicatagli. «Guarda guarda... Sconcertante. Ed è proprio vero?» «Io ho ogni motivo di credere che sia totalmente falso. Però questo ha consentito a una persona che si è fatta passare per il fratello di Hyde di ottenere che la cassetta di sicurezza le venisse aperta, e poi di andarsene con tutto quanto conteneva.» «Non mi meraviglio che lei sia di cattivo umore» osservò Randall in tono pieno di simpatia. «Non riesce a rintracciare questa persona? E i funzionari incaricati del deposito delle cassette di sicurezza hanno forzato la cassetta per aprirla, oppure si sono serviti di un passepartout? Tutto questo mi sembra altamente irregolare.» «Non è stato necessario. Il presunto fratello aveva la chiave di John Hyde.» «Davvero? Be', questa notizia mi convince dell'utilità di passarle un'informazione che potrebbe esserle veramente utile. Brown mi ha detto che Hyde portava sempre quella chiave appesa alla catena dell'orologio.» Ci fu una pausa. Hannasyde rimase immobile a osservare il suo ospite da sotto le folte sopracciglia, e alla fine lo sollecitò. «Davvero?» «Sì» disse Randall, infilandosi una sigaretta fra le labbra, e frugandosi in tasca alla ricerca dell'accendino. Ma non c'era. Girò gli occhi per la stanza, lo vide sulla scrivania e, senza la minima fretta, andò a prenderlo. «Il che, quando uno ci riflette, anche se devo ammettere di non averci riflettuto a fondo, sembrerebbe suggerire che John Hyde è morto, oppure che la persona che si è fatta passare per suo fratello fosse in realtà Hyde medesimo.» Si accese la sigaretta e infilò l'accendino in tasca. «Oppure» continuò con aria meditabonda «potrebbe significare parecchie altre cose.» «Per esempio?» Randall buttò fuori due spirali di fumo dalle sottili narici. «Per esempio che sia stato derubato della chiave da qualche persona sconosciuta, o forse addirittura assassinato. Se fossi nei suoi panni, sovrintendente, cercherei un cadavere non identificato. In mancanza di quello, perché non cercare di scoprire chi è stato a far pubblicare quell'annuncio mortuario sul giornale?» «È quello che intendo fare» disse Hannasyde. Poi cambiò bruscamente argomento. «Le capita mai di andare al Cavalry Club, signor Matthews?» «Di frequente. Perché?» «C'è stato anche di recente?»
«Ci sono stato a pranzo un paio di giorni fa» rispose Randall senza la minima incertezza. «Ha qualche obiezione?» «Assolutamente nessuna, signor Matthews. E le capita mai di scrivere lettere sulla carta con l'intestazione di quel club?» «Assolutamente no» rispose il giovanotto con un certo sussiego. «Non sono socio del Cavalry. Ci sono altre cosette che gradirebbe le raccontassi?» «Sono molte le cose che gradirei sentirmi raccontare, in effetti, ma penso che per oggi non la disturberò oltre.» «Credo» disse Randall con un lieve sorriso «che per qualche suo oscuro motivo lei mi colleghi alla sparizione di Hyde, o delle sue carte, o dell'una e dell'altra cosa insieme. Avrebbe piacere di perquisire il mio appartamento?» Hannasyde, che era stato preso in contropiede, replicò in tono brusco. «No, signor Matthews, non ho nessun mandato di perquisizione per il suo appartamento, e anche se lo avessi suppongo che non troverei niente. E con questo le auguro il buon giorno.» Randall aprì la porta e lo seguì in anticamera. «Addio, mio caro sovrintendente. Oppure è più giusto che dica au revoir? Faccia una capatina da me ogni volta che passa da queste parti: è sempre un piacere vederla.» «Lei è troppo gentile. La saluto, signor Matthews.» Il sovrintendente uscì proprio mentre Stella Matthews stava salendo gli ultimi gradini delle scale che portavano al pianerottolo. «Ma guarda un po' se questa non è la mia adorata cuginetta Stella!» esclamò Randall con una nota di stupore nella voce. «Mia adorata, è possibile che tu sia venuta a trovarmi, oppure sei finita semplicemente nella casa sbagliata?» Lei mormorò un buon giorno al sovrintendente e aspettò che fosse scomparso oltre la curva delle scale. «No, sono venuta a trovare te... per questioni di affari» rispose. «Prima ho provato ad andare nell'ufficio del signor Carrington, ma era fuori, così ho pensato che a quel punto valeva la pena di venire a tastare il terreno qui da qui da te.» Entrò nell'anticamera grigio tortora e si guardò in giro con aria critica. «Che stanza strana» osservò. «Un po' come certi tentativi di Guy.» «Buon Dio!» replicò Randall con un filo di voce. «Mia povera bambina ignorante, ma non sei proprio capace di fare qualche distinzione?» «Io non sono d'accordo che le stanze siano così pretenziose nell'arreda-
mento. E questa la definisco maledettamente pretenziosa.» Randall assunse un tono pieno di affetto. «E adesso posso confidarti quello che penso del cappello che hai in testa, cocca?» «So anch'io che non è uno dei miei tentativi meglio riusciti» ammise Stella con candore. «Quindi non è il caso che ti prenda il disturbo di farlo. Dove possiamo andare a parlare?» «Qua dentro» disse lui precedendola in biblioteca. «E per favore, non esitare a dirmi quello che pensi di questa stanza. La tua opinione è totalmente priva di valore, ma mi dispiacerebbe che ti sentissi obbligata a tenerla per te.» «Ecco, devo dire che non mi dispiace. Un po' opulenta, forse, ma sono affari tuoi.» Stella si avvicinò al camino, ispezionò la statuetta di bronzo che c'era sulla mensola e cominciò a parlare, un po' esitante. «Ascolta... io... Probabilmente ti stai domandando cosa diavolo sono venuta qui a fare.» «No» disse Randall, appoggiando un dito sul campanello. «Sei venuta perché vuoi che io faccia qualcosa per te. Ho poche illusioni, cocca.» «No, non è vero. Non esattamente, almeno... ecco, sarà meglio che mi spieghi.» «Rimanda le spiegazioni fino a quando non ti sarai tolta quel cappello e data un po' di cipria sul naso.» «Non ho intenzione di toglierlo. Mi fermo soltanto un minuto.» «Che tu sia venuta per un minuto o per un'ora, mi rifiuto di dover guardare un oggetto tanto di cattivo gusto. Non ti ho invitata io a venire da me, e se non te ne importa di diventare presentabile, puoi andartene subito» disse lui gelido. Stella arrossì, ma si tolse e buttò da parte quel cappello così offensivo. «Non perdi molte occasioni di renderti insopportabile, vero?» «Faccio ogni sforzo per essere all'altezza delle tue aspettative, amore mio» disse Randall, e si girò intanto che Benson entrava. «Lo sherry, Benson. Oppure preferisci un cocktail, Stella?» «Non voglio né l'uno né l'altro, grazie.» «Va bene lo sherry, Benson. E prepari un posto a tavola per la signorina Matthews.» «Ma io non sono venuta a pranzo!» «Prepari un posto a tavola per la signorina Matthews» ripeté Randall. Poi prese la scatola delle sigarette e la offrì alla cugina. «Possibile che tu debba sempre rifiutare ogni mia proposta? Hai paura di qualche veleno?»
«Sta' zitto!» esclamò Stella in tono concitato. «Di quell'argomento ne abbiamo avuto abbastanza. Adesso mi pento di essere venuta.» «E perché l'hai fatto, allora?» D'un tratto lei prese un'espressione quasi smarrita e parlò con voce esitante. «Non lo so... dovevo assolutamente parlare con te o con il signor Carrington. Si tratta dei soldi che lo zio mi ha lasciato.» «Che tu non toccheresti neanche se dovessi morire di fame. Cosa vuoi che ne faccia io? Che apra un ospizio per gatti smarriti?» «No, affatto. So di aver detto che non li avrei neanche toccati, ma ho cambiato idea.» «Hai tempo in abbondanza per cambiarla di nuovo prima di compiere i venticinque anni.» «Già, è per l'appunto quello il nocciolo della questione...» Stella s'interruppe perché Benson era rientrato con lo sherry. Dopo che ebbe deposto il vassoio sul tavolo e si fu ritirato di nuovo, strinse saldamente fra le mani la borsetta. «Ecco quello che voglio sapere: se io... se io firmassi un documento dicendo che io non sono più disposta a sposare Deryk Fielding potrei ricevere adesso quei soldi?» Randall, che stava versando lo sherry, si interruppe e rialzò la testa. «Non mi verrai a dire che hai litigato con il tuo innamorato?» «No, non abbiamo litigato, ma ho deciso di non sposarlo. Tutto qui» rispose lei in tono secco. Randall ricominciò a versare lo sherry. «Immagino che preferiresti non sentirti domandare il motivo di questa decisione» disse. «Ma non puoi avere tutto quello che vuoi, tesoro mio. Per quale motivo sei arrivata a questa conclusione memorabile?» «I motivi sono diversi. Tanto per cominciare ho scoperto di... insomma, di non essere proprio innamorata di lui.» «E secondariamente hai scoperto che lui, tutto sommato, non è proprio innamorato di te. È simpatico vedere che, ogni tanto, riveli un barlume d'intelligenza, cara.» «Hai perfettamente ragione» disse Stella, che faceva fatica a controllare un tremito nella voce. «Lui pensava che avrei ereditato un mucchio di soldi, e quando questo non è successo si è raffreddato. Fatti pure una bella risata in proposito: non me ne importa niente. Anzi, persino io credo che sia abbastanza buffo, sai? A ogni modo, non posso dire di essermi ritrovata con il cuore spezzato, ecco la verità.» «E perché mai dovresti?» domandò Randall porgendole un bicchiere.
«Ti stai aspettando che io mi metta a trasudare simpatia e comprensione?» «No, per niente. Non sono venuta qui a parlare di Deryk, ma soltanto a informarti che il mio fidanzamento è rotto e a domandarti se posso avere i soldi che lo zio mi ha lasciato.» «Quando avrai venticinque anni.» «Il nocciolo della questione è che li voglio adesso.» «Come mai questa necessità improvvisa?» «Perché sono letteralmente senza un soldo e voglio dividere un appartamento con una ragazza con la quale sono andata a scuola e trovarmi qualcosa da fare. Solo che probabilmente dovrò imparare la stenografia o roba del genere, prima, e se non guadagno niente non posso mantenermi. La mamma dice che non può permettersi di aumentare la somma che mi passa mensilmente... a parte il fatto che lei è assolutamente contraria a questa idea, e io non ho neanche un soldo da parte, salvo quelli che mi ha lasciato lo zio. Naturalmente so che il testamento dice che non posso averli fino a quando non avrò compiuto venticinque anni, ma pensavo che se firmassi un documento promettendo di non sposare Deryk, e tu e il signor Carrington foste d'accordo con la mia proposta... Se i due esecutori testamentari acconsentono, non si possono cambiare le cose?» «Non mi risulta che sia possibile. E dal momento che io non ho la più remota intenzione di acconsentire, il problema non si pone neanche.» «E perché no? Dal momento che ti firmo un documento, che differenza può fare? Non ho nessuna intenzione di dilapidare il capitale, sai? Tutto quello che voglio è il reddito che ne posso ottenere.» «Non lo otterrai, amore mio.» Stella posò il bicchiere e si alzò in piedi. «Grazie tante» disse. «Sono stata una sciocca a venire da te Avrei dovuto immaginarlo che mi avresti messo i bastoni fra le ruote, se ci fossi riuscito. Ma considerando il fatto che sei l'erede, penso che avresti potuto farmi avere senza tante difficoltà quelle duemila miserabili sterline che mi spettano.» «Cara cugina, fino a quando il testamento non viene omologato, io non eredito un bel niente, e neanche tu. Dopo l'omologazione, la prima opera di carità sulla quale si poseranno i miei occhi riceverà tutto.» Stella rimase talmente meravigliata che per un momento non seppe far altro che fissarlo. «Scemenze! Non ti credo!» disse poi. Randall rise. «Non presumo che tu lo faccia, cocca.» «Ma perché? Come mai quest'idea?»
Lui si strinse nelle spalle. «Oh, io ho già abbastanza per le mie... ehm... modeste necessità.» «Devi essere impazzito oppure stai combinando chissà cosa» osservò Stella, sicura di sé. «Dove si è mai sentito che venisse data via così, come se niente fosse, una vera e propria fortuna?» «Effettivamente mi pare che un gesto simile abbia una sua originalità tutt'altro che sgradevole. Vuoi ancora un po' di sherry?» «No, grazie. Perfino uno come te non farebbe niente del genere. Oppure lo fai soltanto per impedire alla gente di dire che hai ucciso lo zio perché eri in difficoltà finanziarie?» «La gente dice così? Credevo che questa teoria fosse limitata ai membri della mia affezionata famiglia. A parte il fatto che io non sono per niente in difficoltà finanziarie.» Lei lo studiò con l'aria di chi è persuaso di aver avuto un colpo di genio. «Sono convinta che tu sappia, sulla morte dello zio, qualcosa che noi non sappiamo.» «Se con questa battuta a doppio senso vuoi dire che a parer tuo io ho qualcosa a che vedere con la morte dello zio, ti vorrei far notare, cocca bella, che l'ultima volta che l'ho visto è stata domenica 12 maggio.» «Lo so. E non era affatto quello che volevo dire. Non vedo come potresti essere stato tu a ucciderlo. Cosa ne pensa il sovrintendente?» «Come te, lui non riesce a capire come possa essere stato io. È una cosa che lo lascia veramente scoraggiato, purtroppo.» «Randall, troveranno mai chi è stato?» «Perché domandarlo a me?» «Perché tu sai qualcosa. E non serve dire che non è vero e che non sai niente. Non riesco a capire come tu possa avere assassinato lo zio, ma sono sicura che stai nascondendo certi fatti, o indizi, o qualcosa di cui non vuoi che nessun altro sia messo al corrente. Io non mi sono dimenticata di averti visto venir fuori dalla camera da letto dello zio, quel giorno. Stavi cercando qualcosa.» «È vero, ma non ho trovato quel che cercavo.» «Cos'era?» «Non lo so.» «Non lo sai?» «Non ancora. Stavo cercando qualcosa che avrebbe potuto contenere il veleno. Confesso che è stata una vana speranza.» «Tutto sommato, non penso proprio di poterti credere.»
«Be', non mi stupisci affatto. Vogliamo parlare di qualcos'altro, tanto per cambiare? Io trovo che queste discussioni eterne e sterili sulla morte dello zio, dopo un po' cominciano a venire a noia.» «Il signor Rumbold pensa che tutto finirà in niente per mancanza di prove.» «Il signor Rumbold probabilmente ha ragione. Continua a confortare le mie afflitte ziette nei loro momenti di maggior angoscia?» «Effettivamente lui riesce a calmarle» ammise Stella con un sorriso. «Comunque, non è il caso di prenderlo in giro. Si sta comportando in un modo incredibilmente buono e gentile con noi tutti.» «Io lo considero con il più profondo rispetto, infatti.» «Il che, a quanto credo, significa che è vero il contrario.» «Per quale motivo tu debba credere qualcosa del genere va al di là della mia comprensione.» «Perché ogni volta che dici qualcosa di carino e di gentile sul conto di qualcuno generalmente significa il contrario.» «Questo succede soltanto quando sto parlando dei miei parenti, oppure di altre persone di intelligenza inferiore alla norma» le fece notare lui. «Rispetto sempre un buon cervello, quando lo incontro.» «Grazie mille!» replicò Stella inalberandosi. «Allora io per te rientro nella classe dei deficienti?» «No, non proprio. Mi è già capitato parecchie volte di accorgermi che prima di parlare riflettevi sul serio. Di tanto in tanto perfino tu riveli una certa vivacità di intelletto. Confesso che durante la tua adolescenza non avevo nessuna, ma proprio nessuna speranza sul tuo conto; però da allora in poi sei migliorata molto, tesoro mio.» «Ne sono proprio contenta» ribatté lei acre. «Naturalmente ti interessavi sul serio ai miei progressi. Quindi immagino, e rimpiango di non averlo capito a suo tempo, che tutte le tue visite ai Pioppi di quest'ultimo anno in realtà siano state fatte soltanto per venire a trovare me.» «Non ti passerà per la testa che venissi a trovare tua madre, per caso?» «Venivi a trovare lo zio.» «Buon Dio!» esclamò Randall. La afferrò per un braccio e la sospinse con garbo verso la porta. «Questa non è proprio una delle giornate nelle quali ti dimostri più razionale, tesoro. Andiamo a pranzo.» 11
Stella tornò a Grinley Heath al volante della sua vetturetta, immersa in profonde meditazioni sulle parole stupefacenti di suo cugino. Le aveva ascoltate con stupore e sospetto, e di conseguenza aveva preso un atteggiamento scostante, mettendosi sulla difensiva. Randall non aveva fatto nessun tentativo di approfondire l'argomento, ma l'aveva accompagnata a tavola, offrendole un pasto a base di aragosta alla Newburgh, innaffiata da un eccellente Chablis. Stella, che non aveva più consumato un solo pasto lontano dai Pioppi dal giorno in cui lo zio era morto, si era sinceramente divertita e aveva fatto di tutto per dimenticare i guai che affliggevano la sua famiglia fino al momento in cui era stato servito il caffè. A quel punto qualche parola del tutto casuale pronunciata da Randall glieli aveva fatti tornare in mente, e la sua faccia si era rabbuiata. Con un sospiro aveva osservato come fosse orribile avere un delitto in famiglia, perché sembrava che una nuvola nera fosse sempre sospesa sulle loro teste. «Ognuno di noi sospetta di tutti gli altri» aveva detto. «E anche se lo zio era odioso nel suo modo di comportarsi con le persone, adesso che è morto la situazione non è migliorata per niente. Prendi me, per esempio. Lo zio era riuscito a rendere praticamente impossibile che io mi sposassi con Deryk fintantoché lui era vivo, ed era già stato ignobile da parte sua, ma non appena è morto e io avrei potuto sposarmi, tutto ha cominciato ad andare male.» «Adesso, per favore, evita di buttarti a capofitto in qualcosa di nauseante come l'autocommiserazione» si era affrettato a farle notare Randall per evitare un simile rischio. «Sei stata una compagna incantevole durante tutto il pranzo e per la tua testolina non è passato neanche un solo pensiero rivolto al tuo ex corteggiatore. Non hai il cuore spezzato, no, proprio per niente. Quindi è inutile cercare di costringermi a pronunciare comode e banali espressioni di simpatia. Io non mi sento affatto addolorato per te.» «Sono tua ospite» aveva risposto Stella con dignità «e non posso dire quello che vorrei.» «Per carità, amore mio, non rinunciare per una sciocchezza simile! Anch'io sono stato ospite, ai Pioppi, ma questo non mi ha impedito di dire quello che penso.» Stella era rimasta a osservarlo mentre preparava il caffè. «Ecco, non mi stavo commiserando, se vuoi proprio saperlo. Ma si resta un po' sconcertati quando si scopre che una persona sulla quale credevi di poter fare completamente conto... be', ha i piedi d'argilla.»
Randall aveva tolto il fornelletto a spirito da sotto la macchinetta del caffè, trasferendo lo sguardo per un attimo sulla faccia di Stella. «Eri persuasa sul serio che il tuo amoroso dottore si sarebbe dimostrato una vera colonna, una persona estremamente affidabile nelle avversità? Come sono fiduciose le ragazze!» «Il guaio è che non c'è nessuno a cui possiamo appoggiarci. Lo zio Henry è un incapace e non vale niente; Guy non è maturo abbastanza, a parte il fatto che... insomma, non è proprio il tipo! E il signor Rumbold andrà benissimo, ma non è come se fosse uno di famiglia, mentre Owen pensa che tutta questa faccenda ci fa fare una pessima figura, e vuole stare il più possibile alla larga.» «Mentre Randall è un pericolo, un nemico in agguato. E si burlerebbe di te...» Stella era rimasta sconcertata. «È quello che faresti, infatti. Comunque, non stavo pensando a te.» «Un altro dei tuoi piccoli errori, cara. Invece sarebbe più opportuno se cominciassi a pensare a me. Adesso io sono a capo di questa deplorevole famiglia.» «Cosa c'entra con quello di cui stiamo parlando?» «Oh, c'entra moltissimo. Come capofamiglia mi propongo di andare a fondo di questa faccenda e vedere tutto risolto.» «Molto carino da parte tua! Dovrebbe esserci di grande aiuto. Mi aspetto che se la polizia si mettesse in testa di arrestare qualcuno di noi tu compariresti né più né meno come la buona fata madrina a far luce su tutto e a portare il caso alla sua conclusione?» «Assolutamente no, se arrestano la zia Gertrude» aveva risposto Randall, versando il caffè e porgendone una tazza a Stella. «Per te, magari, potrei...» «Consegnarti alla polizia come assassino, vero?» «Chi lo sa? Ma non preoccuparti, tesoro: non sarò costretto ad arrivare fino a tanto. Questo piccolo caso di omicidio non verrà risolto.» «Ma io voglio che venga risolto!» «È probabile. Ma io no.» Si era rifiutato di aggiungere qualcos'altro a ciò che aveva già detto e aveva dato un taglio alla questione cambiando argomento. Stella se n'era andata che erano passate da poco le due del pomeriggio, tornando a casa a meditare sulle parole del cugino. Rinunciò a riferire a qualcuno dei suoi familiari quale fosse stata la
commissione che era andata a sbrigare in città; anzi, quando fu interrogata a fondo dalla zia Harriet, che moriva dalla voglia di saperlo, rispose senza neanche diventare un po' rossa che aveva pranzato con una ex compagna di scuola. Harriet, sbuffando, osservò che a suo giudizio sarebbe stato più opportuno se avesse fatto a meno di andare a zonzo e a spassarsela in città il giorno successivo a quello del funerale. La cena venne animata dalla presenza della signora Lupton la quale, dal momento che suo marito era stato trattenuto in città, annunciò la propria intenzione di venire ai Pioppi, arrivò alle otto meno un quarto, paludata in un frusciante vestito di seta nera, e cominciò a criticare ogni portata che si vide mettere davanti. In effetti qualche giustificazione l'aveva, in quanto la signorina Matthews, adesso che l'indignazione e il furore del fratello non potevano più rovesciarsi sulla sua testa, si era imbarcata in una campagna di economia rigorosa. «Consenti che ti dica» l'attaccò la signora Lupton «che se credi di imbrogliarmi nascondendo quello che servi in tavola sotto una salsa spessa come questa ti sbagli di grosso. Questo pesce è merluzzo.» La signora Matthews sospirò e parlò con la voce sognante di chi si abbandona alle memorie. «Quando ci si ricorda come fosse puntiglioso il caro Gregory per tutto ciò che mangiava, devo dire...» «Invece di ricordare i gusti di Gregory sarebbe meglio, mia cara Zoe, se ti occupassi di fare la tua parte nella gestione di questa casa» la interruppe la signora Lupton. «Harriet non è mai stata capace di ordinare un solo pasto in vita sua.» Quando la signora Matthews ebbe avuto il tempo di rammaricarsi perché la sua disgraziata salute le impediva di assumersi un dovere così faticoso e la signorina Matthews ebbe dichiarato che niente al mondo l'avrebbe persuasa a cedere le redini della casa a lei, era già arrivata la portata successiva, un cosciotto di agnello che la signora Lupton decretò all'istante di origine estera, non anglosassone. Il dolce sfuggì a ogni critica, ma quando come savoury, la pietanza piccante alla fine del pasto, vennero servite delle sardine su fette di pane tostato, le parve che una scelta simile richiedesse un severo rimprovero. E dopo averne assaggiato un solo boccone spinse il piatto da parte con il commento che se si compravano le marche più scadenti di sardine si facevano soltanto delle false economie. La signorina Matthews, accorgendosi che il savoury non era stato toccato neanche dal resto della famiglia, attaccò energicamente la propria porzione sostenendo che non era per niente cattivo.
