Ludovico Geymomzzf
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Scienza e realismo
Prima edizione: novembre 1977 Copyrzgbt by
© Giangiacomo Feltrinelli Edito...
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Ludovico Geymomzzf
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Scienza e realismo
Prima edizione: novembre 1977 Copyrzgbt by
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
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Avvertenza
1. Il presente volume non intende essere un’opera di filosofia della scienza nel senso tecnico oggi posseduto da questo termine, ma un’opera di filosofia tout court, che ovviamente prende nella pid seria considerazione gli sviluppi della scienza moderna e i dibattiti da essi generati, in quanto non avrebhe senso indagare il problema della conoscenza o quello della realta senza tenere in serio conto i pid significativi esiti della ricerca scientifica. Il titolo stesso del volume e, del resto, chiaramente indicativo al riguardo, poiché il termine “realismo” fa senza dubbio parte del dizionario filosofico tradizionale; denota infatti tutte quelle concezioni filosofiche le quali ammettono -- in una forma o nell’altra l’esistenza di un qualcosa, la realta appunto, che e irriducibile ai nostri atti conoscitivi pur venendo da essi rivelata. Come e noto, Lenin dichiaro esplicitamente in Materialismo ed empiriocriticismo (cap. primo, par. secondo) di preferire, per tali concezioni, il nome di “materialismo” anziché quello di “realismo,” “tenendo conto che la parola ‘realisrno’ e stata logorata dai positivisti e da altri confusionari oscillanti fra il materialismo e l’idealismo.” Nella presente situazione culturale a me pare invece pifl opportuno ritornare al termine “realismo” sia perché i positivisti odierni, o neo-positivisti, hanno cessato da tempo di farne uso, sia perché viceversa si e creata molta confusione proprio sul termine “materialismo/’ spesso usato dai suoi avversari per indicare concezioni filosofiche ingenue e dogmatiche. E chiaro del resto che non ha molta importanza fare ricorso a un terrnine o a11’a1tro; il punto essenziale e di quale significato sapremo riempirlo. J Comunque, a parte questa divergenza terminologica, il lettore constatera agevolmente che in tutto il volume sono assai fre-
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/lm/vftcnza
quenti i riferimenti a Lenin e cosi pure a Mao Tse-rung. Con cio non intendo proclamarmi fedele seguace o continuatore di questi due grandi autori; e possibile che gli specialisti riscontrino lacune o inesattezze nel mio modo di interpretarli. La cosa su cui mi sembra doveroso insistere e questa: ritengo scandaloso che, specie in Italia, si continui a prescindere dalle tesi sostenute da Lenin o da Mao Tse-tung intorno ai problemi della conoscenza e della realta, solo perché sono espresse in forma notevolmente diversa da quella della nostra tradizione filosofica. Personalmente debbo invece confessare di essermi valso in larga misura di esse, proprio al fine di tentare una elaborazione, a mio giudizio verarnente critica e moderna, degli anzidetti problemi filosofici. Utilizzare un pensatore della statura di Lenin o di Mao Tse-tung, non significa né limitarsi a ripeterlo né preoccuparsi continuamente di precisare fino a che punto si sia rimasti fedeli ai suoi insegnamenti. 2. Un’analoga osservazione desidero ripetere per cio che riguarda i1 mio dehito nei confronti del neo-positivismo in generale, e in particolare di Moritz Schlick, le cui lezioni (che ehbi la fortuna di frequentare a Vienna nel lontano 1934) segnarono una vera svolta nel mio sviluppo culturale. Anche se non sono mai stato a rigore un neo-positivista, pur avendo per primo introdotto in Italia la conoscenza di questo importante indirizzo filosofico, e certo che ne suhii in misura rimarchevole l’influenza, soprattutto per quanto riguarda Pesigenza di sottoporre ad una analisi puntigliosa il significato dei concetti scientifici e di pervenire, in seguito ad essa, ad eliminare alcuni problemi “mal posti” che assillavano da tempo filosofi ed episte-
mologi. Cio che pifi ha contribuito ad impedirmi di aderire al neo-positivismo, é stata fin dal 1934-35 l’impressione che esso non tenesse sufficientemente conto della effettiva realta della ricerca scientifica: ricerca che e sempre riuscita, in passato come attualmente, ad arricchire la nostra conoscenza del mondo, pur non rispettando (o rispettando solo in parte) quei criteri di scientificita che le indagini logiche e metodologiche dei neo-positivisti venivano mettendo in luce, in parecchi casi con indubbi risultati. I miei successivi studi di storia della filosofia e della scienza hanno confermato tale impressione, approfondendo la distanza che mi separava dal neo-positivismo e avvicinandomi ad altre posizioni (in particolare a quella di Marx, di Engels e di Lenin). 8
Avvertenzai
Quanto ora detto non ha diminuito pero la mia ammirazione per sforzo compiuto dai neo-positivisti onde chiarire il senso di alcuni gravissimi problemi, attraverso un’analisi precisa del linguaggio scientifico, una puntualizzazione rigorosa di cio che vi é di empirico o di non empirico negli enunciati della fisica, della hiologia, ecc., e soprattutto attraverso una riflessione critica spregiudicata e puntigliosa sul cosi detto “prohlema dei fondamenti” della matematica e in generale sui rapporti fra logica e matemati~ ca (in questo campo fu per me determinante la frequentazione di un corso privato, tenuto a Vienna da Friedrich Waismann). Continuo pertanto ad essere convinto che il neo-positivismo ci abhia lasciato una eredita davvero preziosa, di cui dehbono tenere conto anche gli avversari di tale indirizzo. Il lettore del presente volume giudichera se io ho saputo in qualche misura utilizzarla, senza cadere per questo in contraddizione con le linee generali del realismo (o materialismo dialettico) che guidano tutta la mia trattazione. 3. Dopo quanto ho accennato nelle righe precedenti risulta chiaro che parecchi temi, da me gradualrnente elahorati in decenni di lavoro, hanno trovato un certo conforto nelle interessantissime concezioni sostenute in questi -ultimi tempi da autorevoli pensatori che potremmo qualificare malgrado le loro profonde differenze -- con l’unica denominazione, per altro assai vaga, di “post-neo-positivisti”; intendo riferimi a Gaston Bachelard, a Willard Van Orman Quine, a Karl Popper, a Imre Lakatos, per non citare che pochi nomi. Cio che mi fa sentire particolarmente vicino alle loro posizioni, E: l’importanza che essi attrihuiscono alla storia della scienza, considerata come oggetto primario delle ricerche di filosofia della scienza; e, in altri termini, la loro convinzione che la scienza vada studiata nella sua dinarnicita, e non solo in base alla sua struttura logica attuale o alla struttura logica che noi vorremmo imporle per adeguarla a un ideale di rigore come quello elahorato dalle sottili indagini dei neo-positivisti. Il lettore del presente volume constatera per altro, senza difficolta, che -- accanto al punto di assenso ora accennato esistono parecchi punti sui quali dissento dalle posizioni specifiche ora dell’uno ora dell’altro degli autori testé menzionati. Cio che mi separa da essi e soprattutto una certa impostazione (vorrei dire “idealistica”), che mi semhra di riscontrare nei loro pur mirabili sforzi di costruire dei hen precisi modelli entro cui inquadrare ,lo
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mlcno svrluppo dr tutte le rrcerche sc1ent1f1che Io ntengo l11V€C€ che questo sv1luppo sra meglro mquadrabrle 1n una concezrone “ Av ,, dralcttlca della stor1a della screnza, e della St0I1a III generale \ quale e stata elaborata dall ,.1nd1r1zzo 111arX1sta Ovvramente \ c1o com portera un esame del s1g111f1cato attr1bu1b1le int alla dralettrca __ e endo propr1o r1fer1rm1 alla d i aletuca 111ater1al1st1ca ,, ___ h c e cost1tu1sce forse 1l punto ove e pru d1ff1c1le ragglungere un 1111n1 mo dr con1prens1o11e rec1proca fra stud1os1 dr or1e11tan1ento 1dea lrsta e stud1os1 dr orlentamento n1ater1al1sta Uno degh scopr pr1nc1pal1 che 1111 sono proposto, quello dr contrrbulre a questa co111p1:ens1o11e recrproca,e proprro che co st1tu1sce I
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a 1'1'11O g1ud1z1o una co11d1z1o11e 111el11111nab1le nuove e feconde prospettrve a ser1e 111dag1n1 frlosofrche per aprrre sur due an z1dett1 prohlemr della conoscenza e della realta 4 M1 sono permesso dr aggrungere, 1n Appendzce, un art1colo dal tltolo Sul concezfio dz ff cfzsz.iv della mzzomzlzta\ .\ _vczentzfzca gra | ,, pubhhcato nel 1976 dalla r1v1sta Sc1ent1a (Anno LXIX 1975 fascrc ' V VI VII VIII), che conteneva 111 gerrne alcune 1dee qur a111p1a111e11te sv1luppate Lho fatto, perche, ho avuto 111odo dr constatare dalle 111olt1ss1me r1ch1este dr estratt1 della traduz1o 1'1C lnglese, comparsa nel medes1111o fascrcolo della r1v1sta __ che CSSO 21V€V21 SUSC1t2ltO LIDO Sl§I`3Oll`(l1I13I`lO lI1'[CI`€SS€presso CUllfOI.`1 delle pru varle d1sc1pl111e sc1ent1f1che dr numerosr paesr europe1 ed extra europer R1ngraz1o la s1g11ora Nora Bonettr, drrettore re sponsalo1le ' dr' “ Sc1e11t1a I' ” per avere acconsenuto alla presente rrpuh ' hl1caz1o11e dell artrcolo 1n questrone .. Sento 111oltre 1l dovere dr r1ngraz1are gh 31'I11Cl che 1111 tl larghr d1 sugger1111e11t1 durante gh stud1 che ho rntrapresosono sta 11'1 que str Ultlml ann1 111 pr1n1o luogo Gruho G1orello e S1lvano Taglra ' garnbe, e POI, Enrrco Bellone, Bernardmo Fantrnr, Anna Guagnmr._ Roberto Ma1OCCh1, Marco Mondadorr, Fehce Mondella, Sandro Petrucc1ol1 Marro Quaranta, Pretro Redondr Marco Santamhro gro, Carlo Tarsrtanr, scusa11do1111 se tra 1'I`1Olt1 ne ho d1111e11t1cato qualcuno Un rrngrazramento parucolare alla Um Coplr d1 Mrlano che ha puhhhcato, 1n forma d1 drspense u111vers1tar1e, una prnna ste sura del presente volume Essa 1111 ha permesso dr avere una con ,u ferma, da nu111eros1 studentr, dellrnteresse suscltato da1 proble .l m1 qu1 d1scuss1, debho a questr stude11t1 parecchl St1I1]Ol1 all appro Z
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I1 Il fatto che 1l pr1111o capitolo sia dedicato alla categoria della totahta pone l1'1 r1l1evo lrmportanza specialis§1111a che ad essa S1 1ntende attr1bu1re Come e ben noto, questa 1111porta11za e stata costantemente rrconoscruta dai maggiori rappresentantr del ' ' pe11s1ero rnarxrsta, 1n pr1111o luogo da Marzcstesso e_ da Engels, 111 segurto da Lenln, da Luckacs, ecc. Ma c1o che _q111 sr lntende sottohneare e` che tale categorra occupa una posrzrone centrale ' ’
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La premessa, che abhramo deciso di anteporre allo svrluppo della vera e proprra trattaz1o11e, ha lo scopo di sp1egar11e l11'1'1pOstaz1o11e generale Essa puo apparire superflua, se sr t1€Il€ pre' sente che tale 'rmpostazrone dovrebbe emergere con chrarezza dalla trattazrone stessa qualora questa risulti hen artrcolata nella success1one de1 suor varr caprtoli. Nel caso presente, Rroprro ` questa success1one puo tuttavla suscitare qnalche perpless1ta d1sorrentando 31'1Cl‘1€11 pru henevolo dei lettor1. R1te111a111o pertanto ut1le dare fin d’ora u11’1dea deglr argo1'I`1€1'1t1 trattatl, mostrando che lordine con cur S1 susseguono e gu1dato da un hen precrso f1lo conduttore. Questo_te11de a dne scop1 prec1pu1 a porre 1n luce la 11ecess1ta dr amplrare coraggrosamente la nozione tradizionale di razionalita, e d1 mdurcr ad ahhandonare ognr r1g1da separazrone fra attivita teoretica e at\ ' t1v1ta prauca S1a luno che laltro non possono ve111re Iagglufltl, a nostro g1ud1z1o, che facendo ricorso metodo d1ale_tt1co, 1l quale v1ene cosr ad assumere una POSIZIOIIC centrale 111 tutta 1-
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Introduzione
Introduzione
anche nella scienza, per lo meno quando si tenga conto della forma da essa piu recentemente assunta, assai diversa da quella che aveva fino a qualche tempo addietro. Ed infatti e proprio la presentazione assiomatica delle teorie scientifiche, cioe la forma piu rigorosa in cui si riesce oggi ad esporle grazie a un largo uso della logica matematica, che fornisce loro il carattere di sistemi unitari, le cui singole proposizioni traggono senso e valore esclusivamente dal trovarsi inserite entro una ben determinata teoria intesa nella sua globalita.
to di questa composita struttura della totalita delle _teorie scientifiche, qui si propone, fin dal primo capitolo, di indicarla col nome di “patrimonio scientifico-tecnico” ove il termine patrimonio” sta a sottolineare che si tratta di tutt’altra cosa che non un vero e proprio sistema.
I.2. lfanzidetta categoria della totalita, di cui si e sottolineata l’importanza per la strutturazione moderna delle teorie scien-
tifiche, non compie invece -- per lo meno a giudizio dell’autore del presente volume alcuna funzione entro quegli edifici che vengono tradizionalmente qualificati con il titolo di scienze: matematica, fisica, ecc. Nessuno di tali edifici costituisce infatti un sistema unitario rigorosamente assiomatizzabile; sono del resto ben note le numerose “intersezioni” di una scienza con l’altra, donde traggono origine sempre nuove scienze, dette appunto “di confine”: per esempio la fisica-matematica, la bio-fisica, la biochimica, ecc. Proprio qui va cercata la ragione del fatto, agevolmente constatabile, che il problema della classificazione delle scienze, considerato fondamentale in tutto l’Ottocento, ha perso oggi pressoché ogni interesse.
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I.3. Il problema si pone in termini differenti per il complesso di tutte le teorie scientifiche, a cui sembra difficile rifiutarsi di riconoscere un certo carattere di totalita (glielo riconosce, per esempio, Quine in modo esplicito). Cio che si agiunge, nel presente volume, e che trattasi di una totalita radicalmente diversa da quelle riscontrate nelle singole teorie scientifiche: in primo luogo perché contiene in se stessa il parametro tempo che invece non E: una componcntc delle teoric scicntifiche (mentre la scienza nel suo complcsso varia da cpoca a epoca, una teoria scientifica rigorosfxmentc assiomatizzata non subisce mutamenti interni, potcmlo solo vcnirc, a un ccrto punto, abbzmdonata e sostituita da nllrc); in sccondo luogo perché lfinsieme, pcrennemente fluido, clcllc lcoric scicnlifichc non puo vcnirc considerato come un edilicio sé slzmlc, isoluto dai vari fattori che incidono sul suo afric(`l\lll\(‘l1l(l (lc innovnzioni della tccnica, i dibattiti metodologici, le slcssc concczioni gclmcrali dcl mondo). Proprio per tenere conan
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II.1. Uno dei punti essenziali, e ovviamente piu discutibill, del volume consiste nella proposta di fare ricorso al metodqdia; lettico per studiare l’anzidetto “patrimonio .SC1Fi1'C1flCO-h€CI11C0Di qui la necessita di stabilire anzitutto il significato di questo metodo ponendolo a confronto con quello logico-formale; e appunto l’argomento del secondo capitolo. I1 problema dei rapportl tra logica e dialettica e stato oggetto, ormai da tempo, dl n}1ID€rose ricerche; nel capitolo in esame se ne tenta_ una soluzione, basata sulla distinzione degli ambiti di applicazione dell una e dell’altra. In altri termini: si afferma che la logica formale costituisce l’unico metodo applicabile alla deduzione delle conseguenze che derivano da un determinato gruppo di assiomiz Pefj tanto costituisce l’unico metodo applicabile nella costruzione dl rigorose teorie scientifiche; al metodo dralettico e invece riservato lo studio (ove e inapplicabile la logica formale) delle caratteristiche per cosi dire “esterne” delle teorie, cioe della loro genesi, dei suggerimenti che esse ricevono dallo suiluppo della tecnica, dalle analisi metodologiche, dalle concezioni filosofiche, ecc. La conclusione che si ritiene di poterne trarre e laseguente: 0 S1 rinuncia dogmaticamente a studiare le caratteristiche ora accennate negandone a priori ogni interesse, o sr accetta di studiarle facendo ricorso al metodo dialettico. II.2. Qui sorge pero spontanea la seguente domanda: il metodo dialettico, che abbiamo presentato come necessario per lo studio del “patrimonio scientifico-tecnico,” _puo ancora considerarsi come “razionale” pur essendo irriducibile al metodo logico-formale? La risposta qui difesa e nettamente positiva. ldssa richiede pero un radicale e coraggioso ampliamento della nozione tradizionale di razionalita; come gia si accenno, e proprio questo il primo dei due scopi fondamentali di tutta la nostra trattazione.
III.1. Il terzo capitolo affronta un argomento
Cl§€3 Prim? ner due_ capicon quelli discussi vista sembra privo di relazioni trattazione dl esso il problema del reallsmo. La toli precedenti: J
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Introduzione
Introduzione
viene aperta con un hrevissimo cenno al solipsismo, e con il franco riconoscimento che questo paradossale indirizzo filosofico non puo venire confutato in base a pure considerazioni teoretiche. Assai facile e invece dimostrare, alla luce dei risultati della moderna epistemologia, l’indifendibilita del cosi detto “realismo ingenuo.” La sua sconfitta e stata la conseguenza diretta delle critiche mossegli dal convenzionalismo. Il franco riconoscimento dei meriti del convenzionalismo e, in certo senso, un fatto nuovo entro l’ambito delle opere che come la presente intendono difendere e sviluppare le tesi del materialismo dialettico. Dopo avere riconosciuto i meriti del convenzionalismo, qui se ne denunciano anche i limiti; o meglio si denuncia l’errore di chi pretende di prendere le mosse dal convenzionalismo per concludere ad un generale relativismo. ll fatto e che per uscire dalle difficolta riscontrabili vuoi nel solipsismo vuoi nel relativismo, occorre fare ricorso apertamente al criterio della prassi. E cio richiede che si ahbandoni la tradizionale rigida separazione fra attivita teoretica e attivita pratica; e questo il secondo dei due scopi che abbiamo poco sopra qualificato come fondamentali per
simato, oppure che essa gli venga sovrapposta dall’esterno, ad opera dello storico? E chiaro che il primo corno del dilemma conduce ad una concezione realistica della razionalita mentre il secondo ad una concezione idealistica. Ebhene, prescindendo dall’opinione di Lakatos al riguardo, per altro alquanto oscillante, cio che qui si sostiene e che: per poter accogliere l’interpretazione realistica, occorre intendere la razionalita nel senso ampliato di cui piu sopra si e fatto cenno, ossia come razionalita dialettica. Emerge cosi un nuovo legame fra realismo e dialettica, sistematicamente ignorato dagli avversari del materialismo dialettico.
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tutta la nostra trattazione.
IlI.2. Il complemento indispensabile della difesa qui prospettata del realismo realismo “dialettico,” hen diverso da quello “ingenuo” sconfitto dal convenzionalismo e costituito dal processo di approfondimento che trova innumerevoli esemplificazioni nella ricerca scientifica, considerata non in astratto ma nella concreta effettualita della storia della scienza. La concezione della scienza come un insieme di successivi approfondimenti Z: cio che ci conduce, infine, dalla visione dialettica della conoscenza ad una visione dialettica della stessa realta (illimitatamente approfondibile dalle conoscenze scientifiche).
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IV. Il problema “filosofico” della storia della scienza e l’oggetto specifico del quarto capitolo, che espone schematicamente le interpretazioni sia tradizionali sia moderne della crescita delle conoscenze scientifiche. L’esame delle piu recenti interpretazioni, in particolare di quella di Lakatos, solleva il seguente problema: quando parliamo di “ricostruzione razionale” dello sviluppo della scienza durante un certo periodo storico, intendiamo che la razionalita in parola sia intrinseca allo sviluppo medesimo e che noi cerchiamo di afferrarla in modo via via pili appros14
V.1. Un ulteriore prohlema riguarda il concetto di natura, esaminato nel quinto capitolo. Qui il punto fondamentale e di capire le difficolta a cui va incontro la concezione classica (meccanicistica); esse riguardano il seguente problema: in che modo possiamo conciliare il carattere deterministico della natura con l’intervento dell’uomo per modificarla? E un problema tanto pifi grave, se si pensa che l’azione dell’uomo per modificare la natura puo risultare efficace (secondo il famoso aforisma di Francesco Bacone) solo se compiuta “obbedendo alle leggi di natura.” Ma, se ohhediamo a queste leggi, come potremo modificarne i risultati? Ancora una Volta il prohlema sembra poter venire risolto solo con un appello alla dialettica, cioe sostituendo al concetto classico di natura un’interpretazione dialettica di essa.
V.2. Questa applicazione della dialettica alla natura permette infine secondo la tesi qui sostenuta di reimpostare in termini nuovi il problema dei rapporti fra scienza e tecnica, nonché fra scienze specialistiche e concezione generale del mondo. Tale reimpostazione ripropone l’esigenza, gia piu volte segnalata, di ampliare arditamente la nozione tradizionale di razionalita. E proprio sostituendo alla vecchia nozione di razionalita uifinterpretazione dialettica di essa, che noi riusciamo a comprendere il sostanziale accordo di due tesi spesso contrapposte l’una all’altra: la tesi del valore obiettivo delle conoscenze scientifiche e quella della non-neutralita della scienza.
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VI.1. l./ultimo capitolo affronta un gruppo di problemi, che a prima vista parrehbero non rientrare nel filo generale che ha guidato tutta la precedente esposizione: trattasi infatti di prohlemi che 15
Introduzione
Introduzione
concernono la condotta umana soprattutto per cio che riguarda i rapporti fra individui e collettivita. In realta, l’aspetto assai limitato di tali problemi che qui viene discusso presenta forti analogie con taluni risultati ottenuti nei capitoli precedenti. Esiste ad esempio una indubbia analogia fra i sistemi giuridici e le teorie scientifiche; analogia che emerge con particolare chiarezza quando gli uni e le altre vengano esposti in forma rigorosamente assiomatizzata (cosa che oggi riusciamo per certo a fare, ricorrendo a tecniche logiche adeguate). Sorgera quindi spontanea la domanda se esista nel nuovo campo preso in considerazione qualcosa di analogo a cio che nell’ambito delle scienze abbiamo chiamato “patrimonio scientifico-tecnico”; la risposta che qui viene avanzata E: positiva: secondo essa, l’analogo dell’anzidetto patrimonio sarebbe costituito dal “patrimonio delle istituzioni civili.” Come gia il “patrimonio scientifico-tecnico,” cosi pure il “patrimonio delle istituzioni civili” sarebbe estremamente composito e avrebbe una natura essenzialmente dinamica. Se ne conclude che esso pure, come il precedente, richiederebbe di venire studiato facendo ricorso al metodo dialettico, il quale si rivelerebbe anche qui, come gia nell’altro caso, di grande fecondita.
di phi in forma soltanto ipotetica. Ma e parso di un certo interesse fare parola anche di essi, sia per confermare i nessi 1nsc1nd1b1l1 fra teoria e prassi, sia per sottolineare l’attualita di una ricerca, modernamente impostata, diretta ai classici problemi filosof1c1 della conoscenza e della realta.
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VI.2, La seconda parte del predetto capitolo (il sesto, appunto) propone di accennare ad alcune nuove visioni della “dinamica delle istituzioni civili,” che sembrano proprio suggerite dall’applicazione del metodo dialettico al patrimonio di tali istituzioni. Questa applicazione pone anzitutto in luce l’importanza generale della contraddizione, che si presenta come un fattore primario dell’anzidetta dinamica. Pone inoltre in rilievo la necessita di distinguere -- nell’ambito delle contraddizioni che affiorano nel patrimonio delle istituzioni civili -- quella principaleda quelle secondarie (nel senso attribuito a questi termini da Mao Tse-rung): distinzione che permetterehbe, secondo la tesi sostenuta nel capitolo in esame, di comprendere le differenze di fondo esistenti fra “rivolte” e “rivoluzioni,” enucleando pero il significato razionale delle stesse rivolte quando le si inquadri ne]l’intero processo rivoluzionario di cui fanno parte. L’anzidetta applicazione del metodo dialettico permette infine di chiarire i complessi rapporti fra inclividui e partiti (intesi questi ultimi nel senso moderno del termine), fra partiti e cultura, fra partiti e masse, nonché di porre in luce la funzione fondamentale che spetta alle masse nel rinnovamento dei partiti e della stessa societa. Si tratta, come gia detto, di argornenti appena accennati, e per si
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Cupitolo prima
Sulla categoria della tozfalitci
1. Premessa
Non sono pochi gli studiosi di filosofia della scienza che hanno ritenuto di dover espungere dalla scienza la categoria della totalita, muovendole l’accusa di essere stata adoperata soprattutto dai romantici, i quali confondevano spesso nelle loro indagini sulla natura e sull’uon1o il sentimento e la fantasia, con la ragione. Noi cercheremo invece di provare, nel secondo, terzo e quarto paragrafo, che essa cornpie un ruolo assai importante proprio nelle teorie scientifiche, allorché queste vengano esposte nella forma critica pili moderna. Sulla base di questo risultato affronteremo poi, nel quinto fparagrafo, un problema pin generale: il problema, cioe, se la categoria in esame possa venire applicata, e in quale significato, anche all’edificio complessivo della scienza (nozione, quest’ultima, che richiedera di venire analizzata e precisata con notevole cautela perché sara al centro di numerose considerazioni svolte nei capitoli
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successivi). Come e noto, nella tavola delle categorie dell’intelletto, esposta da Kant nella Critical della Region pum (Amzlitica tmscendenzfale), la “totalita” trova posto entro il gruppo della quantita, quale sintesi vi delle due categorie dell’unita e della pluralita: la totalita ” considerata come unita. altro non as che “la molteplicita leggiamo ad secondo Kant dare luogo Cosi intesa, essa puo sempre autentiche conoscenze del mondo fenomenico, come tutte le altre categorie. Ma le cose cambiano quando la si interpreti come “totalita assoluta,” cioe come unita di una molteplicita incondizionata fe per cio stesso non esattamente definita. Cio accade per l’appunto quando la si applica alle quattro “idee cosmologiche,” ove il termine stesso “cosmologiche” sta ad indicare “la totalita dell’insie-
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Scienza e realismo
Sulla categoria della totalitzi
me delle cose esistenti.” La differenza fra le categorie e le idee viene cosi puntualizzata dal nostro autore: le idee non sono altro che “Categorie sospinte fino all’incondizionato”; incondizionato che rinvia alla “totalita assoluta delle, condizioni di un condizionato dato.” Ma, come pure e noto, l’idea stessa di incondizionato ci conduce sempre secondo Kant alle famose antinomie, costituenti uno dei temi fondamentali della Dialezftica mzscendentale. Proprio l’esistenza di queste antinomie dimostra l’inaccettahilita della nozione di incondizionato, e pertanto di quella di “totalita assoluta” che sta alla sua base. L’argomentazione di Kant qui schematizzata E: stata considerata come la giustificazione teorica generale dell’atteggiamento, a cui si as fatto cenno all’inizio del paragrafo, di ripulsa della categoria della totalita, cioe della sua condanna quale categoria che non puo venire legittimamente usata dalla scienza. Come pure si as accennato, questa condanna non e-pero stata accolta dai pensatori dell’epoca romantica. Per esempio Hegel ne fa un uso larhissimo, attribuendo per l’appunto alla filosofia il compito di pensare lo sviluppo dello spirito oggettivo “nella sua totalita.” Egli giunge a scrivere che la “totalita oggettiva” costituisce il “presupposto implicito per l’immediatezza finita del soggetto singolo” (Efzciclopeclia delle scienza filosofic/oe in compendio). A differenza dei filosofi propriamente romantici, come Schelling, e degli scienziati da essi influenzati, come per esempio il fisico Oersted, Hegel non fa appello all’intuizione o al sentimento per raggiungere l’anzidetta totalita. Egli ritiene che questa possa venire colta attraverso un procedimento razionale (non riducibile pero alla logica formale o alla matematica): trattasi del procedimento ciialetzfico, che rappresenterebbe la forma piu elevata di razionalita. Proprio contro la dialettica sono state pero sollevate le piu severe riserve da parte di pressoché tutti i filosofi interessati alla scienza; essi hanno accusato la dialettica di non costituire un metodo seriamente razionale. E, cio facendo, si sono presentati come gli eredi di Kant, ossia come i soli razionalisti seri, come coloro che sanno respingere coerentemente dalla scienza ogni riferimento alla categoria (spuria, ingannatrice) della totalita. Come gia si as accennato, noi cercheremo invece di provare che questa categoria (liherata dall’alone mistico di cui la circondavano i romantici) compie una funzione di notevolissimo rilievo all’interno stesso del pensiero scientifico. E proprio per
cio non e lecito, a nostro giudizio, condannare tl priori il tentativo di farne un uso controllato anche ne1l’elaboraz1one di una seria
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concezione filosofica. 2. Tomlin? e prolmbilita
A conferma di quanto detto alla fine del paragrafo precedente, cercheremo anzitutto di illustrate la funzione compiuta _dalla categoria della totalita in connessione con una delle _nozioni che piu caratterizzano la scienza moderna, cioe con la nozione di probabilita. Cominceremo a studiare tale connessione in Laplace, uno dei massimi scienziati francesi dell’inizio dell’Ottocento. Poi la esamineremo in relazione alle piu moderne ricerche intorno alla sperimentazione.
2.1. E fuori dubhio che Pierre Simon Laplace fece largo uso della categoria della totalita, Vin funzione per cosi dire _filosof1ca, nel delineare il concerto di natura (quale grande orologio, regolato da leggi rigorosamente deterministiche) che sta alla base _del suo meccanicismo Ma il punto che qui intendiamo porre in rilievo e un altro: e che Laplace fa ricorso a tale categoria in _funzione piu specificamente scientifica, quando .cerca di giustificare l’introduzione nella fisica del calcolo delle probabilita; introduzione che, alla sua epoca, ebbe un significato profondamente 1nnovatore. Da quel momento in poi la prohabilita compira un ruolo importantissimo in tutta la scienza moderna. ’ L’argomentazione del nostro autoreg pub venire cosi riassunta: la mancata conoscenza sia pure di pochissirni anelli della grande catena causale dell’universo si ripercuote negativarnente sulla nostra conoscenza di tale universo, e non solo sulla conoscenza di esso nella sua interezza ma anche su quella che noi possiamo raggiungere intorno ad ogni sua singola parte. Ne segue che non potremo mai conseguire una conoscenza assoluta e perfetta di alcun evento, non conoscendo l’universo nella sua total1ta._ D1 qui la necessita di ammettere che tutte le verita da noi conosciute sono soltanto probabili. A hen esaminare il problema, la domanda che soggiace all’argomentazione di Laplace e questa: tisulta possibile conseguire una conoscenza vera, e non solo prohabile, di una parte dell’un1verso se non si conosce tale universo nella sua totalita? _
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Sulla categoria della zfotalité
Le risposte possibili sono due: la prima (che possiamo fare risalire a Qalileo) afferma che l’universo e effettivamente ritagliabile in zone fra loro indipendenti, e che l’uomo puo raggiungere una conoscenza assoluta e perfetta (pari “intensivamente” a quella possedutane da dio) degli eventi che si svolgono in una di tali zone, senza che cio richieda alcunché circa le nostre conoscenze di quanto avviene nelle altre zone. La seconda risposta, che e appunto quella di Laplace, afferma invece, come poco sopra spiegammo, che, per raggiungere una conoscenza assoluta e perfetta degli eventi che si svolgono in una delle predette zone, occorrerebbe conseguire una conoscenza altrettanto perfetta di quanto avviene in tutte le restanti zone. E per l’appunto l’accettazione di questa seconda risposta cio che ci impone di concludere, che tutte le nostre conoscenze intorno a singoli eventi saranno sempre soltanto probahili. Ci semhra che la connessione tra le due Categorie della totalita e della probabilita non potrebbe apparire piu chiara di cosi. Riservandoci di tornare piu ampiamente sulle due concezioni testé accennate nel capitolo quarto, ove esamineremo le conseguenze che se ne possono trarre per l’importante fenomeno della “crescita della scienza,” qui ci limiteremo ad aggiungere che la prima di esse (da noi qualificata, per ragioni di comodo, come “tesi di Ga]i1eo”), se ebbe una funzione estremamente positiva all’inizio della rivoluzione scientifica moderna, fini gradualmente col perderla, man mano che la scienza si faceva piu matura e rivelava un’articolazione sempre piu complessa. La seconda concezione -(quella di Laplace) rappresento una fase posteriore, essa pure assai significativa, del pensiero filosofico-scientifico. Dal nostro punto di vista e appena il caso di ribadirlo la sua importanza va soprattutto cercata nel fatto che essa introdusse, in forma del tutto nuova, la categoria della totalita nel discorso scientifico.
mento, sara ancora una Volta opportuno partire dalla vecchia nozione di esperimento, onde contrapporla a quella oggi sviluppata dagli studiosi piu recenti. La vecchia nozione di esperimento si basava sopra un postulato (esplicito o implicito) che potremmo chiamare “della riproducibilita delle esperienze.” Esso puo venire cosi formulato: una qualunque esperienza studiata dalla fisica (o dalla chimica, ecc.) e circoscrivihile in una zona dell’universo cosi priva di relazioni con il resto di tale universo, da autorizzarci a pensare che l’esperienza in esame risulti ripetuta “nelle medesime condizioni” quando l’anzidetta zona sia rimasta invariata indipendentemente dai mutamenti prodottisi nelle restanti zone. In altri termini: la possibilita di ritagliare intorno all’esperienza in esame una “zona di universo” completamente isolabile, E: la condizione che dobbiamo ammettere se vogliamo considerare l’anzidetta esperienza non gia come un unicum ma come ripetibile, se cioe vogliamo elevarci dalla semplice osservazione alla vera e propria sperimentazione scientifica. Orbene e per l’appunto questo il postulato che viene abbandonato dalla moderna teoria degli esperimenti. Ecco il punto di vista assunto in proposito da G. Pompilj e G. Dall’Aglio nell’interessante volume Piano degli esperimenti (1959). La base della moderna teoria degli esperimenti e, secondo essi, costituita da un assioma che rovescia completamente quello testé riferito. Trattasi del principio da essi chiamato “di non riproducibilita delle esperienze,” secondo il quale “in questo nostro universo solidale, dove ogni fenomeno influenza tutti gli altri e da tutti gli altri e influenzato, si potra concepire di ripetere delle esperienze a parita di certi fattori, ma non sara poi lecito credere che di conseguenza i 1-isultati saranno eguali, poiché, anche ammessa l’impossibile parita assoluta di certi fattori, per tutto il resto e non E: poco! le diverse esperienze, nonostante tutte le nostre cure, si svolgeranno inevitahilmente ciascuna in condizioni differenti.” Tutti i ricercatori militanti conoscono, secondo i nostri due autori, la variabilita dei risultati testé menzionata. Ma -aggiungono “va osservato che essa si percepisce solo quando i procedimenti di misura hanno raggiunto un sufficiente grado di raffinatezza; cosi, per esempio, quando facciamo cadere a terra per dieci volte lo stesso sasso dalla stessa altezza, le dieci esperienze daranno tutte lo stesso risultato se ci limitiamo a constatare che il sasso cade, e cosi ancora quando misuriamo grossolanamen-
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2.2. Passando ora ad esaminare il secondo dei due punti accennati all’inizio del paragrafo, osserviamo anzitutto che anche qui interviene l’idea della totalita come idea della interconnessione di tutti gli eventi dell’universo. E una idea della massima importanza, cui dovremo fare spesso riferimento nell’elaborazione del tipo di realismo filosofico che intendiamo esplicitare e difendere nel corso del nostro volume. Per evidenziare la novita della moderna teoria dell’esperi22
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Scienza e realismo
Sulla categoria della totalitzi
te il tempo che il sasso impiega a cadere, ma e certo che, se raffi-
zano l’anzidetta teoria. In effetti, quando si afferma per esempio che le due successioni
niamo a sufficienza il procedimento per misurare tale tempo, troveremo che, nelle dieci esperienze, il tempo di caduta varia, perché in effetti si tratta di esperienze condotte in differenti condizioni e per le quali, a hen pensare, non possono essere rimasti costanti nemmeno quei fattori, ‘sasso’ e ‘altezza,’ che pure avrebbero dovuto formate il loro comune denominatore, senza contare poi l’ineliminahile incertezza che as connaturata all’istante di partenza e a quello di arrivo del sasso in ognuna delle dieci esperienze.” Il lettore che sfogli l’opera citata di Pompilj e Dall’Aglio non avra difficolta a constatare che sono proprio queste ed analoghe considerazioni a dimostrare la necessita di introdurre nella moderna pianificazione degli esperimenti il calcolo delle probahilita. Risulta cosi confermato quanto ahbiamo gia detto a proposito di Laplace, circa la stretta connessione fra le due categorie della totalita e della probabilita. Un’ultima osservazione va aggiunta a questo punto: sia le considerazioni di Laplace sia quelle esposte nella seconda parte del presente paragrafo si basano, in ultima istanza, sopra il medesimo postulato: il postulato della impossihilita di ritagliare l’universo in zone indipendenti. Si potra obiettare che questo postulato viene accettato senza giustificazioni, sia nell’una sia nell’altra argomentazione. E pero induhitabile che la scienza moderna non sembra poter fare a meno di esso. Su quale base si vorra dunque negare alla filosofia il diritto di assumere tra i suoi principi generali la solidarieta dell’intero universo, e di elaborare di conseguenza una nozione (che cercheremo di esplicitare nei prossimi capitoli) capace di farci cogliere il complicato groviglio di nessi che danno luogo a tale solidarieta? 3. La Categorie della totalitd in matematica
3.1. Quando ci si accinge a parlare della funzione compiuta dalla categoria della totalita nella matematica moderna, si suole fare riferimento alla teoria degli insiemi: teoria che notoriamente ha contribuito in misura determinante al rinnovamento di pressoché tutti i rami della scienza in esame. L’i.mportanza della funzione ivi esercitata dalla categoria della totalita risulta, infatti, palese fin dai primi passi che caratteriz~ 24
(+)
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1, 2, 3, 4, 5, 2, 4, 6, s, 10,
6,
12,
hanno la medesima potenza o la medesima “cardinalita,” la _sola ragione che ci autorizza a fare tale affermazione e manifestamente la seguente: si considerano la (+) e la (+f”) nella lO1‘0 glohalita. A rigore, la (++) contiene meno elementi che la (+); ma noi possiamo, cio malgrado, considerarle “equipotenti” o “egualmente numerose” perché, facendo corrispondere ad ogm elemento della (+) il suo doppio, che e contenuto nella (++), Sl trova che tanti sono i termini della prima successione quantl sono quelli della seconda. In altre parole: al fine di g1ungere_ a questa conclusione, occorre considerare entramhe_ le successioni nella loro totalita, ossia proseguite fino all’1nf1n1to; occorte cioe considerare la loro struttura senza tenere conto _della diversita dei singoli termini. Ovviamente, non e questa la sede per esporre meravigliosi sviluppi della teoria degli insiemi. A buon conto, chiunque ne possegga iqualche notizia, non avra difficolta a prendere atto del ruolo centrale che la categoria della totalita compie in’ tutti i piu significativi teoremi della teoria stessa (da quelli' p1u_ elementari a quelli pifi elevati come il famoso teorema dr Godel), in tutti i suoi metodi dimostrativi (da quello della diagonalizzazione a quello del forcing), come pure nella scoperta_delle famose antinomie (di Russell, Burali Forti, ecc.) e negli interessanti e fecondi tentativi di trovarne una soluzione. Cio che qui ci importa rilevare e soltanto una cosa:_ che, con la teoria degli insiemi, la categoria della totalita si E: imposta nella matematica moderna in una misura cosi grande che nessuno avrebhe immaginato possibile prima della nascita di tale teoria. _
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3.2. Ma, per non ripetere cose notissime, vogliamo qui fermarci ad esaminare un altro aspetto, del tutto diverso, della matematica moderna, aspetto ove finora non e stata ahbastanza sottolineata, per lo meno a nostro avviso, l’importanza fonda‘mentale spettante alla categoria della totalita. ' Il linguaggio comune parla spesso delle verita maternatrche _
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Scienza e realismo
come “assolute e indubitabili”; cosi per esempio si suol affer mare che un certo risultato E: “matematico/’ per dire che é as solutarnente Vero e che il non riconoscerlo come tale sarebbe se gno di mancanza di razionalita. A rigore pero le cose stanno in maniefa H0f€V01m@11'f€diV€rSa, Come e stato posto in luce dalla critica moderna. ln realta, quando si afferma che un certo risultato e mate maticamente Vero, si asserisce soltanto che esso e dimostrabile` nell’ambito di una teoria, cioe derivabile dai suoi assiomi in base a certe regole logiche predeterminate. Ne segue che, se esso e Vero in una teoria, potra darsi benissimo che non lo sia 1n un’altra. Per esempio e Vero nella geometria euclidea che la soinma degli angoli interni di un triangolo é eguale a due an goli retti; ma questo risultato non e piu Vero nelle geometrie non euclidee. Se e innegabile che l’uo1no cornune (cioe il non specialista di matematica) parla spesso' di risultati matematicamente veri senza fare esplicito riferimento alla teoria entro cui essi sono veri (cioe entro cui sono dimostrabili), e innegabile pero che cio accade soltanto perché il riferimento a tale teoria appare superfluo, essendo essa del tutto familiare a lui come ai suoi ascoltatori. La critica piu moderna ha comunque stabilito, senza ombra di dubbio, che nessun risultato matematico e Vero in se stesso. Esso e Vero solo nel senso che fa parte di una teoria, che e coerente con i suoi assiomi, che non puo venire negato da chi accetti la teoria nella sua globalita. Il riferimento alla categoria della totalita (totalita della teoria) e qui incontestabile. A questo punto, pero, qualcuno ci porra la seguente clomanda: non esiste anche un altro motivo, oltre a quello testé accennato, per cui diciamo che un certo risultato E: matematicamente Vero? non e forse lecito dire, che un risultato e matematicamente_ Yero perché E: matematicamente intuitivo? e il carattere intu1t1vo di un certo enunciato non e forse una proprieta intrinseca ad esso, che non richiede alcun riferimento alla totalita di una teoria? Effettivamente puo accadere che un ricercatore matematico venga guidato, nelle sue indagini, da cio che siamo soliti indicare con il termine “intuizione.” Riservandoci di riprendere l’argomento all’inizio del secondo capitolo, qui ci dichiariamo senz’altro disposti ad ammettere che l’anzidetto ricercatore possa essere soggettivamente convinto della verita di un certo teorema, prima .
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Sulla categoria della' totalité
averlo dimostrato, in tali cas1 drra d1 “vederlo,” oppure di “coglierne la necessita Potra anche darsi che, dopo avere constatato che esso non e chmostrabile entro una certa teoria, egli ritenga di 1ntu1re come va mod1f1cata o amplrata questa teoria affinché il predetto teorema diventi in essa dimostrabile. Nessuno intende negate rl valore euristico di tali 1ntu1z1oni; esse compiono un ruolo importante nella psicologia dello scienziato. Cio che si nega ` ,. e che bastr lmtuizione per poter parlare di una “verita matematica » Essa puo\ spingerci' a cercare una dnnostrazione del teorema che crediamo di avere inturto, ma finche questo non e dimostrato, non possiamo dire che\ sia matematicamente Vero; e, quando ` | e dimostrato, esso risultera Vero entro una teoria (considerata co' preso). me un tutto), non Vero in se stesso (isolatamente assiomatico, che caratterizza la fase pid rigorosa Il metodo inscindibili fra matematica moderna, ha posto in luce i nessi della singolr enunciati di una teoria e la totalita della teoria stessa. I matematici di altre epoche non avevano colto questi nessi perche avevano fatto ricorso p1u all’intuizione che alla logica. Oggi la situazione e radicalmente mutata: oggi e la stessa esigenza del rigore a farci comprendere che le teorie matematiche costituiscono delle autentiche totalita. d1
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4. La clzzfegoria della totalité nelle scienze della mztum 4.1. Anche per le scienze fisiche si puo ripetere quanto abbiamo detto nella seconda parte del paragrafo precedente circa i legami esistenti fra le singole proposizioni di una teoria e la teoria stessa considerata come un tutto. Ancora una Volta si puo affermare che il rnerito di avere scoperto l’essenzialita di questi legami spetta soprattutto al metodo assiomatico, ormai larga~ mente usato nella formulazione delle stesse teorie fisiche, biologiche, ecc. Ma cio che caratterizza queste scienze nei confronti della matematica Ez, come noto, la sperimentazione; e dobbiamo subito chiederci se l’intervento di tale nuovo fattore non intacchi il carattere di totalita delle teorie da esse elaborate. Va osservato la procecome nel secondo paragrafo che qui non interessa bensi l’effetto dura con cui viene eseguita la sperimentazione, teorie. che essa produce sul carattere delle All’inizio del nostro secolo la tesi che anche le teorie elabora-
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te dalle scienze sperimentali posseggano un carattere di totalita,
stata difesa da Pierre Duhem, il quale e giunto alla conclusione che nessun esperimento risulta mai in grado di verificare o falsificare una singola legge di natura, isolatamente presa. Cio che esso verifica o falsifica e la totalita della teoria entro cui tale legge trovasi inserita. La tesi di Duhem e stata recentemente ripresa e rielaborata da Quine, che l’ha inclusa in un quadro piu ampio sul quale ritorneremo fra poco. Per ora hasti segnalare che possiamo trovare un richiamo implicito o esplicito a Duhem in due autori, Bachelard e Popper, oggi giustamente considerati fra i piu originali epistemologi della nostra epoca. Bachelard sostiene il carattere olistico (globale) delle teorie fisico-naturali con tale convinzione, da asserire che nessuna di esse si ottiene per generalizzazione di singole proposizioni ricavate direttamente dall’esperienza: a suo parere, la conoscenza scientifica “non parte mai da zero,” ma parte sempre da teorie precedenti consistendo nella loro progressiva rettificazione. Ancora piu esplicitamente Popper afferma che una qualsiasi teoria scientifica non prende mai l’avvio “dalla collezione di osservazioni né dall’invenzione di esperimenti”; essa prende invece l’avvio dalla critica di teorie precedenti. Nel caso poi delle primissime teorie scientifiche, possiamo dire che presero l’avvio dalla critica di quegli abbozzi di teorizzazione costituiti dai miti, dalle pratiche magiche ecc., in cui erano state inquadrate le osservazioni iniziali dell’umanita. Nella nostra attuale prospettiva, l’ir1teresse di tutte queste posizioni e dovuto al fatto che esse sottolineano con grande vigore la necessita di considerate sotto tutti i punti di vista (anche quello della verifica sperimentale) le teorie fisiche come delle totalita, i1 che conferma l’importanza della categoria della totalita nella scienza moderna. A questo punto puo risultare interessante aggiungere qualche osservazione di carattere storico, allo scopo di ricordarci che le tesi testé schematicamente menzionate non sono cosi nuove come spesso si ritiene; il che non diminuisce, ma anzi accresce il loro peso. Esse affondano le proprie radici in alcuni autori del primo Ottocento, come le tesi esposte nel paragrafo 2.2 le affondavano nelle concezioni di Laplace. Ecco per esempio quanto possiamo leggere in Goethe (L’e_vperimento come mediatore fm oggetto e soggetto, 1793), in aperta polemica contro quelli che si illudono di poter dimostrare sperias
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Sulla Categorie della totalité
mentalmente le singole proposizioni: “oso_ affermare'che..: niente e piu pericoloso che voler subito, mediante esperimenti, confermare una proposizione.” E ancora piu chiara e la_ sua polemica clualr sr illudono _di (Teoria dei colori, 1810) contro quelli poter compiere valide osservazioni al dr fuori d1_ qualsiasi teoriaz “E strana la pretesa che spesso si avanza, ma di rado si rispetta anche da parte di chi la formula: che cioe si dehbano presentare le esperienze al di fuori di qualunque legame teorico. Come secondo esempio riferiremo un analogo pensiero espresso nel 1830 da Comte (Corso di Filosofia positiva): “Se da un lato ogni teoria positiva deve necessariamente essere fondata su osservazioni, E: egualmente evidente, da un altro lato, che, per dedicarsi all’osservazione, il 'nostro spirito ha bisogno di una qualche teoria.” Si tratta dunque di esigenze gia affiorate da tempo, ma che la critica moderna ha avuto l’indubhio merito di rimettere in prena luce, sottolineandone l’enorme importanza. 1
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4.2. Un punto ove e particolarmente evidente la svolta _di cui ahhiamo parlato, diretta a sottolineare il carattere Ol1_St1C0 delle teorie fisico-naturali, riguarda il problema della spiegazione. Come as noto, all’inizio dell’era moderna si pensava che fosse possibile, non solo accertare la validita di una singola legge mediante l’osservazione dei fatti empirici, ma anche darne una spregazione intuitivamente sicura (riferihile in modo _diretto alla legge in questione). Ecco per esempio la spiegazione formta da Torricelli per il fatto, da lui stesso scoperto, che la colonna di mercurio contenuta in un tubo barometrico (questo termine e ovviamente posteriore) raggiunge sempre la medesima altezza indipendentein determinate condizioni di luogo e di tempo mente dalla forma del tuho: “io pretendo che la_ forza che regge quell’argento vivo contro la sua naturalezza di ricader gru... non sia interna al vaso [cioe dovuta all’horror vacui, come tradizionalmente si pensava], ma la sia esterna‘ e che venga_ dr fuori. Su la superficie del liquore che as nella catmella [la catmella Of/C e stato capovolto il tuho barometrico]_ gravita laltezza dr cinquanta miglia d’aria; pero qual meraviglrae se nel vetr0 [11 '€UbQ barometrico] l’argento vivo entri e vi si mnalzi f1n_ tantc; che sr equilibri colla gravita dell’aria esterna _che lo spmge? Abbiamo apparentemente una spiegazione che si applica specificamente alla legge da spiegare senza fare rrferimento ad alcuna
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teoria. Ma leggendo attentamente il brano citato, si constata sen za difficolta che Torricelli fa un implicito riferimento ad alcuni principi dell’equilibrio che suppone noti; se non li elenca in modo esplicito, e solo perché li ritiene accettati da tutti, al di sopra di qualsiasi teoria; li ritiene cioe “familiari” analogamente a quan to ricordammo nel paragrafo 3.2. parlando dell’atteggiamento del l’uomo comune rispetto ai risultati matematicamente veri Ma anche qui, come gia per la matematica, la critica moderna e riuscita a sottolineare che il riferirnento ai principi dell’equili brio, cioe a una ben determinata teoria, rappresenta una condi zione indispensabile per la validita della spiegazione torricellia na. Questa spiegazione non potra pertanto venire considerata co me intuitiva e assolutamente valida: essa E: valida entro una teo ' ria e non al di fuori di essa. Non possiamo quindi considerarla come una spiegazione isolata di un fatto singolo: la sua capacita di spiegare questo fatto dipende soltanto dalla sua capacita di inserirlo entro una certa teoria ricavandolo dai principi della medesima. E una spiegazione da ritenersi soddisfacente finché si accetta tale teoria, e nei limiti in cui si riconosce la validita dell’intera teoria. Se ne conclude che la categoria della totalita compie, anche in questo caso, un ruolo di incontestahile importanza. Ancora una volta si deve dire che, se i fisici dell’epoca di Torricelli e anche del secolo successivo non compresero tale importanza, e solo perché non avevano afferrato il vero senso delle spiegazioni scientifiche. Se noi invece l’ahbiamo compresa con chiarezza, e perché la moderna critica della scienza ci ha fornito in proposito una nuova consapevolezza che le generazioni precedenti non possedevano. .
