Eusebio di Cesarea Storia ecclesiastica/1
Venticinque anni di instancabile lavoro: tan to fu il tempo che impiegò Eusebio di Cesa rea nella stesura dei dieci libri della Storia ecclesiastica. Nel la sua monumentale opera lo scrittore palestinese intendeva tracciare un'apologia storica del cristianesimo, per di mostrare come la vittoria finale di q uesto sulle avverse potenze statali fosse la prova tangibile della sua origine divina e della sua legittimità. Ponendo !"'economia" di Cristo, l'incarnazione del Logos , al centro della sto ria, della quale costituisce nello stesso tem po il punto di arrivo e di partenza, Eusebio propone una visione un itaria del processo sto rico che farà scuola. Una sto ria della Chiesa che passa attraverso vicende dram matiche di persecuzioni , eresie, scismi , ma soprattutto un vero e proprio mosaico di informazioni e di fonti sia pagane sia cristia ne, che ha il pregio di accostarci a testi e documenti altrimenti sconosciuti e di fornire informazioni p reziose s u l l e vicende d el la Chiesa primitiva. Di Eusebio di Cesarea, Città Nuova ha pub blicato: Contro /eroe/e (a cura di A. Traverso - 1997), Teologia ecclesiastica (a cura di F. Migliore- 1998) e Commento ai Salmi (a cu ra di M.B. Artioli - 2004)
COLLANA DI TESTI PATRISTICI fondata da ANTONIO QUACQUARELLI diretta da CLAUDIO MORESCHINI 158
Eusebio di Cesarea
STORIA ECCLESIASTICA/l Introduzione a cura di Pranzo Migliore Traduzione e note Libri I-IV a cura di Salvatore Borzì Traduzione e note Libro V a cura di Pranzo Migliore
Città Nuova
II edizione, settembre 2005 Copertina di Gyorgy Szokoly. Restyling di Rossana Quarta
© 2001, Città Nuova Editrice Via degli Scipioni, 265 - 00192 Roma Tel. 063216212 - e-mail:
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Finito di stampare nel mese di agosto 2005 dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M.
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INTRODUZIONE
Scrittore fecondo e versatile, Eusebio fu senza dubbio una delle personalità più importanti del suo tempo, di quell'età cioè, che conclude i primi tre secoli cristiani e assiste all'inizio della nuova epoca che si apre col concilio di Nicea: di queste due epo che egli costituisce una mirabtle «cerniera», di cui riassume ed in carna le contraddizioni e gli aspetti più validi 1. LA VITA
Eusebio nacque in un periodo compreso tra la persecuzione di Valeriano (258- 260) e il dodicesimo anno di Gallieno (264 265), forse a Cesarea di Palestina 2. Quasi nulla sappiamo della l Sul problema cf. B. Altaner, Patrologia, trad. ital. a cura di A. Babo lin, Torino, 1977', p. 219; M. Pellegrino, Letteratura greca cristiana, Roma, 19783, p. 92 ; G. Bosio - E. dal Covolo - M. Maritano, Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli III e IV, S E I. , Torino, 1993 , p. 173 . Sulla personalità di Euseb io , le sue opere e la sua importanza cf. M. Simonetti, Letteratura cri stiana antica greca e latina, Milano-Firenze, 1969, pp. 21lss;J.B. Lightfoot, Eu sebius o/ Caesarea, in A Dictionary o/ Christian Biography, II, London 1880, pp. 3 08-348; E. Schwartz, Eusebios von Caesarea, in Paulys Real-Encyclopadie der classischen Altertumswissenscha/t, VI, Stuttgart 1909, 1370-1439; D.S. Wallace-Hadrill, Eusebius o/ Caesarea, London 1960. .
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2 Che sia nato a Cesarea, città di cui fu vescovo per lunghi anni , è no tizia assai tarda (sec. XIV) e il fatto che i contemporanei lo abbiano chiama to Eusebio di Cesarea, per distinguerlo dall'omonimo vescovo di Nicomedia, sta a significare solo che fu vescovo di quella città e non che vi sia nato.
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sua famiglia, della sua estrazione sociale e della sua infanzia ed adolescenza. Si è supposto, probabilmente a torto, che egli sia sta to schiavo del suo maestro Panfilo, che egli chiama suo «padro ne» e in onore del quale scrisse anche un'opera e di cui prese il nome3. Sappiamo che Eusebio conobbe Panfilo a Cesarea di Palesti na, negli anni in cui la chiesa locale era guidata dal vescovo Aga pio 4. Già discepolo del presbitero Pierio ad Alessandria e nativo di Berito in Fenicia, Panfilo si era trasferito a Cesarea, vi era sta to ordinato presbitero ed aveva ereditato e continuato la tradizio ne origenista, riorganizzando ed ampliando la ricca biblioteca fondata da Origene, il quale ottant'anni prima aveva realizzato attorno ad essa una scuola sul modello del Didaskaleion di Ales sandria. Proprio a questa scuola e sotto la guida di Panfilo, Euse bio completò la sua formazione scientt/ica e col maestro si occupò della ricerca di testi sacri e di studi critici e filologici dei codici bi blici. Dopo che nel3 00 fu ordinato presbitero, Eusebio compì nu merosi viaggi: fu ad Antiochia, a Cesarea di Filippo e ad Elia Ca pitolina ( Gerusalemme), dove frequentò la biblioteca che il ve scovo Alessandro vi stava allestendo 5. Durante la grande persecuzione del303-311 , pare sia rima sto inizialmente a Cesarea, dove, dalla fine del3 07 e per circa tre anm� assistette in prigione il suo maestro con cui collaborò nella redazione dell'Apologia per Origene 6 che fu interrotta dalla de3 Sembra si debba escludere che il Nostro sia stato schiavo di Panfilo, cui piuttosto fu legato da sentimenti di profondo e sincero affetto, cosa che lo indusse a scrivere una Vt"ta di Panfilo, oggi perduta, e a porre nella sopra scritta delle sue opere la dicitura «Eusébios tofi Pamfilou» (=Eusebio di Pan filo). 4 Cf. Storia ecclesiastica, VII,32, 24-25 . 5 lbzdem, VII, 20, l. 6 Di quest'opera ci è giunto solo il libro I nella poco fedele traduzione di Rufino di Aquileia.
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capitazione di Panfilo, avvenuta nel310. Morto il maestro, forse per scampare alla persecuzione in Palestina, Eusebio si recò a Ti ro, quindi viaggiò per la Tebaide e l'Egitto, dove pare sia stato im prigionato e dove fu testimone oculare dei numerosi episodi per secutori di quegli anni. Allorquando mutò l'atteggiamento dell'Impero nei confron ti dei Cristianz; tra il311 e il 3 1 3 , in ogni caso prima delle gran di/este per la dedicazione della chiesa di Tiro (3 15-316) alle qua li prese parte con un panegirico, come egli stesso ci testimonia 7, fece ritorno in Palestina e /u eletto vescovo di Cesarea, sede epi scopale che egli non volle abbandonare fino alla morte. Negli an ni seguenti Eusebio acquistò una notevole influenza sia per le sue capacità personali che per l'importanza della sua sede episcopale e si trovò coinvolto nella controversia ariana s, nella quale, no-
7 Cf.
Storia ecclesiastica, X, 4. Ario era nato in Libia intorno al 256 e insieme ad Eusebio di Nico media, Leonzio e altri, era stato discepolo di Luciano di Antiochia (i cosid detti «collucianisti») , il fondatore della scuola antiochena. Intorno al 3 10 era stato ordinato ed esercitò il suo ministero nella chiesa di Baucalis (una par rocchia di Alessandria d'Egitto) dove condusse vita ascetica. Di ingegno sot tile e di vasta cultura, in età avanzata diede inizio alla predicazione della dot trina che appunto da lui prese il nome e che dilaniò la Chiesa per diversi an ni. Nonostante i richiami del suo vescovo Alessandro, continuò nell'insegna mento delle sue dottrine finché nel 321 fu deposto da un concilio insieme ad alcuni vescovi e presbiteri che condividevano le sue idee. Costretto a fuggire, si rifugiò in un primo tempo in Palestina a Cesarea, poi a Nicomedia. Con dannato nel concilio di Nicea nel 325 insieme ai vescovi che non avevano vo luto sottoscrivere la formula deil'homoousios, fu inviato in esilio. Riabilitato nel concilio di Tiro nel 335, si spense l'anno successivo poco prima del rien tro previsto ad Alessandria. Da lui prese il nome la dottrina riguardante il rapporto tra il Padre e il Figlio nella Trinità e l'Incarnazione che il presbitero alessandrino teorizzò insieme ad Asterio il Sofista, considerato con lui il teo rico dell'arianesimo della prima generazione. Rifacendosi a tematiche e idee già implicite nell'insegnamento di Luciano di Antiochia e al subordinazioni smo di Origene, Ario ritenne che nell'ambito della Trinità solo il Padre è Dio, che egli riteneva essere eterno e immutabile, non generato, non creato e sen za principio. Poiché non possono esistere due principi, il Figlio, vale a dire il 8
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nostante non ne condividesse le posizioni teologiche, sostenne politicamente Ario contro il vescovo Alessandro (312-328) ed in cappò nella condanna del sinodo di Antiochia del325. Nel maggio/ giugno dello stesso anno ebbe luogo il concilio di Nicea nel quale Eusebio capeggiò il gruppo moderato, il più folto, conciliante, di tendenze origeniste e soprattutto mirò a di fendere se stesso ed evitare la condanna di Ario: egli perciò prese le distanze sia dal piccolo gruppo dei filoariani capeggiati da Eu sebio di Nicomedia, sia dall'altro gruppo, di cui facevano parte Alessandro di Alessandria, Marcello di Ancira e Osio di Cordo va, destinato a diventare la corrente rappresentante dell'ortodos sia, che si schierò su posizioni per così dire tradizionalz� caratte rizzate dal rifiuto del sabellianismo e che considerava i rapporti tra il Padre e il Figlio come un mistero. Fallito il tentativo di con ciliazione di Eusebio, i Padri condannarono Ario e le sue dottri ne e formularono un «Credo» che ponesse fine alle discussioni. Con riluttanza e più per accondiscendere alla volontà di Costan tino che per intimo convincimento, Eusebio, riabilitato, sotto scrisse la formula nicena 9. Nel periodo immediatamente successivo al concilio, Eusebio rimase fedele alla linea origenista che manteneva una certa su bordinazione del Figlio al Padre, attuò un fronte comune con gli ariani sconfitti e riuscì anche a trarre dalla sua parte lo stesso imLogos, non poteva essere né coetemo al Padre, né della stessa sostanza, ma era stato generato dal Padre prima del tempo e dal nulla . Non esistente pri ma della generazione, Ario riteneva il Figlio non Dio per natura ma per par tecipazione, creato dal Padre prima della creazione e in vista di essa. La dot trina fu condannata dal concilio di Nicea nel 325 , ma fu con accanimento so stenuta dai protettori di Ario. Col tempo l'arianesimo si frantumò in varie correnti. Per un esame approfondito dell'intera materia cf. M. Simonetti, La crisi ariana nel N secolo, Roma 1 975, con ricca bibliografia. 9 Di questo suo atteggiamento è prova la lettera di giustificazione in viata ai suoi diocesani, nella quale spiegava appunto che l'homoousion era sta to voluto dall'imperatore e che egli aveva sottoscritto per amore «della pace» e perché non voleva «allontanarsi dalla retta interpretazione».
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peratore. Insieme con Eusebio di Nicomedia si adoperò per al lontanare dalle loro sedi i vescovi del partito niceno, come Ascle pa di Gaza, e per far deporre e condannare all'esilio Eustazio di Antiochia accusato di sabellianismo. Nel33 5, in occasione del decimo anniversario del concilio di Nicea, si celebrò a Tiro un concilio, nel quale Atanasio fu con dannato e deposto. Eusebio fu tra i principali fautori della con danna, cosa che lo portò allo scontro con il difensore più strenuo di Atanasio, Marcello di Ancira, che si rifiutò di condannare il collega e di partecipare al successivo sin odo di Gerusalemme du rante il quale Aria fu pienamente reintegrato nella Chiesa. Nel 336, a Costantinopoli, un sinodo esaminò l'opera di Marcello, contro il quale Eusebio aveva scritto due opere (Con tro Marcello e Teologia ecclesiastica). Lo scritto fu dichiarato eretico, Marcello deposto ed esiliato. Il22 maggio del337 si spense a Nicomedia l'imperatore Co stantino, in memoria del quale sembra che il nostro abbia scritto un elogio funebre. Eusebio sopravvisse di poco alla morte del l'imperatore: dopo questa data, infattz; di lui non si fa più men zione e pare che la sua morte debba essere collocata tra il ritorno di Atanasio ad Alessandria (337) e la morte di Costantino II (3 40) 10. LE OPERE
Della vasta e multt/orme produzione eusebiana («infinita volumina»), cinquant'anni dopo la morte di Eusebio, Gerolamo forniva un primo, breve catalogo di quelle che egli riteneva le più importanti 1 1; dal confronto tra il catalogo geronimiano, e gli lO L' unico dato certo in nostro possesso è che al concilio di Antiochia era presente in qualità di vescovo di Cesarea il suo discepolo Acacio. 11 Cf. Gli uomini illustri, Città Nuova, Roma 2000, cap. 8 1 .
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elenchi delle sue opere forniteci da altri scrittori di epoche suc cessive 12, emerge che ci è pervenuta, sia intera sia in /rammentz; in originale o in versioni diverse, la parte maggiore e migliore del la molteplice attività letteraria di Eusebio, /rutto del suo instan cabile lavoro, delle sue accurate ricerche ed approfondite letture nelle biblioteche che ebbe a disposizione ( Cesarea e Gerusalem me). Per renderei conto dell'importanza della sua opera è suffi ciente ricordare che, senza le sue ricerche, saremmo nell'assoluta impossibilità di conoscere non solo i primi tre secoli del cristia nesimo, ma anche parte della letteratura pagana dell'ellenismo antico di cui fu profondo conoscitore e di cui nelle sue opere ci ha trasmesso numerosi brani ed estratti di opere irrimediabilmente perdute. Sotto questo pro/ilo, dunque, e al di là dei chiari intenti apologetici delle sue opere, sul piano della conoscenza scientifica, Eusebio è per noi la fonte più preziosa e di straordinaria impor tanza dell'antichità pagana e cristiana. Di tali opere in questa sede ci limiteremo a ricordare le più importanti. Le opere apologetiche
Tutta la produzione letteraria di Eusebio ha un evidente ca rattere apologetico, tuttavia numerosi suoi scritti appartengono al genere apologetico propriamente detto: è il gruppo più numeroso e alcuni scritti rivestono notevole importanza per il metodo di la voro del Nostro, che era solito sottoporre all'attenzione dei letto ri numerosi e scelti estratti di autori cristiani e pagani. Alcune opere sono purtroppo andate perdute, come i 25 li bri Contro Porfirio nei quali Eusebio confutava le idee espresse 12 Essi si trovano in Fozio (cf. Biblioteca, codd. 9-13; 27; 37; 1 18; 127) , Ebed-Jesu (in Assemani, Bibl. Orient., III, l , 18) e Niceforo Callisto (cf. Sto ria ecclesiastica, 7, 37).
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dal filosofo greco nella sua opera Contro i Cristiani; la Confuta zione e apologia di cui Fazio 13 conosceva due redaziom; e infine l'Apologia per Origene in 6 libri scritta insieme a Panfilo, cui Eusebio aggiunse, dopo la morte del maestro, il libro VI. Dell'o pera possediamo il primo libro nella versione latina di Rufina e un'analisi di Fazio. Ci sono invece pervenute le più importanti. Contro Ierocle. Si tratta di uno scritto, composto tra il311 e il313 1 4, contro Sossiano !eracle, governatore della Bitinia in torno al3 03 e prefetto d'Egitto dal31 0 al311 , il quale in uno scritto aveva sostenuto la superiorità di Apollonia di Tiana, l'eroe del romanzo del solista Flavio Filostrato, rispetto a Gesù. Più che contro l'opera di Ieracle, in cui erano riprese le antiche accuse di Celso e le più recenti di Por�/irio nei confronti dei Cristiam; Eu sebio svolge le sue argomentazioni polemiche contro la figura di Apollonia di Tiana e i suoi supposti miracoli. Introduzione elementare generale al Vangelo. Composta probabilmente intorno al303 , doveva comprendere almeno l O li bri e ci è giunta solo in parte. I primi cinque libri, di cui posse diamo solo /rammenti, erano destinati ai neo/t'ti e dovevano con tenere le prove bibliche di Cristo; i libri dal VI al IX sono noti col titolo Estratti dai Profeti e in essi Eusebio raccoglie e spiega a ca tecumeni e fedeli le profezie messianiche del Vecchio Testamen to. È probabile che le due parti di quest'opera corrispondano a due libri ricordati da Fazio col titolo di Preparazione evangelica e Dimostrazione evangelica. Preparazione evangelica. Scritta tra il 312- 31 8, è dedicata al vescovo Teodoto di Laodicea. Nei 15 libri che la compongono e che ci sono giunti per intero, ricorrendo al repertorio oramai 13 Cf. Biblioteca, Cod. 13.
14 Sui problemi di datazione e sull'opera in generale, cf. Introduzione,
in Eusebio di Cesarea, Contro lerocle, a cura di Alberto Traverso, Città Nuo va Editrice, Roma 1997 , pp. 19-32.
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tradizionale dell'apologetica cristiana, Eusebio confuta inizial mente gli oracol� i miti pagam: la loro interpretazione allegorica e le credenze di coloro che si affidano al fato; quindi respinge le accuse rivolte da parte pagana ai Cristiani di avere abbandonato la religione nazionale per passare al giudaismo, accusa che era sta ta mossa da Porfirio. Eusebio esalta il monoteismo e loda la scel ta fatta dai Cristiam: quindz: attraverso l'esame di innumerevoli prove tratte dalla letteratura pagana e cristiana, dimostra che la religione ebraica non solo è più antica ma è notevolmente supe riore al pensiero greco. Dopo aver mostrato le contraddizioni e gli errori dei filoso/i grec� sostiene che le verità in essi present� spe cialmente in Platone, dipendono e derivano dalla religione ebrai ca. I:opera è importantissima anche per il notevole uso che Euse bio fa delle fonti pagane. Dimostrazione evangelica. Rappresenta la continuazione dell'opera precedente ed è anch'essa dedicata a Teodoto di Laodi cea. Dei 20 libri che la componevano ci sono giunti i primi dieci e /rammenti del XV Per confutare le accuse dei giudez: Eusebio legge ed interpreta in chiave cristologica le profezie veterotesta mentarie, che rivestono valore universale e che a suo giudizio si sono adempiute nel cristianesimo, che realizza dunque la vera es senza del giudaismo come religione rivelata. Mostra il carattere temporaneo della Legge mosaica, che si colloca tra l'epoca dei pa triarchi ebrei e la venuta di Cristo. . Teofania. I:opera è in 5 libri e ci è pervenuta frammenta riamente in greco e per intero in un'antichissima versione siriaca; è l'ultima opera apologetica di Eusebio e la sua stesura è solita mente collocata dopo il323 1 5. I:opera tratta della mam/estazio ne del Logos a partire dalla creazione: nei primi tre libri l'autore illustra le sue idee sul Logos divino, visto come creatore e reggi tore dell'universo, sull'anima umana e sulla necessità della re337.
1 5 Il Wall ace-Hadrill (cf. Eusebius o/ Caesarea, cit.) data l'opera dopo il
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denzione dell'uomo ad opera del Logos. Eusebio si rivolge ad un uditorio pagano e spesso riprende le argomentazioni che eglz" ave va già esposto nelle opere apologetiche che in precedenza abbia mo esaminato. Il carattere apologetico si accentua negli ultimi due libri dell'opera: il IV appare, in/attz� come un rz/acimento di uno scritto più antico di Eusebio sulla realizzazione delle profezie messianiche, ricordato nella P rep arazion e evangelica 16, e il V ri propone la confutazione già /atta nella Dimostrazione evangeli ca 17 che Gesù fosse un mago. Le opere dogmatiche
Intorno al33 5 Eusebio scrisse contro Marcello di Ancira, il vescovo condannato e deposto nel sinodo di Costantinopoli del 33 6, per confutarne le tes� due opere dottrinali: Contro Marcel lo e Teologia ecclesiastica. La prima, Contro Marcello, è la confutazione delle tesi del vescovo ancirano attraverso la citazione di ampi brani dalle sue opere, sfortunatamente perdute. Eusebio, dopo aver presentato le idee di Marcello, che accusa di sabellianismo, le con/uta ricorren do a numerose citazioni bibliche. La confutazione è serrata ed ef /icace; non priva di un certo astio nei confronti dell'avversario. Nella seconda, Teologia ecclesiastica, in 3 libr� come egli stesso ci fa sapere sia nella dedica all'amico vescovo Flaccillo, sia nel Proemio, riprende e completa la confutazione della dottrina di Marcello di cui ripropone numerosi testi. Il titolo dell'opera, che fu probabilmente scritta nel 3 3 6, in ogni modo dopo il Contro Marcello, indurrebbe a pensare che si tratti di un'esposizione sistematica e organica del pensiero teolo gico dell'autore. In realtà, Eusebio intende dimostrare la legitti16 Cf. Preparazione evangelica, 1 , 3 , 12. Cf. Dimostrazione evangelica, 3, 3, 7.
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mità delle accuse che ha rivolto a Marcello, alle cui idee egli in tende contrapporre quella che a suo giudizio egli ritiene la vera teologia della Chiesa. La confutazione delle tesi dell'avversario è condotta attraverso l'esegesi di alcuni passi delle Scritture ed è talmente serrata che spesso l'intento polemico finisce per avere il sopravvento 18. Le opere bibliche ed esegetiche
Comprendono commenti a libri della Bibbia, studi di geo grafia biblica e trattati di natura diversa, tutti/rutto del lungo la voro più filologico che esegetico condotto per tutta la vita da Eu sebio sulla Sacra Scrittura. Tra le numerose opere esegetiche di cui abbiamo notizia la più importante è sicuramente il Commento ai Salmi, uno scritto composto tra i/320 e i/325, la cui mole doveva essere considere vole e che ci è pervenuto frammentario. Perduta la traduzione la tina fattane da Eusebio di Vercellz� che omise i passi che egli non riteneva ortodosst� l'opera è attestata per circa un terzo in tradi zione diretta (possediamo il testo greco completo per i Salmi 5095) e in maniera assai frammentaria per quanto riguarda i primi Salmt� mentre possediamo /rammenti di notevole ampiezza dopo le identificazioni del Mont/aucon, del Mai e di G. Mercati per quanto riguarda i Salmi 96-1 50, il cui testo ci è stato trasmesso dalle catene (antologie esegetiche). Altro importante scritto era il Commento a Isaia, ispirato al perduto commento che della stessa opera aveva /atto Origene. Scritta dopo il324 non sappiamo se in 1 0 o 15 libri, l'opera fu giudicata severamente da Gerolamo che tuttavia la utilizzò. Dal le catene ci sono pervenuti parecchi estratti e /rammenti, molti 18 Per un esame completo dell'opera cf. la nostra Introduzione in Eu sebio di Cesarea, Teologia ecclesiastica, Città Nuova, Roma 1998, pp. 18-38 .
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dei quali sono stati riconosciuti falsi dagli studiosi. Nulla ci è per venuto dei commenti a Geremia, Ezechiele, Daniele, Proverbi e Cantico dei Cantici. Assai importante è l'Onomastico, o libro «dei luoghi» ri cordati dalla Scrittura: si tratta di un repertorio di geografia e to pografia, composto prima del33 0 e contenente i nomi geografici della Bibbia in ordine alfabetico con brevi notizie storiche per cia scun luogo e che costituiva la quarta parte di un'opera di geogra fia biblica più vasta oggi perduta. I: opera assai ammirata da Ge rolamo, che ne fece due traduzionz; alla seconda delle quali ap portò correzioni ed aggiunte, ebbe un in/lusso notevole nell'anti chità e in tutto il Medioevo ed è ancor oggi una fonte assai pre ziosa per la geografia storica della Palestina, che lo scrittore co nosceva assai bene. Dalla prefazione dell'Onomastico, appren diamo che Eusebio aveva pubblicato anche alcune opere andate perdute: i Nomi dei popoli della Bibbia, uno scritto sulla Pale stina antica con la divisione delle 12 tribù e una Pianta di Geru salemme e del Tempio.
Fra gli altri scritti biblici nell'antichità ebbero notevole for tuna e diffusione i Canoni evangelici, in cuz; come spiega nella dedica a Carpiano, Eusebio volle perfezionare un lavoro iniziato da Ammonio di Alessandria in modo da individuare le relazioni intercorrenti tra i vari Vangeli e i loro aspetti particolari; si tratta insomma di una sinossi senza testo, attuata attraverso un sistema di rimandi fondato sulla divisione fatta da Eusebio del testo evan gelico in brevi pericop� contrassegnate con numeri progressivi e raggruppati in dieci prospetti. Possediamo ampi frammenti in greco e in siriaco, oltre ad un'epitome greca, delle Questioni e soluzioni evangeliche. Nel l'opera, composta prima del312, il Nostro intendeva risolvere al cune difficoltà e apparenti contraddizioni presenti in alcuni passi dei Vangeli. Nei primi due libri erano esaminati i racconti evan gelici dell'infanzia e le genealogie di Gesù, in un terzo libro i rac conti della Passione e della Resurrezione.
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Tra le opere perdute ricordiamo uno scritto sulla Poligamia e le famiglie dei patriarchi e un'altra Sulla Pasqua, di cui posse diamo un ampio /rammento conservato in una catena bizantina. Nell'opuscolo, dedicato a Costantino e composto nel325, impor tante più sul piano liturgico e dogmatico che esegetico, si affron tava il rapporto tra la Pasqua ebraica e quella cristiana e sulle de cisioni adottate dal concilio di Nicea a proposito della data della Pasqua. Le opere storiche
Concludiamo infine con un breve esame delle opere stori che, le più importanti della produzione eusebiana, quelle che gli hanno assicurato un merito imperituro. La prima in ordine di tempo è la Cronaca 19, composta pri ma del3 03 e divisa in due parti. Perduto l'originale greco, l'ope ra ci è pervenuta completa in una traduzione armena del VI se colo e, per quanto riguarda la seconda parte, nella traduzione la tina di Gerolamo che la continuò fino all'anno 378. La prima parte, a carattere introduttivo, comprende un'esposizione dei si stemi cronologici usati dai vari popoli antichi ( Caldez; Assin; Ebrez; Egizz; Greci e Romam), della cui storia Eusebio, fondan dosi su varie fonti ( Abideno, Castore, Diodoro, Flavio Giuseppe, Dionigi di Alicarnasso) fornisce un breve compendio. La seconda parte è una specie di sinossi per tabelle cronologiche dei principali avvenimenti della storia universale, a partire da Abramo (20162 015 a. C.) e/ino ai tempi dell'autore. Lo scritto era diviso in cin que periodi: l) da Abramo alla caduta di Troia; 2) dalla caduta di Troia alla prima Olimpiade;3 ) dalla prima Olimpiade al secondo anno del regno di Dario; 4) dal secondo anno del regno di Dario 19 La denominazione è impropria, dato che il vero titolo dello scritto è Date fondamentali e riassunto della storia dei greci e dei barbari.
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alla morte di Cristo; 5) dalla morte di Cristo al3 03 d. C; in que st'ultima sezione particolare rilievo è dato alla storia e alla diffu sione del cristianesimo, alle persecuzioni e ai personaggi cristiani più illustri. Lo scritto ha chiari scopi apologetici e intende dimo strare che vi è un'ideale continuità tra cristianesimo e giudaismo, che a sua volta vanta tradizioni antichissime. I Martiri di Palestina. Si tratta di una monografia scritta da Eusebio nel 3 11 e dedicata ai martiri (tra i quali il suo maestro Panfilo) della terribile persecuzione, di cui egli stesso fu testimo ne, che ebbe luogo in Palestina tra il3 03 e il311. Dell'opera si conoscono due distinte redazioni: una breve, in greco, ed una lun ga conservata in versione siriaca contenuta in un manoscritto del 411 - 412 e in alcuni /rammenti in greco. Proprio perché completa la narrazione dei libri VIII-IX della Storia ecclesiastica, spesso la versione breve nei manoscritti si trova inserita tra essi o subito dopo il libro X. Perduta invece una Raccolta di atti di martiri che Eusebio cita spesse volte, come pure la Vita di Panfilo, scritta in onore del maestro subito dopo la di lui morte nel 310-311. Altra importante opera storica di Eusebio è la Vita di Co stantino in quattro libri,· non ricordata da Gerolamo, essa non ha i tratti di una vera e pmpria biografia, ma di un encomio, una sor ta di agiografia nella quale Eusebio tratteggza l'indole dell'impe ratore e si sofferma sulle benemerenze che egli ha acquisito nei confronti della religione cristiana. Nel panegirico Eusebio non racconta le imprese di guerra o le azioni politiche dell'imperato re, bensì la sua politica fi"locristzana che contribuì al trionfo del cristianesimo. È per questo motivo che egli presenta Costantino come un modello di fede, il nuovo Mosè, l'uomo inviato dalla Provvidenza per guidare il popolo di Dio verso la conquista della libertà. Il taglio e la prospettiva data allo scritto fanno sì che spes so Eusebio, travisando i /atti, si lasci andare a sperticate lodi di Costantino, tanto da essere accusato di cortigzaneria e adulazione. I: opera risulta perciò retorica e ampollosa, priva di ogni critica e obiettività storica.
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Scritta subito dopo la morte di Costantino (22 maggio337), oggi si pensa che essa sia giunta a noi in una versione rimaneg giata, dopo la morte dell'autore, da un anonimo che vi avrebbe aggiunto nuovo materiale. Infine, non mancano studiosi che, co me il Grégoire, ne mettono in dubbio l'autenticità. I manoscritti dell'opera contengono in appendice un'apolo gia del cristianesimo dal titolo Discorso all'assemblea dei santi attribuito a Costantino e tenuto al clero nel232, rigettato da al cuni studiosi come apocrifo, e il cosiddetto Elogio di Costantino, opera che riunisce due discorsi tenuti da Eusebio nel335 e preci samente: il panegirico per il trentennale dell'imperatore e quello per la dedicazione della chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. LA STORIA ECCLESIASTICA
Abbiamo lasciato per ultima l'opera storica che costituisce l'oggetto del presente lavoro, cui è legata la/ama di Eusebio e al la cui stesura lo scrittore palestinese dedicò circa venticinque an ni di instancabile lavoro: nell'opera, la prima nel suo genere, di cui egli perciò è considerato a buon diritto l'inventore, l'autore volle tracciare un'apologia storica del cristianesimo attraverso la raccolta di materialz: per noi quanto mai preziosz: dell'antichità cristiana, in una sorta di antologia storica, un vero e proprio mo saico di informazioni e di /ontz: di valore inestimabile; egli dun que non concepì la storia alla maniera tradizionale come un «opus oratorium maxime», in cui vi fossero molti discorsi inven tati e pochi document� semmai il contrario, nessun discorso in ventato e la maggior quantità possibile di documenti.
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L'opera non fu dunque concepita come un'esposizione con tinua ed ordinata dello sviluppo della Chiesa attraverso le tappe più importanti e significative della sua sia pur breve storia, bensì come una raccolta di materiale dell'antichità cristiana, che Euse bio scelse e dispose non casualmente ma secondo il criterio cro nologico in modo da offrire al lettare l'idea di una trattazione si stematica. Proprio all'inizio del libro I, in una sorta di Prologo, Euse bio ci in/orma dello scopo che si è prefisso di raggiungere, delinea l'argomento della sua opera e traccia il metodo di lavoro che in tende seguire. Partendo «dall'economia e dalla teologia di Cristo», da cui i Cristiani hanno «il privilegio di derivare il nome», egli si pro pone «di mettere per iscritto [...] le successioni dei santi apostolz; i tempi trascorsi a partire da quelli del nostro Salvatore» e i gran di eventi di tutta la storia della Chiesa dalla sua nascita fino ai suoi tempi. Vuole altresì ricordare gli uomini illustri che hanno diretto le maggiori comunità; coloro che a voce o per iscritto sono stati messaggeri della parola divina; gli ereticz;- le sciagure con cui sono stati puniti i Giudez; i quali hanno oramai perduto il diritto di considerarsi il popolo eletto; le lotte che la parola divina ha do vuto sostenere contro i pagan�· coloro che per essa hanno versato il loro sangue o sofferto supplizi nel passato e i martiri a lui con temporane�· infine il soccorso misericordioso e benevolo che il Salvatore ha concesso nella sua infinita bontà a tutti i Cristiani 20. Da tutto ciò traspaiono con evidenza i motivi apologetici, cui la Storia s'ispira, soprattutto laddove l'autore si sofferma sull'ori gine, la di/fusione, l'affermazione e il trionfo finale del cristiane simo. Dei lO libri che la compongono, i primi7 libri comprendo20
Storia ecclesiastica, l, l , 1 -2; 4; 6.
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no la storia della Chiesa dalle origini fino al 3 03 ; i restanti tre narrano gli avvenimenti dal3 03 fino al323 , vale a dire dalla per secuzione di Diocleziano, all'avvento glorioso di Costantino. Il libro I costituisce una sorta di introduzione alla trattazio ne vera e propria, un discorso apologetico-dogmatico intorno a Cristo: in esso Eusebio, dopo aver trattato «della divinità del Lo gas salvatore e dell'antichità dei dogmi della dottrina cristiana», ricorda la nascita, la vita e la predicazione di Gesù e l'elezione de gli apostoli. Nel II libro, dopo aver indicato in calce all'indice le sue fon ti ( Clemente Alessandrino, Tertulliano, Flavio Giuseppe e Filo ne), l'autore si so/ferma sull'età apostolica e sulla diffusione del messaggio cristiano, per giungere fino alla persecuzione di Nero ne e allo scoppio della guerra giudaica. Il III libro inizia col martirio di Pietro e Paolo, prosegue con la guerra giudaica e la distruzione di Gerusalemme; la rimanente parte è dedicata alla persecuzione di Domiziano, all'apostolo Gio vanni e ai suoi scrittz: all'esame dei primi ereticz: agli scritti dei padri apostolici. Il IV libro tratta delle successioni episcopali nelle principali comunità cristiane, degli eretici del tempo e dei primi apologisti cristiani. Nel V libro Eusebio narra i principali avvenimenti verifica lisi in Oriente ed Occidente e si so/ferma sulle principali eresie, la fondazione del Didaskaleion di Alessandria, Ireneo di Lione e le sue opere. Nel VI libro, dopo aver brevemente parlato della persecu zione sotto Severo, di Clemente Alessandrino e delle sue opere, l'autore analizza a lungo la vita e l'attività di Origene. Nel VII libro, che consta quasi tutto di estratti dalle lettere di Dionigi d'Alessandria o di dati ricavati da esse, Eusebio tratta del problema dei laps� delle persecuzionz: del canone pasquale, delle eresie di Sabellio, di Paolo di Samosata e di Man� e conclu de con Diocleziano l'elenco delle successioni imperiali, oltre che
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quelli di alcune sedi episcopali come Roma, Alessandria e Antio chia. Il libro finisce con l'annuncio che l'autore narrerà d'ora in nanzi le lotte sostenute dai suoi contemporanei in difesa della re ligione. Nel libro VIII è narrata la persecuzione di Diocleziano e dei suoi colleghi e successorz� fino all'editto di tolleranza di Galerio del3 0 aprile311. Il IX tratta della ripresa della persecuzione sotto Massimino, fino alla sconfitta di Massenzio ad opera di Costantino, all'editto di tolleranza di Massimino e alla sua morte dopo la sconfitta su bita da Licinio. Nel libro X, dopo aver ricordato l'esultanza per la pace con cessa alle chiese, Eusebio riferisce il discorso da lui tenuto per la dedicazione della basilica di Tiro, e quindi riporta il testo di sei costituzioni imperiali: il cosiddetto «editto di Milano», la lettera ad Anulino, il rescritto a Milziade, vescovo di Roma e a Marco, la lettera a Cresta, vescovo di Siracusa, quella a Ceciliano, vesco vo di Cartagine e infine un'altra lettera ad Anulino. Negli ultimi due capitoli è narrata la persecuzione dei Cristiani attuata da Li cinio e la vittoria definitiva di Costantino. La tradizione manoscritta
Della Storia ecclesiastica esistono recensioni diverse, tra mandate da vari codici che possono essere suddivisi in due grup pi principali 21 : a) gruppo BDM: che comprende tre codici: B: Codex Parisinus 1431 ( secc. XI-XII) D: Codex Parisinus 1433 ( sec. XI-XII) M: Codex Marcianus 338 ( sec. XII) 2 1 Per l'analisi testuale dei manoscritti greci cf. E. Schwartz, Eusebius Werke, Il, Die Kirchengeschichte, III, Leipzig 1909, pp. XVII-CXLVII.
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A questi tre codici devono essere ricondotte due antiche tra duzioni: l:, traduzione siriaca risalente al 420 circa, conservata nei due codici L" (Leningrado, 462) e Lb (Londra, VI secolo)/ nel le parti mancanti esse sono integrate da l:"m', una versione arme na che traduce alla lettera il testo siriaco/ L, la traduzione latina di Rufina di Aquileia, dell'inizio del V sec. , conservata in diversi codici 22 . b) gruppo ATER, che comprende i seguenti mss.: A: Codex Parisinus 143 0 (sec. XI) T: Codex Laurentianus 70, 7 ( secc. X-XI) E: Codex Laurentianus 70 , 20 (sec. X) K Codex Mosquensis 50 (sec. XII) A giudizio dello Schwartz, il gruppo BDMl:A riproduce il testo definitivo dell'ultima edizione. La data di composizione
Le dz/ferenze esistenti tra i diversi gruppi di codici sono la testimonianza che l'opera ha avuto edizioni diverse e che è stata sottoposta a taglz; aggiunte, integrazioni e correzionz; che dalla critica sono stati interpretati in maniera diversa. Nel1909 lo Schwartz 23, basandosi tanto sull'analisi testua le quanto su quella interna e logica, ritenne di poter identificare quattro successive edizioni della Storia. La prima, che comprende i libri I- vrn fino al cap. 1 7 (traduzione in greco dell'editto di Galerio), sarebbe stata iniziata prima della pubblicazione dell'e2 2 Per il testo latino di Rufino curato da Th. Mommsen, cf. in E. Schwartz, Eusebius Werke, II, Die Kirchengeschichte, I (1903) e II (1908), Leipzig. Introduzione del Mommsen in III, cit., p p CCLIII-CCLVI. 23 E. Schwartz, Eusebius Werke, II, Die Kirchengeschichte, III cit. , pp. XLVII-LXI. .
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ditta avvenuta a Nicomedia il 3 0 aprile del 311 , e terminata quando non si poteva prevedere la fine della persecuzione, prima della sconfitta di Massimino da parte di Licinio nel313 2 4. La seconda edizione dell'opera sarebbe stata compiuta nel 315, quando cioè Costantino e Licinio assunsero insieme il con solato: in questa edizione Eusebio avrebbe rimaneggiato il libro VIIL aggiunto il libro IX e la raccolta delle costituzioni imperia li. Nella terza edizione, probabilmente nel3 17, Eusebio avrebbe nuovamente rimaneggiato il libro VIIL aggiunto il libro X conte nente il discorso per la dedicazione della basilica di Tiro (3 15/316) e le costituzioni imperiali conservate nei manoscritti del gruppo ATER (capp. 5- 7), che originariamente facevano par te del libro IX. La quarta, definitiva edizione sarebbe posteriore alla sconfitta di Licinio (324), ma anteriore al concilio di Nicea (325) e motivata dalla necessità di eliminare tutti quegli elemen ti che erano incompatibili con la damnatio memoriae di Licinio; in essa Eusebio avrebbe aggiunto il racconto della persecuzione e della sconfitta di Licinio e modt/icato i libri precedenti per met tere l'opera d'accordo con le idee dz//use nella corte di Costanti no. Negli anni immediatamente seguent� sono state particolar mente osteggiate le conclusioni riguardanti le due edizioni del li bro X e quelle che riguardano la /orma originaria dell'opera. Nel1928 H.]. Lawlor 2 5, riprendendo un suo studio risalen te al1912, ipotizzò solo tre edizioni per le quali propose una cro nologia diversa: Eusebio era in procinto di ultimare l'opera se condo il piano originario, in 7 libr� allorquando l'editto di Gale rio lo indusse ad aggiungere il libro VIII, che conteneva in ap pendice la recensione breve dei Martiri di Palestina, terminando 2 4 Per determinare la datazione lo Schwartz (cf. op. cit.) si avvale di due elementi: la menzione in I, 9, 3 degli Atti di Pilato, un falso diffuso verso il 3 12 , e il passo I, l, 2, che, sulla base di VIII, 16, l, lo studioso riferisce all'e ditto di Galerio. 2 5 H.}. Lawlor - J.E.L. Oulton, Eusebius, Ecclesiastica! History, London 1928, II, pp. 2 ss.
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il suo lavoro tra il maggio e il novembre311 ; successivamente, in una seconda edizione, verso la /ine del313 , egli avrebbe aggiun to il libro IX e rivisto i libri VIL VIII e i Martiri. La terza ed ul tima edizione, con la revisione del libro IX e l'aggiunta del X, ri salirebbe al3241325. Nel 1 929 il Laqueur 26, rifacendosi in parte agli studi dello Harnack 27, ritenne che ad una prima redazione in 7 libri ne sa rebbe seguita, nel 311 , una seconda con l'aggiunta dell'VIII e quindi di un'appendice per narrare gli avvenimenti del313 ; in se guito, venuto a conoscenza di nuove fonti e documenti, e compi lato il discorso per la dedicazione della basilica di Tiro, Eusebio avrebbe accresciuto l'opera e scomposto in due partz; in quanto troppo lungo, il libro VIII (cioè i nostri attuali VIII e IX) e ag giunto il X dopo il 317. I rimaneggiamenti introdotti nei libri precedenti avrebbero tutti il carattere singolare di essere stati/at ti solo mediante aggiunte. Ciascuna di queste soluzioni proposte solleva difficoltà che lasciano perplessi molti critici, a giudizio dei quali è un errore as sumere, per esempio, come termine finale per la redazione della Storia il concilio di Nicea, proprio perché Eusebio non ne parla. Le fonti e i documenti
Conformemente a quanto propostosi nel Prologo (L l, 4), utilizzando ampiamente fonti primarie provenienti dai mano scritti conservati nelle biblioteche di Cesarea e di Gerusalemme, nella Storia ecclesiastica Eusebio mette insieme una quantità im mensa di materiale documentario, sia pagano sia cristiano. Esa miniamolo brevemente. 26 R. Laqueur, Eusebius als Hùtoriker seiner Zeit, Berlin-Leipzig 1929. 27 A. von Harnack, Die Chronologie der altchristlichen Literatur bis Eu sebius, Leipzig 1904 , II, pp. 1 1 1 ss.
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Fonti bibliche Per quanto riguarda le Scritture, escludendo le citazioni ri portate presso altri auton: Eusebio cita 93 passi dell'Antico Te stamento, di cui utilizza 14 scrittz: e precisamente: Genesi (10 passi), Esodo (10), Deuteronomio (1), Giosuè (n 1 Re (1), Giob be (2), Salmi (3 6), Proverbi (3 ), Isaia (18), Lamentazioni (n Ezechiele (n Daniele (6), Michea (1) e Aggeo (1); il testo delle citazioni dirette, salvo lievi varianti, riproduce per lo più quello dei Settanta. Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, Eusebio utilizza 20 dei 2 7 scritti che lo compongono, dai quali cita, sia di rettamente sia indirettamente, 110 passi: Matteo o n Marco (1 ), Luca (10), Giovanni (9) , Atti degli Apostoli (2n Romani (n 1 Corinzi (n 2 Corinzi (n Galati (3 ), E/esini (n Filippesi (5), Colossesi ( n 1 Timoteo ( n 2 Timoteo ( n Tito (n Filemone (1), Ebrei (2), 1 Pietro (2), 1 Giovanni (4) e Apocalisse (8). Per quanto riguarda il canone della Scrittura, Eusebio n/e risce i canoni scrittura/i secondo Flavio Giuseppe an 10, 1 -5), Melitone (I� 26, 14), Ireneo (� 8, 2-4), Clemente Alessandrino (VI, 14), Origene (VL 25), ed Eusebio stesso an 25). Fonti storiche e letterarie Nel corso della narrazione Eusebio ricorda 66 autori, di 32 dei quali n/erisce, sia in maniera diretta sia indiretta, oltre 250 citazioni, spesso preziosissime per la conoscenza della nascita e dello sviluppo della comunità cristiana dei primi tre secolt: se si pensa che l'opera della maggior parte di questi autori è andata purtroppo perduta. Gli autori citati sono: Alessandro di Gerusalemme, Anato lia, Apollonia, Asteria Urbano, Clemente Alessandrino, Corne lio di Roma, Dionigi di Alessandria, Dionigi di Corinto, Egesip po, Filea di Thmuis, Filone, Flavio Giuseppe, Gaio, Giulio Afri cano, Giustino martire, Ignazio di Antiochia, Ippocrate, Ireneo di
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Lione, Melitone di Sardi, Origene, Papia di Hierapolis, Policarpo di Smirne, Policrate di Efeso, Por/t'rio, Quadrato, Rodone, Sera piane di Antiochia, Taziano, Teofilo di Antiochia, Tertulliano, Tucidide, anonimo del Martirio di Policarpo, anonimo antimon tanista, anonimo antiartemonita, Lettera del concilio di Antio chia, Lettera dei martiri gallitani ad E/eutero, Lettera delle chie se di Lione e di Vienne alle chiese d'Asia e di Frigia e infine Let tera dei vescovi di Palestina sulla Pasqua. Eusebio rz/erisce inoltre, pur se talora in maniera approssi mativa, i cataloghi delle opere di Giulio Africano, Apollonia, Apollinare, Bardesane, Clemente Alessandrino, Clemente roma no, Dionigi di Alessandria, Dionigi di Corinto, Filone (incom pleto), Flavio Giuseppe, Giustino, Ignazio di Antiochia, Ippolito di Roma (incompleto), Ireneo di Lione, Melitone di Sardz; Mil ziade, Origene, Papia di Hierapolis, Policarpo di Smirne, Sera piane di Antiochia, Taziano e Teofilo di Antiochia (incompleto). Ricorda altresz' genericamente la produzione complessiva di molti altri scrittorz; dimostrando talora scarsa informazione, spe cie per gli scrittori occidentali (è il caso, ad esempio, di Cipriano di Cartagine e Tertulliano). Costituzioni imperiali Circa 20 sono le costituzioni imperiali menzionate da Euse bio nella Storia ecclesiastica, 1 5 quelle di cui riproduce il testo. Tutti i documenti citati sono ritenuti autentici ad eccezione del re scritto di Antonino al concilio d'Asia, oggi considerato apocrifo. Rescritto di Traiano a Plinio (IJL 3 3 ). Si tratta dell'unica ci tazione indiretta, dato che il brano è desunto dall'Apologeti co di Tertulliano. Come è noto l'originale è conservato nell'epistolario di Plinio il Giovane ( cf X, 97). Rescritto di Adriano al proconsole d'Asia Minucio Fundano (I� 9). Citazione diretta, in traduzione greca, dell'originale lati no inizialmente riportato dalla I Apologia di Giustino, ma sue-
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cessivamente perduto in quanto un copista lo sostituì appunto con la traduzione greca di Eusebio. Rescritto di Antonino Pio al concilio d'Asia (IV, 13). Come si diceva prima, si tratta di un apocrifo composto intorno al1 80 . Rescritto di Galliena ai vescovi di Egitto (VIL 13 ). Citazio ne diretta della lettera dell'imperatore Galliena a Dionigi di Alessandria, Pinna, Demetrio e tutti gli altri vescovi egiziani sul la restituzione dei luoghi di culto in precedenza confiscati. Nello stesso passo, Eusebio ricorda un altro rescritto imperiale diretto ad altri vescov� relativo alla rz·consegna dei cimiteri cristiani. Editto dell'imperatore Galerio ( VIII, 17, 3 - 1 0). Citazione diretta, in traduzione greca, dell'editto emanato a Serdica e pub blicato a Nicomedia il3 0 aprile311 28. Lettera del prefetto del pretorio Sabino ai governatori delle province di Massimino (IX, l, 3 -6) e che fondamentalmente ri produce l'editto di Galerio. Citazione diretta in traduzione dal l'originale latino. Rescritto di Massimino agli abitanti di Tiro (IX, 7, 3 - 1 4). Citazione diretta, in una traduzione poco precùa di un originale testo latino non pervenutoci 29. Rescritto di Massimino a Sabino (IX, 9a, 1-9). Citazione di retta, in traduzione, di un testo latino non pervenuto. Editto di Massimino in favore dei Crzstiani (IX, 10, 7-11). Citazione diretta in traduzione di un testo latino non pervenuto. Cosiddetto «Editto di Milano» (X, 5, 2-1 4). Citazione di retta, in traduzione, di un testo latino conservato da Lattanzio 30. 2 8 TI testo latino dell'editto è conservato da Lattanzio (cf. La morte dei persecutori, 34); il testo di Eusebio se ne discosta nei paragrafi 8-9. 2 9 Si tratta dell'unico rescritto imperiale anticristiano riferito diretta mente da Eusebio: con ogni probabilità, il motivo è da ricercarsi nel fatto che il Nostro ha voluto mettere in evidenza come la collera divina si sia successi vamente abbattuta sull'imperatore persecutore. Le numerose varianti rip o r tate dai vari manoscritti testimoniano l'approssimazione della traduzione. 30 Cf. La morte dei persecutori, 43 , 2 ss. La traduzione eusebiana pre
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Rescritto di Costantino al proconsole d'Africa Anulino (X, 5, 15-17). Citazione diretta, in traduzione, di un testo latino non pervenuto. Lettera di Costantino al vescovo di Roma Milziade e a Mar co. Cùazione diretta, in traduzione. Lettera di Costantino al vescovo di Siracusa Cresta. Citazio ne diretta, in traduzione. Lettera di Costantino al vescovo di Cartagine Ceciliano, sul le donazioni alle chiese (X, 6). Citazione diretta, in traduzione. Rescritto di Costantino ad Anulino sulle immunità ecclesia stiche (X, 7). Citazione diretta, in traduzione. Atti di Abgar Si tratta della citazione, in traduzione, di documenti apocri fi (I, 13 , 6-1 0) risalenti con ogni probabilità alla fine del II seco lo, e precisamente: la lettera scritta dal governatore Abgar a Ge sù e la risposta di quest'ultimo al governatore. Il pensiero storico
Nel Prologo della Storia ecclesiastica, richiamandosi in ma niera esplicita all'altra sua importante opera storica, la Crona ca 3 1, Eusebio così afferma: «Nel mio libro intitolato Canoni dei tempi, ho già dato un riassunto degli argomenti che ho intenzio ne di trattare ora nella maniera più completa» 32. I;esplicito ri chiamo alla Cronaca è di rilevanza fondamentale e testimonia che Eusebio si riallaccia, e non solo idealmente, a tale lavoro stosenta delle varianti rispetto al testo latino di Lattanzio: entrambi i documen sembrano derivare da uno stesso originale. 3 1 Cf. p. 1 6 . 3 2 C f. I, l , 6 .
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riogra/ico sia sul piano dei contenuti (intende, in/attt� trattare gli stessi argomenti in maniera «più completa»), sia soprattutto sul piano concettuale, tanto dal punto di vista apologetico quanto po lemico. Abbiamo già detto in precedenza, in/atti, che nella Crona ca, mostrando l'ideale continuità esistente tra cristianesimo e giu daismo, contro le accuse mosse dai pagani, Eusebio vuole dimo strare che il cristianesimo non è una setta recente, ma affonda le sue radici nel giudaismo di cui costituisce la continuazione. Il cri stianesimo non è dunque una novità, e si n/à a quella stessa ri velazione cui i greci, in particolare filosofi come Platone, hanno desunto quegli aspetti delle loro dottrine filosofiche che sembra no accettabili. In tal modo la storia viene ad assumere dimensio ni universalz: in quanto depositaria di una visione e un -'interpre tazione unitaria, caratterizzata da una filosofia che dà una fina lità unica a tutti gli eventi del mondo, visti nel loro svolgersi provvidenziale in un processo che tende ad attuare il regno di Dio. L'attuazione di questo disegno provvidenziale spetta al Lo gos divino che si rivela attraverso gli eventi storia� i quali, poiché il Logos-Incarnato è contemporaneamente soggetto ed oggetto della Storia, appaiono collegati tra loro e concorrono all'attuazio ne del piano provvidenziale di Dio che sin dall'eternità ha preor dinato il suo disegno di salvezza nei confronti del genere umano. In quest'ottica tutta la storia anteriore all'incarnazione del Logos è considerata una sorta di preparazione alla Redenzione, una «preparazione evangelica», e la cronologia, i sincronismi tra la storia dei gred e dei barbart� diventa la naturale alleata di una tale tesi apologetica, cosa ch e avevano già /atto in precedenza, ed Eusebio ci tiene a ribadirlo, scrittori come Clemente Alessandri no, Sesto Giulio Africano e Taziano oltre a Flavio Giuseppe 33. Tuttavia, per dare maggior valore scientifico alla sua opera e in
33 Cf. Cronaca, 2 , Introd. , l .
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polemica con le concezioni millenaristiche frequenti nell'ambien te cristiano, a differenza di Sesto Giulio Africano ed Ippolito, Eu sebio abbandona i calcoli millenaristici, che obbligavano la cro nologia cristiana a tener conto non soltanto del principio ma an che della fine 34; inoltre, liberandosi dalle problematiche cronolo giche poste dalla prima parte della Genesi, nonché dal problema dell'utilizzazione della cronologia per finalità escatologiche, assu me, come si è detto in precedenza, quale punto di partenza della sua cronologia l'anno della nascita di Abramo. Tutti questi elementz; unitamente alle concezioni teologiche che egli andava elaborando nelle due opere apologetiche, Prepa razione evangelica e Dimostrazione evangelica, che proprio in quegli stessi anni vedevano la luce, costituiscono il fondamento metodologico della Storia ecclesiastica, nella quale, alla /in e del Prologo, precisa: «Come ho detto sopra, la mia trattazione avrà inizio dall'economia e dalla teologia di Cristo » 3 5 . In altre pa role, l'incarnazione del Logos, il suo /arsi uomo tra gli uominz; «l'economia» di Cristo, come egli la definisce, è posta al centro della storia, di cui costituisce nello stesso tempo il punto di arri vo e di partenza, poiché tale avvenimento non conclude né esau risce il processo storico; al contrario essa dà origine ad una nuova epoca, quella che assiste alla nascita della Chiesa e alla di/fusione del Vangelo, eventi che costituiscono il punto di partenza della Storia ecclesiastica, nella quale Eusebio intende narrare l'evolu zione della Chiesa con le sue vicende drammatiche /atte di perse cuzioni, eresie, scismz; e culminante nella vittoria finale. Consapevole di dover scrivere un nuovo tipo di storia, ben diversa dai generi storici tradizionali, Eusebio ha tenuto presenti due modelli: da un lato la storiogra/ia giudeo-ellenistica, in par. . .
3 4 Inutile ricordare che l'escatologia era parte essenziale del cristianesi
mo primitivo e l'autorità dell'Apocalisse attribuita all'apostolo Giovanni san civa la fede nelle attese millenaristiche. 35 Cf. I, l, 7 .
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ticolar modo Flavio Giuseppe, e daltaltro le storie delle scuole fi losofiche in età ellenistica. Poiché il cristianesimo gli sembrò as simzlabile al modello giudaico, dalla storiogra/ia giudeo-ellenisti ca mutuò il modello della storia di una particolare «nazione», che si presentava come diversa ed in netta contrapposizione con le na zioni pagane, e per la quale rivestiva particolare importanza tan tichità rispetto ai tempi recenti e la religione rispetto alla politi ca. Da essa Eusebio derivò altresì il tono apologetico, il ricorso al le digressioni dottrinali e tusa della rassegna dei documenti. Inoltre, poiché egli considerava la Chiesa un grande dida skaleion, una scuola di pensiero assimilabile alle scuole /iloso/t" che di età ellenistica, da autori come Teo/rasto, Menone, Aristos seno di Taranto, Eudemo di Rodt� Dicearco, Sozione, Diocle di Magnesia e Diogene Laerzio derivò tattenzione per le controver sie dottrina!; le discussioni sulle questioni di autenticità e, so prattutto, il metodo da essi seguito di indicare in ogni scienza la successione dei maestri. Riguardo a quest'ultimo aspetto, in/attt� nella Storia ecclesiastica, le liste dei vescovi delle più importanti comunità (Roma, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme) e dei maestri che hanno insegnato la parola di Dio in ogni generazione nelle varie città e regioni, corrispondono alle successioni degli scolarchi ellenistici. E tuttavia Eusebio, nello stesso tempo in cui utilizza modelli pagam� li supera dato che nella Storia l'elenco delle successioni episcopali delle principali chiese non assume un valore puramente cronologico, come nei modelli utilizzati, ma ac quista anche valenza teologica, poiché risalendo agli apostoli che le hanno fondate, le successioni episcopali da un lato garantisco no la veridicità della dottrina trasmessa e dall'altro si/andana ed integrano le successioni imperiali, cui Eusebio fa costante rz/eri mento secondo quella visione unitaria del processo storico di cui si diceva prima.
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Temi e motivi
Pur seguendo tali orme, Eusebio ha dato alla sua Storia ca ratteristiche nuove poiché nuova era la posizione del cristianesi mo rispetto alle antiche filosofie e alle istituzioni tradizionali. È per questo che nella narrazione assumono notevole rilevanza al cuni temi e motivi sui quali ci soffermeremo brevemente. I.:Impero e l'imperatore Si tratta sicuramente di uno dei grandi temi intorno a cui si sviluppò la riflessione storico-teologica di Eusebio e che, pur non essendo per così dire esplicito oggetto di trattazione della Storia ecclesiastica, tuttavia ne costituisce il sostrato, specie dell'ultima redazione e in particolare del libro X. Del rapporto Impero-Chie sa, della natura dell'Impero e delle caratteristiche dell'imperato re, Eusebio si occupa in opere come la Cronaca, la Preparazione evangelica e la Dimostrazione evangelica, scritti concomitanti alla stesura della Storia, ma la presentazione dottrinale completa dell'argomento è /atta nell'Elogio di Costantino, ave trovano compiuta sistemazione idee e spunti in parte anticipati nel libro X della Storia e nelle altre opere sopra ricordate 3 6 . Punto di partenza della Storia ecclesiastica è l'affermazione che al centro della storia dell'umanità c'è Cristo, il Logos, l'Uni genito Figlio di Dio, al quale il Padre ha delegato la creazione e il governo del mondo,· preesistente all'Incarnazione, il Logos rea lizza il disegno provvidenziale del Padre attraverso le apparizioni ai Patriarchi (L 2, 1 - 1 6). Dopo essersi rivelato con gradualità agli uomini divenuti simili alle bestie a causa del peccato, si è incar nato affinché col suo insegnamento, la sua morte e risurrezione 3 6 Sull ' intera problematica cf. R. Farina, I:Impero e l'imperatore crzstia no in Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del cristianesimo, Zi.irich 1966 e F. Winkelmann, Euseb von Kaisareia, Berlin 1 99 1 .
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potesse operare in maniera definitiva la redenzione degli uomini (I, 2, 17-27) riportando/i a quella conoscenza di Dio che essi ave vano smarrito. I.:Incarnazione determina così la fine dello stato primitivo e dell'inciviltà degli uomini, conclude la serie delle Teo fanie e segna l'inizio di un 'epoca nuova nella prospettiva della storia della salvezza. Incarnandosz: infatti, il Cristo instaura il suo Regno, un regno invisibile, spirituale, celeste, apportatore di una pace che non avrà maifine. Frutto dell'Incarnazione di Cristo è la Chiesa, «città di Dio terrena», immagine e parte «della città di Dio celeste» (X, 4, 70), fondata da Lui per mezzo degli apostoli e dei discepoli. A giudi zio di Eusebio la nascita di Cristo, da cui poi avrà origine il cri stianesimo, è un evento che si è realizzato sotto il principato di Augusto non per una pura e semplice coincidenza temporale: l'Impero romano, in/attz: gli appare predetto dalle profezie del Vecchio Testamento 37 e voluto da Dio in quanto istituzione ne cessaria alla realizzazione di quei presupposti, ad esempio l'unifi cazione dei popoli, necessari ed indispensabili per la diffusione del cristianesimo, e in grado di attuare e garantire quella pace cui il mondo anelava e di cui aveva estremo bisogno 38. Appare evidente allora come nella concezione che Eusebio ha dell'Impero e dell'imperatore teologia e politica si fondano e si intreccino per dare vita, nella concezione più matura, confluita nella sua /orma completa nell'Elogio di Costantino, alla teoria dell'Impero e dell'imperatore come immagine, imitazione rispet tivamente del regno del Padre e del Logos. Dopo il 324, col trionfo di Costantino sul rivale Licinio e la creazione dell'Impero cristiano, agli occhi di Eusebio il potere imperiale appare avere 37 Nell a Dimostrazione evangelù:a ( cf. VII, l , 50 e VIII, l , 46) Eusebio ribadisce la funzione preparatrice avuta dall'Impero nei confronti della nuo va religione e proprio all'Impero romano riferisce profezie come Is 7, 10-16, Gn 49, lO e Dn 9, 25, profezia quest'ultima ricordata anche in Storia ecclesia
stica, l, 6, 11. 38 Cf. Dimostrazione evangelica, III, 7 , 3 0-35 .
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origine divina, poiché è Dio, origine dei regni e dei popoh che . concede la dignità imperiale (X, 4 , 1 6). In questa visione l'impe ro terreno gli appare immagine (eik6n) dell'impero celeste e l'im peratore imitazione (mimesis) del Logos-Re, di cui riassume tut te le virtù. È Dio, dunque, che regge e guida gli imperatori (VIII, 1 6, 1 -2), li induce al suo volere (IX, 9a, 12), protegge e custodi sce l'Impero e l'imperatore cristiano (X, 8, 6). I:imperatore, di venuto allora strumento di Dio per la costruzione del Regno nel mondo, attua il piano divino sugli uomini (X, 2,2). «Gli elementi, come il monoteismo e la monarchia univer sale, la pace romana e quella cristiana, la provvidenzialità del l'Impero nei rispetti del Cristianesimo, le profezie che lo riguar davano, tutti questi ed altri elementi che, inizialmente esprime vano un rapporto intimo sz: ma pur sempre esterno, tra Cristia nesimo e Impero, a un certo punto esprimono un rapporto vitale essenziale tra le due potenze. Tutte e due nate nello stesso tempo, con Cristo ed Augusto, aventi già relazione tra di loro, si sono evolute una verso l'altra fino ad incontrarsi nell'Impero Romano Cristiano. Il Cristianesimo si è lentamente universalizzato ed ha assunto strutture giuridiche. I:Impero si è cristianizzato. Tutto ciò si verzfica, nel suo ultimo stadio, con Costantino, il primo Impe ratore cristiano nel quale Dio completa ciò che aveva iniziato con Cristo ed Augusto. C'è dunque continuità tra Augusto e Costan tino, tra l'Impero Romano e l'Impero Romano Cristiano. Il regno giudaico che l'Impero di Augusto aveva ereditato diviene di fatto eredità dell'Impero Romano con Costantino, quando si verifica l'incontro di questo con l'erede della Sinagoga, la Chiesa» 3 9. Costantino, dopo la vittoria voluta da Dio, unico sovrano dell'Impero, la cui unità è stata così ricostituita, vittorioso sui ti ranni e i persecutori, trionfatore del male, è presentato come rea-
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p. 158.
R. Farina, I.:lmpero e l'imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea, cit.
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lizzatore di quella pace universale nella quale si adempiono in maniera definitiva le promesse fatte da Dio ad Abramo. Nell'elaborazione di queste teorie politico-teologiche, Euse bio ha sintetizzato e fatto suoi motivi già presenti in altri scritto ri sia cristiani che pagan� ma anche giudaici. Appare, ad esempio, debitore verso Ippolito e Origene, riguardo al tema della conco mitanza provvidenziale dell'Impero e dell'Incarnazione. Da Me litone di Sardi ha mutuato l'idea di prosperità apportata dal cri stianesimo all'Impero; da Appiano, Cassio Diane e Asinio Qua drato, la concezione della centralità storica di Roma e del suo Im pero; da Plutarco la consapevolezza dello stretto legame esistente tra l'Impero romano e la pace. Le persecuzioni Tra i temi analizzati da Eusebio nella Storia ecclesiastica, un rilievo particolare assume quello delle persecuzzònz; che l'au tore, come esplicitamente ci in/orma in I, 1, 2, tratta con partico lare cura e sistematz'cità, diversz/z'candone, nel corso della narra zione, la prospettiva ed elaborando una teoria provvidenziale del le persecuzioni che si delinea chiaramente soprattutto a partire dal libro VIIL dal libro cioè che egli avrebbe scritto dopo l'editto di Galerio del 3 1 1 . È noto che le persecuzioni traevano origine dallo scontro del tutto nuovo sorto tra il potere imperiale, che era sempre più con cepito in maniera sacrale e carismatica e la professione di/ede cri stiana la quale, poiché presupponeva la realtà trascendente del re gno di Dio, era appunto per questo incline a svalutare, dal punto di vista morale e religioso, sia l'organizzazione statale sia le pre tese divine del sovrano. A giudizio di Eusebio, in quanto interruzioni della prote zione concessa dall'Impero al cristianesimo, in linea generale le persecuzioni sono volute dt:t Dio e determinate da cause sia so prannaturali sia storiche. Sul piano concreto il vero autore delle
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persecuzioni è il diavolo cui Dio permette di perseguitare la Chie sa per mettere alla prova i martir� riprendere i fedel� ·consentire loro di raggiungere al più presto il premio sperato (v, l, 4; X, 4, 14). Dal punto di vista storico, specie nei primi libri della Storia, Eusebio presenta le persecuzioni come avvenimenti eccezionali da imputare alla responsabilità di singoli imperatort� non in quanto imperator� bensì in quanto persone succubi delle proprie passioni o addirittura anormali. È il caso, ad esempio, di Nerone che, «superando ogni limite di impudenza e scelleratezza, infierì sugli apostoli come su chiunque altro» (II, 22, 8), o di Domizia no che, «diede prova di grande crudeltà» e <
È il caso di Valeriano (VI, 10, 4) o di Aureliano (VII, 30, 20).
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bio comincia a dare del fenomeno una lettura in chiave provvi denziale 4 1 ; poiché tra i Cristiani erano sorte discordie} e permis sivismo e lassismo regnavano in tutte le chiese (VIIL t 7-9. 2} 2)} lentamente ma inesorabilmente Dio mùe in moto il suo castigo. Per avvalorare una si/fatta chiave di lettura} Eusebio fa ricorso anche ad alcuni passi veterotestamentari e ricorda le Lamenta zioni di Geremia (2} 1 -2) e il Salmo 88 (40-46). Strumento di cui si serve Dio per la giusta punizione dei Cristiam: colpevoli di es sersi allontanati dalla retta via} diviene allora l'Impero} il quale a sua volta è punito con guerre} divisioni, carestie e pestilenze (VI/L 15). La giusta punizione di Dio si abbatte anche sugli im peratori persecutori: Diocleziano (VI/L 13} 1 1)} Massimiano (VI/L 13} 15) e Galerio (VI/L 1 6)/ unica eccezione Costanzo Clo ro, padre di Costantino} di cui Eusebio ricorda la felice morte na turale dato che in vita} per la sua mitezza e bontà} non si era mac chiato del sangue innocente dei martiri. Alt inizio del libro IX} dopo un breve periodo di pace se gnato dall'editto di Galerio} la persecuzione riprende nell'autun no del 3 1 1 sotto Massimino Daia (IX} 2): ancora una volta Euse bio attribuisce le cause della persecuzione alla follia e perversio ne personale di un tiranno che si scaglia contro i fedeli in Orien te (VIIL 1 4} 8-1 8)} il cui esempio sarà ben presto seguito in Oc cidente dal suo degno collega Massenzio (VI/L 14} 1 6). La punizione di Dio si abbatte anche su questi imperatori persecutori e l'Impero è nuovamente flagellato da guerre} pesti lenze e carestia (IX} 8). Infine} nel libro X nel Panegirico per la dedicazione della basilica di Tiro} dopo aver ricordato come l'azione del demonio sia sempre in agguato e pronta a colpire costantemente i Cristia4 1 Per un esame approfondito dello sviluppo della teoria sulle persecu zioni in Eusebio d. E. Keller, Eusèbe historien des persécutions, Genf/Paris 1912, pp.74-79 e J. Sirinelli, Les vues historiques d'Eusèbe de Césarée durant la période prénicéenne, Dakar 1 96 1 , pp. 4 12-453.
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ni (X, 4, 13-14), Eusebio ria!/erma il concetto secondo cui la Provvidenza, ancora una volta, ha suscitato imperatori virtuos� i quali hanno tolto di mezzo gli empi tiranni e purificato il mondo intero. Tuttavia uno di ess� Licinio, accecato dalla malvagità, in preda alla follia e alla perversione (X, 8, 13-14), mentre decide di far guerra a Costantino, contemporaneamente si scaglia in segre to e di nascosto contro la Chiesa e i suoifedeli (X, 8, 8- 1 9), non curante della punizione in precedenza toccata a quanti nel passa to avevano perseguitato i Cristiani O( 9, 5). Ancora una volta è l'intervento della Provvidenza a far cessare la persecuzione: l'in ·tervento di Costantino, che consegue grazie all'aiuto di Dio una facile vittoria sul rivale (X, 9, 1-4) insieme col figlio Crispo, de termina l'eliminazione del tiranno e la ricomposizione dell'unità dell'Impero (X, 9, 6-9). La fortuna dell'opera L'opera non è priva di difettt� quali l'incapacità dell'autore di riuscire a fondere in un tutto organico il materiale documen tario, ma anche la scarsità di notizie sull'Occidente, spesso an che approssimative e non sempre storicamente attendibilt; la non assoluta imparzialità nei giudizz� un certo spirito cortigiano e aulico. Tutto ciò non sminuisce il valore fondamentale dell'opera, la sua attendibilità, la sua autorità di fonte ineguagliabile e assai spesso insostituibile. I contemporanei si accorsero delle novità dell'opera, cosa che ne determinò la vasta e meritata diffusione. Il suo grande successo fece sì che in Oriente essa fu tradotta in si riaco, in armeno e in copto; in Occidente, all'inizio del sec. V, co me si diceva prima, fu tradotta in latino da Rufina di Aquileia, che vi apportò modifiche a piacimento, fuse in uno solo i libri IX e X e ne aggiunse altri due che narrano gli avvenimenti dal 324 /in o al 3 95, anno di morte dell'imperatore Teodosio. Essa fu inol tre imitata e continuata in tutta una serie di storie della Chiesa
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che ad essa si ispirarono sia nella struttura sia nel metodo fino al l'età di Giustiniano,- tra i numerosi continuatori ricordiamo: Fi lostorgio, Socrate, Sozomeno, Teodoreto, Teodoro Anagnoste. Edizioni e traduzioni moderne
Edizioni L' editio princeps greca della Storia ecclesiastica è quella di R. Estienne (Stephànus), Paris 1544: il volume comprende altre sì la Vita di Costantino e le storie ecclesiastiche di Socrate, Teo doreto, Teodoro, Sozomeno ed Evagrio. Migliore dal punto di vi sta critico quella a cura di H. de Valois (Valesius), Paris 1 659, che contiene il testo greco, la versione latina dello stesso Valesius e dotte annotazioni,· ebbe numerose ristampe, l'ultima delle quali si trova nel vol. XX della Patrologia Graeca del Migne (Paris 1857). All'edizione del Valesius non apportano sostanziali modifi che i successivi editori: Stroth (Halle 1 779), Zimmermann (Frankfurt 1822), Heinichen (Leipzig 1 8271,- 1 8682), Burton (Oxford 1 838), Schwegler (Tiibingen 1 852), Laemmer (Schaf /hausen 1 859- 1862), Dindorf (Leipzig 1871). I.:edizione ancor oggi fondamentale e che apporta miglioramenti al testo dell'ope ra è quella già citata dello Schwartz, Leipzig 1 903 (I),- 1 908 (II),1 909 (III), che reca a fronte la traduzione latina di Rufina, cura ta dal Mommsen. Nel 1 922 essa fu seguita da una editio minor, che comprende solo il testo greco.
Traduzioni Oltre alle già ricordate traduzioni, quella latina di Rufina di Aquileia (402), quella siriaca (420 circa) e quella latina del Vale sius (1 659), tra quelle moderne ricordiamo:
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in italiano: G. Del Ton, Eusebio di Cesarea, Storia eccle siastica dalle origini al 3 24, Firenze 1 943, 2 val!. (ristampata a Roma nel 1964); F Maspero - M. Ceva, Eusebio di Cesarea, Sto ria ecclesiastica, Milano 1 979; da ultimo L. Tescarol� Eusebio di Cesarea, Storia della Chiesa, Roma 1 999. in francese: G. Bardy, Eusèbe de Césarée, Histoire Eccle siastique, Texte grec, traduction, annotation et introduction, Pa ris 1 952 (I); 1 955 (II); 1 967 (III); 1971 (IV); in inglese: K. Lake - ].E.L. Oulton, Eusebius, Ecclesiastica! History, London 1 926- 1 932. Greek text; vol. I with English translation by Lake; vol. II with English translation by Oulton; The History of the Church from Christ to Constantine, trasl. with an intr. by C.A. Williamson, New York 1966. in tedesco: Kirchengeschichte, hrsg. und eingel. von H. Kra/t, die iibers. von Ph. Haeuser (Kempten 1 932) neu durchges. von H.A. Gaertner, Miinchen 1 98F; in spagnolo: Historia eclesiastica, Texto, version espanola, introd. y notas por A. Velasco Delgado, Madrid 1973.
AVVERTENZA DEI TRADUTTORI
li testo della Storia ecclesiastica che abbiamo seguito, è quello dell'edizione critica di E. Schwartz, in Eusebius, Die Kir ch engesch ichte, Leipzig, 1 9555, edizione ridotta che riproduce l'editio maior Eusebius Werke, II, Die Kirch engeschichte, I-III, in Die griechischen christlichen Schrz/steller der ersten drei ]ahr hunderte (GCS) 9, Leipzig 1 903 - 1 909. Quando non abbiamo seguito il testo proposto dallo Schwartz ne abbiamo dato noti zia nelle note. Abbiamo utilizzato altresì il già citato G. Bardy, Eusèbe de Césarée, Histoire Ecclesiastique, Texte grec, traduc tion, annotation et introduction, Paris 1 952 (I) ; 1 955 (II) ; 1 967 (III) ; 1 97 1 (IV) che si rifà al testo dello Schwartz e il Migne (PG 20 ) . Per quanto riguarda le citazioni della Sacra Scrittura, ab biamo utilizzato le più accreditate edizioni critiche e traduzio ni della Bibbia, soprattutto la traduzione ufficiale della CEI (SEI, Torino 1 993 ) e la Bibbia di Gerusalemme. Allo rquando le citazioni di Eusebio non coincidevano con la Volgata, abbiamo tradotto direttamente dal testo dell'autore.
Segni diacritici usati lacuna nel codice parole inserite dall'editore [ . .] parole inserite dal traduttore
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Eusebio di Cesarea STORIA ECCLESIASTICA (I-V)
LIBRO I
n primo libro della Storia ecclesiastica comprende i se guenti argomenti: l . Argomento dell'opera. 2. Riassunto sommario riguardante la preesistenza e la divinità del Salvatore e Signore nostro, il Cristo di Dio. 3 . n nome di Gesù e quello stesso di Cristo sono stati co nosciuti e onorati dai profeti aivini sin dall'origine dei tempi. 4 . Non nuova né straniera è la religione da lui predicata a tutti i popoli. 5 . I tempi della sua manifestazione agli uomini. 6. Come ai suoi tempi, conformemente alle profezie, ces sarono quei capi del popolo giudaico che prima erano designati per discendenza atavica, e per la prima volta regnò su di esso uno straniero, Erode. 7 . Intorno alla presunta discordanza nei Vangeli sulla ge nealogia di Cristo. 8. Sull a efferatezza di Erode contro i bambini e su quale terribile morte lo colse. 9. I tempi di Pilato. 10. Dei sommi sacerdoti dei Giudei, sotto i quali Cristo diffuse il suo insegnamento. 1 1 . Le testimonianze su Giovanni Battista e Cristo. 12. Dei discepoli del nostro Salvatore. 1 3 . Racconto sul re di Edessa.
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Storia ecclesiastica l . ARGOMENTO DELL'OPERA l . Le successioni dei santi apostoli e i tempi trascorsi a
partire dal nostro Salvatore fino ai nostri; quanti e quali eventi si dice che si siano succeduti nel corso della storia della Chiesa; quanti sono stati coloro che hanno guidato e presieduto le dio cesi più illustri sì da meritarne lode, e quanti, in ogni genera zione, hanno annunciato la parola divina oralmente o con i lo ro scritti; quanti sono stati e in quale periodo sono vissuti colo ro che, spingendosi alla rovina per un non so qual desiderio di nuove dottrine apportatrici di falsità, si sono proclamati inizia tori di una falsa conoscenza 1 , straziando così senza risparmio, come lupi rapaci 2, il gregge di Cristo; 2 . e inoltre i mali river satisi sull'intero popolo dei Giudei per il complotto ordito con tro il nostro Salvatore 3 ; quanto, come e in quali tempi i Genti li hanno combattuto contro la parola divina, e chi sono stati co loro che, in periodi diversi, in sua difesa, hanno affrontato una tremenda battaglia, giungendo persino a versare, per essa, il proprio sangue e ad affrontare tremendi supplizi 4 ; e infine le testimonianze del nostro tempo, la benevolenza e la benignità del nostro Salvatore verso noi tutti: ecco gli argomenti che mi l n riferimento è alle eresie, alle quali l'autore dedica ampio spazio in tutta l'opera (cf. in/ra, II, 1 3 ; III, 27-29; IV, 7, 1 1 , 29; V, 14, 16, 1 9-20, 28; VI,
3 3 , 3 8, 43 ; VII, 6-9, 27, 3 1 ) . 2
20, 29) .
Similitudine certamente di origine biblica (cf. M t 7, 15; Gv 1 0, 12; At
3 Su questo punto cf. anche infra, II, 6; 19; 20; 26; III, 5, 6 e Tertulli a no, Apologetico 26, 3. Che un terribile destino si abbatta su coloro che han no dato prova di ostilità nei confronti del Cristianesimo è una categoria di giudizio storico propria non solo di Eusebio, ma anche di altri esponenti del la storiografia ecclesiastica, da Socrate e Sozomeno ad Agostino ed Orosio. Su questo aspetto cf. l'ancor valido studio di S. Mazzarino, La fine del mon do antico, Milano 1 988 (I ed. 1 959), pp. 59-78. 4 Eusebio presenta qui i due diversi strumenti usati dai pagani per osteg�ia�e il diffondersi del Cristianesimo: le opere degli intellettuali e le per secuziOm.
