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Jacques Derrida
La serillara e la dilierenza Traduzione di Gianni Pozzi Introduzione di Gianni Vattimo
Titolo originale L ',"(rittlre et La difference ([) 1967 Editions du Seuil ({~)
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Giulio Einaudi editc're s. p. a.) Torino ISBN 88~o6~I '473~5
Indice
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Derrida e l'oltrepassamento della meta/isica di Gianni Vattimo
La scrittura e la differenza 3
39 8I
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Forza e significazione Cogito e storia della follia Edmond Jabes e la interrogazione dellibro Violenza e metafisica Saggio sui pensiero di Emmanuel Levinas
I99 2I9
255 299
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«Genesi e struttura» e la fenomenologia Artaud: la parole soufHee Freud e la scena della scrittura II teatro della crudelta e la chiusura della rappresentazione Dall'economia ristretta all'economia generale Un hegelismo senza riserve
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La struttura, il segno e il gioco nel discorso delle scienze umane Ellissi
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Indice dei nomi
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Derrida e l'oltrepassamento della metafisica
La scrittura e fa differenza e uscito per Ia prillliL'ioJta nel H)'{17, ed e state stampato in questa traduzione nel 1971. Nei vent' anni, pili 0 meno, che sono passati, l' opera di Derrida si e accresciuta, ed e cresciuta anche Ia sua recezione nella cultura contemporanea; il «decostruzionismo» e penetrato Iargamente anche in aree culturali che inizialmente sembravano refrattarie al suo stile e aIle sue tematiche. Sono anche usciti numerosi ottimi Iavori che presentano criticamente il pensiero derridiano; e molti che, in qualche modo, 10 proseguono Una introduzione alIa riedizione de La scrittura e fa differenza non puo non tener conto di tutta questa Wirkungsgeschichte - per usare il termine di Gadarner - cioe della «storia degli effetti» entro Ia quale l' opera, oggi, ci e consegnata. Cia anzitutto significa, probabilmente, che non e il caso di tentare qui una descrizione preliminare del pensiero di Derrida che avvii a una «prima Iettura» deIl'opera. Non si tratta solo del fatto che bisognerebbe comunque far entrare in gioco anche tutto illavoro che l' autore ha compiuto dopo questa libro; 0, all' opposto, tentare di collocarsi nel punto di vista di un ideale <dettore originario», con una operazione ermeneuticamente impossibile. Questa e una difficoltache riguarda ovviamente tutte Ie opere a cui ci si accosta da una distanza temporale rilevante. Cio che pera tocca specificamente Derrida, e rende difficile 0 addirittura impossibile pensare a una introduzione sistematica che «inquadri» quest' opera determinata nell'insieme del suo pensiero, precedente e successivo, e il fatto che, gia ne La scrittura e fa dif /erenza e soprattutto dopo, illavoro di Derrida ha accentuato progressivamente il proprio carattere «decostruttivo», rifiutandosi sempre pili esplicitamente a ogni tentativo di descrizione sistematica. Epersino difficile stabilire una qualunque gerarchia tra i numerosi termini a cui 1.
1 Una bibliografia aggiornata degli scritti di e su Derrida si puo trovare nell'eccellente capitola che a «Gadamer e Derrida» ha dedicato MAURIZIO FERRARIS nella sua Stario dell'ermeneutica, Bompiani, Milano 1988.
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Derrida e I' oltrepassamento della metafisica
Gianni Vattimo
di volta in volta si applica la sua meditazione: sarebbe arbitrario partire (lalla differenza, dalla scrittura, dalla stessa nozione di decostruzione. Chi ha ascoltato Derrida in Iezioni e seminari, e ha partecipato alle discussioni, sa quanta sia difficile fargli accettare qualunque ricostruzione sistematica del suo pensiero. Spessissimo egli si dichiara frainteso dai suoi interlocutori 1, e cio specialmente quando si cerca di stabilire correlazioni delle sue tematiche con scuoIe, linee di pensiero, mode culturali 0 esigenze spirituali dell' epoca. Nemmeno Ia vicinanza a Heidegger e a Nietzsche, a cui pili spesso, e abbastanza Iegittimamente, i Iettori e commentatori di Derrida pensano quando cercano di «inquadrare», anche a scopi didattici, il suo Iavoro, gli sembra una chiave di Iettura accettabile: del resto, egli comincia con il negare che ci sia una vera continuita tra Nietzsche e Heidegger, e Ii gioca piuttosto, spesso, 1'uno tontro l' altro - con una predilezione per il primo, che pero ein fondo tnotivata principalmente dal fatto che il pensiero di Nietzsche si sot!rae .a qualunque sforza diricostruzionesistematica., edunque un penslero :gia essenzialmente decostruttivo. Forse per questa ragione, molto del Iavoro «critico» che si efatto su Derrida, 0 «a partire» da lui, si esviluppato finora piuttosto come una prosecuzione della sua attivita decostruttiva - molto al di Ia della normale fascinazione a cui soggiace sempre chi si mette a studiare un grande pensatore, finendo non solo per assumere in proprio Ie sue ragioni, ma anche per imitarne 10 stile. Nel caso di Derrida, si etrattato certo anche di questa; con 1'aggiunta, pero, che il contenuto stesso del suo pensiero sembrava determinare precisamente questo atteggiamento come 1'unico possibile, 1'unico «fedele» - giacche farne oggetto di una ricostruzione storico-critica «tradizionaIe» sarebbe apparso come un tradimento. Senza alcuna responsabilita di Derrida, ovviamente, si e venuta COS! moltiplicando una Ietteratura filosofica, e critico-Ietteraria, che molto spesso ha ripreso i caratteri pili superficiali del suo stile, conferendo a non pochi testi, filosofici e non, pubblicati in questi ultimi dieci-quindici anni una oscurita, auraticita, 0 vera e propria illeggibilita (tanto pili paradossale, se si pensa che siamo pur sempre nell'ambito di una «filosofia della scrittura», quale che sia Ia portata di questa definizione), molto Iamentevole perche non di rado si trattava di testi il cui contenuto teorico avrebbe meritato una ben migliore articolazione e possibilita di ricezione. Anche la, spesso Iegittima, irritazione per una
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Ietteratura «derridiana» troppo pedissequamente mimetica nei confronti di certi tratti dello stile del maestro entra a costituire l' atteggiamento con cui, oggi, ci si accosta a La scrittura e fa di/ferenza. Questo atteggiamento, e non solo ne principalmente come reazione al «manierismo» di certi derridiani si potrebbe definire, in termini molto approssimativi, «ricostruttivo>;;'Cio di cui sembra (a noi) esserci bisogno oggi nei confronti dell' opera di Derrida, contro alIa tendenza a proseguire (0, spesso, semplicemente a imitare) illavoro di «decostruzione», euno sforzodi-sistemaziolle..che, senza pretendere a tutti i costi di riconoscervi una articolazione teorica forte, per 10 meno Ia interroghi quanto alIa gerarchia interna dei suoi concetti e quanta ai suoi nessi con Ia cultura .e Ia filosofia dell' epoca. Cio non implica necessariamente l' assunzione di una posizione polemica nei confronti di Derrida; solo, il riconoscimento di una dislocazione, nella quale ci troviamo posti per Ia stessa distanza temporale che ci separa daIl' opera (in questa specifico caso, La scrittura e fa differenza) e che Ia porta a noi nel quadro di una complessa «storia di effetti». Di questa storia fa parte sia quello che abbiamo chiamato il «manierismo» di molti derridiani 0 comunque ispirato a Derrida; sia 10 svolgersi del pensiero di Derrida in senso sempre pili accentuatamente (cOS! almeno pare a noi) decostruttivo - anche se, con un movimento che certo contrasta con questa ipotesi, gli scritti recenti di Derrida rivelano l' ampliarsi del suo interesse nella direzione di tematiche, in largo senso, politiche 1; sia, in termini molto pili generali, quello che ci sembra di poter chiamare l'affermarsi dell'ermeneutica, negli anni recenti, come vera e propria nuova koine di una Iarga parte della nostra cultura Quest'ultimo fatto, se etale, impone all' ermeneutica, e anche al pensiero della decostruzione in quanta ne e una componente essenziaIe, una nuova responsabilita, il compito di fornire risposte e non pili soItanto di porre, avanguardisticamente, domande. In effetti, si puo Iegittimamente pens are che l' esigenzaricostrutti~ che si avverte oggi nei confronti del discorso derridiano (che e, insieme, I' esigenza di ricostruire sistematicamente questa pensiero e l' esigenza di collocarlo nel quadro della storia dell' epoca) sia anche Iegata al pili generale tratl101110 - ne.l.tarte e nella Ietteratura, non meno che nella filosofia - dello spirito dell'avanguardia, che, in campo filosofico, ha 2.
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Cfr.
MAURIZIO FERRARIS,
Derrida 1975'1985. Sviluppi teoretici e/ortuna/iloso/ica, in «Nuova Cor·
rente», n, 31,1984. 1 Si vedano, su cio, varie pagine eli Posizioni, un volume che raccoglie colloqui di Derrida con diversi interlocutori (1972), edizione italiana acura di G. Sertoli, Bertani, Verona 1975.
2 Mi permetto qui di rimandare al mio saggio Ermeneutica nuova koine, in «aut-aut'>, n. 217-18, gennaio-aprile 1987 (ora nel volume Etica dell'interpretazione, Rosenberg, Torino 1989).
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Gianni Vattimo
trovato da ultimo espressione nella «dialettica negativa» adorniana e in molto pensiero radicale francese dei decenni recenti, ivi compreso il decostruzionismo derridiano. Avanguardistico e il «modello» del coup de des mallarmeano, che Derrida richiama molto spes so " e che e uno sfondo costante di tutto il suo modo di concepire e praticare Ia filosofia. Ma quando, come ormai e accaduto anche per effetto della ricezione dell' opera di Derrida, questa avanguardia diventa «ortodossia» (seppure accademicamente ancora debole in Francia, come Derrida spesso privatamente Iamenta; ma certo Iargamente affermata ed egemone quanta aIla diffusione dei suoi testi e delle sue tematiche in tutta Ia cultura, anche accademica, europea e americana), aIlora essa si trova confrontata con richieste in quaIche sen so «sistematiche », ci si aspetta che fornisca risposte, tesi, non soIp, provocazioni e domande. LTutto cio per dire - con Ie cautele preparatorie che il soggetto richiede, e che del resto egli stesso mette in opera nell' avvio di molti suoi saggi, anche in quelli contenuti in questa volume -che proprio Ia ricezione e Ia diffusione che ha avuto il decostruzionismo (usiamo qui, in modo del tutto provvisorio e approssimativo, questa «etichetta» per indicare il pensiero di Derrida) nella cultura attuale sembra giustificare oggil'esigenza di ricostruire Ia decostruzione; 0, evitando il bisticcio, potremmo dire l' esigenza di « secolarizzarla», non solo togliendola daIl' atmosfera auratica in cui inevitabilmente il suo aspetto di coup de des tende a collocarla (c'e sempre qualcosa di «geniale» nelle scelte deco~truttive di Derrida, almeno nel deliberato cominciare senza «introdu~ione», senza Iegittimazione argomentativa esplicita); rna anche, pili semplicemente, collocandola nel secolo, provando a domandarsi come risponde a richieste, aspettative, esigenze che in qualche modo (e sia pure con tutta Ia problematicita che il Derrida di oggi non mancherebbe di rimproverare a un simile concetto) si annunciano nella nostra epoca. Per quanta dunque consapevoli dei rischi che I'impresa comporta, riconosciamo I'esigenza ricostruttiva come un tratto determinante della stessa fortuna attuale (0 Wirkungsgeschichte) della decostruzione; e, aIla Iuce di tale Wirkungsgeschichte, riassumiamo questa esigenza nella questione su Derrida e l' oltrepassamento della metafisica. Questa domanda, se anche non condurra, almeno qui, a una soIuzione del problema ricostruttivo nei termini ampi e articolati che meriterebbe, aiutera alme, Cfr. per esempio vari saggi contenuti ne La disseminazione (1972), trad. it. a cura di S. Petrosino, Jaca Book, Milano 1989 (per esempio pp. 95, 299); e efr. I'insistenza suI gioco nella conferenza su La dif jerance (1968), contenuta in Marges de la philosophie, Minuit, Paris 1972.
Derrida e I' oltrepassamento della metafisica
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~o ~d avvia~e e 'prep~rare, 0 anche solo a giustificare pili ampiamente, 1 eSl?enza d~ cm p~rhamo. La scelta di questo tema specifico per ricos~rulre Derr~da ha vantaggio di collocarlo nel quadro di quelle filosof~e ch~, quall che SIano poi Ie specificazioni, gli sono comunque pili vi~ne. E d:I resto anche Ia domanda con cui egli si misura in quella sorta dl opera maugurale che e Ia prima parte di Della grammatologia'. Di «oI~repassamento della metafisica», come si sa, ha parlato soprattutto Heidegger - rna al di Ia di lui Ia questione, nel senso in cui concerne anche Derrida, e comune a pen sa tori come Nietzsche, Levinas Foucault, ai quali Derrida si richiama esplicitamente; e a filosofi che ~li sono per tanti aspetti affini, come Adoroo'. Nell' assumere quasi come scontato il compito, per il pensiero, di 01t~epassare Ia metafisi<;a,Derrida condivide e riflette un atteggiamento diffuso ~ell~ cultura, no? s?Io francese, degli anni sessanta, gia direttamente 0 mdirettamente lsprrato a Heidegger. Come gia nel caso di Heid:gger, anc?e in Derrida sarebbe difficile individuare una specifica raglD?e «teonca)~ per proporsi un simile compito: come e impossibile che Heldegger vogha oltrepassare Ia metafisica in quanto e un pensiero che rappresen:a ~alsamente I'ess.ere come ent.e. e al quale dunque bisognere~be So:tlturre una rappresentazione pili corretta (giacche e nella stessa Idea dl una rappresentazione corretta che risiede 1'« errore» della metafisica), COS1 sarebbe sviante immaginare che il programma decostrutt~vo derridiano, che e un programma di oltrepassamento della metafiSIca analogo a quello di Heidegger rna anche caratterizzato da alcune specifiche connotazioni (come vedremo, I'identificazione della metafisica ~on il fono-Iogo-centrismo della cultura occidentale), si Iegittimi come ncerca di un pensiero pili «fedele» aIle cose come sono al di Ia della «can~ellazione della traccia» in cui Ia metafisica consiste. Ne! programm~ di oI~repass~e Ia metafisica, in Derrida come in Heidegger e in tutti g!l auton c~e Sl muovono in questa prospettiva, c'e un'origine necessanamente «lmpura» - spes so non esplicitamente riconosciuta' rendersi conto. di essa, e tem~tizza~Ia significa forse anche fare quaI~he pas so avant~ verso 1 attuazlOne dl que! programma. Questa origine «impura» e anzltutto una generale aria del tempo, una diffusa sensibilita del-
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, Della grammat%gia (1967), trad. it. a cura di R. BaIzarotti, F. BonicaIzi, G. Contri, G. DaImasso, A. C. Loaldl, Jaca Book, MIlano 1969; d'ora in avanti, quest' opera sara citata tra parentesi ne! testa con Ia slgIa G e Ia pagina dell' edizione itaIiana. , Cfr . ."ncora, per un accostamento eli Derrida a Adorno e alIa teoria critic a, FERRARIS Derrida I975-I985 CIt. '
Derrida e I' oltrepassamento della metafisica
Gianni Vattimo
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l' epoca I: l' epc!Ql in cui si verifica una Nietzsche-Renaissance (anni sessanta) parallela e interconnessa con la ripresa di interesse per Heidegger (che finalmente penetra anche nella cultura, egemone, «di sinistra»), sotto il segno della dine della filosofia», cioe di una diffusa aspettativa per una trasformazione radicale dello stesso ruolo del pensiero. Le prime operedi Derrida (la Grammatologia, anzitutto; ma anche La voee e il/enomeno, La serittura e la dif!erenza, e la stessa introduzione alIa husserliana Origine della geometria) sono tutte permeate di questa problematica. Derrida respinge I'idea pura e semplice di una fine della filosofia; ma solo perch€: sembra un sogno troppo semplicistico, che fa Ie cose troppo facili. Come in altri esponenti della tradizione heideggeriana, anche in Derrida la fine della filosofia e piuttosto un «lungo addio» alla metafisica e al ruolo tradizionale del pensiero: la metafisica, dice la Grammatologia (G 7), e chiusa, rna.non finita. Questa aspettativa di una trasformazione radicale del pensiero, che ha probabilmente Ie sue origini nei primi decenni del Novecento (si pensi non solo al Tramonto dell'Oeeidente di Spengler, ma anche all'utopismo di Bloch, alla Krisis di Husserl, oltre che a Heidegger, naturalmente) si specifica pero, negli anni sessanta, in relazione a problemi pili vicini e attuali: la decolonizzazione e la guerra d' Algeria, per esempio, sono decisive per capire 10 stato d' animo della intellighenzia francese di quegli anni. Lo strutturalismo levi-straussiano, che intende farla finita con l' etnocentrismo implicito in tutta la filosofia della storia otto-novecentesca, studiando gli uomini «come formiche» - cioe, anzitutto, tutte Ie culture come fornite degli stessi diritti, fuori dalla gerarchia evoluzionistica che ha ispirata e giustificato l'imperialismo europeo, e certamente un'espressione emblematica di questa clima. Quel che c'e di pili e di specifico, nella tradizione nietzscheano-heideggeriana, e che si ritrova in Derrida (ma che forse e gia riscontrabile in Sartre, e nel rapporto problematico, se non esplicitamente ambiguo, che egli stabilisce tra esistenzialismo, ancora ideologia, e marxismo, come teoria vera, nella Question de methode) e la consapevolezza che un eventuale passaggio a un punto d.i vista non pili eurocentrico, 0 metafisico, non si compie con la decisione di un momento, e nemmeno con l' assunzione di un punto di vista epistemologicamente diverso, come quello strutturalista. AHa generale per2
I Si veda su questa punta il capitola dedicato a Derrida da v. DESCOMBES, Le meme et l'autre. Quarantecinq ans de philosophie franraise (1933-1978). Minuit, Paris 19 86 . 2 Cfr. J.-P. SARTRE, Critica della ragione dialettica (1960), trad. it. a cura eli P. Caruso, II Saggiatore, Milano 1963, vol. I, pp. 129 sgg.
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suasione che la metafisica va oltrepassata, e cioe che si deve preparare u.na trasformazio?e radicale del modo di concepire il rapporto del pens~e~~ ~l ~ssere, S1 acc~mpagna la consapevolezza della relativa imposs1bil1ta d1 questa comp1to. Da questa punto di vista, e forse sintomatico che uno dei primi saggi de La serittura e la di//erenza sia dedicato alIa Storia della /ollia di Foucault, che viene interrogata proprio dal punto di vista della possibilita di costruire un discorso che parli dei limiti della razionalita moderna essendo consapevole di poter parlare solo dall'in~erno (almeno in ~erta mi~ura) di questi stessi limiti. L'itinerario lungo 11 quale, nel sagglO,. Dernda perviene alla conclusione, gia anticipata nella prima nota, secondo cui la difficolta che Foucault riconosce nell' esperienza della ragione classica (del razionalismo cartesiano) e invece una difficolta della ragione in generale, in quanto il movimento del 10gos, la cancellazione della traccia, insomma il sorgere della metafisica come dimenticanza, violenza, anche etnocentrismo della razionalita, e qualcosa che non si supera mai davvero, ma e il segno della stessa storici.t.a - questa itinerario eesemplare.(e 10 si potrebbe rintracciare come struttura soggiacente in gran parte dei saggi de La serittura e la dif /erenza e forse in tutta l' opera di Derrida) della condizione di difficolta che il pensiero esperisce nello sforzo di oltrepassare la metafisica' e anch~ dell' esito a cui sempre di nuovo, almeno nell' opera di Derrid~, esso va mcontro. Se non epossibile un vero e proprio salto fuori dalla meta£isica (come Heidegger ha tanto spes so ripetuto), il pensiero che tuttavia si sente c?iam~to a tale compi~~ si configura come necessariamente «parassitano» nspetto alIa trad1zlOne dalla quale si vuole liberare. Abbondano si~ nel saggio su Foucault, sia in tutta La serittura e la dif!erenza e nell~ pnma parte della Grammatologia, Ie allusioni alIa «strategia» alla ambiguita e pericolosita del movimento di oltrepassamento dell~ metafisica, alIa sua inevitabile obliquita - fino alI'idea di una «sovversione» che si prepara dall'interno e. che usa Ie risorse strategiche ed economiche farnite dalla metafisica stessa (G 28). Viene in mente Klossowski che si muove nello stesso clima spirituaIe, e che parla tanto spesso dl (<-complatto»; e.anche Deleuze, e prima ancora, come si eaccennato, Sartre. Le ragioni che ha Derrida per considerare necessario un oltrepassa~ento ?~lla metafis~ca, che peraltro, per Ie medesime ragioni, appare 1mposs1bile (almeno m senso compIeto), sono Ie stesse di quelle di Heide~ger: ~altare ~uori dalla metafisica eimpossibile, radicalmente, perche nOl C1 mUOV1amo sempre entro quadri di esperienza del mondo pre-
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Gianni Vattimo
XIV
disposti dallinguaggio che abbiamo ereditato,che «ci» parla, e del quaIe non possiamo fare a meno per andare miticamente «aIle cose stesse»; /lla andare aIle cose stesse non e solo impossibile; non garantirebbe un oltrepassamento della metafisiea, perche proprio il sogno di incontrare ~' essere come oggetto presente davanti a noi e cio che costituisce la metafisica. Come si e accennato, sarebbe sviante pensare che Derrida, e prima di lui Heidegger, vogliano uscire daIla metafisica perche questa rappresenta in modo sbagliato 1'essere (come ente, oggetto davanti a noi, ecc.) e cerchino invece una rappresentazione del.l:.essere..piJ] Fedele (cioe, inevitabilmente, pili oggettiva). Dunque, dobbiamo in qualche modo cercare nella stessa esperienza dell' ambiguita, obliquita, necessitaimpossibilita del compito di oltrepassare la metafisiea - compito che Derrida fin da principio condivide con, 0 eredita da, Ia cultura filosofifa del suo tempo - i «motivi» che inducono a rifiutare 1'idea metafisica klell' essere come presenza dispiegata. Anche qui - e non credo sia una deformazione interpretativa, troppo gravata di eredita heideggeriane - il cammino di Derrida riealca quello di Heidegger: quella che il saggio suAnassimandro contenuto in Sentieri interrotti chiama 1'epocalita dell'.essere, cioe il suo caratteristico darsi solo mentre anche sempre si sottrae, e che e il nocciolo della «ontologia» non metafisica di Heidegger, non e gia COS! chiara nello Heidegger di Essere e tempo (1927), rna si delinea solo nell' esperienza della Kehre, della svolta che Heidegger descrive poi, nella Lettera sull'umanismo (1946), come I'impossibilita di proseguire Essere e tempo (che infatti e rimasto incompiuto) a causa del «venir meno» dellinguaggio. II venir meno dellinguaggio puo arrestare Ia prosecuzione dell' opera solo nella misura in cui l' eredita della metafisiea che parla in esso si rivela (come Ia razionalita del saggio su Foucault, 0 il fono-Iogo-centrismo della Grammatologia) resistente a ogni tentativo di liberarsene con una decisione puntuale (come sarebbe quella di «foggiarsi» un nuovo strumento linguistieo). In qualche modo, e Heidegger il primo a ripensare l' ontologia, cioe un'« idea» non metafisiea dell'essere, sulla base dell'esperienza della insormontabilita della metafisiea, e della conseguente condizione di obliquita in cui il pensiero, che tuttavia avverte Ia necessita di uscire dalla metafisiea, si trova confinato. Ein un certo senso vero che anchel'ontologia heideggeriana - quella che non senza una certa violenza interpretativa, che comincia 1
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19 68.
Cfr.
M. HEIDEGGER,
5entieri interrotti (1950), trad. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze
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Derrida e l' oltrepassamento della metafisica
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daIl'uso dello stesso termine «ontologia», possiamo riassumere nella tesi della epocalid, 0 eventualita, dell'essere -.e anzitutto, 0 forse esdusivamente, una trascrizione dell' esperienza della insormontabilita della metafisiea che si fa sen tire mentre si avverte la necessita del suo oItrep.assamento. Come scrive Derrida nella Grammatologia: «1'esitazione di questi pensieri (in questo caso quelli di Nietzsche e di Heidegger) non euna "incoerenza": e un tremore proprio a tutti i tentativi posthegeliani e a questa passaggio tra due epoche» (G 28). In Derrida, questo movimento (la trascrizione ontologica di una esperienza vissuta di ambiguita e obliquita) e visibile nel primo saggio de La scrittura e la dif !erenza, quello suForzae signi/icaziQl1£: sebbene esso non cominci esplicitamente, come quello su Foucault, con un richiamo all'esperienza della insuperabilita della metafisiea, il nesso con quella esperienza non sembra negabile; eladalsith dellaquieteapollinea della forma dell'opera d' arte, che nega il proprio esser-divenuta, quella che a un certo punto si impone al critieo spingendoloa cercare un linguaggio capace di ({direJila forza,.la genesi, l' oscuro che sta alIa radiee della forma. Bisogna pero «avere in mente una certa impotenza dellinguaggio ad uscire da se per dire Ia sua origine ... » (p. 34). In questa specifico testo, quello che costituisce Ia difficoIta per illinguaggio di dire la forza e il dominio della metafcrradeHaluce - rna si tratta ancor sempre della presenza illspiegata che caratterizza Ia metafisiea, e di cui Ia metafora della luce e solo una delle piu forti espressioni. Facendo 1'esperienza del dominio di questa metafora in tutto il nostro linguaggio concettuale, si incontra «la pesantezza essenziale che trattiene e reprime irrimediabilmente il discorso nella metafisica» (p. 34). Cio che accade qui, pero (e, aggiungeremmo, proprio in quanta Ia pesantezza si rivela essenziale, come illinguaggio che «viene menD» a Heidegger) «solo con una certa ingenuita si puo considerare come il riprovevole e provvisorio accidente di una :storia"; come un Iapsus, un errore del pensiero nella storia (in historia). E, in historiam, Ia caduta del pensiero nella filosofia, per mezzo della quale Ia storia ha presQ avvio ». Se c'e in Derrida qualcosa che si puo chiamare ontologia, essa e radicata qui: non e un semplice accadimento storieo {in historia)quello che pone il pensiero nella condizione di difficolta, ambiguita, obliquita che esso esperisce nello sforzo di oltrepassare Ia metafisica; ha invece da fare con una struttura originaria. «La divergenza, ladiff.erenzatra Dioniso e Apollo, tra 10 slancio e la struttura non si cancella nella storia, perche essa non e nella storia. Eanch' essa, in un senso insolito, una struttura originaria: l' apertura, Ia storicita stessa» (p. 36). La «struttura originaria» - non 1'essere, di cui Derrida
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Gianni Vattimo
preferisce non paciare, e di cui secondo lui anche Heidegger dovrebbe non parlare pili' - di cui il pensiero fa esperienza a partire dalla condizione di ambiguita-obliquita dello sforzo di oltrepassare la metafisiea, e fa differenza. Nel termine, come Derrida spiega nel saggio su «La diff6rance» che apre Marges de la philosophie (e che e del 1968), e implicito anche un chiaro riferimento_al tempo, al differire come ritardare; sicche e vero che solo con un arbitrio, solo perche obliquamente siamo ancora prigionieri dellinguaggio metafisieo, la differenza si puo chiamare una struttura originaria. Essa, cioe, non e «data» ali'occhio del pensiero come un simultaneo «star divisi» di due 0 pill «parti» dell'essere originario, rna come un «differirsi» nel quale soltanto, l' origine ~i costituisce. E quiche la differenza e strettamente legata alia scritmra. \ll modo speciiieo - che non ha, questa volta, alcun precedente 0 parallelo nel cammino di pensiero heideggeriano - in cui Derrida fa esperienza della improseguibilita della metafisica,della necessita e impossibilita del suo oltrepassamento, e 1'imporsi del tema della serittura. Lo stesso «imporsi» di questa «tema» (qui siamo di nuovo molto vicini all' eventualita dell' essere heideggeriano) non e una «scoperta» che a un certo momento permetta a un pensatore, a una scuola, a un'epoca, di cogliere finalmente un carattere dell'essere, una sua struttura, che prima era sfuggita; questa «imporsi» e aneh'esso un evento nel movimento di reduplicazione che «costituisce» l' origine come origine. In un testa che e forse rimasto unico nell' opera di Derrida, per Ia sua ambizione di giustificare in termini epocali 1'impresa della decostruzione, e cioe Ia gia rieordata prima parte di Della grammatologia (1967), perrida descrive il movimento attraverso il quale, oggi, aecadeLa/ine dellibroe.l'inizio dellascrittura (cosi suona il titolo del primo capitolo). Cia che abbiamo sotto gli occhi - ed era pill evidente, certo, negli anni sessanta in cui Derrida scriveva queste pagine - e un venire in primo piano dellascrittura, fin nella terminologia comune: «Da un certo tempo, con un gesto e secondo motivi profondamente necessari di cur sarebbe pill facile denunciare Ia degradazione che disvelare l' origine, qua e Ia si diceva "linguaggio" per azione, movimento, pensiero, riflessione, coscienza, inconscio, esperienza, affettivita, ecc. Oggi si tende a dire "scrittura" per tutto cia e per altro ... » Accade 10 stesso nel campo delle scienze: «oggi il biologo parla di scrittura e di pro-gramma a propos ito dei piu elementari processi di informazione nella cellula vivente». Dal , efr. per esempio Ie pagine conclusive de La di!!erance, in Marges de fa philosophie cit.; e, nella stesso volume, il saggio su Ousia et gramme.
Derrida e I' oltrepassamento della metafisica
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canto suo, Ia matematica teoriea, con Ia sua importanza centrale per Ia struttura di tutte Ie scienze sperimentali, «contesta dall'interno e in modo sempre pill profondo 1'ideale della scrittura fonetiea e tutta Ia metafisica» che esso impliea (G 12- 13). In generale, Ia linguistica contemporanea di ispirazione strutturalistica, sebbene per un verso sia ancora prigioniera di una concezione metafisica del segno come cia ehe «sta per:»:it.signifirnm, e dunque tenda a degradare il segno scritto come cia che sta semplicemente per qualcosa che a sua volta sta gia per altro,iJ;ldiea pero anehe nella direzione di una liberazione del signifieante seritto da questa dipendenza (efr. G 17). Non c'e solo una nuova tematizzazione del significante nella linguistica, rna anche un pill generale movimento di «sviluppo delle pratiche dell'informazione» che «estende ampiamente Ie possibilita del "messaggio", fino al punto che questa non e pill la traduzione "scritta" di un linguaggio~ i1 trasporto di un significato che nella sua integrita potrebbe rimanere parlato. Tutto cia va di paripasso con un'estensione della fonografia e di tutti i mezzi per conservare illinguaggio parlato, per farlo funzionare al di fuori della presenza del soggetto parlante. Questo sviluppo, unitamente a quello delI'etnologia e della storia della scrittura, ci insegna che Ia serittura fonetica, ambito della grande avventura metafisiea, scientifiea, tecnica, economica dell'Occidente e Iimitata nel tempo e nello spazio, si limita da se stessa nel momento stesso in cui sta per imporre Ia sua Iegge a quelle poche aree culturali che ancora Ie sfuggivano» (G 13-14). In conseguenza di tutto cio, «avviene come se, cessando di designare una forma partieolare, derivata, ausiliaria dellinguaggio in generale ... iI-concettodi scrittura cominciasse a debordare 1'estensione deLlinguaggio» (G 10). Linguistiea, pratiche dell'informazione, crisi dellibro per inflazione dei libri circolanti e raccolti nelle sempre pill mastodontiche biblioteche, affermarsi della matematiea teorica e della sua contestazione della serittura fonetica, gill gill fino alIa popolarita del termine scrittura nellinguaggio comune - tutto questa rappresenta quell a «falla» attraverso Ia quale si Iascia intravvedere «il chiarore dell'oltrechiusura», cioe dell'oItrepassamento della metafisiea (efr. G 17), e che anzitutto rende visibile Ia chiusura (G II). Illegame del fono-Iogo-centrismo con Ia metafisiea, e con Ia tecniea " che, secondo I'insegnamento di Heidegger, ne e come un corollario, ., \consiste per Derrid,an"el f,,atto che 1'idea che illinguaggio sia anzitutto 1a parolaparlata,la vhlavoc.e, traduce immediatamente il pregiudizio imetafisieo per il quale 1'essere e presenza a se, prossimita immediata come quella ehe, secondo Aristotele, Iega Ia viva voce allo stato d' animo
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Gianni Vattimo
che vi si esprime. Rispetto a questa presenza immediata a se, Ia tecnica viene concepita da sempre come Ia messa in atto di artifici, per forza derivati e degradati in quanta «copiadi copia», 0 mezzi per imitare una presenza che pero non si Iascia restaurare e condanna ali'inautenticita tutte queste imitazioni, a cominciare-daHascrittura. L' emergere della scrittura come qualcosa di non pili semplicemente funzionale alia parola parlata costituisce il primo passo della rottura della metafisica,Jo SYJ!Iarsi della sua chiusura, del fatto, cioe, che Ia metafisica e un even to, un' epoca determinata, che come ora appare a fine anche e «cominciata» e divenuta - in quell' evento inaugurale che e l'istituirsi dell' origine come duplicazione che cancella Ie proprie tracce. Che Ia falla nella metafisica sia costituita anche dalla fine dellibro, ~Itre che da tutti gli altri fenomeni che abbiamo sopra elencato, puo sembrare contraddittorio nella misura in cui illibro sembra essere un supremo fatto di scrittur.a. Ma Derrida (e questo il tema di una sezione consistente della prima parte di Della Grammatologia) pens a che anche Ia centralita che l'idea dellibro ha avuto nella tradizione occidentale (dalia Bibbia allibro della natura scritto in caratteri matematici di cui parlava Galileo) sia in verita una manifestazione della metafisicafono-Iogo-centrica: sia Ia Bibbia sia illibro della natura sono sempre stati pensati in opposizione..alle scrittuKe ai lihri «inferiori>2-.che sono scritti dagli uomini; non solo: IDa questa persistente idea di una inferiorita dellibro scritto dall'uomo si riverbera anche nella subordinazione del singolo segno alia totalita del libra, che permette di capirne il vero senso; e che dunque rappresenta ancora sempre l' espressione di un predominio della presenza, nella £ormaaella totalita, fosse pure solo Ia totalita di un sistema disegni scritti. Contro l'idea dellibro come «protezione enciclopedica della teologia e Hellogocentrismo », bisogna Iasciar agire «1' energia dirompente, afori~tica della scrittura» (G 2 I). (In fondo, si puo ricordare qui solo di passaggio, nell'idea di una verita aforistica della scrittura, contro la totalita dellibro, si cela unodei puntidi contrasto di Derrida con Heidegger: Ia concezione che quest' ultimo, e poi forse il suo discepolo Gadamer, hanno dell' essere come Ueber-lie/erung, tradizione-trasmissione di messaggi Iinguistici scritti, e ancora Iargamente improntata al modello del libro). La prospettiva dell' emergere della scrittura, dalla quale Derrida fa specificamente l' esperienza della chiusura della metafisica, determina anche il suo modo di pens are l' essenza della metafisica stessa. Il nascondersi dell' essere mentre fa apparire gli enti, che in Heidegger e un concetto assai difficile da spiegare, e che si e sempre tentati di illustrare e
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iustificare con l'indebitoricorso a metafore £otologiche (per Ie quali il elarsi dell' e.s. sere e com~ il ce!arsi ?ella fonte di Iuce, che proprio co sf asciavederele cose cheillUlllina) SI connota..(anche se, ancora una volta, non si «spiega») in Derrida come il fatto dell'istituirsi d~'origi~e che immediatamente si da come origineprima, nascon4endo il proprto carattere di istituzione e, in definitiva, di iscriziane. E Iecito, e forse inevitabiledomandarsi se anche qui siamo in presenza di una metafora (come quella fotologica che domina e caratterizza Ia metafisica): <;he significa propriamente che 1'0rigine non e presenza maiscrizione? E tut~ tavia una domanda che non si puo formulare, giacche Ia stessa Idea dl un senso proprio da cogliere al di Ia della metafora sarebbe ancora un cedimento alia metafisica della presenza, e in definitiva solo l' abbandonarsi a un' altra metafora, quella della Iuce, della voce che presenta l' essere «in persona» (con l'ulteriore paradosso che 10 stesso termine persona, come si sa, significa maschera). La metafisica non va,o!trepa~sata perche e un pensiero dominato da una metafora; rna perche e domtnata da una metafora che non tiene pili, quella della Iuminosita-presenza, minacciata ormai dalla fall a che las cia intravvedere l' oltre-chiusura. Nella tematizzata consapevolezza dell'impossibilita di oltrepassare la metafora in direzione di un «sensa proprio» sta probabilmente il nocciolo dello specifico contributo derridiano al pensiero dell' oltrepassamento della rnetafisica, di Ia dalie posizioni diHeidegger e, sempre phI spesso, in una esplicita presa di distanza da lui '. Se infatti, in molti sensi,.si puo tranquillamente ritenere che il pensiero dell' origine come. differenza che si da nella scrittura sia una Iegittima e fedele elaborazione della dottrina heideggeriana dellinguaggio come «casa dell:.esst:re» - giacche questa casa, anche in Heidegger, non e certame?:e il.linguaggio come linguaggio vivo, parlato in presenza, rna Ia stratlftcazlOne di forme sintattiche, parole, opere «classiche», dunque illinguaggio come cristallizzazione e iscrizione, e nu1l'altro (suI che, tuttavia, Derrida forse non sarebbe d'accordo) - sembra d'altra parte che, senza I'esplicita tematizzazione della scrittura, che e caratteristica della meditazione di Derrida, 10 sforzo heideggeriano di oltrepassare Ia metafisica sia sempre esposto al rischio di autofraintendersi come sforzo di ricuperare l' e.ssere...come presenza. Ora, anche a prescindere dalie specifiche argomentazioni che Derrida adduce per mostrare l'esistenza di questa ri-
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1 Cir. Ira gli altri numerosi testi in questo senso, Posizioni cit., pp. 8S sgg. e passim. Tra gli scritti pili recenti di Derrida vanno ricordati su questo punto la conferenza La matn de Hetdegger, nel volume Psyche, Galilee, Paris 1987; e De ['esprit. Heidegger et fa question, ivi 19 87.