5. La clziegoria della zfotalitd nell’e¢lificio complesrivo della scienze;
5.1. Nei due ultimi paragrafi ahbiamo sottolineato l’importanza assunta dalla categoria della totalita nelle teorie matematiche e nelle teorie fisico-naturali, quando queste teorie (sia matematiche sia fisico-naturali) vengano impostate in forma critica moderna. Ci proponiamo ora di prendere in esame la nozione di “disciplina scientifica” (matematica, fisica, chimica, ecc.) per vedere se anche qui la categoria della totalita compia un ruolo di pari importanza. 30
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La risposta e decisamente negativa, per la differenza esistente fra teorza scientifica e alzsczplzmz scientifica Una teoria e una costruzione compatta, basata su principi (o assiomi) chiaramente enunqlabllh ,e _amcolamesl mfnunclatl (teoremh 16351) Connessl a tall principi da regole logiche ben precise. La formulazione assiornatica delle teorie ha avuto il grande merito di evidenziare al massuno grado tale struttura unitaria da cui dipende appunto ,_ \ limpossibilita dr isolare un singolo enunciato dalla totalita della teoria stessa Una disciphna scientifica, invece, E: un insieme di teorie connesse le une alle altre da legami molto labili, come dimostrano le seguenti considerazioni az) una disciplina scientifica (ovvero una scienza specrfica, come appunto la matematica, la fisica, ecc) si arricchisce spesso di nuove teorie, notevolmente ' diverse da quelle che la costltuivano in precedenza; b) in taluni casi queste nuove teorie sono addirittura incompatibili con singole teorie precedenti (per esempio le geometric non euclidee sono incompatihili con la geometria euclidea), ma non e escluso che le une e le altre vengano poi incluse in una teoria piu ampia quali suoi casi particolari (argomento questo su cui ritorneremo ipiu volte nel corso del presente volume, proprio in riferimento alle geometrie euclidea e non euclidee, incluse nella geometria proiettiva); c) per certe nuove teorie e possibile affermare che appartengono nel contempo a due discipline scientifiche diverse =(trattasi delle cosi dette “teorie di confine” che hanno clato luogo a nuove scienze solitamente indicate con un d oppio nome c imico fisica, va bio-fisica,” ecc.). Tenuto conto di quanto ora accennato, e ovvio che, mentre una singola teoria costituisce un edificio compatto, nulla di simile puo ripetersi per una disciplina scientifica. Cosi E: Stato opportunamente detto che ogni teoria aritmetica, geometrica, algebrica, ecc. é almeno di principio assiomatizzahile, mentre non lo e la scienza matematica considerata nella sua effettiva pregnanza. Ed e proprio qui che va cercata la ragione della inapplicabilita della categoria della totalita alle singole discipline scientifiche, categoria che invece poteva, anzi clovewz, venire applicata alle teorie che le compongono. La consapevolezza critica derivante dalle considerazioni qui ricapitolate ha condotto, fra l’altro, a un risultato assai interessante per 'la storia del pensiero filosofico-scientifico: il problema del/la classificazione delle scienze, cui era stata attrihuita la massima importanza nell’Ottocento, /ha perso oggi pressoché ogni rilievo. .
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Quine e giunto a scrivere (nel 1964) che la ricerca dei confini tra ricerca che stava alla base del problema del-- oggi ha perso ogni attualita: tali confini sono soltanto utili “ai presidi e ai bibliotecari.” Importante e invece il rapporto tra una teoria scientifica e l’altra, per decidere se esse sono davvero indipendenti, o l’una e un caso limite dell’altra, o possono venire entramhe incluse in una terza piu generale, ecc. Una Volta svuotato di importanza il concetto di singola disciplina scientifica, resta invece da prendere in esame quello piu generale di “edificio complessivo della scienza” quale insieme di tutte le teorie scientifiche: insieme che non puo venire considerato come qualcosa di statico, di fisso, di determinahile a priori, risultando fornito come testé si E: detto di una intrinseca dinamicita. E ancora possibile ed opportuno adoperare, a proposito di questo insieme, la categoria della totalita, oppure dobhiamo rinunciare ad applicarvela come si e fatto per il caso delle singole discipline scientifiche? Non e difficile rendersi conto che esiste una notevole differenza fra i due casi. In effetti, nel caso delle singole discipline scientiifiche, la pretesa di considerare ciascuna di esse come una totalita semhrava mirare, in ultima istanza, a un hen preciso scopo, quello di caratterizzare ciascuna disciplina di fronte alle altre (per esempio la fisica di fronte alla rnatematica, alla chimica, alla hiologia, ecc.); e noi sappiamo che proprio questo scopo e oggi irraggiungihile, come risulta confermato dal fatto che ha perso ogni senso la ricerca di una rigorosa classificazione delle scienze. Nell’altro caso invece lo scopo anzidetto e del tutto assente, risultando esso inapplicahile alla nozione di “edificio complessivo delle scienze” per la generalita stessa di questa nozione. Per essa suhentra invece il fatto incontestahile che l’edificio in questione possiede un certo carattere unitario, essendo costituito di elementi i quali, pur nella loro varieta e indeterminatezza, si richiamano a vicenda nelle forme piu diverse, esercitando spesso una notevolissima influenza l’uno sull’altro. Vale la pena di riferire sull’argomento alcune significative dichiarazioni di Quine: “Quando astraiarno da essi [cioe dai presunti confini fra le singole disciplinel, vediamo la totalita della scienza fisica, biologia, economia, rnatematica, logica e il resto -- come un unico sistema che si dilata, in alcune parti le varie discipline la classificazione
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connesso in modo vago, ma in nessuna parte privo di connessione.” Ma si tratta forse di una totalita, da intendersi nel medesimo senso in cui erano totalita le singole teorie scientifiche? Nel brano ora riferito Quine parrebbe propendere per una risposta positiva, poiché usa esplicitamente il termine “sisten1a.” Ma le considerazioni poco sopra esposte ci avvertono che si tratta di un parere da non prendersi alla lettera. E del resto lo stesso Quine ci pone in guardia contro un’interpretazione troppo rigorosa del termine “sistema,” poiché aggiunge subito “sistema che si dilata,” cioe sistema in sviluppo, sisterna che ha una dimensione temporale, e che proprio percio non e assiomatizzahile nel senso in cui lo sono le singole teorie scientifiche. Ne concluderemo che la categoria della totalita puo venire applicata anche al concetto di “edificio complessivo della scienza,” ma in un senso nuovo, piii fluido, piu complesso di quello cui abhiamo fatto riferimento nei paragrafi precedenti. 5.2. Non solo Quine, ma anche Lakatos parla (nel 1968) di “scienza intesa come un tutto unico,” il che conferma l’importanza che va assumendo nella critica piu moderna la nozione da noi denotata con le parole “edificio complessivo della scienza.” A questo punto mi permetto di far presente che io stesso cercai di porre in rilievo la necessita di una considerazione globale del tipo testé accennato. Scrissi infatti (nel 1960) che “cio che viene consolidato dal susseguirsi di sempre nuove osservazioni e sempre nuovi successi tecnici... non e tanto la singola legge o la singola teoria (sempre riformahili), quanto l’intera famiglia delle scienze moderne,” e precisai che “la prima garanzia del carattere progressivo [della scienza] e costituita dal continuo accrescersi del patrimonio tecnico-sperimentale acquisito dai vari rami della scienza e dal consolidamento reciproco che attraverso l’incremento di tale patrimonio ogni ramo della scienza fornisce agli altri.” Ovviamente non ha importanza che si usi un termine o laltro per indicare la nuova nozione “edificio complessivo della scienza,” o “sistema che si dilata,” o “scienza intesa come un tutto unico” o “famiglia delle scienze” o “patrimonio tecnico/sperimentale” l’irnportante e che si comprenda il ruolo che le spetta nelle nostre riflessioni sulla scienza. Nel seguito del volume usero spesso l’espressione “patrimonio scientifico-tecnico”
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Scienza e realismo
Sulla categoria della totalité
che mi semhra piu adeguata alla complessita della realta storica che intendiamo assumere, come gia si e chiarito nell’/lvvertenza, quale punto costante di riferimento per tutte le riflessioni anzidette. Cio che ritengo necessario sottolineare e che trattasi di una unita wi generis, che possiede i caratteri apparentemente contraddittori della staticita e della dinamicita. Non senza motivo avevo parlato (nel 1960) di un “permanere del tutto nella fluidita delle parti.” Proprio questo carattere cosi complesso ci ammonisce che la categoria della totalita va qui usata con particolare cautela. Lo studio della totalita costituita da una certa teoria scientifica (che possiamo supporre assiomatizzata) e uno studio di competenza del logico e, piii in generale, dello scienzato militante. Ne e una riprova il fatto che tale studio non ha da tenere alcun conto della “coordinata tempo.” Cio non significa, sia ben inteso, che una teoria scientifica non possa avere come oggetto dei fenomeni variahili con il tempo, ma solo che essa non contiene in se stessa il parametro tempo. Infatti la circostanza che una proposizione P risulti o non risulti valida nell’ambito di una certa teoria T non dipende dall’epoca in cui questa teoria venne elaborata: dipende soltanto dai principi (o assiomi) di T e dalle regole logi~ che applicate per dedurne le proposizioni di T. Potra anche darsi che, col trascorrere del tempo, la comunita scientifica ritenga utile sostituire alla vecchia teoria T una nuova teoria T', la quale non conterra piu la proposizione P ma altre proposizioni P', P", ecc. Cio non implica tuttavia, in alcun modo, che risultino modificati i rapporti fra P e i principi di T. Completamente diverso as invece lo studio dei rapporti fra un certo risultato (R) e il patrimonio scientifico-tecnico (S~T). Ed infatti il carattere stesso, essenzialmente dinamico, di S~T, fara si che in un certo momento .S`~T includa R come risultato valido; in un altro momento lo includa come risultato solo ipotetico che esige ulteriori prove; in un altro come risultato non piu valido ma ancora utilizzabile; in un altro ancora come risultato del tutto sorpassato, ecc. Trattasi ovviamente di uno studio che richiede competenze diverse da quelle specifiche del logico o dello scienziato militante, pur interessandoli entrambi. E uno studio che richiede ancora l’uso della categoria della totalita, ma adoperata in un senso alquanto diverso da quello che cercammo di illustrare nei precedenti paragrafi. Nei seguito del volume cercheremo di spiegare che il patrimonio scientifico-
tecnico e, si, una totalita, ma non statica hensi dinamica: una totalita che richiede di venire analizzata con un nuovo metodo, il metodo dialettico. Al significato di questo metodo, e ai suoi rapporti con il metodo in base a cui si analizzano le teorie assiomatizzate, verra dedicato il prossimo capitolo.
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Logica e dialettica
Capitolo secondo
Logica e dialettica
cupano ormai una posizione di notevolissimo rilievo nel patrimonio scientifico della nostra epoca; patrimonio che puo senza dubbio venire arricchito e raffinato dalle ricerche piu moderne di logica intuizionista, logica modale, ecc. ma che non pub venire messo in disparte. E risaputo che i risultati testé accennati hanno trovato ampie utilizzazioni negli Studi di linguistica, che si pub dire ahbiano un autentico subito -- proprio in seguito a tali utilizzazioni salto rivoluzionario, portandoci a cogliere con straordinaria precisione la struttura profonda dei nostri linguaggi. Ma l’utilizzazione di maggiore rilievo e stata senza duhbio quella fattane nell’assiomatizzazione e formalizzazione delle teorie scientifiche, in particolare di quelle matematiche (non e neanche il caso di ricordare che “formalizzare una teoria” significa esplicitarne non solo gli assiomi bensi tutte le operazioni logiche: sia quelle adoperate nella definizione dei termini della teoria, sia quelle adoperate nella deduzione dei teoremi). Taluni sembrano ritenere che la logica avrebhe un ruolo essenziale nella matematica moderna solo in riferimento al cosi detto “problema dei fondamenti” (problema che ha rivelato tutta la sua importanza e le sue difficolta con la scoperta delle famose antinomie della teoria degli insiemi); ma si tratta di un’opinione inesatta. In realta tutti i pifi caratteristici capitoli della matematica moderna hanno potuto compiere, in tempi recenti, molti e significativi progressi per l’appunto grazie al largo uso sistematicamente compiuto delle piu sottili tecniche logiche. Queste tecniche costituiscono infatti lo strumento indispensahile per esporre le teorie in forma assiomatica, e la matematica moderna non puo pid fare a meno del livello di rigore che solo tale forma riesce a garantire. Il legame tra logica e matematica e diventato oggi cosi stretto, che non di rado i cultori delle scienze sperimentali usano come equivalenti le due espressioni “logicizzazione” e “matematizzazione” delle teorie. Questo uso E: giustificato dal fatto che “matematizzare una teoria” significa attualmente non solo scriverne gli enunciati in termini matematici, ma enucleare la struttura matematica della teorial stessa, cioe evidenziarne gli assiomi e la logica interna. Stando cosi le cose, sarehbe fare un gravissimo torto ai sostenitori del metodo dialettico, attrihuire loro l’intenzione di sostituire questo metodo a quello logico-matematico nell’opera di costruzione delle teorie scientifiche. Come spiega assai bene I. N. Findlay,
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1.
Il ruolo essenziale della logica nella scienza odierna
Riteniamo del tutto superfluo tentare di esporre in forma schematica le linee generali della logica formale moderna (0 logica matematica); le supporremo senz’altro note, come pure supporremo noto che la logica maternatica non si e costituita in antitesi a quella classica (antica e medioevale) rappresentandone piuttosto lo sviluppo: sviluppo reso possibile dai sofisticati strumenti tecnici di cui si serve, e in particolare dal suo imponente apparato simbolico. Questi strumenti le hanno permesso di analizzare con grande rigore tutte le operazioni in cui si articolano i nostri ragionamenti, nonché di precisare talune fondamentali distinzioni appena intraviste dalla logica classica: per esempio la distinzione fra sintassi e semantica, quella fra logica e metalogica, ecc. La nuova consapevolezza che queste analisi e precisazioni ci hanno procurato, e enorme. Basti considerare che ci hanno fatto scoprire l’autentica funzione compiuta nelle nostre argomentazioni dai vari connettivi logici, le conseguenze che derivano da un mutamento (anche minimo in apparenza) introdotto nella definizione di tali connettivi, la possibilita di definirne alcuni per mezzo di altri, le regole con cui si combinano tra loro, il tipo di estensione che due di essi (l’alternativa e la congiunzione) ricevono nei cosi detti quantificatori esistenziale e universale, l’importanza del dominio cui si intendono applicahili questi quantificatori (dominio delle variabili individuali o delle variahili predicative) e la conseguente possibilita di distinguere diversi livelli di logica (logica enunciativa, logica del primo ordine, ecc.). Sarebbe ridicolo voler sottovalutare questi risultati, che oc36
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i Q
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Scienza e reulismo
la stessa dialettica hegeliana non e e non intende essere “un metodo che cerchr di costruire un sistema deduttivo, quale Hegel ¢0n0_ SCQV-2 Ilelle uarie loranche della matematica e quale noi conosciamo nfri nostri sisterni di logica simbolica” (Hegel oggi 1972) In ' , . 3 U6 garplez. anche per il seguace odierno della filosofia hegeYana, a ogica formale resta attualmente, come lo fu in passato, unico metodo capace di farci ricavare con rigore tutte le conseguenze implicitamente contenute in un gruppo di premesse E ‘
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(fsiremamente nnportante esplicitare queste consevuenze, ;Ciruo 0 De a logica continua ad essere fondamentale in tutta la enza. a questo punto dr _v1sta, si potranno compiere notevoli progressi affinando le operazroni della logica-matematica ma non pretendendo di farne a meno, Come gla detto, il fautore del metodo dialettico non intende sosgtuire la loglca formale con la dialettica; cio che egli sostiene C ff C, 2CCanto ai prohlemi da trattarsi con la logica formale, ne elslistono altri cur essa non e applrcabile. Né si tratta di prohlemi c e riguardino soltanto la frlosofia: essi riguardano pure arg0_ menu dlrettamellte legati alla scienza, come cercheremo di illustrare nel prossrmo paragrafo. 3010113 e
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2. Sulla funzione conoscitlwz della logiclz e della mlzzfefmztica le C3582 ditigeclnsnla logica ed essa _sola ci _insegna a ricavare tum; enute ner gruppi di _assiomi posti alla base del16 8 uarie teorie matematiche. Ora dobbiamo chredercr se la mateC0nSiderata_ un’attivita conoscitiva indipenglatlca P05521 V€D1r€ entemente dalle sue applicazioni e, in caso di risposta positiva S9 ‘alla logica spetti un qualche hen determinato ruolo entro tale _
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attivita conoscitiva. noto, per lungo tempo si ritenne che gli assiomi delle QOHUQ principalirteorie matematiche costituissero delle verita evidenti e si attrihui alla logica il compito di trasferire questa evidenza daéli 52
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teofeml, 3110116 a quelli piu complicati che, presi in se 516531, 11011 sarebbero per nulla evidenti. Va sottolineato che, stando a questa interpretazione, la conoscenaa matematica risulterebbe priva, per definizione di ogni dinamrsmoz una Volta afferrata direttamente o indirettamente l’evidenza degli enunciati di una teoria matematica, non resterehbe altro che contemplarli cosi come sono, ammirandone l’eleganza asslofm
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che noi uomini siamo soltanto in grado di cogliere direttamente l’evidenza degli assiomi, mentre dobbiamo ricorrere alla logica per afferrare quella dei teoremi, vero e pero che l’intelletto divino potra cogliere d’un solo colpo l’evidenza sia degli assiomi sia di tutte le conseguenze da essi deducihili. Se ne ricava che alla logica e riservato, in tale concezione, un compito merarnente sussidiario; non si potra quindi presumere che essa riesca ad inserire un qualche dinamismo nella conoscenza matematica: questa si riduce in ultima istanza a mera contemplazione. Alobiamo insistito su questo punto, perché risulti fin d’ora chiara l’antitesi fra carattere statico dell’evidenza e carattere dinamico di quell’altro tipo di conoscenza che chiameremo conoscenza dialettica. Come pure e noto, e stato Descartes a considerare l’evidenza quale criterio ultimo e definitivo della verita. Per illustrare la funzione subordinata che attrihuiva, invece, alla logica, bastera ricordare il seguente dubbio da lui formulato: allorquando pervengo a ricavare un teorema mediante una lunga catena dimostrativa, puo darsi che, giunto alla fine di essa, io mi ricordi si di averne a suo tempo dimostrato i singoli anelli, ma non ahbia piu presenti gli argomenti che erano serviti a provarli; in tale caso con quale diritto sosterro che la catena anzidetta mi fa veramente cogliere l’evidenza del teorema? chi mi garantira di non essere stato ingannato dalla memoria? solo l’esistenza di un dio non ingannatore puo darci questa sicurezza. Egli puo perrisponde Descartes tanto concluderne che “la certezza e la verita di tutte le scienze dipendono dalla sola conoscenza del Vero Dio.” La concezione testé delineata E: stata da tempo abbandonata in seguito alla scoperta del carattere convenzionale, e non evidente, degli assiorni delle varie teorie matematiche (carattere confermato dal fatto che esistono teorie hasate su gruppi tra loro incornpatihili di assiomi). ln particolare e stata vivacemente criticata la pretesa di Descartes di elevare Fevidenza a criterio assoluto di Verita. Gli si e obiettato che, cosi inteso, questo criterio chiude l’indagine e irrigidisce la scienza. Non senza motivo Gaston Bachelard ha qualificato la propria nuova epistemologia come “non-cartesiana.” l\/lalgrado queste critiche, vedremo che qualcosa del Vecchio programme cartesiano sopravvive in non pochi indirizzi contemporanei. Alcuni grandi matematici dell’inizio del nostro secolo (come Poincaré, Enriques, Severi, ecc.) -- solitamente chiamati “intuizioSe e Vero
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nisti” o meglio “pre-intuizionisti” hanno accettato da Descartes la sua sottovalutazione della logica. Non potendo pifi, tuttavia,
contrapporre l’evidenza alla logica, hanno cercato di contrapporre al carattere meccanico della logica il carattere creativo dell’intuizione, la quale sola costituirebhe la base del valore conoscitivo della matematica. L’effettivo procedere della matematica si articolerehhe, secondo essi, in due fasi: la fase dell’intuizione “che non Ez,” come spiega Bourhaki “l’intuizione sensihile volgare, ma piuttosto una divinazione diretta (anteriore ad ogni ragionamento) del comportamento normale che par lecito attendersi da parte degli enti matematici,” e la fase della elaborazione logica (fase pressappoco di routine) che esplicita il nesso fra i teoremi intuiti e gli assiomi precisando, eventualrnente, qualche condizione per la validita di tali teoremi. E chiaro che questa intuizione non e un sinonimo dell’evidenza cartesiana, ma un processo psicologico sostanzialmente dinamico e, quel che piu conta, irriducibile all’elaborazione logica. E un processo che guiderehhe il matematico alla conquista di nuovi teoremi e che, proprio per questo, avrehbe un’autentica funzione conoscitiva. Un altro indirizzo, antitetico a quello testé accennato, conserva esso pure, sebbene da un punto di vista assai diverso, qualcosa dell’eredita cartesiana. Ci riferiamo all’indirizzo sostenuto dal matematico Hans Hahn, seguace del logicismo di Russell e assai prossimo alle tesi dei neo-positivisti viennesi. Data questa sua posizione filosofica, e ovvio che egli non possa condividere l’opinione secondo cui il potere conoscitivo della matematica dovrebhe venire ricondotto all’intuizione (intesa nel senso poco sopra spiegato); Hahn sostiene invece che la matematica, essendo integralmente riducibile alla logica, non possiede a rigore alcun valore conoscitivo. Infatti un intelletto onnisciente non avrebbe hisogno di ricorrere alla matematica per vedere, insieme con il gruppo di assiomi di una teoria, tutta la successione di teoremi che ne derivano. (Qui e palese il richiamo a Descartes, con una differenza pero: secondo Descartes l’intelletto divino coglierehbe d’un solo tratto l’evidenza di tutti gli assiomi e di tutti i teoremi della teoria; secondo Hahn tale intelletto coglierebhe d’un tratto i legami di dipendenza di tutti i teoremi della teoria dagli enunciati assunti come assiomi di essa, senza riconoscere l’evidenza né degli uni né degli altri.) Solo un intelletto finito come il nostro (e qui e di nuovo manifesta l’analogia con Descartes) avrebbe bisogno della logica, non essendo in grado di percorrere senza di essa la lunga catena dei nessi che colleE:
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gano i teoremi agli assiomi. Quanto poi alla f2\m0Sf>\ iI1'fUiZi0ne dei sopra ricordati matematici pre-intuizionisti, essa non sarehhe altro, secondo Hahn, che una scorciatoia non esclusa per_pr1nc1p1o dalla logica; ma appunto per essere una semplice scorciatoia, non avrehbe alcuna funzione conoscitiva, hensi soltanto pratica. Dopo avere hrevemente abhozzato i caratteri essenziali .delle tre concezioni anzidette, qualcuno ci chiedera quale di esse riteniamo di poter condividere. La nostra risposta ez non riteniamo di poterne condividere alcuna. Tutte e tre infatti hanno il difetto di considerare le teorie matematiche soltanto in se stesse, come costruzioni formulate entro un linguaggio chiuso artificiale? senza calarle nella realta storica, e quindi senza cercare di cogliere effetti che sono in grado di produrre entro quella piu ampia totalita (non assiomatizzahile) che ahhiamo chiamato “patrrmonio scientifico-tecnico.” E proprio da questa impostazione astratta che discende, a nostro avviso, la difficolta di determinare il valore conoscitivo delle teorie matematiche, cioe di rispondere alle domande: risultera esso connesso all’evidenza degli assiomi? o alla farnosa intuizione di cui parlavano Poincaré, Enriques, ecc.? Quando invece si calino tali teorie nella concreta realta storica, sara agevole determinare il loro valore conoscitivo analizzando il contributo che esse danno all’incremento del patrimonio scientifico-tecnr co di cui si e prlato. Ecco per esempio quanto ho scritto in proposito nel 1953: ‘
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E innegabile che, nell’opera di concreta formazione di una teoria, la teoria elaborata non possiede sempre quella chiusura logica, che pur costituisce la caratteristica delle teorie perfette... [Il fatto e] che una _teoria scientifica rigorosa, put nella sua indipendenza logica dal _linguaggxo _COmune, pub provocare nel1’animo del _ricercatore notevolissime chiarificazioni circa problemi emersi nel hnguaggio comune.
E in tale sede citavo, come esempio assai illuminante,_ la chiarificazione recata dalla teoria degli insiemi al groviglio di problemi (confusamente percepiti anche dal non _matemat1co) concernenti la decomponibilita della retta in punti: problerni generalmente denotati con le affascinanti e un po’ misteriose parole lahirinto del continuo.” Tenendo esplicitamente conto di tale chiarificazione, il matematico francese Emile Borel gsservo che, dopo avere riflettuto su quanto la te ' li_i11Si;Ilnc1 inseglla a PFC' posito del famoso elmcontinuog *si sara meno disposti a pppA_
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credere
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come crede l’uomo comune di conoscere davvero cio che e il continuo, o di averne un’idea intuitiva immediata. Certamente possiamo ancora affermare che la conoscenza cosi acquisita ha il carattere di una intuizione: ma non si tratta di una intuizione che anteceda lo sviluppo di una teoria o che serva acl abbreviarlo; E: una intuizione che scaturisce da una riflessione sulla teoria stessa (considerata nella sua totalita) e sugli apporti da essa recati alla delucidazione di prohlemi formulabili anche al di fuori del suo ambito. In conclusione, noi ci troviamo di fronte a quattro indirizzi,
profondamente diversi fra loro, tutti abbastanza significativi. Il primo identifica il conoscere con il “cogliere l’evidenza” di certe proposizioni, e percio relega la logica al rango di mero strumento per trasferire sui teoremi l’evidenza posseduta dagli assiomi (stando a questo indirizzo, la matematica potrebbe venire considerata un’attivita conoscitiva solo nel momento in cui formulasse enunciati che ci fanno cogliere delle verita intuitive). Il secondo nega esso pure ogni funzione conoscitiva alla logica, ma nega nel contempo una funzione autenticamente conoscitiva alle teorie inatematiche, attribuendo questa funzione al solo atto intuitivo con cui il matematico di genio riesce a “divinare” i piu reconditi comportamenti degli enti matematici. Il terzo indirizzo nega ogni valore conoscitivo alla matenaatica perché la ritiene interamente riducibile alla logica, cioe a una catena di tautologie (per esso, l’atto intuitivo del matematico di genio avrebbe solo il valore di scorciatoia, non di autentica conoscenza). ll quarto infine, diversamente dai precedenti, attribuisce alle teorie matematiche un’autentica funzione conoscitiva proprio in quanto logicamente strutturate; ma pub sostenere questa tesi solo perché ritiene che tale funzione vada cercata nel rapporto fra il “sapere matematico” e il “sapere comune”: le teorie matematiche eserciterebloero cioe una funzione conoscitiva in quanto riuscirebbero a chiarire certi problemi fondannentali che anche il non matematico intravede senza pero essere in grado di risolverli e nemmeno di enunciarli con precisione. Qualcuno potra a questo punto osservare che la funzione attrilouita alle teorie rnatematiche (e alla logica che le sottende) dal quarto indirizzo testé menzionato non e tanto una funzione conoscitiva nel senso tradizionale del termine, quanto la funzione di accrescere la nostra “consapevolezza” intorno a problemi inizialmente affiorati fuori dell’ambito delle teorie stesse. Rispon42
diarno che questo aumento di consapevoleaza appare, _C0lniu{“iqU€> qualcosa di molto importante da varrpunti di yisiia, S1CC C `1 VO' non puo non lerlo escludere dall’ambito delle attivita conoscitive \ sara forse perplessiz non leffetto dl 11112 lasciarci notevolmente dell’att1v1ta del conoscere? troppo restrittiva interpretazione »
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3. Necessim di estendere le nostre indagini me/Je alle nozioni non
esattamente definite
Come risulta da tutti gli indirizzi delineati nel paragzrafo precedente, per poter attribuire un qualche valore conoscitivo alla matematica non basta prendere in considerazione la sola struttura logica delle sue teorie; occorre infatti riuolgersi all’ev1denza dei suoi assiomi, o alla capacita intuitiva dei ricercatori di genio, o ai rapporti tra il “sapere matematico” e il ‘isapere comunef M8,.C1C? facendo, non si finisce inevitabilmente di cadere in considerazioni psicologistiche? Riteniamo di poter rispondere, che questa presunta inevitabilita si fonda sopra una postulazione tutt’altro che indiscutibile: la postulazione, cioe, che o si fa della pura logica nel senso stretto del termine o si fa della psicologia. A noi pare invece che il prohlema sia assai piu complesso, in quanto investe una questione gia affiorata nel capitolo precedente: intendiamo riferirci all’esigenza di estendere il campo delle nostre indagini al \Cl1.l3 461 limiti della pura logica, senza percio cadere in discorsi vaghi e inconcludenti. ` Insistere sulla necessita di ampliare le nostre indagini al di la del dominio del rigore, non significa sostenere che possiamo abbandonarci alle piu insulse fantasticherie o all’1mprovv1saz1one, all’istinto, ecc. Significa soltanto riconoscere (il che certamente non e poco) che le nostre indagini sulla screnza non po_ssono_ venire circoscritte al Campo di cio che E: effettivamenteassiomatizzato o potenzialmente assiomatizzahile. Senza dubb1o_1l metodo assiomatico e uno degli strumenti piu potenti della scienza della nostra epoca; ma esso non puo e non deve distoglierci dal prendere in considerazione anche certi aspetti della ricerca scientifica che non risultano indagabili con tale strumento. Trattasi di aspettl il cui studio richiede, esso pure, grande attenzione e grande impegno. `”Esso non ci porta subito a risultati altrettanto notevoli quanto quelli conseguiti mediante l’analisi dell’aspetto assiomatico delle _
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teorie; ma e difficile negare che sono essi pure risultati assai illuminanti. E comunque uno studio cui sarebbe dogmatico rinunciare a priori, essendo ormai chiaro che questa rinuncia comporterehbe la rinuncia ad affrontare problemi, come ad esempio quello del valore conoscitivo della matematica, che presentano un indubbio interesse per chi voglia indagare non una idea astratta di scienza ma la scienza cosi come si e venuta costituendo nella realta storica concreta. Sembra qui il caso di ricordare che gia Gaston Bachelard e giunto a scrivere in tutte lettere che e necessario “restituire la coscienza del non rigoroso perché sia possibile una piena presa di coscienza del rigore” (Le mtiomzlisme appliqué, 1949). Interpretando liberamente il senso delle parole ora riportate, possiamo dire che uno studio controllato dei rapporti fra concetti esattamente definiti e nozioni fornite di una certa indeterminatezza come appunto quelle piu sopra accennate ci e di estremo aiuto per giungere ad una piena presa di coscienza del significato, dei limiti, delle implicanze di quegli stessi concetti rigorosamente definiti che intervengono negli anzidetti rapporti. In effetti, se noi prendiamo in esame una teoria rigorosamente costituita (per esempio una teoria matematica integralmente assiomatizzata o l’apparato logico-matematico di una teoria fisica) senza prestare alcuna attenzione ai suoi rapporti con il linguaggio comune, con il patrimonio scientifico-tecnico della sua epoca, con i problemi generali cui questo patrimonio da luogo, ecc., tale teoria ci si presentera come un edificio del quale non comprendiamo la funzionené le motivazioni: non comprendiamo, in particolare, quali effettivi vantaggi essa offra rispetto a un discorso disorganico e impreciso. In altri termini: la teoria rigorosamente costituita ci apparira come un edificio concettuale da accettarsi senza giustificazione, con un atto in ultima istanza dogmatico. Essa ci apparira inoltre priva di qualsiasi dinamica. Ed infatti sono proprio le concezioni non rigorose (espresse nel linguaggio comune o in linguaggi propri di fasi precedenri della ricerca scientifica) cio che spinge lo scienziato a tentare vie nuove, a rielaborare i sistemi di assiomi attualmente in uso, a correggerli, ad ampliarli, o eventualmente sostituirli con alrri del tutto diversi. Considerata al di fuori di questa dinamica l’accettazione di una teoria rigorosa viene proprio ad assornigliare a cio cui essa pili si contrapponeva: cioe alle conoscenze intuitive.
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dialettica
Lannecessita di-estendere le- nostre indagini anche _al non rigoroso e dunque qualcosa di inevitabile. Non Sl., tratt di -includere nel nostro esame gli stati d’anin1o (incomunicabili e QaSSf3S8@f1_) del singolo scienziato, ma una infinita dnnozioni, d1_dat1, di nessrche per il rnomento fuoriescono dal dominio gia solidamente costituito della ragione e che tuttavia questa non puo trascurare prop;i0 perché ha il compito di razionalizzarli. L oggetto della filoso 1a della scienza non deve essere costituito soltanto dalle teorie perfettamente costruite, ma anche da quelle appena abbozzate» 111 Via di rapido sviluppo. 4.
Il mezfodo dialettico
E fuori dubbio che lo studio dei rapporti _del tipo teste accennato non puo venire eseguito con gli _stessi metodi utiliazatl per studiare i rapporti fra proposizioni di una teoria _scientiiica rigorosa. Accadra si, in taluni casi, che alcune nozioni all_1n1z1o non esattamente definite vengano poi determinate con preC1S10n€ attraverso opportuni accorgimenti, e possano in tal modo entrare a far parte di trattazioni logicamente perfette; e questo un processo oggi hen noto ai filosofi della scienza, cheagli hanno <;la1lO 11 nome di esplicazione (da non confondersi con spiegazione _)- ESso puo venii`é”E"5ph@§lg,;13i,,In taluni casi si giungera persino a_ far CQUIspondlere al medesimo explicandum due explicata diversi, il primo dei quali coglie un aspetto dell’expl1candurn mentre 'il secondo DC puntualizza un altro. Si riuscira cosi a inserire la noz1one_1n esame entro uno, o eventualmente entro due sistemi, ove_ tutti rapporti sono chiaramente determinati, cioe entro sistemi rigorosarnente matematizzahili; e si potra anche sostenere che risultati ottenuti in questi sistemi valgono per la nozione inizialmente considerata. Ma e ovvio che, in realta, valgono non per essa hensi per il suo explicatum (o i suoi explicata). Non si esclude, con cio, che gettino 1
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Logica e dialettica
un’autentica luce anche sulla nozione primitiva (come si verifica, ad esempio, per la nozione di “labirinto del continuo” cui abbiamo fatto cenno nel secondo paragrafo), ma si tratta comunque di una luce riflessa: ottenuta mediante uno spostamento di piano, cioe mediante una traduzione della nozione (e dei prohlemi ad essa relativi) da un linguaggio ad un altro. Vi sono dei casi in cui questa traduzione viene pacificamente accolta, e si giunge perfino a dimenticare che la nozione rigorosamente definita (l’eXplicatum) scaturiva da una precedente nozione assai piu vaga (l’eXplicandum). In altri casi pero una procedura del genere sembra destinata ad alterare profondamente la natura della nozione primitiva, sicché si preferisce conservare questa nozione con tutte le sue indeterminatezze anziché sostituirla, sacrificandone l’originaria ricchezza di significati. Cio accade soprattutto per le nozioni che vengono introdotte nella descrizione dei fenomeni storici. In questi casi infatti E: proprio l’indeterminatezza di tali nozioni cio che permette di applicarle a situazioni in movimento, nelle quali diversamente da cio che accade nei fenomeni temporali studiati dalle scienze esatte questo movimento non obhedisce ad alcuna regolarita (per esempio di tipo matematico). Il metodo dialettico, a cui e dedicato il presente paragrafo, e proprio sorto dal tentativo di razionalizzare situazioni del genere, che si sottraggono per la loro stessa natura ad ogni applicazione del metodo logico-rnatematico. Alcuni studiosi sembrano ritenere che i fenomeni di tipo storico, particolarmente quando si tratta di storia delle costruzioni concettuali (come appunto le teorie scientifiche), possano venire descritti solo con metodi psicologici (per esempio analizzando i processi mentali che hanno condotto questo o quello scienziato a ideare un certo gruppo di assiomi matematici o una data ipotesi fisica). I fautori del metodo dialettico ritengono invece che il ricorso a metodi psicologici sia gravemente riduttivo perché ci impedisce di prendere in considerazione vuoi i fattori obiettivi (economici, ecc.) che di solito intervengono nella produzione dei fenomeni di tipo storico con un peso ben maggiore dei fattori meramente psicologici, vuoi i profondi nessi che emergono all’interno di tali fenomeni nel corso del loro sviluppo (nessi che fuoriescono dal genere di legami ordinariamente studiati dalla logica, anche se talvolta affiorano nello sviluppo delle stesse piu rigorose teorie scientifiche: si pensi per esempio al reciproco richiarnarsi di “poli” formalmente antitetici come, in matematica
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nozioni di continuo e discontinuo). L’ambizione del metodo dialettico sarebbe per l’appunto quella di risultare applicabile alla dinamica dei fenomeni testé accennati, senza cadere ne nelle astrattezze della matematica né nel soggettivismo della ps1e in fisica, le
cologia. Quali sono dunque i lineamenti pid caratteristici di tale metodo? Riservandoci di tornare varie volte su questo interrogativo nel seguito del volume, qui vogliamo anzitutto far notare che abbiamo espressamente parlato di “metodondialettieei e non di 3931531 ,chalet,tiea;Q~perché on ' tica condurr va-logic-ai e tanto meno che questa nuova logica dovrehbe sostituire la logica formale. Per una critica validissima di questa assurda pretesa, rinviamo al_noto saggio di Popper, dal titolo C/oe casa é la diazletzfica? Cio cui il metodo dialetcome gia ricordammo (ill poter V§tico ambisce, E: soltanto nire applicato con successo ai processi (per esempio di tipo storico) ai quali il metodo assiomatico non risulta in alcun modo applicabile. I lineamenti che possono venire assunti a caratterizzare il metodo dialettico sono, a nostro avviso, particolarmente due. Cercheremo di esporli in forma molto schematica, fermandoci soprattutto sul secondo. 1. In primo luogo il metodo dialettico ci rammenta che il fenomeno da studiare (per esempio un processo di tipo storico) va considerato in tutto il complesso dei suoi rapporti interni, nessuno escluso, cioe tenendo conto dei rapporti (bidirezionali e uariabili col parametro tempo) che intercorrono tra i suoi moltepl1c1 fattori, da considerarsi sempre come strettamente solidali fra loro. Con questa esortazione esso denuncia il carattere rllusorio della pretesa di poter esaminare il fenomeno preso in considerazione isolandone alcuni fattori e immaginando che il rapporto i§ra_due qualsiasi di tali fattori (per esempio A e B) possa venire chiarito a fondo limitandosi a studiarne una sola direzione (per esempio quella da A a B, e non quella da B ad A). Ovviamente cio non esclude che, in taluni casi, possa rivelarsi assai opportuno procedere all’isolamento di pochi fattori e allo studio di una sola _direzione dei loro reciproci rapporti; ma va tenuto presente _che risultati cosi ottenuti saranno solo provvisori, dovendo Yenire _sempre 1n,tegrati da altre considerazioni, senza di che l’1mmag1ne del fenomeno in esame risultera limitata e distorta. Senza dubbio as lecito osservare che una analoga esigenza di _
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integrazione e presente nello studio di tutti i fenomeni, qualunque sia il metodo con cui tale studio viene condotto. Ma per i fenorneni che possono venire esaminati soltanto con il metodo dialettico iper quelli, ad esempio, che fanno riferimento a situazioni in movimento nelle quali questo movimento non obbedisce ad alcuna regola-rita matematica), l’esigenza di una visione globale e particolarmente significativa, perché e in gioco una glohalita fluida, nella cui costruzione intervengono un numero illimitato di fattori. A questa globalita fluida si attribuisce talvolta il nome di “unita_ dialettica,” a proposito della quale va pero osservato che l’attributo “dialettica” sta solo ad indicare che si tratta di una unita essenzialmente dinamica, che scaturisce da un fitto intreccio di fattori non determinabili a priori, e spesso legati gli uni agli altri da rapporti molto complessi, tra cui puo essere presente anche un rapporto di contraddizione. 2. In secondo luogo, cio che caratterizza il metodo dialettico e proprio l’importanza specialissima da esso attribuita al rapporto di contraddizione. Trattandosi di un punto di particolare importanza, sara hene cercare di chiarirlo anche per mezzo di qualche richiamo storico. Come noto, secondo Hegel il compito fondamentale del metodo dialettico sarebhe quello di tradurre lo sviluppo del pensiero (e con esso di tutta la realta) in una successione di “triadi” costituite, ciascuna, da una tesi, un’antitesi e una sintesi. L’antitesi scaturirehbe dalla tesi stessa, in quanto questa rinvierebhe necessariamente alla propria negazione; e la sintesi scaturirebbe dalla coppia tesi-antitesi in quanto le due, negandosi a vicenda, rinvierebhero a una nuova affermazione capace di “superarle” ovvero di “conciliarle” (cioe di precisare i limiti del loro reciproco contraddirsi, al di la dei quali risulterebhe possihile accoglierle entrambe). Per verita si potrehhe osservare che la fecondita della negaaione era gia stata scoperta, ben prima di Hegel, dai matematici quali ne avevano fatto largo uso nelle dimostrazioni per assurdo.‘l\/la 1 seguaci di Hegel sostengono che nella dialettica la negaaione rappresenta qualcosa di hen piu importante che un semplice artificio dimostrativo; esso riuscirehhe infatti a cogliere la struttura piu profonda del pensiero (e della stessa realta) ove sono sempre riscontrahili due tendenze, l’una in antitesi con l’altra. La presenza di queste due tendenze antitetiche avrebbe una funzione determinante nei fenomeni di tipo storico, in quanto stame
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rebhe all’origine della loro stessa dinamicita. Di qui la necessita di fare ricorso al metodo dialettico per studiare tali fenomeni, e, in ultima istanza, per studiare l’intera realta se si vuole coglierla nel suo divenire storico (e non solo nel suo aspetto statico). Senza duhbio gli avversari del metodo dialettico possono a huon diritto sollevare contro di esso numerose obiezioni, accusando tutti coloro che vi hanno fatto ricorso (e in primo luogo lo stesso Hegel) di avere costruito le loro triadi dialettiche sulla base di termini equivoci, di metafore illusorie, di analogie fantastiche, prive di qualsiasi fondarnento reale. Una elencazione precisa e accurata di tutte queste obiezioni si trova nel saggio di Popper poco sopra citato, che merita di venire considerato veramente esemplare per rigore e chiarezza. Un solo difetto gli puo venire rimproverato: quello di identificare il metodo dialettico (inteso in tutta la sua generalita) con il metodo triadico hegeliano. Cosi per esempio egli scrive che “la in dialettica [...] e una teoria la quale afferma che qualcosa particolare il pensiero umano si sviluppa- secondo un procedimento caratterizzato dalla triade dialettica: tesi, antitesi, sintesi.” I fautori odierni della dialettica, pur riconoscendo i meriti di Hegel nell’avere evidenziato mediante le sue triadi non semhrano affatto dispol’importanza della contraddizione, la successione delle triadi hegeliane e nemmeno, sti ad accogliere in generale, il ricorso al metodo triadico. Vedremo per esempio, nel seguito della nostra trattazione (in particolare nel sesto capitolo), che per Mao Tse-tung il cornpito essenziale del metodo dialettico consiste nell’individuare le contraddizioni presenti nei fenomeni studiati (in genere fenomeni di tipo storico), nel determinare caso per caso se si tratta di contraddizioni piu o meno profonde, nel coglierne tutti gli effetti, e infine nell’indicare la via per risolverle. Il fatto stesso che egli analizzi la funzione della contraddizione senza fare riferimento al caso specifico della contraddizione tra tesi e antitesi, Sta ad indicare che per lui il metodo dialettico non ha piu nulla a vedere col metodo triadico hegeliano. Diversamente da Mao, il filosofo sovietico I. S. Narski sembra ancora riconoscere l’importanza della triade tesi-antitesi-sintesi, ma e facile rendersi conto che ne da un’interpretazione assai diversa da quella di Hegel. Si rifiuta infatti di scorgere nella sintesi ‘fla mera congiunzione di tesi e antitesi (sia pure entro ben determinati limiti); tale congiunzione e, secondo lui, inaccettahile
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perché manifestamente vietata dalla logica formale. I1 Vero scopo del metodo dialettico sarebbe quello di farci reinterpretizre la tesi e l’antitesi chiarendole una per mezzo dell’altra, fino a rimuovere la presunta identita dei concetti da esse adoperati. Proprio sulla base di questa reinterpretazione, e solo su di essa, sara infine possihile parlare di affermarle entrambe nella sintesi. ln altre parole, anche per lui la contraddizione e al centro del metodo dialettico, come stimolo ad approfondire e precisare l’autentico senso della tesi e dell’antitesi, portandole a un piano ove il loro carattere antitetico si dissolve. A differenza di cio che accade nelle teorie scientifiche, la contraddizione andra risolta, non con un mutamento degli assiomi che stavano alla base della teoria rivelatasi contraddittoria, ma con un approfondimento e una reinterpretazione dei concetti usati. Un altro valente studioso sovietico, B. M. Kedrov, pur accettando anch’egli la terminologia hegeliana, dimostra con chiarezza di avere compreso che il punto piu delicato del metodo dialettico consiste nel rapporto fra contraddizione e superamento della medesima: superamento che non si raggiunge “mediante un qualche accordo [fra sostenitori della tesi e sostenitori dell’antitesi] o attraverso delle concessioni reciprocheu.” poiché “...la verita non sopporta un metodo eclettico, non sopporta la ciarlataneria conciliativa.” Siamo dunque hen lungi dallidentificazione della dialettica con l’affermazione che lo sviluppo del pensiero (e della realta) sarehbe caratterizzato da un processo triadico di tipo hegeliano. Richiamarsi al metodo dialettico significa oggi riconoscere la necessita di ampliare la nozione di ragione, rifiutandosi di identificarla con la sola razionalita (pure importantissima) che si esprime nella logica formale; e significa soprattutto riconoscere che questo arnpliamento deve venire compiuto attraverso un riesame approfondito della funzione spettante alla contraddizione (alle antinomie, ai paradossi e in generale alla negazione). 5.