In salotto, dopo cena, le tre signore continuarono quella specie di guerriglia, Guy si rifugiò in biblioteca e Stella andò a letto con un notevole anticipo rispetto al solito, domandandosi se, vendendo la sua vettura, avrebbe realizzato una somma sufficiente ad andarsene dai Pioppi. La mattina dopo a colazione, per la prima volta dalla morte dello zio, Guy si mostrò più allegro, e con sollievo di sua sorella annunciò l'intenzione di riprendere il lavoro a partire dal lunedì successivo. «Perché a me sembra chiaro» disse «che ormai non succederà più niente. Questa storia finirà in un bel fiasco e tutto lo scalpore che ha suscitato a poco a poco si calmerà.» «Io non riesco a capire cosa stia facendo la polizia» osservò Stella. «Si direbbe che abbiano smesso di perseguitarci. Tu non credi che si siano arresi rinunciando a proseguire le indagini, eh?» «Non mi meraviglierebbe affatto. E non mi sento neanche di criticarli.» «Eppure, chissà perché, non sono convinta che siamo arrivati al fondo di questa storia. C'è un fatto che mi lascia perplessa. E con qualche sospetto. Randall sa qualcosa.» «Cosa?» domandò Guy, alzando subito gli occhi dal giornale che leggeva. «Non l'ha detto, ma... Sto cominciando a convincermi che la polizia gli abbia messo gli occhi addosso.» «Come lo sai? Chi te l'ha detto?» «Nessuno. Lo so e basta.» Stella sentì il passo della zia in anticamera e con una smorfia fece capire a Guy di non domandarle spiegazioni. «Sta arrivando la zia Harriet.» La signorina Matthews entrò nella stanza con una lamentela già pronta sulle labbra. Qualcuno si era dimenticato di aprire la finestra dopo aver fatto il bagno, e là dentro c'era un insopportabile odore di qualche profumo. «Mi spiace, forse sono i miei nuovi sali da bagno» disse Stella. «C'è da augurarsi che tu non sposi un uomo poco facoltoso. E devo dire che sarebbe meglio se evitassi di sperperare il tuo assegno mensile per farti bella. Ma è chiaro che io sbaglio sempre. Non è il caso di aspettarmi che qualcuno mi dia retta.» «Vuoi un pompelmo?» le domandò Stella dal tavolo di servizio. «Tutto quello che voglio è una tazza di tè e un po' di pane tostato. Stamattina non mi sento per niente bene, e non c'è da meravigliarsi, quando si pensa a quello che ho dovuto passare. Non solo, ma abbiamo anche Guy a casa per il pranzo, ogni giorno. Non che la cosa mi secchi, anzi, ma richie-
de altro lavoro. E perché, poi, vostra zia Gertrude dovesse venire qui a cena semplicemente per fare un sacco di osservazioni scortesi sul mio modo di mandare avanti la casa e occuparmi dei pasti non lo capisco.» «Probabilmente sono state quelle sardine a darti un po' di nausea» disse Guy. La signorina Matthews si offese talmente per questa insinuazione maliziosa da non saper far altro che lanciargli un'occhiataccia; e proprio per dimostrare che non erano affatto state le sardine a guastarle la digestione, si alzò e, in un minaccioso silenzio, si servì una fetta di pancetta, divorandola in quattro e quattr'otto. Evidentemente fu una decisione del tutto sbagliata, perché quando salì in camera sua mezz'ora più tardi Stella trovò sua madre avvolta in una vestaglia dal delicato color lillà che usciva dalla camera della signorina Matthews con un bicchiere vuoto in mano e un'espressione di compassione ipocrita sulla faccia. «La zia Harriet sta peggio?» La signora Matthews considerava il diritto di essere malata come sua prerogativa. «Non capisco cosa tu voglia dire, cara. Soffre solamente di un leggero attacco di indigestione.» «Stamattina ha detto che non si sentiva molto in forma. Guy ha insinuato che forse le avevano fatto male le sardine che aveva mangiato ieri sera. Le hai dato un calmante?» «Un po' di quella medicina meravigliosa che mi ha prescritto il dottor Martin» rispose la madre. «Anche se non penso che sia necessaria. Ma la povera Harriet fa sempre un mucchio di scene per il più piccolo malessere. A volte mi domando come si comporterebbe se avesse la mia pessima salute. L'ho fatta tornare a letto con una boule dell'acqua calda, ma avrei preferito che scegliesse qualche altro giorno per star male. La tensione di quest'ultima settimana mi ha logorato i nervi e anch'io non mi sento per niente a posto. Ho proprio paura, cara, che dovrai pensare tu a quello che occorre per la spesa. Io non mi sento assolutamente nelle condizioni di farlo.» «Va bene» rispose Stella premurosamente. «Devo andare a parlarne con la signora Beecher?» «Sì, tesoro, vai. E raccomanda alla cuoca che il pranzo sia molto leggero. Sogliole, magari, e dopo un soufflé.» «Scommetto che la zia Harriet voleva condannarci alla carne di montone fredda.»
«Sì, ma se continua a non sentirsi a posto con lo stomaco è molto più saggio che stia alla larga dalla carne» osservò la signora Matthews con un tono di voce che trasudava il più puro altruismo. «Devo portar giù quel bicchiere?» «No, è il mio, e preferisco lavarlo sempre con le mie mani. Di' alla signora Beecher che la zia è andata a riposare e non dev'essere disturbata, e chiedi che ordini un pollo per la cena. Qualcosa che sia facilmente digeribile.» «Invece credo che la zia Harriet avrà uno svenimento quando se lo troverà davanti» commentò Stella. La signora Beecher la accolse in cucina con un sorriso indulgente, si lasciò sfuggire un piccolo commento dispiaciuto quando venne informata dell'indisposizione della sua padrona e osservò che non se ne meravigliava affatto. «Quel pezzo di carne per l'arrosto di ieri sera faceva letteralmente paura» disse. «E quanto al pesce, be', mi sono vergognata di mandarlo in tavola. Il padrone, a saperlo, si sarebbe rivoltato nella tomba, ecco cos'ho detto a Beecher. Allora oggi tocca a lei pensare alle ordinazioni, signorina? Bene, mi sembra un buon esercizio per quando avrà la sua casa, dico bene?» Stella, che indovinò in tutto questo sproloquio soltanto il tentativo di scoprire se avrebbe sposato il dottor Fielding o no, si limitò a sorridere e a far segno di sì con la testa prima di spostare con fermezza il discorso sul pollame. Poco dopo partì al volante della sua vetturetta per andare a fare la spesa e ritornò appena prima di mezzogiorno, trovando sua madre che stava scendendo le scale. «Come sta l'inferma?» s'informò. «Dorme» rispose la madre. «Ho messo dentro la testa nella sua camera un momento fa. Dormiva sodo, e non l'ho disturbata.» Harriet non scese a pranzo, e di conseguenza la signora Matthews, la quale con il passare di ogni ora che la cognata rimaneva a letto prendeva sempre di più l'aria della martire, sospirò e pregò Stella di fare un salto a domandare alla zia se si sentiva abbastanza in forze per alzarsi oppure se era meglio che le mandassero qualcosa da mangiare con un vassoio. «Devo dire che lo trovo molto poco riguardoso da parte sua. Scegliere di star male proprio in un momento nel quale sa benissimo che io riesco a tirare avanti come meglio posso, stringendo i denti... E invece mi vedo scaricare sulle spalle tutto il lavoro che fa lei...» Stella ne conosceva il modo di ragionare troppo bene per sprecare del
fiato, ed evitò di farle notare che, a voler essere precisi, era stata lei a sbrigare tutte le incombenze abituali di Harriet per la mattinata. Si limitò a strizzare l'occhio a Guy e scappò a vedere come stava la zia. Non ottenne risposta quando cominciò a bussare delicatamente alla porta; così, dopo aver aspettato un momento, girò lentamente la maniglia ed entrò. Le tende erano state accuratamente chiuse in modo che dalla finestra non trapelasse neanche un filo di luce e la camera era avvolta dalla penombra. La signorina Matthews, sdraiata su un fianco con gli occhi chiusi, era immobile. Stella si accostò al letto, domandandosi se fosse il caso di svegliarla. Ma fu colpita subito dal fatto che aveva l'aspetto di chi sta molto male, tanto che si curvò su di lei e le sfiorò la mano abbandonata sul lenzuolo. Non ardeva di febbre, ma al contrario sembrava stranamente gelida. Allora si tirò indietro di scatto lasciandosi sfuggire un mezzo singhiozzo, per la paura e lo shock. Con gli occhi sempre fissi sulla figura immobile della zia indietreggiò fino alla porta, sentendosi tremare le ginocchia, e la spalancò. «Mamma! Guy! Venite qui, presto!» Il terrore vibrava nella sua voce, e fu questo che spinse Guy a fare due alla volta i gradini. «Cosa c'è?» chiese. «Buon Dio, si può sapere cos'è successo?» «La zia Harriet» riuscì a mormorare Stella. «La zia Harriet...» Guy fissò per un attimo la faccia paurosamente pallida di sua sorella, poi, scostandola, entrò a precipizio in camera della signorina Matthews. Stella cercò di riacquistare il controllo di sé, ma non ebbe la forza di tornare dentro anche lei e rimase sulla soglia, appoggiata al muro, un fazzoletto premuto contro la bocca. Vide Guy che posava la mano sulla spalla della zia e la scrollava, e lo sentì chiamare con una voce che la preoccupazione rendeva stridula. «Zia Harriet, svegliati! Zia Harriet!» «No, lascia stare!» bisbigliò Stella. «Come fai a non vedere?» Lui raggiunse a lunghi passi concitati la finestra, spalancò le tende con un gesto convulso e tanto violento da far tintinnare gli anelli sul bastone di ottone, poi fissò la sorella. «E adesso... cosa facciamo?» Lei ricambiò il suo sguardo, letteralmente sconvolta. Le era bastato guardare Guy per capire al volo cosa stava pensando. Poi, prima che facessero in tempo a parlare, la signora Matthews entrò anche lei. «Allora, Harriet, come ti senti?» domandò. «Mia cara bambina, si può
sapere cosa c'è?» «Mamma, la zia Harriet è morta.» «Morta?» ripeté la madre. «Sciocchezze! Non sai cosa dici. Lasciami passare... Insomma, il tuo solito vezzo di fare una tragedia di ogni cosa...» S'interruppe quando toccò la mano della signorina Matthews, come Stella aveva già fatto. Il suo trucco era troppo perfetto perché si potesse notare se la sua faccia aveva cambiato colore, ma Stella e Guy la videro irrigidirsi. Poi guardò tutti e due e infine parlò con voce accuratamente controllata. «Vostra zia deve aver avuto un colpo apoplettico. Dobbiamo mandare a chiamare un medico. Guy, vai subito a telefonare al dottor Fielding. E adesso, per favore, non stare lì come una sciocca, Stella cara. Naturalmente si tratta soltanto di un colpo apoplettico.» «È morta» ripeté Stella. «Come lo zio. Lo sai anche tu che è morta come lo zio.» La madre le andò vicino e le prese una mano. «Tesoro, hai avuto uno shock e sei un po' stanca e con i nervi tesi. Non devi dire cose del genere. Adesso il meglio che puoi fare è di andartene in camera tua a sdraiarti sul letto. E riposa un po'. Tanto non puoi far niente per la zia fino a che il dottor...» «Nessuno può far niente... ma perché non hai mandato a chiamare subito Deryk quando lei ha detto che si sentiva male? Perché non l'hai fatto, mamma?» «Mia cara piccola Stella, non era assolutamente il caso di mandare a chiamare un medico. Adesso devi cercare di calmarti e riacquistare il tuo autocontrollo, piccolina mia. Nessuno poteva prevedere una cosa simile. Aveva soltanto lo stomaco un po' scombussolato. Anzi, è stata proprio lei a dire che voleva distendersi un po' sul letto a riposare. Adesso ti faccio prendere un po' di bicarbonato, così ti sentirai subito meglio, poi vai in camera tua fino a quando non sei tornata quella di sempre.» Stella si lasciò condurre in camera di sua madre e inghiottì ubbidiente il rimedio che le veniva versato, ma si rifiutò di ritirarsi nella propria camera. Si mise a sedere in una poltrona sul pianerottolo e strinse i denti che le battevano. Il dottor Fielding, tornato a casa per il pranzo, nel giro di cinque minuti si presentò ai Pioppi, seguendo Guy di sopra, in camera di Harriet. La signora Matthews, impettita ai piedi del letto, lo accolse con compostezza. «Credo che mia cognata abbia avuto un colpo apoplettico, dottore. Non ho cercato di far niente per lei perché mi è sembrato che fosse più saggio
aspettare il suo arrivo. Era già un po' che non mi sembrava del solito umore, ma non mi sarei mai sognata che succedesse qualcosa del genere. Povera Harriet. Ho paura che la morte di mio cognato sia stata...» Il dottor Fielding, che si era curvato su Harriet, si tirò su. «Signora Matthews, sua cognata è morta» disse con voce rauca. «Ormai direi che il decesso è avvenuto almeno da un paio d'ore, a quanto posso giudicare. Per quale motivo non sono stato chiamato prima?» «Morta!» ripeté la signora Matthews, e chinò leggermente la testa coprendosi gli occhi con una mano. «Non ne abbiamo nessuna idea!» disse Guy. «Come potevamo averla? Ha detto di sentirsi indisposta e noi abbiamo pensato che avesse mangiato qualcosa che poteva averle fatto male. Non sembrava niente di speciale, vero, mamma?» «Niente» disse a bassa voce la signora Matthews. «Un po' di nausea, una leggera indigestione. Le ho fatto prendere un po' della medicina che adopero abitualmente e l'ho messa a letto. Lei voleva soltanto riposare.» «Di che cosa si è lamentata?» domandò Fielding. «Di niente che potesse indurre qualcuno a supporre... Diceva di avere le vertigini, e che le doleva la testa.» «Nausea?» «Sì, un po' di nausea; ecco perché le ho fatto prendere la mia medicina. È una prescrizione eccellente...» «Non ha detto di avere dei crampi? Un tremito agli arti, un intorpidimento alle braccia? Non le è sembrato che avesse qualche difficoltà a respirare?» La signora Matthews scrollò la testa. «No. Se ci fosse stato qualcosa del genere l'avrei mandata a chiamare immediatamente. Dopo aver preso la medicina mi è sembrato che si sentisse un po' meglio. Pareva che avesse sonno, allora l'ho messa a letto, le ho rincalzato ben bene le coperte e ho lasciato che dormisse tranquillamente...» «Deryk, di che cos'è morta?» domandò Guy. Il dottore passò con gli occhi dall'uno all'altro di loro, mentre la sua faccia prendeva un'espressione dura. «Non mi è assolutamente possibile rispondere a questa domanda senza che prima sia stato fatto un esame autoptico.» La signora Matthews si aggrappò nervosamente alla spalliera del letto. «Figuriamoci se è necessario!» esclamò. «A me pare talmente chiaro che deve aver avuto un colpo... Lo shock per la morte del fratello...»
«A me non è chiaro affatto. Mi dispiace, non posso assumermi la responsabilità di firmare un certificato. Qui ci vuole il coroner.» «Oh, mio Dio!» gemette Guy. La signora Matthews riprese con voce tremante. «È assurdo! Mia cognata ha passato momenti terribili, e non era una donna giovane. Non solo, ma già da un po' di tempo mi ero accorta che la sua salute non era più quella di prima.» «Senti, qui ci vuole qualche spiegazione» disse Guy facendo un passo verso il dottore. «Cosa sospetti?» Fielding ricambiò il suo sguardo furibondo con gelida severità. «Sospetto che la signorina Matthews sia stata avvelenata» rispose. «È una maledetta fandonia!» «Zitto, figliolo!» disse meccanicamente la madre. «È assurdo, del tutto assurdo. Chi poteva avere interesse ad avvelenare la povera Harriet? Se non fosse terribile, sarebbe quasi ridicolo. Ma costringerci tutti all'orrore di un'altra inchiesta... davvero, dottore, non crede che forse si sta lasciando...» «Signora Matthews, sono costretto a rifiutarmi di discuterne con lei. Al momento in cui è deceduta io non ero il medico curante di sua cognata, e non sono stato chiamato appena si è sentita male. In tutta coscienza, date le circostanze non posso firmare un certificato di morte. E adesso, se volete scendere tutt'e due, io darò un giro di chiave alla porta di questa camera, che resterà chiusa fino a quando non arriverà la polizia.» «Lei non ha pensato a quello che significherà per noi» osservò la signora Matthews. «Lo scandalo... così inutile, così orribile per tutte le persone interessate. Non può credere sul serio che a qualcuno sia saltato in mente di avvelenare Harriet. Buon Dio, ma che scopo vuole che qualcuno potesse avere per commettere un'azione simile?» Il dottore si strinse nelle spalle. «Non è una questione che mi riguardi, signora. Io posso soltanto dirle che sono tutt'altro che convinto che il decesso della signorina Matthews sia dovuto a cause naturali.» Guy prese sua madre per un braccio. «Scendi con me, mamma. È inutile discutere. Se lui non è convinto, tutto finisce nelle mani della polizia.» La signora Matthews ubbidì; il dottore chiuse la porta e tolse la chiave dalla serratura. Avrebbe seguito la signora Matthews se Stella non si fosse alzata dalla poltrona dov'era rimasta seduta per tutto il tempo. «Deryk, per amor di Dio, dimmelo! Non penserai sul serio a una cosa del genere? Io non sono entrata nella camera, ma ho sentito tutto quello
che avete detto. Non può essere stata avvelenata.» «Mi dispiace» rispose lui nel suo tono più professionale. «Ma non so proprio cosa farci.» «Se non fosse stato per la morte dello zio non ti sarebbe mai venuto il sospetto di un veleno!» «I due casi non sono identici. Tuo zio soffriva già di cuore. La signorina Matthews, l'ultima volta che sono stato chiamato per visitarla, non aveva niente che non funzionasse al cuore, e neanche alla pressione sanguigna. Se oggi tuo zio fosse vivo, non giudicherei affatto la morte della signorina qualcosa di straordinario.» «Ma Deryk... la zia Harriet! Chi vuoi che potesse pensare di ucciderla? Sei proprio sicuro di non sbagliarti?» «Stella, ti ho già detto che mi dispiace molto, ma non posso aiutarvi. La questione dev'essere affidata immediatamente al coroner. Il mio dovere è chiarissimo.» «E noi... cosa facciamo?» Lui era imbarazzato. «Nessuno penserà che abbiate qualcosa a che vedere con quello che è successo. Senti, devo andare a fare rapporto del decesso. Cerca di non preoccuparti» disse, e cominciò a scendere le scale a passo lesto. La signora Matthews si era ritirata in biblioteca, dove adesso sedeva sul divano, cincischiandosi nervosamente con una mano le pieghe dell'abito e stringendo convulsamente nell'altra il fazzoletto. Guy era alla finestra, immobile, e guardava fuori. Sentì il dottor Fielding che parlava con Beecher in anticamera e tirò su la cornetta del telefono lanciando di soppiatto un'occhiata a sua madre. Ma lei sembrava assorta in chissà quali pensieri, con le labbra strette e gli occhi fissi sul muro di fronte. Il dottore se ne andò e poco dopo entrò Beecher, che appariva pallido e sconvolto. Con un filo di voce, e tenendo gli occhi bassi, domandò se la signora Matthews desiderava che il pranzo venisse servito. Lei non si mosse e neppure gli rispose. Guy la chiamò. «Mamma!» La signora Matthews, trasalendo, si riscosse e guardò prima il figlio e poi il maggiordomo. «Pranzo?» ripeté. «No, non credo che potrei inghiottire un solo boccone. Vai a tavola tu con Stella, caro.» «Neanch'io ho voglia di mangiare. E neanche Stella, suppongo.» «So bene che poteva essere molto, molto noiosa» continuò la signora Matthews. «Ma a poco a poco, bene o male, ci si abitua al modo di fare delle persone. Non riesco a immaginare questa casa senza di lei. Mi sento
letteralmente sconvolta.» «Mamma, a cosa serve parlare a questo modo? Ma non capisci? Da un minuto all'altro arriverà la polizia! E allora cosa racconteremo a quella gente?» La signora Matthews lo guardò in silenzio per un momento, poi riuscì a parlare con un tono che era tornato a essere un po' più simile a quello abituale. «Caro figliolo, racconteremo né più né meno quello che è successo. Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo e devi ricordarti che non è assolutamente dimostrato, finora, che la povera Harriet sia stata avvelenata. Io continuo a essere convinta che abbia avuto un colpo apoplettico.» Stella entrò in biblioteca anche lei, sempre un po' pallida ma perfettamente calma. Si fermò sulla soglia. «È necessario che la zia Gertrude sia informata. Devo chiamarla al telefono?» «Tesoro, se almeno mi lasciassi stare qui tranquilla per un po'!» rispose sua madre. «Sembra che nessuno di voi due capisca quello che provo in questo momento. Certo, non vedevamo sempre le cose allo stesso modo, però Harriet e io...» «La zia Gertrude era sua sorella. Bisogna che qualcuno glielo dica» ripeté Stella. La signora Matthews fece un gesto di rassegnazione. «Di' a chiunque quello che vuoi, soltanto non continuare a torturarmi a questo modo. Non ti accorgi come sono sconvolta?» Stella uscì di nuovo. «Credo proprio di non avere la forza di vedere Gertrude. Penso che salirò in camera mia a distendermi un po' sul letto.» «Dovrai vederla» insistette Guy. «È inevitabile.» Stella tornò indietro dopo pochi minuti per avvisarli che la signora Lupton sarebbe arrivata immediatamente. «Cos'ha detto?» le domandò il fratello. «Ha parlato poco. All'inizio è rimasta letteralmente annichilita. Poi si è limitata a informarmi che sarebbe venuta subito. Sarà qui fra dieci minuti.» Si misero seduti ad aspettarla. Dopo quello che sembrò un secolo arrivò alle loro orecchie un fruscio di gomme sulla ghiaia del viale e nel giro di un minuto la signora Lupton entrò in biblioteca. Fu un sollievo scoprire, in un mondo che sembrava totalmente diverso dal solito, come almeno lei fosse quella di sempre. Girò rapidamente gli occhi intorno a sé e parlò con una voce che vibrava di lesa maestà. «Si può sapere cos'è questa stupidaggine che Stella ha cercato di raccon-