Libro I,
l
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sono prefisso di trattare con quest'opera. Comincerò proprio dall'origine, cioè dall'economia 5 del nostro Salvatore e Signo re Gesù, il Cristo di Dio. 3 . Ma da questo momento l'argomento richiede l'indul genza dei benevoli lettori, poiché - lo ammetto - è fatica supe riore alle mie p ossibilità trattare in modo completo i temi che mi sono prefisso, e perché, implorando l'aiuto della guida divi na e della potenza del Signore, mi accingo, io per primo, a trat tare simili argomenti, attraversando, come viandante inesperto, una via deserta e inesplorata, in cui non è possibile trovare nep pure semplici impronte di uomini che prima di me l'abbiano intrapresa, ma soltanto piccoli indizi di guide parziali, che al cuni scrittori, chi in un modo, chi in un altro, hanno lasciato sui loro tempi; essi, come fiaccole e voci gridate dall'alto di una ve detta, mi mostrano la via per la quale bisogna che io indirizzi e orienti il mio racconto per esporlo rettamente e senza pericolo di errori 6. 4. Scegliendo pertanto, fra le notizie da loro qua e là
5 Questo termine compare già in Ignazio di Antiochia (Lettera agli E/e sini, 18, 2) e Giustino (Dialogo con Trz/one, 30, 3 ; 45, 4; 67, 6; 87 , 5; 1 03 , 3 ; 120, 1 ) . Esso designa il piano salvifico d i Dio, che inizia con l'incarnazione di Cristo e si realizza pienamente con la sua crocifissione e resurrezione. Diver samente Tertulliano, Contro Prassea, 3 , 9, che traduce il greco oiconomia con administratio, termine con cui attribuisce la divinità del Cristo al "riversarsi" in lui della natura divina presente nel Padre. 6 Prima di Eusebio l'indagine sul passato era limitata solo a interessi di carattere cronologico uniti a dichiarati intenti apologetici. È questo il caso di Egesippo, autore degli Upomnémata, in cinque libri, in cui egli «espone con esattezza, in uno stile molto lineare, il messaggio apostolico» (infra IV, 8, 2 ) . Essa, che pur doveva essere uno scritto importante - Eusebio infatti lo utiliz za spesso nella sua opera (cf. in/ra, II, 23 , 3, 19; III , 1 1 ; 16; 19; 20, 7; 32, 2 ; IV, 8, l ; 1 1 , 7 ; 2 1 ; 22 , l ) - era solo una raccolta d i " appunti" e non un'orga nica trattazione storica. Dai frammenti rimasti si evince poi che essa aveva il dichiarato intento apologetico di «opporre alle presunte tradizioni segrete degli gnostici la tradizione apostolica conservata nelle principali comunità re ligiose dell'impero grazie alla successione dei legittimi pastori» (M. Simonet ti, La letteratura cristiana antica greca e latina, Milano 1 988 [l ed. 1 956] , p.
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riferite, quelle che ritengo utili allo · scopo prefissatomi, e co gliendo come da prati di parole i passi utili di quegli antichi scrittori, tenterò di fare prendere loro corpo nella mia tratta zione storica, ben lieto di sottrarre dall'oblio le successioni, se non di tutti, almeno dei più insignì fra gli apostoli del nostro Salvatore nelle chiese ancora oggi illu stri e famose. 5. Credo che sia assolutamente necessario affrontare questa fatica, poi ché, che io sappia, nessuno degli scrittori ecclesiastici fino ad oggi si è preso pensiero di scrivere un'opera del genere; e spe ro che apparirà utilissima a quanti, con desiderio, ricercano l'u tile nella storia. 6. Del resto, nel libro, che ho intitolato Canoni dei tempi 7, ho già esposto sinteticamente gli avvenimenti og getto della presente opera, che però intendo esporre ora in mo do più completo. 7 . La mia trattazione, come ho già detto, co-
86) . Intenti apologetici avevano anche le opere di lppolito di Roma e Giulio Africano. Il primo compose, con lo scopo di dimostrare l'infondatezza della dottrina millenarista, una Cronaca universale, in cui espone la storia del mon do dalla creazione fino al 234 d.C. Essa ci è giunta frammentaria nel testo gre co, per intero invece in tre rielaborazioni latine (I..:Excerpta Barbari e i Liber generationis I e Il) e in una cronaca armena del 686/687. Giulio Africano scrisse infine cinque libri di Cronografie, un'esposizione sincronica della sto ria pagana e cristiana mirante alla dimostrazione dell a superiorità e dell'anti chità della storia biblica su quella pagana. 7 Scritto meglio conosciuto col titolo di Cronaca. Si tratta di un'opera cronografica composta da Eusebio intorno al 3 03 . Essa è giunta frammenta ria nel testo greco, per intero in una traduzione armena del VI secolo d.C. È divisa in due parti: la prima contiene la storia sommaria dei Caldei, Assiri, Ebrei, Egiziani, Greci e Romani, la seconda tavole sincroniche sugli avveni menti storici che vanno dalla nascita di Abramo, posta nel 2016/15 a.C . , fino al 303 . Quest'ultima fu tradotta in latino da Girolamo, che la continuò fino al 378 e vi aggiunse lemmi riguardanti la storia e la letteratura latina. I:inten to di Eusebio era quello di dimostrare l'anteriorità della tradizione cristiana su quella pagana. Tale dimostrazione presuppone due punti cronologici fissi (ma fantasiosi) : a) Mosè sarebbe contemporaneo di Inaco, re di Argo vissuto cinquanta anni prima della guerra di Troia, ma anteriore a Cecrope, antichis simo re dell'Attica, vissuto quarantacinque anni prima di quella stessa guer ra; b) la prima Olimpiade (776 a.C.) coinciderebbe con l'epoca di Isaia.
Libro I, 1-2
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mincerà dall'economia e teologia B di Cristo, concetti troppo elevati e grandi perché la mente umana possa pienamente comprenderli: 8 . è necessario infatti che colui che ha intenzio ne di affidare alla scrittura l'esposizione della storia della Chie sa abbia come punto di partenza l'economia di Cristo, che è più divina di quanto non sembri a molti, perché è da lui che abbia mo ricevuto l'onore di chiamarci cristiani.
2. RIASSUNTO SOMMARIO RIGUARDANTE LA PREESISTENZA E LA DIVINITÀ DEL SALVATORE E SIGNORE NOSTRO, IL CRISTO DI DIO l . La natura del Verbo è duplice: una è paragonabile alla testa del corpo, per la quale è ritenuto Dio, l'altra ai piedi, per la quale è divenuto uomo come noi, assumendo la nostra natu ra passibile per condurci alla salvezza. La mia esposizione degli avvenimenti che seguiranno potrà essere completa solo se ne racconterò lo svolgimento a partire dalle cose più importanti ed essenziali; così facendo dimostrerò anche l'antichità e l'essenza divina del Cristianesimo a coloro che lo ritengono una religio ne nuova e straniera, apparsa solo di recente. 2 . Non c'è nessun discorso che sia di per sé in grado di esporre la nascita, il valore, l'essenza e la natura di Cristo, co me anche lo Spirito Santo dice nelle profezie: Chi mai narrerà la sua nascita? •. Nessuno infatti conosce il Padre se non il Fi glio, e nessuno il Figlio adeguatamente se non il Padre che lo ha generato b . 3 . E chi potrebbe rettamente conoscere, se non
• Is 53 , 8.
b
Cf. Mt 1 1 , 27.
8 Per il concetto di economia cf. supra, n. 5. Con il termine teologia si intende affermare la pura divinità di Cristo (cf. Origene, Contro Celso, 6, 18; 7, 41; Commento a Giovanni, Il, 34, 205).
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il Padre, la luce che esisteva prima della creazione del mondo, la Sapienza intellettiva e sostanziale preesistente ai secoli, e il Dio Verbo, che vive ed è in principio presso il Padre? Questi è la prima ed unica progenie di Dio anteriore alla creazione del le cose visibili ed invisibili c, il capo supremo dell'esercito spiri tuale ed immortale che è in cielo d , l'angelo del grande disegno, il ministro dell'ineffabile volontà del Padre, il creatore dell'uni verso insieme con il Padre, la seconda causa di tutte le cose do po il Padre, il figlio vero ed unigenito di Dio, Signore di tutte le creature, Dio e re, che ha ricevuto dal Padre la signoria ed il potere per la sua stessa divinità, potenza ed onore, come su di lui le Scritture mistiche e divine affermano: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio,- ogni cosa fu per mezzo di lui,· senza di lui niente fu e . 4 . Anche il grande Mo sè, il più antico fra tutti i profeti 9, quando, per ispirazione del lo Spirito divino, descrive l'essenza e l'ordinamento del cosmo, insegna che l'ordinatore e creatore dell'universo non ha affida to ad altri se non al Cristo, il suo Verbo divino e suo primoge nito, la creazione degli esseri inferiori. E, conversando con lui sull a creazione dell'uomo, dice: Disse in/atti Dio: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza» f. 5. Un altro profeta conferma questa verità, dicendo nei Salmi: Egli parlò e furono generati,· Egli ordinò, e furono creati g_ Egli presenta il Padre e creatore come un capo supremo che or dina con cenno regale, e il Verbo divino, secondo dopo di lui, come ministro degli ordini del Padre, non diversamente da quanto noi sosteniamo. 6. Tutti coloro che si dice si siano distinti sin dalla crea zione del primo uomo per giustizia e valore di divinità, Mosè c Cf. Gv l , 9-10. g Sal 33, 9; cf. Sal 148, 5 .
d
Cf. Gs 5, 14.
e
Gv l , 1 - 3 .
f G n l, 26.
9 Il termine non è qui usato in senso specifico, ma designa ogni scritto re dell'Antico Testamento in quanto profeta della venuta di Cristo.
Libro I, 2
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cioè, il grande servo di Dio, e i suoi seguaci, e davanti a loro per primi Abramo e i suoi figli e quanti giusti e profeti sono appar si dopo di loro, hanno conosciuto il Verbo con l'immaginazio ne dei puri occhi della mente e lo hanno, per questo, venerato in modo conveniente al figlio di Dio. 7 . Egli si assise fra tutti co storo quale maestro della c onoscenza del Padre per la venera zione che aveva verso di lui. La Sacra Scrittura dice che il Si gnore Dio apparve come un comune mortale ad Abramo, se duto presso la quercia di Mambre h ; costui, sebbene vedesse con gli occhi davanti a sé un uomo, si inginocchiò subito, ado randolo come Dio e supplicandolo come Signore, e gli confes sò di non ignorare chi egli fosse, rivolgendogli queste testuali parole: Signore, che giudichi tutta la terra) non amministrerai la giustizia ora? i. 8. Se infatti non è possibile affermare che l'in generata ed immutabile sostanza di Dio onnipotente ha assun to la forma umana ingannando gli occhi di coloro che lo hanno visto in tal sembianza con la parvenza di un essere mortale, e che la Scrittura non espone simili cose secondo verità, chi altri potrebbe essere chiamato Dio e Signore che giudica tutta la ter ra, che fa il giudizio, che è apparso in forma umana se non il Verbo, la sola creatura di Dio preesistente al mondo? Ma ciò non sarebbe possibile se non fosse lecito definirlo la causa pri ma del mondo. Su di lui anche nei Salmi si dice: Ha inviato il suo Verbo) li ha sanati e li ha salvatì dai loro peccati i . 9. E poi Mosè lo chiama con molta chiarezza secondo Signore dopo il Padre dicendo: Il Signore ha /atto piovere dal Signore zolfo e fuo co su Sodoma e Gomorra k . Ed egli viene definito Dio dalla Sa cra Scrittura quando, apparso in fattezze umane anche a Gia cobbe, si rivolge a lui dicendo: Non ti chiamerai più Giacobbe) ma Israele sarà il tuo nome) perché hai combattuto con Dio I; e al-
I
h Cf. Gn 18. Gn 32, 29.
i Gn 18, 25 .
i Sal 1 07 , 20.
k Gn 1 9, 24.
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lora Giacobbe diede a quel luogo il nome di "Apparizione di Dio " dicendo: Ho visto Dio faccia a faccia, e la mia anima è sta
ta salvata
m.
10. Non è lecito pensare che le teofanie su esposte siano di
angeli inferiori o di ministri di Dio: infatti, quando qualcuno di questi si manifesta agli uomini, la Scrittura, narrando il fatto, non lo definisce né Dio né Signore, ma Angelo, come è facile provare da innumerevoli testimonianze. 1 1 . Anche Giosuè, il successore di Mosè, pur non avendolo visto se non in figura e aspetto umani, lo chiama capo supremo dell'esercito del Signo re, nel senso che egli guida gli angeli celesti, gli arcangeli e le potenze che sono al di là del mondo, e nel senso che è potenza e saggezza del Padre, ed ha ricevuto in affidamento il secondo posto nel regno e nel comando del mondo. 12. Egli pertanto ha scritto: E avvenne che Giosuè, quando si trovava a Gerico, alza
to lo sguardo, vide un uomo ritto davanti a sé con una spada sguainata in mano; Giosuè, avvicinatost� gli chiese: «Sei dei no stri o un nemico?»; ed egli rispose: «lo sono il capo supremo del l' esercito del Signore». E Giosuè, prostratosi con la faccia per ter ra, abbassato lo sguardo, gli disse: «Signore, che cosa comandi al tuo servo ?»; e il capo supremo del Signore gli rispose: «Sciogli i calzari dai tuoi pied� perché il luogo in cui ti trovi è sacro» n. 13 . Avrai appreso da queste parole che egli non è diverso · da colui che ha parlato anche a Mosè: a lui infatti la Scrittura fa riferi mento usando le stesse parole: Quando vide che egli si avvicina
va per vederlo, il Signore lo chiamò dal cespuglio dicendo: «Mo sè, Mosè»; ed egli rispose: «Che c'è? »; ed il Signore: «Non avvi cinarti oltre; sciogli prima il calzare dai tuoi piedt� poiché il luogo in cui ti trovi è terra sacra». Poi continua dicendo: «lo sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di !sacco, il Dio di Gia cobbe» 0 •
m
Gn 32, 3 1 .
n
Gs 5 , 13-15.
0
Es 3 , 4-6.
Libro L 2
53
14. Che esista una sostanza anteriore al mondo e sussi stente, che ubbidisce ai comandi del Padre e Dio dell'universo per creare tutte le cose viventi, chiamata Verbo di Dio e Sa pienza 10, è possibile apprenderlo, oltre che dalle prove già ap portate, anche dalla Sapienza in persona, che con chiarezza ri vela di sé queste cose per bocca di Salomone: Io, la Sapienza, ho portato nella mia tenda il consiglioj il mio nome è conoscenza e
intelligenzaj grazie a me i re regnano e i giudici amministrano la giustiziaj per opera mia i grandi menano vanto e i tiranni gover nano sulla terra P. 1 5 . A queste parole aggiunge: Il Signore mi ha creato principio delle sue vie per le sue operej prima del tempo mi ha generato; in principio, prima di creare la terra, prima difar sca turire le fonti delle acque, prima di far sorgere le montagne, pri ma di tutte le colline mi ha generatoj quando preparava il cielo io ero con lui, e quando poneva fonti stabili sotto il cielo, io ero lì con lui. Ero là dove egli gioiva ogni giorno, e mi rallegravo da vanti a lui in ogni momento, quando era felice di avere creato il mondo q_ 1 6 . Si è così detto brevemente che il Verbo divino è
preesistente al mondo ed è apparso ad alcuni, anche se non a tutti. 1 7 . Perché il suo insegnamento non è stato annunciato, come ai nostri tempi, anche in quelli antichi a tutti gli uomini e a tutti i popoli, lo si potrebbe spiegare così 1 1 . La vita degli uo mini antichi non era affatto nelle condizioni di accogliere l'in segnamento saggissimo e virtuoso di Cristo. 1 8. In principio in fatti, subito dopo aver vissuto la prima vita fra i beati, il primo
P
Prv 8, 12, 15, 16.
q
Prv 8, 22-25 , 27, 28, 30.
l O I.: identificazione tra Cristo e la Sapienza è attestata già in l Cor l , 24 e ripresa da Giustino, Dialogo con Trifone, 6 1 , l . I l Eusebio riprende qui un'antica questione, sollevata già sul finire del II secolo da Celso nel Discorso sulla verità. La soluzione qui da lui data è in parte presente già in Origene, Contro Celso, 5 , 15.
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Storia ecclesiastica
uomo, per non aver rispettato il volere divino, è precipitato in questa vita mortale ed effimera, ottenendo così questa terra ma ledetta in cambio della felicità divina di un tempo. Coloro che, dopo di lui, hanno popolato la terra fino ai nostri giorni, tran ne uno o due, si sono mostrati peggiori, conducendo una vita da bestie, indegna di essere vissuta. 19. Non pensavano infatti né ad organizzarsi in città, né a darsi una costituzione, né alle arti, né alle scienze; non conoscevano neppure di nome le leg gi, la giustizia, la virtù e la filosofia, ma vivevano da nomadi e abitavano in luoghi solitari come animali selvaggi e fiere crude li, distruggendo così, per eccesso di volontaria malvagità, le fa coltà razionali ricevute dalla natura, l'intelligenza e i dolci semi dell'anima umana. Si abbandonavano a ogni azione empia: si uccidevano e si rovinavano l'un l'altro, si nutrivano di carne umana, osavano muovere guerra a Dio e apprezzavano le gi gantomachie tanto in auge presso tutti i popoli (pensavano in fatti di opporre la terra al cielo) ; e infine, per una follia del pen siero sconvolto, si preparavano persino a combattere contro il re dell'universo. 20. Contro costoro che conducevano un tal ge nere di vita, come su un bosco selvaggio esteso su tutta la ter ra, Dio, dispensatore di tutte le cose, scatenò cataclismi, incen di, frequenti carestie, pestilenze e guerre, e scagliò fulmini dal l' alto del cielo, debellando e mettendo fine con dure punizioni a quella terribile e irrefrenabile malattia delle anime. 2 1 . E fu allora che, quando il torpore, effetto della malvagità, si era or mai riversato in abbondanza su quasi tutti gli uomini, portan do, come una terribile ubriachezza, scompiglio e tenebra nelle loro anime, la Sapienza, prima progenie e prima creatura di Dio, e lo stesso Verbo preesistente, per eccesso di amore verso gli uomini, si manifestarono agli esseri inferiori, ora con appa rizioni di angeli, ora apparendo essi stessi in forma umana - non era infatti loro possibile in altro modo - come potenza salvifica di Dio, solo a uno o a due degli uomini di un tempo cari a Dio. 22 . E vedendo che quella moltitudine di uomini, nei quali ger-
Libro L 2
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mogliarono, per loro tramite, i semi della fede, e quell'intero popolo della terra, ricolmo di fede in Dio, discendente dagli an tichi Ebrei, erano ancora attaccati all'antico modo di vita, per mezzo del profeta Mosè diede loro immagini e simboli di un sa bato mistico, e introdusse la pratica della circoncisione e altri precetti spirituali, ma non rivelò apertamente i misteri. 23 . E, divulgato presso gli Ebrei l'insegnamento divino e diffuso poi fra tutti gli uomini come aroma profumato, ormai, in conse guenza di ciò, alti pensieri si diffondevano in molti popoli e in ogni angolo della terra per merito dei legislatori e dei filosofi, che con la loro opera mutarono in benevolenza la selvaggia e ir razionale ferinità di un tempo, sì da instaurare una pace profonda e un'amicizia reciproca. Solo allora a tutti gli uomini e a tutti i popoli della terra, che ormai godevano di questi be nefici ed erano divenuti amici per avere accolto la conoscenza del Padre, egli stesso, il maestro delle virtù, il ministro del Pa dre in tutte le opere buone, il Verbo divino e celeste di Dio si manifestò in un corpo umano, in nulla differente, riguardo al l' essenza, dalla nostra natura. Ciò è avvenuto al principio del l'impero romano, e accadde perché egli facesse e patisse quan to era stato predetto dalle profezie, secondo le quali il facitore di opere miracolose sarebbe venuto fra gli uomini, avrebbe par tecipato insieme della natura umana e divina, si sarebbe mo strato a tutti i popoli quale maestro della saggezza del Padre, avrebbe avuto una nascita miracolosa, avrebbe professato una nuova dottrina e compiuto azioni miracolose, sarebbe morto nel modo che conosciamo, sarebbe risuscitato dai morti e, infi ne, sarebbe ritornato in cielo. 24 . Il profeta Daniele, che vide il suo regno per ispirazione dello Spirito divino, così ha profetiz zato, descrivendo la visione di Dio in termini umani: Osserva vo, dice, finché furono posti i troni e si sedette l'antt"co dei gior ni. La sua veste era bianca come la· neve, i capelli del capo come
bianca lana; il suo trono era una fiamma di fuoco, le ruote fuoco ardente; un fiume di fuoco scorreva davanti a lu�· mille migliaia
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lo servivano e miriadi di miriadi erano al suo cospetto. Il tribu nale si sedette e alcuni libri /urano aperti r. 25 . Poi aggiun ge: Guardavo, ed ecco sulle nuvole del cielo venire un essere simile al figlio dell'uomo, che giunse fino all'Antico e fu portato al suo cospetto; a lui /u affidato il comando, l'onore e il regno, e tutti i popoli, tribù e lingue lo serviranno. Il suo potere è eterno, e non avrà mai fine, e il suo regno non andrà mai in rovina s . 26. Que ste parole non possono chiaramente essere riferite a nessun al tro se non al nostro Salvatore, il Dio Verbo che era in principio presso Dio, chiamato figlio dell'uomo in virtù della sua incar nazione. 27 . Ma poiché nei miei commentari ho già raccolto le profezie riguardanti il nostro Salvatore Gesù Cristo 1 2, ed ho ancora più dichiaratamente trattato in altri le teorie qui esposte su di lui, mi riterrò soddisfatto di quanto detto finora.
3 . IL NOME DI GESÙ E QUELLO STESSO DI CRISTO SONO STATI CONOSCIUTI E ONORATI DAI PROFETI DIVINI SIN DALL'ORIGINE DEI TEMPI l. Ormai è giunto il momento di dimostrare che lo stesso nome di Gesù e quello di Cristo erano stati già onorati dai pro feti antichi cari a Dio. 2 . Lo stesso Mosè, che ha conosciuto per primo il nome illustre e massimamente venerabile di Cristo, ha r
Dn 7, 9-10.
s
Dn 7 , 13-14.
1 2 Il riferimento è alle Egloghe pro/etiche, che costituivano i libri VI-IX della perduta Introduzione generale elementare, composta intorno al 3 1 0 a fi ni apologetici e rivolta soprattutto a coloro che volevano conoscere i conte nuti fondamentali della fede. In essa l'autore esamina i passi dell'Antico Te stamento profetizzanti la venuta di Cristo, soffermandosi in modo particola re sul significato delle teofanie. I libri presi in esame sono quelli del Genesi (specialmente l ' episodio dell'apparizione dei tre angeli ad Abramo: Gn 18), dell'Esodo, Numeri, Deuteronomio, Giosuè, l Re, Esdra, Salmi, Proverbi, Ec clesiaste, Cantico, Giobbe, Daniele e Isaia.
Libro I, 2-3
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dato figure, simboli e immagini misteriose delle realtà celesti, seguendo la voce che gli gridava: Guarda, farai ogni cosa secon do il modello mostrato a te sul monte t_ E per magnificare il sommo sacerdote di Dio, come era possibile ad un uomo, gli diede il nome di Cristo 13 ; a questa dignità del sommo sacerdo zio, che egli considerava di gran lunga superiore ad ogni onore umano, aggiunse, in segno di onore e gloria, il nome di Cristo, che riteneva pertanto un appellativo divino. 3 . Mosè previde, per ispirazione dello Spirito Santo, il nome di Gesù, ignoto agli uomini prima che egli ne venisse a conoscenza, e lo rese degno di una distinzione privilegiata, attribuehdolo soltanto a colui che, secondo il modello e il simbolo, sapeva che avrebbe eredi tato il comando supremo dopo la sua morte 14. 4. Dunque egli diede come dono onorifico al suo successore (che prima era chiamato col nome di Ause, datogli dai suoi genitori) il nome di Gesù, molto più prezioso di ogni corona regale, poiché anche questo Gesù, figlio di Naue, portava in sé l'immagine del nostro Salvatore, di colui che ha ereditato e compiuto il culto simboli co iniziato da Mosè, principio della vera e purissima religione. 5. Così Mosè designò col nome del nostro Salvatore Gesù Cri sto, in segno di grandissimo onore, i due uomini che si distin guevano, a suo avviso, per fama di virtù presso tutto il popolo, il sommo sacerdote cioè e colui che, alla sua morte, avrebbe ere ditato il potere. 6. I profeti posteriori a Mosè preannunciarono con chiarezza il nome di Cristo, predicendo la futura congiura dei Giudei contro di lui e il grande numero di popoli che egli avrebbe chiamato a sé. Dice Geremia: Il soffio delle nostre nari cz� Cristo Signore, è stato preso nella rete dei nostri peccati. Di lui t
Es 25 , 40.
1 3 Christ6s, «unto», traduce il termine ebraico masiah, con cui gli Ebrei designavano colui che diviene ministro di Dio tramite l'unzione con olio sa cro (cf. Lattanzio, Istitutioni divine, IV, 7, 6). 14 Vale a dire Giosuè.
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abbiamo detto: «Nella sua ombra vivremo fra i popoli» u; e Davi de, perplesso sul senso delle seguenti parole: Perché i popoli eb bero paura e le genti meditarono cose vane? Erano presenti i re della terra e i potenti si riunirono nello stesso luogo per complot tare contro il Signore e lo stesso Cristo v, aggiunge sulla stessa per sona del Cristo: Il Signore mi ha detto: «Tu sei mio figlio, oggi io ti ho generato. Chiedimi qualunque cosa: ti darò popoli in eredità e la tua proprietà si estenderà fino ai confini della terra» w. 7. Non solo coloro che erano insigniti del sommo sacer dozio tramite l'unzione simbolica con l'olio consacrato erano designati presso gli Ebrei col nome di Cristo in segno di onore, ma anche i re che erano unti dai profeti con lo Spirito divino e divenivano immagini di Cristo, in quanto portavano nella loro stessa persona i segni dell'essenza regale e dominatrice del solo e vero Cristo, il Verbo divino che regna su tutte le cose. 8. Sap piamo già che alcuni di quegli stessi profeti, in virtù dell'unzio ne, sono divenuti simbolicamente Cristi, così da essere tutti in comunione con il vero Cristo, il Verbo divino e celeste, che è il solo sommo sacerdote per eccellenza, il solo re dell'universo e il solo sommo profeta tra i profeti del Padre. 9. Prova ne è il fat to che nessuno di coloro che in antico erano stati unti simboli camente, siano essi sacerdoti, re o profeti, ha acquistato tanta potenza di virtù divina quanta il Salvatore e Signore nostro Ge sù, il solo e vero Cristo. 10. Nessuno di quelli, sebbene illustri presso i contemporanei per dignità e onore a motivo della lun ghissima serie d'antenati, designò mai i loro sudditi col nome di cristiani, che si chiamano così per avere ricevuto il nome dal Cristo. Nessuno di loro poi ha ricevuto un onore divino dai suoi sudditi, e neanche dopo la loro morte vigeva una disposi zione d'animo tale da far essere pronti a dare la propria vita per colui che si onorava; per nessuno di loro awenne un così gran-
u
Lm 4, 20.
v
Sal 2, 1 -2 .
w
S al 2, 7 -8.
Libro I,
3
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de movimento di tutti i popoli della terra, poiché in questi la potenza del simbolo non era capace di operare tanto quanto l'affermazione della verità rivelata dal nostro Salvatore. 1 1 . Egli, per il fatto di non avere ereditato da nessuno i simboli e i modelli del sommo sacerdozio, di non essere nato da famiglia sacerdotale, di non avere conquistato il potere con l'aiuto di uo mini armati, di non essere profeta uguale a quelli che lo prece dettero, non ha ricevuto dignità o privilegi di sorta dai Giudei, come tutti gli altri, ma fu onorato dal Padre con la forza della verità, e non simbolicamente. 1 2 . Egli, non avendo ricevuto in sorte nulla di simile, è stato proclamato Cristo più di tutti colo ro; ed essendo l'unico e vero Cristo di Dio, ha popolato tutto il mondo di cristiani, diffondendo, con essi, il suo nome in sé sa cro e venerabile, rivelando ai suoi seguaci non più segni o im magini, ma apertamente virtù e vita celeste con dogmi di verità. 13 . Egli ricevette non l'unzione del corpo, ma, tramite lo Spiri to Santo, quella che si addice a colui che possiede l'ingenerata e paterna divinità del Padre. Ciò insegna Isaia, che proclama su Cristo: Lo Spirito del Signore è su di me; con esso mi ha unto; il Signore mi ha mandato ad annunciare la buona novella agli umi li, la libertà agli oppressz; la vista ai ciechi x. 14. Non solo Isaia, ma anche Davide fa riferimento alla sua persona dicendo: Il tuo regno, o Dio, è per i secoli dei secoli,· scettro di giustizia è lo scet tro del tuo regno. Ami la giustizia e odi l'ingiustizia; per questo Dio, il tuo Dio, ti ha unto con l'olio della gioia, diversamente dai tuoi compagni Y. 15 . Nel primo versetto lo chiama Dio, nel se condo lo onora con scettro regale, nel terzo, dopo averlo defi nito potenza divina e regale, lo presenta come divenuto Cristo, perché unto non con olio derivato da sostanza materiale, ma con quello divino della gioia. Ciò conferma poi anche la sua su periorità, di gran lunga maggiore e differente per natura da
x Is
61, l.
Y Sal 45, 7-8.
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quella degli antichi, unti simbolicamente, cioè solo nel corpo. 16. E altrove parla così di lui dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: «Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici co me sgabello dei tuoi piedi» z e Ti ho generato dal seno prima del la stella del mattino. Il Signore ha giurato, e presterà fede alla sua promessa; tu sei sacerdote per sempre, secondo l'ordine di Mel cht'sedek ••. 1 7 . Questo Melchisedek viene citato nella Sacra Scrittura come sacerdote di Dio Altissimo ab 15 , Egli è divenuto tale non per aver ricevuto un'unzione materiale, e neppure per avere ricoperto il sacerdozio presso gli Ebrei per successione ereditaria; pertanto, in conseguenza dell'ordine divino e non per disposizione di altri, che hanno ricevuto segni e simboli, il nostro Salvatore viene chiamato, in virtù di un giuramento, Cri sto e sacerdote. 1 8 . La storia quindi attesta che egli non fu un to nel corpo dai Giudei, e non era neppure discendente da fa miglia sacerdotale, ma che, generato da Dio stesso prima della stella del mattino, cioè prima della creazione del mondo, è sta to fin dal principio sacerdote immortale ed eterno. 1 9 . Prova ir refutabile ed evidente dell'unzione non fisica, ma divina è che solo lui, da tutti gli uomini del suo tempo fino a quelli del no stro, in tutto il mondo, è detto il Cristo, ed è riconosciuto, te stimoniato e ricordato universalmente con questo appellativo dai Greci e dai barbari, ed onorato ancora oggi come re dai suoi seguaci nel mondo, che lo venerano più di un profeta e lo re putano vero e solo sommo sacerdote di Dio e, cosa ancor più importante, lo adorano come Dio, poiché è Verbo di Dio pree sistente e generato prima di tutti i secoli, ed ha ricevuto dal Pa dre l'onore divino. 20. Ma - cosa più sorprendente di tutte z
Sal l lO, l .
• • Sal l lO, 3 -4.
ab
Gn 14, 18.
1 5 La figura di Melchisedek compare anche in Eh 7 , 1 ss, in cui viene ri tenuto simbolo del Cristo sacerdote, e il sacerdozio di Cristo, eterno e di di retta derivazione divina, viene contrapposto a quello giudaico, di natura uma na e temporale.
Libro I,
3-4
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noi, che siamo a lui consacrati, l o veneriamo non solo con de boli parole, ma anche con una tale disposizione dell'anima da anteporre la testimonianza a lui alla nostra stessa vita. Ho ritenuto necessario premettere queste cose alla mia narrazione perché nessuno, in base al tempo della sua incarna zione, pensi che il Salvatore e Signore nostro Gesù Cristo si sia manifestato da poco. 4. NON NUOVA, NÉ STRANIERA È LA RELIGIONE DA LUI PREDICATA A TUTTI I POPOLI l . Affinché nessuno pensi poi che l'insegnamento di Cri sto sia nuovo e straniero, nel senso che è stato professato da un uomo nuovo e per di più in nulla differente da tutti gli altri 1 6, orsù, trattiamo brevemente anche di questo punto. 2. Quando la presenza del nostro Salvatore Gesù Cristo risplendeva come luce su tutti gli uomini, solo allora apparve, negli ineffabili gior ni prestabiliti dai tempi, un popolo nuovo, compatto, non pic colo, né debole, né confinato in un angolo della terra, ma il più numeroso di tutte le genti e il più divino, inestinguibile e in vincibile perché sorretto sempre dall'aiuto di Dio: quello ono rato su tutti per la forza del nome di Cristo. 3 . Persino uno dei profeti, prevedendo con l'occhio dello Spirito divino ciò che sarebbe avvenuto, fu preso da tale meraviglia da esclamare: Chi ha ascoltato simili cose e ha parlato cost'? La terra ha partorito in un solo giorno, ed un popolo intero è stato generato in una sola volta a c. Lo stesso prevede il nome futuro dicendo: Darò a colo ro che mi servono un nome nuovo, che sarà lodato sulla terra ad . a c Is 66, 8.
ad Is 65 , 15-16.
1 6 Q uesto concetto si trova già in scrittori anteriori ad Eusebio (cf, ad es., Erma, Pastore, Visiones, 3, 13 , 4; Pseudo Barnaba, 5 , 7 ; Clemente d'Ales sandria, Pedagogo, I, 20; 58).
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4 . Ma anche se, chiaramente, siamo un popolo nuovo e il nome di cristiani è divenuto noto solo di recente a tutte le gen ti, tuttavia cercherò di dimostrare come non da poco il nostro modo di vivere è stato basato sui dogmi della religione che, in vece, per così dire, sono stati messi in pratica, per inclinazione naturale, dagli uomini del passato cari a Dio sin dalla creazione del primo uomo. 5. Gli Ebrei non sono un popolo nuovo, ma fra tutti gli uomini anzi sono onorati e noti per la loro antichità. Presso costoro infatti esistono racconti e scritti riguardanti uo mini antichi, rari e pochi di numero, ma tuttavia eminenti per saggezza, giustizia e ogni altra virtù, alcuni vissuti prima del di luvio, altri dopo. Fra i figli e discendenti di Noè c'era anche Abramo, che i figli vantano capo e progenitore degli stessi Ebrei. 6. Se risaliamo da Abramo fino al primo uomo, non sare mo lontani dalla verità chiamando cristiani di fatto, anche se non di nome, tutti coloro che sono stati oggetto di tradizione e testimonianza per la loro giustizia. 7 . n nome " cristiano" vuole indicare infatti quell'uomo che, forte della conoscenza e dell'in segnamento di Cristo, si distingue per saggezza, giustizia, for tezza di vita, valore di virtù e confessione di fede in un unico e solo Dio, Signore dell'universo, tutte cose, queste, tenute da lo ro in considerazione non meno che da noi. 8. Non si curavano della circoncisione del corpo, né dell'osservanza del sabato, co me neppure noi, e neanche di attenersi alla proibizione di de terminati cibi o di dare particolare importanza a quei precetti che, primo fra tutti, Mosè, quando era loro capo, ordinò ai suoi discendenti di osservare in forma simbolica 17 ; l'osservazione di questi precetti non sta a cuore neppure ora a noi cristiani. Essi, 17 Come già nella Preparazione evangelica, Eusebio distingue anche qui tra Ebrei e Giudei. I primi sono da identificare con gli Israeliti vissuti tra Abramo e Mosè, e sono i veri depositari dei misteri della fede rivelata da Dio ad Abramo; essi, corrotti poi dalla Legge, sono divenuti Giudei, perdendo così l'antico stato privilegiato, che solo i cristiani sono riusciti a riconquistare completamente.
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4
evidentemente, conobbero il Cristo di Dio, dato che, come si è detto, egli apparve ad Abramo, parlò ad !sacco e ad Israele, e conversò con Mosè e i profeti dopo di lui. 9. Troverai quindi che questi uomini cari a Dio sono stati onorati persino col nome di Cristo, come afferma di loro la Sacra Scrittura dicendo: Non toc cate i miei Cristi e non maltrattate i miei profeti ae . 10. Di conse guenza risulta chiaro che la religione di quegli uomini cari a Dio, che vivevano intorno ad Abramo, la più antica e la prima fra tut te, è necessariamente proprio quella annunciata da poco a tutti i popoli dall 'insegnamento di Cristo. 1 1 . A chi obietta che mol to più tardi Abramo ha ricevuto l'ordine della circoncisione, faccio osservare che già prima di questa egli aveva dato testimo nianza della propria giustizia grazie alla sua fede 1 8: la parola di Dio infatti dice: Abramo credette in Dio e ciò glifu contato a giu stizia •f. 12. Ad Abramo, che era un siffatto uomo già prima del la circoncisione, Dio si manifestò (questi era lo stesso Cristo, il Verbo di Dio) preannunciandogli, con queste parole, coloro che, negli anni a venire, sarebbero stati giudicati come lui: E in te saranno benedette tutte le tribù della terra ag; e ancora: Sarà co sì per un popolo grande e numeroso, e in lui saranno benedetti tut ti i popoli della terra ah . 13 . Ed è facile capire che tutto ciò è sta to compiuto per noi. Egli infatti viene giustificato in virtù della sua fede in Cristo, Verbo di Dio, che a lui apparve, abbando nando le superstizioni dei suoi padri e gli errori della vita pre cedente, e confessando la sua fede nel solo ed unico Dio dell'u niverso, che prese a servire non con la religione della Legge di Mosè, a lui successiva, ma operando secondo virtù. È ad un uo mo tale che fu detto che tutte le tribù della terra e tutti i popoli sarebbero stati in lui benedetti. 14 . Ormai si è dunque chiarito, con i fatti più suadenti delle parole, che in tutto il mondo solo i ae Sal 1 05 , 1 5 . 18
af Gn 15 , 6.
ag Gn 22, 18.
L' argomento è già presente in Rm 4.
ah Gn 1 8 , 18.
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cristiani praticano una forma di religiosità uguale a quella di Abramo. 15 . Che cos'altro dunque potrebbe essere di impedi mento per ammettere che gli uomini di un tempo cari a Dio os servavano una condotta di vita e una forma di religiosità uguali a quelle praticate da noi, che siamo seguaci di Cristo? Così si è dimostrato che non è nuova né straniera, se bi sogna dire il vero, la prima, sola e vera norma di pietà, quella tramandataci dall'insegnamento di Cristo. Su ciò basti quanto detto. 5. l TEMPI DELLA SUA MANIFESTAZIONE AGLI UOMINI l . Dopo questa premessa necessaria alla Storia ecclesiasti ca che ho progettato di scrivere, proseguiamo nel nostro cam mino, narrando gli avvenimenti seguenti a partire dalla manife stazione del nostro Salvatore. Prego Dio, Padre del Verbo, e Gesù Cristo Salvatore e Signore nostro, Verbo celeste di Dio, di cui si è già parlato, che mi sia di aiuto e ministro di verità nella mia esposizione. 2 . Correva il quarantaduesimo anno dall'insediamento di Augusto al potere 1 9, il ventottesimo dalla sottomissione dell'E gitto e dalla morte di Antonio e Cleopatra 20, con la quale ebbe fine la dinastia dei Tolomei in Egitto, quando, al tempo del primo censimento di allora, che avvenne sotto Quirino, gover natore della Siria, nasce a Betlemme di Giudea, come era stato annunciato dai profeti ai, il Salvatore e Signore nostro Gesù Criai
Cf. Mie 5, l .
! 9 Eusebio, sulle orme di Giuseppe Flavio, pone l'inizio del regno di Augusto non nel 27 a.C., ma nel 44 a.C., anno della battaglia di Modena, che lo vide trionfare su Antonio. L'anno indicato è pertanto il 2 a.C. 20 Furono queste le conseguenze della battaglia di Azio del 3 1 a.C. L'anno indicato è il 3 a.C.
Libro I,
4-5
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sto 2 1 _ 3 . Di questo censimento sotto Quirino parla anche Fla vio Giuseppe 22 , il più illustre storico fra gli Ebrei 23, che vi ag giunge anche un altro racconto sulla rivolta dei Galilei scop piata in quello stesso tempo, di cui, presso di noi, fa menzione negli Atti anche Luca dicendo: Dopo di lui [TeudaL nei giorni del censimento, si ribellò Giuda il Galileo, trascinando con sé il popolo; anch'egli fu ucciso e coloro che lo avevano seguito furono dispersi ai. 4. A questo lo storico già citato, nel libro diciottesi mo delle Antichità, dopo aver esposto gli stessi avvenimenti, aggiunge: «Quirino, membro del Senato, che era divenuto con sole dopo aver ricoperto tutte le altre cariche, ed era, per il re sto, uomo eccellente per dignità, si trovava con pochi uomini in Siria, dove era stato inviato da Cesare come giudice del popolo e censore dei beni» 24. 5 . E poco dopo dice: «Giuda, detto Ga launite, dal nome della città di Gamala, da cui proveniva, e il fariseo Sadoc, che egli aveva conquistato alla sua causa, spinse ro il popolo alla rivolta, esortandolo alla difesa della libertà, perché, dicevano, il censimento non portava altro se non la schiavitù» 25 . 6. Nel secondo libro della Guerra giudaica, paraj At 5, 3 7 .
2 1 L' anno della nascita d i Cristo fissato qui d a Eusebio è il 2 . Esso però è stato oggetto di lunghe discussioni fra gli studiosi, per le quali cf. G. Firpo, Il problema cronologico della nascita di Gesù, Brescia 1 983 . 22 G . Flavio, Antichità giudaiche, XVII, 1 3 , 5; XVIII, l , 1 -2 ; 2, l ; XX, 5, 2; Guerra giudaica, II, 433 ; VII , 253 . 23 Storico ebreo nato a Gerusalemme nel 37-3 8 d.C. Appena venti seienne venne inviato a Roma per ottenere da Nerone la liberazione dei som mi sacerdoti fatti prigionieri da Felice, governatore della Giudea dal 52 al 60 d.C. Fatto ritorno a Gerusalemme, partecipò di persona alla rivolta giudaica del 66 d.C., durante la quale venne fatto prigioniero da Vespasiano, allora ge nerale di Nerone. Da lui fu però liberato tre anni dopo per averne predetto l'ascesa al trono. Da allora, come consuetudine, assunse il nome di Flavio. Sulle opere di questo scrittore cf. infra, III, 9. 24 Antichità giudaiche, XVIII, l . 25 Antichità giudaiche, XVIII, 4 .
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landa dello stesso episodio, dice: «Allora un uomo di Galilea, di nome Giuda, incitò gli abitanti alla rivolta, rinfacciando loro di volersi sottomettere al pagamento del tributo ai Romani e di volere servire, dopo Dio, padroni mortali» 26. C osì dice Giu ' seppe. -
6. COME AI SUOI TEMPI, CONFORMEMENTE ALLE PROFEZIE, CESSARONO QUEI CAPI DEL POPOLO GIUDAICO CHE PRIMA ERANO TALI PER DISCENDENZA ATAVICA, E PER LA PRIMA VOLTA REGNÒ SU DI ESSO UNO STRANIERO, ERODE
l . In quel tempo fu primo re di stirpe straniera Erode; co sì ebbe compimento la profezia di Mosè, che diceva: Non man cherà principe da Giuda né uno guidato dai suoi fianchi, finché non giungerà colui dal quale sarà dominato ak; mostra che costui sarà l'aspettativa dei popoli. 2 . Le parole della profezia rimase ro incompiute finché fu possibile al popolo giudaico essere ret to da re ebrei discendenti dallo stesso Mosè, che si succedette ro fino al regno di Augusto; sotto costui, come racconta Giu seppe 27 , i Romani affidarono il regno dei Giudei ad Erode, pri mo re di razza straniera: era infatti idumeo da parte di padre, arabo da parte di madre. Mricano 2 8 , che non è il primo venu-
ak Gn 49, 1 0. 26 Guerra giudaica, II, 1 18. 27 Antichità giudaiche, XIV, 8. 28 Alessandrino ed amico di Origene, morto nel 240 circa, già ricorda to come autore di un'opera cronografica, compose anche, come è attestato in VI, 3 1 , 1 -3 , uno scritto di carattere miscellaneo dal titolo Intarsi, in 24 libri, dedicati all'imperatore Alessandro Severo, di cui rimangono solo frammenti, e due lettere: una indirizzata ad Origene, con cui polemizza circa l'autenticità della storia di Susanna narrata nel libro di Daniele; l'altra, giuntaci frammen taria, destinata ad un non altrimenti noto Aristide, tratta della discordanza fra Matteo e Luca circa la genealogia di Gesù. Di quest ultima lettera Eusebio ri porta lunghe citazioni (cf. in/ra, cap. 7, 2ss). '
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to, ma anch'egli uno storico, e con lui coloro che scrivono con esattezza di queste cose, dicono che Antipatro, padre di Erode, era figlio di un tal Erode di Ascalona, uno degli schiavi che sta vano nel tempio di Apollo, detti ieroduli 29. 3 . Questo Antipa tro fu rapito, quando era ancora bambino, da briganti idumei, con i quali rimase per lungo tempo, poiché il padre, che era po vero, non poté riscattarlo, e visse secondo i loro costumi. Ven ne poi in grazia di !reano, sommo sacerdote dei Giudei. Da lui, ai tempi del nostro Salvatore, fu generato Erode. 4. Quando il regno dei Giudei venne affidato ad un uomo simile, era ormai alle porte l'aspettativa dei popoli preannunciata dalla suddetta profezia al : vennero meno infatti, a partire da lui, i capi che, do po Mosè, governarono per diritto di successione sul popolo giudaico. 5 . Prima della cattività e dell'esilio a Babilonia 30, gli Ebrei furono governati dai re, primo fra i quali fu Saul, cui suc cedette David. Prima dei re detenevano il potere capi detti Giudici, che regnarono, anch'essi, dopo Mosè e il suo succes sore Giosuè. 6. Dopo il ritorno da Babilonia, l'amministrazione della cosa pubblica continuò ad essere affidata ad un governo aristocratico-oligarchico costituito dai sacerdoti, che manten nero il potere fino a quando Pompeo, generale dei Romani, po se l'assedio a Gerusalemme, prendendola con la forza, e tra sgredì le norme sacre, osando entrare nei penetrali del Tem-
al
Gn 49, 1 0.
29 Col nome di ieroduloi, «schiavi sacri», erano designati quelli che svolgevano le loro mansioni nel tempio di una divinità. Sulla loro attività e sulla natura del loro stato giuridico si è molto discusso. Sulla questione cf. l'eccellente studio di P. Debord, Aspects sociaux et economiques de la vie reli gieuse dans l'Anatolie greco-romaine, Leiden 1 982 , in EPRO (Etudes Prelimi naires aux Religions Orientales dans l'Empire Romain) 28. 30 Questi due avvenimenti si verificarono dal 587 al 538 a.C. , data, que st'ultima, della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Ciro, re dei Persiani.
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pio 3 1 . Quest'ultimo poi, avendo inviato come prigioniero a Ro ma colui che era fino a quel momento sommo sacerdote e re per successione, il cui nome era Aristobulo, e, con lui, anche i suoi figli, assegnò ad !reano, fratello di Aristobulo, il sommo sacerdozio, e rese così da quel momento tutto il popolo dei Giudei tributario di Roma. 7 . Con !reano, fatto prigioniero dai Parti, ebbe fine la successione ereditaria dei sommi sacerdoti; dopo di lui infatti, per decreto del senato di Roma e dell'impe ratore Augusto, per la prima volta venne nominato, come ho già detto, re dei Giudei uno straniero, Erode. 8 . Durante il suo regno ebbe luogo la manifestazione di Cristo, cui seguirono la salvezza e la chiamata dei popoli promesse e preannunciate dal le profezie. Da questo momento vennero a mancare i capi che regnavano e comandavano a partire da Giuda, quelli apparte nenti, intendo dire, al popolo giudaico; subito dopo, in seguito a ciò, cessò anche la successione ereditaria del sommo sacerdo zio, che era passato, fino a quel momento, ai diretti discenden ti per diritto di nascita. 9. Di tutto questo dà testimonianza Giuseppe 32, che narra come Erode, dopo aver ricevuto il regno dai Romani, designò sommi sacerdoti non più i discendenti da antica famiglia sacerdotale, ma conferì tale onore a sconosciuti; e, riguardo alla designazione dei sacerdoti, si comportarono al lo stesso modo di Erode anche Archelao, suo figlio, e, dopo di lui, i Romani, dopo la sottomissione del popolo dei Giudei. 1 0 . L o stesso storico 3 3 dice che, per primo, Erode chiuse col suo 31 Ridotta la Siri a a p rovin cia romana (64 a.C.), Pompeo intervenne in Giudea chiamato in aiuto da !reano, che contendeva il potere al fratello Ari stobulo. Egli risolse la contesa a favore dd primo. All 'opposizione di Aristo bulo che, spalleggiato dai Sadducei, cercò di resistergli chiudendosi a Geru salemme, il generale romano rispose con la presa della città e la conseguente violazione dd Tempio; seguì l'esilio dd ribelle e l'affidamento della Giudea al governo di Ircano, nominato etnarca, carica solo onorifica. 32 Antichità giudaiche, XX, 247 , 249. 33 A n tichità giudaiche, XVIII , 92 -93 .
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sigillo la sacra veste dei sommi sacerdoti, cui impedì di tenerla presso di loro; lo stesso, dopo di lui, fecero il suo successore Archelao e poi i Romani. 1 1 . Queste cose siano dette per espor re un'altra profezia riguardante la manifestazione di nostro Sal vatore Gesù Cristo. Nel libro di Daniele •m la S crittura, dopo aver parlato del numero delle ebdomadi 34 mancanti al compi mento del regno di Cristo - di ciò si è già parlato in altre ope re 35 - profetizza che, dopo queste, presso i Giudei sarebbe sta ta abolita l'unzione. Si è già mostrato che ciò è avvenuto al tem po della nascita di nostro Salvatore Gesù Cristo. Ho voluto parlare di questi argomenti spinto dal bisogno di stabilire la verità riguardo ai tempi della rivelazione di Cristo agli uomini.
7. INTORNO ALLA PRESUNTA DISCORDANZA NEI VANGELI SULLA GENEALOGIA DI CRI STO
l . Poiché molti pensano che gli evangelisti Matteo e Luca, per il fatto di averci tramandato la genealogia di Cristo in mo do differente, cadano in reciproca contraddizione, e poiché cia scuno dei fedeli ama, ignorando la verità, trovare personali spiegazioni su quei passi, ho ritenuto opportuno riferire come stanno veramente le cose, b asandomi su una storia giunta fino a noi grazie al racconto che ne fa Africano (lo storico da me
am
Dn 9, 24-27.
34 Vale a dire i settanta periodi di sette anni necessari per cancellare le colpe del popolo di Israele, i sette periodi di sette anni e i sessantadue perio di di sette anni necessari per il ritorno dall 'esilio e la ricostruzione di Geru salemme. Essi sono stati rivelati dall'angelo Gabriele a Daniele, che pregava per la remissione delle colpe del suo popolo. 35 Egloghe pro/etiche 153 , 12-165 ; Dimostrazione evangelica, VIII, 2 , 55- 129.
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menzionato poco fa) che tratta, nell'Epistola ad Aristtde 36, del la concordanza circa la genealogia nei Vangeli. Egli, dopo aver accusato di forzatura e falsità le opinioni degli altri, riporta una storia di cui era a conoscenza con queste testuali parole: 2 «
Cf. Mt l, 15- 16.
36 cf. supra, n. 28.
ao
Le 3 ; 23 -24 .
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than, figlio di David, terzultimo è Melchi; infatti Giuseppe è fi glio di Eli, figlio di Melchi. 6. Poiché il nostro punto di arrivo è Giuseppe, si deve spiegare perché compaiano come suoi pa dri sia Giacobbe, discendente di Salomone, sia Eli, discenden te di Nathan, come questi due siano fratelli e, prima ancora, come i loro padri, Matthan e Melchi, che sono di stirpe diver sa, siano attestati entrambi come avi di Giuseppe. 7 . Matthan e Melchi sposarono la stessa donna, generando fratelli uterini: la Legge infatti non impediva ad una donna ripudiata o rima sta vedova di risposarsi con un altro uomo. 8. Da Esta (questo è il nome della donna tramandatoci) per primo Matthan, di scendente di Salomone, generò Giacobbe; dopo la morte di Matthan, Melchi, discendente di Nathan, e quindi della stessa tribù, ma di stirpe diversa, come abbiamo detto, sposando la stessa donna rimasta vedova, generò Eli. 9. Così Giacobbe ed Eli erano fratelli uterini, ma di stirpe diversa; uno di loro poi, Giacobbe, sposò la moglie del fratello Eli morto senza figli e generò da lei, terzo, Giuseppe, suo figlio per natura (e secon do la Scrittura, in cui si dice: Giacobbe generò Giuseppe •P ) , ma di Eli secondo la Legge; a quest'ultimo infatti Giacobbe, che era suo fratello, generò un discendente. 10. Per questo non è da ritenere che la sua genealogia abbia inesattezze; e l' evange lista Matteo dice elencandola: Giacobbe generò Giuseppe •q, mentre Luca afferma (ed è proprio questo che egli aggiunge) : Gesù era, come si pensava, figlio di Giuseppe, figlio di Eli, figlio di Melchi ar. Non sarebbe stato possibile spiegare in modo più chiaro la discendenza secondo la Legge. Luca ha evitato fino alla fine di usare il termine " generò " per siffatta genealogia, contando le generazioni fino ad Adamo, figlio di Dio •s. ·
ap Mt
l, 16.
aq
Ibidem.
ar
Le 3, 23-24.
as
Le 3, 38.
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1 1 . Ciò non è stato detto senza cognizione o improvvisan do. Eccone infatti la prova. Coloro che generarono secondo la carne il Salvatore, sia che volessero vantarsi sia che semplice mente volessero erudirci, ma in tutto dicendo il vero, ci hanno tramandato le seguenti notizie: alcuni briganti idumei, giunti fi no ad Ascalona, città della Palestina, rapirono dal tempietto di Apollo, che sorgeva presso le mura, Antipatro, figlio di Erode, uno ierodulo 37 , e fecero rapina di altri oggetti sacri; poiché il sacerdote non fu in grado di riscattarlo, Antipatro fu allevato secondo i costumi degli Idumei. Divenne poi amico di !reano, sommo sacerdote della Giudea. 12. Mandato come ambascia tore presso Pompeo da !reano, che riottenne, grazie a lui, il re gno che gli era stato usurpato dal fratello Aristobulo 3 8 , Anti patro ebbe la fortuna di essere nominato procuratore 39 di Pa lestina. A lui, ucciso per invidia della sua eccessiva gloria, suc cedette il figlio Erode, che poi, per decreto di Antonio e del ve nerabile senato, fu nominato re dei Giudei 40; suoi figli furono Erode e gli altri tetrarchi 4 1 . Queste cose sono narrate anche da gli storici greci. 13 .Erode poi, che non teneva in nessun conto la stirpe degli Ebrei, tormentato dai suoi oscuri natali, fece bru ciare i registri delle generazioni, custoditi negli archivi, che comprendevano l'elenco delle stirpi ebraiche, quelle dei prose-
37 Cf. supra, n. 29. 38 Cf. supra, n. 3 1 . 3 9 Così traduco il greco epimeletès, lo stesso usato da Giuseppe Flavio,
Antichità giudaiche, XIV, 127, fonte qui di Eusebio. Esso è certamente sino nimo di epitropos, che compare a ll, 6, 4 in riferimento a Pilato. Questo ter mine corrisponde nel linguaggio giuridico romano a procurator. 40 Erode regnò sulla Giudea dal 73 al 4 a.C. 4 1 Si tratta di Erode Antipa, re della Galilea e della Perea, deposto da Caligola nel 3 9 d.C., di Archelao, etnarca della Giudea, Samaria e Idumea, e di Filippo, tetrarca della Iturea (comprendente la Galaunitis, l'Araunitis, la Thraconensis e la Batanea), annessa, dopo la morte di Filippo (34 d.C.), alla provincia di Siria.
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liti, come Achiorre Ammanita 4 2 e Rut Moabita 43 , e quelle dei cosiddetti "misti " 44, che erano giunti dall'Egitto. Pensava così di apparire di nobile s tirp e , perché nessuno avrebbe potuto at tingere dal registro pubblico e ricondurre così la sua nascita fi no ai Patriarchi, ai Proseliti e ai misti, detti "geori" 45 . 14. Po chi di maggiore accorgimento, conoscendo a memoria i registri personali dei nomi, o avendone in qualche modo delle copie, si vantano di aver custodito la memoria della propria nobiltà; so no fra questi i " desposynoi" , di cui si è già parlato, così chia mati per la loro parentela con il Salvatore. Essi provenivano dai vill aggi giudaici di Nazareth e Kochaba 46 , da cui si erano spar si in tutto il resto della regione, e hanno esposto, fin dove po terono, la suddetta genealogia secondo il libro dei Giorni. 15 . Sia questa la giusta interpretazione o no, nessun altro, come io penso, e con me chiunque abbia buon senso, potrebbe trovare una spiegazione più chiara; e questa ci sia sufficiente, anche se non suffragata da testimonianze, perché non è possi bile trovarne una migliore e più vera. li Vangelo pertanto dice il vero su ogni cosa». 1 6 . Alla fine della stessa lettera Africano aggiunge: «Mat than, discendente di Salomone, generò Giacobbe. Morto Mat than, Melchi, di scen dente di Nathan, dalla stessa donna generò
4 2 Questo personaggio è noto dal libro di Giuditta come capo ammo nita al servizio di Oloferne, generale di Nabucodonosor, che attaccò Betulia (cf. Gdt 3 , 9 ss; 7, 1 -3 ) e fu ucciso da Giuditta (cf. Gdt 1 3 , 6-8; 16, 5-9 ) . Achior, divenuto da assiro israelita (d. Gdt 14, 5-10), è simbolo della prote zione di Dio per gli Ebrei (cf. Gdt 5, 5-2 1 ) . 4 3 A questo personaggio è dedicato il lib ro d i Rut dell'Antico Testa mento, al quale si rimanda. 44 Col termine "misti", detti anche "geori", venivano designati coloro che, non ebrei di stirpe, lo divenivano mediante la circoncisione. 45 Cf. nota precedente. 46 Siti rispettivamente in Galilea e in Basanitide.
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Eli. Eli e Giacobbe erano pertanto fratelli uterini. Morto Eli senza figli, Giacobbe gli diede un discendente, generando Giu seppe, figlio suo per natura, ma di Eli secondo la Legge. Così Giuseppe era figlio di entrambi». Queste le parole di Africano. 17. Essendo questa la genealogia di Giuseppe, necessaria mente anche Maria compare come membro della medesima tribù, poiché la Legge di Mosè proibiva il matrimonio tra mem bri di tribù diverse; essa prescriveva infatti di unirsi in matri monio con un altro dello stesso popolo e della stessa patria, af finché l'eredità della stirpe non passasse da una tribù all'altra. Su questo argomento basti quanto detto. 8. SULLA EFFERATEZZA DI ERODE CONTRO I BAMBINI E SU QUALE TERRIBILE MORTE LO COLSE
l . Dopo la nascita del Cristo che, conformemente alle pro fezie at, ebbe luogo a Betlemme di Giudea nei tempi di cui si è già parlato 47 , Erode 48, di 'fronte alle domande dei Magi, che venivano dall'Oriente, che volevano sapere da lui il luogo in cui era nato il re dei Giudei - avevano visto infatti la sua stella, che era stata per loro causa di un così lungo viaggio per adorare co me Dio, prima possibile, colui che era nato - rimase molto tur bato non per la cosa in sé, ma perché temeva che il suo regno fosse in pericolo. Chiese allora ai dottori della Legge che erano fra il popolo dove credevano che sarebbe nato il Cristo; venu to a conoscenza della profezia di Michea a u , che indicava Be tlemme, con un editto ordinò che fossero uccisi i bambini lat tanti nati a Betlemme e in tutti i suoi confini dai due anni in giù,
at
Cf. Mie 5 ,
l.
47 Cf. supra, 5 . 48 Cf. supra, n . 40.
au
Ibzdem.
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in base al tempo precisatogli dai Magi, credendo fermamente che, come era verisimile, avrebbe così ucciso anche Gesù. 2 . D fanciullo però, portato in Egitto dai suoi genitori, ai quali l' ap parizione di un angelo aveva predetto la minaccia incombente, previene il pericolo. Queste cose ci vengono insegnate anche dalla Sacra Scrittura del Vangelo av. 3 . È opportuno, dopo queste, vedere i castighi che colpi rono Erode per la sua temerarietà contro Cristo e gli altri fan ciulli della sua età. La giustizia divina, senza neppure un picco lo preavviso, lo punì subito mentre era ancora in vita, dando così solo un piccolo barlume di ciò che sarebbe stato di lui do po la morte. 4. Quando il suo regno sembrava a tutti florido, egli avvolse d'ombre la sua gloria, commettendo ogni genere di efferatezze contro la propria famiglia, uccidendo la moglie, i fi gli e tutti coloro che gli erano vicinissimi e carissimi per stirpe. Non è possibile ora riferire di simili delitti, perché esporli si gnificherebbe mettere in ombra tutta la loro tragica rappresen tazione; d'altronde Giuseppe li ha ampiamente esposti nelle sue Storie 49, 5 . Per il complotto ordito contro il nostro Salva tore e gli altri bambini, la frusta divina lo sferzò a morte; ma è meglio cedere la parola allo storico testè citato, che nel dicias settesimo libro delle Antichità giudaiche descrive la morte di Erode in questo modo: «Erode fu colpito da una gravissima malattia, con cui Dio fece giustizia dei delitti da lui commessi. 6. Era un fuoco lieve, il cui calore esterno non dava neppure l'i dea della sofferenza che dava alle parti interne; aveva un terri bile desiderio di prendere qualcosa che gli potesse dare sollie vo. Un'ulcera gli consumava gli intestini, e aveva tremendi do lori di ventre, un flemmone umido e lustro ai piedi; 7. il male av
Cf. Mt 2, 1 -7, 13-18.
49 Cf. Guerra giudaica I, 43 1 -444; 526-529; 534-55 1 . Eusebio dà spesso il titolo di Storie alla Guerra giudaica.
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colpiva anche l'inguine e i genitali, che erano purulenti e pieni di vermi. n respiro era faticoso e l'alito alquanto insopportabi le per la puzza che emanava espirando e la pesantezza dell'a sma; era sofferente in ogni parte del corpo, come oppresso da una potenza invincibile. 8. Gli indovini e coloro cui la saggez za concedeva di dire queste cose, sostenevano che la malattia era la punizione divina per le molte empietà compiute dal re» 50. 9. n suddetto storico riporta queste notizie nella citata opera; e nel secondo libro delle Storie riferisce, sempre su Ero de, notizie simili alle precedenti, scrivendo così: «Allora la ma lattia invase tutto il suo corpo, portandolo alla morte fra mill e sofferenze; aveva infatti la febbre bassa, un prurito insopporta bile in tutto il corpo, frequenti dolori di ventre, piedi gonfi co me quelli di un idropico e un bruciore all'inguine; i genitali, or mai putrefatti, avevano prodotto vermi. Respirava inoltre a fa tica e solo in posizione eretta, e tutte le membra facevano mo vimenti convulsi. Per tutte queste cose, gli indovini dicevano che le malattie erano un castigo. 1 0. Egli tuttavia lottava contro simili sofferenze, attaccandosi disperatamente alla vita, sperava ancora salvezza e cercava rimedi. Attraversando infatti il Gior dano, si bagnò, ma invano, nelle acque termali di Calliroe; esse arrivano fino al lago Asfaltiti e sono anche potabili per la loro dolcezza 5 1 • 1 1 . n parere dei medici fu allora di riscaldare tutto il corpo con olio caldo. Ma, fatto immergere in una vasca pie na di olio, cadde e stramazzò al suolo strabuzzando gli occhi. Alle grida dei servi ritornò in sé e, avendo ormai disperato per il futuro la salvezza, ordinò di assegnare ai soldati cinquanta dracme ciascuno, ai comandanti e ai cortigiani molte ricchezze. 12. Fece poi ritorno a Gerico, ormai irritato, ma lungi dal dar si per vinto dinanzi alla morte, intento com'era nel progettare 5 0 Antichità giudaiche, XVIII, 168- 170. 5 1 Queste fonti si trovano in Perea. Le loro acque sboccano nel Mar Morto nei pressi di Macherunte.
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un'altra empia opera; ordinò infatti di rinchiudere tutti gli uo mini illustri, radunati da ogni villaggio dell'intera Giudea, nel luogo detto Ippodromo; 13 fatti chiamare poi la sorella Salomè e suo marito Alessandro, disse loro: "So che i Giudei gioiranno della mia morte, ma posso essere rimpianto per altri motivi e avere splendide esequie, se voi vorrete eseguire i miei ordini. Dopo la mia morte, fate subito circondare e uccidere dai sol dati questi uomini che ho fatto prigionieri, affinché tutta la Giudea e ogni casa pianga per me anche contro la propria vo lontà "» 52 . 1 4 . E poco dopo dice: «Tormentato di nuovo dal bi sogno di cibo e da una tosse spasmodica, vinto dai dolori, de cise di anticipare il destino. Presa una mela, chiese anche un coltello, perché soleva tagliare ciò che mangiava. E, guardando poi intorno che non ci fosse nessuno ad impedirglielo, alzò la destra e si colpì a morte» 53 . 15. Lo stesso storico racconta inol tre che, poco prima della sua morte, un altro fanciullo, figlio suo, terzo dopo i due che aveva già fatto uccidere, fu preso per suo ordine e perdette subito la vita fra grandi sofferenze 54. 16. In questo modo morì Erode, pagando la giusta pena per avere ucciso quei fanciulli a Betlemme per l'insidia tesa contro il nostro Salvatore. Alla sua morte un angelo, apparso in sogno a Giuseppe, che viveva in Egitto, gli ordinò di ritornare col figlio e sua madre in Giudea, dicendogli che erano morti co loro che attentavano alla vita del fanciullo. A ciò l'evangelista aggiunge queste parole: Venuto a sapere che Archelao regnava al posto del padre Erode, ebbe paura di ritornare tz:· ma, avvisato in sogno, fece ritorno nel paese di Galilea •w.
aw
Mt 2, 22.
52 In realtà il passo appartiene a
53 Guerra giudaica, I, 662 . 54 Antichità giudaiche, XVII,
Guerra giudaica, I, 656-660.
1 87 - 1 91 ; .Guerra giudaica, l, 664-665 .
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Storia ecclesiastica 9. l TEMPI DI PILATO
l . Anche lo storico su menzionato conferma che Archelao detenne il potere dopo Erode. Descrive poi anche il modo in cui egli ricevette il regno sui Giudei grazie al testamento del pa dre Erode e al decreto di Cesare. Aggiunge inoltre che, spode stato dopo dieci anni di regno, i fratelli Filippo ed Erode il gio vane ebbero le proprie tetrarchie insieme con Lisania 55. 2. Lo stesso storico, nel diciottesimo libro delle Antichità 56, attesta che Ponzio Pilato divenne governatore della Giudea nel dodi cesimo anno del regno di Tiberio 57 (quest'ultimo ereditò la gui da dell'impero da Augusto, che l'aveva detenuta per cinquan tasette anni 58) , e ricoprì questa carica per dieci anni interi, fino alla morte dell'imperatore 59. 3 . Dunque si smaschera facilmen-
55 Guerra giudaica, II, 93 -97 . Eusebio non riporta con esattezza la no tizia dello storico ebraico. Questi infatti afferma che Augusto modificò in parte il testamento di Erode, non riconoscendo Archelao re, ma solo etnarca. Egli inoltre non fa menzione di Lisania, che viene menzionato in Le 3 , 1 come etnarca della regione dell'Abilene, sita a nord-est di Damasco. Evidentemen te Eusebio confonde le due fonti, che egli non dovette consultare diretta mente, m a citare a memoria. 5 6 Antichità giudaiche, XVIII, 32-33; 35; 89. 57 Successore di Augusto, regnò dal 14 al 37 d.C. L' anno indicato è il 26 d.C. 58 Si ricordi che Eusebio pone l'inizio del regno di Augusto nel 44 a.C. 59 Ponzio Pilato, successore di Valerio Grato nel governo della Palesti na, rimase in carica dal 26 al 36 d.C. Alle fonti che ci parlano di lui, alquan to avare di notizie, (abbiamo infatti solo pochissimi riferimenti in Mt 27, 2 , 1 1 ss; M c 1 5 , lss; L e 23 , lss; Gv 1 8 , 29ss; A t 3 , 13; 4, 2 7 ; 1 3 , 2 8 ; l Tm 6, 1 3 ; Tacito, Annali, XV, 44, 3 ; G. Flavio, Antichità giudaiche, XVIII, 64) s i è d i re cente aggiunta un'iscrizione trovata nel teatro di Cesarea di Palestina nel 196 1 . Ess a si presenta in uno stato molto lacunoso, dovuto al fatto che il mar mo su cui è incisa fu riutilizzato come ripiano tra la scaletta inserita all'estre mità settentrionale dell'orchestra e la scaletta finale della cavea. L' iscrizione è importante per il fatto di essere l'unico documento contemporaneo al perio do di Pilato, e per il titolo di praefectus Iudeae che lo accompagna, mai atte stato nelle citate fonti letterarie: G. Flavio lo definisce infatti epimeletès, i
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te la falsificazione di coloro che in passato hanno scritto Me morie 60 contro il nostro Salvatore: già da solo infatti il tempo indicato nel titolo basta a dimostrare che i loro autori hanno raccontato il falso. 4. Essi infatti pongono sotto il quarto con solato di Tiberio, che coincide col settimo anno del suo re gno 61, i supplizi che i Giudei osarono infliggere al nostro Sal vatore. In quel periodo però Pilato non era ancora stato desi gnato governatore della Giudea, se si deve prestare fede alla te stimonianza di Giuseppe 62 , che indica chiaramente, nel libro già citato, che tale designazione awenne nel dodicesimo anno del regno di Tiberio 63 . 1 0 . DEI SOMMI SACERDOTI DEI GIUDEI SOTTO I QUALI CRISTO DIFFUSE IL SUO INSEGNAMENTO l . In questo periodo, secondo l'evangelista Luca ax, nel quindicesimo anno del regno di Tiberio Cesare, il quarto dalla nomina di Ponzio Pilato a governatore della Giudea 64 , quando erano tetrarchi nei territori rimanenti Erode, Lisania e Filippo 65 , ax Le
3 , 1 -3 .
Vangeli eghemòn, Tacito prpcurator. Queste differenti denominazioni potreb b ero essere dovute o alla scarsa precisione con cui veniva utilizzato il lin guaggio tecnico-giuridico, o all 'identità delle funzioni giuridiche dei magi strati nelle province romane. Per un'ampia trattazione dell'iscrizione e dei ti toli riferiti a Pilato cf. L. Boffo , Iscrizioni greche e latine per lo studio della Bib bia Brescia 1 994, pp. 217-233 . 60 Si tratta di falsi diffusi nel 3 12 circa, al tempo di Massimino Daia, che i maestri dovevano utilizzare come libri di testo nelle scuole. Essi sono men zion ati già in Gius tino, I Apologia, 35, 9; 48, 3 . 61 Nel 2 1 d.C. 62 Antichità giudaiche, XVIIT, 64. 63 Nel 26 d.C. 64 Nel 29 d.C. 65 Cf. supra, n. 4 1 . ,
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il Salvatore e Signore nostro Gesù, il Cristo di Dio, all'età di quasi trent'anni, riceve da Giovanni il battesimo, da cui, secon do il Vangelo, ha inizio la sua predicazione. 2 . La Sacra Scrit tura dice ay che egli professò il suo insegnamento negli anni compresi tra i sommi sacerdoti Anna e Caifa. n periodo che va dal pontificato di Anna a quello di Caifa non abbraccia neppu re quattro anni. 3 . Le norme legali, che stabilivano che la cari ca del sommo sacerdote fosse ereditaria e a vita, erano state già violate da Erode 66 ; i procuratori romani poi conferivano ora al l'uno ora all'altro tale onore, che poi toglievano però dopo non più di un anno. 4. Giuseppe, nelle Antichità, riferisce che da Anna a Caifa si succedettero quattro sommi sacerdoti, dicendo: . «Valeria Grato 67 , avendo esautor ato Anna della carica sacer dotale, nominò sommo sacerdote Ismaele, figlio di Fabi, che però depose non molto tempo dopo, nominando al suo posto Eleazaro, figlio del sommo sacerdote Anna. Dopo appena un anno, destituì anche costui, e assegnò tale carica a Simone, fi glio di Camith, 5. a cui la tolse l'anno dopo, designando come suo successore Giuseppe, detto anche Caifa» 68. 6. Dunque il tempo della predicazione del nostro Salvatore, come si è detto, non abbraccia complessivamente neppure quattro anni, essen dosi succeduti da Anna a Caifa quattro sommi sacerdoti in quattro anni, uno per ogni anno. n Vangelo dice che la passio ne del nostro Salvatore ebbe luogo nell'anno del pontificato di Caifa az ; dalla Sacra Scrittura e dall'osservazione precedente si deduce la durata dell'insegnamento di Cristo 69. 7. n Salvatore e Signore nostro, non molto tempo dopo l'inizio della sua pre-
ay
Cf. Le 3, 2.
az
Cf. Mt 26, 3 -5 ; Gv 1 1 , 49.
66 Cf. supra, 6, 8- 10.
67 Predecessore di Pilato, governò sulla Giudea dal 15 al 26 d.C. 68 Antichità giudaiche, XVIII, 34-35 . 69 Vale a dire quattro anni.
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Libro I, 1 0- 1 1
dicazione, chiamò i dodici, che designò, essi soli fra tutti i suoi discepoli, col titolo onorifico di apostoli; poi scelse altri settan ta, che mandò in sua vece a due a due in ogni luogo e città dove egli aveva intenzione di recarsi ba . 1 1 . LE TESTIMONIANZE SU GIOVANNI BATTISTA
E
CRISTO
l . I sacri Vangeli bb ricordano la decapitazione di Giovan ni Battista ordinata da Erode il giovane; con essi concorda an che Giuseppe 70, che menziona per nome Erodiade e ricorda come Erode, ripudiata la donna da lui precedentemente sposa ta secondo le leggi - era costei la figlia di Areta, re della Pe rea 71 -, sposò Erodiade, esplicitamente menzionata dallo stori co, moglie del fratello, sebbene costui fosse ancora in vita. A causa di questa donna fece uccidere Giovanni e mosse guerra ad Areta, la cui figlia aveva disonorato. 2 . Durante questa guer ra, in una sola battaglia, si dice, venne annientato tutto l' eserci to di Erode, che pagò così il fio per l'uccisione di Giovanni. 3 . Lo stesso Giuseppe n concorda con i Vangeli nel definire Gio vanni Battista l'uomo più giusto in quei tempi. Aggiunge poi 73 che Erode perse il potere a causa della stessa Erodiade, con cui fu condannato anche a vivere in esilio a Vienna, città della Gal lia 74 , 4. Queste cose vengono narrate da Giuseppe nel didatteba Le
10, l .
bb
Cf. Mt 14, 1 - 12 ; M c 6 , 14-29; Le 3 , 1 9-20; 9 , 7-9.
7 0 Antichità giudaiche, XVIII, 109- 1 14.
7 1 Era in realtà re della Nabatea. Invase nel 37 d.C. la Perea, che con-
quistò in seguito alla vittoria riportata su Erode Antip a, re di quella regione.
72 Antichità giudaiche, XVIII, 1 17 .
73 Antichità giudaiche, XVIII, 240-255. 74 Eusebio non riporta con precisione la notizia dello storico ebraico.
In realtà come luogo dell'esilio di Erode Antipa G. Flavio non cita mai Vien na; su di esso mostra anzi notevole incertezza: in Antichità giudaiche, XVIII, 252 indica Lione, ma in Guerra giudaica, II, 1 83 la Spagna.
82
Storia ecclesiastica
simo libro delle Antichità, dove l'autore dice testualmente su Giovanni: <
75 Per giustizia si intende qui la devozione dell'uomo verso Dio. Già nei Vangeli infatti giusto è l'uomo che agisce secondo la volontà divina (cf. Mt 5 , 2 0 ; 23 , 2 9 ; Le l , 6 ) . Per Paolo inoltre giusto è l'uomo rinato nella grazia di Cristo (cf. Gal 6, 15; Ef 4, 23 ; Tt 3, 5). 7 6 Antichità giudaiche, XVIII , 1 16- 1 19.
Libro I,
83
1 1-12
conformemente a quanto avevano predetto i profeti di Dio, che preannunciarono anche mille altre meraviglie su di lui. E ancora oggi esistono coloro che dal suo nome si chiamano cri stiani» 77. 9. Poiché è uno storico di origine ebraica a dire, nella sua opera, queste cose su Giovanni Battista e sul nostro Salvatore, quale sotterfugio potrebbe esserci per non definire meschini quegli uomini che su costoro hanno detto il falso nelle loro Me morie 78? Ma su ciò basti quanto detto. 1 2 . DEI DISCEPOLI DEL NOSTRO S ALVATORE l . Tutti i nomi degli apostoli del nostro Salvatore sono noti a ognuno dai Vangeli; invece in nessun luogo esiste un ca talogo dei settanta discepoli. Si dice che uno di loro sia stato Barnaba, di cui, in varie occasioni, fanno menzione gli Atti de gli Apostoli be e Paolo nella Lettera ai Galati bd . A questi, di cono, appartenne anche Sostene be, colui che fu mandato a Corinto insieme a Paolo, 2 . come dice Clemente 79 nel quinto libro delle Ipotiposi. In quest'opera dice che anche Cefa, un omonimo dell' apostolo Pietro, di cui Paolo dice: Quando Ce fa giunse ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto bf, fu uno dei settanta discepoli. 3 . La Sacra Scrittura bg afferma che an che Mattia e il suo compagno so , che già avevano ricevuto l'o nore di prendere il posto di Giuda fra gli apostoli, ricevettero
b e At 4, 36; 1 1 , 22; 13, 2; 15, 36, 37, 39. bd Gal 2, l, 9, 1 3 . bg Cf. At l , 23 -26. bf Gal 2, 1 1 . l Cor l , l ; At 18, 17 .
be
77 Antichità giudaiche, XVIII , 63 -64. 78 Cf. supra, n. 60. 79 Su Clemente Alessandrino cf. in/ra, V, 1 1 . 80 Compagno di Mattia è Giuseppe detto Barsabba (cf. At l , 23 ).
Cf.
84
Storia ecclesiastica
anche quello di essere chiamati fra i Settanta. Dicono anche che uno di loro sia stato Taddeo, sul quale racconterò fra po co anche una storia giunta fino a noi. 4. Ma esaminando con maggiore attenzione la Sacra Scrittura, si avrà la prova che i discepoli del nostro Salvatore erano più di settanta: Paolo bh infatti dice che Gesù, dopo essere risuscitato dai morti, ap parve prima a Cefa, poi ai dodici e infine a più di cinquecen to fratelli in una sola volta, alcuni dei quali, dice, erano già morti, ma la maggior parte era ancora in vita al momento in cui scriveva la sua lettera. 5. Dice poi che apparve a Giacomo, uno di coloro ritenuti fratelli del Salvatore; ma poiché, oltre questi, per imitazione dei dodici, moltissimi si chiamarono apostoli (tale era lo stesso Paolo), aggiunge: Dopo apparve a tutti gli aposto li b i . Ciò dunque basti per quanto riguarda i di scepoli del Signore. 13 . RACCONTO SUL RE DI EDESSA l . Ciò che segue è quanto si racconta su Taddeo . La divi nità del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, rinomata pres so tutti gli uomini per la sua potenza miracolosa, radunò anche dalle città più lontane della Galilea molti uomini sofferenti, spinti dalla speranza di guarire da malattie e da mali di ogni ge nere, da cui erano afflitti. 2. Così Abgar 81, illustre re dei popo li al di là dell'Eufrate, afflitto da una terribile malattia non cu rabile con la scienza umana, inviò una lettera a Gesù - il cui no me, ormai rinomato, egli conosceva e della cui potenza miraco-
bh l
Cor 15, 5 -6.
bi l
Cor 15, 7.
8 1 Regnò dal 4 al 7 a.C. e dal 13 al 57 d.C. sull'Osroene, regione sita a nord-ovest della Mesopotamia, con capitale Edessa.