Il ricoifso alla dialetiiciz iiello studio teciiico”
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“patrimonio scientifica-
Nell’ultimo paragrafo del primo capitolo ahhiamo tentato di abbozzare una nozione quella di “patritnonio scientifico-tecnico” distinta dalla nozione di “teoria scientifica,” sebhene in stretta
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relazione con essa. In tale sede abhiamo anche sottolineato che una delle principali differenze fra “patrimonio scientifico-tecnico” e teorie scientifiche risiede nel fatto che queste ultime sono tutte formalizzabili almeno in via di principio, in quanto proprio la formalizzazione rappresenta il modo piu rigoroso di esporle, mentre quello si sottrae ad ogni tentativo di formalizzazione perché i fattori che concorrono a costituirlo sono innumerevoli e variahili di epoca in epoca. Stante questa situazione, ovvio che non avrebbe senso voler applicare allo studio dell’anzidetto “patrimonio” quella medesima logica formale che rappresenta lo strumento piu idoneo all’esame delle singole teorie scientifiche. Diventa quindi spontaneo, dopo quanto abbiamo chiarito nel paragrafo precedente sul metodo dialettico (da noi interpretato come essenzialmente proteso ad ampliare la nozione di razionalita), chiederci se lo strumento piu idoneo allo studio del “patrimonio scientifico-tecnico” non possa proprio esserci fornito dal metodo dialettico. Il difficile prohlema della compatibilita tra i due metodi (logico iormale e dialettico) potrebhe cosi venire avviato a soluzione sulla base della distinzione fra il Campo di applicazione dell’uno e quello dell’altro. Esistono almeno tre motivi che possono venire addotti per giustificare lapplicazione del metodo dialettico allo studio del “patrimonio scientifico-tecnico ” 1) questo “patrimonio” possiede una ineliminahile dimensione storica tesrquindi va trattato econ lo stesso tipo di categorie, non rigide, normalmente usate nella descrizione di qualsiasi fenomeno storico; 2) esso ha un tipo di rapporto nettamente particolare con le teorie scientifiche, perché viene arricchito non solo dai loro successi ma anche dai loro insuccessi, in quanto questi ci ohhligano a rivederne i fondamenti, a modificarli e perfino, in taluni casi, a sostituirli; 3) ha una struttura che si presenta nel contempo come multipla e come unitaria: multipla perché generata da tante acquisizioni scientifiche e tecniche fra loro distinte, unitaria perché costituita dall’intreccio di queste acquisizioni, non dal semplice accostamento di esse, prese ciascuna nella sua singolarita. (Si ricordino le parole di Quine citate nell’ultimo paragrafo del capitolo primo: “vediamo la totalita della scienza come un unico sistema [...] in alcune parti connesso in modo vago, ma in nessuna parte privo di connessione. ”) Qualcuno tentera forse di ohiettare che l’applicazione del meEe
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todo dialettico allo studio in questione non arreca alcun autentico vantaggio. Esso si ridurrebbe infatti secondo tali critici ad asserire che E: impossibile applicare a1l’esarne del “patrimonio scientifico-tecnico” la logica formale, Cosa questa sulla quale e facile trovarsi d’accordo; ma non fornirebbe il henché minimo suggerimento concreto circa il modo di condurre tale esame. A nostro parere, le cose non stanno esattamente cosi. Purtroppo non possiamo, per ovvie ragioni di spazio, confutare l’accusa testé accennata fermandoci ad analizzare -- come sarebbe interessante tutte le forme particolari nelle quali si articola in concreto tale patrimonio. Possiamo comunque riconoscere agevolmente ivantaggi che derivano dall’inquadrarlo in una concezione dialettica. Chi puo invero negare che, se ci ponessimo da un punto di vista nondialettico, dovremmo qualificare come un’autentica assurdita l’attribuzione al “patrirnonio” in questione di un carattere unitario e nel contempo di un carattere multiplo? e che dovremmo di conseguenza respingere la nozione stessa di “patrimonio scientifico-tecnico,” pur rivelatasi tanto importante nell’esan1e del “fenomeno scienza” considerato nella sua concretezza storica? Ma vi e di piu: chi puo negare, sempre che si ponga da un punto di vista non dialettico, l’assurdita della tesi secondo cui il patrimonio in questione verrebbe accresciuto tanto dai successi quanto dagli insuccessi delle varie teorie che confluiscono in esso, tanto dalle loro conquiste quanto dai loro errori, e perfino dal loro scontrarsi in ostacoli che non riescono a superare? Per non arretrare di fronte a tali “assurdita,” occorre ammettere che il “patrimonio scientifico-tecnico” ha una “natura” del tutto diversa da quella delle teorie scientifiche; teorie che risulterebbero manifestamente inaccettabili se viziate da pari contraddizioni. Il fatto Ez, invece, che se non limitiamo il nostro sguardo alle teorie rigorosamente costituite, ma lo arnpliarno alla “scienza in divenire,” ci imbattiamo spesso in contraddizioni gravissime che non hanno per nulla fermato la ricerca scientifica ma anzi l’hanno fortemente stimolata. Basti pensare alle famose “antinornie della teoria degli insiemi”; esse parvero in un primo tempo delle autentiche sconfitte della razionalita scientifica (e come tali fornirono occasione a una pericolosa rinascita di indirizzi filosofici di tipo nettamente irrazionalistico), ma invece, col trascorrere degli anni, si rivelarono in grado di aprire nuovi orizzonti a tale razionalita, si da poter venire considerate, non come sintomi di
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crisi, bensi di grande vitalita della matematica. E altrettanto potrebbe ripetersi per le antinomie emerse nella nuova fisica, ad esempio per l’antinomia onda-corpuscolo, che_ non tardo a dare luogo a possenti sviluppi teorici e sperimentali. lfattribuzione di una natura dialettica al “patrimonio scientifico-tecnico,” e la conseguente affermazione che per studiarlo occorre applicare il metodo dialettico (non _la logrca formale) comporta appunto che non si rinunci a fare ricorso a tale nozione per il semplice fatto che essa presenta delle proprieta contraddittorie. Evidentemente, come ahbiamo chiarito _nel paragrafo precedente, uno studio accurato di tali proprieta ci mostrera che esse, pur essendo contraddittorie se considerate ad un certo piano, non lo saranno piu se considerate ad un piano prim profondo; ma cio non toglie che a un primo esame risulterebbe molto difficile accettarle, se ci si ponesse da un punto di vista non dralettlco. Per essere disposti ad accogliere la nozione in esame, occorre avere chiararnente compreso: 1) che la decisione di applicare il metodo dialettico allo studio del “patrimonio scientifico-tecnico” non ci impedisce affatto di continuare ad applicare_ scrupolosamente la logica formale nella costruzione delle teorle scientifiche; 2) che tale applicazione non arresta affatto le nostre indagini, ma anzi le sprona vigorosamente, perché ci spinge ad analizzare in modo sempre piu profondo le proprieta antitetrche di detto patrimonio, illuminandole l’una per mezzo dcll’altra. Vogliamo negare la razionalita di una indagine approfondita della nozione di “patrimonio scientifico-tecnico” (della sua coinplessa struttura, ecc.), solo perché essa esige l’uso di metodr diversi sia da quelli applicati nella maternatica sia da quelli applicati nelle scienze empiriche? ma allora, per qual motivo chiamererno “razionali” tanto i metodi applicati nella matematica quanto quelli applicati nella fisica, nella chimica, ecc., _pur non potendo negare che sono nettamente diversi gli uni dagli altrr? La presunzione che si possa parlare di razionalita solo quando si applicano certi determinati metodi, fissati a priori, non puo che essere frutto di ci_eco dogmatismo. Una autentica consapevolezza critica deve invece indurci ad ammettete che la razionalita possa esplicarsi in forme sempre nuove; e ad ammettere,‘d1 conseguenza, che nulla possa vietarci di considerare come incontestabilmente razionale anche la dialettica. _
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La questione del realismo
Capitolo terzo
La questione del realismo
1.
Il problema del solipsismo
Le` prime e piu. radicali obiezioni al realismo provengono come e noto, dal solipsismo. Cominceremo quindi la nostra indagine _accennando alla tesi centrale di questo antico e paradossale 1nd1r1zzo; non certo per farne un esarne dettagliato ma perché essa_ puo offrirci alcuni spunti di qualche interesse’per i para_ grafl successivi. Tale tesi pub Yenire cosi riassunta: -esisto soltanto io (ove 1l termrne _io designa il mio essere inclivicluale concreto), mentre tutt1` gli altrr esseri (uomini e cose) sono unicamente mie $136, croe, la loro presunta esistenza oggettiva é illusoria. Il nocciolo dell argomento e questo: una Volta stahilita una certa base per gli enunciati esistenziali (base che nel caso presente e identificata con 1l mio percepirli) diventa impossihile manipolare tale base in modo da riuscire ad oltrepassarla. Il solrpsismo subi parecchi sviluppi nel corso dei secoli, assumendo forme spesso molto sofisticate. Le piu recenti sono i1 cosi detto solrpsismo “linguistico” di Wittgenstein e quello “metodlco d1_ CNMP- Come e noto, questi due autori hanno esercitato e continuano _ad esercitare una profonda influenza su larghe sdllem dl f11f’S0f1, quali, pur senza accoglierne appieno tutte le tesi, pe condividono in linea di principio la nuova e caratteristica impostazione del problerna della conoscenza. Ma I}OIi sarebbe esatto ritenere che solo i filosofi, e non gli SCl€1]Z12t1, sr siano scontrati con la sconcertante posizione del soliPS1S11}0- LH tr0v}am0, per esempio, seriamente discussa dal fisico Eflstfgl? Ludwig B0l1IZn}ann, uno_ dei massimi scienziati della ine e secolo scorso. Linteressantrssima tesi da lui sostenuta al _
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riguardo e che il solipsismo non pub venire confutato per via puramente dimostrativa, poiché l’immagine che esso fornisce del mondo, sebbene ripugni al senso comune, e perfettamente coerente dal punto di vista logico. Riteniamo doveroso dire in modo esplicito che, pur dissentendo da altre posizioni di Boltzmann, ne condividiamo appieno la ,tesi testé citata, e che anzi la riteniamo particolarmente significativa dal nostro punto di vista, sembrandoci costituire una nuova prova contro la pretesa che la logica esaurisca tutta la razionalita. Vale la pena comunque aggiungere che, secondo il grande fisico austriaco, l’unico modo per demolire la base logicamente ineccepibile del solipsismo consisterebbe nell’esigere che vengano precisate le regole per l’uso degli enunciati esistenziali. Ci limiteremo a riferire, in proposito, un significativo brano dello stesso Boltzmann citato da E. Bellone nel suo volume Il mondo di cam: (1976):
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che scrive Boltzmann in tale brano Se qualcuno dovesse asserire solo le proprie sensazioni esistono, rnentre quelle degli altri sono soltanto l’espressione nella sua mente di certe equazioni fra certe sue sensazioni, noi dovremmo in primo luogo chiedere quale senso egli attribuisca a tutto cio, e se egli esprima questo senso in modo appropriato.
La sottigliezza di queste considerazioni di Boltzmann e fuori duhhio (esse precorrono certe argomentazioni che verranno piu tardi sviluppate dal “Circolo di Vienna”). Va pero subito aggiunto che, se oggi nessuno scienziato aderisce alla tesi Centrale del solipsismo, non per merito di tali considerazioni. I motivi che lo inducono a respingere il solipsismo sono piu semplici e piu immediati. Potremmo cosi riassumerli: quando ci sforziamo di entrare in contatto con altri individui o con oggetti qualsiasi del mondo che ci circonda, li percepiamo come qualcosa che, pur dipendendo in parte dal nostro modo di prenderli in esame, riesce indubhiamente a condizionarci. Chi volesse sostenere che questi individui od oggetti, che interagiscono con noi, sono soltanto “l’espressione nella nostra mente di certe equazioni fra certe nostre sensazioni” (per usare le stesse parole di Boltzmann) dovrehhe rinunciare a priori a tenere conto della ricchissima messe di esperienze conogni qualcrete (di vittorie e di sconfitte) che ci vengono fornite sia volta tentiamo di approfondire il nostro contatto col mondo E:
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dalla effettiva vita quotidiana sia dalla articolatissima e laboriosa ricerca scientifica. Si dira, forse, che respingere il solipsismo senza riuscire a darne una confutazione logica e segno di impotenza e di rozzezza; a nostro avviso, pero, tale rifiuto non e affatto segno di rozzezza, qualora venga utilizzato, non per spegnere tutti gli interrogativi che trovano espressione nella tesi solipsistica, bensi per riformularli in termini meno paradossali, e rendere con cio pid critica la nostra concezione della conoscenza, ossia per renderci pid consapevoli delle difficolta cui andiamo incontro ogni qualvolta parliamo dei nostri contatti con cio che e altro da noi. Segno di effettivo dogmatismo sarehhe, invece, prendere alla lettera la tesi solipsistica, assumendola come risoluzione definitiva di tutti i problemi gnoseologici; e cioe partire da essa per negare validita ad ogni ulteriore indagine sui processi conoscitivi concreti: per esempio, sui metodi di prova 0 di confutazione adoperati dalla scienza, e inoltre sulla maggiore o minore profondita dei risultati conseguiti, ecc. 2. Difficoltai del realismo ingenuo Se laatesi. centrale del solipsismo ci sorprende per la sua sottigliezza e paradossalita, quella del cosi detto “realismo ingenuo” ci si presenta invece come del tutto naturale e universalmente accettabile; in effetti suole venire accolta senza discussione dall’uo~ mo comune e da non pochi scienziati militanti. Essa puo venire cosi riassunta: esiste una realta che trascende soggetti conoscenti, e cioe trascende il mondo fenomenico o mondo delle nostre percezioni; E: tuttavia connessa a questo mondo delle percezioni in un doppio senso: perché ne sta ontologicamente alla base e perché occorre proprio partire dalle percezioni per giungere a conoscerla. Un esame anche sommario di queste due connessioni sara pero sufficiente a porre in luce le difficolta insite in entramhe. E questo bastera a farci duhitare della “‘naturalezza” e “universale accettabilita” del tipo di realismo che stiamo esaminando. Per designate la prima connessione ahhiamo appositamente usato un’espressione alquanto vaga, affermando che i1 mondo delle percezioni troverehhe la propria base ontologica nell’anzidetta realta che lo trascende. Ma che cosa significano le parole _
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“stare alla base di” o “trovare la propria base in”? La risposta pid spontanea parrebhe essere questa: la presunta realta trascendente e la “causa” delle nostre percezioni. Ma proprio una risposta del genere si e rivelata, ormai da tempo, del tutto inaccettabile. E stato Kant a porlo in luce, dimostrando con una celebre analisi della categoria della causalita -- che essa puo venire applicata solo al mondo fenomenico (cioe come affermazione che un certo fenomeno e o non e causa di un altro), sicché non risulta in alcun modo utilizzabile per designare i rapporti fra il mondo fenomenico e quello della realta che gli starehbe alla base. Come ahhiamo accennato nel paragrafo precedente, i motivi semplici e immediati che inducono lo scienziato a respingere il solipsismo si hasano in ultima istanza sulla necessita di tenere conto, ogni qualvolta tentiamo di approfondire i nostri contatti con il mondo che ci circonda, della resistenza che questo mondo oppone alle nostre indagini: resistenza della quale riusciamo talVolta vittoriosi mentre altre volte ne siamo sconfitti. Orbene, se possiamo ritenere che questa resistenza sia sufficiente a provarci che il mondo da -cui siamo circondati non e puramente soggettivo (sehbene le percezioni cui fa riferimento ahbiano senza dubhio un carattere sogettivo), solo uno studio accurato della struttura concreta di tale mondo ci autorizzera a precisare, grado a grado, quale funzione spetti, nella produzione di tale struttura, al fattore soggettivo e quale invece al fattore non soggettivo. Una cosae asserire che il mondo fenomenico dipende, oltre che da noi, anche da qualche essere “altro da noi,” e un’altra cosa, del tutto diversa, e pretendere di stabilire a priori in che consista questa dipendenza. Trattasi di un problema che potra venire chiarito solo attraverso una difficile analisi di tutti gli elementi sensoriali e concettuali che intervengono nei processi conoscitivi e particolarmente in quelli scientifici. Il secondo tipo di connessione fra il mondo fenomenico e la realta “altra da noi” della quale -ahbiamo parlato si incentra sulla tesi secondo cui occorrerehhe proprio partire dai fenomeni per riuscire in qualche modo a conoscere l’anzidetta realta. Anche qui, pero, si annidano gravi difficolta, forse ancora superiori a quelle insite nel primo tipo di connessione. Esse risultano collegate alla seguente domanda: come e possihile passare dal mondo delle percezioni essenzialmente soggettive, a un mondo che trascende in toto il soggetto?
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Scienza e realismo
La questione del realismo
In genere si afferma che tale passaggio verrebbe operato mediante un processo astrattivo. Ma se. teniamo presente che tutte le proprieta del mondo fenomenico sono legate ai nostri sensi, non si comprende come risulti possibile con tale processo elevarsi a proprieta di carattere non soggettivo. Ed infatti: o astraiamo solo da alcune proprieta sensibili, e allora quelle che rirnangono dopo tale astrazione saranno ancora proprieta sensibili, cioe soggettive; o astraiamo dalla totalita delle anzidette proprieta, e allora, dopo compiuta l’astrazione, non ci resta pid nulla. Se ne ha una riprova analizzando cio che e stato fatto dai grandi pensatori del Sei e Settecento. I meccanicisti (come per es. Descartes) cercarono di seguire la prima via astraendo solo dalle cosi dette qualita secondarie (colori, suoni, odori, ecc.), e giunsero a isolare le cosi dette qualita primarie (geometrico-meccaniche) che ritennero di poter attrihuire alla realta oggettiva; ma il loro risultato venne poi contestato nell’Ottocento, sia perché la distinzione stessa fra qualita primarie e secondarie si rivelo priva di fondamento, sia perché venne osservato che le qualita geometrico-meccaniche sono esse pure legate al soggetto, e quindi non posseggono il carattere oggettivo ipotizzato dai meccanicisti. Nel Settecento il filosofo-teologo George Berkeley segui invece la seconda via, astraendo da tutte le qualita sensihili; ma proprio questa astrazione totale lo porto a negate l’esistenza della presunta realta oggettiva ipotizzata dai meccanicisti. Ne concluse che l’unica realta esistente as quella delle nostre percezioni sensibili: “esse est percipi.” Al di la di essa, cioe del mondo fenomenico, sarebbe lecito fare riferimento solo ad una realta del tutto differente da tale mondo, cioe all’essere divino che produrrebbe direttamente in noi (in un significato del verho produrre completamente diverso da quello usuale) le percezioni sensibili. Si tratta, come e ovvio, di una conclusione agli antipodi del realismo; essa Viene comunemente considerata come l’esempio pid tipico di idealismo soggettivo. ll fallimento di tutti i tentativi rivolti a giustificare la seconda tesi del realismo ingenuo cioe la pretesa possibilita di partire dal mondo fenomenico per giungere alla realta ad esso sottostante non comporta l’automatico abhandono anche della prima tesi, che afferma l’esistenza di tale realta qualificandola appunto come fondamento del mondo fenomenico. Fin dall’antichita infatti alcuni importanti indirizzi filosofico-scientifici, corne ad esempio il pitagorismo, hanno sostenuto che, per giungere al-
l’anzidetta realta, occorre prescindere dal mondo fenomenico e fare invece appello alla matematica. Per giustificare questa dottrina i pitagorici teorizzarono, come E: noto, il carattere aritmetico della realta stessa, attrihuendo al numero intero un significato pressoché rnistico. Gvviamente questa interpretazione e da tempo caduta, ma con essa non e caduta la convinzione di poter cogliere attraverso il calcolo la “vera natura” della realta; essa E: condivisa piu o meno consapevolmente da parecchi fisici-matematici. Questo realismo matematizzante ha senza dubbio esercitato una influenza positiva sullo sviluppo della scienza moderna, ma E: filosoficamente insostenihile. Oggi sappiamo infatti che esistono teorie matematiche fondate su assiomi nettamente diversi (si pensi alla geometria euclidea e alle non-euclidee, oppure ai diversi tipi di algebra, ecc.), e quindi possiamo concluderne che la tesi, secondo cui la “vera natura” della realta sarehhe di carattere mateniatico, E: priva di un preciso significato per la plurivocita del termine stesso “1nate1natica.” Ricorderemo infine che altri indirizzi filosofici per es. quello di Bergson -- hanno recentemente sostenuto la necessita di fare appello, per giungere alla conoscenza della “vera realta,” a qualcosa che non e né il mondo sensibile né la razionalita matematica, ma e un atto intuitivo capace di farci penetrare, di un solo tratto, cio che esiste nel profondo della realta, al di sotto della superficie di essa costituita dal mondo fenomenico (unico oggetto della conoscenza scientifica). E chiaro pero che l’esistenza di tale atto intuitivo ha unicamente una base fideistica e che altrettanto puo dirsi della sua capacita di farci penetrare il nocciolo della realta, celantesi al di sotto del mondo fenomenico. Senza dubbio questo indirizzo filosofico proviene da una giusta esigenza quella di salvare l’istanza realistica superando le gravissime difficolta del realismo ingenuo ma tale istanza viene salvata solo a prezzo di una non rneno grave concessione al dogmatismo e all’irrazionalismo.
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3. Perplessita di alcuni scienziati oalierni di
fronte alla tesi realista
Abbiamo detto, nel precedente paragrafo, che il realismo ingenuo e ancora oggi condiviso da non pochi scienziati militanti. Qccorre pero fare una notevole eccezione, per quanto riguarda i cosiddetti “scienziati teorici,” in particolare fisici. Molti di essi, 59
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infatti, hanno cominciato a respingere tale realismo nella forma che aveva assunto presso i meccanicisti del Sei e Settecento, e in seguito -- convinti della identificazione tra realismo e meccanicismo sono giunti ad elevare seri dubhi contro ogni tipo di realismo. Sembra assai interessante seguire l’iter dei loro dubbi, tanto piu che questi sono scaturiti da riflessioni nate all’interno stesso della scienza, e non da artificiose pregiudiziali filosofiche. Il primo spunto che ha dato luogo a tali riflessioni e connesso alla scoperta della inesistenza di “cose,” come il calorico e l’etere, che per secoli erano state ritenute reali. Il riconoscimento di questa inesistenza ha fatto sorgere, in modo spontaneo, le seguenti domande: perché, diversamente da quanto accade per il calorico e l’etere, siamo oggi disposti ad ammettere l’esistenza degli elettroni e dei fotoni, altrettanto inosservabili (almeno direttamente)? perché non ci limitiarno a considerarli anch’essi come puri “enti di ragione”? Per rispondere a questa domanda si e dovuto affrontare in Via generale il problema: che significato puo avere il termine “esistenza” attribuito ad un ente non direttamente osservabile? Si e giunti cosi a stahilire che, per dare un senso a tale esistenza, occorre fare riferimento all’intera teoria in cui l’ente in questione trovasi inserito; si potra, allora, attribuirgli legittimamente una esistenza se questa teoria nella sua gloloalita si rivelera in grado di resistere al vaglio dell’osserVazione (per l’importanza spettante alla considerazione di una teoria nella sua globalita, rinviamo a quanto detto nel capitolo primo). Cosi, per esempio, potremo ritenere legittimo attribuire una esistenza agli elettroni, ai fotoni, ecc. finché quella sezione della fisica che parla di essi continuera a venire considerata come verifiicata dai dati osservativi. Invece non riteniamo piu legittimo attribuire una esistenza al calorico o all’etere, perché le teorie che parlavano di essi sono ormai da tempo smentite da tali dati. Questo tipo di argomentazioni e, da qualche decennio, concordemente accettato da gran parte dei iisici teorici (e non solo da essi). E chiaro pero che, in questo modo, la categoria dell’esistenza viene strettamente legata alla nozione di osservazione; e poiché il mondo direttamente osservabile E: i1 mondo delle nostre percezioni, se ne ricava che l’esistenza, nel -senso testé definito, risulta inscindibile dal soggetto. Di qui la diffidenza dei fisici di fronte all’autentico realismo. A rinforzare queste conclusioni sono intervenute, all’inizio
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del secondo quarto del secolo, le radicali innovazioni recate dalla meccanica quantistica a proposito degli stessi procedimenti di osservazione. Ed infatti, mentre i dati osservativi, da cui prendevano le mosse le teorie della fisica classica, possedevano senza dubbio una certa oggettivita per lo meno dal punto di Vista scientifico, in quanto la loro dipendenza, di principio, dal soggetto osservatore (dipendenza cui sogliono fare appello i sostenitori del soggettivisrno idealistico) non impediva al fisico di ritenerli identici per chiunque osservasse i medesimi fenomeni, il contrario accade invece per i dati osservativi da cui prendono le mosse le teorizzazioni della meccanica quantistica. I principi stessi di questa meccanica implicano invero Yincontrollabilita di principio (nell’ambito di tale teoria) della interazione fra i fenomeni microscopici osservati e gli strumenti di osservazione (appartenenti di necessita al mondo macroscopico). Ne segue che, per parlare sensatamente dei dati osserVativi,~occorrera precisare tutte le condizioni in cui Vennero di Volta in Volta osservati (cioe gli strumenti usati per osservarli, l’istante in cui li si Z: osservati, ecc.). In altri termini: queste condizioni verranno a far parte integrante dei dati stessi, e ne risultera che e per principio impossibile separate, entro tali dati, cio che risulta oggettivo (nel senso attrihuito a questo termine dalla fisica classica) da cio che risulta invece prodotto dagli stessi strumenti di osservazione. Di fronte alla sorpresa di dover ahbandonare il Vecchio concetto di oggettivita, e ben comprensibile che lo scienziato odierno provi un effettivo disorientamento, e, invece di limitarsi a concluderne l’impossibilita di mantenere in Vita i dogmi del realismo ingenuo, si senta tentato di accogliere una concezione filosofica di carattere piu 0 meno apertamente idealistico. Va pero subito aggiunto che questa tentazione si mantiene a un livello piuttosto Vago e generico, e comunque sganciata dal campo delle ricerche concrete, le quali pertanto non vengono da essa minimamente turbate. Queste ricerche continuano in realta a Venire svolte oggi come ieri con il manifesto scopo di cogliere un qualcosa che e irriducibile al soggetto conoscente, cioe Vengono svolte in una prospettiva sostanzialmente anti-idealistica. L’unica novita e il presupposto che tale “qualcosa” potra risultare del tutto diverso dall’immagine che la gente comune e il fisico classico si fabbricavano degli oggetti reali. In effetti un conto ammettere il carattere relativo dei dati osservativi, o la necessita di introdurre nuove categorie nella elaEe
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borazione teorica di tali dati, e un altro conto, del tutto diverso, E: 1I1V€ C€ avere la pretesa di legare il carro della fisica moderna a una filosofia apertamente idealistica.
Non e difficile rispondere a questa domanda facendo notare: rivoluzione galileiana nacque dalla contestazione totale della scienza precedente (la fisica aristotelica) ai cui principi venne negato ogni e qualsiasi valore; 2) che le rivoluzioni prodottesi all’inizio del Novecento non potevano seguire una via analoga, non potendosi negare in modo completo la validita della fisica classica sorretta da numerose prove e innumerevoli applicazioni. Cio che si poteva contestare alla fisica classica era tutt’al pifi un’altra cosa: era la pretesa che i suoi principi costituissero delle verita assolute, evidenti, intuitive, immodificabili. Orloene la critica pid decisa ed efficace di questa pretesa fu proprio opera del convenzionalismo, ed e per questo che abbiamo sostenuto che il convenzionalismo rappresento la premessa diretta della rivoluzione quantistica come di quella relativistica. ll carattere specifico delle convenzioni e quello di non essere né vere né false, ma di essere accettate o respinte in base a considerazioni che non hanno alcun valore necessitante. Ne segue che tali convenzioni potranno venire accolte in riferimento ad un certo settore fenomenico senza che cio ci costringa ad accettarle per altri settori. Orhene, il fatto di interpretare i principi della fisica classica come semplici convenzioni, ci autorizzera a continuare a ritenerli validi per certi settori, mentre li sostituiamo con principi nettamente diversi in riferimento ad altri settori. Potremo per esempio affermare che i principi della meccanica classica servono a descrivere con notevole esattezza i moti dei corpi che posseggono una velocita molto inferiore a quella della luce, senza essere percio costretti a sostenere che serviranno altrettanto hene per tutti i corpi, anche quelli di velocita prossima alla velocita della luce. Oppure potremo affermare che servono a descrivere con notevole esattezza i fenomeni gravitazionali, senza essere costretti a sostenere che si applicano altrettantoihene ai fenomeni termici o elettromagnetici. Ebbene e proprio la consapevolezza di questo valore, effettivo ma limitato, che ha permesso di cercare nuovi principi per quei campi ove i principi classici si rivelavano inapplicahili; e stata essa a permetterci di operare alcune rivoluzioni radicali, senza contestare in toio la validita della vecchia scienza. Il merito piwfi importante del convenzionalismo fisico risiede proprio qui: nel ifornirci una piena consapevolezza circa la possibilita di modificare o sostituire alcuni principi “classici” relativamente ad un settore (nuovo) del mondo fenomenico pur conti-
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convenziomzlirmo fisicoz suoi meriti e sue eiifficoltai
L’indirizzo di pensiero che, a nostro avviso, ha maggiormen-
te contrihuito all’abhandono del realismo ingenuo, e il conven-
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zionalismo. Trattasi di una concezione filosofico-scientifica della massima importanza teorica e storica, che pero come ha scritto Moritz Schlick -- “nasconde in sé il pericolo di gravi fraintendimenti.” Proprio per questa sua importanza e pericolosita, riteniamo opportuno analizzarlo con una certa ampiezza, dedicando a tale analisi uno spazio maggiore di quello che altri le attrihuiscono e impostando la nostra trattazione in forma alquanto diversa da quella usuale. Gia abbiamo sottolineato pili volte l’importanza del metodo assiomatico nella matematica moderna, e nel secondo capitolo abbiamo fatto rilevare che l’abhandono dell’epistemologia cartesiana fu soprattutto dovuto alla scoperta del carattere convenzionale (non evidente) degli assiomi posti alla base delle varie teorie matematiche. Orbene il convenzionalismo fisico e stato senza dubbio molto influenzato dal convenzionalismo matematico, ma in hreve ha raggiunto un peso assai maggiore di esso nelle indagini filosofiche intorno al problema della conoscenza. Inizieremo la nostra analisi facendo rilevare che la scoperta di un certo carattere convenzionale anche nella fisica contrihui in misura notevolissima alla creazione di un ambiente favorevole all’accoglimento delle innovazioni rivoluzionarie prodottesi in tale scienza all’inizio del nostro secolo. A nostro parere, e questo un fatto sul quale hisogna riflettere con una certa attenzione, per comprendere tutta la portata del convenzionalismo. La prima domanda che sorge in proposito e la seguente: con che diritto sosteniamo che il diffondersi di una consapevolezza convenzionalistica tra i fisici dell’inizio del nostro secolo ha costituito la premessa della Vittoria conseguita dalla rivoluzione einsteiniana e da quella quantistica, mentre altre rivoluzioni della fisica (per esempio quella galileiana) non richiesero nulla di simile, cioe poterono venire compiute mentre si continuava a ritenere che le scoperte della fisica fossero delle verita assolute? 62
1) che la
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nuando ad accettarli relativamente ad altri settori, ove essi si sono rivelati fecondi di numerose applicazioni. Il presupposto di questa consapevolezza e il riconoscimento che i principi in esame non rappresentano delle Verita assolute, ma il frutto di una riflessione ottenuta su determinati settori dell’esperienza, frutto non estendibile, fuorché con un atto dogmatico, alla totalita del mondo fenomenico. Negare questo merito al convenzionalismo, significherebhe rifiutarsi arhitrariamente di prendere atto di cio che as accaduto nella storia effettiva delle ricerche scientifiche durante gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento. Ed as fuori dubbio che quanto e accaduto in tale periodo ha avuto riflessi del massimo rilievo anche sulla concezione generale della realta._ Se infatti si poteva pensare che questa realta possedesse le proprieta geometrico-meccaniche elaborate dalla scienza classica hnché si immaginava che i principi della geometria e della meccanica costituissero delle verita assolute, non si potra pin pensare nulla di simile una Volta cornpreso che tali principi sono delle mere conVenzioni. Cadra in tal modo il pilastro fondamentale del realismo ingenuo, per lo meno nella formulazione pid importante che aveVa aV11tO in passato. Ma se il convenzionalismo ha senza dubbio il merito cui abcome gia si e detbiamo ora accennato, esso va pure incontro to al pericolo di gravi fraintendimenti. A nostro avviso, questi il risultano direttamente connessi al seguente problema: qual motivo per cui riteniamo che alcuni principi (di carattere convenzionale) siano accettabili in una certa zona delle nostre osservazioni empiriche e non in altre? In generale si e ritenuto di dover rispondere a qu_es_to interrogativo facendo appello al seguente criterio: i principi di una scienza Vanno accettati in quanto utili e finché si rivelano tali; vanno invece abhandonati quando non lo sono pifi. Per essere pixi precisi: Vanno accettati per quei settori fenomenici ove constatiamo che possono Venire applicati utilmente, non per _quell1_ ove interviene qualche fatto nuovo, sicché il tentativo di _applicarli porta a risultati in manifesto contrasto con i dati empirici. Quanto ora detto equivale ad asserire che il convenzionalismo ci condurrehhe necessariamente ad una concezione utilitaristica della scienza; ci costringerebbe cioe a considerarla non come un processo conoscitivo ma come un processo che si svolge per intero nella sfera dell utile.
La nostra opinione al riguardo 2: tuttavia alquanto diversa. Noi ammettiamo senza duhbio che il convenzionalismo possa Venire integrato da una concezione utilitaristica della scienza, ma ci semhra illegittirno affermare che debba necessariamente condurre ad essa. Cio che rafforza in noi tale opinione e, ancora una Volta, l’osservazione non prevenuta clell’effettiVo comportamento al riguardo di parecchi scienziati militanti. E fuori duhhio, infatti, che oggi gran parte degli scienziati militanti accetta senza difficolta la tesi, secondo cui i principi delle Varie teorie scientifiche sono convenzioni, sempre ritoccabili o sostituihili; anzi, E: proprio l’accettazione di tale tesi che li conduce a compiere il massimo sforzo onde riuscire a formulare i principi in questione con scrupolosa esattezza per poter dominare con precisione tutte le conseguenze prossime e lontane da essi ricavahili, e sulla base di queste conseguenze procedere ad eventuali ritocchi dei principi stessi. Ma non per cio tali scienziati accettano la conclusione agnostica, secondo cui, dato il loro carattere convenzionale, questi principi sarebbero privi di qualunque valore conoscitivo. Essi sono naturalmente disposti ad ammettere che le teorie scientifiche sono di grande utilita, ma a loro parere questa utilita dipende proprio dal fatto che sono Vere. In altri termini: sono utili in quanto Vere, non sono Vere in quanto utili. Per essere pid precisi: la scoperta di una certa convenzionalita dei principi scientifici, e quindi delle teorie su di essi costruite, ha condotto senza alcun dubhio gli scienziati militanti ad ammettere il carattere relmfiuo della scienza, ma non a relegarla dal piano conoscitivo a quello meramente utilitario. Ovviamente non e facile conciliare il valore relativo, limitato, delle teorie scientifiche con il loro valore conoscitivo; e non si puo dire che gli scienziati militanti i quali mostrano, nel loro concreto operare, di ritenerli conciliabili, siano poi in grado di giustificare davvero il proprio atteggiamento. Pero sarelohe gravernente erroneo non tenere conto di questa situazione tanto complessa o limitarsi a dire che essa E: frutto di incoerenza. Assai piii consapevole sembra, invece, la posizione di chi prende francamente atto che nella scienza attuale si danno delle conoscenze che meritano a buon diritto il titolo di “conoscenze Vere” senza percio essere né assolute, né illimitatamente applicabili. Ma per spiegare questa esistenza occorre modificare la nostra concezione tradizionale di Verita. Occorre far tesoro dell’insegnamento dei convenzionalisti, applicandolo alla nozione stessa di
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conoscenza, ammettendo cioe che anch’essa e convenzionale e pertanto modificabile. Se ne potra allora concludere che la Vecchia nozione di conoscenza era adeguata a un livello della ricerca scientifica assai diverso da quello attuale; e che invece va profondarnente rinnovata se vogliamo adeguarla sul serio allo stato della scienza odierna. In altri termini: il convenzionalismo puo, anzi deve, venire accettato, ma non in forma dogmatica. Cioe deve venire accettato senza collegarlo necessariamente ad una concezione utilitaristica della scienza; cercando invece di inglobarlo in una nuova concezione che concilii il carattere relativo (limitato, circoscritto) dei principi scientifici con il loro valore conoscitivo, in un senso del termine “conoscenza” diverso da quello tradizionale.
re contro i convenzionalisti che il principio di conservazione dell’energia qualunque sia il modo in cui preferiamo formularlo possiede per lo scienziato un valore ohiettivo: esso infatti ci dice che é “impossibile creare il lavoro dal nulla; impossibilita, questa, che quotidianamente esperimentiamo [sono esattamente queste le parole di Schlick] in prima persona nel nostro corpo e che, senza dubhio, e del tutto indipendente dal modo in cui preferiamo esprimerla.” Ma quale valore possiamo attrihuire ad argomenti del genere, che, facendo appello a cio che lo scienziato esperimenta nel suo lavoro quotidiano, si hasano in ultima istanza su riflessioni di ordine pratico anziché prettamente teorico, come sarehbe desiderabile quando si discute intorno a un problema come quello della conoscenza? E ovvio che si tratta di un interrogativo molto serio, perché investe il problema generale del comportamento dello scienziato e dell’uomo comune, non solo di fronte alle ohiezioni paradossali del solipsista, ma anche di fronte agli argomenti (dimostratisi tanto fecondi nello sviluppo della scienza moderna) del convenzionalismo fisico. Al fine di affrontare la questione in tutta la sua complessita, converra risalire alle sue pid lontane radici filosofiche. Ahbiamo detto poco sopra che sarebbe desiderabile, quando si discute intorno al prohlema della conoscenza, hasarsi su riflessioni di ordine puramente teorico e non di ordine pratico. Ma E: davvero lecito accogliere, come ovvia, una netta separazione fra i due ordini? bensi Vero che si tratta di una separazione giustificata da una lunga tradizione filosofica, ma Z: tutt’altro che pacifico il peso da attrihuirsi a questa tradizione. In effetti, riflettendo sul concreto svolgersi della vita quotidiana e sull’effettivo procedere della ricerca scientifica, non si puo fare a meno di concluderne che la pratica e per lo piu intrisa di teoria e la teoria e intrisa di pratica, sicché appare estremamente artificioso volerle considerate come del tutto distinte l’una dall’altra. O si nega a priori ogni valore conoscitivo a cio che accade nella vita quotidiana e nella vita scientifica (ed e cio che noi ci rifiutiamo di fare, come ahbiamo detto fin dall’Av1Jertenz¢z), o si deve ammettere che il conoscere e l’agire sono assai rneno scissi fra loro di quanto pretendono certi filosofi. Il fatto e che questi sogliono farsi un’idea astratta dell’attivita conoscitiva, e preferiscono fondare le proprie speculazioni su questa idea, anziché prendere le mosse da una seria riflessione sulle conoscenze concrete.
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Il criteria della pmssi
Per parlare, come si e fatto alla fine del paragrafo precedente, di “conoscenze Vere” seppure solo “relativamente vere,” occorre comunque indicare un vaglio a cui fare ricorso per discernere le convenzioni meramente arbitrarie da quelle che posseggono un certo valore conoscitivo (ove, hen inteso, si interpreti questa espressione in senso non tradizionale). La prima speranza potrehbe, ovviamente, essere quella di trovare il vaglio anzidetto nella coerenza interna delle teorie scientifiche, onde concluderne che posseggono un valore conoscitivo le teorie (convenzionali) fornite di tale coerenza mentre non lo posseggono quelle sprovviste di essa. Questa speranza, pero, si rivela subito illusoria, poiché anche un sistema convenzionle sostanzialmente arbitrario puo venire costruito in modo da risultare del tutto coerente. E chiaro quindi che dovremo rivolgerci a un altro ordine di considerazioni, non concernente soltanto la coerenza logica interna delle teorie. Proprio a questo fine puo essere utile riprendere in esame i motivi accennati nel primo paragrafo in base a cui gli scienziati sogliono respingere senza ombra di dubbio la tesi centrale del solipsismo, anche se non e confutabile con argomenti puramente logici. Come si e detto, essi la respingono perché in manifesto contrasto con quanto insegna la pratica quotidiana della ricerca scientifica. Sembra interessante notare che un appello a tale pratica lo si ritrova anche in Schlick, quando cerca di dimostra-
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La questione del reqlirmo
Non senza motivo nel primo capitolo abbiamo introdotto l’espressione “patrimonio scientifico-tecnico” per indicate l’edificio complessivo della scienza (anziché mantenere i termini usati da Quine o da Lakatos); volevamo infatti fin d’allora sottolineare che, nel groviglio di innumerevoli fattori i quali concorrono alla formazione di tale edificio, non tracciabile una linea di netta demarcazione tra i fattori solitamente caratterizzati come teorici e quelli solitamente caratterizzati come pratici. E non e neanche il caso di aggiungere che questa inscindibilita tra il teorico e il pratico diventa ancora pifi manifesta quando si passa dall’ambito delle scienze naturali a quello delle scienze sociali. In effetti, che senso potremmo attribuire ad una teoria dei movimenti rivoluzionari (per esempio alla teoria di Lenin), se essa non tenesse seriamente presente l’aspetto pratico di tali movinienti ed anzi non potesse servire di guida effettiva alla concreta azione rivoluzionaria? Ci sembra di poterne concludere utilizzando un’espressione introdotta nel secondo capitolo _» che i fattori teorici e quelli pratici dei nostri processi conoscitivi formano un’unita dialettica, onde non vi e nulla di illecito nel fare appello all’attivita pratica (o prassi), quale criterio di verita da applicarsi alla valutazione del carattere obiettivo dei risultati (pur sempre relativi) delle ricerche scientifiche. Qualcuno obiettera, a questo punto, che il fare appello al criterio della prassi significa, inultima istanza, accogliere la tesi centrale deli pragmatismo secondo cui non si potrehhe parlare' di verita o non verita di una teoria scientifica, ma solo della sua utilita, cioe della sua capacita di farci conseguire dei successi pratici. La differenza fra le due concezioni (quella realistica qui sostenuta e quella pragmatistica) emerge pero con chiarezza non appena si tenga conto che il pragmatista accettando Senza discutere le separazione tradizionale tra fattori pratici e fattori teorici contrappone il successo pratico di una teoria alla sua verita, onde si ritiene autorizzato a negate alla scienza un qualunque valore conoscitivo, mentre dal punto di vista realistico poco sopra esposto tale contrapposizione risulta invece insostenibile proprio per l’unita dialettica fra teoria e prassi. Aggiungasi un’ultima osservazione: che lad prassi di cui noi abbiamo parlato e sempre “prassi sociale,” il che comporta molte implicazioni, assai significative, di cui il pragmatista non suole tenere conto. Implica, per esempio, che la validita di un ritro-
vato ,scientifico non puo venire unicamente valutata in base alle operazioni eseguite dal singolo scienziato in laboratorio ma anche, e soprattutto, in base all’utilizzazione che ne viene fatta nella produzione (utilizzazione che dipende ovviamente dal tipo di societa in cui tale ritrovato viene applicato, corretto, perfezionato). Cosi inteso, il criterio della prassi perde quel carattere soggettivo che spesso gli viene, implicitamente o esplicitamente, attribuito da chi lo usa in una prospettiva non tealistica. Infatti, come scrive Mao, la prassivsociale porta a “risultati oggettivi,” la cui oggettivita non viene sminuita dall’aspetto soggettivo delle operazioni del verificare. tali risultati, pur D’altra parte cosa non meno importante essendo oggettivi, non presentano affatto un carattere di assolutezza; onde segue che la prassi sociale, proprio perché connessa a una entita essenzialmente storica come la societa, non pub costituire un criterio capace di garantire la verita assoluta (metastorica) di una teoria o di un qualsiasi ritrovato. Essa rappresenta uno strumento fondamentale per la ricerca della verita relativa (nel senso spiegato alla :Eine del paragrafo precedente) non per la ricerca di una presunta verita assoluta.
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che il criterio della Certo, non si deve dimenticare scrive Lenin prassi, in sostanza, non pub mai confermare o confutare completamente una rappresentazione umana qualunque essa sia. Anche questo criterio e talmente “indeterminato” da non permettere alle conoscenze dell’uomo di traabbastanza determinato sformarsi in un “assoluto”; ma nello stesso tempo per permettere una lotta implacabile contro tutte le varieta dell’idealismo e dell’agnosticismo. E:
ll filosofo cinese Zhang Enci, dopo avere riportato questo
iondamentale brano di Lenin, aggiunge (nel volume Conoscenza e veritai Seccmdo la teoria del riflesso, 1977): E molto importante riconoscere questo carattere relativo del criterio della prassi. Da un lato ci puo impedire l’ipostasi della conoscenza urnana nell’assoluto cioe la trasformazione di una verita essenzialmente relativa d’altra parte cio puo prevenire l’attegin verita assoluta e imrnutabile giamento che consiste nel negate, in modo semplicistico, verita che la prassi attuale non puo provare, ma che la prassi futura potra certamente dimostrare. In ogni caso, riconoscere questa relativita non pub che giovare allo sviluppo della scienza; in effetti ipostatizzare nell’assoluto conoscenze relative, oppure rifiutare nuove teorie che la prassi non puo immediatamente provare, costituisce sempre un ostacolo al progresso scientifico.