tarmi?» «È vero» disse Guy. «La zia Harriet è morta.» La signora Lupton tirò il fiato. «Impossibile! Non ci credo!» Poi fu come se l'assurdità di queste parole avesse finalmente fatto presa sul suo cervello. «È incredibile... Mi accorgo di non sapere più quello che dico. Ma com'è successo? Eppure ieri sera stava abbastanza bene.» «Dev'essere stato un colpo apoplettico» rispose la signora Matthews. «L'ho detto subito appena l'ho vista. La preoccupazione e l'angoscia per la morte di Gregory... è stato troppo per lei.» «Un colpo apoplettico... Harriet?» La signora Lupton passò con gli occhi dalla cognata al nipote. Poi si mosse verso una poltrona e vi si lasciò cadere. «Vi prego di essere tanto gentili da raccontarmi quello che è successo!» comandò. «Aveva detto di sentirsi un po' indisposta a colazione» cominciò Guy parlando a scatti, con voce tremula. «Abbiamo pensato che avesse mangiato qualcosa che le era rimasto sullo stomaco.» «Molto probabile, ma è la prima che sento, questa! Un po' di indigestione la causa della morte? Vai avanti.» «Si è ritirata in camera sua per distendersi un po' sul letto. Stella l'ha trovata così all'ora di pranzo.» «Morta?» domandò la signora Lupton con la voce che vibrava di orrore. «Sì.» «È tremendo! Prima Gregory, poi Harriet... Non so cosa dire. Sono letteralmente scombussolata. La mia povera sorella... Mi sembra di non riuscire ancora ad accettarlo. Dicevi che ha avuto un colpo apoplettico?» «Noi pensiamo che sia stato quello» rispose la signora Matthews. «E immagino che dovremmo essere grati se la sua fine è stata rapida e priva di sofferenza.» «Santo cielo, Zoe, a sentirti si direbbe che la mia disgraziata sorella fosse un'inferma senza speranze di guarigione!» esclamò esasperata la cognata. «Ma se era il ritratto della salute! Avrebbe avuto ancora molti anni da vivere.» Stella allora non riuscì più a trattenersi. «Ci sarà un'autopsia. Deryk è persuaso che sia stata avvelenata.» Nella sua voce si era insinuata una nota difensiva, ma la signora Lupton, dopo un momento di profondo silenzio, sorprese tutti. «Frottole!» Dalle labbra della signora Matthews sfuggì un piccolo sospiro. «Sono d'accordo. Ma ciò nonostante, tutto questo è molto, molto penoso, per
noi.» «Io non ho nessuna opinione del dottor Fielding» annunciò la signora Lupton. «Come può diagnosticare un caso di avvelenamento quand'è stato assolutamente incapace di scoprirlo con Gregory? E chi poteva aver interesse ad avvelenare la povera Harriet? Ecco una cosa che mi piacerebbe sapere. Nessuno poteva avere il minimo motivo per fare una cosa del genere... all'infuori di te, Zoe.» «Basta così» esclamò Guy con asprezza. «La mamma non aveva nessun movente, proprio nessuno, che possa soddisfare una qualsiasi giuria al mondo!» «Posso rispettare il fatto che ti schieri con tanto calore in difesa di tua madre» rispose la zia con voce lugubre. «Ma sarebbe meglio se cercassi di affrontare le cose come stanno. Tua madre aveva un movente per avvelenare la mia povera sorella... Non che io l'accusi di averlo fatto, perché non posso immaginare che sia stata tanto sciocca da correre un rischio simile intanto che la polizia sta ancora facendo le indagini sulla morte di tuo zio, ma se credi che Scotland Yard non farà indagini particolarmente approfondite sui suoi movimenti di quest'oggi, vivi proprio fra le nuvole, caro il mio Guy, e prima tornerai con i piedi sulla terra, meglio sarà per te.» La signora Matthews si alzò dal divano con aria tragica. «E io posso soltanto avere la speranza, Gertrude, che tu non ti renda conto di quello che stai dicendo. Non credo che possa capire fino a che punto mi hai ferito e offeso. Adesso salgo in camera mia. Anche la mia sopportazione ha un limite.» La signora Lupton non fece nessuno sforzo per trattenerla. La seguì con gli occhi mentre usciva dalla stanza, poi si alzò annunciando che voleva vedere il corpo della sorella. «Fielding ha chiuso a chiave la porta della sua camera» la informò Guy. La donna gonfiò il petto prosperoso e proruppe in un'acerba critica. «Il dottor Fielding si sta assumendo troppe responsabilità. Secondo me è un bellimbusto sfacciato e incompetente, il giovanotto!» E con questo sembrò che la signora Lupton, per quello che la riguardava, avesse definitamene liquidato il dottor Fielding. Quindi, ripromettendosi alla prima occasione di dirgli chiaro e tondo quello che pensava di lui, ordinò senza mezzi termini a suo nipote di informarla immediatamente per telefono di qualsiasi cosa dovesse succedere da quel momento in poi ai Pioppi e se ne andò. La signora Matthews non tornò più dabbasso fino a quando il corpo del-
la signorina Matthews non venne portato via. Come per un tacito consenso, né Stella né Guy, rimasti soli in biblioteca, fecero qualche tentativo di discutere la causa della morte della zia, ma quando tornò a unirsi a loro, la signora Matthews riaprì subito l'argomento. «Ho fatto molte e profonde riflessioni su tutto questo e sono più che mai convinta che la povera Harriet deve aver avuto un colpo apoplettico. Lo sapete anche voi che non era più la stessa da quando Gregory ci è stato tolto. E quando arriverà la polizia dobbiamo raccontare la verità il più semplicemente possibile. Nessuno di noi ha qualcosa da nascondere, quindi io voglio, miei cari ragazzi, che sappiate essere voi stessi, comportandovi con naturalezza, senza assumere atteggiamenti stupidi e incontrollati che possano far pensare a chi non vi conosce come vi conosco io che avete paura che venga scoperto qualcosa.» Stella alzò gli occhi. «Ma come dovremo raccontare i fatti?» La madre ricambiò il suo sguardo con una delle sue occhiate più limpide e serene. «Stella carissima, non ti capisco. Devi dire alla polizia né più né meno quello che sai.» «E la medicina che le hai dato? A Deryk l'hai detto, mamma!» «Certamente, cara. E va da sé che lo dirò anche alla polizia. Anzi, lascerò che vedano la boccettina con i loro occhi.» «Non siamo arrivati ancora fino a quel punto» interloquì Guy. «Non sappiamo se si tratta di qualcosa che richieda l'interessamento della polizia fino a quando non sarà stata fatta l'autopsia. Fielding ha già sbagliato prima e può sbagliare adesso.» «Senz'altro» ammise la signora Matthews. «Io stavo solo pensando a quello che dovremmo fare se capitasse il peggio. Per favore, non metterti in mente che sono convinta che vostra zia è stata avvelenata.» Beecher entrò. Continuava ad apparire ancora piuttosto scombussolato e quando parlò lo fece con una voce talmente anonima e inespressiva che Stella non poté fare a meno di pensare che adesso si sarebbe licenziato; e probabilmente si sarebbero licenziati anche tutti gli altri. «È arrivato il signor Rumbold, signora, e avrebbe piacere di vederla.» «Lo faccia passare» disse la signora Matthews. Era evidente che Rumbold aveva saputo la notizia. Sembrava ancora più stupefatto di Beecher. Quando parlò, non lo fece con il suo solito tono bonario e pacato, ma con una nota di orrore nella voce. «Signora Matthews, ho saputo proprio adesso... non può essere vero!» «Sì, caro amico, è vero. Quasi quasi non riusciamo a crederci neanche
noi. La mia povera, povera cognata...» Lui le prese la mano e continuò a stringerla a lungo, quasi senza accorgersene. «La vostra cameriera l'ha raccontato alla nostra cuoca... ma io non ci ho creduto. Non so cosa dire. Quell'infelice creatura...» Guy si voltò di scatto ad affrontarlo. «Signor Rumbold, noi siamo convinti che mia zia abbia avuto un colpo apoplettico.» «Un colpo apoplettico? È questa la diagnosi di Fielding?» «Fielding è un imbecille. Non sa che cosa possa aver provocato la morte di mia zia, ma noi siamo assolutamente sicuri che dev'essere stato un colpo apoplettico.» L'espressione apparsa sulla faccia di Rumbold era quella di chi ha un brutto presentimento. «Che cos'ha detto Fielding?» domandò. «Me lo ripeta, signora Matthews.» Nessuno dei presenti lo aveva mai sentito parlare con un tono tanto brusco. La signora Matthews lo fissò incerta. «È tutto troppo orribile, signor Rumbold. Il dottor Fielding pensa che Harriet sia stata avvelenata.» «Ha mai sentito qualcosa di tanto inverosimile?» domandò Guy. Rumbold lo guardò per un momento, ma non aprì bocca. «Ma non c'è neanche da pensare che qualcuno volesse avvelenarla!» esclamò Stella con enfasi. «Non può pensare che uno di noi... uno di noi...» A queste parole lui si affrettò a rispondere. «No, no, mia cara bambina, naturalmente no! Ma se Fielding sospetta un avvelenamento... È troppo spaventoso!» Guy, che era sempre vicino alla finestra, emise un verso di stupore. «Adesso il sovrintendente Hannasyde e il suo sergente stanno venendo su per il viale.» La signora Matthews trasalì. «Di già!» Il ragazzo attraversò la stanza per venirle vicino. «Va tutto bene, mamma. Credo che vorranno farci soltanto qualche domanda per saperne di più. Non possono fare niente... cioè, non sanno ancora che la zia Harriet è stata avvelenata!» «Non continuare a ripeterlo!» gridò sua madre, come se le fossero saltati i nervi. «Non è possibile!» Poi fece uno sforzo per controllarsi. «La prego, non se ne vada» disse con voce fievole al signor Rumbold. «Non ho nessuno che mi possa consigliare... E mi sento letteralmente a pezzi!» «Farò tutto quello che posso per aiutarla» rispose lui. «Ma dev'essere sincera con il sovrintendente... Non c'è da aver paura.»
La porta si aprì. «C'è qui la polizia, signora» disse Beecher in tono funesto. 12 La signora Matthews si accorse che tutti e due i suoi figli la stavano osservando. Si mise più impettita nella poltrona, sorrise e si voltò verso il maggiordomo. «Benissimo, Beecher» disse con una voce che era tornata dolce e perfettamente controllata. «Che entrino, prego.» Un momento dopo comparve Hannasyde. La signora Matthews inclinò leggermente la testa in segno di saluto. «Buon giorno, sovrintendente. Desiderava vedermi?» «Desidero farle qualche domanda, signora Matthews, a proposito della morte della signorina Harriet Matthews.» Lei inarcò le sopracciglia. «Non le pare che sia un tantino prematuro partire dal presupposto che la morte di mia cognata richieda la presenza della polizia?» Hannasyde la guardò fisso. «Ha qualche obiezione a rispondermi, signora Matthews?» «Per me è un argomento molto doloroso da discutere» rispose lei con dolente dignità. «Me ne rendo benissimo conto, e mi spiace fare l'intruso e di imporle la mia presenza in un momento simile, ma sono sicuro che capirà come, date le circostanze, il mio ufficio sia obbligato a indagare su quanto è accaduto.» «Suppongo di sì, tuttavia non si può fare a meno di pensare che il modo di comportarsi del dottore Fielding sia stato inaccettabile. Per quello che ci riguarda, siamo convinti che mia cognata sia rimasta vittima di un colpo apoplettico.» «Questo è un punto che dovranno determinare i medici legali» osservò Hannasyde. «Quando ha cominciato a sentirsi poco bene la signorina Matthews?» «Temo che per avere una risposta a tale domanda dovrà chiederlo a uno dei miei figli. Perché, vede, io non scendo mai a far colazione e quindi non so cosa sia successo fino a quando la mia povera cognata non è tornata di sopra.» Hannasyde si volse verso Stella. «Mia zia, quand'è scesa a far colazione, ha detto che non si sentiva molto bene. Dev'essere stato un po' prima delle
nove, credo.» «Ha detto quando aveva cominciato a sentire un certo malessere?» «No, sono quasi sicura di no. Si era semplicemente limitata ad annunciare che non si sentiva molto bene, o qualcosa di simile.» «Non prendeva mai niente prima di colazione? Una tazza di tè alla mattina presto, per esempio?» «Sì, quella sì.» «Chi gliela serviva?» «La seconda cameriera. Di solito era un incarico che toccava alla prima cameriera, ma al momento non l'abbiamo.» «Ed è sempre lei a preparare il tè?» «Non lo so. Lei o la cuoca, suppongo.» «La signorina Matthews non ha preso nient'altro? Una medicina, magari?» Stella rivolse un'occhiata interrogativa a sua madre, che scrollò il capo. «Davvero, sovrintendente, non ho la minima idea di quello che mia cognata possa o non possa aver preso, capisce?» Hannasyde preferì non insistere a questo proposito. Domandò invece a Stella che cosa la zia avesse mangiato a colazione. Quando sentì che la signorina Matthews si era limitata a una tazza di tè e una fetta di pancetta, annuì. «Si è trattato sempre dello stesso tè che avete bevuto anche lei e suo fratello?» «Io ho preso il caffè» rispose Stella. «Guy, tu hai preso il tè, vero?» «Sì, e la teiera era la stessa, fra l'altro.» «E dopo colazione cos'ha fatto la zia?» «In questo posso esserle utile io» intervenne la signora Matthews. «Stavo per andare a fare un bagno, come al solito, quando mia cognata è tornata di sopra e mi ha detto di sentirsi male e di avere le vertigini. Niente che potesse allarmare. Anzi, in primo momento ho creduto che si trattasse solamente di un po' di indigestione... qualcosa che le era rimasto sullo stomaco. Ma penso che non si sta mai abbastanza attenti, specialmente quando si tratta di una persona un po' avanti negli anni, come nel caso di mia cognata. Quindi l'ho fatta tornare a letto con la boule dell'acqua calda.» «Le ha dato qualcosa per farle passare il senso di nausea che provava?» «Sì, un preparato veramente ottimo che mi faccio dare dal mio farmacista, dietro prescrizione del mio medico personale, il dottor Herbert Martin, di Harley Street, ed è proprio per la mia stessa esperienza che posso di-
re...» «Vorrei vedere sia la medicina sia il bicchiere col quale è stata somministrata» tagliò corto Hannasyde. «Senz'altro» rispose la signora Matthews con lo stesso tono di chi vuole assecondare le richieste di un bambino capriccioso. «Ma naturalmente il bicchiere ormai è stato lavato e messo di nuovo al suo posto.» «Ne è sicura? È stato portato via dalla camera da letto della signorina Matthews?» «Certo. Non l'avrei lasciato lì mai e poi mai. Era il mio bicchiere personale, quello con il quale prendo sempre la mia medicina, e io sono molto schizzinosa in cose del genere. Voglio essere sicura che sia lavato come si deve e poi messo al suo posto.» «È stata lei stessa a lavarlo?» La signora Matthews si portò una mano alla fronte. «Non credo di ricordarmene. È possibile, oppure può darsi che sia stato semplicemente portato giù nel retrocucina.» «Bene, in tal caso, potrò saperlo dai domestici. Non ha pensato di chiamare il suo dottore perché venisse a visitare la signorina Matthews?» chiese Hannasyde. «Oh, no! Mia cognata non avrebbe fatto chiamare un dottore, e se devo dire la verità io stessa non l'ho giudicato necessario.» «Sua cognata ha detto espressamente che non voleva un dottore?» «Non so se abbia manifestato chiaramente questa opinione, ma era una di quelle persone che consultano i medici poco volentieri. E ne sono spiacente, perché se fosse stata cliente di un bravo medico, qualsiasi fosse il malessere di cui soffriva in quel momento, sono sicura che avrebbe potuto essere curata, e adesso l'avremmo ancora qui con noi. È evidente che dev'essere stato un tipo di malessere del quale nessuno di noi sapeva niente...» «Così, quando ha aiutato sua cognata a tornare a letto non ha notato niente di allarmante?» «Niente, nel modo più assoluto!» rispose lei Matthews in tono deciso. «E più tardi, quando è peggiorata, ha continuato a non sentirsi in ansia?» «Ma deve capire che io non ho neanche avuto il minimo sospetto di un peggioramento!» esclamò la signora Matthews. «Non sono più entrata nella sua camera fin verso le dodici...» «Un momento. Lei dice di non essere più tornata da sua cognata fin verso le dodici. Ma a che ora l'ha lasciata a letto?»
La signora Matthews si lisciò le pieghe dell'abito con gesti piuttosto innervositi. «Non credo proprio di saperglielo dire. Non ho guardato l'orologio. Ma in fondo perché avrei dovuto guardarlo?» «A che ora lei si alza abitualmente?» «Dopo aver fatto colazione. Io non prendo mai niente di più del tè e di un po' di pane tostato, e quindi...» «Perfetto. Ma io voglio sapere a che ora si alza la mattina.» «Insomma, sovrintendente, non può aspettarsi che io tenga un orario dettagliato delle mie...» A questo punto Edward Rumbold aprì bocca per la prima volta. «Se non sbaglio, lei si alza sempre più o meno alla stessa ora, dico bene, signora Matthews? Più o meno fra le nove e mezzo e le dieci, o sbaglio?» «Sì, generalmente sì» rispose lei di malavoglia. «Ah... questo è il signor Rumbold, sovrintendente, un carissimo amico. È stato della massima gentilezza...» «Io non credo che il sovrintendente sia interessato a sentir parlare della mia gentilezza, cara signora» disse Rumbold. «Stella, forse puoi esserci tu di aiuto per questo problema del tempo?» «Vuole dire... quando la mamma ha messo a letto la zia Harriet?» «Sì. Tua madre è troppo agitata per ricordarselo, ma naturalmente il sovrintendente deve sapere quand'è stato» rispose Rumbold in tono rassicurante. «Se lo sai devi dirglielo.» Lei lo guardò con aria un po' spaventata. «Lo sai, Stella?» «So che erano appena passate le dieci quando sono salita io, perché la pendola che c'è in anticamera le stava suonando. In quel momento la mamma stava venendo fuori dalla camera della zia Harriet con un...» La ragazza vide gli occhi di sua madre fissi su di lei e s'interruppe bruscamente. «Con che cosa, signorina Matthews?» la incalzò il sovrintendente. Stella scoppiò in una risatina. «Ecco, stavo per dire con una vestaglia... ma immagino che questo dettaglio sia irrilevante.» Si accorse che il poliziotto la stava guardando più attento di prima e si fece rossa. «Le ho chiesto se la zia Harriet stava peggio e lei mi ha risposto che non era niente di grave, ma che l'aveva messa a letto, e... e le aveva fatto prendere qualcosa. Sono scesa in cucina e dopo sono andata in giro per i negozi a far la spesa.» «Grazie.» Hannasyde si rivolse di nuovo alla signora Matthews. «Quindi si direbbe che lei abbia lasciato sua cognata alle dieci. E dopo è andata
fuori?» «Andata fuori?» ripeté lei. «No, avevo molti lavoretti da sbrigare in casa.» «E fra le dieci e le dodici non è più entrata nella camera di sua cognata?» «No. Ho scritto delle lettere e poi ho dovuto pensare ai fiori.» «Non ha giudicato opportuno entrare in camera a darle un'occhiata, non foss'altro per vedere se aveva bisogno di qualche cosa?» La signora Matthews rispose con dignità. «No, sovrintendente, non ho fatto niente del genere. Quando l'ho lasciata, Harriet sembrava addormentata. E ho pensato che la cosa migliore fosse quella di lasciarla riposare.» Lui accettò questa risposta senza commenti. «A mezzogiorno, quand'è tornata nella sua camera, non le è sembrato che ci fosse qualcosa che non andava?» «Ho pensato che fosse ancora addormentata. Ho aperto la porta senza fare rumore e mi sono limitata a metter dentro la testa e a dare un'occhiata. Lei era sdraiata sul fianco e sembrava che dormisse profondamente. Le tende erano chiuse, quindi non potevo vedere molto bene. Così sono andata via ed è stato soltanto all'ora di pranzo, quando ho mandato di sopra mia figlia a chiederle come si sentiva, che ho avuto un vago sospetto di quel che poteva essere successo. Ma perfino allora ho continuato a non credere che fosse morta. Mio figlio ha chiamato subito il dottore. È stato lui che ci ha dato la terribile notizia.» «Grazie» disse Hannasyde. «Signor Matthews, lei era in casa, stamattina?» «Sì» rispose Guy. «E non è mai uscito?» «No, stavo lavorando proprio in questa stanza. C'è qualcos'altro che posso dirle?» «Niente, grazie. A ogni modo, vorrei parlare con la cameriera che ha portato di sopra e servito alla signorina Matthews in camera la prima tazza di tè del mattino.» «Va bene, adesso suono per farla venire.» «Sarebbe possibile che io le parlassi in qualche altra stanza?» domandò Hannasyde. Guy arrossì. «Senz'altro. Le parli pure nella stanza che preferisce.» «Io preferirei se aspettasse fino a quando non avrà avuto la prova che mia cognata è stata avvelenata» intervenne la signora Matthews in tono tagliente. «Tutta questa storia mette in una terribile agitazione il personale di
servizio, che disgraziatamente è ridotto. E poi Mary non potrà raccontarle più di quanto le abbiamo già raccontato noi, perché non sa un bel niente.» «Vuol dire che non la costringerò a interrompere a lungo il suo lavoro.» Beecher entrò. Guy gli fece un cenno. «Sì, sono stato io a suonare. Accompagni il sovrintendente nella saletta dove facciamo la prima colazione e poi gli mandi Mary perché vuole parlarle.» «Molto bene, signore.» Beecher tenne la porta aperta per Hannasyde, e dopo averlo fatto uscire lo precedette nella saletta dove tutti facevano abitualmente la prima colazione. Nel giro di pochi minuti comparve Mary con gli occhi fuori della testa per la paura. Si fermò appena entrata, con le mani dietro la schiena. «Sì, signore?» disse con un filo di voce. Hannasyde le augurò il buon giorno e le chiese come si chiamava. «Non la tratterrò molto. Volevo soltanto che mi dicesse chi ha preparato il primo tè del mattino per la signorina Matthews e chi gliel'ha portato di sopra.» «La signora Beecher. A preparare il tè è stata lei, signore. E sono stata io a portare di sopra i vassoi... io e la sguattera.» «Chi di voi due ha portato il vassoio alla signorina Matthews?» «Non lo so, signore. La sguattera ha portato di sopra soltanto due vassoi e li ha appoggiati sul tavolo che c'è sul pianerottolo. Ma non mi ricordo proprio qual era dei due.» «La sguattera è tornata giù, dopo aver posato i vassoi su quel tavolo?» «Sì. Li ha portati di sopra soltanto per farmi un piacere. Ma lei non entra mai nelle camere da letto.» «Capisco. E lei, signorina, a chi ha portato il vassoio per primo?» Mary cominciò ad appoggiarsi prima su un piede e poi sull'altro, imbarazzata. «Ecco... al signor Guy. Perché a lui il tè piace molto caldo.» «È rimasta per molto tempo nella sua camera?» «Certo che no, signore!» esclamò Mary, scandalizzata. «Ho soltanto appoggiato il vassoio vicino al letto, aperto le tende e fatto qualche altra cosetta.» «Cosette... di che genere?» «Ho riordinato un po' la camera, signore, e poi ho messo sul mobiletto della toilette l'acqua per farsi la barba e l'ho svegliato.» «Allora sarà rimasta in quella camera dai cinque ai dieci minuti, giusto?» «Sì, più o meno come dice lei.» «Quand'è tornata fuori c'era qualcuno sul pianerottolo?»