Libro I,
12-13
85
losa, da tutti unanimemente testimoniata, aveva sentito parlare - supplicandolo di guarirlo dal male che lo affliggeva. 3 . Ma egli, pur non prestando orecchio alle sue preghiere, lo rese de gno tuttavia di una sua lettera, in cui promise che gli avrebbe inviato uno dei suoi discepoli per guarirlo dalla sua malattia e per portare la salvezza a lui e ai suoi cari. 4 . E dopo non molto tempo la sua promessa si avverò. Dopo la resurrezione dai mor ti e l'ascesa di Cristo al cielo, Tommaso, uno dei dodici aposto li, in seguito ad un'ispirazione divina, mandò infatti ad Edessa Taddeo 82 , uno dei settanta discepoli di Gesù, come araldo ed evangelista dell'insegnamento di Cristo, adempiendo così per mezzo di lui alla promessa del nostro Salvatore. 5. Di questi fat ti si ha anche una testimonianza scritta negli archivi di Edessa, allora città retta da un regime monarchico: infatti fra i docu menti pubblici ivi custoditi, che partono dai tempi antichi e giungono fino a quelli del regno di Abgar, si trova questa sto ria, custodita da allora fino ad oggi. Ma null a vale quanto leg gere il contenuto delle stesse epistole, che ho preso dagli archi vi e che ho tradotto letteralmente dalla lingua siriaca in questo modo 83 .
82 Nella Sacra Scrittura il nome di questo discepolo compare in Mt 10,
3 e in Mc 3 , 18.
83 I documenti qui riportati, conservati in un manoscritto siriaco del VI sec. , in due redazioni greche, e in una versione armena, romena e bulgara, so no certamente apocrifi. Essi risalgono al tempo di Abgar IX, primo re cri stiano di Edessa vissuto al tempo di Caracalla, che lo esautorò nel 2 1 6 d.C. Essi sarebbero stati composti, secondo alcuni studiosi, dopo il 174, come at testerebbe il fatto che i Vangeli sono citati sulla base del Diatéssaron di Ta ziano, composto all'incirca in quell'anno.
86
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Copia della lettera scritta dal toparca Abgar a Gesù e a lui man data a Gerusalemme per mezzo del corriere Anania 6. «Abgar, figlio di Uchamas, toparca 84, saluta Gesù, il buon Salvatore, che si trova a Gerusalemme. Ho sentito parla re di te e delle portentose guarigioni che tu hai operato senza medicine ed erbe. Infatti, come si dice, ridai la vista ai ciechi, raddrizzi gli zoppi, purifichi 85 i lebbrosi, allontani gli spiriti im puri e i demoni, sani coloro che sono afflitti da gravi malattie e risusciti i morti. 7 . Avendo sentito tutte queste cose sQl tuo con to, ho fermamente pensato una di queste due cose: o che tu sei Dio sceso dal cielo a fare queste opere prodigiose, 8. o sei figlio di Dio, dal momento che compi simili prodigi. Perciò con que sta lettera ti prego di venire da me a guarirmi dal male che mi affligge. Così potrai sfuggire anche alle insidie che, come ho sentito, i Giudei ordiscono contro di te per nuocerti. La città su cui regno, sebbene piccolissima, ma santa, sarà sufficiente ad entrambi».
Copia della lettera scritta da Gesù al toparca Abgar e a lui invia per mezzo del corriere Anania 10. «Beato tu sei, poiché hai creduto in · me senza avermi visto; infatti è stato scritto di me che coloro che mi hanno visto non crederanno in me, e coloro che non mi hanno visto crede ranno e vivranno in me 86 , Nella tua lettera mi chiedi di venire
84 Vale a
dire governatore locale.
85 L' uso di questo verbo si spiega col fatto che per gli Ebrei la lebbra
era segno di impurità perché ritenuta una punizione di Dio in seguito al pec cato dell'uomo (cf. Nm 12, 10-16; Lv 13 ) . TI lebbroso poteva riacquistare la purezza perduta solo grazie ad un particolare rito, descritto in Lv 14. 86 Citazione apocrifa, derivante forse da Is 6, 9.
Libro I, 13
87
da te; ma è necessario che io porti prima a compimento tutte le cose per cui sono stato inviato fra gli uomini e, dopo averle compiute, ritorni da colui che mi ha mandato. Ma dopo che sarò ritornato in cielo, ti manderò uno dei miei discepoli a gua rirti dal male e a dare la vita a te e ai tuoi cari». 1 1 . A queste lettere segue ancora questa storia, scritta an ch' essa in lingua siriaca: «Dopo che Gesù tornò in cielo, Giu da, detto anche Tommaso, mandò da Abgar l'apostolo Taddeo, uno dei settanta. Questi, giunto ad Edessa, si fermò nella casa di Tobia, figlio di Tobia; e quando si diffuse la notizia del suo arrivo, fu annunciato ad Abgar che in città era giunto un apo stolo di Gesù, come egli aveva promesso. 12. Tutti restavano sbalorditi nel vedere Taddeo cominciare a guarire, in nome del la potenza di Dio, ogni malattia ed infermità. Non appena Ab gar venne a conoscenza delle grandi e miracolose guarigioni che compiva e del modo in cui esse avvenivano, pensò che egli era colui sul quale Gesù gli aveva scritto dicendogli: " Dopo che sarò ritornato in cielo, ti manderò uno dei miei discepoli a gua rirti dal male" . 1 3 . Fatto chiamare Tobia, presso la cui casa Tad deo si era fermato, gli disse: " Ho sentito dire che un uomo po tente è arrivato in città e si è fermato nella tua casa; conducilo da me" . Tobia ritornò da Taddeo e gli disse: "li toparca Abgar mi ha fatto chiamare e mi ha detto di condurti da lui perché tu lo guarisca" . E Taddeo rispose: "Vengo, poiché sono stato man dato da lui dalla potenza divina" . 1 4 . li giorno seguente Tobia si destò all'alba e, svegliato Taddeo, lo condusse da Abgar. Non appena egli entrò, presenti i notabili, ad Abgar apparve una grande visione sul viso dell'apostolo. n re allora si inginocchiò subito ai suoi piedi, suscitando la meraviglia di tutti i presenti, che non avevano avuto la visione, apparsa solo a lui. 15 . Egli poi chiese a Taddeo: " Sei veramente discepolo di Gesù, il Figlio di Dio, che mi ha detto: Ti manderò uno dei miei discepoli che ti guarirà e ti ridarà la vita? " . E Taddeo: " Sono stato mandato
88
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da te per questo, perché hai avuto una grande fede in colui che mi ha inviato. E se ancora h ai fede in lui, come effettivamente è, si avvereranno i desideri del tuo cuore " . 16. E Abgar: "La mia fede in lui è stata così grande che, se non me lo avessero im pedito i Romani, avrei voluto inviare un esercito per stermina re i Giudei che lo hanno crocifisso " . E Taddeo: "Il Signore no stro ha compiuto la volontà del Padre suo ed è salito in cielo da lui " . 17 . E Abgar: " Anch'io ho creduto in lui e nel Padre suo " . E Taddeo: "Per questo i o impongo l a mia mano s u di t e nel suo nome " . E con questo gesto lo guarì subito dalla malattia e dal la sofferenza che lo affliggevano. 18. Abgar si meravigliò del fatto che Taddeo, discepolo di Gesù,· lo aveva guarito senza me dicine ed erbe, proprio come aveva sentito dire di Gesù . Egli aveva guarito in questo modo non solo lui, ma anche Abdo, fi glio di Ab do, ammalato di podagra. Costui, reca tosi dall' apo stolo, gettatosi a i suoi piedi e supplicandolo, fu guarito dalla sua mano . Taddeo guarì molti altri cittadini, operando grandi miracoli e annunciando la parola di Dio. 19. Dopo queste cose, Abgar gli disse: "Tu, Taddeo , compi queste opere con l' aiuto della potenza di Dio, e noi stessi ne siamo meravigliati; ma, ti prego, dimmi anche come Gesù è venuto fra gli uomini, parla mi della sua potenza e rivelami in nome di chi compiva quelle opere di cui ho sentito parlare" . 20. E Taddeo rispose: " O ra ta cerò; ma poiché sono stato mandato per annunciare la buona novella, radunami domani tutti i tuoi concittadini e parlerò pubblicamente di ciò che tu mi chiedi, seminando così in loro la parola della vita. Dirò del modo in cui Gesù è sceso sulla ter ra, della sua missione, del motivo per cui è stato mandato dal Padre, della sua potenza, delle sue opere, dei misteri che ha ri velato al mondo, della potenza nel cui nome operava, della no vità del suo insegnamento, della sua umiltà e modestia, di come si umiliò e si privò della sua divinità sminuendola, di come fu crocifisso e scese nell'Ade, spezzando la barriera che non era mai stata infranta dall'eternità, di come risuscitava i morti e, in-
Libro I,
13
89
fine, di come scese dal cielo solo, ma ritornò dal Padre suo con un immenso stuolo " . 2 1 . Dunque Abgar ordinò ai cittadini di radunarsi all'alba per ascoltare la predicazione di Taddeo; vol le poi che gli fossero dati oro e argento. Ma egli rifiutò dicen do: "Se abbiamo abbandonato i nostri beni, come potremo ac cettare quelli altrui? " . Questi fatti accaddero nell'anno 340 87». 22. Non mi è sembrato inutile né fuori luogo riportare questo racconto, che ho tradotto letteralmente dal siriaco.
87 La precisazione cronologica è basata sull'era edessenica, che inizia nel 3 12 a. C. secondo il calendario macedone, nel 3 1 1 a. C. secondo quello ba bilonese. I: anno in questione è pertanto il 29 o il 28 d.C. Sui calendari in uso in Asia Minore cf. A.E. Samuel, Greek and Roman chronology, Miinchen 1972.
LIBRO II
li secondo libro della Storia ecclesiastica corpprende i se guenti argomenti: l . La vita degli apostoli dopo l'ascensione di Cristo. 2. L'impressione di Tiberio nell'ascoltare da Pilato la sto ria di Cristo. 3 . Come, in poco tempo, la dottrina di Cristo si propagò in tutto il mondo. 4. Come, dopo la morte di Tiberio, Gaio nomina Agrippa re dei Giudei, condannando Erode all ' esilio perpetuo. 5 , Filone è inviato alla corte di Gaio come ambasciatore dei Giudei. 6. l mali che si riversarono sui Giudei in seguito all'uccisione di Cristo. 7 . Suicidio di Pilato. 8. La carestia sotto Claudio. 9. Martirio dell'apostolo Giacomo. 10. Come Agrippa, detto anche Erode, fu punito dalla giustizia divina per avere perseguitato gli apostoli. 1 1 . n mago Teuda. 12. Elena, regina dell' Adiabene. 13 . Simon Mago. 14. La predicazione dell'apostolo Pietro a Roma. 15. n Vangelo secondo Marco. 16. Marco per primo predicò agli Egiziani la conoscenza di Cristo.
Libro Il, Sommario
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1 7 . Il racconto di Filone sugli asceti d'Egitto.
1 8 . Le opere di Filone giunte fino ai nostri tempi. 19. Le sciagure che si riversarono sui Giudei a Gerusa lemme nel giorno di Pasqua. 20. Ciò che avvenne a Gerusalemme sotto Nerone. 2 1 . L'egiziano di cui fanno menzione anche gli Atti degli Apostoli. 22 . Paolo, mandato prigioniero a Roma dalla Giudea, si difese e fu prosciolto da ogni accusa. 23 . Come Giacomo, detto fratello del Signore, subì il mar tirio. 24 . Dopo Marco, primo vescovo della Chiesa di Alessan dria fu nominato Anniano. 25. La persecuzione di Nerone, durante la quale Paolo e Pietro furono resi degni a Roma del martirio per la lo ro fede. 26. I Giudei furono colpiti da mille mali, e infine dichia rarono guerra ai Romani. Questo libro è stato scritto attingendo alle opere di Cle mente, Tertulliano, Giuseppe e Filone. l. Ho trattato, nel libro precedente, compendiandone le testimonianze, tutti gli argomenti che era necessario esporre quasi come proemio della storia della Chiesa: la teologia del Verbo Salvatore, l'antichità dei dogmi della nostra fede e della vita evangelica dei cristiani; ho parlato inoltre degli avveni menti legati alla recente venuta del Cristo, di quelli che prece dettero la sua passione e di quelli riguardanti la chiamata degli apostoli. 2 . Ora invece cominciamo ad esaminare anche i fatti avve nuti dopo la sua ascensione, attingendoli in parte dalle Sacre Scritture, in parte da altre fonti, di cui faremo menzione al mo mento opportuno.
92
Storia ecclesiastica l . LA
VITA DEGLI
APOSTOLI DOPO L'ASCENSIONE m · CRISTO
l . Primo dunque ad· essere chiamato fra gli apostoli al po sto del traditore Giuda fu Mattia, anch'egli, come si è detto t , uno dei discepoli del Signore. Con la preghiera e l'imposizione delle mani, gli apostoli, per il servizio alla comunità, nominaro no diaconi sette uomini di rinomata affidabilità, fra cui Stefa no •. Quest'ultimo, come se proprio a questo fosse stato desi gnato, morì lapidato da coloro che avevano ucciso il Signore, ottenendo così, per primo, la corona (ciò significa il suo no me) 2 dei martiri vittoriosi di Cristo. 2. Allora Giacomo, chia mato fratello del Signore - anch' egli infatti era ritenuto figlio di Giuseppe, e Giuseppe era il padre di Cristo, al quale era stata promessa in sposa la Vergine che, prima che essi andassero a vi vere insieme, fu trovata gravida ad opera dello Spirito Santo, come insegnano i sacri testi evangelici b , questo Giacomo dunque, che gli antichi chiamavano " Giusto " per i meriti che guadagnò con la sua virtù, fu il primo, come dicono, a sedere sul trono episcopale della Chiesa di Gerusalemme. 3 . Clemen te, nel sesto libro delle Ipotiposi 3, così dice di lui: «Pietro, Gia como e Giovanni, dopo l'ascensione del Salvatore, pur essendo da lui onorati più di ogni altro, non rivendicarono per sé nes suna onorificenza, ma elessero Giacomo "il Giusto " vescovo di Gerusalemme». 4 . Lo stesso autore, nel settimo libro della me desima opera, parla ancora di lui dicendo: «A Giacomo "il Giusto " , a Giovanni e a Pietro il Signore, dopo la Resurrezio ne, diede la scienza, di cui essi poi fecero parte anche agli altri apostoli, e questi ai Settanta, uno dei quali era anche Barnaba. -
a
At 6, 3 -6.
b
Mt
l Cf. supra, l, 12, 3 .
l,
18.
2 li nome Stefano in greco significa 3 Per quest'opera cf. suprà l, n. 79.
corona (stéphanos) .
Libro II, l
93
5 . Ci furono due uomini di nome Giacomo: uno di loro, il
" Giusto" , fu buttato giù dal pinnacolo del Tempio e bastonato a morte da uno scardassatore 4; l'altro fu decapitato». Di Gia como il " Giusto " fa menzione anche Paolo scrivendo: Non vi di nessun altro degli apostolz; se non Giacomo, il fratello del Si gnore c . 6. Intanto ebbe compimento anche la promessa del nostro Salvatore al re degli Osroeni. Infatti Tommaso, per ispirazione divina, mandò Taddeo a Edessa a predicare ed annunciare l'in segnamento di Cristo, come abbiamo poco prima illu strato ri portando la lettera là ritrovata 5. 7. Egli, giunto in quei luoghi, guarì Abgar con la parola di Cristo e lasciò sbigottiti tutti gli abitanti con l'eccezionalità dei suoi miracoli; e, dopo averli ben disposti con le sue opere e averli spinti all'adorazione della po tenza di Cristo, li fece discepoli dell'insegnamento della salvez za. Ancora fino ai nostri giorni tutti gli abitanti della città degli Edesseni si sono dati con tutto se stessi al nome di Cristo, of frendo così una prova considerevole della benevolenza del no stro Salvatore anche verso di loro. 8 . Queste cose si desumano dagli antichi; ora invece ritor niamo alla Sacra Scrittura. Al tempo del martirio di Stefano gli stessi Giudei si fecero promotori della prima e più grande per secuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti i discepoli, ad eccezione soltanto dei Dodici, si dispersero per la Giudea e la Samaria. Alcuni, come dice la Sacra Scrittura d , giunsero fino in Fenicia, Cipro ed Antiochia, ma non osarono predicare ai pa gani la dottrina della fede, ma ai soli Giudei. 9 . In quel tempo anche Paolo portava rovina alla Chiesa; entrava infatti nelle ca-
d
c
Gal 1 , 19.
4
Operaio che lavora la lana pettinandola e lisciandola con lo scardasso.
5 Cf supra, I, 1 3 .
At 1 1 , 19.
94
Storia ecclesiastica
se dei fedeli e ne trascinava fuori a forza uomini e donne, fa cendoli poi gettare in carcere. 10. Anche Filippo, uno di quelli nominati diaconi insieme con Stefano, si trovava fra i dispersi; giunto in Samaria, ricolmo della potenza divina, fu il primo a predicare agli abitanti la parola di Dio. La grazia divina agiva in lui a tal punto da conquistare con le sue parole con molti altri anche Simon Mago 6 . 1 1 . In quel tempo il famoso Simone ave va un tale p otere su coloro che ingannava con le sue arti magi che da essere ritenuto la grande potenza di Dio. Allora, sorpre so anch'egli dai miracoli prodigiosi compiuti da Filippo con l' aiuto della potenza divina, si infiltrò tra i cristiani e finse di ac c ettare la fede in Cristo, facendosi persino battezzare e . 12. De sta meraviglia che questo venga ancora oggi compiuto da colo ro che appartengono alla immondissima setta da lui fondata; questi infatti, introducendosi nella Chiesa come peste e scabbia col metodo del loro fondatore, causano profonda corruzione in coloro nei quali riescono a iniettare il veleno incurabile e terri bile nascosto in loro. Ormai molti di costoro sono stati scaccia ti, quando palesarono la loro malvagità; anche Simone ebbe il meritato cas tigo, qu an do Pietro ne svelò la vera natura f. 13 . Diffondendosi di giorno in giorno sempre più la dot trina del Salvatore, un disegno divino condusse dalla terra de gli Etiopi un ministro della regina di quel luogo - infatti, sulla base di una tradizione patria, quel popolo è governato ancora oggi da una donna -; questi fu il primo fra i pagani che Filip po, in seguito ad una apparizione del Verbo divino, rese parte cipe dei misteri della parola di Dio, facendolo così primo dei fe deli nel mondo
g.
La tradizione dice che, fatto ritorno in patria,
si fece nunzio per primo della conoscenza del Dio dell'univer so e della venuta vivifica fra gli uomini del nostro Salvatore, e
Cf. At 8, 9-13.
6
Su di lui cf. in/ra, 13.
f Cf.
At 8, 18-23 .
g Cf. At
8, 26-39.
Libro II,
95
1 -2
dando così compimento, con la sua opera, alla profezia che di ce: !}Etiopia tenderà per prima la sua mano a Dio h . 14. In quel tempo Paolo, vaso di elezione, veniva designato apostolo, non però da uomini e neppure per intermediazione di uomini, ma per la rivelazione di Gesù Cristo in persona e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti, poiché è stato reso degno di essere chiamato con una visione, accompagnata da una voce celeste. 2 . L'IMPRESSIONE DI TIBERIO NELL'ASCOLTARE DA PILATO LA STORIA DI CRISTO l . E quando il miracolo della Resurrezione del nostro Sal vatore e la sua ascesa al cielo erano ormai noti ai più, Pilato, se condo un'antica usanza che imponeva ai governatori di comu nicare all'imperatore ciò che di nuovo accadeva nei loro terri tori affinché egli fosse al corrente di ogni cosa, riferì all'impe ratore Tiberio i fatti riguardanti la resurrezione dai morti del nostro Salvatore Gesù, ormai nota a tutti gli abitanti dell'intera Palestina. 2. Informandolo degli altri suoi miracoli e della sua resurrezione dopo la morte, gli disse che dai più era ritenuto Dio. Si dice che Tiberio abbia sottoposto ciò che aveva appre so al giudizio del Senato, che rifiutò di dare però la propria ap provazione, in apparenza perché non era stato richiesto prima il suo parere - vigeva infatti un'antica legge secondo la quale i Romani non dovevano riconoscere nessuno come Dio se non per deliberazione e decreto del Senato 7 , ma in realtà perché l'insegnamento salvifico dell'annuncio divino non aveva biso gno del giudizio e dell'approvazione degli uomini. 3 . Così dun-
h
Sal 68, 32.
7 Questa disposizione è nota da Cicerone, Leggi, II, 18, 19, da Tito Li vio, Annali, IX, 46 e da Tertulliano, Alle nazioni, l, 1 0 .
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que il Senato romano non ratificò ciò che era stato sottoposto alla sua approvazione riguardo al nostro Salvatore; ma Tiberio rimase saldo nella sua precedente opinione·, e non mosse alcu na ostilità contro l'insegnamento di Cristo 8, 4. Tertulliano 9, co noscitore esperto del diritto romano, e del resto uomo famoso e fra i più illustri della Roma del suo tempo, parla di questi fat ti nell'Apologetico, da lui composto in lingua latina e da me poi tradotto in greco. Ecco le sue testuali parole: 5 . «Per parlare dall'origine di siffatte leggi, era antico decreto che nessuno do veva essere consacrato dio dall'imperatore senza previo con senso del Senato. Così fece Marco Emilio riguardo ad una di vinità di nome Alburno 10. E ciò ritorna a vantaggio della no stra tesi, che tra voi la divinità viene conferita da un decreto de gli uomini. Se un dio quindi non piace ad un uomo, non viene ritenuto tale; così, secondo questo principio, conviene che l'uo mo mostri il suo favore a Dio, e non viceversa. 6. Tiberio per8 La notizia di questo resoconto a Pilato e dell'atteggiamento di Tibe rio e del Senato non è attestata né in Tacito né in Svetonio né in Flavio Giu seppe ma solo in scrittori cristiani (Giustino, I Apologia, 35, e Tertulli ano, Apologetico, 5, 2). Essa è pertanto da ritenere frutto di un'invenzione dei Cri stiani per spiegare l'assenza di persecuzioni durante il regno di Tiberio. 9 Oratore e apologeta cristiano nato intorno al 160 d. C. a Cartagine. Si convertì ancora in giovane età al Cristianesimo, da cui poi si allontanò ab bracciando prima il Montanismo e fondando poi una propria setta, ispirata ad un estremo rigore morale, i cui seguaci furono detti tertullianisti. Fu scrit tore di ingegno abile e fecondo, come dimostrano le sue innumerevoli opere. Di esse Eusebio sembra conoscere solo l'Apologetico, menzionato anche a II, 25 , 4 ; III, 20, 7; 33, 3 ; V, 5, 5; 5, 7. Si tratta di un'apologia della fede cristia na composta alla fine del l97, in cui l'autore da un lato confuta, con un'ag gressività che non ha riguardi neppure per l'imperatore e i filosofi allora illu stri, le accuse di adulterio, cannibalismo e incesto che i pagani muovevano ai cristiani, dall'altro dimostra la superiorità della religione cristiana su quella pagana. Non è questo il luogo per elencare tutte le altre opere dell'autore, del resto assai numerose. Per esse cf. B. Altaner, Patrologia, Casale Monferrato 1977' (I ed. 1 968) , pp. 15 1 - 1 66. I O Marco Emilio Scauro, console nel 1 15 a.C., tentò di introdurre a Ro ma il culto di Alburno, una divinità dei Galli Carnici, da lui sconfitti, violan do così la legge in questione, per la quale cf. n. 7 . ,
Libro II,
2-3
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tanto, sotto il quale il nome dei cristiani entrò nel mondo, non appena Pilato gli rese nota dalla Palestina, dove essa ha avuto origine, la nostra dottrina, ne diede notizia al Senato, palesan do la sua approvazione. Ma il Senato non diede la propria, per ché non era stata richiesta prima la sua opinione; ma l'impera tore restò saldo nella sua deliberazione, lanciando minacce di morte contro gli accusatori dei cristiani» n . La divina Provvi denza aveva infatti infuso, secondo l'economia 12, una simile di sposizione d'animo in quell'imperatore, affinché la parola del Vangelo nascesse senza impedimento e si diffondesse in ogni angolo della terra. 3 . COME, IN POCO TEMPO, LA DOTTRINA DI CRISTO SI PROPAGÒ IN TUTTO IL MONDO
l . Così, con l'aiuto della potente forza celeste, la parola della salvezza, come un raggio di sole, portava la luce sul mon do intero. Subito, per usare le parole della Sacra Scrittura, per tutta la terra si propagò la voce dei suoi divini evangelisti ed apostoli, e le loro parole giunsero fino ai confini del mondo i. 2 . In ogni città e villaggio molte Chiese erano piene d i fedeli, co me aie straripanti di grano; e coloro che, per tradizione atavica e per l'antico errore, avevano l'animo irretito nell'antica malat tia della superstizione dell'idolatria, ne furono liberati come da tremendi patroni dalla potenza di Cristo grazie all'insegnamen to e ai miracoli dei suoi discepoli. Sciolti così da terribili cate ne, rinnegarono ogni politeismo come opera demoniaca, e cre dettero nell'esistenza di un solo Dio, creatore dell'universo, che i
Sal 1 9, 5 .
1 1 Apologetico, 5 , 1 -2 . 12 Sul concetto di economia cf. supra, I, n. 5 .
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adorarono con i precetti di una vera religione e con la pietà di vina e saggia comunicata dall'insegnamento del nostro Salvato re alla vita degli uomini. 3 . La grazia divina si diffondeva ormai anche presso altri popoli, e per primo Cornelio 13, a Cesarea di Palestina, in seguito ad una visione divina e all'aiuto di Pietro, abbracciò la fede in Cristo con tutta la sua famiglia i. Ad An tiochia poi il nome dei Cristiani si riversò per la prima volta con l'impetuosità di una ricca e vitale sorgente. La Chiesa di questa città, grazie alla presenza di moltissimi profeti di Gerusalemme, e con loro di Barnaba, Paolo e di molti altri fratelli, fioriva e si popolava sempre più di molti altri Greci, ai quali avevano pre dicato coloro che si erano dispersi durante la persecuzione con tro Stefano k . 4. Poiché Agabo, uno di quei profeti che era con loro, vaticinò una imminente carestia, da qui Paolo e Barnaba furono inviati a Gerusalemme per portare aiuto ai fratelli '· 4. COME, DOPO LA MORTE DI TIBERIO, GAIO NOMINA AGRIPPA RE DEI GIUDEI, CONDANNANDO ERODE ALL'ESILIO PERPETUO
l. Dopo la morte di Tiberio, che regnò per circa ventidue anni 1 4 , prese il potere Gaio 15 . Questi assegnò subito la corona di re dei Giudei ad Agrippa, designandolo signore della tetrar chia di Filippo e Lisania, alle quali, dopo non molto tempo, ag giunse anche quella di Erode 1 6 questi era il re sotto cui avven ne la passione del nostro Salvatore - che egli condannò all'esilio -
i Cf. At 10, 1 -3 3 .
k
Cf. A t 1 1 , 1 9-26.
I
Cf. At 1 1 , 27-30.
1 3 Era il comandante della legione romana di stanza a Cesarea. 14 Dal 14 al 37 d.C.
15 Altro nome dell'imperatore Caligola. 16 Per la tetrarchia di Filippo ed Erode cf.
trarca dell'Abilene.
supra, I, n. 4 1 . Lisania era te
Libro IL
3-5
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perpetuo 17 insieme alla moglie Erodiade, punendolo così per i suoi moltissimi delitti. Anche di ciò è testimone Giuseppe 1 8. 2 . Al tempo di Gaio ebbe grande fama Filone 19, uomo il lustre non solo tra noi, ma anche fra quanti provengono dalla cultura pagana. Discendeva da un'antica famiglia ebrea, e non era inferiore a nessuno degli uomini illustri di Alessandria. Con quanta e quale fatica egli si dedicò allo studio delle discipline teologiche ebraiche è chiaro a tutti dalla sua opera. E non c'è bisogno di aggiungere altro sul prestigio da lui raggiunto nella filosofia e nelle arti liberali delle scienze profane, poiché è no to che egli si distinse alquanto fra tutti i suoi contemporanei nel coltivare e nel seguire la filosofia di Platone e di Pitagora. 5. FILONE È INVIATO ALLA CORTE DI GAIO COME ANIBASCIATORE DEI GIUDEI l . Egli parla in cinque libri zo di ciò che accadde ai Giudei sotto Gaio e della follia di quest'ultimo, che si autonominò dio e fece abusi di potere di ogni genere, delle miserie dei Giudei sotto questo imperatore, dell'ambasceria che fece quando fu in-
17 Sull ' esilio di Erode cf. supra, I, 1 1 , 3 e n. 74. Antichità giudaiche, XVIII, 224 , 237, 252, 255 ; Guerra giudaica, II, 180-183 . 1 9 Dotto teologo giudeo, nato a d Alessandria fra il 15 e il 10 a.C. Nel 40 d.C. fu inviato dai Giudei di questa città a Roma come ambasciatore a di 1 8 Cf.
fesa delle tradizioni patrie violate d a Caligola, che cercò di introdurre proprie effigi nelle sinagoghe. Fu l'iniziatore del metodo allegorico nella interpreta zione delle Sacre Scritture, di cui fu esegeta indefesso (cf. a questo proposi to, il catalogo delle opere riportato da Eusebio al cap. 18). Centrale nel suo pensiero teologico è la concezione del Logos, considerato platonicamente la sede delle Idee, ossia dei modelli originari a cui Dio avrebbe guardato per creare il mondo. 20 Riferimento all 'opera Ambasceria a Gaio, che riporta gli avvenimen ti che videro protagonista Filone in qualità di ambasciatore dei Giudei.
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viato a Roma per difendere la causa dei suoi connazionali di Alessandria, e di come, presentatosi al cospetto di Gaio per di fendere le patrie leggi, non ebbe che risa e beffe, e per poco non mise a rischio anche la propria vita. 2 . Giuseppe fa menzione di questi episodi nel diciottesimo libro delle Antichità, scrivendo testualmente così: «E, scoppia ta una rivolta ad Alessandria tra i Giudei che ivi abitavano e i Greci 2 1 , ciascuna fazione scelse tre ambasciatori da mandare a Gaio. 3 . Di quelli degli Alessandrini uno era Apione 22 , che ri versò molte calunnie sui Giudei, accusandoli, fra l'altro, di non prestare i dovuti onori a Cesare: mentre infatti tutti i sudditi di Roma dedicavano altari e templi a Gaio e, fra le altre cose, lo accettavano tra gli dei, soltanto questi, diceva, ritenevano folle onorario con statue e prestare giuramento nel suo nome. 4 . Fi lone, capo della delegazione giudaica, uomo in ogni cosa illu stre, fratello dell' alabarca 23 Alessandro, e non digiuno di filo sofia, era in grado di difendere coloro che erano accusati con queste numerose e gravi ingiurie che Apione rivolgeva contro di loro, con le quali, come era verosimile, sperava di suscitare la collera di Gaio. 5 . Ma ciò gli fu impedito dall'imperatore, che gli ordinò di togliersi dai piedi, minacciando che nella sua ira avrebbe fatto senza dubbio qualcosa di terribile contro lui e i suoi compagni. Filone uscì coperto di contumelia, ed esortò i Giudei che erano con lui a farsi coraggio, perché Gaio, infie rendo contro di loro, si era ormai di fatto reso nemico a Dio» 24. 2 1 Q uesta rivolta scoppiò in seguito al tentativo di Caligola di intro durre proprie effigi nei luoghi di culto ebraici. I Greci di Alessandria si mo
strarono favorevoli all'imperatore, al quale chiesero di privare i Giudei della cittadinanza alessandrina. Poiché gli scontri divennero frequenti, entrambe le fazioni decisero di rimettere la questione a Caligola, alla cui corte inviarono ambasciatori. 22 Si tratta di quell'Apione contro cui Giuseppe Flavio scrisse la famo sa orazione Contro Apione, per la quale cf. in/ra, lll, n. 44. 23 Funzionario romano con mansioni prevalentemente fiscali. 24 Antichità giudaiche, XVTII , 257-260.
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6. Queste le parole di Giuseppe. Lo stesso Filone, nell'o pera da lui scritta, intitolata Ambasceria, racconta con precisio ne gli awenimenti; tralasciandone la maggior parte, racconterò soltanto quelli con i quali ai lettori possa essere chiaramente di mostrato che le sciagure di allora e quelle che di lì a poco si sa rebbero abbattute sui Giudei ebbero origine dalla loro effera tezza contro Cristo. 7. Filone narra 25 che sotto Tiberio, nella città di Roma, Seiano 26, uomo allora potentissimo alla corte im periale, fu il primo a rivolgere tutti i suoi sforzi all'annienta mento completo di tutto il popolo giudaico, e che in Giudea Pi lato, al cui tempo ebbe luogo la passione del Salvatore, portò fra loro grandissimo scompiglio, osando commettere nel Tem pio, che in quel tempo esisteva ancora a Gerusalemme, atti vie tati dalla Legge giudaica 27 .
6. l MALI CHE SI RIVERSARONO SUI GIUDEI IN SEGUITO ALL'UCCISIONE DI CRISTO l . Dopo la morte di Tiberio, prese il potere Gaio. Egli in flisse a molti tante sofferenze, ma soprattutto inveì contro l'in tero popolo giudaico, come è possibile apprendere in breve dalle seguenti parole di Filone, che dice testualmente: 2 . «La stranezza del comportamento di Gaio coinvolse tutti i popoli, ma in particolare quello dei Giudei, che lo odiava per avere in trodotto nelle sinagoghe delle altre città, a partire da quella di Alessandria, immagini e statue che lo raffiguravano (infatti la sciare che altri le dedicassero era come se le dedicasse lui stes25
A mbasceria a Gaio, 24-38.
26 Seiano era prefetto del pretorio sotto Tiberio. Fu condannato alla pena capitale nel 3 1 d. C. con l'accusa di avere ordito una congiura contro l'imperatore. 27 Riferimento all 'introduzione di statue che raffiguravano l'imperato re, di cui l'autore parla nel capitolo successivo.
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so con la propria autorità) , e per avere sconsacrato il Tempio che sorgeva sull'acropoli, trasformandolo in uno proprio dedi cato al nuovo Zeus Epifane Gaio. Esso era rimasto fino ad al lora inviolato ed aveva goduto di completo diritto di asilo» 2 8. 3 . Lo stesso autore racconta in un'altra opera, intitolata Sulle virtù, altri infiniti mali (che è impossibile qui compendia re) , che si abbatterono sui Giudei di Alessandria al tempo del già citato imperatore. Con lui concorda anche Giuseppe, che dice che le disgrazie che si riversarono sull'intero popolo giu daico ebbero inizio al tempo di Pilato e furono la conseguenza delle pene che inflisse al nostro Salvatore. 4. Ascolta i fatti che egli racconta nel secondo libro della Guerra giudaica, dicendo testualmente così: «Pilato, nominato da Tiberio procuratore 29 della Giudea, introdusse di notte a Gerusalemme, all'insaputa dei Giudei, le statue di Cesare, chiamate "insegne" . Quando, il giorno seguente, essi si accorsero dell'accaduto, organizzarono una grandissima rivolta; rimasero sbigottiti infatti ad una simi le vista, perché erano state violate le loro leggi. Esse proibivano che si ponessero immagini all'interno della città» 3o. 5 . Paragonando la narrazione di questi avvenimenti con quella che ne fanno i Vangeli, ci si accorgerà che dopo non mol to tempo si ritorse a danno degli stessi Giudei l'approvazione da loro manifestata allo stesso Pilato, davanti al quale essi gri darono di non avere altro re che Cesare. 6. Lo stesso storico narra inoltre che essi incorsero in un'altra disgrazia. Ecco le sue testuali parole: «Dopo ciò [Pilato] suscitò un'altra rivolta, uti lizzando il tesoro sacro, detto " corban " 3 1 , per costruire un ac-
28 Ambasceria
a Gaio, 43 . 2 9 Traduco con questo termine il greco epitropos, per il quale cf. supra, I, n. 39. 30 Guerra giudaica, Il, 169-170. 3 1 Era il tesoro sacro custodito nel Tempio. Era costituito dalle offerte raccolte dai Giudei per l'acquisto di animali destinati al sacrificio.
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quedotto lungo trecento stadi. 7 . Ciò causò il malcontento del p opolo, che riempì di insulti Pilato al suo ingresso a Gerusa lemme. Ma egli, che aveva già previsto la loro rivolta, mescolò alla folla soldati armati camuffati con abiti civili, a cui ordinò, quando egli avrebbe dato il segnale dalla tribuna, di non trafig gere i manifestanti con le spade, ma di colpirli con bastoni. Molti Giudei morirono, alcuni per le percosse, altri travolti nel la fuga dai compagni; la folla, impietrita dai mali che colpirono coloro che furono catturati, tacque» 32. 8 . Lo stesso autore attesta che, oltre a queste, molte altre sommosse scoppiarono a Gerusalemme, dimostrando come, da quel momento, rivolte, guerre e macchinazioni vicendevoli di mali non abbandonarono mai più la città e l'intera Giudea; es se continuarono fino all'assedio che ebbe luogo sotto Vespasia no 33 , ultima di tutte le loro sciagure. Questo fu il castigo inflit to ai Giudei dalla giustizia divina per la loro efferatezza contro Cristo. ·
7 . SUICIDIO DI PILATO l . Non è bene ignorare che al tempo del Salvatore, come si dice, lo stesso Pilato, sotto Gaio, il cui tempo stiamo illu strando, fu colto da tali mali da suicidarsi, divenendo così pu nitore di se stesso; la giustizia divina infatti lo raggiunse dopo poco tempo, come era verosimile. Raccontano ciò gli storici greci che, scrivendo la serie delle Olimpiadi, hanno fatto una esposizione ordinata di ciò che accadde in ciascuna di esse.
32 Guerra giudaica, II, 175-177.
33 Nel 66 d.C.
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8. LA CARESTIA SOTTO CLAUDIO l . A Gaio, che non detenne il potere neppure per quattro anni interi 34, succedette l'imperatore Claudio; sotto di lui una tremenda carestia flagellò il mondo intero (questo raccontano nelle loro opere storiche anche gli scrittori lontani dalla nostra fede 35) . Ebbe così compimento la profezia che, negli Atti degli Apostoli, il profeta Agabo pronuncia sulla imminente diffusio ne di una carestia su tutta la terra: 2 . in quest'opera Luca, in fatti, facendo cenno alla carestia che scoppiò al tempo di Clau dio, racconta che, per mezzo di Paolo e Barnaba, i fratelli di Antiochia mandarono aiuti a quelli della Giudea, ognuno in ba se alla propria possibilità m . Poi continua dicendo:
9. MARTIRIO DELL'APOSTOLO GIACOM O l . In quel tempo cioè sotto Claudio il re Erode 3 6 co minciò ad adoperarsi per infliggere mali ad alcuni membri della Chiesa, e fece passare a fil di spada Giacomo, fratello di Giovan ni n . 2. Su Giacomo Clemente, nel settimo libro delle Ipotiposi, riferisce una storia degna di ricordo, così come l'aveva appresa dagli scrittori a lui precedenti. Egli racconta che colui che ave va trascinato Giacomo in tribunale, rimasto colpito nel vederlo testimoniare Cristo, confessò di essere anch'egli cristiano. 3 . «Entrambi allora», dice, «furono portati via, e lungo la strada colui che aveva accusato Giacomo lo supplicò di perdonarlo. -
m At 1 1 , 28-3 0 .
-
n A t 12, 1 -2.
34 Regnò infatti dal 37 d.C. ai primi mesi del 4 1 d.C.
35 Cf. Suetonio, Vita di Claudio, 18; Cassio Dione, Storia romana, LX, 1 1 ; Tacito, Annali, XII, 43 .
3 6 Si tratta di Erode Agrippa, che fu design ato re della Giudea da Clau dio per averne appoggiato l'ascesa al trono.
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Ed egli, dopo avere un po' riflettuto, gli disse: "La pace sia con te" , e lo baciò. Così furono decapitati insieme». 4. Erode allora, come dice la Sacra Scrittura o , vedendo che l'uccisione di Giacomo gli aveva fatto ottenere l'approva zione dei Giudei, si volse anche contro Pietro, facendolo met tere in carcere; e l'avrebbe anche fatto uccidere se, per inter vento divino, un angelo, apparso di notte all'apostolo, non lo avesse liberato miracolosamente dalle catene e restituito al ser vizio della predicazione. Questo era infatti il disegno di Dio su Pietro. C OME AGRIPPA, DETTO ANCHE ERODE, FU PUNITO DALLA GIUSTIZIA DIVINA PER AVERE PERSEGUITATO GLI APOSTOLI
10.
l . Di lì a poco il re fu punito per la violenza mostrata con tro gli apostoli; la vendetta del ministro della giustizia divina lo colpì subito dopo il complotto ordito contro di loro. Egli, re catosi a Cesarea, come dicono gli Atti P, in un giorno di festa solenne, indossata una magnifica veste regale, prese a parlare al popolo dall'alto di una tribuna. Ma mentre tutti approvavano il suo discorso come fosse pronunciato dalla bocca di Dio e non di un uomo, un angelo del Signore, come narra la Scrittura, lo colpì all'improvviso; ed egli perì consumato dai vermi. 2. È mi rabile che il racconto di questo miracolo, che Giuseppe espo ne, chiaramente secondo verità, nel diciannovesimo libro delle Antichità, concordi esattamente con quello della Sacra Scrittu ra. Ecco le parole con cui egli racconta questo prodigio: 3 . «li viaggio di Erode a Cesarea, chiamata prima "torre di Stratone" , coincide con il terzo anno del suo regno sull'intera Giudea 37, o At 12, 3 - 1 7 .
P
At 12, 19, 2 1 -23.
37 L' anno indicato è il 44 d.C.
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Storia ecclesiastù:a
Qui indisse feste in onore di Cesare, dal momento che aveva sa puto della loro istituzione per implorare dagli dei la salute del l'imperatore, e vi invitò un gran numero di notabili della pro
vincia. 4. Nel secondo giorno dei festeggiamenti, sul far del giorno, si presentò nel teatro con una veste, stupenda a veder si, fatta tutta d'argento. n quale, illuminato dai primi raggi del sole, meravigliosamente risplendette, destando un non so qual timore in coloro che lo fissavano. 5 . Subito gli adulatori, chi da un lato chi dall'altro, lo invocavano come un dio con alte grida, che segnarono l'inizio della sua rovina. Dicevano: "Perdonaci, se fino ad oggi ti abbiamo riverito come uomo; da ora in poi in vece proclameremo che tu sei di natura superiore a quella di un mortale" . 6. li re non biasimò né respinse l'empia adulazione di costoro, causando così la propria rovina. Sollevato infatti poco
dopo lo sguardo, vide un angelo sulla sua testa 38. Subito, in tuendo che egli, un tempo causa di beni, era in quel momento invece causa di mali, ebbe una fitta al cuore, 7. a cui seguì su bito dopo un dolore al ventre, insopportabile già fin dal primo sorgere. E allora, volto lo sguardo verso gli amici, disse: "Io, che sono per voi un dio, ho ricevuto l'ordine di por fine alla mia vita: il destino infatti ha reso subito vane le vostre false grida di lode. Io, che da voi sono stato acclamato immortale, sono or mai colpito dalla morte. Bisogna che accetti il destino che Dio mi ha riservato, perché non sono vissuto miseramente, ma in una gioia che diveniva, di giorno in giorno, sempre più gran de" . Mentre parlava, era tormentato dall'intensità del dolore. 8. Subito fu condotto alla reggia; la notizia della sua morte ormai imminente si diffuse ovunque in poco tempo. E il popolo subi38 In questo punto la citazione di Giuseppe Flavio risulta alterata: nd lo storico ebraico si legge infatti che non un angelo, ma un gufo apparve ad Erode. L'apparizione dell'angdo è invece attestata in At 12, 23 . Eusebio, che sicuramente cita il passo in questione a memoria, fa confusione evidente mente fra le due fonti.
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to, comprese donne e bambini, indossato il cilicio, come impo neva la legge patria, implorava da Dio la guarigione del re; in tutta la città risuonavano grida di lamenti e pianto. Il re, che giaceva in una stanza del piano superiore del palazzo, guardan do verso il basso, scoppiò in lacrime nel vederli genuflessi. 9. Dopo essere stato tormentato per cinque giorni interi dai dolo ri al ventre, morì all'età di cinquantaquattro anni, dopo sette anni di regno 39, di cui quattro sotto Gaio Cesare - di questi tre nella triarchia di Filippo, e uno in quella d:l Erode - e tre da si gnore assoluto della Giudea, quale era stato designato dall'im peratore Claudio» 40, 10. Mi meraviglia il fatto che la narrazione che Giuseppe fa di questi avvenimenti e di altri ancora è altrettanto veritiera come quella della Sacra Scrittura. Ad alcuni che ne rilevano la discordanza sul nome del re, faccio osservare che il tempo e l'avvenimento dimostrano che si tratta della medesima persona, sia che il nome sia stato cambiato per un errore di trascrizione, sia che egli avesse, come molti altri, due nomi. 1 1 . IL MAGO TEUDA l . Luca, negli Atti q, ricorda anche Gamaliele 41 che, du rante il processo intentato agli apostoli, raccontò che al tempo oggetto della nostra indagine Teuda si ribellò affermando di es sere qualcuno; ma fu ucciso e tutti coloro che lo avevano se guito furono dispersi. Ma lasciamo la parola a Giuseppe che,
q A t 5 , 34-36.
3 9 Erode Agrippa regnò infatti dal 42 al 48 d.C.
40 Antichità giudaiche, XIX, 343 -35 1 . 4 1 Era un fariseo della scuola di Hillel. Fu maestro di Paolo, come at
testano At 22, 3 .
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nell'opera sopra citata, dice di lui testualmente così 2 . : «Quan do Fado era procuratore della Giudea 42 , un mago di nome Teuda persuase gran parte del popolo a prendere le proprie ric chezze e a seguirlo fin sulle rive del Giordano; si vantava infat ti di essere profeta, e diceva che, dividendo con un solo cenno le acque del fiume, avrebbe dato loro facile passaggio. Ingannò molti con simili menzogne. 3 . Fado non permise che essi traes sero vantaggio dalla sua pazzia, e gli inviò contro uno squadro ne di cavalleria che, piombato su di loro con improwisa e ina spettata carica, uccise molti, e molti prese vivi; fra questi era an che lo stesso Teuda, cui tagliarono la testa, che portò poi a Ge rusalemme» 43 . Oltre queste cose, ricorda la carestia che scop piò sotto Claudio, dicendo: 12. ELENA, REGINA DELL'ADIABENE l . «Inoltre una grande carestia si diffuse in Giudea 44 , du rante la quale la regina Elena comprò a caro prezzo grano dal l'Egitto, che distribuì a coloro che ne avevano bisogno» 45 . 2 . Come si è visto 4 6 , ciò trova riscontro negli Atti degli Apostoli, in cui si narra che ognuno dei discepoli di Antiochia stabilì di mandare, ciascuno in base alla propria disponibilità, aiuti agli abitanti della Giudea. E tradussero in pratica questo proposito, mandando soccorsi ai presbiteri per mezzo di Paolo e Barnaba r. 3 . E ancora oggi di Elena, di cui lo storico fa menr
At 1 1 , 29-30.
42 Morto Erode Agrippa (44 d.C.), la Giudea fu affidata al governo del procuratore C. Cuspio Fado, che rimase in carica fino al 46 d.C. 43 Antichità giudaiche, XX, 97-98. 44 Ciò avvenne nel 46 d.C., anno· in cui divenne governatore della Giu dea Tiberio Alessandro, successore di Fado. 45 Antichità giudaiche, XX, 1 0 1 . 46 Cf. supra, 8, 2 .
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zione, esistono magnifiche stele nei dintorni dell'attuale Elia 47; e si diceva che essa era regina del popolo dell' Adiabene 48. 13 . SIMON MAGO l . Quando la fede nel nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo si era ormai diffusa presso tutti gli uomini, il nemico del la salvezza umana macchinava per conquistare a· sé, prima di qualunque altra, la città degli imperatori 49, inviandovi il già menzionato Simone. Questi, incantando con le sue arti magiche molti degli abitanti di Roma, li trascinava nell'errore. 2. Questo dice Giustino 50, che visse non molto tempo dopo gli apostoli, nella sua Apologia; di lui riferirò ciò che lo riguarda al momen to opportuno 51 . Egli, nella I Apologia, rivolta ad Antonino 52 in difesa della nostra fede, così dice: .3 . «Dopo l'ascensione del Si gnore al cielo, i demoni spinsero alcuni uomini a prodamarsi dei; costoro non solo non li avete perseguitati, ma li avete per sino resi degni di onori; così avete fatto con Simon Mago di Sa maria, del villaggio detto Ghitton; costui, che al tempo dell'im peratore Claudio, nella città regale di Roma, esercitava la magia 47 L'imperatore Elio Adriano ( 1 17 -138 d.C.) conferì questo nome alla nuova città di Gerusalemme, da lui poco prima distrutta per punire la rivol ta di Bar Kocheba, scoppiata nel 132 (cf. anche in/ra, IV, 6, 4). 4 8 Regione settentrionale dell a Mesopotamia. 49 Cioè Roma. 5 0 Dotto teologo cristiano nato a Flavia Neapolis in P ale s tina nel l OO d. C. Dopo aver abbracciato la filosofia greca, in particolare quella platonica, si convertì al Cristianesimo, come egli accenna in II Apologia, 12, 1 -2 e riferisce più diffusamente nel Dialogo con Trz/one, 2-8 (cf. anche in/ra, IV, 8, 5 ) . De nunciato poi dal filosofo cinico Crescente, morì martire nel 165 d.C. Sulle opere cf. in/ra, IV, 18. 5 1 Cf. in/ra, IV, 16-18. 52 D riferimento è ad Antonino Pio, imperatore dal 138 al 1 6 1 d.C. L'o pera in verità non è indirizzata solo a questo imperatore, ma anche a Marco Aurelio, Lucio Vero, al Senato e al popolo di Roma.
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con l'abilità dei demoni potenti, lo avete considerato Dio e onorato come tale dedicandogli, tra i due ponti del fiume Te vere, una statua con incisa questa iscrizione in lingua latina: SI MONI DEO SANCTO, che vuoi dire "A Simone, Dio, San to " 53 . 4. E quasi tutti i Samaritani, ma pochi altri in altre na zioni, lo hanno riconosciuto e adorato come primo Dio. Chia mano sua prima Idea una certa Elena, che in quel tempo lo se guiva, una volta prostituta» 54 a Tiro di Fenicia. 5. Questo dice Giustino. Con lui concorda anche Ireneo 55 , che nel primo li bro dell'opera Contro le eresie, scrive intorno all'uomo e alla sua empia e impura dottrina 56. Sarebbe superfluo riferire ades so le sue parole, dato che coloro che vogliono possono leggere nella citata opera le origini e le biografie degli eresiarchi che si sono succeduti dopo di lui, le dottrine dei loro falsi dogmi e i principi a tutti loro cari, temi che Ireneo ha trattato dettaglia tamente. 6. Abbiamo imparato da lui che capo assoluto di ogni eresia è Simone; da costui fino ai nostri giorni coloro che ab bracciano la sua dottrina fingono di seguire la filosofia dei cri stiani, nota universalmente per saggezza e purezza di vita; ma non per questo non perseverano nella loro superstizione idola trica, cui in apparenza hanno rinunciato, inginocchiandosi di fronte ai libri e alle immagini dello stesso Simone e della già nominata Elena, sua compagna, che ancora continuano ad ado53 La notizia è storicamente errata. Giustino confonde infatti Simone con Semone, un'antica divinità umbra e sabina del patto e della fedeltà, il cui culto è attestato dall'iscrizione, qui citata solo in p arte da Eusebio, SEMONI SANCTO DEO FIDIO SACRUM, incisa su un'ara trovata nel 1574 nell'iso la Tiberina, da una statua che raffigura il dio in modo simile ad Apollo, e da un'iscrizione trovata sul Quirinale. Su questo passo di Giustino cf. anche Ter tulliano, I:anima, 34 .
54 I Apologia, 26, 1 -3 . 5 5 Originario dell'Asia Minore, Ireneo è il più importante teologo del la seconda metà del II secolo. Su di lui cf. anche infra, V, 20; 26 e l'ampia trat tazione in M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 86-92 . 56 Contro le eresie, I, 23 , 1 -4.
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rare con incensi, sacrifici e libagioni. 7 . I loro culti più segreti che, come si dice, colpiscono e, per usare un loro termine, " stordiscono " l'anima di coloro che per la prima volta li ascol tano, sono talmente pieni di " stordimento" , di delirio e di paz zia da non potersi non solo riferire in quest'opera, ma neppure proferire dalle labbra di uomini probi per l'eccesso di turpitu dine ed oscenità. 8. La loro esecranda dottrina supera di gran lunga tutto ciò che di più lercio di ogni turpitudine si potrebbe pensare: coloro che la professano infatti abusano di donne me schine, ricolme di ogni genere di vizi. 14. LA PREDICAZIONE DELL'APOSTOLO PIETRO A ROMA l . La nemica potenza, ostile alla salvezza degli uomini, era in Simone, male esiziale, che essa rese padre e artefice di sì grandi mali in quel tempo e grande nemico degli incliti e divi ni apostoli del nostro Salvatore. 2. Tuttavia la grazia divina e ce leste venne in aiuto dal cielo ai suoi servi, spegnendo veloce mente la fiamma del Demonio, sempre desta a causa della ve nuta e della presenza di tali uomini malvagi, eliminando e ab battendo ogni altezza orgogliosa che si opponeva alla conoscenza di Dio s. 3 . Nessuna insidia di Simone o di qualcuno dei suoi se guaci si affermò perciò nel tempo apostolico; la luce della ve rità trionfava su tutto, e dominava su ogni cosa lo stesso Verbo divino, che dal cielo risplendeva sugli uomini, affermandosi sulla terra e dimorando presso i propri apostoli. 4. Ma subito il mago già menzionato, come se gli occhi della sua mente fosse ro stati colpiti da un bagliore divino e prodigioso, non appena le sue macchinazioni in Giudea furono portate alla luce dall'a postolo Pietro t, intraprese un lunghissimo viaggio oltre mare,
s 2 Cor 10, 5 .
t
Cf. At 8, 18-23 .
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fuggendo dall'Oriente in Occidente, dove, credeva, gli sarebbe stato possibile vivere secondo i suoi desideri. 5. Giunto nella città di Roma, sorretto nei suoi grandi progetti dalla potenza che lo proteggeva, in poco tempo fece Ùtli prodigi da essere onorato come un dio dagli abitanti di quella città con la dedica di una statua 57 . Ma il successo non ebbe lunga durata. 6. Sotto il regno di Claudio la Provvidenza universale, sommo bene e vi cinissima agli uomini, condusse a Roma, contro un sì grande corruttore della vita, Pietro, forte e grande fra gli apostoli, loro guida per la sua virtù. Questi, combattendo, come un nobile condottiero di Dio, con armi divine, portava dall'Oriente in Occidente la mercanzia pregiata della luce spirituale, diffon dendo l'annuncio del regno dei cieli, luce e parola salvatrice di anime. 15 . IL VANGELO SECONDO MARCO l . Così dunque, diffondendo fra gli abitanti di Roma la pa
rola divina, Pietro pose subito fine alla potenza di Simone. La luce della santità risplendette a tal punto nelle menti di coloro che ascoltavano Pietro che non era per loro più sufficiente udirlo una sola volta. Non bastava più neppure l'insegnamento orale della parola divina: scongiurarono infatti Marco (di cui ci è pervenuto il Vangelo) , seguace di Pietro, con preghiere di ogni tipo di lasciare un resoconto scritto dell'insegnamento che egli aveva dato loro oralmente; e non desistettero dalla loro in sistenza finché non vennero esauditi. Furono così causa della redazione del Vangelo detto " secondo Marco " . 2 . L'apostolo Pietro, come si dice, saputo il fatto per rivelazione dello Spiri to, gioì del loro zelo e acconsentì alla lettura del testo nelle
57 Cf. supra, 13
e n.
53 .
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Chiese_ Clemente riferisce questa notizia nel sesto libro delle Ipotiposi, e con lui concorda anche Papia, vescovo di Ierapo li 5 8 . Pietro fa menzione di Marco nella sua prima lettera che, a quanto si dice, compose proprio a Roma, come egli stesso atte sta, chiamando la città metaforicamente Babilonia quando af ferma: Vi saluta la Chiesa di Babilonia e Marco, mio figlio u .
16.
MARCO PER PRIMO PREDICÒ AGLI EGIZIANI LA CONOSCENZA DI CRISTO
Si dice che Marco, mandato in Egitto, fu il primo a diffondervi il Vangelo che egli compose e ad istituire Chiese nella stessa Alessandria. 2. Grazie alla saggezza e allo zelo del suo modo di vita, il numero dei fedeli, uomini e donne, au mentò a tal punto che Filone reputò degno riferire per iscritto delle loro controversie, riunioni, banchetti e della loro condot ta di vita 59. l.
17. IL RACCONTO DI FILONE SUGLI ASCETI D'EGITTO l . Si dice che quest'ultimo, al tempo di Claudio, sia anda to a Roma per parlare con Pietro, che lì allora predicava. Ciò è verosimile, poiché proprio l'opera già citata, da lui composta negli anni successivi, riferisce chiaramente le regole della Chieu
l Pt 5, 13 .
5 8 Di Pap ia, vissuto tra il I e il II secolo d.C. a Ierapoli in Frigia, di cui fu anche vescovo, sappiamo solo che udì l'insegnamento di Giovanni e fu amico di Policarpo (cf. Ireneo, Contro le eresie, V, 33 , 4). Per le op ere cf. in
/ra, ill, 39.
59 A questi argomenti l'autore dedicò l'opera dal titolo La
plativa, citata da Eusebio a 17, 3 .
vita contem
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sa rispettate ancora fino ai nostri giorni. 2 . Dalla sua descrizio ne precisa e minuziosa della vita dei nostri asceti risulta chiaro che egli non solo li conosceva personalmente, ma anche che li celebrava, li ammirava e li riveriva come apostoli del suo tem po. Essi, come è verosimile, erano di origine ebraica, e per que s t o osservavano ancora gran parte delle antiche usanze giudai che. 3 . Fin dal principio dell'opera intitolata La vita contempla tiva o i supplicanti Filone dice fermamente di non avere inten zione di introdurre false notizie o racconti derivanti dalla sua personale fantasia nei fatti che stava per raccontare 60. Afferma poi che gli uomini erano detti terapeuti, e le donne che stavano con loro terapeute 6 1 , spiegando tale denominazione o col fatto che essi guarivano e curavano le anime di quanti a loro si rivol gevano, liberandole come medici dai mali causati dalla malva gità 62 , o con la loro devozione pura e genuina a Dio 63 . 4. E non è necessario discutere a lungo se egli per primo abbia usato questo nome in riferimento all a condotta di vita di quegli uo mini, o se già altri prima di lui lo abbiano adoperato, quando ancora la dottrina cristiana non era diffusa nel mondo intero. 5 . Per prima cosa egli è testimone della loro rinuncia alle ricchez ze, dicendo che non appena cominciavano a vivere secondo saggezza, cedevano tutti i loro beni ai parenti 64 ; abbandonata così ogni preoccupazione terrena, lasciavano le città per anda re a vivere nei campi in solitudine e nei giardini: sapevano be ne infatti che ogni rapporto con uomini diversi da loro sarebbe stato inutile e dannoso 65 , poiché essi, agendo in quel modo, co6 0 Filone, p . 47 1 , 6-7 . 6 1 I Terapeutidi d'Egitto, che Filone descrive come cristiani, erano in vece una setta giudaica dedita ad una vita monastica, simile, forse, a quella nota dai manoscritti di Qumran. 62 Terapeuti deriva infatti dal verbo greco therapetlo, che significa "guarire" . 6 3 Filone, p . 47 1 , 15; p . 4 7 2 , 3 . 64 Filone, p . 473 , 1 8-22. 65 Filone, p . 474 , 17-34.
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me è verosimile, cercavano di imitare la vita dei Profeti con fe de molto sincera e fervente. 6. Anche gli Atti degli Apostoli, opera di indiscussa autenticità, attestano che tutti i discepoli degli apostoli, venduti i loro beni e le loro sostanze, ne divide vano il ricavato a tutti in base alla necessità di ciascuno, perché nessuno tra loro rimanesse nel bisogno v . Tutti quelli che pos sedevano terre o case, come recita il testo, le vendevano e ne portavano il ricavato ai piedi degli apostoli, perché fosse dato a ciascuno secondo il suo bisogno "'· 7 . Dopo aver riferito usanze simili a quelle ora esposte, Filone continua dicendo: «Questo genere di uomini si trova in ogni parte del mondo: bisognava infatti che sia la Grecia sia i barbari partecipassero del bene perfetto; ma in Egitto, in ognuno dei cosiddetti "nomi" 66, so no più numerosi, e in special modo nella regione intorno ad Alessandria. 8. Da ogni luogo i migliori, come ad una patria di terapeuti, inviano loro una colonia in un luogo prefissato, che si trova su una collinetta situata al di là del lago Mareotide 67 , molto adatto per la sua sicurezza e la salubrità dell'aria» 6 8 . E poi, dopo aver riferito come erano costruite le loro dimore, ri porta queste notizie sulle Chiese sorte in quella regione: 9. «In ogni casa vi è una stanza sacra, detta santuario e monastero, in cui si ritirano per celebrare i misteri della santa vita, non por tando null a con sé, né bevanda né cibo né niente di ciò che ser ve a soddisfare i bisogni del corpo, ma canti, profezie, inni e al tre cose con cui ampliare e perfezionare la scienza e la devozio ne» 69. Poi aggiunge: 10. «Trascorrono tutto il tempo, da matti-
v At 2, 45 .
w
At 4, 34-35 .
66 n termine designava ogni singola area giurisdizionale in cui era diviso l'Egitto. 67 Lago sito a sud di Alessandria. 68 Filone, p. 474, 35-44. 69 Filone, p. 475 , 14-22 .
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na a sera, ad esercitare continuamente il loro spirito alla vene razione. Studiando le Sacre Scritture, interpretano la filosofia degli avi mediante l'allegoria, poiché ritengono l'interpretazio ne letterale simbolo di una realtà nascosta, conoscibile con l'in terpretazione allegorica. 1 1 . Hanno anche opere di antichi scrittori, fondatori della loro setta, che hanno lasciato molte tracce dell a loro sapienza in forma allegorica; di queste fanno uso come di modelli, per imitare il loro modo di vivere» 7o. 1 2 . Queste cose è parso opportuno dire a questo autore, che li ha sentiti di persona spiegare le Sacre Scritture; ed è molto verosi mile che quelle opere degli antichi, che lo scrittore dice essere da loro possedute, siano i Vangeli, gli scritti degli apostoli, e forse alcune spiegazioni degli antichi profeti, come quelle pre senti nella Lettera agli Ebrei e in molte altre lettere di Paolo. 13 . Così dice poi sul fatto che essi scrivevano nuovi Salmi: «Non si danno solo alla meditazione, ma scrivono anche canti e inni a Dio in ogni genere di metri e melodie, facendo ricorso necessa riamente a ritmi gravi» ì l . 14. In quella stessa opera Filone rife risce molte altre notizie su di loro; ma a me è sembrato neces sario dovere scegliere quelle da cui potessero risaltare le pecu liarità della loro vita ecclesiastica. 15. Ma se a qualcuno sembra che le cose dette non siano proprie di una vita vissuta secondo il Vangelo, ma si possano dire anche di altri, oltre che delle per sone in questione, si persuada del contrario alla seguente testi monianza di Filone, in cui ognuno, se sarà obiettivo, potrà tro vare un'inconfutabile prova a questo riguardo. Dice Filone: 16. «Pongono come fondamento dell'anima la temperanza, da cui fanno derivare le altre virtù. A nessuno di loro è consentito mangiare o bere prima del calar del sole, poiché reputano l'at tività mentale degna di essere esercitata alla luce del giorno, e i bisogni del corpo di essere soddisfatti di notte; per cui riserva70 Filone, pp. 475 , 34 - 476, 2 . 7 1 Filone, p . 476, 2-5 .
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no all a contemplazione il giorno, alle esigenze materiali una pic
cola parte della notte. 17. Alcuni poi, nei quali è maggiore il de siderio della conoscenza, dimenticano di mangiare anche per tre giorni; altri godono e sono così felici di nutrirsi con la scien za, che elargisce loro i dogmi con abbondanza e generosità, da digiunare per un tempo doppio, ormai awezzi a nutrirsi del ne cessario una volta ogni sei giorni» n. Ritengo che queste parole di Filone riguardino in modo chiaro ed ineccepibile i seguaci della n o stra religi on e 1 8 . Ma se qualcuno persevera ancora nel l'opporsi a queste prove, deponga pure la sua diffidenza, pre stando fede a più inoppugnabili argomenti , che non è possibile reperire se non nella religione cristiana fondata sul Vangelo. 1 9 . Lo stesso autore dice 7 3 che con questi uomini, di cui sto parlando, c'erano anche donne, la maggior parte delle qua li rimaste vergini fino alla vecchiaia per avere avuto cura della propria purezza, non perché obbligate dalla necessità, come fanno alcune sacerdotesse tra i Greci 74, ma piuttosto per vo lontaria decisione, perché desiderose di vivere con zelo e desi derio di sapienza, rinunciando ai piaceri del corpo: è loro aspi razione infatti avere non discendenti mortali, ma immortali, quali soltanto 1' anima che ama DJ. o può da sé generare. 20. Più avanti spiega queste cose in modo più esplicito: «Spiegano al legoricamente le Sacre Scritture. Tutta la Legge è da loro para gonata ad un essere vivente, il cui corpo è costituito dall'ordi ne delle parole, l'anima dal senso invisibile in esse nascosto, che la setta in questione ha cominciato a contemplare con più at tenzione, come se vedesse riflettersi, nello specchio delle paro.
7 2 Filone, p. 476, 36-49. 7 3 Filone, p. 482, 3 - 1 1 . 7 4 L e sacerdotesse greche avevano l'obbligo di mantenere l a verginità
fino al momento della consacrazione. La loro osservazione della purezza era pertanto temporanea; cf. a questo proposito Pausania, Periegesi, VI, 20, 2; VIII, 13 , l ; Plutarco, Vita di Numa, 9.
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le, pensieri di infinita bellezza» 75 . 2 1 . Bisogna aggiungere a queste notizie anche quelle riguardanti le loro riunioni, il mo do di vita proprio degli uomini e quello proprio delle donne, e le pratiche che per tradizione anche noi siamo soliti osservare ancora oggi, in modo particolare nella festa della passione del Salvatore: digiuni, veglie e meditazioni sulle Sacre Scritture. 22. n già citato autore riferisce tutto ciò nella propria opera 7 6 , de scrivendo nei minimi particolari quelle tradizioni che soltanto noi, fino ad oggi, abbiamo conservato: le veglie in occasione della Pasqua, i riti in esse compiuti e gli inni che noi siamo so liti cantare, durante i quali, mentre uno canta un salmo secon do un ritmo preciso, gli altri, ascoltando in silenzio, si unisco no soltanto nelle parti finali. Racconta inoltre 77 che essi, nei giorni citati, dormono su stuoie, e per usare le sue stesse paro le, «non assaggiano affatto vino», non mangiano carne, ma be vono solo acqua, e loro companatico sono sale e issopo 7 8 . 23 . Inoltre parla del modo in cui coloro che ricoprono cariche ec clesiastiche esercitano la propria autorità, del diaconato e del l' autorità del vescovo su tutti 79. Coloro che vogliono conosce re con più precisione questi temi, possono apprenderli dalla già citata opera di Filone. 24. È a tutti chiaro che egli ha scritto di questi argomenti per descrivere coloro che, per primi, hanno diffuso l'insegnamento del Vangelo e le tradizioni trasmesse da gli apostoli fin dal principio.
75 Filone, pp. 483 , 42 - 484, l . 7 6 Filone, p . 476, 23 -34; p. 4 8 1 , 22-24; p . 484, 33-34. 77 Filone, p . 482 , 18-2 1 ; p. 483 , 4-10; p. 484, 10-2 1 . 7 8 Pianta aromatica usata dai sacerdoti ebrei nei riti di purificazione. 79 Filone, p. 481 , 32-34; p. 482, 3 , 24-25 ; p. 483 , 17; p . 484 , 6.
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1 8 . LE OPERE DI FILONE GIUNTE FINO
AI
NOSTRI TEMPI
l . Scrittore loquace e di larghe vedute, sublime ed eccelso commentatore delle Scritture divine, Filone ce ne ha lasciato un'esegesi varia e ricca di spunti. Esaminò la materia del Gene si in base all'ordine e al susseguirsi degli awenimenti ivi narra ti, esponendo i propri risultati nell'opera intitolata Allegorie delle leggi sacre; poi, spiegando dettagliatamente ogni brano delle Scritture di difficile interpretazione, ne presenta questio ni e soluzioni, che egli espone nell'opera dal titolo Questioni e soluzioni nella Genesi e nell'Esodo. 2 . Ha composto inoltre ope re su argomenti specifici, come i due libri Sull'agricoltura e quelli Sull'ubriachezza, e altre che portano titoli diversi, come Su ciò che la mente sobria vuole e odia, Sulla confusione delle lin gue, Sulla fuga e il ritrovamento, Sull'incontro a fini pedagogici, Chi è l'erede delle cose divine o sulla divisione in parti uguali e contrarie, e ancora Sulle tre virtù che Mosè ha descritto con altre; 3 . e inoltre Sul cambiamento dei nomi e le sue cause, in cui af ferma di aver scritto anche Sui Testamenti, in due libri. 4. Sono anche sue opere: Sull'emigrazione e la vita saggia vissuta secon do giustizia o sulle leggi non scritte, Sui Giganti o sull'immuta bilità di Dio, Sull'origine divina dei sogni secondo Mosè, in cin que libri. Queste sono le sue opere giunte fino ai nostri tempi tra quelle riguardanti il Genesi. 5 . Sull 'Esodo conosciamo di lui: Questioni e soluzioni, in cinque libri, Sul Tabernacolo, Sul De calogo, Le Leggi particolari sui punti fondamentali del Decalogo, in quattro libri, Gli animali sacrificati e i modi dei sacri/ici, I pre mi che la Legge riserva ai buoni e le pene e maledizioni che de stina ai malvagi. 6. Inoltre sono state tramandate sue opere in un solo libro, come quella dal titolo Sulla Provvidenza, il di scorso da lui scritto dal titolo Sui Giudei, Il Politico, Alessandro ovvero anche gli animali privi di parola sono dotati di ragione, e inoltre Ogni reo è schiavo, cui segue Ogni uomo probo è libero. 7 . Dopo queste compose La vita contemplativa o i supplicanti,
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dal quale ho ricavato le notizie riguardanti la vita degli uomini dei tempi apostolici. Sono poi a lui attribuite Le spiegazioni dei nomi ebrei nella Legge e nei Profeti. 8 . Si dice ch e egli, giunto al tempo di Gaio a Roma, descrisse l'empietà di questo imperato re nell'opera da lui intitolata, con acume e ironia, Sulle virtù, di cui diede pubblica lettura, al tempo di Claudio, davanti al Se nato di Roma, lasciando gli ascoltatori a tal punto meravigliati da spingerli a stimare le sue opere degne di essere accolte nelle biblioteche 80 . 9. In quel tempo, mentre Paolo portava a termine il viag gio da Gerusalemme all'illirico, Claudio espulse i Giudei da Roma 81 , e Aquila e Priscilla , cacciati da Roma con altri Giudei,
80 È ignota la fonte da cui Eusebio attinge questa notizia.
8 1 L' espulsione dei Giudei da Roma, decretata dall'imperatore Claudio
nel 48 d.C. è attestata da Suetonio, Vita di Claudio, 25 , 3 e da At 18, 2, ma ta ciuta da Giuseppe Flavio, che ricorda però quella deliberata precedentemen te da Tiberio (Antichità giudaiche, XVIII, 8 1 -84) . La menzione in Suetonio di un Chrestus sobillatore dei Giudei (tumultuantes impulsore Chresto) , corretto in Christus sulla base di Tertulli ano, Apologetico, 3 , 5 e di Orosio, Storie con tro i pagani, VII, 6, 15-16, ha fatto supporre ad alcuni studiosi (cf. , ad es. , H. Janne, Impulsore Chresto, in <<Mel.Bidez» II, Bruxelles 1934, pp. 53 1 -553 ) che i reali destinatari dell'editto siano i Cristiani, che Suetonio non distin gueva ancora dai Giudei. Questi ultimi furono sicuramente colpiti da quello precedente del 4 1 d.C . , noto da Cassio Dione, Storia romana, LX, 6, 6, con cui Claudio proib iva loro di «radunarsi insieme» (cf. anche la lettera inviata da Claudio agli Ebrei di Alessandria pubblicata da H.l. Beli, ]ews and Chri stians in Egypt, Oxford 1 924, pp. 23 -26, con cui proibiva loro di accogliere altri correligionari) . Non che Suetonio commettesse l'errore cronologico e storico di ritenere Cristo presente a Roma al tempo di daudio, come ha mes so in rilievo S. Benko, Pagan Criticism o/ Christianity during the /irst two cen turies, in ANRW (Aufstieg und Niedergang der Romischen Welt) , II, 23, 2 , Berlin-New York 1980, pp. 1 055 - 1 1 18. Sarebbe più plausibile ritenere inve ce che Suetonio avrebbe detto Chrestus per dire Cristianesimo. Claudio dun que «puniva i Giudei per punire i Cristiani, . . . in quanto cumulava su di essi la responsabilità della propaganda missionaria cristiana» (S. Mazzarino, L'im pero romano, Bari 1993", vol . l, p. 20 1 ) . Altri studiosi invece, avvalorando la lezione Chrestus, sostengono che l'editto in questione era diretto proprio con-
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si recarono in Asia, dove vissero insieme all'apostolo Paolo, che rinvigoriva le basi delle chiese locali da lui appena poste. Di questo parla il sacro testo degli Atti x. 19. LE SCIAGURE CHE SI RIVERSARONO SUI GIUDEI A GERUSALEMME NEL GIORNO DI PASQUA l . Al tempo dell'imperatore Claudio, nel giorno della fe sta di Pasqua, a Gerusalemme scoppiò una rivolta e un disor dine tale che dei soli Giudei che si accalcarono impetuosamen te alle porte del Tempio, tremila morirono travolti gli uni dagli altri. Per tutto il popolo la festa si trasformò così in lutto; ogni casa risuonava di pianto. Anche queste notizie sono riferite da Giuseppe 82. 2 . Claudio nominò re dei Giudei Agrippa, figlio di Agrippa 83 , e Felice 84 governatore di tutta la regione di Sama ria, di Galilea e di quella chiamata Perea. Dopo aver detenuto il potere per tredici anni e otto mesi morì 85 , lasciando come suo successore Nerone.
x
At 18, 2; 1 8-23 .
tro i Giudei, doven dosi vedere in Chrestus, nome molto diffu so presso i Giu dei in qud tempo, un interprete di sentimenti di rivolta che dovevano sicura mente serpeggiare nella Roma del tempo. 82 Guerra giudaica, II, 223 -227; Antichità giudaiche, XX, 105 - 1 1 3 . 83 n riferimento è a Marco Giulio Agrippa II, che divenne re di Giu dea nel 44 d.C. 84 Secondo Tacito, Annali, XII, 54, 2, Felice invece regnava già sulla Sa maria nel 48 d.C.; dopo la morte del precedente governatore Ventidio Cu mano nel 52 d . C . , estese il suo protettorato anche sulla Galilea. 85 n 13 ottobre del 54 d.C.
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Storia ecclesiastica 20. Ciò CHE AVVENNE A GERUSALEMME SOTTO NERONE
l . Giuseppe, nel ventesimo libro delle Antichità, descrive con queste parole la discordia dei sacerdoti scoppiata sotto Ne rone al tempo in cui Felice era governatore della Giudea: 2. «l sommi sacerdoti suscitarono una rivolta contro i sacerdoti e i notabili di Gerusalemme. Ognuno di loro si mise a capo di una banda di uomini coraggiosissimi e oltre modo rivoluzionari, da se stesso organizzata; quando questi si scontravano, si insulta vano e si scagliavano pietre a vicenda. E non c'era nessuno che li ostacolasse, ma ognuno faceva ogni cosa a proprio piacimen to, come in una città in preda all'anarchia. 3 . I sommi sacerdo ti furono presi da una così grande impudenza e audacia da osa re persino inviare schiavi sulle aie a rapinare le decime dovute ai sacerdoti, i più poveri dei quali, come capitò di vedere, mo rirono di inedia. Così la violenza dei rivoltosi oltrepassò la so glia del giusto» 86 . 4 . Lo stesso scrittore 8ì parla della presenza a Gerusalem me, in questi tempi, di certi briganti che ogni giorno, come di ce, uccidevano anche nel centro della città tutti coloro in cui si imbattevano. 5 . Soprattutto durante le feste, mescolandosi alla folla, colpivano chi non era dei loro con dei piccoli pugnali na scosti sotto le vesti; dopo averli uccisi, si univano a quelli che si indignavano contro gli uccisori, restando così nell'ombra con l'apparenza di onestà. Primo ad essere ucciso da loro fu il som mo sacerdote Gionata; dopo di lui, ogni giorno, ne caddero molti. Si diffuse così una paura più terribile delle sciagure, poi ché ciascuno, come in guerra, poteva essere colto dalla morte in ogni momento.
86 Antichità giudaiche, XX, 1 80- 1 8 1 . 87 Guerra giudaica, II, 254-256.
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2 1 . L'EGIZIANO DI CUI FANNO MENZIONE
ANCHE GLI ATfl DEGLI APOSTOLI l. Poi, dopo aver detto altre cose, aggiunge: «Lo pseudo profeta egiziano inflisse ai Giudei un male più grande di questi. Fece la sua comparsa infatti nella regione un mago che, acqui statasi la fama di profeta, raccolse intorno a sé circa tremila cre duloni, che condusse dal deserto sul monte detto degli Ulivi, da dove era possibile muovere all'assedio di Gerusalemme. Sua in tenzione era di impadronirsi della guarnigione romana e sotto mettere a sé il popolo, servendosi, come un tiranno, dei dorifo ri su cui comandava. 2 . Ma Felice anticipò la sua mossa, oppo nendosi con i soldati romani; tutto il popolo si impegnò con lui nella difesa della città. Così, ingaggiata battaglia, fu uccisa o catturata gran parte degli uomini dell'egiziano, che si diede al la fuga con i pochi che gli erano rimasti» 88 . 3 . Giuseppe racconta questo episodio nel secondo libro delle Storie; ma bisogna riportare, per quanto riguarda ciò che si è detto dell'egiziano, anche la testimonianza degli Atti degli Apostoli, secondo la quale, al tempo di Felice, il tribuna che era a Gerusalemme quando il popolo dei Giudei si ribellò a lui, fe ce a Paolo questa testuale domanda: Non sei tu forse l'egiziano che un tempo spinse il popolo alla rivolta e condusse nel deserto i quattromila sicari? Y. Questi sono i fatti accaduti al tempo di Felice.
Y At 2 1 , 38.
8 8 Guerra giudaica, II, 261-263 .
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Storia ecclesiastica
22 .
PAOLO, MANDATO PRIGIONIERO A ROMA DALLA GIUDEA, SI DIFESE E FU PROSCIOLTO DA OGNI ACCUSA
l. Successore di Felice fu da Nerone nominato Festo 8 9,
sotto il quale Paolo fu processato e mandato poi a Roma come prigioniero. Era con lui Aristarco, che egli, in un passo delle sue lettere z , definisce compagno di prigionia. Luca, l'autore degli Atti degli Apostoli pone fine alla sua opera a questo pun to, dicendo che Paolo trascorse a Roma due anni interni, an nunciandovi senza impedimento la parola di Dio aa. 2. Si dice che l'apostolo, pronunciata in tribunale la sua difesa, abbia ri preso nuovamente ad annunciare il Vangelo; andato per la se conda volta a Roma, fu martirizzato 90 . Nei giorni della sua pri gionia scrisse la Seconda lettera a Timoteo: in essa infatti parla della sua precedente difesa e della morte ormai imminente. 3 . Ecco la sua testimonianza su questi fatti: In occasione della mia prima dz/esa nessuno era con me, ma tutti mi avevano abbando nato (non sia ciò ritenuto loro colpa)_- ma zl Signore era al mio fianco e mi ha dato forza affinché portassi a compimento la mia predicazione e tutti i popoli la udissero. E sono stato liberato dal la bocca del leone ab. 4 . Da queste parole è per prima cosa evi dente che Paolo venne liberato dalla bocca del leone 9 1 (termi ne, questo, che egli riferisce a Nerone, come sembra, per la sua crudeltà) per dare compimento alla sua predicazione. Inoltre non aggiunge niente di simile all'espressione mi libererà dalla z
Col 4 , 1 0 .
aa
At 28, 30-3 1 .
ab
2 Tm 4 , 16-17.
8 9 Fu governatore della Giudea dal 60 al 62 d.C.