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schio di ricaduta metafisica - e che spesso, come nel saggio su La main de Heidegger, sembrano is pirate a una prospettiva paleo-esistenzialistica, antropologica, anch' essa troppo legata alIa tradizione metafisica e indubbio che in Heidegger tale rischio eben presente; e ad esso non e estraneo nemmeno il triste capitolo dei rapporti di Heidegger con iLnazismo, di cui recentemente si e tomato a discutere con tanto clamore ':solo il confondere, a un certo punto, I'oltrepassamento della metafisica con un qualche ricupero dell' essere «in presenza», nella sua vera essenza, puo spiegare l' errore heideggeriano di aver legato, sia pure per un momento, la possibilita di un tale oltrepassamento con i destini del nazismo, l' affermazione del popolo tedesco e della sua lingua~ sideratapiu~nriginaria» delle altre lingue europee). Questo equivoco sembra una spiegazione del nazismo di Heidegger molto pili interna (e verosimile) di quella, per esempio, proposta da Habermas', secondo cui sarebbe stata la stessa idea della eventualita dell' essere, del suo darsi solo «je und je », di volta in volta in aperture storiche non sorrette da una struttura vera ed etema (fosse pure solo, come in Habermas, la struttura trascendentale della comunicativita), a spingere Heidegger nella sua adesione al nazismo, pensata come adesione al destino stesso dell'essere. Anche a prescindere dalla questione del nazismo - che potrebbe anche esser messa da parte come un incidente biografico, l'espressione di una bassezza morale che non tocca la validita della teo ria} - e abbastanzaevidente che il problema dell'interpretazione del pensiero di Heidegger (e, anzitutto, dell' autointerpretazione di Heidegger stesso) e queUo di mantenersi fedele al.suo intento di oltrepassamento della metafisica, evitardo dunque tutte Ie tentazioni di ricaduta nel pensiero della presenza. E rispetto al modo di esser consapevoli e di sfuggire a questo rischio che, in definitiva, si distinguono Ie interpretazioni e gli sviluppi che il pensiero di Heidegger ha avuto nella filosofia attuale; si puo parlare, riprendendo non del tutto arbitrariamente la terminologia applicata alIa scuola di Hegel, di una destra e di una sinistra heideggeriane. Lo Heidegger di destra, in questa ipotesi (che non implica necessariamente riferimenti politici)sarebbe il filosofo della Selva Nera, il I Soprattutto in relazione alia pubblicazione dellibro di v. FARIAS, Heidegger e il nazismo ('987), trad. it. Bollati Boringhieri, Torino 1988. 2 Cfr. di J. HABERMAS, II discorso /iloso/ico della modernita (,985), trad. it. di Emilio ed Eva Agazzi, Laterza, Bari 1987. ) Cfr. per esempio R. RORTY, Prender sui serio la /ilosa/ia, in «aut-aut», n. 2Z6-'7, luglio-ottobre 19 88.
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teologo negativo, mistico, il critico della civilta della tecnica, illettore auratico di Holderlin e dei presocratici. Di sinistra sarebbe invece 10 Heidegger del pensiero del Ge-Stell, per il quale l' organizzazione tecnico-scientifica del mondo, che e l' espressione della metafisica al suo culmine, non puo essere respinta e combattuta mediante il ritomo nostalgico a un' esistenza pre-tecnica, e comunque legata a un recupero delle radici, dell' autenticita, della natura, rna solo cogliendo Ie possibilita di una nuova apertura dell' essere che sidanno proprio nello stesso G~l'. E appena il caso di avvertire che nell'ipotesi che qui si presenta e 10 Heidegger di destra (fino allo Heidegger nazista) quello che contraddice all'intento originario di oltrepassamento della metafisica, e..ricade nel pensiero della presenza. Tuttavia (come ho argomentato altrove '), sembra che l'unico modo di evitare questa ricaduta sia seguiJ:e fino in fondo layia, da Heidegger stesso indicata, di una radicale .5tOricizzazione ed eventualizzazione dell' essere. L' oltrepassamento della metafisica sarebbe cioe possibile solo a patto di pens are l' essere non tanto come quello che si da non nella presenza rna nella differenz~ (<< struttura originaria», sia pure insolita); rna invece come quello che S1 sottrae alIa presenza nel corso di un destino, di un Ge-Schick, di un insieme concatenato (sia pure non secondo leggi rigide) di epoche, che solo nelloro succedersi e tramandarsi costituiscono la sua essenza, il suo darsi. Efacile vedere quanta questa darsi nel differimento epocale di una trasmissione sia vicino alIa di!!erance derridiana. E, tuttavia, Derrida sembra interessato a incontrare sempre di nuovo - ed e il senso profondamente unitario di tutti i saggi de La scrittura e la di//erenza l' evento della cancellazione originaria della traccia, l' evento inaugurale della storia, che pero e un evento non-storieo. Non c'e, per lui, una storia dell'iscrizione, meno che mai delle iscrizioni. La prima parte della GrammatoiogJa, a cui di proposito qui ci siamo richiamati COS1 spesso, e forse l'unico testa derridiano che sembri muoversi nel senso di una storicita dell' evento dell'iscrizione. Vi si parla di epoca, di una cesura decisiva nella storia della metafora dellibro e in quella della scrittura, cesura rappresentata da Rousseau. E, come abbiamo visto, si parla di una «falla» che si apre nella metafisiea con l'epoca presente, nella quale, sebbene solo con una strategia 0 uno stratagemma, si puo gettare uno I Pef una illustrazione di questo concetto heideggeriano, e un rimando pili puntuale ai testi che ne parlano, si vedano vari capitoli del mio La fine della r;zodernita, Garzanti, Milano 1985: . . . , Mi permetto ancora di rimandare al mlO sagglO su MetafiSlca, vlOlenza, secolarzzzazlOne, 10 FiIosofia 86, a CUfa di G. Vattimo, Laterza, Bari 1987.
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sguardo al di Ia della metafisica. Ma, se non andiamo errati, dopo Ia Grammatologia e gia a partire dai saggi de La scrittura e fa di/ferenza che di quell' opera sono contemporanei, Ia storicita e sempre pili apparsa a Derrida nei termini in cui Ia presenta il saggio su Foucault, 0 anche quelli su Levinas e su Rousset; .come sinonimo della finitezza dell' esistenza, in una prospettiva che, per quanto cia possa apparire strano,.avvicinaDerrida all' esistenzialismo. Sebbene Ia differenza sia una struttura originaria sui generis, che non e data mai come un ideale fondamentoetcrno, sia pure conflittuaIe, dell' essere dell' ente, rna sempre gia cowe differimento e duplicazione, dunque come evento, essa tende a rirnanere, nel pensiem.cierridiano, unarchi:cyentochc fondaks.toria, tna non ha, a sua volta, una storia. Ora, Ia «storia dell' essere» di cui parla Heidegger e bens! tale nel senso soggettivo del genitivo (Ie aperture della verita, quelle, pili 0 meno, che Foucault chiama Ie epistemai, gli universi storico-culturali, Ie epoche, appartengono all' essere: e su cia si fonda il sospetto di Derrida secondo cui Heidegger sarebbe ancora alIa ricerca di un universale, di un Grund); rna da questa e inscindibile un senso oggettivo del genitivo: l' essere stesso non e null' altro dal GeSchick, dal rimandarsi e tras-mettersi delle epoche: non una essenza :/ universale, rna una sorta di «rassomiglianza di famiglia» del tipo di quelle di cui parla Wittgenstein, dove nulla resta costante dall'inizio alIa fine della catena, c'e solo Ia continuita delle connessioni. Non sembra si possa dire 10 stesso di una derridiana «storia della differenza»; se un' espressione del genere ha un senso, ce I'ha solo nel significato soggettivo del genitivo: Ia storia appartiene alla differenza, rna non Ia differenza alIa storia. Tutto questo - che qui rimane necessariamente solo abbozzato, e serve solo a illustrare il modo in cui oggi, a pili di vent' anni di distanza, si rilegge La scrittura e fa di//erenza - ha Ie sue conseguenze suI modo derridiano di concepire e tentare l' oltrepassamento della metafisica. Sono queste conseguenze che, secondo noi, risuonano oggi sia nella esigenza - se e tale - di ricostruire Ia decostruzione, sia nella difficolta di corrispondervi. Lo sviluppo del pensiero di Derrida (e si vedano su cio anche tante pagine dei dialoghi raccolti in Posizioni) ha proceduto nel senso di una accentuazione del programma decostruttivo, e di una presa di distanza dal p~thos epocale che ancora risuona nella prima parte della Grammatologia. E difficile formulare ipotesi sui motivi di questa sviluppo. Si puo pens are che, alIa fine, abbia prevalso il modello «avanguardistico», e in fondo anche Ietterario, del coup de des, visto come sola possibile garanzia, nel suo insuperabile carattere rischioso, nella sua ap-
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parenza di arbitrio, controle.ricadute ne~met.afisica della. presenza, nella razionalita fonditzionalistica, nella fllosof1a della stona. Al programma dell'oltrepassamento della metafisi~a Derrida ~ima~reb~e dunque fedele ripetendo sempre di nu~v~, oggl come vent a?U1 fa'~1 rischio.£o~.geniale, forse anche...estet1s11cO., ?e~deco~~e, con tutt~ Ie.sue connotazioni« strategiche» parassltane, persmo d1 complotto . Con il risultato finale di riproporre (come appare fin dal bellissimo saggio su Levinas ne La scrittura e la di/l.erenz~) una p~si.zione che sembra riportabile all' esistenzialismo, a una filosofla della fm1tezza che talvol~a prende anche colorazioni religiose (i1libro di cui e questio~e ~el sagglO suJabes, in quest'opera, non e un libro qualunque,. e la B1bb1a).. . Un' altra ipotesi, non necessariamente alternauva a q~esta, Clrca 1 motivi dell' esito «esistenzialistico» del pensiero di Dernda, puo essere che Ia presa di distanza, se c'e stata, rispetto al pat?os ep.o~ale della Grammatologia sia anche segretamente mossa da un 1mp~lhd1re! nella prospettiva di Derrida rna anzitu~to nell' epoca stes~a, d1 ~uegh elementi oggettivi di oltrepassamento, d1 quella dalla» a Cill Dernda allora conferiva tanta importanza: anzitutto la linguistica e la sua presenza determinante nella cultura. Come vedra chiaramente illettore de La scrittura e fa di/ferenza, i saggi di quest' opera parlano relativ~mente po~o di linguaggio, di segno, persino di scrittura. Potrebbe d~rs1. che la SC:1ttura sia stata per Derrida uno strum~nto come l~ ~cala d1 Cill par~~ W1~t genstein, che una volta usata per sahre nel paghalO non s~rve P1~ e V1ene Iasciata da parte? .. E questa sospetto, che non cred1amo Sla stato mai formulato nella Ietteratura derridiana, non sorgera oggi perche forse viviamo in una fase del pensiero in cui ormai anche la tesi heideggeriana sullinguaggio come «casa dell' essere » sembra sulla via di perdere il suo peso? Questa osservazione - sia nel senso pili ristretto che guarda alla re: lativa presa di distanza di Derrida dalla li~guistica com.e?a qualcosa d1 datato· sia nel sen so pili ampio, che suggensce una poss1bile obsolescenza neila cultura recente, dell' enfasi posta suI Iinguaggio e anche sulla sc;ittura (si parla ancora di scrittura come nel momento in cui Derrida scriveva la prima parte della Grammatologia?) -.e anch' essa un n;odo di collocare (il discorso del)la differenza nella stonNotrebbe dars1 che I'importanza della «scoperta» derridiana del nesso di~ferenza-scrittu~a, e della metafisica come oblio della scrittura, cancellazlOne della tracCla, 1
Su questi aspetti del pensiero di Derrida si veda ora il capitola 6 di RICHARD RORTY, La /iloso/ia dopo
la/iloso/ia, Laterza, Roma·Bari 1989.
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debba essere considerata anch' essa come un momento del Ge-Schick dell' essere di cui parla Heidegger, e nella cui luce soltanto l' essere, dandosi come susseguirsi (tras-missione, Ueber-lie/erung) di aperture, di epoche, e non (pili) come presenza tutta dispiegata, manifesta una direzione, un senso, identificabile come una tendenza alla dissoluzione che sarebbe il modo di svelarsi della sua vera essenza post-metafisica. I saggi de La scrittura e fa di/ferenza, allora, non andrebbero letti tanto come vari modi di pensare, rintracciare, l' archi-struttur.adel1'.origine..:.uauorigine, dell'iscrizione, rna come un ampliamento, in direzioni menD «datate» e provvisorie, del discorso «epocale» della Grammatologia, come momenti non della «scoperta» dell' archi-struttura, bens! tappe del GeSchick dell' essere, orientato a lasciar apparire finalmente (0 meglio: in un modo specifico per il nostro oggi) la propria duplicita, e cioe a procedere sulla via di una interminabile dissoluzione della presenza.l , ~
GIANNI VATTIMO
La seplttupa 8 la dillep8Dza
iI tutto senza novita di una spaziatura della lettura MALLARME, Prefazione a Un coup de des
Forza e significazione ,',
Forse, da Sofocle in poi, noi siamo tutti dei selvaggi tatuati. Ma l'arte e qualcosa di piu dell'esattezza delle linee e della levigatezza delle superfici. La plastica dello stile non e estesa quanto l'idea ... Noi abbiamo troppe cose e non abbastanza forme. FLAUBERT,
Avvertenza. AI momento di !ileggere 9u~sti testi per raccoglierli in volume, vorremmo rilevare :he non pOSSIamo sentIrcI a eguale distanza rispetto a ciascuno di essi. Cio che qUI resta 10 spastamenta di un'interragaziane forma, in fondo, un sistema. Col soccorso di qualche cucitura interpretativa, non sarebbe stato difficile delinearlo a po.steriori. Ne abbiamo fatto trasparire solo iI tratteggio, lasciando sussistere 0 lasclando cadere quei vuoti senza i quali un testa non si presenta mai come tale. Se testa vuol dire tessuta, tutti questi saggi ne hanno ostinatamente definito la cucitura alIo stato di imbastitura. J. D. Dicembre 1966.
Preface
afa vie d'ecrivain
1.
Se l'invasione strutturalista dovesse un giorno ritirarsi, abbandonanQO sulle rive della nostra dvilta Ie sue opere e i suoi segni,essadiventerebbeun problema per IO.storieo delle idee. Forsepersino un oggettg. Ma 10 storieD si sbaglierebbe se arrivasse a questa conclusione: .i1eT momenta in cui la considerasse come un oggetto, ne smarrirebbe il senso doe il fatto che si tratta, innanzitutto, di un'avventura dello sguardo, di una conversione nel modo di porre l'interrogazione nei confio,ntidi ogni oggetto. Nei confronti degli oggetti storid - i suoi - iii particolare. E tra essi, particolarmente insolita, lac.osaletteraria. Analogamente: che oggi, la riflessione universale, in tutti i campi, attraverso tutti i suoi procedimenti e malgrado tutte Ie difIerenze, subisca il formidabile contraccolpo di una inquietudine sullinguaggio - che non puo essere che un'inquietudine dellinguaggio e prodotta nellinguaggio stesso -, e una strana congiuntura che per la sua natura stessa non puo dispiegarsi in tutta la sua ampiezza allo sguardo dello storieo, nel casu che egli cerchi di riconoscervi il segno di un'epoca, la moda di una stagione 0 il sintomo di una crisi. Per quanta scarse siano Ie nostre conoscenze a questa proposito, e certo tuttavia che l'interrogarsLsul s.egno e diper se pili 0 meno, in ogni caso, tutt'altra cosa, che un segno del tempo. II sogno di ridurla a questo, e un sogno di violenza. Soprattutto quando questa interrogazione, storica in sen so insolito, si avvidna al punto in cui la natura semplicemente segnica dellinguaggio sembra tanto incerta, parziale 0 inessenziale. Si concedera facilmente che l'analogia tra l'ossessione strutturalista e l'inquietudine dellinguaggio non e casuale. Non sara dunque mai possibile, attraverso una riflessione seconda 0 terza, sottoporre 10 strutturalismo del xx secolo (quello della " Force et signification, in «Critique», 193-94, giugno-Iuglio 19(,3.
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La scrittura e la differenza
critica letteraria, in particolare, che partecipa allegramente al concerto)
~lIo stesso tipo di analisi che un critico strutturalista si e propos to per
11 XIX secolo: contribuire ad una «storia futura delI'immaginazione e della sensibilita» 1. D'altra parte non sara neppure possibile ridurre il potere di seduzione che ha assunto la nozione di struttura a un feno)!lenO dLrnoda a meno di non reinterpretare, prendendolo suI serio _ operazione indubbiamente tra Ie pili urgenti - il senso della immaginazione, della sensibilita e della moda. In ogni caso, se anche 10 strutturalismo deve qualcosa all'immaginazione, aIIa sensibilita e aIIa moda, nel senso usuale di queste parole, non sara mai in esso la cosa essenziaIe. Ji.atteggiamento strutturalista e il nostro modo attuale di porcidi 'tronte e dentro allinguaggio, non sono solamente momenti della storia. Stujiore, l2"il!t.t<.>sto, che ci viene dallinguaggio come origine della storiil-:-Eaa]a storicita.stl:!ssa. E anche, di fronte aIIa possibilita della par'>.~fgia dasempre in essa, la ripetizione finalmente avvertita, e portata finalmente aIle dimensioni della cultura mondiale, di una sorpresa di proporzioni diverse da ogni altra da cui prese Ie mosse quello che viene chiamato il pensiero occidentale; questa pensiero il cui destino consiste tutto neII'estendere il suo regno, a mana a mana che l'Occidente riduce il suo. Nella sua intima intenzione e come ogni interrogazione suI linguaggio, 10 strutturalismo sfugge dunque a quella storia classica delle idee che ne presuppone gia la possibilita, che appartiene in-modo irigenuo alIa sfera dell'interrogato ed e proferita in essa. Tuttavia, per tutta una zona che in esso e irriducibile di irriflessione e di spontaneita, per l'ombra essenziale del non manifesto, il fenomeno strutturalista dovra essere pres~ in esame dallo storicodelle idee. Bene o male. Sara necessario prendere in esame tutto quello che in questa fenomeno non e trasparenza di per se della interrogazione, tutto quello 2
1 Nell'Univers imaginaire de Mallarme (Ed. du Seuil, Paris 1961 p. 30 nota 27) J.-P. Ri. chard difatti, scrive: «Saremmo lieti se iI nostro lavoro potesse offrir~ qualche nuovo materiale per quella storia futura dell'immaginazione e della sensibilitii, che non esiste ancora per il XIX secolo, rna che ctrto dovrii portare avanti Ie ricerche di Jean Rousset suI barocco, di Paul Hazard suI XVIII secolo, di Andre Monglond suI preromanticismo». 2 d'truttura - nota Kroeber nella sua Anthropology (Harcourt, Brace and World, New York 1948, p. 325) - sembra non denatare altro che I'indulgenza di fronte ad una parola dalla significa. zione perfettamente definita rna che improvvisamente assume, per una deeina d'anni, una seduzio· ne di mcda - allo stesso modo ehe la parola "aerodinamica" - e in seguito tende ad essere appli· eata indiscriminatamente nel periodo che resta in voga, per I'attrattiva delle sue consonanze », Per afferrare la profonda necessitii che si eela sotto iI fenomeno, d'altronde incontestabile, della moda, bisogna operare dapprima per «via negativa»: la scelta di questa parola e, da principio, un insieme - certamente, strutturale - di esclusioni. Sapere perche si dice «struttura» e sapere perche si vuole smettere di dire eidos, «essenza», «forma», Gestalt, «insieme», «composizione», «com· plesso~), «costruzione», «correlazione», «totalita», «Idea», «organismo», «stato», «sistema», ecc. Bisogna comprendere perche mai ognuna di queste parole si sia rivelata insufficiente, rna anche perche la nozione di struttura continui ad attingere da esse a!cune significazioni implicite c a lasciarle soprawivere in se.
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che, nelI'efficacia di un metodo, implica quel genere di infallibilita che si suppone nei sonnambuli e che in passato si attribuiva alI'istinto, asserendo che era tanto pili sicuro quanta pili cieco. La dignita di quella scienza umana che e chiamata la storia sta fra l'altro, nel privilegio che Ie compete di interessarsi, negli atti e nelle istituzioni dell'uomo, dell'immensa regione del sonnambulismo, di quel quasi-tutto che non e il puro stato~cli,;.X~.8.~La, l'acidita sterile e silenziosa deIl'interrogazione stessa, il.quasi-nictJ1P. Poiche viviamo nella fecondita strutturalista, e troppo presto per eccitare il nostro sogno. Dobbiamo immaginare in esso quello che poirebbe significare. Forse domani 10 si potra interpretare come un rilassamento, se non un Iapsus, nell>attenzione aIla forza, che e tensione della forza stessa. La"forma affascina quando nonsi ha pili Ia forza di cpmprendere Ia forza iictsuo interno. Cioe di creare. Ecco perche'Ia critica Ietteraria e strutturalista in ogni epoca, pel' essenza e destino. Essa non 10 sapeva; incomincia a capirio ora, e pens a se stessa in quanta concetto, in quanto sistema e in quanta metodo. Sa ormai di essere separata dalla forza e si vendica, taIvolta, dimostrando'con protondita e serieta che Ia separazione e Ia condizione dell'opera e non soltanto del discorso sull'opera '. Si spiega in tal modo Ia nota profonda, il pathos malinconico che e possibile cogliere attraverso Ie grida di trionfo del1'~g~.!1gsita tecnica 0 della sottigliezza matematica che talvolta accompagnano certe analisi cosiddette «strutturaJi». Come Ia malinconia per Gide, tali analisi non sono possibili che in seguito a una certa sconfitta , SuI tema della separazione dello scrittore, efr, in particolare iI cap. III dell'Introduzione di ]. Rousset a Forme et signification (Corti, Paris 1962). Delacroix, Diderot, Balzac, Baudelaire, Mallarme, Proust, Valery, H. James, T. S. Eliot, V. Woolf sono chiamati qui a testimoniare che 1a separazione e esattamente I'opposto dell'impotenza critica. Insistendo su quest. separazione tra I'atto critico e Ia forza creatrice, non facdamo che segnalare I. pill banale necessitii d'essenza ~ al· trC
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della forza e nel movimento del fervore che si e spento. In questa senso, 1a coscienza strutturalista e semplicemente 1a coscienza come pensiero del passato, voglio dire del fatto in genera1e. Riflessione del compiuto, del costituito, del costruito. Storica, escatica e crepusco1are per situazione. -'-Ma nella struttura non c'e soltanto 1a forma, 1a relazione, 1a configurazione. C'e anche lasolidarieta.; e 1a tot alit a che e sempre concreta. Secondo l'espressione di J.-P. Richard, la «prospettiva» strutturale e, nella critica letteraria, «interrogativa._e...total.itari.a» '. Laforza della nostra debolezza sta nel fatto che l'impotenza s~para, disimpegna, e1E~l1£!P.~. Stando cost Ie cose, si vede meglio la totalid, e possibile il p~qta1l;l~e III panorogrl:lfia. II panorografo, immagine per eccellenza dello strumento strutturaIista, e stato inventato nel 1824, ci dice il Littre, «per sviluppare immediatamente su di una superficie piana la visuale prospettica degli oggetti che circondano l'orizzonte». Grazie alIo schematismo e a una spazializzazione pili 0 menD confessata, si puo perconere in piano e pili liberamente il campo disertato dalle forze. Totalita disertata dalle forze, anche se e 1a totalid della forma e del sensa, perche allOIa si tratta del sen so ripensato nella forma, e la strut~ e l'unid formal.e della forma e del senso. Si potra dire che questa neutralizzazione per mezzo della forma e 1'atto delI'autore, primadi essere quello del critico, e fino a un certo punto sara vero. Ma il problema e proprio di vedere fino ache punto. In ogni caso il progetto di pensare 1a totalita e pili facilmente dichiarato, oggi, e tale progetto si sottrae anche di per se stesso aile mWjJ~d~t~rminate della storiHlassica. Perche e progetto di superarl:hln questa modo il rHievo e il con, torno delle strutture risaltano meglio quando il contenuto, cheel'energia vivet)te del senso.e.neutraIizzato. Un po' come l'architettura di una citta disabitata 0 estinta,'ridotta" al suo scheletro da qualche catastrofe naturale 0 artificiale. Citd che non e pili abitata ne semplicemente abbandonata, rna piuttosto invasa dal senso e dalla cultura. Questa invasione, che Ie impedisce di ridiventare natura e forse, in generale, il modo di essere presente 0 assente della cosa stessa di fronte allinguaggio pIlIO' Linguaggio puro che la letteratura pura vorrebbe mettere in saIvo;'come oggetto della critica letteraria pura. Non c'e nulla, dunque, di paradossale nel fatto che 1a coscienza strutturalista sia coscienza catastrog~a, distrutta e insieme distruttrice, df!strutturqwe, come 10 e ogni COSClenza, 0 almeno il momenta decadente, periodo proprio ad ogni mo, L'univers imaginaire de Mallarme cit" p. I4.
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vimento della coscienza. Si intravvede la struttura al sopraggiungere della mintlc!ia, nel momento in cui I'imminenza del pericolo concentra i nostri sguardi sulla chiave di volta di una istituzione, sulla pietra in cui si compendiano la sua possibilita e la sua fragilita. E possibile, allora, minacciare metodicamente 1a struttura per percepirla meglio, non solo nelle sue nervature, rna in quel punto segreto in cui si rivela non pilierezione 0 rovina, rna 1abilita. Questa operazi9!!,t si chiama (in latino) curare 0 soIZl!.£!!!:.re. In altre parole signific~1muovere, can una scossa chena rapporto con Htutto (da sollus, latino arcaico: il tutto, e da ci: tare: dare una spinta). La cura e la sollecitazione strutturaliste, quando diventano metodiche, si danno solo l'ilIusione della liberta tecnica. In realta riproducono, suI registro del metodo, una cura e una sollecitazione dell' essere, una minaccia storico-metafisica dei fondamenti. E nelIe epoche di disJ()fqljQl~e storica, quando veniamo espulsi dalluogo, che si sviluppa di per se stessa questa passione strutturalista che e nello s:esso tempo una specie di febbre sperimentale e uno schematismo proIt{er~nte. II barocchismo puo esserne un esempio. Non si e parlato, a proposito di esso di «poetica strutturale» e «fondata su una retorica»!? Ma anche di «struttura esplosa», di «poema dilacerato, 1a cui struttura sembra suI punto di saltare» '? La liberta che ci e concessa da questo disimpegno critico (in tutti i sensi delI'espressione) e dunque sollecitazione e apertura sulla totalita. Ma che cosa ci nasconde questa ap~n1Jr.a? Non gia tralasciando 0 sottraendo alI'evidenza qualcosa, rna dentro la sua stessa chiarezza? Ce 10 domandiamo di continuo, leggendo il bellibro di Jean Rousset: Forme et signification. Essais sur les structures litteraires de Corneille aClaudeI'. La nostra interrogazione non e una reazione a quello che alcuni hanno chiamato «ingegnosita», e che a noi sembra, a parte qualche momento, sia molto di pili e molto meglio. Di fronte a questa serie di esercizi briIlanti e penetranti, intesi a illustrare un metodo, si tratta piuttosto, per noi, di dar voce a una inquietudine sorda, in quanto non appartiene soltanto a noi, al lettore, rna sembra trovare una corrispondenza, nellinguaggio, nelle operazioni e nei risultati migliori dellibro, con quella deII'autore stesso. , Cfr, G. GENETTE, Une poetique structurale, in «Tel Que!», 7, autunno 1961, p. 13, , Cfr. J. ROUSSET, La litterature de ['age baroque en France, I: Circe et Ie paon Corti Pa· ris 1963. Vi si puo leggere, in particolare (P. 194), a proposito di un esempio tedesco: «L'inferno un m?ndo ,in ~ezzi, un disastro che il poema imita fedelmente con quella confusione di grida, que! m!scuglto dl torture profuse a caso, in un torrente di esc1amazioni. La frase si riduce ai fuoi elementi disarticolati, l'ossatura del sonetto va in pezzi: versi troppo corti 0 troppo lunghi qtar· tine squilibrate; il poema esplode ... » ' J Cfr. p. " nota.
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Rousset riconosce, certo, parentele e figliazioni: Bachelard, Poulet, Spitzer, Raymond, Picon, Starobinski, Richard, ecc. Eppure, ma1grado l'aria di famiglia, Ie derivazioni e i frequenti omaggi di riconoscenza, Forme et signification, ci sembra, sotto pili di un aspetto, un tentativo isolato. . Prima di tutto per una differenza premeditata. Differenza nella quaIe Rousset non si isola prendendo delle distanze, ben sf approfondendo scrupolosamente una comunita intenzionale, facendo affiorare enigmi nascosti sotto valori oggi accettati e rispettati, valori certamente moderni, rna gia abbastanza tradizionali da essere diventati il luogo comune della critica, cioe perche si cominci ad esaminarli e a dubitarne. Rousset fa capire Ie sue intenzioni in una notevole introduzione metodologica che diventera senza dubbio, accanto all'introduzione all'Univers imaginaire de Mallarme, una parte importante del discorso suI metodo neIIa critica lettera1'ia. Moltiplicando Ie referenze introduttive, Rousset non confonde il suo programma, rna tesse una rete che ne rinsalda l'originalita. Per esempio:che nel fatto letterario, il ljnguaggio faccia tutt'uno con il sens(), che la forma faccia parte del contenuto delI'opera; che, .come dice G. Picon, «per l'arte moderna, l'opera (non sia) espressione rna creazione» " tutte queste sono proposizioni che riscuotono un consenso unanime solo perche si riferiscono a una nozione molto equivoca di £
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pura e la Critica del giudizio, malgrado Ie differenze, ci parlano della . stessa immaginazione. Arte,. certo., rna «arte nascosta» che non si puo «esibire patentemente dinanzi agli occhi» '. «L'idea estetica si puo chiamare una rappresentazione inesponibile dell'immaginazione (nel suo libero gioco)>> 3. L'immaginazione e la liherta che non si manifesta _se n()n nelle sue op~re. Queste ultime non sonol nella natura rna non stanno in un altro mondo dal nostro. «L'immaginazione (come facolta dicorioscere produttiva) ha una grande potenza nella creazione di un' altra natura daIla materia che Ie fornisce 1a natura reale» '. Ecco perche l'intelletto non deve essere 1a facolta essenziale del critico, quando esso si accinge al riconoscimento delI'immaginazione e del bello, quello che noi chiamiamo bello, e «in cui l'intelletto sia a servigio dell'immaginazione e non viceversa» 5. Perche appunto «la liberta dell'immaginazione consiste nello schematizzare senza concetto» 6. Questa origine enigmatica dell 'opera come struttura e unit a indissociabile - e come oggeito della critica strutturalista - e, secondo Kant, la prima cosa sulla quale noi dobbiamo portare la nostr~ attenzione.'. Co sf anche per Rousset. Fin dalla prima pagina, egli coIlega «la natura del fat to letterario», sempre interrogata insufficientemente, «al ruolo neII'arte di questa funzione capitale, 1'immaginazione», a proposito della quale «abbondano Ie incertezze e Ie opposizioni». Questa nozione di una immaginazione che producelametafora - cioe tuttonellinguaggio, fuorche il verbo essere - resta per i critici quello che alcuni filosofi chiamano oggi un cO}!cet~Qg'pe?:.'1.tJ.vo i1}R~nuamente utilizzato~ Superare questa, ingenuita f~~f.1ica, vuol dire riflettere il concetto operativo come con~~tto temq:', tiCQ~ Proprio questa sembra essere uno dei progetti di Rousset. Per riconsiderare pili da vicino l'operazione deIl'immaginazione creatrice, bisogna percio rivolgersi alI'interno invisibile della liberta pg~tic~l. Bisogna distaccarsi per raggiungere nella sua notte l'origine cie<.:a deII'opera. Questa esperienza di conversione che instaura l'atto letterario (scrittura 0 lettura) e tale che Ie parole stesse di separazione e d'esilio, in quanto designano sempre una rottura e un percorso all'inI
1 1. KANT, Critica della ragion pura, trad. di P. Chiodi, Utet, Torino 1967, p. 192. I testi di Kant a cui ci riferiremo - e molti altri testi che citeremo pill oltre - non sono stati utilizzati da Rousset. Seguiremo il criterio di rinviare direttamente aile pagine di Forme et signification cit. ogni qual volta ci riferiremo a citazioni usate dall'autore. 2
Ibid.
Critica del giudizio, trad. di A. Gargiulo (riveduta da V. Verra), Laterza, Bari I963'. § 57, nota prima, p. 208. 4 Ibid., § 49, p. In S Ibid., nota generale alia prima sezione dell'analitica, p. 88. 6 Ibid., § 35, p. 142. 7 !D., Critica della ragion pura cit. 3 1. KANT,
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terno del mondo, non possono manifestarla direttamente rna solo indicarla con una metafora Ia cui gene alogia meriterebbe da sola Ia totalita della riflessione. Perche qui si tratta di una uscita fuori daI mondo, verso un Iuogo che non eun non-luogo ne un altro mondo, ne un'utopia ne un alibi. Creazione di «un universo che siaggiunge alI'universo», come suggerisce un'espressione di Focillon, citata da Rousset (p. II), e che non dice se non l'eccedenza suI tu tto, quel nulla essenziale, a cominciare daI quaIe tutto puo apparire e prodursi neI linguaggio e di cui Ia voce di Blanchot ci ricorda con I'insistenza della profondita che esso eIa possibilita stessa della scrittura e di una ispirazione Ietteraria in generaIe. SoIQ1:.ll-l"s.~nza pur.a - non l'assenza di questa 0 di quello - rna l'assenza dt tutto, in cui si rivela ogni presenza - puq ispirare, 0 in aItre parole to!mentare, pQi far Iavorare. IIlibro puro enaturaImente rivolto verso I'oriente di questa assenza che e, aI di qua e aI di Ia del carattere innato di ogni ricchezza, il suo contenuto proprio e primo. IIlibro puro, illibro in se stesso, deve essere, per quel che ein esso insostituibiIe in modo essenziaIe, questo «lib.t:o su niente» che sognava FIaubert. Sogno aI negativo, in grigio, origine dellibro totaIe che ha ossessionato aItre immaginazioni. Questa vacanza come situazione della letteratura, equello che Ia critica deve riconoscere come specificita del suo oggetto, attorno alta quale si parla sempre. II suo proprio oggetto, poiche il nulla non eun oggetto, epiuttosto iI modo in cui questa nulla stesso si determina p~rd.~ndosi. E ilpassaggio alIa determinazione dell'opera come travestimento delI'origine. Ma quest'ultima non epossibile ne pensabile se non sotto il travestimento. Rousset ci mostra fino ache punto spiriti tanto diversi tra Ioro come DeIacroix, Balzac, Flaubert, Valery, Proust, T. S. Eliot, Virginia Woolf e moIti altri ancora, ne avessero una coscienza sicura. Sicura e certa, anche se per principio non poteva essere una coscienza chiara e distinta, poiehe non era I'intuizione di qualcosa. Bisognerebbe aggiungere a queste voci, quella di Antonin Artall.4 che usava meno perifrasi: «Ho esordito nella Ietteratura scrivendo libri per dire che non potevo scrivere assolutamente nulla. Quando avevo quaIcosa da dire 0 da scrivere, era proprio il mio pensiero quello che maggiormente mi era negato. Non avevo mai idee e due libri brevissimi, di settanta pagine I'uno, si svoIgono attorno a quella assenza profonda, inveterata, endemica di ogni idea. Sono L'ombilic des limbes e Le Pese-Nerfs» 1. Coscienza di aver da dire come coscienza di nulla, co-
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1 Citato da M. Blanchot in «L'Arche» (27-28, agosto-settembre 1948, p. 133). Non identica a questa, la situazione descritta in Introduction fa methode de Leonard de Vinci? [Cfr. P. VALERY, (Euvres, a cura di J. Hytier, GalIimard, Paris "957, t. I, pp. II53-99J.
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scienza che non eindigente, rna soffocata daI tutto. Coscienza di nulla, partendo dalla quale ogni coscienza di qualcosa puo arricchirsi, prendere senso e figura. E puo sorgere ogni paroIa. Perche il pensiero della cosa come quello che essa esi confonde gia con l'esperienza della pura paroIa:; e questa con I' esperienza stessa. Ora Ia pura paroIa non riehiede l'iscrizione 1 un po' nel modo che l'essenzaleibniziana riehiede l'esistenzae urge verso il mondo come Ia potenza verso l'atto? Se I'angoscia della scrittura non e, e non deve essere, un pathos determinato, eperche non e essenziaImente una modificazione 0 un'affezione empiriea dello scrittore, rna eIa responsabilita di questa angustia', di questa passaggio necessariamente contratto della parola contro cui si precipitano, ostacoIandosi a vieenda, Ie significazioni possibili. Si ostacoIano tra Ioro rna si invocano, si provocano perfino, imprevedibilmente e quasi mio malgrado, in una specie di sovracompossibilita autonoma delle significazioni, potere di equivocita pura di fronte al quale la creativita del Dio classieosetnbra ancora troppo misera. Parlare mi fa paura, perche non dicendo mai abbastanza, io dieo anche sempre troppo. E se Ia necessita di diventare fiato 0 paroIa stringe il senso - e Ia nostra responsabilita del senso -, Ia scrittura stringe e costringe ancora di pili Ia paroIa '. La Non e costituita da questa esigenza? Non e una specie di rappresentazione privilegiata di 1
essa? . , In latino nel testa [N. d. T.J. , Angoscia anche di un fiato che si mozza da se stesso per ritornare in St\ per aspirarsi e tornare 'alla sua sorgente. Perche parlare sapere che il pensiero deve farsi estraneo a se stesso per dirsi e per manifestarsi. Cioe vuole riprendersi mentre si diL Ecco perche sotto il Jinguaggio della scrittore autentico, di colui che vuole tenersi il pili vicino possibile all'origine del suo atto, si sente il gesto di ritirare, di trattenere la parola espirata. L'ispirazione anche questo. Si puo dire dellinguaggio originario quello che Feuerbach dice del Jinguaggio filosofico: «La filosofia, quindi, uscendo dalla bocca 0 daIla penna, rhorna immediatamente alIa sua propria fonte; essa non parla per parlare - di qui la sua antipatia per Ie belle frasi - ma per non parlare, per pensare ... La dimostrazione non altro che il mostrare che cia che io dico vera, non altro che il riportare l'alienazione (Entausserung) del pensiero nella fonte originale del pensiero. II significato della dimostrazione non puo quindi esser'~ colto senza tener conto del significato del linguaggio. II linguaggio non altro che la realizzazione del genere, la mediazione dell'io col tu, per rappresentare I'unita del genere togIiendo ogni isolamento individuale. Pertanto I'elemento della parola l'aria il medium vitale pili spirituale e pili universale» (L. FEUERBACH, Per fa critica della filoso/ia hegeliana [I839J, in Opere, trad. di C. Cesa, Laterza, Bari 1965, p. 120 [nella trad. it. sono stati mantenuti i corsivi di J. DerridaJ). Ma Feuerbach pensava che il linguaggio etereo si dimentica anch'esso? Che I'aria non l'elemento della storia se quello non (si) posa di nuovo sulla terra? La terra pesante, grave e dura? La terra che si lavora, che si scava, sulla quale si scrive. EIemento non meno universale su cui si incide il senso perche duri. Hegel, a questo punto, puo esserci di grande aiuto. Perche se anche egIi pensa in una n;eta{orica spirituale degIi elementi naruraIi, che «i'aria la permanente essenza puramente UnIversale e trasparente» che «I'acqua I'essenza che viene sempre sacri/icata»,
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scrittura. e l'angoscia dellw·rt;ab'ebraica subita suI versante della solitu... y.. dine e della responsabilita uroane; suI versante di Geremia soggetto al dettato di Dio (<
G.