«No. Chi vuole che fosse in giro a quell'ora?» «Be' a me interessa saperlo. A chi ha portato il vassoio successivo?» «Ho portato l'acqua calda alla signora Matthews, che non prende il tè.» «Ha dovuto svegliare anche lei?» Mary scrollò la testa. «La signora Matthews si sveglia sempre la mattina presto. Non dorme mai oltre le sei, così mi ha detto.» «Davvero? E il vassoio successivo?» «Alla signorina Harriet, signore. Era già sveglia anche lei.» «Come le è sembrata? Stava bene o si è lamentata di sentirsi indisposta?» «No, signore, non ha detto che si sentiva indisposta. Era come sempre.» «Non è più tornata nella sua camera in un momento qualsiasi durante la mattinata?» «No, da allora in poi non l'ho più vista» rispose Mary, e le salirono le lacrime agli occhi. «La signora Matthews aveva dato ordine di non disturbarla.» Hannasyde non le fece altre domande, e la mandò a cercare il maggiordomo, al quale il dottor Fielding aveva affidato la chiave della camera da letto della signorina Matthews. Il sergente, che aveva continuato le indagini nelle stanze di servizio, lo raggiunse e salì con lui al piano di sopra con Beecher. La camera da letto della signorina Matthews a una prima occhiata non rivelò niente. Hannasyde mandò via Beecher e chiuse la porta. «Se è stata avvelenata può darsi che le abbiano messo qualcosa nella prima tazza di tè, quella che prendeva sempre al mattino» disse. «A quanto pare il vassoio è stato lasciato sul tavolo qua fuori per qualche minuto intanto che la cameriera portava il vassoio nella camera di Guy Matthews. Ma può darsi che il veleno si trovasse nella medicina che la signora Matthews ha fatto prendere a quella povera creatura. E questo lascerebbe pensare che lei stamattina si sentisse poco bene per una pura e semplice causa naturale.» Il sergente fece una smorfia. «Qui si tratta di quello che io chiamerei un delitto assolutamente audace, capo. Se c'è in ballo ancora la nicotina, ci sarebbe da pensare che sia l'opera della stessa mano. Mi è capitato di conoscere persone che hanno avuto successo e se la sono cavata bene con un solo delitto eseguito con intelligenza, e si considerano furbe perché l'hanno passata liscia anche con il secondo, ma arrischiarsi a commettere il secondo quando la polizia non ha ancora finito con il primo è qualcosa che giu-
dico un'autentica follia. E c'è di più: se anche questo risultasse un omicidio, l'unica che può averlo commesso è la signora Matthews, a quanto mi pare di capire. Come ha preso la faccenda?» «È sconvolta. Ma quella donna è un tale impasto di falsità che è molto difficile giudicarla.» «Ecco dove entra in gioco la psicologia» osservò il sergente. «Ma io sto cercando un movente. Ne aveva uno per l'assassinio di Gregory Matthews, ma avvelenare la cognata unicamente per entrare in possesso anche della parte di eredità che è toccata a lei mi sembra francamente un po' fragile.» «Non lo so» obiettò il sergente con aria meditabonda. «Alcuni dei peggiori delitti che ci siamo trovati ad affrontare sono stati commessi per moventi che nessuno con un po' di sale in zucca giudicherebbe validi. Ma quel che mi piacerebbe sapere, capo, è come c'entra in tutto questo quel suo caro Hyde... me lo dica.» Hannasyde scrollò la testa. «Non sono assolutamente in grado di capirlo. Forse non c'entra affatto; forse stiamo sprecando il nostro tempo continuando a cercarlo.» Girò gli occhi per la camera. «Hemingway, voglio ogni oggetto che potesse contenere il veleno. Pensa lei a prenderli? Pastiglie, pillole, farmaci, cosmetici, lozioni...» «Benissimo!» esclamò il sergente, animandosi all'improvviso. «Però non sappiamo ancora di che veleno si tratti, o sbaglio?» «Ha sentito anche lei i commenti di Fielding. Dice di aver veduto un solo caso di avvelenamento da nicotina, ed è persuaso che questo sia il secondo.» «Bene, se ha ragione bisogna dire che qui abbiamo all'opera qualcuno che non va tanto per il sottile» osservò il sergente. «Non solo, ma questo secondo decesso ci complica ancora di più le cose. Naturalmente, se è stata la signora Matthews tutto si chiarisce immediatamente, però in questo modo vanno eliminati non soltanto Hyde, ma anche il giovane Randall. E chissà perché, è una soluzione che non mi soddisfa. Hyde è un maledetto mistero, e io per carattere sono sospettoso, quando ci sono di mezzo certi misteri... Non solo, ma il giovane Randall ci nasconde qualcosa.» Si avvicinò al mobiletto della toilette e si mise a ispezionare una boccetta di collutorio. «E poi per quale motivo l'uno o l'altro di quei due avrebbe voluto liquidare una vecchietta innocua come la signorina Matthews? Non ha il minimo senso logico. E si può sapere cos'è questo liquido per i gargarismi? Lo vuole?»
«Sì, e anche quel tubetto di unguento.» «Non è un unguento, è dentifricio. E qui ce n'è anche un altro, ma vuoto.» «Porti via anche quello. Stavolta non voglio correre rischi.» «Come crede. Ma se vuole sapere come la penso io, il mezzo più probabile col quale avvelenare la signorina Matthews è stato quel tè, oppure la medicina che, a quanto lei mi dice, la cognata ha fatto prendere alla cara vecchietta.» «Sì» ammise Hannasyde. «Ma non dobbiamo trascurare niente. Tutte le tazze per il tè sono state lavate da parecchie ore; e la stessa cosa vale per il bicchiere della medicina. A volte, però, le foglioline del tè si adoperano per pulire i tappeti, o sbaglio?» «È proprio così» confermò il sergente. «Vado subito a vedere se posso salvare quelle che sono state usate oggi.» Ma tornò indietro quasi subito scrollando la testa. «Non le conservano. Per pulire i tappeti adoperano un apparecchio elettrico. Le foglioline del tè sono state bruciate con tutte le altre immondizie.» Cominciò a infilare nella borsa che aveva con sé tutti i barattoli e le boccettine radunati da Hannasyde. «Nei locali della servitù si chiacchiera a tutto spiano» riprese. «A nessuno di loro è simpatica la signora Matthews. E da quando il vecchio è morto sembra che ci sia stata parecchia tensione in casa fra le persone della famiglia. Dicono che la signorina Stella ha intenzione di andarsene perché non vuole più vivere sotto lo stesso tetto con la zia. La cuoca non sopporta la signora Matthews, ma nello stesso tempo sostiene che Harriet Matthews in tutta quest'ultima settimana si è comportata come se le avesse dato di volta il cervello. Aveva la fissazione dell'economia. Io comincio a pensare che potrebbe reggere benissimo la tesi che la colpevole sia stata la cognata.» Scesero al pianterreno. In anticamera trovarono Edward Rumbold. «Se ne sta andando, sovrintendente?» gli domandò. «La signora Matthews avrebbe piacere di sapere per quando si aspetta i risultati dell'autopsia.» «Purtroppo è qualcosa che non posso dirle» rispose Hannasyde. «Comunque, non credo che ci vorrà molto tempo.» Squadrò Rumbold dalla testa ai piedi. «Lei è un intimo amico della famiglia?» «Vivo nella casa vicina... e credo che si possa dire che sono un amico abbastanza intimo.» «Conosceva bene il defunto signor Matthews?» Rumbold abbozzò un sorriso. «Ho i miei dubbi che qualcuno lo conoscesse bene, sovrintendente. Io posso dire che lo conoscevo.»
«Può darsi che lei possa aiutarmi a proposito di una piccola questione. Ricorda se il signor Matthews le ha mai menzionato uno qualsiasi degli affari in cui era interessato?» Rumbold corrugò la fronte. «Non credo di capire molto bene. Allude forse a qualche impresa azzardata, oppure a qualche speculazione? Un paio di volte ha domandato la mia opinione a proposito di certi investimenti che pensava di fare.» «No, non alludevo a quello. Non sa per caso se si occupasse di affari particolari dei quali la sua famiglia non era al corrente?» «Se così è stato, parlando con me non ne ha mai fatto la minima allusione... E di quale genere di affari si tratterebbe?» «Questo non posso dirglielo. Pensavo che magari il signor Matthews si fosse confidato con lei.» «No, non mi ha mai parlato di niente del genere.» Hannasyde si lasciò sfuggire un sospiro. «A quanto pare è sempre stato molto reticente. Lei l'ha visto il giorno in cui è morto?» «No, ero via. Sono tornato soltanto la settimana scorsa.» «Be', non era molto importante.» Edward Rumbold, dopo aver raggiunto la famiglia in biblioteca, non accennò alla sua conversazione con il sovrintendente limitandosi a dire che Hannasyde non gli aveva annunciato quando si aspettava di ricevere il referto del medico legale. «Che importanza vuole che abbia?» esclamò Stella spazientita. «A che cosa serve fingere di ignorare i fatti? Sappiamo che la zia è stata avvelenata!» «Mia cara bambina, non sappiamo niente del genere» obiettò la madre. «Ti prego di controllarti!» «Ma allora perché hai fatto finta di non ricordare chi avesse lavato quel bicchiere?» La signora Matthews ricominciò a cincischiare le pieghe del vestito. «Insomma, Stella!» protestò. «Ti sei dimenticata che la memoria non è il mio forte? Ho avuto cose molto più importanti sulle quali riflettere, oggi, senza esser costretta a ricordare la persona che ha lavato un bicchiere.» «Ma sei sempre tu che lo lavi! E me l'hai anche detto!» «Benissimo, cara. Allora sono stata io sicuramente a lavarlo. In fondo, non è una questione d'importanza così vitale.» Stella, ridotta al silenzio, le voltò le spalle. E allora fu Guy a parlare,
come se avesse rimuginato a lungo su quello che voleva dire. «Lo sai, vero, che i soldi della zia Harriet vengono a me?» «Soldi!» ribatté con asprezza la signora Matthews. «Ma non aveva una tale quantità di soldi di cui valga la pena di parlare. Non essere sciocco, Guy... E non mi pare che sia molto carino da parte tua pensare a quello che la povera Harriet può averti lasciato quando è appena morta...» «Si tratta di circa quattromila sterline» la interruppe lui. «E so bene cosa potrei farne!» Stella si lasciò sfuggire un'esclamazione e uscì in fretta e furia. Attraversando l'anticamera i suoi occhi si soffermarono sul telefono che c'era sul tavolo. Si fermò, rimase a fissarlo per un po', quindi, come seguendo un impulso improvviso, tirò su il ricevitore e compose un numero. Quasi subito rispose una voce ben modulata. Stella domandò se poteva parlare con il signor Matthews. «Non è in casa» rispose la voce. «Quando tornerà?» «Veramente non saprei. Posso riferirgli un messaggio?» «No, non ha... Sì. Può essere tanto gentile da avvertirlo di chiamare la signorina Stella Matthews appena rientra, per piacere?» Posò di nuovo la cornetta e voltandosi si accorse che Guy l'aveva seguita fuori della biblioteca e adesso era immobile a fissarla con gli occhi sbarrati. «Si può sapere che cosa diavolo vuoi da Randall?» Stella arrossì. «È il capofamiglia, e ha detto che vuole andare a fondo di questa faccenda. Non solo, ma lui sa qualcosa.» «Diciamo piuttosto che gli piacerebbe se noi lo credessimo» ribatté il fratello in tono sprezzante. «E se puoi spiegarmi che cosa accidenti lo avrebbe spinto a eliminare la zia Harriet, sei maledettamente furba. Per quel che mi riguarda, pensavo che potesse aver avuto a che fare con la morte dello zio, anche se non riesco a vedere in quale modo. Ma, a parte il fatto che non era qui quando la zia è morta, per quale motivo avrebbe dovuto ucciderla?» «Non lo so. O meglio, non credo che sia stato lui. Ma viviamo in una specie di incubo, e Randall almeno sembra che ne sia fuori e abbia il cervello lucido.» Stella si torceva le mani nervosamente. «Si può sapere per quale motivo sei saltato su con tutte quelle frottole a proposito dei soldi della zia?» Guy si mise a ridere. «È la pura verità, e presto o tardi la notizia dovrà
venir fuori. Per quale motivo dovrei cercare di tenerla nascosta?» «Non avrai in mente di combinare qualche sciocchezza, vero?» «Assolutamente, no. Sta' calma» disse lui, e si diresse verso la saletta della prima colazione. Fu soltanto dopo cena che Randall chiamò. Non appena sentì la sua voce tranquilla e un po' melliflua, Stella si rianimò. «Oh, sei tu, finalmente! Dov'eri? Io...» «Alle corse, tesoro. E si può sapere cosa vuoi da una persona indegna e modesta come il sottoscritto?» «Randall, è successa una cosa che più spaventosa di così non potrebbe essere. La zia Harriet è morta.» Ci fu una piccola pausa. «La zia Harriet è... cosa?» «Morta» ripeté Stella. «Stamattina. E pensano che si tratti di veleno.» Il silenzio che accolse questo annuncio si prolungò a un punto tale che lei non poté più dominarsi. «Sei sempre lì? Pensano che sia stata avvelenata, te l'ho appena detto!» «Ti ho sentita» rispose Randall. «Confesso che sono stato preso alla sprovvista. Chi sarebbero queste persone che lo pensano, posso chiederlo?» «Deryk Fielding, e naturalmente i poliziotti. E c'è da prevedere anche un'autopsia.» «E cosa ti aspetti che io faccia, bellezza?» «Dicevi che era tua intenzione andare a fondo a questa faccenda...» «È stato molto sconsiderato da parte mia fare affermazioni del genere.» «Non potresti venire qui?» «Potrei, ma non ne ho nessuna intenzione. Forse domani. Tu mi vuoi?» «Voglio che tu chiarisca la faccenda. Dicevi...» «Tesoro, puoi dimenticarti quello che dicevo. Se la zia Harriet è stata avvelenata, niente di quello che ho detto può avere un qualsiasi valore. Vengo lì domani.» Stella dovette accontentarsi. Non andò a riferire a sua madre che Randall sarebbe venuto ai Pioppi, e in cuor suo si augurò che la sua visita avesse luogo mentre la madre era in chiesa. Invece la signora Matthews ritornò dalla chiesa, accompagnata da Edward Rumbold, quando di Randall non c'era ancora il minimo segno, e fu soltanto a mezzogiorno e mezzo che la Mercedes imboccò il viale del giardino e Randall si presentò ai Pioppi. La signora Matthews, che sembrava avesse passato la notte senza chiu-
dere occhio, stava descrivendo al signor Rumbold l'atmosfera di pace che aveva sentito diffondersi intorno a sé in chiesa e s'interruppe di colpo appena Randall entrò nella stanza. «Randall!» disse. «Immagino che fosse logico aspettare il tuo arrivo.» «Può darsi. Ma a quanto pare nessuno mi aspettava sul serio» osservò lui. «Per carità, non voglio interromperti, mia cara zia. Io provo sempre un grande interesse per le tue esperienze spirituali.» «La zia ha avuto un fortissimo shock» intervenne Rumbold con voce pacata. «Tutti abbiamo avuto un fortissimo shock. Sei scombussolata, mia cara zia? Sono sicuro che è scombussolato anche quel sovrintendente animato da tante buone intenzioni.» «Perché dovrebbe esserlo?» provò a chiedere Rumbold. «Ecco» cominciò il giovanotto mentre si osservava con aria critica la cravatta nello specchio appeso sulla mensola del camino «L'ultima volta che l'ho visto era indaffaratissimo a mettere insieme il materiale necessario per definire come autore del delitto il classico ignoto.» «Si può sapere cosa stai dicendo?» gli domandò Stella. «Credi di essere spiritoso?» «Tesoro mio, in un momento così solenne?» Randall incrociò il suo sguardo nello specchio e osservò, al di là dell'immagine di Stella, anche quel tanto che poteva vedere della signora Matthews, seduta vicino a Rumbold sul divano. «E allora... chi sarebbe questo classico ignoto?» «Non fare la sciocca, cara» rispose lui; non sembrava ancora soddisfatto del nodo della cravatta. «Naturalmente non lo sa nessuno. Il suo nome è Hyde... John Hyde. Conosci un John Hyde, mia cara zia?» «No, non lo conosco. Né tanto meno ci tengo a capire di cosa stai parlando.» «Cos'avrebbe a che vedere questo Hyde di cui stai parlando con la morte della signorina Matthews?» domandò Rumbold. «Chi è?» «È proprio quello che vorrebbe sapere la polizia. In questo momento gli danno la caccia dappertutto. Non che abbia qualcosa a che fare con la prematura scomparsa della povera zia Harriet, però. È morto, sapete?» «Lui è morto?» ripeté Rumbold. «O, piuttosto, diciamo che un annuncio della sua dipartita è stato pubblicato sul giornale qualche giorno fa.» Rumbold adesso lo stava fissando con gli occhi sbarrati. «Un annuncio
della sua dipartita sul giornale?» disse. «Ma... mio caro Randall, si può sapere di che cosa stai parlando? Prima dici che la polizia dà la caccia a questa persona che si chiama Hyde, poi è stato pubblicato il suo annuncio mortuario. Come si spiega?» «Oh, sono valide l'una cosa come l'altra!» rispose Randall voltando le spalle allo specchio e fissando in faccia Rumbold e Zoe. «La polizia è scettica. Non sono persuasi che Hyde sia morto davvero. Anzi, a meno che io non abbia preso una grossa cantonata, il loro sospetto è che abbia assassinato lo zio Gregory e poi si sia dato alla macchia. Di conseguenza la morte della zia dev'essere un durissimo colpo per loro, in quanto elimina Hyde dal novero dei sospetti.» Stella aveva seguito questo scambio di battute sempre più sconcertata. «Si può sapere cosa c'entra con i fatti nostri una persona della quale non abbiamo mai sentito parlare? Che cos'avrebbe a che fare questo signore con lo zio, e per quale motivo avrebbe dovuto assassinarlo?» «Già, perché?» fece Randall. «Sì, ma cosa fa nascere alla polizia i sospetti sul suo conto?» «Be', è svanito nel nulla, capisci?» «Sì, ma...» «Cara, non continuare a ripetere sì, ma. Adopera l'intelligenza. Alla polizia piacciono poco le persone che scompaiono nel nulla. Non è corretto.» «Sarà come dici» intervenne Rumbold. «Però la polizia deve pur aver avuto qualche ragione per sospettarlo, oltre al fatto che si è dissolto nel nulla... o che è morto.» «Certamente. Hanno scoperto che lo zio aveva dei rapporti con lui. Di conseguenza sono andati a cercarlo, ma non c'era. Poi si sono messi a cercare le sue carte e i suoi documenti, ma non hanno trovato neanche quelli.» «Non hanno trovato neanche quelli?» «No. Erano in una cassetta di sicurezza. È una storia molto misteriosa. Farà meglio a chiedere spiegazioni al sovrintendente.» La signora Matthews si lasciò sfuggire un profondo sospiro. «Non riesco a capire come tutto questo sproloquio, che mi sembra senza capo né coda, abbia un rapporto con la morte di tua zia.» «Come al solito, mia cara zietta, hai colto nel segno. Non ha niente a che vedere con la morte della zia Harriet.» «E allora perché perdi il tuo tempo a parlarne? Di sicuro...» «Lo faccio soltanto per creare un diversivo» rispose Randall con voce dolce. «Ma sono qui, pronto a parlare del decesso della zia Harriet, caso-
mai tu lo preferissi. Quando e come è morta?» La signora Matthews rabbrividì. «Mi spiace, ma ho paura di non trovare la forza di parlarne.» «Allora sarà la cuginetta Stella a raccontarmi cos'è successo. Cosa ne diresti, cocca, di fare una corsa in macchina per la brughiera e toglierti un peso dal cuore confessandoti con me?» «Va bene» disse Stella, dopo un attimo di perplessità. «Vado a mettermi il cappello.» Guy alzò gli occhi. «Senti un po', Stella...» cominciò, ma poi s'interruppe, esitante, come se non sapesse andare avanti. Randall gli sorrise gentilmente. «Non sentirti intimidito di fronte a me, cuginetto. È logico che tu voglia raccomandarle di non farmi neanche la più piccola confidenza.» Bastò a lasciare Guy ammutolito. Ma lanciò ugualmente un'occhiata di fuoco al cugino che, sorridendo, aprì la porta a Stella. Lei non lo lasciò lì ad aspettare molto a lungo, mentre si metteva il cappello, e lo raggiunse fuori quasi subito, sedendosi di fianco a lui in macchina. «Grazie a Dio, adesso almeno per una mezz'ora rimarrò lontano da tutto!» esclamò. «È assolutamente orribile.» «Sì. Del resto non mi lusingavo che venissi con me per il puro piacere della mia compagnia» disse lui schiacciando il pedale della frizione. «Scusami. Non volevo essere scortese.» «Tesoro mio, sei fuori di te. Guarda che non devi lasciarti logorare i nervi da tutta questa faccenda, sai?» «Be', invece credimi de ti dico che li ho letteralmente a pezzi. Devi aiutarci.» Lui non rispose subito, poi le fece una domanda con una voce più melliflua del solito. «Cosa ti fa pensare che potrei aiutarvi in qualche modo?» «L'hai già fatto. In pratica hai ammesso di sapere qualcosa.» «Hai una fantasia un po' troppo sbrigliata, bellezza. Ho detto di non volere che il mistero sia risolto.» «Be', invece dev'essere risolto!» esclamò Stella in tono concitato. «Ho una gran paura che possa succedere davvero.» «Randall, cosa sai? E perché dici che hai paura che possa essere risolto? Non sei stato tu a uccidere la zia Harriet.» «Assolutamente no. Anzi, considero la sua morte una complicazione del tutto inutile. Farai meglio a dirmi com'è avvenuto.»
«Ecco, a colazione ha detto di non sentirsi bene. La cena, la sera prima, era stata pessima e Guy ha insinuato malignamente che all'origine della sua indisposizione c'era qualcosa che aveva mangiato.» «Per mostrarsi premuroso oppure per prenderla in giro?» volle sapere Randall. «Per prenderla in giro. Secondo il tuo stile» rispose Stella. «Tesoro, devi imparare ad apprezzarmi di più. Il mio stile è unico.» «E va bene. Tanto, non cambia niente. A ogni modo la zia si è seccata e ha voluto mangiare della pancetta, a pura e semplice dimostrazione che non erano state le sardine della sera prima a farla star male.» «Un momento. A me piace avere le idee chiare. C'è da pensare che una sardina abbia una parte fondamentale in questa storia? Perché se così fosse, gradirei che il ruolo della sardina mi venisse spiegato più chiaramente.» «No, abbiamo avuto semplicemente le sardine come savoury, il nostro solito fine pasto salato. Tutto qui.» «Se è vero quello che dici e se è proprio tutto qui, bisogna dire che la smania di fare economia della zia Harriet deve aver toccato un livello tale da lasciarmi sconvolto» fu il commento di Randall. Lei scoppiò in una risata scrosciante, ma tornò immediatamente seria. «Non è buffo. Ed è vergognoso da parte tua scherzare su cose come questa.» «Assolvimi, tesoro. Volevo soltanto farti ridere.» «Perché?» Lui sorrise. «Una Stella così solenne. Non mi piace. Ma continua pure con questa storia affascinante.» «Ecco, non c'è molto di più da raccontare. A quanto sembra si è sentita peggio dopo colazione ed è salita a dirlo alla mamma, che l'ha fatta tornare a letto e le ha dato non so quale medicina. Poi è andata a dare un'occhiata in camera sua verso mezzogiorno, solo che sembrava dormisse profondamente, e allora non ha voluto disturbarla. Poi al momento del pranzo sono salita io a chiamarla, e... e lei era morta.» Randall accelerò per sorpassare un camion, poi ridusse di nuovo al velocità. «E adesso raccontarmi tutte le parti che hai lasciato fuori» disse. «Io... io non ne ho lasciata fuori nessuna. Salvo che continuo ad avere l'impressione che secondo la polizia la mamma abbia qualcosa a che fare con quello che è successo.» «Si direbbe che non siano i soli a crederlo.» «Cosa intendi dire?»