90 TI martirio di Paolo ebbe luogo nel 64 tenò la pers ecuzione contro i Cristiani. 9 1 L'espressione, già utilizzata in Sal 22,
d.C., l'anno in cui Nerone sca
22, in Dn 6, 2 1 -28, e l Mac 2, 60, vuoi significare in verità, secondo le moderne interpretazioni degli stu diosi, l'uscita da una circostanza sfavorevole, quale quella dell a prima fase del processo. Qualcuno, seguendo Eusebio, ha voluto vedervi invece un' allusio ne a Nerone.
Libro II, 22
125
bocca del leone, poiché vedeva, per opera dello Spirito, l'immi nenza della sua morte; per questo aggiunge all'espressione: 5 . Sono stato liberato dalla bocca del leone queste parole: Il Signo re mi proteggerà da ogni male e mi salverà nel suo regno cele ste ac , presagendo con esse l'imminente martirio, che ancora più chiaramente precorre nella stessa lettera dicendo: Sono già of /erto in sacrificio, ed è giunto il momento della mia dipartita ad . 6. Ora, nella Seconda lettera a Timoteo, dichiara che solo Luca era con lui nel momento in cui egli la scriveva, mentre in occa sione della sua precedente difesa neppure lui era presente; per cui verosimilmente Luca scrisse in questo tempo gli Atti degli Apostoli, circoscrivendo la sua narrazione al tempo in cui rima se con Paolo n . 7 . Ho raccontato questi avvenimenti per dimo strare che il martirio di Paolo non avvenne in occasione del suo soggiorno a Roma, di cui parla Luca •e . 8. È probabile che Ne rone, essendo stato, al principio del suo regno, meno crudele, abbia tollerato la difesa della fede tenuta da Paolo; ma divenu to poi audace oltre ogni limite, commise, fra le altre scellera tezze, anche quella di infierire contro gli apostoli 93 .
ac
2 Tm 4, 18.
ad 2 Tm 4, 6.
ae At 28, l l ss.
92 Questa affermazione di Eusebio addita come data di composizione degli Atti un periodo anteriore al 64 d.C., anno in cui Paolo fu martirizzato. Ciò è in netta contrapposizione però con le tendenze degli studiosi moderni, che datano l'opera in un periodo compreso tra 1'80 e il 90 d.C. 93 Dopo un primo periodo di buon governo ispirato ai principi stoici insegnatigli da Seneca, Nerone si diede ad ogni genere di efferatezze: nel 55 infatti mandò a morte il fratellastro Britannico, nel 59 la madre Agrippina, nel 62 Ottavia, sua prima moglie, nel 65 Poppea, sua seconda moglie, e nello stes so anno , in seguito alla scoperta della congiura dei Pisoni, personaggi illustri quali Seneca, Lucano e Petronio. ·
126
Storia ecclesiastica 23 . COME GIACOMO, DETTO FRATELLO DEL SIGNORE, SUBÌ IL MARTIRIO
l. Dopo che Paolo aveva fatto appello a Cesare ed era sta to mandato da Festo a Roma, i Giudei, vista cadere ogni spe ranza nella congiura ordita contro di lui, si volsero contro Gia como, fratello del Signore, che sedeva, per designazione degli apostoli, sul trono episcopale di Gerusalemme, e osarono com piere queste azioni contro di lui. 2. Condottalo in mezzo a lo ro, gli domandarono di rinnegare davanti a tutto il popolo la fe de in Cristo; ma egli, contro le aspettative di tutti, parlò di fron te a tutto il popolo con voce più libera di quanto essi si atten dessero, proclamando che il Salvatore e Signore nostro Gesù è figlio di Dio. La folla, non tollerando la testimonianza di fede di quell'uomo, che riteneva tuttavia il più giusto di tutti per la sua non comune saggezza e pietà, di cui dava prova nella vita, lo uccise avvalendosi della momentanea anarchia, dovuta alla morte di Festa, governatore della Giudea, avvenuta proprio in quei giorni 94, che lasciò quella provincia senza governo e sen za governatore. 3 . Le parole già citate di Clemente 95 narrano come si svolse il martirio di Giacomo che, dice, fu gettato dal pinnacolo del Tempio e bastonato a morte. Racconta questi av venimenti con la massima precisione Egesippo 96, uno storico vissuto al tempo della prima successione degli apostoli, nel quinto libro delle sue Memorie, dicendo 4. «Riceve la direzione della Chiesa insieme agli apostoli Giacomo, fratello del Signo re, detto da tutti il " Giusto " dai tempi del Signore fino ai no stri, per distinguerlo dai molti altri che portavano lo stesso no me. 5. Egli era santo già nel ventre materno; non beveva né vi-
94 Nel 62 d.C. Cf. supra, l, 5. 96 Su questo storico e sulla sua opera cf. supra, l,
95
n.
6 e in/ra, Iv, 22.
Libro II,
23
127
no né sicera 97 , non mangiava carne di animali, non passava mai il rasoio sull a testa, non si spalmava mai di olio, non prendeva mai i bagni. 6. A lui solo era possibile accedere al santuario; in fatti non indossava abiti di lana, ma di lino. Entrava solo nel Tempio e lo si trovava genuflesso a supplicare il perdono per il popolo. Poiché adorava Dio e chiedeva il perdono per il popo lo sempre in questa posizione, gli erano venuti i calli alle gi nocchia come i cammelli. 7. Per la sua estrema giustizia fu det to "il Giusto" e " Oblias " , che tradotto in greco significa "for tezza del popolo e giustizia " , come i Profeti affermano di lui. 8 . Alcuni poi delle sette fazioni presenti fra il popolo 98 , di cui ho già parlato» (nelle Memorie) , «gli chiesero quale fosse la porta di Gesù; egli disse che era il Salvatore. 9. Da ciò alcuni credet tero che Gesù è il Cristo. Ma le fazioni suddette non credeva no né alla resurrezione né che Cristo sarebbe ritornato sulla ter ra per dare a ciascuno secondo le sue opere; quanti credettero in ciò lo fecero grazie a Giacomo. 1 0 . Poiché dunque molti an che dei capi credettero, Giudei, Farisei e Scribi si ribellarono, dicendo che si correva il rischio che tutto il popolo ritenesse Gesù il Cristo. Andati allora da Giacomo, gli dissero: "Ti avvi siamo, controlla il popolo che tu hai ingannato su Gesù, facen dogli credere che egli è il Cristo. Ti chiediamo di persuadere ri guardo a Gesù tutti coloro che si sono radunati per celebrare il giorno di Pasqua; tutti noi infatti abbiamo fiducia in te, dal momento che, insieme a tutto il popolo, diciamo che tu sei giu sto e imparziale. 1 1 . Persuadi pertanto la folla a non ingannar si sulla persona di Ges�, poiché tutto il popolo e noi tutti ab biamo fiducia in te. Mettiti dunque sul pinnacolo del Tempio affinché tutto il popolo, riunito in tutte le fratrie e le tribù in oc casione della Pasqua, possa vederti e udire le tue parole" . 1 2 . Allora gli Scribi suddetti e i Farisei spinsero Giacomo sul pin97
Bevanda inebriante.
98 Esseni, Galilei, Masbotei, Emerobattisti, Samaritani, Sadducei, Farisei.
128
Storia ecclesiastica
nacolo del Tempio, e gridando gli dissero: " O Giusto, in cui tutti dobbiamo avere fiducia, poiché il popolo ha cominciato a seguire opinioni errate su Gesù crocifisso, rivelaci qual è la por ta di Gesù " . 13 . Ed egli rispose dicendo a gran voce: "Perché mi fate domande sul Figlio dell'uomo? Egli siede in cielo all a destra della grande potenza, e sta per ritornare sulle nuvole del cielo" . 14. Molti credettero profondamente alla testimonianza di Giacomo, esclamando: "Osanna al figlio di Davide" . Allo ra gli Scribi e i Farisei dissero fra di loro: "Abbiamo fatto male ad offrire a Gesù una simile testimonianza. Ma saliamo a buttare di sotto Giacomo, affinché il popolo, impaurito, non creda più in lui" . 1 5 . E gridavano dicendo: "Oh oh, anche il 'Giusto' è ca duto in errore ! " , dando così compimento a quanto è scritto in Isaia: Uccidiamo il Giusto, perché è per noi dannoso; allora man giano i /rutti delle loro opere •f. Saliti dunque, scaraventarono giù il " Giusto " ; 16. poi dissero fra loro: "Lapidiamo Giacomo il Giusto" , e cominciarono a scagliargli sassi, perché quella ro vinosa caduta non lo aveva ucciso. Ma egli, voltatosi, si ingi nocchiò dicendo: "Ti prego, Signore Dio Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno" . 1 7 . Così, mentre egli ve niva lapidato, uno dei sacerdoti, figlio di Rechab 99, figlio di Re chabim, di cui si ha testimonianza nel profeta Geremia ag, disse gridando: " Fermi, che fate? li 'Giusto' prega per voi" . 18. Al lora uno di loro, un sobillatore del popolo, preso il legno col quale batteva gli abiti, colpì alla testa il " Giusto " , che subì co sì il martirio. Fu poi seppellito in un luogo vicino al Tempio, dove, ancora oggi, si può vedere la sua lapide. Costui fu testi mone verace ai Giudei e ai Greci che Gesù è il Cristo. Subito dopo Vespasiano cinse d'assedio la città 1 oo» . a f Is 3 , 10.
ag Cf. Ger 35, 2; 6, 10.
99 Di questo personaggio sappiamo solo che collaborò con Ieu, re di
Israele, nell'eliminazione dei sacerdoti di Baal (cf. 2 Re 10, 15-23 ) . 10o Nel 66 d.C.
Libro II, 23
129
19. Nella narrazione di questi avvenimenti, che riporta in tutto il loro svolgimento, Egesippo concorda pienamente con Clemente. Così, dunque, Giacomo era uomo meraviglioso e noto a tutti per la sua giustizia, tanto che i più assennati fra i Giudej ritennero la sua morte causa dell'assedio di Gerusalem me, che avvenne subito dopo il suo martirio 1 0 1 . Esso, credeva no, non aveva altra origine se non quell'empia uccisione. 20. Giuseppe con sicurezza conferma questo pensiero nella sua opera, dicendo: «Queste sciagure si riversarono sui Giudei co me punizione della loro efferatezza nei riguardi di Giacomo il " Giusto " , fratello di Gesù detto il Cristo; che essi uccisero, seb bene fosse l'uomo più giusto» 102 • 2 1 . Lo stesso autore, nel ven tesimo libro delle Antichità, racconta la sua morte . con queste parole: «Cesate, appresa la notizia della morte di Pesto, no minò Albino prefetto della Giudea 1 03 . Anano il giovane, come ho già detto, deteneva il sommo sacerdozio. Egli, uomo di ca rattere impudente e oltremodo audace, era un membro della setta dei Sadducei, che sono, come si è già affermato, i più per versi fra tutti i Giudei nei loro giudizi 104, 22. Anano dunque, che era un uomo di tale indole, avendo pensato di trarre van taggio dalla morte di Festa e dal fatto che Albino era ancora in viaggio, radunò il Sinedrio giudicante 1 05, davanti al quale tra scinò il fratello di Gesù detto il Cristo, il cui nome era Giaco mo, e alcuni altri, che fece ingiustamente lapidare con la falsa accusa di aver trasgredito la Legge. 23 . Ma quanti in città sem-
101 Su questo punto cf. in/ra, III, 5 . 102 L a citazione del passo, che non trova riscontro nell'opera dello scrittore ebraico, è da ritenere apocrifa. Manca, tra l'altro, l'abituale menzio
ne dell'opera e del libro. 103 Albino governò dal 62 al 64 d.C. 104 Su questo punto cf. anche Guerra giudaica, Il, 1 66. 105 Era l'assemblea incaricata dell'amministrazione religiosa, civile e penale. Essa poteva essere radunata previo consenso del pretore in carica.
130
Storia ecclesiastica
bravano più moderati e rispettosi della Legge, mal tollerando l'accaduto, mandarono di nascosto nunzi al re a chiedergli di intimare ad Anano di non commettere più simili azioni: non era la prima volta infatti che si comportava così stoltamente. Alcu ni di loro andarono incontro ad Albino, che giungeva da Ales sandria, dicendogli che non era lecito ad Anano radunare il Si nedrio senza il suo consenso. 24. Albino, persuaso dalle loro parole, scrisse adirato ad Anano, promettendogli che lo avreb be punito ; per questo il re Agrippa 106 lo destituì dal sommo sa cerdozio, da lui detenuto da appena tre mesi, nominando in sua vece Gesù, figlio di Dammaio» 1 07 . Questo è ciò che accadde a Giacomo, a cui si attribuisce la prima delle lettere dette "Cattoliche" . 25 . Bisogna sapere però che questa non è autentica, dal momento che pochi degli antichi scrittori ne fanno menzione 1 08; spuria per lo stesso mo tivo è anche quella detta di Giuda 109, anch'essa una delle sette 1 06 Si tratta di Agrippa II. 107 Antichità giudaiche, XX, 1 97 ; 199-203 . 1 0 8 Eusebio respinge l'autenticità di uno scritto testamentario sulla ba se delle sue scarse citazioni nelle opere dei Padri a lui precedenti (cf. anche in fra, III, 3 ) . I moderni sono a questo proposito più cauti. È vero che le prime attestazioni dell'autenticità della lettera sono piuttosto tarde (la prima citazio ne risale infatti ad Origene, che su di essa nutre igienici dubbi) , ma ciò non è, per i moderni, un elemento sufficiente. La maggior parte degli studiosi tende ad identificarne l'autore con quel Giacomo , fratello di Gesù, divenuto apo stolo in seguito ad una apparizione di Cristo risorto (l Cor 15, 7 ) , ritenuto una delle colonne della Chiesa (Gal 2, 9),vescovo di Gerusalemme (cf. supra, 23 , l ; infra, IV, 5, 3 ) , ucciso intorno al 62 al tempo del sommo sacerdote Anania (cf. supra, 23 , 16) . L'autore sembra inoltre a tal punto impregnato di cultura giudaica - evidente, ad es. , nello stretto legame posto tra la fede e le azioni (2, 14 2 6) e nel culto della povertà (2, 2 1 3 ) da far ritenere ad alcuni studiosi che la lettera sia stata composta, forse da Giacomo stesso, nel I sec. d.C. nel l' ambiente della sinagoga ellenistica. In definitiva si può affermare che «gli in segnamenti dell'epistola non sarebbero in contraddizione con quel che sap piamo di Giacomo» (0. Cullmann, Introduzione al Nuovo Testamento, Bolo gna 1968, p. 1 12 ) , e che è molto probabile che egli ne sia l'autore. 1 0 9 L'epistola, sebbene citata nel Canone Muratoriano come uno scritto -
-
-
Libro IL 23-25
13 1
lettere dette " Cattoliche" ; tuttavia sappiamo che entrambe, in sieme alle altre, vengono lette pubblicamente in moltissime Chies e. 24 . DOPO MARCO, PRIMO VESCOVO DELLA CHIESA DI ALESSANDRIA
FU NOMINATO ANNIANO
Nell'ottavo anno del regno di Nerone uo, primo vescovo a succedere a Marco evangelista nella guida della diocesi di Ales sandria fu Anniano.
25 . LA PERSECUZIONE DI NERONE, DURANTE LA QUALE PAOLO E PIETRO FURONO RESI DEGNI A ROMA DEL MARTIRIO PER LA LORO FEDE
Rafforzato già il suo potere, Nerone si diede ad azioni empie, combattendo contro la stessa fede nel Dio del mondo. . Ma non è scopo della presente opera descrivere per intero le sue scelleratezze, 2 . perché molti scrittori ne hanno già parlato nelle loro accuratissime opere 1 1 1 • Chi vuole può apprendere da esse la cattiveria di cui diede prova questo folle, che causò irral.
canonico, non manca di suscitare dubbi anche tra gli studiosi moderni. Si po ne innanzitutto la questione dell'autore. Si conoscono infatti ben tre perso nalità di nome Giuda: Giuda l'Iscariota, Giuda figlio di Giacomo (cf. Le 6, 16; At l, 13; Gv 14, 22) , uno dei dodici apostoli, e Giuda fratello di Gesù (cf. Mt 1 3 , 55; Mc 6, 3 ) . Esclusi il primo e il secondo (quest'ultimo sulla base del v. 17, in cui si dice che gli apostoli sono morti o che almeno l'autore non ne fa parte), si propende per il terzo. Questa ipotesi è difficile da sostenere, da to che motivi interni suggeriscono di datare lo scritto intorno al 90 d.C., pe riodo in cui nessun apostolo però poteva essere ancora in vita. l lO Nel 62 d.C. . l l l Cf. Ta cito, Annali, XIII-XVI; Suetonio, Vita di Nerone; Cassio Dio ne, Storia romana, LXI-LXIII.
132
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gionevolmente la morte di innumerevoli persone, e giunse a ta le grado di crudeltà da non esitare neppure a fare uccidere i pa renti più prossimi e gli amici più cari, né la madre, né i fratelli né la moglie con altre migliaia di consanguinei, che mandò a morte come suoi nemici con varie torture. 3 . Bisogna ancora a tutto ciò aggiungere anche che, primo fra gli imperatori, si mo strò apertamente nemico della fede in Dio, 4. come afferma di lui ancora il latino Tertulli ano, dicendo: «Esaminate le vostre memorie. Vi leggerete che Nerone fu il primo persecutore di questa fede, soprattutto quando, conquistato tutto l'Orien te m, perseguitò a Roma tutti per la sua crudeltà. Noi gioiamo della punizione inflittaci da un simile imperatore: colui che lo conosce infatti può ben comprendere che Nerone non poteva condannare se non tutto ciò che è grande bene» 1 1 3 . 5 . Così dunque egli, riconosciuto primo dei nemici di Dio, si volse con tutto se stesso ad uccidere gli apostoli. Si dice in fatti che, al tempo di Nerone, proprio a Roma Paolo venne de capitato e Pietro crocifisso. li nome di Pietro e Paolo, giunto fi no ai nostri giorni sulle loro tombe, che si trovano a Roma 1 14 , attesta la veridicità di questa storia, 6. e così pure un uomo ec-
1 12 La conquista dell'Oriente fu lenta e graduale: dal .?8 al 63 d.C. Cor bulone, generale di Nerone, conquista l'Armenia; nd 66 Vespasiano doma la rivolta scoppiata in Palestina. 1 1 3 Apologetico, 5, 3 . La prima parte della traduzione di Eusebio non è corretta: in Tertulliano infatti si legge: zllù: reperietis primum Neronem in hanc sectam cum maxime Romae orientem Caesariano gladio ferocisse (vi troverete che Nerone per primo si scagliò con la spada imperiale contro questa setta,
che proprio in qud tempo sorgeva in Roma) . 1 14 TI luogo della sepoltura di Pietro non è precisabile con sicurezza. L'imprecisione degli scrittori cristiani attesta, fra l'altro, che neppure essi lo conoscevano con precisione. Gli scavi condotti sotto la basilica di San Pietro da M. Guarducci, che hanno portato alla luce un'antica necropoli cristiana anteriore alla basilica costantiniana, non hanno portato dd resto molta luce sul problema. Su di esso cf. M. Guarducci, La tomba di San Pietro, Milano 1989.
Libro II,
25-26
133
clesiastico, di nome Gaio m , che visse al tempo di Zefirino, ve scovo di Roma. Egli, disputando nei suoi scritti con Proclo, ca po della setta dei Frigi 1 1 6 , dice queste cose sui luoghi che cu stodiscono le sacre spoglie dei suddetti apostoli: 7 . «lo sono in grado di mostrare i trofei degli apostoli; andando infatti al Va ticano o lungo la via Ostiense, vi troverai i trofei di quelli che hanno fondato questa Chiesa». 8. Che furono martirizzati en trambi nello stesso periodo lo conferma il vescovo di Corinto Dionigi 1 1 7 nella sua lettera ai Romani, dicendo: «Voi avete uni to, con una simile vendetta, le piante innestate a Roma e a Co rinto da Pietro e Paolo. Noi siamo infatti il frutto dell'insegna mento che essi diffusero nella nostra Corinto e, ugualmente, anche in Italia; per questo furono martirizzati nello stesso tem po». Ho raccontato ciò affinché gli avvenimenti della mia sto ria vengano reputati ancor più degni di fede. 26. I GIUDEI FURONO COLPITI DA MILLE MALI, E INFINE DICHIARARONO GUERRA AI ROMANI l . Giuseppe, nella sua esposizione minuziosa dei moltissi mi avvenimenti riguardanti la sciagura riversatasi su tutto il po polo dei Giudei, dopo avere raccontato molti altri episodi, ri ferisce che a Gerusalemme molti notabili fra i Giudei, dopo es-
1 1 5 Scrittore romano che, come dice Fozio, Biblioteca, 98, com ose, al p tempo di papa Zefirino ( 1 98-2 17), il trattato antimontanista Dialogo col mon tanista Proclo, di cui rimangono solo il frammento qui citato da Eusebio e al tri tre riportati a III , 28, 1 -2; 3 1 , 4; VI, 20, 3 ) .
1 ! 6 Si tratta dei Montanisti, detti Frigi o Catafrigi dal luogo d'origine della loro eresia. Essi si ritenevano i legittimi successori degli apostoli, conte
stavano l'ordinamento gerarchico della Chiesa in nome della presunta supe riorità dei profeti sui vescovi, e credevano ad una imminente p arusia, cui si preparavano con un rigoroso ascetismo morale. 1 17 Sull a sua figura cf. in/ra, IV, 23 .
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Storia ecclesiastica
sere stati prima flagellati, furono condannati da Floro 1 18 alla crocifissione 1 1 9 . Costui era procuratore della Giudea 120 pro prie all'inizio della guerra, al dodicesimo anno del regno di Ne rone 121 . 2 . Dice poi 122 che tutta la Siria, in seguito alla rivolta dei Giudei, fu preda di un terribile disordine, dato che dap pertutto i pagani uccidevano barbaramente, come nemici, i Giudei che abitavano nelle città. ll numero dei morti crebbe a tal punto da vedere queste città piene di cadaveri insepolti, di vecchi giacenti insieme a fanciulli e di donne prive di riparo al la loro nudità. In tutta la provincia abbondavano sciagure ine narrabili, e ben più grande dei delitti ivi perpetrati era la mi naccia di quelli futuri. Queste cose racconta con esattezza Giuseppe, e queste erano invero le condizioni in cui versavano i Giudei.
1 18 Successore di Albino, governò la Giudea dal 64 al 66 d.C. L'episo dio qui riferito da Eusebio si inserisce all'interno della rivolta scoppiata in se guito ad un decreto ordinante la riscossione forzata degli arretrati dovuti al Tempio. Su di essa cf. Antichità giudaiche, XX, 257 ; Guerra giudaica, II, 284. 1 1 9 Cf. Guerra giudaica, Il, 3 06-308. 120 Su questo cf. anché Antichità giudaiche, XX, 257 ; Guerra giudaica, II, 284. 121 Nel 66 d.C. 122 Guerra giudaica, Il, 462-465 .
LIBRO III
D terzo libro della
Storia ecclesiastica comprende i seguen-
ti argomenti: l . In quali regioni gli apostoli hanno predicato il Cristo. 2.
Chi per primo ha retto la Chiesa di Roma.
3 . Le lettere degli apostoli. 4.
I primi successori degli apostoli.
5 . L'ultimo assedio dei Giudei dopo Cristo.
6. La carestia che li tormentò. 7. Le profezie di Cristo.
8 . I segni premonitori della guerra . 9. Giuseppe e le opere che ci ha lasciato. 1 0 . Come cita i libri s a c ri .
11.
12.
13 . 14. 15 . 16.
17. 18. 19. 20.
Dopo Giacomo Simeone guida la Chiesa di Gerusa lemme. Vespasiano ordina di perseguitare i discendenti di Davide. Anacleto è il secondo vescovo di Roma. Avili o è il secondo vescovo di Alessandria. Clemente, terzo vescovo di Roma dopo Anacleto. La lettera di Clemente. La persecuzione al tempo di Domiziano. L'apostolo Giovanni e l'Apocalisse. Domiziano ordina di uccidere i discendenti di Davide. I discendenti del nostro Salvatore.
13 6
Storia ecclesiastica
21. 22. 23 . 24. 25 .
Terzo capo della Chiesa di Alessandria fu Cerdone. Ignazio è secondo vescovo di Antiochia. Storia dell'apostolo Giovanni. L'ordine dei Vangeli. Le Sacre Scritture ritenute divine e quelle che non lo sono. 26. n mago Menandro. 27. L'eresia degli Ebioniti. 28. L'eresiarca Cerinto. 29. Nicola e coloro che da lui hanno desunto il proprio nome. 30. Gli apostoli che si unirono in matrimonio. 3 1 . Morte di Giovanni e di Filippo. 32. n martirio di Simeone, vescovo di Gerusalemme. 3 3 . Traiano proibì di ricercare i cristiani. 3 4 . Quarto vescovo della Chiesa di Roma fu Evaristo. 35 . Terzo vescovo di Gerusalemme fu Giusto. 36. Ignazio e le sue lettere. 3 7 . Gli evangelisti ancora famosi in quel tempo. 3 8 . La lettera di Clemente e le opere falsamente attribui tegli. 39. Le opere di Papia.
l. IN QUALI REGIONI GLI APOSTOLI HANNO PREDICATO IL CRISTO
l . Queste erano le condizioni in cui versavano i Giudei. I santi apostoli e i discepoli del nostro Salvatore erano dispersi per tutta la terra. Tommaso, come dice la tradizione, ebbe in sorte la Partia, Andrea la Scizia; Giovanni visse invece in Asia e morì poi ad Efeso. 2. Pietro, come sembra, predicò nel Pon to, in Galazia, Bitinia, Cappadocia ed Asia ai Giudei della dia-
137
Libro IIL 1 -3
spora •; recatosi infine a Roma, vi fu crocifisso a testa in giù, co me egli stesso aveva chiesto di morire. 3 . E che dire di Paolo, che diffuse il Vangelo di Cristo da Gerusalemme all'Illirico h, e che fu poi martirizzato a Roma al tempo di Nerone l ? Raccon ta dettagliatamente questi fatti Origene 2 nel terzo libro del suo Commento alla Genesi.
2 . CHI PER PRIMO HA RETTO LA CHIESA DI ROMA
Primo ad essere nominato vescovo della Chiesa di Ro ma, dopo il martirio di Paolo e Pietro, fu Lino, citato da Pao lo nel saluto che chiude la lettera da lui inviata da Roma a Ti moteo c. l.
3 . LE
LETTERE DEGLI APOSTOLI
l . Di Pietro si riconosce autentica una sola lettera, quella detta "prima" , poiché di essa gli antichi presbiteri si sono ser viti nelle loro opere come di uno scritto inoppugnabile. Sap piamo invece che quella detta " seconda" non fa parte del Nuo vo Testamento 3, ma, dato che a molti è parsa utile, è stata esa minata insieme agli altri scritti neotestamentari. 2. Sappiamo
• Cf. l Pt l, l .
b Cf. Rm 1 5 , 19.
c
2 Tm 4, 2 1 .
l Cf. supra, Il, n . 90. 2 Dotto filologo, teologo ed asceta cristiano nato ad Alessandria d'E gitto nel l 85 d.C. circ a e morto nel 253 . Sulla sua complessa figura e sull'o pera letteraria cf. M. Simonerti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 1 12-
130.
3 Sull'autenticità della Seconda lettera di Pietro già Origene nutriva giu stificati dubbi. Sulla sua linea sono anche i moderni, che ne respingono l' au tenticità sulla citazione (3 , 15- 1 6) delle epistole di Paolo come riunite in un
13 8
Storia ecclesiastica
anche che il testo degli Atti di Pietro 4, il Vangelo detto secondo Pietro 5, la cosiddetta Predicazione 6 e la cosiddetta Apocalisse 7 , attribuiti a Pietro, non sono stati invece tramandati fra gli scrit ti cattolici, poiché nessuno degli scrittori ecclesiastici, antichi o moderni, ha fatto ricorso a testimonianze desunte da queste opere. 3 . Procedendo nella mia narrazione riporterò pertanto, elencandoli in ordine di successione, i nomi di quegli scrittori ecclesiastici che in vari tempi si sono serviti di testi di dubbia autenticità, e ciò che essi hanno riferito sugli scritti neotesta mentari, sia di quelli indiscussi, sia di quelli che non sono tali. 4. A questi ultimi appartengono gli scritti attribuiti a Pietro, di
unico corpus già facente parte del Nuovo Testamento. Questo corpus si costi tuì, come si sa, intorno al 150 d.C., anno in cui Pietro era già morto. 4 È senza dubbio uno scritto apocrifo, che un anonimo autore fece cir colare sotto il nome di Pietro per conferirgli maggiore autorità. Fu composto, secondo la maggior parte degli studiosi, tra il 1 80 e il 190 d. C. Il testo si pre senta frammentario; se ne ha una traduzione latina negli Actus Vercellenses e in un manoscritto del sec. VII , che reca il titolo Actus Petri cum Simone e ri ferisce la tenzone tra l'apostolo e Simon Mago, che muore precipitando nel Foro durante un tentativo di volo mal riuscito. Se ne conosce anche un fram mento in copto, che narra la guarigione operata da Pietro della propria figlia paralitica. Legato agli Atti di Pietro è senza dubbio il Martyrium Petri, s critto in greco, che riferisce la crocifissione dell'apostolo a Roma. 5 Lo scritto è noto grazie ad Eusebio (cf. anche infra, VI, 12, 3-6 ) e ad un frammento scoperto in una tomba cristiana ad Akhimim nell'Alto Egitto. Esso riferisce la passione del Signore, la sua morte, che viene attribuita esclu sivamente ai Giudei, e la sua resurrezione. Evidenti tracce di docetismo sono presenti nello scritto. 6 Opera composta nei primi decenni del II secolo. Essa intende trac ciare le direttive a cui devono attenersi i missionari nell'evangelizzare i paga ni. Ne sono conservati solo frammenti in Clemente Alessandrino. 7 Come Eusebio, anche Girolamo (Gli uomini illustri, l ) considera
apocrifo questo scritto, risalente alla prima metà del II secolo. Esso tuttavia
continuò ad essere letto in Palestina in occasione del Venerdì santo. Il testo dell'opera è noto per intero da una libera traduzione etiopica scoperta nel 1 9 10; solo in parte nell'originale greco grazie alla scoperta ad Ak.hmim di un ampio frammento, che descrive lo splendore celeste del Paradiso e le pe ne dell'Inferno.
Libro III, 3
13 9
cui ritengo autentica una sola lettera, perché riconosciuta tale anche dagli antichi presbiteri. 5 . Di Paolo sono indubbiamen te le quattordici lettere; ma bisogna sapere che alcuni non con siderano testamentaria la Lettera agli Ebrei 8, dicendo che la stessa Chiesa di Roma la respinge perché non scritta dall' apo stolo; ma riferirò al momento opportuno ciò che su di essa han no detto coloro che mi hanno preceduto 9. Non ritengo però opera di indiscussa autenticità gli Atti r o a lui attribuiti. 6. Lo stesso apostolo, nei saluti conclusivi della Lettera ai Romani d, menziona, fra gli altri, anche Erma, a cui si attribuisce l'opera dal titolo Il Pastore u, la cui autenticità, bisogna saperlo, è sta ta contestata da alcuni, éhe la ritengono spuria; tuttavia altri la reputano di grande utilità per coloro che hanno un grande bi sogno di una introduzione basilare [alle dottrine della nostra fede] . Abbiamo appreso che ha avuto già pubblica lettura an che nelle Chiese, e so che alcuni fra i più antichi scrittori se ne sono già serviti. d Rm 16, 14. 8 Eusebio ritiene lo scritto autentico sulla base delle motivazioni ri portate a 38, 1 -3 . Dello stesso avviso non sono però i moderni. Già Martin Lutero ne attribuiva la paternità ad Apollo di Alessandria, un giudeo della setta del Battista, che in At 18, 24-28 viene presentato come ottimo conosci tore della Scrittura. Dopo Lutero altri hanno proposto Aquila, Priscilla, Cle mente di Roma, Sila. 9 Cf. in/ra, 38, l . IO Già Tertulli an o (Il battesimo, 17) attribuiva questo scritto ad un pre te anonimo, deposto per avere inventato i fatti storici narrati, e lo datava al l'ultimo quarto del II secolo d.C. L'opera è nota grazie a frammenti in copto scoperti nel 1 904 da C. Schmidt, e ad un papiro, conservato ad Amburgo, che riporta gran parte del testo greco. 1 l L' opera, attribuita ad Erma, forse fratello del vescovo di Roma Pio l, risale alla fine del I secolo d.C. Essa fu erroneamente annoverata fra le Scrit· ture da Ireneo (Contro le eresie, N, 20, 2), Tertulliano (De pudicitia, 10) e Ori gen e (Principi, IV, 1 1 ) . Per una trattazione più ampia cf. M. Simonetti, La let teratura cristiana antica, cit., pp. 3 9-42.
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7 . Ciò sia detto per distinguere le Sacre Scritture di certo autentiche da quelle che invece non sono ritenute tali da tutti. 4. I
PRIMI SUCCESSORI DEGLI APOSTOLI
l . Che Paolo, annunciando il Vangelo ai Gentili, pose le fondamenta delle Chiese che sorsero da Gerusalemme fino al l'illirico, è chiaro dalle sue stesse parole e da ciò che racconta no gli Atti di Luca. 2. In quali nazioni Pietro predicò il Cristo ai Giudei, diffondendo fra di loro la parola del Nuovo Testa mento, risulta poi con chiarezza dalle stesse parole della lettera a lui unanimemente attribuita, indirizzata, come abbiamo det to 1 2 , agli Ebrei della diaspora che vivevano nel Ponto, in Gala zia, Cappadocia, Asia e Bitinia. 3 . Fra quelli che divennero più zelanti e furono per questo giudicati idonei a guidare le Chiese da loro fondate, si possono identificare con facilità solo quelli che Paolo menziona nelle sue lettere: 4. molti di questi erano infatti suoi collaboratori o, come egli stesso li definisce, compa gni d'armi e, la maggior parte dei quali rese degni di imperituro ricordo, riportando nelle sue epistole continue testimonianze su di loro; Luca inoltre negli Atti cita per nome i più noti, di cui dà un elenco f. 5 . Impariamo così che Timoteo fu il primo ad ottenere l'episcopato della Chiesa di Efeso g, e Tito quello del le Chiese di Creta h . 6. Luca, nativo di Antiochia e medico di professione, che trascorse gran parte della propria vita con Paolo ed ebbe con tinui contatti anche con gli altri apostoli, ci ha insegnato in due libri divinamente ispirati 1' arte di curare le anime, che egli ap-
1, 5.
e
Fm 2; Fil 2, 25.
1 2 Cf. in/ra, l , 2.
f At
16, l ; 19, 22; 20, 4.
g l
Tm
l, 3 .
h
Tt
141
Libro III, 3-4
prese da loro: nel Vangelo, che dice di aver composto serven dosi delle testimonianze riferitegli dai testimoni oculari e dai ministri dell a fede, che riporta non senza avere prima indagato con cura su ogni cosa sin dal principio, come egli stesso affer ma i; e negli Atti degli Apostoli, che compose non sull a base di ciò che gli veniva riferito da altri, .ma di quello che aveva visto con i suoi occhi. 7. Dicono che Paolo sia solito ricordare il Van gelo di Luca, dicendo: Secondo il mio Vangelo i , come se fosse un proprio scritto. 8. Degli altri suoi discepoli Paolo cita Crescente k, da lui mandato in Gallia, e Lino I , di cui ricorda, nella Seconda lettera a Tt"moteo, la presenza a Roma insieme con lui; costui, come si è già detto u , fu il primo successore di Pietro nell'episcopato della Chiesa di Roma. 9. Paolo dice inoltre che Clemente, ter zo vescovo della Chiesa di Roma, fu suo collaboratore e amico di traversie m. 10. Fra gli antichi c'è inoltre quell'Areopagita di nome Dionigi 14 che, come narra Luca negli Atti n , fu il primo ad abbracciare la nostra fede dopo il discorso che Paolo rivol se agli Ateniesi sull ' Areopago. Un altro Dionigi, pastore della
21.
i Le l , 2-3 . m Fil 4 , 3 .
i Rm 2 ,
16; 2 Tm 2 , 8.
n At 17, 34.
kz
Tm 4 , 10.
i 2 Tm 4,
1 3 Cf. supra, 2 .
1 4 Sotto il nome di Dionigi l'Areopagita ci sono petvenuti quattro gran
di trattati (De divinis nominibus, De mystica theologia, De caelesti hierarchia, De ecclesiastica hierarchia) e dieci lettere. Tutte queste opere furono lette nel Medioevo nelle traduzioni latine di Scoto Eriugena, Giovanni Sarrazin e Ro berto Grossatesta, e influenzarono notevolmente il pensiero della Scolastica. Le opere sono però apocrife. Esse, come avevano sospettato già Erasmo da Rotterdam e Lorenzo Vall a , furono composte alla fine del V secolo d.C., co me dimostrerebbe la presenza di elementi neoplatonici riconducibili a Ploti no e a Proclo. Centro dell'interesse dell'anonimo autore sono Dio, ritenuto l'Uno da cui deriva il mondo, Cristo e gli Angeli. Questi ultimi sono divisi in Triadi, la più alta delle quali, costituita da Michele, Gabriele e Raffaele, è la più vicina a Dio.
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diocesi di Corinto, dice di essere stato vescovo della Chiesa di Atene. 1 1 . Ma procedendo per la mia strada, parlerò al mo mento opportuno 1 5 della successione cronologica degli apo stoli. Ora invece passiamo ad esporre i fatti successivi. 5. L'ULTIMO ASSEDIO DEI GIUDEI DOPO CRISTO l . Dopo Nerone, che detenne il potere per tredici anni, e dopo Gaiba e Otone, che regnarono per un anno e sei mesi 16, Vespasiano, che si era già distinto nell'impresa contro i Giudei, fu riconosciuto re dalla stessa Giudea, poiché era stato accla mato imperatore dai soldati che erano lì con lui. Partito subito alla volta di Roma, lasciò al figlio Tito il compito di proseguire la guerra contro i Giudei. 2. Dopo l'ascensione del nostro Salvatore, i Giudei, non contenti della tracotanza già mostrata contro di lui, macchina rono molte insidie anche contro i suoi apostoli. Lapidarono pri ma Stefano o e, dopo di lui, decapitarono Giacomo P, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni; e, atto più grave, uccisero Gia como, primo a succedere al trono episcopale della città di Ge rusalemme dopo l'ascensione del nostro Salvatore, nel modo in cui si è già detto 1 7. Anche gli altri apostoli corsero mille peri coli di morte: scacciati dalla Giudea, venivano inviati ad inse gnare la dottrina del Vangelo a tutti i popoli, resi forti dalla po-
o
Cf. At 7, 54-60.
15
P
Cf. At 12, 2.
In verità Eusebio non ne parla più.
16 All a morte di Nerone (68 d.C. ) seguì un periodo di anarchia, duran
te il quale Galba, comandante delle legioni stanziate nella Spagna dteriore, Otone, comandante di quelle della Lusitania, Vitellio, comandante di quelle del Reno, e Vespasiano, governatore della Giudea, si contesero il potere in una sanguinosa guerra dvile, conclusasi con la vittoria di quest'ultimo. 1 7 Cf. supra, II, 23 .
Libro III, 4-5
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tenza di Cristo, che aveva detto loro: Andate e predicate a tutti i popoli nel mio nome q. 3 . Al popolo della Chiesa di Gerusa lemme una profezia, rivelata prima della guerra da una visione divina solo ai notabili, ordinò di abbandonare la diocesi e di trasferirsi in una città della Perea, di nome Pella; in essa, tra gli abitanti di Gerusalemme, andarono coloro che credevano in Cristo, così che uomini in tutto santi lasciarono la città regale dei Giudei e l'intera Giudea. La giustizia divina li punì così per avere agito ingiustamente contro Cristo e i suoi apostoli, allon tanando quella schiatta di empi dalla vista degli uomini. 4. Quanti e quali mali si riversarono su tutto il popolo dei Giudei in ogni luogo; le più atroci disgrazie subite dagli abi tanti della Giudea; le decine di migliaia di giovani che, insieme con donne e bambini, morirono di spada, di fame e in mille al tri modi; quanti e quali furono gli assedi delle città giudaiche; i mali e le pene più tremende dei mali che videro coloro che si rifugiarono a Gerusalemme, stimandola la città più sicura; lo svolgimento della guerra e ogni singolo episodio che in essa si verificò; e, infine, il terrore dell'abbandono, annunciato già dai profeti, che si abbattè proprio sull'antico tempio di Dio, un tempo famoso, che attendeva completa distruzione e rovina piena nel fuoco: tutti questi episodi è possibile, per chi vuole, leggerli nel racconto dettagliato che ne fa Giuseppe. 5. È ne cessario tuttavia rilevare, come egli stesso dice 1 8, che coloro che nei giorni çlella festa di Pasqua si radunarono a Gerusa lemme - erano circa tre milioni - da tutta la Giudea furono co me rinchiusi in un carcere. 6. Bisognava pertanto che, nei gior ni in cui il Salvatore e benefattore di tutti, il Cristo di Dio, subì la passione, la giustizia divina riversasse su quegli uomini, che
q Mt
18
28, 19.
Guerra giudaica, IV, 425-428.
144
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erano come imprigionati in un carcere, la rovina che loro spet tava. 7. Tralasciando i lutti che furono loro inflitti con la spada o in altro modo, ritengo necessario riferire soltanto le sofferen ze causate dalla farne, affinché i miei lettori possano conoscere nel dettaglio come il castigo divino non tardò a colpirli per il reato da loro compiuto contro il Cristo di Dio. 6. LA CARESTIA CHE
LI
TORMENTÒ
Riprendiamo dunque per le mani il quinto libro delle Storie 19 di Giuseppe. Ecco con quale tragicità egli espone ciò che allora accadde: «Per i ricchi rimanere in città significava morire; infatti, accusandoli pretestuosarnente di tradimento, gli insorti uccidevano ognuno di loro per impossessarsi delle sue sostanze. La carestia faceva aumentare il malcontento dei ri voltosi, e di giorno in giorno entrambi i mali crescevano. 2. Es sendo ormai chiaro che in nessun luogo era possibile trovare del cibo, facevano irruzione nelle case, perquisendole da cima a fondo; poi, trovato del grano, picchiavano coloro che ne ave vano negato l'esistenza; se invece non lo trovavano, li tortura vano, perché credevano che lo tenessero nascosto molto bene. La prova dell'averne o no erano i corpi di quei miseri infelici; era chiaro che quanti fra questi avevano ancora la forza di sta re in piedi, ne possedevano a sufficienza. Quelli che erano già allo stremo delle loro forze venivano lasciati vivere, poiché sembrava irragionevole uccidere chi era lì lì per morire di indi genza. 3 . Molti scambiavano di nascosto ciò che possedevano per una sola misura di grano se erano ricchi, di orzo se poveri; poi, chiudendosi nelle stanze più recondite delle case, per l'eccessil.
n.
l9 Si ricorda che Eusebio intitola Storie la Guerra giudaica (cf. sitpra, I, 49). VI, 423 -428.
Libro III;
5-6
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vo bisogno, alcuni mangiavano il grano non lavorato, altri lo cucinavano come la necessità e la paura imponevano. 4. In nes suna casa si apparecchiava la tavola, ma togliendo i cibi dal fuo co, li divoravano con ingordigia ancora crudi. Il cibo era mise ro, ed era lacrimevole vedere i più forti esigere di più, e i più deboli invece compiangersi. 5. li più grande di tutti i mali era la fame, ma niente era ro vinoso quanto il pudore; infatti ciò che in altre occasioni sareb be stato oggetto di vergogna, in questa circostanza invece dive niva degno di disprezzo. Le donne strappavano il cibo dall a bocca dei mariti, i figli da quella dei padri e, ciò che è molto de gno di compianto, le madri da quella dei propri figli. Sebbene le persone più care deperissero fra le loro braccia, non si aste nevano dallo strappare via di bocca ciò che poteva, anche se per poco, mantenerli ancora in vita. 6. Sebbene mangiassero in simile modo, tuttavia non potevano restare nascosti e sfuggire alle ruberie commesse in ogni luogo dai rivoltosi. ll vedere in fatti una casa chiusa a chiave era per costoro segno che coloro che vi abitavano stavano mangiando; sfondate subito le porte, vi facevano irruzione e, afferrati i malcapitati per la gola, face vano loro quasi uscire fuori i bocconi. 7 . Picchiavano i vecchi che facevano resistenza, strappavano i capelli alle donne se cer cavano di nascondere qualcosa in mano; non avevano rispetto alcuno né per i vecchi né per i fanciulli . Questi ultimi anzi, sol levati in aria mentre ancora pendevano dai loro bocconi, veni vano scaraventati poi a terra con violenza. 8. Coloro che, pre vedendo il loro arrivo, divoravano in fretta quel cibo che altri menti sarebbe stato loro tolto, venivano trattati come dei mal fattori e sottoposti a terribili supplizi escogitati per fare loro sputare fuori il cibo: venivano a quei miseri ostruiti con vecce gli orefizi dei genitali e infilati nel retto bastoni aguzzi. Inflig gevano ad ognuno sofferenze tremende anche a sentirsi per in ciurlo a confessare il posto in cui aveva nascosto un pezzo di pa ne o una piccola quantità di orzo. 9 . Quei boia però non pati-
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vano gli stenti (la loro crudeltà infatti sarebbe stata meno fero ce se imposta dalla necessità) dato che, grazie alla loro impu denza, riuscivano a procurarsi il cibo per i giorni seguenti. 10. Assalivano coloro che erano andati di notte a rubare verdure selvatiche ed erba nel campo romano e, quando questi crede vano di essere già sfuggiti ai nemici, toglievano loro ciò che ave vano preso. I derubati, con continue suppliche e invocando il terribile nome di Dio, li scongiuravano di dare loro almeno una parte di ciò che avevano rubato a rischio della loro stessa vita; ma non ottenevano niente, ed era per loro una fortuna non es sere stati uccisi oltre che rapinati» 20 . 1 1 . Dopo aver riferito altri avvenimenti, Giuseppe aggiun ge: «Insieme con il desiderio di uscire, fu tolta ai Giudei ogni speranza di scampo. La fame, che diveniva sempre più acuta, uccideva la gente nelle loro case e sterminava intere famiglie: le terrazze infatti erano stracolme di cadaveri di donne e di neo nati, i vicoli di salme di vecchi. 12. Fanciulli e giovani, tumefat ti, come fantasmi si radunavano nelle piazze e cadevano là do ve l'inedia li faceva stramazzare a terra. I malati non avevano neppure la forza di dare sepoltura ai loro cari, e chi si mante neva ancora in forze ricusava [di farlo] a causa del numero ele vato dei morti e dell'insicurezza del proprio destino: molti in fatti cadevano morti su coloro che avevano testè seppellito, e molti scendevano nelle tombe prima che si presentasse il fato di morte. 13 . Non si udivano, fra queste sciagure, lamento né pianti, poiché la fame aveva represso anche i sentimenti; quelli che stavano per morire guardavano con occhi asciutti venir meno coloro che li avevano preceduti; la città era piombata in un profondo silenzio e in una tetra oscurità, della morte com pagna. 14. Ma ancor più terribile di questi mali erano i brigan ti; questi, saccheggiando le case, rapinavano persino i morti e, 20 Guerra giudaica, V, 424-43 8.
Libro III,
6
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dopo averli spogliati di ciò che ancora ricopriva i loro corpi, se ne uscivano ridendo; saggiavano persino le punte delle spade sui cadaveri, e ne provavano la lama trafiggendo alcuni di quel li che erano stati abbandonati ancora in vita. Lasciavano con disprezzo invece consumare dalla fame coloro che li supplica vano di dar loro aiuto o di porre fine alle sofferenze trafiggen doli con la spada. Ciascuno di coloro che erano ancora in vita guardava quindi fisso verso il Tempio, non curandosi più dei ri voltosi, che erano ancora vivi. 15 . Essi dapprincipio esortavano a seppellire a spese pubbliche i morti, di cui non sopportavano più il fetore; e poiché neppure ciò era sufficiente, presero a but tarli dalle mura giù nei burroni. Quando Tito, attraversandoli, li vide pieni di morti e il sangue uscire abbondante dai cadave ri, alzò le mani al cielo, chiamando a testimone Dio che quello scempio non era opera sua» 2 1 . 1 6 . Giuseppe poi, riferite altre notizie, aggiunge: «Non mi sarà impedito di dire ciò che il dolore mi ordina. Credo che, se i Romani avessero indugiato a intervenire contro gli empi, la città sarebbe caduta in una voragine o invasa da un diluvio o colpita dagli stessi fulmini che si abbatterono su Sodoma; la maggior parte di coloro che soffrivano questi mali discendeva infatti da avi più empi di loro, per la cui follia su tutto il popo lo precipitò la più completa rovina» 22 . 17. Nel sesto libro Giuseppe così scrive: «Ormai incalco labile era il numero delle vittime che la fame mieteva in città, e inenarrabili le sofferenze. In ogni casa era guerra se c'era la so la ombra di cibo; i parenti più cari venivano alle mani gli uni gli altri, strappandosi di bocca i miseri sostentamenti. A soffrire erano non coloro che morivano, ma chi era ancora in vita, a cui i briganti rapinavano anche un misero boccone affinché nessu no di loro morisse con del cibo nascosto addosso. 1 8 . Quelli 21 Guerra giudaica, V, 5 12-519. Guerra giudaica, V, 566.
22
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che venivano rosi dai morsi della fame, come cani rabbiosi, bar collavano, si trascinavano, a mo' di ubriachi chiudevano le por te e per la disperazione facevano irruzione nelle stesse case due o tre volte in un'ora. 19. Il bisogno li spingeva a raccogliere qualunque cosa e a metterla sotto i denti, anche ciò che persi no i più sudici fra gli animali avrebbero rifiutato. Mangiavano infine anche i cinturoni e le suole delle scarpe, e masticavano le pelli disvelte dagli scudi; alcuni si nutrivano anche di fram menti di grano vecchio; altri poi raccoglievano le fibre delle piante e ne vendevano una piccolissima parte per quattro drac me attiche. 20. E che dire della sfrontatezza verso cose imma teriali dovuta alla carestia? Riferisco a questo punto un episo dio, ignoto anche ai Greci e ai barbari, terribile a raccontarsi, incredibile ad udirsi. Io, per non apparire ai posteri uno scrit tore che racconta fandonie, avrei di buon grado tralasciato la narrazione di questo luttuoso fatto se non ne avessi avuto un numero infinito di testimoni nel mio tempo. Se avessi fatto di versamente, avrei reso un cattivo servizio alla patria, tacendo le disgrazie che essa soffrì. 2 1 . Fra coloro che abitavano al di là del Giordano una donna, di nome Maria, figlia di Eleazaro, del villaggio di Batezor 23 (che vuol dire " casa dell'issopo" ) , ill ustre di nascita e per la sua ricchezza, fuggì con molti altri a Gerusa lemme, dove divenne oggetto di continue rapine da parte di quei tiranni, 22 . che le tolsero tutti quei beni che aveva messo insieme e portato dall a Perea in questa città; uomini armati fa cevano ogni giorno irruzione nella sua abitazione per toglierle quelle poche ricchezze che ancora le rimanevano e il cibo che sospettavano essa tenesse nascosto. Una terribile indignazione tormentava l'animo della donna, che insultava e offendeva spesso quegli avvoltoi, provocandoli contro se stessa. 23 . Ma poiché nessuno né per compassione né per pietà la uccideva, ed
23
Località identificabile con l'odierna Zubya.
Libro III,
6
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essa era stanca ormai di cercare cibo per altri, che del resto in nessun luogo era possibile ormai trovare, e poiché la fame le ro deva le viscere e il cervello, e più rabbiosa di essa era la sua col lera, spinta dal bisogno, decise di infierire contro la sua natura. Preso il figlio ancora lattante, 24. disse: "O figlio infelice, a chi ti potrò affidare in tempo di guerra, di carestia e di rivolta? An che se vivremo sotto il dominio romano, avremo la schiavitù; ma prima di essa ci colpirà certo la fame. I rivoltosi però sono più atroci di entrambe. Orsù, sii per me cibo, maledizione per i rivoltosi ed esempio per l'umanità, il solo che manca ancora alle sciagure dei Giudei" . 25 . Dopo aver proferito queste paro le, uccise il figlio; poi, dopo averlo arrostito, ne mangiò metà, nascondendone con cura il resto. Ma subito giunsero i rivolto si, attirati dall'odore dell'empio arrosto, e la minacciarono di ucciderla subito se non avesse consegnato ciò che aveva prepa rato. Essa disse che ne aveva conservato per loro anche una buona razione, e mostrò i resti del figlio. 26. Un improvviso ter rore e rapimento di cuore li prese, facendoli inorridire a quella vista. La donna disse: "Questo è mio figlio, e ciò è opera mia. Mangiate, l'ho fatto anch'io. Non siate più deboli di una don na né più afflitti di una madre. Se voi siete saggi e provate rac capriccio per il mio sacrificio, [sappiate che] io stessa ne ho mangiato, e ciò che ne resta rimanga pure per me" . 27 . A que ste parole essi uscirono tremando, non per il fatto in sé, ma per avere lasciato quel cibo alla madre. Subito a tutta la città fu no ta questa empietà, e ciascuno inorridiva al solo immaginare quell'orrendo delitto, come se ne fosse l'autore diretto. 28. Gli affamati volevano affrettare la morte, ed era fortunato chi anti cipava il suo destino prima di avere ascoltato e visto simili atro cità» 24 .
24
Guerra giudaica, VI, 1 93 -2 1 3 .
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7 . LE PROFEZIE DI CRISTO l . Siffatte furono le pene inflitte ai Giudei per l'ille� alità
ed empietà di cui diedero prova contro il Cristo di Dio. E ora opportuno aggiungere ad esse anche la profezia divina, con la quale il nostro Salvatore predisse queste sciagure: Guai alle donne che saranno gravide e a quelle che allatteranno i loro figli in quei giorni. Pregate che la vostra fuga non abbia luogo d'in verno o di sabato; in/atti vi sarà allora grande sofferenza, quale maz; dall'inizio del mondo fino ad oggz; si è verificata, né accadrà mai più r. 2. Riportando il numero dei morti, lo scrittore riferisce 25 che un milione e centomila uomini morirono di fame o di spa da; i rivoltosi e i briganti invece, denunciatisi a vicenda dopo la presa della città, furono condannati a morte. Fra i giovani, quelli che eccellevano per altezza e bellezza del corpo furono destinati al trionfo; riguardo alla popolazione restante, fra i pri gionieri che superavano i diciassette anni di età, alcuni furono mandati ai lavori forzati in Egitto, ma i più affidati alle provin ce per essere uccisi nei teatri dal ferro o dalle fiere; i giovani al di sotto dei diciassette anni, il cui numero ammontava a no vantamila, furono invece portati via come prigionieri e poi ven duti schiavi. 3 . Questo fu lo svolgimento dei fatti che ebbero luogo nel secondo anno del regno di Vespasiano 26 , così come li avevano preannunziati le p rofezie del Signore e Salvatore no stro Gesù Cristo. Egli, infatti, avendoli previsti come presenti con la sua divina potenza, ne aveva pianto e singhiozzato, come dicono i santi evangelisti, che riportano le testuali parole che egli pronunciò quasi riferendole alla stessa Gerusalemme: 4. Se r
Mt 24, 19-2 1 .
25 Guerra giudaica, VI, 420; 435 . 26 Nel 70 d.C.
15 1
Libro III, 7
conoscessi anche tu in questo giorno le cose per la tua pace/ ora essa invece si cela ai tuoi occhz� poiché verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno con una trincea, ti chiuderanno, ti stringeranno da ogni parte e uccideranno te e i tuoi figli s. 5 . Ri portano poi altre sue parole, quasi fossero dette sul popolo di quella città: Ci sarà una grande necessità nel paese e collera su questo popolo; cadranno sotto i colpi del pugnale e saranno /atti prigionieri da tutti i popolz� che schiacceranno Gerusalemme, fin ché i loro tempi non saranno compiuti r. E ancora: Quando ve drete Gerusalemme assediata dai soldatz� allora sappiate che è or mai prossima la sua rovina u. 6. Confrontando le parole del no stro Salvatore con le notizie che lo storico riferisce sull'intero svolgimento della guerra, come non meravigliarsi nel dichiara re, secondo verità, divina e miracolosa oltre misura la prescien za e la profezia del nostro Salvatore? 7. Riguardo a ciò che accadde all'intero popolo giudaico dopo la passione del Salvatore in seguito alle parole con le qua li la folla salvò dalla condanna capitale il brigante e l' assassi no 27 , chiedendo invece la morte per l'artefice della vita, non è necessario aggiungere altro alle notizie già note. 8. Sarebbe giu sto tuttavia, a conferma della benevolenza divina verso gli uo mini, illustrare quanto avvenne dopo. La Provvidenza divina li mandò in rovina quarant'anni dopo l'efferatezza da loro com piuta contro il Cristo 28 , In questo tempo gran parte degli apo stoli e dei discepoli, e lo stesso Giacomo, primo vescovo della città, ritenuto fratello del Signore, erano ancora vivi e trascor revano nella stessa Gerusalemme la loro esistenza, formando come un baluardo fortissimo in difesa della città. 9. Lo sguar-
s
Le 19, 42-44.
t
Le
2 1 , 23 -24.
u
Le 2 1 , 20.
27 TI riferimento è a Barabba. L' anno indicato è il 70, data della distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito. 28
152
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do divino, che fu fino ad allora benevolo, sarebbe rimasto tale qualora si fossero pentiti di ciò che avevano fatto, avendo così in cambio perdono e salvezza. Oltre ad una simile testimonian za di magnanimità ebbe luogo anche una miracolosa apparizio ne divina, che rivelò loro ciò che stava per accadere se non si fossero pentiti 2 9. Non era assolutamente possibile tacere ai miei lettori queste notizie, ritenute degne di memoria dal sud detto scrittore. 8. l SEGNI PREMONITORI
DELLA GUERRA
l . Si leggano pertanto le parole con cui egli riporta, nel se sto libro delle Storie, questi avvenimenti: «Gli impostori, giu rando il falso persino su Dio, ingannavano quel popolo di infe lici. Nessuno credeva né prestava fede ai segni prodigiosi che preannunziavano l'ormai prossima distruzione, ma, come col piti da un fulmine e come ciechi e privi di mente, non porsero neppure orecchio a questi ammonimenti divini. 2. Un astro, si mile ad una spada, si fermò sopra la città, lasciando lì per un anno una cometa; poi, prima della rivolta e dello scoppio della guerra, quando il popolo era riunito per celebrare la festa degli Azimi 3 0 , l'ottavo giorno del mese di Xandico 3 1 , all'ora nona della notte, una luce così abbagliante illuminò l'altare e il Tem pio da fare sembrare che fosse giorno pieno. Questo fenomeno durò circa mezz'ora. Agli inesperti sembrò un segno propizio, ma gli scribi lo interpretarono rettamente, come presagio cioè
2 9 Questa apparizione è riferita al capitolo successivo.
3 0 Era la festa che dava inizio alla celebrazione della Pasqua ebraica. Essa durava una settimana e prendeva tale denominazione dal fatto che in quei giorni non veniva usato il lievito per fare il pane (cf. Es 12, 15-20; 13, 3 7; 23 , 1 5 ; 3 4 , 1 8 ) . S ui riti i n essa prescritti cf. Lv 23 , 5-8; Nm 2 8 , 16-25 . 3l Mese del calendario macedone, usato in Asia Minore dopo la con quista di Alessandro Magno (cf. anche supra, I, n. 87) .
Libro III,
7-8
153
delle sventure future. 3 . Durante questa stessa festa una gio venca, portata dal sommo sacerdote per il sacrificio, partorì un vitello in mezzo al Tempio. 4 . La porta orientale interna poi, che era di bronzo e pesantissima, chiusa a fatica di sera da ven ti uomini e sprangata con catenacci di ferro e con paletti con ficcati ad una profondità notevole nel terreno, fu vista aprirsi da sola all'ora sesta della notte 3 2 . 5 . Non molti giorni dopo quella festa, il ventuno del mese di Artemisia 33 , apparve un de mone incredibilmente grande. Ma potrebbe sembrare una fa vola ciò che sto per riferire se non mi fosse stato raccontato da testimoni oculari, e se le sofferenze future non fossero state de gne di tali segni premonitori. Prima del tramontare del sole si videro carri sospesi in cielo circondare tutta la regione, e falan gi di opliti slanciarsi dalle nuvole e cingere la città. 6. I sacer doti raccontarono che, in occasione della festa detta di Pente coste 34, recatisi di notte al Tempio per la liturgia, come erano soliti fare, sentirono dapprima movimento e rumore, poi una voce rimbombante che diceva: "Noi andiamo via da qui" 35 . 7 . E, cosa più orrenda di queste, un contadino di nome Gesù, fi glio di Anania, cittadino privato, quattro anni prima dello scop pio della guerra 36, quando la città viveva ancora in pace pro fondissima e in tranquillità, partecipava alla festa, in cui era tra dizione che tutti erigessero tende a Dio 37; all'improvviso co32
Su questi particolari cf. anche Tacito, Storie, V, 13 , l .
3 3 Altro mese d el calendario macedone.
34 La festa di Pentecoste veniva celebrata cinquanta giorni dopo la Pa squa per commemorare il giorno della consegna della Legge a Mosè. Sul suo svolgimento cf. Lv 23 , 15-22; Nm 28, 26-3 1 . 3 5 Voce spiegabile con un'antica tradizione ebraica, secondo l a quale gli dei abb an donavano al suo destino una città ormai destinata alla distruzione. 36 Nel 62 d.C. 37 Riferimento alla Festa delle capanne, celebrata dagli Ebrei per ricor dare l'esodo dall'Egitto. In occasione di questa ricorrenza essi, abbandonate le proprie case, erano soliti di.tnorare in capanne appositamente erette. Su di essa cf. Lv 23 , 33-43 ; Nm 29, 12-39; Dt 16, 13-16.
154
Storia ecclesiastica
minciò a gridare verso il Tempio: "Voce dall ' Oriente, voce dal l'Occidente, voce dai quattro venti, voce su Gerusalemme e il Tempio, voce contro sposi e spose, voce contro tutto il popo lo" . Questo andava gridando di giorno e di notte, aggirandosi per tutti i vicoli. 8. Alcuni fra i notabili del popolo, irritati per il malaugurio, fecero gettare in carcere quell'uomo e ordinaro no che fosse frustato senza risparmio. Ma egli, urlando non per le sofferenze patite e neppure contro i presenti, continuava a gridare le stesse parole di prima. 9. I magistrati, pensando, co me in effetti era, che l'uomo fosse mosso da un essere sopran naturale, lo portarono al cospetto del governatore romano 38. Qui, pur frustato fino a far vedere le ossa, non implorava né piangeva, ma, piegandosi compassionevolmente ad ogni sferza ta, ripeteva: "Ahi, ahi, Gerusalemme"» 39. 10. Lo stesso storico racconta un altro episodio più incre dibile di questo; nelle Sacre Scritture trovò infatti, come egli stesso dice, una profezia, secondo la quale in quel momento un uomo della stessa regione avrebbe regnato sul mondo; e ciò, se condo lui, si sarebbe adempiuto nei riguardi di Vespasiano 40 . 1 1 . Ma egli regnò solo sui territori soggetti a Roma e non su tut ta la terra; sarebbe più esatto attribuire quindi la profezia a Cri sto, a cui il Padre disse: Chiedimi e ti darò popoli come tua ere dità, e come tua proprietà i confini della terra v; e, proprio in quel tempo il grido dei santi apostoli risuonò per tutta la terra, e le lo ro parole giunsero fino ai confini del mondo w.
v
Sal 2, 8.
w
Sal 1 9, 5.
38 Si tratta di L. Albino. . 39 Guerra giudaica, VI, 288-304. 4 0 Guerra giudaica, VI, 3 12-3 1 3 . Su questo episodio cf. anche Tacito, Storie, V, 13 , 2; Suetonio, Vita di Vespasiano, 4, 9.
Libro III, 8-9
155
9. GIUSEPPE E LE OPERE CHE CI HA LASCIATO l . Dopo queste notizie, è giusto sapere da chi nacque e di quale stirpe era lo stesso Giuseppe, che nella sua Storia ci ha la sciato tante notizie sugli argomenti testè trattati. Di questo ci informa lui stesso dicendo: «Giuseppe, figlio di Mattia, sacer dote di Gerusalemme, che in un primo tempo fui nemico dei Romani e che la sorte volle che assistessi per necessità agli av venimenti successivi» 4 1 . 2 . Egli era in quel momento uomo ri nomato non solo fra i Giudei della sua stessa tribù, ma anche fra i Romani, che lo onorarono con la dedica di una statua nel la loro città e ritennero le opere da lui scritte degne di essere ac colte nelle biblioteche. 3 . Egli compose, in venti libri, le Anti chità giudaiche, e in sette la storia della guerra contro i Romani a lui contemporanea, che egli stesso, già degno di fede per altre ragioni, dice 42 di aver composto non solo in greco, ma anche nella sua lingua patria 43 . 4 . È inoltre degna di considerazione anche un'altra opera intitolata Sull'antichità dei Giudei 44 , in due libri: in essa confuta le tesi del grammatico Apione, che aveva allora scritto un'opera contro i Giudei, e di molti altri che tentarono di infamare le patrie usanze del popolo giudaico. 5 . Nel primo di questi riferisce il numero degli scritti che costi tuiscono l'Antico Testamento, precisando, con queste parole, quelli che gli Ebrei ritengono autentici per antica tradizione:
4 1 Guerra giudaica, I, 3 .
42 Ibidem. 43 L'aramaico. 44 Più nota come Contro Apione, un'orazione diretta ad Apione, «uo mo di molta cultura letteraria, dotto e di vasto sapere nel campo della grecità» (Gellio, Notti attiche, V, 14, 1 ) , capo del partito antisemita di Alessandria e difensore estremo della superiorità della cultura greca su ogni altra. Al suo av versario Giuseppe dimost ra il notevole debito dovuto dalla cultura greca a quella ebraica, di gran lunga più antica.
156
Storia ecclesiastica 10. COME GIUSEPPE CITA I LIBRI SACRI
l . «Noi non possediamo libri innumerevoli e in contrad dizione fra loro, ma solo ventidue, che raccontano la storia di tutti gli anni passati e che sono ritenuti a buon diritto divini. 2 . Di questi, cin que sono di Mosè 45 , e contengono le Leggi e l a narrazione della storia umana dalla creazione dell'uomo fino al la morte di Mosè, periodo, questo, di poco inferiore a tremila anni. 3 . Dalla morte di Mosè fino a quella di Artaserse, re dei Persiani dopo Serse, i profeti posteriori a Mosè riferiscono in tredici libri gli avvenimenti verificatisi ai loro tempi; gli altri quattro contengono inni a Dio e ammonimenti per la vita degli uomini. 4 . Dal tempo che va da Artaserse al nostro è stato rife rito ogni episodio in molti scritti, che però non sono degni di fede come quelli a loro anteriori, dato che in essi la successio ne dei profeti presenta inesattezze. 5. È manifesto dai fatti quindi come noi ci accostiamo alle nostre Scritture. Sebbene sia ormai trascorso un sì lungo tempo, nessuno ha osato aggiunge re, togliere o completare nulla, e a tutti i Giudei viene natura le, sin dalla prima generazione, ritenerli dogmi divini da segui re fedelmente, per i quali, se necessario, essere disposti anche a morire» 46 . 6. Si noti l'utilità del passo testè riportato. Egli è anche autore di un'altra meritevole opera dal titolo Sul predominio della ragione, da alcuni intitol ata Maccabaico 47, perché riguar da le gesta valorose compiute dagli Ebrei in difesa della loro devozione a Dio, narrate nei libri detti Dei Maccabei. 7. Alla fi ne del ventesimo libro delle Antichità afferma 4 8 di accingersi
45 Riferimento al Pentateuco. 46 Contro Apione, I, 38-42. 47 L'opera non è da attribuire a Giuseppe. Si tratta invece di un apo crifo dell'Antico Testamento. 48 Antichità giudaiche, XX, 268.
Libro IIL 1 0
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a scrivere in quattro libri un'opera sulle opinioni patrie dei Giudei circa Dio e la sua essenza, e sulle leggi, e su che cosa presso di loro è possibile fare e cosa no; dichiara poi di aver ri tenuti degni di considerazione, nelle sue opere, anche altri ar gomenti. 8. È giusto inoltre riportare, per testimoniare la veri dicità delle notizie da lui trasmesseci, ciò che egli scrisse alla fi ne delle Antichità 49. Muovendo a Giusto di Tiberiade 5 0 , fra le molte accuse, anche quella di non aver riferito secondo verità gli avvenimenti contemporanei, che egli, come lui, aveva ten tato di descrivere, aggiunge queste testuali parole: 9. «lo, per i miei libri, non ho temuto la stessa tua sorte, ma li ho dati agli stessi imperatori, quando gli avvenimenti in essi descritti si svolgevano ancora sotto i loro occhi; non mi sbagliai infatti pretendendo di perseguire la verità nel riferire le testimonian ze. 10. Ho sottoposto i miei scritti al giudizio di molti altri, al cuni dei quali avevano preso parte alla gu�rra, come il re Agrippa 5 1 e alcuni dei suoi consanguinei. 1 1 . L'imperatore Ti to volle che solo le mie opere consegnassero agli uomini la co noscenza di quei fatti, e per questo prescrisse di pubblicarle, scrivendo l'ordine di suo pugno. TI re Agrippa scrisse poi ses santadue lettere, con cui testimonia la veridicità dei fatti da me narrati» 52. Di queste poi Giuseppe ne riporta due. Ma su di lui basti quanto detto finora.
49 La citazione seguente appartiene in verità alla Autobiografia, per la quale cf. la nota seguente. 5 0 È autore di un'opera dal titolo Gue"a giudaica, in cui, trattando lo stesso periodo esaminato nell'omonimo scritto di Giuseppe Flavio, muove a quest'ultimo l'accusa di aver tradito il popolo giudaico, evidente a suo avviso nel chiaro atteggiamento filoromano impresso alla narrazione degli avveni menti. A questa accusa Giuseppe rispose con l'Autobiografia, un opuscolo in cui tenta di dimostrare la propria fedeltà al suo popolo. 5 1 Agrippa il. 5 2 Autobiografia, 361-364.
15 8
Storia ecclesiastica 1 1 . D OPO GIACOMO SIMEONE GUIDA LA CHIESA DI GERUSALEMME
Proseguiamo ora nella narrazioné degli avvenimenti suc cessivi. Si narra che, dopo il martirio di Giacomo e la presa di Gerusalemme ad esso immediatamente successiva, gli apostoli e i discepoli del Signore ancora in vita convennero da ogni par te nello stesso luogo insieme con coloro che, per nascita, erano parenti del Signore (gran parte di costoro infatti era in quel tempo ancora in vita) , e tutti insieme tennero un consiglio per designare un degno successore di Giacomo. Tutti, con unanime consenso, stimarono Simeone, figlio di quel Cleopa, ricordato anche nel testo evangelico x, meritevole di sedere sul trono epi scopale di quella diocesi, per il fatto di essere, come si diceva, cugino del Salvatore (Egesippo 5 3 dice infatti che Cleopa era fratello di Giuseppe) .
12.
VESPASIANO ORDINA DI PERSEGUITARE I DISCENDENTI DI DAVIDE
Inoltre Vespasiano, dopo la presa di Gerusalemme, or dinò di perseguitare tutti coloro che discendevano dalla stirpe di Davide affinché tra i Giudei non restasse nessuno di discen denza regale; per questo motivo una grandissima persecuzione colpì nuovamente i Giudei 54 .
x
Cf. Le 24, 18; Gv 19, 25 .
53
54
Su questo storico cf. supra, I, n. 6 e in/ra, rv, 22.
Questo episodio non trova riscontro in nessun altro storico antico.
Libro III, 1 1-15
159
13 . ANACLETO È IL SECONDO VESCOVO DI ROMA Dopo Vespasiano, che regnò per dieci anni 55 , divenne im peratore il figlio Tito. Nel secondo anno del suo regno 5 6 a Li no, che fu vescovo della Chiesa di Roma per dodici anni, suc cedette Anacleto. Dopo due anni e due mesi di regno 57 Tito la sciò il trono al fratello Domiziano. 14. AVILIO È IL SECONDO VESCOVO DI ALESSANDRIA Al quarto anno del regno di Domiziano 5 8 morì Anniano, primo vescovo della Chiesa di Alessandria, che rimase in carica ventidue anni, e gli succedette, secondo dopo di lui, Avilio.
15 . CLEMENTE TERZO VESCOVO DI ROMA DOPO ANACLETO
Nel dodicesimo anno di regno dello stesso imperatore 59 ad Anacleto, che aveva retto l'episcopato della Chiesa di Roma per dodici anni, succedette Clemente 6o, che l'apostolo [Paolo] , nella Lettera ai Filippesi, definisce suo aiutante dicendo: Con Clemente e gli altri miei aiutant� i cui nomi sono nel libro della vita Y. Y Fil 4 , 3 . 55 Dal 69 al 79 d.C. 5 6 L'anno indicato è 1'81 d.C. 57 Tito regnò dal 79 all ' 81 d.C. 58 Nell' 84 d.C. 59 Nel 93 d.C. 60 La notizia è attestata anche in Origene, Commento a Giovanni, 6, 36, da Girolamo, Gli uomini illustri, 15, e da Ireneo, Contro le eresie, III, 3, 3. Ma secondo Tertulliano, De prescriptione ereticorum, 32, Clemente fu designato vescovo di Roma direttamente da Pietro.
1 60
Storia ecclesiastica
16.
LA LETTERA DI CLEMENTE
Di costui si riconosce autentica una sola lettera, traman data fino ai nostri giorni, ponderosa e mirabile, che egli scrisse dalla Chiesa di Roma a quella di Corinto, dove era sorta una contesa 61 • Sappiamo che anche di questa, in moltissime Chie se, nei tempi antichi e nei nostri, si dà pubblica lettura 62, Te stimone degno di fede dei sollevamenti verificatisi a Corinto al tempo del già citato imperatore è Egesippo.
1 7 . L A PERSECUZIONE AL TEMPO D I DOMIZIANO
A Roma Domiziano, che diede prova di grande crudeltà contro molti, condannò a morte, senza regolare giudizio, molti patrizi e molti altri uomini illustri, e senza validi motivi punì ad esili oltre confine e a confische di beni molti altri notabili, di venendo così, dopo la sua morte, degno erede di Nerone per la sua pari ostilità ed empietà verso Dio. Domiziano fu il secondo imperatore a muovere una persecuzione contro di noi, sebbene suo padre Vespasiano non ci avesse mostrato alcuna ostilità.
18.
L'APOSTOLO GIOVANNI E
L'APOCALISSE
l . Si narra che in questo tempo l'apostolo ed evangelista Giovanni, che era ancora in vita, fu condannato all'esilio nell'i sola di Patmo per avere testimoniato la parola divina. 2. Ire-
61 A motivo dei disordini scoppiati in seno alla Chiesa di Corinto, do ve i presbiteri erano stati destituiti arbitrariamente, demente scrive nel 96 a quella comunità, ammonendola alla sottomissione ai vescovi in nome della lo ro autorità, ricevuta direttamente dagli apostoli. Su Clemente cf. in/ra, 38 e M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit. , pp . 33 -34. 62 Su questo punto cf. anche in/ra, IV; 23 , 1 1 .
Libro III,
1 6- 1 9
161
neo 63 , scrivendo nel quinto libro dell'opera intitolata Contro le eresie sul numero che l'Anticristo porta nell'Apocalt5se z di Gio vanni, dice testualmente così: 3 . «Se fosse necessario in questo momento svelare apertamente il nome dell'Anticristo, esso po trebbe essere stato proclamato da lui, che ne vide anche la mani festazione, avvenuta non molto tempo fa, ma quasi al nostro tem po, all'incirca verso la fine del regno di Domiziano 64 » 65 . 4. L'insegnamento della nostra fede risplendeva in quel tempo a tal punto che persino autori lontani da essa non ricu sarono di narrare, nelle loro opere storiche, la persecuzione e le testimonianze che la riguardano. Essi ne indicano con precisio ne la data, poiché riferiscono la condanna all'esilio nell'isola di Ponza, avvenuta nel quindicesimo anno del regno di Domizia no 66, di Flavia Domitilla, figlia della sorella di Flavio Clemen te, uno dei consoli romani di allora, rea di avere testimoniato la sua fede in Cristo. Oltre alla condanna all'esilio di costei ripor tano anche quella di moltissimi altri 67 . 19. DOMIZIANO ORDINA DI UCCIDERE I DISCENDENTI DI DAVIDE Un'antica tradizione riferisce che alcuni eretici, approfit tando di un decreto di Domiziano che ordinava l'uccisione dei discendenti di Davide, accusarono i discendenti di Giuda (que sti era fratello carnale del Salvatore ••) di avere tale discenden za e di essere imparentati, per questo, con il Cristo. Queste co se racconta Egesippo, dicendo testualmente: z
Ap 13, 18.
63
Su lreneo d.
64 Nel 95 d.C.
aa
Cf. Mt 13, 55 ; Mc 6, 3 .
supra, II, n. 55.
65 Contro le eresie, V, 30, 3 . 6 6 n riferimento è all ' arino 85 d.C. 67 Su questa condanna cf. anche Suetonio, Vita di Domiziano, 15 , l; Cassio Dione, Storia romana, LXVII, 14
162
Storia ecclesiastica
20. l DISCENDENTI DEL NOSTRO SALVATORE l . «Della famiglia del Signore erano ancora in vita i nipo ti di Giuda, quello ritenuto fratello carnale di Cristo. Costoro, accusati di essere discendenti di Davide, furono trascinati dal l' evocatus 68 al cospetto di Cesare Domiziano, che temeva, co me Erode, la venuta del Cristo. 2 . Egli chiese loro se erano di scendenti di Davide; avuta risposta affermativa, domandò quante sostanze avessero e di quanto denaro fossero in posses so. Essi risposero che entrambi avevano novemila denari sol tanto, metà per ciascuno, non in contanti, dicevano, ma corri spondenti al valore di un'estensione terriera di soli trentanove pletri 69, da cui pagavano le tasse e traevano nutrimento, colti vandola con le proprie mani». 3 . Gli fecero vedere poi le mani, mostrando come prova della propria fatica la rudezza della su perficie e i calli su di esse formatisi a causa del continuo lavo ro. 4. Interrogati su Cristo, sulla natura del suo regno e sul co me, sul dove e sul quando si sarebbe manifestato, dissero che esso non era di questo mondo, né terreno, ma celeste e angeli co, e avrebbe avuto compimento alla fine dei secoli, quando, salendo in gloria, Cristo avrebbe giudicato i vivi e i morti e avrebbe dato a ciascuno in base alle proprie azioni 70. 5 . A que ste parole Domiziano non manifestò nessuna ostilità nei loro confronti, ma si mostrò anzi benevolo, !asciandoli liberi e met tendo fine, con un decreto, alla persecuzione contro la Chiesa . 6. Quelli che furono liberati si misero a capo delle Chiese come testimoni e discendenti per nascita dal Signore; instaurata la pace, vissero fino ai tempi di Traiano 7 1 . 68 Con questo nome venivano designati gli ufficiali che costituivano un corpo di guardia permanente presso l'imperatore. Essi non avevano funzioni militari, ma solo giuridico-amministrative. 69 Misura greca equivalente a 1 00 piedi. 70 Espressione di origine scritturistica (cf. Mt 16, 27 ; Rm 2, 6) . 71 Traiano regnò dal 98 al 1 17 d.C.