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processo di czpprofondimenzfo
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Il richiamo, pid volte espresso nel paragrafo precedente, a tenere conto nei dibattiti intorno al problema della conoscenza e della realta di cio che concretamente accade nella vita quotidiana e nell’effettiva ricerca scientifica, ci suggeris-ce ora di prendere in esame un aspetto del processo conoscitivo spesso trascurato dai filosofi. Si tratta in breve di questo: nella nozione stessa del conoscere e contenuta l’idea dell’ “andare oltre al gia conosciuto,” sicché una analisi veramente completa del prohlema della conoscenza deve studiare non solo i singoli atti conoscitivi ma il loro succedersi in una serie, dove ciascun atto cerca di integrare e perfezionare i risultati ottenuti dagli atti precedenti. E precisamente qui che vanno cercate le radici del processo di approfondimento, come processo inscindihilmente legato a quello conoscitivo. Come e ben noto, la nozione di approfondimento e largamente usata nel linguaggio comune. Ci si riferisce ad essa ogniqualVolta si auspica che un argomento venga chiarito pid di quanto fosse stato fatto in passato: che a tale scopo se ne esaminino tutti i risvolti, lo si confronti criticamente con argomenti affini, si cerchi di sviscerarne i pid reconditi presupposti e le pid remote conseguenze. Che si tratti di una nozione molto importante, lo dimostra lo stesso largo uso che se ne fa nella vita quotidiana. Non as pero una categoria ben determinata, come risulta dal fatto che il processo per approfondire un argomento si avvale delle vie pid diverse: ora fa ricorso all’analisi ora alla sintesi, ora alla generalizzazione ora alla particolarizzazione, ora ad ardite analogie ora alla ricerca di precise differenze tra casi apparentemente molto simili. Pretendere di rinchiudere tale processo entro regole fissate a priori, sarehhe impresa vana. La sua caratteristica e di poter venire sviluppato nelle direzioni pid diverse con artifici ideati caso per caso senza preclusioni di sorta. Anche gli scienziati parlano spesso di approfondimento, ed essi pure lasciano una notevole liherta alla scelta dei mezzi usati per conseguirlo (il che non esclude che sarehhe di notevole interesse tentar di catalogare questi mezzi, caratterizzandoli uno rispetto all’altro). Cosi per esempio affermano che l’algehra dell’Ottocento ha approfondito il problema, gia ampiamente discusso dai matematici
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greci, della quadratura del cerchio; per ottenere tale approfondimento hanno reimpostato il problema determinando le condizioni cui esso dovrebhe soddisfare (una Volta tradotto in termini algebrici) per poter venire risolto con riga e compasso e dimostrando, nel caso specifico, che queste condizioni non sono soddisfatte_ Oppure affermano che la fisica atomica dei primi decenni del nostro secolo ha approfondito il significato della famosa tabella periodica di Mendelejeff in quanto e riuscita a dimostrare che il numero Z di elettroni rotanti intorno al nucleo, secondo il modello atomico di Rutherford, e eguale al numero d’ordine che l’atomo occupa in tale tabella. Oppure affermano che la teoria della relativita generale ha approfondito il risultato, gia noto, dell’identita fra massa gravitazionale e massa inerziale in quanto ha dimostrato che esso si ricava dai principi della teoria, ecc. Se i mezzi per conseguire Fapprofondimento in questione sono diversi da un caso all’altro, il significato dell’approfondimento rimane pero sempre il medesimo: esso consiste nel “razionalizzare” un ,risultato che per l’innanzi veniva accolto senza alcuna spiegazione convincente. Si pensi alle “regole di quantizzazione” sistematicamente adoperate fin dalla prima fase della meccanica quantistica, ma solo per la loro utilita, e invece razionalmente spiegate nella seconda fase di tale meccanica. Uapprofondimento si presenta qui, come gia negli esempi precedenti, quale trapasso da un livello ad un altro, ove un certo risultato che nel primo livello appariva immotivato riesce invece seriamente motivato nel secondo. E un trapasso che a volte coinvolge soltanto l’aspetto teorico del prohlema “approfondito,” mentre altre volte fa intervenire delle entita delle quali prima non si aveva notizia (per esempio gli elettroni rotanti intorno al nucleo). Un fatto va comunque sottolineato per l’importanza che esso ha dal punto di vista gnoseologico: l’approfondimento rappresenta senza duhhio una fase del processo conoscitivo, ma una fase caratteristicamente dinamica, perché la sua essenza consiste nel passaggio da un livello, che in certo senso viene negato per la sua limitatezza, ad un altro livello che si presenta come superiore al precedente, in quanto lo supera per capacita esplicativa, cioe per capacita di chiarire cio che antecedentemente era lasciato nell’oscurita. Ma non basta. L’approfondimento di cui si parla nella scienza ha pure un altro carattere molto importante. Come nello sviluppo della tecnica la costruzione di un nuovo dispositivo (meccanico,
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elettromagnetico, ecc.) non esclude mai che si riesca in futuro a costruirne altri migliori, cosi nello sviluppo della scienza l’approfondimento di una conoscenza non ci porta mai a risultati che chiudano definitivamente la ricerca, esaurendo il prohlema. Per quanto questo appaia oggi spiegato, e sempre possibile in futuro inquadrarlo entro un nuovo schema concettuale, dove ricevera una luce attualmente neanche immaginabile. Si pensi per esempio a cio che significo per gli studi sulle geometrie non euclidee il radicale mutamento di prospettiva dovuto alla trattazione proiettiva delle proprieta metriche, ideata da A. Cayley Verso il 1870. In seguito a questa trattazione la geometria euclidea, quella iperholica e quella ellittica, che si presentavano fino allora quali sistemi del tutto indipendenti (e relativamente ai quali -il prohlema centrale era quello della coerenza interna di ciascuno di essi), vennero improvvisamente ad assumere l’aspetto di tre particolarizzazioni fra loro parallele di una medesima geometria: la cosi detta geometria proiettiva. Vale 'la pena, per comprendere il significato di questa svolta, riferire le parole con' cui Cayley concluse la propria argomentazione: “Le proprieta metriche di una figura non sono proprieta di tale figura considerata in se stessa, a parte da qualsiasi altra cosa, ma le sue proprieta considerate in connessione con un’altra figura, chiamata l’assoluto” (dipendendo appunto dalla figura che si assume come assoluto, se le proprieta metriche risulteranno soddisfare gli assiomi di una o l’altra delle tre anzidette geometrie: euclidea, iperholica o ellittica). E chiaro che questa non definitivita dei risultati raggiunti mediante l’approfondimento (come inteso nell’amhito della scienza) mette ulteriormente in risalto l’importanza di tale processo, mostrando che esso costituisce veramente una delle componenti essenziali della ricerca scientifica. Interpretare lo sviluppo della scienza, oltreché come conquista di sempre nuovi dati empirici, anche come successione illimitata di approfondimenti, ha pure notevolissime ripercussioni nell’amhito della filosofia. Vale infatti a sottolineare la completa irriducibilita della nozione di conoscenza -- quale emerge dall’effettivo articolarsi dellascienza alla nozione tradizionale che pretendeva di vedere nella conoscenza il conseguimento di risultati assolutamente veri, definitivi, irnmodificabili. A questo punto va aggiunto un’ultima interessante osservazione: esiste una manifesta incompatibilita fra approfondimento
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interpretazione convenzionalistica delle teorie scientifiche: Non ha infatti alcun senso affermare che una di tali teorie cost1tu1sc_a Yapprofondimento di un’altra, se ammettiamo che esse_ siano 1l frutto di mere convenzioni. E noto che quando due giochi si hasano su regole non perfettamente identiche, essi risultano inconfrontabili fra loro. Crbene cosi dovrehhe accadere anche per le teorie scientifiche, qualora fossero puramente convenzionali. Ma nella pratica scientifica accade invece, assai spesso, che una teoria approfondisca i risultati dell’altra, come abbiamo cercato_ di illustrare con numerosi esempi. Se ne conclude che, a meno di ritenere che sia lecito costruire una filosofia della scienza del tutto distaccata da tale pratica, dovremo respingere una concezione della scienza che non vada oltre il convenzionalismo. Nel quarto paragrafo abhiamo francamente riconosciuto al convenzionalismo il grande merito di avere posto in luce l’1nconciliahilita della vecchia nozione di conoscenza con l’attuale struttura delle conoscenze scientifiche. Con altrettanta sincerita dobhiamo ora prendere atto che esso non e in grado di rendere conto del processo di approfondimento, che pure rappresenta ‘uno der momenti piu caratteristici della scienza moderna. Trattasi dr una lacuna di notevolissima gravita. ll nostro prossimo compito sara quello di discutere se riesca possibile superare questo gravissimo limite quando, invece di considerare il convenzionalismo come un risultato definitivo della critica filosofico-scientifica, ci si sforzi di ingloharlo entro una filosofia a carattere realistico hasata sopra una nuova concezione della conoscenza. e
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7. Verso una nuova concezi0f1€della fedlfél
Finché si pensava che l’autentica conoscenza avesse il compito di portarci a risultati assolutamente veri, non si poteva fare a meno di concepire la realta come qualcosa di statico; ossia come qualcosa che sarehhe costituito di elementi ultimi in modo tale che, quando si riuscisse a coglierli, si perverrehhe a una conoscenza del reale non ulteriormente perfezionahile. Quando piu tardi si e interpretata la scienza come un insieme di teorie fondate su principi del tutto convenzionali, si E: dovuto rinunciare a tale visione statica della realta. Ma si e rinunciato ad essa, non per sostituirla con una visione dinamica del reale, hensi
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Scienza e realismo
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per sostenere per lo meno da parte di numerosi autori che la scienza non avrebhe bisogno di alcuna concezione della realta: la scienza sarebbe infatti un’attivita merarnente pratica, diretta alla scoperta dell’utile, non del Vero. La concezione della scienza come un insieme di successivi approfondimenti ci costringe, ora, a mutare nuovamente rotta. Ci costringe cioe a interpretare la scienza come un’autentica attivita conoscitiva, in quanto come gia ricordammo risulterehloe impossibile dire che una teoria ne approfondisce un’altra se non si ammettesse l’esistenza di un oggetto comune ad entrambe: oggetto che puo essere del tutto teorico come negli esempi che -abbiamo attinti dalla matematica, o non puramente teorico come negli esempi che abbiamo presi dalla fisica e dalla chimica. In questi ultimi casi non potremo pero dire che l’oggetto in questio-
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ne e costituito di elementi ultimi, perché l’ammissione di elementi siffatti escluderebbe la possibilita di proseguire illimitatamente il processo di approfondimento; gia notammo, infatti, che se postulassimo l’esistenza di tali elementi dovremmo di conseguenza ammettere che, una Volta afferratili, otterremmo una conoscenza assoluta del reale, non ulteriormente approfondibile. Una Volta preso atto che i successivi approfondimenti, dei quali ahbiamo parlato, hanno un effettivo valore conoscitivo,. pur senza giungere ad esaurire la conoscenza degli oggetti cui si riferiscono, diventa naturale attribuire al nostro conoscere un significato diverso da quello tradizionalmente assegnatogli. Non si potra pid dire, cioe, che esso ci fa conseguire dei risultati veri nel vecchio senso di questo termine, cioe “assolutamente veri.” Si dovra dire invece che ci porta a risultati “sempre pid veri,” cioe qualificahili secondo le incisive parole di Lenin -- come “conoscenze transitorie, relative, approssimate,” sempre sostituibili con altre “pid complete e pid precise.” La nota pid caratteristica del nuovo concetto di conoscenza diventa cosi, secondo quanto ahbiamo gia ricordato nel paragrafo precedente, quella della dinamicita: dinamicita non attrihuibile esclusivamente al soggetto che cerca di conoscere il mondo, ma ai risultati stessi da lui via via ottenuti, i quali vengono cosi ad acquistare un valore di verita solo in quanto inseriti in una catenapdipconoscenze tutte transitorie e relative, e tutte sostituihili da altre pid complete e pid precise. Per spiegare pid chiaramente l’importante innovazione qui delineata, possiamo dire che kiwdimensione storica entra a far parte
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La questions del realismo
della nozione stessa di verita, sostituendo in tal modo la vecchia nozione statica di essa. Mentre, secondo questa ultima nozione, la conoscenza vera sarehbe una conoscenza che adegua la realta (e, una Volta adeguatala, non potrebbe poi riuscire ad adeguarla pid di prima), secondo la nuova nozione la conoscenza vera (ma di verita relativa) e invece una conoscenza che non adegua bensi approssima la realta, dove nel verbo “approssimare” e insito il pid o il meno che erano invece esclusi dal verho adeguare. Ma non hasta. Una volta preso atto del carattere intrinsecamente dinamico della verita, sara gioco forza rinunciare al carattere statico tradizionalmente attribuito alla realta stessa. Se infatti la realta fosse qualcosa di statico, diventerebhe irnpossibile negare questa medesima staticita ai risultati ottenuti dai processi conoscitivi, una volta che si tratti di risultati autenticamente veri, anche se pensassimo questi risultati veri come un semplice limite a cui tendono i risultati effettivamente conseguiti dalla scienza. (Va notato che i1 verbo “approssimare/’ il quale interviene nella nuova concezione della verita, esclude per principio l’idea stessa di un limite assoluto, il quale risulterebbe privo per definizione di dimensione storica.) Orbene, come alobiamo cercato di provare con una serie di esempi, la struttura della scienza moderna, quale risulta da una attenta considerazione del suo effettivo operare, E: incompatibile con l’ipotesi di una verita assoluta e definitiva il cui conseguimento segnerebbe la fine della ricerca. In altri termini: E: una struttura che si presta a venire descritta dal verho “approssimare” non dal verbo “adeguare.” Solo un atto di astrazione ingiustificata potrebbe farci immaginareiiche, a un certo punto delle nostre indagini, queste si concluderanno e si arresteranno per avere completamente esaurito l’oggetto indagato. Ahbiamo parlato di “astrazione ingiustificata” perché nulla ci autorizza a ricavarla dall’esame di cio che effettivamente accade nel concreto della ricerca scientifica. Se dunque non vogliamo venir meno al canone che avevamo enunciato fin dall’inizio della nostra trattazione (al canone cioe di elaborare una concezione della scienza aderente a cio che la scienza e nella sua realta storica) clovremo rinunciare esplicitamente ad attribuire alla realta stessapun carattere statico. Come dalla staticita del reale si ricava la staticita della verita, cosi dal carattere non statico ma dinamico di questa, si ricava il carattere dinamico della realta. 75
Scienza e realismo
Tenendo conto del significato che ahhiamo cercato di delineare, nel secondo capitolo, per il termine “dialettica,” potremo pertanto concludere che la realta presenta una struttura dialettica, struttura che sarebbe vano tentar di rinserrare, in determinazioni aprioristiche, o. di rappresentare in modo esaustivo mediante un qualsiasi rnodello. E proprio in questa dialetticita che si radica il perenne sforzo dell’uomo di ideare nuove teorie scientifiche, di non arrestarsi di fronte ad alcuna difficolta e nel contempo di non accontentarsi di alcun successo; cioe di ampliare, modificare, rivoluzionare le vecchie nozioni e le vecchie categorie, per riuscire ad “approssimare” seinpre meglio la realta nel suo stesso divenire.
Capitolo quarto
La crescita della .vcienza e la waz mziomzlitd
1. Considemzioni
introduttive
Nel capitolo precedente abhiamo cercato di delineate una concezione generale della scienza presentandola, oltreché come conquista di sempre nuovi dati osservativi, come successione illimitata di approfondimenti. Per restare fedeli al programma di lavoro proposto nelllflvzzertenza, dovremo ora sforzarci di confrontare tale concezione con il “fenomeno scienza” nella sua effettiva concretezza storica, esaminando anzitutto in qual modo le conoscenze scientifiche si siano di fatto accresciute dai ternpi di Galileo ai nostri. Proprio su questo argomento sono sorte infatti, di recente, numerose discussioni, sfociate nella seguente domanda: si tratta o no di un modo “razionale”? o, per lo meno, fino a che punto esso puo dirsi razionale? Per mostrare la complessita del quesito, osserveremo che esso semhra postulare l’esistenza di una nozione astorica di razionalita, alla cui stregua giudicare se risultino o no razionali i modi con cui le scienze si sono di fatto accresciute. Dovremo dunque accogliere l’idea di una razionalita diversa da quella che si esplica concretamente nelle scienze, e anzi ad essa superiore? Per avviare il dibattito, cominceremo a esporre schematicamente alcune interpretazioni tradizionali del fenomeno “crescita della scienza.” Le denoteremo con i seguenti tre termini: schema galileiano, laplaciano e kleiniano, perché riconducibili, grosso modo, alle concezioni di Galileo, di Laplace e di Felix Klein.
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Scienza e realismo
2. Le
La crescita della
interpreiazioni tradizionali della crescita della .vcienza
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2.1. Schema galileiano. Possiamo anzitutto richiamare quanto alobiamo accennato nel paragrafo 2.1 del primo capitolo: per Galileo l’universo e ritagliabile in zone fra loro inclipendenti, sicché_e raggiungibile una conoscenza assoluta e perfetta di cio che avviene in una di tali zone senza che cio richieda alcunché circa le nostre conoscenze di quanto accade nelle altre zone. La crescita della scienza consistera allora nell’aggiunta, all’insieme delle zone gia conosciute, di una nuova zona per l’innanzi ignorata o non perfettamente conosciuta. Si trattera pertanto di una crescita per semplice accumulazione, ove data l’indipendenza anzidetta l’aggiunta di una nuova conoscenza non potra esercitare alcuna influenza sulle conoscenze gia possedute; in particolare, non potra contribuire al loro approfondimento per il fatto stesso che esse sono gia perfette (cioe pari a quelle che ne possiede la divinita).
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2.2. Sc/aema laplaciano. Nello stesso paragrafo or ora richiamato del primo capitolo, si e detto invece che, secondo Laplace, l’universo non e ritagliabile in zone tra loro indipendenti, sicché, per raggiungere una conoscenza assoluta e perfetta di cio che avviene in un settore dell’universo, occorrerebbe raggiungere nel contempo una conoscenza altrettanto perfetta di cio che avviene in tutti gli altri settori di esso. In effetti, l’unico essere in grado di conseguire una conoscenza siffatta, sara il famoso “démone di Laplace” cioe un intelletto supremo che, possedendo in tutti i suoi dettagli il quadro generale dell’esperienza ad un istante qualsiasi, e padroneggiando perfettamente tutte le tecniche della matematica, riuscira a sintetizzare in una sola formula tutti gli eventi passati, presenti, e futuri dell’universo. L’uomo dovra invece accontentarsi di una conoscenza probahile dei singoli eventi; conoscenza che, col crescere della scienza, sr approssimera sempre piu a quella dell’anzidetto démone, senza tuttavia poterla mai raggiungere. Comunque, quando egli riesce a conoscere qualche nuovo anello della catena dell’universo, questa acquisizione si ripercuotera sull’intero campo delle conoscenze da lui in quel momento possedute, rendendole tutte via via piu probabili. Il progresso della scienza consistera per l’appunto in questo incremento di probabilita. 78
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_vcienza e la
sua razionalita
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E noto che secondo il famoso “pro2.3. Schema kleiaiano. gramma di Erlangen,” esposto da Felix Klein nel 1872 (per l’appunto all’universita di Erlangen), le varie discipline geometriche geometria metrica, geometria affine, geometria proiettiva, ecc. si possono disporre in una scala gerarchica secondo cui una geometria sita in un certo gradino di tale scala e piu generale e piu profonda delle geometrie site in gradini inferiori, e meno generale e profonda di quelle site in gradini superiori. L’asserto che una certa geometria G e meno generale di un’altra geometria G’, significa che G e un caso particolare di G'; piu esattamente: il gruppo di trasformazioni che lasciano invariate la figure di G e un sottogruppo del gruppo di trasformazioni che lasciano invariate le figure di G'. In questo quadro concettuale, la crescitpa della conoscenza consistera nel passare da una teoria piu ristretta ad una piu ampia che includa la precedente. Nell’anzidetto “programma di Erlangen” Klein si e limitato a delineare il progresso delle teorie geometriche, ma per analogia noi possiamo chiamare kleiniano ogni trapasso del genere, qualunque sia la disciplina in cui ha luogo.
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3. Critica dei
ire sclaemi esposti nel paragrafo precedente
Lo schema galilelano risulta oggi manifestamente insostenibile perché fondato sull’ipotesi che si possa raggiungere una conoscenza “pari a quella divina” in singoli settori dell’universo, isolandoli per cosi dire dagli altri. Come si as accennato nel primo capitolo, questa ipotesi esercito una funzione molto stimolante al sorgere della scienza moderna, perché infuse nei ricercatori dell’epoca una grande fiducia in se stessi e nella comunita scientifica; si trattava infatti di attribuire a questa comunita il grandioso compito di costruire a poco a poco il granitico edificio del sapere, costruzione a cui ogni scienziato serio avrebbe potuto recare un contributo personale aggiungendo qualche nuovo mattone ai solidissimi muri gia elevati dai suoi predecessori. Ma quella fiducia comincio a venire meno, quando ci si accorse che tali muri non erano cosi solidi come si era creduto (per la presenza di nozioni tutt’altro che chiare in teorie ritenute validissime, per l’incertezza delle stesse metodologie da applicare nella ricerca, ecc.), e che in taluni casi l’autentico progresso del sapere esige che siano coraggiosamente abbandonate le concezioni scientifiche precedenti.
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La crercita della scienza
Sciefzzu e reulirmo
Loschema laplacicmo riesce ad evitare questa difficolta perché sposta l’idea del sapere assoluto dal dominio effettivo dell’intelligenza finita degli uomini a quello immaginario della “intelligenzalimite” propria del famoso “démone” postulato dal nostro autore. In tal modo si avra che nell’ambito delle conoscenze umane ove non E: pid lecito parlare di proposizioni assolutamente Vere ma solo di proposizioni fornite di maggiore o minore probabilita -- il progresso del sapere, concepito come frutto del lavoro di generazioni e generazioni di ricercatori, potra apparire enormemente pid articolato che nello schema precedente: cosi articolato da ammettere che un’opera, pur scientificamente validissima, venga totalmente eclissata dalle opere elaborate dalle generazioni successive. “La pid perfetta opera,” scrive Laplace “elevandole [le scienze] ad un’altezza da cui esse non possono ormai discendere, da nascita a nuove scoperte e prepara cosi delle opere che dovranno eclissarla.” Si tratta di una dinamica resa possihile dal rifiuto di considerate le opere scientifiche come costituite di tanti elementi (mattoni) che non potranno mai venire rimessi in discussione. Malgrado questi vantaggi, e ovvio tuttavia che nemmeno lo schema laplaciano puo venire considerato del tutto soddisfacente. Cio che lo rende inaccettabile e il fatto di mantenere in piedi, sia pure solo sul piano immaginario dell’intelligenza-limite, la nozione di verita assoluta. Se non sappiamo in concreto che cosa essa sia, con che diritto potremo parlare sensatamente dell’articolato processo che ce la farebbe approssimare? Quanto allot ,schema kleiniano, as certo che esso puo ritenersi valido per lo sviluppo di alcune teorie, ma non per tulle, essendocasi in cui la crescita della scienza parte proprio dalla negazione di alcune caratteristiche che erano parse essenziali al livello da essa raggiunto nelle fasi precedenti. E degno di nota che un caso siffatto si presenta nello stesso sviluppo delle discipline geometriche quando si esamina il trapasso dalla geometria euclidea a quelle non euclidee. E bensi vero infatti, come ahbiamo gia ricordato nel sesto paragrafo del terzo capitolo, che i tre tipi di geometria metrica (euclidea, iperholica ed ellittica) possono venire considerati come particolarizzazioni di una medesima geometria pid generale (la proiettiva), ma la loro inclusione in quest’unica geornetria non esclude affatto che i tre tipi anzidetti risultino fra loro collegati da un rapporto di negazione. Possiarno aggiungere che tale inclusione presenta in un certo senso i caratteri della sintesi dia-
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e
la rua mziomzlité
lettica; con essa si dimostra infatti che la geometria euclidea e le due geometrie non euclidee, inizialmente considerate come antitetiche, possono, con una opportuna reinterpretazione, coesistere una accanto all’altra se inquadrate in una geometria di livello pid profondo. Per confermare Finadeguatezza dei tre schemi or ora riferiti, si rifletta sul fatto che nel corso dei secoli la crescita della scienza sembra essersi realizzata nei modi pid diversi, come possiamo agevolmente constatare elencando alcuni casi particolarmente significativi. E certo, ad esempio, che la nascita della scienza venne contrassegnata da un deciso ahbandono, almeno parziale, del linguaggio comune con la messa sotto accusa delle categorie da esso usate, considerate troppo vaghe e imprecise per prestarsi ad argomentazioni davvero convincenti; nuovi radicali mutamenti di linguaggio si avranno anche in momenti successivi, come dimostrano la svolta della chimica operata da Lavoisier, il trapasso dall’analisi matematica settecentesca a quella dell’iOttocento, l’applicazione dell’algebra astratta alla meccanica quantistica, ecc. In altri casi invece la crescita della scienza e stata dovuta alla scoperta di dati osservativi del tutto nuovi (come quelli che diedero origine agli studi sulla radioattivita) e alla constatazione che essi non erano in alcun modo inquadrabili nei vecchi concetti e principi. Altre volte ancora alla scoperta dell’identita di fenomeni che erano sempre stati ritenuti nettamente diversi (quali i fenomeni ottici e quelli elettromagnetici), oppure alla scoperta di gravi antinomie nella determinazione della natura di certi fenorneni come la luce, che improvvisamente ha rivelato due aspetti apparentemente contraddittori (l’aspetto corpuscolare e quello ondulatorio), e cosi via. Né va dimenticato l’impulso recato alla crescita della scienza vuoi dalla scoperta dell’origine di taluni errori che potrehhero dirsi “naturali” (ad esempio ii ben noti errori della dinamica aristotelica), vuoi dall’introduzione di nuovi modelli per la spiegazione dei vari fenomeni (per esempio dall’introduzione di modelli puramente matematici in luogo di quelli meccanici, oppure di modelli statistici in luogo di quelli deterministici), ecc. Di fronte all’incontestabile pluralita delle vie lungo le quali la scienza si e venuta ampliando e approfondendo, sorge spontanea la domanda: possiamo ancora ritenere che il suo sviluppo risulti inquadrabile in uno schema univoco (non importa se appartenente all’uno o all’altro dei tre tipi indicati o a un qualche altro 81
Scielaza e realirmo
La cresclta della scieiaza
diverso da essi)? E se non possiamo ritenerlo, dovrerno concluderne che la crescita della scienza non e un fenomeno razionale? 4. Recenti
interpreiazioni della crescita della scienza
Ahhiamo accennato, nel primo paragrafo, alla recente fioritura di interessantissimi dibattiti intorno alla crescita della scienza. Per la verita, essi non sono tanto diretti ad analizzare i modi concreti attraverso cui la scienza e venuta effettivamente sviluppandosi, quanto a scoprire una caratterizzazione generale di tale crescita. Una delle maggiori difficolta in cui si imbatte chiunque rifletta su questi argomenti, risiede nel fatto -_ veramente difficile a spiegarsi che la crescita della scienza non venne irnpedita, ma anzi in certo senso stimolata, dal crollo di alcune teorie, come ad esempio quella di Newton, cui era stato riconosciuto per secoli un valore scientifico incontestahile. A tale proposito sono di particolare interesse le posizioni assunte da Popper e da Kuhn; posizioni che possiamo delineate servendoci delle parole stesse usate da Lakatos in un interessante articolo incluso nel volume Crilica e crescita della conoscenza ( 1975):
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Cio che distingue ver afferrato tutte le corroborata di tutti i vitazione di Newton.
l’approccio di Popper consiste principalmente nell’ainiplicazioni del crollo della teoria scientifica meglio tempi: la nieccanica newtoniana e la teoria della graDal suo punto di vista, Fatteggiamento corretto non Sta nella cautela nell’evitare errori, ma nella spietatezza nell’eliminarli. Audacia nelle congetture da un lato e severita nelle confutazioni dall’altro: questa é la ricetta di Popper. Kuhn la pensa diversaniente. Anch’egli respinge l’idea che la scienza cresca per accumulazione di verita eterne. Anch’egli deriva la sua ispirazione principale dal rovesciamento della fisica di Newton da parte di Einstein. Anche per lui il problema principale quello della rivoluzione rcientifica. Ma mentre per Popper la scienza é “rivoluzione permanente” e Patteggiainento critico e il cuore dell’impresa scientifica, per Kuhn la rivoluzione e eccezionale e, anzi, extrascientifica, e la critica in tempi “norrnali” e anatema. Anzi, per Kuhn il passaggio dalYatteggiamento critico al dogmatismo segna l’inizio del progresso e della scienza “nor1nale.” Secondo lui l’idea che con la “confutazione” si possa chiedere il rifiuto e l’eli1ninazione di una teoria e “falsificazionismo ingenuo.” La critica della teoria dominante e la proposta di teorie nuove e permessa soltanto nei rari momenti di “crisi.” E:
Qui non vogliamo discutere la fondatezza delle due tesi che vengono da Lakatos contrapposte l’una all’altra; e neanche voglia82
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la sua razionalita
mo esaminare se siano davvero cosi contrapposte fra loro come Lakatos ritiene o se invece non diano luogo a conseguenze concrete ahhastanza prossime, come ritiene per esempio Mirko Drazen Grmek (secondo cui la diversita tra le posizioni di Popper e di Kuhn inciderehhe piu sulle loro idee generali che non “_al livellp dell’interpretazione dei casi storici conosciuti in dettaglio”). C10 che qui ci interessa e renderci conto che i due autori tentano di chiarire il fenomeno “crescita della scienza,” suggerendone der modelli ciascuno dei quali risulta ahhastanza intuitivo: in effettl e ahbastanza intuitivo sia il rnodello della “rivoluzione perinanente” avanzato da Popper, sia quello delllalternarsi fra’ periodi di dogmatismo (ovvero di scienza normale) e periodi di CI1S1, avanzato da Kuhn. Nelle intenzioni dei loro autori, questi modelli dovrebhero conupiete, rispetto al fenomeno storico in questione, una funzione in certo senso analoga a quella cornpiuta, rispetto ai fenomeni naturali, dai modelli di Volta in volta ideati dagli studiosi di fisica, di chimica, ecc; si pensi per esempio ai noti modelli costruiti, in passato, per spiegare i fenomeni ottici, elettrici, termici, ecc. ll fatto che oggi le scienze della natura tendano a ridnnensionare la funzione esplicativa tradizionalmente attribuita al inetodo dei modelli dovrebbe, ovviamente, renderci un po’ sospettosi circa l’efficacia di una estensione di tale rnetodo allo studio dei fenonaeni storici. Coinunque anche Lakatos, che pure ha assunto una posizione seriamente critica nei riguardi dei due modelli di'Popper e di Kuhn, ha ritenuto di dover fare ricorso al rnetodo in esame, proponendo un terzo modello, piu complesso ma senza dubbio piu soddisfaccnte (almeno a nostro parere). Questo e fondato sul ben noto concetto di “programnia di ricerca,” che ci limiteremo a richiamare in poche righe utilizzando quanto piu possibile le stesse parole di Lakatos. Un “programma di ricerca” connette una successione di teorie “caratterizzate da una certa continuita che ne unisce gli elernenti.” Esso consiste di “regole metodologiche” alcune delle quali “indicano quali vie della ricerca evitare, altre quali vie perseguire.” _
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L’euristica negativa specifica il “nucleo” del prograrnma che _invvirtu di una decisione metodologica dei suoi protagonisti non “confutabile leuristica positiva consiste in un insieme abbastanza articolato di proposteno di suggerimenti su come cambiare e syrluppare 1e_ yarianti cpnfutabili del programma di ricerca, su come modificare e sofistlcare la cintura protettiE:
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va “confutabile”
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Sgjgnza
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fwlismo
Si noti che proprio l’esistenza di questa euristica positiva permette al programma di essere mantenuto in vita, malgrado la scoperta di alcuni dati che contraddicono i primi anelli della successione di teorie connessa al programma in questione. Cio puo avvenire, in quanto si riconosca che tali dati suggeriscono, si, delle modifiche anche, rilevanti a quella che ahhiamo chiamato la “cintura protettiva” del programma ma non ne toccano il nucleo. La crescita della scienza consistera allora, secondo il modello di Lakatos: per un lato, nello sviluppo a volte assai lento di un programma, sviluppo che si realizza grado a grado sotto l’azione di prove empiriche e col ricorso a sempre nuove ipotesi ausiliarie, per un altro lato, nella dialettica di programmi di ricerca competitivi, hasati su “nuclei” fra loro diversi. Questi programmi competitivi possono coesistere uno accanto all’altro, non essendo necessario, per il sorgere di un nuovo programma, che il Vecchio sia stato del tutto ahhandonato, onde si avra un autentico “pluralismo teorico.” Scrive in proposito il nostro autore:
La storia della scienza
Stata e dovrebbe essere una storia di programmi di ricerca in competizione (o, se si preferisce, di “paradigmi”), ma non e stata e non deve diventare una successione di periodi di scienza normale: quanto piu presto comincia la competizione, tanto meglio e per il progresso. E:
Come poco sopra non ahhiamo voluto discutere la fonclatezza dei due modelli di Popper e di Kuhn, cosi ora non vogliamo discutere la fondatezza del nuovo modello di Lakatos. E nemmeno intendiamo analizzare in che misura esso si differenzi da quello di Popper e da quello di Kuhn. Tutt’al piu possiamo notare che, almeno a prima vista, esso sembra attingere alcune idee fondamentali proprio dal modello di Kuhn; cio risulta abhastanza chiaro da alcune affermazioni di Lakatos stesso, per esempio dalla seguente: “le rivoluzioni scientifiche consistono nella sostituzione di un programma di ricerca con un altro.” La cosa importante dal nostro punto di vista at un’altra: as che Lakatos ci semhra comprendere piu chiaramente degli altri due autori la funzione dei vari modelli ideati per spiegare la crescita della scienza. Questa funzione consiste essenzialmente, secondo lui, nel suggerirci adeguate “ricostruzioni razionali” della storia della scienza, restando pero inteso che la validita di queste ricostruzioni (cioe dei modelli su cui esse si reggono) va in ultima istanza giudicata, sempre secondo Lakatos, in base alle effettive applicazioni che se ne possono fare allo studio concreto di tale storia. In altri termini
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La crescita della xcienza
l;
e
la sua mziomzlité
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per usare le stesse parole del nostro autore “la storia puo essere vista come un ‘controllo’ delle sue ricostruzioni razionali.” Vale la pena, giunti a questo punto, di porre al centro della nostra indagine il concetto stesso di “ricostruzione razionale.” 5. Critica alel concetto di ricostruzione razionale, con particolare riferimento cz La/eatos
Compiere la ricostruzione razionale di un dato periodo di storia della scienza significa, secondo la concezione _delineata nel paragrafo prelcedente, esporre lo sviluppo verificatosi entro la scienza (o entro una determinata scienza) durante quel periodo, in forma tale che ne risulti evidenziato il carattere razionale dello sviluppo stesso. In altri termini: esporlo in forma tale che questo sviluppo non ci appaia del tutto caotico, ma contrassegnato da un certo ordine interno. E un fine, come gia si E: detto, che viene perseguito in forme diverse quale piu e quale meno soddisfacente tramite i modelli di cui si e fatto parola nel paragrafo precedente; fine di cui vogliamo sottolineare l’analogia qui pure in forme ora piu ora meno sodcon quello perseguito disfacenti dalle varie teorie fisiche, chimiche, biologiche, ecc. nei confronti del mondo, a prima vista caotico, dei fenomeni naturali. Riservandoci di prendere in esame nel quinto capitolo i prohlemi connessi al concetto di ordine della natura, vogliamo qui far suhito notare che nella definizione poco sopra riferita di ricostruzione razionale dello sviluppo della scienza' affiora manifestamente una certa amhiguita, dovuta proprio al termine “razionale.” Basti osservare che tutti e tre i modelli in questione (di Popper, di Kuhn, di Lakatos) fanno intervenire qualche operazione che semhra con difficolta caratterizzahile come rigorosamente razionale: il modello di Popper fa intervenire una intuizione di tipo hergsoniano nella ideazione di una nuova congettura da sostituire a quella confutata; quello di Kuhn fa intervenire fattori non scientifici (di carattere psicologico, sociologico, ecc.) nei periodidi crisi che segnano il trapasso da una scienza normale ad un’altra; quello di Lakatos fa appello ad argomenti consimili per spiegare l’emergere di un nuovo programma di ricerca che entrera in competizione con un programma precedente, il quale non e stato ancora del tutto abhandonato dalla comunita scientifica
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Scienza e realismo
La crescita della scienza e la sua razionalitzi
naalgrado il gran numero di aggiustamenti cui si e dovuto fare ricorso per tentare di salvarlo. Non senza motivo Kuhn ha esplicitamente sostenuto, in polemica con Popper, che a rigore non puo esservi una vera e propria l0giC6l ma solo una psicologia della scoperta scientifica. _Non e pero su questi aspetti della questione che intendiamo qui soifermarci, bensi su un prololema molto pid generale, il cui esame ci sembra preliminare a tutta la trattazione. S1 E: detto che con la ricostruzione razionale della crescita della _scienza noi miriamo ad evidenziare il carattere razionale del suo sviluppo. Proprio qui tuttavia sorge una domanda di decisiva importanza: l’ipotesi da cui partiamo e che lo sviluppo in parola sia gia in se stesso razionale, onde, nel tentarne la ricostruzione raaionale, non faremmo altro che sforzarci di porre in luce questa intrinseca razionalitaP oppure supponiamo che, considerato in se stesso, tale sviluppo sia privo di un qualsiasi ordine razionale, onde saremmo noi, e solo noi, a rivestirlo di una certa logicita nel preciso momento in cui tentiamo di delinearne una ricostruzione razionale? Trattasi di un dilemma analogo a quello, hen noto da secoli, che concerne i rapporti fra scienza (fisica, chimica, ecc.) e mondo reale: la razionalita che la scienza riesce ad evidenziare nel corso dei fenomeni, e una razionalita oggettiva colta dalla scienza ma non creata da essa oppure e una razionalita soggettiva, di cui noi rivestiamo tale mondo nell’atto stesso di sovrapporvi i nostri schemi scientifici? Nel caso presente, pero, in cui il mondo preso in considerazione non e quello dei fenomeni naturali ma e il mondo stesso della storia (e in particolare della storia delle teorie_ scientifiche), il dilemma anzidetto assume un’autentica drammaticitax Infatti, la seconda ipotesi da esso prospettata (cioo lipotesi che il processo storico in questione sia in se stesso privo di razionalita) comporterehhe l’ammissione che tale processo, frutto del lavoro umano, dovrehbe risolversi in una successione caotica di azioni prive di qualsiasi nesso logico che colleghi l’una all’altra. lpopo questo chiarimento di carattere generale, possiamo chiederci quale sia il corno del dilemma anzidetto verso cui sembra propendere Lakatos, cioe quello dei tre autori da noi menzionati che mostra di avere meglio compreso l’importanza della nozione stessa di ricostruzione razionale. Alcune sue affermazioni non paiono lasciare duhhi al ri-
guardo, in quanto sottolineano esplicitamente la netta differenza che egli scorge fra la storia, come processo reale, e la ricostruzione razionale che ci sforziamo di farne. Bastino due citazioni: “La storia della scienza ei sempre pid ricca della sua ricostruzione razionale” e “nessuna ricostruzione razionale puo mai coincidere con la storia reale.” Da esse risulta chiaro che, secondo il nostro autore, la storia della scienza quale processo reale non sarebbe “completamente razionale” come del resto non lo e (sempre secondo Lakatos) “nessun insieme di giudizi umani.” Stando cosi le cose, il nostro compito non potrebhe essere quello di enucleare, dal corso effettivo della scienza, una razionalita oggettivamente insita in essa, in quanto tale razionalita oggettiva non esiste; sarebhe invece, pid modestamente, il compito di ideare a grado a grado “la migliore ricostruzione mziomzle della scienza.” Insomma, la razionalita di cui qui si parla semhra essere, dal punto di vista di Lakatos, qualcosa di meramente soggettivo, cioe di specifico dello studioso che cerca di comprendere come si sono sviluppate le teorie scientifiche, non qualcosa di intrinseco allo sviluppo storico stesso di tali teorie. In altre parole, quando lo studioso di storia della scienza inserisce nel suo piano di lavoro la ricostruzione razionale di un certo periodo di tale storia, egli affermerehbe soltanto una cosa: di non volersi limitare ad esporre banalmente la successione dei singoli passi compiuti dalla scienza in tale periodo, ma di volerli fare rientrare in un certo modello di crescita. E uifaffermazione che impegna il suo modo di condurre la ricerca, ma che non riguarda la storia reale. Va pero riconosciuto che lo stesso Lakatos rivela altrove una qualche incertezza sul delicato argomento. Cio accade in particolare quando egli parla della possihilita, anzi opportunita, di ritoccare i modelli in base a cui compiere l’anzidetta ricostruzione al fine di renderli pid adeguati all’effettiva crescita della scienza. Quale altro senso potremmo, infatti, dare ai brani in cui accenna ad un “progresso nella teoria della razionalita scientifica” che sarehhe contrassegnato “dalla ricostruzione di una crescente massa di storia [...] come razionale”? L’idea stessa di tale progresso parrebhe inconcepibile, se non si ammettesse l’esistenza effettiva, nel processo storico reale dello sviluppo della scienza, di una- qualche forma di razionalita che viene via via meglio approssimata dalle nostre ricostruzioni razionali. Comunque sia, la presenza nel nostro autore di una qualche sia pure indiretta concessione all’ipotesi oggettivistica (cioo all’ipotesi che,
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Scienza e realismo
La crescita della scienza e la sua razionalita
ricostruendo razionalmente la crescita della scienza, noi cerchiamo di enucleare e approssimare la razionalita oggettiva di tale crescita), non puo che dimostrare la sua piena consapevolezza circa la complessita del problema, e pertanto accrescere la nostra stima per la sua indagine. Passando a un problema piu generale, possiamo chiederci quale l’idea di fondo, invocata da Lakatos per giustificare la tesi della necessita di ricostruire razionalmente la storia della scienza. Bisogna riconoscere che egli e molto esplicito su questo problema. Esistono bensi dichiara apertamente parecchi storici i quali “considerano con orrore l’idea stessa di ana qualsiasi ricostruzione razionale,” ma aggiunge subito “la storia senza una qualche ‘disposizione’ teorica e impossihile.” Secondo lui infatti, as una disposizione teorica cio che ci fa selezionare gli eventi scientifici e ci induce a connetterli in un certo modo piuttosto che in un altro, ossia cio che ci porta a ricostruire razionalmente il loro sviluppo. “Questa disposizione, naturalmente, puo essere oscurata da una variazione eclettica di teorie o da confusione teorica; ma né l’eclettismo né la confusione equivalgono a un modo di vedere ateorico. ” In altri termini: una storia della scienza, che non implicasse una ricostruzione razionale della medesima, si ridurrebbe alla mera registrazione inclifferenziata di eventi privi di qualsiasi connessione reciproca, cioe si ridurrebbe ad una esposizione che non ha nulla di storico, non ha nulla in comune con le altre autentiche storie (della filosofia, dei fatti politici, ecc.). Ma e accettabile questa idea di fondo? E proprio Vero che gli storici della scienza “che respingono con orrore l’idea stessa di una qualsiasi ricostruzione razionale” si sono sempre limitati a mere registrazioni indifferenziate di eventi del tutto isolati uno dall’altro? O non e Vero, piuttosto, che hanno cercato di scoprire nel fluire stesso delle teorie scientifiche il filo conduttore della loro storia? Qui ci troviamo nuovamente di fronte al problema poco sopra discusso: la razionalita che lo storico della scienza si sforza di porre in luce nello sviluppo delle teorie, e una razionalita che affonda le proprie radici in tale sviluppo stesso (considerato nella sua oggettivita) oppure e una razionalita che proviene dal modo con cui noi siamo in grado di ricostruirlo? Proprio come e notoriamente impossibile scomporre se non con un atto di astrazione arbitraria un fenomeno continuo negli elementi che lo costituirehhero, cosi as a nostro parere impossihile scomporre il tessuto reale della storia (e in particolare della storia
della scienza) in un aggregato di eventi isolabili, costituenti il materiale che servirehhe alla costruzione di tale tessuto. Noi pensiamo invece che questo tessuto formi un’unita, entro cui non as possibile separare gli anzidetti elementi dal filo che li connettef filo conduttore che possiede una propria “ragion dfeS;S§I€,” C106 11113 propria razionalita oggettiva, che 'e tanto pid difficile da cogliere quanto e piu rigida la pretesa di rinserrarlo in qualche schema aprioristico di razionalita.
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6. Sul possibile ricorso alla zlialettica
nelfopera di razionalizzazione
della storia della scieaza Se riconosciamo che gli eventi umani, in particolare cluelli concernenti la ricerca scientifica, sono inseriti in un mtricatissimo tessuto di relazioni reciproche, fuori del quale non _e possihile intenderli, siamo costretti ad ammettere che lo studio della storia della scienza dovra avvalersi, senza preclusione di sorta, di tutt1 mezzi in grado di illuminate l’uno o l’altro.di tali rapporti. Doxlra percio analizzare, sotto i pid diversi aspetti, tanto lo sviluppo 1nterno delle teorie quanto l’azione esercitata su tale sviluppo dall ambiente sociale (storia esterna), tanto il processo di creazione di nuove teorie quanto quello di estinzione e abhandono di altre, tanto i rapporti fra scienza e linguaggio ~(e di conseguenza tra categorie scientifiche e categorie logico-linguistiche) quanto quelli fra scienza e strumenti di osservazione (in particolare apparecchi di misura), tanto l’influenza della scienza pura sullo sviluppo tecnologico quanto di questo su quella, e cosi via. Siamo senza dubbio ben disposti ad ammettere che la ricostruzione razionale tramite modelli (di cui ahhiamo parlato nel para: grafo precedente) costituisce oggi uno degli strumenti rivelatisi piu efficaci per l’esecuzione dell’articolatiss1mo programma teste accennato. Cio che ci sembra invece di dover respingere as la pretesa che, se non ci si vuole limitare a una pura descrizione (o registrazione) dei fatti studiati dalla storia della scienza, sia assolutamente necessario fare ricorso allo strumento anzidetto. Vale la pena, del testo, ricordare che nella fisica moderna la contrapposizione fra spiegazione (per l’appunto mediante modelli) e clescrizione ha perso ormai gran parte dell’1rnportanz_a che aveva avuto in passato (cosi, per esempio, non facile stabilire oggi _se modelli matematici siano davvero esplicativi o soltanto descrittivi). _
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La crescita della scienza
in quella nuova scienza che e la §u§qu@_d0V{f2mmO e a scienza contrapporre frontalmente ricostruzione razloéldale (intesa come spiegazione) e mera descrizione? perché non Ovrelnmo mtefpretarle come complementari e far uso contem’
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entrambe nell’intento che una illumini l’altra? obiettera, con Lakatos, che la storia delle scienze “senza ‘?lUf\1Ch@ d15P0SlZ10D€’ teorica e impossibile” (come gia ricordammo E? Par-agfafo Pf@C@Cl€1”1tC)- L’ob1‘ezione e senza dubbio seria e dobiamo tenerne conto. Ma essa C1 induce soltanto a spostare il problema, chiedendociz perché la “disposizione teorica,” di cui non posSlalgchlarle a meno, dexte essere cosi rigida come quella indicata dai mo _e Popper o d1 Kuhn o d1 Lakatos? perché non possiamo sostituirla utilmente con una “disposizione” piu flessibile iu ar trcolata, piu comprensiva? P Si re€3E1(a;1;1c;Ov(§;1§>a Eel paraggafo precedente che' anche Lakatog meme la nostm noziecessglta correggere e ampliare inmterrottaW _one male “Sem razionalita, per adeguarla alla storia pre piu. ricca della sua ricostruzione razionale.” Perché d unque non fare r1corso ad una “disposizione teorica” piu aperta a tutte le correzioni e a tutti gli ampliamenti? Offe§aH3;r;§tar§reduna disposiaione teorica siffatta ci puo venire o_ o 1alett1co, di cur abbiamo ampiamente parlato nel secondo capitolo. In effetti esso ha il merito di portare un seriobintributo all apertura della nozione stessa di razionalita, come a 1amo cercato d1 spiegare 1n tale capitolo, ed e plausibile che PfQPr1
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metodo dialettico ll Iiostro Che _ognirci per lopara? 8 r; 0 studioassal dellouuie’ delle teorie Sdemifie hi1”l1g§ed1mcl:`nEO, sviluppo G. rattasi questo: C se d riusciamo a 1. h stabiue teorie T e T sono legate fra loro da un rapporto IFC C .e d1alett1co, allora dovremo ammettere che esiste fra esse un’effetUV” f0f'fUf2> ma esiste nel contempo un’effettiva continuita. Di gfiliiefgiglgial Fara facile comprendere che dalla stessa negazione den t T, emerge _uno spunto che ci conduce alla creazione a eoria Un tipico caso del genere Sl presenta H61 rapport1 tra la famosa memoria di Bohr, Kramers e Slater del 1924 dove venue formulata l’ipotesi degli “oscillatori virtuali,” e la memoria il
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di Heisenberg del 1925 in cui e formulata la meccanica delle matrici. Come e noto, questa ultima costituisce una precisa rottura con la precedente, eppure prende in certo senso lo spunto proprio da essa. Ecco cio che scrive in proposito, con notevole acutezza, Carlo Tarsitani in un Saggio contenuto nel volume C011tfzibuti alla rtoria della meccanicaz quamtisticaz (1977): ...Proprio questo articolo [di Bohr, Kramers e Slater] contiene considerazioni sul valore di una descrizione coerente dei processi elementari, sul problema del carattere osservabile di essi in quanto non banalmente collegato al loro andamento oggettivo, che prefigurano in modo abbastanza deciso talune delle conclusioni pid significative connesse con la formulazione definitiva della meccanica quantistica.