«Se non hai nessuna paura che la tua santa genitrice abbia avuto una parte in quello che è successo, si può sapere di che cosa ti preoccupi, amore mio? Raccontami tutta la verità.» «Non ho paura che l'abbia fatto lei. Proprio per niente, te l'assicuro. Temo soltanto che le cose si mettano male, che la sua situazione diventi più grave, e non so cosa fare. Lei ha lavato il bicchiere nel quale aveva versato la medicina per la zia, poi ha dato ordine che nessuno salisse nella sua camera. È quello che avrebbe fatto chiunque altro, ma per la polizia sembra che tutto questo puzzi di losco, e la mamma... mi pare che la mamma abbia peggiorato le cose perché ha detto di non riuscire a ricordare chi avesse lavato il bicchiere, mentre era chiarissimo che se ne ricordava perfettamente. E continuava a dirsi convinta che la zia avesse avuto un colpo apoplettico, e a trovare dei validi motivi per questa spiegazione. Il peggio, poi, l'ha combinato con Deryk. Non mi fido di lui, e ho paura che possa avere riferito alla polizia che lei si è ribellata all'idea che si facesse un'autopsia. Pensa un po' se l'arrestassero...» «E perché non pensare, invece, se non sia il caso di accertare se la zia Harriet è stata avvelenata o no?» controbatté lui. «Randall, perché non vuoi raccontarmi quello che sai?» disse Stella con aria implorante. «Deryk non avrebbe detto niente del genere se non fosse stato abbastanza sicuro. E se lei è stata avvelenata, non capisci che la mamma, Guy e io stessa siamo le uniche persone che avrebbero avuto un movente per farlo?» «Certo che lo capisco, ma se voi tutti foste tanto intelligenti da non perdere la testa, non è escluso che possiate evitare di finire in galera.» «Non dire così!» ribatté lei con asprezza. «Credevo che ti saresti comportato da persona perbene, valutando seriamente la situazione. Avrei dovuto immaginarlo che sei capace soltanto di scherzare e prenderci in giro.» «Per quanto strano ti possa sembrare, amore mio, io sto prendendo tutto questo molto seriamente.» Stella lo guardò con curiosità. «Eri affezionato alla zia Harriet?» «Proprio per niente. Ma la preferivo viva piuttosto che morta.» «Perché lo dici con quel tono?» «Perché, mia cara Stella, la zia Harriet, morendo, ha creato una situazione maledettamente imbarazzante.» 13
Il resto della domenica passò male, lasciando tutti nell'inquietudine. Randall se ne andò poco dopo il pranzo, la signora Matthews andò a riposare, e i suoi figli, quando scoprirono di non riuscire assolutamente a trovarsi un'occupazione qualsiasi in casa, uscirono a fare una passeggiata. La signora Matthews osservò tre volte durante il corso della serata che si sentiva letteralmente smarrita senza la cognata, e quando Guy, che evidentemente aveva i nervi a pezzi, le fece notare in tono caustico di aver avuto l'impressione che la vita sotto lo stesso tetto con Harriet le fosse diventata insopportabile, lei gli tenne una vera e propria lezioncina sui pericoli dell'esagerazione e andò a letto proclamandosi non in collera, ma semplicemente addolorata e offesa. Poi Stella se la prese con il fratello, incolpandolo di aver fatto nascere un bisticcio, e lui, dopo averle annunciato che se continuava su quel tono ci sarebbe voluto molto poco, e non soltanto da parte sua, per arrivare ai risultati più disastrosi, uscì dalla stanza sbattendo la porta. A quel punto Stella andò a letto anche lei e continuò a fare sogni angosciosi fino alla mattina. Se aveva preso la lodevole risoluzione di andare in ufficio come al solito, ben presto Guy si rese conto che doveva rinunciarvi. Scese a colazione pallido, con gli occhi gonfi, bevve una quantità di tè forte e si limitò a ridurre in briciole una fettina di pane tostato. Le sue osservazioni a quello che la sorella gli diceva furono monosillabiche, tanto che dopo un po', rinunciando a ottenere risposta, lei finì di mangiare in fretta e andò a parlare con la cuoca. La signora Beecher aggiunse un ultimo tocco a rendere ancora peggiore l'inizio di quella giornata, perché l'accolse annunciando che aveva tutte le intenzioni di darle un mese di preavviso e licenziarsi. Non soltanto lei, ma anche suo marito, le spiegò, erano molto dispiacenti ma si sentivano sconvolti. «Be', non posso dire che questo mi meravigli» rispose Stella con candore. «Infatti, signorina, e capisco che non è colpa sua. Ma bisogna pensare anche a noi stessi, perché dopo tutto quello che è stato detto e fatto, giusto o sbagliato che possa essere, nessuno dei due ci tiene a rimanere in una casa dove le persone muoiono così, come se niente fosse, e per di più di veleno, sei giorni su sette. Non è naturale.» «No» confermò Stella, troppo depressa e sgomenta per farle rilevare che quell'osservazione non era assolutamente esatta. «C'è bisogno di qualcosa
in città?» A quel punto la signora Beecher tirò fuori un foglio di carta che sembrava coperto interamente di appunti e le confermò che sì, effettivamente le occorrevano due o tre cosette. Stella prese la lista e andò di sopra a consultarsi con sua madre. La signora Matthews stava per alzarsi dal letto quando sua figlia entrò in camera. Anche lei, come Guy, aveva occhiaie profonde. Disse di aver passato una brutta nottata e non appena le venne messa davanti la lista che la signora Beecher aveva preparato si lasciò sfuggire un gemito e implorò la figlia di non venire a tormentarla con simili faccende. «Ma c'è di peggio» disse Stella, mettendosi in tasca la lista. «I Beecher si sono licenziati. Se ne vanno alla fine del mese. Devo fare una telefonata o passare all'ufficio di collocamento?» La madre le rispose di sentirsi molto triste di fronte al fatto che non c'era al mondo nessuno capace di non pensare solamente a se stesso, ma anche agli altri. Comunque, dopo aver continuato a snocciolare una serie di riflessioni filosofiche su questo tono per cinque minuti buoni, ricordò di aver sempre avuto l'intenzione di liberarsi dei Beecher, se Gregory le avesse lasciato in eredità la casa, quindi, se anche poteva sembrare il contrario, le pareva che non tutto il male venisse per nuocere. Stella la lasciò intenta a meditare sul nuovo personale di servizio che doveva cercare e uscì per fare la spesa. Al suo ritorno, quasi un'ora più tardi, trovò Guy che continuava ad andare su e giù a passo concitato per l'anticamera. Le sfuggì subito qualche commento agro su questo fatto ma lui, voltandosi a guardarla con la faccia pallida e sconvolta, si limitò a darle un annuncio angoscioso. «C'è la polizia. È stata avvelenata.» Stella posò lentamente i suoi pacchetti sul tavolo e rispose dopo qualche secondo. «Be', in pratica lo sapevamo già. E con che cosa?» «Nicotina. Proprio come lo zio.» «Era prevedibile. Dov'è la polizia?» «In biblioteca, con la mamma. Non mi hanno permesso di rimanere.» «Hanno scoperto dov'era stato messo il veleno?» «No. O perlomeno non credo. Fin da sabato avevano portato via una quantità di medicine e di altre cose dalla camera della zia Harriet. Immagino che non abbiano avuto il tempo di analizzare tutto.» Stella si tolse lentamente i guanti e ne lisciò le dita a una a una. «Fintan-
toché non sanno come la nicotina le è stata somministrata non è il caso di lasciarci prendere dal panico» osservò. «Nessuno si sta lasciando prendere dal panico» replicò il fratello in tono irritato. «Ma procederanno nelle indagini alla ricerca di un movente. Ascolta quello che ti dico: ci ho riflettuto a lungo e adesso l'ho ben chiaro in mente dall'A alla Z. Tutto andava bene, quand'è morto lo zio. Poteva essere chiunque, l'assassino. Ma la morte della zia Harriet ha ristretto enormemente il campo, riducendolo a due sole persone: io e la mamma. Il guaio è che noi avevamo un movente per entrambi gli omicidi. Non c'è nessun altro che avesse il più piccolo motivo per assassinare la zia. E non serve chiudere gli occhi di fronte alla realtà nuda e cruda: uno di noi due sta per essere arrestato... forse tutti e due.» «Non essere così sciocco!» sbottò Stella. «Non possono provare niente contro di voi... oppure sì?» Guy smise di camminare avanti e indietro e si fermò di colpo davanti al tavolo, affrontando sua sorella che era rimasta immobile dall'altro lato. «Se vorrai prenderti il fastidio di esaminare la situazione con onestà e freddezza, vedrai che possono aver messo insieme un'accusa molto pesante contro di noi. Io ero in un bel pasticcio, e niente sarebbe mai riuscito a persuadermi a partire per il Sudamerica; quindi ho avvelenato lo zio. Poi ho scoperto che la zia Harriet mi aveva lasciato i suoi soldi, e dal momento che sono in difficoltà economiche ho avvelenato anche lei.» «Nessuno commetterebbe mai un omicidio per quattromila sterline» obiettò Stella. «Credi proprio? Non illuderti, ragazza mia! Tanta gente è pronta a commettere un omicidio per molto meno.» «Se devo accettare il tuo ragionamento, anch'io avrei potuto assassinarla perché rendeva la vita insopportabile a tutti in questa casa.» «Non credo. Naturalmente avresti potuto assassinare lo zio perché minacciava di rovinare Fielding, ma anche quello è poco probabile, specialmente adesso che fra voi tutto è finito. È della mamma che la polizia sospetta. Si stava vestendo quando sono arrivati, e il primo con il quale hanno parlato sono stato io. Il sovrintendente mi ha fatto un mucchio di domande... e maledettamente imbarazzanti, per di più. Quei domestici dell'accidente devono aver chiacchierato a tutto spiano. Se provi a pensarci un momento lo vedi subito anche tu che la situazione è enormemente sospetta. Non ti ricordi il litigio che nostra madre ha avuto con lo zio Gregory per la sua idea di spedirmi in Brasile? Be', naturale che te ne ricordi:
in fondo, è stato l'unico vero litigio che abbiano mai avuto, e tutte le persone di casa lo sapevano. Ma da come vedo io le cose, non sarebbe stato tanto importante se lei, tutto d'un tratto, non avesse smesso di mettergli il muso, diventando tutta zucchero e miele.» «Oh, ma quello è proprio il suo modo di fare!» rispose Stella. «In parte perché ha cominciato a ricordarsi di essere una buona cristiana e in parte perché sperava di convincere lo zio a cambiare idea con le paroline dolci. Chiunque conosca la mamma lo sa.» «Ma la polizia non la conosce, ecco il punto. Insomma, Dio benedetto, perfino io sono rimasto meravigliato quando l'ho vista arrendersi così in fretta. E a quanto pare lei ha raccontato alla polizia di non aver mai preso sul serio le minacce dello zio per quello che riguardava la questione del Brasile, mentre è una bugia bella e buona. E poi sai anche tu com'è fatta. È sempre convinta che le cose siano successe esattamente come lei è convinta che dovevano succedere, e di conseguenza viene fuori con una serie di frottole una più stupida dell'altra, alle quali non crederebbe neanche un bambino.» «Sì, ma non è possibile che la polizia creda che la mamma abbia assassinato la zia semplicemente perché voleva ereditare la casa intera invece di metà.» Guy diede una manata sul piano del tavolo. «Ma come fai a essere così sciocca? Non ti rendi conto che lo zio ha lasciato duemila sterline l'anno in amministrazione fiduciaria per il mantenimento di questo posto? Be', non soltanto chi aveva tutto in mano era la zia Harriet che si occupava personalmente del governo della casa, ma duemila sterline bastavano appena. Ora che è morta, quella somma basterà. Come fai a non capirlo?» «No, confesso che non lo capisco» ribatté Stella con asprezza. «Quei soldi non sarebbero mai stati consegnati alla zia Harriet perché li spendesse come voleva.» «Grazie tante! Ma ti assicuro che so con precisione le clausole con le quali questa somma doveva essere pagata. Gli amministratori fiduciari sono impegnati a pagare le tasse, le imposte locali e altre cose simili, ma il rimanente viene versato in banca trimestralmente; e finché non si va in rosso, chi può avere qualcosa da dire sul modo in cui quella cifra viene spesa?» «Sì, lo capisco, eppure si fa un po' fatica a pensare a una possibilità del genere sul conto della mamma, indipendentemente da quelli che possono essere i suoi difetti.»
«Quello che penso io non c'entra. Importante, invece, è cosa ne pensa la polizia» disse Guy. «Be', secondo me ci penseranno due volte prima di arrestarla» replicò Stella. «Se voleva assassinare la zia Harriet perché non ha aspettato che tutto lo scalpore suscitato dalla morte dello zio si calmasse un po'? Farlo adesso è veramente come andare a cercarsi dei grossi guai!» «No, non sono d'accordo. Se è stata lei, probabilmente pensava che sarebbe stato meno rischioso, fintantoché la polizia continuava ad annaspare nella nebbia più completa riguardo alla morte dello zio. Erano tante le persone sospettabili. Mentre se avesse aspettato, con ogni probabilità lei sarebbe diventata l'unica. Può darsi che abbia fatto un ragionamento più o meno simile a questo.» Stella rabbrividì. «È orribile. E adesso smettila di parlare in questo modo, per l'amor di Dio! E perché non pensare a quell'uomo di cui ci ha detto qualcosa Randall e del quale non riesco a ricordarmi il nome?» «Che stupidaggine! A me è sembrato che Randall cercasse soltanto di fare lo spiritoso.» «No, per niente. Parlava sul serio.» «Bene, se è stato quel tizio non riesco a capire cosa può avere a che fare con la morte della zia Harriet.» «Lo ha detto anche Randall» rispose Stella in tono cupo. «Da quanto tempo la mamma è chiusa là dentro insieme alla polizia?» «Una ventina di minuti.» Guy cominciò di nuovo a camminare avanti e indietro. «Ti giuro che non riesco a capire nostra madre. Di solito è molto più controllata, non si tradisce mai. Non l'ha fatto quando è morto lo zio. Ma stavolta sembra... innervosita, spaventata.» «Quello che è successo basterebbe a spaventare e a innervosire chiunque.» «Be' io non ne posso più. Se almeno la smettesse di raccontare a tutti come soffrirà per la mancanza della zia, e com'è disperata!» esplose Guy. «Tutte frasi che suonano maledettamente false, non lo capisci?» Stella ci rifletté su un momento. «Non ne sono proprio sicura. È possibile che senta la sua mancanza.» Guy la guardò con tanto d'occhi. «Ma se litigavano come cane e gatto!» «Sì, è vero, ma... Ormai si erano abituate alla presenza l'una dell'altra, e spesso si schieravano insieme contro lo zio o la zia Gertrude, e se capitava che una delle due si ammalasse, l'altra la ricopriva di premure.» «Sarebbe stato meglio se non l'avessero fatto... Oh, accidenti a tutto!
Perché la mamma ha dato alla zia una medicina delle sue invece di mandare a chiamare il dottore? E che cosa le è venuto in mente di proibire a tutti di entrare nella sua camera? I domestici continuano a ripetere, dal primo all'ultimo, che lei ha insistito a dire che non dovevano assolutamente disturbarla, e oggi è saltato fuori che aveva addirittura proibito a Mary di spazzare il pianerottolo, quella mattina.» «Chiunque avrebbe fatto la stessa cosa» obiettò Stella. «La zia aveva detto di voler dormire, quindi era naturale che la mamma non permettesse a Mary di fare rumore proprio davanti alla sua camera.» Lui fece per rispondere, ma s'interruppe subito perché in quel momento la porta della biblioteca si era spalancata e sulla soglia era apparsa la signora Matthews. «Stella, ho bisogno di te.» Tutti e due i suoi figli si precipitarono verso di lei. Stella le fece scivolare un braccio intorno alla vita per sorreggerla. «Cosa c'è? Non preoccuparti, mamma, sono qui.» La signora Matthews fece entrare Stella in biblioteca. «Cara bambina, ho bisogno che tu rifletta con molta attenzione su quello che è successo e lo riferisca al sovrintendente. Ti ricordi che quando la povera zia Harriet ha detto di non sentirsi troppo bene tu e io ci siamo messe a discutere se fosse il caso di mandare a chiamare il dottor Fielding?» «Sì, certo» rispose Stella, il cui unico ricordo era quello di aver sentito dichiarare recisamente da sua madre che un medico non era affatto necessario. Girò gli occhi intorno a sé e quando incrociò lo sguardo di Hannasyde lo fissò senza batter ciglio. «Io non ho mai pensato che fosse necessario chiamarlo.» Hannasyde non le rispose, ma preferì rivolgersi a sua madre. «Signora Matthews, tutto questo è assolutamente inutile. Resta il fatto che lei non ha mandato a chiamare un dottore, per quanto a una donna della sua esperienza dovesse essere chiaro che sua cognata stava molto male.» Stella sentì le dita di sua madre che le stringevano il braccio. «Non era affatto chiaro! Capivo che stava male, e vedevo che aveva un gran brutto colorito, ma ho creduto che si potesse spiegare con un attacco di indigestione acuta. D'altra parte lei non ha mai avuto quello che io potrei definire un colorito da persona sana, mai!» «Signora Matthews, sua cognata deve aver avuto anche altri sintomi, oltre a questi. Non si è lamentata di avere dei crampi o uno strano formicolio nelle braccia, o di sentirsi mani e piedi letteralmente gelidi?»
«Non posso ricordare che mi abbia accennato a qualcos'altro che non fosse la nausea e un vago senso di vertigine. Può anche darsi che abbia detto di provare un gran freddo, ma era quello che avrei dovuto aspettarmi. Infatti le ho messo nel letto una boule di acqua calda.» «Eppure, quando la signorina ha incontrato il maggiordomo in anticamera, mentre stava per salire in camera, lui è rimasto colpito dal suo aspetto e gli è perfino sembrato che le mancasse un po' il fiato, come se avesse appena finito di correre.» «Così dice lui!» intervenne Guy con aria sprezzante. «I domestici sono disposti a inventare qualsiasi frottola pur di compiacere chi li interroga.» «Se l'avesse inventato, signor Matthews, devo dire che è stata una strana coincidenza, perché una certa mancanza di fiato, come quella che lui ha descritto, dovrebbe essere uno dei sintomi dell'avvelenamento da nicotina. Lei non l'ha notato, signora Matthews?» «Se mi è capitato di notarlo, probabilmente ho pensato che fosse dovuto al senso di debolezza e di nausea che dichiarava di provare» rispose lei. «Sua cognata non si è lamentata di sentirsi molto male?» La signora Matthews fece un sorriso amaro. «La povera Harriet non era di quelli che danno poca importanza ai propri malanni» rispose. «Può anche aver detto di sentirsi molto male, ma ero talmente abituata a questa sua abitudine di esagerare anche la più piccola indisposizione che ho paura di non aver dato un grande peso a quello che diceva. Piuttosto mi è sembrato che avesse lo stomaco in disordine, quindi ho fatto né più né meno quello che avrei fatto per uno dei miei figli.» Con una voce pacata che rivelava, comunque, un sottofondo di accanimento, il sovrintendente si affrettò a fare un'obiezione. «Eppure la signora Beecher, che conosceva la signorina Matthews da sette anni e mezzo, sostiene che non era il tipo di persona disposta ad arrendersi facilmente.» Gli occhi della signora Matthews si accesero di un lampo fulmineo. «Cosa vuole che sappia di tutto questo la signora Beecher? È difficile pensare che mia cognata si confidasse con la cuoca, non crede? Stella, lo sai benissimo anche tu come si preoccupava e come diventava nervosa se le capitava di avere anche soltanto un semplice raffreddore di testa... È vero sì o no?» «Signora Matthews, io sono sicuro che sua figlia non farà che confermare tutto quello che le domanderà, ma sarebbe meglio se si rendesse conto dello scarso valore che riveste per me una testimonianza simile, soprattutto
quando viene sollecitata come lei sta facendo.» «Insomma, tutto si riduce al fatto che lei preferisce credere alla parola dei domestici piuttosto che alla mia!» esclamò la signora Matthews. «No, tutto si riduce al fatto che lei non è stata sincera con me, e continua a non esserlo. Mi sembra onesto informarla che non sono per niente soddisfatto della sua deposizione. E devo avvertirla che questo suo continuo rifiutarsi di ricordare circostanze che non possono assolutamente essere già state cancellate dalla sua memoria potrebbe avere conseguenze serie.» Guy, che fino a questo momento era rimasto letteralmente impietrito, si fece avanti. «Stella, aiuta la mamma a sedersi. Senta un po', sovrintendente, mia madre non ha assolutamente niente a che vedere con questi omicidi, e io non ho nessuna intenzione di rimanere qui a vederla tiranneggiare da lei o da chiunque altro. Quello che i Beecher dicono non è rilevante. Nessuno dei due ha mai avuto simpatia per mia madre, e per di più si sono già licenziati e presto se ne andranno. Mia zia non si è lagnata con mia sorella o con me, a colazione, di nessuna delle cose da lei menzionate, e nessuno di noi due ha mai pensato che avesse l'aspetto di una persona che stava particolarmente male.» «Non lo escludo» rispose Hannasyde. «Infatti è passato un po' di tempo fra il momento in cui voi avete visto vostra zia a colazione e quello in cui il maggiordomo l'ha incontrata in anticamera. Apprezzo la sua comprensione e sensibilità in materia, signor Matthews, ma con interruzioni di questo genere lei peggiora le cose, invece di migliorarle.» «C'è un punto del quale sembra che lei non abbia assolutamente tenuto conto» riprese Guy, trascurando l'avvertimento. «Non soltanto mia sorella, ma anch'io posso confermarle che la zia si è lamentata di sentirsi poco bene già a colazione, prima ancora di aver visto mia madre. Se lei immagina che ci fosse la nicotina in quello che mia madre le ha fatto bere, vorrei ricordarle che le è stato somministrato almeno un'ora dopo che aveva cominciato a sentirsi poco bene, e visto che dà tanta importanza a quello che dichiara Beecher, anche dopo che lui l'ha incontrata in anticamera ed era rimasto colpito dal suo aspetto.» «Di tutto questo sono perfettamente al corrente, signor Matthews.» «Più assurdo di così non potrebbe essere» osservò la signora Matthews comprimendosi le labbra con un fazzoletto. «Ma a quanto pare si direbbe che il sovrintendente pensi che potrei essere stata io a mettere quell'orribile veleno nella teiera con la quale viene servito il primo tè del mattino a vostra zia.» Fece un pallido sorriso. «Se non fosse un'idea così penosa e of-
fensiva per i miei sentimenti, credo che avrei la forza di riderci su. Io non ho la minima idea di quello che viene fatto con i vassoi del tè che ci servono in camera al mattino, e non mi sono svegliata fino a quando non è entrata la cameriera; quindi non riesco assolutamente a capire come avrei fatto a versare chissà cosa nella teiera di tua zia.» «Adesso lei dice di essersi svegliata soltanto quando la cameriera è entrata nella sua camera, signora Matthews, ma nella sua dichiarazione precedente sostiene che era già sveglia. È proprio sicura di dirmi la verità?» «Suppongo che lei abbia tutta la libertà di insultarmi come e quanto le piace» replicò lei con aria tragica. «Ormai non le resta nient'altro da fare che arrestarmi. Anzi, mi meraviglio molto che non l'abbia già fatto.» Hannasyde non rispose subito e Guy, il quale a sentir menzionare la famosa tazza di tè che veniva servita per prima cosa ogni mattina nelle loro camere aveva scoccato uno sguardo inorridito a sua sorella, tolse la mano dalla spalliera della poltrona in cui sedeva sua madre. «Nessuno ha intenzione di arrestarti, mamma, te lo assicuro. Lei è molto intelligente, sovrintendente, ma sono stato io ad avvelenare la zia, non mia madre.» «Guy, stupido che sei!» gridò Stella. Lui non le prestò la minima attenzione perché intanto, si era voltato a guardare Hannasyde dritto negli occhi. La signora Matthews intervenne fremente. «Non è vero, non lo ascolti! Io so che non è vero!» Hannasyde incrociò lo sguardo di sfida di Guy con espressione enigmatica. «E come ha avvelenato sua zia, signor Matthews?» «Con il tè che ha preso a colazione. Io sono stato il primo a scendere nella saletta dove ci viene servita abitualmente. Sapevo che mia sorella prendeva sempre il caffè. Quando le ho detto di aver bevuto il tè, quel giorno, ho mentito. Non è stato affatto così. Ho bevuto il caffè anch'io.» «No, Guy, no!» gridò sua madre. «Non sai quello che dici! Sovrintendente, mio figlio sta soltanto cercando di proteggermi. Non c'è una sola parola di verità in quello che dice. Lo può vedere con i suoi stessi occhi...» «Ha anche avvelenato suo zio, signor Matthews?» provò a domandargli Hannasyde. «Sì, con quel whisky al seltz.» «Smettila con questa sceneggiata!» esclamò Stella, furiosa. «Credi che ti serva fare tutte queste dichiarazioni drammatiche? Tu non hai bevuto il caffè né quella mattina né mai. Il caffè non ti piace. Ti stai comportando
come il protagonista di un romanzetto d'appendice!» Guy non le prestò la minima attenzione, continuando a rivolgersi al sovrintendente. «Be', non ha un mandato per arrestarmi?» gli domandò. «No, ho proprio paura di no.» «Allora farà meglio a procurarsene uno!» «Quando sarò pienamente convinto di avere motivi sufficienti per farlo, non mancherò di procurarmelo» gli promise Hannasyde. «Non capisco che cos'altro vuole ancora» riprese Guy, e la sua voce si era affievolita. In quel momento il sergente Hemingway entrò nella stanza per consegnare al superiore una busta sigillata. «Vi prego di scusarmi» disse Hannasyde in tono formale, e lacerò la busta, scorrendo poi rapidamente con gli occhi l'unico foglio che conteneva, sul quale c'erano poche righe dattiloscritte, poi li alzò su Guy, il quale tornò a battere su quello che era diventato il suo chiodo fisso. «Sta sprecando il suo tempo a tormentare mia madre. Le ho detto quello che è successo. E adesso proceda com'è suo dovere e mi arresti!» «Mi spiace, signor Matthews, ma non mi ha fornito gli elementi necessari perché io possa richiedere un mandato d'arresto nei suoi confronti. Ha sostenuto di aver messo il veleno nel tè di sua zia, ma la signorina Matthews non ha inghiottito la nicotina che l'ha uccisa.» Queste parole produssero un improvviso silenzio, gravido di stupore. «Si può sapere cosa vuol dire? Si spieghi meglio. Non l'ha inghiottito? Ma deve averlo inghiottito.» «Avevo capito subito che lei non sapeva tutto quello che occorreva sapere, anche se voleva farcelo credere, signor Matthews» rispose Hannasyde. «La nicotina non è passata per lo stomaco. È stata assorbita dalle mucose della bocca.» Gli mostrò il foglio che teneva ancora fra le mani. «Questo è il referto dell'analista, che stavo aspettando. Il veicolo tramite il quale sua zia è stata avvelenata era un tubetto di dentifricio.» «Un tubetto di dentifricio?» ripeté Guy con aria smarrita, e ammutolì. Hannasyde ripiegò il referto che gli era stato consegnato e lo mise nel portafoglio. La lentezza deliberata dei suoi movimenti sembrò affascinare Stella, i cui occhi si misero a seguirlo con un'espressione smarrita, mentre un tumulto di pensieri si affollavano e si davano la caccia nel suo cervello. Alla fine trovarono espressione in una sola frase, che non riuscì a trattenersi dal pronunciare d'impeto. «Ma allora potrebbe essere stato chiunque!»