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LEIBNIZ,
Saggi di leodicea, in Scrilli /iloso/ici, a cura di D. O. Bianca, Utet, Torino
1967, voL I, pp. 728.3°.
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bri contengono Ia fusione di alcune ripetizioni complete: non ess~nd? che - il mondo ha Ill. sua 1egge - una bibbia qua1e Ill. simu1ano 1e.n~lOm. La differenza tra un'opera e l'altra, present and? altrettante l~zlOm pro: poste in una immensa ricerca del testo autentlco, tra ~e c?slddette et.a civili 0 tra Ie 1etterature». Non e soltanto sapere che 11 Llbro non eS1ste e che per sempre ci saranng dei libri in cui (si) frantuma, prima ;;tncora di essere stato uno i1 senso di un mondo impensato da un soggetto asso1uto' che il non-sc;itto e il non-1etto non possono essere ripresi a1 senza fo~do grazie alIa negativita servizievole di q~alche diale.t~ica e che, soffocati da1 «troppi scritti! », e l'assenza del Llbro che ~011~ tal modo Iamentiamo. Non e solo aver perduto la certezza teolog1ca dl vedere ogni pagina ricolleg~rsi da se nel tes~o ~n~co d~ll~ veri~a! «livre ~e raison», come si diceva m passato del dlano m cut SI deposl.tavan? m Memoria i conti (rationes) e Ie esperienze, raecolta genealog1~a, Llbr~ di Ragione, in questa caso, manoscritto infinito letto da un DlO che, dl tanto in tanto, ci abbia prestato la sua penna. Questa certezza ~erdut~, questa assenza della scrittura divina, cioe prima di tutto.del DI0 ebralco che in qualche<:l~.casi()fle scrive esso s~e,sso, non defimsce solamente e vagamente quaIcosa come Ill. «ill.-()_~~~p.1ta»: In qu~nto ~ssenza e~ ?ssessione del segno divino, essa domma per mtero 1 estetica e I? cntlca moderne. Non e'e niente di strano: «Coscientemente 0 no - dIce Canguilhem - l'idea che l'uomo si fa del suo potere poet~co corrispo?d~ all'idea che si fa della creazione del mondo e alIa So1UZl0ne che egh da a1 problema dell'origine radicale delle cose. Se Ia nozione di creazio?e e equivoca, ontologica ed estetica, non 10 e per caso ne ~er confuslOne» '. Scriverenon e soltanto sapere che attraverso la scnttura, attraverso la soluzione dello stile, non e necessario che passi il meg!io, .come ctedeva Leibniz della creazione divina, ne che questo passag?10 SIll. vo~ tuto, ne che cio che e registrato esprima infinitamente I'umverso, gh rassomigli e 10 sintetizzi sempre. E anch~ non poter. a~s?Iutamente ~ar precedere alIo scrivere il suo se~so:. ~ar dlscendere. c,l~e 11 senso, ma,mnalzare contemporaneamente 11scnzlODe. Fratermta m eterno dell ottimismo teologico e del pessimismo: niente di pili rassicurante e ni.ent~ di pili disperante, nulla distrugge i nostri libri quanta il Libro IelbmI Ref/exions sur la creation artislique sel?~ A~ai~, in «Revue d<; Metaphysique et de Morale », aprile-giugno 1952, p. I7I. Questa anahsl ch,atlsce bene .c0r:'~ II Syste;n; d~s Beau~-Arls: scritto durante la prima guerra mondiale, contenga quakosa .dl pm dell antlClpazlO,?e del ~eml apparentemente piu originali dell'estetica «moderna ». In partlcolare per un certo aCdplatomsdl che non esclude come dimostra Canguilhem, un accordo profondo con Platone, ~ ~ sopra <; platonismo «pr~so senza malizia». Cfr. Un inedit de Merleau-PonIY, frammento 'dn~dltb pubb~' cato a cura di M. Gueroult, in «Revue de Metaphysique et de Morale », ottobre- Icem re T9 2 (n. 4), pp. 406-7.
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ziano. Di che cosa vivrebbero i libri, che cosa sarebbero se non fossero solCe in quanta soli, mondfiilfitiiti e separati?I~crivere e sapere che cia che non eancora prodotto nella 1ettera non na altra dimora, non ci attende come prescrizione in qualche "t'P'»'o~ oupa:v~o~ 0 in qualche intel1etto divino. II senso deve attendere di essere detto 0 scritto per abitare se stesso e diventare quello che edifferendo da se: il~£P'so. E quello che Husserl ci insegna a pensare nell'Origine della geometria. L'atto 1etterario ritrova cOSI alIa sua sorgente i1 suo vero potere. In un frammen to dellibro che progettava di dedicare alI'Origine de la verite, Merleau-Ponty scriveva: «La comunicazione in 1etteratura non esemplicemente un appello dello scrittore a signincazioni che farebbero parte di un a priori dello spirito umano: a1 contrario, essa ve Ie suscita con 1a sua foga 0 con una specie di azione obliqua. Nello scrittore i1 pensiero non guida illinguaggio da1 di fuori: 10 scrittore eesso stesso come un nuovo idioma che si va costruendo ... » '. «Le mie parole sorprendono me stesso e mi insegnano il mio pensiero», diceva in un altro passo '. E perche einaugurale, nel senso giovane della paro1a che 1a scrittura eperico10sa e angosciosa. Essa non sa dove va, nessuna saggezza 1a preserva da quella precipitazione essenzia1e verso il senso che essa costituisce e che einnanzitutto il suo avvenire. Nondimeno non ecapricciosa se non per vigliaccheria. Non c'e dunque garanzia contro questa rischio. La scrittura eper 10 scrittore, anche se non eateo, rna se escrittore, una navigazione prima e senza grazia. Parlava dello scrittore, san Giovanni Crisostomo? «Bisognerebbe che noi non avessimo bisogno delI'aiuto della scrittura, rna che 1a nostra vita fosse ta1mente pura che 1a grazia dello spirito potesse sostituire i libri nella nostra anima e iscriversi nei nostri cuori, come l'inchiostro sui libri. E per aver respinto 1a grazia che noi abbiamo bisogno di fare uso dello scritto che e una seconda navigazione» J • .M a, a parte ogni fede 0 garanzia teo10gica, 1'esperienza di secondarieta non dipende da quello strano raddoppiamento per cui i1 senso costituito-scritto-si dacome letto, preventivamente o simultaneamente, in cui l'altro e 1a che vigil a e rende irriducibile l'andata e ritorno, il1avoro tra 1a serittura e 1a 1ettura? II senso non e ne prima ne dopo 1'atto. Cia ehe ehiamiamo Dio, ehe minaecia di secondarieta ogni navigazione umana, non e forse questo passaggio: 1a recipro, M. MERLEAU'PONTY,
Sur la pbenomenologie du langage (comunicazione tenuta il
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I95I al I Colloque international de Phenomenologie), in Problemes actuels de la Pbenomenologie, Desclee de Brouwer, BruxeJles 1952, pp. 89-I09 (ripreso in Signes, Gallimard, Paris 1960, pp. 105
sgg.). , Problemes actuels de la Phenomen%gie, p. 97. J Commento a sail Matteo.
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cita differita tra 1a 1ettura e 1a scrittura? Testimonio asso1uto, terzo eome trasparenza defSenso nel dlalogo in eui quello che si comincia a scrivere e gia 1etto, quello che si comincia a dire e gia risposta. Nello stesso tempo, Creiltura e Padre del Logos. Circo1arita e tradizionalita del Log9S. Strana opera di conversione e d'avventura in cui 1a grazia non puo eSSere che quello che e assente. La semplice anteriorita delI'Ideao del «disegno interiore» rispetto a uri'opera che 1a esprimerebbe soltanto, sarebbe dunque un pregiudizio: quello della critica tradiziona1e che viene dennita idealistp. Non e u!iCaso se 1a teoria - si potrebbe dire, qui, 1a teo10gia - di questa pregiudizio nor! nel Rinascimento. Come tanti a1tri, oggi 0 in passato, Rousset insotge, certo, contro questa «p1atonismo» 0 «neop1atonismo». Ma non dimentica che se 1a creazione attraverso «la forma feconda di idee» (Valery) non e pura trasparenza dell'espressione, e tuttavia e simultaneamente rivelazione. Se 1a creazione non Fosse rivelazione, dove sarebbe 1a nnitezza dello scrittore e 1a solitudine della sua mana abbandonata da Dio? La creativita divina sarebbe recuperata in un umanesimo ipocrita. Se 1a scrittura einaugurate, non eperche essa crea, rna per una certa liberta asso1uta di dire, di far sorgere il gia-qui nel suo segno, di trarre i suoi auspici. Liberta di risposta che riconosce per~ suo unico orizzonte it mondo-storia e 1a paro1a che non puo dire che: l'essere e gia sempre incominciato. Creare e rivelare, dice Rousset che non volta Ie spalle alla critica classica.La comprende e dia10ga con essa: «Segreto preliminare e disvelamento di questo segreto per mezzo"dell'opera: in un certo qual modo l'antiea e 1a nuova estetica sembrano aecordarsi, poiche questa segreto preesistente potrebbe corrispondere all'Idea dei Rinascimentali, ma depurata da ogni neoplatomsmo». Questa facolta rivelatrice del vero linguaggio letterario come poesia, e appunto l'accesso alla libera paro1a, quella che l'espressione «essere» (e forse cia che intendiamo sotto 1a nozione di «espressione primitiva» 0 di «espressione-origine» [Buber]) purifica dalle sue funzioni di segnalizzazione. Solo quando 10 scritto e d(f/untg come segno-segnaIe, nasce come linguaggio; allora dice quello che e, con cia stesso rinviando solo a se, segno senza significazione, gioco 0 funzionamento pur()J perche cessa di essere utilizz(Jto come informazione naturale, biologica 0 tecnica, come passaggio da un essente all' altro 0 da un significante a un significato. Ora, paradossalmente, l'iscrizione sola - benehe sia ben 1ungi da1 farlo sempre - ha un potere di poesia, vale a dire di evocare 1a parol a fuori da1 suo sonno di segno. Deponendo 1a parola, essa
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ha l'intenzione essenziale e assume il rischio mortale di emancipare il senso nei confronti di ogni campo di percezione attuale, di quel nesso ~aturale per cui ogni cosa fa riferimento aI fenomeno affettivo di una SItuazione contingente. Per questa ragione Ia scrittura non sara mai Ia setnplice «pittura della voce» (Voltaire). Essa crea iI senso, consegnand.olo, affidandolo a una incisione, a un solco, a un riIievo, a una superfiCle che si vuole trasmissibile alI'infinito. Non che 10 si vogIia sempre, n.on che 10 si sia sempre voluto; e Ia scrittura, come origine della storIcLta pura, della pura tradizionaIita, non e che il telos di una storia della scrittura la cui filosofia restera sempre a venir~. Che questo progetto di tradizione infinita si attui 0 no, dovd tuttavia essere valutato e rispettato nel suo sen so di progetto. Che possa sempre faIlire, e iI se~no della sua finitezza e della sua pura storicita. Se il gioco del senso PUo sopravvanzare Ia significazione (la segnaIizzazione) sempre implicata nei Iimiti regionali della natura, della vita, delI'anima, questa scava]catnento e il momento del voler-scrivere. II voler-scrivere non si COtnprende a partire da un volontarismo. Lo scri;ere non e Ia determin~zi?ne ulteriore di un volere primitivo. AI contrario, 10 scrivere risvegha II senso di volonta della volonta: Iiberta, rottura con I'ambito della stotia empirica in previsione di un accordo con l'essenza nascosta dell'etnpiria, con la pura storicita. Voler scrivere e non desiderio di scriY.~r~J perche non si tratta di un fenomeno affettivo rna di Iibetta edido~~!e. Nella sua relazione all'essere, iI voler-scrivere vorrebbe essere I'ul1lCa soIuzione fuori dalI'affezione. SoIuzione intravvista soIamente e c~n uno sguardo non ancora sicuro che la salvezza sia possibile ne che stIa fuori dalI'affezione. Essere affetti e essere finiti: scrivere sarebbe ancora giocare con la finitezza e voler giungere all' essere fuori daIl' essente, essere che non e in grado di essere ne di farsi essa stessa affezione. Sarebbe voler dimenticare Ia differenza: dimenticare Ia scrittura neI1~ p~rola pres en tel sedicente viva e pura. NelIa misura in cui I'atto letterario procede in primo luogo da ques~o voler-scrivere, esso e veramente il riconoscimento del pure IinguaggIo, Ia responsabilita di fronte alIa vocazione della parola «pura» che, un~ volta intesa, costituisce 10 scrittore come tale. Parola pura che, dice Heldegger, non si puo «pensare nelI'esattezza della sua essenza» partendo dal suo «carattere-di-segno» (Zeichencharakter), «e forse neppure dal suo carattere-di-significazione» (Bedeutungscharakter) '. Non si corre il rischio, in tal modo, di identificare I'opera con Ia scritP .' Lettre sur l'humanisme, trad. franc. con testo ted. a fronte, a cura di R. Munier, Aubier, ans 19J/, p. 60.
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tura originaria in generale? Di annulI are Ia nozione d'arte e i1 valore di «bellezza» per cui di solito illetterario si distingue dalla lettera in generale? E possibile, invece, che sottraendo al valore estetico la sua specificita, si liberi il bello. C'e una specificita del bello e quest'tiltimo neilsulterebbe valorizzato? Rousset 10 crede. Ed econtro la tentazione di trascurare tale specificita (tentazione come quell a di Poulet, per esempio, che «ha poco interesse per l'arte»)' che si caratterizza, almeno teoricamente, 10 strutturalismo proprio a Rousset, pili vicino in questa a Spitzer e a Raymond, e preoccupato delI'autonomia formale deIl'opera, «organismo indipendente, assoluto, sufficiente a se stesso» (p. xx). «L'opera e una totalita e ci guadagna sempre a essere intesa come tale» (p. xu). Ma anche qui la posizione di Rousset si tegge in un equilibrio difficile. Sempre attento al fondamento unitario della dissociazione, egli aggira in effetti il pericolo «oggettivista» denunciato da Poulet, dando del1a struttura una definizione che non epuramente obiettiva 0 formale; 0 almeno, col non tener separati, aII'inizio, Ia forma e I'intenzione, la forma e I' atto stesso dello scrittore: «Chiamero" strutture" quel1e cost anti formali, quei nessi che lasciano intravvedere un universo mentaIe e che ogni artista reinventa secondo Ie sue necessita» (p. xu). La . §.truttura e appunto l'unita di una forma e di una sigl),iJicazione. E vero che qua e la la"forma deIl'opera, 0 Ia forma in quanta opera, e trattata come se non avesse origine, come se perfino nel capolavoro (e Rousset non si interessa che dei capolavori) Ia riuscita delI'opera non avesse storia. Cioe storia intrinseca. Per questa aspetto, 10 strutturaIismo sembra davvero vulnerabile e c'e tutta una dimensione del tentativo di Rousset - dimensione in cui peraltro eben Iungi dalI'esaurirsi - che corre anche il rischio di platonismo convenzionale. Perseguendo I'intenzione Iegittirna di proteggere la verita e il senso interni delI'opera contro uno storicismo, un biografismo 0 uno psicologismo (che d'altra parte gia incombe sulI' espressiane di (
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zione. Questa storicita dell'opera non e soltanto il passqto dell'opera, Ia 0 il suo sonno, per cui essa anticipa se stessa nell'inten~i~ne dell'autore, rna I'iml?g~sibmta pgr essa di essere mai.~!~.t~f1!Je, d1 nassumers(in qualch~ simultaneita 0 istantaneita assolute. Per questa ragione -10 verificheremo - non c'e,§pa~io dell' opera, se con cio si intende presenza e sinos~i- E vedremo pili oltre quali co?seguenze possano derivarne nellavoro della critica. Per il momenta C1 sembra che se «l~ ~toria Ietteraria» (quand'anche Ie sue tecniche e Ia sua «filosofia» fossero rlrinovate dal «marxismo», dal «freudismo», ecc.) non e che il correttivo della critica intern a dell'opera, in compenso il momento str~t turale di questa critica non e a sua volt? che ~I c?:ret~ivo d~ u~a genetlca interna dove il valore e il senso sono n-costltUltl e nsveghatl nella loro storicita e nella Ioro temporalita proprie. Queste ultime non possono pili essere oggetti senza divenire assurde e la Ioro peculiare struttura deve sottrarsi alle categorie classiche. . Certo, il proposito esplicito di Rousset ~ di evitare qu~sta statlca della forma, di una forma che nella sua complUtezza sembra hberata dal Iavoro dall'immaginazione, dall'origine per cui soltanto essa puo tuttavia c~ntinuare a significare. COS1, quando distingue il s~o,as~unto da quello di J.-P. Richard \ Rousset mira certo a questa totahta d1 u?a co~ sa e di un atto, di una forma e di una intenzione, di una entelechta e d1 un divenire totalita che eil fatto letterario come forma concreta: «E possibile abbracciare insieme I'immaginazione e l~ morfo~ogia, sentirle e concepirle in un atto simultaneo? E quel!o ch~ 10 vorre1 ~en~are, per: suaso tuttavia che il mio procedimento, pr1ma d1 essere unttano, dovra spes so farsi alternativo [il corsivo e mio]. Ma il fine perseguito e appunto questa comprensione simultanea di una realta omogenea in una operazione unificante» (p. XXII). . . Ma condannato 0 rassegnato all'alternativa, riconoscendola, 11 cntico n; e anche liberato, assolto. Ed e qui che la differenza di Rousset non e pili premeditata. La sua personalita, il suo stile vanno afferma~ dosi non pili attraverso una decisione metodologica, rna attrave~so 11 gioco della spontaneita del critico nella liberta dell'«alternatlva». Questa spontaneita finisce per squilibra:e di latto .una a~ternanza ch~ "Rousset aveva assunto come norma teotlca. InflesslOne d1 fatto che da anche allo stile della critica - in questo caso quell a di Rousset - la sua
-·~ua veglia
I «Le analisi di J.-P. Richard sono tanto inteIligenti, i risultati tanto nuovi e ~onvi,:centi che bisogna dargli ragione, per que! che 10 riguarda. Ma conformem~nte. aile ~ue part~c?lan prosp~t; tive, e al mondo immaginario del poeta, all'opera latente che egh prima dl tutto SI mteressa, ptu che alia sua morfologia e al suo stile» (p. XXII).
Forza e signifieazione
forma strutturale. Quest'ultima, - come rileva Levi-Strauss a proposito dei modelli sociali, e Rousset a proposito dei motivi strutturali nell'opera Ietteraria - «sfugge alla volonta creatrice e alla coscienza chiara» (p. XVI). Qual e dunque 10 squilibrio di questa preferenza? Qual e questa preponderanza pili usata che dichiarata? Diremmo che essa e duplice]
u. Ci sana linee che sana mostri ... Una linea, da so· la, non ha significazione; ce ne vuole un' altra per darIe un'espressione. Grande legge. DELACROIX
Valley, das Tal, is! ein haiifiges weibliches Traumsymbol. FREUD
I
(Da una parte Ia struttura diventa l'oggetto stesso, Ia cosa Ietteraria s~nz'altro. Essa non e pili quel che era quasi sempre in altri casi: cioe uno strumento euristico, un metodo di Iettura, una facolta rivelatrice del contenuto, oppure un sistema di relazioni obiettive, indipendenti dal contenuto e dai termini; pili spesso Ie due cose insieme perche Ia sua fecondita non escludeva, bens! implicava che Ia configurazione relazionale esistesse accanto all'oggetto Ietterario; un realismo della struttura veniva sempre pili 0 meno esplicitamente messo in pratica. Ma Ia ~truttura non era mai nel duplice senso della parola, iLJf!Lwine esclusivo della descrizione critica. Essa era sempremezl,O 0 relazione per Ieggere 0 per scrivere, per raccogliere significazioni, riconoscere dei temi, distribuire costanze e corrispondenze. Qui Ia struttura, 10 schema di costruzione, Ia correlazione morfologica diventa di latto e malgrado l'intenzione t.enrica, I'unica pteoccupazione del critico. Unica 0 quasi. Non pili metoda nell'ordf).cq~Qscen di, non pili relazione nell'ordo essendi, rna essere dell'op.era. Abbiamo a che fare con un ultra-strutturJllismo. D'altra parte (e di conseguenza), questa struttura come cosa Ietteraria e intesa questa volta 0 almeno praticata, alla)f.?ttera. Ora, stricto sensu, Ia nozione di struttura non ha riferimento se non con 10 spazio, spazio morfologico 0 geometrico, ordine delle forme e dei luoghi. StrutI
[Valley, la valle,
e un simbolo onirico della ritornantc fcmminilitH
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Forza e significazione
tura si dice innanzitutto di un prodotto organico 0 artificiale, come un ita interna di un insieme, di una costruzione; prodotto dominato da un principio unificatore, arcpitettura eretta e visibile nella sua localita. «Superbi monumenti dell'orgoglio utl~ano, I Piramidi, sepolcri, la cui nobtle struttura I Ha testimoniato che 1'arte, con I'abilita della mana I E l'assiduo Iavoro puo vincere Ia natura» (Scarron). E solo per metaf?ra che questa Ietteralita ~?.pografica si espostata verso Ia sua significazl.one to pica e aristoteyca (teoria dei Iuoghi nellinguaggio e nella mantpoIazione dei motlvi 0 argomenti). Gia nel XVII secolo si diceva: «La sceIta e la disposizione delle parole, la struttura e l'armonia della composizione, la grandiosita modest a dei pensieri» '. 0 ancora: «Nella cattiva s.truttura c'e sempre quaIcosa da aggiungere, 0 da togIiere, 0 da camblar,e, non soItanto per quanta riguarda il posto, ma anche per i vocaboIi» . Come e possibile questa storia della metafora? Che illinguaggio non determini se non spazializzando e forse sufficiente per spiegare il fatto che reciprocamente esso debba spazializzarsi non appena si nomina e si riflette? E una interrogazione che si pone in generale per ogni linguaggio e per ogni metafora. Ma qui riveste un'urgenza particolare. In effetti, finche il senso metaforico della nozione di struttura non vi~r:e ..riconosciuto come tale, cioe appunto interrogato e anche annuIlato nella sua qualita figurativa perche. sia risvegliata la non-spazialita ola".§pazialita origin ale designata in esso, si rischia, per una specie di sIittamento tanto pill inavvertito in quanta e efjicace, di confondereil se!}~
VIII, lettera xv.
sur la langue fran(aise, t. II, p.
lOI.
2I
E sempre in accordo con una linea 0 un piano, sempre svolto nello spazio, in piano. Si presta alIa misura. Ora, anche per chi non segue C. Levi-Strauss quando afferma che «non esiste nessuna connessione necessaria tra il concetto di misura e quello di struttura» 1, enecessario riconoscere che per aIcuni tipi di strutture - in particolare quelle delI'idealita letter aria - questa connessione e esclusa fin dal principio. In Forme et signification, il geometrico 0 il morfologico e corretto solo dauna meccanica, mai da una energetica. Mutatis mutandis, si potrebbe esser tentati di rimproverare a Rousset, e attraverso lui al miglior formalismo Ietterario, quello che Leibniz rimproverava a Descartes: di aver voluto spiegare ogni cosa nella natura con figure e movimenti, di aver ignorato Ia forza, confondendola con Ia quantita di movimento. Ora, nella sfera dellinguaggio e della scrittura che, pill che con i corpi, e in «rapporto con Ie anime», «Ia nozione della grandezza, della figura, del movimento non e poi COS1 distinta come si immagina, e... racchiude qualcosa d'immaginario e di relativo alle nostre percezioni» '. Questa geometria e solo metaforica, si did. Certo. Ma Ia metafora non emai innocente. Essa orienta la ricerca e fissa i risultati. Quando e scoperto il modello spaziale, quando funziona, Ia riflessione critica si adagia in esso. Di fatto, ed anche se essa non 10 riconosce espressamel}te,; Un esempio fra tanti. All'inizio del saggio intitolato Polyeucte au la boucle et la vrille, l'autore avverte prudentemente che, se egli insiste su «schemi che possono sembrare eccessivamente geometrici, eperche Corneille, pill d'ogni altro, ha fatto uso di simmetrie». Per di pill, «questa geometria non ecoltivata per se stessa», «neUe opere maggiori essa e un mezzo subordinato a scopi passionali» (p. 7). Ma che cosa ci rivela di fatto questa tentativo? Solo Ia geometria di quello che e tuttavia un teatro «della passione folIe e dell'entusiasmo eroico» (p. 7). Non soItanto Ia struttura geometrica di Polyeucte mette in mota ogni risorsa e tutta 1'attenzione dell'autore, ma Ie viene subordin at a tutta una teleologia dell'itinerario corneliano. Ogni cosa si svoIge come se, fino al 1643, Corneille non avesse fatto altro che intravvedere 0 anticipare nella penombra 10 schema del Polyeucte che si identificherebbe con 1'assunto corneliano in se e assumerebbe qui la dignita di una entelechia verso Ia quale tutto appare orienta to. II divenire e i1 1 C. LEVI-STRAUSS, Anthropologie structurale, Plan, Paris 19.58 [Antropologia strulttlrale, trad. di P. Caruso, II Saggiatore, Milano 1966, p. 315]. 2 G. W. LEIBNIZ, Discorso di meta/isica, trad. di D. O. Bianca, in Scritti /iloso/ici cit., vol. I,
XII, 1'.
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lavoro di Corneille sono posti in prospettiva e teleologicamente decifrati a par tire da quello che viene considerato iI suo pun to d'arrivo, la sua struttura compiuta. Prima di Polyeucte, non ci sono che abbozzi nei quali si prendono in considerazione solo Ie carenze, quello che nei confronti della perfezione futura risulta ancora informe e insufficiente; 0 anche quello che preannunzia soltanto la perfezione. «Tra La Galerie du Palais e Polyeucte, trascorrono diversi anni. Corneille si cerca e si trova. Non seguiro qui i particolari del suo itinerario, nel quale Le Cid e Cinna mostrano come andasse inventando la sua struttura pili autentica» (p. 9). Dopo Polyeucte? Non se ne parIa neppure. Nello stesso modo, tra i lavori precedenti non sono presi in considerazione che La Galerie du Palais e Le Cid; e anche questi ultimi sono analizzati, secondo 10 stile del preformismo, solo come prefigurazioni strutturali di Polyeucte. COS!, nella Galerie du Palais, l'incostante Celidee si allontana dal suo amante. Stanca della propria incostanza (rna perche?), essa ritorna dall'amante che a sua volta si finge incostante. Si allontanano dunque per congiungersi al termine della commedia. Trascriviamo graficamente: «Accordo iniziale, allontanamento, riaccostamento intermedio rna fallito, seconda deviazione simmetrica alla prima, congiungimento finale. II punto d'arrivo e un ritorno a1 pun to di partenza dopo un circui to ad anello incrodato» (p. 8). La singo1arha sta nell'anello incrociato, perche quanta a1 punto d'arrivo come rhorno al punto di partenza, niente di pili comune. Anche Proust... (efr. p. 144). Lo schema eana1ogo nel Cid: «II movimento ad anelIo con incrodo intermedio econservato» (p. 9). Ma qui subentra una nuova significazione che la panorografia trascrive subito in una nuova dimensione. In effetti, «ad ogni passo del drcuito, gli am anti si sviluppano e crescono, non solo ognuno di per se, rna l'uno per l'altro e per mezzo dell'altro, secondo una legge molto corneliana [il corsivo emio] di solidarieta che si .chiarisce progressivamente; la loro unione si dmenta e si approfondisce attraverso Ie rotture stesse che dovrebbero spezzarla. Qui, Ie fasi di allontanamento non sono pili fasi di separazione e di incostanza, bens! prove di fedelta» (p. 9). La differenza tra La Ga/erie du Palais e Le Cid, si potrebbe credere, non sta dunque tanto nello schema e nel movimento delle presenze (distanza-pf(~~_§i.mita), rna nella qualita e nell'inteJ1.Jita interiore delle esperienze (prova di fedelta, modo d'essere per l'altro, forza di rottura, ecc.). Si potrebbe credere che questa volta l'arricchimento stesso del testo renda la metafora struttura1e incapace di
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recuperare l'elemento qualitativo e intensivo, e che i1 lavoro delle forze non si lasd pili tradurre in una differenza di forma. Significherebbe sottovalutare Ie risorse del critico. La dimensione dell'altezza completera la nostra attrezzatura analogica. Quanto si conquis£iriii tensione eli sentimento (qualita di fedelta, senso dell'essereper-l'altro, ecc.), 10 si conquista in elevazione; perche i valori come e noto, progrediscono per gradi e il Bene sta molto in alto. Cio per cui «l'unione si approfondisce» e«aspirazione verso il pili alto» (p. 9). Altus: il profondo el'alto. Allor a l'anello, che rimane, e diventato «spirale ascendente», «elevazione a vite». E la piattezza orizzontale della Galerie non era che un'apparenza che ancora nascondeva l'essenziale: i1 movimento verso l'alto. Le Cid incominda solo a rivelarlo: «COS! il pun to d'arrivo (nel Cid) pur conducendo apparentemente al congiungimento iniziale, non e affatto un ritorno al punto di partenza; la situ azione si emodificata e ci si trova pili in alto. Questo l'essenziale [il corsivo emio]: it movimento corneliano eun movimento di elevazione violenta ... » (rna dove mai abbiamo senti to parlare di questa violenza e della forza del movimento, che equalcosa di pili della sua quantita 0 della sua direzione?) ... «di aspirazione verso il pili alto; collegato al percorso incrodato a due anelli, esso tracda ora una spirale ascendente, una elevazione a vite. Combinazione formale che ricevera la sua piena ricchezza di significazione nel Potyeucte» (p. 9). La struttura era pronta ad accoglierla, in attesa come un'innamorata del suo senso a venire, deStInato a sposarla e a fecondarla. Potremmo essere d'accordo se il bello, che evalore e forza, potesse mai essere sottoposto a regole e a schemi. E ancora necessario dimostrare che tutto do non ha senso? Quindi, se Le Cid ebello, 10 eper quel che in esso supera 10 schema e il buon senso. Dunque, non si parla del Cid, se ebello, parlando di anelli, spirali e giri di vite. Se il movimento di queste !inee non eit Cid, non sara neppure Polyeucte, solo perche meglio perfezionato. Non e1a verita det Cid 0 det Polyeucte. Non epili verita psico10gka della passione, della fede, del dovere, ecc., rna, si dira, questa verita secondo CorneiIle; non secondo Pierre Corneille, la cui biografia e psicologia non ci interessano qui: il« movimento verso il pili alto», 1a pili sottile spedfidta dello schema, non ealtro che it movimento corneliano (p. I). II progresso segnato dal Cid, che pure aspira all'all'altezza del Polyeucte e «il progresso nel senso corneliano» (ibid.). Non enecessario riportare qui l'analisi del Polyeucte', dove 10 schema
e
, Riportiamo almeno la conclusione sintetica, il consuntivo del saggio: «Un percorso e una metamorfosi, dicevamo dopo l'anaIisi del I e del V atto, della loro simmetria e delle loro varianti.
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raggiunge l'estrema perfezione e la massima complicazione intern a con una abilita ch.e non ~ chiaro se sia da attribuire a Corneille opp~re a Rousset. Abblamo gla detto che questo ultimo era troppo cartesiano e troppo poco leibniziano. Precisiamo. Rousset e anche leibniziano: egli sembra cr~dere che di fronte a un'opera letteraria, si debba sempre troyare .una lmea, per quanto complessa, che renda con to delI'unita, della totahta del suo movimento e dei suoi punti di passaggio. In efIetti, Leibniz scrive nel Discorso di metafisica (VI): «lnfatti SuPP?nian:o per es~mpio, che qualcuno getti a caso una quantita di punt! su dl un fog11o, come fanno coloro che esercitano l'arte risibile della ge?mar:zia: i~ sostengo che e possibile trovare una linea geometrica la CUl nOZlOne Sla costante e uniforme secondo una certa regola, in mo~o c?e q~esta linea passi per tutti quei punti, e secondo il medesimo ordme m cm Ia mana Ii aveva segnati. «E se qualcuno tracciasse di seguito una linea che fosse ora retta ora circolare, ora di altra natura, sarebbe possibile trovare una nozion~ o una regola 0 un'equazione comune a tutti i punti della linea, in virtu d~lIa quale ~eb?on? verificarsi questi cambiamenti. E non c'e, peresemPlO, alcun V1SO 11 cm contorno non faccia parte di una linea geometrica e non possa essere tracciato tutto d'un tratto secondo un certo movimento regolato». Ma Leibniz parlava di creazione e di intelligenza divine: «10 mi sono ser~ito di questi paragoni per delineare una qualche immagine, anche se lmp.~rfetta, della sag~ezza divina ... Ma non pretendo afIatto spiegare con ClO quel grande mlstero dal quale dipende tutto l'universo» Riferita a 9~~lita,. ~ forze e a val~ri, riferita pure alle opere non divine Iette da Spltlt! fimtl, questa fiduCla nella rappresentazione matematicospaziale c.i sem~ra esse~e (s~lla scala di una intera civilta perche non si tratta qUl del hnguagglO dl Rousset, rna della totalita del nostro linguaggio e del suo credito) analoga alIa fiducia degli artisti canachi', per I.
Dob~iam,o aggiun~ere ora un altro carattere essenziale al dramma corneliano: il movimento che desctlve eyn mOVlmento ascendepte verso un centro situato alI'infinito ... » (che cosa diventa d'aI~ra. par.te. m questo s~hema spazlale I'infinit?, ~~e qui e 1'essenziale,. non soltanto Ia speci/icita IrrtduClbtle del «mOVlmentO» mn .Ia sua speclficlta qualltattVa?) «Posslamo definirne ancor meglio Ia nat.ura. Un percor.so.a due anelIl.C?rrett~ da ur: movimento verso I'alto, una elevazione a vite; ~ue Itnee a.scendentl Sl scos:a~o, Sl mcroclano, Sl allontanano e si ricongiungono per prolungarsi 1~ ,un tracCiato c0r;'une al cll ill del ~:amma ... » (sen:o strutturale delI'espressione «au-deld de la plecC»?) .~ ,.: ~aulme e Polyeu~te s l~contrano ~ Sl separano nel primo atto; si ritrovano di nuovu, PlU tntlmamente e s~ ~1 un plano superlOre nel quarto, ma per alIontanarsi di nuovo; saIgo~o un altro, sC,almo ~ S[ rttrovano a~cora una volta al quinto atto, fase culminante delI'ascenslOne, da CUI Sl slanclano per un ultimo balzo che dovra unirli definitivamente al vertice supremo di Iiberta e di trionfo, in Dio» (p, 16). ' I G. W. LEIBNIZ, Discorso di meta/isica cit., VI, p, 69. 2 Cfr, per esempio, M, LEENHARDT, L'art oceanien, Gells de la Grande Terre p 99; Do Kamo, Gallimard, Paris 1947, pp, 19-21. ' .