Certamente la dialettica non ci offre delle categorie cosi precise come quelle indicate da Lakatos nella sua analisi della crescita della scienza. E per esempio incontestabile che il materialista dialettico sovietico M. E. Omelyanovsky resta troppo nel vago quando afferma che “a partire dalla fine del XIX secolo cominciarono a comparire in fisica situazioni paradossali festremamente feconde] collegate col fatto che i dati dell’osservazione non potevano venire inquadrati negli schemi teorici e nelle idee allora sostenute,” o viceversa che “l’assenza di progressi nella fisica delle particelle si spiega col fatto che in tale Campo non ci si e ancora imbattuti in un paradosso suificientemente in contrasto con le idee fisiche attuali e, per cio stesso, atto a mostrare in qual modo si debbano modificare le idee”; ma il rilievo da lui dato alla paradossalita costituisce senza dubbio un prezioso suggerimento per lo storico della scienza. Viceversa la precisione del discorso di Lakatos (come di quelli di Popper e di Kuhn) ci fa temere che essa derivi da una ingiustificata generalizzazione di quanto osservato in un caso particolare, sia pure molto importante, di progresso della scienza (nella fattispecie, del progresso rc.lizzatosi col trapasso dalla teoria di Newton a quella di Einstein). Cio che a noi pare di poter sostenere, as che lo studio della dinamica della scienza, proprio perché non e trattabile con il metodo assiomatico, vada perseguito con metodi che concedono il piu largo spazio alla flessibilita dei concetti; e tale appunto as il metodo dialettico. L’applicabilita di questo metodo non esclude, ovviamente, che in taluni casi possa farsi ricorso a considerazioni formalmente pid rigorose; ma intanto ci permette di stare in guardia contro la pretesa di escludere dal campo della razionalita 91
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realismo
La crescita della scienza
tutto cio che non
e trattahile con regole rigide, fissate a -priori Quando Kuhn scrive di trovarsi d’accordo con Lakatos sulla necessita _di modificare la nozione corrente di razionalita onde renderla idonea a “razionalizzare” la storia della scienza, sorge SPQHfanea la dornandaz perché non prende neanche in considerazione la possibilita di fare, a tal fine, ricorso alla razionalita dialettica? none forse dettata questa chiusura, da una posizione preconcetta, criticamente ingiustificahile?
7. Caraileriszfic/he di uno studio della “cresciia della rcienza” _wolzfo
con zl metodo dialetlico
Per dare un signlficato piu preciso alla tesi, da noi ahhozzata alla fine del paragrafo precedente, circa l’opportunita di ricorrere nal _metodo dialettico nello studio della “crescita della screnza, ritemamo necessario affrontare ora direttamente il seguente problema: quali dovranno essere le caratteristiche di tale studio, perché si possa affermare che esso e veramente svolto in base al metodo anzidetto? La nostra risposta si articolera in tre punti, per spiegare i quali dovremo fare ripetutamente riferimento a quanto detto sia finora, ln questo capitolo sia nei capitoli precedenti. 1. La _prima nozione a cui dovremo fare ricorso e quella di approfondimento, ampiamente analizzata nel terzo capitolo. Gia sapp1amo_che esiste una manifesta incompatibilita tra la tesi secondo cui una teoria sarebbe in grado di approfondirne un’altra e_quella secondo cui le teorie scientifiche non sarehbero in gradd di conseguire alcuna verita risultando meramente convenzionali. Non e nemmeno 11 caso di aggiungere tanto la cosa appare oyvia che esiste unincompatibilita per cosi dire ancora mam 81Ore fra la prima delle due tesi ora menzionate e quella di allc_un1 studiosi moderni i quali sostengono la rigida “chiusura” dei lrnguaggi scientifici (E. Frola) o la “incommensurabilita” delle teorre scientifiche (P. Feyerabend). In netta opposiaione sia con i convenzionalisti di stretta os;;;;;l1(g1Zil7; ppm gli ultimi autori testé citati, _il materialista diad tt d it vepe ne processo di approfondimento il filo conu ore e o svi uppo delle teorie scientifiche. Tenendo pero conto del fatto che tale processo si realizza in forme di Volta in Volta d1V@fS@ (come appunto venne osservato nel predetto cal
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pitolo), non pretendera di ricavarne un modello unico, applicabile indifferentemente a tutti i casi di “crescita della scienza.” In particolare non pretendera di ricavarne una visione continuistica della storia della scienza. L’esistenza di un legame di approfondimento fra una nuova teoria T' e una vecchia teoria T non esclude, infatti, che il trapasso da T a T’ implichi una svolta radicale (una vera coapare per usare la terminologia loachelardiana). come scrive OmelyaTrattasi per lo piu di una svolta dovuta novskij -- proprio alla scoperta entro la vecchia teoria di qualche situazione paradossale, situazione tanto pid idonea a generate tale svolta quanto maggiore e la sua paradossalita. (Si ricordi, in proposito, che il metodo dialettico riconosce nella contraddizione la molla principale di ogni sviluppo.) Quanto ora detto non significa neppure, sia ben inteso, che ogni approfondimento implichi un’autentica svolta rivoluzionaria. Potra accadere, invece, che esso richieda soltanto la precisazione di un concetto, Yesplicitazione di un’ipotesi sottintesa, la modificazione di un assioma. In altri casi pero esso esigera proprio una trasformazione radicale di tutto intero il quadro categoriale della vecchia teoria (il che accaduto per esempio nel trapasso dalla meccanica newtoniana a quella einsteiniana o alla quantistica); e allora avremo cliritto di parlare di vera rivoluziocome gia si detto ne: _rivoluzione che e stata resa necessaria -- dalla scoperta di qualche contraddizione di fondo nella vecchia teoria. Va d’altra parte osservato che, cial punto di Vista del metodo dialettico, le contraddizioni non sono tutte egualmente importanti (nel sesto capitolo faremo cenno alla distinzione fra contraddizione principale e contraddizioni secondarie), onde segue che pure le rivoluzioni scientifiche cui esse danno luogo non avranno tutte la medesirna struttura e la medesima portata. Sappiamo che, secondo Lakatos, non si puo parlare di rivoluzione scientifica se non e mutato il “nucleo” stesso del programma di ricerca. Ma il metodo dialettico ci fa osservare che, in parecchi casi, Fapprofondimento assume un carattere rivoluzionario, anche se non si puo parlare di un mutamento siffatto; per esempio e difficile negate un carattere rivoluzionario all’inserimento (di cui abbiarno piu volte parlato) delle geometrie metriche nel quadro generalissimo della geometria proiettiva, eppure non sembra agcvole trovare in tale processo l’abbandono di un Vecchio programma di ricerca (basato su di un “nucleo” assunto come inconfutabile in virtu di una decisione metodologica) a fa-
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vore di un altro programma di ricerca (hasato su di un “nucleo” completamente diverso). In hreve: il modello lakatosiano appare, esaminato dal punto di vista del metodo dialettico, troppo rigido e schematico per potersi adattare a tutta la ricchissima gamma di approfondimenti che vanno dalla semplice esplicitazione di un’ipotesi sottintesa (o da operazioni analoghe) all’autentico approfondimento rivoluzionario. 2. La seconda nozione che il metodo dialettico ci invita a prendere in considerazione nello studio della “crescita della scienza” e quella di “patrimonio scientifico-tecnico.” Ci dice, infatti, che la dinamica delle teorie scientifiche non puo venire compresa a fondo se esse non vengono calate nella dinamica di tale patrimonio. Con cio non si esclude affatto che possa essere opportuno, in talune circostanze, considerare le teorie scientifiche in se stesse; cio accade per esempio quando si vuole stabilire un confronto fra la struttura logica di due teorie o decidere sotto quali condizioni una di esse puo venire ridotta all’altra (e il hen noto prohlema del riduzionismo). E non si esclude neanche che tale confronto possa riuscire istruttivo, per comprendere il tipo di approfondimento conseguito nel trapasso da una teoria all’altra (ad esempio e senza duhbio istruttivo per comprendere Fapprofondimento conseguito nel trapasso dalla teoria ondulatoria della luce sostenuta nel Seicento da Huygens a quella sostenuta nell’Ottocento da Fresnel, oppure Fapprofondimento realizzato nel trapasso dall’algehra dei secoli XVI, XVII, XVIII, essenzialmente incentrata sul prohlema della risoluzione delle equazioni algehriche di grado via via superiore, alla cosi detta algebra astratta -- teoria dei gruppi, ecc. che ha avuto inizio nell’Ottocento). Cio che si esclude e, soltanto, che una considerazione del genere anzidetto possa darci un’idea realmente adeguata della dinamica delle teorie scientifiche, se non viene in qualche modo integrata dallo studio della dinamica del patrimonio scientificotecnico inteso nella sua glohalita. Abhiamo sottolineato, nel secondo capitolo, l’importanza fondamentale che il metodo dialettico attrihuisce alla ,categoria della totalita. Qui bastera pertanto rinviare a quanto allora detto, ribadendo che tale categoria occupa _un posto centrale nello studio della crescita della scienza proprio perché si tratta di un fenomeno di carattere storico, cioe di un fenomeno ove non si puo prescindere dal parametro tempo (come lo si intendei nella storia). 3. Il terzo punto su cui il metodo dialettico attira la nostra
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attenzione e ilrpnessgqmteoria-prassi. Questo nesso ci dice che E=:.impossibile cogliere l’autentico significato della crescita della scienza, limitandosi a esaminarne l’aspetto teorico quasi che questo fosse separahile dall’aspetto pratico (tanto piu quando si intende la prassi come prassi sociale). Tenuto conto di cio, si puo facilmente comprendere perché il metodo dialettico ci fa giudicare troppo limitativa la ricostruzione razionale della storia della scienza intesa nel senso da noi discusso nei paragrafi precedenti. Ma vi e di pin: esso ci fa considerare troppo limitativa anche l’interpretazione della crescita della scienza da noi stessi abhozzata alcune pagine piu sopra, quando sostenemmo che il Vero filo conduttore di tale crescita e costituito dal processo di approfondimento. Una semplice considerazione di questo filo conduttore non ci permette infatti di comprendere per quale motivo certe scoperte, pur notevolissime sotto l’aspetto teorico, non abhiano dato immediatamente luogo alla svolta che ci poteva attendere da esse; ovi ahbiano dato luogo solo pin tardi quando si formo intorno ad esse un ambiente capace di capirle e di provarne, nella pratica sociale, tutta la fecondita. Basti riflettere a cio che as accaduto in alcuni esempi paradigmatici, quali furono il caso della scoperta di Mendel o della scoperta di Pacinotti. Qualcuno obiettera forse che, se lo storico della scienza cerca di ricostruirne lo sviluppo tenendo davvero conto di tutti i fattori di cui il metodo dialettico gli sottolinea l’importanza, egli finira per lasciarsi sfuggire la razionalita di tale sviluppo. E un’ohiezione che si hasa, in ultima istanza, sul presupposto che la storia (come fenomeno globale, che include in sé la storia della scienza) non sia in se stessa razionale, e che noi possiamo tutt’al piu renderne razionali alcuni frammenti (per esempio i1 frammento costituito dalla crescita della scienza) in quanto riusciamo a inquadrarli in certi schemi piuttosto che in certi altri. Illpresupposto da cui prende le mosse il metodo dialettico as invece un altro: e il presupposto che la storia (comefenomeno glohale) sia oggettivamente razionale, sia pure nel senso della razionalita dialettica; e che di conseguenza lo storico della scienza possa mettere in luce la razionalita del fenomeno settoriale da lui studiato (la crescita della scienza) in quanto riesce a dimostrare -- sia put solo per approssimazioni successive -_ che essa partecipa effettivamente della razionalita generale della storia dell’umanit£1.
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La natura
Capitolo quinzfo
La mztum e l’uomo
1.
Il concetto Classico
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nmfum
Nello sviluppo millenario del pensiero filosofico e scientifico il termine “natura” ha assunto parecchi significati assai diversi fra loro. Qui ci limiteremo a prendere in considerazione quello elaborato dalla scienza moderna, a partire da Galileo. Come e noto, essa lo uso per denotare l’universo in quanto regolato da leggi, cioe in quanto ordinato. E, come pure as noto, questa concezione diede luogo a una serie di prohlemi, ormai considerati classici, intorno ai quali si accesero le piu impegnative discussioni. Ne elencheremo i principali, non perché sia nostra intenzione intervenire in tali discussioni, ma perché cio serve a delineate il quadro generale che fa da sfondo alle analisi svolte nei successivi paragrafi. a) I./ordine della natura proviene da una divinita che la trascende, cioe che le impone tale ordine dal di fuori, oppure e insito nella natura medesima che potra pertanto venire identificata con la stessa divinita? Per illustrare la varieta delle risposte, loasti menzionare quelle di Newton e di Spinoza. Newton afferma esplicitamente »- nel famoso Scollo genemle che dio “regge tutte le cose... come signore dell’universo” onde la natura risulta collegata a lui da un rapporto di servitu; Spinoza invece lo considera come immanente alla natura e percio, in ultima istanza, coincidente con
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essa (claus sive nmfum). b) L’ordine di cui si as detto te identico in tutto lo spazio 0 E: diverso da una zona all’altra? E risaputo che secondo la fisica aristotelica le leggi dell’universo sarehhero diverse nel mondo suhlunare e in quello superiore, onde non si potrehbe parlare di un unico ordine. Spetta a Newton il grande merito di avere dimostrato che
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e l’uomo
la legge fondamentale della gravitazione vale per entrambi i mondi, e avere cosi abhattuto la harriera che li divideva. c) L’ordine della natura e identico in tutti i tempi o dobbiamo invece supporre che le leggi naturali siano variate da un’epoca al1’altra? Il prohlema si presenta ancora oggi irto di difficolta, per cui rinviamo al volume La szfruttum clella scienza di E. Nagel (1968), in particolare a quanto ivi detto nel capitolo undicesimo. Basti riferire qualche sua affermazione: “Forse l’indicazione piu prohlematica contenuta nella dottrina dell’emergenza e quella secondo cui le stesse ‘leggi di natura’ possono carnhiare e in epoche cosmiche differenti si manifestano nuovi modelli di dipendenza tra gli eventi,” ossia che “le strutture stesse degli eventi si vanno modificando con il tempo.” Trattasi, secondo Nagel, di un’ipotesi possihile ma “altarnente speculativa, per la quale non risulta facile fornire prove ragionevolmente conclusive.” La maggiore difficolta consiste nel fatto che, per sapere che nel passato le cose stavano in un certo modo, dobhiamo inferire gli eventi passati da quelli presenti, facendo proprio uso “di leggi che non sono caml;>iate.” “Per conseguenza l’assunzione che tutte le leggi siano simultaneamente implicate in un processo di mutamento si annienta da sola, in quanto che, essendo il passato 'del tutto inaccessihile alla conoscenza [salvo, come si e detto, a far uso di leggi che non sono camhiate], non sarernmo in grado di fornire alcuna prova per tale assunzione.” cl) L’ordine del mondo organico e identico a quello del mondo inorganico? Che le leggi di quest’ultin1o valgano anche per quello, non suscita problemi; ma la domanda e, se per il mondo organico non valgano, in sovrappiu, alcune leggi specifiche, irriducihili a quelle del mondo inorganico. Trattasi, come é noto, del problerna della ricluzione delle leggi hiologiche alle leggi chimico-fisiche, o se si vuole del problema del meccanicismo in senso lato. E un problema che continua ad essere della massima attualita, e si puo attrihuire alla biologia molecolare il grande merito di avere dissolto gli ultimi duhbi sulla continuita fra sistemi viventi e sistemi fisici. e) L’ordine della natura vale anche per l’uomo? In un certo senso la risposta risulta ovviamente positiva, in quanto anche l’uomo e sottoposto alle leggi sia del mondo inorganico sia di quello organico (abhiamo detto “ovviamente,” pero solo per la Cultura moderna, poiché in altre epoche culturali sembrava invece ovvio che l’uomo “in quanto spirito” fosse soggetto ad influenze del tutto diverse, per esempio angeliche o demoniache). Ma anche per noi la risposta cessa di essere cosi facile, non appena si passi da ge97
Scienza e realismo
La natum e l’uomo
neriche affermazioni di principio a indagini precise su cio che caratterizza la vita umana. Basti accennare a due ordini di problerni che continuano ad essere al centro di ricerche del pili alto impegno: 1) il prohlema dei rapporti fra mente e cervellog 2) il problema del collocamento dell’evoluzione umana nel quadro generale dell’evoluzione biologica. Per dare un esempio della complessita di quest’ultimo problema, ci liniiteremo a ricordare che l’evoluzione umana ha due componenti -- quella propriamente hiologica e quella culturale -- onde si rende necessario chiarire anzitutto il rapporto tra esse. Le opinioni in proposito sono molto diverse e la vivacita dei dihattiti, fra chi sostiene la piena indipendenza delle due componenti e chi invece le ritiene strettamente collegate, sta a dimostrare quanto sia profondo l’interesse dell’argomento.
sto che i processi naturali si svolgano ordinatamente e non caoticamente. In altri termini: questo presupposto generale costituisce la base della logica induttiva, onde non puo venire esso stesso provato
2. .S`z¢ll’og_getti1/ini dell’ordine mztumle
E ovvio che il concetto classico di ordine naturale, delineato nel paragrafo precedente, si fonda sull’interpretazione tradizionale delle leggi di natura, intese come oggettive e assolute. Orbene non o neanche il caso di ricordare che questa interpretazione non e piu oggi sostenihile, dopo le critiche sollevate dal convenzionalismo contro il realismo ingenuo (per le quali rinviamo al terzo capitolo); onde segue che anche il concetto classico di ordine naturale dovra venire profondamente rinnovato. Ma per renderci conto della complessita del prohlema sara opportuno accennare anzitutto a una questione in certo senso preliminare. Nell’ipotesi che le leggi di natura posseggano un’esistenza oggettiva assoluta, quale sara lo strumento cui dovrerno fare ricorso per riuscire a conoscerle? Le indagini piu serie sull’argomento hanno da tempo individuato due possihili vie da seguire, antitetiche fra loro: la via degli induttivisti i quali ritengono che i dati stessi di osservazione siano in grado di condurci alla conoscenza voluta, e la via degli anti-induttivisti che negano tale possibilita. Tra i primi va anzitutto annoverato John Stuart Mill, il quale formulo alcune farnose regole che dovrehhero guidarci a ricavare le anzidette leggi generalizzando i fatti osservati e le loro connessioni (fatti e connessioni che sono sempre particolari). Come Mill stesso riconobhe, tali regole valgono pero solo nel presuppo-
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induttivarnente. Un moderno studioso di logica induttiva, il neo-positivista Rudolf Carnap, ha cercato di aggirare la difficolta testé accennata, sostenendo che la logica induttiva non ha il cornpito di dimostrare la validita di un determinato asserto generale (legge o ipotesi) sulla base di certe osservazioni (o evidenze), ma solo di calcolare il grado di prohabilita che queste ultime forniscono a tale asserto. Anche il suo tentativo, pero, si o rivelato insoddisfacente, per l’insorgere di alcune ben note conclusioni manifestamente inaccettabili (i cosi detti pamdossi della conferma). Si e cosi rinvigorito lo schieramento anti-induttivista, che o quello cui abbiamo fatto cenno fin dal primo capitolo quando ahhiamo esposto la tesi secondo cui non sarebhe a rigore possihile compiere alcuna osservazione empirica se non entro il quadro di una qualche teoria, gia preventivamente accolta sia pure in via provvisoria. Il piu celebre anti-induttivista odierno e senza duhbio Karl Popper, del quale ahhiamo gia fatto piu volte parola; come e noto, egli ‘ha inquadrato il proprio anti-induttivismo in una concezione della “crescita della scienza” che abhiamo rapidamente delineato nel capitolo precedente, servendoci delle parole di Lakatos. Proprio questa concezione pero, come allora ahbiamo accennato, va incontro a gravi difficolta, in quanto sembra costringere Popper a compiere larghe concessioni al soggettivismo idealistico quando parla dell’invenzione di una nuova teoria da sostituire a quella “falsificata” (invenzione che sarebbe sostanzialmente dovuta ad un atto intuitivo di tipo hergsoniano). Non intendiamo qui entrare nel merito degli accesi dibattiti fra induttivisti e anti-induttivisti. Cio che ci preme di porre in rilievo come e che, malgrado la loro modernita, tali dibattiti si svolgono nel quadro della concezione classigia ahhiamo poco sopra notato ca dell’ordine naturale, cioe partendo dall’ipotesi che le leggi di natura dovrebbero avere una esistenza oggettiva e assoluta. Ovviarnente sia gli induttivisti che gli anti-induttivisti sostengono che la scienza non ci fa conoscere leggi siffatte, ma nel sottofondo delle loro argomentazioni sembra di poter leggere che cio costituirebbe un punto negativo per la conoscenza scientifica. Cerchiamo dunque di chiarire in che senso tanto gli uni quanto
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gli altri sembrano fare riferimento al concetto classico di ordine na-
turale. Per quanto riguarda Mill (ci limiteremo, per desiderio di semplicita, a considerare lui solo fra gli induttivisti) bastera chiederci: che cosa lo spinge ad ammettere con franca onesta che le regole della sua logica induttiva esigono in ultima istanza di venir fondate su di un presupposto non dimostrabile per via induttiva? La risposta non e difficile: cio che lo spinge a questa ammissione as la sua convinzione che, o l’ordine della natura risulta qualcosa di assoluto, o non si puo parlare di ordine bensi soltanto di caos, ma in tal caso non si potrebbe impostare seriamente alcuna ricerca scientifica. Il riferimento al concetto classico di ordine naturale appare qui cosi evidente, da non richiedere ulteriori commenti. Per quanto riguarda Popper, sara necessaria una riflessione alquanto piu sottile. Abbiamo detto che egli sostiene la necessita di fare ricorso all’intuizione, quando si tratta di inventare una nuova teoria, da sostituirsi a quella falsificata; ove e chiaro che il termine “intuizione” significa che la nuova teoria non trova, in ultima istanza, alcuna giustificazione razionale. Ma perché non puo trovarla dal punto di vista di Popper? L’unica risposta plausibile sembra essere la seguente: perché si ipotizza che, per essere razionale, tale giustificazione dovrebbe venire cercata nell’ordine assoluto della natura sottostante ai fenomeni; ma e ovvio che l’ordine in questione, proprio in quanto supposto esistere al di la del mondo fenomenico non potra suggerire nulla allo scienziato che opera in questo mondo. Se le co-se stessero davvero cosi, diventerebbe perfettamente logico concludere con Popper: la nuova teoria non potra venire ideata, se non facendo ricorso ad atti meramente soggettivi come l’intuizione o, se vogliamo, la fantasia. Cercheremo di spiegare nel quinto paragrafo come il problema dovra venire profondamente modificato, quando si sostituisca, all’interpretazione classica dell’ordine naturale, una interpretazione dialettica di esso. Prima, pero, riteniamo opportuno dedicare il prossimo paragrafo all’analisi di una delle maggiori difficolta cui va incontro l’interpretazione classica. Tale analisi rendera infatti pin agevole chiarire i meriti spettanti, anch-e su questo argomento, alle critiche dei convenzionalisti, e il contributo che pub dare il metodo dialettico a far tesoro di esse senza cadere nei loro incontestabili difetti.
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3. La correzione della mztum ad opera
delfuomo
La difficolta, di cui ahhiamo fatto testé parola, e connessa alla seguente domanda: quale possibilita avra l’uomo di intervenire sulla natura, se questa va pensata secondo quanto ci insegna la concezione classica di essa quale universo regolato da leggi oggettive? Prima di accingerci a discutere questa domanda, occorre porre in chiaro una questione pregiudiziale. Qui non intendiamo prendere in esame l’intricatissimo problema, che fu Centrale per la metafisica classica, del “libero arbitrio” né quello, ad esso connesso, se il comportamento umano risulti o no determinato da cause naturali. Il problema che vogliamo affrontare e molto pifl concreto: esso riguarda la vita quotidiana, e particolarmente la vita come si svolge nel mondo moderno, ove la tecnica ha assunto il peso che tutti le riconoscono. I legami inscindibili, cui abbiamo fatto cenno parlando del criterio della prassi, fra la scienza e la tecnica hanno posto in luce che oggi pid che mai ha perso significato contrapporre l’una all’altra. Ne segue che conoscere la natura costituisce la premessa indispensabile per intervenire su di essa. Ricordando quanto gia ahhiamo chiarito nel terzo capitolo, possiamo ribadire che, se il nostro intervento si rivela efficace, e cioe risulta effettivamente in grado di trasformare la natura, esso costituisce la migliore conferma della validita delle nostre conoscenze; qualora invece non riveli tutta l’efficacia che ci si attendeva da esso, questo scacco di ordine pratico costituisce il pifi serio sprone a rivedere e approfondire tali conoscenze. Ma, se conoscere la natura equivale a trasformarla, quale validita possiamo ancora attribuire alla concezione classica della natura come sisterna rigorosamente ordinato? Al fine di illustrare e chiarire il senso da attrihuirsi all’interVento dell’uomo sulla natura, riteniamo opportuno fare ricorso alad una metafora che, sebhene poco calzante, puo tuttavia meno a nostro parere esserci di un certo ausilio per una prima trattazione del problema. Cercheremo di esporla avvalendoci di alcune interessanti pagine ricavate dall’opera di E. Nagel citata nel primo paragrafo del presente capitolo: pagine dedicate, non precisamente all’argomento ora in esame, bensi all’analisi delle nozioni di caso e indeterminismo. Si indichi con l’espressione “catena causale” il succedersi di
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sia non é un ordine clella natura, ma un ordine “umano” che noi imponiamo alla natura); 2) l’ammissione che la posizione reciproca delle linee causali sia qualcosa di fortuito intacca profondamente la nozione, delineata in tale paragrafo, della natura come ordine (limita infatti questo ordine alla forma, o struttura, delle leggi che regolano il decorso dei fenomeni, ma lo esclude dalla disposizione delle linee causali determinate da tali leggi).
eventi che si producono in base ad una determinata legge di natura; e con l’espressione “catene causali indipendenti” si indichino due o piu catene (o linee) ciascuna delle quali “viene supposta come determinata dal carattere ‘intrinseco’ della linea, ma non determinata dalla ‘natura’ dell’altra.” Sulla base di questa convenzione linguistica, potremo ora dire, con Nagel, che “un evento e descritto appropriatamente come l’intersezione comune di un numero indefinito (se non infinito) di linee.” Orbene, mentre ciascuna di tali linee risulta determinata dalle leggi della natura, il fatto che esse si intersechino proprio in un certo punto anziché in un altro sarebbe un fatto contingente. La metafora e usata da Nagel per darci un’idea del modo come possono conciliarsi, in natura, il caso e la necessita. Noi la useremo invece per suggerire una possibile spiegazione intuitiva (contro cui in seguito solleveremo varie critiche) del tipo di intervento con cui l’uomo cerca di modificare il decorso dei fenomem naturali. Attenendocr alla metafora in esame, l’1ntervento dell’uomo potrebhe venire concepito come diretto, non gia a modificare i caratteri intrinseci delle singole linee causali (caratteri immodificabili perché fissati dalle leggi di natura), ma a spostare il punto di incontro di tali linee. Trattasi di un fine che egli sara tanto -pid in grado di raggiungere, quanto meglio conoscera i caratteri intrinseci delle linee in questione, cioe le leggi di natura. Sulla base della distinzione testé accennata (fra caratteri intrinseci delle linee casuali e posizione di una linea rispetto all’altra) risulterelohe dunque possibile conciliare i due aspetti, a prima vista contraddittori, che sono compresenti nell’intervento umano sulla natura: cioe il piu scrupoloso rispetto delle leggi di natura (impossibilita di alterare la forma delle anzidette “linee causali”), e la possibilita di modificare il decorso di alcuni singoli eventi (correggendo la posizione reciproca di tali linee). Qualcuno puo addirittura giungere a vedere in questo intervento un’opera di razionalizzazione della natura, nel senso seguente: le linee causali erano disposte “a caso,” onde il loro incontrarsi in un punto o nell’altro era puramente fortuito; l’azione umana le costringe ad incontrarsi ove vogliamo noi, e percio sostituisce l’ordine al caos. Qui pero occorre suhito fare due osservazioni: 1) l’ordine che verrehbe cosi sostituito al caos ha un significato radicalmente diverso dall’ordine di cui abbiamo parlato nel primo paragrafo (os»
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Queste osservazioni, apparentemente marginali, hanno tuttavia il merito di indurci a riflettere con pid agguerrito spirito critico sull’accettabilita o meno della spiegazione che l’anzidetta suggestiva metafora ci aveva suggerito dell’intervento umano sui fenomeni naturali. Che si tratti di un intervento effettivo, senza dubbio capace di modificare, in molte occasioni, il decorso naturale degli eventi, nessuno puo seriamente negarlo. Ma quali sarebhero le conseguenze che dovremmo trarre dalla “spiegazione” or ora esposta? A rigore, essa riesce a conciliare l’esistenza di un ordine rigoroso della natura e la possibilita umana di modificarlo, postulando la loro coesistenza su piani diversi: l’ordine anzidetto riguarderehbe infatti un aspetto della natura (la sua conformita a leggi) e l’intervento umano ne riguarderebbe invece un altro, del tutto diverso. Ma cio significherebbe che l’ordine della natura non e totale, in quanto lascerebbe degli interstizi ove domina il fortuito; e sarebhe per l’appunto in questi interstizi che opererebbe l’azione umana. Possiamo dichiararci soddisfatti di questa “legalita parziale” della natura? O dobhiamo francamente ammettere che il carattere parziale di questa legalita E: incompatihile con l’idea di ordine su cui era basato il concetto classico di natura? e che di conseguenza proprio questo concetto che va radicalmente modificato, interpretandolo in forma diversa da come lo si e interpretato in passato? Non si dimentichi che l’intervento dell’uomo sulla natura non luogo approfittando degli interstizi lasciati vuoti dalle leggi ha naturali (cioe approfittando di cio che tali leggi non dicono), ma proprio attenendosi scrupolosamente alle loro prescrizioni, in ottemperanza al famoso aforisma baconiano “natura nisi parendo vincitur.” Questa riflessione ci spinge a cercare la soluzione della difficolta in un’altra direzione: cioe nell’abbandono dell’interpretazione meccanica dell’ordine naturale.
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4. Riflessi sul concetio di mztum della crizfica dei com/enzionalisti
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Le critiche di cui abbiamo parlato nel terzo capitolo sollevate dal convenzionalismo fisico contro la concezione classica dei principi scientifici hanno un riflesso immediato sull’interpretazione dell’ordine naturale. Ci dicono infatti che tale ordine non puo venire considerato come qualcosa di assoluto (in particolare Cll meccanico) come ritenevano gli iniziatori della scienza moderna. E questa una tesi molto importante, da cui si ritiene solitamente di poter concludere che l’ordine anzidetto e soltanto una nostra C0§1V@HZi0D€, Glaeaccogliersi finché si rivela utile, e invece da respingersi non appena cessi di essere tale. hnalogamente a quanto abbiamo sostenuto in tale capitolo, possiamo suhito precisare di trovarci pienamente d’accordo sulla prima tesi, ma non sulla seconda. La nostra franca accettazione della prima tesi dipende dall’aver constatato che il concetto classico di ordine naturale va incontro a troppe difficolta, perché si possa pretendere di mantenerlo in piedi. Ne E: un esernpio illuminante quella che abhiarno esposta nel paragrafo precedente, cui non e stato possibile portare una soluzione nemmeno con la distinzione fra catene causali e collocazione di ciascuna di esse rispetto alle altre. Per quanto riguarda lamseconda Atesi, occorre qualche considerazione alquanto pili diffusa onde chiarire la nostra posizione nei suoi confignti, E anzitutto doveroso riconoscere, che essa farehbe scomparire d’un tratto la difficolta esposta nel paragrafo precedente e tutte quelle ad essa analoghe. A nostro avviso, pero, questo risultato (indubbiamente positivo) dovrehbe venire pagato ad un prezzo troppo alto: il prezzo di derealizzare quello che era stato considerato, pressoché da sempre, l’oggetto specifico di tutte le ricerche scientifico-naturali. Queste ricerche, interpretate da secoli come essenzialmente dirette a conseguire una conoscenza sempre piu completa della realta naturale, verrehhero cosi a perdere lo si dichiari apertamente o no il loro carattere di attivita conoscitive. Verrebhe inoltre as perdere ogni consistenza quel programma di unificazione che guido -- come ricordammo nel primo paragrafo il lavoro di generazioni e generazioni di ricercatori, impegnati nello studio dei diversi settori della natura. E bensi Vero che convenzionalista potrebhe rispondere: tale programma di
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unificazione averrebbe semplicemente spostato, in quanto, anziché riferirlo alla presunta realta naturale, lo si riferirebbe ai principi generali posti convenzionalmente alla base delle teorie elaborate dalle differenti discipline scientifiche. Ma se E: cosi, perché mai si sarehhero incontrate tante difficolta per conseguire tale unificazione? Perché mai si sarebbe considerato come un autentico successo ogni passo faticosamente compiuto Verso questo conseguimento? Ancor piu grave e una seconda ohiezione, riassumibile nella seguente domanda: se, accettando l’impostazione dei convenzionalisti, ammettiamo che l’ordine della natura un mero prodotto del soggetto, che senso potremo attrihuire all’aforisma haconiano piu sopra riferito, secondo cui occorre obhedire alle leggi della natura, occorre seguire la sua logica, per riuscire a piegarla ai nostri fini? Eppure e difficile negare ogni valore a tale aiorisma, se pensiamo agli straordinari successi che vennero conseguiti dalla moderna tecnologia proprio con l’attenersi all’ordine della natura, cioe con l’obbedire alle leggi via via scoperte dalle varie scienze. A questa obiezione i convenzionalisti piu coerenti rispondono, negando che le tecniche abbiano progredito per il solo fatto di avere tenuto conto del presunto ordine della natura scoperto dalle scienze. E, a riprova di cio, giungono ad esaltare le tecniche spesso molto ingegnose, ideate da popoli che hanno sviluppato la propria civilta al di fuori della zona di influenza della scienza “galileiana” (nel piu ampio significato del termine). E innegabile che la difesa di queste tecniche e tutt’altro che priva di giustificazioni, e che averle volute considerate come insignificanti e soltanto il frutto di una mentalita cieca e dogmatica. Una cosa e, pero, riconoscere la piena dignita di tali tecniche, e un’altra, del tutto diversa, e rifiutarsi di prendere atto che nel campo tecnologico sono stati raggiunti indiscutihili successi (qui non vogliamo discutere se per il hene, o no, dell’umanita) proprio applicando le scoperte della scienza, cioe ohhedendo a quello che ahbiamo chiamato “l’ordine della natura.” Ritorneremo in un prossimo paragrafo sui rapporti fra scienza e tecnica. Cio che ci importa per ora sottolineare, e che l’esistenza incontestabile degli anzidetti successi rende molto difficile negare una certa oggettivita alla nozione di natura. D’altra parte e pure difficile negare che la concezione tradizionale della natura, illustrata nel primo paragrafo del presente capitolo, e oggi insosteniEe
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bile dopole critiche dei convenzionalisti all’assolutezza delle leggi scientifiche. iii tratta di due tesi apparentemente contrapposte, che tuttavia si rivelano entramhe legittime e che proprio per cio dovranno venire simultaneamente accolte in una nuova concezione dell’ordine naturale. _
5. Un lentativo di applicare la aliczletzfica al concetto di mzzfum
Per chiarire
il
nostro programma di accettazione parziale del-
le tes1 convenzionalistiche, converra richiamare ancora una volta le conclusioni cui eravamo giunti su tale argomento nel terzo caPH010: In tale sede avevamo detto di essere hen disposti a riconoscere 1 meriti di questo indirizzo nella critica dellinterpretazione assolutistica dei principi scientifici, ma di non ritenere che la
rintincia a tale interpretazione dehha necessariamente condurci ad attribuire alle teorie scientifiche una funzione esclusivamente strumentale, negando loro qualsiasi capacita di farci conoscere una realta indipendente dal soggetto. A nostro parere, essa ci conduce _soltanto a negare che le scienze ci facciano scoprire delle verita assolute; il che non esclude affatto che ci possano far cogliere delle verita relative, fornite di una base obiettiva e sempre approfondibili. Una analoga conclusione potremo ora trarre a proposito del concetto di natura. Potremo dire cioe che va decisamente respinta una interpretazione assolutistica di tale concetto, ma che cio non esclude affatto che esso possegga una base ohiettiva, e possat (anzi, dehba) venire continuamente ritoccato e integrato onde riuscire a cogliere sempre pifi a fondo la realta. Cosi ad esempio oggi non ha pin senso assimilare la natura a un immenso orologio, costruito e_v1a via ricaricato da dio (pensato come il grande orologiaio delluniverso), secondo un’immagine largamente usata nel Settecento e giustificata dalla concezione meccanico~cosmologica di Newton. E ovv1o .che tale immagine va oggi modificata, ma non in modo arbitrario hensi per adeguarla alle conoscenze ognor pifi profonde fsehhene sempre relative) via via procurateci dallo sviluppo delle indagini scientifiche particolari. Per renderci conto della direzione in cui va compiuta questa modifica, occorre tuttavia fare una premessa. Che cosa comporta di nuovo la nozione di natura, rispetto 106
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alle visioni settoriali dei singoli campi fenomenici, forniteci dalle varie teorie scientifiche? Essa comporta, come risulta ormai chiaro, una visione unitaria dell’universo. Ma esiste oggi una teoria, che sia in grado di suggerirci tale visione, come la teoria gravitazionale di Newton suggeriva l’anzidetta immagine dell’universo quale immenso orologio? E facile rispondere di no. Questa risposta si fonda sulla stessa struttura ohe oggi hanno assunto le teorie scientifiche: struttura fondamentalmente assiomatica che circoscrive in modo nettissimo il campo di validita di ciascuna teoria, e dissolve di conseguenza la pretesa di applicarla al di fuori di tale Campo. Per un analogo motivo non si puo ritenere che una visione unitaria dell’universo sia ottenibile dal semplice accostamento di due o pid teorie. Queste infatti, quanto pin vengono presentate in forma rigorosa, tanto pid risultano isolate l’una dall’altra (salvo nel caso in cui l’analisi della struttura logica di due teorie dimostri che la prima e una sottoteoria della seconda o viceversa). La nozione di natura come visione unitaria dell’universo dovra pertanto venire fatta dipendere da qualcosa che non si riduce ad una singola teoria scientifica o alla semplice somma di pifi teorie singolarmente intese. Stando cosi le cose, sorge spontanea l’idea di collegarla a cio che nel primo capitolo abbiamo chiamato “il patrimonio scientifico-tecnico”: patrimonio che, includendo in sé come allora si e detto il parametro tempo, dovra abbracciare perfettamente compiute sia tutti i fattori teorici e sia le teorie incidendo in vario che concorrono alla loro formazione pratici modo sulla dinamica della ricerca. Ma gia sappiamo dai capitoli precedenti che il metodo piii idoneo per trattare tale patrimonio e quello dialettico. Ne seguira che, in questa prospettiva, anche la nozione di natura andra trattata con tale metodo. Se ne conclude che essa risultera si una nozione unitaria fornita di base oggettiva, ma non rigida quale la si pensava ai tempi di Newton, bensi articolatissima, flessihile, dinamica. Quanto alla base oggettiva, e chiaro che la nuova nozione di nella come gia pifi sopra accennammo natura dovra averla incluse scientifiche particolari rnisura in cui l’hanno le conoscenze nel patrimonio scientifico-tecnico. Quanto al carattere unitario, at chiaro che dovra averlo del tutto simile al carattere unitario di tale patrimonio, cioe come carattere che esclude la possihilita di suddividere il tutto in settori isolati l’uno dall’altro, pur am-
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mettendo che i legami tra questi settori siano i piu diversi possibili, ora stretti ora labili, ora rigidi ora mutevoli col trascorrere del tempo. Possiamo riassumere tutti questi aspetti della nuova nozione di natura, affermando che essa va concepita come, una unita dialettica: unita dialetticai di fattori reali, oggettivi, non puramente costruiti dalla mente dello scienziato. Questa nuova concezione ci permettera, fra l’altro, di impostare in forma nuova i prohlemi che abhiamo accennato nel secondo paragrafo. Non si trattera piu di chiederci, con Mill, se la sua logica induttiva risulti o no in grado di garantirci che la natura procede ordinatamente e non caoticamente; lfordine naturale non va piu inteso, infatti, quale ordine rigido (come lo immaginava il concetto classico di natura) di cui lo scienziato dovrehbe presupporre l’esistenza onde poter eseguire le proprie ricerche: e invece un ordine che viene gradualmente determinato man mano che si sviluppa il patrimonio scientifico-tecnico, assumendo le forme piu varie (ora deterministiche, ora prohabilistiche, ora in certo senso finalistiche), _e che viene “garantito” non da argomentazioni filosofiche generali (anteposte alle indagini scientifiche) ma dall’esistenza di teorie cui spetta il titolo di “Vere” (sia pure solo diverita telativa) in quanto provate in base al criterio della prassi. E neanche si tratta di chiederci se, allorquando una vecchia teoria scientifica viene ahhandonata perché smentita dall’esperienza, la nuova teoria che cerchiamo di sostituirle sia, o no, il frutto di una mera intuizione (di tipo hergsoniano) dello scienziato ricercatore: questo processo di invenzione e, infatti, inserito nello sviluppo del patrimonio scientifico-tecnico, e quindi partecipa della complessa e articolatissima struttura dialettica di esso, ove non ha senso pretendere di isolare un fattore dall’altro (per esempio, l’invenzione dalla sperimentazione o dalla riflessione sui risultati positivi e negativi delle teorie precedenti), restando comunque inteso, come abhiamo piu volte rihadito, che tale patrimonio possiede una incontestahile base oggettiva. La nuova concezione della natura ci indica infine una via per risolvere la difficolta esaminata nel terzo paragrafo, senza cadere negli inconvenienti suscitati dal convenzionalismo. Ahbiamo gia detto che si tratta di una difficolta davvero gravissima, qualora si accetti il concetto classico di natuta; essa pone infatti in luce la presenza di una autentica contraddizione fra i due fatti (entramhi incontestahili) che la natura si svolge secondo un ordine 108
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oggettivo, e che l’uomo puo cio malgrado piegarla ai sgoi fin? PIO' prio rispettando tale ordine. l\/la S€,_ C0316 abblamo Ftt°> -3-ina` tura va concepita quale unita d1alett1ca,_ e non quale Slsffema mec' canico, la presenza in essa di contraddizioni perde ogni carattere scandaloso. La presenza di una contraddizione entrol una unita dialettica vi compie infatti una afunzione positiva dela massima importanza; la funzione disstimolarne la dinamicita., di P036 m crisi l’unita solo per risolvere questa crisi ad un live o sempre / tu profondo; P Nel caso specifico qui in esame, la contraddizione fra la natura come ordine e l’intervento umano per p1€g21{12\ al PITQPY1 15111, Sf risolve tenendo conto che l’uomo _stesso (vuoi come _s§ngO O VL101 come collettivita) fa egli pure parte della nathlfffb C01}S} Cram Com; unita dialettica. In altri termini: egli ne e_uno degli’ innumerewéié essa, ina. fattori, il che implica, non g1a_che si trovi in ba 13 partecipi attivamente al complicato processo attraverso cui _si viene realizzando l’ordine naturale. Ovviamente e un fattore il qua e _possiede una propria specificita che lo distingue da altri fattori, ma anche questa specificita entra nel processo anzidetto, sicche interVento umano per modificare la natura e a pieno titolo un intervento “dall’interno” e non “dall’esterno.” Né esiste motivo onde Stllplf' si se tale intervento risulti potenziato dalla conoscenza scieiétifica, poiché questa conoscenza rappresenta essa stessa un genere f3Pj porto (e uno dei piu tipici) tra il fattore uomo e gh altrl fa'f'fOr1 della natura. 'E chiaro che le considerazioni teste abbozzate sono ben lupgi dal risolvere i problemi emersi nel secondo e nel terzo paragfa 0, semhrano pero in grado di indicate una via che puo condurre, se precisata e sviluppata, alla loro risoluaione: via tanto piu significativa, quanto piu ignorata dagli studiosi specializzati di questi argomenti. ‘
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6. Scienze specialistic/ae e concezioffze genemle della mztum
Tutti sanno che le scienze moderne danno luogo alla formazione di teorie a carattere sistematico, che mirano a possedere una struptura sempre piu rigorosa. Nonostante il carattere astratto _d1_ tai teorie (dovuto proprio a questa struttura) ahbiamo cercato di dimostrare che esse pur non facendoci conseguire delle verita assolute, riescono a fordirci una conoscenza effettiva (incompleta ma sempre 109
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approfondibile) di ben determinati settori della realta; e ahbiamo anche discusso la dinamica della scienza consistente nella sostituzione di vecchie teorie con altre piu complete e piu profonde. Nell’ultimo paragrafo abbiamo poi cercato di esaminare il concetto di natura, mostrando che esso si ricollega oggi, non alle singole teorie, ma al patrimonio scientifico-tecnico considerato nel suo complesso (cioe come insieme non solo delle teorie pienarnente elaborate, ma anche di teorie in formazione, e di tutti i fattori teorici e pratici che concorrono allo sviluppo delle conoscenze scientifiche). Proprio basandoci su questo legame, ne abhiamo ricavato che il concetto di natura deve oggi possedere un carattere essenzialrnente dialettico, e con riferimento a tale carattere ci siamo sforzati di chiarire il senso dell’intervento dell’uomo sulla natura (interpretato non gia come intervento, sulla natura, di un essere ad essa estraneo, ma come azione che si svolge all’interno dei processi naturali in quanto l’uomo é uno dei fattori di tali processi). Vogliamo ora chiederci se la ricerca di una concezione generale della natura (come ad esempio quella rapidamente abhozzata nel paragrafo precedente) presenti un qualche interesse per lo scienziato militante, oppure rientri solo nell’ambito dei problemi filosofici. Per essere chiari, possiamo suddividere questa domanda in due punti: 1) i successi ottenuti dallo scienziato specialista nelle sue indagini settoriali contribuiscono- o no allo sviluppo di una concezione generale della natura? 2) lo scienziato militante si rende o non si rende conto, oggi, del contrihuto che egli reca a tale sviluppo? Alla prima domanda E: facile dare una risposta nettamente positiva. I successi conseguiti nelle indagini specialistiche rientrano infatti, sia pure senza esaurirlo, in cio che abbiamo chiamato il “patrimonio scientifico-tecnico” e lo arricchiscono in prnisura maggiore o minore a seconda della loro importanza, delle loro applicazioni, dell’influenza che esercitano in campi collaterali. Ne risulta ovviamente che contribuiscono allo sviluppo della concezione generale della natura, dato che questa concezione e proprio connessa a tale patrimonio. Assai piu arduo te invece rispondere al secondo quesito. E infatti incontestahile che non pochi scienziati militanti si rinchiudono oggi cosi strettamente nella propria disciplina specialistica, da non interessarsi piu in verun modo di cio che accade nelle altre discipline, e tanto meno delle ripercussioni che i propri risultati possono avere in campo generale (da essi chiamato “filosofico” in senso spregiativo). 110
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Possiamo affermare, forse con un certo ottimismo, che questa interpretazione della specializzazione come rigida chiusura va oggi lentamente estinguendosi, sotto l’in1pulso della stessa dinarnica della scienza che impone -- in sede di ricerca, non di teorizzazione rigorosa sempre piii fitti rapporti fra indagini di campi settoriali diversi. Malgrado questo diffondersi di una certa interdisciplinarieta, resta comunque assai scarso l’interesse per i prohlemi generali. il fenomeno che suole venire indicato con l’espressione “neutralita filosofica della scienza.” Proprio a questo tipo di neutralita puo venir fatto risalire il diminuito rilievo oggi attribuito al concetto di natura. Taluno giunge a ritenere che la scienza attuale possa fare completarnente a meno di esso e, per conseguenza, debba disinteressarsi dei problemi
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che gli sono connessi. Cosi e accaduto che anche i filosofi se ne sono occupati in misura sernpre minore, giungendo a considerarli prohlemi del passato, e accentrando invece tutte le proprie indagini sull’uomo, sulla societa, sui problerni religiosi, ecc. quasi che l’uorno non viva nella natura e non ne faccia parte. E inutile dire che questa scissione fra problemi scientifici e problemi filosofici ha contribuito moltissimo a emarginare la scienza dalla cultura, diffondendo non solo nell’ambito dei filosofi e dei letterati, ma persino in quello degli scienziati la convinzione che la scienza sia un’attivita inferiore: una mera fabbrica di strumenti (teorici e pratici) sernpre piu sofisticati, a disposizione di chiunque risulti in grado di servirsene. E qui che si radica la convinzione che essa sia neutrale non solo filosofica-
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mente ma anche praticamente. Riservandoci di riprendere in esame quest’ultimo argornento nell’ottavo paragrafo, qui ci limiteremo a menzionare un fatto molto sintomatico, anche se marginale; il fatto che parecchi giovani scienziati della nostra epoca (convinti del sernpre minore peso culturale della scienza) cominciano a chiedersi affannosamente: a che servono le pesanti fatiche che dobbiamo quotidianarnente sopportare al fine di condurre avanti le nostre indagini specialistiche? La nostra risposta a questi giovani e la seguente: *non e Vero che la scienza sia filosoficamente neutrale e sia percio ernarginahile dalla Cultura. Senza dubbio il legarne tra scienza e filosofia non puo piu essere, oggi, quello medesimo del passato, Ma cio non significa che esse risultino, ormai, del tutto indipendenti l’una dal1’altra. Sara un rapporto piu complesso di quello che immaginava111
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no Newton e
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suoi contemporanei, ma non per cio meno impor-
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Per illustrarne la specificita, puo essere opportuno un rapidissimo excursus storico. E un fatto incontestahile che l’uomo ha sempre cercato di costruirsi una qualche immagine del mondo in cui si trovava a vivere. Trattasi di una esigenza che E: ancora viva oggi come lo era in passato, e della quale abbiamo il dovere di tenere seriamente conto. Nei primordi della storia da noi conosciuta, egli se ne costrui alcune immagini del tutto fantastiche a carattere prevalentemente animistico. Lo sviluppo della razionalita (si pensi per esempio all’opera dei fisici-filosofi presocratici) riusci a poco a poco a “rettificare” usiamo di proposito questo termine bachelardiano tali immagini, depurandole dalla loro primitiva veste mitica. Le stesse religioni contribuirono a questa depurazione, elevandosi esse medesime dalle piu ingenue forme politeistiche a forme piu raffinate di monoteismo. Era la stessa maggiore conoscenza del mondo fenomenico a rendere via via necessaria questa trasformazione. Fu all’inizio dell’era moderna che la grande fiducia nella razionalita scientifica, ritenuta capace di procurarci delle verita assolute, riusci a convincere gran parte degli studiosi che la scienza stessa sarehhe stata in grado, non solo di rettificare le immagini tradizionali del mondo, ma di elaborarne una nuova, assolutamente Vera e definitiva_ Il fatto stesso che le teorie scientifiche non avevano ancora raggiunto il livello di rigore cui siamo oggi abituati, autorizzava a pensare che esse avrehbero potuto venire generalizzate in modo da dare origine a tale concezione. E per l’appunto una convinzione di questo genere che sta, direttamente o indirettamente, alla base delle varie forme di meccanicismo, seicentesco e settecentesco. Fu nell’Ottocento che le sottili analisi critiche della razionalita scientifica (sfociate nel convenzionalismo) tolsero ogni base a tali visioni meccanicistiche. Si diffuse allora in larghi strati di ricercatori, impegnati in indagini di carattere prettamente specialistico la convinzione che la scienza ormai privata di qualsiasi funzione autenticamente conoscitiva, non avrehbe piu avuto alcunché da dire circa la concezione generale (filosofica) del mondo. Fu per l’appunto questo disimpegno a generate Finterpretazione della scienza come attivita teoreticamente neutrale; neutralita che veniva indirettamente a favorire il mantenimento delle vecchie visioni mitiche, presentandole come del tutto estranee alla scienza e quindi inattaccabili dalle scoperte di quest’ultima.