«Non è quello che credo io, signorina.» La signora Matthews, che aveva ripreso almeno in parte il suo solito tono amabile e gentile, intervenne con fermezza. «Stella, tesoro, siediti e stai zitta. Tu non sai niente di tutto questo, cara bambina, e non devi continuare a interrompere.» Poi si volse ad Hannasyde con garbo. «Adesso vede come fossero assurdi i suoi sospetti. Comunque non ne parleremo più. Capisco che il suo dovere le impone di sospettare di chiunque. Ma questa è una notizia addirittura strabiliante... Un tubetto di dentifricio! Cioè lei vuol dire, suppongo, che il veleno è stato iniettato dentro con una siringa ipodermica. Non credo che nessuno in questa casa sia in possesso di qualcosa del genere. È un pensiero veramente spaventoso quello che la mia povera cognata abbia...» Guy fece un gesto spazientito, come se volesse farla tacere. «In che modo è stato fatto?» domandò. «Lei è in grado di spiegarcelo?» «Certamente» disse Hannasyde. «Con ogni probabilità il veleno è stato iniettato, come sembra che sua madre abbia già capito, per mezzo di una siringa inserita dal fondo del tubetto e spinta un po' in su, perché si infilasse nella pasta dentifricia. La parte della pasta dentifricia in fondo al tubetto è intatta, e anche quella all'estremità superiore del tubetto dev'essere stata priva di veleno.» «Per Giove, che intelligenza! Dunque, poteva succedere in qualsiasi momento. La zia Harriet ha continuato a usare quel tubetto di dentifricio per giorni, fino a quando è arrivata al veleno... Buon Dio!» «È orribile!» disse Stella. «Diabolico...» «Ringraziamo Dio che la povera Harriet non ne abbia saputo niente» osservò la signora Matthews con voce melliflua. «Per favore, cerca di non esprimerti come se fosse stata una pecora che veniva condotta al macello!» esclamò Stella, pallida per il disgusto. «Cara, fai in modo di controllarti» disse sua madre. «Certo che si rimane profondamente sconvolti, ma quello che dice tuo fratello è giusto. Una cosa terrificante come questa può essere stata commessa in qualsiasi momento.» «Ma non da qualsiasi persona, signora Matthews» replicò Hannasyde. Lei allargò le braccia. «Chiunque avesse un minimo di familiarità con la disposizione delle stanze di questa casa potrebbe aver trovato l'opportunità di farlo.» «È possibile, ma sono ben poche le persone che potevano avere un movente per uccidere la signorina Matthews.»
Guy sospirò. «Ed ecco che siamo tornati al punto di partenza.» «Ah, sovrintendente» disse la signora Matthews, scrollando la testa con aria lugubre. «Dopotutto, cosa sappiamo l'uno della vita dell'altro? Perfino io, che ero tanto in intimità con la mia povera cognata, esiterei ad affermare che non avesse dei nemici. Era una donna strana, bizzarra. Qualche volta mi sono perfino chiesta se non ci potesse essere qualcosa nel suo passato che spiegasse molte delle sue bizzarrie. Spesso un carattere che sembra complicato e difficile...» «Se lei, così intima con sua cognata, non era al corrente di niente di sinistro nel suo passato, mi pare che possiamo presumere che sia stato così» la interruppe Hannasyde con una sfumatura di disprezzo nella voce. «La scoperta del veicolo tramite il quale il veleno è stato somministrato non ha allargato il campo delle persone sospette, e credo che basterà rifletterci su un momento per rendersene conto.» Stella si aggrappò allo schienale di una poltrona. La sua voce vibrava di angoscia. «Ma nessuno di noi tre aveva un movente per uccidere la zia Harriet. Cioè, non un movente vero e proprio... Questo è una specie di incubo. Le cose non succedono così... Lasciami stare, mamma; non ho nessuna intenzione di stare zitta!» Si scrollò di dosso la mano che sua madre, come se volesse avvertirla di tacere, le aveva posato su un braccio, e riprese, tremando da capo a piedi. «Non pretendo di sapere chi è stato. Forse la zia sapeva qualcosa che... che la faceva diventare pericolosa. Perché non supporre che si trattasse di qualcosa sull'uomo che state cercando... quello che è scomparso?» «E allora?» disse Hannasyde. «Come posso saperlo? Ma perché non cercate di scoprirlo? Mio cugino ci ha parlato di quell'uomo, e ci ha anche detto che voi della polizia credete che abbia a che fare con la morte dello zio. Forse la zia Harriet sapeva qualcosa su di lui. A ben pensarci, noi non siamo sempre vissuti qui, e non sappiamo che cosa può essere successo in passato. Mia madre ha pienamente ragione. Lei non conosceva mio zio, e neanche fino a che punto la zia Harriet lo detestasse. Forse si era messa d'accordo con qualcuno per farla assassinare, e poi... Sì, capisco che può sembrare una soluzione inverosimile, ma non inverosimile come credere che la mamma possa aver assassinato la zia in quel modo orribile, a sangue freddo, unicamente per ereditare lei sola l'intera casa...» La sua voce si spezzò per la commozione, ma riuscì a controllarla. «Del resto io avevo un movente forte come quello di mia madre.»
«E la stessa cosa vale per me» disse Guy. «Fra l'altro, si tratta di un movente molto più forte del tuo.» «No, non è vero. Tu eri l'unico che avesse veramente un po' di simpatia per la zia Harriet. Ti sei sempre messo di mezzo per difenderla quando la mamma e io parlavamo male di lei e le rendevamo la vita difficile. E lei non ha mai interferito con la tua vita e quello che facevi. Anzi, ti era molto affezionata.» «Talmente affezionata che mi ha lasciato i suoi soldi. Non dimenticarti di questo particolare» aggiunse Guy. «Ma tu non li volevi, i suoi soldi! Sovrintendente, questa faccenda dei soldi della zia è una pura e semplice sciocchezza. Zia Harriet aveva soltanto un piccolo gruzzolo, e adesso che lo zio Gregory è morto, mio fratello può fare quello che vuole con il capitale di sua proprietà...» Si interruppe di botto, rendendosi conto di quello che le sue parole potevano sottintendere, e diventò ancora più pallida di prima. «No. Io non volevo...» La porta si aprì. «Che simpatica riunione!» osservò una voce beffarda. «Come sono contento di fare in tempo a partecipare anch'io. Mi sarebbe dispiaciuto moltissimo di essermi lasciato sfuggire un incontro con il caro sovrintendente.» «Oh, Randall!» ansimò Stella, e staccando le mani dallo schienale della poltrona al quale era rimasta convulsamente stretta fino a quel momento gli corse incontro e gli si aggrappò a un braccio. Lui, dall'alto della sua statura, chinò la testa a scrutarla inarcando in un modo strano le sopracciglia. Guy, sbalordito di fronte al modo di comportarsi di sua sorella, intravide nei suoi occhi azzurri un lampo che non riuscì a interpretare. Randall posò una mano su quella di Stella, ma soltanto per staccarla dalla manica della giacca. «Tesoro, guarda che devi avere un po' di attenzione per i miei vestiti» le disse in tono di garbato rimprovero. «Per quanto io ti voglia bene, non posso permetterti di maltrattare proprio questa giacca, sai?» Intanto continuava a tenerla per la mano, e mentre veniva avanti insieme a lei gliela strinse un po' più forte. «Dunque, si può sapere cosa sta succedendo per ridurre in questo stato la mia cuginetta?» domandò ai presenti, ma senza rivolgersi a nessuno in particolare. «L'ha forse accusata di aver assassinato la mia defunta zia, sovrintendente?» «No» disse Hannasyde. «Non ho fatto niente del genere.» «Allora sarà meglio che mi racconti ogni cosa. Mi accorgo che tutti voi siete gravidi di notizie.»
«Insomma, Randall!» protestò la signora Matthews. «Hanno scoperto dov'era stato messo il veleno» disse Guy. «Davvero? È una gran bella cosa. E dove?» «In un tubetto di dentifricio.» Randall intanto aveva accompagnato Stella fino a una poltrona, e adesso sembrava più interessato a farcela accomodare nel modo più confortevole possibile che non alla rivelazione del cugino. Quindi passò un attimo prima che parlasse. «Sul serio? A quanto pare è stato all'opera un cervello ingegnoso.» «Proprio quello che stavo pensando anch'io» disse Guy. «Maledettamente ingegnoso!» Randall si staccò da Stella e si volse a osservare il cugino con aria divertita. «Bene, vai pure avanti, non fermarti» lo incoraggiò. «A cos'altro stavi pensando?» «Non credo di aver pensato a nient'altro.» «Per pura e semplice incapacità oppure per una cuginesca indulgenza?» si informò Randall mentre apriva il portasigarette, tirava fuori una sigaretta e se la infilava fra le labbra. «Né l'una cosa né l'altra. Ma, appena prima che tu entrassi, Stella stava dicendo che forse la zia Harriet era diventata, in qualche modo, la complice di quel tizio che sembra scomparso e del quale ci hai parlato. Forse sapeva troppo: ecco il motivo per il quale è stata avvelenata.» Randall si accese la sigaretta. «Non dovete assolutamente perdere la puntata di domani di questa storia emozionante» mormorò. «Qual è il suo titolo? La mano della morte... magari. Mi accorgo che il sovrintendente è letteralmente senza parole. Dunque la zia Harriet si sarebbe portata il suo segreto nella tomba... Guarda guarda.» «Non è affatto divertente!» esclamò Guy. «No, nel modo più assoluto; c'è da piangere a sentirti, invece.» «Non vedo per quale motivo non dovrebbe esserci qualcosa di vero in quello che ho detto. In fondo...» Randall si lasciò sfuggire un gemito e si coprì gli occhi con la mano. «Povero cuginetto, ma non hai proprio il minimo senso del ridicolo?» «Eppure ci potrebbe essere qualcosa che non sapevamo» sussurrò Stella. Lui le rivolse una lunga occhiata. «Nella vita della zia Harriet? Vedi di riacquistare tutta la tua lucidità mentale, cara.» In quel momento la signora Lupton decise di fare la sua comparsa. Entrando a passo maestoso nella stanza, prima si guardò in giro e poi parlò
con voce lugubre. «Proprio come pensavo!» «Ecco, questo sì che è molto interessante» disse Randall, voltandosi immediatamente verso di lei. «E cioè...» «Non sono venuta qui per discutere con te, ma semplicemente per scoprire cosa succede in questa casa. A giudicare dalla presenza di questi due signori, devo dedurre che la mia infelice sorella, per quanto incredibile possa sembrare, è stata avvelenata. Esigo che mi venga detto, e con la massima precisione, come si sono svolti i fatti!» «Be', al momento stiamo esaminando un'affascinante teoria secondo la quale la tua infelice sorella sarebbe stata assassinata perché era in possesso di qualche orrendo segreto.» La signora Lupton gli lanciò uno sguardo fulminante. «Harriet non è mai stata capace di mantenere un segreto in vita sua. Non so a chi sia venuta in mente una simile assurdità, ma mi rifiuto fermamente di considerarla accettabile.» Dedicò un'occhiata di fuoco anche ad Hannasyde. «Lei ha scoperto come stata avvelenata mia sorella oppure sta per raccontarmi che la polizia continua a brancolare nel buio?» «Sua sorella è stata avvelenata per mezzo di un tubetto di dentifricio» rispose Hannasyde, che si era tirato in disparte ed era rimasto in silenzio a osservare e ascoltare. «Un tubetto di dentifricio? Non ho mai sentito niente di simile!» «Che prezioso contributo al nostro convegno!» commentò Randall. «Chi è stato?» domandò la signora Lupton in tono severo. «Ecco quello che vorrei sapere. Ecco quello che bisogna scoprire. Signore Iddio benedetto, ma vi rendete conto che sono stati commessi non uno ma due omicidi, e finora non è stato fatto assolutamente niente in merito? Mi vedo costretta a guardare in faccia la realtà, e per quanto possa essere sgradevole, non sono assolutamente la persona che cerca di schivare la verità. Mio fratello e mia sorella sono stati assassinati a sangue freddo, e conosco soltanto una persona che potrebbe aver commesso quegli omicidi o che aveva un movente per commetterli.» La signora Matthews si alzò in piedi. «Se alludi a me, Gertrude, ti prego di non esitare. Di' pure apertamente quello che pensi» la pregò. «Ormai sto cominciando ad abituarmi che mi vengano rovesciate addosso le accuse più spietate. Comunque mi piacerebbe proprio sapere come avrei fatto a mettere le mani sulla nicotina.» «Tutti siamo perfettamente al corrente dell'interesse addirittura morboso
che provi per qualsiasi cosa che abbia a che vedere con malattie o farmaci. Non c'è dubbio che avresti potuto scoprire, casomai ti avesse interessato, dove procurarti della nicotina.» Stella, sempre seduta in poltrona, si mise più impettita. «La nicotina non si compra» disse. «La si estrae dal tabacco. Così mi ha spiegato Deryk. La mamma non avrebbe neanche saputo da dove cominciare per fare qualcosa del genere.» «Visto che vuole scendere nei particolari» disse Guy «chi potrebbe saperlo all'infuori di Fielding stesso?» Alzò di scatto la testa e guardò suo cugino che si trovava all'altra estremità della stanza, socchiudendo gli occhi. «Oppure... oppure tu, Randall.» Randall, per quanto attaccato direttamente, rimase imperturbabile. Si limitò a far cadere un po' di cenere dalla punta della sigaretta, prima di rispondere. «Chissà perché ho sempre pensato che presto o tardi sarei stato identificato con il misterioso assassino di questa tavoletta da bambini raccontata da Stella.» La signora Lupton lo fissò con il suo sguardo gelido, come se volesse valutare anche questa eventualità. «Sì» disse lentamente. «È verissimo, anche se mi sfugge quale movente tu potessi avere per avvelenare Harriet. Ma forse il sovrintendente non è stato informato che quando tuo padre è morto stavi studiando medicina, vero?» «Sì, signora Lupton, sono al corrente anche di questo» disse Hannasyde. «Io non voglio dire che debba essere necessariamente collegato al nostro caso» osservò la donna per amor di giustizia. «Ma rimane il fatto che hai una certa conoscenza della medicina. Non solo, ma avevi anche il movente più forte di chiunque altro per assassinare Gregory.» «No, non ce l'ha!» esclamò Stella. «Lui non vuole i soldi dello zio. Mi ha detto che ha intenzione di liberarsene.» Un silenzio carico di stupore accolse le sue parole. Hannasyde, che stava osservando attentamente Randall, notò che sulla sua faccia passava un'espressione di fastidio e non gli sfuggì il lampo di avvertimento nell'occhiata che indirizzò a Stella. Guy interruppe il silenzio. «Tu non vuoi i soldi... dello zio? Che assurde fandonie. Non ho mai sentito una storia del genere!» E scoppiò in una risata scrosciante. Ma la voce di Hannasyde, fredda e tagliente, lo ridusse subito al silen-
zio. «Tutto questo è molto interessante, signor Matthews. Posso sapere il motivo per il quale lei non desidera l'eredità che le spetta?» «Ma è chiaro come il sole» disse Guy in tono di scherno. «L'ha detto soltanto perché nessuno pensasse che ha avvelenato lo zio.» «Grazie, ma io parlavo con suo cugino, signor Matthews, non con lei.» Randall stava fissando con aria corrucciata la punta ardente della propria sigaretta. Sollevò gli occhi quando il sovrintendente finì di parlare, e rispose con aria meditabonda. «Be', lo sa anche lei: di tanto in tanto mi piace scandalizzare la mia famiglia.» «Non è che, per caso, lei parlasse sul serio quando ha detto una cosa del genere alla signorina Stella?» Le labbra di Randall si curvarono in una smorfia di sarcasmo. «Le pare possibile che qualcuno voglia liberarsi di un cospicuo patrimonio?» replicò in tono burlesco. «La risposta va letta nell'espressione delle facce dei miei parenti. Loro sono più scombussolati e scandalizzati che se fosse stato dimostrato qui, davanti a loro, che ho assassinato mia zia e mio zio.» Si fece avanti e spense la sigaretta nel portacenere sul tavolo. «Comunque, quello che io ho intenzione di fare con la mia eredità è del tutto irrilevante rispetto alla questione della quale ci stiamo occupando attualmente. Non deve pensare che io non abbia capito fino a che punto le piacerebbe che i miei deplorevoli parenti continuassero con queste discussioni tanto maldestre quanto rivelatrici, ma vediamo di non divagare e continuiamo a parlare della morte di mia zia, vuole? Non crederà sul serio che io abbia avuto parte in quello che è successo... accantonando l'affascinante ipotesi di mia cugina Stella, naturalmente. Lei sospetta, e come lei lo sospetta anche la mia cara zia Gertrude, che la mia intelligente e brillante zia Zoe sia la colpevole. Non mi sento minimamente di criticarla per questo. Anzi, credo che arriverei addirittura a dire che non critico neanche la mia cara zia Gertrude. Con le sue belle mani la mia brillante e intelligente zia Zoe ha creato un vero e proprio edificio di prove contro se stessa, e devo dire che questo le fa onore. Invece preoccupa lei, sovrintendente, dico bene? La morte della zia Harriet ha mandato a rotoli una teoria alla quale lei cominciava ad affezionarsi; anzi l'ha irrimediabilmente eliminata.» Fece una pausa, ma Hannasyde si limitò a dire: «Vada avanti, signor Matthews.» «Lascia perplesso anche me. Ma io sono in leggero vantaggio rispetto a lei. Ne so un po' di più sulle stravaganze della mia famiglia. Confesso che
mi sono trovato letteralmente disorientato fino a quando non ho sentito il modo in cui il veleno era stato somministrato. Ma mi è venuta un'idea.» Randall girò gli occhi per la stanza. «C'è qualcuno di voi che sappia dov'è andato a finire il tubetto del dentifricio dello zio Gregory?» provò a domandare. Per un momento nessuno rispose; le facce che si volsero a fissarlo erano completamente inespressive. Poi la poltrona di Stella strusciò sul pavimento lucido mentre lei la scostava, perché si era alzata in piedi di scatto. «Randall!» esclamò con il fiato mozzo. «Hai pienamente ragione... L'aveva preso la zia Harriet!» «Proprio quello che pensavo.» La signora Matthews era stupefatta. «Harriet aveva preso il dentifricio di Gregory? Per adoperarlo? Be', insomma, ma che cosa ripugnante!» «Ne è proprio sicura, signorina Matthews?» domandò Hannasyde. «Assolutamente sicura! Me ne ero dimenticata fino a quando mio cugino non ha fatto quella domanda. È stato allora che mi è venuto in mente. È successo lo stesso giorno in cui abbiamo trovato il cadavere dello zio: la zia Harriet aveva fatto riordinare la sua camera e io l'ho incontrata sul pianerottolo con una bracciata di oggetti di ogni genere, uno più strano dell'altro. Non ricordo che cosa fossero... ma so che aveva il guanto di flanella dello zio, quello che si adopera per lavare la faccia, e a questo proposito ha detto che sarebbe potuto tornare utile come straccio per la polvere. Rammento benissimo che mi ha mostrato un tubetto di dentifricio. Era pieno a metà, e ha detto che non c'era nessuna ragione di sprecarlo e che anzi l'avrebbe adoperato lei stessa non appena fosse finito quello che stava ancora usando.» Il sergente Hemingway, che fino a quel momento era stato un ascoltatore silenzioso ma profondamente interessato, decise di intervenire. «Ecco come si spiega il tubetto vuoto che abbiamo trovato, sovrintendente. Era quello che la signorina aveva appena finito. Mi aveva lasciato un po' perplesso quel tubetto di dentifricio vuoto rimasto sul lavabo, quando tutto lasciava pensare che ormai da parecchi giorni la vittima adoperasse già l'altro.» «Allora... allora la morte della zia Harriet va considerata una pura e semplice disgrazia?» sbottò Guy. La signora Lupton emise un profondo sospiro. «Se questa storia è vera posso dire soltanto che Harriet ha avuto quello che si meritava! L'avevo
avvertita che quelle sue economie esagerate non sarebbero state di nessuna utilità. Ma lei non mi ha mai dato retta, e questo è il risultato. Sono profondamente indignata!» «Gertrude cara, ricordati che stai parlando di una persona defunta» mormorò la signora Matthews in tono di rimprovero. Hannasyde stava continuando a fissare Stella. «Signorina, riesce a ricordare che ora fosse quando ha incontrato sua zia sul pianerottolo?» Stella ci pensò un po'. «Ecco, non credo proprio, o perlomeno non in modo preciso. So che è stato prima di pranzo. Più o meno verso mezzogiorno... ma non posso giurarlo. Magari anche più tardi.» «Non prima?» «No, sono sicura che non sia stato prima di mezzogiorno.» «Fino al momento in cui sua zia è andata a svuotarlo di tutto quello che considerava inutile e a metterlo in ordine, il bagno dello zio è sempre stato chiuso a chiave?» «No. E neanche la sua camera da letto.» «Sarebbe stato possibile che qualcuno entrasse in quella stanza da bagno senza essere visto?» «Sì, e anche con facilità. Ma per quale motivo qualcuno avrebbe dovuto... Ah, capisco: portare via il tubetto di dentifricio e distruggerlo.» Stella girò gli occhi intorno a sé, sconcertata. «Ma nessuno l'ha fatto. In tal caso... in tal caso c'è da pensare che non fosse qualcuno che viveva qui in casa, vero?» «Non sappiamo se Fielding non ci abbia provato» disse Guy. «Ma non ne ha avuto l'opportunità, perché Beecher l'ha accompagnato in camera dello zio.» «Io sono sicura che non è stato Deryk» precisò Stella, tagliente. «Be', e perché non Randall, allora? E solo perché potrebbe essere un motivo d'interesse per il sovrintendente, caro cugino, cosa stavi facendo sul pianerottolo il giorno in cui ti ho trovato a parlare con Stella in cima alle scale?» «Stavo semplicemente parlando con lei in cima alle scale, caro cugino» rispose Randall tranquillamente. «Stella, cosa stava combinando?» Lei allungò una rapida occhiata a Randall, che la osservava con un sorriso. «Non lo so. Farai meglio a domandarlo a lui. E a ogni modo, lui non è stato nelle vicinanze di questa casa per giorni...» S'interruppe bruscamente, sgranando gli occhi.