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esempio, nella rappresentazione statica della profondita. Fiducia che, d'altra parte, l'etnologo strutturaIista analizza con molto maggiore prudenza e meno disinvoltura che in passato. Noi non contrapponiamo qui con un semplice movimento pendolare, di equilibrio 0 di capovolgimento, Ia durata allo spazio, la qualita alIa quantita, la forza alIa forma, la profondita del senso a del valore alIa superficie delle figure. Al contrario. Contro questa alternativa elementare, contro la semplice scelta di uno dei termini 0 di una delle serie, noi pensiamo che sia necessario cercare nuovi concetti e nuovi modelli, una eCQnomia sottratta a questa sistema di contrapposizioni met,afisiche. Questa economia non sarebbe una energetica della forza pura esen;a-forma. Le difIerenze rilevate sarebbero nellost.esso tempo differenze di luogo e difIerenze di forza. Se pure puo sembrare che noi contrapponiamo qui una serie all i altra, e perche all'interno del sistema classica vogliamo rilevare il privilegio non critico, semplicemente concesso da un certo strutturalismo, all'altra serie. II nostro discorso fa parte irriducibilmente del sistema delle opposizioni metafisiche. Non si puo segnalare la rottura di questa appartenenza che per mezzo di una certa organizzazione, di una certa regolazione strategica che, all'interno-del campo e delle sue potenzialita, rivolgendo contra di esso i suoi propri stratagemmi, produca una forza di dislocazione che si difIonda attraverso tutto il sistema, frazionandolo in'tutte Ie direzioni e de-limitandoJo per itlt~ro. Supponendo che per evitare «l'astrazionismo», ci si tenga stretti, come vuole teoricamente Rousset, all'unita della forma e del senso, bisognerebbe dunque asserire che l'aspirazione verso il pili alto, nell' <
, ece., aspirazione passionale, qualitativa, intensiva, ecc., trovi la sua forma nel movimento a spirale. Ma allora, dire che questa unit a - che d'altra parte autorizza ogni metafora di elevazione - e la difJerenza propria, l'idioma di Corneille, e dire molto? E se l'essenziale del «movimento corneliano» fosse qui, dove sarebbe Corneille? Perche si trova pili bellezza nel Polyeucte che in «un percorso a doppio anello corretto da un movimento verso I'alto»? La forza dell'opera, Ia forza del genio, e in generale ogni forza generatrice sta in cio che fa resistenza alla metafora geometrica, ed e l'oggetto proprio della critica Ietteraria. In un sensa diverso da Poulet, anche Rousse£ sembra avere talvolta «uno scarso interesse per l'arte». A meno che Rousset non ritenga che ogni linea, ogni forma spaziaIe (rna ogni forma e spaziale) sia bella a priori, a meno quindi che non reputi, come faceva una certa teologia del medioevo (Considerans, in
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drammatica» (p. 47). «II vero Marivaux ne e.ancora pressoeehe ass~n te» [il corsivo e mio). «Nella nostra prospett1va~ un solo fatt~ da d'lir vare ... »(p. 47). Seguono una analisi ~ una.citazlOne a proposlto. e a quale si conclude: «Questo abbozzo dl un dlalo~o sopra 1a testa del ~er sonaggi, attraverso una narrazione interrotta, m CUI 1a ~resenza e 1~s~ senza dell'autore si alternano, e l'abbozzo del vero M~t1v~ux ... COS1.S1 tratteggia, in una prima forma rudimenta1e, 1a combmaz10n~ propnamente marivaudiana dello spettacolo e dello spettatore, dell osservato e dell'osservatore. La vedremo perfezionarsi ... » (p. 48). Le difficolta crescono, e insieme i nostri dubbi, qu~ndo R?~ss~t '1~r cisa che questa «struttura permanente di Marivaux;> be~che mV1s1 1e o latente nelle opere giovanili, «fa parte», come «dlSS01vlmento voluto dell'illusione romanzesca», della «tradizione burlesca» (p ..50 ; efr. anche p. 60). L'originalita di Marivaux che non «co?serva» dl questa tradizione che «i1libero svolgimento di u?a n~rraz10ne, che mostra neyo stesso tempo illavoro dell'autore e 1a nflesslOne dell.autor~ suI suo a: voto ... », e Ia «coscienza criti.ca» (p. 51!. L'idioma,?l Ma:IVa'llx non ~ quindi nella struttura in tal modo desctltta ma nell mtenzlOne .c~e amma una forma tradiziona1e e crea una nuova. stru~tura. ~a_,~erlt!l?eHa struttura generale COS1 restaurata non defimsee 1orgams mo maflvaudlano nelle sue proprie linee. Meno ancora nella sua ~orza.. . S1 invece: «II fatto di struttura COS1 rilevato: 11 dOPPlO reg.lstro, appa~e come una costante ... Esso eorrisponde nello stesso ter:zpo [11 corsivo e mi01 aHa conoscenza che I'uamo mari~audiana ?a dl se s~esso: un " euore" senza sguardo, preso nel campo dl ~na cosclenza ch~ ~ puro Ma in che modo un datto dl struttura» trad1z10na1e sguard0» (p. 64) . .' d ' l' bb a quell'epoca (se si ammette che defimto m t.al mo 0, tlSU, t1 a astan,za determinato e origin ale per essere pertmen.te ad. un epoca), puo «corrispondere» aHa coscienza dell'«uomo manVaU?lano~>? L~ strqttUfa corrisponde veramente all'intenzione pili pecuhare dl Manvaux?
partico1are) che 1a forma sia trascendenta1mente bella, perche essa e e fa essere e perche l'Essere e Bello, di modo che i mostri stessi - si asseriva - sono belli per que! che sono, grazie a una linea ad una forma che e testimonianza dell'ordine dell'universo create e rifl~tte 1a 1uce divina. FormQSUJ significa bello. Non dira anche Buffon, nel suo Supplement it l'histoire naturelle (t. XI, p. 410): «La maggior parte dei mostri sono tali con simmetria 1a sproporzione delle parti sembra essersi prodotta con ordine»? ' Ora Rousset non sembra affermare, nella sua Introduzione teorica, che sia bella ogni forma, ma soltanto quella che si accotdaconII senso quella che si 1ascia comprendere da noi in quanto e fin da1 principio i~ accordo con i1 senso. Perche aHora, ancora una volta, questa privilegio del g~ometra? E supponendo, a1limite, che 1a bellezza si lasci sposare 0 esautlte da1 geometra, nel caso del sublime, - e si dice che Corneille sia sublime - il geometra deve fare atto di violenza. E poi non si perde que1 che epiu importante in nome di un «movimento corneliano» essenziale? In nome di questa essenzialismo 0 di questa strutturalismo teleologico, si riduce in effetti all'apparenza inessenziale tutto cio che non obbedisce allo schema geometrico-meccanico: non soltanto i testi drammatici che non si 1asciano ridurre a curve e giri di vite, non soltanto la forza e laqualira, che sona il senso stesso, ~a l~ d.ur(jfa.~ tut:o quell~ che, ~el movimento, e pura eterogeneira qualttatlVa...Rousset mtende tl mOVlmento teatrale 0 romanzesco come Aristotele intendeva il movimento in genera1e: passaggio all'atto che e ripo so della forma desiderata. Tutto si svolge come se nella dinamica del senso corneliano e in ogni dramma di Corneille, ogni cosa si animasse in direzione eli una pace finale, pace della 'EVEPYELa. strutturale: PolyeNete. F~ori di questa pace, prima e dopo di essa, i1 movimento stesso, nella sua pura durata, nel travaglio della sua organizzazione, non e che ab~oz~o 0 residuato. Dissipazione perfino, errore 0 peccato nei confron11 dl Polyeuete, «primo risultato impeccabile». Rousset annota sotto 1a parola «impeccabile»: «Cinna pecca ancora a questo ptoposito»
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1 Ecco dcune formlilazioni di qu~sta «sttu,ttura p~rmane~te;" «~,ove 1~~"{t s~~::b\ ~h~ trale? Sta nella sov:imp,ressihone nffll e di una si praducono tta dl eSSl e c e CI 0 rono I t gni dramma di Marivaux potrebbe essere S ~'ia~i si avvicinano tra lora gradualmente fino duplice lettura» (56). « ... Da, qj.est p~nto. ,I definito ~n o~ganlsmo aldopp{o Ive 0 dr: cfil !sc:~uando i due piani si confondono doe quando alia ConglUnzlOne comp eta. a comme la nl. r d i ersonaggi spettatori. II vero i1 gruppo degli .eroi os.serva,ti vhedo~o ~e stessl come ~u:~d;ac~la sipario, rna I'incontro tra il 'I dId mma sui due registri che cpilogo, non e !1 matnmOnlO c e CI. vI~ne 'promes~o ~uore e sguar?o» d(5 8 ). « ... Siam'llrl~tldisi~~~:~eeldt:~r~~~~r 1a importanza, illoro lind sono propostl da u.e curv~ para e e, a 'd l'altra disegnata in tutta la sua comples, guaggio e la loro funz!On~: I una .traCClat.a r~pI amente; ded la seconda la quale ne restituisce sita, la prima ta~e, da ,Iasc!ar ~gfi!~e,Ia dQez!~negf~~o Pdf~iflessi interni c~ntribuisce ad assicurare l'eco in profondlta eMil s.enso Ie nlt1VO~om~~:i~ rigorosa ed elastica, e nello stesso tempo collega al testo teatrale dl artvaux a sua ? ' " () strettamente i due registri perfino net movlmenU dell amore» 59·
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(p. 12).
mtT~~a~~~~es~~:i~udiP~~~'a~;~~i~~e binoc~lare
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Preformismo, teleologismo, riduzione della forza, del valore e della durata: tutto cio fa una cosa sola col geometrismo, tutto cio fa struttuE. S~ruttura di latto che domina a differenti livelli tutti i saggi di questo llbro. Tutto cio che, nel primo Marivaux, non presenta 10 schema del «doppio registro» (narrazione e sguardo sulla narrazione) e «una serie di esercitazioni romanzesche giovanili» attraverso Ie quali «egli prepara non solo i suoi romanzi della maturita, ma anche 1a sua opera
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Forza e significazione
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La scrittura e Ia differenza
Marivaux non equi, piuttosto un huon esempio - e aHora sarebbe necessario spiegare perche l'esempio ebuono - di una struttura letteraria dell'epoca? e, attraverso essa, di una struttura deH'epoca stessa? Non affiorano qui, irrisolti, mille problemi metodologici pre1iminari allo studio strutturale individuate, alla monografia di un autore 0 di un'opera? Se il geometrismo affiora soprattutto nei saggi su Corneille e su Marivaux, a proposito di Proust e di Claudel trionfa il preformismo, E, questa volta, in una forma pill organicist a che topografic'a','"Jrt questa forma risulta anche pill fecondo e pill convincente, Innanzitutto perche la materia che permette di dominare epiu rieca ed eesplorata piu intimamente, (Ci sia tuttavia concesso di rilevare: abbiamo l'impressione che Ie cose migliori di questa libro non derivino dal metodo, rna dalla qualita di una attenzione), E poi perche l'estetiea proustiana e l'estetiea claudeliana si accordano in profondita con quella di Rousset, In Proust stesso -la dimostrazione che ci viene data qui non ci lascerebbe al proposito alcun dubbio, se ne avessimo ancora -l'esigenza strutturale era costante e consapevole, e si manifestava attraverso miracoli di simmetria (ne vera ne falsa), di rieorrenza, di circolarita, di illuminazioni di rimando, di sovrapposizioni, senza adeguazione, tra iI primo e l'ultimo ecc, La teleologia, in questa caso, non eproiezione del critieo, rna tema del1'autore, L'implicazione della fine nell'inizio, gli strani rapporti tra i1 soggetto che scrive illibro e il soggetto dellibro, tra Ia coscienza del narratore e quella del protagonist a, tutto riehiama 10 stile del divenire e la dialettiea d~,'«llOi» nella Fenomenologia dello y!irita. E appunto della fenomenologia di uno spirito che qui si tratta: «Si scoprono altre ragioni ancora dell'importanza che attribuiva Proust a questa forma circolare di un romanzo in cui la conclusione si riallaccia all'inizio, Nelle ultime pagine si vedono il protagonista e i1 narratore congiungersi anch'essi, dopo un Iungo cammino in cui andarono alIa rieerca uno dell'altro, qualche volta molto vicini tra loro, rna pill spes so molto distanti; coincidono nella conclusione, che eil momento in cui il protagonista sta per diventare il narratore, vale a dire l'autore della propria storia, II narratore eil protagonist a rivelato a se stesso, e colui che il protagonista, durante tutta la sua storia, desidera rna non puo mai essere; egli prende ora il posta di questa protagonista e puo ormai meta costruire l'opera che si conclude e, prima di tutto, a scrivere quel Combray che eall'origine del narratore come del protagonista, La con" clusione del libro rende possibile e comprensibile l'esistenza dellibro, Questo romanzo econcepito in modo tale che la sua nne genera il suo principio» (p, I44), Innne, il metodo cdtieo e l'estetica proustiana non
tersl
, 'I cuore stesso della creazione: «Proust sono un accessono, rna sono I d 11 0 era romanzesca» fara di questa estetiea i1 ~o~et~ll: c~s~~:nz~ filosofica, critiea,
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~ffleI!s?J~,~~~ ~t:~i~~~ uOn~ s~~~rd~~uile ?pera~ioni e ~~~ ~r;b: dli;~
1a storia, E ,gella sua storia che s~ tratta, pr~:~~t~uJ~li'opera, coin~ide remmodieendo che ques~a estetlca, come a e a unto, se posso dir cos1, esattament~ con quella ~l Rous~et, ;t'~~:imo ~~Pitolo dell'ultimo libro un prefQrmIsmO esso tn p,ratzca'bito dopo il primo capitolo del primo _ rileva Proust - e stato sctItta, su estato sctIttO dopo», £" dottrina Il'bro , Tutto il resto , ', d' ppunto pre ormlsmo, P,er preformIs1l)O, nOIIllten lamo, a , d 1 quale la , ''" d n eplgenetlsmo, e secon 0 a bio1ogica ben nota, ,oPJ?'d~ta ~ u 'bbe c _uta nell' embrione, inl!!to totalita_di~ei car~tte{~;d~ttl:a~h~a~~ttavia rispetterebbero gia Ie forme e e sotto menSlon , L ria dell'incastro era al centro Ie proporzioni del~'adulto £utU!O, " aci;eQ 'fa sorridere, Ma di che cosa di questo preformlsmo ~he ~1 ?lOrnO oggldubbio rna anche di vedere si sorride? dell'a,dulto III iIlllatira, sed~a " dell~ finalita: Ia provvi" attribuito alla VIta natur~ e qU lisa 1 :;~re Ma quando si tratta di de!lza in atto e l'~r~e COSClente e e sd~ l'arti~ta e un uomo e quando un'arte c~e non ImIta 1ci natu~t, q~f:mismo non fa piu sorrid~re, 11 ela coSClenza c~e pr,o uC,e, 1 p~ i' es ortato perche e un concetto ).,Oyoc; cr7tEPl1Il't'~xoc; e III lUI, ,nonde p u ~re messo in evidenza, nella antroesw~ornco, Ad, esemplO: u~~~e~;ssita della ripetizione, Rousset composlzlOne proustla,na~ td~th' l' rtificio che introduce Un amour de scrive: «Comunque sl glU lC 1 a" r anieo il nesso che Swann, 10 si dimentiea subito, tanto e s~~~;aehtle~t~r~ della Recherche, collega la parte al tutta: Una vo~a ttterdi un episodio isolabile; senza di ci si accorge che ?on SI tratt~ a a 0 'bile Un amour de Swann e esso, l'insieme tlSulterebbe IllcomPrensl 'adro rieorda non tanto 0 un qua dro ne l qu .. " un romanzo ne1 romanzo, 'nzieri del xvn e XVIII secolo queUe storie a incastro che ~un:erosl r?~~sto uelle storie interne che inserivano nelle l~rod na;;az,lOnt, ~~ ~~lzac 0 inqGide, Proust colloca ad si 1eggono nella V,ze e artanne, iecolo s ecchio convesso che 10 u,no de~li i~gres~l del su06)0~:n~~t~~~a e l'op~razione de1l'inc~stro ,s~ nflette 1ll SIllteSl» ~p, I4, 1 sostituire loro una immagIlle, pm sono imposte, anc e se SI, msc co rime i1 medesimo rapporto di imn~e, p,iu adeIguatl~ m~ che d~ ~~~pe~~~famento e di rappresentazione, in, phcazlOne, rr:f',.I~31~lo.ne . questo caso, " l'estetica di Rousset concord a con quella di , Per 1e stesse raglOnt,
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La scrittura e la differenza
Claude1. L'estetica ptoustiana e d' 1 . gie su CIaudeI E Ie aflinl't' ~dtra ~arte defintta aH'inizio del saga sono eVl entl a1 d' l' d' . I1tema deHa «monotonia strutt 1 .' 1 a 1 tutte Ie differenze. pensando aHa monot~nia deHe 0 ura e>~ n~ssu~e qu.este aflinita: «E riche i grandi Ietterati non hann per~ dl ~tnteU1I, splegavo ad Albettine g1i~ titratto atttavetso ambient~ X~~~~o ot~o he un'opera sola, 0 mee~sl recano al mondo» (p. Ill) CI d l~a e ezza .sempre uguale che d or sotto un'altra forma Ri' au eli «Le soulter de satin e The Partage de midi. E anche'Ia c~~ume. ne o.stesso tempo The d'or e poeta non fa che sviluppate un ~IuslOne dl:~rtage de midi» ... «Un Questa estetica che neuttali plano presta lItto» (p. Il2). tra Ia ghianda e Ia quercia, non ;z:u~~ durata. e a forza, ~ome diJl0:fl1Pl duce una metafisica. n «tern H noma tn toust e tn Claude1. Trache l'~.intemporaIe» 0 l'«eter~~>: ~ stat~ puro», Proust 10 chiama ansenso del tempo Ia.t.~e. mp' .'" ,/.: a vema del tempo non temporale 1 ( , o r a Ita pura non e tern 1 I d . ogo rna analogo solarnente) i1 t pOt~ e. n mo 0 ananon e, secondo Claudel ch :1 r emp~o come succeSSlOne irreversibile c, d I , e 1 renomeno 1'epiderm 'd 1" . supe~Ilcle e Ia vetita essenziaIe deH'Uni' '. \ e, lmmagtne in da, DlO. Questa verita e Ia simult ". vets] quale e pensato e creato creatore e compositore ha «i1 gu:t~e~allasso uta'hCo~e Dio, Claude}, (Art pohiquer.' e e cose c e eSlstono insieme» In ultima analisi, questa intenzio fi'" un~ serie di mediazioni l'intero sa ~e meta SIca glUstlfica, atttaverso gg cate aHa «scena fonda~entale d I 0 su PrOust,. tutte Ie analisi dedi«stato puro deHa struttura c1audeli teatro c audel.lano» (p. 183), aHo I717 ) tn Partage de midi, e, alla totalita di questo teatro nel ia>d~p· C poliamo il tempo come una'fi qua~, Ice aude1 stesso, «noi maniore durano e i giorni vengono sjrm?n(lca, a nostro piacere» e dove «Ie B . e USl» p. 18 I ) en tnteso, non analizzeremo in se stes sa . teologia deHa temporalita Ch l' . h questa metafisica 0 questa f d 11 . e estetlca c e ne dip end . 1 . . ,econ a ne a Iettura di Proust 0 di CIa d 1 . ~ Sla eglttlma e e Ia loro estetica, figlia (0 madre) della~ ~ , va t1CO~OSClU~O. senz' altro: ,.' I anche agevolmente che qui si ttattad'If 0 me~~slc~. Cl .Sl. conceded strutturalismo 0 ad ogni gesto str tt e a meIta SlC~ lmphclta ad ogni ! 1 • U ura lsta. n particolare, una Iettura
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Citato a p. r89. Rousset commenta . per tutt~ gli ordini di realta. Tuttog~Ubb~ili~~~e~ll< qna sim!le dichia:a~ione, non isolata, e ta, come e la legge del Creatore Perche I'un' a, egge dl composzzlone, la legge del
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stanzapslanho, conglUntJ dalla loro simultaneita e allonro aI?met~ere che due esseri separati dalla diC orne rou eze e Rodri ". a rtsuomno come Ie d d' gue, In un rapporto inesauribile" » ue note 1 un accardo,
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strutturale presuppone sempre, si richiama sempre, nel SUO momento proprio, a questa simultaneita teologica dellibro e si teputa priva dell'essenziale quando non vi accede. Rousset: «Ad ogni modo, la lettura, che si sviluppa nella durata, dovra, per essere globale, considerare 1'0pera come simultaneamente presente in tutte Ie sue parti... Illibro, simile a un "quadro in movimento" , non si mostra se non in frammenti successivi. 11 compito dellettore esigente consiste nel rovesciare questa tendenza naturale dellibro, di modo che quest'ultimo possa presentarsi nella sua interezza allo sguardo dello spirito. Non c'e lettara com.pleta se non trasforma illibro in un reticolo simultaneo di relazioni reciproche: solo allora scaturiscono Ie sorprese ... » (p. XIII). (Quali sorprese? In che modo la simultaneita puo riservare delle sorprese? Si, Inl.tta, piuttosto, qui, di annullare Ie sorprese del non-simultaneo. Le sorprese scaturiscono dal dialogo tra i1 noncsimultaneo e il sim.llltan~o. Basta dire che la simultaneita strutturale eanch' essa rassicurante»). Richard: «La difficolta di ogni analisi strutturale deriva dal fatto che bisogna descrivere di seguito, successivamente, do che di fatto esiste insieme, simultaneamente» (op. cit., p. 28). Rousset si riferisce dunque all~ dif· ficolta di accedere, nella lettura, al simultimeQ che e la verita; Richard alla'difficolta di render conto, nella scrittura, del simultaneo che e laverita. In ambedue i casi la simultaneita e il mito promosso a: ideale~clatore di una lettura 0 di una descrizione totali. La ricerca del simultaneo spiega il potere di seduzione esercitato dall'immagine spaziale: 10 spazio non e forse «l'ordine delle coesistenze» (Leibniz)? Ma dJCendo «simultaneith invece di spazio, si tenta di concentrare il tempo invece di dimenticarlo. «La durata prende COS! la forma illusoria di un mezzo omogeneo, e illegame tra questi due termini, spazio e durata, e la simultaneita, che si potrebbe definire l'intersezione del tempo con 10 spazio» 1. In questa esigenza del piatto e den'orizzontal~, e appunto la ricchezza, l'impHcazione del volume che risulta intollerabile allo strutturalismo, doe tutto quello che della significazione non e possibile esporre nella simultaneita di una forma. Ma eforse un caso se il libro e prima di tutto, v91ume? 2. Ese il senso del senso (nel senso generale di senso e non di segnalazione) el'implicazione infinita? II rinvio indefinito da significante a significante? Se la sua forza e una certa 1 H. BERGSON, Saggio sui dati immediati della coscienza, trad. di G. Bartoli, Boringhieri, Torino 1964, p. rr6. 2 Per I'uomo dello strutturalismo letterario (e forse per 10 strutturalismo in genere), la lettera dei Iibri - movimento, infinito, labilita e instabilitli del senso avvolto in se nella scorza, nel volume - non ha ancora sostituito (rna puo farlo?) Ia lettera della Legge spiegata, fissata: la pre' scrizione sulle Tavole.
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La scri ttura e la differenza
equivocita pura e infinita ch l' . cato impegnandolo nIl' e no? aSCla tre,gua, nposo al senso signifi' , Tranne ch' e 1a Lpropna dt'lf ertre? 'b ' economta .1">'"'''''''''' .J a fare ancora segno e a "'dO' ,,;,., e ne t ro lrreauzzato da Mall' . 1 entlta a se dello scritto. arme, non eSlste Irrealizzato: cia non signifi h M 11 ' . lizzare un Libro che f ca c ~ a arme non Sla riuscito a reah osse uno con se, MaUarme sem lic 1 p,U em;nte non .0 . a v~I~to. Ha irrealizzato I'unita dellibro facend tn CUI Sl credeva di poterla pensare in mod . 0 vaCl are Ie categone 0 raSSlcurante: ne mom en to t . . 1" ~'bsO ,tn cu1 par a dl una «ldentita con se» del Libro sottolinea che il 1 ro e neI10 stesso tempo «10 ste l' 1 ' se» Esso' . sso e a tro», essendo «composto con . non Sl espone qUI soltanto a n d '. ma attravero di esso di M U ' / a«. oppla tnterpretazione», dieci volte questo d~pp~~ voru~:~~t «r 0 ~emtno per cOSI dire qua e Ia ' '1 d eo» . Abb lamo 1 iritto di as d lismo questa metafisic sumere a ~eto 0 g~nerale dello strutturaProust e a Claudel' Ma ,e ques~a estetlca che Sl adattano cOSI bene a cui abbi '-1 . a e prop no queUo che fa Rousset neUa misura in d' amo a meno tentato di dimostrarlo decide d"d d'
tel~~~o~~~;c<~~~::~at~fIi~~~> c~ep~~~:i:~t~~ff;~i~: as\~ I~c~ d~~1~ :ch~~~
:~;:~s1:~i~~~~s~~dust eda ~Idaudedl,. saggi.guidati dUa~l:nse::~~t~;:~7~ . '. eve eCl ere conslderare co ' d ' d' 1
~:~e~~:v;~:u:~:~~~tio, ~gni personaggio» di cui si do~;ebb~c~
pen
" Su questa «identitii a se» dellibro mallarme O f 1957, p, 95 e foglietto 94 e P 7 ar ,{ r, J, SCHERER, Le «Livre» de Mallarme, , Non IOsIsteremo qui su questo ti 0 di ' 7 e og lettO 129-30, ag~~are e che si ripropone d'altra parttad oinior;~:'d'l~roblemd' bRnale rna che e molto diflicile st? lato a parte oppure di un'opera isolata Non " e, avoro I ousset, si tratti di un autore e 10 ,c~e modo riconoscerla e privileghrla' II crit c,e, ogO! v?lta, c~e una struttura fondamentale en:Plrlco-statistic~ ne in una intuizio~~ d;essenza erio ,ron conSlst,c;re ne, in una accumulazion~ sClenza strutturaltsta che si rivolge ad p ,', 1 pro em~ delllOduzlOne che si pone a una ste un a priori materiale dell'opera' Maol'~~~' ~l?e a dOII~ la ~Ul, struttura non e aprioristica Esiblemi pregiudiziali. "UlZ!one e a pnon materia Ie introduce enormi pro-
Gall~mard, !"a~is
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se per dimostrare che nel Soulier de satin, Claudel «non si smentisce» e non «rinuncia» al suo «schema abituale» (p. 183). La cosa pili grave e che questa metodo, «ultra-strutturalista», abbiamo detto, per certi lati sembra qui contraddire l'intenzione pili preziosa ed originale dello strutturalismo. Quest'ultimo, nei campi della biologia e della linguistica in cui si e dapprima manifestato, rende soprattutto a preservare la coerenza e la complessita di ogni singola totaIlta al suo proprio livello. Si vieta di prendere in considerazione, in par- ' tenza, per una data configurazione, la parte d'incompletezza 0 di carenza, tutto cia per cui non risulterebbe che l'anticipazione cieca 0 la deviazione misteriosa di una ortogenesi pensata a partire da un telos 0 da una norma ideale. Essere strutturalista significa applicarsi, innanzitutto, all'organizzazione del senso, all'autonomia e all'equilibrio propdo, alIa costituzione realizzata di ogni momento, di ogni forma; significa rifiutarsi di trasferire al rango di accidente aberrante tutto cio che un tipo ideale non permette di comprendere. II patologico stesso non e semplice assenza di struttura. E organizzato. Non epossibile intenderlo come deficienza, defezione 0 decomposizione di una bella totalita ideaIe, Non euna semplice sconfitta del telos. E vero che il rifiuto del finalismo euna regola giuridica, una norma metodica che 10 strutturalismo edifficilmente in grado di applicare, Nei confronti del telos eun voto d'empieta a cui illavoro non emai fedele, Lo strutturalismo vive nella e della differenza tra il suo voto e il suo hnto. Si tratti di biologia, di linguistica 0 di letteratura, come epossibile percepire una totalita organizzata senza prendere l'avvio dalla sua fine, dal suo fine? almeno, dal1a presunzione di esso? Ese il senso non eil senso che in una totalita, come potrebbe sgorgare se la totalita non fosse animata dall'anticipazione di una fine, da una intenzionalita che peraltro non enecessariamente e prima di tutto quella di una coscienza? Se ci sono strutture, esse sono possibili solo a partire da questa struttura fondamentale per mezzo della quale la totalita si apre e si rivers a per prendere senso nell'anticipazione di un telos che dobbiamo intendere qui nella sua forma pili indeterminata. Questo inizio e certo cia che libera il tempo e Ia genesi (si confonde anzi con essi), rna e anche cio che rischia, dandogli una forma, di rinchiudere il divenire. Di fare tacere la forza sotto la forma. Allora si deve riconoscere che, nella rilettura a cui ci invita Rousset, cia che dall'interno minaccia la luce e anche cia che minaccia metansicamente ogni strutturalismo: nascondere il senso nell'atto stesso in cui 10 si scopre, Comprendere la struttura di un divenire, la forma eli una
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forza, e perdere il senso mentre 10 si conquista. II sc;!nso del diveniref della forza, nella 101'0 pura e propria quaHta, e Ia quiete del cominciamento. e dell? fine, Ia pace di uno spettacolo, orizzonte 0 volto. In questa qUlete e In questa pace, la qualita del divenire e della forza e offuscat~ dal se~so st~sso. Il senso del senso e apollineo, per tutto quello che In esso Sl mamfesta. . Dire la forza come origine del fenomeno, e senza dubbio non dire mente. Quand~ e d~tta, la. forza e gia fenomeno. Hegel aveva gEt mostrato c~e 1a sp1~gaz10ne d1 un fenomeno per mezzo di una forza e una tau.!QWg1a: Ma dic.endo qu~sto, bis,ogna a.vere in mente una cetta impot~nza de1ltnguagglO ad USC1re da se per dIre Ia sua origine, e non il penst~!Q...della forza. La forza e l' altro del linguaggio senza il qua1e quest ultImo non sarebbe quello che e. . Per non alterare nel H~guaggio questa strano movimento, per non ndurlo a nostra volta, b1sognerebbe ancora cercare di ritornare su quel!a metafora dell'ombra e della 1uce (del mostrarsi e del nasconders1), metafora fondatrice della filosofia occidentale come metafisica. Metafora f?ndatrice non ~010 in quanto metafora fotologica - e a questo p~O~OSltO tut~a 1a stona della nostra filosofia e una foto10gia, nome che Sl da alIa. stona 0 al trattato della luce - ma gia in quanta metafora: la ~etafora In genera1e, passaggio da un essente a un altro, 0 da un sigmficato a un altro, autorizzato dalla so"H01!!i.!..sione iniziale e dallo spostamento analogico dell'essere sotto I'essente, e 1a pesantezza essenziale che t.rattiene e reprime irrimediabilmente il discorso nella meta£1sica. DestIno che solo con una certa ingenuita si puo considerare come il.riprovevole e pr~vvisorio accidente di una «stCl,rja»; come un 1apsus, un errore d~I penS1ero nella storiq (in historia). E, in historiam, Ia caduta d~l pe~~le~o nella £110so£1a, per mezzo della quaie Ia storia ha preso avvto~,. ~lO dimostra quanto 1a metafora della «caduta» sia degna delle sue v1~g?Iette ..r? questa meta~~ic.a elioce~tric~, Ia forza cedendo il posto all e1dos (clOe alIa form~ V1s1b1Ie per 1 occhlO metaforico), e gia stata separata da1 ~uo senso d1 forza come la qualita della musica e separata d.a se ne~I'?c~stica '. In che modo comprendere 1a forza 0 la debolezza In termm1 d1 chiarezza e d'oscurita? II f?tto che 10 s.trutturalismo moderno si sia formato e sviluppato nella d1pendenza P1l] 0 menu diretta e dichiarata della fenomenologia,
do
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, ,'« .': II punto d! part~nza ehe vermette di affermare ehe tutto ehe qualifieativo quant~tatlvo S,I trova n,ell aeustlea, .. (Teoria delle eorde sonore; rapporto degli intervalli' modo do-
t1eo~,.: St tratta dt trovare dappertutto formule matematiche per Ie forze assolutame~te impenetrabtlt» (F. NIETZSCHE, La nascita della Ii/asalia all'epaca della tragedia greca).
sarebbe sufficiente a renderlo tributario della pili pura linea tradizionale della filoso£1a occklentale, quella che, al di Ia del suo antiplatonismo riconduce Husser! a Platone. Ora, si cercherebbe invano nella fenom'enologia un concetto che permetta di pensare I'intensita oia forza. Di pensare 1a potenza e non soltanto 1a direzione, la tensione e no? s?ltanto {'in 'dell'intenzionalita. Tutto il valore e innanzitutto costltultO da un soggetto teoretico. Non c'e conquista ne perdita se non in termini di chiarezza e di non-chiarezza, di evidenza, di presenza e d'assenza per una coscienza, di presa e di perdita di coscienza. La diafanit~ e il valore suPtelllo ; e l'uQivocita. Di qui Ie difficolta a pensare 1a g~?eS1 e 1a temporalita pura dell'ego trascend~nta1e, a r~nde: conto de1l1l1carna: zione riuscita 0 fallita del telos, e d1 queUe m1stenose debo1ezze che Sl chiamano crisi. E quando, in qualche momenta, Husserl rinunc.ia a c?n: siderare i fenomeni di crisi e di fallimento del telos come «aCCIdent! d1 genesi», come qualcosa di inessenziale (Unwesen), e p~r dimostrare c~e 1a dimenticanza e eideticamente prescritta e necessana, sotto la specIe della «sedimentazione», allo sviluppo de)la verita. Al suo disvelamento, alIa sua illuminazione. Ma perche queste forze e queste debo~ezze della coscienza e questa forza della debo1ezza che nasconde nell atto stesso in cui rivela? Se questa «dialettica» della forza e della debo1ezza e la finitezza del pensiero stesso nel suo rapporto all'esse.re, essa no~ puo dire se stessa nellinguaggio della forma per mezzo d1 ombra e d~ luce. Perche la forza non e l'oscurita, non e nascosta sotto una forma d1 cui essa sarebbe 1a sostanza, la materia 0 1a cripta. La forza non si penw a partire dalla coppia d'opposizione, cioe dalla complicita t:a la fen~ meno10gia e l'occultismo. Ne, all'interno della fenomeno1og1a, come 11 fatto opposto a1 sensa. . . Bisogna tent are dunque di affrancarsi da q?~sto ltngua.gglO. ~on tentare di affrancarsene, perche sarebbe imposslbde senza d1mentlCare la nastra storia. Ma sognare di farlo. Non di affrancarcene, c?sa c?e no~ avrebbe senso e ci priverebbe della 1uce del senso. Ma d1. reslster~h quanta pili possiamo. Non bisogna in ogni caso abbandonars~ ad esso 111 quell'abbandono che e oggi 1a deteriore ebbrezza del formaltsmo strutturalista pili sfumato. . . La critica, se dovra un giorno affront are una sp1egaZlOl1e e un~ scambio con la scrittura 1etteraria, non deve aspettare che questa res1stenza si organizzi _ per cominciare - in una «filosofia», in gra~o di .do~in~r~ una metodo10gia estetica, da cui la critica possa trarre 1 suo1'pr1l1~lp1. Perche 1a fi1osofia e stata determinata nella sua storia come r1fless1on~ dell'inaugurazione poetica. Essa e, se pensata separatamente, il crepu-
La scrittura e Ia differenza
s~o~o dellefor~e, vale a dire il mattino as sola to in cui parlano Ie immagln1, Ie forme, 1~enomeni, mattino delle idee e degli idoli, in cui il rilievo delle forze d1venta quiete, appiattisce la sua profondita nella luce e si .e~tende nell:ori~~~.~~l:Ilit~. M~ l'impresa edisperata se si pensa che la cnt1ca letterana S1 e g1a cletermtnata, 10 sappia 0 no, 10 voglia 0 no, come filosofia della letteratura. In quanto tale vale a dire finche essa non avra esplicitamente intrapreso l'operazion; strategica di cui abbiamo parlato pill sopra e che non puo semplicemente esser pensata sotto il dtolo.dello. st~uttur~lismo"la c~iti~a non avra ne i mezzi ne soprattutto il mot1vo d1 nnunC1are all eU!1tm1a, alIa geometria, al privilegio dello s?uardo, all'es~asi apollinea che «produce, prima di ogni cosa, l'irrita.ZlOne dell'occhlO che da all'occhio la facolta della visione» I. Essa non potra ~scire da se stess~ fino ad amare la forza e il movimento, che spo: sta Ie hnee, ad amarlo In quanto movimento, in quanto desiderio in se stesso e non come l'accidente 0 l'epifania delle linee. Fino alIa scrittura. Di qui .quepa nostalgia, quell a malinconia, quella dionisia che si e spenta e ~1 cu~ parlavamo all'inizio. Ci inganniamo, ne! percepirla attraver so 1eloglO della «monotonia» strutturale e claudeliana che conclude Forme et signification? , Bisognerebbe concludere, ma la discussione e interminabile. La diI,vergenza, la d/jjerenza tra Dioniso e Apollo, tra 10 slancio e la strutturanon si cancella nella storia, perche essa non e nella storia. E anch'esIS~, in un ~e?~o insolito, una struttura originaria: l'apertura della stona, ~a st?!1C1ta stessa. La difl~renza non fa semplicemente parte l1e della st.9.r!~ ne della struttura. Se con Schelling e necessario dire che «tutto non e che Dioniso», e anche necessario sapere - e questo e scrivere _ che come la forza pura, Dioniso e travagliato dalla differenza. Vede e si la~t::ia vedere. E (si) cava gli occhi. Da sempre egli e in relazione con il suo esterno, con la forma visibile, con la struttura come propria morte. E COS1 che si fa evidente. ' _ «Non abbastanza forme ... », diceva Flaubert. Come interpretarlo? E una celebrazione dell'altro dalla forma? del «troppe cose» che 10 eccede e gli resiste? Elogio di Dioniso? No, evidentemente. Al contra rio e il sospiro di un «ahime! non abbastanza forme». E una religione del~ l'opera come forma. D'altra parte Ie case per Ie quali non abbiamo ab• 1 F. NIE!ZSCHE,.n. crepusco(o d~gli idoli, in Opere complete, a cura di G. Colli e M. Montinan, trad. dl F. Masini, Adelphi, Milano 1970, vol. VI, tomo III.
Forza e significazione
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bastanza forme, sono gia dei fantasmi d'energia, delle «idee» «pill estese della plastica dello stile». Si tratta di una frecciata contro Leconte de Lisle, frecciata benevola, perche Flaubert «ha molto affetto per que! ragazzo» I. Nietzsche non si era sbagliato: «Flaubert, riedizione di Pascal, ma sotto i tratti di un artista che ha per base questo giudizio istintivo: "Flaubert e sempre odioso, l'uomo non e nulla, I'opera e tutto ... "»'. Bisognerebbe dunque scegliere tra Ia scrittura e Ia danza. Nietzsche ha un bel raccomandarci una danza della penna: «Saper danzare con i piedi, con Ie idee, con Ie parole: debbo aggiungere che si deve saper danzare con Ia penna? - che si deve imparare a scrivere?» Flaubert sapeva bene, e aveva ragione, che Ia scrittura non puo essere in tutto e per tutto dionisiaca. «Non si puo pensare a scrivere, se non seduti», diceva. Gioiosa collera di Nietzsche: «Ti ho colto nichilista! Restare seduti, e esattamente il peccato contro 10 Spirito Santo. Solo i pensieri che vi vengono camminando hanno valore». Ma anche Nietzsche aveva il sospetto che 10 scrittore non sarebbe mai stato in piedi; che Ia scrittura e fin da principio e per sempre qu~I: che cosa su cui ci si china.Soprattutto quando Ie Iettere non sono plu cifre di Fuoco nel cielo. Se Nietzsche ne aveva il sospetto, Zaratustra ne era certo: «Eccomj qui circondato da tavole spezzate e da aItre incise solo a meta. Sono qui in attesa. Quando yetta Ia mia ora, l'ora di ridiscendere e di perire ... » «Die Stunde meines Niederganges, Unterganges». Bisognera discendere, Iavorare, chinarsi per incidere e portare Ia nuova Tavoia nell: valli, Ieggerla e farla leggere. La scrittura e I'esito come discesa fuori d1 se in se del senso: metafora-per-aItri-ad-uso-di-aItri-qua-giu, metafora ) come possibilita di aItri quaggill, metafora come metafisica dove l'essere deve nascondersi se si vuole che I'aItro si manifesti. Scavo nell'aItro verso l'aItro dove 10 stesso cerca Ia sua vena e I'oro vero del suo fenomeno. Submissione in cui puo sempre perder(si). Niedergang, Untergang. Ma non e nulla, non e (se) stesso, prima del rischio di perder(si). Perche l'altro fraterno non e fin da principio nella pace di cio che si chiama I'intersoggettivita, ma nel travaglio e nel pericolo delI'inter-rogazione; non e fin da principio sicuro nella pace della risposta Pre.lace {j la vie d'ecrivain cit., p. III. . II crepuscolo degli idoli cit. Puo essere di qualche interesse accostare a qu.esta frase d~ Nietzsche un passe di Forme et signification cit.: «La corrispondenza di Flaubm eplstolograf~ CI e preziosa rna nel Haubert epistolografo io non riconosco iI Flaubert romanzlere: quando Glde. dichiara che preferisce il primo, ho I'impressione che scelga iI cattivo Flaubert, 0 almeno, quello che iI romanziere ha fatto di tutto per e1iminar~» (p. xx). I 2
G. FLAUBERT,
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La scrittura e la differenza
dove due affermazioni si congiungono, rna echiamato nella notte da1 1avoro di SC~v? de.n'inte~rOgazione. La scrittura eil momento di questa Valle ongmana dell altro nell'essere. Momento della profondita anche come caduta. Istanza ed insistenza del grave. «Guardate: ecco una tav01a nuova. Ma dove sono i fratelli miei che con me 1a portino a valle, in cuod di carne?»