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Cio che noi contrapponiamo a tali conclusioni e cosi riassumihile: senza duhhio la scienza della nostra_ epoca, a carattere netcome S1 illudeva la tamente specialistico, non puo piu illudersi elaborate una _concesettecentesca di esserein grado di scienza zione “razionale” (assolutamente vera ,ne definitiva) dell’un1verso. Questo non significa pero che essa non dehba contribuire a retlzfzcczre le vecchie concezioni di esso, ancora oggi assai diffuse, dimostrandone coraggiosamente Yincompatihilita con il nostro patrimonio scientifico-tecnico. Il compito di elahorare una concezione dell’universo nuova, da sostituirsi a quelle ormai incompatibili con il nostro patrimonio scientifico-tecnico, spettera a un altro tipo di studioso, che potremmo qualificare come “scienziato-filosofo.” l/importante 6, CO' munque, che tale nuova concezione risulti aperta, flessibile, capace di fare ininterrottamente tesoro di tutte le rettifiche che la scienza le suggerisce.
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7. La mzionalilti scientifica e la -tecnicd E hen nota la posizione di Auguste -Comte sui rapporti fra la scienza e la tecnica. A suo giudizio la prima va completamente distinta dalla seconda: lo spirito umano deve procedere alle ricerche teoriche facendo completamente astrazione da' ogni considerazione pratica. E certo che linsieme delle nostre conoscenze sulla natura, e quello dei procedimenti _per modificarla a nostro vantaggio formano due sistemi essenzialmente distinti fra loro, che coltivare separatamente. E: conveniente concepire e
Una Volta affermata questa completa separazionepil nostro autore si sente _autorizzato a presentare i loro rapporti _in una forma molto rigida e semplice: il primo dei due anzidetti-sistemi (quello costituito dalle -ricerche teoriche) sara “la base del secondoi” mentre il secondo (cioe l’insieme dei procedimenti per modif1care“la natura) non potra fornire alcun contrihuto al primo. In sintesiz le applicazioni piu importanti derivano costantemente da teorie formate con un semplice intento scientifico, teorie che sovente venne; -ro coltivate per molti secoli Senza produrre alcun risultato prat1co._ Alohiamo riferito la posizione di Comte, che ha se non altro 1l merito dell’estrema chiarezza, per poter piu agevolmente sottolineare la profonda distanza che ci separa da essa.. Non sarebbe lecito
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Scienza e realismo
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tuttavia dimenticare che rappresento, per parecchio tempo, la concezione dominante negli ambienti scientifici; in essa si riflette l’esigenza, diffusasi in Francia nei primi decenni dell’Ottocento, di dare una nuova impostazione (“piu razionale”) ai procedimenti tecnici, che per l’innanzi erano stati abbandonati nelle mani di ingegnosi inventori (per lo pili semplici artigiani), sprovvisti di cultura e incapaci di comprendere a fondo il significato generale delle loro stesse invenzioni. La svolta allora compiutasi provoco persino un mutaniento di parole; al termine “tecnica,” da quel momento usato solo in senso quasi spregiativo, venne infatti sostituito quello “pin nobile” di “scienza applicata.” Oggi la situazione risulta profondamente modificata; basti pensare che non si parla piu soltanto di tecniche pratiche, ma perfino di “tecniche della ragione.” Comunque, non e di queste ultime che vogliamo qui occuparci hensi soltanto delle tecniche pratiche, cioe dei procedimenti come scriveva Comte -- rivolti a “modificare la natura a nostro vantaggio.” I motivi che hanno determinato questa profonda modifica sono sostanzialmente di due tipi: az) considerazioni di ordine storico; b) considerazioni di ordine filosofico. Le prime possono venire riferite molto rapidamente, osservando che nell’antichita la tecnica si as sviluppata assai prima della scienza, e che, in epoca moderna, gli iniziatori della rivoluzione scientifica ricavarono non pochi suggerimenti proprio dall’osservazione di cio che facevano i tecnici. Sono ben note le frasi con cui Galileo introduce la prima giornata .dei Discorsi:
(accusa senza dubbio giustificatissima). Come e noto, i1 grande fisico P.A.M. Dirac si varra con grande profitto nel 1926 di un’entita analoga a quelle usate nel calcolo anzidetto (trattasi della famosa “funzione di Dirac” che in verita non e una funzione nel senso classico di questo termine) senza lasciarsi arrestare dalle obiezioni cui poteva andare incontro da un punto di vista rigorosamente logico. Ebbene, circa un quarto di secolo pin tardi, i matematici puri riusciranno a dare una forma del tutto soddisfacente ai calcoli anzidetti, collocandoli in una teoria assiomatizzata (la cosi detta “teoria delle distribuzioni”) che si rivelera ben presto uno dei rami pid fecondi dell’analisi moderna. L’utilita del suggerimento fornito loro dai tecnici e, in questo caso, cosi lampante da non aver bisogno di commenti. Per quanto riguarda, infine, le scienze applicate, possiamo ripetere ancora una Volta che la tesi comtiana della loro totale subordinazione alle scienze pure si rivela, anche qui, del tutto insostenibile. Basti menzionare l’esempio dell’odierna “matematica applicata.” Come e ben noto, essa costituisce ormai un ramo autonorno della grande famiglia delle discipline matematiche: ramo senza dubbio legato da vari nessi alle discipline matematiche tradizionali (algebra, ecc.) ma che non puo dirsi dipendente da esse piu di quanto queste dipendano l’una dall’altra. A conferma della sua autonomia ci limiteremo a ricordare che la matematica applicata si e ormai creata da tempo i propri specifici strumenti di calcolo altamente sofisticati, e che non solo non si presenta affatto come subordinata ad altre discipline ma anzi sta imprimendo un’autentica svolta, molto significativa, a tutta la scienza. E fuori dubbio che le considerazioni di ordine storico testé brevemente riferite ebbero un grande peso nella trasformazione dei rapporti fra scienza e tecnica cui abbiamo poco sopra accennato. Esse vanno tuttavia integrate, come gia detto, da alcune considerazioni di ordine filosofico. A tal fine ricorderemo anzitutto che sin dal quinto paragrafo del terzo capitolo abbiamo abhozzato non poche critiche contro la pretesa riscontrabile in pressoché tutta la tradizione filosofica di porre una netta separazione fra teoria e prassi. Ahbiamo fra l’altro ripetuto piu volte, in quello e in altri capitoli, che la prassi (soprattutto se intesa come prassi sociale) fornisce le piu attendibili convalide alle verita gradualmente conseguite dalle indagini teoriche. Gli esempi or ora citati di preziosi suggerimenti che le scienze hanno ininterrottamente ricavato dalla tecnica, val-
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Largo campo di filosofare a gl’intelletti specolativi parmi che porga la frequente pratica del famoso arsenale di voi, signori veneziani, ed in particolare in quella parte che mecanica si domanda: atteso che quivi ogni sorte di strumento e di rnachina vien continuamente posta in opera da numero grande d’artefici, tra i quali, e per l’osservazioni fatte dai loro antecessori, e per quelle che di propria avvertenza vanno continuamente per se stessi facendo, forza che ve ne siano de i peritissimi e di finissimo discorso. as
Del resto non e a credere che oggi i proccdimenti dei tecnici non forniscano piu alcun prezioso suggerimento agli scienziati. Basti citare un famoso esempio che dimostra tutto il contrario. Ci riferiamo al cosi detto “calcolo simbolico” introdotto alla -fine del secolo scorso da Oliver Heaviside per le sue ricerche di elettrotecnica; calcolo aspramente combattuto dai migliori matematici dell’Universita di Cambridge, in quanto basato su concetti inesatti 114
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gono poi a mostrarci concretamente che l’apporto della prassi alla teoria non ha luogo soltanto nella fase di convalida delle conoscenze elaborate in sede teorica, ma anche nella fase iniziale (creativa) di tali conoscenze. Dobbiamo d’altra parte ricordare quanto abhiamo gia detto pid volte, e cioe che la scienza non si riduce a un semplice raggruppamento di piu teorie; ipercomprendere appieno il senso di queste teorie, nonché il fondamentale fenomeno della crescita della scienza, si rende infatti necessario calare le teorie scientifiche in quella complessa realta cui ahbiamo dato il norne di “patrimonio scientifico-tecnico.” Orbene, e facile convincerci che un contributo essenziale al costituirsi di questo patrimonio e proprio fornito dalle tecniche (donde si giustifica il doppio titolo che abbiarno attribuito al patrimonio stesso). Basti pensare che le teorie, almeno quando hanno raggiunto un’autentica completezza formale, si presentano come degli edifici ciascuno dei quali possiede una propria struttura statica, ben determinata; alla loro staticita, si contrappone invece la mobilita del patrimonio scientifico-tecnico, ove un ruolo fondamentale e proprio compiuto dal parametro tempo. Ma quale altro fattore di questo patrimonio e meno rigido del fattore “tecnica”? Sappiamo infatti che i tecnici, proprio per non sentirsi obhligati a rispettare i canoni del rigore logico, sono stati i piii arditi e i pili spregiudicati nell’avanzare proposte (si pensi all’esempio poco sopra riferito di Heaviside) da mettersi alla prova dei fatti; in alcuni casi queste proposte si sono mostrate feconde aprendo nuove vie alla stessa scienza, in altri casi si sono rivelate sterili, e sono state rapidamente sostituite da altre. Chi puo negare che questo susseguirsi di tentativi pid o meno riusciti costituisca una delle principali fonti della dinamica del “patrimonio scientificotecnico”? Proprio perché il lavoro dei tecnici si avvale nell’avanzare proposte per risolvere problemi concreti ora delle esperienze gradualmente acquisite “da numero grande d’artefici” come scriveva Galileo, ora dei risultati di questa o quella teoria scientifica estendendoli, se del caso, al di la del Campo di validita di tale teoria, esso ci offre un esempio impareggiahile di lavoro che fuoriesce da qualunque schema precostituito. Senza dubbio non si tratta di un lavoro qualificabile come “razionale” nel senso ristretto di questo termine (cioe nel senso di una razionalita puramente logica), ma si tratta pur tuttavia di un lavoro che presuppone attente riflessioni sull’operare umano (sia su quello degli scienziati puri, sia su quello degli operai, dei
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contadini e degli artigiani). Perché dovremmo dunque escluderlo a priori dalla sfera della razionalita? In effetti la tecnica e la scienzaenon solo non sono fra loro opposte, ma anzisi integrano a vicenda. Né la prima e totalmente subordinata alla seconda, né la seconda alla prima. Il loro rapporto e un tipico esempio di rapporto dialettico, chesupera l’antitesi fra razionalita pura delle teorie assiomatizzate e ingegnosita dell’operare pratico, dando luogo a un senso nuovo e pid ampio della razionalita: E: un processo che realizza nella forma pili evidente quella razionalita dialettica di cui ahbiamo piu volte parlato nei capitoli precedenti. 8. La non-neumzlitd pratica della scienze
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Nel sesto paragrafo abhiamo sostenuto la non-neutralita filosofica delle scienze, cercando di dimostrare che ancora oggi, mal~ grado la loro specializzazione, esse possono incidere sulla concezione generale del mondo; anzi, debbono farlo, se non vogliamo che vengano emarginate dalla cultura con grave danno sia delle scienze stesse sia della medesima Cultura. Il nucleo della nostra dimostrazione si e basato sostanzialmente su due punti: 1) lesscienze ci forniscono una effettiva- conoscenza della realta, pur non facendoci conseguire delle verita assolute ma soltanto relative; 2) lfupomo ha sempre mirato a costruirsi una concezione generale (filosofica) del mondo, la quale e, essa pure, solo relativamente vera, e oggi va continuamente corretta e perfezionata in base ai risultati piu recenti delle conoscenze scientifiche. I/anzidetta incidenza delle scienze sulla concezione filosofica del mondo dipende, dunque, dalla loro capacita di correggere e integrare ininterrottamente tale concezione, accrescendone la “presa” sulla realta. Con cio non viene ovviamente negato che la concezione filosofica del mondo sia opera dell’uomo che la elaborai;iiima essa non risulfa solfanto opera dell’uomo (non risulta cioe un prodotto della sua mera fantasia) proprio in quanto essa e anche dovuta a ,un secondo fattore: la realta che le scienze ci fanno via via conoscere sia pure in modo relativo e non assoluto. Se la scienza ci portasse a una conoscenza assoluta della realta, noi potremmo sostenere che essa e in certo senso neutrale, perché in quanto assolute l-‘non dipendereble verita che ci procura hero in alcun modo dal soggetto che conosce, né dalle condizioni
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sociali in cuiegli opera, né dalle categorie logiche o dagli strumentl osservativi usati per conoscere. Se, viceversa, nelle scienze (e conseguentemente nella concezione generale del mondo che su di esse si regola e si misura) non fosse presente il secondo fattore di cui abbiamo testé parlato, le scienze e la filosofia risulterebbero delle costruzioni puramente soggettive: costruzioni senza dubhio non neutrali, perché dipendenti per intero dall’uomo che compie le ricerche scientifiche e dalle condizioni sociali in cui egli opera, ma in ultima istanza non neutrali solo in quanto arhitrarie. Solo la compresenza dei due anzidetti fattori l’uno soggett1VO, l’altro oggettivo ci fa comprendere che la scienza non e né' neutrale né arbitraria. E solo l’esistenza di un incontestabile rapporto dialettico fra tali due fattori ci fa comprendere che la scienza non e suddivisihile in due momenti separati (l’uno non arbitrario e l’altro non neutrale) ma e, nella sua stessa glohalita, non arbitraria e non neutrale, cioe possiede questi due caratteri come caratteri intrinseci e ineliminabili. Proprio tenendo conto di questo rapporto dialettico, non potremo illuderci di riuscire ad accrescere l’impegno della scienza (cioe la sua non-neutralita) contestandone l’obiettivita, come sembrano sostenere alcuni pur Valenti studiosi. Non potremo cioe illuderci di accrescere l’impegno degli scienziati piu seri, affermando a guisa di boutade che le ricerche scientifiche non avrebbero mai avuto, e non avrebbero oggi, alcun valore conoscitivo e di conseguenza non avrebbero mai dato alcun impulso allo sviluppo della civilta. Non sosteniamo certo che Vada condannato a priori il ricorso alla boutade, purché si tenga hen presente che essa e soltanto una battuta di spirito, cioe si tenga presente che essa puo avere un grande valore di stimolo, ma non altro. Essa puo avere il merito di farci scoprire certe contraddizioni, che la tradizione teneva celate (consapevolmente o no); ep noi sappiamo bene, avendolo sottolineato piu volte, la funzione estremamente positiva esercitata dalla contraddizione. Non avremmo difeso con tanto accanimento il metodo dialettico, se non fossimo fermamente convinti di tale funzione. Ma sappiamo pure che questa funzione deve esplicarsi in un approfondimento dei prohlemi, non in un mero cornpiacimento per il paradosso. Nel caso specifico della scienza, abbiamo dichiarato pifl e piu volte che il convenzionalismo ha avuto dei grandi meriti, abbattendo la vecchia concezione che attribuiva alla scienza la capacita di _
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farci cogliere delle verita assolute e imrnodificabili; ma l’approfondimento dei prohlemi aperti dal convenzionalismo non ci ha portati a una conclusione agnostica, cioe a negate che la scienza possegga un effettivo valore conoscitivo (quasi che non risulti in grado di farci cogliere sia pure in forma né assoluta né definitiva una realta indipendente dal soggetto). Cosi ora siamo hen disposti a riconoscere che la scoperta di cette contraddizioni fra lo sviluppo della scienza e quello della civilta possiede dei grandi meriti; ma sosteniamo nel contempo che queste contraddizioni non ci portano affatto a negare il contributo che la scienza ha recato e reca alla civilta: esse ci portano unicamente a interpretare in forma dialettica, non dogmatica, questo contrihuto. Interpretarlo in forma dialettica significa, per un lato, non attribuire al progresso scientifico un potere magico, non vedere nella scienza un’attivita metastorica, sganciata da tuttiti travagli e le lotte della societa, ma significa, per l’altro lato, non dimenticome gia sottolineammo parlando della non-neutralita ficare losofica della scienza che ogni progresso nella conoscenza della realta ha sernpre avuto un’effettiva funzione liheratrice. Da questo punto di vista anche il progresso della tecnica non puo venire denigrato e colpevolizzato di tutti i mali della societa, dimenticando il grande contributo che esso ha dato a farci sentire rneno succubi di forze “altre da noi,” naturali o
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sovrannaturali. Senza dubbio tale progresso (determinante per lo sviluppo del~ la societa industriale moderna) ha dato luogo a molti entusiasmi gravidi di equivoci. Citero in proposito un brano a mio giudizio assai significativo di H. Poincaré, uno dei massimi scienziati degli anni a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, il quale certamente non puo venire qualificato come “positivista” (credo che questa circostanza rneriti di venire sottolineata, perché spesso la fede nel progresso tecnico-scientifico viene considerata come prerogativa del positivismo! ): ...se io mi felicito dello sviluppo industriale non e soltanto perché esso fornisce un facile argomento agli avvocati della scienza, ma soprattutto perché da allo scienzito la fede in se stesso e anche perché offre un immenso campo di esperienza, nel quale egli si urta con forze troppo colossali perché abbia la possibilita di sollevarsene. Senza questa zavorra, chissa se non abbandonerebbe la terra, sedotto dal miraggio di qualche nuova scolastica, o se non si disperderebbe credendo di non avere fatto che un sogno (La valeur de la science).
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'L’interesse del hrano ora riferito risiede nel fatto che esso contiene senza dubbio alcune affermazioni, che riteniamo del tutto condivisibili; per esempio Faffermazione che losviluppo dell’industria (reso possibile da quello della scienza e della tecnica) ci rivela la presenza di forze pesantemente reali, che non ci permettono di abhandonarci a Voliimetafisici, credendo che l’oggettivita' della natuiawsia soltanto un sognoc. Accanto ad essetrapela pero una incapacita completa" di prevedere cio che sarebbe accaduto solo mezzo secolo 'pid tardi, e cioe che il travolgente sviluppo dell’industria non avrebbe soltanto generato una sempre maggiore fede dell’uomo in se stesso, ma pure alcune profonde e Vgravissime contraddizioni da cui avrebbero tratto alimento nuove, pid pericolose, fughe Verso concezioni irrazionalistiche. Oggi constatiamo infatti che la societa altamente industrializzataimpone al singolo individuo un tipo nuovo di asservimento, costringendolo a certe forme di attivita piuttosto che a certe altre, orientando in determinate direzioni i suoi bisogni, i suoi gustice perfino i suoi pensieri. Di qui una sempre pid aspra ribellione contro le societa industrializzate, “livellatrici,” in grado di spegnere ogni anelito di liberta; e una ribellione che spesso si esplica in una contestazione generale della scienza, della tecnica, e della stessa razionalita. Alla scienza e alla tecnica si muovei infatti il rimprovero di avere reso possibile questo processo di scandaloso asservimento dell’uomo della nostra epoca, o per lo meno di averlo enormemente incrementato. In effetti, e difficile negare che chi ha nelle sue mani le leve del potere, possiede oggi dei mezzi di propaganda e di repressione che una Volta erano .pressoché inimmaginabili. Un approfondito esame critico del problema ci permette tuttavia di ridimensionare la portata delle argomentazioni testé riferite; ed e proprio la dialettica marxistala suggerirci questo approfondimento, Essa ci 'insegna infatti a studiare nella sua Vglobalita il processo storico di forrnazione e di sviluppo della societa altamente industfializzata in cui viviamo; processo che non puo venire cornpreso, isolando uno dei suoi fattori (lo sviluppo scientifico-tecnico) senza tenere conto della lotta di classe nella quale esso trovasi inserito. Lo studio del processo anzidetto nellasua glohalita non solo varra' a dimostrare il carattere illusorio e dtopistico della battaglia che alcuni pretenderehbero di ingaggiare contro la scienza e la tecnica, ma varra per di pid a convincerci che l’incremento'di spirito critico causato dallo sviluppo della razionalita scientifica e
proprio in grado di fornirci strumenti sempre pid raffinati pei* l’analisi della societa in cui viviamo, e in particolare per l’anal1s1 delle radici profonde delle sue contraddizioni. L’errore compiuto dai moderni denigratori della razionalita scientifica risiede nella loro pretesa di isolare lo sviluppo di tale razionalita dal processo storico globale di cui essa fa parte. E la mancata comprensione dell’unita dialettica di questo processo a favorire una visione distorta della funzione compiuta dalla scienza e dalla tecnica; visione che trae in inganno anche parecchie persone in buona fede, e che largamente utilizzata dalla classe sfruttatrice, ben lieta di dirottare sulla scienza la coiitestazione -degli sfruttati, tentando cosi di nascondere le proprie responsabilita. _
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1. Limiti della presente indagine
I problemi coinvolti nell’argomento indicato dal titolo del presente capitolo sono moltissimi e di grande difficolta. E quindi opportuno precisare che ci occuperemo soltanto di alcuni di essi. Per essere espliciti, limiteremo la nostra indagine a quei problemi la cui analisi pub venire, a nostro parere, agevolata dalle riflessioni compiute nei capitoli precedenti, malgrado l’eterogeneita della tematica trattata in tali capitoli e in questo. Non affronteremo per esempio la discussione dei prohlemi connessi ai giudizi di valore, pur riconoscendo esplicitamente che non si pub prescindere da tali giudizi quanclo si studiano le strutture sociali, le loro crisi, le trasformazioni cui queste crisi danno luogo. Non cercheremo pertanto di rispondere ai seguenti ben noti quesiti: i giudizi di valore sono del tutto autonomi rispetto a quelli teoretici? se non lo sono, quale as il legame fra gli uni e gli altri? Trattasi di un legame di dipendenza (in un senso o in quello inverso), oppure di un legame di tipo del tutto diverso? E neppure affronteremo i prohlemi connessi al trapasso dalla valutazione all’azione; per esempio i seguenti: che Cosa pub spingerci dalla valutazione negativa di una societa alla decisione di trasformarla? quale criterio dovra guidarci nella scelta dei mezzi per attuare questa trasformazione? Una volta stabilito di non prendere in esame i problemi testé elencati, il nostro compito si restringe notevolmente, e diventa allora facile constatare che alcuni risultati conseguiti nei capitoli precedenti possono venire effettivamente trasferiti con una certa utilita al campo (circoscritto) dei temi qui presi in considerazione. Apparira chiara per esempio, fin dal prossimo paragrafo, l’analogia 122
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esistente tra le funzioni attribuibili alla logica nei sistemi giuridici e nelle teorie scientifiche, onde si potra ricavare il suggerimento di costruire anche in riferimento ai pritni una nozione simile a quella di “patrimonio scientifico-tecnico ” da noi largamente utilizzata nello studio delle scienze; restando inteso che entramhe qu€St€ nozioni si rivelano, per il modo stesso in cui vennero definite, essenzialmente trattabili con il metodo dialettico. Né meno feconda risultera l’applicazione, allo studio della dinamica sociale, del concetto di contraddizione, di cui si e ripetutamente illustrata l’importanza nell’esame della dinamica delle teorie scientifiche Altrettanto pub ripetersi, a proposito del trasferimento che cercheremo di fare, all’analisi della categoria di “classe,” delle considerazioni svolte a difesa della oggettivita (ma non assolutezza) delle principali categorie della fisica, della chimica, ecc. Tenendo conto della sistematica utilizzazione qui compiuta di numerosi risultati ottenuti nei capitoli precedenti, qualcuno potrebbe essere tentato di pensare che tutta intera la nostra indagine sia stata compiuta in vista di cib che ci proponiamo di dire nel presente capitolo. Rispondiamo che questa interpretazione va al di la delle nostre intenzioni. Il fine che ci siamo proposti di raggiungere e assai piu modesto, anche se non privo di un certo interesse: e quello di dimostrare che la frattura tra i processi che formano l’oggetto caratteristico delle discipline matematiconaturali e i processi che formano l’oggetto caratteristico delle discipline giuridico-sociali e forse meno profonda di quanto si sia soliti immaginare, donde si deduce che il conseguimento di una approfondita consapevolezza critica a proposito del primo gruppo di discipline pub rivelarsi notevolmente utile anche per lo studio del secondo gruppo. 2. Sistemi giaridici e patrimonio delle istituzioni civili Come b hen noto, gli studiosi di diritto hanno cercato, da lungo tempo, di elaborate in forma sistematica il complesso delle leggi che reggono le varie societa; e in questa loro opera si sono avvalsi di tutti i mezzi che potevano contrihuire a rendere vieppiu rigorosa la sistemazione delle leggi anzidette. Per conseguire uno scopo siffatto, essi hanno ovviamente tenuto presente il modello delle discipline matematiche. E poiché nel nostro secolo i1 massimo rigore e stato raggiunto, in campo 123
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matematico, con Yassiomatizzazione delle teorie, cosi anche gli studiosi di diritto hanno fatto largo uso, nella loro opera di sistemazione, del metodo assiomatico, applicando all’uopo le pid sofisticate tecniche della logica formale. aI risultati in tal modo ottenuti sono stati davvero notevolissimi, e hanno contrihuito, fra l’al-» U0, alla creazione o al potenziamento di nuovi rami della logica (per esempio la cosi detta logica deontica) rivelatisi indispensabili per la formalizzazione dei cornplessi di leggi che costituiscono un ordine giuridico ~(complessi che chiameremo “sistemi giuridici”). L’analogia esistente fra questi sistemi e le teorie costruite dalle scienze matematico-naturali, malgrado qualche differenza delle tecniche logiche adoperate nei due diversi casi, epoggi riconosciuta da tutti e costituisce senza dubhio urfimportante acquisizione delle moderne indagini metodologiche. Se la struttura di una qualsiasi societa (per lon meno allorché questa abbia raggiunto un certo livello civile) as certamente connessa. al sistema delle leggi in essa vigenti onde Yassiomatizzazione di questo sistema dovra risultare di grande utilita per la comprensione di tale struttura e ovvio tuttavia che tale assiomatizzazione non risultera altrettantoutile per la comprensione della dinamica delle societa, cioe del processo di trasformazionec dar un tipo di societa ad un altro. lnfatti, la presentazione assiomatica di un sistema giuridico tende, proprio per il suo carattere estremamente rigoroso, a farcelo considerate come un tutto a sé, chiuso nella propria logica, analogamente a cio che accade per le teorie scientifiche assiomatizzate. Nel primo capitolo abbiamo spiegato, pero, che la scienza non si riduce a una collezione di teorie, ciascuna chiusa in se stessa; abbiamo detto cioe che, per comprendere tutto il significato di queste teorie, non hasta esaminarle l’una isolatamente dall’altra, ma occorre calarle in cio che abbiamo chiamato il “patrimonio scientifico-tecnico" lin continua evoluzione, il quale include in sé, accanto alle singole teorie considerate nella loro compiutezza, un vasto campo di indagini non assiomatizzabili (indagini che vanno: dalle prime esplorazioni di un gruppo di fenomeniai tentativi di inquadrarli in questa o quella teoria, dai pid sottili dibattiti metodologici all’analisi delle implicanze filosofiche degli assiomi assunti a base delle nostre deduzioni, ecc.). Orbene qualcosa di simile si puo ripetere, a nostro parere, anche per i sistemi giuridici; e cioe, se vogliamo comprenderne 'tutto il significato, non possiamo limitarci a esaminarli l’uno isolatamente dall’altro,lma dob~
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loiamo calarli in un tessuto pifi ampio che include in sé, oltre ai sistemi giuridici stessi, un complesso di istituzioni, di leggi non scritte, di costumanze, ecc. per cui e essenziale la considerazione del parametro tempo (come viene inteso dalle discipline storiche). Possiamo chiamarlo “patrimonio delle istituzioni civili” al fine di sottolinearne l’analogia con il “patrimonio scientifico-tecnico.” E come, per comprendere la dinamica della scienza, dobbiamo proprio fare riferimento a questo patrimonio, cosi per comprendere la dinamica dei sistemi giuridici semhra ovvio che dovremo fare riferimento, non solo ai singoli sistemi considerati nella loro compiutezza, ma a quel tessuto articolatissimo e variahile, cui abhiamo dato il nome di “patrimonio delle istituzioni civili.” Cio non implica, sia hen inteso, alcuna sottovaluvtazione dell’opera di assiomatizzazione dei sistemi giuridici. Questa opera nella quale si sono distinti gli studiosi di diritto, di formazione neo-positivistica ha avuto il merito di evidenziare la struttura di tali sistemi, i loro principi generali e le conseguenze di questi principi, gettando su di essi una luce altrimenti irraggiungibile. Essa non hasta pero a farci comprendere la dinamica che ha condotto, in certe epoche storiche, all’ahbandono di un sistema di leggi costituente un ordine giuridico per sostituirlo con un altro. In altre parole: pure in questo carnpo, come gia in quello delle scienze matematico-naturali, il metodo assiomatico (loasato su un rigoroso uso della logica formale) esercita una funzione preziosissima, ma solo entro certi ben determinati limiti. Per comprendere la dinamica dei sistemi giuridici occorre fare rilerimento anche al patrimonio delle istituzioni civili: patrimonio che ovviamente non potra venire studiato con la sola logica formale ma richiedecosi almeno ci suggerisce la sua analogia con il patrimonio ra che si faccia ricorso al rnetodo dialettico. scientifico-tecnico Considerareil patrimonio delle istituzioni civili alla luce del metodo dialettico, significa sforzarsi di cogliere la complessa solidarieta dei suoi eleirientipur nell’ininterrotto fluire del patrimonio stesso, individuando tutte le contraddizioni che emergono in esso, la specificita di queste contraddizioni da un’epoca all’altra, la dinamica cui esse danno luogo, le nuove contraddizioni che sorgono via via che si risolvono quelle al momento pifi urgenri. Significa prendere atto che nessuna istituzione puo venire considerata come un’entita,metastorica, isolabile dalle altre, cosicché essawva comunque giudicata in riferimento ad, una situazione ben determinata enon in astratto. Cosi accade per esempio della famiglia,
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della religione, della proprieta, che hanno assunto di epoca in epoca forme diverse, onde non si pub pretendere che il sistema di leggi da cui vengono regolate oggi sia identico a quelli da cui vennero regolate in passato o da cui lo saranno in futuro. Esporre via via con il massimo rigore questi sistemi di leggi serve, come gia si e detto, a enucleare i principi che stanno alla loro base c tutte le conseguenze che se ne possono derivare. Talvolta si attribuisce a tali esposizioni rigorose il tacito fine di fissare nel tempo le leggi in questione, presentandole come immodificabili. Cib tuttavia non e esatto, perché la conoscenza di tutte le conseguenze connesse a una certa struttura pub essere proprio utilizzata per dimostrare l’inadeguatezza di tale struttura alla vita civile di oggi; come il conoscere esattamente tutte le conseguenze prossime e lontane di certi principi fisici pub servire a persuaderci che tali principi sono ormai insostenibili. Operare “irazionalmente” non significa affatto operare al fine di mantenere in vigore le strutture giuridiche di oggi; significa soltanto averne una conoscenza la piu esatta e completa possibile: conoscenza che si ottiene sia precisando la forma assiomatica di tali strutture, sia studiando il travaglio di lotte che condussero a imporle in sostituzione delle strutture dominanti nelle epoche precedenti. Che si tratti di una indagine “razionale” sembra chiaramente incontestabile, ma E: ovvio che si tratta di una “razionalita” pid ampia di quella, puramente logico-formale, che presiede al metodo assiomatico. Fare appello al metodo dialettico, significa per l’appunto fare appello a questa razionalita piu ampia,‘ piu articolata, non circoscrivibile in schemi prefissati; significa sforzarsi di cogliere il patrimonio delle istituzioni civili nel suo sviluppo storico, ponendo a fuoco le contraddizioni ancora oggi in esso presenti, da cui bisogna partire per sostituire un nuovo sistema giuridico a quello vigente. Abbiamo spiegato nel quinto capitolo che solo una visione dialettica della natura ci permette di comprenderecome sia possibile conciliare un intervento attivo su di essa con la franca ammissione che il decorso dei fenomeni naturali E: regolato da leggi; cosi ora ripetiamo che solo una concezione dialettica della storia ci permette di comprendere come sia possibile intervenire attivamente su di essa, pur riconoscendo che si sviluppa in base a fattori oggettivi. Riservandoci di riprendere piii ampiamente l’argomento nel quarto paragrafo, vogliamo qui riloadire che solo una visione meccanicistica della storia ci fa scorgere in tale antinomia qualcosa
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di insuperabile. Essa viene invece risolta se ci rendiamo conto che si tratta di fattori estremamente complessi i quali determinano dialetticamente e non meccanicamente il decorso degli eventi. Ma si tratta di fattori che vanno individuati scrupolosamente (anche facendo ricorso all’assiomatizzazione dei sistemi giuridici), perché e proprio dalla loro esatta conoscenza che _occorre partire per poter intervenire con efficacia sullo sviluppo dei fenomeni sociali. Come abbiamo ga detto pm v01t@, ¢<m<>S¢@f¢ Operare 9011 S0110 due settori separati dell’attivita umana; as solo un atteggiamento metafisico che ce li fa ritenere contrapposti l’uno all’altro'. La dialettica, al contrario, ce ne fa cogliere la profonda unita: unita che emerge con lampante chiarezza da una riflessione non prevenuta sulla complessa dinamica delle istituzioni C1V1l1. <=‘
interpretate come mozfore della slam:
3. Sulle contmddizioni,
Abbiamo sottolineato l’importanza di individuare, nello studio dei fenomeni sociali, le contraddizioni emergenti nel patri-' monio delle istituzioni civili” allo scopo di comprendere raaionalmente (nel senso ampliato del termine razionalita) per quali complessi motivi in una certa epoca si e elahorato un nuovo sistema giuridico da sostituire a quello che era stato fino allora accolto. Ora perb ci sembra opportuno prendere in esame la funzione della contraddizione da un altro punto di yista; e cioe non _piu soltanto in riferimento al processo conoscitivo mediante cui ci sforziamo di comprenderesempre piua iondo il sigmficato dello sviluppo dialettico delle istituzioni civili, ma proprio in riferimento a questo sviluppo stesso, considerato nella sua oggettivita. In altre parole: ci sembra opportuno studiare quali funzioni ahbiano le contraddizioni emergenti nello sviluppo _ang1_detto, indipendentemente dal fatto che noi siamo o no capaci di individuarle e di partire da esse per approfondire il significato della dialettica delle trasformazioni sociali. In questo studio ci sara ovviamente di guida lesame attento di cib che as effettivamente accaduto nella storia: esame rivolto, come gia si e osservato nel quarto capitolo a proposito della storia della scienza, non solo a registrare scrupolosamente fatti onde inserirli nei quadri teorici che lo storico tentera di elahorare per farne una “ricostruzione razionale,” ma ad enucleare il loro autentico filo conduttore, cioe la connessione oggettiva tra un singolo .
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evento e l’insieme di tutti gli eventi costituenti il- fluire del processo storico. Orhene un esame siffatto ci mostra agevolmente che le cose sogliono procedere cosi: le istituzioni vigenti in una certa societa e in una certa epoca, per quanto codificate in sistemi di leggi rigorosamente assiomatizzabili, non riescono ad impedire che si producano mutamenti via via piu profondi nelle relazioni fra i membri di tale societa (nei loro rapporti economici, nei loro costumi pubblici e_privati, nel loro stesso modo di concepire la vita, ecc.). Cominciano allora ad affiorare le prime contraddizioni fra l’ordine giuridico in vigore e la realta sociale in rapida trasformazione. Si presentano inctal caso due possihilita: o i custodi di questo ordine cercano di imporlo a qualunque costo, oppure accettano di apportarvi lievi modifiche onde adattarlo alle nuove condizioni. l\/la sia le misure repressive sia gli adattamenti in parola (spesso le une e gli altri si intersecano fra loro) riescono ben difficilmente a impedire che l’anzidetta contraddizione si ingrandisca e si rafforzi col progredire del tempo. In parecchi casi questa crescita si estrinseca in un moltiplicarsidi piccole contraddizioni, apparentemente disarticolate fra loro. Esse aggravano la situazione, ma non danno luogo ad alcun mutamento radicale dell’ordine costituito, cfinché non affiori il, filo conduttore che le collega le une alle altre: filo capace di far emergere l’autentico fulcro del conflitto fra il Vecchio e il nuovo. E proprio a questo punto che acquista un peso 'decisivo l’indagine conoscitiva diretta a farci scoprire il fulcro anzidetto; scoperta che permettera di convogliare su di esso tutte le forze impegnate nella trasformazione della societa. Ma si tratta di un processo storico tutt’altro che semplice e spontaneo; esso per lo piu preceduto da un gran numero di movimenti che incentrano la propria azione ora sull’una ora sull’altra delle contraddizioni particolari poco sopra accennate. Di qui il carattere disorganico dei movimenti in questione, che giunge talvolta a celare il tessuto comune che li sottende. Di qui l’accusa di irrazionalita, spesso ripetuta contro di essi da chi non _sa (o non vuole) inquadrarli in un processo storico piu ampio incontestahilmente dotato di una sua autentica razionalita, .sia pure dialettica e non meccanica. La forza propulsiva delle contraddizioni via via emergenti nelle societa, il contrilouto decisivo da esse recato alla dinamica storica icostituiscono un fatto hen difficilmente negabile, oggi, da un qualunque studioso di questo genere di fenomeni. Ma e stato ,
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soprattutto Mao Tse-tung a richiamare la nostra attenzione sull’esistenza, fra le molte contraddizioni presenti nelle varie situazioni storiche, di quella che merita di Volta in Volta il titolo di fcontraddizione principale,” nonché sulla necessita di sceverarla con chiarezza dalle altre perché proprio dalla risoluzione di tale contraddizione che dipende il successo di tutti i movimenti diretti a mutare radicalmente un certo tipo di societa. E:
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ln ogni caso egli scrive nel famoso saggio Sulla contnzdalizione -- e assolutamente certo che in ciascuna delle diverse fasi di sviluppo del processo [storico] esiste solo una contraddizione principale che svolge la funzione determinante.
La perentorieta di questa affermazione pub forse apparirci sconcertante, ma essa ci sorprendera assai meno se riflettiamo sul fatto che il discorso di Mao non vuol avere un carattere puramente teoretico, bensi Vuole costituire una ben precisa guida per la pratica rivoluzionaria.
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E quindi necessario egli prosegue nello studio di ogni processo [...] fare ogni sforzo per trovare la contraddizione principale. Una Volta trovata questa contraddizione principale, e facile risolvere tutti i problemi. E questo il metodo che ci' insegna Marx nel suo studio della societa capitalistica. Questo stesso metodo ci e indicato da Lenin e Stalin, nel loro studio dell’imperialismo e della crisi generale del capitalismo e nel loro studio dell’economia sovietica. Ma migliaia di studiosi e di uomini d’azione non comprendono questo metodo; e percio essi si muovono letteralmente nelle tenebre, non riescono ad afferrare il nocciolo della questione e non possono quindi trovare il metodo per risolvere le contraddizioni.
Il carattere perentorio di cui abbiamo fatto parola non e del resto privo di una certa quale giustificazione teoretica, perché Mao cerca di convalidare la propria tesi in base a un numero cospicuo di esempi difficilmente contestabili, ricavati dalla recente storia cinese, esaminati con la passione di combattente ma anche con la serieta di competente studioso. Da essi risulta sia il carattere oggettivo delle contraddizioni via via esaminate, sia l’impossiloilita di dare un significato aprioristico alla distinzione tra contraddizione principale e contraddizioni secondarie. Gli aspetti di una contraddizione, quello principale e quello secondario, trasformano l’uno nell’altro e il carattere della cosa cambia in conseguenza. Se in un determinato processo o in una determinata fase di sviluppo della contraddizione 1"aspetto principale e A e quello secondario B, in un’altra si
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Scienza e realismo
fase o in un altro processo di sviluppo la posizione rispettiva di questi processi si capovolge...
Riconoscere che le contraddizioni da noi riscontrahili nello sviluppo delle societa non sono tutte eguali fra loro e che nessunae “di per sé” principale o “di per sé” secondaria, significa riconoscere il carattere dialettico, non solo delle nostre conoscenze storiche, ma della storia stessa nella sua oggettivita. 4.