«Proprio così!» esclamò Guy trionfante. «Da giorni Randall non aveva messo più piede neanche nelle vicinanze di questa casa, e di conseguenza non è mai stato considerato una persona sospetta. Ma il veleno poteva essere stato messo nel tubetto in un momento qualsiasi, e adesso nessuno degli alibi così perfetti di Randall sta più in piedi. Insomma, lui un alibi non ce l'ha più!» 14 Tutti si volsero a guardare Randall. Stella esplose. «Sei un piccolo mascalzone, Guy! Randall non ha mai cercato di far puntare i sospetti su di te!» «Forse, ma ha detto tutto quanto di più odioso e meschino poteva...» «Sì, perché per una buona metà del tempo siamo stati proprio noi che andavamo a cercarci malignità e battute sarcastiche. Ma lui non ti ha mai giocato nessun brutto tiro, e lo sai benissimo.» «Ma cosa ti prende?» domandò Guy, talmente stupefatto da dimenticarsi dove si trovava e chi erano le persone che aveva intorno. «Se hai detto tu stessa che Randall era un serpente amabile.» Una risata sommessa sfuggì all'oggetto di questa discussione. «Tesoro, hai proprio detto così?» esclamò. «La frase classica!» «Sì, ammetto di averlo fatto, una volta, ma...» «Oh, per carità, non rimangiarlo. Mi piace. E vedi di non prendertela neanche con il tuo fratellino. Non è affatto necessario. È vero che io non ho nessun alibi, ma in tal caso il sovrintendente, che si sta rivelando pieno di intuito e di perspicacia come Guy, se non di più, probabilmente se ne era reso conto da solo, e già da un po' di tempo. Se lo guardi bene, noterai che la sua faccia rivela un vago senso di fastidio... Anzi, forse si potrebbe dire di contrarietà. E questo si spiega con il fatto che, diversamente da Guy, lui si è reso conto che la mia entrata nelle file delle persone sospette non ha eliminato tutte le altre, ma soltanto allargato il campo.» Hannasyde aveva ascoltato impassibile. Quando parlò lo fece con il solito distacco. «Verissimo, signor Matthews. Ma al tempo stesso...» «Non solo, ma c'è anche da dire» continuò Randall accendendosi un'altra sigaretta «che lei si ritrova a non avere migliori elementi contro di me di quanti ne abbia contro chiunque altro. È vero che ho ereditato un sostanzioso patrimonio, ma anche l'indagine più superficiale sulla mia situazione finanziaria la convincerà, a dispetto della convinzione unanime fra tutti i
miei parenti che io abbia sperperato una vera e propria fortuna, che non ho il minimo bisogno dei soldi di mio zio.» «Anche questo può essere vero» ammise Hannasyde. «Ma io non mi propongo assolutamente di affrontare tale questione con lei in questo particolare momento.» Randall girò gli occhi intorno a sé, scrutando i presenti. «No, effettivamente qui c'è davvero una piccola folla» ammise. «Stella, cocca mia, battiamo in ritirata. E chissà che questo non serva a mettere bene in testa alla zia Gertrude che la sua presenza, in fin dei conti, non è assolutamente richiesta.» Intanto che parlava, aveva preso Stella per un polso e stringendoglielo lievemente l'aveva indotta a seguirlo verso la porta. Il sergente Hemingway lanciò subito un'occhiata ad Hannasyde, che non batté ciglio. La signora Lupton cominciò a dire che lei non si era mai aspettata nient'altro che scortesie, da parte di Randall, ma prima che riuscisse a concludere il suo discorsino severo lui si era già dileguato. In anticamera si fermò un attimo e guardò Stella, sempre con quel sorrisetto che gli indugiava agli angoli della bocca. «Allora, amore mio?» domandò. «Perché non hai detto alla polizia di avermi sorpreso mentre stavo uscendo dalla stanza da bagno dello zio?» «Non lo so» disse lei con una voce piccola piccola, da bambina. «Andiamo nella saletta della prima colazione. Ho una domanda molto peggiore da farti.» «Però rimaniamo soltanto un minuto. Io... non posso fermarmi molto.» Randall non le badò. Chiuse la porta e cominciò a parlare in un tono molto grave: «Perché mi sei corsa incontro come se fossi la tua unica speranza di salvezza, Stella?» Lei arrossì. «Ma io non ho fatto niente del genere! Cioè... mi avevi detto che volevi a tutti i costi andare a fondo di questa faccenda, e... e io ho pensato che potessi aiutarci. Ero un po' scombussolata.» Proruppe in una risatina nervosa. «Mi dispiace di essermi aggrappata in quel modo alla tua bellissima giacca.» Il sorriso di Randall era scomparso; e non c'era neanche il solito lampo scherzoso e maligno negli occhi seminascosti dalle lunghe ciglia. «La mia giacca non aveva la minima importanza.» «Davvero? Be', nessuno l'avrebbe pensato, considerato il modo in cui...» «Mia cara, credevi proprio che ti avrei permesso di tradirti in quel modo con tutti i nostri parenti lì a guardare?»
«Tradirmi?» Stella esclamò, con voce strozzata. «Non capisco a che cosa vuoi alludere, ma...» «Non eccitarti, amore mio. Piuttosto, dimmi, quella mia anticamera tutta in grigio tortora è proprio un ostacolo insuperabile al matrimonio?» «Sì!» si affrettò a rispondere lei. «Cioè, voglio dire...» «Allora immagino che sarò costretto a concederti di cambiarla da cima a fondo, e anche ad arredarla come vuoi. Però esigo che non sia assolutamente permesso a Guy di metterci mano.» Stella, alla quale ormai pareva di avere le vertigini, deglutì. «Non lo definirei proprio divertente, questo. Può darsi che sia la tua idea di uno scherzo, ma ti garantisco che non è affatto la mia.» Randall le prese le mani. «Non sto scherzando, tesoro. Ti sto chiedendo di sposarmi. Vuoi?» «No, naturalmente no!» rispose Stella, meravigliata di sentirsi tremare le ginocchia. Randall continuò a stringerle le mani ancora un momento, poi le lasciò andare e si avviò alla porta. Lei seguì i suoi movimenti con apprensione. «Te... te ne vai?» domandò con voce spezzata. «Come vedi.» «Ma... non puoi lasciarmi... lasciarci così!» «Si può sapere a che cosa alludi?» domandò Randall. «A me oppure a noi?» «A noi... a tutti noi! Non puoi...» «Oh, sì che posso!» ribatté lui gelido, e posò la mano sulla maniglia. «Non intendo essere costretta a sposarti con il ricatto!» Lui si voltò a squadrarla da capo a piedi con aria enigmatica. «Che cosa vuoi?» le domandò. «Se ti stai preoccupando per un probabile arresto di tua madre, lascia che ti rassicuri. La polizia, adesso, molto più probabilmente arresterà me.» «Niente affatto! Cioè, non si tratta soltanto di quello... Oh, Randall, sei un animale... Non ti sopporto, vigliacco!» «Non lo considero granché, come insulto» ribatté lui in tono critico. «Amabile serpente è molto meglio.» Stella andò furiosamente alla caccia del proprio fazzoletto, soffiandosi il naso. «Sì, sono sicura che me lo rinfaccerai per il resto dei miei giorni. Non riesco a immaginare che cosa ti sia saltato in mente con questa proposta di matrimonio...» «Be', questo ti darà qualcosa su cui riflettere ogni volta che non riuscirai
a prender sonno.» «Sai benissimo che non hai nessuna voglia di sposarmi!» Un'espressione di noia e di stanchezza calò sulla faccia di Randall. «Devo proprio dare una risposta a un'osservazione così incredibilmente stupida?» «Tu mi consideri stupida, frivola, senza il minimo gusto... e poi ti aspetti che io creda che vuoi sposarmi. Ma è inconcepibile! Non vale neanche la pena di mettere in discussione un argomento del genere.» «Forse avrai notato» rispose lui lentamente «che non sto facendo nessun tentativo di discutere la cosa.» Stella gli rivolse un'occhiata pungente. «Sono dispostissima a essere amica tua...» «Sì, non ne ho il minimo dubbio; ma io non sono affatto disposto a essere tuo amico.» «Benissimo. E allora, vattene.» Stella gli voltò le spalle mettendosi a guardare fuori della finestra. Ma aveva gli occhi tanto annebbiati dalle lacrime che non vedeva niente. «Non me... me ne importa!» La porta si aprì e poi si richiuse. A Stella sfuggì un singhiozzo disperato, e cominciò a piangere silenziosamente nel fazzoletto. «Farai meglio a prendere il mio, tesoro: è più grande» disse la voce dolce di Randall alle sue spalle. Lei sobbalzò. «Sei... sei un serpente! Mi dai la nausea e ti detesto!» «Lo so benissimo» disse Randall prendendola fra le braccia e togliendole con fermezza il fazzoletto. «Te ne pentirai se bagnerò con le mie lacrime la tua bellissima giacca!» mormorò lei con voce soffocata, perché gli teneva la faccia nascosta contro la spalla. «Dimentica la mia bellissima giacca.» Stella allungò una mano, cercando a tentoni il fazzoletto di Randall. E lui glielo consegnò. Lei se ne servì per asciugarsi bene gli occhi. «Se ti sposo non lo faccio perché sono innamorata di te, perché naturalmente non lo sono affatto.» «Benissimo, puoi sposarmi per i miei soldi.» Stella, poiché aveva finito di servirsene, gli cacciò con gesti frenetici il fazzoletto nel taschino della giacca. «Non ho mai conosciuto in vita mia nessuno che avesse una lingua così tagliente!» esclamò con l'aria di chi sa quel che dice. «Se non avessi una gran voglia di andarmene da questo posto non ci penserei neanche un mo-
mento all'idea di sposarti. E se ti sposerò, probabilmente sarà orribile come continuare a vivere qui, forse persino peggio» soggiunse in tono vendicativo. «Niente potrebbe essere orribile come vivere qui» obiettò lui in tono ragionevole. «Io posso essere un animale e un vigliacco, ma perlomeno non sono un rompiscatole. A proposito, hai intenzione di sposarmi oppure no?» Stella, che pareva cercasse affannosamente una risposta giusta da dargli, stava fissando con interesse il primo bottone del suo gilè, e avendo scoperto di avergli macchiato di cipria il risvolto della giacca cominciò a ripulirlo con la punta di un dito. Una mano si alzò e imprigionò la sua, e la tenne stretta. «Devi rispondere» disse Randall. Lei alzò gli occhi, un po' intimidita, e arrossì. «Randall, ma tu... vuoi proprio che ti sposi?» gli domandò con una vocina infantile. «Cuoricino mio» disse lui, e la baciò. Durante i dieci minuti successivi Stella riuscì a fare soltanto due osservazioni, l'una e l'altra delle quali vennero pronunciate con voce piuttosto ansante, e non rivelarono neanche un minimo di intelligenza da parte sua. Il signor Randall Matthews disse «Tesoro!» in risposta a una e «Mia piccola stupida!» in risposta all'altra. La signorina Stella Matthews diede l'impressione di essere soddisfatta di entrambe. «Devo essere improvvisamente impazzita» mormorò dopo un po'. «Non mi piace neanche il tuo tipo di uomo. E adesso come diavolo lo racconto alla mamma e a Guy? Non ci crederanno mai e poi mai che faccio sul serio.» «Dopo la tua esibizione di stamattina, probabilmente sono preparati al peggio. Ma penserò io a dare la notizia a nome tuo, cocca.» «Oh, no, niente affatto!» esclamò Stella, decisa. «Posso benissimo immaginare la scena. Devi assolutamente giurarmi, carissimo serpente Randall, che non dirai una sola parola per farli arrabbiare.» «Non posso» replicò Randall. «Quindi dovrò lasciar fare a te.» Allungò un'occhiata all'orologio. «Adesso devo andare, amore mio. Se non vado ci ritroveremo con quel sovrintendente che arresta qualcuno... Me, con ogni probabilità.» Stella infilò la mano in quella di lui. «Randall, tu non... non hai niente a che fare con quello che è successo, vero?» «No, amore mio, malgrado le apparenze, ti posso rispondere di no.» Stella alzò gli occhi e lo guardò fissamente. «Sai chi è stato?»
Lui non rispose subito. Poi la stretta delle sue dita si rafforzò, mentre diceva: «Sì. Credo di sì.» «E sarà... sarà una cosa orribile?» «Sì, sul serio. La cara Zoe non c'entra, ma ho paura che ti lascerà sconvolta.» «Hai intenzione di raccontarlo alla polizia?» «Devo raccontarlo alla polizia. Ho fatto tutto quello che qualsiasi essere umano potrebbe fare per impedire che scoprissero la verità, e ci sono riuscito talmente bene che adesso alcuni di noi corrono il pericolo di essere arrestati. E tutto per colpa della morte della zia Harriet, che è avvenuta per pura disgrazia. Anzi, sto pensando che è una vera e propria ironia della sorte, se riesci a guardare la situazione dal punto di vista giusto.» «Non puoi proprio dirmelo, Randall? Mi piacerebbe saperlo.» «Adesso no, tesoro. Credo che sarà meglio che tenga per me tutto quello che so fino a quando non avrò fatto quello che devo fare.» «Dimmi soltanto una cosa. C'entra in qualche modo quell'uomo... quello che non riescono più a rintracciare?» «Sì, in tutto e per tutto» rispose lui, e la baciò. Poi si alzò dal divano. «Ti telefono stasera, amore mio. Non preoccuparti.» «Non mi preoccuperò... finché non arrestano la mamma o Guy, intanto che sei via» rispose lei con aria dubbiosa. «Non faranno niente del genere. Si limiteranno semplicemente a interrogarli alla luce della nuova scoperta, e non credo che neppure il tuo fratellino riuscirà a compromettersi al punto di spingere Hannasyde a domandare un mandato per il suo arresto. C'è di più; adesso Hannasyde si è lanciato di nuovo su un'altra pista, cioè la mia, e con ogni probabilità vorrà dedicare qualche ora a fare un po' di ricerche sul mio immediato passato.» E a giudicare dalle apparenze, sembrò che avesse ragione. Quando il sovrintendente vide Stella venti minuti più tardi, le chiese se Randall era ancora in casa. Ma quando lei scrollò la testa, la guardò fissamente, prima di domandarle se sapeva dov'era andato. Lei fu ben contenta di potergli rispondere che non ne aveva la minima idea, ma si accorse di arrossire. Comunque il sovrintendente o non ci badò oppure non diede importanza alla cosa, limitandosi a osservare che si aspettava di trovare Randall a casa sua. E se ne andò con il sergente. Hemingway era di umore meditabondo, e non aprì bocca intanto che percorrevano il viale. Ma quando arrivarono al cancello non riuscì più a
trattenersi. «Capo, non immagino neanche lontanamente di saperne più di lei, ma quando l'ha lasciato andar via, giuro che sono rimasto sbalordito.» «Sa benissimo che io non ho un mandato per arrestarlo» disse Hannasyde. «Non ha pensato di fargli qualche domanda?» «Non a quel punto, o in quella casa. Vado a trovarlo nel suo appartamento, dove sono convinto che non saremo interrotti né da giovanotti isterici né da matrone scocciatrici» disse Hannayde in tono piuttosto tagliente. «Pensa che sia stato lui, capo?» provò a indagare il sergente. «No, non lo penso affatto.» «Non lo pensa affatto? Ma... quella storia che ha tirato fuori... di voler dar via tutti i soldi ereditati dallo zio?» «A me di quello non ha mai parlato» disse il sovrintendente con un tono che al suo subordinato sembrò soltanto di placida imperturbabilità. «Eppure sembra che l'abbia detto alla ragazza» gli fece rilevare. «È una faccenda ben diversa, quella.» «Ah sì? Devo confessare di non averlo notato, o perlomeno non subito.» «Ecco dove entra in gioco la psicologia!» osservò Hannasyde maliziosamente. «Randall Matthews non è stato per niente contento che la signorina Stella lo avesse rivelato così, di punto in bianco, davanti a tutti.» Il sergente lo scrutò di sottecchi, facendo una smorfia. «Be', tenendo sempre bene in mente tutte le sue stramberie e partendo dal presupposto che continua a non farci capire niente di quello che conosce riguardo all'assassinio, si può sapere qual è il giochetto che sta facendo?» «Ho il sospetto che sia quello di impedirci di arrivare alla verità.» «Capo, lei deve avere qualche asso nella manica!» «Credo di avere un vago sentore della verità» ammise Hannasyde. «Ed è per questo che preferirei interrogare Randall Matthews soltanto dove posso essere sicuro di trovarmi a quattr'occhi con lui, senza altre persone presenti. Bisogna costringere quel giovanotto a parlare.» Ma quando arrivarono all'appartamento di Randall scoprirono che c'era soltanto Benson, il quale li informò, in un tono che rivelava una certa soddisfazione, che il suo padrone era fuori e non lo aspettava di ritorno fino alla sera. Il sergente era visibilmente insospettito. «Ma cosa mi dice! E magari è andato via con la Mercedes...» «Se si riferisce alla Mercedes-Benz, no, sergente. La macchina è nel ga-
rage» rispose Benson con un tono della massima dignità. «Allora il signor Matthews è passato da casa, in quest'ultima ora?» intervenne Hannasyde. «Certamente» rispose Benson, visibilmente di malavoglia. «Non solo, ma ha lasciato un messaggio in caso lei fosse venuto a cercarlo.» «E allora?» «Sarà fuori per tutta la giornata, ma se lei volesse tornare verso le nove di stasera sarà lieto di riceverla.» «Allora lo informi, quando rientrerà, che mi presenterò all'ora indicata» concluse Hannasyde, e si avviò verso le scale. «Ma si può sapere» domandò il sergente «che cosa sta combinando il signorino? Posso chiederlo?» «Certo che può chiederlo, ma che mi venga un accidente se sono in grado di spiegarle qualcosa in merito. Può darsi che, per qualche motivo, voglia tenermi a bada per qualche ora.» «Faremo una bella figura se le prossime notizie che avremo sul suo conto saranno quelle che si trova in qualche posto non bene precisato al di là della Manica.» «Come mai la sua psicologia, adesso, è così fuori squadra?» domandò Hannasyde in tono premuroso. «Non c'è niente che non funzioni con la mia psicologia. Ma se lei non fosse il mio superiore, e dico soltanto se non lo fosse, dovrei domandarle come mai ha perduto tutto il suo mordente. E come mai non ha più la situazione in pugno. Ma naturalmente non mi è concesso domandarglielo.» «Non si preoccupi, non ho ancora perduto il mio mordente. Può mettere un uomo di guardia a quell'appartamento, se le basta per sentirsi più tranquillo. Gli dica di farmi rapporto in ufficio, nel caso che dovesse succedere qualcosa... in modo particolare, di informarmi del ritorno di Randall.» «Be', è sempre meglio di niente» disse il sergente. «E si aspetta di cavare qualche utilità da tutto questo?» «No, ma preferisco mettermi con le spalle al coperto e non correre rischi» rispose Hannasyde. Fu soltanto verso le otto di quella sera che il poliziotto incaricato della sorveglianza si mise in contatto con il sergente Hemingway a Scotland Yard. Lo chiamò al telefono per dargli la notizia che Randall era rientrato a casa cinque minuti prima. Il sergente lo riferì aspettando che gli venissero date le istruzioni necessarie.
«Soltanto alle otto» disse Hannasyde dopo un'occhiata al proprio orologio da polso. «È tornato a casa a cena, penserei. Dica a Jepson di continuare la sorveglianza e di non lasciarsi sfuggire Matthews, se dovesse uscire di nuovo. E di pedinarlo.» Ma Randall non uscì più di casa, e quando Hannasyde andò da lui, alle nove, venne fatto passare immediatamente in biblioteca, dove lo trovò comodamente seduto in un'ampia e soffice poltrona, con il vassoio del caffè su un basso tavolino al suo fianco. Aveva un'aria stanca e tutt'altro che amabile. C'era una profonda ruga fra le sue sopracciglia scure, e una smorfia amara sulle labbra. Si tirò su dalla poltrona lentamente e una volta tanto, caso raro, lo accolse senza quel lieve sorriso sardonico che Hannasyde trovava così irritante. «Entri, sovrintendente» disse. «Dov'è il suo satellite?» «Sono solo.» Randall lo scrutò dalla testa ai piedi. «Che fortuna! Volevo proprio vederla da solo» disse. «Ho pensato che potesse essere così, infatti» rispose Hannasyde. Randall continuò a scrutarlo per un momento, poi prese la caffettiera. «Davvero? Senta, comincio ad avere un'opinione più che discreta della sua intelligenza, sovrintendente.» «Io ne ho sempre avuta una ottima della sua, signor Matthews, anche se non posso approvare il modo in cui l'ha usata per complicare le cose.» A queste parole gli occhi di Randall si illuminarono. «Via, via, sovrintendente!» disse, e intanto gli porgeva una fragile tazzina sul relativo piattino. «Brandy o Benedictine?» «Brandy, per favore.» «Una giornata di quelle che vanno ricordate» osservò Randall versando lentamente il brandy in due grossi napoléon. «Il sovrintendente Hannasyde che accetta, per la prima volta, qualcosa da bere sotto il mio tetto.» Hannasyde prese il bicchiere che gli veniva offerto. «Sì. Ma credo che sia una giornata memorabile anche per quello che lei sta... finalmente... per raccontarmi e che finora si è tanto impegnato a tenermi nascosto.» «Lì vicino a lei ci sono i sigari» mormorò Randall. «Nel complesso, si tratta di una faccenda squallida e ignobile. E posso aggiungere, sia pure di sfuggita, che ciò che penso della mia defunta zia non è né buono né affettuoso.» Bevve un sorso di brandy. «Vuole che mi ricordi che lei appartiene al Reparto investigativo di Scotland Yard, oppure preferisce che le racconti la verità nuda e cruda?»