Cogito e storia della follia "
... II Momenta della Decisione
e una Follia ... KIERKEGAARD
In ogni nfodo, questa libro era terribilmente pieno di rischi. Un fogIio trasparente 10 separa dalla follia. J. JOYCE,
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"I,
a proposito di Uline
Le riflessioni che seguono, come gia chiaramente 1asciava intendere il tit010 di questa conferenza I, prendono l' avvio dal libro di Michel Foucault Folie et deraison. Histoire de la folie it l' age classique '. Libro per tanti aspetti degno d'ammirazione, libro potente nel respiro e nello stile: che puo incutere maggior soggezione a chi, come me, avendo avuto nel passato la fortuna di ricevere l'insegnamento di Michel Foucault, ne serba una coscienza di discepolo rispettoso e riconoscente. Ora la coscienza del discepolo, quand'esso incomincia, non diro a discutere, rna a dialogare con il maestro, 0 meglio a esprimere il dialogo interminabile e silenzioso che 10 costituiva come discepolo, questa coscienza e allora una coscienza infelice. Cominciando a dialogare nel mondo, vale a dire a rispondere, essa si sente gia colt a sempre in fa110 come l'infante, che per definizione, e come il nome stesso indica, non sa parlare, e prima di tutto non deve rispondere. E quando, come in questa caso, il dialogo rischia di essere interpretato - a tor to - come una contestazione, il discepolo sa di essere solo, a trovarsi gia per questa contestato dalla voce del maestro, che, in lui, precede la sua. Si sente contestato indefinitamente, 0 ricusato, 0 accusato: come discepolo egli 10 e dal maestro che parla in lui prima di lui per rimproverarlo di sollevare :, Co.~ito et histoire de la folie, conferenza pronunciata il 4 marzo 1963 al College philosophique; pubblicata in «Revue de Metaphysique et de Morale», 1963, nn. 3 e 4. I Ad eccezione di alcune note e di un breve passo (tra parentesi) questo studio riproduce una conferenza pronunciata il 4 marzo 1963 al College philosophique. Proponendoci di pubblicarla nella «Revue de Metaphysique et de Morale», Jean Wahl aveva consentito di buon grado che questo testo conservasse la sua forma primitiva, che era quella della parola viva, con tutte Ie esigenze e soprattutto Ie deficienze inerenti: se giil in generale, secondo I'espressione del Fedro 10 scritto, privato dell'«assistenza del padre», «idolo» fragile e declassato del «discorso vivo e animato» non e mai in grado di «soccorrere se stesso», non e forse pili esposto e disarmato che mai quando, imitando I'improvvisazione della voce, non PUQ concedersi neppure Ie risorse e Ie menzogne dello stile? , PIon, Paris I961. [II libro e stato tradotto e pubblicato in italiano (Rizzoli, Milano I963) con il titolo di Staria della follia, con qnalche spostamento di capitoli e qualche taglio].
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Cogito e storia della follia
La scrittura e Ia differenza
questa contestazione e per rifiutarla in anticipo, avendola svolta prima di lui; come maestro, dal di dentro, e dunque contestato dal discepolo che egli contemporaneamente e. Questa infelicita interminabile del di· scepolo deriva forse dal fatto che egli non sa, 0 si nasconde ancora che, come la vera vita, il maestro forse e sempre assente. Bisogna, dunque, rompere il ghiaccio, 0 meglio il rispecchiamento, la riflessione, la speculazione infinita del discepolo suI maestro. E co· minciare a parlare. Poiche 10 sviluppo che seguiranno queste considerazioni non sara per nulla rettilineo ne unilineare, rinuncero ad ogni altro preambolo per and are diritto a quelle interrogazioni pili generali che saranno al centro di queste riflessioni. Problemi generali che dovremo determina· re, specific are cammin facendo e che in gran parte, per la maggior parte anzi, resteranno aperti. II mio punto di partenza puo sembrare sottile e artificioso. In que· sto libro di 673 pagine, Michel Foucault dedica tre pagine [77.80 della trad. it.] - e per di pili in una specie di prologo al secondo capitolo - ad un passo dalla prima delle Meditazioni di Descartes, in cui la follia, la stravaganza, la demenza, l'insanita paiono - dico appunto paiono - al· lontanate, escluse, espulse dal cerchio di ogni dignita filosofica, private del diritto di cittadinanza filosofica, del diritto alla considerazione filasofica, revocate, immediatamente dopo esser state convocate da Descar· tes innanzi al tribunale, alIa suprema istanza di un Cogito che, per es· senza, non pUG essere folIe. Sostenendo - a torto 0 a ragione - che il senso dell'intero progetto di Foucault puo concentrarsi in queste poche pagine allusive ed un po' enigmatiche, sostenendo che la lettura che qui ci viene proposta di De· scartes e del Cogito cartesiano contiene nella sua problematica la tota· lita di questa Storia della follia, nel senso della sua intenzione e nelle condizioni della sua possibilita, io mi chiedero dunque, in due serie di in terrogazioni: I. Primo, interrogazione in qualche modo pregiudiziale: l'inter· pretazione che ci e proposta dell'intenzione cartesian a e giustificata? Quello che chiamo qui interpretazione e un certo passaggio, un certo rapporto semantico proposto da Foucault, tra quello che Descartes ha detto - 0 quello che si crede abbia detto 0 voluto dire - da una parte, e, d' altra parte, per esprimerci in modo intenzionalmente indefinito per il momento, una certa «struttura storica», come si usa dire, una certa totalita storica piena di senso, un certo progetto storico totale che si crede possa essere dimostrato in particolare attraverso cio che Desqr·
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tes ha detto - 0 che si crede abbia detto 0 voluto dire. Chiedendomi se l'interpretazione e giustifiqta, io mi chiedo percio fin d'ora due cose, mi pongo due interrogazioni pregiudiziali in una: a) E state ben compreso il segno stesso, in se stesso? Cioe, si eben inteso'quello che Descartes ha detto e ha voluto dire? Questa compren· sione del segno in se stesso, nella sua so stanza immediata di segno, se posso dire COS1, non e che il primo momento, ma e anche la condizione indispensabile di ogni ermeneutica e di ogni pretesa di passare dal se· gno al significato. Quando, generalmente, si tenta di passare da un lin· guaggio patente ad un linguaggio latente, bisogna accertarsi prima di tutto con ogni l'igore del senso patente 1. E necessario, per esempio, che l'analista parH fin da principio la stessa lingua del malato. b) Seconda implicazione della prima interrogazione: una volta inte· sa - come segno -l'intenzione dichiarata di Descartes, ha davvero con la struttura storica tot ale con la quale lasi vuole mettere in relazione, il rapporto che si desidera attribuirle? Ha la signijicazione storica che si desidera attribuirle? «Ha la significazione storica che si desidera attribuirle», cioe anco· ra due domande in una: - ha la significazione storica che si desidera attribuirle, ha quella significazione, quella certa significazione storica che Foucault de· sidera attribuirle? - ha la significazione storica che si desidera attribuirle? Questa si· gnificazione si esaurisce nella sua storicita? 0, in altre parole, e tutta e interamente storica, nel sen so classico di questa paro1.a? 2. Seconda serie di interrogazioni (e qui dovremo oltrepassare un po' il caso di Descartes, il caso del Cogito cartesiano e non 10 esamine· remo pili in se stesso, ma come l'indice di una problematic a pili gene· 1 In Traumdeutung (cap. II, x) [efr. s. FREUD, Opere, va!. III: L'interpretazione dei sogni t:ad. di E. Fachin~lli e H. Trettl Fa:hinelIi, Boringhieri, Torino X966, p. I02, nota 2], a propo: SltO del nesso tra II sogno e l'espresslOne verbale, Freud ricorda l'osservazione di Ferenczi: ogni lingua ha la sua lingua di sogno. II eontenuto latente di un sogno (e di un comportamento a di una coscienza in generale) e in comunicazione can il contenuto manifesto solo per mezzo dell'unita di una lingua; lingua che percio l'analista deve parlare nel miglior modo possibile. (Cfr. a questo proposito, D. LAGACHE, Sur Ie polyglotlisme dans I'analyse, in «La Psychanalyse», t. 1, 1956). Nel miglior modo possibile: poiche, per natura, la eonoscenza e la pratica di una lingua puo progredire alI'infinito (prima di tutlo, a causa dell'equivocita originaria ed essenziale del significante nellinguaggio, almena, della «vita quotidiana», della sua indeterminazione e del suo spazio di gioco che libera precisamente la differenza (ra il nascosto e il manifesto; in secondo luogo, a causa della comunicazione essenziale e originale di lingue tra loro differenti, attraverso la storia; in/ine a causa del gioco, del rapporto a se 0 della «sedimentazione» di ogni lingua), la incertezza 0 l'insuflicienza dell'analisi non capitale 0 irriducibile? E 10 storieo della filosofia, quali che siano il suo metodo e i suoi progetti, non esposto agli stessi pericoli? Soprattutto se si tiene conto di un certo radicarsi del Iinguaggio filosofico nel Iinguaggio non-filosofico.
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Cogito e storia della follia
La scrittura e la differenza
rale): alla luce della rilettura del Cogito carte siano che saremo portati a proporre (0 piuttosto a richiamare, perche, 10 dico subito, sara in un certo modo la lettura pili classica, quell a pili banale, anche se non risulta la pili facile), non sara possibile interrogare alcuni presupposti filosofici e metodologici di questa storia della foIlia? Alcuni soltanto, perche l'impresa di Foucault e troppo ricca, si muove in troppe direzioni per permettere a un metodo 0 anche ad una filosofia, nel senso tradizionale di questa parola, di precederla. E se e vero, come dice Foucault, come riteva Foucault, citando Pascal, che non si puo parlare della foIlia che in relazione a quest'« altra forma di foIlia» che permette agli uomini di «non essere foIli», cioe in relazione alIa ragione \ sara forse possibite non tanto aggiungere qualcosa a cia che dice Foucault, rna ripetere forse, ancora una volta, nel punto di questa separazione tra ragione e follia, come dice molto bene Foucault, it senso, un senso di questa Cogito, o dri «Cogito», perche il Cogito di tipo carte siano non e la prima ne l'ultima forma del Cogito; e provare che si tratta, qui, di una esperienza che nelle sue estreme conseguenze, non e forse meno avventurosa, pericolosa, enigmatica, notturna e patetica di quella della foIlia e che Ie e, credo, molto meno avversa e accusatrice, accusativa, oggettivante di. quanta Foucault non sembri crederlo. In una prima fase del discorso, praticheremo it genere del commento, accompagneremo 0 seguiremo it pili fedelmente possibite l'intenzione di Foucault, tornando a inscrivere l'interpretazione del Cogito cartesiano nello schema totale della Storia della lollia. QueUo che dunque 1 Vedremo subito come risultasse impossibile a Foucault non sperimentare che ogni storia non e in ultima istanza se nOI1 la storia del senso, doe della Ragione in generale. Cia che era impossibile che non sperimentasse e il fatto che la signilicazione pili generale di una difficolta da lui attribuita all'"esperienza c1assiea» e valida ben oltre I'"eta c1assiea». Cfr. per esempio p. 628: «E quando si trattava, cercandola nella sua essenza pili riservata, di definirla nella sua ultima struttura, non si trovava per formularla che il linguaggio siena della ragione svolto neI· l'impeccabile Icgica del delirio ed anche cio che Ia mostrava accessibiIe, Ia evitava come foIlia ». II Iinguaggio stesso della ragione ... Ma che puo essere mai un linguaggio che non sia della ragione in generale? E se non c'e storia che non sia storia della razionalita e del senso in generaIe, do significa cbe il linguaggio filosofico, quando parIa, recupera la negativita - 0 la dimenticanza, il c~e e 10 stesso - anche quando pretende di confessarla, di rieonoscerla. Forse, in questo caso, pili Slcuramente ancora. La storia della vedta e dunque Ia storia di questa economia del negativo. E necessario dunque, forse ora di ritornare all'astorico in un senso radicalmente opposto a quello della filosofia classica: non per misconoscere, questa volta, ma per rieonoscere - in silenzio - Ia negativid. Questa, e non Ia vedta positiva, il fondamento non storieo della storia. Si tratterebbe allora di una negativita tanto negativa da non potersi neppure pili chiamare cosf. La negativita sempre stata determinata dalla dialettica - cioe dalla metafisiea - come lavoro al servizio della costituzione del senso. Confessare la negativita in silenzio significa pervenire ad una dissodazione di tipo non c1assieo tra iI pensiero e il Iinguaggio. E forse tra il pensiero e Ia filosofia come discorso; ben sapendo che questo scism a puo essere detto, mentre si va cancellando, soltanto nella filosafia.
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dovrebbe apparire nel corso di questa prima fase e it sen so del Cog ito cartesiano nella lettura che ne da Foucault. E necessario, a questo scopo, richiamare it piano generale dellibro; ed aprire in margine alcune interrogazioni destinate a rimanere aperte e a rimanere in margine. Con 10 scrivere una storia della foIlia, Foucault ha voluto - e qui sta tutto il pregio rna anche l'impossibilita stessa del suo libro - scrivere una storia della foIlia in se stessa. In se stessa. Della foIlia stessa. Vale a dire restituendole Ia parola. Foucault ha voluto che la foIlia fosse i1 soggetto del suo libro; il soggetto in tutti i sensi di questa espressione: il tern a del suo libro e il soggetto parlante, l'autore del suo libro, la follia che parla di se. Scrivere la storia della foIlia in se stessa, vale a dire a partire dal suo proprio istante, dalla sua propria istanza e non nellinguaggio della ragione, nellinguaggio della psichiatria sulla foIlia - la dimensione agonistica e la dimensione retorica del suI coincidono in questa caso - su di una foIlia gia annientata sotto di essa, dominata, abbattnta, rinchiusa, cioe costituita in oggetto ed esiliata come l'altro di un linguaggio e di un senso storico che e state volutamente confuso con it logos stesso. «Storia non della psichiatria - dice Foucault - rna della foIlia stessa, nella sua vitalit?!, prima di ogni cattura da parte del sapere». Si tratta dunque di sfuggire alIa trappola 0 alIa ingenuita oggettiviste che consisterebbero nello scrivere, nellinguaggio della ragione classica, utilizzando i concetti che sono stati gli strumenti storid di una cattura della foIlia, nellinguaggio coltivato e poliziesco della ragione, una storia della foIlia selvaggia, quale esiste e respira prima di essere pres a e paralizzata nelle reti di quella stessa ragione classica. La volonta di evitare questa trappola e costante in Foucault. E cia che vi e di pili audace, di pili seducente in questa tentativo. Cia che determina anche la sua mirabile tensione. Ma e anche, non 10 dico per giuoco, quel che vi e di piu 10Ue nel suo progetto. Ed e notevole che questa volonta os6nata di evitare la trappola - vale a dire la trappola che la ragione classica ha teso alla foIlia e quell a che essa tende ora a Foucault che vuole scrivere una storia della foIlia stessa senza ripetere l'aggressione razionalista, - questa volonta di aggirare la ragione si esprime in due modi· diflidlmente conciliabili a prima vista. II che implica che essa si esprima nel disagio. T alvolta Foucault rifiuta in blocco illinguaggio della ragione, che e quello dell'Ordine (vale a dire del sistema dell'oggettivita 0 della razionalita universale, di cui la psichiatria vuole essere l'espressione, e insieme dell'ordine civile, dato che il diritto di cittadinanza filosofica cor-
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La sed ttura e la differenza
risponde al diritto di cittadinanza tout court, e che il filosofico funziona, nell'unita di una certa struttura, come la metafora 0 la metafisica del politico). Allora egli scrive frasi di questa tipo (ha evocato poco prima il dialogo interrotto tra ragione e follia alla fine del XVIII secolo, interruzione che si sarebbe conclusa con l'annessione della totalita del linguaggio - 0 del diritto allinguaggio - alla ragione psichiatrica, in qualita di delegata della ragione sociale e della ragione di stato. E stata tolta la paroia alla follia); «lIlinguaggio della psichiatria, che e monologo della ragione sopra la follia, non ha potuto instaurarsi se non sopra un tale silenzio. Non ho voluto fare Ia storia di questo linguaggio; piuttosto l'archeologia di questo silenzio». E attraverso tutto illibro ricorre questa tema che lega Ia foUia al silenzio, alle «parole senza linguaggio» o «senza soggetto parlante», «mormorio ostinato di un linguaggio che parlerebbe da solo; senza soggetto parlante e senza interlocutore, rannicchiato in se stesso, stretto alla gola, sprofondato prima di aver raggiunto qualsiasi formulazione, e ritornato senza strepito al silenzio da cui non si e mai separato; radice calcinata del senso». Fare la storia della follia stessa, e dunque fare l'archeologia di un silenzio. Ma, prima di tutto, il silenzio stesso ha una sua storia? E poi, l'archeologia, sia pur quella del silenzio, non e una logica, vale a dire un linguaggio organizzato, un progetto, un ordine, una frase, una sintassi, un'«opera»? L'archeologia del silenzio non potrebbe essere il modo pili efficace, pili sottile, di ricominciare cioe Ia ripetizione, nel sen so pili irriducibilmente ambiguo del termine, dell'atto perpetrato contro Ia follia, e proprio nel momento in cui viene denunciato? Senza contare che tutti i segni che riescono a suggerire a Foucault l'origine di questa silenzio e di questa paroia interrotta, di tutto quello che avrebbe fatto della follia questa paroia interrotta e interdetta, contrastata, tutti questi segni, tutti questi documenti sono ricavati, senza eccezione, dalla zona giuridica dell'interdizione. E concesso allora domandarsi - e in momenti diversi da quelli in cui progetta di parlare del silenzio, anche Foucault se 10 chiede (a mio parere troppo Iateralmente e troppo implicitamente): quali saranno la sorgente e 10 statuto dellinguaggio di quella archeologia, di quellinguaggio che deve essere inteso da una ragione che non e la ragione classica? Quale e Ia responsabilita storica di questa Iogica dell'archeoIogia? Dove Iocalizzarla? Basta forse riporre in un Iaboratorio chiuso a chiave gli strumenti della psichiatria per ritrovare I'innocenza e per rompere ogni complicita con l'ordine razionale 0 politico che dene la follia prigioniera? Lo psichiatra non e che il delegato di questa ordine,
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un delegato tra gli altri. Forse non basta imprigionare 0 esiliare i1 delegato, togliergli a sua volta la parola; forse non basta rinunciare al materiale concettuale della psichiatria per scagionare il proprio linguaggio. Ogni nostro linguaggio europeo, illinguaggio di tutto cio che ha partecipato, da vicino 0 da Iontano, all'avventura della ragione occidentale, e l'immensa delegazione del progetto che Foucault definisce sotto la specie della cattura 0 dell'oggettivazione della follia. Niente in questo linguaggio e nessuno tra coloro che 10 patlano possono sfuggire alla colpevolezza storica - se colpevolezza c'e e se e storica in un senso classico - alla quale Foucault sembra voler fare il processo. Ma forse e un processo impossibile perche l'istruttoria e il verdetto ripetono continuamente il delitto attraverso il semplice fatto della loro elocuzione. Se l'Ordine di cui parliamo e tanto potente, se Ia sua potenza e unica nel suo genere, e precisamente grazie al suo carattere sur-determinante e grazie all'universale, alIa strutturale, alla universale e infinita complicita nella quale riesce a compromettere tutti coloro che 10 comprendono nel suo linguaggio, anche quando sia quest'ultimo a fornire la forma della loro denuncla. L'ordine e allora denunciato nell'ordine. Non e possibile svincolarsi totalmente dalla totalita dellinguaggio storico che avrebbe prodotto l'esilio della follia, liberarsene per scrivere l'archeologia del silenzio; questa non puo essere tentato se non in due modi: o tacere con un certo silenzio (un certo silenzio che non si determinera ancora se non in un linguaggio e in un ordine che gli permetteranno di non essere con tam ina to da un qualsivoglia mutismo), seguire il folle sulla strada del suo esilio. La disgrazia dei foUi, la disgrazia interminabile delloro silenzio, sta nel fatto che i loro portavoce migliori sono coloro che li tradiscono meglio; sta nel fatto che, quando si vuole esprimere illoro silenzio stesso, si e gia passati al nemico e dalla parte delI'ordine anche se, dentro l'ordine ci si continua a battere contro I'ordine e a metterlo in questione nella sua origine. Non c'e cavallo di Troia di cui la Ragione (in generale) non abbia ragione. La grandezza insuperabile, insostituibile, imperiale dell'ordine della ragione, cio che fa S1 che essa non e un ordine 0 una struttura di lattD, una struttura storica determinata, una struttura tra altre possibili, e che contro di essa non si puo fare appello che ad essa, contro di essa non si puo protestare che in essa, che non ci permette altro ricorso, nel suo spazio proprio, se non allo stratagemma e aUa strategia. II che si risolve nel far comparire una determinazione storica della ragione davanti al tribunale della Ragione in generale. La rivoIuzione contro Ia ragione, sotto Ia forma storica
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della ragione classica naturalmente (ma quest'ultima non eche un esempio determinato della Ragione in generale. E proprio a causa di questa unicita della ragione l'espressione «storia della ragione» e difUcile da pensare, e di conseguenza anche una «storia della foIlia»), la rivoluzione contro la ragione non puo farsi che in essa, secondo una dimensione hegeliana che, per quel che mi riguarda, ho molto apprezzato nel libro di Foucault, malgrado I'assenza di un preciso riferimento a Hegel. Non potendo operare fin dal momenta che si dichiara, se non all'interno della ragione, la rivoluzione contro la ragione ha dunque sempre la dimensione limitata di cio che si chiama, nellinguaggio appunto del ministero degli interni, una agitazione. Indubbiamente non si puo scrivere una storia, ne una archeologia contro la ragione perche, malgrado Ie apparenze, il concetto di storia esempre state un concetto razionale. E la significazione «storia» 0 «archia» che forse sarebbe stato necessario interrogare fin dal principio. Una scrittura che travalicasse, interrogandoli, i valori d'origine, di ragione, di storia, non sarebbe tale da lasciarsi delimitare nella chiusura metafisica di una archeologia. Poiche Foucault e il primo ad aver coscienza, una coscienza penetrante, di questa sfida e della necessita di parlare, di attingere il proprio linguaggio alIa sorgente di una ragione pill profonda di quella che afUora nell'eta classica, poiche Foucault sente una necessita di parI are che sfugge al progetto oggettivista della ragione classica, necessita di parlare anche a costa di una guerra aperta dellinguaggio della ragione contro se stesso, guerra in cui illinguaggio tornasse su se stesso, si distruggesse 0 ricominciasse senza fine il gesto della propria distruzione, allora la pretesa all'archeologia del silenzio, pretesa purista, intransigente, non-violenta, non-dialettica, questa prete sa emolto spesso, nellibro di Foucault, controbilanciata, equilibrata, vorrei quasi dire contraddetta, da un'intenzione che non esoItanto il riconoscimento di una difUcolta ma anche la formulazione di un altro progetto; che non eun ripiego ma un progetto differente e fors'anche pill ambizioso, pill efUcacemente ambizioso del primo. II riconoscimento della difUcolta si puo trovare in alcune frasi come questa, tra Ie altre, che cito semplicemente, per non privarvi della loro concisa bellezza: «La percezione che tent a di afferrarli [si tratta dei dolori e dei mormorii della foIlia] allo state selvaggio, appartiene necessariamente a un mondo che li ha gia catturati. La liberta della foIlia non viene compresa se non dall'alto della fortezza che la tiene prigioniera. La, essa dispone solo del tetro stato civile delle sue prigioni, della sua muta esperienza di perseguitata, e noi non abbiamo da parte nostra che
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i suoi connotati di evasa». E pill oltre Foucault parla di una foIlia «il cui stato selvaggio non puo mai essere ricuperato in se stesso» e di una «inaccessibile purezza primitiva» (p. VII [po 16]). Poiche questa difUcoIta 0 questa impossibilita devono sentirsi echeggiare nellinguaggio in cui questa storia della foIlia viene descritta, Foucault rico no see in effetti la necessita di man tenere il suo discorso in quella che egli chiama «una relativita senza ricorso», vale a dire senza alcun sostegno neII'assoluto di una ragione 0 di un logos. Necessita ed impossibilita nello stesso tempo di cio che Foucault chiama in aItro luogo «un linguaggio senza sostegno», vale a dire che rifiuta in linea di principio se non di fatto, di articolarsi in una sintassi della ragione. In linea di principio se non di fatto, rna il fatto qui non si lascia facilmente mettere tra parentesi. II fatto dellinguaggio esenza dubbio I'unico che resista in definitiva a ogni sorta di parentesi. «In questa semplice problema di elocuzione - dice ancora Foucault - si nascondeva e si esprimeva la difUcolta maggiore dell'impresa». Si potrebbe forse dire che la soluzione di questa difUcolta e,messa in pratica piuttosto che formulata. Necessariamente. Voglio dire ~he il silenzio della foIlia non edelta, non puo essere detto nellogos dl questo libro rna reso presente indirettamente, metaforicamente se posso dir COS1, nel pathos - e prendo questa parola nel suo senso migliore di questa libro. Nuovo e radicale elogie della foIlia la cui intenzione non puo essere confessata perche l' elo gio di un silenzio esempre in un logos, in un linguaggio che oggettivizza; «dire bene» della foIlia, sarebbe ancora incorporarla soprattutto se, come in questa caso, il «dire bene di» eanche la saggezza e la felicita di un «saper-dire». Ora dire la difUcolta dire la difUcoIta di dire, non eancora superarla; al c~ntrario. Prima tutto, non edire a partire da quale linguaggio, da quale istanza parlante e detta la difUcolta. Chi percepisce, chi enuncia la difUcolta? Questo non puo essere fatto ne nell'inaccessibile e selvaggio silenzio della foIlia, ne semplicemente nellinguaggio del qlrceriere, vale a dire della ragione classica, rna solo nellinguaggio di.qualcuno per cui ha un senso e a cui eevidente il dialogo 0 la guerra 0 11 malinteso 0 il contrasto 0 il duplice mono logo che contrappone ragione e foIlia nell'eta classica. E dunque possibile la liberazione storica di un logos nel quale i due monologhi, 0 il dialogo interrotto, 0 so~rattutto il pun to di interruzione del dialogo tra una ragione e una follla determinate han no potuto prodursi e possono oggi esser compresi ed enunciati. (Supponendo almeno che essi possano esserlo; rna noi ci situiamo qui dentro l'ipotesi di Foucault).
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Dunque se illibro di Foucault, malgrado Ie impossibilid e Ie difllcolta che abbiamo ravvisato, ha potuto essere scritto, abbiamo il diritto di chiederci su che cosa in ultima analisi ha sostenuto questa linguaggio senza risorsa e senza sostegno: chi enuncia il senza-risorsa? Chi ha scritto e chi deve capire, in quale linguaggio e a partire da quale situazione storica del logos, chi ha scritto e chi deve capire questa storia della foUia? Perche non e un caso se solo oggi un simile progetto ha potuto essere concepito. E necessario supporre - senza dimenticare, al contrario, l'audacia del gesto di pensiero nella Storia della follia - che sia cominciata una certa liberazione della follia, che la psichiatria si sia, anche di pochissimo, aperta, che il concetto di foUia come insensatezza se mai ha avuto una sua unita, si sia disarticolato. E che nell'apertura di questa disarticolazione un simile progetto ha potu to trovare la sua origine e il suo passaggio storico. Se pure Foucault e pili di ogni altro sensibile e attento a questa genere di problemi, tuttavia sembra che non sia disposto a riconoscer loro un carattere di condizione metodologica 0 filosofica. E vero che avendo compreso il problema e la difllcolta giuridica, il dedicarvi uno studio preventivo avrebbe porta to a sterilizzare 0 a paralizzare ogni indagine. Quest'ultima puo dimostrare con la sua realizzazione che il movimento della parola a propos ito della follia e possibile. Ma il fondamento di questa possibilita non e ancora troppo classico? Illibro di Foucault non e di quelli che si abbandonano a questa disinvoltura prospettica neIl'indagine. Per questa ragione dietro il riconoscimento della difllcolta relativa all'archeologia del silenzio, bisogna lasciare intravvedere un progetto difJerente, un progetto che Forse contraddice quello dell'archeologia del silenzio. Poiche il silenzio di cui si vuol fare l'archeologia non e un mutismo o una non-parola originaria rna un silenzio che e sopravvenuto, una parola interdetta per imposizione, si tratta dunque, all'interno di un logos anteriore alIa lacerazione ragione-foUia, all'interno di un logos che permetteva in se il dialogo tra quello che pili tardi si e chiamato ragione e foIlia (insensatezza), che lasciava circolare liberamente in se in mutuo scambio ragione e foIlia nello stesso modo in cui si permetteva ai folli di circolare nelladtta del medioevo, si tratta, all'interno di questa logos del Iibero scambio, oi accedere all'origine del protezionismo di una ragione che mira a porsi al sicuro e a costituirsi dei ripari, a costituirsi essa stessa come riparo. Si tratta dunque di accedere al punto in cui il dialogo e stato interrotto, si e diviso in due soliloqui: a cia che Foucault chiama con una parol a molto forte la Decisiol1e. La Decisione collega
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e separa nello stesso momento ragione e foIlia; essa deve essere intesa qui nello stesso tempo come l'atto originario di un ordine, di un fiat, di un decreto e come una lacerazione, una cesura, una separazione, una discession;. Vorrei dire piuttosto dissel1so per sottolineare che si tratta di una divisione da se, di una spartizione e di un tormento interiore del senso in generale, del logos in generale, di una spartizione nell'att~ stesso del sentire. Come sempre, il dis sen so e interno. L'esterno (e! l'mterno , vi si incide e 10 divide secondo la deiscenza della Entzwelung hegeliana. . Sembra COS1 che il progetto di risalire al dissenso primo del logos Sla un progetto diverso da quello dell' archeologia del si~e~zio e po~ga problemi differenti. Si dovrebbe trattare questa volta d1 nesumare 11 suolo vergine e unitario nel quale si e oscuramente radicato l'atto di decis~o ne che collega e separa ragione e foUia. Ragione e foUia nell'eta class1ca hanno avuto una radice comune. Ma questa radice comune, che e un logos, questo fondamento unitario e molto pili antico del periodo m~ dievale che Foucault evoca brillantemente rna brevemente nel bel cap1tolo iniziale. Deve esserci una unita fondatrice che contiene gia illibero scambio del medioevo, e questa unita e gia quella di un logos, vale a dire di una ragione; ragione gia storica certo, rna ragione molto men? determinata di quanta non diventera nella sua cosiddetta forma class1ca' non ha ancora ricevuto la determinazione dell'«eta classica». E neiI'elemento di questa ragione arcaica che la discessione, il dis sen so ~o praggiungono come una modificazione 0, se si vuole, come un roveSClamento cioe una rivoluzione rna una rivoluzione interna, su di se, in se. Perche quellogos che e al principio non e soltanto illuogo comune di ogni dissenso rna anche, - cosa non meno importante -l:atmosfer~ stessa nella quale si muove illinguaggio di Foucault, en.tro 11 quale.dt f~tt? e apparsa, rna e anche stata di diritto desigr:ata e d1segnata ne1 SU01 11miti una storia della follia nell'ed classica. E dunque nello stesso tempo per rendere conto dell'origine (0 della possibilid) della ~ecisione e dell'origine (0 della possibilita) della narrazion~, ~he ~orse Sl ~arebbe dovuto incominciare col riflettere questa logos ongmano entro 11 quale si e svolta la violenza dell'ed classica. Questa storia del logos prima del medioevo e prima dell'eta classica, occorre appena ricordarlo, non e una preistoria notturna e muta. Quale che sia stata la frattura momentanea, se davvero ci fu, tra il medioevo e la tradizione greca, questa fr~t~ tura e questa alterazione sono apparse solo in un secondo momenta e 111 ritardo nei confronti della continuita fondamentale dell'eredita logicofilosofica.
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Che Ie radici della decisione nel suo autentico terreno storico siano state lasciate in penombra da Foucault e imbarazzante, almeno per due ragioni: I. E imbarazzante perche Foucault fa all'inizio una allusionc un po' enigmatica al logos greco, dicendo che a differenza della ragione dassica, «non conosceva il contrario». Leggo: «l Greci avevano rapporto can qualcosa che essi chiamavano U0pLC;. Questo rapporto non era solo di condanna; basta a dimostrarlo l'esistenza di Trasimaco 0 quell a di Callide, anche se illoro discorso ci e state trasmesso gEt rivestito della dialettica rassicurante di Socrate. Ma illogos greco non conosceva il contrario». [Sarebbe necessario dunque presupporre che illogos greco non conosceva il contrario, vale a dire in breve che i Greci erano nell'immediata prossimita del logos element are, primordiale e indiviso, nel quaIe ogni contraddizione in generale, ogni guerra, e in questa caso ogni polemica, non avrebbero potuto comparire se non pili tardi. Secondo questa ipotesi sarebbe necessario ammettere, e certo non 10 fa Foucault, che la storia e la discendenza della «dialettica rassicurante di Socrate» nella loro totalita fossero gia decadute ed esiliate fuori da quellogos greco che non avrebbe conosciuto il contrario. Perche se la dialettica socratica e rassicurante, nel senso a cui allude Foucault, 10 e per aver gia espuIso, esduso, oggettivato 0, il che e curiosamente Ia stessa cosa, assimilato a se e dominato come uno dei suoi momenti, «avviluppato» l'altro della ragione e per essersi essa stessa rasserenata, rassicurata in una certezza pre-cartesiana, in uria CTWCPPOCTUVYj, in una saggezza, in un buon senso e in una ragionevole prudenza. Di conseguenza e necessario: a) 0 che ilmomento socratico e tutta la sua discendenza partecipino immediatamente a questo logos greco che non avrebbe co no sciuto il contrario; e quindi che la dialettica socratica non sia rassicurante (avremo forse presto occasione di mostrare che non 10 e pili del Cogito cartesiano). In questa caso, secondo questa ipotesi, la forza di seduzione dei presocratici, a cui Nietzsche, poi Heidegger e alcuni altri ci hanno spinto, comporterebbe una parte di mistificazione di cui resterebbero da ricercare Ie motivazioni storico-filosofiche. b) 0 che i1 momento socratico e la vittoria dialettica sull'Hybris callidea rappresentino gia una deportazione e un esilio del logos fuoti da se stesso, e la cicatrice in esso di una decisione, di una differenza; e allora la struttura di esclusione che Foucault intende descrivere nel suo Iibro non sarebbe nata con Ia ragione dassica. Sarebbe stata consumata
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e rassicurata e insediata da secoli nella filosofia. Sarebbe essenziale alIa totalita della storia della filosofia e della ragione. In questa prospettiva l'eta dassica non avrebbe ne specificita ne privilegio. E tutti i segni che Foucault raccoglie sotto il titolo di Stulti/era navis non avrebbero luogo che alIa superficie di un dissenso recidivo. La libera circolazione dei folli, a parte il fatto €he non e poi cOSI libera, cOSI semplicemente libera, non sarebbe che un epifenomeno socio-economico alIa superficie di una ragione gia divisa contro se stessa fin dall'alba della sua origine greca. Quello che mi pare certo, in ogni caso qualunque sia l'ipotesi che si formula a proposito di quello che in fondo e solo un falso problema e una falsa alternativa, e che Foucault non puo salvare nella stesso tempo quello che afferma sulla dialettica gia rassicurante di Socrate e la sua tesi che suppone una specificita dell'eta dassica in cui la ragione si sarebbe rassicurata escludendo il suo altro, vale a dire costituendo il suo contrario come un oggetto per difendersene e disfarsene. Per imprigionarlo. A voler scrivere la storia della decisione, della divisione, della differenza, si corre il rischio di costituire la divisione come avvenimento 0 come struttura che si aggiunge all'unita di una presenza originaria; e di convalidare cOSI la metafisica nella sua operazione fondamentale. A dire il vero, perche una 0 l'altra di queste ipotesi sia vera e perche si possa scegliere tra Ie due, bisogna supporre in generale che la ragione puo avere un contrario, un altro della ragione, che essa possa costituirne 0 scoprirne uno, e che l'opposizione tra la ragione e il suo altro sia in simmetria. Questo e il fondo della questione. Consentitemi di restarne ai margini. Qualunque sia il modo in cui si interpreta la situazione della ragione dassica, in particolare a proposito del logos greco, che questo abbia 0 non abbia conosciuto il dissenso, in ogni caso, una dottrina della tradizione, della tradizione del logos (rna ce n'e un'altra?) sembra preventivamente implicata dall'impresa di Foucault. Qualunque sia la relazione tra i Greci e I'Hybris, relazione che senza dubbio non era semplice ... Qui vorrei aprire una parentesi porre una interrogazione: in nome di quale senso invariante della «foIlia» Foucault accosta, qualunque sia il senso di questa accostamento, FoIlia e Hybris? Un problema di traduzione, un problema filosofico di traduzione si pone - ed e grave - anche se per Foucault I'Hybris non e la Follia. Determinare la differenza implica un passaggio linguistico molto tischioso. La frequente imprudenza dei traduttori a questo proposito deve renderci molto diffidenti. (Penso in particolare, e senza soffermarmi oltre, a cio che di solito si tra-
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duce con follia e furia nel Filebo [45e] I). Inoltre, se la follia ha quel senso invariante, qual e i1 suo rapporto con quelle modificazioni storiehe, con quegli a posteriori, con quegli avvenimenti che regolano l'analisi di Foucault? Egli, malgrado tutto, anche se i1 suo metodo non eempirista, procede attraverso l'informazione e l'inchiesta. Quella che redige euna storia e i1 rieorso all'avvenimento in ultima istanza risulta indispensabile e determinante, almeno in linea di diritto. Ora questa concetto di follia, che da parte di Foucault non emai sottoposto ad alcuna sollecitazione tematiea, non eoggi, tranne che nellinguaggio corrente e popolare che resiste sempre pill a lungo di quel che dovrebbe dopo che la scienza e la filosofia 10 hanno posto in dubbio, questa con: cetto non e un falso-concetto, un concetto disintegrato? Di modo che Foucault, pur rifiutando il materiale psiehiatrieo 0 quello della filosofia che non ha mai smesso di imprigionare il folle, si serve infine - e non ha altra scelta - di una nozione corrente, equivoca, rieavata da un fondo incontrollabile. Non sarebbe grave se Foucault si servisse di questa parola solo tra virgolette, come si usa fare dellinguaggio degli altri, di coloro che nel periodo che egli studia se ne sono serviti come di uno strumento storieo. Ma tutto si svolge come se Foucault sapesse quello che vuol dire «foIlia». Come se una sieura e rigorosa pre-comprensione del concetto di foIIia, 0 almeno della sua definizione nominale, fosse possibile e acquisita stabilmente e implicitamente. Di fatto sarebbe possibile dimostrare che nell'intenzione di Foucault, se non nel pensiero storieo che egli studia, il concetto di foIIia comprende tutto quanto e possibile classificare sotto il titolo della negativita. Si puo immaginare allora il genere di problemi sollevati da un simile uso della nozione. Si potrebbero avanzare interrogativi dello stesso genere a proposito della nozione di verita che rieorre lungo tutto il libro ... ) Chiudo questa lunga parentesi. Dunque ecerto in ogni modo, qualunque fosse il rapporto dei Greci coll'Hybris e di Socrate con illogos originario, che la ragione classica e gia la ragione medievale facevano, anch'esse, riferimento alla ragione greca e che e all'interno di questa eredita pili 0 menD immediatamente avvertita, pill 0 menD intrecciata ad altre linee tradizionali, che si esvolta l'avventura 0 la disavventura della ragione classiea. Se il dis sen so incomincia con Socrate, allora la situazione del folle nel mondo socratieo e postsocratico - ammesso che ci fosse allora qualcosa che possa essere definito folIe - meritava forse di essere interrogata in primo luogo. In mancanza di cio, e poiehe Foucault non pro, efr. anche, per esempio, Simposio, 2I7e - 2I8b; Fedro, 244b-c - 24Ja . 249 - 26Ja sg.; Teelelo, 2J7e; SoliSla, 228d, 229a; Timeo, 86b; Repubblica, 382C; Leggi, X, 888a.