Libro III,
20-2 1
163
7 . Questo dice Egesippo. Anche Tertulliano fa menzione di Domiziano dicendo: «Anche Domiziano, degno erede della cru deltà di Nerone, ha tentato di comportarsi come lui. Ma avendo, credo, un po' di buon senso, si tirò subito indietro, ri chiamando anche coloro che aveva condannato all'esilio» 72. 8. Dopo Domiziano, che regnò per quindici anni 73 , prese il potere Nerva, sotto il quale il senato romano deliberò l'abro gazione delle disposizioni di Domiziano, il rimpatrio e la resti tuzione delle ricchezze a coloro che erano stati esiliati ingiusta mente. Riferiscono queste notizie gli scrittori che hanno com posto opere sugli avvenimenti di quel tempo 74 . 9. La tradizio ne degli antichi ci ha tramandato che allora anche l'apostolo Giovanni fu richiamato dall'esilio nell'isola di Patmo e tornò a vivere ad Efeso 75 .
2 1 . TERZO CAPO DELLA CHIESA D I ALESSANDRIA FU CERDONE
A Nerva, che regnò per poco più di un anno 76, succedet te Traiano. Nel primo anno del suo regno ad Avilio, che aveva retto la diocesi di Alessandria per tredici anni, succedette Cer done. Questi fu il terzo ad essere eletto vescovo di questa città a partire da Anniano, che fu il primo. In questi anni Clemente era ancora vescovo di Roma, terzo fra quelli succeduti a Paolo e Pietro nell'episcopato della città; Lino fu il primo e secondo dopo di lui Anacleto.
72 Apologetico, 5, 4. 73 Dall'8 1 al 96 d.C. 74 Cf. Suetonio, Vita di Domiziano, 23 ; Cassio Dione, Storia romana, LXVIII, l ; Plinio il Giovane, Panegirico, 52.
75 Cf. supra, 18, l. 7 6 Dal 96 all'inizio del 98 d.C.
Storia ecclesiastica
1 64
22 . IG NAZI O È SECONDO VESCOVO DI ANTIOCHIA
Dopo Evodio, primo vescovo della Chiesa di Antiochia, divenne illustre in quei tempi, secondo dopo di lui, Ignazio 77 . Nello stesso . anno Simeone ricevette, secondo dopo il fratello del nostro Salvatore, la guida della Chiesa di Gerusalemme nel periodo che stiamo esaminando.
23 .
STORIA
DELL' APOSTOLO GIOVANNI
In questi tempi lo stesso apostolo ed evangelista Gio vanni, che Gesù amava, viveva ancora in Asia e, tornato dall'e silio nell'isola di Patmo dopo la morte di Domiziano, si rimise a dirigere le Chiese locali. 2 . Che in questi tempi era ancora vi vo basterebbe a provarlo la testimonianza di due autori degni di fede, araldi dell'ortodossia ecclesiastica: Ireneo e Clemente di Alessandria 7 8 . 3 . Il primo, nel secondo libro dell'opera Con tro le eresie, scrive testualmente così: «Tutti i presbiteri che in contrarono in Asia Giovanni, il discepolo del Signore, testimo niano che egli si mantenne nella tradizione. Rimase infatti con loro fino al tempo di Traiano» 79 . 4. Nel terzo libro della stessa opera afferma questa stessa cosa dicendo: «La Chiesa di Efeso, fondata da Paolo, è testimone verace della tradizione apostoli ca per la presenza di Giovanni, che vi rimase fino ai tempi di Traiano» 8o. 5. Inoltre Clemente, ill ustrando lo stesso periodo di tem po, tramanda questo racconto nella sua opera dal titolo Ch i è quel ricco che si salva? 81 , utilissima a coloro che gradiscono l.
77 Su Ignazio cf. in/ra, 36. 78 Su questo autore cf. in/ra, V, 1 1 . 7 9 Contro le eresie; Il, 22, 5 . 80 Contro le eresie, III, 3 , 4 . 81 Cf. supra, n. 78.
Libro III, 22-23
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ascoltare cose belle ed edificanti. Leggi con attenzione quello che egli dice: 6. «Ascolta un racconto che non è una favola, ma una storia veritiera tramandataci sull ' apostolo Giovanni e cu stodita nella memoria. Dopo la morte del tiranno 82 Giovanni, richiamato dall'isola di Patmo, tornò a vivere ad Efeso. Quan do veniva chiamato, si recava anche nei territori delle popola zioni vicine per nominare i vescovi, organizzare intere comu nità e scegliere come chierico uno di quelli designatigli dallo Spirito. 7 . Giunto dunque in una città non lontana (il cui nome alcuni riportano 83 ) , prese, fra le altre cose, a dare sollievo ai fra telli; indirizzando poi lo sguardo sul vescovo, capo dell ' int e ra comunità, vide un giovane vigoroso nel corpo, bello a vedersi, d'animo ardente. Rivoltosi al vescovo, disse: "Lo affido alle tue cure alla presenza della Chiesa e di Cristo come testimoni" . n vescovo lo prese con sé, promettendo a Giovanni, con le stesse parole e di fronte agli stessi testimoni, che ne avrebbe avuto cu ra. 8. L'apostolo ritornò allora ad Efeso. n presbitero accolse in casa sua il giovane che gli era stato affidato, lo allevò, lo educò, se ne curò, e infine lo battezzò. Dopo il battesimo lo liberò dal suo zelo e dalla sua tutela, poiché credeva di avere posto in lui il segno del Signore, difesa perfetta. 9. Allentata la custodia prima del momento giusto, alcuni coetanei, corrotti e dissoluti, ormai avvezzi al male, lo condussero alla rovina; dapprima lo portarono con loro in pranzi fastosi, poi di notte a rubare; infi ne pensarono bene fare qualcosa di ancora più grande. 10. Egli in poco tempo si abituò a tutto questo e, per la sua grande na tura, allontanandosi dalla via della rettitudine come un cavallo indocile e vigoroso che morde il freno, sprofondava sempre più nel baratro. 1 1 . Rinunziando alla salvezza in Dio, ambiva alla re alizzazione non di piccoli progetti, ma di g randi disegni; e, poiché era ormai perduto per sempre, ritenne bene seguire la 82 li riferimento è a Domiziano, morto nel 96 d.C. 83 Smirne.
1 66
Storia ecclesiastica
stessa strada degli altri suoi compagni. Radunatili, organizzò una banda, di cui fu degno capo, violentissimo, crudelissimo, spietato. 12. Trascorso del tempo, presentandosene la neces sità, fu 'chiamato Giovanni. Egli, quando ebbe sistemato le al tre cose per le quali era venuto, disse: " Orsù, o vescovo, rendi ci il bene che io e Cristo ti abbiamo dato in cura alla presenza della Chiesa, di cui sei il capo e che ne è testimone " . 13 . Egli dapprima rimase colpito, credendo di essere accusato di avere rubato ricchezze che non aveva mai preso. Ma non poteva non credere a Giovanni per quelle cose che non aveva mai avuto e non prestare fede alla sua parola. Così Giovanni gli disse: "Il giovane ti chiedo, e l'anima del fratello " . Il presbitero, volgen do gli occhi in basso e scoppiando in lacrime, disse: "Costui è ' morto " . " C ome e d'1 qu al e morter"' " . " E morto a n 10 · " , nspose; . "è divenuto infatti malvagio e dissennato, ma soprattutto bri gante, e, invece di stare in Chiesa, se ne sta rintanato sui monti con una banda di uomini suoi pari." . 14. L'apostolo, strappata si la veste, gemette a lungo e, battutosi il capo, disse: "Bella cu stodia all'anima del fratello ho lasciato ! Portatemi un cavallo e qualcuno mi faccia da guida per il cammino " ; e partì da quella Chiesa così come era. 15 . Giunto sul luogo, venne preso dall'a vanguardia dei briganti, ma non tentò la fuga, né implorò la propria libertà, ma gridò: "Conducetemi dal vostro capo, per ché è per lui che sono venuto" . 16. Questi lo aspettava armato e, riconosciuto Giovanni che entrava, preso da vergogna, cercò di darsi alla fuga. 1 7 . Ma l'apostolo, dimentico della sua età, si mise ad inseguirlo con tutte le sue forze gridando: "Perché fug gi, figlio, da me, tuo padre disarmato e vecchio? Abbi pietà di me, figlio, non temere; hai ancora speranza di salvezza. Io chie derò venia a Cristo per te; se necessario, morirò volentieri al tuo posto, come ha fatto il Signore per noi; per la salvezza della tua anima darò la mia. Fermati; credimi, Cristo mi ha mandato " . 18. Uditolo, dapprima si fermò abbassando lo sguardo; poi gettò via le armi e, tremando, pianse amaramente. Abbracciò il
Libro III, 23-24
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vecchio che si avvicinava a lui, implorando il suo perdono, co me poteva, tra i singhiozzi e le lacrime, con le quali fu battez zato nuovamente; ma nascondeva la destra. 19. Giovanni, avvi cin atosi, gli giurò che aveva trovato perdono per lui presso il Salvatore e, pregandolo in ginocchio e baciandogli la destra or m ai mondata dal pentimento, lo ricondusse alla Chiesa. Sup plicandolo con assidue preghiere, combattendo con lui in con tinui · digiuni e affascinando la sua mente con i vari incanti dei suoi discorsi, non lo abbandonò, come si dice, se non prima di averlo restituito alla Chiesa, lasciando così un grande esempio di vero pentimento e di grande monito di rinascita, trofeo del la resurrezione evidente a tutti» 84 .
24 . L'ORDINE DEI VANGELI
l . Ho riferito questo racconto di Clemente per il contenu to e per l'utilità che ne ricaveranno coloro che lo leggeranno. Orsù, elenchiamo le opere indiscusse dell'apostolo Gio vanni. 2 . Per prima cosa si deve riconoscere autentico il Van gelo secondo Giovanni, noto a tutte le Chiese della terra. Chia rirò ora perché gli antichi, a ragione, gli hanno assegnato il quarto posto dopo gli altri tre. 3 . Quegli uomini divini e vera mente degni di Dio, dico gli apostoli del Cristo, che conduce vano una vita proba e avevano ornato le loro anime di ogni virtù, inesper�i di arte oratoria, ma coraggiosi per la potenza divina e miracolosa data loro in dono dal Salvatore, non sep pero e non tentarono neppure di annunciare con persuatrice arte sofistica gli insegnamenti del Maestro, ma, forti della ma nifestazione dello Spirito divino che operava in loro e della so la potenza del Cristo operatrice di miracoli, che agiva per loro
84 Chi è il ricco che si salva?, 42 .
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Storia ecclesiastica
tramite, fecero conoscere a tutto il mondo il regno dei cieli, dandosi poco pensiero della bellezza stilistica. 4. Facevano questo perché erano preposti ad un servizio più grande e su periore alla condizione umana. Paolo pertanto, quantunque espertissimo nell'arte di elaborare discorsi e ingegnoso nei pensieri, non scrisse che brevissime lettere, sebbene avesse da dire mille cose, per di più ineffabili, che era stato reputato de gno di udire quando aveva sfiorato la bellezza meravigliosa del terzo cielo ed era stato rapito fin nello stesso Paradiso divino. 5. Delle stesse cose non furono privati neppure gli altri che avevano frequentato il nostro Salvatore: i dodici apostoli, i set tanta discepoli e innumerevoli altri. Ma fra tutti coloro che fu rono vicini al Signore, soltanto Matteo e Giovanni hanno la sciato le loro memorie che, si dice, misero per iscritto perché ne avvertivano la necessità. 6. Matteo, che in un primo mo mento predicò la buona novella agli Ebrei, quando stava per andare anche presso altri popoli, compose nella lingua patria 85 il proprio Vangelo, sostituendo, con esso, la sua presenza pres so coloro che lasciava. 7. Si dice che, quando Marco e Luca avevano ormai redatto i loro Vangeli, Giovanni, che aveva sempre predicato oralmente, decise di scrivere il suo Vangelo per il seguente motivo. Si dice che egli approvò i primi tre Vangeli già scritti e noti a tutti e anche a lui, testimoniandone così la veridicità; decise poi di affidare alla scrittura soltanto il racconto delle azioni compiute da Cristo all'inizio della sua p redicazione. 8. Ciò corrisponde a verità: si può infatti consta-
85 Alcuni studiosi, a partire già da A. von Widmanstadt ( 1555 ) , hanno avanzato l ipotesi che la prima redazione di questo Vangdo fosse in aramai co. Presupposto ne era che l'ebraico non sarebbe più stato parlato ai tempi di Gesù. La scoperta dei manoscritti di Qumran, che sono tutti in ebraico, e la testimonianza di Papia, riportata da Eusebio a 39, 16, che attesta esplicita mente che il Vangdo di Matteo è stata composto nella lingua ebraica, hanno dimostrato l'infondatezza di questa supposizione. '
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tare che i tre evangelisti hanno dato inizio alla loro narrazione soltanto a partire da ciò che fece il Salvatore in un solo anno, dopo la detenzione in carcere di Giovanni il Battista. 9. Dopo aver parlato del digiuno di quaranta giorni e della tentazione ch e ad esso seguì, Matteo precisa il momento da cui comincia ad esporre gli avvenim enti dicendo: Avendo saputo che Gio vanni era stato arrestato, si ritirò dalla Giudea in Galilea ab ; 10. e così pure Marco: Dopo che Giovanni/u arrestato, Gesù andò in Galilea ac ; e Luca, prima di dare inizio alla narrazione delle azioni di Gesù, dà una notizia simile, dicendo che Erode chiu se Giovanni in carcere ad , aggiungendo così un altro male a quelli già compiuti. 1 1 . Si dice perciò che l'apostolo Giovanni fu pregato di far conoscere col suo Vangelo il periodo omesso nel racconto dei precedenti evangelisti e le azioni compiute dal Salvatore in questo tempo (in quello cioè anteriore all' ar resto del Battista) . È lo stesso evangelista ad attestare ciò di cendo: Cosz' Gesù diede inizio ai propri miracoli ae . E riferendo, tra le altre azioni di Gesù, il battesimo che egli ricevette dal Battista quando costui battezzava nella regione di Euon, vici no Salem, lo dichiara con chiarezza ancora maggiore dicendo: Così in/atti Giovanni non era stato ancora rinchiuso in carce re af. 1 2 . Dunque Giovanni, nel suo Vangelo, riferisce le azio ni di Cristo anteriori all'arresto del Battista, mentre gli altri tre evangelisti riportano gli avvenimenti successivi alla sua deten zione in car cere . 1 3 . A chi conosce queste cose, non sembrerà più che i Vangeli discordino fra di loro, perché quello di Gio vanni riferisce le prime azioni compiute da Cristo, gli altri quelle che egli fece negli ultimi anni della sua vita terrena. Per tanto Giovanni ha omesso di riportare la genealogia secondo la carne del nostro Salvatore, perché già riferita da Matteo ag e
3 , 24.
ac Mc l , 14. ab Mt 4, 1 2 . ag Mt l , l - 1 7 .
ad
Lc 3 , 20.
ae
Gv 2 , 1 1 .
a f Gv
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Storia ecclesiastica
da Luca ah, ma cominciò dalla sua teologia 8 6 , quasi fosse st ata riservata a lui, come al migliore, dallo Spirito di Dio. 14. Circa la composizione del Vangelo secondo Giovan ni basti quanto detto; ed ho già illustrato precedentemente 87 la causa che diede origine a quella del Vangelo secondo Marco. 15 . Luca poi, all'inizio del suo Vangelo ai , espone il motivo che pre siede alla sua composizione, mostrando che, poiché molti altri si erano già adoperati alquanto sconsideratamente nel riferire quegli avvenimenti di cui egli invece si era pienamente infor mato, spinto da necessità, volendo allontanare da noi le loro dubbie narrazioni, ha tramandato un racconto accurato degli avvenimenti di cui aveva appreso la verità grazie alla frequen tazione di Paolo e al contatto e dialogo con gli altri apostoli. 16. Su ciò basti quanto detto; tenterò a tempo debito 8 8 di illustra re con più precisione, tramite la testimonianza degli antichi, ciò che altri hanno riferito a questo riguardo. 1 7 . Fra gli scritti di Giovanni, oltre al Vangelo, viene ritenuta autentica, sia dai con temporanei sia dagli antichi, anche la sua Prima lettera; le altre due invece sono oggetto di controversia 89, 1 8 . Ma sull' attribu zione dell 'Ap o calisse ancora oggi molti nutrono gravi dubbi; anche su ciò riferirò al momento opportuno 9 0 il giudizio dato dagli antichi nelle loro opere.
ah Le
3 , 23-3S.
ai Le
l , 1 -4.
86 Sul significato di questo termine cf. supra, I, n.
8.
Cf. supra, II, 15. 88 Cf. infra, VII, 25 . 89 Non è questo il luogo per trattare di una così lunga e complessa que stione. Su di essa cf. O. Cullmann, Introduzione al Nuovo Testamento, cit. , pp. 87
125 - 126.
90 Cf. n.
88.
Libro III,
17 1
24-25
25 . LE SACRE SCRITTURE RITENUTE DIVINE E QUELLE CHE NON LO SONO l . È bene a questo punto riepilogare gli scritti del Nuovo Testamento fin qui esaminati. Al primo posto si devono mette re le divine scritture dei quattro Vangeli, cui seguono gli Atti de gli Apostoli; 2 . vengono poi le Lettere di Paolo, alle quali se guono la lettera trasmessa come la Prima di Giovanni e la Prima di Pietro. A queste segue, se sembra bene, l'Apocalisse di Gio vanni, su cui riferiremo al momento opportuno le diverse opi nioni. 3 . Questi sono gli scritti autentici. Tra quelli oggetto di controversia, ma noti ai più, sono tramandate la lettera attribui ta a Giacomo, quella a Giuda, la seconda di Pietro, e le cosid dette seconda e terza di Giovanni, sia che esse siano da attri buire all'evangelista o ad un suo omonimo. 4. Tra gli scritti non testamentari sono da annoverare invece gli Atti di Paolo 9 1 , il cosiddetto Pastore n, l'Apocalisse di Pietro 93 , la Lettera detta di Barnaba 94 , la cosiddetta Didachè degli apostoli 95 , e inoltre, co me ho detto, l'Apocalisse di Giovanni, se sembra il caso: alcuni, come ho detto, ne negano l'autenticità, a lt ri invece la annovera no fra gli scritti autentici dell'apostolo. 5. Ormai fra questi ulti mi alcuni hanno incluso anche il Vangelo secondo gli Ebrei 96 , 9 1 Cf. n. 10. Cf. n. 1 1 . Cf. n . 7 . 94 Con Eusebio concorda anche Girolamo, Gli uomini illustri, 6 . Lo scritto appartiene alla seconda metà del I secolo d.C. Per una trattazione più ampia cf. M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 3 8-39. 95 L'opera, composta nel 50-60 d.C. (ma secondo altri nel 150) , contie ne norme litl,lrgiche riguardanti il battesimo, il digiuno, la preghiera, l'eucari stia, l'elezione dei vescovi e dei diaconi, e traccia un quadro della vita reli giosa dei primi cristiani dopo la morte degli ap o stoli 96 Si tratta di un apocrifo. Di esso parla Girolamo, Gli uomini illustri, 2, che ne curò una traduzione greca e latina. Egli riferisce che esso era in uso presso i Nazareni, i giudeo-cristiani di Siria e Palestina di lingua ebraica, che lo ritenevano il testo aramaico originale del Vangelo di Matteo. La presenza 92 93
.
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gradito soprattutto agli Ebrei che hanno accolto il Cristo. 6. Tutti questi sarebbero fra i testi controversi, che è stato neces sario elencare per distinguere le opere autentiche, vere e accet tate da tutti in base alla tradizione ecclesiastica da quelle che non soltanto non sono testamentarie, ma anche di discussa au tenticità, e tuttavia note a gran parte degli scrittori ecclesiastici, per potere distinguere le autentiche da quelle redatte dagli ere tici sotto il nome degli apostoli: i Vangeli di Pietro 97 , di Tom maso 98, di Mattia 99 e di alcuni altri oltre questi, gli Atti di An drea 10o , di Giovanni 1o 1 e degli altri apostoli 1 02 . Nessuno degli autori ecclesiastici che si succedettero nei tempi li ha ritenuti degni di menzione nelle proprie opere: 7 . non solo il carattere in cui sono composti questi scritti, di gran lunga differente da quello apostolico, ma anche il pensiero e la dottrina in essi espo sti, lontanissimi dalla vera ortodossia, rendono manifesto infat ti che sono stati composti da eretici. Pertanto non devono esse re annoverati neppure tra le opere non testamentarie, ma riget tati come completamente insensati ed empi.
di stretti punti di contatto con quest'ultimo ha fatto supporre ai moderni che si tratta di una rielaborazione, e non dell'originale, del testo aramaico dell'e vangelista. 97 Cf. supra, n. 5 . 98 L'opera, risalente a l I I secolo e nota i n diverse recensioni (greca, la rina, siriaca, armena, georgiana, etiopica) , racconta in modo alquanto leggen dario la vita di Gesù fino al dodicesimo anno di età. 99 Lo scritto è di origine gnostica. È identificabile forse con le Tradt� zioni di Mattia, attestato in Clemente di Alessandria, Stromata, 2, 9, 4 ; 3 , 4 , 26 ; 7, 13 , 82. Esso è an d at o perduto. 100 L' opera è di origine gnostica. Essa è giunta in stato frammentario e tramanda la storia di Andrea e Mattia nel paese degli Antropofagi e degli apo stoli Pietro e Andrea, il martirio di Andrea e il discorso dell'apostolo nel car cere di Patrasso. 1 01 Scritto eretico con tendenze al docetismo. Rimangono solo tre fram menti negli Atti del secondo concilio di Nicea (787), contenenti un inno al Si gnore e una predica di Giovanni . 1 02 Filippo, Timoteo, Matteo, Bartolomeo, Marco, Barnaba.
Libro III,
25-2 6
173
26. lL MAGO MENANDRO l . Proseguiamo nella nostra narrazione. Menandro, succe
duto a Simon Mago, si rivelò con le sue azioni strumento della forz a diabolica pari al suo predecessore. Era anch'egli samari tan o e, giunto al più alto grado di magia, non inferiore a quel lo del maestro, fu prodigo di fandonie ancora più grandi, pro clam andosi il Salvatore inviato dall'alto del cielo per la salvez za degli uomini da eoni invisibili, 2. e in s egn an do che nessuno, neppure fra gli stessi angeli creatori del cosmo, avrebbe potuto salvarsi se non si fosse prima sottoposto all ' esperienza della ma gia da lui proposta e non avesse ricevuto il battesimo da lui im partito: coloro che ne sarebbero stati infatti resi degni avrebbe ro p a rte ci p ato dell'eterna immortalità anche nella vita terrena e non sarebbero mai morti, ma sarebbero rimasti sulla terra gio vani in eterno e immortali. Tutto ciò lo si può facilmente ap prendere leggendo le opere di Ireneo 1 03 . 3 . Anche Giustino 1 04 , dopo aver fatto menzione, nella sua opera, di Simone, spiega la dottrina di Menandro dicendo: «'Sappiamo che un tal Menandro, anch'egli uomo di Samaria, del vill aggio di Caparotta, discepolo di Simone, spinto, come il suo maestro, dai demoni, si recò ad Antiochia, dove trascinò nell'errore molti con la sua arte magica, persuadendo i suoi ascoltatori che non sarebbero mai morti; e ancora oggi esistono di coloro che, seguendo la sua dottrina, cre don o in ciò» 1 05 . 4 . A causa della potenza demoniaca che agiva in siffatti maghi, che si nascondevano dietro il nome di cristiani, il gran de mistero della nostra religi on e correva il rischio di essere ri tenuto opera di magia, e i dogmi della Chiesa sull'immortalità dell'anima e la resurrezione dei morti di essere diffamati a caul 03 Contro le eresie, I, 23 , 5 . 1 04 Su questo autore d. supra, II, n. 50. 1 05 I Apologia, 26, 4.
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sa loro. Ma coloro che scelsero questi come salvatori hanno al lontanato da sé ogni speranza di verità. 27. L'ERESIA DEGLI EBIONITI l . n demonio, pur non riuscendo a distogliere alcuni dal la disposizione naturale che fa tendere l'anima al Cristo di Dio, li trasse ugualmente in suo potere, approfittando della loro de bolezza. Gli antichi denominarono giustamente questi ultimi Ebioniti, perché avevano concezioni misere e meschine sul Cri sto. 2 . Lo ritenevano un uomo semplice e comune, che aveva perseguito la virtù migliorando il proprio carattere, generato dall'unione di un uomo con Maria. Avevano un bisogno asso luto di una religione basata sulla Legge, poiché non credevano che si sarebbero salvati solo grazie alla fede in Cristo e ad una vita ad essa conforme. 3 . Ma altri, sebbene membri anch'essi della stessa setta, rifiutavano la folle dottrina dei loro compa gni, credendo che il Signore nacque da una Vergine e dallo Spi rito Santo; ma non riconoscevano, come loro, la preesistenza di Dio Verbo e Sapienza, ritornando così nell'empietà dei primi, soprattutto per la valorizzazione dell'osservanza materiale del� la Legge, proprio come quelli. 4. Ritenevano che si dovessero rigettare del tutto le lettere dell'apostolo Paolo, che denomina vano " apostata della Legge" , e facevano uso soltanto del Van gelo detto secondo gli Ebrei 106, tenendo in pochissimo conto gli altri; 5. e, come gli Ebrei, erano rispettosi del Sabato e di ogni altra usanza giudaica, ma osservavano le Domeniche a ricordo della resurrezione del Salvatore, quasi come noi. 6. n loro com portamento dà spiegazione del nome di Ebioniti, che attesta la povertà della loro intelligenza: "il povero " infatti viene desi gnato nella lingua ebraica con il termine " ebionita" . 1 06
Cf. supra,
n.
96.
Ubro !IL
26-28
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28. L'ERESIARCA CERINTO l . Sappiamo che in questi tempi capo di un'altra eresia fu C erinto. Gaio 1 07 , le cui parole sono state già prima da me cita te 1 08 , nella sua Ricerca, a noi pervenuta, scrive di lui: 2 . «Ma an che Cerinto, dicendo il falso, sulla base di rivelazioni che sa rebbero state scritte da un grande apostolo narra avvenimenti straordinari che gli sarebbero stati svelati dagli angeli, dicendo che, dopo la resurrezione, il regno di Cristo sarebbe venuto di nuovo sulla terra e che i cittadini di Gerusalemme sarebbero stati nuovamente schiavi dei desideri e dei piaceri. Ed essendo nemico delle Scritture di Dio, ingannava i suoi ascoltatori, in segnando loro che ci sarebbe stata una festa nuziale della dura ta di mille anni». 3 . E anche Dionigi 1 09 , che ai nostri tempi detiene l'epi scop ato nella diocesi di Alessandria, riportando nel secondo li bro delle Promesse, riguardo all'Apocalisse di Giovanni, notizie desunte dalla tradizione degli antichi, fa menzione dello stesso personaggio con queste parole: 4. «Cerinto, fondatore dell'ere sia che da lui prese il nome di cerintiaca, volle dare ad essa un nome degno di fede. 5 . Il dogma del suo insegnamento era in fatti che il regno di Cristo sarebbe venuto sulla terra. E, da uo mo incline ai piaceri del corpo e della carne, diceva che esso avrebbe avuto a fondamento ciò che egli desiderava, il pieno soddisfacimento dei piaceri del ventre e di ciò che sta sotto il ventre, cioè il gozzovigliare, il bere, l'avere rapporti non leciti, 1 07 TI riferimento è a Filone, per il quale cf. supra, Il, 4, 2; 17- 18, e n. 19. !08 Cf. supra, II, 25 , 6. 1 09 Discepolo di Origene, fu a capo della scuola catechetica di Ales sandria dal 23 1 al 232 d.C. Per le opere da lui composte cf. infra, VI, 45 , 46; VII, 4 ; 24; 26. Nell'opera Le promesse, di cui si conservano solo frammenti, negava l'autenticità dell'Apocalisse di Giovanni. Di essa Eusebio cita un'am pia pagina (in/ra, VII, 25 ) . Una trattazione più ampia in M. Simonetti, La let teratura cristiana antica, cit., pp . 130-132.
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feste, sacrifici e immolazioni di vittime sacre, tutte cose che fa cevano ritenere la sua dottrina più encomiabile di ogni altra». 6. Questo dice Dionigi. Ireneo, dopo aver esposto nel pri mo libro del Contro le eresie alcune delle sue false dottrine più indicibili 1 1 0 , riferisce nel terzo anche la seguente storia degna di ricordo, ripresa, come dice, dalla tradizione di Policarpo 1 1 1 . U n giorno l'apostolo Giovanni entrò in un bagno pubblico per lavarsi. Ma, saputo che dentro c'era anche Cerinto, fuggendo verso la porta, si allontanò da quel luogo, non sopportando di starsene sotto lo stesso tetto con lui, e consigliò ai suoi compa gni di fare altrettanto dicendo: «Scappiamo, prima che il bagno crolli per la presenza di Cerinto, nemico della verità» m . 2 9 . NICOLA E COLORO CHE D A LUI HANNO DESUNTO IL PROPRIO NOi\tlE Oltre a queste eresie si affermò, ma per poco tempo, an che quella detta dei Nicolaiti, ricordata anche nell'Apocalisse di Giovanni ai . Costoro magnificavano Nicola, uno dei diaconi in sieme a Stefano, designati dagli apostoli per il servizio ai biso gnosi. Clemente di Alessandria, nel terzo libro degli Stroma ta 1 1 3 , riporta su di lui questo racconto: 2 . «Costui, biasimato dagli apostoli, dopo l'ascensione del Salvatore, per la gelosia l.
aj Ap 2, 6, 1 5 . 1 1 0 Contro le eresie, I, 2 6 , l . 1 1 1 Famoso martire cristiano, autore di alcune lettere a varie comunità. Su di lui cf. in/ra, IV, 14-15 e M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit.,
p. 3 7 .
l l 2 Contro le eresie, III, 3 , 4 . 1 13 Sugli Stromata e sulle altre o ere d i Clemente d i Alessandria cf. p supra, I, n. 79.
Libro III, 28-30
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che aveva verso la moglie, donna di esimia bellezza, condusse quest'ultima in mezzo a loro, offrendola in sposa a colui che la voleva. Dicono che egli accompagnò a questa azione la frase: "occorre disprezzare la carne" . Coloro che partecipano alla sua eresia, fraintendendo ciò che egli fece e disse in modo sempli ce e puro, si prostituiscono senza pudore. 3 . Ma io so che Ni cola non si unì a nessun'altra donna se non a quella che aveva sposato; dei suoi figli le femmine si mantennero vergini fino al la vecchiaia, il maschio rimase sempre puro. Stando così le co se, il condurre fra gli apostoli la donna di cui era geloso simbo leggiava il rifiuto di ogni passione, e il " disprezzare la carne " insegnava il dominio dei piaceri più desiderati. Non credo, in fatti, che egli volesse, contro il comandamento del Signore, " servire due padroni" , il piacere e il Signore. 4. Dicono pertan to che anche Mattia, non abbandonandosi affatto al piacere, abbia insegnato a combattere e disprezzare la carne e a far cre scere l'anima con· fede e conoscenza» 1 1 4 . Questo dunque basti su coloro che nei tempi che stiamo esaminando misero mano a falsare la verità, ma che scompar vero del tutto in men che non si dica. 30. GLI APOSTOLI CHE SI UNIRONO IN MATRIMONIO Clemente inoltre, subito dopo le parole che ho appena riferito, elenca, per confutare coloro che disprezzano il m atri monio, quegli apostoli che si legarono in vincoli matrimoniali, dicendo: «Forse che condanneranno anche gli apostoli? Pietro e Filippo infatti generarono figli, e Filippo diede le sue figlie in sp ose. Paolo poi non esita, in una lettera ak , a menzionare una l.
ak
l Cor 9, 12.
1 1 4 Stromata, III, 25 -26.
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donna a lui coniugata, che non aveva portato con sé per avere maggiore libertà nella sua missione» 1 15 . 2 . Dopo aver ricordato queste cose, non è disdicevole ri portare anche un'altra storia degna di essere raccontata, riferi ta dallo stesso autore nel settimo libro degli Stromata con que ste parole: «Dicono dunque che il beato Pietro, vedendo la sua sposa ormai vicina alla morte, gioì del fatto che essa veniva chiamata a far ritorno nel luogo da cui era venuta; e per inco raggiarla ed esortarla, la chiamò per nome e le disse: "Ricorda ti, cara, del Signore" . Di tal natura era il matrimonio dei beati e la perfetta disposizione dell'anima di coloro che sono carissi mi a Dio» 1 1 6 . È stato questo il momento opportuno di riferire queste no tizie, perché strettamente congiunte ai fatti che sto esponendo. 3 1 . MORTE DI
GIOVANNI E DI FILIPPO
Ho già trattato prima 1 1 7 del tempo e del modo in cui morirono Paolo e Pietro, e anche del luogo della loro sepoltura dopo la morte. 2. Si è già parlato anche del tempo di Giovan ni 1 1 8 . Il luogo della sua sepoltura è indicato in una lettera indi rizzata da Policrate, vescovo della Chiesa di Efeso, a Vittore, ve scovo di Roma, in cui si fa menzione allo stesso tempo di Gio vanni, dell'apostolo Filippo e delle sue figlie con queste parole: 3. «Grandi astri si sono oscurati in Asia; essi risorgeranno l'ul timo giorno della venuta del Signore, quando egli scenderà dal cielo nella gloria e radunerà tutti i santi, Filippo, uno dei dodi ci apostoli, sepolto a Ierapoli, e le sue figlie, che si mantennero l.
1 1 5 Stromata, III, 52-53. Stromata, VII, 63 -64. Cf. supra, II, 25 . 1 1 8 Cf. supra, 23 , 3 -4. 1 16 1 17
Libro III,
3 0-32
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vergini fino alla vecchiaia. La terza figlia, vissuta sotto la guida dello Spirito Santo, è sepolta ad Efeso. Anche Giovanni, colui che p osò sul petto del Signore, che fu sacerdote, indossò il pé talon 1 1 9 e fu maestro e martire, è sepolto ad Efeso». 4 . Questo p er quanto riguarda la loro morte. Nel dialogo di Gaio, men zionato poco sopra 120, Proda, con cui era in disaccordo, ripor ta la stessa versione della morte di Filippo e delle sue figlie, con cordante con ciò che abbiamo fin qui riferito: «Dopo di lui, quattro profetesse, figlie di Filippo, giungono a Ierapoli, città dell'Asia; qui si trova la loro tomba e quella del loro padre». Questo è quanto egli racconta. 5 . Anche Luca, negli Atti degli Apostoli, ricorda le figlie di Filippo, che vivevano insieme col padre a Cesarea di Giudea e-; che furono onorate del dono del la profezia. Dice l'apostolo: Arrivati a Cesarea ci recammo a ca sa di Filippo l'evangelista, uno dei sette, da cui ricevemmo ospi talità. Questi aveva quattro figlie verginz; pro/etesse at. 6. Ho passato in rassegna ciò che sapevo sugli apostoli, sui loro tempi, sugli scritti sacri che ci hanno lasciato, su quelli controversi, di cui tuttavia molti fanno pubblica lettura in mol tissime Chiese, e su quelli non testamentari e lontani dall'orto dossia apostolica. Proseguiamo ora nella nostra opera passando alla narrazione degli awenimenti successivi. 32. IL MARTIRIO DI SIMEONE, VESCOVO DI GERUSALEMME l . Si racconta che dopo · Nerone e Domiziano, sotto l'im peratore 12 1 del cui tempo ci stiamo ora occupando, in ogni
al At 2 1 , 8-9. 1 19
Lamina d'oro posta sopra la mitra del sacerdote ebraico. 120 Su di lui cf. supra, II, 25, 6-7 e n . 1 15 . 121 TI riferimento è a Traiano.
180
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città scoppiò, in seguito ad una rivolta popolare, la persecuzio ne contro di noi; sappiamo che durante questa Simeone, figlio di Cleopa, nominato, come abbiamo già detto m, secondo ve scovo della Chiesa di Gerusalemme, subì il martirio. 2 . Di que sto è testimone quello stesso Egesippo, delle cui parole anche in precedenza, in varie occasioni 12 3 , mi sono servito. Egli, par lando di certi eretici, racconta che Simeone, da loro denuncia to in quel tempo, fu torturato per moltissimi giorni perché cri stiano, colpendo enormemente il giudice e coloro che gli stava no intorno; morì infine allo stesso modo del Signore. 3 . Ma è meglio cedere la parola all'autore, che racconta l'episodio di cendo testualmente: «Alcuni di questi eretici denunciarono Si meone, figlio di Cleopa, accusandolo di essere discendente di Davide e cristiano. Così, all'età dei centoventi anni, subì il mar tirio per testimoniare la sua fede in Cristo, al tempo di Cesare Traiano e del console Attico 1 2-t». 4. Lo stesso scrittore raccon ta che, mentre venivano ricercati i Giudei di stirpe regale, i suoi accusatori furono uccisi perché ritenuti appartenenti ad essa. Servendoci pertanto come prova della durata della sua vita e del fatto che i Vangeli ricordano Maria, figlia di Cleopa, del quale anche Simeone era figlio, come si è sopra detto, a ragio ne si può concludere che Simeone appartenne al numero di co loro che videro e ascoltarono il Signore. 5. Lo stesso scrittore dice che anche altri discendenti di uno di quelli che erano rite nuti fratelli del Salvatore, di nome Giuda, vissero fino al tempo del suddetto imperatore. E dopo la testimonianza, riferita già prima 12 5 , della loro fede nel Cristo sotto Domiziano, scrive: 6. «Dirigono ogni Chiesa come testimoni e discendenti del Signo re; e vissero fino al regno di Cesare Traiano, in un periodo in 1 22 Cf. supra, 1 1 . Cf. supra, II, 23 , 3 ss; supra, III, 1 1 ; 16; 20, 1ss. 1 24 Attico fu console in Giudea dal 99 al 1 03 d.C. 12 5 Cf. supra, 20, l ss. 12 3
Libro III, 32-33
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c ui regnava una pace profonda in ogni Chiesa; sotto questo im peratore il figlio dello zio del Signore, il già menzionato Simeo ne, figlio di Cleopa, fu denunciato dagli eretici e processato an ch'egli per la stessa accusa al tempo del console Attico. Egli, sottoposto a tortura per molti giorni, rese la sua testimonianza di fede, facendo stupire, fra tutti gli altri, anche il console di co me un uomo, dell'età di centoventi anni, potesse avere una si mile resistenza. Si comandò poi di crocifiggerlo». 7. Inoltre lo stesso autore, raccontando ciò che avvenne nei tempi di cui stiamo parlando, riferisce anche che la Chiesa rimase fino a quel momento pura e casta come una vergine, poiché coloro che tentarono di distruggere la salutare regola dell'annuncio della salvezza, se ne esisteva qualcuno, rimasero nascosti fino ad allora nella tenebra più oscura. 8. Ma quando morirono in varie circostanze la sacra schiera degli apostoli e la stirpe di co loro che furono resi degni di ascoltare Cristo, saggezza divina, con le proprie orecchie, allora cominciò a sorgere 1' empio er rore per le falsità diffuse da maestri menzogneri che, approfit tando del fatto che nessun apostolo era rimasto più in vita, cer carono, ormai a viso aperto, di sostituire una falsa conoscenza all'annuncio della verità. 3 3 . TRAIANO PROIBÌ DI RICERCARE I CRISTIANI
L In più luoghi scoppiò in quel tempo una così grande persecuzione contro di noi che Plinio Secondo 126 , il più illustre fra i procuratori di Roma, colpito dal grande numero di matti1 2 6 Nipote dello scienziato Plinio il Vecchio, nacque a Como nel 61 o 62 d.C. Venuto ben presto a Roma, divenne discepolo di Quintiliano. Nel 100, per celebrare la propria nomina a console, compose il Panegirico, in cui es alta l'imperatore Traiano come il restauratore della libertà soppressa da Do miziano. Nel l l O divenne governatore di Bitinia. Fu anche autore di un im portante Epistolario in dieci libri.
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ri, riferì all'imperatore il numero di coloro che avevano dato l a loro vita per la fede. Gli rese noto anche che essi non venivan o colti a dire qualcosa di empio né a commettere qualcosa di ille gale. Si alzavano all'alba, scriveva, per cantare inni al Cristo co me ad un dio, ed erano per loro azioni empie commettere adul terio, uccidere e altri crimini simili. Gli disse inoltre che essi vi vevano e si comportavano secondo le leggi m. 2 . A queste pa role Traiano emanò un decreto, che ordinava di non ricercare più i Cristiani, ma di punirli se denunciati. In parte perciò si spense la minaccia della persecuzione che ci incalzava violente mente. Ma non per questo a coloro che volevano nuocerei man cavano i pretesti per farlo; ormai infatti sia il popolo sia i co mandanti di ogni singola regione macchinavano insidie contro di noi, così che, anche senza persecuzioni aperte, se ne svilup parono di parziali nella provincia, e molti fedeli andarono in contro a martìri di ogni tipo. 3 . li racconto di questi avveni menti è stato desunto dall'Apologetico di Tertulliano, scritto in latino, già menzionato sopra 1 28 , che noi riportiamo: «Eppure abbiamo saputo della proibizione di darci la caccia. Plinio Se condo, governatore di una provincia, giudicò e condannò alcu ni Cristiani; ma, sbigottito dal loro numero, non sapendo co s'altro fare, scrisse all'imperatore Traiano, dicendogli di non aver trovato in loro niente di empio se non il rifiuto di adorare gli dei pagani. Glì disse anche che i Cristiani si svegliavano al l' alba per innalzare un canto a Cristo come al loro dio, e che la loro dottrina proibiva di uccidere, fornicare, essere avidi, ruba re e altre cose simili. A queste notizie Traiano rispose di non perseguitare più i Cristiani, ma di punirli se denunciati» 1 29 , Anche questi furono avvenimenti di quel tempo.
1 27 Epistolario, X , 96, 5 e 7 . 1 2 8 Cf. supra, Il, 2, 4; 25 , 4; supra, 1 29 Apologetico, 2, 6-7 .
20, 7 .
1 83
Libro III, 33-36
34 . QUARTO VESCOVO DELLA CHIESA DI ROMA FU EVARISTO
Per quanto concerne i vescovi di Roma, nel terzo anno di regno del suddetto imperatore no morì Clemente, dopo aver di retto l'insegnamento della parola di Dio per nove anni interi, lasciando il ministero a Evaristo. 3 5 . TERZO VESCOVO DI GERUSALEMME FU GIUSTO
Morto anche Simeone nel modo già descritto 1 3 1 , succe dette all'episcopato di Gerusalemme un giudeo di nome Giu sto, Ùno dei moltissimi circoncisi che in quel tempo si erano convertiti a Cristo. 3 6 . IGNAZIO E LE SUE
LETTERE
l . In questi tempi viveva in Asia Policarpo, discepolo de
gli apostoli, designato vescovo della Chiesa di Smirne da colo ro che avevano visto coi loro occhi e servito il Signore. 2 . In quel tempo si distinsero Papia, vescovo della Chiesa di Ierapo li m , e Ignazio, famoso ancora oggi ai più, secondo vescovo di Antiochia dopo Pietro. 3 . Si racconta che questi, mandato dal la Siria a Roma, divenne cibo delle bel\te per la sua fede in Cri sto 133 . 4. Attraversando'!' Asia, sebbene sotto una strettissima sorveglianza di una scorta, rinvigoriva con discorsi ed esorta zioni la fede delle diocesi in ogni città in cui si fermava, ammo nendo come prima cosa a stare lontano dalle eresie che allora 1 3 0 Cioè Traiano. L' anno indicato è il lOO d.C. 1 3 l Cf. supra, 32. 13 1 S u di lui cf. in/ra, 39. 1 33 Ignazio fu martirizzato nel l lO d.C. circa.
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Storia ecclesiastica
per la prima volta cominciavano a prendere piede, e raccoman dando di attenersi alla tradizione apostolica, che ritenne neces sario, per maggiore sicurezza, affidare alla scrittura, pur aven done reso già testimonianza. 5. Così, mentre era a Smirne, do ve viveva Policarpo, scrisse una lettera alla Chiesa di Efeso, in cui fa menzione del suo pastore Onesimo, e un'altra a quella di Magnesia sul Meandro, dove ricorda di nuovo il vescovo Da ma, e un'altra ancora a quella di Tralle, presieduta allora, dice, da Polibio. 6. Oltre a queste, scrisse anche alla Chiesa di Roma, che scongiurò di non togliergli, intercedendo per lui, l'ardente speranza del martirio. È bene, a dimostrazione delle cose dette finora su di lui, riportare da questa lettera brevissimi passi. Scrive dunque testualmente: 7. «Dalla Siria fino a Roma com batto con le belve per terra e per mare, di giorno e di notte, le gato a dieci leopardi ( cioè ad un ordine di soldati) che, quando si fa loro del bene, diventano ancora più cattivi; ma grazie alle loro ingiustizie divento ancora di più discepolo di Cristo. Non per questo però sono giustificato a m . 8. Potessi io avere qualche bene dalle belve già pronte contro di me, che spero di trovare sbrigative. Se no sarò io stesso ad esortarle a divorarmi pronta mente, perché non mi succeda, come ad alcuni, di non essere sbranato; qualora esse non volessero, le indurrò io stesso a far lo. 9. Concedetemi il vostro perdono. So io che cosa conviene a me. Ora comincio ad essere discepolo di Cristo . Nessuna del le cose visibili o invisibili mi impedisca di giungere a Gesù Cri sto: fuoco, croce, belve voraci, ossa sfracellate, membra dila niate, piaghe in tutto il corpo, punizioni del diavolo mi colgano pure purché possa giungere a Gesù Cristo ! » 134. 1 0. Questo scrisse dalla città suddetta alle Chiese sopra menzionate. La sciata Smirne, giunse nella Troade, da dove inviò uno scritto alam
l
Cor 4, 4 .
134 Lettera ai Romani, 5.
Libro III,
36
1 85
la Chiesa di Filadelfia e a quella di Smirne; in particolare a Po licarpo, che la presiedeva. Riconoscendo l' apostolicità di que st 'uomo, da autentico buon pastore gli dà in custodia il gregge di Antiochia, reputando degno che egli ne avesse la massima cu ra. 1 1 . Scrivendo agli abitanti di Smirne, si serve di parole ri p rese da non so quale fonte, dicendo queste cose su Cristo: «lo so e credo che egli, anche dopo la resurrezione, era nella carne. Quando si recò infatti dagli apostoli radunati intorno a Pietro, disse loro: "Rendetevi conto, toccatemi, vi accorgerete che non sono un fantasma privo di corpo" . E subito lo toccarono e cre dettero» 1 35 . 1 2 . Anche Ireneo conobbe il martirio di Ignazio, di cui ri corda le lettere dicendo: «Come disse uno dei nostri, condan nato per la sua fede in Dio ad essere divorato dalle belve, " so no frumento di Dio e sono stritolato dai denti delle belve per divenire pane puro " 13 6» m . 1 3 . Policarpo ricorda queste stesse cose nella sua Lettera ai Filippesi giunta fino a noi, dicendo testualmente: «Esorto pertanto tutti voi a credere e ad avere tutta la pazienza che ave te visto con i vostri occhi non solo nei beati Ignazio, Rufo e Zo simo, ma anche in altri fra voi, nello stesso Paolo e negli altri apostoli, certi che tutti costoro non hanno corso invano an , ma nella fede e nella giustizia, e che sono nel luogo loro dovuto al cospetto del Signore, per il quale soffrirono. Infatti non amaro no il secolo presente ao, ma colui che è morto per la nostra sal vezza ed è stato risuscitato da Dio» 138 . Prosegue poi dicendo: 14. «Sia voi sia Ignazio mi avete raccomandato in una lettera
an Fil 2 , 16.
ao
2 Tm 4, 10.
1 35 Lettera agli Smirnei, 3 , 1 -2 . 1 36 Lettera a i Romani, 4 , l . 1 37 Contro le eresie, V, 28, 4 . 1 38 Lettera ai Fzlippesi, 9 .
1 86
Storia ecclesiastica
che, qualora qualcuno vada in Siria, vi porti anche le vostre let tere. Lo farò, se ne avrò l'occasione propizia, io stesso o in viandovi qualcuno come messaggero. 1 5 . Vi ho spedite, come mi avete richiesto, le lettere che Ignazio ci ha scritto e tutte le altre che di lui possedevamo, allegandole alla presente lettera. Da esse potrete ricavare grande giovamento: contengono infat ti fede, pazienza e ogni virtù che si addice a nostro Signore» 139. Ciò per quanto riguarda Ignazio. Dopo di lui diviene ve scovo di Antiochia Eros. 3 7 . GLI EVANGELISTI ANCORA. FAMOSI IN QUEL TEMPO l . Tra coloro che in questi tempi divennero illustri era an che Quadrato 1 -1 0 , che insieme alle figlie di Filippo, come si di ce, si distinse per il dono della profezia. Molti altri ancora di vennero celebri in questi tempi, occupando la prima posizione nella successione degli apostoli. Questi, quali discepoli divini di siffatti uomini, costruirono sulle fondamenta delle Chiese già poste in ogni luogo dagli apostoli, propagando ulteriormente la . predicazione e diffondendo ampiamente i semi salvifici del re gno dei cieli in tutto il mondo. 2 . Moltissimi dei discepoli di al lora infatti, per eccesso di amore verso la Sapienza, colpiti nel l'animo dalla parola di Dio, per prima cosa ubbidirono all'or dine del Salvatore, dividendo le loro ricchezze a coloro che era no nel bisogno; poi, inviati lontano dalla patria, adempirono al la loro missione di evangelisti, bramando di annunciare la pa rola della fede a coloro che non l'avevano ancora ascoltata e di consegnare loro lo scritto dei divini Vangeli. 3 . Essi, dopo aver posto le basi della fede in alcuni territori stranieri e designato
139 Lettera ai Filippesi, 13 .
! 40 Scrittore vissuto nella prima metà del I I secolo d.C., autore di una Apologia indirizzata ad Adriano, ora perduta. Su di lui cf. infra, IV, 3 , 1 -2 .
Libro III,
3 6-38
1 87
altri pastori, sotto la cui cura mettevano quanti si erano da po co convertiti a Cristo, partivano poi di nuovo per altre terre e altri popoli, sorretti dalla grazia e dall'aiuto divino; in loro in fatti era così forte l'azione della potenza grandissima e straor din aria dello Spirito Santo che, sin dal primo udirli, sterminate folle accettavano spontaneamente nelle loro anime la fede nel creatore dell'universo. 4. Essendomi impossibile elencare per nome tutti coloro che nella prima successione degli apostoli fu rono pastori o messaggeri della parola divina nelle Chiese del mondo, ho ricordato per nome soltanto quelli la cui tradizione è ancora oggi a noi nota nelle opere concernenti l'insegnamen to apostolico. 3 8 . LA LETTERA DI C LEMENTE E LE OPERE FALSAMENTE ATTRIBUITEGLI l . A queste ultime appartengono le lettere di Ignazio che ho già elencato, e quella di Clemente 1 4 1 , unanimemente rite nuta autentica, che egli scrisse in nome della Chiesa di Roma a quella di Corinto. In essa riprende molti concetti della Lettera c agli Ebrei, e ne cita testualmente alcuni passi, mostrando così molto chiaramente che essa non è stata composta in tempi re centi; 2. pertanto è parso opportuno annoverarla fra gli altri scritti dell'apostolo. Secondo alcuni poi l'evangelista Luca, se condo altri lo stesso Clemente, hanno tradotto in greco la Let tera agli Ebrei che Paolo scrisse nella lingua patria. 3 . Questo potrebbe spiegare la somiglianza stilistica fra la lettera di Cle mente e la Lettera agli Ebrei, e la presenza in entrambi gli scrit ti di pensieri non lontani 142 . 4. Ma si deve sapere che a Cle-
1 4 1 Cf. supra, 16 e n . 6 1 . 142 S ul problema dell'autenticità
della Lettera agli Ebrei cf. supra,
n.
8.
188
Storia ecclesiastica
mente è attribuita anche una seconda lettera 143 , che non ha, co me si sa, la stessa fama della prima, poiché nessuno degli scrit tori antichi se ne è servito. 5 . Ormai alcuni già da tempo hanno attribuito a Clemente altre opere prolisse e ponderose, i Dialo ghi di Pietro e Apione 144 . Di queste però nessuna menzione si trova negli antichi scrittori, dato che non conservano puro il ca rattere dell'ortodossia apostolica. È ormai chiaro qual è la let tera di Clemente ritenuta autentica; di quelle di Ignazio e di Po li carpo si è già parlato. 3 9. LE OPERE DI PAPIA l . Di Papia ci è giunta una sola opera, dal titolo Esegesi dei detti del Signore, in cinque libri. Anche Ireneo ne fa menzione come dell'unica che egli scrisse, dicendo: «Papia, uditore di Giovanni, amico di Policarpo, scrittore antico, è testimone di queste cose nel quarto libro della sua opera, che ne comprende cinque» 145 . 2 . Questo dice lreneo. Lo stesso Papia, nel proemio del suo scritto, afferma di non avere ascoltato né visto di persona i santi apostoli, ma di avere appreso i contenuti della fede da co loro che li conobbero. Ecco le sue parole: 3 . «Non esiterò a ri ferirti anche quelle notizie che un tempo ho rettamente appre-
143 Non si tratta in realtà di una lettera, ma della più antica omelia cri
stiana. Essa non è stata composta di certo da Clemente, come dimostrano le
diHerenze linguistiche con le altre opere dello scrittore cristiano. A. Harnack ha ritenuto che l'autore sia il vescovo di Roma Sotero, e il 170 d.C. l'anno in cui è stata composta. Incerto è il luogo di composizione. Alcuni (G. Kri.iger) propongono Corinto, altri Alessandria (R. Harris). Lo scritto esorta a mette re la vita al servizio di Cristo, salvatore del mondo, a temere Dio più degli uo mini, a disprezzare il mondo e a non avere paura del martirio. Alcune esorta zioni alla penitenza e l'esaltazione della vita oltre la morte chiudono l'omelia. 144 Opera perduta. 1 45 Contro le eresie, V, 3 3 , 4 .
Lzbro III,
38-39
1 89
so dai presbiteri e che ho bene impresso nella memoria, sicuro della loro veridicità. Non godevo infatti, come i più, di coloro che dicono molte cose, ma di quelli che insegnano la verità, né di quelli che riferiscono ciò che altri hanno loro comandato, ma di coloro che hanno annunciato i comandamenti consegnati al la fede dal Signore e derivanti pertanto dalla verità in persona. 4. Se mai è giunto qualcuno che si vantava di essere seguace dei presbiteri, io gli chiedevo con insistenza quello che avevano detto Andrea o Pietro o Filippo o Tommaso o Giacomo o Gio vanni o Matteo o chiunque altro tra i discepoli del Signore, e inoltre le parole di Aristione e del presbitero Giovanni, disce poli del Signore. Non pensavo infatti di dovere a ciò che avevo appreso dai loro libri tanto quanto alle cose imparate dalla lo ro voce viva e sicura». 5 . È opportuno a questo punto sapere che in P apia il no me di Giovanni è attestato due volte; il primo viene chiara mente presentato come evangeli s t a accanto a Pietro, Giacomo, Matteo e agli altri apostoli. Dopo aver fatto una distinzione, an novera l'altro Giovanni fra coloro che non erano apostoli, gli antepone Aristione, e lo chiama chi aramen te p resb itero . 6. Con ciò viene dimostrata la veridicità del racconto di coloro che di cevano che in Asia due persone avevano lo stesso nome, e ri cordavano che ancora oggi esistono due tombe che portano il nome di Giovanni ad Efeso. A queste cose bisogna fare atten zione; è veros imile infatti che il secondo, se non si vuole il pri mo, abbia avuto le visioni riferite nell'Apocalisse attribuita a Giovanni. 7. Papia, di cui ora sti amo pa rlan d o , dichiara apertamen te di avere appreso gli insegnamenti degli apostoli dai loro se guaci, e di avere ascoltato di persona Aristione e il presbitero Giovanni, che spesso cita per nome nelle sue opere, riferendo la tradizione su entrambi. 8. Anche queste cose sono state det te non senza utilità. È opportuno alle parole di Papia fin qui ri portate aggiungere altre sue notazioni, che riferiscono alcuni
1 90
Storia ecclesiastica
eventi prodigiosi e altri ancora pervenutigli dalla tradizione. 9. Si è già visto da quanto detto prima 146 che l'apostolo Filipp o visse a Ierapoli insieme alle figlie, dalle quali Papia, quando s i trovava presso di loro, apprese una storia che ha del miracolo so, che è bene ora riferire. Racconta infatti della resurrezione di un morto avvenuta d avanti ai suoi occh i, e poi di un altro pro digio che accadde a Giusto, detto " Barsaba" che, dopo aver bevuto un veleno mortale, non ne subì alcun danno per grazia del Signore. 10. Questo Giusto, dopo l' ascensione del Salvato re, fu accolto insieme con Mattia fra i santi apostoli, che aveva no pregato per la scelta di uno che prendesse il posto del tra ditore Giuda per completare il loro numero. Dicono ciò gli At ti degli Apostoli con queste parole: E furono scelti due, Giusep pe detto Barsaba, soprannominato Giusto, e Mattia. E pregando dissero . . •P. 1 1 . Riferisce poi altri fatti, appresi, come dice, dal la tradizione orale, altre parabole sconosciute del S alvatore, i suoi insegnamenti e altre cose più favolose: 1 2 . trascorsi mille anni, diceva, dalla resurrezione di Gesù dai morti, il regno di Cristo si sarebbe manifestato materialmente su questa terra 1 -t7. Penso che egli, accettando queste teorie, abbia frainteso e tra visato le dottrine professate dagli apostoli, non avendo com l? reso che essi parlavano solo in senso mistico e simbolico. 13 . E chiaro che egli era infatti di intelligenza limitata, come si può provare dai suoi scritti. A causa sua moltissimi altri scrittori d ella C h iesa che vissero dopo di lui hanno professato le sue stesse opinioni in forza della sua antichità, come Ireneo e qual che altro che, a quanto pare, condivise le sue stesse idee. 14. Inoltre Papia riferisce nella sua opera alcune spiegazioni dei detti del Signore, derivate dal sopra citato Aristione, e le testi.
ap
At l, 23 -24 .
1 46 Cf. supra, 3 1 , 3-5. 1 47 Il riferimento è al millenarismo.
Libro III, 3 9
191
monianze sul presbitero Giovanni. Rimandando a queste colo ro ch e vogliono conoscerle,· bisogna che io ora aggiunga alle parole già citate la testimonianza da lui riferita sull'evangelista Marco con queste parole: 15 . «Questo diceva il presbitero, che Mar co, interprete di Pietro, riferì con precisione, ma disordi natamente, quanto ricordava dei detti e delle azioni compiute dal Signore. Non lo aveva infatti ascoltato di persona, e non era stato suo discepolo, ma, come ho detto, di Pietro; questi inse gnava secondo le necessità, senza fare ordine nei detti del Si gnore. In nulla sbagliò perciò Marco nel riportarne alcuni co me li ricordava. Di una sola cosa infatti si preoccupava, di non tralasciare alcunché di ciò che aveva ascoltato e di non riferire nulla di falso 1 -1 8» . 16. Questo è quello che Papia racconta di Marco. Di Mat teo dice: «Matteo ordinò i detti del Signore nella lingua ebrai ca, e ciascuno li ha tradotti come poteva» 1-19. 1 7 . Egli ha fatto ricorso a testimonianze desunte dalla Prima lettera di Giovanni e dalla Prima lettera di Pietro, ed ha riferito anche un altro rac conto riportato nel Vangelo secondo gli Ebrei, riguardante una peccatrice condotta davanti al Signore. È stato necessario aggiungere queste notizie a quanto già detto.
14 8 Questo passo, ìnsieme ad altre testimonianze, ha spìnto alcuni stu
diosi, primo fra tutti a J.O' Callaghan, a ritenere che il Vangelo di Marco è
stato composto -ìntomo al 50 d. C. Sulla complessa questione cf. Vangelo e storicità. Un dibattito, a cura di S. Alberto, Milano 1 995 ; C.P. Thiede, Qum ran e i Vangeli. I manoscritti della grotta 7 e la nascita del Nuovo Testamento, Milano 1 996. 149 Su questo punto cf. supra, n. 85 .
LIBRO IV
Il quarto libro della Storia ecclesiastica comprende i seguenti argomenti: l . I vescovi di Roma e di Alessandria al tempo di Traiano. 2. I mali sofferti dai Giudei in quel tempo . .3 . Gli apologisti del tempo di Adriano . 4. I vescovi di Roma e di Alessandria al tempo di Adriano. 5 . I vescovi di Gerusalemme dal Salvatore fino ai tempi di cui stiamo trattando. 6. L'ultimo assedio dei Giudei al tempo di Adriano. 7. Chi furono in quel tempo i capi di una falsa conoséenza. 8. Chi furono gli scrittori ecclesiastici. 9. Il decreto di Adriano sul divieto di perseguitarci senza processo. 10. Chi furono i vescovi di Roma e di Alessandria durante il regno di Antonino. 1 1 . Gli eresiarchi del loro tempo. 12. I.;Apologia di Giustino ad Antonino. 1 3 . Lettera di Antonino al Concilio d'Asia intorno alla no stra fede. 14 . Ciò che si ricorda di Policarpo, conoscitore degli apo stoli. 1 5 . Al tempo di Vero, Policarpo, insieme ad altri, subì il martirio nella città di Smirne. 16. Il filosofo Giustino subì il martirio perché annunciava nella città di Roma la parola di Cristo.
Libro IV,
l
193
I martiri che Giustino ricorda nei suoi scritti. 18. Le opere di Giustino pervenuteci. 19. Coloro che furono a capo della Chiesa di Roma e di Alessandria durante l'impero di Vero. 20. Chi furono i vescovi di Antiochia. 2 1 . Gli scrittori ecclesiastici famosi in questo periodo. 22 . Egesippo e gli argomenti delle sue opere. 23 . Dionigi, vescovo di Corinto, e le lettere da lui scritte. 24 . Teofilo , vescovo di Antiochia. 25 . Filippo e Modesto. 26. Su Melitone e ciò che egli ricorda. 27 . Apollinare. 28. Musano. 29. L'eresia di Taziano. 3 0 . Il siro Bardesane e le opere che ci ha lasciato. 17.
l.
I VESCOVI DI ROMA E DI ALESSANDRIA AL TEMPO DI TRAIANO
l . Intorno al dodicesimo anno del regno di Traiano 1 , il ve scovo della Chiesa di Alessandria, da me poco prima citato 2 , passò a miglior vita, e Primo, quarto a partire dagli apostoli, ri cevette la liturgia in quella diocesi. In questo periodo, dopo che Evaristo concluse l'ottavo anno di episcopato, Alessandro, quinto a partire da Pietro e Paolo, venne designato vescovo di
Roma.
l Nel 109 d.C.
2 Si tratta di Avilio (cf.
supra, III, 14).
1 94
Storia ecclesiastica 2 . l MALI SOFFERTI DAI GIUDEI IN QUEL TEMPO
l . Mentre l'insegnamento del nostro Salvatore e la Chiesa fiorivano, registrando di giorno in giorno continui progress i, la disgrazia dei Giudei invece cresceva per i mali che si succede vano gli uni agli altri. Già nel diciottesimo anno del regno di Traiano 3 scoppiò di nuovo una rivolta dei Giudei, e dei quali moltissimi morirono. 2. Ad Alessandria infatti, nel resto dell'E gitto e a Cirene i Giudei, come spinti da un vento terribile e ap portatore di rivolte, cominciarono a ribellarsi contro i Greci con cui abitavano, suscitando contro di loro una grande rivolta e, l'anno seguente, quando Lupo era governatore di tutto l'E gitto 4 , una guerra di grandi dimensioni. 3. Al primo scontro es si vinsero sui Greci; ma questi, ritiratisi ad Alessandria, prese ro i Giudei che vi abitavano e li uccisero. Compromessa così per sempre l' alleanza con questi, i Giudei di Cirene, sotto la guida di Lucua, devastarono la regione d'Egitto, distruggendo ne i distretti. L'imperatore allora inviò contro di loro Marco Turbone 5 con la fanteria, la flotta e la cavalleria. 4. Egli si sob barcò del peso di questa guerra contro di loro, che vide molte battaglie e che ebbe, dunque, lunga durata, e uccise non solo a Cirene, ma anche in Egitto, molte migliaia di Giudei, che ave vano seguito Lucua, loro re. 5. L'imperatore, temendo che an che i Giudei della Mesopotamia si associassero alla rivolta di quelli d'Egitto, ordinò a Lusio Quieto 6 di allontanarli dalla provincia. Costui, ingaggiata battaglia, ne uccise un grandissi mo numero, e venne designato dall'imperatore per questo suc cesso governatore della Giudea. Anche quegli autori greci 7,
3 Nel l 16 d.C.
4 M. Rutilio Lupo fu governatore d'Egitto dal 1 16 al 1 17 d.C.
5 Capo delle legioni d'Egitto dal 1 16 al 1 1 8 d.C. 6 Console da 1 17 al l 18 d.C. 7 Cf. Cassio Dione, Storia romana, LXVIII, 32.
Libro IV, 2-3
195
che h anno consegnato alla scrittura la narrazione degli avveni
menti che ebbero luogo al loro tempo , h anno fatto ricorso alle stess e p arole.
3 . GLI APOLOGISTI DEL TEMPO DI ADRIANO l. A Traiano, che rimase al potere per diciannove anni e sei mesi s, succedette Elio Adriano. A questi Qu a d r at o 9 de di cò un suo discorso, un'Apologia composta in difesa della nostra fe de, minacciata da alcuni uomini tristi che tentarono di portare lutto fra di noi. Ancora oggi essa è nota non solo a moltissimi fra i nostri fratelli, ma anche a noi. Essa costituisce una chiara prova dell'intelligenza e della retta fede apostolica del suo au tore. 2. Egli mostra la sua antichità dicendo testualmente così: «Le opere del nostro Salvatore erano sempre visibili perché ve re; quelli che vennero guariti e coloro che furono risuscitati dai morti non solo furono visti guariti e risuscitati, ma vissero an che per tutto il tempo in cui il Salvatore rimase fra gli uomini anche dopo la sua dipartita. Alcuni di loro poi sono ancora vi vi al mio tempo». 3 . Tale fu Quadrato. Aristide, uomo della nostra religione pieno di fede, ha lasciato, come Quadrato, un' apologia compo sta in difesa della nostra fede, indirizzata ad Adriano. Anche il suo scritto è conservato fino ad oggi da molti 1 0 .
8 Regnò dal 98 al 1 17 d.C. 9 Cf. supra, III , 37 e n. 140.
1 0 !.;Apologia di Aristide la più antica che ci sia giunta. Essa è nota an che in una traduzione siriaca, in cui però compare la dedica ad Antonino Pio, successore di Adriano. Ma motivi interni allo scritto danno ragione ad Euse bio. Per una più ampia trattazione cf. M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit. , p. 63 .
196
Storia ecclesiastica
4 . I VESCOVI DI ROMA E DI ALESSANDRIA AL TEMPO DI ADRIANO
Al terzo anno di regno del suddetto imperatore 1 1 ad Ales sandro, vescovo di Roma, che morì dopo dieci anni di episco pato, succedette Sisto. Nella diocesi di Alessandria, nello stes so periodo, Giusto succedette a Primo, morto dopo dodici an ni di ministero. 5 . I VESCOVI DI G ERUSALEMME DAL SALVATORE FINO AI TEMPI DI CUI STIAMO TRATTANDO l . Non avendo trovato in nessun modo opere riguardanti i tempi dei vescovi di Gerusalemme (si dice infatti che ebbero vita breve) , 2. ho appreso dai documenti 12 che fino all'assedio dei Giudei che ebbe luogo al tempo di Adriano 1 3 si succedet tero quindici vescovi che, dicono, furono tutti Ebrei fin dall'i nizio e conobbero dawero il Cristo, al punto da essere giudi cati degni persino del ministero episcopale già da coloro che erano all'altezza di giudicare su siffatte cose: a partire dagli apostoli fino all' assedio in cui i Giudei, che erano in quel tem po in rivolta, furono massacrati in grandi battaglie dai Romani, contro i quali si erano ribellati, tutta la Chiesa di Gerusalemme era composta infatti di fedeli ebrei. 3 . Ma poiché cessarono da questo periodo i vescovi ebrei, è ora necessario elencarli a par tire dal primo. Primo pertanto fu quel Giacomo che era detto fratello del Signore 14; secondo dopo di lui Simeone 1 5 , terz o
1 1 Nel 1 1 9 d.C. 12 Forse le Memorie di Egesippo. 13 Nel 135 d.C. 1 4 Cf. supra, II, l, 2. 1 5 Cf. supra, III, 1 1 .
Libro N,
4-6
197
Giusto 1 6 , quarto Zaccheo, quinto Tobia, sesto Beniamino, set timo Giovanni, ottavo Mattia, nono Filippo, decimo Seneca, un dice simo Giusto, do dicesimo Levi, tre dicesimo Efrem, quat tordi cesimo Giuseppe; dopo tutti costoro quindicesimo Giuda. 4. Q uesti i vescovi di Gerusalemme che si succedettero a parti re dagli apostoli fino al tempo da me trattato, tutti circoncisi. 5. Trascorso ormai il dodicesimo anno del regno di Adria no 17 , divenne vescovo di Roma, settimo a partire dagli aposto li, Telesforo, che succedette a Sisto, che ne fu vescovo per die ci anni. Trascorsi un anno e alcuni mesi, della diocesi di Ales san d ria venne designato sesto vescovo Eumene, che succe dette al suo predecessore 18 , che detenne la carica per undici anni.
6. L'ULTIMO ASSEDIO DEI GIUDEI
AL TE!vlPO DI ADRIANO l. Poiché cresceva e si allargava una nuova rivolta dei Giu dei 19, Rufo, governatore della Giudea, forte di un aiuto milita re inviatogli dall'imperatore, approfittando senza risparmio delle loro follie, mosse contro di loro, uccidendo decine e deci ne di uomini, d onne e bambini, e ri ducen do in schiavitù, se condo la legge della guerra, la loro regione. 2 . Era in quel tem po a capo dei Giudei un certo Bar Kocheba, il cui nome signi fica "stella" , da un lato un assassino e un brigante, ma che, dal l'altro, facendo leva sul suo nome, comandava su di loro come su schiavi, proclamando di rifulgere su quegli afflitti come una stella scesa dal cielo in loro soccorso. 3 . La guerra raggiunse il
1 6 Cf. supra, III, 35. 17 Nel l29 d.C. 18 Cioè Giusto. 1 9 Essa scoppiò nel 132 d.C. (cf. Cassio Dione, Storia romana, LXIX, 12, l ; Historia Augusta, Vita di Adriano, 14, 2 ) .
1 98
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suo massimo sviluppo a Betthera (una piccola città molt o ben guarnita, sita non molto lontano da Gerusalemme) nel dicio tte simo anno di regno di quell'imperatore 2 0; l' assedio durò a lun go, ma i ribelli, stremati dalla fame e dalla sete, furono espu gnati, e il colpevole della loro follia ricevette la degna punizio ne. Da quel momento un decreto e un prescritto di Adriano im pedirono a tutti i Giudei qualunque accesso anche al territorio circostante Gerusalemme, precludendo loro così ogni speranza di vedere anche da lontano la terra patria. Così narra Aristone di Pella 2 1 . 4. Dopo che i Giudei furono costretti ad abbando nare Gerusalemme e i suoi antichi abitanti morirono tutti, essa fu abitata da gente straniera; la città romana che ne prese il po sto cambiò nome e si chiamò Elia, in onore dell'imperatore Elio Adriano 22. Anche la Chiesa di quel luogo venne costituita da pagani, e per primo, dopo i vescovi ebrei, fu designato a pren derne la liturgia Marco.
7 . CHI FURONO IN QUEL TEMPO I CAPI DI UNA FALSA CONOSCENZA l . Pur rifulgendo ormai le Chiese sulla terra come astri lu minosissimi, e pur trionfando la fede nel Salvatore e Signore nostro Gesù Cristo sull'intera stirpe degli uomini, il diavolo, spregiatore del bene, nemico della verità e avversario ostile da sempre alla salvezza degli uomini, usò tutte le sue armi contr o la Chiesa, scatenandole contro le più ostili persecuzioni da par-
2 0 Nel 135 d.C. 21 Antico apologeta cristiano della prima metà del II sec., autore di un Dialogo tra Giasone e Papisco intorno a Cristo, con cui voleva dimostrare che le profezie dell'Antico Testamento si sono compiute in Gesù. Di essa resta so lo la prefazione in traduzione latina. 22 Su questo punto cf. anche supra, II, 12 e n. 47 .
Libro IV, 6- 7
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te dei pagani. 2 . Ma dopo che queste vennero vietate, combatté èon metodi diversi, servendosi di maghi e di peccatori, mezzi esiziali per le anime e diaconi della morte; e ricorreva ad ogni mezzo per consentire a maghi e ciarlatani di condurre nell'a bisso della dannazione, facendosi scudo del nome della nostra fede, quei fedeli che li seguivano, e di allontanare dalla fede con le loro prave azioni coloro che ancora non la conoscevano, sviandoli così dalla via che conduce all a parola della salvezza. 3 . Da Menandro, già sopra da me citato come successore di Si mone 23 , ebbe origine una nuova forza simile ad un serpente biforcuto e con due teste, da cui nacquero i capi di due diffe renti eresie: Saturnino di Antiochia e Basilide di Alessandria 24, che fondarono, il primo in Siria, il secondo in Egitto, scuole eretiche nemiche a Dio. 4 . Ireneo dice 25 che per gran parte Sa turnino professava le stesse menzogne di Menandro e che, col pretesto dei misteri, Basilide liberò senza limite la sua fantasia, inventando miti meravigliosi per la sua empia dottrina. 5. Men tre in quel tempo moltissimi ecclesiastici combattevano a fian co della verità e lottavano con la sola forza della parola in dife sa d ella fede degli apostoli e della Chiesa, altri lasciavano ai po steri cautelative difese contro le eresie or ora citate anche con le loro opere. 6. Di queste a noi è giunta quella di Agrippa Ca store 26 , lo scrittore più illustre fra quelli del suo tempo e va lente confutatore di Basilide, abile nel mettere a nudo quanto fosse terribile l'arte ingannatrice di quest'uomo. 7 . Rivelando dunque le sue segrete dottrine, dice che egli compose venti quattro libri sul Vangelo, che inventò profeti come Barcaba e Bar cof e ne istituì altri inesistenti, dando loro nomi stranieri per 23
Cf. supra, III, 26. 24 Fondatori di scuole gnostiche. 25 Contro le eresie, l, 24, l , 3 . 2 6 Questa citazione è l'unica testimonianza che abbiamo s u questo scrittore, la cui opera è andata perduta.
200
Storia ecclesiastica
impressionare coloro che credono in simili cose. Insegnava p oi che non aveva importanza alcuna toccare cibo offerto agli id0. li e rinnegare apertamente la fede in tempi di persecuzione, e imponeva, come i Pitagorici, un silenzio di cinque anni a quan ti si accostavano alla sua dottrina. 8. Lo scrittore suddetto , do po aver riferito su Basilide altre notizie simili a queste, mette a nudo mirabilmente l' errore della menzionata eresia. 9. Ireneo riferisce anche che contemporaneo di Saturnino e di Basilide fu Carpocrate 27, padre di un'altra eresia, la gnostica. Costoro re putarono giusto praticare le arti magiche di Simone 2 8 non, co me questi, di nascosto, ma alla luce del sole, come si fa per le cose grandi, adorando i filtri preparati con le loro stesse mani con la massima cura, e alcuni demoni, che inviano sogni e che li proteggono, e inventan d o altre pratiche di tal genere. Confor memente a quanto detto, insegnavano che coloro che avevano intenzione di raggiungere la perfezione nella perversione o piuttosto l' abominio, secondo i loro precetti dovevano compie re i più turpi fra i mali, poiché non sarebbero in nessun modo sfuggiti agli " arconti cosmici ", come essi li chiamavano, se non avessero dato a tutti con i misteri ciò che loro spettava. 1 0 . La sorte volle che il diavolo, fautore del male, servendosi di tali mi nistri, rendesse suoi schiavi coloro che miseramente erano stati da loro ingannati, conducendoli così alla perdizione, e diffon desse ai popoli che ancora non credevano in Cristo molte ca lunnie contro il Verbo divino: la fama di questi eretici infatti si mutò in calunnia per tutto il popolo dei cristiani. 1 1 . E così per lo più presso coloro che erano allora lontani dalla nostra fede si affermò sul nostro conto l'empio e assurdo sospetto che ci unis simo turpemente con madri e sorelle e ci cibassimo di empi pa27 Non è questo il luogo per illustrare la complessa dottrina gnostica. Su di essa si rimanda a M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp .
7 6-84 .
28 Simon Mago, sul quale cf. supra, II, 13 .
Libro IV,
201
7-8
sti 29 . 12. Queste diffamazioni però non furono di grande utilità al demonio, poiché la verità si ristabilì da sola e risplendette di gran de luce per il tempo a venire. 13 . Le macchinazioni dei ne mici, c onfutate dalla forza della verità, ebbero subitanea fine, sebbene le eresie si rinnovassero le une dopo le altre e si ripri stinas sero sempre le precedenti, che venivano però sconfitte un a dop o l'altra, pur essendo le loro dottrine disparate e varie. Si acc resceva invece sempre più e aumentava in modo sempre costante e inalterato lo splendore dell'universale, unica e vera Chiesa, facendo rifulgere la santità, la verità, la libertà, la sag gezza e la purezza della vita e della filosofia divine su ogni stir pe di Greci e di barbari. 14. D tempo mise fine anche all'infa mia contro l'intera nostra dottrina, e questa, riconosciuta ec cellente al di sopra di ogni altra per la santità, la saggezza e i dogmi divini e filosofici, rimase essa sola a governo di tutti gli uomini; così nessuno nel nostro tempo osa più diffondere tur pi calunnie contro di essa né infamie simili a quelle un tempo gradite ai nostri avversari. 15 . Nei tempi che stiamo esaminan do la dottrina della verità ebbe dunque fra i suoi seguaci molti uomini che si ergevano a sua difesa combattendo contro le em pie eresie, che confutavano non solo oralmente, ma anche con dissertazioni scritte 3 0 . 8 . CHI FURONO GLI
SClUTTORI
ECCLESIASTICI
l . In questi tempi il più famoso fu Egesippo 3 1 , dalla cui opera già prima abbiamo citato molti passi, attingendo da essa
2 9 Queste erano le accuse che l'opinione pubblica rivolgeva ai cristiani. Esse vennero confutate dagli apologisti del II e III sec. (cf. ad es. Tertulliano, Apologetico, 39, 7-2 1) . 3 0 Riferimento agli apologisti del II secolo. 3 1 Su Egesippo cf. in/ra, 22.