«La verità nuda e cruda, per favore.» «Sì, lo immaginavo» ribatté Randall con il suo tono un po' blasé. «Ma dovrà essere raccontata e ascoltata senza preconcetti di nessun genere, sovrintendente.» «Non posso promettere niente. Io devo risolvere un caso di assassinio, non formulare un'imputazione nei suoi confronti per essersi impadronito delle carte e dei documenti di Hyde servendosi di un nome falso e di un paio di lenti affumicate.» «Sarebbe abbastanza meschino, non le pare?» «E c'è di peggio. Sto quasi cominciando a pensare che lei possa essere stato nel suo pieno diritto, quando si è impadronito di quel materiale.» Randall, adesso, cominciò a osservarlo con aria meditabonda. «Su, andiamo. Quand'è stato che se n'è reso conto, sovrintendente?» «Quando sua cugina mi ha raccontato che lei aveva intenzione di dar via tutto il patrimonio ereditato dallo zio, signor Matthews.» «Ah!» disse Randall. Si alzò dalla poltrona e, attraversata la stanza, raggiunse la scrivania dove poco prima aveva posato l'edizione della sera del giornale. Poi tornò lentamente al suo posto. «Credo che questa sia la parte più importante della storia... almeno per quanto la riguarda» disse, e porse il giornale al suo ospite. «Il secondo paragrafo» soggiunse. Hannasyde gli scoccò uno sguardo penetrante, poi abbassò gli occhi sulla colonna proprio sotto la piega della pagina del quotidiano. "Incidente sulla linea della metropolitana di Piccadilly": questo era il titolo del breve articolo. Sotto di esso, in poche frasi concise, si annunciava che erano appena passate le tre del pomeriggio quando un uomo di mezz'età si era buttato sulle rotaie davanti a un treno espresso che stava arrivando nella stazione di Hyde Park Corner. A quanto si era venuto a sapere, si trattava di un certo Edward Rumbold, abitante al Villino dell'Agrifoglio a Grinley Heath, molto noto negli ambienti della City come proprietario di una ditta esportatrice di tessuti di lana. Hannasyde lesse il trafiletto lentamente, dal principio alla fine, poi depose il giornale. «Credo che lei abbia molte cose da spiegarmi, signor Matthews. Cosa dovrei capire da tutto questo?» Randall bevve anche l'ultimo sorso del suo brandy e mise il bicchiere sulla mensola del camino. «Che il caso del quale lei si stava occupando non esiste più» rispose. «Luì ha assassinato suo zio?» «Incredibile, eh? Ma assolutamente vero. Solo che non penso che po-
tremmo chiamarlo un assassinio. Mio zio lo stava ricattando da anni.» «Allora suo zio era John Hyde?» «Sì, infatti. Ma lei lo aveva già indovinato, credo. Spero che apprezzerà la scelta del suo pseudonimo. Aveva un discreto senso dell'umorismo, vero?» «Da quanto tempo è al corrente di questo?» «Da quanto tempo? Dal giorno in cui sono andato a fare una visitina al suo amico Brown. Chissà perché, lui a un certo punto ha osservato che gli pareva di avermi già visto. Ed effettivamente io sono piuttosto somigliante a mio zio.» «Ma lei lo sospettava già?» «Sì, da un po' di tempo.» Hannasyde si allungò una violenta pacca sul ginocchio con il palmo della mano. «Adesso capisco cos'ha visto in quel cassetto!» disse, e dal tono della sua voce si capiva quanto fosse contrariato. «Ci sarei dovuto arrivare prima!» Randall si volse a guardarlo con un'espressione vagamente divertita. «Mio caro sovrintendente, quale cassetto?» «Quello della scrivania di suo zio. Dentro c'era un paio di occhiali da sole con la montatura di corno. In un primo momento avevo pensato che lei si fosse aspettato di vederci qualcosa che invece non c'era.» Randall scoppiò in una risatina. «No no. Lo zio non soltanto non portava mai gli occhiali da sole, ma mostrava tutto il suo disprezzo per quelli che li portavano. Di conseguenza, mi sono limitato a pensare che fosse un po' strano, quando ne ho visto quel paio nel cassetto. Sa cosa le dico? Credo che farei meglio a raccontarle quello che è successo.» Hannasyde fece segno di sì e lo seguì con gli occhi mentre tornava alla sua comoda e accogliente poltrona e si appollaiava su uno dei braccioli. Si accese una sigaretta, e rimase a fumarla in silenzio per un minuto, aggrottando le sopracciglia. «Ecco, per tornare al vero principio di questa storia, Edward Rumbold aveva una moglie che viveva in Australia. La signora del Villino dell'Agrifoglio di questo non sa niente... ma dal momento che quello di Rumbold non era il vero nome del nostro amico, non era necessario raccontarle che era regolarmente sposata con un bigamo da dieci anni. Cosa ne dice?» «Non lo so. Per favore, continui.» «Mio zio, sotto il nome di John Hyde, già da molto tempo prima di quella data stava portando avanti un'attività lucrosa, anche se di proporzioni
piuttosto limitate, che aveva alla base il ricatto. Che cosa l'abbia convinto a iniziarla non posso proprio dirglielo, come non sono riuscito nemmeno a scoprire chi, o cosa, lo avesse portato sulle tracce di Rumbold. Da certe indicazioni ritrovate fra le sue carte, immagino che i suoi metodi fossero non tanto geniali, quanto approfonditi e accurati. Otteneva molte informazioni mediante le solite fonti, naturalmente, ma quest'informazione specifica gli era stata fornita da un'agenzia di investigatori privati di Melbourne. La vera e autentica signor Rumbold... ma il suo vero cognome è Fletcher, risulta una donna cattolica, e di una fede estremamente rigida. Così si spiega il motivo per cui Rumbold non era riuscito a ottenere un divorzio.» Randall tacque per qualche attimo e fece cadere sul pavimento la cenere della sua sigaretta. «Bene, tutto questo non è molto interessante. Quindi continueremo parlando della parte avuta nella faccenda dal mio adorabile zietto. Dopo avere raccolto gli elementi necessari, qualche tempo prima che Rumbold venisse ad abitare proprio nella casa accanto, cominciò a esercitare una certa pressione con i soliti risultati. Solo che non aveva giudicato correttamente il suo uomo. Rumbold aveva pagato, certo, continuando a pagare anche in seguito, però aveva deciso di scoprire l'identità di chi lo ricattava. Non aveva mai né visto né conosciuto mio zio, ma si era messo a sorvegliare quel negozietto di giornalaio e aveva continuato a sorvegliarlo per settimane, fino a quando non ha avuto la certezza che l'uomo con gli occhiali che ci entrava regolarmente e vi si fermava tanto a lungo doveva essere Hyde. A questo punto ha cominciato a pedinarlo e alla fine lo ha identificato con Gregory Matthews.» «Quando è successo?» «Circa quattro anni fa. Mi piace pensare alla sua determinazione spietata e paziente di ucciderlo. Mi rammarico soltanto, considerato il modo in cui le cose sono andate, che lo zio non potesse sapere che presto o tardi sarebbe stato ucciso da una delle sue vittime. Non è mai neanche stato sfiorato dal sospetto che Rumbold sapesse chi era. Neanche quando è venuto ad abitare al Villino dell'Agrifoglio. Rumbold aveva comprato quella casa perché sapeva che il contratto di affitto dei locatari che la occupavano sarebbe scaduto entro due anni. Quando loro la lasciarono, ci si trasferì insieme alla signora Rumbold. Sa cosa le dico? Che lo ammiro. E lei, no?» Il sovrintendente non rispose. «Non ha fatto niente in modo affrettato. Si è semplicemente limitato a coltivare l'amicizia dei vicini di casa. È diventato il tipo ideale dell'amico
di famiglia. Giocava perfino a scacchi con lo zio... e lo lasciava vincere. Mi auguro che lei valuti nel modo giusto la situazione. Lo zio, ne sono convinto, doveva ricavarne un enorme divertimento. E anche Rumbold. Ci sono voluti diciotto mesi perché riuscisse ad arrivare a un tale grado di intimità con la famiglia da diventare persona grata a tutte le persone di casa. Quand'ormai era al Villino dell'Agrifoglio all'incirca da due anni, quanto bastava perché nel circondario non potesse più essere considerato come un nuovo arrivato che poteva far nascere qualche sospetto, mise in esecuzione il piano che aveva preparato. Non è poi una questione così difficile, se uno ha anche soltanto un'infarinatura di chimica, estrarre la nicotina dal tabacco, come non è stato difficile trovare un'opportunità per sostituire il tubetto di dentifricio avvelenato a quello che lo zio stava usando. Lo scambio è stato effettuato il giorno in cui, con sua moglie, sono venuti ai Pioppi a trovare le mie zie per salutarle prima di partire per una località di vacanze, dove si sarebbero fermati una settimana o una decina di giorni. Poi lui se n'è andato con la signora Rumbold ed è rimasto assente fino alla morte dello zio.» Randall fece un'altra pausa e diede un'occhiata ad Hannasyde. «Piuttosto sbalorditivo, vero? Niente lasciato al caso, niente organizzato in fretta. Il concetto di base, per Rumbold, era che nessun altro all'infuori di lui stesso avrebbe mai saputo che lo zio era stato avvelenato; comunque, nel caso di qualche contrattempo, aveva anche pensato a procurarsi un alibi a prova di bomba. Poi sono successi due fatti imprevisti. Il primo è stato che quella mia insopportabile zia ha chiesto perentoriamente un'autopsia. Per quale motivo l'abbia chiesta, che cosa l'abbia spinta a chiederla, Dio solo lo sa. E secondariamente, il deplorevole istinto della zia Harriet di far collezione degli oggetti più assurdi per una pura e semplice smania di economia, che le ha fatto conservare quel tubetto di dentifricio avvelenato trovato nel bagno dello zio. Quando Rumbold è tornato dalla vacanza, la sua prima premura è stata quella di andare in cerca del dentifricio ed eliminarlo. Con sua moglie, si è presentato a fare le debite condoglianze alle mie zie e con l'aiuto involontario della zia Harriet è riuscito a sporcarsi le mani fra i vasi di fiori nella serra. Di conseguenza è salito al piano di sopra a lavarsele nella stanza da bagno dello zio e si è accorto che era stata ripulita di tutto quanto conteneva. Ecco il primo segno che le cose stavano per andare male. Ma una domanda, buttata lì con apparente indifferenza alla zia Harriet, mentre ero presente anch'io, gli ha fornito l'informazione che lei aveva buttato nella caldaia del riscaldamento tutti gli oggetti posseduti dal-
lo zio che non servivano più a nessuno. Quindi ha pensato che in quella collezione degli oggetti più disparati si trovasse anche il tubetto di dentifricio. Così ha continuato a presentarsi come il perfetto amico di famiglia. Si sentiva sinceramente dispiaciuto per tutte le contrarietà e gli avvenimenti sgradevoli che la famiglia doveva affrontare e si è prodigato come meglio poteva per appianare le cose e ottenere che i miei parenti, tutti piuttosto eccitabili, rimanessero calmi. Quello che non immaginava è stata la scoperta che Fielding aveva un movente valido per commettere l'omicidio. Sapeva anche come Guy fosse destinato a rientrare nel novero delle persone sospette, ma ha ritenuto che lei avesse tanta intelligenza da dubitare delle capacità del mio sciocco cugino di compiere un'azione del genere. Come penso lei abbia realmente fatto.» «Sì, fin dal principio» ribatté Hannasyde in tono brusco. «Non era il tipo capace di usare un veleno raro come quello. Ma proceda, prego.» «Fielding. Ecco, a tutti gli effetti Fielding cominciava a dare l'idea di diventare una complicazione. Rumbold non voleva che nessuno soffrisse per le conseguenze del delitto commesso. Se si fosse veramente arrivati al peggio, era pronto a chiarire tutto. Ma non ha perduto la testa, e ha aspettato. A quanto pareva la cosa avrebbe perduto d'interesse molto presto e tutto sarebbe finito in niente. Questo anche grazie a me; ma lui non lo sapeva. Poi si è verificato un disastro assolutamente imprevisto con la morte della zia Harriet. Rumbold non soltanto è rimasto inorridito pensando alle conseguenze della propria azione, ma anche profondamente sconvolto per come era morta. Quando è venuto a sapere che la mia intelligente e brillante zia Zoe, invece, a poco a poco stava accumulando una serie di prove contro se stessa che presto l'avrebbero fatta accusare di tutto, si è reso conto che sarebbe dovuto intervenire per salvarla da un arresto che poteva verificarsi da un momento all'altro. Quando io sono andato a Grinley Heath e ho buttato qua e là, con la mia solita aria superficiale e presuntuosa, qualche osservazione sull'argomento di Hyde, ha intuito che probabilmente avrei potuto risparmiargli di venire da lei a raccontarle tutta la verità. E a quel punto, ormai, anch'io mi ero accorto che avrei dovuto farlo. In parte perché era terrorizzata e in parte per ipocrisia innata, la zia Zoe stava rompendo le uova nel paniere a se stessa continuando a raccontarle una bugia più assurda dell'altra, mentre Guy, a quanto sono riuscito a capire, aveva creduto che quello fosse il momento di fare un gesto grandioso con la nobile intenzione di salvare sua madre dalla forca, ottenendo invece l'effetto opposto. Ma il peggio era che lei aveva scoperto il veicolo mediante il quale il vele-
no era stato somministrato. E a quel punto era molto probabile che non avrebbe allentato la pressione, deciso ad andare a fondo, fino alla verità, sul caso Matthews. Quanto a me, capivo fin troppo bene che, una volta distrutto il mio alibi, potevo diventare il candidato più probabile di un arresto. Vede, sovrintendente, Rumbold aveva la mia approvazione, ma non posso dire che mi sentissi pronto a morire in silenzio, senza esprimere la mia opinione, per proteggere lui o l'onore della mia famiglia. Avrei dovuto manifestare questa opinione nel modo più clamoroso possibile, ma io possiedo una radicata avversione per i rumori forti, le grida e i clamori. Ecco perché Rumbold si è suicidato... in un accesso di temporanea insanità mentale, diciamo così... e lei è qui ad ascoltarmi senza preconcetti di sorta.» Hannasyde si alzò in piedi. «Signor Matthews, si rende conto di qual è stata la parte che lei ha recitato in tutto questo?» gli domandò. «Nessuno può rendersene conto meglio di me. Anzi, ho una certa tendenza a pensare che devo essere considerato come un favoreggiatore.» «E immagina che io possa in qualche modo mettere a tacere tutto questo?» «Be', che cosa si propone di fare, allora?» si informò amabilmente Randall. «Vuole che la pubblica accusa apra un processo contro un defunto?» «Ha qualche prova di tutto quello che mi ha raccontato?» «Ci sarà una deposizione scritta di Rumbold, e io ho conservato, per sottoporle alla sua attenzione, le prove che ho raccolto dalle carte e dai documenti di mio zio... zio Hyde. Nella mia posizione di esecutore testamentario ho bruciato tutto all'infuori dei documenti che riguardano il caso di Rumbold. Penso che Scotland Yard vorrà far passare quello che è successo sotto silenzio. I casi che riguardano l'omicidio di un ricattatore sono piuttosto delicati e scabrosi, vero? Sono talmente poche le persone che provano un minimo di simpatia per la vittima... Naturalmente lei può aprire un'imputazione nei miei confronti per aver soppresso delle prove, ma considerate le circostanze, sono propenso a credere che possa diventare un po' scabroso anche questo. In fondo, lei otterrebbe soltanto lo scopo di rimestare nel torbido per niente. Posso offrirle un whisky al seltz?» «Sì che può!» rispose Hannasyde bruscamente. Randall proruppe nella sua solita risatina sommessa e andò a un tavolo contro la parete dove c'era la caraffa del whisky. Ne riempì due bicchieri e vi aggiunse il seltz. Tornando indietro, ne offrì uno ad Hannasyde. «Allora, sovrintendente?» disse. Hannasyde tornò a sedersi al suo posto. «Farà meglio a raccontarmi an-
che il resto di questa storia. Se scegliessi la via di far intentare un processo contro di lei, ci sarà soltanto la mia parola contro la sua» rispose sarcastico. «E io non mi sognerei mai e poi mai di contraddirla.» «Quando ha visto Rumbold?» «Oggi, dopo esser venuto via da Grinley Heath.» «Dove? Non a casa sua?» «No, certamente no. Nel suo ufficio. Era già preparato alla mia visita. Siamo usciti a pranzo insieme, e durante il pasto lui mi ha raccontato quello che io ho riferito a lei, e io gli ho descritto la parte che ho avuto negli avvenimenti e gli ho dato la mia parola d'onore che avrei fatto tutto quanto era in mio potere per impedire che la signora Rumbold sapesse la verità.» La voce di Randall era totalmente inespressiva ma Hannasyde, dopo averlo studiato con un'occhiata penetrante, annuì rabbonito. «Non dev'essere stato un pranzo molto piacevole, signor Matthews.» «A dir poco, sovrintendente.» Hannasyde fece segno di sì. «Posso indovinare quello che deve provare...» «E se non insistessimo più sull'argomento, cosa ne dice?» propose il giovanotto con una sfumatura aspra nella voce. Il sovrintendente sorseggiò il suo drink per un po', in silenzio. «È per quello che lei, oggi, si è guardato bene dal rimanere qui e ha preferito starsene alla larga anche da casa sua? Per dare a Rumbold il tempo di suicidarsi?» «Troverà molto difficile provare quello che sta dicendo, mio caro sovrintendente.» Hannasyde si lasciò sfuggire un sorrisetto acido. «Si aspettava di trovare alcune delle carte e dei documenti di Hyde nella scrivania di suo zio il giorno in cui è venuto ai Pioppi con il signor Carrington e con me?» «No, non mi era ancora assolutamente balenato niente di tutto questo. Mi aspettavo di trovare quello che abbiamo trovato: le lettere che si riferivano alla relazione extraconiugale dello zio Henry... fortunatamente, non pericolose come sarebbero potute essere.» Hannasyde non trattenne un sogghigno. «Quanto a quello, lei si è comportato in un modo terribile, signor Matthews.» «Perlomeno ho saputo ridurre al silenzio la cara Gertrude. E l'ho fatto anche per lei, così la zia non ha più continuato ad assillarla... Ma il mio modo di agire è stato anche molto efficace, perché ho anche impedito che
subodorasse qualche inganno.» «Be', sì» ammise Hannasyde. «Mi dica, sono stati gli occhiali da sole che l'hanno messa sulla pista giusta?» «Non subito. Non credo di poterle dire quando ho cominciato a sospettare qualcosa. Il mio defunto papà aveva l'abitudine di esprimere ripetutamente, e molto liberamente, l'opinione che lo zio fosse un pessimo soggetto, quindi sono partito avvantaggiato nei suoi confronti, sovrintendente, perché nutrivo già dei preconcetti sul suo conto. Per di più, ho anche avuto il privilegio di osservare il modo in cui trattava i segreti dello zio Henry e del dottor Fielding. È probabile che a mettermi l'idea in testa sia stata quella forma modificata di ricatto. E poi l'idea è sbocciata completamente il giorno che lei è venuto a cercarmi per chiedermi se il nome di Hyde mi dicesse qualcosa. Mi sto quasi convincendo che forse sono stato un po' irrispettoso nei suoi confronti.» «Molto irrispettoso» ribatté Hannasyde enfaticamente. «Si è lasciato perfino andare a suggerirmi di riflettere su una storia come quella di Jekyll e Hyde, tratta dal famoso romanzo di Stevenson.» «E appena quell'accenno al romanzo mi è uscito di bocca mi è anche venuta l'idea di uno sdoppiamento della personalità. Tutto sommato è una cosa abbastanza naturale: lei mi ha detto dove Hyde abitava e io ho fatto una visitina al suo amico Brown, della quale le ho già ampiamente parlato.» «Non proprio ampiamente, signor Matthews.» Randall sorrise. «Allora, diciamo che io le ho parlato di tutto quanto era opportuno che lei venisse a sapere. Quando Brown è stato indotto a confidarmi dove Hyde teneva la chiave della sua cassetta di sicurezza, non ho avuto più dubbi. Ho capito che Hyde non era nessun altro che mio zio. Una scoperta piacevole, glielo posso assicurare.» «Ecco perché lei mi è sembrato pronto addirittura all'omicidio, quando ho insinuato che ci fosse stato un legame di affetto fra voi» disse Hannasyde. «Davvero ho dato quest'impressione? Comunque non ne sono stato lusingato di sicuro.» «Quando si è impadronito della chiave di quella cassetta di sicurezza?» «Il giorno del funerale dello zio. La catena del suo orologio, con tutti i vari gingilli che c'erano appesi, si trovava nel cassetto della sua toilette.» «Dopodiché lei ha ottenuto che io rinunciassi a farla sorvegliare da uno dei miei poliziotti, in modo da essere libero di andare a fare una visitina alla banca dove c'era quella famosa cassetta di sicurezza.»
Gli occhi di Randall ebbero un lampo. «Mio caro sovrintendente, come può dire una cosa simile? Io mi ero semplicemente limitato a criticare le scarpe di quel giovanotto.» «Lasciamo perdere» disse Hannasyde. «Lei ha anche pubblicato quell'annuncio sul giornale in modo da poter mettere le mani sulle carte di Hyde.» «Se sapesse che voglia avevo di domandarle come se l'era cavata con il generale!» «Anche quella, ormai, è acqua passata. Meglio non parlarne più. Quindi lei ha tirato fuori tutto quello che c'era nella cassetta di sicurezza e l'ha dato alle fiamme?» «Sì, tutto. Salvo le carte che riguardavano Rumbold. Quelle le ho tenute, in caso di eventuali complicazioni.» «La sua intenzione era di mettere tutto a tacere? E che Rumbold la passasse liscia?» «Deve ricordare, sovrintendente, che io non sono un poliziotto. Mi preoccupavo unicamente del buon nome della mia famiglia.» «Comunque, per quanto io personalmente possa essere comprensivo con il suo punto di vista, signor Matthews, è stato un errore.» «Questo è qualcosa che non mi preoccupa affatto» disse Randall tranquillamente. «Dov'è la dichiarazione che ha detto di avere per me?» Randall gli scoccò un'occhiata divertita. «Mio caro sovrintendente, questo non è degno di lei. Ma credeva sul serio che gliel'avrei messa in mano così, come se niente fosse, da povero ingenuo fiducioso?» «Dov'è?» ripeté Hannasyde. Randall finì quel po' del suo drink che gli rimaneva nel bicchiere. «L'ho spedita per posta, naturalmente, e le arriverà a Scotland Yard domattina.» «Pensa proprio a tutto, lei, eh?» «Be', forse proprio a tutto no» rispose Randall con un'espressione piena di modestia. Hannasyde posò il bicchiere e si alzò. «Credo che andrò a dormirci su» disse. «Non mi sembra che lei mi abbia lasciato molto altro... salvo fare un po' di chiarezza in tutto questo imbroglio.» «Lei mi fa torto, sovrintendente: c'è pochissimo su cui fare chiarezza. Molto meno di quello che ci sarebbe stato se a occuparsene fosse stato lei.» «Sì» ammise Hannasyde. «Giudicando le cose dal suo punto di vista è
abbastanza vero. Ne concludo che il suo nome non appare nella dichiarazione scritta che Rumbold ha lasciato.» «Oh, no!» rispose Randall con un sorriso sornione. «Io non figuro assolutamente in questo caso, mio caro sovrintendente.» FINE