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cede in modo puramente aprioristico, la sua descrizione storie a pone i problemi banali rna inevitabili della periodizzazione, delle limitazioni geografiche, politiche, etnologiehe, ecc. Se, al contrario, l'unita senza opposizione e senza esclusione del logos si epreservata fino alla «crisi» classiea, allora quest'ultima e, se mi epermesso dire COS1, second aria e derivata. Essa non coinvolge la ragione nella sua interezza. E in questa caso, sia detto per inciso, il discorso socratieo non avrebbe nulla di rassieurante. La crisi classiea si svilupperebbe a partire dalla e nella tradizione element are di un logos che non conosce contrario, rna che porta in se e dice ogni contraddizione determinata. Questa dottrina della tradizione del sen so e della ragione sarebbe stata tanto pill necessaria in quanta essa sola puo forse fornire un senso e una razionalid in generale al discorso di Foucault e ad ogni discorso sulla guerra tra ragione e insensatezza. Perche questi discorsi vogliono essere capid]. 2. Ho detto poco fa che era imbarazzante per due ragioni lasciare nella penombra la storia del logos pre-classico, storia che non era una preistoria. La second a ragione, a cui accennero brevemente prima di passare a Descartes, deriva dal fatto che Foucault colI ega con profondid la divisione, il dissenso, alla possibilita stessa della stotia. La divisione el'origine stessa della storia. «La necessita della follia nello svolgimento della storia dell'Occidente e collegata a questa gesto di decisione che permette di distinguere suI rumore di fondo e sulla sua monotonia continua, un linguaggio significativo che si trasmette e che si conclude nel tempo; in breve, essa ecollegata alla possibilita della staria». Di conseguenza, se la decisione attraverso la quale la ragione si costituisce escludendo ed oggettivando la soggettivita libera della foIlia, se questa decisione eproprio l'origine della storia, se ela storicita stessa, la condizione del senso e dellinguaggio, la condizione della tradizione del senso, la condizione dell'opera, se la struttura d'esclusione e struttura fondamentale della storicid, allora il momento «classico» di questa esclusione, quello che descrive Foucault, non ha ne privilegio assoluto nt esemplarita archetipa. E un esempio inteso come campione e non come modello. In ogni caso per far risaltare la sua singolarita, che esenza dubbio profonda, sarebbe stato forse necessario sottolineare non tanto cio in cui risulta struttura d'esclusione quanta cio in cui, e soprattutto per cui, la sua struttura d'esclusione propria e modificata si distingue storieamente dalle altre, da ogni altra. E porre il problema della sua esemplarita; si tratta di un esempio tra altri possibili 0 di un «buon esempio», di un esempio che ha la prerogativa di essere rivela-
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tore? Problemi di infinita difEcolta, problemi enormi che assillano il libro di Foucault, pili presenti alIa sua intenzione che al suo fatto. Infine, ultima interrogazione: se questa grande separazione e la possibilita stessa della storia, la storicita della storia, che cosa significa a questo punto «fare la storia di questa separazione?» Fare la storia della storicita? Fare la storia dell'origine della storia? L'«ysteron proteron», a questa punto, non sarebbe un semplice «errore di logica», un errore all'interno di una logica, di una ratio costituita. E denunciarIo non significa raziocinare. Se esiste una storicita della ragione in generale, la storia della ragione non e mai quell a della sua origine che la esige giii ma la storia di una delle sue figure determinate. . Questo secondo progetto, che tenderebbe verso la radice comune del senso e del non-senso, e verso illogos originario nel quale un linguaggio e un silenzio si separano, non e affatto un espediente di ripiego nei confronti di quello che potrebbe essere riassunto sotto il titolo di «archeologia del silenzio». Archeologia che aveva la pretesa e contemporaneamente rinunciava a dire la follia stessa. L'espressione «dire la foIlia stessa» e in se contraddittoria. Dire la foIlia senza espellerla nell'oggettivita, significa permetterle di dire se stessa. Ora la folIia e, per essenza, cia che non si dice: e l'«assenza d'opera», dice con profondita Foucault. Non e dunque un espediente di ripiego, ma un progetto differente e pili ambizioso, che dovrebbe condurre a un elogio della ragione (non c'e elogio, per essenza, se non della ragione) ma questa volta, di una ragione pili profonda di quella che si contrappone e si determina in un conflitto storicamente determinato. Ancora Hegel, sempre ... Non e dunque un espediente di ripiego ma un'ambizione pili ambiziosa, anche se Foucault scrive quanto segue: «In mancanza di questa inaccessibile purezza primitiva [della folIia stessa], 10 studio strutturale deve risalire verso la decisione che collega e insieme separa ragione e folIia; essa deve tendere a scoprire 10 scambio perpetuo, l'oscura radice comune, il contrasto originario che da sen so all'unita, come alla contrapposizione del senso e dell'insensato» [il corsivo e mio]. Prima di descrivere il momento in cui la ragione, nell'eta classica, ridurra la foIlia al silenzio attraverso quello che egli chiama uno «strano col po di forza», Foucault mostra in che modo 1'esclusione e l'imprigionamento trovano una specie di collocazione strutturale preparata dalla storia di un'altra esclusione: quella della lebbra. Purtroppo non mi e possibile soffermarmi su questi brillanti passi del capitolo intitolato Stultifera navis. Anche questi ci porrebbero molti problemi.
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Vengo dunque al «colpo di forza», al grande imprigionamento che con la creazione, nella meta del XVII secolo, delle case di internamento per i folIi e per alcuni altri, sarebbe l' avvento e la prima tappa di un procedimento classico che Foucault descrive lunge tutto il suo libro. Senza tuttavia che si venga a sapere se un avvenimento come la creazione di una casa di internamento e un segno tra altri, un sintomo fondamentale 0 una causa. Questo genere di problemi potrebbe sembrare estraneo a un metodo che si present a precisamente come strutturalista, vale a dire per il quale, nella totalita strutturale, tutto e solidale e circolare al punto che i problemi classici della causalita risulterebbero originati da un malinteso. Pua darsi. Ma io mi domando se, quando si tratta di storia (e Foucault vuole scrivere una storia), sia possibile uno strutturalismo inteso in senso stretto e se quest'ultimo soprattutto possa evitare, non fosse che per l'ordine e nell'ordine delle sue descrizioni, ogni problema eziologico, ogni interrogazione, diciamo, relativa al centro di gravita della struttura. Rinunciando legittimamente a un cetto stile di causalita, forse non si assume il diritto di rinunciare ad ogni esigenza eziologica. 11 passo dedicato a Descartes apte precisamente il capitolo su It grande imprigionamento. Apre quindi iI libro stesso, e la sua collocazione in testa al capitolo e molto particolare. Qui, pili che altrove, l'interrogazione che pongo mi sembra ineluttabile. Non si sa se questa passo sulla prima delle Meditazioni, che Foucault interpreta come un imprigionamento filosofico della foIlia, e destinato a dare iI la, come preludio, al dramma storico e politico-sodale, al dramma totale che sta per attuatsi. Questo «colpo di forza», descritto nella dimensione del sapere teoretico e della metafisica, e un sintomo, una causa, un linguaggio? Che cosa e necessario supporre 0 chiarire afEnche questa interrogazione e questa dissociazione sia annulI at a nel suo senso? E se quel colpo di forza ha una solidarieta strutturale can la totalita del dramma, qual e 10 statuto di questa solidarieta? E infine, qualunque sia iI posto riservato alIa filosofia in questa struttura storica totale, perche scegliere solo l'esempio cartesiano? Qual e l'esemplarita cartesiana, dato che tanti altri filosofi, nella stessa epoca, si sono interessati della foIlia 0 - il che non e meno significativo - se ne sono disinteressati in modi diversi? Foucault non da direttamente una risposta a nessuna di queste interrogazioni a cui accenniamo sommariamente ma che sono inevitabili, e non sonG soltanto metodologiche. Una sola frase, nella sua prefazione liquida il problema. La leggo: «Fare la storia della foIlia vorra dun-
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que dire condurre uno studio struttura1e dell'insieme storico - nozioni istituzioni, misure giuridiche e poliziesche concetti scientifici - ch~ dene pri~ioniera una follia il cui stato se1va~gio non puo mai essere restaurato m se stesso». Come si dispongono questi elementi nell'« ins ie~e s~orico»? Che cos 'e una «nozione»? Le nozioni filosofiche sono privdeglate? In che re1azione stanno coi concetti scientifici? Tutte interrogazioni che investono questa impresa. Non so fino ache punto Foucault accetterebbe di dire che la condizione preliminare di una risposta a queste interrogazioni passa prima di tutto attraverso l'analisi intern a ed autonoma del contenuto fi10sofico del discorso fi10sofico. Solo quando 1a totalita di quel contenuto mi sar~ diventata evidente nel suo senso (rna eimpossibile), io potro situarla rlgoro~ame?te nella sua forma storica totale. Soltanto in questa caso il s~o rel?Senmento non Ie fara violenza, rna sara un reinserimento 1egitHmo dl que! senso fi10sofico stesso. In particolare per quel che riguarda Descartes non si puo dare una risposta ad alcuna interrogazione storica che I? rigu~rdi - che riguardi il senso storico latente del suo pensiero, che ~lguardl Ia,~ua appar~enenza ad una struttura totale - prima di aver anahzzate nell mterno, ngorosamente e in modo esaustivo Ie sue intenzioni patenti, i1 senso patente del suo discorso filosofico. E a questa senso patente, non Ieggibile in una immediatezza occasionale, a questa intenzione propriamente filosofica che ora ci interesseremo. Ma prima di tutto Ieggendo sopra Ie spalle di Foucault.
Torheit musste erscheinen, damit die Weisheit sie iiberwinde ... HERDER'
II colpo di forza sarebbe stato operato da Descartes nella prima delle Meditazioni e consisterebbe molto sommariamente in una espuIsione sommaria della possibilita della follia fUOl'i da1 pensiero stesso. Leggo, per prima cosa, il passo decisivo di Descartes, quello che Foucault cita. In seguito seguiremo Ia Iettura che Foucault fa di questo testo. Infine faremo dialogare tra loro Descartes e Foucault. Descartes scrive (e il momento in cui si accinge a disfarsi di tutte quelle opinioni a cui fino allora aveva «prestato fede» e a cominciare tutto di nuovo dalle fondamenta: a prim is fundamentis. Per far questo gli basta abbattere gli antichi fondamenti senza dover porre in dubbio
Ie sue opinioni, una per una, perche il crollo dei fondamenti trascina con se tutto il resto dell'edificio. Uno di questi fragili fondamenti della conoscenza, il pili naturalmente evidente, e1a sensibilita. I sensi qualche volta mi ingannano, possono dunque trarmi in inganno sempre: percio sottopongo al dubbio ogni conoscenza d'origine sensibile): «Tutto cio che ho ammesso fino ad ora come il sapere pili vero e sicuro, l'ho appreso dai sensi 0 per mezzo dei sensi: ora ho qualche volta provato che questi sensi erano ingannatori, ed e regola di prudenza non fidarsi mai interamente di queIli che ci hanno una volta ingannati» '. Descartes va a capo. Ma (sed forte ... insisto suI forte che il duca di Luynes non aveva tradotto, omissione che Descartes non ha creduto necessario correggere allorche ha riveduto Ia traduzione. E dunque meglio, come suggerisee Baillet «confrontare il francese con il1atino» quando si Ieggono Ie Meditazioni. Soltanto nella second a edizione francese di Clerselier il sed forte assume tutto il suo val ore ed e tradotto con un «mais peutetre qu'encore que ... »: «rna forse benche ... » Sottolineo questa punto che rivelera ben presto 1a sua importanza). Proseguo dunque 1a min lettura: «Ma forse benche i sensi talvolta ci ingannino riguardo alle cose molto minute e molto lontane [il corsivo emio], se ne incontrano forse molte altre, delle quali non si puo ragionevolmente dubitare, benche noi Ie conosciamo per mezzo Ioto ... » Ci sarebbero dunque, forse ci sarebbero dunque conoscenze di origine sensibile di cui ragionevolmente non si dovrebbe dubitare. «Per esempio - continua Descartes - che io sonG qui, seduto accanto al fuoco, vestito di una veste da camera, con questa carta fra Ie mani, e altre cose di questa natura. E come potrei io neg are che queste mani e questo corpo so no miei? a meno che, forse, non mi paragoni a quegli insensati, il cervello dei quali etal mente turbato e offuscato dai neri vapori della bile, che asseriscono costante. mente di essere dei re, mentre sono dei pezzenti; di essere vestiti di oro e porpora, mentre so no nudi affatto; 0 si immaginano di essere delle brocche, 0 di avere un corpo di vetto ... » Ed ecco la frase pili significativa agli occhi di Foucault: «Ma costoto sono pazzi (sed amentes sunt isti); ed io non sarei meno stravagante (demens), se mi regolassi suI Ioro esempio» '. Interrompo la mia citazione non alla fine di questo paragrafo, rna , R. DESCARTES,
vol. I, p.
Medita:doni meta/isiche, trad. di A. Tilgher, in Opere, Laterza, Bari
20a.
, Ibid. [al testa della trad. it. nell'ed. cit. , [Fu necessaria che apparissc 1a follia, perche Ia saggezza avesse il sopravvento].
57
per seguire I'indicaziane di Derridal.
I967,
estata aggiunta qui il «farse» della frase iniziale,
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alIa prima espressione del paragrafo seguente che torn a a inscrivere Ie righe che ho appena finito di leggere in un movimento retorico e pedagogico daIle articolazioni estremamente serrate. Questa prima espressione e Preclare sane ... Tradotto anche con tuttavia. Ed e l'inizio di un paragrafo in cui Descartes immagina che puo sempre sognare e che il mondo puo essere non pili reale di quanta non sia il suo sogno. E generalizza per iperbole l'ipotesi del sonno e del sogno («Supponiamo dunque ora di stare dormendo ... »), ipotesi ed iperbole che gli permetteranno di svolgere il dubbio fondato su ragioni naturali (perche c'e anche un momento iperbolico di questa dubbio), per non lasciare intatte che Ie veridl d'origine non sensibile, soprattutto quelle matematiche, che rimarranno vere «sia che io sia desto, sia che dorma», e che non cede-' ran no se non sotto l'assalto artificiale e metafisico del Demone Maligno. Quale lettura fa Foucault di questa testo? Secondo lui, Descartes incontrando cos1 la foIlia in margine (1' espressione acote e quella che usa Foucault) al sogno e a tutte Ie forme di errori sensibili, non Ii sottoporrebbe, se posso dire cos1, al medesimo trattamento: «Nell'economia del dubbio, dice Foucault, c'e uno squilibrio fondamentale tra foIlia da una parte, ed errore, dall'altra ... » (Rilevo, incidentaImente, che in altri luoghi Foucault den uncia spes so Ia riduzione classica della foIlia alI'errore ... ) E continua: «Descartes non evita il pericolo della foIlia come aggira I'eventualita del sogno e dell'errore». Foucault paragona allora i due procedimenti seguenti: I) Quello col quale Descartes mostrerebbe che i sensi non possono
ingannarci se non a proposito di cose «molto minute» e «molto Iontane». Sarebbe illimite dell'errore di origine sensibile. E nel passo che ho appena finito di leggere, Descartes diceva appunto: «Benche talvolta i sensi ci ingannino riguardo aIle case molto minute e molto lontane, se ne incontrano forse molte altte, delle quali non si puo ragionevolmente dubitare ... » A meno di non essere folIe, ipotesi che Descartes sembra escludere al principia nello stesso passo. 2) II procedimento col quale Descartes mostra che l'immaginazione e il sogno non possono creare gli elementi semplici ed universali che essi fanno entrare nella loto composizione, come per esempio, «la natura corpore a in generale, e la sua estensione ... la figura delle cose estese, la loro quantira e il loro numero ecc.», tutto quanto, appunto, non e d'origine sensibile e costituisce l'oggetto
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delle matematiche e della geometria, invulnerabili al dubbio naturale. Si puo dunque essere portati a credere con Foucault che Descartes vuole trovare nell' analisi (e prendo la parola nel suo senso stretto) del sogno e della sensibilira un nucle~, un elemento di prossimita e di semplicita irriducibile al duJ;blO. NeZ sog~o e nella percezione sensibile io supeto, 0 co~e d1ce Foucault, 10 «aggiro» il dubbio e riconquisto una base d1 certezza. Foucault scrive COS1: «Descartes non evita il pericoZo della foIlia come aggira l'eventuaZita del sogno 0 dell'~rrore: ...~e il sonno popolato di immagini, ne la chiara coscienza che 1 sens1 S1 1~ganna?? possono port are il dubbio fino aI punto estremo della sua u11lversahta; ~mmet tiamo pure che gli occhi ci mostrino il faIso, "supponiamo ora d1 essere addormentati", Ia verita non scomparira tutta inter a nella ~otte. Per Ia foIlia la cosa e molto diversa». E pili in la: «NelI'econom1a del dubbio c'e ~no squilibrio tra foIlia da una parte, sogno ed .e:rore. dall'~ltra. La 101'0 situazione e differente nei confronti della venta e d1 CO~~1 che Ia cerca; sogni 0 iIlusioni sono superat.i nella struttura della venta; rna la foIlia e esclusa dal soggetto che dub1ta». ., . Sembra in effetti che Descartes non approfond1sca I espenenza della foIlia fino al punto di trovare un nucleo ~rriducibile rna int?:no aI~a foIlia stessa. Egli non si interessa della foll1a non ~~ accetta 1.1potes1, non Ia prende in considerazione. L? esclude d'a~t~nta. 10 sar~1 s~r~vagante se credessi di avere un corpo d1 vetto. Ma ClO e escluso p01che 10 penso. Anticipando il momenta del Cogito, che dovra appari:e solo ?OPO ~o~ te tappe rigorose nella 101'0 conseguenza, Foucault scnv.e ... «1mposs1b1lita di essere folIe, essenziale non all'oggetto del pens1ero, rna. al sog: getto pensante». E dalI'interno stesso ~el pen.si~~o, che la fo1I1a verra scacciata, ricusata, denunciata nella sua 1mposs1b1hta stes~a. . Foucault e il primo, che io sappia, ad aver isolato COS1, nelI~ !'-1edz: tazioni, il delirio e la foIlia dalla sensibilira e dai sogni. Ad. averh Isolatl nel Ioto senso filosofico e nella Ioto funzione metodolog1c~. E quest~ I'originalira della sua Iettura. Ma e forse solo per disattenzlO.ne c~e ¥h interpreti classici non avevano ritenuto opportuna que.sta ~1ssoc~azlO ne? Prima di rispondere a questa interrogazlOne, 0 megho pr!ma d1 ~on tinuare a porla, rileviamo con Foucault che q.uest~ ~ecreto d eSclUS1?n~ che annuncia il decreto politico del grande Impngionamento, 0 ¥h nsponde, 0 10 traduce, 0 I'accompagna, che gli e in ogn~ caso sohdale, questa decreto sarebbe risultato impo~sibi1e, per esen:p~~ ~er.un Montaigne, che sappiamo quanta fosse asstllato dalla poss1btl1ta d1 essere 0
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di diventare folIe nell'atto stesso del suo pensiero e da parte a parte. II ~ecreto carte siano segna dunque, dice Foucault, «l'avvento di una ratlO». Ma poiche l'avvento di una ratio non «si esaurisce» nel «progresso d~ un razion~lismo», Foucault abbandona a questa punto Descartes per lllteressarSl della struttura storica (politico-sociale) di cui i1 gesto cartesiano e so~o ~no dei segni. Perche, «pili di un segno», dice Foucault, «denunCla 1even to classico». Abbiamo tentato di leggere Foucault. Proviamo ora a rileggere ingenuamente Descartes e a vedere, prima di riproporci l'interrogazione del rapporto tra il «segno» e Ia «struttura», proviamo a vedere, come avevo detto, quale puo essere il senso del segno stesso. (Poiche il segno qui ha gia l'autonomia di un discorso £1loso£1co, e gift un rapporto tra signi£1cante e signi£1cato ) . ' Rileggendo Descartes, rilevo due cose: I. Che nel passo a cui ci siamo riferiti e che corrisponde alIa fase del dubbio basato su ragioni naturali, Descartes non aggira Ie eventualita dell'errore sensibile e del sogno, non Ie «supera» «nella struttura della verith per la semplice ragione, direi, che non Ie supera e non Ie aggira in nessun momento ne in nessun modo' e che non scarta in nessun momento la possibilita dell' errore totale p~r qualsivoglia conoscenza che abbia la sua origine nei sensi e nella composizione imma?inativ~. B~sogn.a esattame~te comprendere qui che l'ipotesi del sogno e la rad1cahzzazlOne, 0 se Sl prefensce, l'esagerazione iperbolica dell'ipotesi secondo Ia quale i sensi potrebbero tal volta ingannarmi. Nel sogno, Ia totalita delle mie immagini sensibili e illusoria. Ne con segue che una certezza invuInerabile al sogno 10 sarebbe a fortiori all'illusione percettiva d'ordine sensibile. E sufficiente dunque esaminare il caso del sogno per trattare - allivello che in questa momenta ci interessa e cioe quello del dubbio naturale - il caso dell' errore sensibile in generale. Ora, quali sono la certezza e la verita che sfuggono alla percezione, dunque all'errore sensibile 0 alIa composizione immaginativa e onirica? Sono certezze e verita di origine non-sensibile e non-immaginativa. Sono Ie cose semplici e intelligibili. Effettivamente, se io dormo, tntto quanto percepisco in sogno puo essere, come dice Descartes, «falsa illusione», e in particolare l'esistenza delle mie mani, del mio corpo, il fat to che noi apriamo gli occhi, e muoviamo Ia testa, ecc. In altre parole, quello che Descartes, secondo Foucault, sembrava escludere pili sopra come una stravaganza, e ammesso qui come possibilita del sogno. E vedremo presto il perche. Ma, dice Desc~rtes, supponiamo che tutte Ie mie rappresentazioni oniriche
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siano illusorie. Anche in questa caso di cose naturalmente ce:te come i1 mio corpo, Ie mie mani, ecc., dovra pure esserci rappresentazlOne, per quanta illusoria questa rappresentazione possa essere, pe.r q~a.nto falsa in rapporto al rappresentato. Ora, in ques~e rappresenta~lOm, III queste immagini, in queste idee nel.se~so.cart~sl~no, ~utto ~~o esse~e fa~so e £1ttizio, come Ie rappresentazlOm d1 que1 pltton, la cUllmmag111a~lOne, dice esplicitamente Descartes, e abbastan~a «stra~agante». d~ lllventare qualche cosa di talmente nuovo che n01 non abblamo mal vlstO ~ul la di simile. Ma almeno c'e, nel caso della pittura, un elemento ultImo che non si lascia dissolvere in illusione, che i pittori non possono £1ngere, ed e il colore. Si tratta solo di una analogia, perche Descartes non pone I'esistenza necessaria del colore in generale: e solo una cosa sensibile tra Ie altre. Ma, nello stesso modo che, in. un qu~d~~, re~ qu~n.to inventivo e immaginativo, rimane una parte d1 semphclta 1rnd~Clb1le e reale _ il colore - nello stesso modo, c'e nel sogno una parte d1 semplicita non fittizia, presupposta da tutta la composizio~e: fantastica e irriducibile ad ogni scomposizione. Ma questa vo~ta - ed e III questo che I' esempio del pittore e del col~re era ,s~lo an.al.o~lCO - questa parte non e ne sensibile ne d'immaginazlOne: e mtelltgzbtle. . E un punto che Foucault nOI1 pr.ende in c~nsi.derazion~. Leg~o .11 passo di Descartes che ci interessa qUl ... «~, a dm: 11 .ver?, gh stess1 plttori, anche quando si sforzano con il maggz?re ~rttfictO d1 rappresenta~e Sirene e Satiri, in forme bizzarre e straordlllane, non possono tuttav1a attribuire loro forme e nature interamente nuove, ~a ~ann~ so~tant.o una certa mescolanza e composizione delle membra dl d1vers1 ammah; ovvero se, per avventura, la l?ro immaginazi~ne ~ abbasta~za str~va gante da inventare qualcosa d1 nuovo, che mal ~01 non abbl~mo Vlsto nulla di simile in modo tale che la loro opera C1 rappresentl una cosa puramente £1n{a e assolutamente falsa, certo almeno i co~ori di cui l~ compongono devono, essi, essere veri. E per la stessa ra~lO~e, ?~nche queste cose generali, cioe degli occhi, una. testa, delle mam e ~lmlh, possano essere immaginarie, bisogna tuttav1a confess are che ~1 so~o cose ancora pili semplici e pili universali, Ie quali sono vere e eSlsten~l, dall~ mescolanza delle quali, ne pili ne meno che dalla mescolanz~ ~1 alcum colori veri, tutte queste immagini delle cose, siano ~ere e,reah, slano finte e fantastiche, sono formate. Di questo genere dl cose e la natura corporea in generale e la sua estensione.; e COS1 pure la £1gura dell~ cose estese, la loro quantita 0 grandezza, e 1110ro numero; co~e ~~che 111uogo dove esse sono, il tempo che misura la l?ro durata, e sl~Il1h. ,Per questo forse noi non concluderemo male, se dlremo che la £1slca, I astrono-
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ia , la medicina e tutte Ie altre scienze che dipendono dalla considera. ZlOne delle cose composte, sono molto dubbie e incerte' mache I'aritme. tica, la g~ometria, e ~e. al~re scienze di questo tipo Ie q~ali non trattano se non ~l cose semphC!SSlme e generalissime, senza darsi troppo pensie. r~ se ~slstano 0, m~no In .natur~, contengono qualcosa di certo e di indu. bttabtle. Perche, Sla che 10 vegh 0 che dorm a, due e tre uniti insieme for. meranno s~mpre il numero cinque, e il quadrato non avra mai pili di quattro latl; e non sembra possibile che delle verita COS1 manifeste possano essere sospettate di falsita 0 di incertezza» '. Sottolineo il fatto che il paragrafo immediatamente successivo in. comincia anch' esso con un «tuttavia» (verumtamen) del quale dcvre. mo ben presto occuparci. ~ost la certezza di questa semplicitil 0 generalita inteltigibile _ che verra tra ~oco sottoposta al dubbio metafisico, artificiale e iperbolico con la finzlOne del Demone Maligno - non e affatto ottenuta attraverso una continua riduzione che riveli alIa fine Ia resistenza di un nueleo di c~rtezz~ se?~ibile 0 imm,aginativa. Si ha passaggio a un altro ordine, e discontlnUlta. II nueleo e puramente inteIligibile' e la certezza ancora nat~rale e p~ovvis.oria, che COS1 si raggiunge, pr~suppone una'rottura radl~a~e co~ I sens!. A.que~to pun to dell'analisi, nessuna significazione senslbtle 0 lmmaglnatlva, In quanto tale e salvata nessuna invulnera. bi~it.a del s~n~ibi!e e riscontrata. Ogni ~ignificazi~ne, ogni «idea» di orlglne senslbtle e esclusa dal campo della verita alto stesso tit ala della follia. E non c'e nulla di straordinario: la foIlia non e che un caso parti. colare, e neppure il pili grave del resto, dell'ilIusione sensibile che inte. ressa in questa sede Descartes. Si puo COSt constatare che: . d 11 " ~. L. lpotesl . e, a str~vaganza ~on sembra - in questo momento dell or~lne cartesla?O - Sla ~rattata In modo privilegiato, ne essere og. getto dl una e~c~us1One partlcolare. Rileggiamo, difatti, il passo in cui fa la sua appanZIone la stravaganza e che Foucault cita. Collochiamolo a~ .suo posto di ,nuovo. ~escartes ha nota to che, poiche i sensi talvolta c.Ilnga~nano, «e regola dl prudenza non fidarsi mai interamente di quel. It che CI hanno. un~ volta ln~a~nati». Va a capo e incomincia con quel sed forte su CUI, pnma, ho nchtamato Ia vostra attenzione. Ora I'intero paragrafo che ~eg:le ?on esprime il pensiero definitivo e compiuto di Descartes ma I obIezlOne e 10 stupore del non·filosofo del novizio di filosofia che si spaventa per quel dubbio e che protest~ dicendo: am. metto che voi dubitiate di alcune percezioni sensibili che si riferiscono , R. DESCARTES,
Meditazioni metafiJiche cit., vol. J,
Pp. 20r-2.
a cose «molto minute e molto lontane», ma Ie aItre! che voi siate se· duto qui vicino al fuoco e stiate parlando, con questa foglio di carta in mana e altre cose di questa natura! Allora Descartes assume 10 stu· pore di questa Iettore 0 di questo interlocutore ingenuo, finge di fa~lo proprio, quando scrive: «E come potrei io negare.che ques~e mam ~ questa corpo sono miei? A meno che f~rse non m~ paragom a quegh insensati il cervello dei quali. .. ecc.» «E 10 non sarel meno stravagante se mi regolassi suI Ioro esempio ... » Si vede bene quale e il senso pedagogico e retorico del sed f~rt: che regge tutto questa paragrafo. E il «ma forse» della finta ~b~ezlone. Descartes ha appena finito di dire che tutte Ie conoscenze d'onglne sen· sibiIe possono ingannarlo. Finge di rivolgersi l'ob!e~ione stu~efatta del: non·filosofo immaginario, spaventato da una slmde audacla, che gh dice: no, non tutte Ie conoscenze sensibili, altrimenti voi sareste folle e sarebbe irragionevole regolarsi sui folli, proporci un discorso da folle. Descartes si fa eco di questa obiezione: poiche sono qui, che scrivo, c~e mi faccio ascoltare da voi, io non sono folIe e voi neppure, e dunque Sla· mo tra gente sensata. L'esempio della foIlia non e percio ri~elatore della fragilitil dell'idea sensibile. D:accordo. ?esca:tes. ?on nfiuta questo punto di vista naturale 0 megho, finge dl adaglarsl In questo conforto naturale per poter meglio e pili radicalmen~e e pili ~efinit~vamente uscirne fuori e turbare il suo interlocutore. Sla pure, dICe, VOl pens ate che io sarei folIe a dubitare che sto seduto vicino al fuoco/ecc., pensate che io sarei stravagante a regolarmi sull'esempio dei folli. Vi propo.ng? dunque una ipote,si ~he vi se~brera mo~to pili .~aturale, che non VI ~l: sorientera, perche Sl tratta d1 una espenenza plUcorrente, e anche plu universale di quella della foIlia: cioe .quella d~l sonno e d~~ sogno. Descartes sviIuppa aHora quella ipotesl che, fara cadere t~ttz 1 fonda: menti sensibili della conoscenza e che mettera a nudo solo 1fondamentl intellettuali della certezza. Questa ipotesi, soprattutto, non evitera la possibilita di stravaganze - epistemologiche - ben pili gravi di quelle della foIlia. . Questo riferimento al sogno non e dun que un passo indietro nel confronti della possibilita di una follia che Descartes avrebbe tenuto a bada 0 perfino e~cluso. ,AI contra:io, ~sso cos.tituisc~: nell'~rdine me~o· dico che propomamo, I esasperaZ10ne Ipe.rbohca delllp~tesl della follia. Quest'ultima interessava, in modo contlngente e parzIale, solo alcune regioni della percezione sensibile. Qui non si .tratta ~'al~r~ parte, per Descartes di determinare il concetto della follia ma dl utthzzare la no· zione corr~nte di stravaganza a scopi giuridici e metodologici, per po!re
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que~tioni di d~ritto che rigua~~ano so.ltanto la verita delle idee '. Quello che e ne~es.sarlO p:endere qutm conslderazione, e il fatto che da questo pu.nto dl vl~ta, ChI dorme, 0 chi sogna, e pili folIe del folIe. 0 almeno ChI sogn~, :l~uardo al problema della conoscenza che interessa qui Descartes,.e plU lontano del folIe dalla percezione vera. II nel caso del son~o .non m ~u~llo ?ella stravaganza che la totalita assoluta delle idee d'odlglpe sensl~lle dn:enta sospetta, e privata di «valore oggettivo>.> secono. de~presslOne dl M..Gueroult. L'ipotesi della stravaganza non era qum 1 un b?on es~mplO, un esempio rivelatore; non era un eflicace strumento dl dubblO. E questo almena per due ragioni. II Non cop~e nella sua totali:a. il campo della percezione sensibik 0, e n~n Sl mganna sempre ne m tutto; non si inganna abbastanza non e mal abbastanza folIe. ' . b) II un es~mpio ineflicace e infelice nell' ordine pedagogico, perche ~ncontra la reslstenza d~l n?n-filosofo che non ha il coraggio di seguire tl filosofo 9uan~o quest ultImo ammette di poter anche essere folIe nel momento m Cut parla. Diamo ~i nuovo la parola a Foucault. Di fronte alIa situazione del testo barteslano quale e quella di cui ho indica to il principio Foucault tre be - ~ q~est~ volta non faccio che prolungare la logi~a del suo 1 r? ,senza ~lfet~rml a nessun testo - Foucault potrebbe ricordarci due v.erzta che glUstlficherebbero, come seconda lettura, la sua interpretaZlOne, e la farebbero risultare allora solo apparentemente diversa da quella che ho ora propos to. I; In questa seconda lettura risulterebbe che per Descartes la folIia ~on e pensat.a ~e non come un caso tra altd, e neppure il pili grave, del~ errore. sen.slblle .. (Foucault si situerebbe allora nella prospettiva della etermma~lOne dl fatto e non delI'uso giuridico del concetto di follia da parte ~l I?,escartes): La follia non e che un errore dei sensi e del corpo, un po plU grave dt quello che minaccia ogni uomo in stato di veglia e ~o~male, molto .meno.grave, nelI'ordine epistemologico, di quello a CUI slamo s.oggettl cont~nuamente nel sogno. Non c'e allora, direbbe senza dubbl~ Foucault, .l~ questa riduzione della follia a un esempio, a un ~aso dell errore senslbtle, una esclusione, un imprigionamento della folIla, e soprattutto una salvaguardia del Cogito e di tutto cio che ap-
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, La lollia come tema a indice· que! h ' ., . 'fi . , parIa mai della follia in se stessa nei suo te~toe PIU sIgn,I auvo , e ch'L Des~~rtes, in fondo, non per funda questiope di diritto e di val ore epist~m~I~~~~. eQu~~t~ t:~i' po~r~t~i~~a ome undi!ldice pro on a escluslOne Ma questo silenzio s II f II" " , segno I una I'esclusione, poiche in questo testo non si ~ra:ta°d:tlaSiei? e hntemp~raneament~ il co,:,trari~ delO ta neppure per essere esclusa Non nelle Med't . . h D , c e non Vlene presa In consIderazlOne, . t aztont c e escartes parIa della follia stessa.
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partiene all'intelletto e alla ragione? Se la follia non e che un pervertimen to dei sensi - 0 delI'immaginazione - essa appartiene al corpo, sta dalla parte del corpo. La distinzione reale delle sostanze espelle la follia nelle tenebre esterne al Cogito. Essa risulta, per prendere a prestito una espressione che Foucault propone altrove, imprigionata alI'interno dell'esterno e all'esterno dell'interno. Essa e l'altro del Cogito. Non posso esser folle quando penso e quando ho delle idee chiare e distint~. 2. Pur collocandosi dentro la nostra ipotesi, Foucault potrebbe tuttavia ricordarci questa: inscrivendo la sua allusione alla folIia in una problematica della conoscenza, facendo della folIia non soltanto una cosa del corpo, rna un errore del corpo, non interessandosi della follia se non come di una modificazione dell'idea, della rappresentazione 0 del giudizio, Descartes neutralizzerebbe la foIlia nella sua originalita. Al limite, sarebbe costretto a fame, non soltanto, come di ogni errore, una deficienza epistemologica, rna anche una mancanza morale connessa a una precipitazione della volonta che, sola, puo consacrare in errore la finitezza intellettuale della percezione. Di qui a fare della follia un peccato non resterebbe che un passo, passo che venne ben presto compiuto con disinvoltura, come mostra Foucault in altri capitoli. Ricordandoci queste due verita, Foucault avrebbe perfettamente ragione, se ci fermassimo alla tappa ingenua, naturale e premetafisica dell'itinerario cartesiano, tappa caratterizzata dal dubbio naturale, quale appare nel passo citato da Foucault. Ora queste due verita sembrano farsi a loro volta vulnerabili non appena si afIronti la fase propriamente filosofica, metafisica e critica del dubbio '. I. Notiamo, per prima cosa, in che modo, nella retoric'a della prima delle Meditazioni, al primo tuttavia che annunciava l'iperbole «naturaIe» del sogno (quando Descartes aveva appena detto «rna costoro sono pazzi, ed io non sarei menD stravagante, ecc.»), faccia seguito, all'inizio del paragrafo seguente, un altro «tuttavia». Al primo «tuttavia» che segna i1 momento iperbolico all'interno del dubbio naturale, cor, Bisognerebbe precisare, per sottolineare questa vulnerabilita e introdurre al punto di maggiore di/ficolta, che Ie espressioni «errore dei sensi e del corpo» 0 «errore del corpo» per Descartes non avrebbero alcun senso. Non si da errore del corpo, in particolare nella malattia: I'itterizia 0 la malinconia sono solo Ie 'occasioni di un errore che si avra solo col consenso 0 con I'affermazione della volonta nel giudizio, nel momento in cui «decidiamo che tutto e giallo» 0 quando «consideriamo reaita i fantasmi della nostra immaginazione malata» (regola XII). Descartes vi insiste molto: I'esperienza sensibile 0 immaginativa pili anormale, considerata in se stessa, al suo livello e al suo momento proprio, non ci inganna mai: non inganna mai l'intelletto, «soltanto che intuisca con precisione la cosa che gli oggetto, tal quale la possiede 0 entro se stesso 0 nell'immagine, e non giudichi per questo che I'immaginazione riporti fedelmente gli oggetti dei sensi, ne che i sensi prendano la vera forma delle cose, ne infine che Ie cose esterne siano sempre quali appaiono» (R. DESCARTES, Regale per fa guida dell'intelligenza, XII, trad. di G. Galli, in Opere cit., vo!. I, p. 63).