Individuo
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rivoluzione
Ahbiamo osservato, nel paragrafo precedente, che le trasformazioni sociali sono connesse al profilarsi sempre pid metro di un divario tra gli istituti giuridici che reggono una societa e i rapporti reali esistenti, in concreto, fra gli individui che la compongono. Come si E: cercato di spiegare, questo divario da luogo a un moltiplicarsi di contraddizioni particolari, fra le quali ne emerge una “principale” (diversa da un processo storico a un altro, nonché da una fase all’altra del medesimo processo) che svolge una funzione determinante. L’esplodere di tutte le anzidette contraddizioni segna l’avvio di un processo rivoluzionario; ma la vera e propria rivoluzione consiste nell’affrontare e risolvere la contraddizione principale. Orbene, quale potra essere la funzione dell’individuo in questo processo, se esso scaturisce da contraddizioni fornite di una autentica oggettivitaP Gia abbiamo fatto cenno, nel secondo paragrafo, a questo prohlema sia pure prospettandolo in termini leggermente diversi. E abbiamo ricordato che un problema analogo si era presentato nel quinto capitolo a proposito dei rapporti uomo-natura, trattandosi di conciliare la possibilita di un intervento attivo dell’uomo sulla natura con l’ammissione che questa E: regolata da leggi fornite di una certa oggettivita. Malgrado l’analogia fra le due situazioni problematiche (intervento dell’uomo sulla natura, e intervento dell’uomo in un processo rivoluzionario), non e difficile pero rilevare alcune profonde differenze fra esse. Per intervenire attivamente sui processi naturali modificandoli a proprio vantaggio, l’uomo potra fare ricorso talvolta ad una teoria scientifica, talaltra Volta ad una teoria scientifica diversa:
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I compiti della dialettica
1;/ella
comprensione
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trasformazione delle societd
teorie che ovviamente danno luogo a due differenti rappresentazioni dell’ordine naturale. Ma il trapasso da una teoria all’altra non implica affatto il mutamento globale di tale ordine, bensi soltanto -come ora si e detto -_ delle nostre rappresentazioni di esso, e, attraverso l’utilizzazione della nuova teoria, il mutamento di alcuni processi particolari che la vecchia teoria non riusciva a dominate. Nel caso invece dell’intervento dell’uorno in un processo rivoluzionario, si trarta di qualcosa di molto piu radicale. L’abbandono di una teoria della societa a favore di un’altra non implica, infatti, che si cerchi soltanto di modificare la nostra rappresentazione dei fenomeni sociali e, per conseguenza, di correggere il decorso di qualcuno di tali fenomeni; il fine che ci si propone e ben piu ambizioso: e quello di capovolgere lo stesso ordine socile, mutando radicalmente la struttura stessa della societa. »La tentazione sogettivistica e qui particolarmente forte: trattasi della tentazione di sostenere che la struttura delle societa e puramente opera umana, onde spetterehhe unicamente all’uomo sostituire una struttura all’altra sia pure sotto lo stimolo delle contraddizioni che egli Verrebbe scoprendo nelle passate costruzioni. Ecco allora delinearsi la tesi, secondo cui il fattore principale di tutte le trasformazioni sociali sarebbe l’individuo, sostenuto da una profonda fede in nuovi valori morali e civili, nonché fornito di una ferrea volonta (sarebbe, in altri termini, l’eroe). Senza dubbio non vogliamo qui negare l’importanza dell’azione individuale, del coraggio in essa espresso, dei sentimenti che la sorreggono; ma affermiamo che il motore dei grandi eventi storici, come appunto le trasformazioni rivoluzionarie delle societa, va cercato in qualcosa di piu generale, di pid oggettivo, come appunto le contraddizioni cui abbiamo fatto cenno nel paragrafo precedente. Queste contraddiiioni non entrano in gioco solo come stimolo delle azioni dei singoli individui, ma come fattore autentico della dinamica storica: esse danno luogo a movimenti che si protraggono nel tempo e coinvolgono la partecipazione di pid individui, sopravvivendo alla loro scomparsa. La concezione romantica dell’eroe, che sarebbe in grado di imprimere, da solo, una svolta decisiva allo lsviluppo dei fenomeni sociali, E: ormai tramontata da tempo e non vale la pena fermarci a confutarla; comunque ritorneremo nel prossimo paragrafo sul problema della mediazione fra azione individuale e rnovimenti di massa. Per ora ci limitiamo a sottolineare ancora una Volta la funzione delle contraddizioni nelle grandi trasformazioni della societa. 131
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Dopo quanto ahbiarno cercato di chiarire nel secondo capitolo circa il ruolo incontestabilmente primario che il metodo dialettico riconosce alle contraddizioni, sara intanto facile concludere che esso costituisce il metodo piu adeguato allo studio delle grandi trasformazioni rivoluzionarie: trasformazioni connesse, appunto, all’esplosione di una serie di autentiche contraddizioni oggettive all’interno delle societa coinvolte da tali trasformazioni. Di qui la necessita, se vogliamo veramente comprendere a fondo un processo rivoluzionario, di sottoporlo ad una serrata analisi impostata con metodo dialettico, e proprio per cio non rinchiudibile in schemi rigidi, aventi la pretesa di poter venire uniformemente applicati ad ogni situazione storica. Si tratta senza dubbio di una analisi razionale, ma di una razionalita dialettica, che sappiamo irriducihile alla mera logica formale. Un’analisi siffatta ci condurra, fra l’altro, a distinguere nettamente il processo rivoluzionario dall’esplosione di una rivolta. Questa E: un evento storico generalmente di breve durata, che e per lo piu suscitato dall’affiorare nella societa di qualche contraddizione “secondaria” (nel senso poco sopra spiegato di questo termine) particolarmente atta a commuovere gli animi ed a generare immediati sentimenti di sdegno. Quello invece e un processo lungo e articolatissimo, che si incentra su quella che abhiamo chiamato la “contraddizione principale” e coinvolge non solo una o pin rivolte ma difficilissime lotte per la trasformazione di fondo della struttura stessa della societa. E un processo che puo protrarsi anche fin dopo che la rivoluzione abbia “vinto” (nel senso che un nuovo ordine giuridico sia stato instaurato in luogo del Vecchio). Né E: a credere che la comprensione della dialettica storica, esplicantesi in un processo a lungo termine del tipo testé accennato, finisca per frenare l’impegno rivoluzionario del singolo individuo. Chiunque ahhia partecipato a un processo del genere, anche se esso non ha poi conseguito tutti gli scopi che si era proposto, sa molto bene che sentirsi inserito in un movimento il quale trascende di molto la propria persona non indeholisce ma rafforza lo spirito comhattivo. Contrapporre la dedizione e l’entusiasmo alla ragione e un errore che si radica in una interpretazione meccanicistica dei sentimenti e della razionalita. E un errore che puo e deve venire corretto mediante una comprensione dialettica' dell’individuo e della storia.
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trasformazione delle societd
5. .S`ull’im‘erpretazi0ne del concelto di classe
Gia si e precisato piu volte, parlandop dei rapporti fra teoria e prassi in riferimento alle scienze della natura, che la seconda
non va intesa soltanto come prassi del mero individuo(per esempio dello sperimentatore che mette alla prova una teoria scientifica), ma anche come prassi sociale, ossia prassi di una intera collettivita che verifica, utilizza e perfeziona quotidianamente le leggi scientifiche mediante le loro applicazioni. Quanto ora detto illustra, in un caso specifico, il carattere sociale dei processi attraverso cui si esplica l’attivita conoscitiva e pratica dell’uomo, se essa ha da risultare veramente efficace. Passando ora agli argomenti che formano l’oggetto specifico del presente capitolo, dovremo subito ricordare che, in questo caso, e ancora meno possibile comprendere a fondo la dialettica teoria-prassi, quale si rivela nei fenomeni storici, se non si fa esplicito e costante riferimento a fattori di carattere essenzialmente sovra-individuale. E indiscutibilmente uno dei maggiori meriti di Marx avere dimostrato, mediante le sue rigorose analisi socio-economiche, che gli autentici protagonisti della storia non sono gli individui ma le classi; queste infatti, ed esse sole, posseggono la forza per intervenire in modo determinante nella risoluzione delle grandi contraddizioni delle societa. Trattandosi di risultati notissimi, intorno a quali sono state compiute da tempo ricerche specialistiche di indubbio valore, sarebhe manifestamente superfluo tentare di aggiungere in questa sede ulteriori prove a conferma della validita scientifica dell’anzidetta tesi di Marx. E del resto risaputo che essa viene oggi largamente utilizzata, in forma esplicita o implicita, da pressoché tutti i moderni studiosi di storia, anche da quelli che sono ben lungi dal condividere le posizioni politiche di Marx e dei suoi continuatori. Ci sembra invece di una certa utilita tentare di rispondere ad una obiezione, di carattere essenzialmente metodologico, sollevata da varie parti contro il modo con cui suole venire interpretata la nozione di “classe.” E una risposta che ci sentiamo, in certo senso, nel dovere di dare proprio in questa sede perché, come si Vedra, essa utilizza largamente i risultati ottenuti nei capitoli precedenti a proposito della portata conoscitiva dei concetti scientifici (nello stretto senso di questo termine). Ifohiezione in parola puo venire cosi schematizzata: la classe
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Sciefzza e realismo
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soltanto un “nome” non una realta, e percio non ha senso voler-
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la considerare quale autentica protagonista di eventi come appunto i fenomeni storici che posseggono invece una loro ef-
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fettiva realta. I/obiezione, ovviamente inquadrabile entro una concezione convenzionalistica delle categorie scientifiche, suole venire cosi sviluppata e integrata: la categoria di “classe” fu senza dubbio adeguata, come ha dimostrato Marx, ad una certa fase dello sviluppo della scienza (nel caso presente, della scienza economico-sociale) ma non e pid adeguata alla fase odierna, assai pid critica e consapevole dei propri limiti, quindi essa va oggi coraggiosamente abbandonata. Per rispondere a questa obiezione, cominceremo ad osservare ricollegandoci, come gia detto, a quanto ampiamente discusso nei capitoli precedenti che l’esistenza, entro la categoria di classe, di un elemento convenzionale (come entro tutte le altre Categorie scientifiche) non implica affatto che essa non possegga una base oggettiva; tale esistenza implica soltanto che la classe non va considerata come una categoria assoluta e metastorica. Come gia accennammo, Marx venne condotto a elaborarla scientificamente dai suoi studi (cui tutti hanno riconosciuto un grande rigore) sui processi di produzione; studi che gli fecero scorgere proprio nei conflitti di classe la radice profonda dei grandi rivolgimenti del passato. Voler negare, in nome della consapevolezza critica generata dal convenzionalismo, questa base oggettiva significherebbe non rendersi conto che in questo come in tutti gli altri casi, cioe come nel caso delle discipline fisiche, biologiche, ecc. la ricerca scientifica si rivela in grado di conseguire delle verita oggettive, anche se non assolute. In parole diverse: la critica convenzionalistica pili sofisticata pub senza duhbio renderci consapevoli del carattere non assoluto della tesi di Marx, come di qualsiasi altra scoperta scientifica, ma non puo autorizzarci a concluderne che essendo priva di un carattere assoluto essa risulterebbe priva di ogni base oggettiva. Nel caso specifico, intervengono poi altri argomenti oltre quelli validi per tutte le categorie scientifiche a ricordarci che la categoria di classe quale fu elahorata da Marx, pur avendo piena dignita scientifica, non va in alcun modo assolutizzata. Essi si basano sulla constatazione, molto banale, che i mezzi di produzione hanno subito, e continuano a subire, notevoli mutamenti soprattutto dovuti allo sviluppo delle tecnologie, alla scoperta di nuove fonti di energia, all’introduzione di nuovi mezzi di trasporto, ecc.
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E ovvio che, in seguito a cio, anche la categoria di classe dovra subire notevoli rielaborazioni; ma si potrebbe facilmente dimostrare che 'queste rielaborazioni rientrano, come ‘caso particolare, in quel processo di approfondimento di cni abbiamo a lungo parlato nei capitoli precedenti. E un processo il quale non esclude_ affatto che la categoria da approfondire possegga una base oggettiva; ci dice solo che essa va continuamente arricchita di nuovi elementi, che va inquadrata in sempre pin cornplesse relaziom, per _poter venire utilizzata con profitto nello studio dei nuovi contesti concreti che costituiscono l’oggetto delle nostre indagini; Sono ben note le parole scritte in proposito da Mao: “se 1, rivoluzionarl non modificano rapidamente la propria conoscenza per uniformarla alla nuova situazione, non potranno condurre la riyoluzione senaalla Vittoria.” E ancora pin esplicite sono le dichiarazioni del filosofo cinese Zhang Enci: pre sull’argomento in esame
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Marx ed Engels sono stati i pifx grandi pensatori della storia dell’umanita; in non hanno affatto esaurito la conoscenza della societa _umana e non sono giunti al “termine” della yerita. Anche il pensiero d1‘M2IX e di Engels ha subito i limiti delle condizioni stor1che._ Tntti 1 risultati della loro attivita riflettono le condizioni_dell’epoca _in cni vivevano e non oltrepassano il campo d’azione che tal1 condizioni offrivano.
6. Sui
rapporti fm imliuidui
e clasri
Una Volta assodato che la classe non puo venire interpretata come un’entita metafisica la quale esisterebbe al 'di 'la degli individui che la compongono e al di la delle situazioni storiche, se ne ricava Yimpossibilita di far rientrare i rapporti tra individui e classi in uno schema meccanico da applicarsi allo stesso modo ,_ in tutti i tempi e in tutte le circostanze. Riteniamo pertanto opportuno, al fine di dare un idea un po fedele della complessita di tali rapporti, modificare a questo panto l’impostazione della nostra indagine, passando da considerazioni di carattere generale come quelle finora_ svolre, ad alrre pdl carattere alquanto diverso, legate a situazioni storiche. contingenti delle quali abbiamo (o crediamo di avere) esperienza dlrettaEsse avranno, come e ovvio, un valore soltanto ipottico, ma p0tranno cio malgrado risultare, entro questi limiti, di una qualche efficacia. rapporti fra individui e c assi A partire dal secolo scorso, ,
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sogliono venire realizzati attraverso i partiti, che si autodefiniscono come espressioni dirette delle classi, interpreti autentici dei loro interessi, sole forze capaci di dar loro una seria organizzazione. Mentre la classe, pur essendo una categoria scientifica provvista di effettiva base oggettiva, non si presenta come qualcosa di immediatamente pcrcepihile nell’esperienza, il partito invece si presenta come un’entita storica hen determinata che l’individuo trova innanzi a sé e con la quale deve fare concretamente i conti. Oggi i partiti assumono su di sé, in forma sempre piu chiara, il compito di dirigere la lotta di classe tenendo conto di Volta in Volta delle nuove circostanze in cui la lotta di classe si svolge. 'A riprova della variahilita di queste circostanze, basterehbe sottolineare a titolo di esempio la diversita fra le forme recentemente assunte dalla produzione capitalistica e quelle che essa possedeva in un passato pur ahhastanza prossimo. Ci riferiamo in particolare alla organizzazione di tale produzione in imprese multinazionali, che non sono piti neanche tenute a rispettare gli interessi dei singoli stati come accadeva agli inizi del nostro secolo. Come e noto, tale nuova organizzazione tende a mutare la strategia ste-ssa, usata dalla classe capitalistica nella sua lotta contro la classe antagonista. Qui ci limiteremo ad aggiungere che le multinazionali stanno assumendo le funzioni una Volta svolte dai sovrani assoluti, con la conseguenza di svuotare in misura via via maggiore il contenuto reale della forma, “democratica” di alcuni regimi (forma democratica che puo venire tanto piu agevolmente mantenuta in vita, quanto piu viene ridotto il suo effettivo potere). E chiaro che gli sviluppi testé accennati del capitalismo non possono fare a meno di avere profonde ripercussioni anche sulla struttura dei partiti, in particolare di quelli che si propongono di difendere la controparte della moderna classe capitalistica. Questi si trovano, pertanto, costretti ad assumere un’organizzazione interna sempre piu centralizzata nell’esplicito intento di conseguire una funzionalita via via maggiore nelle loro lotte. Sarehbe ridicolo accusarli di mancanza di un’autentica vita democratica, quando l’intera societa attuale si orienta Verso strutture la cui democraticita si riduce gradualmente a un puro nome, privo di contenuto reale.
E ovvio che questo carattere centralizzato dei partiti rappresenta, pero, un effettivo ostacolo al loro contatto reale con gli individui. Finiscono in tal modo per incontrare sempre nuove difficolta ad espletare quella funzione di mediazione fra individui e 136
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trasformazione delle societri
classe che sembrava rientrare nei loro compiti precipui. Pare cosi profilarsi una nuova contraddizione che potrehbe assumere in futuro un ruolo assai importante: essa riguarda la possibilita che sorgano movimenti di massa, al di fuori dell’ambito dei partiti. Ritorneremo su di essa alla fine del paragrafo. Non e ovviamente il caso di discutere, qui, il reale peso gia oggi posseduto da tali movimenti di massa. Pub essere inrfece di un certo interesse far presente che l’azione del singolo all’1nterno di un movimento siffatto sembra possedere un ruolo, che essa non puo avere all’interno di un partito saldamente organizzato. In altri termini: man mano che il rapporto individui-partiti diventa meno dialettico, assumono un’importanza maggiore i movimenti di massa, che risultano caratterizzati da una dinamicita nettamente superiore a quella assunta (per imotivi sopra accennati) dai pattltl. Confrontando ora la dialettica delle societa con quella delle scienze, sembra non del tutto priva di fondamento l’idea di tentare un nuovo parallelismo, oltre a quello (tra teorie scientifiche e sistemi giuridici, da un lato, patrimonio scientifico-tecnico e patrimonio delle istituzioni civili, dall’altro) di cui -si e fatto parola nel secondo paragrafo. Trattasi in breve di proporre un nuovo parallelismo sul generis tra la funzione compiuta oggi dai partiti modernamente strutturati e quella delle teorie assiomatizzate, da un lato, e, dall’altro, tra la funzione delle masse e quella del patrimonio scientifico-tecnico; a giustificazione di questa proposta ci limiteremo a far notare che tanto i partiti modernamente strutturati quanto le teorie assiomatizzate posseggono una solida organizzazione interna che da loro una certa comprensibile rigidita, mentre sia le masse sia il patrimonio scientifico-tecnico sono caratterizzati da una comune fluidita e da una comune disponihilita Verso le piu ardite innovazioni. Come ahhiamo detto piu volte nei precedenti capitoli del presente volume, la distinzione fra teorie assiomatizzate e patrimonio scientifico-tecnico (non assiomatizzabile) non implica affatto alcuna sottovalutazione delle funzioni spettanti alle prime o al secondo. Si tratta di funzioni diverse ma entrambe della massima importanza; l’importanza della funzione compiuta dalle teorie non risulta infatti in alcuno modo oscurata dal riconoscimento che e soprattutto dal patrimonio scientifico-tecnico che provengono gli impulsi a rinnovare la scienza, a create nuove teorie, a tentare nuovi metodi di ricerca.
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Scienza e realismo ,_ Analogamente possiamo ora sostenere che non si nega affatto limportanza della funzione compiuta attualmente dai partiti, quando si rrconosce che ie soprattutto-dai movimenti di massa che pro-
vengono gli impulsi a rinnovare la societa. Questa funzione dei movrmenti di massa e del resto implicitamente riconosciuta dai partiti stessi che, non senza motivo, si sforzano in ogni modo di dirigere tali movimenti. La contraddizione, cui poco sopra abbiarno fatto cenno, semhra trovare gui il punto di massima tensione, non potendosi escludere_ az przorz che, nello sforzo di dirigere i movimenti di massa, un Pafflw perda la propria carica ideologica mantenendo solo l’organizzazione centralizzata che e lo strumento indispensabile per esercitare l’anzidetta direzione. Un’altra via per risolvere la contraddizione sembra invece essere la seguentea che i movimenti di massa, operando al di fuori della r1g1da _logica dei partiti, e commettendo spesso azioni apparentemente irrazronali, riescano dialetticamente a dar luogo ad una P111 Profonda razionalita, aprendo la via alla forrnazione di partiti di tipo nuovo la cui serieta si esprime piu nella chiarezza ideologlca che non nella rigidita organizzativa, 7. Sui
mpporti fm masse
e Cultura
Vogliarno ora affrontare un altro gruppo di problemi, per la i risultati conseguiti nelle ultime pagine oltreché nei capitoli precedenti. Anche questi ‘
cur trattazione ci saranno di particolare utilita
problemi ci condurranno a individuare un’importante contraddizione, intorno a cui ci semhra necessario acquisire piena consape-
volezza. Abbiamo gia parlato piu Volte, nel sesto paragrafo, di movimenti di massa, illustrandone i caratteri notevolmente diversi da quellr dei partiti. Ora occorre illustrare rapidarnente i caratteri di cio che siamo soliti chiamare “cultura,” ponendoli a confronto con quelli dei partiti e delle masse, nonché dei sistemi giuridici e del patrimonio delle istituzioni civili, o risalendo piu indietro delle teorie scientifiche e del patrimonio scientifico-tecnico. Quando ci si riferisce alla cultura posseduta da una certa socreta _in un determinato periodo, non si intende parlare di un edrficio organrcamente costruito, paragonabile al sistema di leggi che costrtuisce la base di un ordine giuridico. Quest’ultimo infat-
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trasformazione delle societé
ti e, alrneno di principio, rigorosamente assiomatizzabile, mentre la Cultura si articola in un nurnero indeterrninato di attivita, di cui non e neanche possibile fissare una Volta per tutte 1’importanza (né in assoluto né relativamente l’una all’altra): per esempio talunerdiscipline, come la teologia, sono state in altre epoche al centro della cultura mentre non lo sono piu oggi; al contrario, certe attivita tecniche erano una Volta collocate ai rnargini della cultura, mentre oggi vi hanno assunto un ruolo notevole nella qualita di “scienze applicate,” ecc. Questa ricchezza e indeterminatezza di articolazioni fornisce alla cultura un, carattere fluido, intrinsecamente dinamico, che non puo fare a meno di sottolinearne le analogie con il patrimonio scientifico-tecnico e con quello delle istituzioni civili. Ovviamente si tratta di analogie che non annullano le differenze; ma si tratta pur sempre di differenze molto piu lievi di quelle che separano tali patrimoni da costrutti rigorosarnente assiornatizzahili come le teorie scientifiche o i sistemi giuridici. Proprio il carattere fluido testé accennato ci fa agevolmente cornprendere che l’individuo potra compiere, nel mondo della cultura, un ruolo as~sai piu rilevante di quello che esso compie in organismi fortemente accentrati che hanno assunto un carattere pressoché impersonale, come le odierne grandi imprese industriali o i partiti modernamente strutturati. Cio non significa, sia hen inteso, che gli individui, in quanto protagonisti della cultura, siano totalmente liheri nelle proprie mosse, ma vi sono certamente piu liheri che in un organismo forternente accentrato. Essi subiscono, anche nell’amhito della cultura, pesanti influenze (soprattutto ad opera della tradizione che orienta, consapevolmente o no, gran parte delle loro iniziative); ma si tratta di influenze indirette, che non vincolano in modo rigido le loro azioni, predeterminandone i compiti e i possibili esiti. Una volta schematicamente chiariti i caratteri strutturali della cultura (chiarimento che ha richiesto la puntualizzazione delle funzioni in essa spettanti all’opera degli individui), siamo finalmente in grado di affrontare l’oggetto specifico del presente paragrafo, cioe il problema dei rapporti fra masse e cultura. Quanto abhiamo detto sulla struttura delle une come dell’altra (cioe sul loro carattere per principio non assiomatizzahile) pare suggerirci che si tratti di rapporti agevolmente descrivibili come dialettici, analoghi cioe ai rapporti che siamo soliti riscontrare all’interno delle unita dialettiche, caratterizzate appunto dalla perenne fluidita dei loro costituenti. 139
Scienza e realismo
I compiti della dialettica nella comprensione
Per accogliere questa conclusione, occorre pero superare un ostacolo in apparenza assai arduo. Sappiamo infatti dal secondo CaP{fQl che una delle caratteristiohe essenziali dei rapporti dialettici e la loro bidirezionalita, mentre nel caso presente proprio questo carattere viene a mancare. Ed invero nessuno pone in dubbio che la cultura eserciti un’influenza talvolta assai profonda Sulle masse, mentre e opinione comune che queste non siano in grado di csercitare alcuna seria influenza sulla cultura (per lo meno se la intendiamo nella sua globalita). ln realta le cose sono assai piu complesse di quanto appaia a prima V1Sta. La presunzione che la cultura abbia tutto da insegnare e nulla da apprendere dalle masse, non e altro a ben considerare le cose -- che un pregiudizio derivante da una concezione aristocratica, dogmaticamente accolta per secoli e secoli S1a_Pure non senza qualche resistenza per lo piu di scarsa effii cacla: .La storia ci insegna invece che questo modo di pensare giustificabile _entro societa rette da sistemi giuridici a carattere rii glclamenui af1S§0
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to puro o applicato, i cui prohlemi sorgono e si risolvono entro l’ambito di teorie gia ben costituite? Riteniamo che questa domanda abbia il merito di porre in luce una contraddizione di fondamentale importanza, che spesso da troppe persone viene taciuta o velata non senza motivo che occupano posizioni di responsahilita nell’amhito culturale e non solo in esso. Nel mondo moderno tanto le scienze quanto le masse hanno run peso via via crescente, ma sembrano avanzare istanze antitetiche (sul prohlema della specializzazione, su quello del rigore argomentativo, ecc.): sara dunque fatale che la Vittoria delle unc comporti la sconfitta delle altre, o si potifa trovare un livello piu profondo in cui riusciranno a conciliarsi? Per agevolare il conseguimento di questo livello piu profondo, riteniamo utile richiamare alcune riflessioni cui siamo stati condotti nei capitoli precedenti: 1) Allorché ahbiamo sottolineato l’importanza essenziale, nei dihattiti piii moderni intorno al prohlema della conoscenza, del criterio della prassi, abbiamo cercato di spiegare che questa prassi va intesa non solo come prassi individuale ma anche, e soprattutto, come prassi sociale; con che diritto potremo dunque pretendere ora che essa escluda da se stessa l’apporto delle masse? 2) Allorché abbiamo analizzato l’incidenza delle critiche convenzionalistiche sull’interpretazione piu moderna della scienza (ossia delle leggi scientifiche, dell’ordine naturale, della crescita delle teorie, ecc.), abhiamo sottolineato le difficolta che incontrano filosofi e scienziati a concepire la verita in modo diverso da quello tradizionale (ossia slegandola clall’attributo di assolutezza che generalmente viene unito a quello di oggettivita); orhene chi puo escludere che le masse possano fornirci un contributo decisivo allo scopo di superare tali difficolta, .proprio perché esse sono meno di noi condizionate dalla ttradjzione, e in particolare da quella idealistica che ha dominato per millenni la filosofia che sta alla base della nostra Cultura? 3) Allorché abbiamo affrontato, nel quinto capitolo, il tema della “neutralita filosofica” della scienza, abbiamo cercato di spiegate che, 'per sconfiggere' tale neutralita (che rappresenta una delle pili pericoloso tentazioni degli scienziati di oggi), hisogna poranche se non sono re in chiaro come le scoperte scientifiche del mondo sono in grado di elaborare una precisa concezione _di vecchie concezioni pero in grado di dinuostrare Yinsostenihilita ancora assai diffuse, suggerendoci la necessita di tentarne corag-
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I compiti della dialettica nelle comprensione
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giosamente delle nuove, caratterizzate dalla piu radicale apertura critica; ebbene, chi puo negare l’interesse delle masse per questa battaglia ideologica, quando si ricordi che esse sono state indotte per troppo tempo ad accettare condizioni di spietato sfruttamento per il solo fatto che queste venivano loro imposte in nome di concezioni mistiche e irrazionali dell’universo? e che proprio per cio non intendono rinunciare, oggi come ieri, alpcontrihuto che la scieiiza “ha dato, e puo dare, all’ahbattimento di tali concczioni? Né si dica che lo scienziato di oggi puo fare tranquillamente a meno degli incoraggiamenti che le masse sono in grado di dargli. Ahbiamo infatti ricordato, proprio nell’anzidetto capitolo, la tormentata situazionei in cui si trovano parecchi giovani scienziati della nostra epoca, che si chiedono affannosamente a che servano le loro quotidiane fatiche di ricercatori. E certo che la comprensione delle masse puo costituire per loro non solo un prezioso incoraggiamento, ma un valido sostegno. Ed E: un sostegno piu importante di quello che potrebbe loro provenire da enti saldamente organizzati, perché si puo sempre supporre che questi enti a differenza delle masse lo diano a loro fini specifici che nulla hanno a che vedere con la cultura (cosi accade infatti per il sostegno eventualmente dato, anche a ricerche apparentemente disinteressate, dalle grandi imprese industriali). Ma le masse sono anche in grado di fornire un prezioso chiarimento intorno ad un altro interrogativo, cui abbiamo fatto cenno nell’ultimo paragrafo del quinto capitolo: si tratta del problema, che oggi assilla molti serissimi scienziati, se la scienza possa avere un autentico valore culturale, quando constatiamo quotidianamente che i ritrovati tecnico-scientifici sono soprattutto utilizzati da chi puo compiere grandi investimenti di denaro e semhrano quindi ottenere per effetto il progressivo asservimento dei singoli individui ai detentori di grandi capitali. Cio che le masse spontaneamente ma fermamente oppongono a chi, in base a queste constatazioni, si erge a critico severo del progresso scientifico-tecnico, cui vortebbe opporre una cultura “libera” da ogni contaminazione scientifica, e riassumibile in poche righe: la pretesa di fermare tale progresso invocando argomenti puramente moralistici o tentando di contrapporgli vecchie concezioni del mondo a sfondo idealistico, e frutto di mera fantasia ed e percio destinata al fallimento. La vera contraddizione principale della nostra cultura non e quella fra il progresso scientifico-
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tmsformazione delle societé
tecnico e l’aspirazione romantica a un tipo di vita che fu proprio dell’era prescientifica (era che puo apparire degna di rimpianto solo a chi non ne abbia esaminato realisticamente tutti gli aspetti, anche i piu crudi e ripugnanti). La contraddizione principale della nostra cultura e la stessa contraddizione (fra lavoro e capitale) insita nelle societa entro cui la nostra cultura (quella scientificotecnica come quella umanistica) si radica e si sviluppa. Ne segue che i mezzi cui hisogna fare ricorso per estirpare mali generati, entro questa societa, dal progresso scientifico-tecnico sono ben altri e ben piu seri di quelli spesso proposti dai romantici denigratori della razionalita scientiiica e, con essa, d1 tutto il mondo moderno. Tali mezzi non si incentrano sulla “conversione” degli individui, ma sul mutamento radicale della struttura della nostra societa. Non fanno appello alla coscienza morale dei singoli, ma apquella rivoluzionaria delle masse. Ci dicono in altri terminiche, per sradicare i pericoli cui puo dar luogo il progresso -scientifico, rese razionalmente consapevoli della e necessario che le masse propria forza e del ruolo decisivo da esse assolto nello sviluppo affrontino a v1so della societa nonché in quello della cultura assumere nelle proprie mani la direzione aperto il problema di del processo rivoluzionario che travaglia la nostra epoca. E necessario che assumano tale direzione non nell’intento di riportare l’umanita ad una utopistica civilta di tipo agrario-pastorale, ma per dare inizio a una civilta veramente nuova, che superi dialetticamente quella attuale partendo proprio dalle sue contraddiziomz contraddizioni che non possono venire semplicisticamente negate o velate quasi fossero un parto della nostra immaginazione, ma, al contrario, vanno approfondite, esasperate, portate alle estreme conseguenze, fino a farne scaturire una autentica soluzione, che potra soltanto consistere in un reale, coraggioso, processo r1voluzionario. _
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Note fimzli
A queste poche pagine che, a parte l’Appendice, pongono termine al presente volume, ahhiamo preferito dare il titolo di Noie fimzli anziché quello di Conclusione. Quest’ultimo infatti ci semhra troppo amhizioso e in netto contrasto con lo spirito stesso della nostra indagine, che venne espressamente condotta nel semplice intento di aprire e discutere alcune prospettive di solito prese in scarsa considerazione, e non gia nell’intento di sostenere che i risultati cosi conseguiti risolvano definitivamente questo o quel problema portandolo, per cosi dire, a conclusione. Ci limiteremo pertanto ad abbozzare, in queste Note, alcune riflesisioni personali sugli scopi che hanno guidato l’intero nostro lavoro, nella speranza che possano riuscire di qualche utilita al lettore il quale desideri rendersi conto della sua impostazione generale, a prescindere dalla validita o meno delle argomentazioni specifiche svolte nel corso della trattazione. Per semplici motivi di comodita, ahhiamo ritenuto opportuno suddividerle in cinque punti che non hanno pressoché nulla a che vedere con la successione dei capitoli. 1. Tenendo conto dell’ininterrotto riferimento, presente in tutti i capitoli, a cio che fanno e pensano, in concreto, la generalita delle persone e in ispecie degli scienziati militanti, qualche lettore sara prohahilmente tentato di concluderne che il realismo qui delineato non sarebbe altro che una forma alquanto rammodernata del Vecchio indirizzo risalente a Thomas Reid, universalmente noto come filosofia del senso comune. Dobbiamo francamente confessare che questa non ci parrebbe affatto un’accusa oltraggiosa. Riteniamo infatti doveroso, per il filosofo che intende affrontare responsabilmente un problema cosi fondamentale come quello della conoscenza e della realta, non
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Note ,finali
abbandonarsi a sottigliezze incomprensibili per l’uomo comune, tutt’al piu capaci in un primo tempo di divertirlo ma poi, se sviluppate in forma sistematica, di infastidirlo e irritarlo. E del resto ben noto che molti autorevoli pensatori della nostra epoca tendono oggi a rivalutare seriamente il senso comune; basti pensare a Bertrand Russell, ai cosi detti filosofi del linguaggio ordinario e a Karl Popper. La cosa grave e che l’uomo comune della nostra epoca, convinto dai grandi successi quotidianamente conseguiti dalla scienza pura e applicata, tende a riconoscere un valore incontestahile alle conquiste scientifiche, delle quali si potranno, secondo lui, porre in discussione sul piano etico le applicazioni, ma non sul piano teoretico la verita. Orbene, e proprio questa sua fede nella verita dei ritrovati scientifici che oggi va invece profondamente modificata. Non senza motivo ci siamo fermati a lungo sulle critiche del convenzionalismo, le quali hanno posto in luce l’esistenza in ogni teoria scientifica di innegabili fattori convenzionali, onde segue l’impossibilita di qualificare uno qualunque degli anzidetti ritrovati come assolutamente vero. Per quanto grande possa dunque essere il nostro desiderio di tenere conto del senso comune, e chiaro che oggi non possiamo accogliere il tipo di realismo che costituisce il supporto della filosofia da esso ispirata. Uno dei fatti che ha dato piu diretto impulso a tutta la nostra indagine e stato proprio il riconoscimento di questa situazione paradossale: da un lato la civilta in cui viviamo ci spinge irresistibilmente ad attribuire un valore assoluto alle scoperte scientifiche, da un altro lato l’analisi critica spregiudicata della struttura della scienza semhra indurci a ritenere che in ultima istanza questa e unicamente costituita di convenzioni. 2. Le soluzioni del paradosso testé accennato, che sogliono venire fornite dalle filosofie occidentali, non ci sono sembrate convincenti, malgrado l’incontestabile sottigliezza delle loro argomentazioni. Questa nostra opinione e, nel presente lavoro, piuttosto presupposta che non dimostrata; essa e infatti il risultato di altre indagini antecedenti, qui appena accennate. Comunque, parecchie analisi ora svolte su argomenti per cosi dire collaterali (per esempio sul solipsismo, sulla crescita della conoscenza scientifica, ecc.) sembrano a nostro parere confermare l’impronta idealistica presente in tali filosofie, anche se esse si proclamano favorevoli al realismo. E questo il motivo che ci ha spinti a cercare
una soluzione diversa, piu soddisfacente, in un indirizzo di pensiero il materialismo dialettico generalmente trascurato dai filosofi occidentali, in quanto da essi considerato dogrnatico e arretrato rispetto ai piu caratteristici sviluppi della scienza contemporanea. La tesi centrale, e dal nostro punto di vista la piu significativa, di tale indirizzo materialistico consiste nell’affermazione della necessita di rinnovare radicalmente e coraggiosamente la nozione stessa di proposizione vera, riconoscendo che si puo parlare di verita anche senza esigere che essa possegga il carattere di assolutezza tradizionalmente attribuitole. Si potra in tal modo accogliere la concezione comune, secondo cui la scienza e effettivamente in grado di conseguire delle verita, ma aggiungendo che si tratta di verita relative, non assolute. E urfaggiunta che concede parecchio alle critiche dei convenzionalisti, senza pero cadere nell’agnosticismo generalmente considerato quale punto d’arrivo ohhligato di tali critiche. Ma quale differenza esiste, fuorché nel nome, tra la tesi testé accennata secondo cui i risultati conseguiti dalle scienze sono delle verita relative, e la hen nota tesi secondo cui esse sono delle semplici ipotesi? La differenza risiede nel fatto che, secondo il materialismo dialettico, esiste un criterio capace di garantire l’oggettivita (non l’assolutezza) delle verita conseguite dalla scienza: E: il criterio della prassi (in particolare della prassi sociale), che occupa una posizione di primissimo piano in tutto l’indirizzo in esamve, anche presso i cosi detti marxisti non materialisti. I/esame di questo criterio e stato in effetti uno dei compiti centrali che ci siamo proposti; e dobbiamo confessare che, a nostro avviso, esso ci ha condotti a risultati di un certo interesse per cio che riguarda i rapporti tra la scienza e la tecnica (uno dei problemi che non puo fare a meno di interessare chiunque rifletta sul tipo di civilta in cui stiamo vivendo). Ci ha inoltre permesso di chiarire a noi stessi il processo di approfondimento, che costituisce una delle fasi essenziali del processo conoscitivo quando si attribuisca a quest’ultimo il compito di farci conseguire delle verita relative; il carattere specifico dello sviluppo della tecnica (per cui e insensato pensare che la risoluzione odierna di un prohlema tecnico, per quanto perfetta, escluda che 'se ne possa trovare domani una migliore) si ripercuote invero sui ritrovati stessi della scienza garantiti dal criterio della prassi escludendo che uno qualsiasi di essi sia in grado di chiudere definitivamente una ricerca, quasi che questa non possa venire, per principio, ininterrottamente
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Note fimli
proseguita si da conseguire delle conoscenze sempre “piu complete e piu precise” (secondo le incisive parole di Lenin). 3. Se il processo di approfondimento puo senza dubhio fornirci il filo conduttore dello sviluppo delle teorie scientifiche, questo filo pero non ci fornisce ancora -- almeno cosi sembra, a nostro parere, suggerirci uno studio attento di storia della scienza -- un quadro completo della dinamica delle ricerche scientifiche, intese in tutta la loro complessita. E precisamente allo scopo di studiare questa dinamica che ahbiamo introdotto5 in relativo accordo con alcuni autori occidentali, la nozione di “patrimonio scientifico-tecnico,” sostenendo che, per comprendere a fondo la nascita e lo sviluppo delle teorie scientifiche nonché il loro significato conoscitivo e pratico, occorre calarle in tale patrimonio perepnemente variabile da un’epoca all’altra. E a questo punto che ahbiamo nuovamente dovuto fare ricorso all’indirizzo materialistico-dialettico poco sopra accennato, -sembrandoci ovvio che il patrimonio in questione non possa venire esaminato con i medesimi metodi (logico-formali) indispensabili per lo studio delle teorie scientifiche modernamente strutturate; cioe esposte in rigorosa forma assiomatica. Orbene il suggerimento che tale indirizzo ci ha fornito e stato di applicare allolstudio in questione il metodo dialettico, appositamente costruito per l’analisi dei fenomeni storici. Ahbiamo cosi dovuto prendere in esame i caratteri specifici di questo metodo, sia per ribattere le obiezioni solitamente elevate contro di esso, sia per dimostrare che esso e perfettamente conciliabile con l’accennata interpretazione realistica del processo conoscitivo, inteso come processo che conduce ad autentiche verita (non pero assolute, ma relative e sempre approfondibili). E una conclusione che ci semhra giustificare l’attrihuto di “dialettico,” con cui abbiamo ritenuto di poter qualificare il particolare tipo di realismo (materialismo) da noi delineato allo scopo di risolvere la grave antinomia della quale ahbiamo fatto parola alla fine del primo punto. L’applicazione del metodo dialettico ci e parsa, inoltre; molto feconda per la trattazione di parecchi problemi di notevole interesse, come quello per esempio di conciliare l’esistenza di un ordine oggettivo della natura con la possibilita, per l’uomo, di intervenire su di es-sa onde piegarla ai propri fini. Di -particolare importanza, dal punto di vista filosofico, e stato l’aiuto che il metodo dialettico ci ha fornito per- chiarire il
significato generale che la scienza possiede ancora oggi, malgrado il peso in essa assunto dalle ricerche specialistiche. Cosi abloiamo potuto proporre nuovi argomenti a favore della tesi, che da tempo ci sta a cuore, della “non neutralita filosofica” della scienza. 4. Ma la conclusione di maggior peso, cui ci ha condotti il riconoscimento della validita spettante al metodo dialettico, as stata un’altra, cosi riassumihile: occorre ampliare coraggiosamente e radicalmente la nozione ordinaria di razionalita. Dobbiamo confessare che la consapevolezza di questa necessita e stata una delle conquiste piu difficili delle nostre indagini, che ha richiesto lunghe e laboriose riflessioni. All’inizio dei nostri studi filosofico-scientifici avevarno infatti ritenuto che tutta la razionalita dovesse venire identificata con quel tipo particolare di razionalita che possiamo riscontrare nelle teorie scientifiche. Cio che ci ha costretti a correggere tale convinzione e stato soprattutto lo studio della storia della scienza, esaminata nella sua effettiva concretezza (cioe nella complessita dei suoi legami con la storia della filosofia, nonché con lo sviluppo della societa, con le sempre nuove domande che le masse ponevano agli scienziati, con le varie forme di lotte che lo spirito critico dovette affrontare per liberarsi dal peso della tradizione). L’ostacolo piu difficile da superare per accogliere l’ampliamento della nozione di razionalita suggerito dalla dialettica fu senza duhbio dovuto alla funzione centrale che questa attrihuisce alla negazione, alle situazioni paradossali, ecc. lnfatti la razionalita scientifica, basata sulla logica formale (il cui valore e, oggi come ieri, incontestahile), esclude per principio la contraddizione, in quanto la presenza di una contraddizione entro una qualsiasi teoria la rende senza dubbio inaccettahile. Di qui la domanda: come ammettere che la contraddizione possa compiere un ruolo essenziale entro una nozione ampliata della razionalita? Eppure gli studi piu moderni intorno alla dialettica tendono proprio ad incentrarla sulla contraddizione. Per giustificare questa tenclenza, abbiamo dovuto riflettere sul fatto che essi interpretano la contraddizione come lo strumento indispensabile per rendere espliciti gli ostacoli di fondo che impediscono lo svolgersi coerente dei nostri pensieri e delle nostre azioni. L’analisi dello sviluppo del patrimonio scientifico-tecnico ci fornisce innumerevoli esempi al riguardo, alcuni dei quali straordinariamente illuminanti. Questi esempi .ci mostrano che la scoperta di un paradosso nonirappresenta affatto una sconfitta per la ragione; al
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realismo
contrario, e proprio essa che rende possibile individuare i punti oscuri delle precedenti argomentazioni e che ci costringe, di conseguenza, a reimpostare i prohlemi su di un piano pid profondo, ove essi possono trovare una soluzione. E stata precisamente questa constatazione a vincere le nostre iniziali riserve, facendoci riconoscere la funzione incontestabil~ mente positiva della contraddizione, nel senso attribuitole dalFinterpretazione della dialettica dovuta a Lenin ed a Mao Tse-tung. Cosi abbiamo dovuto ammettere che proprio questa as la via, lungo la quale dovremo cercare l’ampliamento della nozione di razionalita, reso necessario dalle considerazioni sopra accennate. 5. Come gia ricordammo, una delle nostre preoccupazioni fu di portare qualche nuovo argomento a favore della “non neutralita filosofica” della scienza. Di qui siamo stati naturalmente indotti a prendere in esame anche il problema della sua “non neutralita pratica,” tanto piu che ci sembrava abbastanza spontaneo ricollegare questa a quella. ll problema specifico ora accennato ci ha inline aperto la via verso un nuovo tema che, almeno a prima vista, si presenta assai diverso da quelli antecedentemente presi in considerazione: intendiamo riferirci al tema della dialettica delle trasformazioni sociali. Dobbiamo confessare che sarebbe stato difficile sottrarci completamente alla tentazione di affrontarlo, soprattutto per il fatto che gli scritti ove Mao espone il proprio punto di vista sulla contraddizione (scritti che ci sembrano, come gia accennammo, della massima importanza per comprendere il significato attuale della dialettica) sono dedicati per l’appunto ai problemi storico-sociali. E vero che, a nostro avviso, la sua fondamentale distinzione fra contraddizione principale e contraddizioni secondarie e valida anche al di la del campo specifico ove egli l’ha introdotta; ma sembra pressoché impossibile tentare di spiegarla senza fare un qualche riferimento proprio a questo campo. D’altra parte eravamo, e siamo, ben consapevoli che, per inoltrarci nel nuovo tema, occorrerehbe scrivere un nuovo volume, e soprattutto occorrerebbe avere una competenza specifica superiore alla nostra. Abbiamo pertanto scelto una via che forse apparira poco persuasiva: quella di limitarci a esporre, a proposito del nuovo tema, alcune riflessioni che sembrano direttamente suggerite dalle analisi compiute sui temi precedenti. E ovvio, comunque, che l’eventuale accettazione dei punti di vista presentati nel
resto del volume non comporta affatto che si condivida anche quanto schematicamente delineato nell’ultimo capitolo. al Pflfclpale Ci siamo di conseguenza sentiti autorizaati sociale e political della la “non neutralita scopo di dimostrare centrale del che forma l’oggetto realistica e dialettica concezione che da tempo C1 ad alcuni argomenti di acccnnare volume stanno particolarmente a cuore, sottolineando _ovv1amente, Com? era doveroso, il carattere soltanto ipotetico di certi parallelismi e di certe analogie su cui sono fondatelle nostre consideraaiomr Non vorremmo, comunque, che l’attual1ta S161 Pfobleml Sfloratl nelle ultime pagine suscitasse nel lettore limpressione Che ‘SSS1 costituiscano il tema centrale dell’indagine, c1oe quello che ha, direttamente o indirettamente, ispirato l’intero nostro lavoro. In realta, tuzfti i temi indicati in questo _breve elenco sono, 3 nostro giudizio, di grande importanza, _ed e in base a_questa convinzione che ci siamo permessi di offrirne una smtesi schematlca al lettore, il quale desideri cogliere d’un colpo d occhio limpostazione generale che ahbiamo voluto dare al volume. Possiamo comunque assicurarlo che saremo sinceramente grati delle critiche che ci verranno mosse, da qu2lL1DQU§ Paffe Pf0‘ vengano. Cio che personalmente ci importa, non e 1nfatt1_ avere ragione, ma approfondire razionalmente probleml traffatl-
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Appenclice
Sul concetto
all
“crlsi” della mziomzlitd scienlifica
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I. La concezione galileilzmz del progresso scientifico E nota la famosa tesi di Galileo, secondo cui noi saremmo in grado di raggiungere (mediante la scienza) una conoscenza del reale che Ez, si, infinitamente meno estesa di quella divina -- perma che ché la divinita conosce infinite cose che noi ignoriamo dal punto di vista intensivo e, sia pure in settori limitati, altrettanto perfetta e assoluta quanto la conoscenza divina. Di qui la concezione del progresso scientifico come semplice aggiunta di nuove verita assolute a quelle gia in nostro possesso, le quali ultime non verrebhero in alcuna misura modificate dall’aacquisizione delle nuove verita. E inutile dire che questa concezione fu accolta per lungo tempo da parecchi scienziati militanti e che servi loro di validissimo sprone a proseguire le proprie severe indagini, anche in mezzo alle maggiori difficolta; In ottemperanza a tale concezione essi cercarono con tenacia, quando si trovavano di fronte a due spiegazioni altefnative delmedesimo fenomeno, un qualche criterio in base a cui decidere quale delle due dovesse ritenersi Vera e quale falsa; per le scienze empiriche (fisica, ecc.) si penso che tale criterio potesse venire fornito da appositi esperimenti “cruciali.” La prima idea di siffatti esperimenti risale a Bacone, che nel Novum Organon parlo di imtantia crucis, per metafota tratta dalle croci, che si mettono ai hivi delle strade, ad indicate la biforcazione; tali “instanze”, cui si fa ricorso “quando, durante la ricerca di una natura, l’intelletto sta incerto e _come in equilihrio nel
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Estratto
da
“Scientia,” fascicolo 5, 6, 7, 8, anno LXIX, vol. 110, 1975.
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.S`cienz2z"e'
realismo
Sul concetta di “crisi’?. della. mzionalitri scientifica
decldefe 3 quale 'fffl due nature, 0 piu di due, debba essere assegnata o attribuita la causa della natura esaminata,” possono talvolta Xerure rinvenute sempre secondo Bacone fra le “instaneseguite “ma piu spesso sono nuove e devoZe 813 ln Pf@C€d€11Za no essere rintracciate e applicate espressamente e a bella posta, e scoperte con grande intelligenza e dopo lunga osservazione” (trad di E. De Mas, Bari, 1965). Come e noto, la possibilita di costruire esperimenti cruciali sa` ra energicamente negata, all’inizio del nostro secolo, da P. Duhem chesollevera, contro l’idea stessa di tali esperimenti, alcune acute crrtiche, _ben presto accolte da pressoché tutti gli episternologi e gli scienziati. Ma oggi si suol fare qualcosa di piu: si respinge in blocco tutta intera la concezione “galileiana” poco sopra delineata. Le due piu gravi obiezioni sollevate contro di essa riguardano precisarnente due punti, che abbiamo menzionati all’inizio del paragrafo: la presunta possibilita di raggiungere conoscenze assolutamente valide, sia pure in settori limitati della ricerca scientifica, e la presunta indipendenza dei risultati conseguiti in un settore rispetto a quelli via via conseguiti in quello stesso o in altri settori. P2 chiaro che, se per “crisi” della scienza si intende l’abbandono dell anzidetta concezione, essa rappresenta ormai da anni un fatto acquisito, sul quale non varrebbe piu la pena discutere. Ma in verita il senso di tale espressione (“crisi” della scienza) E: oggi molto piu ampio e profondo, riguardando proprio le nuove concezioni che si sono cercate di sostituire a quella abbandonata.