202
Storia ecclesiastica
delle notizie sui tempi degli apostoli. 2 . In cinque libri 32 esp 0• ne con esattezza, in uno stile molto lineare, il messaggio ap 0• stolico; precisa poi il tempo in cui divenne famoso nel pass o se - . guente, relativo a coloro che sin dall'inizio ergevano idoli: «A questi dedicarono cenotafi e templi come fanno fino ad oggi; fra loro è anche Antinoo, uno s c hi avo dell ' imp eratore Adriano, in onore del quale si tiene, ancora ai nostri tempi, anche una ga ra detta antinoea. Adriano gli dedicò anche una città da lui fon data, che chiamò col nome di Antinoo, e designò in suo onore anche dei profeti». 3 . In quel tempo anche Giustino 3 3 , autentico cultore del la vera filosofia, diveniva sempre più esperto delle opere dei Greci. Egli si riferisce allo stesso periodo, scrivendo nella sua Apologia de di c ata ad Antonino: «Non crediamo fuori luogo ri cordare, fra questi, anche Antinoo, vissuto nel nostro tempo, che tutti, spinti dalla paura, cominciarono ad adorare come un dio, pur sapendo chi era e da dove veniva» 34. 4. li medesimo Giustino, facendo menzione della guerra che in quel tempo si combatteva contro i Giudei, dice: «Nella presente guerra giudaica infatti Bar Kocheba, capo della rivol ta dei Giudei, ordinò che soltanto i cristiani, se non avessero rinnegato e bestemmiato Gesù il Cristo, fossero sottoposti a tremendi supplizi» 35. 5 . Nella stessa opera afferma che la sua conversione dalla filosofia greca alla religione divina non fu ir razionale, ma scaturì da una meditata riflessione. Ecco le sue parole: «lo stesso, quando ancora godevo degli insegnamenti di Platone, sentivo le calunnie contro i cristiani; ma vedendoli im pavidi di fronte alla morte e a tutto ciò che è reputato terribile , 3 2 li riferimento è all'opera dal titolo Memorie, in cui espone la dottrina apostolica con intenti antignostici. 33 Su di lui cf. supra, II, n. 50 e in/ra, 1 6- 1 8 . 34 I Apologia, 2 9 , 4. 35 I Apologia, 3 1 , 6.
Libro N,
8
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pensavo che era impossibile che essi vivessero nel male e nel piacere sfrenato. Quale piacere infatti, quale incontinenza, qua le persona che stimi un bene nutrirsi di carne umana potrebbe desidera re ardentemente la morte, che lo libererebbe da tutti i suoi piaceri? Non cercherebbe forse di vivere con ogni mezzo semp re la sua vita presente e di sfuggire ai magistrati, piuttosto che proclamare la sua fede ed essere così ucciso?» 36. 6. Lo stes so autore riferisce inoltre che Adriano, dopo aver ricevuto da Serennio Graniano 37, illu strissimo governatore, lettere riguar danti i cristiani, in cui quest'ultimo diceva che non era giusto condannarli a morte senza processo e accusa alcuna, ma solo per ringraziarsi le grida della folla, rispose a Minucio Funda no 3 8, proconsole d'Asia, ordinandogli che nessuno giudicasse i cristiani senza processo e senza precisa accusa. 7 . E aggiunge copia della lettera, riportandola in lingua latina, così come era stata scritta, premettendo queste parole: «Pur potendo chie dervi, sulla base della lettera del grandissimo e magnificentissi mo Cesare Adriano, vostro padre, di ordinare che i processi si svolgano come ne siamo degni, abbiamo reputato opportuno che ciò avvenisse non per disposizione di Adriano, ma per la rettitudine della nostra richiesta, di cui siamo pienamente con vinti. Ho aggiunto anche la copia della lettera di Adriano affin ché sappiate éhe anche ciò che ho detto corrisponde a verità. Eccola» 39, 8. Dopo queste parole l'autore citato riporta la co pia della lettera nel testo latino, che io ho tradotto, come ho po tuto, in greco. Essa dice così:
36 II Apologia, 12, 1 -2. 37 Si tratta di Quinto Licinio Salviano Graniano Quadronio Proculo,
pre decessore di Fundano. 3 8 Proconsole d'Asia dal 124 al 125 d.C. 39 I Apologia, 68, 3 -5 .
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Storia ecclesiastica
9. IL DECRETO DI ADRIANO SUL DIVIETO DI PERSEGUITARCI SENZA PROCESSO l . «A Minuccio Fundano. Ho ricevuto la lettera scrittami da Serennio Graniano, uomo illustrissimo, al quale tu sei sue ceduto. Non mi sembra opportuno pertanto lasciare il proble ma in sospeso, affinché lo scompiglio non regni fra gli uomini e non si dia ai diffamatori pretesto per le loro azioni malvagie. 2 . I governatori delle province, che in virtù della loro carica possono apertamente agire contro i cristiani, facciano in modo che questi possano difendersi anche in tribunale. Si diano pen siero solo di questo, e non di assecondare soltanto i desideri e le grida del popolo. È molto più conveniente che, se qualcuno volesse accusare un cristiano, tu esamini a fondo l'accusa. Se dunque qualcuno li denuncia e provi che essi agiscono contro le leggi, dà loro la pena adeguata alla gravità della loro colpa. Ma, per Ercole, se qualcuno li accusa di questo solo per calun niarli, giudicalo in base alla gravità della diffamazione e pensa a come punirlo» -l O . Queste sono le parole testuali del decreto di Adriano.
1 0 . CHI FURONO I VESCOVI DI ROMA E DI ALESSANDRIA DURANTE IL REGNO DI ANTO NINO
Adriano, dopo aver regnato ventuno anni 4 1 , pagò il suo debito; dopo di lui fu nominato imperatore Antonino, detto Pio. Nel primo anno del suo regno al posto di Telesforo, che morì dopo undici anni di ministero, venne designato vescovo di Roma Igino. Ireneo racconta 42 che Telesforo morì martire; egli 40 I Apologia, 68, 6-10.
41 42
Adriano regnò dal 1 17
al 1 3 8 d.C.
Contro le eresie, III, 3, 3.
Libro N,
9- 1 1
205
atte sta inoltre che al tempo del già citato Igino, vescovo di Ro ma , Valentino, fondatore dell'eresia che da lui prese il nome, e
Cerdone 43 , cap o della setta dei Marcioniti, erano già noti en trambi a Roma. Egli scrive così: 1 1 . GLI ERESIARCHI DEL LORO TEMPO
l . «Valentino infatti giunse a Roma al tempo di Igino, vi fiorì in quello di Pio e vi rimase fino a quello di Aniceto 44. Cer done, il predecessore di Marcione -15 , giunse anch'egli nella Chiesa di Roma al tempo di Igino, che ne fu nono vescovo, e, pur fingendo di pentirsi del proprio errore, continuò tuttavia ora ad insegnare di nascosto, ora, scoperto , a pentirsi di nuo vo, ora ad essere confutato per quelle empie dottrine da lui professate e allontanato dall'assemblea dei fratelli» 46. 2 . Que ste cose egli dice nel terzo libro del Contro le eresie. Nel p rimo dice ancora s u Cerdone: «Un tal Cerdone, ripresa la strada se guita dai seguaci di Simone e predicando pubblicamente a Ro ma al tempo di Igino, nono vescovo della città a partire dagli apostoli, insegnò che il Dio annunciato dalla Legge e dai Pro feti non era il Padre di nostro Signore Gesù Cristo; l'uno infatti è noto, l'altro invece ignoto, l'uno giusto, l'altro buono. Mar cione del Ponto, che accolse la sua dottrina, fece crescere la sua
43 Su Cerdone cf. in/ra, 1 1 , 1 -2. 44 Igino fu vescovo della città dal 136 al 140; Pio dal 140 al 155; Ani
ceto dal 155 al 1 66. 4.5 Marcione fu fondatore di una eresia che opponeva al Dio vendicati vo degli Ebrei dell'Antico Testamento quello buono e misericordioso del Nuovo Testamento, che si è manifestato in Cristo con un corpo apparente. Adottò anche un proprio Nuovo Testamento, comprendente il Vangelo di Luca privo dei cc. l e 2, e dieci Lettere di Paolo, da cui escluse quella agli Ebrei e le Pastorali. 46 Contro le eresie, III, 4, 3 .
206
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scuola, bestemmiando spudoratamente» 47 . 3 . Lo stesso Ire neo 48, illustrando l'infinito abisso della selva piena di errori in cui era caduto Valentino, ne mette a nudo la perfidia rimasta fi no ad allora nascosta e occulta come quella di un serpente che si annida nella tana. 4. Dice inoltre 49 che in quei tempi visse
anche un tale di nome Marco, espertissimo nell 'arte magica.
Descrive poi i loro vani riti e le orrende iniziazioni dicendo: 5 . «Alcuni d i loro preparano una stanza nuziale e celebrano sugli iniziati un rito accompagnato da misteriose parole. Dicono che ciò sia un matrimonio spirituale per l' affinità con le congiun zioni celesti; altri li battezzano poi con acqua dicendo: "Nel nome del padre sconosciuto dell'universo, nel nome della vera madre di ogni cosa, nel nome di colui che è sceso in Gesù " . Al tri invece pronunciano p ar ole ebraiche per colpire an c ora di più gli iniziati» 5o. 6. Igino morì dopo quattro anni di ministero. Fu designa to vescovo di Roma Pio. Nella diocesi di Alessandria, al posto di Eumene, che ne resse l'episcopato per tredici anni, fu nomi nato pastore Marco. Morto Marco dopo dieci anni di episco pato, ne assunse il ministero Celadione. 7. Morto a Roma Pio dopo quindici anni di ministero, venne eletto vescovo di questa diocesi Aniceto. Al tempo di costui Egesippo riferisce di esser si recato a Roma e di esservi rimasto fino al tempo dell' episco pato di Eleutero. 8. In questo periodo fiorì Giustino, che pre dicava la parol a divina in forma filosofica e lottava con le sue opere in difesa della fede. Egli, autore anche dell'opera Contro Marcione 5 1 , attesta che, al tempo in cui la componeva, costui era ancora vivo, dicendo: 9. «Un tale Marcione del Ponto, che 47 Contro le eresie, I, 27, 1 -2. 48 Contro le eresie, I, 1 -9.
49 Contro le eresie, I, 13 , l . 5 0 Contro le eresie, I , 2 1 , 3 . 5 1 L'opera è andata perduta.
207
Libro IV, 1 1 - 1 2
vive ancora oggi e insegna ai suoi discepoli l'esistenza di un al tro Dio più grande del Demiurgo, riuscì con l'aiuto dei demo ni a persuadere molti a bestemmiare contro il creatore dell'uni verso, rinnegando in lui il Padre di Cristo, e a far confessare, ol tre a questo, un altro dio più potente. Tutti i suoi discepoli, co me abbiamo detto, vengono chiamati cristiani, come il termine di filosofia è comune ai filosofi anche quando le loro dottrine sono discordi» 52. E aggiunge: 1 0 . «Abbiamo anche un' opera contro tutte le eresie esistenti, che vi daremo se desiderate co noscerla» 5 3 . 1 1 . Questo stesso Giustino compose opere vali dissime contro i Greci 5� , e altri discorsi in difesa della nostra fede, rivolti all'imperatore Antonino Pio e al Senato di Roma (viveva infatti in questa città) . Nell'Apologia egli stesso rivela chi era e il suo luogo di nascita dicendo:
12.
L'APOLOGIA DI GIUSTINO
AD
ANTONINO
«All'imperatore Tito Elio Adriano Antonino Pio Cesare Augusto e al figlio Verissimo, filosofo, e a Lucio, figlio natura le del filosofo Cesare e adottivo di Pio, amante del sapere, e al sacro Senato e a tutto il popolo di Roma; in difesa di uomini odiati e calunniati ingiustamente da ogni popolo, io, Giustino, figlio di Prisco, figlio di Bacchio, nativo della città di Nea Fla-
52 I Apologia, 26, 5-6. 53 I Apologia, 26, 8 . 54 Riferimento alla Cohortatio a d gentes, alla Oratio ad Graecos e al De monarchia, che oggi nessuno studioso attribuisce alla penna di Giustino. La prima opera «tratta della superiorità dei libri sacri rispetto agli errori e alle contraddizioni cui non hanno saputo sottrarsi i poeti e i filosofi greci nella ri cerca di Dio» (M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., p. 68) ; la se conda contiene un attacco alla religione omerica da parte di un greco con vertito al Cristianesimo; la terza, sulla base di citazione prese dai poeti e da Platone, dimostra il monoteismo.
208
Storia ecclesiastica
via, in Siria di Palestina, uno di loro, ho dedicato questa op era e questo discorso» 55. Supplicato anche da altri fratelli d'Asia che subivano ogni sorta di mali dagli abitanti del luogo, questo stesso impe ratore stimò cosa giusta imporre questa disposizione al Conci lio d'Asia 56: 13 . LETTERA DI ANTONINO
AL
CONCILIO D'ASIA
INTORNO ALLA NOSTRA
FEDE
l . «L'imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augu sto, Armeno 57, Pontefice Massimo, nella sua quindicesima tri bunizia potestà 58, tre volte console, saluta il Concilio d'Asia. 2. So che anche agli dei è caro vendicarsi di uomini siffatti. Que sti ardono molto più di voi dal desiderio di punire coloro che non vogliono adorarli. 3 . Se voi li annientate, rivolgendo loro l'accusa di ateismo, li confermerete ancora di più nella fede: sebbene accusati infatti sulla base di un sospetto, essi preferi scono morire per il proprio Dio piuttosto che vivere. Per que sto vincono, perché rinunciano alla propria vita pur di non pie garsi a fare ciò che a voi sembra bene che essi compiano. 4. Per quanto riguarda i terremoti passati e presenti, non è fuori po sto rammentarvi che voi vi perdete d'animo quando si verifica.55 I Apologia, L 5 6 Era l'assemblea delle città delle province, ognuna delle quali era rap p resentata da un legato. Essa svolgeva mansioni p olitico-amministrative con lo scopo di diffondere e promuovere il culto imperiale. Il documento qui ri portato da Eusebio differisce da quello che appare come parte finale delle Apologie di Giustino. Queste diversità hanno fatto supporre l'esistenza di una traduzione fatta dal testo originale. 57 Alla titolatura imperiale di Marco Aurelio fu aggiunto questo epite to dopo la battaglia di Dura Europos ( 1 63 d.C.), in seguito alla quale fu sot tomessa l'Armenia. 58 Dal l O dicembre 1 60 al l O dicembre 1 6 1 .
Libro IV, 12-14
209
no e confrontate il nostro atteggiamento con il loro. 5. Essi in fatti s ono più fiduciosi nel loro Dio, voi invece, per tutto il tem po in cui sembra che non sappiate cosa fare, non vi prendete c ura degli altri dei e della religione di Dio immortale, ma osteg giate i cristiani che lo adorano 59, perseguitandoli fino alla mor t e . 6. Ai molti governatori delle province che gli hanno già scrit to su uomini siffatti, il nostro divinissimo padre 60 rispose di non perseguitarli se non erano sospettati di ordire un complot to contro l'impero di Roma. E molti hanno chiesto anche a me come comportarsi nei loro confronti; a costoro ho risposto se guendo il pensiero di mio padre. 7. Ma se qualcuno persevera nel denunciare uno di loro solo perché è cristiano, l'accusato sia prosciolto dalla denuncia anche se fosse chiaro che egli lo è veramente, mentre l'accusatore dovrà subire la giusta pena. Sia pubblicato ad Efeso, nel Concilio d'Asia» 6 1 . 8. Melitone 62 , vescovo della Chiesa di Sardi, famoso in quel tempo, attesta che le cose si sono svolte in questo modo, come risulta chiaro da ciò che egli riporta nell'Apologia, da lui indirizzata all'imperatore Vero in difesa della nostra dottrina.
14.
Crò CHE SI RICORDA DI POLICARPO , CONOSCITORE DEGLI APOSTOLI
l . Ireneo racconta che in questo periodo, quando Aniceto era a capo della Chiesa di Roma 63 , Poli carpo 64 era ancora in
59 I terremoti e i cataclismi naturali eral'l.o infatti attribuiti al fatto che i Cristiani non coltivavano più la religione tradizionale, provocando così l'ira divina, e di conseguenza la rovina per tutti gli uomini. 60 Adriano. Su questo punto cf. supra, 9. 6 1 Cronichon Paschale, 484, 10 - 485, 18. 62 Su questo autore cf. in/ra, 26. 63 Dal 155 al 166 d.C. 64 Su di lui cf. supra, III, 28, 6 e n. 1 1 1 .
210
Storia ecclesiastica
vita e si trovava a Roma a discutere con Aniceto 65 di una que stione riguardante il giorno di Pasqua 66 . 2 . Il medesimo scrit tore riferisce un altro racconto su Policarpo, che è necessario aggiungere a ciò che si è già detto su di lui. Ecco le sue parole:
Dal terzo libro del Contro le eresie di Ireneo 3 . «Poli carpo non solo fu discepolo degli apostoli 67 e fu in contatto con molti di coloro che videro il Signore, ma venne anche nominato dagli apostoli vescovo della Chiesa di Smirne in Asia. 4. Anche noi l'abbiamo visto nella nostra prima giovi nezza (infatti visse a lungo e subì, quando era molto vecchio, il martirio, testimonianza gloriosa e notevole della sua fede in Cristo); professò sempre ciò che aveva imparato dagli apostoli e che anche la Chiesa gli affidava, le uniche verità. 5 . Tutte le Chiese d'Asia e tutti coloro che sono succeduti a Policarpo fi no ad oggi attestano che egli era testimone della verità di gran lunga più degno di fede e attendibile di Valentino, di Marcione e di tutti gli altri maestri di empie dottrine. Egli predicò a Ro ma anche al tempo di Aniceto 68 , riuscendo a ricondurre molti fedeli dalle suddette eresie alla Chiesa di Dio e annunciando di avere appreso dagli apostoli questa unica e sola verità, quella tramandata dalla Chiesa. 6. Vi sono anche di quelli che gli sen tirono dire che Giovanni, il discepolo del Signore, entrato ad Efeso [nelle terme] per lavarsi e accortosi che dentro vi era Ce tinto, corse fuori dal bagno senza essersi lavato, dicendo: "Fug giamo, prima che crolli il bagno per la presenza di Cerinto, il nemico dell� verità" 69.
65 Su di lui cf. supra, 1 1 , 7 .
66 Su questo punto cf. 67 Fu infatti discepolo 6 8 Intorno al 1 60 d.C.
anche in/ra, V, 24, 16. di Giovanni.
69 Cf. anche supra, III, 28, 6.
Libro IV,
1 4-15
211
7 . A Marcione, che si presentava al suo cospetto e che gli diceva "Riconoscici ! " , lo stesso Poli carpo rispose: "Riconosco, riconosco il primogenito di Satana " . Gli apostoli e i loro disce poli ebbero una così grande prudenza nell'evitare rapporti, an che verbali, con chiunque falsificava la verità, come anche Pao lo ha insegnato dicendo: Tieniti lontano dall'uomo eretico dopo averlo già ammonito due volte, sapendo che un simile uomo è un pervertito e con i suoi errori si condanna da sé "· 8. Esiste inoltre una fondamentale lettera inviata da Policarpo ai Filippesi 70, dalla quale coloro che lo desiderano e si danno pensiero della propria salvezza possono apprendere di che stampo siano la sua fede e l'annuncio della verità» ì l . 9 . Questo dice Ireneo. Policarpo, nella sua Lettera ai Fi lippesi, già menzionata, tramandata fino ai nostri giorni, utiliz za alcune notizie prese dalla Prima lettera di Pietro n . 1 0 . Ad Antonino Pio, che regnò ventidue anni, succedet te insieme con il fratello Lucio il figlio Marco Aurelio Vero, chiamato anch'egli Antonino.
15 . AL TEMPO DI VERO, POLICARPO, INSIEME AD ALTRI, SUBÌ IL MARTIRIO NELLA CITTÀ DI S MIRNE l . In questo tempo, mentre infuriavano grandissime per secuzioni in Asia, Policarpo subì il martirio. Ritengo assoluta-
a Tt 3, 1 0- 1 1 .
7 0 È una epistola che Policarpo, come attesta lo stesso Eusebio (supra, III, 36, 1 3 - 1 5 ) , scrisse per esaudire la richiesta di quella comunità cristiana di avere copia delle lettere di Ignazio. In essa dà ammaestramenti sulla vera fe de e norme di vita cristiana, insistendo in modo particolare sull'obbedienza che i fedeli devono ai presbiteri e ai diaconi. 7 1 Contro le eresie, III, 3 -4. 72 Lettera ai Fzlippesi, l , 3 ; 2 , l ; 2 , 2 ; 5 , 3 ; 7 , 2 ; 8, l ; 10, 2 .
2 12
Storia ecclesiastica
mente necessario aggiungere in suo ricordo la storia della su a morte, custodita per iscritto ancora ai nostri giorni. 2 . Ci è per venuta infatti una lettera 73 scrittà di suo pugno e inviata dalla Chiesa che presiedeva alle altre diocesi del luogo, in cui si rife riscono gli avvenimenti che lo riguardano con queste parole: 3 . «La Chiesa di Dio che h a sede a Smirne alla Chiesa di Dio che ha sede a Filomelio e a tutte k diocesi della santa Chiesa catto lica presenti in ogni luogo. La misericordia, la pace e l'amore di Dio Padre e di nostro Signore Gesù Cristo abbondi in voi. Vi ab b iamo già scritto, fratelli, ciò che accadde ai martiri e al bea to Policarpo, la cui testimonianza di fede pose termine alla per secuzione come con un sigill o» 7� . 4 . Inoltre, prima di raccontare il martirio di Policarpo, lo scritto riferisce la sorte degli altri martiri, descrivendo con qua le sopportazione essi affrontavano i supplizi 75. Si dice che gli spettatori che stavano nel circo rimasero sbigottiti al vederli ora ridotti a brandelli dalle frustate, che arrivavano in profondità fino alle vene e alle arterie più interne al punto da far vedere persino gli intestini e le parti innominabili, ora stesi su triboli e su aguzzi pali e, dopo aver subito ogni sorta di punizioni e sup plizi, gettati in pasto alle belve. 5 . Raccontano che si distinse particolarmente il nobilissimo Germanico, che ebbe la forza di sconfiggere, con l'aiuto della grazia divina, l'innata paura del l'uomo di fronte alla morte del corpo. Non si curò del conso le 7 6 che voleva dissuaderlo dal martirio facendo leva sull a sua giovane età e che lo supplicava di avere pietà di sé stesso per ché ancora giovane e nei verdi anni; ma coraggiosamente aizzò
73 ll riferimento è al Martirio di Policarpo, il più antico fra gli Atti di martiri che si conosca. 74 Martirio di Policarpo, l . 7 5 Martirio di Policarpo, 2-7. 76 Si tratta di L. Stazio Quadrato, citato alla fine del Martirio di Poli carpo, che fu proconsole d'Asia dal 15 1 al 157 d.C.
Libro TV,
15
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contro di sé la belva quasi con violenza perché lo liberasse
quanto prima dall'ingiusta e iniqua vita. 6. Per la nobile morte di costui la folla, meravigliata dell'impavidità del pio martire e della virtù dell'intera schiatta cristiana, cominciò in coro a gri dare: «Via gli atei ! Si cerchi Poli carpo ! ». 7 . Alle grida seguì un grandissimo disordine e un tale, di stirpe frigia, di nome Quin to, giunto da poco dalla Frigia, si perdette d'animo alla vista delle belve e davanti agli altri supplizi e venne meno, allonta nando così da sé la salvezza. 8. il racconto della lettera sopra ci tata riferisce che costui per spavalderia e non per convinzione andò in tribunale con gli altri. Ma una volta condannato, costi tuì per tutti un chiaro esempio di come non bisogna sottoporsi a simili prove solo per disprezzo del pericolo e senza convin zione. Così termina il racconto che li riguarda. 9. La lettera continua dicendo che l' ammirevolissimo Policarpo, ascoltando queste cose, dapprima non si scompose, conservando la pro pria anima calma e salda, e volle rimanere in città. Ma persua so poi dai suoi compagni che lo scongiuravano e lo supplicava no con continue preghiere di fuggire, si recò in un podere vici no alla città, dove rimase con pochi amici, non facendo altro , di giorno e di notte, se non perseverare nella preghiera al Signore, supplicando e implorando da lui la pace per le Chiese di tutto il mondo, come era sempre stata sua consuetudine. 1 0 . Dopo la preghiera, tre giorni prima del suo arresto, sognò che il cuscino si incendiava e veniva completamente consumato dal fuoco. Svegliatosi, espose subito ai suoi compagni ciò che aveva visto in sogno, ma non rivelò ciò che gli sarebbe accaduto, tacendo loro che era destino ch e e gli morisse p er Cristo consumato dal fuoco. 1 1 . Poiché coloro che ne avevano ricevuto l'ordine lo cercavano con grande cura, obbligato di nuovo, a quanto dico no, dall'affetto e dalla benevolenza dei fratelli, si rifugiò in un altro podere. Qui, dopo poco tempo, giunsero coloro che lo cercavano; catturati due suoi servi che lì si trovavano, apprese ro il luogo in cui si nascondeva Policarpo da uno di loro, dopo
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averlo sottoposto a tremende torture. 12 . Giuntivi a tarda ora, lo trovarono che dormiva in una soffitta, da dove non volle fug gire, pur essendogli possibile rifugiarsi in un'altra casa, dicen do: «Sia fatta la volontà di Dio». 13 . Avendo saputo del loro ar rivo, come narra lo scritto, scese dalla soffitta e parlò loro con un viso così dolce e benevolo da far credere ai suoi persecuto ri, che non lo conoscevano, di assistere ad un miracolo al vede re la sua età avanzata, la santità e la tranquillità del suo porta mento, anche se avevano avuto un sì grande zelo nel catturare un simile vecchio. 14. Ma Policarpo non si curò di ciò e, ordi nato che fosse loro imbandita subito una mensa, li esortò a prendere cibo a sazietà. Fece poi loro richiesta di una sola ora per poter pregare tranquillamente. Avuto il loro consenso, si levò in piedi e cominciò a pregare tanto ricolmo della grazia del Signore da far stupire i presenti al sentirlo e da far pentire mol ti di loro del fatto che un vecchio così santo e pio stava per es sere UCCIS O . 15 . Lo scritto che ci parla di lui prosegue poi nel raccon to dicendo testualmente: «Finì la preghiera ricordando tutti, anche coloro che allora erano con lui, piccoli e grandi, illustri e sconosciuti, e tutta la Chiesa cattolica diffusa nel mondo. Giun ta l'ora di andare, lo fecero montare su un asino e lo condusse ro in città. Era un sabato di festa grande. Lo incontrarono l'ei renarca 77 Erode e suo padre Niceta che, fattolo salire sulla lo ro carrozza e sedutisi vicino a lui, cercarono di persuaderlo a rinnegare la sua fede con queste parole " Che male c'è nel dire Signore Cesare, nel sacrificare e così salvarsi? " . 1 6. In un primo tempo non rispose, ma poi, vista la loro insistenza, disse: " Non ho intenzione di fare ciò a cui mi esortate" . Essi desistettero al lora dal persuaderlo e, pronunciate contro di lui turpi parole, lo spinsero giù dalla carrozza con tanta violenza che egli, nella
77 Era il responsabile dell'ordine pubblico.
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caduta, si sbucciò uno stinco. Ma non si voltò neppure, igno rando il dolore, e con coraggioso zelo avanzava, condotto ver so lo stadio. 17 . Pur essendoci qui un sì grande clamore che avrebbe impedito a chiunque di essere udito, Policarpo, non ap pena entrò, sentì una voce dal cielo dirgli: "Forza Policarpo, sii forte " . Nessuno vide chi aveva parlato, ma molti dei nostri udirono quella voce. 1 8 . Quando Policarpo fu portato all'in terno dello stadio, coloro che avevano appreso la notizia del suo arresto eruppero in un grande clamore. Non appena entrò, il proconsole gli domandò se era Policarpo; avuta risposta af fermativa, cercò di persuaderlo ad abiurare dicendo: "Abbi ri guardo della tua età l " ; aggiunse poi quelle parole che erano so liti pronunciare: "Giura nel Genio di Cesare, pentiti, di' : basta con gli atei " . 19. Ma Policarpo, guardando con volto serio tut ta la folla che era nello stadio, alzò verso di loro la mano e, sol levato lo sguardo al cielo, disse: " Basta con gli atei ! " . 20. Il pro console, avvicinatosi, gli disse: "Giura e ti libererò; insulta il Cristo ! " . Ma Policarpo rispose: " Sono suo servo da ottantasei anni e non ho ricevuto da lui nessuna ingiustizia. Come potrei insultare il mio re, colui che mi ha dato la salvezza? " . 2 1 . Ma il proconsole insisteva dicendo: "Giura nel Genio di Cesare" ; e Policarpo: " Se speri che io giuri nel Genio di Cesare, come mi ordini, fingendo di ignorare chi io sia, �scolta attentamente: so no cristiano. E se vuoi apprendere l'insegnamento del Cristia nesimo, basterà che tu mi ascolti per un giorno ! " . 22. Rispose il proconsole: "Persuadi il popolo " . E Policarpo: " Ho ritenuto degno rivolgerti la parola perché mi hanno insegnato di onora re i magistrati e le autorità investite da Dio come loro si addi ce, se ciò non è dannoso per noi; ma non stimo degni costoro di ascoltare la mia difesa" . 23 . E il proconsole: "Ho le belve; a queste ti darò in pasto se non abiuri la tua fede" . Egli rispose: " Chiamale, ma non muterò parere per passare dalle cose mi gliori alle peggiori; è bello infatti andare dall'ingiustizia alla giu stizia" . 24. Ed egli: "Se non ti curi delle belve, ti farò consuma-
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re dal fuoco, se non abiurerai il Cristo" . E Policarpo: "Tu mi nacci un fuoco che brucia per un'ora e poco dopo si spegne, ma ignori il fuoco del giudizio futuro e del castigo eterno destina to agli empi. Ma perché perdi tempo? Fa venire quello che vuoi " . 25 . Nel dire altre parole ancora più gravi era pieno di co raggio e di gioia, e il suo volto abbondava a tal punto di grazia da non scomporsi alle parole che gli erano state rivolte dal con sole, che rimase anzi stupito e inviò l'araldo in mezzo allo sta dio a proclamare tre volte: "Policarpo si è dichiarato cristiano" . 26. Quando l'araldo ebbe finito di pronunciare queste parole, tutto il popolo dei pagani e dei Giudei che abitavano a Smirne gridò con impeto incontenibile e a gran voce: " Questi è il mae stro dell'Asia, il padre dei cristiani, il flagello dei nostri dei, co lui che insegna a molti a non sacrificare e a non prostarsi " 27 . Dicendo ciò, chiesero a gran voce all'asiarca 7 8 Filippo di sguin zagliare un leone contro Policarpo. Egli rispose che non era possibile, poiché lo spettacolo delle belve era finito. A loro sembrò bene quindi chiedere all'unanimità di bruciare vivo Po licarpo. 2 8 . Bisognava infatti che avesse compimento la visione a lui apparsa del cuscino, che vide bruciare mentre pregava quando, rivolto ai fedeli che erano con lui, profetizzò: "È ne cessario che io sia arso vivo " . 29. Ciò si verificò in men che non si dica: il popolo infatti condusse subito fuori dalle officine e dalla terme legna e fascine. In ciò si prodigarono soprattutto i Giudei, come era loro costume. 3 0 . Quando la pira fu allestita, si tolse da sé tutti i vestiti, si sciolse la cintura e tentò di togliersi anche le scarpe, cosa che non aveva fatto prima da sé poiché ciascun fedele sempre contendeva con l'altro per toccargli per primo la pelle. A causa della sua perfetta santità infatti era og getto di onore anche prima di giungere alla vecchiaia. .
78 Era preposto al Concilio d'Asia per il quale cf. supra,
n.
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3 1 . Subito gli fu fatto indossare ciò che è necessario per il go; m a poiché essi avevano anche l'intenzione di inchiodar ro lo, disse loro: "Lasciatemi così; colui che infatti mi dà la forza di sopportare il fuoco, mi permetterà di resistere al rogo anche senza che voi mj ci assicuriate con i chiodi" . Essi allora non lo inchiodarono, ma lo legarono. 3 2 . Egli, messe le mani dietro la schiena e legato come agnello scelto preso da un grande greg ge come olocausto gradito a Dio onnipotente, disse: 33 . "Padre dell ' amato e benedetto Gesù Cristo, tuo figlio, per mezzo del quale siamo stati resi partecipi della tua conoscenza, Dio degli angeli, delle potenze, di ogni creatura e di tutta la stirpe dei giusti che vivono al tuo cospetto, ti benedico per avermi reso degno di questo giorno e di questo momento, con cui mi con cedi di prendere parte al calice del tuo Cristo nel numero dei martiri 3 4 . per la resurrezione della vita eterna, dell'anima e del corpo nell'incorruttibilità dello Spirito Santo. Fra loro possa io essere accolto oggi al tuo cospetto, come sacrificio pingue e a te accetto, 3 5 . come tu, Dio vero e non menzognero, hai pre parato, rivelato prima dei tempi e portato a compimento. Per questo e per ogni altra cosa io ti lodo, ti benedico, ti magnifico per mezzo dell'eterno sommo sacerdote Gesù Cristo, tuo ama to figlio, per mezzo del quale a te, con lui, nello Spirito Santo, sia gloria ora e nei secoli futuri. Amen " . 36. Non appena pro ferì " amen " e portò a termine la preghiera, gli addetti attizza rono il fuoco. A noi, ai quali fu concesso vedere il prodigio di una grande fiamma che risplendeva, è stato riservato il compi to di raccontare ad altri il miracolo che accadde. 3 7. Il fuoco, prendendo forma di volta come la vela di una nave gonfiata dal vento, avvolse il corpo del martire, che vi si trovava in mezzo non come carne bruciata, ma come oro e argento arsi in una fornace; infatti sentivamo un profumo simile a quello dell'in censo e di un altro aroma prezioso. 3 8 . Quegli empi infine, ve dendo che ciò impediva che il suo corpo potesse essere consu-
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mato dal fuoco, ordinarono ad un con/ector 7 9 di avvicinarsi a lui e di trafiggerlo con una spada. 3 9. Fatto questo, sgorgò dal suo corpo una così grande quantità di sangue da riuscire a spe gnere il fuoco e a far meravigliare il popolo della grande diffe renza esistente tra coloro che non credono e gli eletti. Egli era uno di costoro, il maestro ammiratissimo nei nostri tempi, di scepolo degli apostoli e profetico vescovo della Chiesa cattoli ca di Smirne; ogni parola che usciva dalla sua bocca o si era già compiuta o si sarebbe compiuta. 40. Ma il demonio, astuto e invidioso, nemico della progenie dei giusti, vedendo la gran dezza della sua testimonianza di fede e la sua vita sempre inec cepibile, che lo cinse della corona dell'immortalità e gli permi se di riportare il premio inoppugnabile della vittoria, fece in modo che noi non raccogliessimo neppure il suo corpo, sebbe ne molti desideravano farlo per tenere con loro le sue sante spoglie. 4 1 . Alcuni consigliarono a Niceta, padre di Erode, fra tello di Alce, di recarsi dal procuratore per esortarlo a non dar ci il suo corpo, dicendogli: "Affinché, abbandonando l'adora zione di colui che è stato crocifisso, non comincino a venerare costui" . Dissero queste cose su suggerimento e istigazione dei Giudei - essi infatti ci spiavano quando stavamo per prendere il suo corpo dal rogo - ignorando che non potremo mai di menticarci del Cristo, che patì per la salvezza di coloro che so no salvati in tutto il mondo, né adorare un altro. 42 . Veneria mo lui che è figlio di Dio, e amiamo i martiri come loro spetta perché discepoli e imitatori del Signore per la loro dedizione senza pari al proprio re e maestro. Voglia il cielo che noi dive niamo loro amici e condiscepoli ! 43 . Il centurione, vedendo la contesa causata dai Giudei, fece porre il cadavere del martire nel mezzo, come era loro consuetudine, e lo fece bruciare; co sì poi noi, raccolte le sue ossa, più preziose delle pietre pregia79 Era
l'arena.
colui che dava il colpo di grazia al lottatore o alla belva ferita nel
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te e più inestimabili dell'oro, le riponemmo in un luogo conve niente. 44. Qui, finché sarà possibile, il Signore ci concederà di riunirei nella gioia e nella letizia per commemorare l' anniversa rio del suo martirio, in ricordo di coloro che hanno lottato pri ma di noi per la fede e per esercizio e preparazione di coloro che lo faranno dopo di noi. 45 . Questo per quanto riguarda il beato Policarpo, il dodicesimo martire a Smirne dopo quelli di Filadelfia; solo il suo nome è sulla bocca di tutti in ogni luogo, persin o su quella dei pagani» 8 0 . 46. La vita del magnifico ed apostolico Policarpo è stata degna di una simile fine, che i fratelli della Chiesa di Smirne hanno riferito nella lettera già citata. In essa è aggiunto anche il racconto di altri martìri verificatisi a Smirne nello stesso perio do di quello di Policarpo, in cui si dice che anche Metrodoro, forse presbitero della setta di Marcione, morì sul rogo arso dal le fiamme 8 1 . 47 . Dei màrtiri di quel tempo il più famoso è un tal Pionio 82 . La narrazione minuziosa della sua confessione di fede; la forza delle sue parole; la difesa della fede davanti al po polo e ai giudici; i sermoni didascalici, e ancora le ammonizio ni a coloro che cadevano in tentazione durante la persecuzione; le esortazioni che dava ai fratelli che lo andavano a trovare in carcere; inoltre i supplizi che subì e le sofferenze che ne deri varono; i chiodi; la risoluzione da lui mostrata sul rogo; la sua morte, che fu al di sopra di ogni prodigio: tutte queste cose so no trattate con dovizia di particolari nella narrazione che lo ri guarda. Essa è stata inclusa da me fra le testimonianze antiche riguardanti i màrtiri; a queste rimanderò coloro che ne hanno
80 Martirio di Policarpo, 8-19.
8 l Metrodoro fu martirizzato in realtà durante la persecuzione di De cio (249-25 1 d. C . ) . 82 Non confondere questo Pionio con l'omonimo autore di una Vita di Policarpo, un'opera del tutto leggendaria, composta nel 400 circa per com pletare la narrazione del Martirio di Policarpo. Anche questo Pionio morì sot to la persecuzione di Decio.
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interesse 83 . 48. E oltre questi, ci son� giunti anche Atti di altri che furono martirizzati a Pergamo, città dell'Asia, di Carp o, di Panfilo e di sua moglie Agatonice, che morirono in modo illu stre dopo aver confessato gloriosamente la propria fede in mol te occasioni. 1 6 . IL FILOSOFO GIUSTINO SUBÌ IL MARTIRIO PERCHÉ ANNUNCIAVA NELLA CITTÀ DI ROMA LA PAROLA DI CRISTO
In questi tempi Giustino, poco sopra da noi citato s� , dopo aver dedicato un secondo scritto in difesa della nostra fe de agli imperatori già menzionati 85 , venne onorato del divino martirio in seguito al complotto ordito contro di lui dal filosofo Crescente (costui seguiva la concezione di vita del cinismo, già evidente dal nome che portava) , che aveva già spesso biasima to in controversie pubbliche avvenute in presenza di molti ascoltatori. Subì infine il martirio, riportando così i premi del la vittoria per la verità annunciata. 2. Egli in verità, filosofo abi lissimo, nella citata Apologia profetizzò chiaramente con que ste parole quanto stava per accadergli: 3 . «Mi sembra che qual cuno dei suddetti congiuri anche contro di me e mi metta alla gogna, forse Crescente, amico non della sapienza, ma della va nagloria; non è degno infatti di essere definito filosofo colui che pubblicamente discute di cose che ignora e accusa pubbli camente i cristiani, che egli non conosce, di essere atei ed em pi, facendo questo per dilettare e compiacere i molti che indu ce nell'errore. 4. Egli, pur non avendo mai conosciuto gli inse gnamenti del Cristo, ci rivolge simili accuse, mostrandosi così assai perverso e di gran lunga peggiore degli ignoranti, che l.
83 Il riferimento è all 'opera Raccolta di antichi martiri, andata perduta.
84 C f. supra, 1 1 , 8 ss; 12.
85 Antonino Pio, Marco Aurelio e Lucio Vero.
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spes so si guardano bene dal parlare o dal fare false attestazioni su argomenti che non conoscono. Se invece conosce la nostra fede, non ne ha colto la grandezza o, coltala, agisce in quel mo do per non essere accusato di essere cristiano, essendo molto vile e malvagio, succube della paura e di un pensiero insipien te e irragionevole. 5 . Desidero che voi sappiate che io, interro gatolo su alcune questioni di tal genere, ho appreso e capito che non ne sa veramente nulla; e per dimostrare la veridicità delle mie affermazioni, se queste discussioni non vi sono state rese note, sono pronto a rivolgergli di nuovo le stesse doman de anche alla vostra presenza. Anche ciò sarebbe compito del l'imperatore. 6. Ma se conoscete le mie domande e le sue ri sp oste, vi è chiaro che non conosce nulla della nostra religione; e se ne sa qualcosa, non ha l'ardire di manifestarla a causa del la presenza di ascoltatori, mostrandosi, come ho detto prima, non sapiente e filosofo, ma uomo amante di gloria, dato che ha in odio anche il famoso detto di Socrate 86, che invece è degno di ammirazione» 87 . 7 . Questo dice Giustino. Che sia morto, come egli stesso predisse, per l'accusa di Crescente, lo racconta anche Taziano 88 - uomo nella sua giovinezza sapiente nelle dottrine dei Greci, in cui conquistò non piccola fama -, che lasciò moltissimi ri cordi su di lui nelle sue opere. In quella intitolata Contro i Gre ci riferisce: «E l'ammirevole Giustino a ragione ha ritenuto si mili ai pirati coloro che sono stati prima menzionati» 89 . 8. Poi, dopo aver aggiunto alcune cose sui filosofi, continua dicendo: «Crescente dunque, che tramava nella grande città, ec celse su tutti in pederastia e fu molto incline all'avì dità. 9. Egli .,
8 6 È riportato da Platone, Repubblica, X, 595 c: «L'uomo non deve essere onorato più della verità». 87 II Apologia, 3 , 1 -6. 88 Su Taziano e le sue opere cf. in/ra, 29. Sul Discorso ai Greci cf. n. 150. 89 Discorso ai Greci, 18.
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stesso aveva paura della morte che esortava a disprezzare, e com plottava contro Giustino, che riteneva un grande male, affin ché fosse condannato a morte per il fatto che, annunciando la verità, confutava i filosofi avidi di gloria e ciarlatani» 9o. Di tal genere fu l'accusa che condannò Giustino al martirio. 17 . l MARTIRI CHE GIUSTINO RICORDA NEI SUOI SCRITTI l . Lo stesso autore, prima della prova da lui affrontata, nella I Apologia 91 fa una menzione, utile al nostro scopo, di al tri che morirono martiri prima di lui, dicendo: 2 . «Una donna aveva per marito un uomo dissoluto, ed era dissoluta anch'essa in principio . Ma conosciuti gli insegnamenti del Cristo, diven ne saggia e tentò di far rinsavire il marito, come aveva fatto lei, facendogli conoscere la dottrina cristiana e annunciandogli la punizione nel fuoco eterno riservata a quanti conducono una vita corrotta, lontana dalla parola della rettitudine. 3 . Ma egli perseverava nelle sue sregolatezze, finendo con l'estraniarsi la moglie per le sue azioni. Costei, giudicando cosa empia conti nuare a giacere con un uomo che tentava in ogni modo di ave re rapporti di piacere al di là della legge di natura e del giusto, decise di separarsi da lui. 4 . Ma, persuasa dalle suppliche dei suoi parenti, che la esortavano a rimanere ancora col marito nella speranza di un suo futuro cambiamento, decise di rima nere ton lui, facendo così violenza a se stessa. 5 . Ma saputo che egli, recatosi ad Alessandria, faceva cose ancora più turpi, non volle più partecipare alle sue scelleratezze e turpitudini, rima nendo in legame con lui e dividendo la stessa mensa e lo stess o letto; decise quindi di separarsi, concedendogli quello che voi
90 Discorso ai Greci, 1 9 . 9 1 TI passo appartiene in realtà a II Apologia, 2 .
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chiamate repudium . 6. Quell'uomo nobile avrebbe dovuto gioi re del fatto che la moglie avesse smesso di compiere quelle tur pitu dini un tempo a lei care, quali l'unirsi liberamente con i ser vi e i mercenari, l'ubriacarsi e il godere di ogni sorta di male, e del fatto che essa desiderava che anche lui desistesse dal com piere le stesse esecrande azioni; invece, poiché lo aveva lasciato contro il suo volere, la denunciò, accusandola di essere cristia na. 7 . Questa donna, o imperatore, ti ha inviato una supplica, chiedendoti dapprima di ritirarsi per sistemare le proprie cose, poi, dopo aver fatto ciò, di difendersi dall' accusa, tutte cose che tu le hai concesso. 8 . Il marito, poiché non fu in grado di so stenere contro di lei le sue accuse, si rivolse contro un certo To lomeo, maestro della donna nella dottrina cristiana, che era sta to già punito da Urbic o 92 . 9. Fece ciò in questo modo. Riuscì a convincere un centurione, che era suo amico, ad arrestare To lomeo, a metterlo in carcere e a chiedergli solo se era cristiano. Il centurione fece arrestare Tolomeo, amico della verità, e non uomo ingannatore e fraudolento, per avere confessato la sua fe de in Cristo, e lo fece torturare a lungo in carcere. 1 0 . Quando infine fu portato al cospetto di Urbico, gli fu domandato que sto solo, se era cristiano. Ed egli, che sapeva che ciò che di bel lo era presente in lui derivava dall'insegnamento di Cristo, con fessò nuovamente di credere nella dottrina della divina virtù. 1 1 . Colui che infatti nega o riconosce il fatto, ne diviene ugual mente colpevole o, riconoscendosi indegno e al di fuori di esso, ne evita la confessione; nessuna di queste cose è degna del ve ro cristiano. 12. Avendo Urbico ordinato di condurlo via, un certo Lucio, cristiano anch'egli, vedendo l'assurdità del verdet to dei giudici, si rivolse ad Urbico dicendo: "Per quale motivo hai punito quest'uomo, che non è accusato di essere né adulte ro, né fornicatore, né assassino, né borsaiolo, né ladro, che non si è macchiato insomma di nessuna colpa, tranne di quella di 92 Prefetto urbano nel 150 d.C. circa.
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aver confessato di essere cristiano? li tuo giudizio, Urbico, non è degno dell'imperatore Pio né del figlio filosofo di Cesare né del sacro Senato " . 13 . Egli non rispose nient'altro e disse an che a Lucio: " Mi sembra che anche tu sia cristiano" ; e Lucio risp o se: "Certamente " . Ordinò che anche lui fosse portato via. Egli confessò allora a Giustino la sua gratitudine, dicendogli di es sere contento di rinunciare a simili padroni miseri e di andare verso Dio, padre e re buono. Fattosi avanti un terzo uomo, fu condannato anch'egli al martirio». Giustino aggiunge altre parole già da me ricordate, simili e conseguenti a queste, dicendo: «Anche a me sembra dunque che uno di quelli che ho già menzionato complotti contro di me» 93 , e altre cose.
18. LE
OPERE DI GIUSTINO PERVENUTECI
l . Giustino ci ha lasciato nei suoi scritti moltissime prove della propria ertodossia e della profonda conoscenza delle co se divine, piene di ogni utilità. Rimando, per quanti le vogliono conoscere, alle sue opere. Ritengo ora utile illustrare quelle giunte alla nostra conoscenza. 2. Suo è un discorso in difesa della nostra religione, rivolto ad Antonino Pio, ai suoi figli e al Senato di Roma; sua è una II Apologia, composta anch'essa in difesa della nostra fede, indirizzata ad Antonino Vero, omoni mo successore del menzionato imperatore, il cui tempo sto ora esaminando. 3 . Compose anche un'altra opera dal titolo Contro i Greci 94 , nella quale, dopo aver discusso a lungo su moltissime questioni che sono oggetto di indagine da parte nostra e dei fi losofi greci, si sofferma sulla natura dei demoni; ma non è ne cessario ora citare le sue parole. 4. Ci è giunta ancora un'altra
93 II Apologia, 3 , l .
94
Opera perduta.
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sua opera contro i Greci, intitolata anche Confutazione 95 , e an cora un'altra dal titolo Sulla monarchia di Dio 96, che compose sulla base non solo delle opere cristiane, ma anche di quelle dei Greci. 5 . Compose ancora un'opera dal titolo Psaltes, e un'al tra , di commento, Sultanima 9ì, in cui, dilungandosi su diverse questioni inerenti il tema della sua trattazione, riferisce le opi nioni dei filosofi greci in merito, che promette di criticare in un' altra opera sulla base delle proprie concezioni. 6. Scrisse an che un dialogo Contro i Giudei 98, che tenne ad Efeso con Trifo ne, uomo in quel tempo famosissimo fra gli Ebrei di questa città. In esso riferisce il modo in cui la grazia divina lo condus se alla parola della fede, lo zelo con cui precedentemente si in teressò alla filosofia e con quale ardore ricercò la verità 99 . 7 . In questa stessa opera dice che i Giudei con giu ravano contro l'in segnamento di Cristo, e rivolge queste parole a Trifone: «Non soltanto non vi siete pentiti del male che avete compiuto, ma avete anzi selezionato uomini scelti, che avete inviato allora da Gerusalemme in tutta la terra ad annunciare la comparsa del l' eresia atea dei cristiani, e a diffondere quelle accuse che tutti coloro che non conoscono la nostra dottrina rivolgono contro di noi. Così avete commesso ingiustizia non solo contro voi stessi, ma anche in definitiva contro tutti gli uomini» 1 00 . 95 Anche quest'opera è perduta. In essa si dimostrava come i filosofi greci dicono delle verità solo quando le loro dottrine si rifanno a quelle di Mosè e dei Profeti. 96 Op era ap ocrifa . Su di essa cf. supra, n. 54. 97 Entrambe queste opere sono per noi perdute. 9 8 L'opera, meglio nota con il titolo Dialogo con Tri/one, riferisce il dia logo che Giustino ebbe ad Efeso col dotto giudeo Trifone. Nei primi capito li (2-8) l 'auto re narra la propria conversione spirituale. Dimostra poi il carat tere transitorio della Legge giudaica e afferma che l'adorazione di Gesù non compromette il monoteismo. Nell'ultima parte sostiene che Cristo chiama an che i pagani all ' appartenenza alla Chiesa. 99 Cf. Dialogo con Trz/one, 2-8. 1 00 Dialogo con Tri/one, 1 7 , l .
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8 . Riferisce inoltre che fino al suo tempo i doni profetici ri splendevano nella Chiesa 10 1 . Cita l'Apocalisse di Giovanni, che egli attribuisce all' apostolo 102 . Riporta anche alcuni passi dei Profeti, attaccando Trifone per il fatto che i Giudei li avevano eliminati dalla Scrittura 103 . Molti fratelli ci hanno fatto perve nire molte altre sue opere: 9. esse infatti sono sembrate anche agli antichi così degne di considerazione che persino Ireneo si serve di sue parole in questo passo del quarto libro del Contro le eresie: «Bene dice Giustino nello scritto Contro Marcione 1 04 , che egli non avrebbe creduto nell'esistenza di un altro Dio ol tre il Demiurgo neppure se fosse stato il Signore in persona a confermagliela» 1 05 ; e in quest'altro del quinto libro della stessa opera: «Bene ha detto Giustino, che mai Satana ebbe l'ardire di imprecare contro Dio prima della parusia del Signore, perché non era ancora a conoscenza della propria rovina» 1 06 , 1 0 . Ho detto queste cose spinto dal bisogno di incitare co loro che sono desiderosi di apprendere ad occuparsi con zelo anche delle opere di questo scrittore. Questo per quanto ri guarda Giustino.
19. COLORO CHE FURONO A CAPO DELLA CHIESA DI ROMA E DI .ALESSANDRIA DURANTE L'IMPERO DI VERO
Circa all'ottavo anno di regno dell ' im p e r a tore già cita to 107 , ad Aniceto, che mantenne la carica episcopale della Chie101 Dia logo con Trz/one, 82, l . 102 Dialogo con Tri/one, 8 1 , 4.
1 03 Dialogo con Tri/one, 7 1 -73 . 1 04 Opera citata anche supra, 1 1 , 8. Su di essa cf. anche supra, n. 5 1 . 105 Contro le eresie, IV, 6, 2 . 106 Contro le eresie, V, 26, 2. 1 07 Il riferimento è a Marco Aurelio, che regnò dal 1 6 1 al 180. L'anno indicato è il 169 d.C.
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sa di Roma per undici anni interi, succedette Sotero, mentre nella diocesi di Alessandria a Celadione, che la resse per quat tordici anni, succedette Agrippina. 20. CHI FURONO I VESCOVI DI ANTIOCHIA
Nella Chiesa di Antiochia aveva fama Teofilo 1 08 , sesto ve s covo 109 della città a partire dagli apostoli; quarto dopo Erone fu designato Cornelio, e quinto dopo di lui ricevette l' episco pato Eros. 2 1 . GLI SCRITTORI ECCLESIASTICI FAMOSI IN QUESTO PERIODO
Fiorirono in questo periodo nella Chiesa Egesippo, che conosciamo dalle pagine precedenti, Dionigi, vescovo di Co rinto no, Pinito, vescovo di Creta, e inoltre Filippo 1 1 1 , Apolli nare 1 1 2 , Melitone m , Musano 1 1 4 , Modesto 1 1 5 e, su tutti, Ire neo 1 1 6 ; di tutti questi scrittori sono giunte fino ai nostri giorni le opere, documento dell'ortodossia della santa fede della tra dizione apostolica.
108 Sulla sua figura cf. anche in/ra, 24. Per una completa trattazione cf. M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit. , pp. 70-72. 1 09 Girolamo , Epistolario, 12 1 , 6 considera Teofilo settimo vescovo, da to che ritiene primo Pietro e non Evodio, come vuole Eus eb io (cf. supra, III, 22). Lo stesso però, in Gli uomini illustri, 2 5 concorda con Eusebio. 1 10 Su di lui cf. in/ra, 23 . 1 1 1 Cf. in/ra, 25 . 1 1 2 Su questo autore cf. in/ra, 26, l ; 27; V, 1 9, 3 . 1 1 3 Su di lui cf. in/ra, 26. 1 14 Sull a sua figura cf. in/ra, 28. 1 15 Su Modesto cf. infra, 25 . 1 1 6 Cf. supra, Il, 13 , 5 e n. 55.
228
Storia ecclesiastica 22 . EGESIPPO
E
GLI ARGOMENTI DELLE
SUE OPERE
Egesippo dunque, nei cinque libri che ci sono pervenu ti, ha lasciato un esaustivo ricordo del proprio pensiero. In es si mostra come, mandato a Roma, frequentò moltissimi vesco vi, traen do da tutti lo stesso insegnamento. Dopo alcune n oti zie è possibile leggere queste parole sulla lettera di Clemente Ai Corinti: 2. «La Chiesa di Corinto rimase nell'ortodossia finché Primo detenne l'episcopato della città. Navigando alla volta di Roma, venni in contatto con i Corinzi, con cui trascorsi un buon numero di giorni, nei quali traemmo conforto dall a retta dottrina. 3 . Quando arrivai a Roma, ho scritto la successione dei vescovi fino ad Aniceto; diacono di costui fu Eleutero. So tero succedette ad Aniceto, e a Sotero Eleutero . Ogni succes sione e la vita di ogni città viene regolata così sulla base della Legge, dei profeti e del Signore». 4 . Lo stesso autore parla delle origini delle eresie del suo tempo, dicendo: «Dopo che Giacomo il "Giusto " fu martiriz zato per aver commesso lo stesso reato del Signore, fu designa to vescovo per unanime consenso il figlio di suo zio, Simeone, figlio di Cleopa, che era un secondo cugino del Signore 1 1 7 . Per questo diedero alla Chiesa l'appellativo di vergine, perché non era stata ancora violata da vane parole. 5 . Ma Tebutis , per ven dicarsi di non essere stato eletto vescovo, cominciò a inquinar la tra il popolo, partendo dalle sette fazioni, di cui anch'egli fa ceva parte. Da queste trassero origine Simone, da cui i Simo niani, Cleobio, da cui i Cleobiani, Dositeo, da cui i Dositi ani , Gortaio , da cui i Gorateni, e i Mosbotei; da questi ultimi i Me nandrianisti, i Marcianiti, i Carpocraziani, i Valentiniani, i Basi lidani e i Satorniliani trassero, ciascuno in modo diverso, la p ro pria dottrina us. 6. Da questi ebbero origine pseudocristi, pseul.
! l ì Cf. supra, III, 1 1 .
1 1 8 Sono tutte sette eretiche.
Libro N, 22-23
229
doprofeti e pseudoapostoli, che lacerarono l'unità della Chiesa con parole rovinose contro Dio e contro lo stesso Cristo». 7 . Lo stesso scrittore parla anche delle fazioni che un tem po sorsero fra i Giudei, dicendo: «Fra i figli degli Israeliti, con tro la tribù di Giuda e di Cristo, c'erano differenti opinioni sul la circoncisione: Esseni, Galilei, Emerobattisti, Masbotei, Sa maritani, Sadducei, Farisei». 8. Riporta poi molte altre notizie, che in parte ho già ri cordato sopra inserendole al momento opportuno nel raccon to; di queste alcune le riprende dal Vangelo secondo gli Ebrei 1 19, da quello Siriaco 1 2 o e particolarmente dalla lingua ebraica, pro va evidente, questa, che si convertì dall'Ebraismo, e altre dalla tradizione giudaica non scritta. 9. Egli, come Ireneo 1 2 1 e tutti gli scrittori antichi, definì i Proverbi di Salomone «sapienza pie na di virtÙ». Parlando poi degli scritti detti apocrifi, riferisce che alcuni di questi sono stati scritti da eretici del suo tempo. Ma ormai è necessario affrontare un altro argomento. 23 . DIONIGI, VESCOVO DI COR1NTO, E LE LETTERE DA LUI SCR1TTE l . Per quanto riguarda Dionigi, per prima cosa si deve di re che sedette sul trono episcopale della diocesi di Corinto. Fa ceva inoltre abbondantemente partecipi della sua attività divi na non solo coloro su cui presiedeva, ma anche quelli che abi tavano in regioni straniere, a cui si rese utilissimo con le epi-
1 1 9 Cf. supra, III, n. 96. 120 Non è chiaro a quale traduzione siriaca Eusebio fa riferimento fra le cinque note: la antica siriaca, la Pesitta, la Filosseniana, la Harclense e la Si ro-palestinese. Su di esse cf. A. Passoni dell'Acqua, Il testo del Nuovo Testa mento, Torino 1 994 , pp. 8 1 -86. 12 1 Contro le eresie, IV, 20, 3 .
23 0
Storia ecclesiastica
stole cattoliche da lui scritte alle Chiese locali. 2 . Di queste quella Ai Lacedemoni è maestra di ortodossia e ammonimento aila pace e all'unità; quella Agli Ateniesi poi esorta alla fede e a vivere secondo il Vangelo. In questa lettera rimprovera ai de stinatari di avere trascurato la parola divina, quasi si fossero al lontanati dalla fede dopo il martirio del loro vescovo Publio, avvenuto durante le persecuzioni di allora. 3 . Cita anche Qua drato 122 , eletto da loro vescovo dopo il martirio di Publio, de scrivendolo come uomo capace di guidarli con il suo zelo e in fiammarli nella fede. Riferisce poi che in quel tempo anche Dionigi l'Areopagita 123 , convertito alla fede dall'apostolo Pao lo, come attestano gli Atti degli Apostoli b , fu il primo ad esse re nominato vescovo della diocesi di Atene 1 2 4 . 4. Di Dionigi ci è pervenuta un'altra lettera Ai Nicomedi, in cui confuta l'eresia di Marcione, ponendola a confronto con il canone della verità. 5. Nella lettera inviata alla Chiesa di Gortina e alle altre dioce si di Creta elogia il loro vescovo Filippo, poiché la Chiesa da lui presieduta aveva testimoniato la fede in Cristo con moltissimi gesti di coraggio. A lui inoltre ricorda di tenere i propri fedeli lontano dalla perversione degli eretici. 6. Nella lettera indiriz zata alla Chiesa di Amastri e a quella del Ponto insieme, men ziona Bacchilide ed Elpisto, dicendo che essi lo avevano spinto a scrivere, dà spiegazioni delle Sacre Scritture e cita il loro ve scovo, che si chiamava Palmas 1 25; dà loro inoltre molti precet ti sul matrimonio e la castità, li esorta ad accogliere con favore coloro che si pentono di un qualsiasi errore o di inosservanza o b At 17 , 34. 122 Cf. supra, 3 e n. 9. 1 23 Cf. supra, III, n. 14. 1 24 Cf. supra, III, 4, 10. 1 25 Era vescovo ancora durante l'episcopato di Vittore ( 1 88- 1 99 d.C . circa), sotto il quale scrisse, a nome dei vescovi del Ponto, una lettera sulla questione della Pasqua (cf. anche in/ra, V, 23 , 3 ) .
Libro IV,
23
23 1
di eresia. 7 . A queste è stata aggiunta un'altra lettera indirizza ta alla Chiesa di Cnosso, nella quale consiglia a Pinito, vescovo della diocesi, di non obbligare i fratelli al grave peso della ca stità , ma di tenere presente la debolezza dei più. 8. Pinito gli ri sp ose con una lettera, in cui mostra ammirazione e lode per lui e lo esorta a dare ormai un cibo più solido, alimentando la fe de del suo p opolo con nuove lettere più complete, affinché i fe deli, nutrendosi di parole come di latte, non giungano alla vec chiaia senza accorgersi di condurre ancora una vita da bambi ni. Questa lettera è come un'immagine perfetta, chiara testimo nianza dell'ortodossia della fede di Pinit o, del suo zelo verso i fedeli, della sua eloquenza e della sua conoscenza delle cose di vine. 9. Di Dionigi si conserva anche una lettera Ai Romani, in dirizzata al vescovo di allora Sotero. È meglio riportare da que st a le parole con le quali loda il modo di vita morigerato osser vato dai Romani fino alla p ersecuzione dei tempi nostri: 10. «Avete ereditato dagli avi l'usanza di prendervi cura in vario modo di tutti i fratelli e di inviare aiuti a molte Chiese presenti in ogni città; avete alleviato così le sofferenze dei bisognosi e siete venuti incontro ai fratelli condannati ai lavori forzati nelle miniere con quei sussidi che voi, o Romani, inviate da sempre, osservando un'usanza ereditata dai vostri padri, che il vostro beato vescovo Sotero non solo ha conservato, ma anche ali mentato; egli infatti li ha beneficati con gli aiuti inviati ai santi ed ha esortato con parole beate i fratelli che inviava presso di loro, come fa un padre affettuoso con i figli». 1 1 . In questa stessa epistola menziona anche la lettera di Clemente Ai Corinti 1 2 6 , dimostrando che già da temp o veniva letta in quella Chiesa per antica usanza. Ecco le sue parole: «Oggi abbiamo celebrato il santo giorno del Signore, in occa sione del quale si è data lettura della lettera, che potremo sem1 2 6 Cf. supra, III, 16 e n. 6 1 .
232
Storia ecclesiastica
pre, leggendola, ricordare, come anche la prima scrittaci da Clemente». 12. Lo stesso autore inoltre dice queste cose sulla falsifica zione delle proprie lettere: «Quando alcuni fratelli mi doman darono di inviare loro delle lettere, io lo feci. Ma gli apostoli del demonio le colmarono di zizzania, ora togliendo alcuni passi, ora aggiungendone altri. La maledizione incombe su di loro. Non desta meraviglia dunque il fatto che alcuni abbiano tenta to di falsificare gli scritti divini, poiché hanno fatto lo stesso con questi, di certo inferiori». 13 . Ci è pervenuta, oltre queste, an che un'altra lettera che Dionigi scrisse a Crisofora, sorella fe delissima, che egli con precetti adatti rese partecipe del nutri mento spirituale conveniente. Ciò basti riguardo a Dionigi. 24. TEOFILO, VESCOVO DI ANTIOCHIA Di Teofilo, già citato quale vescovo della Chiesa di An tiochia, ci è giunta un'opera in tre libri dal titolo Libri elemen tari ad Autolico 127 , e un'altra che porta il titolo Contro l'eresia di Ermogene 128 , in cui si serve di testimonianze prese dall'Apo calisse di Giovanni; rimangono di lui anche altri libri catecheti ci 1 29 . Poiché anche allora gli eretici soffocavano come zizzania l.
1 27 L' opera si divide in tre libri, composti all'incirca nel 1 8 0 . Nel primo parla dell'essenza di Dio e della resurrezione; nel secondo confronta la mito logia pagana, gli insegnamenti dei poeti e le dottrine dei filosofi con il mes
saggio dei Profeti e la narrazione del Genesi circa la preistoria biblica; nel ter
zo respinge le tradizionali accuse rivolte dai pagani ai cristiani (cf. supra, 7, 1 1 e n . 29), e dimostra l'antichità del Cristianesimo e delle Sacre Scritture, da lui fondata su un presupposto cronologico fantasioso, secondo il quale Mosè sa rebb e vissuto novecento anni prima della guerra di Troia. Fornisce infine una cronologia fino a Ciro. 1 28 Opera perduta, ma di fondamentale importanza, se si pensa ch e fu fonte di Tertulliano nell'opera omonima. 129 Scritti anche questi perduti. Girolamo li lesse e li definì «b revi ed eleganti trattati per l'edificazione della Chiesa» (Gli uomini illustri, 25) .
Libro N,
23-26
233
il p uro seme della p redicazione apostolica, i pastori delle Chie se di ogni luogo li cacciavano come belve selvatiche dal gregge dei cristiani, ora combattendoli con esortazioni e incitamenti ai fratelli, ora affrontandoli a viso aperto, confutando oralmente o con scritti le loro dottrine con argomenti esattissimi. Che Tec filo li abbia osteggiati insieme ad altri risalta con chiarezza da un'eccellente opera scritta da lui contro Marcione 1 3 o , che si è conservata fino ad oggi insieme con le altre già citate. Dopo di lui viene designato vescovo della Chiesa di Antiochia Massimi no, settimo a partire dagli apostoli. 25 . FILIPPO E MODESTO Filippo che, come sappiamo dalle parole di Dionigi, fu ve scovo della diocesi di Gortina 1 3 1 , scrisse anch'egli un'opera fondamentale contro Marcione m, come fecero anche Ireneo e Modesto m , il più abile di tutti nello svelare pubblicamente l'inganno di quell'uomo, che rese noto p oi a tutti, e molti altri ancora, le cui opere ancora oggi sono custodite da moltissimi fratelli. 26. Su MELITONE E CIÒ CHE EGLI RIC ORDA l . In quel tempo ebbero particolare fama Melitone, ve scovo della diocesi di Sardi, e Apollinare, vescovo di Ierapo li 1 34 , che dedicarono all'imperatore di quel tempo, già citato,
1 3 0 Opera perduta, all a quale attinse Ireneo nel suo Contro le eresie. 1 3 1 Su questo punto cf. supra, 23 , 5 . 1 32 Opera perduta. 1 33 L'opera di Modesto è perduta. 1 3 4 Sulla sua figura cf. capitolo seguente.
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Storia ecclesiastica
discorsi in difesa della fede. 2 . Di questi due autori si conos co no solo le seguenti opere: di Meliton e, due libri Sulla Pasqua 135, e Sul comportamento e i profetl, Sulla Chiesa, Sulla domenica , e ancora Sulla fede dell'uomo, Sulla creazione, Sull'obbedienza dei sensi alla fede, e oltre questi Sull'anima e sul corpo, Sul battesi mo, Sulla verità, Sulla fede e sulla nascita di Cristo, il tr attato Sulla sua profezia, Sull'anima e il corpo, Sull'ospitalità, La chia ve, Sul diavolo e l'Apocalisse di Giovanni, Sul Dio incarnato 1 3 6 , e soprattutto la supplica Ad Antonino. 3. All'inizio dell'opera Sulla Pasqua precisa con queste pa role il periodo della sua composizione: «Sotto il proconsole dell'Asia Servilio Paolo, al tempo in cui Sagaris subì il martirio, vi fu un grande dibattito a Laodicea sulla Pasqua, che cadeva proprio in quei giorni, ed ho scritto quest'opera». 4. Di questo scritto fa menzione Clemente di Alessandria nella sua opera Sulla Pasqua m, che egli dice di aver scritto in risposta all'ope ra di Melitone. Nell'opera rivolta all'imperatore riferisce quan to ci è accaduto ai suoi tempi: 5 . «Cosa che non era mai acca duta, ora la stirpe di coloro che adorano Dio viene perseguita ta e osteggiata in Asia con nuovi decreti 138. Infatti gli sprege voli sicofanti, bramosi delle ricchezze altrui, prendendo prete sto da questi decreti, aggrediscono spudoratamente di giorno e di notte coloro che non hanno commesso nulla di ingiusto, e li derubano». 6. E dopo altre cose dice: «Se ciò è avvenuto per tuo ordine, lo accettiamo di buon grado; infatti un imperatore giusto non potrebbe mai deliberare ingiustamente. E noi acca13 5 Se ne possiede solo il frammento qui tramandato da Eusebio, che permette di datare l'opera al 1 64- 1 67 d.C. Essa difende la celebrazione della Pasqua al 14 Nisan (cf. anche in/ra, V, 24, 5 ) . 1 36 Opere andate interamente perdute. 1 37 Se ne conoscono pochi frammenti. 13 8 Non è ben chiaro a quali decreti Eusebio faccia riferimento. Si pen sa che si tratti non di decreti imperiali, ma semplicemente di disposizioni im partite dalle autorità locali per contrastare il diffondersi del Cristianesi.l?Jo.
Libro Hl, 2 6
235
gli amo volentieri il dono di una simile morte. Ti preghiamo so lo di questo, che tu stesso conosca prima i promotori di una ta le accusa e poi giudichi giustamente se sono degni di morte e di punizione o di salvezza e di tranquillità di vita. Ma se questo decreto e questo nuovo ordine, che non è degno prendere nep pure contro i barbari nemici, non vengono da te, ti supplichia mo ancora di più di non abbandonarci in balia di tale razzia p ubblica». 7. A queste parole aggiunge: «La nostra filosofia si af fermò dapprima fra i barbari; e, fiorendo nelle tue nazioni du rante il grande regno di Augusto, tuo avo, è divenuta bene pro pizio soprattutto per il tuo regno. Da quel momento infatti il potere dei Romani è divenuto sempre più grande e illustre; di questo tu sei stato e sarai, insieme con tuo figlio, invocato suc cessore, tutelando la dottrina che ha nutrito l'impero, che ebbe origine sotto Augusto e che anche i tuoi avi venerarono accan to alle altre religioni. 8. Questa è una grandissima prova del fat to che la nostra dottrina fiorì con l'impero ben governato, ed ha avuto un felice inizio con Augusto, che non ordì nessun com plotto contro di essa, ma al contrario le concesse un completo periodo di splendore e di fama, come richiedevano le preghie re di tutti. 9 . Solo Nerone e Domiziano, indotti da uomini mal vagi, vollero osteggiare la nostra dottrina; da ciò discende an che la menzogna della sicofantia, che per un irragionevole co stume si abbatté sui cristiani 1 39. 10. Ma i tuoi pii padri hanno rimediato al loro errore, colpendo spesso con moltissimi prov vedimenti quanti osarono dire cose nuove su questi uomini. Fra tutti tuo nonno Adriano, come sembra, ha scritto a molti, fra cui anche a Fundano 1 40, il proconsole preposto al governo del l' Asia. E tuo padre, quando tu con lui dirigevi l'impero, pre.
139 Per le accuse rivolte ai Cristiani cf.
1 4 0 Cf. supra, 9.
supra,
7, 1 1 e
n.
29.
23 6
Storia ecclesiastica
scrisse alle città, fra cui anche Larissa, Tessalonica, Atene, e a tutta la Grecia di non bandire altri editti contro di noi. 1 1 . E poiché tu hai su queste cose la stessa opinione e anzi una anco ra più benevola e saggia, cerco di persuaderti ad esaudire le no stre preghiere». 12. Queste cose sono esposte nell'opera citata. Negli Estratti 1 4 1 da lui scritti, egli stesso, già all'inizio del proemio, fa un catalogo degli scritti dell'Antico Testamento ritenuti auten tici, che è necessario qui riportare. Dice così: 13 . «Melitone sa luta il fratello Onesimo. Poiché spesso mi hai richiesto, spinto dal tuo zelo verso la nostra dottrina, di avere estratti dalla Leg ge e dai Profeti sul Salvatore e su tutta la nostra fede, e hai vo luto inoltre anche apprendere con esattezza il numero e l'ordi ne dei libri antichi, mi sono dato premura nel comporre una simile opera conoscendo il tuo zelo per la fede, la tua voglia di apprendere la Scrittura e, ancora di più, il desiderio che hai di Dio che, mentre lotti per la salvezza eterna, ti fa anteporre que ste cose ad ogni altra. 14. Andato in Oriente, mi recai in quel luogo in cui queste dottrine furono predicate e vissute e, ap presi con esattezza quali sono i libri dell'Antico Testamento, ne ho fatto un elenco e te l'ho mandato. I titoli dei libri sono i se guenti: cinque di Mosé: Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deu teronomio; vengono poi Gesù figlio di Naue, Giudici, Ruth , quattro Dei Re, i due delle Cronache, i Salmi di Davide, i Pro verbi di Salomone o Sapienza, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Giobbe; i profeti Isaia, Geremia, i Dodici in un solo libro, Da niele, Ezechiele, Esdra. Da questi ho composto gli Estratti, ope ra che ho suddiviso in sei libri». Questo dice Melitone.
14 1 Questo passo è l'unica testimonianza dell'esistenza di questo scritto.
Libro TV,
26-29
237
27 . APOLLINARE Delle molte opere di Apollinare custodite presso molti fra telli, quelle che si sono conservate fino ai nostri giorni sono 142 : un discorso al suddetto imperatore, cinque libri intitolati Con tro i Greci, due Sulla verità, due Contro i Giudei, uno scritto po steriore a questi contro l'eresia dei Frigi 143, che si affermerà non molto tempo dopo, ma che già allora iniziava a sorgere poi ché Montano, con le sue false profetesse, cominciava a diffon dere la sua dottrina menzognera. 28. MUSANO Anche di Musano, che abbiamo citato nei passi preceden ti, rimane un'opera molto scrupolosa, indirizzata ad alcuni fra telli che piegavano verso l'eresia dei cosiddetti Encratici 1 44 , che allora cominciava a fiorire e a dare vita ad una falsa dottrina, straniera ed esiziale. 29. L'ERESIA DI TAZIANO l . Dice la tradizione che Taziano fu fondatore di questa ere sia; di lui ho poco prima 145 riportato le parole sull'ammirevole martire Giustino, di cui egli, come si è detto 1 46, fu discepolo. lreneo riferisce questa notizia nel primo libro del Contro le ere sie, dicendo su di lui e sulla sua eresia: 2 . «Sulle orme di Satur-
142 Le opere di questo scrittore sono completamente perdute. 143 Riferimento ai Montanisti, per i quali cf. supra, Il, 25 , 6 e n. 144 Su questa eresia cf. capitolo successivo. 145 Cf. supra, 16, 7-8. 146 In realtà è questa la prima volta che Eusebio afferma ciò.
1 1 6.
23 8
Storia ecclesiastica
nino e Marcione i cosiddetti Encratici predicarono il celibato, disonorando così l'antica creazione di Dio, dato che accusano implicitamente colui che ha creato l'uomo e la donna per gene rare l'umanità. Insegnavano anche ad astenersi dalle cose che de finivano vive, mancando di gratitudine a Dio, creatore dell'uni verso. Non credono inoltre alla salvezza della prima creatura. 3 .
Essi cominciarono a professare queste dottrine sulle orme di un certo Taziano, che fu il primo a farsi portatore di queste be stemmie. Egli, discepolo di Giustino, non professò nessuna di queste teorie fin quando rimase con lui. Ma dopo il martirio di costui, si separò dalla Chiesa, reso orgoglioso e arrogante dalla presunzione di divenire maestro e di essere diverso dagli altri, e impresse un proprio carattere dottrinale alla sua scuola, inven tando eoni invisibili alla maniera dei seguaci di Valentino, defi nendo il matrimonio rovina e fornicazione, come Marcione e Sa turnino, e negando, egli solo, la salvezza di Adamo» 1 47 . 4 . Queste le parole di Ireneo. Ma poco dop o un tale di no me Severo rinvigorì l'eresia menzionata; a lui risale il nome di Severiani, che fu dato ai suoi adepti. 5 . Essi si servono della Legge, dei Profeti e dei Vangeli , spiegando in modo tutto per sonale le dottrine esposte nelle Sacre Scritture. Oltraggiano an che l'apostolo Paolo, di cui non accettano le Lettere; respingo no pure gli Atti degli Apostoli. 6. Il loro fondatore Taziano compose, non so come, una sintesi e un accordo dei Vangeli, che intitol ò Diatéssaron 1 48, opera che alcuni custodiscono an cora fino ad oggi. Dicono che, col pretesto di perfezionarne lo stile, osò parafrasare alcuni passi delle lettere dell'apostolo. 7 . Egli ha lasciato inoltre una grande quantità di scritti 149, il più 1 47
Contro le eresie, l, 28, l .
148 È un'opera che dai quattro Vangeli ricava un unico racconto, di sponendo i fatti in modo tale da inquadrarli nella cronologia del Vangelo di Giovanni. Essa è stata composta da Taziano probabilmente in siriaco. Per una trattazione più ampia cf. B. Altaner, Patrologia, cit., pp. 73-74. 149 Probabile allusione ai trattati Sugli animali, Sui demoni e Contro
Libro TV,
29-3 0
23 9
menzionato dei quali è, in molte opere, il suo famoso discorso Contro i Greci 1 50 . In esso, ricordati i tempi antichi, dimostra l'antichità di Mosé e dei profeti ebraici rispetto a tutti i filosofi illustri presso i Greci. Questa sembra essere, fra tutte le sue opere, la più bella e la più utile. Questi furono i fatti verificati si in questo periodo. 30. IL SIRO BARDESANE E LE OPERE CHE CI HA LASCIATO l . Sotto lo stesso imperatore, mentre le eresie fiorivano in
Mesopotamia, Bardesane 1 5 1 , uomo abilissimo e versatissimo nella lingua siriaca, compose nella propria lingua e scrittura, fra le moltissime altre opere, anche dialoghi contro la setta di Mar cione e contro altri fondatori di dottrine eretiche, tradotti poi dai suoi discepoli (ne aveva molti per via della sua capacità dia lettica) dal siriaco in greco. 2. Fra questi è anche l'abilissimo dialogo indirizzato ad Antonino dal titolo Sul fato e tutte quel le opere che, come dicono, scrisse spinto dalla persecuzione che infuriava al suo tempo. 3 . Egli fu dapprima seguace della scuola di Valentino; ma, presane poi conoscenza e confutate
quelli che hanno trattato delle cose divine. Eusebio (V, 13, 8) ricorda anche un'opera dal titolo Sui problemi; Clemente Alessandrino (Stromata, III, 1 2 , 8 1 ) cita anche Sulla perfezione del Salvatore. Tutte queste opere sono andate perdute.
150 È un'apologia del Cristianesimo improntata ad un netto rifiuto del
la cultura greca, le cui opere sono ritenute fonte di immoralità. 1 5 1 Nativo di Edessa, visse nell'età di Caracalla. Come qui attesta Eu
sebio, fu autore di due scritti: Contro Marcione, interamente perduto, e Sulfa to, noto anche col titolo di Dialogo delle leggi dei paesi. In esso affronta il pro
blema della libertà, intesa in senso spirituale, come libero arbitrio che si ma nifesta nella diversa natura, nei diversi costumi e leggi dei popoli. La più alta fra le libertà è quella dei cristiani, perché «in qualunque paese e luogo essi si trovano, le leggi dei p aesi non li separano dalla legge del loro Cristo» (tradu zione di S. Mazzarino, La fine del mondo antico, cit., p. 167 ) .
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Storia ecclesiastica
gran parte delle sue invenzioni mitologiche, pensava di essere ritornato all'ortodossia, mentre in verità non riuscì mai a riget tare del tutto il letame dell'antica eresia. In questo periodo morì anche Sotero, vescovo della Chiesa di Roma.