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risponde un «tuttavia» che segna il momento iperbolico assolutoe cL fa uscire dal dubbio naturale per accedere all'ipotesi del Demone Maligno. Descartes ha ammesso che I'aritmetica, Ia geometria e Ie nozioni primitive si sottraevano al primo dubbio, e scrive: «Tuttavia e da Iungo tempo che ho nel mio spirito una certa opinione, secondo Ia quale vi e un DlO che puo tutto ecc.». Ed e I'avvio del movimento ben no to che conduce alla finzione del Demone Maligno. Ora, il ricorso all'ipotesi del Demone Maligno finira per rendere presente, convocate Ia possibilita di una loUia totale, di un impazzimen to tot ale che io non sono in grado di dominare perche mi e inflitto - per i~otesi - e non ne sono piu responsabile; impazzimento totaIe, vale a dIre di una foIlia che non sara piu soltanto un disordine del corpo, dell'oggetto, del corpo-oggetto fuori dalle frontiere della res cogitans, fuor dalla cittadella coltivata e sicura della soggettivita pensante, ma?i una f?llia che introdurra il sovvertimento nel pensiero puro, nei sUOl oggettl puramente intelligibili, nel campo delle idee chi are e distinte, nel regno delle verita matematiche che sfuggivano al dubbio naturale. Qu.esta volta Ia follia, Ia stravaganza non risparmia piu nulla, ne Ia perceZlOne del mio corpo, ne Ie percezioni puramente intellettuali. E Descartes ammette successivamente: a) Cio che fingeva di non ammettere nella conversazione con il non-
filosofo. Continuo a Ieggere (Descartes ha evocato quel «tale demone maligno tanto astuto e ingannatore quanto potente» ): «10 pensero che i1 cielo, I'aria, Ia terra, i colori, Ie figure, i suoni, e tutte Ie cose esterne che vediamo, non siano che illusioni e inganni, di cui si serve per sorprendere Ia mia credulita. Considerero me stesso come affatto privo di mani, di occhi, eli carne, di sangue, come non avente alcun senso, pur credendo falsamente di avere tutte queste cose ... » Questo pensiero verra ribadito nella seconda delle Meditazioni. Siamo dunque molto lontani dal congedo, dato pili sopra, alla stravaganza ... b) Cio che sfuggiva a1 dubbio naturale: «Puo essere che egli (si tratta qui del Dio ingannatore prima del ricorso al Demone Maligno) abbia voluto che io mi inganni ogni volta che addiziono il due al tre, 0 che con to i Iati di un quadrato, ecc.» '. , Qui si tratta dell'ordine delle ragioni qua Ie viene seguito nelle Medilazioni. Si sa che ne! i~ dub~i~ colpisce in modo decisamente iniziale «i piu semplici argomenti di geometrta», m CUl gli uomml, talvolta, danno paralogismi» (efr. R. DESCARTES Discorso Suf1llelodo, trad. di A. Carlini, in Opere cit., vol. I, p. I5I). '
Discors~ (pa~te
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In tal modo ne Ie idee di origine sensibile, ne Ie idee d'origine intellettuale saranno al sicuro in questa nuova fase del dubbio e cio che veniva poco prima scartato con il nome di stravaganza, viene ora accolto nell'interiorita piu essenziale del pensiero. Si tratta di un'operazione filosofica e giuridica (rna la prima fase del dubbio 10 era gia), di un'operazione che non nomina piu la foIlia e che mette a nudo possibilita di diritto. In linea di 4iritto, ni:nte si op~on: al sovvertimento chiamato stravaganza nel pnmo dubblO, benche nel fatti e da un punto di vista naturale, per Descartes, per il suo let!ore e per noi, nessuna inquietudine naturale, relativa a questa sovver.tlmento di fatto, risulti possibile. (A dire il vero, se si volesse andare 111 fondo alle cose sarebbe necessario affrontare direttamente per se stessa la questione'del fatto e del diritto nei rapporti tra il Cogito e la foIlia). Sotto questo conforto naturale, sotto questa fiducia apparentemente pre-filosofica, si nasconde il riconoscimento di una verit~ d'essenz~ e di diritto: cioe che il discorso e la comunicazione filosoficl (vale a due illinguaggio stesso), se debbono avere un s~n~o inteIligibile, vale a d~re conformarsi aIla loro essenza e vocazione dl dlscorso, debbono sfugglre di fatto e simultaneamente di diritto alIa foIlia. Debbono portare in se stessi la normalita. E questa non e una debolezza cartesiana (benche Descartes non affronti il problema del suo proprio linguaggio) " non e una tara 0 una mistificazione connessa a una struttura storica determinata' e una necessita d'essenza universale a cui nessun discorso puo sfug~ire perche essa appartiene al sen so del sen so. E una necessita d'e.s" senza a cui nessun discorso puo sfuggire, neppure quello che denuncla una mistificazione 0 un colpo di forza. E paradossalmente, quello che sto dicendo ora e strettamente foucaultiano. Perche adesso percepiamo la profondita di quella affermazione di Foucault ('~e ~uriosament~ assolve anche Descartes dalle accuse lanciate contro dllUl. Foucault dIce: «La foIlia e l'assenza d'opera». E una indicazione fondamentale nel suo libro. Ora l'opera comincia con il discorso p~u el~ment~re, con!a pri~a articolazione di un senso, con la frase, con 11 pnmo abbozzo Sll1tattlco di un «come tale»', poiche comporre una frase, significa manifestare un senso possibile. La frase e per essenza normale. Essa porta la nor-
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1 Come Leibniz, Descartes da fiducia allinguaggio «sapiente» ~ «filos?fico », che non necessariamente quello che si insegna nelle scuole (regola III) e che bISOgna moltre accuratamente distinguere dai «termini del linguaggio ordinario» che soli ci possono «deludere» (Medttazto-
ni, II), , CUI,- pIU " 0 meno ~mp ' I 'ICltaf!1ente, , , Vale a dire, dal momento m SI, e, faII,0 qP P,e IIa aII' essere (prima ancora della determinazione in essenZa ed eSIstenza); II che non puo sIgmficare se non fasciarsi chia1llare dall'essere, L'essere non sarebbe quello che se la parol a 10 precedesse 0 10 chiamasse se1llplicemenle, L'ultimo riparo dellinguaggio, il senso dell'essere,
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malita in se, vale a dire il senso, in tutti i sensi del termine, in partieolare nel s.enso di Descartes. Essa porta in se 1a normalita e iI senso, qualunque s~a 10 stato, la salute 0 la follia di colui che la proferisce 0 attraverso cuI essa passa e su cui 0 in cui si artieo1a. Anche nella sintassi pili povera, illogos ela ragione, e una ragione gia storica. E se la follia ein generale, al di la di ogni struttura storica, artificiale e determinata, l'assenza d'opera, allora la foUia eanche per essenza e in generale, il silenzio, la parola interrotta, in una cesura e in una fetita che incidono la vita come storieita in generale. Silenzio non determinato, non imposto a quel momento piuttosto che a un altro, ma collegato per essenza a un colpo di forza, a un divieto che aprono 1a stotia e la parola. In generale. E nella dimensione della stoticita in generale, che non si confonde ne con una eternita astorica, ne con qualche momento empiricamente determinato della storia dei fatti l 1a parte di silenzio irriducibile che porta e ossessiona illinguaggio, i1 qua1e a sua volta PUQ sorgere solo fuori di essa e eontro di essa; «contro» indica qui nello stesso tempo, 10 sfondo contro il quale la forma prende tilievo per forza e l'avversario contro il quale mi faccio sicuro e mi rassicuro per forza. Benche i1 silenzio della foIlia sia l'assenza d'opera, non eil semplice esergo dell' opera, non e fuoti d'opera per i1 linguaggio e il senso. Ne eanche, come il non-senso, i1 limite e la risorsa profonda. Certo, costituendo in tal modo in essenza 1a follia, si tischia di disso1verne la determinazione di fatto nellavoro psichiatrico. E un pericolo sempre incombente, ma che non dovrebbe scoraggiare 10 psichiatra scrupoloso e paziente. Cosicche, per torn are a Descartes, ogni filosofia 0 ogni soggetto parlante (e il fi1osofo e il soggetto parlante per eccellenza) che debba evocare la follia all'interno del pensiero (e non soltanto del corpo 0 di qualche istanza estrinseca), PUQ farlo solo nella dimensione della possibilita e nellinguaggio della finzione 0 nella finzione dellinguaggio. Cost, si rassicura nel suo linguaggio contro 1a foUia di fatto - che PUQ talvolta sembrare molto 1oquace, questa eun altro problema - prende distanza, la distanza indispensabile per poter continuare a parlare e a vivere. Ma non equesta una debolezza 0 una ricerca di sicurezza propria ad un certo linguaggio storico (per esempio, 1a ricerca della «certezza» nello stile cartesiano), ma all' essenza e al progetto stesso di ogni linguaggio in genera1e; e anche di quelli in apparenza pili folIi; ed anche e soprattutto di quelli che, attraverso 1'elogio della foIlia, attraverso la complicita con la foIlia, si misurano da vicino con la follia. Poiehe i1 linguaggio ela rottura stessa con 1a foUia, eancora pili conforme alla sua essenza e alla sua vocazione, rompe ancor meglio se si misura pili liberamente con es-
Cogito e storia della follia
sa e vi si avvicina di pili: fino a esserne separato solo dal doglio trasparente» di cui parla Joyce, da se stesso, perche questa trasparenza non e altro se non illinguaggio, il senso, 1a possibilita e la discrezione elementare di un nulla che neutralizza tutto. In questa senso, sarei tentato di considerare illibro di Foucault come un efllcace gesto di protezione e di imptigionamento. Un gesto carte siano per il xx secolo. Un recupero . della negativita. Apparentemente e la ragione che egli imprigiona a sua volta, ma come ha gia fat to Descartes, ela ragione di ieri che egli prende di mira, e non la possibilita del senso in generale. 2. Quanto alla seconda verita, che Foucault avrebbe potuto contrapporci, anche questa sembra essere valida solo per la fase naturale del dubbio. Non soltanto Descartes non mette pili 1a folIia alIa porta nella fase del dubbio radicale, non soltanto ne colloca la possibilita mi-, nacciosa nel euore dell'intelligibile, ma non permette a nessuna conoscenza determinata di sfuggirle di diritto. Dal momenta che minaccia la totalita della conoscenza, la stravaganza -l'ipotesi della stravaganza - non risulta una sua modificazione interna. In nessun momento la conoscenza potra dun que dominare e signoreggiare la foIlia da sola, vale a dire, oggettivarla. Almeno fino a quando il dubbio non verra toIto. Perche la fine del dubbio pone un problema che incontreremo tra breve. L'atto del Cogito e la certezza di esistere sfuggono per la prima volta, alIa foUia; ma a parte il fatto che qui non si tratta pili, per la prima volta, di una conoscenza oggettiva e rappresentativa, non epili possibile dire alIa letter a che il Cogito sfugge alIa follia per il fatto che esso si terrebbe fuoti dalla sua presa, 0 per il fatto che, come dice Foucault, «io che penso, non posso essere foIle», bens! per il fatto che nel suo istante, nella sua propria istanza, l'atto del Cogito evalido anche se io. sono foUe, anehe se il mio pensiero e folle in tutto e per tutto. C'e un valore e un sen so del Cogito come dell'esistenza che sfugge all'alternativa di una foIlia e di una ragione determinate. Di fronte all'esperienza acuta del Cogito, la stravaganza, come dice il Diseorso suI metoda, e irrimediabilmente dalla parte dello scetticismo. II pensiero allora non teme pili la foUia: «Le pili stravaganti supposizioni degli scettici non sono capaci di farlo vacillare» (Diseorso, parte IV). La certezza COS1 raggiunta non e al riparo di una foIlia imprigionata, essa e raggiunta e garantita dentro la foIlia stessa. Vale anehe se io sono foUe. Garanzia suprema che non sembra richiedere ne esclusione ne aggiramento. Descartes non imprigiona mai la foIlia, ne allo stadio del dubbio naturale, ne allo stadio del dubbio metafisico. Fa soltanto finta di escluderla nella
La scrittura e Ia differenza
prima lase del primo stadio, nel momenta non-iperbolico del dubbio naturale. L'audacia iperbolica del Cogito cartesiano, la sua audacia folle, che forse noi non comprendiamo pili molto bene come audacia perche, diversamente dal contemporaneo di Descartes, siamo troppo sieuri, troppo avvezzi al suo schema pili che alIa sua esperienza acuta, la sua audacia folle, consiste dunque nel tornare verso un punto originario che non appartiene pili alIa coppia di una ragione e di una insensatezza determinate, alIa loro opposizione 0 alIa loro alternativa. Che io sia folIe 0 no, Cogito, sum. In tutti i sensi dell'espressione, la follia non edunque che un caso del pensiero (nel pensiero). Si tratta allora di retrocedere verso un punto in cui ogni contraddizione determinata sotto la forma di una certa struttura storiea di fatto puo apparire, e apparire come relativa a quel pun to-zero in cui il senso e il non-sen so determinati si rieongiungono nella Ioro origine comune. Su questa pun to-zero, determinato come Cogito da Descartes, si potrebbe forse, dire questo, dal punto di vista che qui ci interessa. Invulnerabile ad ogni contraddizione determinata tra ragione e insensatezza, esso e il punto a partire daI quaIe la storia delle forme determinate di quella contraddizione, di quel dialogo avviato 0 interrotto puo manifestarsi come tale ed essere detta. E il punto di certezza intangibile in cui si radiea la possibilita del racconto foucaultiano, come racconto, anche, della totalita, 0 meglio di tutte Ie forme determinate degli scambi tra ragione e follia. E il pun to , in cui affonda Ie radici il progetto di pensare la totalita sfuggendole. Sfuggendole, vale a dire eccedendo Ia totalira, cia che non e possibile - nell'essente - se non verso I'infinito 0 il nulla: anche se Ia totalira di cia che io penso econtaminata di faIsita e di follia, anche se la totalita del mondo non esiste, anche se il non-senso ha invaso Ia totalita del mondo, com pre so il contenuto del mio pensiero, io penso, io sono mentre io penso. Anche se qui di latto non accedo alla totalita, se non Ia comprendo ne l'abbraccio di fatto, io formulo un tale progetto e questo progetto ha un senso tale che non si definisce se non nei confronti di una pre-comprensione della totalita infinita e indeterminata. Ecco perche, in questa eccedenza del possibile, del diritto e del senso suI reale, suI fatto e sull'essente, questo progetto efolIe e rieonosce Ia follia come la sua Iiberta e Ia sua propria possibilira. Ecco perche esso non e umana nel senso della fattualita antropoIogiea, rna metafisieo e demoniaco: .si rieonosce prima di , Pili che di un punto, si tratta di una originarieta temporale in generale.
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tutto nella sua lotta con il demone, con il Demone Maligno del nonsenso, e si misura alIa sua altezza, gli fa resistenza, riducendo in se l'uomo naturale. In questa senso, nulla emenD rassieurante del Cogito nel suo momento inauguraIe e proprio. Questo progetto di eccedere Ia totalita del mondo, come totalita di cia che posso pensare in generale, non e pili rassieurante della diaIettiea di Socrate quando sopravvanza, anch'essa, la totalita delI'entita, piantandoci nella luce di un sole nascosto che e E7tEJt:EL'V(y' 't'1]C; oucrtrtc;. E Glauco non si ingannava, esclamando a questa punto: «Dio! Che iperboIe demoniaca? "OrtL[1.0'VLrtC; ii1tEp0o).,1]c;" che si suole tradurre forse in modo eccessivamente ban ale con" meravigIiosa trascendenza" ». Questa iperbole demoniaca va aI di Ia della passione delI'u0pLc;, se aImeno si vede in quest'ultima solo Ia modificazione patoIogiea di quell'essente che echiamato uomo. Una simile U0PLC; sta all'interno del mondo. Ammesso che sia sregolatezza ed eccesso, essa implica la sregoIatezza e I'eccesso fondamentaIe dell'iperboIe che apre e fonda il mondo come tale, eccedendoIo. L'U0PLC; non eeccessiva ed eccedente che nella spazio aperto dall'iperboIe demoniaca. Nella misura in cui spunta, neI dubbio e nel Cogito cartesiano, queI progetto di un eccesso inaudito e singoIare, di un eccesso verso il nondeterminato, verso il Nulla 0 l'Infinito, di un eccesso che sopravanza. Ia totalira del pensabile, Ia totalita dell'entita e del senso determinati, Ia totalita della storia di fatto, in questa misura, ogni impresa per quanto comprensiva che si sforzi di ridurla, di imprigionarla in una struttura storiea determinata, rischia di Iasciarsi sfuggire I'essenziaIe, di smussarne Ia punta stessa. Rischia di farle a sua volta vioIenza (perche esistono anche vioIenze nei confronti dei razionalisti e nei confronti del senso, del buon senso; e forse e proprio questa che Foucault mostra in definitiva, perche Ie vittime di cui egli ci parla sono sempre i portatori del senso, i veri porta tori del vero e del buon senso occultato, oppres so daI «buon senso» determinato, quello della «spartizione», quel10 che non si spartisce abbastanza e che si determina troppo presto), essa rischia a sua volta di fargli vioIenza e una vioIenza di stile totalitario e storicistieo che perde il senso e I'origine del senso '. Intendo «totalitario» nel senso strutturalista della paroIa, rna non sono sieuro che i due sensi di questa paroIa non si collegano nella storia. II totaIitarismo strutturalista opererebbe qui un atto di imprigionamento del Cogito che sarebbe dello stesso tipo di quello delle vioIenze dell'eta cIassiea. Non dieo che iI libro di Foucault sia totalitario, poiehe esso , Essa rischia di cancellare I' eccesso per iI quale ogni filosofia (del sensa) ha relazione in qualche regione del suo discorso col senza-fondo del non-senso.
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pone, almeno all'inizio, l'interrogazione sull'origine della storicita in generate, liberandosi COS1 dallo storicismo: dico solo che talvolta corre questo rischio, nella esecuzione del progetto. Tntendiamoci bene: quando dico che fare entrare nel mondo quello che nel mondo non e e che i1 mondo presuppone, quando dico che il «compelle intrare» (esergo del capitolo su «il grande imprigionamento») diviene fa violenza stessa se si rivolge verso l'iperbole per farla rientrare nel mondo, quando dico che questa riduzione all'intra-mondanita e l'origine e il senso stesso di quello che viene chiamato violenza e rende poi possibile tutte Ie camicie di forza, io non faccio appello a un attro mondo, a qualche alibi, 0 a qualche trascendenza evasiva. Si tratterebbe qui di un'altra possibilita di violenza, spesso complice, d'altra parte, della prima. To credo, dunque, che sia possibile ridurre tutto ad una totalita storica determinata (in Descartes), tutto tranne il progetto iperbolico. Ora, questa progetto sta dalla parte della narrazione narrante e non della narrazione narrata di Foucault. E non si lascia raccontare, non si lascia oggettivare come avvenimento in una stotia determinante. Mi rendo con to che nel movimento che viene chiamato il Cogito cartesiano, non c'e soltanto questa punta iperbolica che dovrebbe essere, come ogni follia pura in generale, silenziosa. Dal momento che ha raggiunto questa punta, Descartes cerca di rassicurarsi, di garantire il Cogito stesso in Dio, di identificare l'atto del Cogito con l'atto di una ragione ragionevole. E 10 fa, fin dal momento che proferisce e ri~ette il Cogito. Vale a dire dal momento in cui deve temporalizzare il Cogito che e valido in se solo nell'istante dell'intuizione, del pensiero attento a se stesso, in quel punto 0 in quella punta dell'istante. Ed e su questa nesso tra il Cogito e il movimento della temporalizzazione che bisognerebbe concentrarsi. Perche se il Cogito e valido anche per i1 folIe pili. folle, occorre non essere folle nei fatti per rifletterlo, ritenerlo, comunicarlo e comunicarne il senso. E, a questo punto, con Dio e con una certa memoria inizierebbero il «cedimento» e la crisi essenziali. E, a I,
I Nel penultimo paragrafo della sesta delle Meditazioni, il tema deIla norma.lita comunica con quello della memoria, nel momento in cui quest'ultima d'altra parte garantlta da parte della Ragione assoluta come «veraciril divina», ecc. ., . In generale, la garanzia del ricordo delle evidenze attraverso DIO, non s~g:l1fica ch~ ~oltanto I'infinita positiva della ragione divina puo riconciliare in assoluto la temporahta e. la ven~a? Questa riconciliazione del tempo e del pensiero (della verita) che Hegel diceva essere II comp.lto <.lell.a fiJosofia a partire dal XIX secolo, si produce soltanto nell'infinito, al di la d~lIe ~e.ter.m1Oazlon~, delle negazioni, delle «esclusioni» e degli «imprigionamenti », mentre. I~ nconcl!la~lOne tra II pensiero e I'estensione sarebbe stata iI proposito dei razionalisti defim,u. «car~eslam». N~ss,:,n metafisico h1 mal contestato che I'infinita divina fosse il luogo, la condlzlOne, II ~ome 0 I ~lt1Z zonte di quelle due rieonciliazioni. Non 10 ha contestato Hegel e nep!?,,:re la mag~l~r~nza dl .co: loro che, come Husser!, hanno voluto pensare e nominare la temporaltta.o la stonclta esse~z~ah della verita e del senso. Per Descartes, la crisi di cui parliamo avrebbe. 10 fondo, la sua ongtne
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questo punto comincerebbe il rimpatrio precipitoso dell'erranza iperbolica e folIe che viene a porsi al riparo, a rassicurarsi nell'ordine delle ragioni per riprendere posses so delle verita abbandonate. Nel testo di Descartes almeno, e a questa pun to che ha luogo l'imprigionamento. A questa punto l'erranza iperbolica e folle ritorna ad essere itinerario e metodo, percorso «sicura» e «risoluto» suI nostro mondo esistente che Dio ci ha restituito come terra ferma. Perche e solo Dio che, alla fine, permettendomi di uscire da un Cogito che nel suo momenta proprio puo sempre rimanere una foIlia silenziosa, e solo Dio che garantisee Ie mie rappresentazioni e Ie mie determinazioni cognitive, vale a dire il mio discorso contro la follia. Perche non vi e dubbio che per Descartes e solo Dio che mi protegge contro una foIlia nei confronti della I
intrinseca (vale a dire intellettuale) nel tempo stesso come assenza di legame necessario tra Ie parti, come contingenza e discontinuita del passaggio tra gli istanti; e questo presuppone che noi seguiamo qui tutte Ie interpretazioni che si oppongono a quella di Laporte a proposito della funzione dell'istante nella filosofia di Descartes. Soltanto la creazione continuata, che unifica la con. servazione e la creazione Ie quali «differiscono solo nei confronti del nostro modo di pensare», riconcilia in ultima istanza la temporal ita e la verita. E Dio che esclude la foIlia e la crisi, vale a dire Ie «comprende» nella presenza che riassume la traccia e la differenza. E questo significa che la crisi, I'anomalia, la negativita, ecc., sono irriducibili nell'esperienza della finitezza 0 di un momento finito, di una determinazione della ragione assoluta, 0 della ragione in generale. Voler10 negare e pretendere di garantire la positivita (del vero, del senso, della norma, ecc.) fuoti delI'orizzonte di quella ragione infinita (della ragione in generale e al di la delle sue determinazionil, significa valer cancellare la negativita, dimenticare la finitezza nel momenta stesso in cui si pretenderebbe di denunciare come una mistificazione il teologismo dei grandi razionalismi classici. 1 Ma Dio I'altra nome dell'assoluto della ragione stessa, della ragione e del senso in generale. E che cos'altro ha iI potere di escludere, ridurre 0, cio che in fondo la stessa cosa, comprendere in modo assoluto la follia, se non la ragione in generale, la ragione assoluta e senza determinazioni, iI cui altro nome Dio per i razionalisti classici? Non si puo accusare tutti coloro. individui 0 socied, che sono rieorsi a Dio contro la follia, di cercare di mettersi al riparo, di garantirsi delle difese, delle frontiere asilari, se non facendo di questo rifugio un rifugio finito, nel mondo, facendo di Dio un terzo 0 una potenza finita, vale a dire, ingannandosi; ingannandosi non tanto suI contenuto e sulla finalita effettiva di quel gesto nella storia, ma sulla specificita del pensiero e del nome di Dio. Se la filosofia ha avuto luogo - che un fatto sempre contestabile ha avuto luogo solo nella misura in cui ha concepito iI piano di pensare al di la del rifugio finito. Nel descrivere la costituzione storica di questi ripari finiti, nel movimento degli individui, delle societa, e di tutte Ie totalita finite in generale, possibile al limite descrivere tutto - ed un compito legittimo, immenso, necessario - salvo iI progetto filosofico stesso. E salvo il progetto di quella descrizione stessa. Non possibile pretendere che iI progetto filosofico dei razionalismi infinitisti sia servito come strumento 0 alibi per una violenza storieo-politico-sociale finita, nel mondo (il che e, d'altra parte, indubitabile) senza dover rieonoscere e rispettare, prima di tulto, il senso intenzionale di quel progetto stesso. Ora nel suo proprio senso intenzionale, esso si da come pensiero dell'infinito, vale a dire di cio che non si lascia esaurire da alcuna totalita finita, da a!cuna funzione 0 determinazione strumentale, tecnica 0 politica. Ma, si did, sta appunto nel darsi come tale, la sua menzogna, la sua violenza e la sua mistificazione; 0 anche la sua malafede. Ed necessario, senza dubbio, descrivere tigorosamente la struttura che congiunge questa intenzione esorbitante alIa totalitir storica finita, e necessario determinarne I'economia. Ma queste astuzie economiche non sono possibili, come ogni astuzia, che per parole e intenzioni finite, tali che sostituiscano una finita all'altra. Non si puo mentire quando non si diee niente (di finito 0 di determinato), quando si diee Dio, l'Essere 0 iI Nulla, quando non si modifica iI finito nel sen~o dichiarato della sua parola, quando si dice I'infinito, vale a dire quando si lascia che I'infini.to (~io, l'Essere 0 iI Nulla, perche proprio del senso delI'infinito di non poter essere una dete~mtn~ztone ontica tra Ie altre) si dica e si pensi. II tema della veracita divina e la dtfferenza tra DIO e 11 Demone Maligno si i1Iuminano cos! di una luce che indiretta solo in apparenza. Jn sostan;a Descartes sapeva che iI pensiero finito non aveva - senza Dio - iI diritlo di esclu-
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quale il Cogito, nella sua propria istanza, non avreb?e altra poss~bilita se non di aprirsi nel modo pili ospitale. E la let~ura dl Foucault m~ s:mbra profonda e illuminante non tanto aHo stad10 del t~sto che egh clta, e che e anteriore e inferiore al Cogito, quanta a partlre dal momento immediatamente 5uccessivo aH'esperienza istantanea del Cogito nella sua punta pili acuta, dove ragione e foIlia non si sono a~cora s.eparate, e adottare il partito del Cogito, non significa pr~nde~e 11 paruto de~la ragione come otdine tagionevole ne quello del dlso~dme e del!a follla, bensl recuperate la sorgente a par tire dalla ~uale rag1O?e e f~lha hanno la possibilita di determinarsi e di dirsi. L'mte:pret~~1One ~l Foucau~t mi sembra illuminante a partire dal momento m cu: 11 CogltO deve .nflettersi e proferirsi in un discorso filosofico orgam~zato. Vale a dIre quasi sempre. Perche se il Cogito e valido anche per 11 folle, essere fo!Ie - se, ancora una volta, questa esp~essione h~ un senso ~losofic? um: voco ed io non 10 credo: essa espnme semphcemente 1 aItro di ogm form~ determinata del logos, - significa non poter riflettere e din; ~l Cogito, doe renderlo manifesto come tale ~ un ~ltro: un ~ltro che puo essere me stesso. A partire dal momenta m CUl 10 enun.cla; Descart~s inscrive il Cogito in un sistema di deduzioni e di pro.tez1Om ch: tradlscono la sua sorgente viva e frenano l'erranza prop!la del Coglt.o per aggirare l'errore. In fondo, eludendo il problema dl parol~ c~e 11.Cogito pone, Descartes sembra sottintendere che pens are. e dIre 11 chlar~ ~ il distinto sia la stessa cosa. Si puo dire quello ehe Sl pensa e ehe Sl pensa, senza travisarlo. In modo analogo - analogo solamente - sant'Anselmo vedeva nell'insipiens, nell'insensato, uno che non pe~sa, per la ragione che non puo pensare quello che d~ce. Anche per IUl 1a foIlia era un silenzio, il silenzio loquace di un penSlero che non ~ensa.le sue parole. E anche questa un punto suI quale satebbe necessano. sple: garsi meglio. In ogni caso, il Cogito diventa opera dal momenta m CUl si rassicura nel suo dire. Ma e foIlia prima dell'opera. II folle, se anche potesse ricusare il Demone Maligno, non potrebbe in ogni. caso dirselo. Non puo dunque dirlo. In ogni caso, F~ucault ~a rag1One. nella misura in cui il progetto di frenare l'erranza a?lma~a gl~ un dubb10 c.he si e sempre proposto come metodico. Quella ldent!ficazlone ~el COglt~ con la ragione ragionevole - normale - non ha ne~pure bls.ogno ?l aspettare - di fatto se non ~i diritto -l~ pro~e del!'eslsten~a dl un D10 veritiero come supremo nparo' QueHldenuficaz10ne avVlene fin dal dere la follia, eee. E infatti esso la esclude sempr~ soltanw di.f~tto, violentemer:lt~,- nella st~rhr ~ meglio, questa esclusione, e questa differe/~za .tra II fatto e II dltltt~, sono la stonelt,a, la posslbllta della storia stessa. Cosa dice Foucault dl dlverso? «La neceSStta della follta ... e collegata alia possibililii della sloria». II corsivo dell'autore.
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momento. in cui ~escartes determina 1a luee naturqle (che nella sua sorgente l?det~r~111ata dovrebbe aver valore anche per i folli), nel momen.to 111 cm Sl sottrae alIa foIlia determinando la luce naturale con una s~ne di prindpi e di assiomi (assioma di causalita secondo cui deve esserCl almeno. tanta re?Ita nella cau.sa quanta nell'effetto; poi, dopo c?e questo aSS10ma avra permesso dl provare l'esistenza di Dio, l'ass~oma della «luce naturale che d insegna che l'inganno deriva necessan~mente da qualche difetto» prover?! la veradta divina). Questi assiomI,.la c~i determinazione e dogmatica, sfuggono al dubbio, non sono mal stat! neppure sottoposti ad esso, non sono fondati che di riflesso c?me conseguen~.a dell'esistenza e della veracita di Dio. In seguito a cio, ncadono sotto 1111fluenza di una storia della conoscenza e delle strutture de.termin~te ~ella .fil.os~fia. Per questo, l'atto del Cogito nel momento lperbohco m Cul Sl mlsura con la follia, 0 meglio si lascia misurare da. essa, questo ~tto deve essere ripetuto e dis tin to dallinguaggio o dal sIstema dedUttlvo nel quale Descartes deve inscriverlo dal mo~ento in cui 10 propone a.U'intelligibilita e aUa comunicazione, vale a dIre dal momento che 10 nflette per l'altro, il che significa per se. E in que.sto r~pporto aU'altro come aItro io che il senso si rassicura contro la foUla e !~ n?~-senso ... ~ la filoso~a e forse questa garanzia colta nel pun to p~u vl~mo alla fol!la control angosda di essere folle. Questo momento .sllenz1Oso e sp~.cIfico potrebbe essere definito patetjeo. Quanto al funz1Onamento delliperbole nella struttura del discorso di Descartes e nell'ordi~e delle r~gioni, la n?s,tra lettura va ~unque, malgrado l'apparenza, d accordo l~, profo??lta con quella dl Foucault. E proprio Descartes - e tutto C10 che Sl 111tende con questo nome -, e il sistema d~Ua certezza che ha fin dal principio la funzione di controllare di dommare, di delimit are l'iperbole determinandola nell'etere di u~a luce nat~rale i cui assi?mi v~?gono, fin dall'inizio, sottratti al dubbio iperbohco e facendo ,dl quellistanza un punto di passaggio solidamente conservato nel susseguirsi delle ragioni. Noi pensiamo tuttavia che non sia possi.bile descrivere nelluogo e nel momento proprio quel movimento se pnma non e stata mess a in evidenza la punta dell'iperbole, operazio?e che Fo~cault non sem?ra a~~r fat~o. Nel momento COS1 fuggevole e mafferrab11e per essenza 111 cm 11 CogltO sfugge ancora all'ordine linear: delle ragioni, all' ordine dell~ ragione in generale e aIle determinazio111 della luce naturale, il Cogito husserliano e la cridca a Cartesio che e~so implica, non ripetono forse, fino a un certo pun to, il Cogito carte- . SIano? Si tratta solo di un esempio, perche un giorno certo si scoprira su
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quale terreno dogmatico e storicamente d~terminat~ - il no~tro ~ la critic a del deduttivismo cartesiano, 10 slanclO e la follia della nduzlOne husserliana della totalita del mondo hanno dovuto fondarsi, poi scadere per dirsi. Sara possibile rifare nei confronti di Husserl, quello che Foucault ha fatto per Descartes: mostrare come la ~eutr~lizzazio~e del mondo fattuale sia una neutralizzazione (nel senso m cUi neutrahzzare significa anche padroneggiare, ridurre, lasciar liberi in.~na c~mici~ di forza), una neutralizzazione del non-senso, la for~a plu .sott11~ dl un colpo di forza. E in realta Husserl andava sempre plu assoclan~o 11 ~ema della normalita a quello della riduzione trascendentale. II rad1cars1 della fenomeno10gia trascendentale nella metafisica della presenza, tutta la tematica husserliana del presente vivente e1a garanzia profonda del senso nella sua certezza. Separando, nel Cogito, da una parte l'iperbo1e .(che; secondo me, non puo 1asciarsi imprigiona~e in una strutt~ra st~r:ca d~ fatto e dete:minata perche e progetto dl eccedere ogm totahta fimta e de.terml: nata) e d' altra parte cia che nella fi10sofia di Descartes (0 p~nmenu in q~ella che fonda il Cogito agostiniano 0 il Cogito hu~serhano) ~a parte di una struttura storica. di. fatto, io ~on propong? d1 se~arare m ogni fi10sofia il grana da110~ho m nOJ?e d.l qualch~ phzlosophza perennis. Propongo precisamente 11 contrano. Sl tratta d.l :e?1ere conto della storicita stessa della fi10sofia. 10 credo che 1a stonclta m genera1e non sarebbe possibile senza una storia della fi10sofia e credo che quest'ultirna non sarebbe a sua volta possibile se ci fosse solo l'iperbo1e, da una parte 0 se dall'altra, esistessero soltanto delle strutture storiche determinate d~l1e Weltanschauungen finite. La storicita propria della fi10sofia tr~va il suo posto e si costituisce in questa passaggio, in questa dia10go tra l'iperbo1e e 1a struttura finita,. tra l'ecce~s? ~ull.a ~otalita e 1a totalita chiusa nella differenza tra la stona e 1a stonClta; ClOe nel1uogo, o meglio nel ~omento in cui il Cogito e ~ut~o cia c?e es~o qui simbolizza (follia, dismisura, iperbo1e, ecc ... ) Sl dlcono, Sl rasslCuran? e .decadono dimenticano se stessi necessariamente fino alla 10ro nattlvazione ~lloro risveglio in un altro dire dell'eccesso che produrra poi a sua v~lta un'altra caduta e un'altra crisi. Fin da1 suo primo spirare, 1a parola so~toposta a questo ritmo .tem~0:a1e di crisi e 1i ris,veglio non apre il suo spazio di paro1a se non l~pngl?nand,o 1~ fo1~1a. D altra part~ questo ritmo non eun'alternanza ne per glUnta e dl ordme tempora1e. E il movimento della temporalizzazione stessa in cia che l'unisce a1 movimento de110gos. Ma quella liberazione vio1e~ta de~la p~r~la non epo.ssibile e non puo essere perseguita che nella mlsura m CUi Sl conserva, m
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cui etraccia di quel gesto di violenza originaria, e nella misura in cui riman~ ?ecisamente, in coscienz~,. il pili vicino possibile a quell'abuso c~e e 1uso della parola, tanto Vlcmo da poter dire la violenza, da poter d1alogare con se come violenza irriducibile, sufllcientemente lontana da poter vivere e vivere come parola. In questa situazione la crisi 0 l'oblio no~ e. forse l'acci~ente. U?a e il destino .della filosofia parlante che non puo ~lVere se non Im~nglOnando la £ollla rna che si estinguerebbe come ~ens1ero e per u.n.a vlOlen~a a?cora ~eggiore se una nuova parola non hberasse ad o~m lstante 1.anuca follla, pur imprigionando in essa, nel suoyresente, 11 folIe del glOrno. Solo grazie a questa oppressione sulla £?lha puo dominare un pensiero-finho, vale a dire una storia. Se non ci Sl vuole limit are ad un momento storico determinato rna si estende questa verira alIa storicita in generale, si potrehbe dire che il regno di ~n p~?si~ro-fin~~o non puo fondarsi se non sopra I'imprigionamento, 1 umlhazlOne, 1 mcatenamento e la derisione pili 0 meno mascherata del folle in noi, di un folle che non puo mai essere altro che il folIe di Ulj logos, come padre, come signore) come reo Ma tutto questa e un altro discorso e un'altra storia. Concludero chando anco~a Foucault. Molto oltre il passo su Descartes, dopa circa t:ecento pagme, Foucault scrive, sospinto da un rimorso, per annunClare Le Neveu de Rameau: «Nel momenta in cui il dubbio affrontava j suoi pericoli pili gr.andi, Descartes prendeva coscienza di non poter essere folle - salvo nconoscere ancora a lunge e fino al Demone Maligno, che tutte Ie potenze dell'insensatezza vegliavano intorno a1 suo pensiero». Cia che noi abbiamo tentato di fare questa sera e state di collocar~i nell'intervallo di questo rimorso, rimorso di Foucault, rimorso d1 Descartes secondo Foucault; nello spazio di quel «salvo riconoscere ancora a lungo ... », abbiamo cercato di non spegnere quell' altra luce,. quella luce nera e COSI poco naturale: la veglia delle «potenze dell'msensatezza» attomo al Cogito. Abbiamo cercato di sdebitarci nei confronti del gesto con cui Descartes stesso paga il suo debito nei confronti delle potenze minacciose della foIlia come origine avversa della filosofia. Agli altri titoli di riconoscenza per Foucault aggiungero dunque anche quello di avermi spinto con il suo libro monument ale a intuire pili profondamente che in una lettura ingenua delle Meditazioni fino ache pun to l'atto filosofico non puo non essere cartesiano nella s~a essenza e nel ~uo p:~getto, non PU? non essere nell'eredira cartesiana se per cartes1ano Sl mtende, come mtendeva certamente Descartes stesso vo- . ler essere cartesiano. Vale a dire, come ho cercato almeno di dimo~tra-
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La sed ttura e la differenza Cogito e storia della follia
re voler-dire-l'iperbole-demoniaca a par tire dalla quale il pen~iero si adnuncia a se stesso, spaventa se stesso e si rassicura al suo vertlce c~n tro l'annientamento 0 i1 naufragio nella follia e nella morte. Al vert~ce di se stesso, l'iperbole, l'apertura assoluta, il dispendio antiecono~lco esempre ripreso e sorpreso in una economia. 11 rapP?rt.o tra la r~gl?ne: la foUia e la morte euna economia, una struttura dl dlfler?nza. dl CUi bisogna rispettare l'irriducibile ori¥inal~ta. Q~esto voler-dlre-I'lperbole-demoniaca non eun volere tra gh altn; non e un volere che potrebbe essere occasionalmente ed eventualmente completato ~a~ ~ire, come?a un oggetto, dal complemento oggetto di una s?ggettlvlt.a vo~ontana; Questo voler dire, che non e ~eppu~e.l'a~tag?mst? del sll~nzlO, benSl la sua condizione, ela profondlta ongmana dl ogm .v~lere m generale. A nessun volontarismo, d'altra parte, sarebbe posslblle afferrare questo volere, perche esso e anche, come finitezza .e come sto~ia, una passione iniziale. Conserva in se la traccia di una vlOle~za. ~cnve se st~sso pili che non dica se stesso, si economizza. L'econo~l~ dl questa scntt~ ra eun rapporto regolato tra l'eccedente e la totahta ecceduta: la dtfferanza dell'eccesso assoluto. ,. . . Definire la filosofia come yoler-dire-llperbole, slgmfica confessare - e la filosofia, forse, equesta gigantesca confessione.- che n~l det~ato storico in cui la filosofia si rasserena ed esclude la follla, ~s.sa ~l tradlsc~ da se (0 si tradisce come pensiero), essa entra in una cnsl e .m una dlmenticanza di se che sono un periodo essenziale e necessano del suo movimento. 10 non filosofo se non nel terrore, ma nel terrore confessato di essere folIe. La confessione enello stesso tempo, nel suo presen~e, dimenticanza e disvelamento, protezione ed esposizione: economla. [Derrida scrive in questo c in altri passi ~ellibro ~i/ferance ~nziche ,di/fe~ence, " Grammaticalmente i1 sostantivo francese dl/ference denva ?~I !auno dt/ferentta e non cO,lO;lde morfologicamente con iI sostantivo ,astratto de,~ot~o dal partlclplO presente. del,verbo (dt/fe~e~: di/ferant di/ferance) come invece II caso dellaahano (sost, dlffere.nza, parhc. ?Ifferente). Dt/fe tance c~me scrive Derrida trova quindi una giustificazione gramma!lca]e, n~lla 11O¥ua francese, se intes~ come astratto dedotto dal participio presente del verbo, anzlche denvato dlrettamente dal sostantivo latino differentia. ' I I Tuttavia questa forma risulta anche in francese quanto meno mconsueta e anorma e.a punta che un recensore di Derrida puo annotare: «Di/ferance cor; una .... " -: s;nttura coragglOsa, em· blema infantile e necessaria che scpara la di/ferance da ogO! semphce dt/ference, com latPemeuranee lontana da ogni demeure,) (efr. GERARD GRANEL, Jacques Demda et fa rature e orlglne, in «Critique», 246 , novembre 1967, p. 900). . d ll" fI d ll' Nella filosofia moderna francese, l'uso di questi ast~at~i nsente. certa,:,ente e .10 .uss~ e e traduzioni dell' opera di Heidegger. Si pub molto veroslmllmente Imm~gmare che t! slgr;1 c~nte di/feral1ce sia costruito sulI'assonanza di altri astratti, come per esempI? errance'i~ der~vazlOn.e anch'ess~ heideggeriana e spesso usa to da Derrida come anche da E. Lev~nas (uno el S:'01. au!on, Ivi Vio'enza e meta/isica). Basandoci su questa stessa assonanza, I!refe:tamo tra~ur!e hn aahano « differa~za» invent •. ndo la parola, piuttosto che ricorrere ~d ,;n smommo qu.als~fiS1 c e non potrebbe mai a~ere i1 scnso inedite e difficile che I'autere a~trtbU1,sce al r;uovo slgn~ cante. Per i1 significato concettnale e ~etafisico dell'espresslone Sl veda 10 questa hbro soprattutto il saggio: Freud e ta scena della scrtttul'aj.