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Il. Scienza globale
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approssimazione della veritci .vecomlo Laplace
A questo punto occorre aprire una breve parentesi su Laplace, generalmente ritenuto il piu autorevole assertore del meccanicismo ottocentesco, e come tale considerato l’erede diretto della concezione della scienza galileiano-newtoniana. Cercheremo invece di dimostrare che nella concezione laplaciana della scienza si riscontrano alcune differenze di fondo dalla concezione testé illustrata, differenze estremamente utili a comprendere il significato delle ulteriori var1az1o_ni che si produrranno al riguardo dai tempi di Laplace ai nostri. Dovremo percio prendere le mosse dal notissimo brano di Laplace? 11? cui egli espone le linee generali del suo determinismo meccan1c1st1co
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Un’Inte1ligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui é animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se per di piu fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati all’analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei piii grandi corpi dell’universo e dell’atomo piu leggeroz nulla sarebbe incerto per essa e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi. Lo spirito umano offre, nella perfezione che ha saputo dare all’astronomia, un pallido esempio di questa Intelligenza. Le sue scoperte in meccanica e in geometria, unite a quella della gravitazione universale, l’hanno messo in grado di abbracciare nelle stesse espressioni analitiche gli stati passati e quelli futuri del sistema del mondo. Applicando lo stesso metodo ad altri oggetti delle sue conoscenze, e riuscito a ricondurre a leggi generali i fenomeni osservati e a prevedere quelli che devono scaturire da circostanze date. Tutti i suoi sforzi nella ricerca della verita tendono ad avvicinarlo continuamente all’lntelligenza che abbiamo immaginato, ma da cui restera sempre infinitamente lontano [...] La curva descritta da una semplice molecola di aria o di vapore e regolata con la stessa certezza delle orbite planetarie: non v’e tra di esse nessuna differenza, se non quella che vi pone la nostra ignoranza. La probabilita e relativa in parte a questa ignoranza, in parte alla nostra conoscenza. (Trad. di O. Pesenti Cambursano, Torino, 1967.)
La prima osservazione che qui salta subito agli occhi e la seguente: la vera scienza, quella dell’Intelligenza suprema, e una scienza globale, non suddivisibile in reparti separati e fra loro indipendenti; non ha piu senso, quindi, pretendere che l’uomo possa raggiungere in qualche lirnitato settore una conoscenza intensivamente pari a quella divina. Scrive in proposito O. Pesenti Cambursano: “l’ignoranza di un solo anello del concatenarsi degli eventi infirma il significato di tutta la costruzione scientifica.” Ne segue che il progresso scientifico non potra piu consistere nella semplice aggiunta di nuove verita (assolute) ad altre gia precedentemente acquisite; esso dovra consistere in un graduale avvicinamento alla “onniscienza” dell’anzidetta lntelligenza, avvicinamento che potra essere maggiore o minore in questo o quel settore, ma non potra rnai far coincidere nemmeno parzialmente la nostra scienza con quella dell’Inte]ligenza in questione. Di qui il carattere merarnente probabile delle “verita” da noi raggiunte, e l’importanza centrale che viene ad assumere in questo quadro il concetto di probabilita. Non senza motivo il brano di Laplace poco sopra riferito venne da lui collocato proprio nelle prime pagine del suo Saggio filosofico sulle prolmbilitri. Dovremo dunque parlare di un distacco completo della concezione laplaciana della scienza da quella che abbiamo chiamato galileiana? Una conclusione siffatta sarebbe inesatta per due motivi: 155
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Scienza e realismo
Sul concetto di "crisi" della mziomzlitd scientifica Y
1) perché Laplace continua a parlare della scienza come di una conoscenza assoluta e perfetta, sia pure limitandosi a prospettarla come un semplice “ideale” per noi (realizzato soltanto dall’“Intelligenza che abbiamo immaginato”); 2) perché, mentre rinuncia al carattere assoluto delle nostre conoscenze effettive, attribuisce pero tale carattere al metodo (riducihile sostanzialmente a quello in uso nell’astronomia della sua epoca) a cui affida il compito di procurarci conoscenze via via piu approssimate all’anzidetto ideale. Mostreremo nelle pagine successive che anche queste due tesi, come gia quelle “galileiane” illustrate nel paragrafo precedente, verranno abhandonate nel corso del XIX secolo. Per l’appunto a questo abbandono e collegato un nuovo senso, piu ampio e piu profondo, dell’espressione “crisi della scienza” che qui ci proponiamo di esaminare e discutere.
III. Crisi della concezione
ldplacidmz della scienza
Fra le due tesi laplaciane anzidette, la prima a entrare apertamente in crisi e stata quella che privilegiava il metodo della meccanica Celeste, tentando di presentarlo come unico metodo veramente idoneo a farci avvicinare alla scienza assoluta e perfetta non solo nello studio del “sistema del mondo” (intesa questa espressione nel significato tecnico attrihuitole dall’astronomia) ma nello studio di tutto il concatenarsi degli eventi naturali. Basti infatti ricordare che completamente diverso da esso e stato il metodo usato con tanto successo, nello stesso ambito della fisica, da Faraday e da Maxwell per studiare i fenomeni elettromagnetici. Anche se alcuni storici della scienza sostengono che la teoria maxwelliana puo ancora venire qualificata come meccanicistica, e certo comunque che trattasi di un meccanicismo del tutto differente da quello di Laplace (essendo quest’ultimo basato sopra una interpretazione “discontinua” del reale e quello invece sopra una “continua”). Ancora meno sostenibile si rivelo il privilegiamento metodologico laplacianose riferito alle altre scienze della natura (chimica, fisiologia, ecc.); il loro stesso prodigioso sviluppo durante il secolo XIX non tardo infatti a dimostrare che ciascuna di tali scienze si serviva di metodi suoi propri, elaborati in vistadi uno specifico campo di indagini, e pertanto assai diversi da una disciplina a11’a1tra. Ma il massiccio fenomeno della specializzazione testé accennato non ebbe solo l’effetto di far crollare la tesi di Laplace che tendeva 156
aeprivilegiare il metodo della meccanica celeste; esso si ripercosse direttamente anche sull’altra tesi, quella cioe che affermava lesistenza di una scienza assoluta e perfetta, non posseduta dall’uomo ma dall’Intelligenza di cui parla il hrano sopra citato. L’accresc1uto peso delle scienze effettive, realmente possedute dall’uomo, valse invero a far comprendere che l’appello alla famosa Intelligenza era soltanto un artificio privo di qualsiasi fondamento, diretto a estrapolare gratuitamente un modello di scienza (quelloappunto dell’astronomia) dal Campo limitato di questa al campo illimitato di tutte le conoscenze. Cio non significa ovviamente che la tesi in esame fosse priva di interesse; il suo interesse pero non dipendeva da quanto ivi detto sul tipo di scienza attribuita alla presunta Intelligenza sovrumaconsapeyolmente o no na, ma dal problema che Laplace apriva con le sue parole. Trattasi del problema dell’un1ta del sapere, divenuto tanto piu grave quanto maggiore si rivelava l’autonom1a delle singole scienze in seguito al fenomeno stesso della loro specializzazione. La soluzione che Laplace ne fornisce, spogliata dall’alone mitico dell’Intelligenza sovrumana, e, in poche parole, duella del riduzionismo: qualunque scienza, se veramente tale, puo venire ridotta alla meccanica (base razionale dell’astronom1a).`La famosa onniscienza posseduta dallflntelligenza anzidetta non e altro che la meccanica, opportunamente potenziata nel suo apparato _analitico: tutte le altre scienze, man mano che progrediscono, finiranno per diventare puri e semplici capitoli della meccanica. La crisi della concezione laplaciana della scienza e stata proprlo la crisi di questa concezione riduzionistica. Caratteristica in proposito e la posizione di Mach, il quale sosterra che il presunto primato della meccanica sarehbe solo di ordine cronologico (in quanto la meccanica e nata prima delle altre scienze), cosicché la pretesa di accrescere il livello di scientiiicita delle altre discipline riducendole a meri capitoli della meccanica sarehbe soltanto un’illus1one metafisica. _
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IV. Nessi dialetticl fm scienza e concezione filosoflcd delld scienza
Qualcuno puo sollevare a questo punto la seguente domanda: se le cose stanno davvero come vennero descritte neiparagrafi precedenti, se ne dovra concludere che le cosiddette “crisi della scienza” sono state in realta “crisi della concezione della scienza”? La 157
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realismo
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risposta puo essere senz’altro positiva, purché si dia esplicitamen= te_atto che una concezione della scienza non e mai sovrapposta alla scienza, ma scaturisce proprio da essa. ln effetti cosi accadde per la concezione che abbiamo chiamata galileiana, direttamente suggerita dallo stadio iniziale della scienza moderna, quando si comincio a comprendere che questa portava a conoscenze incontestabilmente pid valide sia della conoscenza comune sia delle tradizionali conoscenze filosofiche; e cosi accadde pure per la concezione laplaciana che scaturi, come gia si e accennato, da urfobiettiva riflessione sull’efficienza della meccanica razionale sugli straordinari risultati ottenuti dalla sistematica applicazione di essa allo studio dei fenomeni astronomici. Ma insistera il nostro obiettore ammettiamo pure che le concezioni della scienza di cui si E: parlato siano state strettamente connesse al differente livello raggiunto nelle varie epoche dalle effettive conoscenze scientifiche; cio non esclude tuttavia che la concezione della scienza e l’autentica scienza posseggano una natura di principio diversa: filosofica la prima, tecnica (nel senso piu largo del termine) la seconda. Gli risponderemo che questa contrapposizione fra aspetto filosofico e aspetto non filosofico della ricerca E: il frutto di meri pregiudizi, che ci allontanano da una visione fedele della realta. Lo studio realistico della ricerca scientifica, cosi come essa si e concretamente attuata nella storia, ci insegna invece che tale ricerca ha sempre avuto questo doppio aspetto, talvolta meno percepibile in qualche singolo autore, ma costantemente presente nel quadro complessivo delle ricerche sviluppate in una qualunque epoca. In altri termini: quando esaminiamo l’effettivo succedersi delle scienze, non possiamo fare a memo di prendere atto che i due aspetti sopra menzionati sono inscindibilmente connessi fra loro, sicché non ha senso separare la scienza dalla “concezione della scienza.” Essi fanno parte di un unico processo dialettico, ed e in questo articolatissimo processo che vanno studiate e valutate le cosiddette “crisi della scienza” (inclusa quella attuale che ci interessa piu da vicino) per comprendere che cosa queste crisi hanno rappresentato su entrambi i fronti, scientifico-tecnico e scientificofilosofico. me
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V. Recenti mutamenti nella concezione della scienza
Come e ben noto, si sono prodotti a partire dall’inizio del nostro secolo alcuni profondi rivolgimenti nelle tre scienze fondamentali: dapprima nella matematica e nella fisica, alquanto piu tardi nella biologia. Ed e ormai ovvio, dopo quanto cercammo di chiarire nei paragrafi precedenti, che tali rivolgimenti, proprio perché profondi e radicali, non poterono fare a meno di coinvolgere insieme con la scienza anche la “concezione della scienza.” Trattandosi di questioni conosciutissime, ci limiteremo a ricordare che i principali rivolgimenti prodottisi nella fisica furono connessi alla teoria einsteiniana della relativita (a quella ristretta e piu ancora a quella generale), e alle teorie quantistiche. Essi esercitarono profonde influenze anche al di fuori della fisica, per esempio nella chimica, nella biologia e nella stessa filosofia. A proposito di quest’ultima puo valere la pena riferire le seguenti parole di Reichenbach, perfettamente approvahili anche da chi ijlon condivida il suo indirizzo di pensiero: “Se i filosofi di orientamento speculativo del nostro tempo negano alla scienza contemporanea il suo significato filosofico, un giudizio del genere esprime soltanto la loro incapacita di percepire il contenuto filosofico del pensiero scientifico moderno.” Orbeiiie la cosa che qui ci interessa as illustrare hrevemente come si sia venuta modificando in modo radicale la concezione della scienza, parallelamente alle innovazioni di cui si e fatto parola. Seguiremo a tal scopo alcune indicazioni del sovietico P.V. Kopnin, che schematizza in otto punti le “peculiarita dell’attuale conoscenza scientifica ” :
1. E cambiata l’opinione sul valore e sul ruolo dell’immagine intuitiva nella scienza e, insieme a cio, si e iniziato un rapido sviluppo dei sistemi del linguaggio artificiale, il quale si discosta sempre pid dall’evidenza [...] ll ruolo di linguaggio artificiale viene svolto dalla simbologia matematica, che e lo strumento di creazione delle strutture teoriche. 2. Si e verificato un rovesciamento dei ruoli dell’esperimento e del pensiero teorico nel processo diretto a nuovi risultati [...] La teoria non e piu una semplice trasformazione di dati sperimentali, bensi una sintesi, nella quale acquista un significato sempre maggiore il pensiero teorico, che compare come potente fattore diretto a promuovere idee fondamcntali le quali dauno origine a nuove teorie. ormai 3. La matematizzazione e la formalizzazione della conoscenza un fatto [...] Ovviamente la conoscenza aspira sempre pili a un rigore logico, e uno degli elementi fondamentali di tale rigore la formalizzazione. E:
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4. L’accumulare e 1’inserire nel tessuto della scienza concetti e termini, che [...] sono diretti non Verso l’oggetto studiato ma Verso la conoscenza intorno ad esso; la creazione cioe di metateorie e rnetascienze. 5. La tendenza alla creazione di teorie fondarnentali, capaci di sintetizzare la conoscenza che ci viene dai diversi campi della scienza. 6. Il crollo del criterio del “buon senso,” il quale poggia sull’esperienza limitata della conoscenza precedente. Si penetra sernpre piii nel campo di asserzioni e costruzioni paradossali e “sottili” che entrano in urto non soltanto con il “buon senso” ma anche, cosi almeno sembrerebbe, con la realta in generale intesa in modo ragionevole. 7. Le tendenze alla scomposizione dell’oggetto studiato in strutture
e relazioni piii semplici, scomposizione connessa con 1’analisi del sistema. 8, lnfine, l’incremento del ruolo della categoria di probabilita nella comprensione del rnondo obiettivo e nella costruzione delle teorie scientifiche. (Trad. di S. Tagliagambe, Milano, 1972.)
Malgrado il loro carattere schematico, gli otto punti testé riferiti riescono a indicate con notevole chiarezza, almeno a nostro parere, i principali mutamenti recentemente intervenuti nella concezione della scienza. Ce li indicano soprattutto perché pongono irnplicitamente in luce alcuni gravi limiti delle concezioni precedenti: per esempio il limite costituito dagli inconsapevoli legami tradizionalmente ammessi fra la conoscenza scientifica e quella comune (legami da cui deriva il peso concesso nella scienza all’intuizione, al criterio del “buon senso,” ecc.); il limite costituito dal mancato uso della formalizzazione delle teorie (proprio perché questa venne introdotta solo in epoca recente, prima in matematica e poi nelle altre scienze), nonché delle riflessioni metateoriche; quello costituito dalla scarsa preoccupazione (derivante dal prevalere delle ricerche specialistiche) di creare “teorie fondamentali, capaci di sintetizzare la conoscenza che ci viene dai diversi campi della scienza,” ecc. Non sembra il caso di fermarci ad illustrate la radicalita di tali mutamenti: basti accennare al punto conclusivo a cui essi ci conducono: cioe a vedere nella scienza un’attivita sul generis notevolmente diversa da quella esplicantesi nelle ordinarie forme di conoscenza, attivita che tiene, si, presenti i dati sperimentali, ma non si esaurisce in essi, poiché sviluppa a fondo, nel massimo rigore, le piu ardite costruzioni concettuali senza lasciarsi arrestare dall’aspetto eventualmente paradossale delle loro conseguenze, dal loro entrare in urto con cio che ci sempre parso una visione ragionevole della realta. E:
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VI. Difficolta
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negare 1/alore conoscitivo alla scienza
Senonché, stando cosi le cose, con quale diritto potremo ancora asserire che la scienza e un’attivita conoscitiva? E per l’appunto in questa domanda che affonda le proprie radici l’odierna “crisi della scienza” di cui tanto si parla negli ambienti pid diversi; crisi che ancora una Volta si presenta inscindibilmente legata alla concezione della scienza. Il marxista Kopnin sostiene, ispirandosi a Lenin, che la scienza conserva oggi a pieno diritto la qualifica di attivita conoscitiva, sia pure in un senso diverso da quello delle ordinarie forme di conoscenza; e va dato atto che egli lo fa con piena coscienza di causa, essendo ben consapevole dei mutamenti radicali in essa verificatisi, come risulta dal hrano stesso che abbiarno riferito nel paragrafo precedente. Ma su di lui ritorneremo pin avanti. La risposta piu facile, pin spontanea, alla domanda poco sopra avanzata E: pero un’altra. E che la scienza, nell’accez»ione attuale del termine, non costituirebbe phi una conoscenza; essa sarebbe semplicemente un’attivita costruttrice di simboli, logicamente connessi fra loro, a cui possono in talune circostanze venir fatti corrispondere certi dati osservativi. In altre parole: non avremmo piu il diritto di chiamarla conoscenza .perché non e in grado di conseguire alcuna verita, né assoluta (nel senso galileiano del termine), né approssimata (nel senso laplaciano). Essa sarehbe un’attivita eminentemente soggettiva sia pure da connettersi non tanto al soggetto singolo quanto che si distingue da altre attivita alle cornunita di pin soggetti parirnenti soggettive (come l’arte, la filosofia, ecc.) solo per la ricchezza delle sue applicazioni pratiche. Una volta accolta questa soluzione, il problema sara quello di enucleare i caratteri specifici di tale attivita con particolare riferimento alla domanda (che aveva trovato una risposta assai semplice, ma oggi inaccettabile, sia in Galileo sia in Laplace): in che modo puo venire concepito il progresso scientifico? Qui occorre subito fare, come ci ha insegnato Kuhn, una netta distinzione fra progresso “all’interno” di una teoria e progresso “rivoluzionario” che tende a sostituire un Vecchio quadro teorico con un altro completamente diverso. Il progresso nel primo dei due sensi ora accennati e facilmente definibile, perché consiste nella deduzione logica rigorosa di nuove conseguenze, per l’innanzi non viste, ricavabili dai principi della teoria, o nella risoluzione ~
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a partire da questi principi di problemi fino a quel momento irrisolti. Ben maggiori difficolta si incontrano invece nella definizione del secondo tipo di progresso. Questo ha luogo quando una teoria non riesce piu (o vi riesce solo con molte difficolta) a far rientrare nei propri schemi un numero via via crescente di dati osservativi. Allora vi sara qualche scienziato che proporra una teoria alternativa (e anche possibile che ne vengano proposte due) e in tal caso si trattera di decidere se la sostituzione della nuova (o di una delle nuove) teoria alla vecchia costituisca o no un progresso; si trattera, cioe, di stabilire un criterio che autorizzi a parlare di progresso. Che si tratti di un problema di difficile soluzione e cosa ovvia; ma si deve aggiungere che esso as complicato pure da un altro problema non meno grave. Qual e il processo che conduce questo o quello scienziato a ideare la nuova teoria alternativa di cui si e testé parlato? Trattasi di una ponderata riflessione sulle insufficienze della vecchia teoria o come alcuni sostengono di una improvvisa intuizione, di un colpo di genio, del frutto di una ricca “ fantasia scientifica ”? Cio che ci importa notare e che, accettando quest’ultirna ipotesi, si finisce per fare appello a fattori estranei alla razionalita scientifica, come pure si e fuori di tale razionalita quando, per decidere se la nuova teoria costituisca, o no, un progresso rispetto alla vecchia, non si sa assumere altro criterio discriminante che la maggiore o minore “bellezza” di tali teorie, la loro maggiore o minore intuibilita (non si puo nemmeno parlare di semplicita perché, come Kuhn da dimostrato, in certi casi la nuova teoria risulta altrettanto complessa della vecchia), la loro rnaggiore o minore capacita di affrontare i problemi sollevati dalla tecnica dell’epoca. E precisamente questo i1 punto in cui l’odierna crisi della concezione della scienza sfocia in una crisi della “razionalita scientifica.” Gia ricordammo, nel quarto paragrafo, l’importanza di studiare il “fenomeno scienza” nel suo aspetto dinamico, cioe nel succedersi delle scoperte scientifiche e delle concezioni della scienza. Ma, se questa successione viene interamente ahbandonata a fattori estranei, come quelli poco sopra citati, e chiaro che le funzioni della ragione vengono irrimediabilmente ridotte e la scienza stessa finisce per apparire un fenomeno a-razionale, se non irrazionale. Non e senza motivo che parecchi indirizzi ispirantisi alle idee poco sopra accennate hanno sostenuto la tesi della completa
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subordinazione della scienza a fattori pratici, giungendo a vedere nella proposta di nuove teorie o nella scelta fra una teoria e l’altra (piu in generale, nella scelta dei “programmi di ricerca”) l’espressione diretta delle esigenze di Volta in Volta presenti nella societa dell’epoca o, meglio, nelle sue classi dominanti. Per ora hasti sottolineare che un conto e aifermare queste tesi e un altro, del tutto diverso, riconoscere che l’articolatissimo sviluppo della scienza e delle concezioni della scienza e inseparabile dallo sviluppo generale della societa. Questo riconoscimento infatti non esclude l’esistenza di una dialettica interna al succedersi delle ricerche scientifiche, mentre la tesi della completa subordinazione della scienza airfattori politico-economici nega categoricamente la possihilita stessa di tale dialettica.
VII. Nuovo significato della mziomzlita scientifica Di fronte alla tesi che nega la possihilita stessa di una dialettica interna allo sviluppo delle scienze, gli studiosi come Kopnin non possono fare a meno di parlare di autentico travisamento dei fatti; lo scienziato militante sa invero fin troppo bene che nessuna “ricerca venne mai seriamente impostata se non partendo dai risultati di ricerche precedenti e dalla valutazione critica dei metodi da esse praticati. Ma qual E: l’origine di tale travisarnento? I seguaci e Kopnin e appunto uno dell’indirizzo di Marx, Engels e Lenin non hanno dubhi al riguardo: il travisamento in esame di essi va fatto risalire al carattere idealistico della concezione della scienza che sta alla sua base. Che si tratti di una concezione idealistica risulta a loro parere evidente, se appena badiamo al fatto che, negando alla scienza la qualifica di conoscenza, non possiamo fare a meno di negare una qualsiasi realta alla natura che essa presume di conoscere, onde si ricava che le scoperte scientifiche debhono essere meri prodotti del soggetto (non irnporta se concepito come singolo individuo oppure come comunita di piu individui). Ma allora viene a mancare qualunque motivo per attribuire un carattere almeno intenzionalmente unitario alle teorie che si succedono l’una all’altra e non avra piu senso parlare di una dialettica interna all’evoluzione delle teorie. Non senza motivo lo sviluppo coerente di questo indirizzo ha recentemente condotto alla tesi (suggestiva nella sua paradossalita) della completa variazione di significato dei termini scientifici quan-
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do compaiono in teorie diverse; termini che possono, si, apparire prima facie eguali, ma che in verita sarebbero tra loro incommensurabili e percio renderehhero inconfrontabili le teorie stesse. Si tratta ancora una volta di una tesi in manifesto contrasto con l’effettiva pratica scientifica, che non ha certo difficolta ad amrnettere l’esistenza di termini che assumono significati diversi in teorie diverse, ma e ben lungi dal ricavarne che tali teorie risulterebbero percio fra loro inconfrontabili. Si pensi per esempio al di-
verso significato del termine “numero” nell’aritmetica dei numeri naturali, nella teoria dei numeri razionali e in quella dei reali, teorie tuttavia che possono venire confrontate fra loro facendo ricorso ad opportuni isomorfismi, come ben sa il matematico militante. Il richiamo a cio che concretamente accade hella pratica scientifica costituisce un canone di fondamentale importanza per il filosofo della scienza realista (materialista), la cui costante preoccupazione e di non accettare delle concezioni del sapere scientifico che si lascino sfuggire i caratteri effettivi del “fenomeno scienza.” Senza dubhio questo fenomeno possiede oggi come ahbiamo cercato di spiegare piu sopra dei caratteri nuovi rispetto a quelli comunemente attrihuitigli nei secoli precedenti, caratteri che ci costringono a elahorare una nuova concezione della scienza; ma cio non significa che tale nuova concezione possa prescindere da quello che e sempre stato uno dei due fondamentali protagonisti delle ricerche: la realta naturale (l’altro essendo l’uomo che si sforza di conoscerla). Non si dimentichi, infatti, che il riferimento a tale realta e uno dei fattori essenziali per comprendere il nesso che collega fra loro varie teorie; nesso che si radica nel fatto che queste teorie tendono tutte, sia pure con metodi diversi, a descrivere la rnedesima realta in modo via via piu soddisfacente. Cio che occorre apertamente riconoscere, tenendo conto dei caratteri peculiari dell’attuale conoscenza scientifica, e che questa non si serve solo di nuovi strumenti di osservazione, ma anche di nuovi apparati concettuali pressoché ignoti alla scienza ottocentecome gia sappiamo si vale di un linguaggio sca: per esempio molto piu rigoroso (proprio perché artificiale, perché forternente ‘matemarizzato e, appunto percio, esente dagli equivoci e dalle imprecisioni del linguaggio comune); non teme di fare ricorso a costruzioni paradossali e sottili che entrano in urto con il “buon senso” e con le stesse concezioni ordinariamente ritenute “ragionevoli” della realta; adopera la categoria della prohabilita (“nella comprensione del mondo obiettivo e nella costruzione delle teorie
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scientifiche”) in rnisura molto maggiore che la scienza dei secoli precedenti, ecc. La consapevolezza dell’enorrne peso spettante al pensiero teorico, l’aspirazione a un rigore logico sempre maggiore, la costruzione di metateorie (nell’intento` di controllare esattamente la Struttura delle teorie) sono senza dubbio caratteristiche idonee a distinguere hen nettamente le scienze di oggi da quelle del passato; ma non si capisce perché esse dovrebbero farci concludere che la scienza di oggi non e piu conoscenza. di E ovvio che, per poter attribuire alla nuova scienza il titolo dall’attr1“conoscenza” conoscenza, dobbiamo liberare il termine huto di assolutezza che gli era stato conferito nelle epoche precedenti (per esempio da Galileo, che riteneva assolute seppure parziali le nostre conoscenze scientifiche, e dallo stesso Laplace, che riteneva assoluta la “conoscenza lirnite” posseduta dalla ianiosa lntelligenza da lui fantasticata), e dohhiamo accettare esplicitamente che l’introduzione di nuove categorie, l’aspirazione a' un rigore logico sempre maggiore, ecc. inseriscano nella nostra nozione di conoscenza un carattere di perenne rivedibilita, che una volta sarehhe parso impensahile. Ma cio significa soltanto che, ancora una volta, i mutamenti intervenuti nella scienza hanno prodotto radicali mutamenti anche nella “concezione della scienza” non diversamente da cio che era sempre accaduto in seguito alle grandi svolte verificatesi nella storia della scienza. Si aggiunga che, se oggi noi possiamo parlare di scienze rivolte allo studio di fenomeni diversi da quelli che rientravano nell’an1bito “classico” della ricerca scientifica, per esempio allo studio dei ienomeni direttamente collegati all’uomo (psichici, sociali, linguistici, ecc.), e proprio perché si E: rinnovata la nostraffcpncezione ,della scienza,” svincolandosi dai rigidi criteri di scientificita accoltl in altre epoche. Sintomatico, da questo punto di vista, e 1l iatto che Kant in aperto contrasto con quella che poco piu tardi doveva negava recisamente nel 1_7S6 (PMdivenire l’opinione dominante della natara) che la ch1m1ca_e la della scienza metafisici mi priacipi psicologia (come “dottrina empirica dell’anirna”) sarehbero mai potute diventare autentiche scienze perché la matematica “non e applicahile” ai fenomeni da esse considerati, mentre solo questa applicazione puo condurci a scoprire verita apodittiche; “io affermo che in ogni dottrina particolare della rratura si egli scriveva puo trovare solo tanta scienza propriamente detta, quanta e la matematica che si trova in essa.” _
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Secondo la concezione realistica che stiamo esaminando, non spetta invece né all’applicazione della matematica, come pensava Kant, né all’applicazione del metodo sperimentale, come pensavano gli scienziati positivisti del XIX secolo, il compito di fornire una garanzia che essi avrebbero voluto assoluta -~ della scientificitt di una dottrina, risultando oggi ingiustificato introdurre una esigenza di assolutezza nei metodi della conoscenza scientifica, come pure nei suoi contenuti. Il carattere “razionale” di questa co~ noscenza risiede, al contrario, nella sua capacita di autocontrollo e di autocorrezione, cioe nella sua capacita di “padroneggiare” le proprie costruzioni onde correggerle e rinnovarle nella loro struttura e nei loro metodi, al fine di renderle via via piu idonee a cogliere la realta da conoscersi. Come gia si e detto, il riferimento a tale realta e un elemento essenziale per l’indirizzo realistico-materialistico, non essendovi secondo esso alcuna diversita, almeno su questo punto, fra le scienze naturali e quelle umane. Esse sono scienze in quanto trovano innanzi a sé un oggetto da conoscere, e sono effettivamente in grado di conoscerlo sia pure soltanto in modo approssimato. Sono qui molto illuminanti le indicazioni fornite da Lenin (in Materialismo ed empiriocriticismo e nei Quacierni filosofici) circa il processo conoscitivo, considerazioni che possono riassumersi nei seguenti punti: 1) la realta di cui parliamo non e confondibile con la “cosa in sé” di Kant, perché 'puo venire conosciuta -- e viene effettivamente conosciuta dalla scienza sia pure in modo mai completo e assoluto, ma soltanto relativo (“La dialettica materialistica di Marx e di Engels,” egli scrive, “contiene in sé incontestahilmente il relativismo, ma non si riduce ad esso, ammette cioe la relativita di tutte le nostre conoscenze, non nel senso della negazione della verita obiettiva, ma nel senso della relativita storica dei limiti dell’approssimazione delle nostre conoscenze a queste verita”); 2) questa relativita storica implica che possano venire perennemente rinnovati i nostri strumenti del conoscere, sia quelli pratici (osservativi) sia quelli teorici (flessihilita delle categorie), rinnovamento che e di fatto riscontrahile nello sviluppo della scienza e che dimostra la radicale differenza fra l’effettiva'conoscenza scientifica e la presunta “conoscenza intuitiva” dei metafisici (“Le Categorie,” spiega il materialista L.B. Baienov, “sono un riflesso della realta, mala realta medesima non e un’incarnazione delle categorie di cui disponiamo [...] Nell’amhito del livello teorico della conoscenza ogni descrizione della realta e descrizione nei limiti di
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un certo schema teorico che noi abhiamo accettato, e cheldejve sempre essere tenuto presente nella descrizione di questa rea ta >(Trad. di S. Tagliagamhe, Milano, 1972.)
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progresso sciemfifico come appr0f0f1ciiff2€f1f0
COHOSCUWO
Ci siamo soffermati con una certa ampiezza sulla concezione della scienza elaborata dall’indirizzo materialistico (nel senso di Len1n)» innanzitutto perché essa ci sembra notevolmente adeguataalle pe-
culiarita dela scienza odierna e, in secondo luogo,_p€rQh§ C1_ P@‘{° mettera di delineate un nuovo significato dellaurazionalita scientifica, in riferimento al quale risultera agevole indagare se questa attraversi o no la crisi di cui tanto si parla. Per porci in grado di enucleare tutte le implicanze della _CODcezione anzidetta, cominceremo con l’osservare_che essa s1_r1vela subito assai piu capace della concezione antitetica (sommaria1nente esposta nel sesto paragrafo) di soddisfare le esigenze dello semi;ziato militante, il quale, pur essendo convinto delle radicali di ferenze esistenti fra la struttura delle nuove teorie e quella delle teorie elaborate nei secoli precedenti, non e disposto ad arnmettere che il proprio lavoro sia privo di valoreconoscitivo. _Sappia1T1O infatti che, nella gran maggioranza dei casi, si mostra assai diffidente nei confronti delle sofisticate analisi dei filosofi della scienza 0 comunque esterna spesso nei loro confronti un marcato disinte_
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réssijunico punto che solitamente attrae la sua attenzione e quel: lo concernente il prohlema del progresso. scientifico. Gccorrera dunque esaminare con un certo scrupolo la soluzione che qu€rS'€0 problema trova nell’indirizzo realistico. Innanzitutto va notato che Lenin stesso fa sovente riferimento ai successi della scienza, riconoscendone la grande ;1mp0rt2lHZ2\~ Anzi, egli giunge al punto di sostenere che la sola xria per fI0II1‘ _
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,prendere il significato della conoscenza consistecgproprio nel riflettere sul processo che ci conduce da conoscenae transitprie, relative, approssimate” ad altre “piu complete e piu precise. _Ne 131122re e il rilievo che gli attribuiscono i prosecutori odrerni dell in 1rizzo leniniano, i quali non si lasciano mai sfuggire loccasione per sottolineare che la riflessione filosofica sulla conoscenza sciennfica va in ogni caso strettamente collegata, per non cadere in arti-
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ficiose astrattezze, alla riflessione storica sull’effettivo sviluppo della scienza, cioe sui modi del suo progredire. Ed e certo che essi non sono disposti ad ammettere che tale progresso possa venire spiegato facendo soltanto riferimento al soggetto conoscente, senza tenere presente l’esistenza dell’oggetto conosciuto. E proprio questa esistenza che consente loro di parlare di svolte radicali nello sviluppo della scienza senza ridurle a un puro atto, pressoché gratuito, dello scienziato innovatore. In effetti, checché ci dicano in proposito vari autori occidentali, noi possiamo ricavare da uno scrupoloso esame della storia delle teorie scientifiche che, per lo tneno in inolti casi, l’idea originale che caratterizza una nuova teoria non nasce affatto da un colpo di genio, ma da un’attentissima riflessione sulle vecchie teorie e da una lunga serie di tentativi diretti a correggerle in punti particolari. Riflettere sulle vecchie teorie significa partire da cio che gia si conosce della realta indagata e, tenendo conto delle deficienze che tali teorie hanno rivelato, esaminare in quali punti occorra modificare il loro schema teorico per poter giungere ad una conoscenza piu profonda di quelle gia possedute. Ma che significa “conoscenza piu profonda”? Che criteri possediamo per poter affermare che una conoscenza approssima la realta ineglio di un’altra, iquando non abbiamo modo di confrontarle con una conoscenza “assoluta e perfetta,” dato che neghiamo per principio la possibilita stessa di assegnare (vuoi in riferimento all’uomo, vuoi perfino in riferimento all’Intelligenza fantasticata da Laplace) un significato preciso all’espressione “conoscenza assoluta e perfetta”? Come e noto, e a questo punto che interviene, secondo l’indirizzo in questione, il criterio della prassi. Scrive Lenin: “Per il materialista, il ‘successo’ della pratica umana dimostra la corrispondenza delle nostre idee con la natura ohiettiva delle cose che percepiamo,” ove pero non si dimentichi “che il criterio della pratica non puo mai confermare o confutare completamente una rappresentazione umana, qualunque essa sia.” Ma non corriamo qui il rischio di cadere in una filosofia pragmatistica, che finirehhe per rinnegare uno dei punti piu caratteristici della concezione materialistica in esame, cioe l’attrihuzione alle scienze di un autentico valore conoscitivo? Lenin risponde esplicitamente di no, perché secondo lui la pratica fa parte della ricerca scientifica, ma non la esaurisce in se stessa. In caso contrario, se cioe il successo pratico di una teoria ne costituisse effettiva168
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mente la verita, non si capirehbe come mai il criterio della pratica non risulterebhe in grado di confermare o confutare completamente una rappresentazione teorica (secondo quanto e detto nel secondo dei brani citati). Il fatto e che anche il successo pratico di una teoria partecipa della “relativita storica” cui si e fatto cenno quando al>b121110 Paid?" to dei limiti dell’approssimazione da noi raggiungihile 'della verita obiettiva. Quindi nernmeno esso ci forn1sce_un criterio di conoscenza assoluto e universalmente yalido. Noi dovremo cioe applicarlo tenendo conto delle condizioni _storiche ogni Volta che 0 adoperiamo. E poiché queste condizioni storiche S§>110 faPPf@S€1f' tate dalla situazione dell’epoca alla quale c1_r1fer1atno,_anche a “verita” che esso puo garantirci risultera relat1va_a tale situazione. Ne segue che lo stesso concetto di progresso viene relat1v1Tza'€0> non per ridurlo ad una mera convenzione, ma_per rappgrtarp cornunque ad una situazione concreta. S1 tratta cioe, quan o va un?mo il progresso realizzato da una teoria, di non trasforrnare tade valutazione in un atto metastorico, in un confronto astratto teorie. _
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IX. Le
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crisi della scienza arricchiscono la mzzomzlzm sczen-
tificaz
A questo punto occorrera ancora aggiungere qualche oiseryazione per illustrate il carattere estremarnente complesso de criteassi. (giuiielplpure questo criterio ci fornisce un metro uniyersalntinte valido per stabilire, al di la delle concrete situazionr storip e, la superiorita di una teoria rispetto a un’altra Qche tratti il me esi'
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mo settore fenomenico della prima), con che diritto potremo afterche la scienmare come di fatto concordemente afferrniamo trapasso da un epoca all alza ha compiuto effettivi progressi nel alla nostra? tra, per esempio dall’epoca greca f Per rispondere a questa domanda occorre a nostro parere ai re appello a una nuova nozione (diversa da quella di teoria) one criterio della prassi assume una pregnanza particolare: la nozione di “patrimonio scientilico” di_un’CpOCa,_ C103 dl gfuPP0_d1; tulle C acquisizioni scientifiche (teoriche, pratiche, 1'I1CtO€l0l0g1C el accu' mulate e utilizzate in quell’epoca da una data societa. Questo patrimonio if in certo senso qualcosa di fluido che puo dl volta 111
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volta svilupparsi sia in ampiezza sia in profondita, ora assimilando nuove teorie e nuove tecniche, ora espungendone altre. Orbene, la storia ci insegna che e possibile parlare senza equivoci di un’effettiva, autentica crescita di tale patrimonio (crescita tutt’altro che lineare, anzi a volte tormentatissima) appena si guardi al complesso delle realizzazioni conseguite dall’anzidetta societa sulla base appunto dell’utilizzazione di quanto contenuto nel patrimonio in esame. E un giudizio che si fonda su un esame globizle delle conquiste scientifico-tecniche di un’epoca e dei riflessi che esse hanno avuto sulla cultura in generale; giudizio che partecipa dell’obiettivita dei pid seri giudizi storici autorizzandoci a pronunciare valutazioni incontestabili come quella poca sopra riferita sul confronto fra il
livello conoscitivo raggiunto dai greci e quello raggiunto nel nostro secolo. Per dimostrare l’in1portanza della nuova nozione, hastera aggiungere due precisazioni che essa ci suggerisce: 1) il fatto concretamente constatabile giorno per giorno che non esistono liiniti a priori nella crescita dell’anzidetto patrimonio, costituisce una prova indiretta della validita della tesi secondo cui la conoscenza scientifica e, si, in grado di farci cogliere livelli sempre pid profondi della realta, ma non di fornircene una visione definitiva; 2) il criterio della prassi, in base a cui afferrniamo che il patrimonio scientifico di una certa societa e cresciuto da tale a tal’altra epoca, non ci permette di asserire nulla di analogo per il “patrimonio metafisico”, poiché le teorie metafisiche non posseggono applicazioni e quindi non possono dar luogo né a successi né a insuccessi, parziali o totali. Stando cosi le cose, e chiaro che il filosofo della scienza, il quale condivida la concezione materialistica della scienza sopra delineata, si sentira autorizzato, proprio in riferimento alla nozione composita di patrimonio scientifico di un’epoca, a parlare di articolatissimi nessi dialettici fra lo sviluppo della scienza e quello della societa, o pid esattamente della “ societa civile,” per usare una ben nota espressione hegeliana. Il loro carattere dialettico risiede nel fatto che essi non sono rigidi, cioe assumono forme diverse da un’epoca all’altra, e non sono unidirezionali, in quanto fanno riferirnento sia a un condizionamento dello sviluppo della scienza da parte dello sviluppo della societa, sia all’influenza inversa per cui un certo sviluppo della scienza puo favorire un ben determinato tipo di sviluppo della societa. Trattasi comunque di nessi che non riguardano mai, o pressoché rnai, l’evoluzione di una singola scienza isolatamente conside170
Sul concetto di "criii” della mzionalité icientifica
rata, ma concernono
il complesso delle varie acquisizioni scientifico-tecniche, cioe quello che abbiamo chiamato il “patrimonio scientifico” di un’epoca: patrimonio che costituisce, particolarmente nell’era moderna, uno dei fattori pid caratterizzanti delle diverse societa. E per 1’appunto in tale patrimonio che si realizza, grado a grado, la cosi detta “razionalita scientifica,” non riducibile alle varie tecniche razionali che via via modellano -- in forme ben determinate e per lo pid diverse da una scienza all’altra i singoli settori di ricerca. E una razionalita che non si puo dire in crisis perché si E: venuta arricchendo proprio attraverso le stesse crisi della scienza e le accese polemiche a cui queste hanno dato luogo. Lo si voglia o no, oggi essa costituisce di fatto, nei suoi molteplici aspetti teorici e pratici, qualcosa di irrinunciabile per la societa moderna; una conquista che va di continuo coraggiosamente rinnovata, nella consapevolezza che questo e l’unico modo per conservarla. Ovviamente sarebbe assurdo sostenere che tale razionalita sia in grado di risolvere essa ed essa sola tutti i problemi dell’uomo; cio contrasterebbe infatti sia con il Catatteré relativo che oggi concordernente attribuiamo alla conoscenza scientifica, sia con l’apertura che caratterizza l’attuale concezione della scienza. Ma un conto e riconoscere questa situazione, un altro conto ben diverso -- e trarne motivo per rifiutare ogni valore alla conoscenza scientifica, in quanto non assoluta e non onnirisolutiva. La vera “crisi della razionalita scientifica” sta proprio qui: nel fatto che esistano persone intestardite in tale rifiuto e che la nostra classe dirigente, pur non disposta certo a rinunciare ai risultati pratici della scienza, favorisca ipocritamente il diffondersi di tale rifiuto al fine di frenare l’istanza critica intrinseca alla razionalita scientifica, nel mal<-celato timore che si finisca per applicarla anche alla valutazione del modo con cui sogliono venire trattati i problemi organizzativi di fondo del rnondo rnoderno.
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Nota bibliografica* A
CURA DI MARIO QUARANTA
a) Scritti di fnecodologia 1
2 3.
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di filosofia della scienza
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Ludovico Geymonat Questa bibliografia comprende tutti i pid importanti contributi di della scienza, filosofia generale, storia relativi a questi argomenti; metodologia, filosofia completa degli scritti di e su Ludovico della scienza e della filosofia. Per una bibliografia con B. Maiorca da Garzanti, Geymonat si rimanda al volume pubblicato in collaborazione 1977. L’a1'ma della critica di L. Geyfnonat, Milano
173
Nota lvilfllolglu//l1'd
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Nota bibliografica La logiea di Dewey
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176
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9
B l
3331, I
Le citazioni da Laplace e da Torricelli sono ricavate dai seguenti volumi inclusi nella Collezione dei classici della sctenza. 1.
P. S. LAPLACE, Opere seelte, T ' 1967.
a
cura di D. Pesenti Cambursano, UTET, .
2. El)r'l'ri)Ci1RICELLI, Opere scelte, a cura di L. Belloni, UTET, Torino 1975.
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Indice
Pagina
Aw/erteaza
Iatffodazioae Capitolo prima
Salla categoria della tolalita Premessa, 19 - 2. Tofalita e probabilita, 21 - 3. La categoria della iotalita ia matematica, 24 - 4. La categoria della tolalita nelle scienze della aatara, 27 - 5. La caiegoria della totaliia aell’edifieio complessizzo della scienza, 30 1.
Capitolo secondo Logica e dialezfzfica 1.
Il raolo esseaziale della logiea aella seienza odiema, 36
-
2. Salla fanzioae conoscitiva della logica e della matematica, 38 - 3. Necessi/fa di estendere le aostre ifadagini anche alle noziofii non esazftamente definite, 43 - 4. Il metodo dialetlico, 45 - 5. Il ricorso alla dialettiea nello studio del ”patrimo-
aio seientifieo-teenico,” 50
Capitolo terzo
La qaestioae del realismo Il problema del solipsismo, 54 - 2. Diffieolta del realismo iagenao, 56 - 3. Perplexsita di alcani xeieaziati odierai di froate alla tesi realista, 59 - 4. Il comzeazionalismo fisico: saoi merizfi e sae diffieolla, 62 - 5. Il erizferio della prasxi, 66 6. Il pffoeesso di approfoadimento, 70 - 7. Verso una nuova eoaeezione della realta, 73 1.
Capiiolo qaarto
La erescizfa della seienza e la sua razioaalita 1.
Conxiderazioni introdattive, 77
-
2. Le iiaterpretazioni tra-
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Indice
dizionali della creseita della seienza, 78 - 3. Critiea dei ire schenii esposfi nel paragrafo precedente, 79 - 4. Reeenti interpretazioni della creseita della scienza, 82 - 5. Critica del coneetto di ricostrazione razionale, con particolare riferirnento a Lakatos, 85 - 6. Sul possibile ricorso alla dialettiea nell’0pera di razionalizzazione della storia della seienza, 89 - 7. Caratleristielae di uno stadio della “crescita della scienza” svolto con il nietodo dialetzfieo, 92
Capilolo qainto
La natara e l’a0rn0 Il coneetto Classico di natara, 96 - 2. Siill’0ggetti11ita dell’ordine natarale, 98 - 3. La correzione della natara ad opera dell’aorn0, 101 - 4. Riflessi della eritiea dei conzzenzionalisti sal coneetto di natiira, 104 - 5. Un tentativo di applicare la dialettiea al coneetto di natara, 106 - 6. Scienze specialistic/ae e concezione generale della natara, 109 - 7. La razionalita seientifiea e la tecnica, 113 - 8. La non-neatralita pratiea della seienza, 117 1.
Capitolo sesto coinpizfi della dialettiea nella coinprensione e trasfor-
I
rnazione delle soeieta 1. Lirniti della presente indagine, 122 - 2. Sisteini giaridiei e patrifnonio delle istitazioni civili, 123 - 3. Salle eontraddizioni, interpretate corne rnotore della storia, 127 - 4. Individuo e rivolazione, 130 - 5. Salfinterpretazione del eoneetto di classe, 133 - 6. Sai rapporti fra individiii e elassi, 135 - 7. Sai rapporti fra rnasse e caltara, 138
Note finali Appendice
Sal concetto di “erisi” della razionaliia scientifica
I. La eoneezione galileiana del progresso seientifico, 153 - II. Seienza globale e approssirnazione della verita secondo Laplace, 154 - III. Crisi della eoncezione laplaciana della scienza, 156 - IV. Nessi dialettici fra seienza e eoncezione filosofiea della seienza, 157 - V. Recenti inularnenti nella eoncezione della seienza, 159 - VI. Difficolta di negare valore eonoscitivo alla scienza, 161 - VII. Nuovo signifieato della razionalita scientifiea, 163 - VIII. Il progresso seientifieo come approfondifnento conoscitii/0, 167 - IX. Le stesse erisi della scienza arricchiscono la razionalita seientifiea, 169
Nota bibliografica
a cura di Mario
Riferirnenti bibliografici
Quaranta