LIBRO V
li quinto libro della Storia ecclesiastica comprende i se guenti argomenti: l . Quanti e come al tempo dell'imperatore Vero intra presero in Gallia la lotta in difesa della religione. 2. I martiri amati da Dio accolsero con benevolenza e ri sanarono tutti quelli che erano venuti meno durante la persecuz10ne. 3. Quale visione ebbe in sogno il martire Attalo. 4 . Come i martiri raccomandarono Ireneo per lettera. 5 . Esaudendo le preghiere dei nostri, Dio mandò a Mar co Aurelio Cesare la pioggia dal cielo. 6 . Elenco dei vescovi di Roma. 7. Ancora a quei tempi erano compiuti dai fedeli prodigi straordinari. 8. Come Ireneo ricorda le .divine Scritture. 9. I vescovi al tempo di Commodo. 1 0 . Il filosofo Panteno. 1 1 . Clemente Alessandrino. 12. I vescovi di Gerusalemme. 13 . Rodo ne e i contrasti fra i marcioniti che egli ricorda. 1 4 . I falsi profeti catafrigi. 1 5 . Lo scisma avvenuto a Roma al tempo di Blasto. 1 6 . Ciò che si ricorda di Montano e dei falsi profeti che erano intorno a lui. 17. Milziade e le opere che compose.
242
Storia ecclesiastica 1 8 . Confutazioni di Apollonia nei confronti dei catafrigi e
coloro di cui fa menzione. Serapione a proposito dell'eresia dei frigi. 20. Ciò che Ireneo scrive agli scismatici di Roma. 2 1 . Come Apollonia subì il martirio a Roma. 22 . Alcuni vescovi che erano famosi in quei tempi. 23 . La questione allora sollevata sulla Pasqua. 24 . Il dissenso in Asia. 25 . Accordo unanime sulla Pasqua. 26. Ciò che è pervenuto fino a noi dell'opera accurata di Ireneo. 27 . Ciò che è pervenuto anche degli altri che fiorirono in quel tempo. 28. Coloro che hanno diffuso fin dall'inizio l'eresia di Ar temone, la condotta da essi tenuta e come hanno osa to corrompere le Sacre Scritture. 19.
l . Il vescovo della Chiesa di Roma Sotero, concluse la sua vita terrena nel corso dell'ottavo anno del suo ministero 1 . L' an no diciassettesimo dell'imperatore Antonino Vero 2 , gli succe-
l Evidentemente di vescovo di Roma. Originario di Fondi, Sotero suc cesse ad Aniceto e guidò la Chiesa per otto anni: secondo la cronologia se guita da Eusebio, la sua morte è da collocare nell'anno diciassettesimo del l'impero di Marco Aurelio (cf. in/ra, n. 2 ) , vale a dire nel 177; la data di ele zione di Sotero va dunqu e collocata negli anni 1 68-69; di diversa opinione il Catalogo Liberiano che colloca il suo pontificato negli anni 162-170 e altri stu diosi che pensano agli anni 1 66- 1 75 . 2 S i tratta senza alcun dubbio dell'imperatore Marco Aurelio che nel 139, dopo la sua adozione da parte di Antonino Pio, aveva assunto i nomi di Marco Elio Aurelio Vero Cesare e che nel l 6 1 , alla morte di Antonino Pio, gli successe e si associò Lucio Commodo, figlio di quell'Elio Vero, che Adriano aveva adottato prima di Antonino Pio, il quale ultimo lo aveva adottato e ave va assunto i nomi di Lucio Elio Aurelio Commodo.
Libro V, Sommario
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dette Eleuterio, dodicesimo a partire dagli apostoli 3. In quel tempo, essendosi riaccesa in maniera ancora più feroce la per secuzione contro di noi, in seguito alle violenze popolari nelle città, si segnalarono migliaia di martiri come è possibile con getturare dai fatti accaduti in una sola nazione 4: eventi questi che è stato possibile tramandare ai posteri per iscritto in quan to veramente degni di imperituro ricordo. 2. Abbiamo inserito nella nostra Raccolta di martiri 5 il testo integrale che contiene la narrazione completa di questi avvenimenti: esso comprende non soltanto la semplice rassegna storica dei fatti, ma anche un'esposizione dottrinale. Pertanto, mi limiterò a riportare nel presente lavoro quanto riterrò opportuno di tale opera storica. 3 . Altri scrittori di opere storiche hanno tramandato per iscritto solamente vittorie di guerra, trionfi sui nemici, atti eroi ci di comandanti e gesti coraggiosi di soldati sporchi del sangue e delle migliaia di uccisioni perpetrate in nome dei figli, della patria e di ogni loro bene. 4. n nostro libro invece registrerà su tavole eterne 6 le guerre pacifiche combattute per la pace del l' anima e il comportamento di coloro che agirono da uomini coraggiosi più per la verità che per la patria, più per la religio ne che per i loro cari, proclamando a ricordo imperituro la re sistenza di quegli adeti della religione e il loro coraggio nelle 3 Già diacono della Chiesa romana sotto Aniceto, Eleutero (o Eleute rio) fu eletto papa alla morte di Sotero e fu a capo della Chiesa di Roma fino al 189. 4 Per quanto ne sappiamo, durante l'impero di Marco Aurelio, non ri sulta ci sia stata alcuna persecuzione generale ma soltanto episodi isolati. 5 Si tratta di un'opera perduta di Eusebio che, con ogni probabilità, ri sultava di testi anteriori da lui utilizzati nella Storia ecclesiastica (cf. infra, V, 2 1 , per il racconto del martirio di Apollonio) . 6 TI termine greco usato da Eusebio (stélai) allu de con ogni probabilità non a colonne o monumenti in genere, ma a quelle tavolette di bronzo (aeneù tabulis) sulle quali, secondo la tradizione confluita in Suetonio (cf. Vita di Au gusto, 1 0 1), Augusto volle che fossero incise le sue imprese in modo che fos sero esposte davanti al Mausoleo. ,
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prove cui furono sottoposti, i loro trionfi sulle forze del male, le vittorie che hanno riportato su nemici invisibili e la corona che hanno ottenuto per tutte queste sofferenze. l. QUANTI E COME AL TEMPO DELL' IMPERATORE VERO INTRAPRESERO IN GALLI A LA LOTTA IN DIFESA DELLA RELIGIONE l . La regione nella quale, come in uno stadio, ebbero luo go questi avvenimenti fu la Gallia, della quale sono celebri Lio ne e Vienna 7 , metropoli illustri e rinomate al di sopra di tutte le altre; entrambe le città sono attraversate dal fiume Rodano che, scorrendo col suo ampio corso, percorre tutta quanta la re gione. 2 . Le loro illustri Chiese, dunque, spedirono alle Chiese d'Asia e di Frigia una lettera sui loro martiri per raccontare i fatti accaduti tra loro nel seguente modo. 3 . Riferirò esatta mente le loro parole: «l servi di Cristo che sono pellegrini 8 a Vienna e a Lione, in Gallia, ai loro fratelli d'Asia e di Frigia che hanno la nostra stessa fede e speranza nella redenzione: pace, grazie e gloria da Dio Padre e da Gesù Cristo Signore nostro».
7 Le città francesi di Lione (Lyon) e Vienna (Vienne) si trovavano ri spettivamente nella Gallia Cornata la prima, nella Narbonese la seconda. li fatto che, come si è detto in p re ced enza sotto Marco Aurelio non è testimo niata alcuna persecuzione sistematica in Occidente, unitamente ad alcune al tre incongruenze riferite più oltre da Eusebio (l' anonimità del legato, le con danne comminate per acclamazione popolare, il ricorso al supplizio della gra ti cola) ha fatto pensare a qualche studioso (cf. J. Colin, L:Empire des Antonins et !es martyrs gaulois de 1 77, Bonn 1 964) che i fatti qui riferiti da Eusebio sia no avvenuti non in Occidente bensì in Asia Minore, nel Pento Galatico, re gione abitata da altre popolazioni di origine celtica. La tesi, comunque, non ha avuto favorevole accoglienza. 8 Traduciamo col termine italiano «pellegrini» il participio (paroikoun tes) usato da Eusebio per mettere in rilievo il fatto che i cristiani considera vano la terra non come la loro dimora permanente, ma un luogo nel quale erano ospiti temporanei. ,
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4. Quindi, dopo aver detto queste parole, e dopo averne aggiunte altre di esordio, danno inizio così alla loro narrazione: «Non siamo in grado di esporre in maniera adeguata a parole e non ci è possibile trascrivere per iscritto le veemenze della pre sente tribolazione, la collera violenta dei pagani contro i santi e quante sofferenze hanno sopportato i beati martiri. 5 . L' avver sario 9, infatti, ha attaccato con tutta la sua potenza, preannun ziando sicuramente quella che sarà la sua futura venuta ed è ri corso ad ogni mezzo, preparando ed all enando i suoi contro i servi di Dio, tanto che non solo fummo cacciati dalle case, dal le terme e dal foro, ma ci fu anche assolutamente vietato di comparire in qualsiasi luogo pubblico. 6. Ciononostante la gra zia di Dio combatté in nostra difesa e da un lato allontanò i de boli, dall'altro schierò come solide colonne • , uomini che, gra zie alla loro resistenza, sono stati in grado di attirare su se stes si tutte le furie del Maligno b. Essi combatterono contro di lui, sopportando ogni tipo di oltraggi e di patimenti. Inoltre, non tenendo in alcuna considerazione tutte le cose, correvano solle citamente incontro a Cristo, dimostrando realmente che le sof /erenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi c. 7 . E in primo luogo sop portarono nobilmente gli innumerevoli maltrattamenti che re cava loro la folla: essi furono insultati, percossi, trascinati per terra, depredati, lapidati, rinchiusi, in breve subirono tutte quelle angherie che una folla inferocita è solita fare contro co loro che ritiene nemici e avversari. 8. Condotti successivamen te nel foro al cospetto del tribuna e dei magistrati della città e interrogati davanti a tutto il popolo, dopo che ebbero procla mato la loro fede, furono rinchiusi nella prigione fino all'arrivo
• Cf. l Tm
3 , 15.
b Cf. Eb 1 0, 33 .
c Rm
8, 18.
9 Chiara allusione al diavolo, ritenuto il responsabile della persecuzione.
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del legato 1 0. 9. Più tardi, quando furono condotti al suo co
spetto, ed egli adoperò ogni forma di crudeltà che si riserva nei nostri confronti, intervenne Vezio Epagato, uno dei fratelli, tra boccante d'amore verso Dio e verso il prossimo, la cui condot ta di vita era così perfetta da meritare, nonostante la sua giova ne età, di essere accostato al sacerdote Zaccaria 1 1 • Egli viveva in maniera irreprensibile secondo i comandamenti e i precetti del Signore, sempre pronto al servizio nei confronti del prossi mo, ripieno d'amore verso Dio e fervente nello Spirito d . Poi
ché egli era tale, non sopportò che contro di noi fosse intenta te un processo così insensato, ma si indignò e pretese d'essere egli stesso ascoltato in difesa dei fratelli, volendo dimostrare che tra noi non c'era né ateismo né empietà. 10. A questo punto coloro che stavano intorno alla tribu na cominciarono a gridargli contro, giacché egli era un uomo famoso, e il legato non accolse la giusta richiesta che egli avan zava, ma si limitò a chie dergli se anch'egli fosse cristiano; aven do egli proclamato con voce fermissima la sua fede, anch'egli fu innalzato alla sorte dei martiri e fu chiamato il paracleto dei cri stiani 12 , dato che aveva veramente in sé il par a cl eto , lo spirito di Zaccaria e , che egli aveva dimostrato di possedere mediante la pienezza del suo amore nel momento in cui aveva rischiato di
d Cf. Rm
12, 1 1 ; Le
18, 25 .
e
Cf. Le l , 67 .
1 0 ll tribuno di cui si parla è il comandante della XIII coorte urbana di
Lione, i magistrati i duovz"ri iure dicundo della colonia. Questi ultimi avevano
il compito di procedere ad un primo sommario interrogatorio, in attesa che giungesse il legato, cioè il propretore che governava la Gallia lionese, allora provincia imperiale, cui spettava la celebrazione del processo. 1 1 Si tratta del sacerdote Zaccaria, padre di Giovanni il Battista (di cui in Le l, 5ss.), del quale l'evangelista dice che era «ricolmo di Spirito Santo»
(Le l, 67 ) .
1 2 Paracleto (difen s ore , consolatore) è l'appellativo con cui l'autore del vangelo di Giovanni designa lo Spirito Santo (cf. Gv 14, 26; 15, 2 6; ecc. ).
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mettere a repentaglio la sua vita nel difendere i suoi fratelli f. Egli, infatti, era ed è autentico discepolo di Cristo, egli che se gue l'Agnello dovunque va g. 1 1 . Allo ra tra i rimanenti cristiani si operò una divisione: alcuni si mostrarono manifestamente pronti a rendere la loro testimonianza di fede n, cosa che compirono con grande fervo re; ve ne furono altri, invece, che apparvero impreparati e non abituati, in quanto ancora deboli e non in grado di sopportare la tensione di una grande lotta. Tra questi ultimi una diecina vennero meno: essi furono per noi causa di grande dolore e tri stezza infinita e fiaccarono il coraggio dei restanti fratelli che non erano stati ancora arrestati, i quali, sebbene temessero di soffrire pene orrende, pur tuttavia restavano insieme ai martiri e non li abbandonavano. 12. Allo ra tutti rimanemmo grande mente sconvolti a causa dell'incertezza delle loro confessioni, dato che non temevamo le punizioni che ci erano inflitte, ma consideravamo l'esito della lotta e temevamo che qualcuno po tesse soccombere. 13 . Tuttavia ogni giorno, per completare il numero dei martiri, si arrestavano i cristiani più eminenti, in questo modo furono raccolte tutte le persone più virtuose del le due chiese e sulle quali soprattutto poggiavano le sorti delle località. 14. Furono anche arrestati alcuni servi dei nostri, dato che il legato aveva pubblicamente ordinato di ricercare tutti quanti. Per insidia di Satana, temer.1do le torture, cui vedevano che erano sottoposti i santi, spinti a far ciò dai soldati, costoro ci accusarono falsamente di celebrare banchetti di Tieste e ma trimoni di Edipo 14, e di fare cose che non è p ermesso né dire f Cf. l Gv 3, 16; l Ts 2, 8.
g Ap
14, 4.
1 3 Contro la lezione dei manoscritti (protomdrtyres) accettiamo la cor rezione proposta dallo Schwartz (pròs tò martyrein). 1 4 Evidente riferimento alle mitiche figure d i Tieste e d Edipo. li primo per il possesso del regno di Micene aveva a lungo lottato contro il fratello Atreo, cui per vendetta aveva imbandito a sua insaputa le carni dei suoi due
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né pensare e nemmeno credere che siano mai state compiute da uomini. 15 . Una volta diffu sesi queste dicerie, tutti si infuriava no contro di noi cosicché, anche se taluni avevano in prece denza usato moderazione nei nostri confronti, a motivo delle relazioni di parentela, allora si mostrarono violentemente ostili e pieni di sdegno verso di noi h, Si avverò in tal modo ciò che era stato detto dal Signore nostro: Verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere culto a Dio i . 1 6 . Allora, a partire da quel momento, i santi martiri eb bero a sopportare sofferenze che vanno al di là di ogni possibi le descrizione, dato che Satana aveva l'ambizione di strappare loro dalla bocca qualche bestemmia. 1 7 . Tutta la collera, sia della folla sia del legato e dei soldati, si concentrò in maniera straordinaria sul diacono di Vienna Santo 1 5 , su Maturo , perso naggio da poco battezzato, ma valoroso combattente, su Atta lo, originario di Pergamo 1 6 , che era stato sempre colonna e so stegno i dei suoi, e su Blandina per mezzo dell a quale Cristo eb be a dimostrare che ciò che agli occhi degli uomini sembra di poco conto, oscuro e spregevole, è al contrario ritenuto degno di grande gloria al cospetto di Dio a motivo dell'amore che si ha per lui, amore che si dimostra nella sua potenza e non si glo rifica nell'apparenza. 18. Mentre noi tutti, infatti, temevamo per lei e mentre la padrona, di cui ella era stata serva secondo h Cf. At 7,
54.
i
Gv 16, 2.
i Cf. l Tm 3, 15.
figlioletti. L'altro, Edipo, l e ro e tebano che, dopo aver ucciso senza saperlo il p adre Laio, aveva sposato ignaro la propria madre Giocasta. Le accuse di in fanticidio, cannibalismo e incesto furono le accuse più comuni che i pagani mossero ai cristiani nel corso del II sec. e contro le quali si scagliarono apo logisti come Tertulliano ed Atenagora. 1 5 Il fatto che il personaggio sia presentato come «il diacono di Vien na» fa pensare che egli sia il responsabile dei cristiani della città e li rappre senti presso il vescovo di Lione. 1 6 La famosa città della Misia, capit al e del regno degli Attalidi, lasciato in eredità ai romani da re Attalo III alla sua morte. '
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la carne, anch'ella una che combatteva insieme ai martiri, te meva che Blandina, a motivo della debolezza del suo corpo, non fosse in grado di fare con fermezza la sua professione di fe de, ella fu invece sorretta da una tale forza che stremò e sfi ancò coloro che, uno dopo l'altro, si alternarono nel torturarla in tut ti i modi dalla mattina fino alla sera ed essi stessi dovettero con fessarsi vinti non avendo nient'altro da farle, e si meravigliava no che rimanesse ancora in vita nonostante avesse tutto il cor po straziato e dilaniato e testimoniavano che uno solo di quei supplizi sarebbe stato sufficiente e farle rendere l'anima, senza che ci fosse bisogno di tali e sì grandi torture. 1 9 . Ma la beata, come un atleta generoso, traeva vigore dalla confessione e le re cava conforto, riposo e sollievo dalla sofferenza dire: "Io sono cristiana e da parte nostra non si fa nulla di male " . 20. Quanto a Santo, anch'egli si mostrò di gran lunga su periore a ogni altro uomo e sopportò nobilmente tutti i suppli zi che gli venivano da quegli uomini, nonostante quei malvagi sperassero, mediante la durata e la veemenza dei tormenti, di ascoltare da lui cose indicibili; egli tuttavia resistette loro con una tale fermezza che non disse né il suo nome né quello della sua famiglia o della sua città di origine, né se era schiavo o li bero, ma ad ogni domanda rispondeva in lingua latina: "Io so no cristiano " . Ecco ciò che dichiarava ogni volta invece del no me, della città, della famiglia e di ogni altra cosa, e i pagani non udirono da lui altre parole. 2 1 . Per questo motivo l'accanimen to del legato e dei carnefici fu così grande che all a fine, quando non seppero più cosa fare, essi finirono per applicargli roventi lamine di bronzo nelle parti più delicate del corpo. 22 . E men tre esse bruciavano, egli rimase inflessibile e incrollabile, saldo nella sua confessione, asperso e temprato dalla sorgente celeste dell ' acqua vivificante che si riversa dal costato di Cristo k. 23 .
k Cf.
Gv 7, 38; 19, 34.
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Dimostrazione di quanto gli era stato fatto era il suo povero corpo 1 7, tutto coperto di piaghe e di lividi, tutto contratto e or mai privo di ogni forma umana l. Soffrendo in lui, Cristo com piva grandi prodigi; sconfiggendo l'avversario, mostrava in ma niera esemplare m agli altri che dove c'è l'amore di Dio Padre non c'è nulla di temibile e dove c'è la gloria di Cristo non c'è nulla di doloroso. 24 . Alcuni giorni dopo, infatti, quei malvagi ripresero a torturare il martire e avendo egli le carni martoriate e tumefat te, pensarono che finalmente avrebbero avuto la meglio su di lui se gli avessero inflitto le stese torture, in quanto egli non era in grado di sopportare nemmeno il contatto delle mani; oppure, se fosse morto tra i supplizi, la sua morte avrebbe impaurito tutti gli altri. Invece, nulla di tutto ciò avvenne ed inoltre, ben al di là di ogni previsione umana, il povero corpo di Santo si riebbe e si ristabilì tra i tormenti; riassunse la sua forma originaria e l'uso delle membra, di modo che, per la grazia di Cristo, la seconda tortura non fu per lui motivo di patimento, ma una cura. 25 . Per quel che riguarda Biblide 1 8 , una di coloro che ave vano abiurato, il demonio riteneva di averla oramai divorata, ma, poiché volle che fosse condannata anche per blasfemia, la fece condurre al supplizio per indurla a dire empietà contro di noi 19, in quanto ormai fragile e paurosa. 26. Ma nel mezzo dell Cf. Is
53 , 2 .5 .
m
Cf. l Tm l , 1 6 .
1 7 Come accade presso gli Stoici e i Cinici, Eusebio, come del resto tut ta l'antichità cristiana, utilizza il diminutivo (somation) per svalutare le cose
terrene.
18 Non sappiamo chi sia questo personaggio di cui si sta parlando e che in alcuni mss . è indicato come Bibliade: in luogo del nome Biblide, Rufino ri porta il nome di Blandina (cf. supra, n. 16) ed elimina, forse per edificare il lettore, tutte le notizie riguardanti la fragilità della martire precedentemente al martirio. 1 9 Si tratta sicuramente del solito repertorio di calunnie usate abitual mente contro i cristiani.
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le torture, la donna tornò in sé e si svegliò, per così dire, da un sonno profondo e quella pena temporanea le fece ricordare il castigo eterno della Geenna 2 0 e, rivolta a quei bestemmiatori, disse: " Come potrebbero mangiare dei bambini costoro ai qua li non è lecito neppure cibarsi del sangue di animali senza mo tivo? " . Dopo di che si confessò cristiana e fu aggiunta al nu mero dei martiri. 27 . Dato che i supplizi dei tiranni erano stati resi inutili da Cristo a motivo della forza di resistenza dei beati, il demonio 2 1 non mancò di escogitare altre macchinazioni quali internamen ti collettivi nel buio di un terribile carcere, lo stiramento dei piedi ad opera di ceppi tesi fino al quinto foro 22 e tutte le altre sevizie che carnefici furiosi ed invasati dal diavolo sono soliti infliggere ai prigionieri. In tal modo, nelle prigioni, moltissi mi 2 3 morirono per strangolamento, quanti il Signore volle che morissero così per rendere manifesta la sua gloria. 28. Vi furo no alcuni che, torturati così crudelmente da sembrare che non fosse possibile salvarli nonostante tutte le cure, persistettero nella resistenza in p rigione; sprovvisti di ogni aiuto umano, for tificati dal Signore, ritrovarono il vigore del loro corpo e della loro anima e divennero consolatori e sostenitori degli altri fra-
2o n termine (geénna) è la grecizzazione dell'ebraico ge Himmon, vale a dire "la valle di Ennom" , o dei figli di Ennom, localit à a sud-ovest di Geru salemme, tristemente famosa sin dal tempo del profeta Ezechia per il culto a Moloch: per tale motivo essa divenne simbolo e sinonimo di ogni abiezione umana e perciò, per antonomasia, del luogo di supplizio per i peccatori. Nei Sinottici simboleggia abitualmente l'inferno. 2 1 An cora una volta si vede nel demonio il responsabile principale del la persecuzione, gli uomini appaiono, perciò, semplici strumenti di cui egli si serve per condurre in porto le sue macchinazioni. 22 n massimo della tensione era al settimo foro. An che Origine, come racconta lo stesso Eusebio (cf. in/ra, VI, 39, 5 ) , subì il supplizio dei ceppi, fi no al quarto foro. 23 Diciotto cristiani morirono in carcere secondo la lista dei martiri for nita da Gregorio di Tours (cf. La gloria dei martiri, 49).
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telli. Al contrario, i più giovani e arrestati da poco, i cui corpi non erano stati martoriati in precedenza, non riuscirono a sop portare il peso della prigionia collettiva e perirono in carcere. 29. Il beato Potino 24, al quale a Lione era stato affidato il ministero episcopale, aveva già superato la soglia dei no vant'anni ed era assai debilitato nel corpo. A motivo del so praggiunto indebolimento fisico, egli respirava a fatica, ma era rinvigorito dall'ardore dello Spirito per il grande desiderio di martirio che nutriva. Anch'egli fu condotto in tribunale nono stante il suo corpo fosse debilitato dalla vecchiaia e dalla ma lattia, ma la sua anima era in lui preservata perché Cristo po tesse trionfare per mezzo di lui 11 • 3 0. I soldati lo condussero in tribunale e, scortato dai magistrati della città e dall a folla, tra insulti di ogni genere, come se fosse stato egli stesso Cristo, re se un'insigne testimonianza 0• 3 1 . Essendogli stato chiesto dal legato chi fosse il Dio dei cristiani, rispose: "Se ne fossi degno, tu lo conosceresti 25 " . Allo ra fu violentemente trascinato via e subì ogni genere di percosse. Coloro che gli stavano accanto lo colpirono in tutti i modi, con i piedi e con le mani, senza avere alcun rispetto per la sua età, mentre coloro che erano lontani gli tirarono addosso tutto ciò che avevano in mano, dato che tutti pensavano di sbagliare grandemente e di commettere empietà qualora gli avessero risparmiato le loro insolenze: erano, infat ti, convinti che in tal modo avrebbero vendicato le loro divin
Cf. 2 Cor 2, 14.
o
Cf.
l
Tm 6,
12.
24 Discepolo di Policarpo di Smirne, dovette essere, come Ireneo, origi nario dell'Asia Minore e secondo la tradizione fu il primo vescovo di Lione. 25 Come più avanti farà Attalo, Potino si rifiuta di nominare il suo Dio. A giudizio di Bardy (cf. Eusèbe de Césarée, Histoire ecclesiastique, livres V VII, Paris 1955 , p. 14, n. 38) egli non lo fa né per disprezzo nei confronti del l' autorità, né per magia, per evitare cioè che il nome misterioso possa essere utilizzato da profani, ma semplicemente per rispetto nei confronti di Dio, che non può essere conosciuto se non da uomini disposti al bene.
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nità. Respirava appena quando fu gettato in carcere dove morì due giorni più tardi 26. 3 2 . All o ra ebbe luogo uno straordinario intervento divino e si manifestò la misericordia infinita di Gesù, fatto che avvie ne raramente tra i fratelli, ma che è conforme all'opera di Cri sto. 3 3 . Coloro che appena arrestati avevano abiurato, infatti, furono incarcerati anch'essi e subirono le stesse terribili pene degli altri: così, in quella circostanza, la loro abiura non servì a nulla, ma coloro che avevano confessato ciò che erano, erano messi in prigione in quanto cristiani, senza che fosse fatta loro altra accusa, mentre invece costoro erano trattenuti come col pevoli di omicidio ed empietà e, rispetto agli altri, erano puni ti doppiamente. 3 4 . I fratelli, infatti, erano alleviati dalla gioia del martirio e dalla speranza delle ricompense promesse, dal l'amore di Cristo e dello Spirito del Padre 2 7 ; gli altri invece era no fortemente tormentati dalla loro coscienza, sicché, quando passavano si riconoscevano fra tutti gli altri dall'espressione del volto. 3 5 . Gli uni, infatti, avanzavano sorridenti, trasparendo dai loro sguardi gloria e grande grazia, al punto che anche le ca tene sembrava li avvolgessero come un ornamento appropriato, come su una sposa adornata di monili d'oro guarniti di frange P e nell o stesso tempo emanavano a tal punto il profumo di Cri sto q che alcuni credettero che essi si fossero unti di unguento mondano; gli altri, al ·contrario, avanzavano tristi, dimessi, brut ti a vedersi e pieni di ogni bruttezza e per di più erano insulta ti dai p agani, trattati da vili e codardi e non solo erano accusaP Cf. Sal 45,
14.
q Cf. 2 Cor 2, 15.
2 6 il giorno della morte del vecchio vescovo potrebbe essere i12 giugno, giorno in cui la chiesa di Lione celebra appunto la festa di San Potino e del gruppo dei martiri. 2 7 Nella traduzione seguiamo con lo S chwartz la lezione dei mss. greci «lo Spirito del Padre (patrtk6n) », contro la lezione <do Sp irito paradeto (pa rakleton)» attestata dai mss. siriaco e latino.
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ti di omicidio, ma avevano anche perduto quell'appellativo onoratissimo, glorioso e vivificatore. Alla vista di tutto ciò, gli altri furono fortificati e tutti gli arrestati non esitavano a pro clamare la loro fede senza avere alcun pensiero di ragionamen ti diabolici». 36. Dopo aver aggiunto altre cose, la lettera continua: «Successivamente la testimonianza della loro morte avvenne nei modi più diversi. Presentarono, infatti, al Padre un'unica corona fatta di fiori di vari colori e diverse forme: era necessa rio che quegli atleti generosi, dopo aver sostenuto lotte di ogni genere e dopo aver riportato una grande vittoria, conseguisse ro la grande corona dell'immortalità. 3 7 . Maturo, Santo, Blan dina e Attalo furono dati in pasto alle fiere, nell'edificio pub blico e al comune spettacolo della crudeltà dei pagani 28 , A ta le scopo .in quel giorno i combattimenti delle fiere erano dati per mezzo dei nostri. 3 8 . Nell'anfiteatro, Maturo e Santo furo no nuovamente sottoposti a ogni tipo di tormenti, come se pri ma non avessero sofferto nulla, o piuttosto, come se, avendo su perato l'avversario più volte, stessero gareggiando per la coro na stessa. Ancora una volta, come era in uso in quelle località, subirono la pena dei flagelli e le lacerazioni delle fiere e tutti quei supplizi che la plebaglia inferocita, chi una cosa, chi un'al tra, gridando imponeva e alla fine la sedia di ferro, essendo sta ti arrostiti sulla quale i corpi emanavano odore di grasso. 3 9 . M a neppure così i pagani s i placavano, anzi s i infuriavano an cora di più in quanto volevano avere la meglio sulla resistenza dei martiri: da parte di Santo null' altro udirono se non la con fessione che egli aveva continuato a ripetere sin dall'inizio. 40. Ma i martiri, dato che continuavano a restare in vita dopo quel-
28 Si è discusso e si continua a discutere sulla collocazione esatta del l' anfiteatro dove i cristiani di Lione furono messi a morte: nessuna ipotesi avanzata al momento ha la meglio sulle altre.
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la dura lotta, alla fine furono uccisi; in luogo dei vari combatti menti corpo a corpo quel giorno essi stessi divennero spettaco lo p er la folla r. 4 1 . Quanto a Blandina, dopo essere stata so spesa a un palo, divenne preda delle fiere che le erano lanciate contro: la vista di lei, app esa a una sorta di croce, in fervida pre ghiera, infondeva grande coraggio a coloro che lottavano anco ra, i quali, nella lotta, anche per mezzo dei loro occhi materia li, vedevano attraverso la sorella colui che era stato crocifisso per loro, per persuadere coloro che credono in lui che chi sof fre per la gloria di Cristo è per sempre in comunione col Dio vi vente. 42 . Quel giorno ella non fu toccata da alcuna belva e, ti rata giù dal palo, fu condotta nuovamente in prigione, destina ta ad un altro combattimento, affinché, passata vittoriosa attra verso numerose vittorie, da un lato rendesse inevitabile la con danna dell'infido serpente s , dall'altro esortasse i fratelli, ella, piccola, debole, insignificante. Rivestita di Cristo t grande e in vincibile atleta, aveva sconfitto a più riprese l'avversario e ave va riportato nella lotta la corona dell'immortalità. 43 . Per quan to riguarda Attalo, fu anch'egli reclamato a gran voce dalla fol la (egli era, infatti, assai noto) , entrò nell'arena come un lotta tore preparato dalla sua pura coscienza giacché si era realmen te allenato nella dura disciplina cristiana ed era stato sempre in mezzo a noi testimone della verità. 44 . Gli fecero fare il giro dell'anfiteatro, preceduto da una tavoletta su cui era scritto in lingua latina: " Costui è Attalo, il cristiano" 29 • TI popolo freme va contro di lui, ma il legato, quando apprese che egli era citta dino romano, ordinò che fosse ricondotto in carcere insieme a tutti gli altri. Su di essi scrisse a Cesare e ne attese la risposta.
r
Cf. l Cor 4, 9; Eh 10, 3 3 .
s Js 2 7 , l .
1
Cf. Rm 13 , 14; Gal 3 , 2 7 .
29 In quanto cittadino romano a d Attalo viene riservato un particolare
trattamento.
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45 . n tempo che intercorse non fu per loro né inutile, n é inconcludente u, ma, per mezzo della forza di resistenza dei pri gionieri, si manifestò la misericordia senza fine di Cristo. Infat ti, per mezzo dei vivi, erano vivificati i morti e i martiri conce devano la grazia v anche a coloro che martiri non erano. 46. Grazie ad essi, infatti, la maggior parte degli apostati rientraro no nel numero 3 0, furono concepiti una seconda volta e riani mati e appresero a professare la loro fede; oramai vivi e rinvi goriti, si presentarono in tribunale per essere nuovamente in terrogati dal legato, dato che Dio, che non vuole la morte del peccatore w, ma si mostra indulgente nei confronti del penti mento, rese meno doloroso questo momento. 47 . Nel frattem po Cesare aveva ordinato che i nostri fossero messi a morte e che fossero lib erati quelli che avessero abiurato 3 1 . Proprio in quei giorni cominciava a celebrarsi la grande festa nazionale 32 (essa è assai frequentata e vi intervengono le popolazioni di tutte le province) e il legato fece condurre i bea ti alla tribuna facendoli avanzare solennemente tra la folla ed esponendoli alle sue beffe. Quindi li interrogò nuovamente e fece decapitare quanti sembrò che avessero il diritto di cittadi nanza romana, gli altri li mandò alle fiere. 48. In tal modo fu re sa magnificamente gloria a Cristo da quanti in un primo mo-
u
11.
Cf. 2 Pt
l , 8.
v
Cf. 2 Cor 2 , 7; Col 3 , 1 3 .
w Cf. E z 18, 23 ; 3 3 ,
3 0 TI passo, cotne del resto quello seguente, sembra corrotto e di non agevole lettura. 3 I La risposta di Marco Aurelio è conforme al rescritto di Traiano a Pli nio il Giovane: i cristiani, «qualora vengano denunciati e convinti, devono es sere puniti, con l'avvertenza però che, chi neghi di essere cristiano e lo dimo stri attraverso i fatti, cioè tributando atti di culto ai nostri dei, quantunque nel passato abbia suscitato sospetti, ottenga indulgenza a motivo del suo ravve· dimento» (Lettere, 10, 97) . 3 2 Si tratta dell a festa che ogni anno, a partire dal l o agosto, riuniva a Lione per diverse settimane tutti i delegati delle Gallie.
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l
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mento avevano abiurato: allora essi, contrariamente alle aspet tative dei pagani, professarono la loro fede. Essi, infatti, furono interrogati a parte, come se dovessero essere rimessi in lib ertà, ma, dopo che confessarono la loro fede, furono aggiunti al gruppo dei martiri. Ne restarono esclusi quelli che non aveva no mai avuto né una traccia di fede, né la coscienza di posse dere l'abito nuziale x , né il pensiero del timore di Dio e che, per il loro voltafaccia, bestemmiavano il cammino intrapreso Y, va le a dire i figli della perdizione z . 49. Tutti gli altri invece, rima sero fedeli alla Chiesa. Durante il loro interrogatorio, un certo Alessandro, originario della Frigia, di professione medico, sta bilitosi in Galla già da molti anni e noto a quasi tutti per il suo amore verso Dio e per la sincerità del suo linguaggio "" (egli era, infatti, dotato di carisma apostolico) , stando in piedi accanto alla tribuna ed esortando con cenni tutti gli altri alla confessio ne, sembrava quasi che avesse i dolori di parto ab . 50. A questo punto la folla, già irritata dal fatto che coloro che precedente mente avevano abiurato confessassero la loro fede, cominciò a gridare contro Alessandro, come se egli fosse la causa di tutto ciò . Fattolo convocare , il legato gli chiese chi fosse, e poiché egli rispose: " Un cristiano " , andò su tutte le furie e comandò che fosse dato in pasto alle fiere. Il giorno seguente, insieme ad Attalo, fu condotto nell'arena: per fare cosa gradita alla folla, infatti, il legato aveva inviato nuovamente Attalo alle fiere. 5 1 . Essi, dopo che nell'anfiteatro passarono attraverso tutti gli stru menti escogitati per torturare e dopo aver sostenuto una gran dissima lotta, alla fine furono anch'essi sacrificati. Alessandro non si lasciò sfuggire né un gemito né un lamento, ma nel se greto del suo cuore si intrattenne con Dio. 52 . Quanto ad At talo, allorché fu fatto sedere sull a sedia di ferro e cominciò a
x Cf. Mt 22, 1 1 -13. Y Cf. Rm 2, 24. ab Cf. Gal 4, 1 9 . 4, 29-3 1 .
z
C f. Gv 17, 1 2 .
a a Cf. At
Storia ecclesiastica
25 8
bruciare, mentre si spandeva nell'aria l'odore del suo corpo bruciato, rivolto alla folla disse in lingua latina: "Guardate, ciò che voi fate è mangiare uomini. Noi invece non mangiamo car ne umana e non commettiamo nessun'altra malvagità" . A chi gli chiedeva che nome avesse Dio, rispose: "Dio non ha nome come un uomo " . 53 . Dopo questi awenimenti, l'ultimo giorno dei giochi gladiatorii, Blandina fu condotta nuovamente nell'arena insie me a Pontico, un giovinetto di circa quindici anni. Essi vi era no stati condotti ogni giorno a vedere il supplizio degli altri ed erano stati costretti a giurare sui loro idoli e, poiché si erano di mostrati quanto mai fermi nel non farlo e li avevano disprezza ti, la folla si infuriò talmente nei loro confronti che non ebbe al cuna pietà per l'età del ragazzo, né alcun rispetto per il sesso della donna. 54. Li sottoposero a ogni tipo di crudeltà e fecero loro percorrere tutto il ciclo dei tormenti, tentando di costrin gere l'uno e l'altra a giurare senza che tuttavia ci riuscissero. Pontico, infatti, esortato dalla sorella, al punto che anche i pa gani videro che era essa ad esortarlo e a sostenerlo, morì dopo aver coraggiosamente sopportato ogni supplizio. 55 . Ultima di tutti restò la beata Blandina; come una nobile madre che ha esortato i suoi figli e li ha mandati avanti a sé vittoriosi al co spetto del re ac, dopo aver sostenuto anch'essa tutte le prove dei figli, si affrettava ora verso di essi, ripiena di gioia e di allegria per la partenza, come inviata ad un banchetto nuziale ad e non gettata alle fiere. 56. Dopo i flagelli, dopo le fiere, dopo la gra ticola, ella fu posta in una rete e gettata innanzi a un toro. Do po essere stata a lungo trascinata dall'animale, non aveva più al cuna percezione di quanto le accadeva a motivo della speranza e dell'attesa delle cose in cui aveva creduto e dell'incontro con Cristo: anche i pagani furono costretti ad ammettere che m ai a c Cf.
2 Mac 7 , 2 1 -23 ; 27 -29; 4 1 .
ad Cf. Ap 19, 9.
Libro V,
l
259
pres so di loro una donna aveva sopportato tali e così grandi supplizi. 57 . Neppure ciò bastò tuttavia a saziare la loro rabbia e la efferatezza verso quei santi. Come eccitate da una bestia loro feroce, quelle popolazioni selvagge 3 3 e barbare non si placava no con facilità e la loro brutalità ebbe modo di infierire sui cor pi dei martiri in una maniera nuova e straordinaria. 58. L'esse re stati vinti, infatti, non li faceva vergognare, in quanto non avevano più la ragione umana, ma infiammava ancor di più la loro ira come quella di una belva e sia il legato che il popolo manifestavano nei nostri confronti lo stesso odio ingiusto, af finché si adempisse la Sacra Scrittura: L:empio continui pure ad essere empio e il giusto continui a praticare sempre più la giusti zia •e. 5 9 . E, infatti, gettarono ai cani quelli che erano morti soffocati in prigione e attentamente, notte e giorno, facevano in modo che nessuno di essi potesse ricevere da noi la sepoltura. Allora esposero anche i resti abbandonati dalle fiere e rispar miati dal fuoco, parte lacerati e parte carbonizzati. Quanto alla testa e al busto degli altri, lasciati ugualmente privi di sepoltu ra, furono fatti vegliare accuratamente dai soldati per diversi giorni. 60. E c'era chi fremeva e digrignava i denti af davanti a quei resti, quasi cercando di infliggere loro un più grande sup plizio; altri ridevano e li schernivano, mentre contemporanea mente esaltavano i loro idoli, ai quali attribuivano il castigo dei nostri; altri ancora, più moderati, e che in certo modo sembra va avessero pietà di loro, li insultavano invece maggiormente dicendo: " Dov'è il loro Dio e a cosa è servita loro la religione che hanno anteposto alla loro stessa vita? " . 6 1 . S e quelli descritti erano i diversi atteggiamenti dei paae
Ap 22, 1 1 .
af
Cf. At 7, 54.
3.3 Cf. Odissea, VII, 206.
260
Storia ecclesiastica
gani, dal canto nostro, noi versavamo in grande afflizione per non poter seppellire i corpi dei nostri sotto terra. In ciò non ci fu d'aiuto neppure la notte, né il denaro riuscì a persuadere le guardie, né riuscirono a convincerle le preghiere: esse li veglia vano in tutti i modi come se avessero a ricavare chissà quale grande guadagno se i nostri non avessero avuto sepoltura». 62 . Più avanti, dopo altre considerazioni, la lettera ag giunge: «l corpi dei martiri rimasero esposti perché fossero d'esempio in ogni modo e furono lasciati all'aperto per sei gior ni, poi, bruciati e ridotti in cenere da quei malvagi, affinché non restasse di essi alcuna traccia sulla terra, furono gettati nel le acque del fiume Rodano, che scorre in prossimità 34. 63 . E fecero ciò nella convinzione che avessero potuto vincere Dio e privare i morti della nascita a nuova vita, affinché, come essi di cevano, "non avessero la speranza della resurrezione, confi dando nella quale hanno introdotto in mezzo a noi un culto straniero e nuovo, e disprezzano le torture, pronti ad andare verso la morte con gioia. Adesso vediamo se saranno capaci di resuscitare e se il loro Dio potrà aiutarli e strapparli dalle no stre mani " ». 2 . l MARTIRI AMATI DA D IO ACCOLSERO CON BENEVOLENZA E RISANARONO TUTTI QUELLI CHE ERANO VENUTI MENO DURANTE LA PERSECUZIONE ·
l . Questi gli avvenimenti che accaddero alle Chiese di Cri sto sotto l'imperatore di cui stiamo parlando e da essi, con un opportuno ragionamento, è possibile capire ciò che avvenne an-
3 4 Imp ossib ile stabilire il luogo esatto nel quale furono gettati i resti dei martiri, d at o che la confluenza del Rodano e della Senna era indubbiamente
più a nord di quanto non sia oggi.
Libro V, 1-2
261
che nelle altre province 3 5, È tuttavia opportuno aggiungere ai passi citati, altri desunti dalla stessa lettera, nei quali la modera zione e l'umanità di questi martiri sono descritte con le seguen ti parole 3 6 ; 2. «Ed essi furono a tal punto scrupolosi imitatori di Cristo, il quale, essendo in /orma di Dio, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio ag, che, pur essendo in tale glo ria e pur avendo reso testimonianza non una o due volte, ma spesso, e pur essendo stati ricondotti indietro dalle belve e pur ricoperti di piaghe, di lividi e di ferite, tuttavia giammai si pro clamarono da sé martiri, né permisero che ci rivolgessimo loro con tale nome, ma se talora qualcuno di noi, per iscritto o a vo ce, li chiamava martiri, essi lo rimproveravano aspramente. 3 . In effetti, con gioia riservavano quell'appellativo a Cristo, il testi mone fedele e veritiero ah , il primogenito dei morti ai, l'autore del la vita di Dio •i, e ricordavano i martiri che non erano più di que sto mondo e dicevano: "Di già sono martiri quelli che Cristo si è degnato di accogliere nella loro professione di fede sigillando con la morte la loro testimonianza, mentre noi siamo semplici e modesti confessori 37 " . E piangendo esortavano i fratelli e chie devano loro di pregare con perseveranza perché raggiungessero la perfezione. 4. E mostrarono nei fatti la potenza del martirio, rivolgendosi ai pagani con un linguaggio franco e resero mani festa la loro nobiltà d'animo mediante la resistenza, il coraggio e la fermezza, ma rifiutarono da parte dei fratelli il titolo di mar tiri, in quanto erano ripieni di timore di Dio». ag Fil 2 , 6.
ah Ap 3 , 14.
ai Ap l, 5 ; Col l, 18.
aj At 3 , 15 .
35 Malgrado l'affermazione d i Eusebio, non s i h a notizia in questo pe riodo di altre persecuzioni. 36 Impossibile stabilire come mai Eusebio non abbia citato questo pas saggio dell a lettera all'interno del suo contesto naturale nel capitolo prece dente. 37 Nel senso che si tratta di semplici testimoni della fede che non han no testimoniato col sangue come i martiri.
262
Storia ecclesiastica
5 . E poco oltre dicono ancora: «Essi si umiliavano sotto qu�lla stessa mano potente dalla quale meritatamente ora sono innalzati ak. Allora essi parlarono in difesa di tutti e non accu sarono nessuno; slegarono tutti e non legarono nessuno al; pre garono inoltre anche per coloro che infliggevano loro supplizi come Stefano, il martire perfetto: Signore, non imputare loro questo peccato am . E se egli pregò per coloro che lo lapidavano, quanto più non pregò per i suoi fratelli?». 6. E soggiungono ancora: «Questa fu infatti la lotta tena cissima che essi combatterono mediante l'autenticità del loro amore contro la bestia feroce 3 8 , affinché, strangolata, rigettas se vivi coloro che credeva di avere precedentemente inghiotti ti. Ma essi non trassero motivo di vanto an nei confronti di co loro che vennero meno, ma, mediante i beni di cui abbondava no, vennero in aiuto di coloro che ne avevano maggior bisogno, nutrendo per essi sentimenti materni e versando per essi molte lacrime al Padre, al quale chiesero la vita, ed egli la diede lo ro ao; 7 . ed essi la divisero con il loro prossimo e, vincitori in tut to, tornarono a Dio. Amarono sempre la pace e la pace ci han no trasmesso; in pace tornarono a Dio, senza lasciare dolore al la madre, né discordia o lotte ai fratelli, ma gioia, pace, concor dia e amore •P». 8. Queste cose era utile riferire a proposito dell'amore di quei beati verso quelli tra i fratelli che erano venuti meno a cau sa del comportamento disumano e spietato di coloro che, dopo questi fatti, tennero un comportamento severo nei confron ti dei membri di Cristo 39.
ak
Gal 6, 4 .
al Cf. Mt 16, 19; 18, 18. Cf. 1 Pt 5, 6. ap Cf. Gal 5 , 22. ao Cf. Sal 2 1 , 5 .
am
At 7, 60.
an
Cf.
3 8 Evidentemente si tratta ancora una volta del diavolo. 39 Probabilmente Eusebio allude all'intransigenza dei donatisti e dei
novaziani.
Libro V, 2-3
263
3 . QUALE VISIONE EBBE IN SOGNO IL MARTIRE ATTALO l . La stessa lettera dei martiri di cui stiamo parlando con tiene anche un'altra storia degna di essere ricordata, e che nul la impedisce di portare a conoscenza di coloro che in futuro la leggeranno. Eccola. 2. C'era tra loro un certo Alcibiade che viveva una vita as sai austera e, inizialmente, non prendeva assolutamente niente della sua porzione, ma nutrendosi soltanto di pane ed acqua 40, cercava di vivere così anche in carcere. Dopo il primo combat timento sostenuto nell'anfiteatro, Attalo apprese per mezzo di una visione che Alcibiade faceva male a non cibarsi di quanto era creato da Dio e costituiva per gli altri esempio di scandalo. 3 . Alcibiade si convinse, prese liberamente ogni tipo di cibo e rese grazie a Dio: essi infatti non solo non erano privi della gra zia di Dio, ma anche lo Spirito Santo era loro consigliere. Ma su questo punto, basti così. 4. I discepoli di Montano, di Alcibiade 4 1 e di Teodoto proprio in quel periodo iniziavano per la prima volta a diffon dere presso molti, per tutta la Frigia, le loro concezioni sulla profezia (infatti le molteplici e differenti meraviglie del carisma divino, che a quel tempo si verificavano ancora in diverse Chie se, inducevano molti a credere che anche costoro fossero in grado di profetizzare) , e poiché esistevano dei contrasti riguar do alle cose manifestate, a loro volta anche i fratelli della Gal-
4 0 L'espressione di Eusebio ha fatto pensare che il personaggio in que stione potrebbe essere un seguace di Montano, il quale predicava un duro ascetismo e una vita fatta di digiuni e penitenze. 4! A giudizio di alcuni critici il nome di Alcibiade, qui riferito da Eu sebio, o è frutto di una svista dello scrittore o un suo errore di distrazione. Se condo lo Zahn si tratterebbe di Milziade, uno sconosciuto seguace di Monta no che, dopo la morte di costui, fu alla guida della setta; nulla vieta tuttavia di pensare che sia esistito un personaggio di nome Alcibiade, seguace di Mon tano, diverso dal confessore di cui al precedente aneddoto.
264
Storia ecclesiastica
lia su di loro esposero il proprio giudizio prudente e quanto mai ortodosso, mostrando anche diverse lettere scritte dai m ar tiri che erano morti tra loro e che costoro, intercedendo in fa vore della pace delle Chiese, avevano scritto, mentre si trova vano ancora in prigione, ai fratelli d'Asia e di Frigia, come pu re ad Eleutero, che era allora ve s covo dei romani 42 .
4 . COME
I
MARTIRI RACCOMANDARONO IRENEO PER
LETTERA
l . Gli stessi martiri raccomandarono al vescovo di Roma,
di cui stiamo parlando, anche Ireneo, che era già allora presbi tero della diocesi di Lione, al quale resero molteplici testimo nianze, come mostrano le parole che riferiamo: 2 . «0 padre 43 Eleutero, ancora una volta e sempre, preghiamo che tu stia be ne in Dio. Abbiamo dato incarico al nostro fratello e compa gno aq Ireneo di consegnarti questa lettera e ti preghiamo di te nerlo in considerazione, in quanto egli è instancabile seguace del testamento di Cristo. Se infatti fossimo convinti che la posi zione procura a qualcuno la giustizia, te lo avremmo segnalato sopra tutti come presbitero della Chiesa, quale egli in effetti è». a q Ap
l, 9 .
4 2 A motivo della scarsezza delle fonti a disposizione non siamo in gra· do di conoscere con certezza l'atteggiamento iniziale assunto da El eutero nei confron ti della setta frigia che in quegli anni si diffondeva dall'Oriente in tut to il territorio dell'impero. Fondato intorno al 170 dal prete frigio Montano, il montanismo si caratterizzò come un movimento profetico che, in vista dd l'imminente fine dd mondo, intendeva richiamare la Chiesa ad una vita più
austera.
43 Il termine «padre» con cui i martiri di Lione si rivolgono a Eleutero non è che un appellativo di rispetto in quanto il titolo di «papa» (= padre) di venterà un titolo specifico con cui veniva designato il vescovo di Roma solo nel corso del V sec. (cf. alla voce «Papa» a cura di A.P. Frutaz, in Enciclope dia Cattolica, vol. IX, Città del Vaticano 1 952, pp. 752ss . ) .
Libro V, 3-5
265
3 . Ma che bisogno c'è di dare l'elenco dei martiri che si trova nella citata lettera? Alcuni di essi sono morti decapitati, altri sono stati dati in pasto alle belve, altri ancora sono morti in ca rcere. Che bisogno c'è di dare il numero dei confessori che allora sopravvissero ? A chiunque sta a cuore, è assai facile co noscere le liste complet e p ren d e ndo tra le mani lo scritto che, come ho detto prima, è stato da noi incluso nella Raccolta dei ,
martiri 44 . Questi i fatti che avvennero sotto Antonino -15 .
5.
ESAUDE!'\DO LE PREGHIERE DEI NOSTRI, DIO A MARCO AURELIO
CESARE LA
PIOGGIA
DAL
MANDÒ CIELO
l . Si narra che il fratello di costui, Marco Aurelio Cesare, mentre era impegnato a schierare a battaglia i suoi soldati con tro i germani e i sarmati, si ebbe a trovare in grave difficoltà poiché la sete tormentava il suo esercito -16. Allora i soldati del la legione chiamata Melitene, grazie alla fede che li ha sorretti da allora fino ad oggi nei combattimenti contro i nemici, pie garono le ginocchia a terra, allo stesso modo in cui facciamo noi 44 A proposito di questo scritto (cf. V, Introd. e n. 5) più volte citato da Eusebio e non pervenuto, apprendiamo qui che esso conteneva una lista det tagliata e precisa di antichi atti di ma rti ri : noi ne conosciamo solo un a parte, in quanto rimangono sconosciuti i nomi dei confessori che sopravvissero alle persecuzioni. 4.5 Dovrebbe trattarsi dell'imperatore Marco Aurelio, che Eusebio chi a ma Antonino Vero (cf. supra, IV, 18, 2; V, Introd.) o semplicemente Antoni n o (cf. V, 9, 1 ) : tuttavia, poiché all'inizio del capitolo successivo Eusebio de finisce Marco Aurelio «fratello di costui», cioè di questo Antonino, continua la confusione a proposito dei nomi degli imperatori (cf. supra, n. 2 ) . 46 L'episodio c ui Eusebio fa riferimento, noto come « il miracolo della pioggia» e raffigurato nell a colonna aureliana, si colloca intorno al 172, vale a dire all'inizio della campagna militare che l'imperatore condusse tra il 172 e il 175 contro i quadi e i marcomanni , tribù germaniche che abitavano al di l à del Danubio e che avevano sconfinato all'interno dei territori dell'impero.
266
Storia ecclesiastica
quando siamo soliti pregare, e rivolsero le loro suppliche a Dio .
2 . Un tale spettacolo parve incredibile ai nemici, ma si n arr a
che subito essi furono sorpresi da un altro fatto ancora più sor prendente: da un lato un temporale scatenatosi all'improvviso mise in fuga e disperse i nemici, dall'altro, sull'esercito di colo ro che avevano invocato la divinità, cadde una pioggia che lo ri storò quando i soldati erano quasi sul punto di morire di sete 3 . ll fatto è raccontato anche dagli storici lontani dalla nostra religione che descrissero l'epoca degli imperatori di cui stiamo parlando ed è noto pure ai nostri. Tuttavia presso gli storici pa gani, poiché sono estranei alla fede, si racconta il prodigio, ma non si riconosce che esso ebbe luogo grazie alle preghiere dei nostri, presso i quali, invece, poiché amano la verità, il fatto è stato tramandato in maniera semplice e ingenua 47 • 4 . Tra que sti ultimi figura anche Apollinare -1s, il quale narra come da al lora la legione che per mezzo della sua preghiera compì il pro digio ebbe dall'imperatore un nome conforme all'avvenimento e fu chiamata in lingua latina "Fulminatrice" 49. 5 . Testimone si curo di tali fatti è anche Tertulliano, che in un'apologia della fede che indirizzò in latino al Senato di Roma e che noi abbia.
47 Oltre che dalla colonna aureliana, l'episodio è riferito anche da fon (Storia romana, 7 1 , 8-10), che attribuisce il mira colo al mago di origine egizia Hamuphis, dagli Scriptores Historiae Augusta e ( Vita di Antonino, 24) e dagli Oracoli Sibillini (XII, 1 87-200). Le testimo nianze cristiane risalgono a Tertulliano (Contro Scapula, 4; Apologetico, 5, 5, 6) e a d Eusebio stesso che (cf. Cronaca, 172 ) , i n contrasto con quanto affer ti pagane: da Cassio Dione
ma in questa sede, fa risalire l'episodio a Pertinace. 48 Questo personaggio, di cui Eusebio ha già parlato (cf. supra, IV, 27) potrebbe essere la fonte cui il nostro ha attinto le sue informazioni sull ' epi sodio. 49 La legione in questione (la XII Fulminata) era di origine preaugustea; sembra che dovesse il suo soprannome, che risaliva all'epoca di Cesare, al fat to che i suoi legionari praticassero il culto di Zeus Keraunos (cf. Cassio Dio ne, Storia romana, 55, 23 , 5 ) .
Libro V,
5
267
mo già citato 5 0 , conferma il racconto con una prova più valida ed efficace. 6. Scrive dunque Tertulliano 5 1 che ancora ai suoi tempi esistevano lettere di Marco, imperatore assai saggio, nel le quali egli stesso testimonia che il suo esercito, sul punto di morire di sete in Germania, fu s alvato dalle preghiere dei cri stiani; aggiunge poi che l'imperatore condannò a morte quanti tentavano di accusarci 52 . 7 . A queste cose, l'autore di cui stia mo parlando aggiunge: «Che tipo di leggi sono dunque queste, che persone empie, ingiuste e crudeli applicano solo contro di noi? Leggi che neppure Vespasiano, pur avendo vinto i giudei, ha osservato; che Traiano in parte disprezzò, vietando di ricer care i cristiani; leggi che né Adriano, sebbene avesse cura di ogni dettaglio anche il più trascurabile, né il cosiddetto Pio, hanno applicato» 53 . Ognuno comunque prenda queste notizie come vuole 54 . 8. Per parte nostra, passiamo agli awenimenti seguenti. Dopo che Potino a novant'anni compiuti condusse a ter mine la sua vita insieme agli altri martiri in Gallia, nell' episco pato della diocesi di Lione, che egli allora reggeva, gli succe dette Ireneo, del quale sappiamo che in giovane età era stato di scepolo di Policarpo. 9. Nel terzo libro della sua opera Contro gli eretici �5 , egli stabilisce la successione dei vescovi di Roma si no ad Eleutero, della cui epoca stiamo esaminando gli aweni menti, come se l'opera fosse stata da lui composta in quel tem po; trascriviamo di seguito l'elenco che egli compila.
5 0 Cf. supra, II, 2, 4; 25 , 4; III, 33 , 3 .
5 1 Tertulliano, Apologetico, 5 , 6; cf. Contro Scapula, 4. 5 2 La lettera di Marco Aurelio al senato, conservata in greco in appen dice alle apologie di Giustino, è certamente apocrifa. 53 Ibid., V, 7 . 54 L'espressione sembrerebbe dovuta all'incertezza dello scrittore sulla data dell'evento. 55 Ireneo, Contro gli eretici, 3 , 3 , 3 .
268
Storia ecclesiastica 6. ELENCO
DEI
VESCOVI DI ROMA
l . «l beati apostoli, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, trasmisero il ministero episcopale a Lino, personaggio di cui fa menzione Paolo nelle lettere a Timoteo ar . Gli suc ce dette Anacleto, 2 . dopo il quale, terzo a partire dagli apostoli, ottenne l'episcopato Clemente, che, e a quell'epoca non era il solo, aveva visto i beati apostoli, aveva avuto rapporti con loro, aveva ancora viva nel cuore la loro predicazione e aveva la tra dizione davanti agli occhi: allora, infatti, vivevano ancora molti di coloro che erano stati istruiti dagli apostoli. 3 . All'epoca del l'episcopato di Clemente, dunque, poiché si manifestò un gra ve contrasto tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai corinzi una lettera importantissima per rappacificarli e rinno vare la loro fede secondo la tradizione che essi avevano ricevu to di recente da parte degli apostoli». E poco dopo aggiunge: 4 . «All'anzidetto Clemente suc cesse Evaristo e ad Evaristo Alessandro; quindi, sesto a partire dagli apostoli, fu eletto Sisto, e dopo di lui Telesforo, che subì gloriosamente il martirio 5 6 ; poi Igino, quindi Pio, e dopo di lui Aniceto. Dopo che ad Aniceto succedette Sotero, ora, dodice simo a partire dagli apostoli, detiene la funzione episcopale Eleutero. 5. È secondo lo stesso ordine e lo stesso insegnamen to in cui sono giunte fino a noi sia la tradizione apostolica che la predicazione della verità» 57 .
ar
Cf. 2 Tm 4, 2 1 .
5 6 D rilievo dato al martirio d i Telesforo sembrerebbe far pensare che gli altri vescovi di Roma citati da Ireneo non lo abbiano subito. 5ì
Contro gli eretici, 3, 3 , 3 .
Libro V, 6- 7
2 69
7 . ANCORA A QUEI TEMPI ERANO COMPIUTI
DAI FEDELI PRODIGI STRAORDINARI
Ecco le cose che riferisce Ireneo, d'accordo con quanto da n oi in precedenza riferito, nei libri, cinque di numero, inti tolati Smascheramento e confutazione della falsa gnosi 58 e, nel secondo libro della stessa opera, egli annota come esistessero ancora a suoi tempi, in alcune Chiese, testimonianze della straordinaria potenza divina, dicendo: 2. «Sono talmente lonta ni dal risuscitare un morto, come fecero il Signore e gli aposto li mediante la preghiera 59, e come si è arrivati spesso anche tra i fratelli: in caso di necessità, quando tutta la Chiesa locale lo esigeva, mediante lunghi digiuni e preghiere, lo spirito del de funto ritornava e all'uomo era accordata la grazia per le pre ghiere dei santi» 6o. 3 . Dopo altre cose, aggiunge: «Ma se diranno che il Si gnore ha fatto simili cose solo apparentemente, dopo averli condotti ai libri dei profeti, dimostreremo in base ad essi che ogni cosa che lo riguarda è stata predetta e si è compiuta con certezza ·e che egli solo è il Figlio di Dio. I suoi veri discepoli pertanto, avendo ricevuto da lui la grazia, la praticano in suo nome per beneficare tutti gli altri uomini, come ciascuno la ha avuto in dono da lui as. 4. Alcuni, infatti, scacciano i demoni in dubbiamente e veramente, al punto tale che spesso anche que gli stessi che sono stati purificati dagli spiriti maligni credono e restano nella Chiesa. Altri hanno la prescienza del futuro, vil.
as
Cf. Ef 4, 7 .
58 L'op era è più comunemente nota col titolo Adversus Haereses, libri quinque (= Contro gli eretici) . Cf. G. Bosio - E. dal Covolo - M. Maritano, In troduzione ai Padri della Chiesa. Secoli II e III, Torino 1991, pp. 6 ss.
59 Eusebio ha omesso la parte finale della frase di Ireneo che suona al l'incirca: « [ .. .) che anch'essi non possano credere la cosa possibile». 60 Ibid. , 2, 3 1 , 2.
270
Storia ecclesiastica
sioni e parole profetiche; altri ancora guariscono gli ammalati mediante l'imposizione delle mani e li risanano; inoltre, come abbiamo detto in precedenza, sono stati risuscitati anche dei morti, che sono rimasti tra noi per diversi anni. Ma, a che sco po dilungarsi? 5. Non è possibile elencare il numero dei carismi che nel mondo intero la Chiesa, una volta ricevutili da Dio nel nome di Gesù Cristo, che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, ogni giorno utilizza per beneficare i pagani, senza ingannare nessu no e senza ricavarne alcun vantaggio: come li ha avuti in dono da Dio at, altrettanto gratuitamente li somministra» 6 1 . 6. E in un altro passo lo stesso Ireneo scrive: «Come ab biamo sentito dire, nella Chiesa vi sono anche molti fratelli che sorio dotati di carismi profetici e grazie allo Spirito parlano ogni tipo di lingua; inoltre, quando è utile, essi rendono mani festi i segreti degli uomini e spiegano i misteri di Dio» 62 . Queste cose per quanto riguarda la presenza dei diversi carismi che vi erano tra i nostri, che ne erano degni, fino all'e poca di cui ci stiamo occupando. 8. COME lRENEO RICORDA LE DIVINE SCRITTURE l . Giacché all'inizio di quest'opera, abbiamo promesso di riferire al momento opportuno le parole degli antichi presbite ri e scrittori ecclesiastici, mediante le quali essi hanno traman dato per iscritto le tradizioni loro pervenute sulle Scritture te stamentarie 63 e, dato che Ireneo fu uno di essi, riferiamo ades-
at
Cf. Mt 10, 8.
6 1 Contro gli eretici, 2, 32, 4. 62 Ibid., 5, 6, l . 63 Cf. supra, III, 3 , 3 . E strano che Eusebio annoveri Ireneo nel nume ,
ro «degli antichi presbiteri».
·
Libro V, 7-8
27 1
so le sue parole, 2 . innanzi tutto, quelle che riguardano i santi Vangeli, le quali dicono: «Matteo dunque, al tempo in cui Pie tro e Paolo predicavano a Roma e gettavano le fondamenta del la Chiesa, pubblicò tra gli ebrei, nella loro lingua, anche un Vangelo scritto. 3 . In seguito, dopo la loro morte, Marco, di scepolo e interprete di Pietro, ci ha trasmesso anch'egli per iscritto la predicazione di Pietro. Anche Luca, compagno di Paolo, espose in un libro il Vangelo predicato dall'apostolo. 4 . Infine Giovanni, discepolo del Signore, colui che riposò s ul suo petto a u , pubblicò anche egli il Vangelo, quando viveva ad Efe so, in Asia» 64 . 5 . Queste cose sono state riferite nel terzo libro dell'opera anzidetta dall'autore di cui stiamo parlando, mentre nel quinto libro così egli scrive a proposito dell'Apocalisse di Giovanni e del numero formato dal nome dell'Anticristo "'·: «Stando così le cose e poiché questo numero è indicato in tutte le copie dili genti ed antiche, e poiché lo testimoniano anche coloro che hanno avuto modo di conoscere Giovanni di persona, la ragio ne ci insegna che il numero del nome della bestia appare attra verso le lettere che vi sono contenute secondo la numerazione dei greci [. . ]» 65 . 6. E continuando dice ancora a proposito del nome: «Noi non rischiamo di pronunciarci con sicurezza sul nome dell'An ticristo. Se infatti fosse stato necessario annunciare chiaramen te in quest'epoca il suo nome, esso sarebbe stato detto da par te di chi ha anche visto la rivelazione: essa non è stata vista da molto tempo, infatti, ma quasi nella nostra generazione, verso la fine del regno di Domiziano» 66 , .
au
Cf. Gv 1 3 , 25 ; 2 1 , 20.
av
Cf. Ap 13, 1 8 .
Contro gli eretici, 3, l, l . 65 Contro gli eretici, 5, 3 0 , l . 6 6 Ibzd., 5, 30, 3 . Cf. supra, III, 18, 3 . 64
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7. Questo è quanto narra Ireneo a proposito dell'Apoca lisse. Egli ricorda poi anche la prima lettera di Giovanni, di cui riferisce diverse citazioni 67 ; allo stesso modo ricorda la prima lettera di Pietro 68. Inoltre non solo conosce, ma anche accet ta 69, il libro del Pastore, quando scrive: «Dice bene la Scrittura quando afferma: Credi prima di tutto che vi è un solo Dio, che ha creato e ordinato tutte le cose», e così via di seguito 70. 8. Egli fa uso anche di alcuni detti della Sapienza di Salomone, quando più o meno testualmente, dice: «La visione di Dio pro duce immortalità e l'immortalità fa stare vicino a Dio» 7 1 . Ri corda inoltre delle Memorie di un presbitero apostolico, il cui nome passa sotto silenzio e di cui riferisce le Esegesi delle divi ne Scritture 72. 9. Fa inoltre menzione di Giustino martire e di Ignazio, utilizzando testimonianze desunte anche dai loro scrit ti 73 e promette che è sua intenzione confutare gli scritti di Mar cione in un apposito trattato 7-l. 10. Per quanto riguarda la traduzione dei Settanta delle Scritture divinamente ispirate, ascolta quanto testualmente egli scrive: «Dio, dunque, divenne uomo e il Signore stesso ci salvò, dandoci il segno della Vergine, ma non come dicono alcuni che oggi hanno l'ardire di tradurre la Scrittura: Ecco la giovane con cepirà e partorirà un figlio aw 75 , come hanno tradotto Teodozio ne di Efeso ed Aquila del Ponto, entrambi proseliti giudei, aw
Is 7, 14.
67 lbid., 3, 1 6, 5 (= l Gv 2 , 1 8-22 ) ; 3, 1 6, 8 (= l Gv 4, 1-3; 5 , 1 ) . 68 lbid., 4; 9, 2; 5, 7 , 2 ( 2 Pt l , 8) ; 4, 16, 5 ( l Pt 2, 16) . =
=
69 Vale a dire che Ireneo considera nel numero degli scritti ispirati. 70 Contro gli eretici, 4, 20, 2 (= Il Pastore di Erma, Primo precetto, 26, 1 ) . 7 1 lbid., 4 , 38 , 3 ( Sap 6 , 19) . 72 lbid. , 4 , 27, 1 -2 ; 28, l ; 30, l ; 32 , l . 73 lbid., 4, 6, 2; 5, 18, 4. Cf. supra, IV, 18, 9; III, 36, 12. =
74 75
lbid.,
l , 27 , 4.
Cf. Giustino, Dialogo con Trz/one, 47 , l .
Libro V, 8
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conformandosi ai quali gli ebioniti sostengono che egli fu ge nerato da Giuseppe» 7 6 . 1 1 . Poco dopo a queste cose aggiunge: «Infatti prima che i romani fondassero il loro impero, quando ancora i macedoni possedevano l'Asia, Tolomeo n, figlio di Lago, desideroso co me era di arricchire mediante le più importanti opere di tutti gli uomini la biblioteca che aveva fondato ad Alessandria ì8, chie se agli abitanti di Gerusalemme di poter avere le loro Scritture tradotte in lingua greca. 12 . Allora essi, che a quel tempo era no ancora sotto il dominio dei macedoni, mandarono a Tolo meo settanta anziani, i più dotti tra loro nelle Scritture e in en trambe le lingue: in tal modo Dio fece ciò che voleva . 1 3 . Vo lendo Tolomeo mettere alla prova la loro abilità singolarmente e temendo che, messi tutti insieme, potessero con la loro tra duzione nascondere la verità contenuta nelle Scritture, dopo averli fatti separare gli uni dagli altri, comandò a tutti di scrive re la propria traduzione, e ciò fece per tutti i libri. 1 4 . Ma, al lorquando si riunirono insieme presso Tolomeo e raffrontarono l'un l' altro la propria traduzione, Dio fu glorificato e si dovette ammettere che le Scritture erano veramente divine, poiché tut ti, dall'inizio fino alla fine, avevano espresso gli stessi concetti con le stesse parole e gli stessi nomi, di modo che anche i pa gani presenti sperhnentarono che le Scritture erano state tra dotte sotto l'ispirazione divina 79. 15 . E non c'è niente di pro-
7 6 Contro gli eretici, 3, 2 1 , l. I Settanta, in luogo del termine neanfs (gio vane) di Teodozione ed Aquila (per i quali cf. in/ra, n. 79) , usano il tennine
pdrtenos (vergine) . 77 Si tratta di Tolomeo I Sotere, generale di Alessandro che, dopo aver ottenuto la satrapia d'Egitto (323 a.C.), ne divenne re dal 304. 7 8 Fu la più antica e ricca biblioteca del mondo antico; fondata da To lomeo I, fu ampliata ed arricchita successivamente dal figlio e successore di costui, Tolomeo II Filadelfo (285-247 a.C. ) . 7 9 Il racconto di E u sebio si fonda sulla Lettera di Aristea a Filocrate, un apocrifo che probabilmente risale all 'inizio del II sec. a.C. In essa si narra che,
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digioso in ciò che Dio operò, poiché, anche quando le Scrittu re andarono distrutte durante la cattività del popolo ebraico sotto Nabucodonosor, e i giudei poterono ritornare nella loro terra dopo settant'anni, più tardi, al tempo di Artaserse re dei persiani, Dio ispirò a Esdra, sacerdote della tribù di Levi ax, di riscrivere a memoria tutti i detti dei profeti del passato e di ri costruire per il popolo la Legge data per mezzo di Mosè» 8o . Ecco ciò che scrive Ireneo. 9 . l VESCOVI AL TEMPO DI COMMODO l . Antonino governò per diciannove anni e alla sua morte assunse il potere Commodo 81 ; nel corso del suo primo anno di regno, Giuliano ottenne l'episcopato delle Chiese di Alessan dria, ministero che Agrippina aveva esercitato per dodici anni.
ax
Cf. Ne 8, 1 - 1 2 .
s u suggerimento del filosofo Demetrio Falereo, Tolomeo I I chiese al sommo sacerdote Eleazaro la traduzione in lingua greca della Legge mosaica, deside roso come era di averne una copia nella biblioteca di Alessandria. A questo scopo furono inviati ad Alessandria d'Egitto settantadue dotti ebrei che, nel lo spazio di 72 giorni, portarono a termine il lavoro: pur traducendo ciascu no di loro separatamente, tutti produssero, prodigiosamente, la stessa versio ne. È fuori discussione il carattere leggendario della lettera, ma ad essa va ri conosciuto un indubitabile fondo storico, in quanto la versione dei Settanta fu senza dubbio tradotta in Egitto, probabilmente ad Alessandria, per venire incontro alle legittime esigenze degli ebrei di lingua greca della diaspora che non conoscevano più la lingua dei padri. Il processo durò più di un secolo e fu completato solo pochi anni prima dell'inizio dell'era cristiana. Oltre a que sta versione si ricorda quella di Aquila di Sinope, del I sec. d.C., con le revi sioni compiute nell a seconda metà del secolo successivo da Teodozione di Efeso e da Simmaco. 80 Contro gli eretici, 3, 2 1 , 2 . 81 Marco Aurelio, che s i spense il 17 marzo del 1 80, aveva già associa
to a sé nella direzione dell'impero fin dal 177 il figlio, che as sun se il nome di Cesare Marco Aurelio Commodo Antonino Augusto.
Libro V, 8-1 0
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10. IL FILOSOFO PANTENO l . A quel tempo, un uomo assai famoso per la sua cultura, di nome Panteno 82 , dirigeva la scuola dei fedeli di quella città 83 , dato che secondo un antico costume esisteva presso di loro una scuola di dottrina sacra. Questa scuola esiste ancora oggi e abbiamo notizia che essa è nelle mani di uomini abili nel la parola e nello studio delle cose divine 84 . Il Panteno di cui stiamo parlando, e che proveniva dalla scuola di quei filosofi chiamati Stoici, si dice che fosse tra i più famosi di quel tempo. 2 . Narrano dunque che egli diede prova di un tale ardore e una fervidissima disposizione nei confronti della parola divina che fu indicato, egli che giunse fino al paese degli indiani, come araldo del Vangelo di Cristo alle nazioni orientali. C'erano in effetti, sì, c'erano ancora a quei tempi, molti evangelisti della parola, che imitavano in ogni modo il fervore divino degli apo stoli nell'estendere ed edificare la parola divina. 3 . Anche Pan teno fu uno di loro e dicono che si recò tra gli indiani, dove, stando a quello che riferisce la tradizione, dalla testimonianza di alcuni del luogo, che avevano imparato a conoscere Cristo, scoprì che il Vangelo secondo Matteo aveva preceduto la sua
82 Assai scarse le notizie che possediamo di questo personaggio che sot to Commodo ( 1 80- 1 92) diresse la scuola catechetica di Alessandria e che eb be come discepolo e successore Clemente alessandrino, che di lui ha scritto <>, II serie, 1 942, pp. 80- 1 09; C. Guasco, La scuola di Clemente alessandrino, in «Sophia», XXVI, 1 958, pp. 1 15-1 17). 84 Eusebio non sembra bene informato sulla scuola di Alessandrià, ne sono un segno evidente le sue espressioni troppo generiche che non ci aiuta no a cogliere il senso delle sue allusioni. Per le espressioni che egli usa cf. Le 24, 19; At 7, 22.
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venuta: tra essi, infatti, aveva predicato Bartolomeo, uno degli apostoli, e aveva lasciato loro l'opera di Matteo , scritta in ebrai co, che essi avevano conservato fino all'epoca di cui stiamo par lando. 4 . In ogni caso, dopo aver condotto a termine numero se iniziative, Panteno diresse infine la scuola di Alessandria, in terpretando oralmente e mediante gli scritti i tesori dei dogmi divini. 1 1 . CLEMENTE ALESSANDRINO l . A quel tempo studiava le divine Scritture ed era celebre ad Alessandria, Clemente 85 , omonimo del discepolo degli apo stoli che aveva guidato un tempo la Chiesa dei romani. 2 . In uno scritto che egli compose, le Ipotiposi, egli ricorda per no me come suo maestro Panteno e mi pare che alluda a costui an che nel primo libro degli Stromati, quando, nel designare i rap presentanti più illustri della successione apostolica che ricevet te 86 , si esprime così: 3 . «Quest'opera non è uno scritto com posto a regola d'arte per ostentazione, ma sono da considerare annotazioni da me raccolte per la mia vecchiaia, un rimedio contro l'oblio, un semplice riflesso, un'ombra di quelle parole luminose e vive, che io fui ritenuto degno di ascoltare, di que gli uomini beati e veramente meritevoli di stima. 4. Uno di que sti, ionico, viveva in Grecia, un altro in Magna Grecia (il primo proveniva dalla Celesiria 87 , l'altro dall'Egitto) ; poi altri in 85 Sull'opera e la figura di Clemente Alessandrino cf. M. Mees, Cle mente di Alessandria, in Dizionario patristico e di antichità cristiana, l, Casale Monferrato 1 983 , pp. 706-7 12; G. Bosio - E. dal Covolo - M. Maritano, In troduzione ai Padri della Chiesa. Secoli II e III, cit., pp. 237-257 .
86 L' espressione di Eusebio è inesatta in quanto né Clemente, né Pan teno furono vescovi. 87 Si tratta di una delle due province (la Syria Coele, con capitale Lao dicea) in cui Settimio Severo divise la Siria (l'altra era la Syria Phoenice, con
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oriente: uno in Assiria e un altro in Palestina, ebreo d'origine 88. Quando infine m'imbattei nell'ultimo, ma senza dubbio era il primo per virtù, trovai riposo: lo avevo rintracciato in Egitto, dove si nascondeva [. . .] 5. Ora questi maestri conservarono la vera tradizione 89 della beata dottrina che avevano ricevuto di rettamente dai santi apostoli Pietro e Giacomo, Giovanni e Paolo, e tramandata di padre in figlio (ma sono pochi quelli che somigliano ai padri 90 ) , e sono giunti, grazie a Dio, anche a noi, per depositare in noi quei preziosi semi dei loro antenati e degli apostoli 91». 12. l VESCOVI DI GERUSALEMME l . A quell'epoca era assai noto , ed è famoso ancor oggi tra molti, Narciso, vescovo della Chiesa di Gerusalemme, quindi cesimo nella successione episcopale dall'assedio dei giudei al tempo di Adriano, da quando, come abbiamo raccontato in precedenza, la Chiesa locale fu composta di gentili, dopo es serlo stata dei circoncisi e, tra questi gentili, il primo vescovo a guidarla fu Marco 92 . 2. Dopo di lui le successioni dei vescovi locali comprendono Cassiano, e dopo di lui Publio e Massimo, quindi Giuliano, Gaio e Simmaco, un altro Gaio e di nuovo un altro Giuliano, poi Capitone; dopo costoro 93 Valente e Doli-
capitale Emesa) dopo aver represso le rivolte di Pescennio Nigro e di Clodio Albino. 88 Il riferimento è a Panteno ( cf. supra, V, 1 0 , l e n. 82) . 8 9 S ul termine parddosis cf. Clemente Alessandrino, Gli Stromati, a cura di G. Pini, Torino 1985 , p. 72, n. 54. 90 Cf. Odissea, II, 276. 9 1 Clemente Alessandrino, Stromati, l, l, 1 1 , 1 -3 . 92 Cf. supra, IV, 6 , 4. 93 Diversa la successione dei vescovi di Gerusalemme che Eusebio for ·
nisce altrove (cf. Cronaca, anno 1 60; anno 1 85) ; nella presente circostanza tra
Capitone e Valente mancano i nomi di Massimo e Antonino.
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chiano; dopo tutti costoro Narciso, il trentesimo a partire dagli apostoli secondo la regolare successione dei vescovi. 13 . RODONE E I CONTRASTI FRA I MARCIONITI CHE EGLI RICORDA l. A quel tempo anche Rodone, originario dell'Asia, stan do a quanto egli stesso racconta, fu a Roma discepolo di Tazia no, personaggio che abbiamo di già conosciuto nelle pagine precedenti 94. Egli scrisse diversi libri, tra gli altri anche uno in cui si scagliò contro l'eresia di Marcione. Egli ci informa che ai suoi tempi essa si era divisa in varie sette e, dopo aver riferito i nomi degli ideatori di tali divergenze, controbatte con accura tezza le false dottrine inventate da ciascuno di loro. 2 . Ascoltia mo dunque ciò che egli scrive: «Ecco il motivo per cui sono in disaccordo tra loro e sostengono una dottrina priva di fonda mento. Apelle, uno del loro gregge, infatti, lodato per il suo modo di comportarsi e per la sua vecchiaia, professa un solo principio, ma poi, convinto dalle dichiarazioni di una vergine indemoniata di nome Filomena, afferma che le profezie pro vengono da uno spirito avverso. 3 . Altri, come [Marcione] 95 in persona, il nocchiero, introducono due princìpi: fra questi ulti mi sono da annoverare Potito e Basilico. 4. Essi, dopo aver se guito il lupo del Ponto 9 6 , non essendo riusciti a trovare, come del resto non vi riuscì lui, la divisione delle cose, fecero ricorso ad una facile soluzione e affermarono, semplicemente e senza dimostrarla, l'esistenza di due princìpi. Altri ancora, poi, di94 Cf. supra, IV, 1 6, 7; 29. 95 Inspiegabilmente il nome di Marcione, attestato da tutta la tradizio ne manoscritta, è omesso dallo Schwartz. 96 L' appellativo di <
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scostatisi da costoro per rivolgersi ad una soluzione anche peg giore, hanno ipotizzato l'esistenza non solo di due, ma persino di tre nature. n loro capo e maestro, a quanto affermano gli stessi seguaci della scuola, è Sinero». 5 . Lo stesso autore [Rodone] scrive come disputò con Apelle, dicendo: «Il vecchio Apelle, infatti, quando ci incon trava, fu sorpreso a dire molte assurdità. Di conseguenza era anche solito dichiarare che non era necessario esaminare a fon do le parole, ma che ognuno doveva restare saldo in ciò che credeva. Egli affermava, infatti, che coloro che avevano riposto la propria speranza nel Crocifisso si sarebbero salvati, a condi zione che fossero trovati a fare del bene. Infine proclamava che per lui la questione più oscura di tutte era, come abbiamo già detto, quella riguardante Dio. Sosteneva, infatti, che, secondo la nostra dottrina, esiste un solo principio 97». 6. Successivamente, dopo aver esposto tutto il pensiero di Apelle, Rodone aggiunge: «Quando gli chiesi: "Da dove dedu ci questa tua prova, o come puoi proclamare un solo principio? Diccelo " , egli rispose che le profezie, dato che non dicono nul la di vero, si confutano da sole: esse sono, in effetti, contrad dittorie, menzognere e incoerenti. Quanto poi al fatto che esi sta un unico principio, affermava di non esserne certo, ma sol tanto di crederlo così, istintivamente. 7. Poi, dato che io lo pre gai di non mentire, giurò di aff�rmare la verità quando affer mava di non sapere come vi fosse un solo Dio increato, ma che questo era ciò che credeva. Da parte mia, ridendo, io lo rim proverai dato che, mentre pretendeva di essere un maestro, non era in grado di dimostrare le cose che insegnava». 8. Successivamente, nella stessa opera, Rodone si rivolge a Callistione e ammette di essere stato a Roma discepolo di Ta ziano. Afferma altresì che da quest'ultimo fu composto un libro
97 La frase non è molto chiara, forse addirittura incompleta.
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di Problemi: in esso Taziano prometteva di esporre quanto di ambiguo e velato c'era nelle divine Scritture, dal canto suo egli stesso affermava che avrebbe descritto in un'opera appropriata le soluzioni dei problemi di Taziano. Di questo stesso perso naggio infine si conserva un commento all'Hexameron . 9. Per quanto riguarda Apelle, egli affermò innumerevoli empietà contro la Legge di Mosè, dato che in numerosissime opere ol traggiò le parole divine, a quanto sembra, dopo averle esami nate attentamente per confutarle e sovvertirle. E su questi ar gomenti basti quanto ho detto. 14. I
fALSI PROFETI CATAFRIGI
l . In quanto sommamente nemico del bene e fautore del male, l' avversario della Chiesa di Dio, non avendo in nessun modo trascurato alcun genere di insidia contro gli uomini, fece in inodo di far sorgere ancora contro la Chiesa eresie straniere. Tra gli eretici, alcuni come serpenti velenosi strisciavano attra verso l'Asia e la Frigia, esaltando Montano come paradeto e le donne del suo seguito, Priscilla e Massimilla, come se fossero profetesse di Montano.
15 . Lo
A ROMA BLASTO
SCISMA AVVENUTO
AL
TEMPO DI
l . A Roma fiorirono altri eretici: li guidava Fiorino, un presbitero che si era staccato dalla Chiesa, e con lui Blasto, che era precipitato in una simile rovina. Costoro, dopo aver fatto al lontanare molti dalla Chiesa, li attirarono nella loro trappola, tentando, ciascuno di loro separatamente, di apportare falsifi cazioni alla verità.
Libro V, 13- 1 6
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16. Crò CHE S I RICORDA D I MONTANO E DEI FALSI PROFETI CHE ERANO INTORNO A LUI l . Contro la cosiddetta eresia dei catafrigi 98, la potenza protettrice della verità suscitò a Hierapolis un'arma potente e invincibile, Apollinare, personaggio di cui s'è fatta già menzio ne in quest'opera 99, e insieme con lui diversi altri personaggi colti del tempo, dai quali ci è stato trasmesso ampio materiale storico. 2 . Uno degli uomini anzidetti 1 00, all'inizio del trattato che egli scrisse contro gli eretici, chiarisce di avere preso parte anche a dispute contro di loro. Dà inizio al suo discorso in que sto modo: 3 . «Da lungo e assai considerevole tempo, o caro Avircio Marcello 1 0 1 , mi è stato da te ordinato di scrivere un'o pera contro l a setta di coloro che sono chiamati sostenitori di Milziade 1 02. Tuttavia fino ad oggi sono stato piuttosto esitante, non a motivo della mia incapacità nel respingere la menzogna e rendere testimonianza alla ve rit à m a p oi ché temevo ed evitavo di poter dare l'impressione a qualcuno che io volessi aggiunge re o imporre qualcosa alla parola del Nuovo Testamento del Vangelo: ad essa, infatti, non può aggiungere o sottrarre nulla "Y ,
"Y
Cf. Ap 22 , 18-19.
98 Furono così chiamati i seguaci del montanismo (hoi katà Frtlgas) in quanto la setta vide la luce in Frigia, intorno al 172 d.C. 99 Cf. supra, IV, 27. 1 00 Nel silenzio di Eusebio il nome di questo autore antimontanista re sta sconosciuto: di certo si può solo dire che l'autore scrive 14 anni dopo la morte di Massimilla , doveva essere vescovo e la sua opera era divisa in tre li bri. Secondo Girolamo (cf. Gli uomini illustri, 39) si tratta di Rodone: «Mil ziade, che Rodone menziona nella sua opera composta Contro Montano, Pri sca e Massimi/la [. . ]». Rufino, nella sua traduzione latina dell'opera di Euse bio, attribuisce il frammento ad Apollinare di Hierapolis. 1 o 1 ll personaggio in questione è stato spesso identificato con Abercio, vescovo di Hierapolis di Frigia, di cui si conserva un'epigrafe sicuramente an teriore al 2 1 6; l'opera dell'anonimo è s tat a redatta intorno al 193 . 1 02 Cf. supra, V, 3 , 4. .
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chi ha scelto di condurre la sua vita secondo il Vangelo. 4 . Tut tavia, dato che di recente sono andato ad Ancyra 1 03 , in Gala zia, ed avendo trovato la Chiesa locale frastornata da questa nuova, non, come essi la chiamano, profezia, ma piuttosto pseudoprofezia, come sarà dimostrato, per quanto possibile, con l'aiuto del Signore, per numerosi giorni ragionammo inin terrottamente nella Chiesa su loro stessi e sulle affermazioni che essi facevano, al punto che la Chiesa se ne rallegrò e fu for tificata nella verità: quanto agli avversari, essi furono, almeno per il momento, battuti e i nostri nemici rattristati. 5 . Allor quando alla presenza del nostro compagno presbitero Zotico di Otris 104 , i presbiteri del luogo ci chiesero di lasciare un memo riale di ciò che era stato detto contro coloro che si contrappo nevano alla parola della verità, noi non lo facemmo; tuttavia promettemmo che, dopo averlo scritto qui, se Dio ce lo avesse concesso, glielo avremmo inviato al più presto». 6. Dopo aver detto queste cose ed altre ancora all'inizio della sua opera, riferisce in questo modo l'origine dell'eresia nominata in precedenza: «La loro attuale opposizione e la re cente eresia dello scisma che li allontana dalla Chiesa ebbero la seguente causa. 7. C'è, si dice, in Misia, al confine con la Frigia, un villaggio chiamato Ardabau 1 05 : qui, al tempo in cui Grato era proconsole d'Asia 1 06 , dicono che per la prima volta uno dei nuovi credenti di nome Montano, a motivo dello smisurato de siderio della sua anima di primeggiare, avendo permesso all' av versario di penetrare in lui, fu infiammato dallo spirito [del ma103 Si tratta dell'odierna Ankara. 104 Otris è città della Frigia, di cui Zotico sembra sia stato vescovo. 105 La scarsa importanza della località non permette di identificarla con esattezza. 1 06 Sconosciuta la data del proconsolato di Grato. Quanto alla data del la prima manifestazione del montanismo, a giudizio dello stesso Eusebio (cf. Cronaca) è da far risalire o al 173 (traduzione armena) o al 17 1 (traduzione la tina) .
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16
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le] e, divenuto all'improvviso un ossesso e preso da una falsa estasi, cominciò a parlare e a pronunziare parole straniere, fa cendo profezie del tutto opposte a quelle solitamente traman date dalla tradizione e dalla successione della Chiesa fin dall'i nizio. 8. Tra coloro che ascoltarono allora quegli ingannevoli di scorsi, alcuni, importunati da lui come da un energumeno, un indemoniato e uno posseduto dallo spirito d'errore e che mo lestava le folle, lo criticarono e gli impedirono di parlare, dato che si ricordarono della testimonianza del Signore e della sua esortazione a stare in guardia attentamente nei confronti della venuta dei falsi profeti az. Altri, al contrario, come esaltati dallo Spirito Santo e da un carisma profetico, ma soprattutto pieni d'orgoglio e dimentichi della testimonianza del Signore, inco raggiarono quello spirito insensato, lusingatore e impostore, in quanto erano ammaliati e indotti in errore da lui al punto che non lo si poteva obbligare a tacere. 9. Con un'arte, o piuttosto, con un tale artificio di arte ingannevole, il diavolo, dopo aver architettato la dannazione dei disubbidienti, indegnamente onorato da essi, stimolò ed infiammò la loro mente, ormai ino perosa nei confronti della vera fede, al punto che istigò altre due donne e le riempì dello spirito corrotto, tanto che esse co minciarono a parlare in maniera dissennata, sconveniente e strana, come il Montano di cui stiamo parlando. Questo spiri to proclamava beati coloro che si rallegravano di lui e ne anda vano fieri e li esaltava con la potenza delle sue promesse; altre volte, tuttavia, li rimproverava giustamente e in maniera degna di fede, in modo da sembrare capace di confutare (pochi, tut tavia, furono i frigi che si lasciarono ingannare) . 1 0 . Allorquan do, però, lo spirito impudente insegnò loro anche ad oltraggia re l'intera Chiesa, che si diffonde sotto il cielo, per il fatto che il falso spirito profetico non aveva né onore né accesso presso az
Mt 7, 15 .
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di lei (i fedeli dell'Asia, infatti, dopo essersi riuniti per questo motivo più volte e in più luoghi della provincia, e dopo aver esaminato le recenti dottrine e averle dichiarate sacrileghe, condannarono quell'eresia) , allora cacciarono i montanisti fuo ri dalla Chiesa e li esclusero dalla comunione 1 07 ». 1 1 . Queste sono le cose che egli inizialmente racconta, poi, nel corso dell'opera, nel secondo libro, continuando la confu tazione del loro errore, a proposito della morte dei suddetti personaggi, così si esprime: 1 2 . «Dal momento che ci hanno chiamati anche assassini di profeti, poiché non abbiamo accol to i loro ciarlieri veggenti (essi affermano, infatti, che sono quel li che il Signore promise di inviare al popolo) b a , al cospetto di Dio ci rispondano: c'è forse qualcuno, amici, tra quelli che co minciarono a parlare al seguito di Montano e di quelle donne, che è stato perseguitato da giudei o ucciso da malviventi? Nes suno 108 _ O forse qualcuno di loro è stato catturato e crocifisso per il nome 109? Nessuno. Allo stesso modo qualcuna di quelle donne fu mai frustata o lapidata nelle sinagoghe dei giudei bb? 13 . Assolutamente mai. Di tutt'altra morte, si dice, perirono Montano e Massimilla. Si narra, infatti, che essi, incitati da uno spirito che sconvolge la ragione, s'impiccarono entrambi, ma non insieme, e vi fu molto scalpore a quel tempo sulla fine di entrambi e sul fatto che siano morti così, dandosi la morte co me il traditore Giuda. 1 4 . Allo stesso modo corre anche voce che un certo Teodoto, il primo, ammirevole amministratore u o b a Cf. Gv 14, 26.
bb Cf. Mt 23 , 34.
l 07 ' Stando alle nostre attuali conoscenze, è impossibile stabilire se tali decisioni furono p rese in veri e propri sinodi. 1 08 I.: affermazione è in contrasto con quanto si affermerà più avanti ai capp. 20-22 , dove si ammette l'esistenza di martiri marcioniti e di altre eresie. 1 09 Evidentemente per il nome di Cristo. 1 1 0 Non conosciamo l'aspetto organizzativo del montanismo e tuttavia è da pensare che Teodoto si occupasse della cassa della comunità. Quanto al-
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di quella che essi chiamano la loro profezia, un giorno fu solle vato da terra ed elevato al cielo: andò in estasi e si affidò allo spirito dell'errore, ma, scaraventato a terra, morì miseramente: si dice almeno che le cose siano andate in questo modo 1 1 1 . 1 5 . Tuttavia, poiché noi non abbiamo visto i fatti, o carissimo, non riteniamo di saperne qualcosa; infatti Montano, Teodoto e la donna anzidetta forse morirono così, ma forse no». 1 6 . Nello stesso libro, inoltre, egli sostiene che i santi ve scovi di allora cercarono di respingere lo spirito che era in Mas similla, ma furono intralciati dagli altri, evidentemente compli ci dello spirito. 1 7 . Egli scrive così: «E nella stessa opera, se condo Asterio Urbano J 1 2 , lo spirito che parla per mezzo di Massimilla non dica: "Come un lupo sono tenuto lontano dal le pecore, ma io non sono un lupo: sono parola, spirito, poten za" , ma mostri con chiarezza la potenza che c'è nello spirito, la provi; per mezzo dello spirito costringa quelli che erano allora presenti a riconoscerlo mediante lo spirito per interrogarlo e per discutere con lo spirito mentre parlava: uomini rispettati e vescovi, Zotico di Comana 1 1 3 e Giuliano di Apamea 1 14 , ai qua li i compagni di Temisone 1 1 5 non permisero, proprio perché tapparono loro la bocca, di confutare lo spirito fallace e ingan natore». la sua morte, può essere accostata a quella di Simon Mago (cf. Atti di Pietro, 3 9) . 1 11 L' anonimo autore, pur non garantendone la veridicità, riferisce le tradizioni intorno all a morte di Montano e Massimilla : da notare il paralleli smo, peraltro volutamente rimarcato, con la morte del traditore Giuda. 1 12 n personaggio è sconosciuto: sembra tuttavia si tratti del compila tore degli oracoli attribuiti a Montano e ai suoi seguaci. Da notare che l'ano nimo si serve della stessa formula usata tradizionalmente per indicare i van geli (ad esempio, vangelo secondo Matteo) . l l 3 Non sappiamo di che città si tratti: non identificabile né con quella del Ponto, né con l'altra in Cappadocia, sembra sia da localizzare in Panfilia. 1 1 4 Si tratta di Apamea di Frigia, sul fiume Meandro, una delle princi pali città commerciali dell'Asia. 1 1 5 Su Temisone cf. in/ra, 18, 5 .
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1 8 . Sempre nello stesso libro, dopo aver detto altre cose per controbattere le false profezie di Massimilla, contempora neamente indica il tempo in cui egli scrisse queste cose, e ri corda le predizioni mediante le quali la veggente profetizzava che vi sarebbero state guerre e sconvolgimenti be. Egli denuncia la loro falsità quando dice: 19. «Non è forse ormai chiaro che anche questa è una menzogna? Fino ad oggi, infatti, sono tra scorsi più di tredici anni da quando è morta la donna, e nel mondo non c'è stata alcuna guerra né parziale né generale, ma anzi, grazie alla misericordia di Dio, c'è stata una pace duratu ra anche per i cristiani 1 1 6». 20. Anche quest'affermazione è stata tratta dal secondo li bro. Dal terzo riporterò brevi passi, nei quali l'autore a quanti si gloriavano che anche molti dei loro avessero subìto il martirio dice queste cose: «Quando, confutati in tutte le cose che sosten gono, sono in imbarazzo, cercano di sfuggire facendo ricorso ai martiri, assicurano che ne hanno molti e sostengono che questa è una prova autentica della potenza dello spirito che essi chia mano profetico. Ma, a quanto pare, non c'è nulla di più falso. 2 1 . Anche alcune altre eresie, infatti, hanno numerosi martiri, eppu re non per questo motivo noi saremo d'accordo con loro, né ri conosceremo che esse possiedono la verità. Primi tra tutti i se guaci dell'eresia di Marcione, che sono chiamati marcioniti m , sostengono di avere un grande numero di martiri di Cristo, ma poi non riconoscono neppure Cristo stesso secondo verità». be
Cf. Le 2 1 , 9.
1 1 6 Questa indicazione temporale potrebbe essere utile per la datazio
ne dello scritto dell'anonimo e della morte di Massimilla se si riuscisse a iden tificare con certezza questo periodo di pace durato tredici o più anni, di cui hanno goduto anche i cristiani. Abitualmente si pensa al regno di Commodo, e quindi all 'incirca agli anni 1 80- 1 93 . 1 1 7 Per la verità alcuni mss. registrano «marcianiti»; sembra tuttavia che . si possa affermare con sicurezza che la forma «marcioniti>> sia più antica e perciò da preferire all'altra.
Libro V, 1 6- 1 7
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E poco dopo, prosegue dicendo: 22. «Perciò, quando i membri della Chiesa, chiamati alla testimonianza della loro fe de secondo verità, si vengono a trovare per caso accanto ad al cuni dei cosiddetti martiri dell'eresia dei frigi, se ne allontana no e muoiono senza comunicare con loro, dato che non voglio no dare il loro consenso allo spirito di Montano e delle sue donne 1 18 . E che ciò sia vero lo dimostra quanto è accaduto an cora ai nostri tempi ad Apamea sul Meandro tra coloro che hanno subìto il martirio insieme a Gaio e ad Alessandro d'Eu menia».
17.
MILZIADE
E L E OPERE
CHE COMPOSE
l . In quest'opera egli ricorda anche uno scrittore, Milzia de 1 1 9 , poiché anch'egli compose un trattato contro l'anzidetta eresia. Dopo aver riferito alcune affermazioni di questi eretici, prosegue dicendo: «Rinvenni queste notizie in un loro scritto nel quale essi confutavano l'opera del fratello Milziade 12 o , che in essa dimostra che un profeta non parla quando è in estasi, e ne feci un estratto». 2. Un po' più in là, nella stessa opera elenca quanti hanno profetizzato secondo il Nuovo Testamento e tra essi annovera un certo Ammia 1 2 1 e Quadrato 1 22 , dicendo: «Ma il falso pro-
1 18 Cf. supra, V, 16, 12. 1 19 Non sappiamo chi sia questo sconosciuto scrittore che polemizza contro il montanismo. 1 20 In luogo del nome Milziade, i mss. greci e quello siriaco registrano «Alcibiade». Rufino, nella sua traduzione latina, omette integralmente la ci tazione. Solo il copista di Parisinus 143 6 registra il nome di «Milziade», che dovrebbe in ogni caso essere la lezione autentica. 12 1 Questo personaggio, nativo di Filadelfia, città situata in Lidia, non ci è noto da altre fonti. 122 Potrebbe trattarsi dell'omonimo apologista.
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feta in un falsa estasi, che è accompagnata da sfrontatezza e te merità, mentre comincia da un'ignoranza volontaria, termina poi, come si è già detto, in un delirio involontario dell'anima. 3 . Ma essi non saranno in grado di segnalare alcun profeta, né del l' Antico né del Nuovo Testamento, che sia stato ripieno dello Spirito in questo modo; non potranno vantare né Agabo bd , né Giuda be , né Sila bf, né le figlie di Filippo bg, né Ammia di Fila delfia, né Quadrato, né altri, perché non hanno assolutamente alcun rapporto con loro». 4 . Dopo un po' aggiunge di nuovo: «S e, infatti, a quanto essi sostengono, dopo Quadrato e Ammia di Filadelfia, le se guaci di Montano hanno ereditato il carisma profetico , mo strino chi tra i discepoli di Montano e delle sue donne, lo ha ereditato da loro. L'Apostolo, infatti, ritiene che il carisma profetico debba perdurare in tutta la Chiesa fino alla venuta finale bh. Tuttavia, pur essendo trascorsi quattordici anni dal la morte di Massimilla, essi non sono in grado di indicare nes suno» . 5 . Ecco quanto dice questo scrittore. Quanto al Milziade di cui egli parla, costui ci ha lasciato altri ricordi della particolare attenzione che egli ebbe nei confronti degli oracoli divini nei li bri che egli compose Contro i greci e in quelli Contro i giudei: egli ha trattato separatamente ciascun argomento in due libri 1 23 .
bd Cf. At 1 1 , 27-30; 2 1 , 1 0- 1 1 . 22.27.32; 18, 5 (cf. 2 Cor l , 19; l Ts l , l ) . Ef 4 , l l ss; l Cor l , 7 .
bf At 15, At 15, 22.27.32. bh Cf. bg Cf. At 8, 5 ; 2 1 , 8-9.
be
123 Di questo personaggio, vissuto in Asia Minore nel Il sec., sappiamo assai poco: le sue opere sono andate perdute e in pratica le uniche notizie in nostro possesso sono quelle che ci forniscono Eusebio (cf. infra, 28, 4) e Ter tulliano (cf. Contro i valentiniani, 5 ) .
Lzbro V, 1 7- 1 8
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Inoltre, per i prìncipi di questo mondo 12 4 , egli ha scritto un'a pologia in difesa della filosofia che egli seguiva 125 .
1 8 . CONFUTAZIONI DI APOLLONIO NEI CONFRONTI DEI CATAFRIGI E COLORO DI CUI FA .NIENZIONE l . Anche Apollonia, scrittore ecclesiastico, si dedicò a una confutazione dell'eresia chiamata catafrigia, che era ancora dif fusa a quel tempo nella Frigia 1 26, Contro i catafrigi egli scrisse un'opera particolare nella quale rettificò, una dopo l'altra, le false profezie che essi presentavano e rivelò anche che tipo di vita conducevano i capi dell'eresia. Ascoltate ciò che egli dice testualmente su Montano: 2. «Ma chi sia questo nuovo mae stro , lo mostrano le sue opere e il suo insegnamento. È costui che ha insegnato a sciogliere i matrimoni 12 7 , che ha dettato nor me sui digiuni 128 , che ha chiamato Gerusalemme Pepuzia e Ti mio (che sono piccoli centri della Frigia) 12 9 , volendo riunire lì persone provenienti da ogni parte; è costui che ha designato esattori di denaro, che ha ideato l'accettazione di doni sotto il nome di offerte e che ha assegnato salari a coloro che divulga no la sua dottrina, affinché l'insegnamento della sua dottrina
1 24 Dovrebbe trattarsi degl i imperatori Antonino Pio e Mar co Aurelio ( 147- 1 6 1 ) o Marco Aurelio e Lucio Vero ( 1 6 1 - 1 69), piuttosto che di Marco Aurelio e Commodo ( 176-179). 125 E videntemente la condotta di vita cristiana. 1 2 6 Anche per questo scrittore, fiorito probabilmente sotto gli impera tori Commodo e Severo, l'unica fonte in nostro possesso è Eusebio, cui si rifà anche Gerolamo (cf. Gli uomini illustri, 40) . , 12 7 Sul matrimonio e la continenza presso i seguaci di Montano la fon te principale rimane Tertulliano (cf. Alla moglie, Esortazione alla castità, La
monogamia) .
1 28 Ancora una volta, anche su quest'argomento, la fonte principale è Tertulliano (Il digiuno) . 1 2 9 Poco o nulla sappiamo di questi due centri. ·
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avesse la meglio grazie all'avidità bi». 3 . Queste le cose che egli scrive a proposito di Montano. Riguardo poi alle sue profetes se, così scrive: «Facciamo notare dunque che proprio queste prime profetesse, dal momento che furono ripiene dello spiri to, abbandonarono i loro mariti. Come dunque essi non hanno mentito, chiamando vergine Priscilla?». 4 . E continua dicendo: «Non ti sembra che tutta la Scrit tura proibisca al profeta di ricevere doni e denaro? n o . Quan do dunque io vedo che la profetessa ha ricevuto oro, . argento e vesti preziose, come posso non disapprovarla?». 5 . Poi, a proposito di uno dei loro confessori, così conti nua dicendo: «Anche Temisone, che ha rivestito in maniera plausibile la sua avidità, egli che non ha sopportato il segno del la confessione, ma si è liberato delle catene con una grossa som ma di denaro e, proprio per questo motivo, bisognava che si di mostrasse umile, mentre invece ha osato vantarsi come martire, imitando l'Apostolo, dopo aver composto una lettera cattoli ca 13 1 , ha· osato evangelizzare coloro che avevano una fede più perfetta della sua, scendere in campo con discorsi fatui e be stemmiare il Signore, gli apostoli e la santa Chiesa». 6. Allo stesso modo, a proposito di un altro di quelli che erano onorati tra loro come martiri, così egli scrive: «Per non parlare di numerosi altri, facciamo in modo che la profetessa 1 3 2 bi Cf. l Cor 9, 14.
130 Apollonio cita la Didachè come se fosse Sacra Scrittura. Dottrina de gli apostoli, 1 1, 12. 1 3 1 Si tratta del primo contesto in cui è usata l'esp ressione "lettere cat toliche", nel senso di lettere indirizzate non ad una chiesa particolare, ma al
l'insieme della cristianità (probabilmente della Frigia) ,. e con la quale succes sivamente saranno indicate le lettere canoniche del Nuovo Testamento non dell'apostolo Paolo. L'apostolo di cui si parla nella citazione non è Paolo, ma probabilmente Giovanni . 1 32 Questa profetessa, di cui non si fa il nome, sembra non si debba confondere con una delle seguaci di Mont ano ma che sia contemporanea di Apollonio. ,
Libro V, 1 8
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ci parli di Alessandro, che s i professa martire, insieme al quale ella ha fatto baldoria e al quale perfino molti si inchinano. Non è necessario che noi parliamo delle sue rapine e degli altri cri mini a causa dei quali è stato punito, in quanto sono registrati nell' opistodomo 1 33 . 7 . Chi dei due dunque perdona i peccati dell'altro? È il profeta che assolve il martire dalle ruberie, o è il martire che assolve il profeta dall'avidità? Mentre il Signore ha detto: Non procuratevi oro né argento, né due tuniche bi, costo ro, al contrario, hanno disubbidito per possedere queste cose proibite. Dimostreremo, infatti, che i loro cosiddetti profeti e martiri hanno estorto quattrini non solo ai ricchi, ma anche ai poveri, agli orfani e alle vedove. 8. E se hanno fiducia in se stes si, si fermino su questo punto e siano precisi in queste cose, in modo che, se confutati, nondimeno smettano almeno di sba gliare. È necessario, infatti, assaggiare i frutti del profeta: 9 . giacché è dal frutto che si riconosce l'albero bk 1 34. Affinché, dunque, coloro che lo desiderano possano conoscere la storia di Alessandro, sappiano che egli era stato giudicato da Emilio Frontino, proconsole di Efeso 1 35 , non a motivo del nome 1 36 , ma delle ruberie che egli osò commettere, dato che era già un delinquente. In seguito, grazie alle menzogne che aveva detto nel nome del Signore, fu liberato, pur avendo ingannato i fede li del luogo, ma la diocesi stessa da cui proveniva non lo accol se, in quanto egli era un delinquente e tutti coloro che deside rano informarsi su di lui hanno a disposizione l'archivio pub blico d'Asia. 10. Pur essendo vissuto con lui per molti anni, il bi Mt 10, 9- 1 0.
bk Cf. Mt 7, 17; 12, 33.
1 33 L'opistodomo è la parte posteriore di un tempio, dove si poteva conservare il tesoro pubblico o gli archivi. Nella circostanza il termine è usa to in quest'ultima accezione. 134 Dottrina degli Apostoli, 1 1 , 8. 135 Sembra sia stato proconsole d'Asia intorno al 180. 1 3 6 Vale a dire in quanto cristiano.
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profeta, tuttavia, non lo conosce ! Nel confutare costui, noi con futiamo per mezzo suo anche la natura del profeta. La stessa cosa siamo in grado di dimostrare per molti e se essi hanno co raggio, si sottopongano pure alla prova». 1 1 . Ancora, in un altro passo dell'opera, l'autore così ag giunge a proposito dei profeti di cui si vantano: «Se negano che i loro profeti abbiano ricevuto doni, ammettano almeno que sto: se si sono convinti di averne ricevuto, non sono veri profe ti e noi ne produrremo infinite prove. Tuttavia è necessario as saggiare tutti i frutti di un profeta m. Dimmi: si tinge i capelli un profeta? Si trucca di nero le sopracciglia? Un profeta ama il lusso? Un profet a gioea agli scacchi e ai dadi? Un profeta pre sta denaro? Rispondano se tutte queste cose siano lecite o no e io dimostrerò che da loro sono state fatte». 12. Questo stesso Apollonia nella medesima opera rac conta che, al · momento in cui egli scriveva il suo libro, erano trascorsi quarant'anni da quando Montano aveva dato inizio al la sua falsa profezia. 13 . Egli riferisce ancora che Zotico, per sonaggio ricordato anche dall'autore precedente 1 38, giunto a Pepuzia allorquando Massimill a si dava l' aria di fare la profe tessa, tentò di confutare lo spirito che si agitava in lei, ma inve ro ne fu impedito da coloro che condividevano le idee della donna. 14. Egli ricorda anche un certo Trasea, uno dei martiri di allora 139. E dice inoltre, come se gli fosse pervenuto dalla tradizione, che il Salvatore ordinò ai suoi apostoli di non allon tanarsi da Gerusalemme per dodici anni 140; egli utilizza altresì testimonianze tratte dall'Apocaltsse di Giovanni e racconta che,
l37 Dottrina degli Apostolz; 1 1 , 8-12. 138 Cf. supra, V, 16, 5 . 139 Trasea d'Eumenia è citato da Policrate, vescovo di Efeso (cf. in/ra, V, 24, 4) come una celebrità della chiesa d'Asia. 1 40 La stessa tradizione si ritrova in Gemente Alessandrino (cf. Stro mati, 6, 5, 43 ) .
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grazie al potere divino, ad Efeso fu risuscitato un morto pro prio da Giovanni. Riferisce anche altre cose, per mezzo delle quali rettifica accortamente e pienamente l'eresia di cui ci stia mo occupando. Queste le cose che dice Apollonio .
1 9 . SERAPIONE A PROPOSITO DELL'ERESIA DEI FRIGI l . Ai tempi di cui ci stiamo occupando, secondo la tradi zione, dopo Massimino, fu vescovo di Antiochia Serapione 141 , il quale fa menzione delle opere di Apollinare contro l'anzi detta eresia. Fa menzione di lui proprio in una sua lettera in dirizzata a Carico e Pontio 1 42 , nella quale, confutando anch 'e gli la stessa eresia, così si esprime: 2 . «E affinché sappiate an che questo, che cioè l' azione di questa organizzazione truffa trice, chiamata nuova profezia, è avversata dall'intera comu nità cristiana diffusa nel mondo, io vi ho inviato anche gli scrit ti di Claudio Apollinare, che fu il beatissimo vescovo di Hie rapolis d'Asia 143». 3 . In questa lettera di Serapione sono riprodotte anche le firme di diversi vescovi, uno dei quali così si sottoscrive: «lo, Aurelio Quirinio, martire, vi auguro di star bene». E un altro: «Elio Publio Giulio , vescovo di Debelto, colonia della Tracia. Come è vero che Dio è nei cieli, il beato Sotas di Anchialo ha voluto cacciare il demone da Priscilla, ma gli ipocriti non glie lo h anno permesso». 4 . Negli scritti che noi citiamo vi sono an cora le firme autografe di numerosi altri vescovi che erano d' ac cordo con_ questi. Questi gli avvenimenti riguardanti costoro.
1 4 1 Su Serapione d'Antiochia, cf. supra, IV, 24 e in/ra, VI, 12. 1 4 2 In alcuni mss . è testimoniata anche la forma «Pontico»: nulla sap piamo di questi due personaggi. 1 43 Cf. supra, V, 16, l .
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Storia ecclesiastica 20. Ciò CHE lRENEO SCRIVE AGLI SCISMATICI DI ROMA
l . Contro coloro che, a Roma, snaturavano la retta istitu zione della Chiesa, Ireneo compose diverse lettere: ne indirizzò una A Blasto, sullo scisma 1 44; un'altra A Fiorino, sulla monar chia, ovvero Dio non è l'autore del male 145 , dato che, a quanto sembra, Fiorino sosteneva questa dottrina. Inoltre, quando co stui si lasciò sedurre dall'errore di Valentino, Ireneo scrisse un'opera Sull'ogdoade, nella quale puntualizza di aver ricevuto egli stesso la prima successione degli apostoli. 2 . Alla fine di ta le opera noi abbiamo trovato una sua elegantissima osservazio ne che non abbiamo potuto fare a meno di inserire nel presen te lavoro ; eccola: «Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo e della sua gloriosa venuta, quando verrà a giudicare i vivi e i morti, tu che copierai questo libro, ti supplico di riscontrare con diligenza ciò che trascriverai e di correggerlo in conformità a questa copia da cui l' avrai desunto; allo stesso modo ricopie rai questo scongiuro e lo trascriverai nella copia». 3 . Da parte sua era utile che egli dicesse queste cose, da parte nostra riferirle, affinché riteniamo quegli uomini antichi e veramente santi un ottimo esempio di un impegno assai dili gente. 4. Nella lettera a Fiorino, di cui abbiamo or ora parlato, Ireneo rievoca ancora il suo rapporto con Policarpo, dicendo: «Per parlare con prudenza, o Fiorino, queste tesi non ·sono de gne di una retta dottrina; queste tesi contraddicono quelle del la Chiesa e fanno incorrere in una grandissima empietà quelli che credono in essa; queste tesi non hanno mai osato diffon derle neanche gli eretici che sono fuori dalla Chiesa ; queste te-
1 44 Su Blasto d. supra, V, 15. Lo scisma di Blasto riguardava la data del la Pasqua (cf. in/ra, V, 23-25). 145 Come spesso accade nella letteratura cristiana antica, il termine "monarchia" è usato in senso tecnico per esprimere l'unità di Dio.
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si non te le hanno lasciate in eredità coloro che furono presbi teri prima di noi e coloro che furono discepoli degli apostoli. 5 . Io ti h o visto, infatti, quando ero ancora un ragazzo, nell'Asia inferiore 146 al seguito di Policarpo, allorquando tu eri famoso
alla corte imperiale 147 e ti sforzavi eli avere una buona reputa zione presso di lui. Ricordo, infatti, gli avvenimenti di allora meglio di quelli accaduti di recente, 6. (infatti, le conoscenze che acquisiamo da ragazzi diventano grandi con l'anima, si fan no tutt'uno con essa), così che io sono in grado di dire anche i luoghi dove il beato Policarpo si sedeva a discutere e il suo mo do di iniziare e terminare un argomento, il tipo di vita che con duceva, il suo aspetto fisico, le discussioni che teneva davanti alla folla, come raccontava i suoi rapporti con Giovanni 14 8 e con gli altri che avevano visto il Signore, come ricordava le lo ro parole e quali erano le cose che aveva udito da loro sul Si gnore, sui suoi miracoli e sul suo insegnamento e come Poli carpo, dopo aver appreso tutto . questo dai testimoni oculari della vita del Logos bi , riferisse ogni cosa conformemente alle Scritture. 7. Grazie alla misericordia di Dio che è scesa su di me, anche allora io ho ascoltato attentamente queste cose e le ho annotate non su un foglio di papiro, bensì nel mio cuore; e sempre, per la grazia eli Dio, le meditai ripetutamente con fe deltà e posso testimoniare davanti a Dio che se quel presbitero beato e apostolico avesse udito qualcosa di simile, si sarebbe
bi Cf. l Gv l ,
1 -2 .
146 L'espressione non è usata in senso tecnico, dato che sul piano am ministrativo la provincia d'Asia costituiva un territorio unico. 147 Qualche studioso ha ritenuto che si allu da alla corte di Tito Aure lio Flavio, il futuro imperatore Antonino, che fu proconsole d'Asia intorno al 136. Si fa rilevare, tuttavia, che a quell'epoca Antonino non era stato ancora adottato da Adriano e perciò non poteva aspirare all'impero. L'allusione alla corte imperiale rimane dunque inspiegabile. 1 4 8 Si tratta sicuramente dell'apostolo Giovanni.
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messo a gridare e si sarebbe tappato le orecchie, dicendo, come era solito dire: "Buon Dio, per quali tempi mi hai tenuto in vi ta, perché io sopporti tali cose? " . E sarebbe anche fuggito dal luogo in cui, stando seduto o in piedi, avesse ascoltato simili di scorsi. 8. Ed è possibile dimostrare tutto ciò dalle lettere che egli inviò sia all e Chiese vicine, poiché voleva incoraggiarle, sia ad alcuni fratelli, per ammonirli ed esortarli 1 49». Queste le co se che dice Ireneo.
2 1 . COME APOLLONIO SUBÌ IL MARTIRIO A ROJ'vlA l . In questo stesso periodo, sotto il principato di Commo do, la nostra situazione cambiò in meglio, dato che la pace, con la grazia di Dio, si estese alle Chiese di tutta la terra. Anche al lora la parola salvifica attrasse le anime degli uomini di ogni stirpe al culto devoto del Dio dell'universo, al punto che ormai, anche tra coloro che primeggiavano a Roma per ricchezza e per nascita, molti si volsero alla propria salvezza insieme con tutta la loro casa e la loro gente. 2. Ma per il demonio, che per natu ra è nemico del bene e invidioso, questo non fu sopportabile e, tendendo contro di noi insolite insidie, si preparò nuovamente alla lotta. Nella citt à di Roma, dunque, fece trascinare in tribu nale Apollonia 1 59, uomo allora famoso tra i fedeli per la sua educazione e filosofia, e spinse ad accusàre un simile uomo uno dei suoi servi adatti allo scopo. 3 . Ma poiché il miserabile pre sentò l' accusa al momento sbagliato, perché secondo un decre to imperiale non era permesso che continuassero a vivere colo-
1 49 Stando a ciò che dice Ireneo, Policarpo avrebbe scritto diverse let tere; noi possediamo soltanto quella ai filippesi. Sulla problematica cf. G. Bo sio E. dal Covolo M. Maritano, Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli I e II, Torino 1 990, pp. l l lss. 15 0 Del martirio di Apollonio si conservano gli Atti, scoperti alla fine del sec. scorso, in u n a recensione armena e una greca. -
-
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ro che denunziavano uomini siffatti 15 1 , subito gli furono spez zate le gambe, quando il giudice Perennio 152 emanò contro di lui questa sentenza. 4. n giudice lo supplicò a lungo e con insi stenza, e gli chiese di difendersi davanti al Senato, ma, invece, il martire carissimo a Dio, dopo aver presentato davanti a tut ti . una dottissima apologia della fede per la quale i·endeva testi monianza, fu fatto decapitare come per un decreto del Senato: presso di loro, infatti, un'antica legge prescriveva che non ve nissero rilasciati coloro che fossero comparsi una volta in tri bunale e non avessero cambiato idea 153 . 5. Chi desidera legge re le parole che costui pronunziò davanti al giudice, le risposte che egli diede all'interrogatorio di Perennio e tutta la difesa che egli pronunciò al cospetto del Senato, le conoscerà dalla rela zione degli antichi martiri che da noi è stata compilata.
22. ALCUNI VESCOVI CHE ERANO FAMOSI IN QUEI TEMPI l . Il decimo anno dell'impero di Commodo 1 54 , ad Eleute
ro, che aveva retto l'episcopato per tredici anni, succedette Vit tore; nello stesso anno; mentre anche Giuliano conclu deva il suo d ecimo anno m, Demetrio assunse il ministero della cri stianità di Alessandria. Nello stesso periodo Serapione, perso1 5 1 Di una pena analoga si parla nel rescritto di Adriano a Minucio Fundano e nella lettera di Marco Aurelio sul miracolo della Legione Fulmi natrice (cf. supra, V, 5, 4 ) . I due scritti sono, comunque, apocrifi. 1 52 Questo personaggio è stato identificato con Tigidio Perenne, che fu prefetto del pretorio dal 183 al 185/186, anno in cui fu ucciso : era prbprio davanti al prefetto del pretorio (carica che aveva poteri giurisdizionali sia in materia penale, sia civile) che doveva essere giudicata una causa com e quella di Apollonia. 1 .53 ll testo di Eusebio è oscuro: si pensa che vi sia un'allusione al re scritto di Traiano a Plinio il Giovane ( cf. Lettere, 10, 96) . 1 54 Si tratta dell'anno 190. 155 Ovviamente della sua carica. ·
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naggio di cui abbiamo già parlato in precedenza 15 6 , era ancora noto come ottavo vescovo della Chiesa di Antiochia a partire dagli apostoli. Teofilo era a capo della chiesa di Cesarea di Pa lestina e similmente Narciso, del quale quest'opera ha già fatto menzione 1 57 , a quel tempo reggeva ancora il ministero della Chiesa di Gerusalemme; nella stessa epoca, in Grecia, Bacchil lo era vescovo di Corinto 1 5 8 , e Policrate era vescovo della dio cesi di Efeso. Oltre a questi, come è naturale, anche innumere voli altri uomini si distinsero allora: noi naturalmente abbiamo ricordato per nome quelli la cui ortodossia della fede ci è per venuta per iscritto 159.
23 . LA QUESTIONE ALLORA SOLLEVATA SULLA PASQUA l . A quel tempo fu sollevata una questione assai impor tante, perché, seguendo una tradizione più antica, le diocesi di tutta l'Asia ritennero che, per la festa della Pasqua del Salvato re, bisognasse osservare il quattordicesimo giorno della luna, giorno nel quale era stato ordinato agli ebrei di sacrificare l'a gnello e che in esso, qualunque fosse il giorno della settimana, bisognava assolutamente porre fine ai digiuni 160 , Invece la Chiese di tutto il resto del mondo non avevano l'abitudine di celebrare la Pasqua in questo modo e, richiamandosi alla tradi zione apostolica, mantennero l'usanza, che si è conservata fino ad oggi, secondo cui non è opportuno porre fine al digiuno in
156 Cf. supra, V, 1 1 , l . 157 Cf. supra, V, 12.
1 5 8 Cf.
in/ra, V, 23 , 4 .
1 5 9 Eusebio
s i mostra fedele al suo proposito di ricordare solo quei ve scovi che hanno lasciato degli scritti. 160 La questione della Pasqua era stata già agitata nel corso del II sec. e riguardava il tempo della sua celebrazione, dato che le chiese d'Asia, come gli ebrei, la celebravano la sera del 14 nisan, in qualunque giorno cadesse.
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un giorno diverso da quello della risurrezione del nostro Salva tore. 2. Su questa questione si svolsero numerosi sinodi ed as semblee di vescovi e tutti, all'unanimità, formularono per lette ra una norma ecclesiastica valida per i fedeli di ogni nazione, in base alla quale il mistero della risurrezione del Signore dai mor ti non avrebbe dovuto essere celebrato in un altro giorno che la domenica e in quel giorno soltanto avremmo osservato la fine dei digiuni pasquali. 3 . È ancor oggi in nostro possesso una lettera di coloro che all'epoca si riunirono in Palestina sotto la presidenza di Teofilo, vescovo della diocesi di Cesarea e di Narciso, vescovo di Gerusalemme. Allo stesso modo esiste un'altra lettera di quanti per la stessa questione si riunirono a Roma, e che indica quale vescovo Vittore; un'altra ancora dei vescovi del Ponto, presieduti da Palmas 16 1 in quanto vescovo più anziano. C'era anche una lettera della cristianità della Gallia, di cui era vesco vo Ireneo 162 , 4 . e ancora una dei vescovi dell'Osroene e delle città di quella regione 1 63 ; e specialmente quella di Bacchillo, vescovo della Chiesa di Corinto, e poi quelle di moltissimi altri: essi espressero una sola identica opinione e deliberazione e die dero lo stesso voto. Una sola fu la loro regola di condotta, quel la che è stata detta.
24 . IL DISSENSO IN ASIA l . Ma i vescovi dell'Asia affermarono con forza che biso gnava mantenere l' antica usanza che era stata loro tramandata sin dall'inizio; li guidava Policrate il quale, nella lettera che 16 1 Palmas era già vescovo quando Dionigi (cf. supra, IV, 23 , 6) fu elet to vescovo di Corinto. 162 Il passaggio è poco chiaro: da escludere, comunque, che in Gallia, vi fosse una sola Chiesa governata da Ireneo. 1 63 Provincia cristiana dell'Oriente con capitale Edessa.
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scrisse a Vittore e alla Chiesa romana, riferisce con queste pa role la tradizione pervenutagli: 2. «Noi dunque celebriamo scrupolosamente il giorno, senza aggiungere né togliere niente. In Asia, infatti, riposano grandi astri; essi risorgeranno il gior no della venuta del Signore, allorquando, ricolmo di gloria, egli scenderà dai cieli e richiamerà tutti i santi: Filippo, uno dei do dici apostoli, è sepolto a Hierapolis insieme a due sue figlie che si conservarono vergini per tutta la vita, mentre la terza, vissu ta nello Spirito Santo, riposa ad Efeso 164; 3 . e anche Giovanni, colui che posò il capo sul petto del Signore hm , che fu sacerdo te e portò il petalon bn 165 , che fu martire e maestro, è sepolto ad Efeso; 4 . e inoltre, a Smirne, Policarpo che fu vescovo e marti re; e anche Trasea di Eumenia 166 , vescovo e martire, riposa a Smirne. 5 . E che bisogno c'è di parlare di Sagari, vescovo e martire, che è sepolto a Laodicea 167 , e ancora del beato Papi rio e dell'eunuco Melitone 168 , che visse sempre nello Spirito Santo e giace a Sardi attendendo la visita dai cieli 1 69, nella qua le risusciterà dai morti? 6. Conformemente al Vangelo, senza discostarsene, ma conformandosi alla regola della fede, tutti co storo rispettarono scrupolosamente il quattordicesimo giorno [della luna] di Pasqua. E anch 'io, Policrate, il più piccolo di tutti voi, [mi comporto] secondo la tradizione dei miei fratelli, di alcuni dei quali sono successore. Sette dei miei parenti, in fatti, sono stati vescovi e io sono l'ottavo; e i miei fratelli hanno
bm Cf. Gv 13 , 23 ; 2 1 , 20.
bn
Cf. Es 28, 32ss; 36, 3 8ss .
.
164 Secondo la tradizione Filippo ebbe quattro figlie: Eusebio ne menziona soltanto tre. 165 C f. supra, III, 3 1 , 3 .
166 Cf. supra, V, 1 8 , 14. 167 Si tratta di Laodicea di Frigia. 168 Su Melitone di Sardi, cf. supra, IV, 26. . 1 69 TI riferimento è alla parusia: Rufino precisa che Melitone si fece eu nuco per il regno di Dio (cf. Mt 19, 12).
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sempre osservato il giorno in cui il popolo s i asteneva dal pane lievitato no. 7. Perciò, o fratelli, io che ho sessantacinque anni nel Signore, sono stato in relazione coi fratelli di tutto il mon do e ho letto tutta la santa Scrittura, io non mi lascio intimori re da coloro che cercano di spaventarmi bo. Questi uomini più grandi di me, infatti, hanno detto che bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini b p». 8. A proposito dei vescovi che erano con lui quando scri veva e che condividevano la sua opinione, continua così dicen do queste cose: «Potrei fare menzione dei vescovi che sono qui con me, che avete ritenuto opportuno che fossero da me con vocati e che io ho convocato: i loro nomi, se li scrivessi, sareb bero assai numerosi. Essi, pur conoscendo la mia pochezza di uomo, hanno approvato la mia lettera, consapevoli che non porto invano i capelli bianchi, ma che sono vissuto sempre in Cristo Gesù» 9. Allora Vittore, che era a capo della Chiesa di Roma, cercò subito di escludere in massa dall'unità: comune le diocesi di tutta l'Asia insieme con le Chiese vicine, in quanto eterodos se e mediante lettere disapprovò indistintamente tutti i fratelli di quei luoghi e proclamò che erano scomunicati. 1 0 . Ma que sto dispiacque a tutti i vescovi: essi dal canto loro lo esortarono a pensare alla pace, all'unione col prossimo e all'amore ; e an cora oggi si tramandano le parole mediante le quali essi richia marono assai severamente Vittore. 1 1 . Tra costoro anche Ire neo, avendo scritto in nome dei fratelli di cui era a capo in Gal lia, da un lato ammonisce di celebrare soltanto di domenica il mistero della risurrezione del Signore, ma poi dall'altro, op portunamente, esorta Vittore a non escludere intere Chiese di Dio perché conservano una tradizione di antica consuetudine e bo
Cf. Fil i , 28.
bp
Cf. At 5 , 29.
1 7 0 Chiaro riferimento al giorno degli Azzimi della Pasqua ebraica.
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continua quindi dicendo 1 7 1 : 12. «La polemica non riguarda soltanto il giorno, ma anche la forma stessa del digiuno. Alcu ni, infatti, credono che bisogna digiunare un solo giorno, altri due, altri più giorni ancora; alcuni, infine, calcolano il loro gior no di quaranta ore, tra diurne e notturne. 13 . E una simile di versità nell'osservanza del digiuno non ha avuto origine ai no stri giorni, ma molto prima, al tempo dei nostri predecessori, i quali, a quanto pare, senza badare all'eccessiva precisione, han no confermato questa tradizione nella sua semplicità e nei suoi caratteri particolari, e la prescrissero per il futuro. Tutti costo ro non vissero meno in pace e anche noi viviamo ora in pace gli uni con gli altri e la differenza del digiuno conferma l'accordo della fede». 1 4 . A queste affermazioni, Ireneo aggiunge poi una consi derazione che mi sembra opportuno riferire; eccola: «Tra loro vi furono anche i presbiteri anteriori a Sotero che guidò la Chiesa che tu governi ora, cioè Aniceto, Pio, Igino, Telesforo e Sisto, che non osservarono essi stessi (il quattordicesimo gior no) , né imposero (la sua osservanza) a coloro che li seguivano, tuttavia non furono assolutamente meno in pace con coloro che giungevano tra loro dalle diocesi in cui esso veniva osservato. Ciononostante l' osservarlo costituiva una divergenza ancora maggiore per coloro che non l'osservavano. 15 . E non allonta narono mai nessuno per questa ragione, ma anzi quegli stessi che non l'osservavano, (vale a dire) i presbiteri che ti hanno preceduto, inviavano l'Eucaristia a quelli delle diocesi che l' os servavano. 1 6 . E quando il beato Policarpo dimorò a Roma al tempo di Aniceto m , pur avendo avuto tra loro piccoli contra sti su altre questioni, subito si riconciliarono, dato che non de-
1 7 1 Non ci sono purtroppo pervenute le lettere di Ireneo sulla questio ne pasquale che, a giudizio di qualche studioso, sembra fossero riunite in una raccolta. 1 72 il viaggio di Policarpo a Roma dovrebbe datarsi al 154.
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sideravano essere in disaccordo su questo argomento. Aniceto, infatti, non riuscì a convincere Policarpo a non osservare ciò che m aveva sempre osservato con Giovanni, il discepolo del Signore nostro e con gli altri apostoli con cui era vissuto; né Po li carpo dal canto suo persuase Aniceto ad osservarlo, dato che quest'ultimo sosteneva che bisognava mantenere la consuetudi ne di coloro che erano stati presbiteri prima di lui. 17. Stando così le cose, si comunicarono l'un l' altro e nella chiesa Aniceto concesse l'Eucaristia a Poli carpo, evidentemente per deferenza; essi si separarono l'uno dall'altro in pace, e vi fu pace nell'inte ra Chiesa, sia per coloro che osservavano (il quattordicesimo giorno) , quanto per coloro che non lo osservavano». 1 8 . E Ireneo fu degno del nome che portava lì4 , dato che fu paciere di nome e di fatto e sollecitò e si fece mediatore per la pace delle Chiese, poiché, in merito alla questione sollevata, mediante lettere trattò non solo con Vittore, ma anche, uno do po l'altro, con numerosi altri responsabili di Chiese.
25 . ACCORDO UNANIME SULLA PASQUA 1 75
l . Intanto i personaggi palestinesi che abbiamo or ora menzionato 176, cioè Narciso e Teofilo, e con loro Cassio, ve scovo della Chiesa di Tiro e Claro, vescovo di quella di Tole maide e tutti coloro che si erano riuniti con loro, analizzarono ampiamente la tradizione relativa alla Pasqua che era loro per venuta dalla successione degli apostoli e, alla fine della loro let tera, così aggiungono testualmente: «Fate in modo di mandare
173 Vale a dire il quattordicesimo giorno.
174 Ireneo, dal greco eiréne (= pace) . 175 n titolo del capitolo per la verità non risponde pienamente al suo
contenuto, dato che in esso non si parla di un accordo «unanime», ma di un accordo tra la Chiesa di Alessandria e quelle palestinesi. 1 7 6 Cf. supra, V, 23 , 3 .
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copie di questa nostra lettera ad ogni diocesi, affinché non sia mo responsabili di coloro che ingannano facilmente la propria anima. Vi informian10 che anche ad Alessandria celebrano la . Pasqua lo stesso giorno in cui la celebriamo noi: ess i, infatti, hanno ricevuto lettere mandate da noi a loro e viceversa, in mo do da celebrare di comune accordo e insieme il santo giorno» .
2 6 . Ciò CHE È PERVENUTO FINO A NOI DELL'OPERA ACCURATA DI lRENEO l . Oltre alle opere citate di Ireneo e alle sue lettere, si pos siede di lui anche un trattato contro i greci assai sintetico e as solutamente fondamentale, intitolato Sulla scienza; un altro che ha dedicato a un fratello di nome Marciano sulla Dimostrazio ne della predicazione apostolica m e un libro di discussioni di verse, in cui egli fa menzione della Lettera agli ebrei e della co siddetta Sapienza di S alomone, di cui riferisce alcuni passi. Queste sono le opere di Ireneo giunte a nostra conoscenza. Essendo finito dopo tredici anni il regno di Commodo, a neppure sei mesi dalla sua morte divenne imperatore Severo, mentre nell'intervallo vi fu Pertinace 1 78 .
1 77 L'opera in questione, ritrovata nel 1 907 in versione armena, è la so la oggi conservata oltre al Contro gli eretici. Delle altre non restano che scar si frammenti. l 78 Commodo fu strangolato il l gennaio 1 93 : il giorno seguente i pre toriani proclamarono imperatore il prefetto urbano Pertinace che fu ucciso dopo appena 87 giorni di regno. Dopo di lui, mentre i pretoriani proclama rono imperatore il senatore Didio Giuliano, le legioni dell ' illiria acclamarono imperatore Settimio Severo, legato della Pannonia Superiore, e quelle di Si ria il legato della provincia Pescennio Nigro. Dopo essersi accordato col le gato di Britannia Clodio Albino, Settimio Severo marciò su Roma ed ebbe la meglio su Didio Giuliano; quindi si volse prima contro Pescennio Nigro (che sconfisse ad Isso nel 1 94) e poi contro Clodio Albino.
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27 . Crò CHE È PERVENUTO ANCHE DEGLI CHE FIORIRONO IN QUEL TEMPO
ALTRI
l . Ancora oggi parecchie opere di virtuosa operosità, scrit te dagli antichi uomini della Chiesa di allora, sono custodite presso molti. Di queste opere, noi stessi conosciamo: i libri di Eraclito sull'Apostolo 17 9, quelli di Massimo sulla questione tanto discussa a lungo tra gli eretici sulla provenienza del male e sul fatto che la materia è creata, quelli di Candido sull'Hexa meron e quelli di Apione sull o stesso argomento; analogamen te quelli di Sesto sulla risurrezione, un altro trattato di Arabia no e i libri di una moltitudine di altri di cui non è possibile, poi ché non abbiamo nessun dato, né indicare per iscritto la cro nologia, né riportare il racconto . E ci sono giunte le opere an che di numerosi altri scrittori di cui non ci è possibile neppure annotare i nomi, pur trattandos { di autori ortodossi ed eccle siastici, come dimostra l'interpretazione della divina Scrittura di ciascuno, ma tuttavia essi sono sconosciuti poiché le loro òpere non ne riportano il nome 180 .
2 8 . COLORO CHE HANNO DIFFUSO FIN DALL'INIZIO L'ERESIA DI ARTEMONE, LA CONDOTTA DA ESSI TENUTA E COME HANNO OSATO CORROMPERE LE SACRE SCRITTURE l.
In un libro scritto da uno di questi scrittori contro l'e
resia di Artemone,. che ai nostri tempi Paolo di Samosata 1 8 1 ha ! 7 9 Probabilmente dell'apostolo Paolo: non ci è pervenuta nessuna delle opere ricordate da Eusebio, i cui autori per noi non sono che semplici nomi. 180 Quest'ultima notizia appare poco verosimile. 181 Vescovo di Antiochia sotto Odenato Il, re di Palmira, a motivo del le sue concezioni cristologiche (ritenne il Cristo un semplice uomo), fu con dannato e deposto per ben due volte in due si.nodi (nel 264 e nel 268); grazie
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cercato di rinnovare, si tramanda un racconto relativo ai fatti da noi esaminati. 2. Questo scrittore, infatti, confuta l'anzidetta eresia, la quale sostiene che il Salvatore è un semplice uomo, cosa che è invece un'innovazione recente nonostante i suoi pro pugnatori volessero renderla venerabile come se fosse antica; dopo aver addotto parecchie e diverse ragioni a confutazione della loro falsità blasfema, l'opera dice testualmente: 3 . «Affer mano infatti che tutti gli antichi e gli apostoli stessi hanno rice Vl,lto dalla tradizione e hanno insegnato ciò che essi ora dicono e che la verità della predicazione è stata conservata fino ai tem pi di Vittore, che fu tredicesimo vescovo di Roma dopo Pietro, mentre la verità è stata alterata a partire dal suo successore Ze firino. 4. Ciò che essi sostenevano avrebbe potuto essere plau sibile se non li contraddicessero innanzitutto le divine Scrittu re; d'altra parte esistono anche scritti di alcuni fratelli, più an tichi dell'epoca di Vittore, che furono composti a difesa della verità contro i pagani e contro le eresie di allora, voglio dire le opere di Giustino, Milziade, Taziano, Clemente e di molti altri, nelle quali tutte si afferma la divinità di Cristo. 5. Chi non co nosce, infatti, i libri di Ireneo, di Melitone e degli altri che pro clamarono il Cristo Dio e uomo? E chi non conosce tutti i sal mi e gli inni, scritti sin dall'inizio da nostri fratelli nella fede, che cantano il Cristo come Logos di Dio e lo proclamano Dio? 6. Come dunque è possibile, dopo che il pensiero della Chiesa è stato formulato da così tanti anni, ammettere che quanti pre cedettero Vittore abbiano predicato come costoro sostengono? Come possono non vergognarsi di attribuire questa dottrina menzognera a Vittore, quando invece erano a conoscenza che proprio Vittore escluse dalla comunione il cuoiaio Teodoto, ca po e iniziatore di questa apostasia negatrice di Dio e che per all'appoggio della regina Zenobia, vedova di Odenato II, riuscì a conservare la carica fino a quando la regina non fu sconfitta da Aureliano nel 272. Sulla sua eresia d. in/ra, VII, 27-30.
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primo ha affermato che Cristo è un semplice uomo? In effetti, se, come essi affermano, Vittore avesse condiviso ciò che la lo ro bestemmia insegna, come avrebbe potuto scacciare Teodoto, ideatore di tale eresia?». 7. Queste cose per quanto riguarda Vittore. E, dopo che costui resse il ministero per dieci anni, intorno al nono ,anno del principato di Severo, fu designato come suo successore Zefiri no 1 82 . L' autore dell'opera anzidetta, a proposito del fondatore dell'eresia di cui ci stiamo occupando, aggiunge anche un altro evento verificatosi sotto Zefirino. Egli scrive testualmente: 8. «Ricorderò dunque a molti dei nostri fratelli un evento acca duto ai nostri giorni, che, a mio avviso, se fosse avvenuto a So doma, avrebbe fatto riflettere anche quelli bq. Non una volta, ma al nostro tempo, viveva un confessore, Natalione. 9. Costui fu sedotto da Asclepiadote e da un altro Teodoto, il banchiere. Costoro erano entrambi discepoli del cuoiaio Teodoto, il pri mo, come ho già detto a essere scomunicato per questo con vincimento o, meglio, follia da Vittore, che era allora vescovo. 1 0 . Natalione fu da loro persuaso a essere chiamato, dietro compenso, vescovo di tale eresia, cosicché incassava da essi mensilmente centocinquanta denarii 1 83 . 1 1 . Legatosi dunque a costoro, egli fu più volte ammonito dal Signore mediante delle visioni: il Dio misericordioso e Signore nostro Gesù Cristo, in fatti, non voleva che morisse fuori dalla Chiesa un testimone delle sue sofferenze 12 . Tuttavia, poiché egli si mostrò poco at tento delle visioni, ammaliato dalla carica che ricopriva presso di loro e dalla avidità che porta alla perdizione un così gran nu,
.
b q Cf. Mt 1 1 , 23 .
1 82 L' anno dovrebbe essere il 201. Sembra, tuttavia, che Zefirino sia morto prima, forse nel 1 98/1 99. 183 La somma (pari a seicento sesterzi), pur non considerevole, equiva leva comunque a sei volte la paga di un semplice legionario dell'epoca e po teva consentire a Natalione una vita senza pensieri.
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mero di persone, infine fu flagellato dai santi angeli durante tutta una notte e fu talmente malmenato, che all'alba si alzò e, avendo indossato un cilicio ed essendosi coperto di cenere, in gran fretta e tra le lacrime, andò a prostrarsi davanti al vescovo Zefirino, gettandosi ai piedi non solo del clero, ma anche dei laici. Con le sue lacrime cercò di commuovere la Chiesa mise ricordiosa del Cristo compassionevole, ma, nonostante le pre ghiere cui faceva ricorso e pur mostrando i lividi delle percos se ricevute, fu riammesso a stento alla comunione 1 84 » . 13 . A queste parole ne aggiungeremo anche altre dello stesso autore a proposito degli stessi eretici: «Senza alcun timo re hanno alterato le divine Scritture, hanno infranto i princìpi dell'antica fede, hanno ignorato Cristo, non indagando che co sa dicono le Scritture, ma esercitandosi attentamente nel cerca re quale figura di sillogismo si potesse trovare per rendere cre dibile il loro ateismo. E se qualcuno proponeva loro un passo della divina Scrittura, essi chiedevano se si potesse farne una fi gura di sillogismo congiuntiva o disgiuntiva 185 . 14. Abbando nate le sante Scritture di Dio, si dedicavano alla geometria 1 8 6 , poiché sostenevano che provenivano dalla terra e della terra di scutevano e ignoravano colui che viene dall'alto. Alcuni di loro, ad esempio, studiavano diligentemente la geometria di Eucli de 187 e apprezzavano Aristotele e Teofrasto 1 88 , altri quasi ado1 84 L'avventura capitata a Natalione ricorda quella capitata a Eliodoro (cf. 2 Mac 3 , 24-34) e soprattutto quell a di Gerolamo (cf. Lettere, 22, 30). 1 85 S i tratta d i due delle cinque figure di sillogismo, derivate non tanto da Aristotele e Teofrasto, che l'anonimo espressamente cita (cf. in/ra), quan to dalla terminologia tipica della dialettica stoica, in particolare di Crisippo (ill sec. a.C . ) ; sulla problematica cf. G. Reale, Storia della filosofia antica, III, Milano 1 989, pp . 343ss. 1 86 Alla lettera: «misurazione della terra». 1 87 Famoso matematico dell'antichità vissuto intorno al IV-III sec. a.C. 1 88 L'anonimo antiartemonita nomina sia il filosofo Aristotele che il suo discepolo Teofrasto, come del resto subito dopo Galeno, come rappresen tanti della logica.
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ravano Galeno 18 9_ 15. Poiché in favore della dottrina della loro eresia abusavano delle arti dei non credenti e mediante l'astuzia propria degli atei snaturavano la fede semplice delle divine Scritture, che bisogno c'è anche di precisare che alla fede non erano neppure vicini? Per questo motivo non ebbero timore di mettere le mani sulle divine Scritture col pretesto di emendar le. 16. E chiunque voglia, può informarsi che io, dicendo que ste cose, non li calunnio. Se, infatti, qualcuno volesse riunire gli scritti di ciascuno di loro, confrontandoli l'uno con l'altro, sco prirebbe che sono assai discordanti tra loro. Quelli di Asclepia de, dunque, non corrisponderebbero a quelli di Teodoto 1 90 , 1 7 . e d è possibile procurarsene molti, per il fatto che i loro disce poli hanno trascritto accuratamente da ciascuno copie corrette, come essi le chiamano, cioè manipolate. Inoltre, le opere di Er" mofilo non concordano con queste; quanto a quelle di Apollo niade non concordano neppure tra loro: si possono infatti con frontare quelle fatte prima con quelle contraffatte successiva mente e si trovèranno del tutto discordanti. 1 8 . Di quanta arro ganza sia questo peccato, verosimilmente non lo ignorano nep pure loro. Infatti, o non credono che le divine Scritture siano state dettate dallo Spirito Santo e allora sono miscredenti; o es si stessi pensano di essere più s aggi dello Spirito Santo, e allora che cos' altro sono se non demoniaci? . In effetti non possono negare che sia da attribuire ad essi questa impresa temeraria, dato che le copie sono state scritte di loro pugno, al punto che non possono dire che erano queste le Scritture ricevute da co loro che li hanno catechizzati, o mostrare gli esemplari da cui sono state trascritte le loro copie. 1 9 . Alcuni di loro, poi, non
1 89 Galeno (129-200) fu medico della corte imperiale romana all'epoca di Marco Aurelio: oltre che alla ricerca medica si dedicò anche a quella filo sofica: a lui si deve una Introduzione logica non priva di interesse . 1 0 . 9 Tutti questi personaggi e quelli nominati dopo non ci sono altri menti noti .
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hanno pensato neppure a contraffare le Scritture, ma avendo semplicemente ripudiato la Legge e i profeti, in considerazione di un insegnamento senza Legge e senza Dio, sono precipitati essi stessi nell'estremo abisso della perdizione». Così si è svolta questa storia.
NOTA DELL'EDITORE Per gli indici scritturistico e dei nomi e delle cose notevo li si rimanda al secondo volume.
INDICE
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INTRODUZIONE
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La vita . . . . . . . Le opere . . . . . . La Storia ecclesiastica
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AVVERTENZA DEI TRADUTTORI
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EUSEBIO DI CESAREA
STORIA ECCLESIASTICA (I-V) LIBRO I . . . . . . . . . . . . . . . . . . l . Argomento dell'opera 2. Riassunto sommario riguardante la preesistenza e la divinità del Salvatore e Signore nostro, il Cristo di Dio 3 . Il nome di Gesù e quello stesso di Cristo · sono stati conosciuti e onorati dai profeti divini sin dall'origine dei tempi 4 . Non nuova, né straniera è la religione da lui predicata a tutti i popoli . . . . . . 5 . I tempi della sua manifestazione agli uomini 6. Come ai suoi tempi, conformemente alle profezie, cessarono quei capi del popolo giudaico che prima erano tali per discendenza atavica, e per •
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la prima volta regnò su di esso uno straniero, Erode . . . . . . . . . . . . . 7 . Intorno alla presunta discordanza nei Vangeli sulla genealogia di Cristo . . . . . . . . . . . 8. Sulla efferatezza di Erode contro i bambini e su quale terribile morte lo colse . . . . . 9. I tempi di Pilato . . . . . . . . . . . 1 0 . Dei sommi sacerdoti dei Giudei sotto i quali Cristo diffuse il suo insegnamento . . . . . 1 1 . Le testimonianze su Giovanni Battista e Cristo 12 . Dei discepoli del nostro Salvatore 13 . Racconto sul re di Edessa . . . . .
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LIBRO II . . . . . . . . . l . La vita degli apostoli dopo l'ascensione di Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 . L'impressione di Tiberio n ell'ascoltare da Pila . . . . . . . . . . to la storia di Cristo . . 3 . C9me, in poco tempo, la dottrina di Cristo si propagò in tutto il mondo . . . . . . . . . 4 . Come, dopo la morte di Tiberio, Gaio nomina Agrippa re dei Giudei, condannando Erode al l' esilio perpetuo . . . . . . . . . . . . . . 5 . Filone è inviato alla corte di Gaio come amba . . . . . . . . . . sciatore dei Giudei . 6. I mali che si riversarono sui Giudei in seguito all'uccisione di Cristo . . 7 . Suicidio di Pilato . . . : . 8. La carestia sotto Claudio , . 9. Martirio dell'apostolo Giacomo 10. Come Agrippa, detto anche Erode, fu punito dalla giustizia divina per avere perseguitato gli apostoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Il mago Teuda . . . . . . . Elena, regina dell' Adiabene Simon Mago . . . . . . . La predicazione dell'apostolo Pietro a Roma n Vangelo secondo Marco . . . . . . . . . Marco per primo predicò agli Egiziani la conoscenza di Cristo . . . . . . . . . . . . . n racconto di Filone sugli asceti d'Egitto . . Le opere di Filone giunte fino ai nostri tempi Le sciagure che si riversarono sui Giudei a Ge rusalemme nel giorno di Pasqua . . . . . Ciò che awenne a Gerusalemme sotto Nerone L'egiziano di cui fanno menzione anche gli At ti degli Apostoli . . . . . . . . . . . . Paolo, mandato prigioniero a Roma dalla Giu dea, si difese e fu prosciolto da ogni accusa . Come Giacomo, detto fratello del Signore, subì il martirio . . . . . . . . . . Dopo Marco, primo vescovo della: Chiesa di Alessandria fu nominato Anniano . . . . . La persecuzione di Nerone, durante la quale Paolo e Pietro furono resi degni a Roma del martirio per la loro fede . . . . . . . . . I Giudei furono colpiti da mille mali, e infine dichiararono guerra ai Romani . . . . . . . . .
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LIBRO III . . . . . l . In quali regioni gli apostoli hanno predicato il Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 . Chi per primo ha retto la Chiesa di Roma . . . . . . . 3 . Le lettere degli apostoli . . 4 . I primi successori degli apostoli . . . . . 5 . L'ultimo assedio dei Giudei dopo Cristo .
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Indice
pag. 144
6. La carestia che li tormentò . . 7 . Le profezie di Cristo . . . . . 8. I segni premonitori della guerra
9. Giuseppe e le opere che ci ha lasciato .
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non lo sono . . . . . 26. ll mago Menandro . . 2 7 . L'eresia degli Ebioniti . . 2 8 . L'eresiarca Cerinto 2 9 . Nicola e coloro che da lui hanno desunto il proprio nome . . . . . . . . . . . 3 0 . Gli apostoli che si unirono in matrimonio . . 3 1 . Morte di Giovanni e di Filippo . . . . . . 32 . ll martirio di Simeone, vescovo di Gerusalemme 3 3 . Traiano proibì di ricercare i Cristiani . . .
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1 0 . Come Giuseppe cita i libri sacri . . . 1 1 . Dopo Giacomo Simeone guida la Chiesa di Gerusalemme . . . . . . . . . . . . . . 1 2 . Vespasiano ordina di perseguitare i discenden ti di Davide . . . . . . . 13 . Anacleto è il secondo vescovo di Roma . . . 1 4 . Avilio è il secondo vescovo di Alessandria . . 15 . Clemente terzo vescovo di Roma dopo Anacleto 16. La lettera di Clemente . . . . . . . . . 1 7 . La persecuzione al tempo di Domiziano . 1 8. L'apostolo Giovanni e l'Apocalisse . . . . . 1 9 . Domiziano ordina di uccidere i discendenti di Davide . . . . . . . . . . . 20. I discendenti del nostro Salvatore . . . . 2 1 . Terzo capo della Chiesa di Alessandria fu Cerdone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22. Ignazio è secondo vescovo di Antiochia 23 . Storia dell'apostolo Giovanni . . . . . 24. L'ordine dei Vangeli . . . . . . . . . . 25 . Le Sacre Scritture ritenute divine e quelle che .
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34. Quarto vescovo della Chiesa di Roma fu Evaristo 3 5 . Terzo vescovo di Gerusalemme fu Giusto . . 36. Ignazio e le sue lettere . . . . . . . . . . 3 7 . Gli evangelisti ancora famosi in quel tempo . 3 8. La lettera di Clemente e le opere falsamente at tribuitegli . . . . 3 9 . Le ùpere di Papia . . . . . . . . . . . . . . . .
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LIBRO IV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l . I vescovi di Roma e di Alessandria al tempo di Traiano . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 . I mali sofferti dai Giudei in quel tempo . . . . . 3 . Gli apologisti del tempo di Adriano . 4 . I vescovi di Roma e di Alessandria al tempo di Adriano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 . I vescovi di Gerusalemme dal Salvatore fino ai tempi di cui stiamo trattando . . 6. L'ultimo assedio dei Giudei al tempo di Adriano 7 . Chi furono in quel tempo i capi di una falsa conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 : Chi furono gli scrittori ecclesiastici . . . . . 9. D decreto di Adriano sul divieto di persegui tarci senza processo . . . . . . . . . . . 1 0 . Chi furono i vescovi di Roma e di Alessandria durante il regno di Antonino . . . 1 1 . Gli eresiarchi del loro tempo . . . . . . . 12 . L'Apologia di Giustino ad Antonino . . . 13 . Lettera di Antonino al Concilio d'Asia intornO . . . . . . . . . . alla nostra fede . . 14. Ciò che si ricorda di Poli carpo, conoscitore de gli apostoli . . . . . . . . . . . . . . . 15 . Al tempo di Vero, Policatpo, insieme ad altri, subì il martirio nella città di Smirne . . . .
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16. Il filosofo Giustino subì il martirio perché annunciava nella città di Roma la parola di Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . · 17. I martiri che Giustino ricorda nei suoi scritti 18. Le opere di Giustino pervenuteci . . . . . . 19. Coloro che furono a capo della Chiesa di Ro ma e di Alessandria durante l'impero di Vero 20. Chi furono i vescovi di Antiochia . . . . . . 2 1 . Gli scrittori ecclesiastici famosi in questo periodo : . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 . Egesippo e gli argomenti delle sue opere . . 23 . Dionigi, vescovo di Corinto, e le lettere da lui scritte . . . . . . . . . . . . . 24. Teofilo, vescovo di Antiochia . . . 25 . Filippo e Modesto . . . . . . 26. Su Melitone e ciò che egli ricorda 27 . Apollinare . . . . . 28. Musano . . . . . . . . . . . . . . 29. L'eresia di Taziano . . . . . . . 30. Il siro Bardesane e le opere che ci ha lasciato ·
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LIBRO V . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l . Quanti e come al tempo dell'imperatore Vero intrapresero in Gallia la lotta in difesa della religione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. I martiri amati da DiÒ accolsero con benevo lenza e risanarono tutti quelli che erano venuti meno durante la persecuzione . . . . . . . 3 . Quale visione ebbe in sogno il martire Attalo 4. Come i martiri raccomandarono Ireneo per lettera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 . Esaudendo le preghiere dei nostri, Dio mandò a Marco Aurelio Cesare la pioggia dal cielo . .
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6. Elenco dei vescovi di Roma . . . . . . . . . 7 . Ancora a quei tempi etano compiuti dai fedeli prodigi straordinari . . . . . . . . . . . 8. Come Ireneo ricorda le divine Scritture 9. I vescovi al tempo di Commodo 10. n filosofo Panteno . . . . 1 1 . Clemente Alessandrino . . . . . 12 . I vescovi di Gerusalemme . . . 13 . Rodone e i contrasti fra i marcioniti che egli ricorda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14. I falsi profeti catafrigi . . . . . . . . . . . . 15 . Lo scisma avvenuto a Roma al tempo di Blasto 16. Ciò che si ricorda di Montano e dei falsi pro feti che erano intorno a lui . . . . . . . . . . 17. Milziade e le opere che compose . . . . . . . 1 8 . Confutazioni di Apollonio nei confronti dei catafrigi e coloro di cui fa menzione . . . . 1 9. Serapione a proposito dell'eresia dei frigi . . 20. Ciò che Ireneo scrive agli scismatici di Roma 2 1 . Come Apollonio subì il martirio a Roma . . 22 . Alcuni vescovi che erano famosi in quei tempi 23 . La questione allora sollevata sulla Pasqua 24. n dissenso in Asia . . . . . . . . . . . . . . . 25 . Accordo unanime sulla Pasqua . . . . . . . . 26. Ciò che è pervenuto fino a noi dell'opera accu rata di Ireneo . . . . . . . . . . . . 27. Ciò che è pervenuto anche degli altri che fiori rono in quel tempo . . . . . . . . . . . . . 28. Coloro che hanno diffuso fin dall'inizio l'eresia di Artemone, la condotta da essi tenuta e come hanno osato corrompere le Sacre Scritture ·
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NOTA DELL'EDITORE . .
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Collana di testi patristici fondata da Antonio Quacquarelli diretta da Claudio Moresch ini
l Padri costituiscono ancora oggi un indi spensabile punto di riferimento per l'espe rienza cristiana. Testi moni profondi e autorevoli della più im mediata tradizione apostolica, per la parte cipazione diretta alla vita della comunità cri stiana, in l o ro la tematica pasto rale è ric chissima, lo svi l uppo del dogma i l l u minato da u n particolare carisma, la comprensione delle Scritture g u idata dallo Spi rito . La pe netrazione del messaggio cristiano nel con testo socio-cu ltu rale della loro epoca, i mpo nendo la trattazione di problemi i più vari e scottanti , porta in loro alla i n dicazione d i soluzioni che si rivelano per noi straordina riamente attuali . Di q u i , il « ritorno a i Padri » , con u n a iniziati va editoriale che cog liesse le esigenze più vive, e talvolta anche più dolorose, i n cui si dibatte la comunità cristiana di oggi , illu mi nandole alla luce delle prospettive e delle sol uzioni che i Padri offrirono alle loro co m u n ità. Il che può, oltretutto, costitu i re un criterio di certezza, i n u n momento i n cui forme di mal i nteso pluralismo possono in generare dubbi e incertezze nell'affrontare vitali problemi. La collana, fondata da A. Quacquarelli e di retta da C. Moreschini, prof. ordinario nel l ' U n ive rsità d i Pisa, è cu rata da d ocenti qualificati e specializzati nelle singole ope re , che in una prosa piana e moderna tra ducono tutta la spontaneità con cui i Padri scrivevano.