Ma questa crisi in cui la ragione epili folIe della follia - perche essa enon-sen so e dimenticanza - e dove la follia epili razionale della ragione perche e pili vicina alla sorgente viva anche se silenziosa 0 appena sussurrante del senso, questa crisi egia sempre cominciata ed einterminabile. E chiaro dunque che essa eclassica, non forse nel sen so del-
l'e/a classica, ma nel senso del classico essenziale ed eterno, benche storico in un sensa insolito, Mai e in nessun altro Iuogo, il concetto di crisi e stato in grado di arricchire e di compendiare tutte Ie potenzialita e insieme tutta l'energia del suo senso, quanto forse a partire dallibro di Michel Foucault. Qui la crisi e, da una parte, nel senso husserliano, il pericolo che minaccia la ragione e il senso sotto specie di oggettivismo, di dimenticanza delle origini, di occultamento da parte del disvelamento razionalista e trascendentale stesso. Pericolo come movimento della ragione minacciata dalla sua sicurezza stessa, ecc ... La crisi eanche la decisiol(.e, la cesura di cui parla Foucault, Ia decisione nel senso del XPLVELV, della scelta e della divisione tra Ie due vie separate da Parmenide nel suo poema, la via del logos e la non-via, il labirinto, il «palintropo» dentro il quale iIIogos si perde; la via del senso e quell a del non-senso; dell'essere e del non-essere. Divisione a partire dalla quale, dopo la quale, il logos, nella violenza necessaria della sua irruzione, si separa da se come follia, si esilia e dimentica la propria origine e Ia propria possibilita. Cio che si chiama Ia finitezza non eforse la possibilita come crisi? Una certa identita tra la coscienza di crisi e la dimenticanza della crisi? Tra il pensiero della negativita e la riduzione della negativita? Crisi di ragione infine, accesso alla ragione e accesso di ragione. Perche cio che Michel Foucault ci insegna a pensare, eche esistono crisi di ragione stranamente complici di cio che il mondo chiama crisi di follia.
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Edmond Jabes e 1a interrogazione dellibro *
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D'ora in avanti si potra rileggere meglio Je blttis ma demeure '. Un'edera rampicante rischiava di nasconderne il senso e di assorbirlo, o di sviarlo verso di se. Humour e giochi, risa e danze, canzoni s'intrecciavano con grazia attorno ad una paroIa che si piegava un po' sotto iI vento per non essersi ancora infervorata della sua vera radice. Non si Ievava ancora per dire soltanto il rigore e Ia austerita de! dovere poetico. Ne! Livre des questions', Ia voce non si altera, I'intenzione non si interrompe, rna I'accento si fa pili grave. Viene esumata una poderosa e antica radice, e messa a nudo su di essa una ferita senza eta (perche Jabes ci insegna che Ie radici parlano, che Ie parole vogliono germogliare e che il discorso poetico prende avvio da una ferita): si tratta di una certa tradizione ebraica come nascita e passione della scrittura. Passione della scrittura, amore e resistenza della Iettera, in cui edifficiIe distinguere se il soggetto e l'Ebreo 0 1a Lettera stessa. Forse radice comune di un popoIo e della scrittura. Destino incommensurabile, in ogni caso, che innesta Ia storia di una «razza tiscita dallibro ... » neII'origine radicale del senso come Iettera, vale a dire nella storicita stessa. Perche non puo esserci storia senza Ia serieta e Ia Fatica del IetteraIe. Piega do1orosa di se, attraverso Ia quale 1a storia si riflette in se stessa, dandosi Ia sua cifra. Questa riflessione e iI suo inizio. L'unica cosa che incominci con Ia riflessione, e Ia storia. E questa piega, questa ruga, eI'Ebreo. L'Ebreo che elegge Ia scrittura che eIegge I'Ebreo in uno ,', Edmond Jabes et fa question du livre, in «Critique», 20I, gennaio 1964. , Je bfitis ma demeure (poesie, I943-57), Gallimard, Paris I959. Questa raccolta recava una bellissima introduzione di Gabriel Bounoure. Alcuni studi notevo]i sono stati ora dedicati a Jabes. M. BLANCHOT, L'interruption, in «NRF», maggio I964; G. BOUNOURE, Edmond Jabes, la demeure et Ie livre, in «Mercure de France», gennaio I965; Edmond Jabes, ou fa gueriJOI1 par Ie livre, in «Les Lettres Nouvelles», giugno-settembre I966. 2 Gallimard, Paris I9 63.
La scrittura e la differenza
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scambio attraverso i1 qua1e la verita si imbeve da un capo all'altro di storicita e 1a storia si fissa nella sua empiricim. ., . ... «difficolta di essere Ebreo, che si confonde c~n la dzfficol~a d.t scrivere; perche ebraismo e scrittura sono solo un'untca attesa, un untca speranza, un'unica usura». .' Che questa scambio tra l'Ebre.o ~ 1a scrittur~ ~la p.ur~ e mstaurat.or~, scambio senza orerogativa in cm 1 appello ongmano e fin da1 prm~l pio, in un altro'senso del termine, c?nvocazione, questa e l'affermazl0ne pili reiterata del Livre des questtons: «T u sei colui che scrive e che escritto».
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«E Reb Ilde: "Che differenza corre tra scegliere ed esser seelto quando non possiamo fare altro che sottom.etterci alla ~eelta?"» E per una specie di spostamento so~tacn:to verso .1 ess:nza, che fa di questo libro una 1unga metonimia, 1a sltuazlone ebralca dlventa e~em p1are della situazione del poeta, dell:uomo della parol a e d~lla s,cnttura. Quest'ultimo si trova, nell'esperlenza stessa ~ella. s,ua hberta, co~ segnato a11inguaggio e liberato da una parol a dl cm e pur sempre 11 signore. «Le parole eleggono il poeta ... » ........ .. . . . ... . . ... .. . ... .... .
«L' arte dello scrittore consiste nell'indurre Ie parole ad interessarsi, a poco a poco, dei suoi libri» (Je bdtis r:za den:eure~. . Si tratta appunto di un travaglio, dl un~ h~era~l?~e, dl una generazione lenta del poeta attraverso il poema dl cm egh e tl padre. «Poco per volta illibro mi compira~) (L'espace blanc). . II poeta e dunque il soggetto del hb!o,.la s~a. sostanza e tl suo padrone, il suo servitore e i1 suo tema; E 11 hb.ro e 11 so?getto del poeta, essere parlante e conoscente che scnve nel hbro sul hbro. 9u: sto mo: vimento per cui il1ibro, articolato dalla voce del poeta, S.l plega e Sl ricollega a se, diventa soggetto in se e per se, questo.m?v~mento ~on e una riflessione speculativa 0 critic.a, .ma .fin ~al pnnclplo, poesla e storia. Perche il soggetto si spezza e Sl dls~hl~de m .e~so, mentre va rappresentandosi. La scrittura si scrive, rna l?Sleme.sllmmer~e nella {J.,~o pria rappresentazione. COS!, all'interno dl quel hb~o che nfle.tte a mfinito se stesso, che si sviluppa come una do1?rosa mterrogazlOne sulla propria possibilidl, la forma stessa dellib:o ~1 rap~resenta.: «!l r?man.zo di Sarah e di Y ukel, attraverso diversz dtaloghz e medttaztont attrz-
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buiti a rabbini immaginari, eil racconto di un amore distrutto dagli uomini e dalle parole. Ha la dimensione dellibro e I' ostinazione amara di un'interrogazione errante». Lo vedremo: per mezzo di un'altra dimensione della metonimia rna fino ache punto e un'altra? - e 1a generazione di Dio stesso che i1 Livre de~ questioltS descrive in tal modo. La saggezza del poeta, dunque, reallzza 1a sua liberta in questa passione: tradurre in autonomia l'obbedienza alIa legge della parola. Senza questo, e se la passione si fa sottomissione, e la follia. «II lolle e la vittima della ribellione delle parole» (Je bdtis ma demeure) . Prestando ascolto a questa mandato della radice e lasciandosi ispirare da questa ingiunzione della Legge, Jabes ha forse rinunciato all' estro, cioe al capriccio delle prime opere, rna non ha affatto abdicato alIa liberta di parola. Ha anche riconosciuto che la liberta deve appartenere alIa terra e alIa radice, altrimenti non e che vento: «IltSegnamento che Reb Zate tradusse con questa immagine: "Tu credi che sia l'uccello a essere libero. Ti sbagli; eil fiore ... " « ... E Reb Lima: "La liberta si risveglia poco per volta, a mana a mana che noi prendiamo coscienza dei nostri legami, come chi dorme riprende coscienza dei suoi sensi; allora i nostri atti hanno finalmente un nome"» . La liberta si accorda e si scambia con cia che la trattiene, con cio che essa riceve da un'origine svanita, con la gravita che localizza i1 suo centro e il suo luogo. Un 1uogo, il cui culto non e n~cessariamente pagano. Purche questo Luogo non sia un 1uogo, un recinto, una localid d'esclusione, una provincia 0 un ghetto. Quando un Ebreo 0 un poet a proclamana illuogo, non dichiarano la guerra. Perche, richiamandoci indietro dall'oltre-memoria, questo Luogo, questa terra, sono sempre Laggili. II Luogo non e il Qui empirico e nazionale di un territorio. E immemoriale, e quindi anche un avvenire. 0 meglio: la tradizione come avventura. La liberta si accorda con la terra non-pagana solo quando ne e separata dal Deserto della Promessa. Vale a dire dal Poema. Quando si lascia dire dalla parola poetica, la Terra si tiene sempre fuori da ogni prossimita, illic: ( Yukel, ti sei sempre trovato male nella tua pelle, tu non sei mai stato QUI, ma ALTROVE ... » «A che cosa pensi? - Alta Terra. - Ma tu sei sulla Terra. - Penso alta Terra in cui saro. - Ma noi stiamo l'uno di fronte alt'altro. E ab-
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La scrittura e 1a difIerenza
biamo i piedi sulla Terra. - Io conosco soltanto Ie pietre del cammin.o che si dice conduca alia Terra». II Poeta e l'Ebreo non sono nati qui, rna laggiu. Essi errano, sep.arati dalla 10rovera nascita. Autoctoni soltanto della parola e della SCtlttura. Della Legge. «Razza uscita dallibro» perche figli della Terra a venne. Autoctoni del Libro. Autonomi, anche, dicevamo. E do presuppone che il poeta non riceva semplicemente la sua parol a ~. la sua l~gge da Dio. L'eteronomia ebraica non ha nulla a che fare con 1 mter~esslOne di un poeta. La poesia sta alIa profezia, come l:idol0 ~ta al!a ver~ta. Forse eper questa ragione che il poeta e l'Ebreo C1 appalO!"lO 1? Jabes tanto uniti e tanto distanti nello stesso tempo; e che tutto 11 Lzvre des questions eanche una spiegazione con la comunita ebraica che vive nell'et~ ronomia e alIa quale il poeta non appartiene realmente. L'~utonomla poetica, divers a da ogni altra, presuppone che Ie Tavole Slano state spezzate. «E Reb Lima: "All' origine la liberta fu incisa dieci volte sulle Tavole della Legge, ma noi la meritiamo tanto poco de il Profeta le Ieee a pezzi nella sua collera"». . . Tra i frantumi della Tavola spezzata germogha 11 poema e mette radid il diritto alIa parola. Ricomincia I'avventura del testo, come erba cattiva, fuori Legg~, Iontano ~alIa «patria ~e?li Ebrei» che«~ un testo sacro in mezzo a det commentz ... » La necesslta del commento e, come Ia necessita poetica, la forma stessa della paroia esiliata. All'~nizio el'ermeneutica. Ma quella impossibilita comune di raggiungere 11 ce~tro del testa sacro e quella necessita comune dell'esegesi, quell'imperatlvo de~ l'interpretazione viene interpretato diversan;e?te dal poet~ e dal rabbIno. La differenza tra I'orizzonte del testa ongmale e la scnttura esegetica rende irridudbile la differenza tra il poeta e il rabbino. Non potendosi ricongiungere mai, e.tuttavia COS1, vicini l'uno alt.ro, in ;?e modo potrebbero raggiungere 11 centro? L apertura ongmana de~1 ~nterpr~ tazione significa essenzialmente che d saranno sempre.rabb1n1 e poet!. E due interpretazioni dell'interpretazione. La Legge dlVenta ~I~ora Interrogazione e il diritto alla parola si confonde con i1 dovere d1 mterrogare. IIlibro dell'uomo eun libro di i?terrogazione. . . «Ad ogni interrogazione, l'Ebreo rzsponde con una znterrogaZlOne», Reb Lema. . Ma se questa diritto eassoluto 10 eper il fatto che non ~lpende da qualche acddente nella ~toria. La ~o~tura delle T.avole espnme fin dal principio Ia rottura in DIO come ongme della stona.
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«Non dimenticare che tu sei ilnucleo di una rottura». Dio si eseparato da se per lasciarci parlare, stupirci e interrogarci. Non 10 ha fatto parlando; rna tacendo, permettendo al silenzio di interrompere Ia sua voce e i suoi segni, permettendo che Ie Tavole fossera fatte a pezzi. Nell'Esodo, Dio si epentito e 10 ha detto almeno due volte, prima delle vecchie e delle nuove Tavole, tra la parola e la scrittura originarie e, nella Scrittura, tra l'origine e la ripetizione (32-14; 33-17). La scrittura edunque originariamente ermetica e seconda. La nostra, certo, rna gia la Sua che incomincia con la voce rotta e con 1'occult amen to della Sua Faccia. Questa differenza, questa negativita in Dio, ela nostra liberta, la trascendenza e il verbo che non ritrovano Ia purezza della loro origine negativa se non nella possibilita della Interrogazione. L'interrogazione, «1'ironia di Dio» di cui parlava Schelling, si rivolge fin da! principio, come sempre, verso di se. «Dio econtinuamente in rivolta contro Dio ... » « ... Dio euna interro gazione di Dio ... » Kafka diceva: «Noi siamo dei pensieri nichilisti che sorgono nel cervello di Dio». Se Dio apre l'interrogazione in Dio, se e l'apertura stessa della Interrogazione, non esiste semplicita di Dio. Cio che era l'impensabile per i razionalisti classici diventa qui l'evidenza. Dio, procedendo nella duplicid del proprio costituirsi in interrogazione, non opera attraverso Ie vie piu semplici; non evero, non esincera. La sincerita, che ela semplidta, euna virtu menzognera. E necessario invece pervenire alla virtu della menzogna. «Reb Giacobbe, che fu il mio primo maestro, credeva alla virtu della menzogna perche, diceva, non esiste scrittura senza menzogna e perche la scrittura ela strada di Dio». Strada fuori mano, sinistra, equivoca, piena di ostacoli, attraverso Dio e a Dio. Ironia di Dio, astuzia di Dio, cammino obliquo, uscita da Dio, via verso Dio, della quale l'uomo non ela semplice deviazione. Deviazione senza fine. Strada di Dio. «Yuke1, parlaci di quest'uomo che emenzagna in Dio». Quella strada che non epreceduta da alcuna verid che Ie prescriva Ia sua esattezza, ela strada nel Deserto. La scrittura ei1 momento del deserto come momento della separazione. I farisei, 10 dice illoro nome - in aramaico -, questi incompresi, questi uomini della lettera. erano anche dei «separati». Dio non ci parla pill, si einterrotto: enecessario assumere Ie parole su di se. E necessario separarsi dalla vita e dalle comunita, ed affidarsi aIle tracce, diventare l'uomo che scruta perche non si riesce piu a udire la voce nell'immediata vicinanza del giardino. «Sara, Sara da che cosa ha if/hio i1 mondo? - Dalla parola? - Dalla sguar-
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La scri ttura e la differenza
do? ... » La scrittura si muove su di una linea spezzata tra Ia paraia perduta e Ia paroia promessa. La difJerenza tra la paroia e Ia scrittura e la colpa, la collera di Dio che esce da se, I'immediatezza perduta e illavoro fuori del giardino. «It giardino eparala, il deserto scrittura. In ogni granello di sabbia, un segno desta meraviglia». L'esperienza ebraica come riflessione, separazione tra la vita e il pensiero, significa la traversata dellibro come anacoresi infinita tra Ie due immediatezze e Ie due identita a se. «Yukel, quante pagine aneora da vivere, da morire, ti separano da te, dallibro all' abbandono dellibro?» IIlibro desertico e di sabbia, «di sabbia folie», di sabbia infinita, innumerevole e vana. «Raecogli un po' di sabbia - scriveva Reb I vri ... - Conoscerai allora la vanita del verbo». La coscienza ebraica e appunto la coscienza infelice e il Livre des questions e il suo poema; inscritto in margine alIa fenomenologia dello spirito con Ia quale I'Ebreo intende compiere solo un tratto di strada, senza scorta escatologica, per non mettere un limite al suo deserto, chiudere il suo libro e cicatrizzare il suo grido. «Metti un segnalibro rosso nella prima pagina dellibro, perehe fa ferita eiscritta al suo inizio. Reb Ale§». Se l'assenza e I'anima dell'interrogazione, se Ia separazione PUQ sopraggiungere solo nella rottura di Dio - con Dio -, se la distanza infinita dall'Altro non e rispettata se non nella sabbia di un libra in cui l'erranza e il miraggio sono sempre possibili, allora il Livre des questions e nello stesso tempo il canto interminabile dell'assenza e un libro suI Iibro. L'assenza tenta di produrre se stessa nellibro e si perde dicendosi; essa sa di perdersi e di essere perduta e in questa misura resta intatta e inaccessibile. Raggiungerla significa mancarla; mostrarla significa nasconderla; confessarla significa mentire. «If Nulla e la nostra prima cura - diceva Reb Idar» e il Nulla - come l'Essere - PUQ soltanto tacersi e nascondersi. Assenza. Assenza di luogo prima di tutto. «Sara: la parola abolisce la distanza, fa desolato illuogo. Siamo noi che fa formuliamo, oppure siamo plasmati da essa?» L'assenza di luogo e il titolo di una poesia di Je bdt~s ma demeure. E incominciava cos1: «Terreno indefinito, pagina osseSSlOnata ... » e il Livre des questions sta decisamente suI terreno indefinito, nel non-luogo, tra la citta e il deserto in cui la radice e nello stesso modo rifiutata 0 isterilita. Sulla sabbia 0 tra il selciato non fioriscono che parole. La citta e il deserto, che non sono paesi, ne paesaggi, ne giardini, assediano la poesia di Jabes e conferiscono aIle sue grida un'eco necessariamente infinita. La citta e il deserto insieme , cioe il
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Cairo da cui torna a noi J abes che ha anche avuto come si sa 1a sua uscita d'~gi~to. La di,mora che il poeta costruisce ~on i suoi /pugnali st~appatt all angelo» e una tenda 1eggera, fatta di parole nel deserto in cUll'E?reo noma~e ~ to.ccat? dall'in?nito e dalla 1ettera. Spezzato dalla Legge mfranta. DIVlSO m se - (La hngua greca potrebbe senza dubbio dirci. molt.e ,cose ,sullo stran? rapporto della legge, dell'erranza e della non-ldentlta a se, sulla radlce comune - VEllEW - alIa divisione alIa nomi.a e a1 nomadismo). II poeta della scrittura non PUQ che c~nsa crar~l alIa «sventura» che Nietzsche invoca su co1ui - 0 promette a ~olUl - che «nasconde deserti in se». II poeta - 0 l'Ebreo - protegge 11 deserto che protegge 1a sua paro1a 1a qua1e non PUQ parlare se non nel deserto; che protegge 1a sua scrittura la qua1e PUQ 1asciare una traccia solo nel des.erto. Vale a dire inventando, da sola, una strada irreperibile e n?n trac.clata ,Per 1a 9ua1e non esiste risoluzione cartesiana che possa aSSlCurarCl la glUsta dlrezione e l'uscita. «Dov'ela strada? La strada e sempre da cercare. Un fo~li~ bianco epieno di strade ... Dovremo ripercorre:e la stessa strada dzecz, cento volte ... » Senza saperlo, la scrittura traCCla e nello stesso tempo ritrova, nel deserto un labirinto invisibile una citta nella sabbia. «Dovremo ripercorrer; la stessa strada diec/ cento volte ... E tutte quelle strade hanno Ie proprie strade. - Altrimentt non sarebbero strade». T~tta.la prima parte del Livre de I' absent PUQ essere Ietta come una medltaZlOne su11a strada e sulla Iettera. «Si era ritrova~o ~ mez~ogio:no, di fronte all'infinito, alia pagina bianca. Ogni trac~za dz passz, la pzsta e~a scomparsa. Sepolte». E di nuovo questa passagglO dal deserto alIa cltta, questa Limite che e I'unico habitat della scrittura: «Allorche ritrovo il suo quartiere e la sua dimora - un nomade 10 aveva po~tato a dorso di cammello fino al piu vicino posto di contrallo dove eglt prese posta su di un autocarro militare diretto alta dtta - molti vocaboli 10 sollecitavano. Si ostino, tuttavia, ad evitarli». Assenza dello scrittore anche. Scrivere, significa ritrarsi. Ma non nella tenda per scrivere, rna da11a scrittura stessa. Arenarsi 10ntano dal pro~rio li?gua~gio, emancip~rlo 0 sconcertarlo, Iasciarlo procedere solo e P~lVO dt oglll scorta. ~asClare Ia parola. Essere poeta significa saper IasClare ~a parola. Las.cla~Ia parlare da sola, il che essa PUQ fare solo nello sctltto. (Come dIce 11 Pedro 10 scritto, privato dell'«assistenza di s~o ~adre» «se ne va da solo», cieco, «girando a destra e a sinistra» «mdlfferentemente pres so chi comprende e, ugualmente anche presso quelli da cui non e il caso di andare>?; errando, perdu to perche questa v?lta, non e scritto su11a sabbia rna (il che e la stessa cosa) «sull'acqua», dIce Platone, che non crede neppure lui ai «giardini di scrittura» e a
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coloro che vogliono seminare servendosi di una canna). Lasciare la scrittura, vuol dire non esser presente che per darle il passo, per essere l'elemento diafano del suo procedere: tutto e nulla. Nei confronti dell'opera, 10 scr'ittore e nello stesso tempQ tutto e nulla. Come Dio: «Se talvolta - scriveva Reb Servi - tu pensi che Dio non ti vede e perche esso si e fatto tanto umile che tu lo confondi con la mosca che ronza sul vetro della tua finestra. Ma quella ela prova della Sua onnipotenza; poiche Egli e, nella stesso tempo, il Tutto e il Nulla». Come Dio, 10 scrittore: «Quando io scrissi, da ragazzo, per la prima volta, it mio nome, ebbi coscienza di incominciare un libro. Reb Stein ... » « ... Ma io non sono quest'uomo perche quest'uomo scrive e 10 scrittore non enessuno».
«lo, Serafino l'assente, sono nato per scrivere libri». «(Io sono assente poiche sono il narratore. Solo il racconto ereale )>>. E tuttavia (e solo un esempio dei postulati contraddittori che lacerano senza fine Ie pagine del Livre des questions; Ie lacerano necessariamente: Dio infatti si contraddice), solo 10 scritto mi permette di esistere, dandomi un nome. Dunque e vero che Ie cose quando vengono nominate, nascono all'esistenza e nello stesso tempo perdono l'esistenza. Sacrificio dell'esistenza alIa parola, come diceva Hegel, rna anche consacrazione dell'esistenza per mezzo della parola. Del resta non basta essere scritto, bisogna scrivere per avere un nome,. Bisogna chiamarsi e cio presuppone che «ll mio nome e una interrogazione ... Reb Eglal». « ... Senza i miei scrini, io sono pit4 anonimo di un lenzuolo al vento, piu trasparente del vetro di una finestra». Questa necessita di scambiare la propria esistenza con 0 contro la letter a - di perderla e di vincerla - s'impone anche a Dio. «Non ti ho cercato, 0 Sara. loti cercavo. Attraverso di te, io risalgo all'origine del segno, alta scrittura non formulata cbe traccia il vento sulla sabbia e sul mare, alta scrittura selvaggia delt'uccello e del pesce che guizza. Dio, Signore del vento, Signore della sabbia, Signore degli uccelli e dei pesci, attendeva dall'uomo illibro che l'uomo attendeva dall'uomo; l'uno per essere finalmente Dio, I' altro per essere finalmente l'uomo ... » «Tutte Ie lettere formano l'assenza. Cosi Dio eil figlio del Suo nome ». Reb Tal.
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Maestro Eckhart diceva:«Dio diventa Dio solo quando Ie creature dicono Dio». Questo soccorso portato a Dio dana scrittura dell'uomo non e in contraddizione con l'impossibilita che quella ha di «soccorrersi» (Pedro). 11 divino -la sparizione dell'uomo - non si rivela forse in questa disperazione della scrittura? Se l'assenza non si lascia ridurre dalla lettera e perche ne costituisce l'etere e la respirazione. La lettera e separazione e limite in cui si libera i1 sen so, gia prigioniero nella solitudine aforistica. Perche ogni scrittura e aforistica. Non c'e «logica», non c'e rigoglio di Hane connettive che . possa venire a capo della sua discontinuita e della sua inattualita essenziali, della natura dei suoi silenzi sottintesi. L'altro collabora originariamente al senso. Esiste un lapsus essenziale tra Ie significazioni, che non e la semplice e positiva impostura di una parola, e neppure la memoria notturna di ogni linguaggio. Pretendere di ridurlo per mezzo della narrazione, del discorso filosofico, dell'ordine delle ragioni 0 della deduzione, vuol dire non conoscere illinguaggio, e il fatto che esso e la rottura stessa della totalita. 11 frammento non e uno stile 0 uno scacco determinato, e la forma dello scritto. A me no che Dio non scriva a sua volta; e anche in questo caso, occorre che sia i1 Dio dei filosofi classici, che non si e interrogato e interrotto da se, che non si e mozzato i1 respiro come quello di Jabes. (Ma proprio il Dio dei classici, la cui infinita attuale era intollerante·di fronte all'interrogazione, pon provava la necessita vitale della scrittura). Contrariamente all'Essere e al Libro leibniziano, la razionalita del logos di cui e responsabile la nostra scrittura obbedisce al principio di discontinuita. Non soltanto la cesura compie e fissa il senso: «L'aforisma - dice Nietzsche -la sentenza in cui sono considerato un maestro tra i Tedeschi, sono forme dell'eternita». Ma, prima di tutto, la cesura, fa nascere il senso. Non da sola, certo; rna senza l'interruzione - tra Ie lettere, Ie parole, Ie frasi, i libri - non potrebbe sorgere nessuna significazione. Supponendo che la Natura rifiuti i1 salto, si capisce perche la Scrittura non sara mai la Natura. Essa non procede, se non per saIti. E proprio questo fatto che la rende pericolosa. La morte si aggira tra Ie Iettere. Scrivere, quello che si chiama scrivere, presuppone l'accesso allo spirito grazie aI coraggio di perdere la vita, di morire alla natura. J abes e particoIarmente attento a questa feconda distanza tra i segni. «La luce enella loro assenza cbe tu leggi ... » « ... Tutte Ie lettere formano l' assenza ... » L'assenza e il permesso concesso alle lettere di compitarsi e di significare, rna e anche nell'involgersi su di se dellinguaggio, cio cbe Ie let-
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tere dicono: esse esprimono la liberta e la vacanza concessa, quel che esse «formano», stringendolo nella loro rete. Assenza finalmente come respiro della terra, perche la lettera vive. «E necessario che il nome germogli, altrimenti {:falso», - dice Breton-. Significando l'assenza e la separazione, la lettera vive in qualita diafor!s,[I!\l: Essa e solitudine, dice la solitudine e vive di solitudine. Sarebbe lettera morta fuori della differenza e se interrompesse la solitudine,. se interrompesse l'interruzione, la distanza, il rispetto, il rapporto all'al~ tro, vale a dire un certo non-rapporto. C'e dunque una animalita della lettera che assume Ie forme del suo desiderio, della sua irrequietezza e della sua solitudine. «La tua solitudine eun alfabeto di scoiattoli ad uso delle foreste». (La clef de voltte, in Ie batis ma demeure). Come il deserto e la citta, la foresta, in cui brulicano i segni impauriti, esprime senza dubbio il non-Iuogo e I'erranza, l'assenza di strade prestabilite, l'erezione solitaria della radice offuscata, fuori dalla portata del sole, verso un cielo che si nasconde. Ma Ia foresta, oltre Ia rigidita delle righe, degli alberi in cui si impigliano Ie Iettere smarrite, e anche il Iegno che I'incisione poetica incide. «Essi incidevano il frutto nel dolore dell' albero della solitudine ...
Come il marinaio che aggiunge un nome Su quello dell' albero Nel segno tu sei solo». L'albero dell'incisione e dell'innesto non fa pili parte del giardino; e l'albero della foresta 0 della nave. L'albero naturale sta all'aIbero della nave come il deserto sta alIa citta. Come l'Ebreo, come il poeta, come l'uomo, come Dia, i segni non hanno altra scelta che quella tra una solitudine naturale e una solitudine istituita. Allora essi sono segni e l'altro diventa possibile. Certo, I'animalita della lettera puo sembrare dapprima una metafora tra Ie altre. (Per esempio, in Ie batis ma demeure, il sesso e una vocale, ecc. oppure: «Talvolta, aiutata da un complice, la parola cambia sesso e anima», 0 ancora: «Le vocali, sotto la loro penna, assomigliano a musi di pesci fuor d' acqua che l'amo ha trafitto; Ie consonanti a squame spogliate. Vivono allo stretto nei loro atti, nei loro tug uri
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d'inchiostro. L'infinito Ie ossessiona ... ») Ma essa e soprattutto la metafora stessa, l'origine dellinguaggio come metafora, dove l'Essere e il Nulla condizioni, ultra-metafora, della metafora, non si dicono mai dirett~mente. La metafora 0 animalita della lettera, e l'equivocita prima e infinita del significante come Vita . Sovvertimento psichic.o della Ietteralita inerte, cioe della natura 0 della parola ridiventata natura. Questa sopra-potenza come vita del significante si produce nell'irrequietezza e nell'erranza dellinguaggio sempre pili ricco in confronto al sapere, e sempre in movimento per arrivare pili Iontano della certezza tranquilla e sedentaria. «Come dire quel che so! can parole che hanno una significazione I molteplice?» Gia tradita dalla citazione, la potenza organizzata del canto, nel Livre des questions, elude il commento. Ma e possibile forse interrogarsi sulla sua origine. Essa non nasce qui, in particoIare, da una eccezionaIe confluenza che preme sullo sbarramento delle parole, sulla singolarit.a puntuaIe dell'esperienza di Edmond Jabes, sulla sua voce e suI suo suIe? Confluenza in cui si congiungono, si legano insieme e si rievocano la sofferenza la riflessione millen aria di un popolo, quel «dolore», gia, «il cui pa;sato e la cui continuita si confondono.con quelli della scri:tura» il destino che interpella I'Ebreo e 10 insetlSce tra la voce e la C1-.. fra; ed egli piange Ia voce perduta con lacrime nere come traccia ~'in~ chiostro. 10 costruisco la mia dimora, e un verso tratto dalla VOtX de I' encre (I 949). E il Livre des questions: «Tu indovini che io do forse piu importanza a quello che edetto che a quello che ~ seritto; percke in quello che escritto, manca la mia voce e io credo tn essa, - Voglto dire la voce creatrice, non la voce complice che euna schiava». (Si ritrovera in Levinas Ia stessa esitazione, 10 stesso movimento inquieto nella differenza tra il socratismo e l'ebraismo, tra la miseria e l'altezza della Iettera, la pneumatica e Ia grammatica). Nell'afasia originaria, quando manca la voce del dio 0 del poeta, er:ecessario accontentarsi di questi sostituti della parola: il grido e la senttura. E il Livre des questions, Ia ripetizione nazista, la rivoluzione poetica del nostro secoIo la straordinaria riflessione dell'uomo che oggi tenta finalmente - e pe~ 'sempre invano - con tutti i mezzi, attraverso tutte Ie strade, di riprendere possesso del suo linguaggio, come se cio avesse un sen so e di rivendicarne la responsabilid contro un Padre del Logos. Per ese~pio, e possibile leggere nel L!vre de l' ~bsent: «Un~ batta.glia decisiva in cui i vinti, traditi dalle feme, desenvono, accasc1andos1, Ia
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pagina di scrittura che i vincitori dedicano all'eletto che l'ha scatenata a sua insaputa. Di fatto eper affermare la supremazia del verbo sull'uomo, del verbo suI verbo che il combattimento ha avuto luogo». E questa confluenza, il Livre des questions? No. II canto non canterebbe pili se la sua tensione fosse solo quell a della confluenza. La confluenza deve ripetere l'origine. Quel grido canta perche lascia affiorare, nel suo enigma, l'acqua di una roccia spezzata, la sorgente unica, l'unid di una rottura che sgorga. E dietro di esse Ie «correnti», gli «affiuenti», Ie «influenze». Una poesia corre sempre il rischio di non aver sen so e non avrebbe alcun val ore senza questo .rischio. Perche la poesia di Jabes rischi di avere un senso, perche almeno la sua interrogazione rischi di avere un senso, e necessario presupporre la sorgente e il fatto che l'unita non sia un semplice incontro, rna che a questa incontro oggi subentri un altro incontro. Incontro primo, incontro unico soprattutto perche esso e stato separazione, come quello tra Sara e Yuke!. L'incontrQg ~eparazione. Una simile proposizione che contraddice la «logica», rompe l'unid dell'Essere - nella fragile giuntura dell'«b> - accogliendo l'altro e la differenza alla sorgente del senso. Ma, si did, e sempre necessario pens are gia l'essere per dire queste cose, l'incontro e la separazione, di che cosa e di chi, e soprattutto che l'incontro eseparazione. Certo, rna quel «e necessario sempre gia» significa precisamente l'esilio originario fuori dal regno dell'essere, l'esilio come pensiero dell'essere, e che l'Essere non e ne si manifesta mai esso stesso, non e mai presente, in questa momento, fuori della differenza (in tutti i sensi indispensabili oggi a questa espressione). Che sia l'essere 0 il signore dell'essente, Dio stesso e, si manifesta come quello che e nella differenza, vale a dire come la differenza e nell'occultamento. Se col sovrapporre alcuni miserabili graffiti ad una immensa poesia, come ora stiamo facendo, ci proponessimo di ridurla alIa sua «struttura tematica», come si usa dire, dovremmo riconoscere che in essa non c'e nulla di originale. L'interrogazione in Dio, la negativid in Dio come liberazione della storicita e della parola umana, la scrittura dell'uomo come desiderio e interrogazione di Dio (e la doppia genitivita e ontologica prima ancora di essere grammaticale 0 meglio e il radicarsi dell'ontologico e del grammaticale nel graphein), la storia e il discorso come collera di Dio che esce da se, ecc. ecc., sono tutti motivi sperimentati a sufficienza: non sono forse, prima di tutto propri a Boehme, al romanticismo tedesco, a Hegel, all'ultimo Scheler, ecc. ecc.? La negativid in Dio, l'esilio come scrittura, la vita della lettera infine, stanno gia nella Cabala. II che significa nella «Tradizione» stessa. E. Jabes e cosciente
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degli echi cabalistici del suo libro. Talvolta se ne compiace perfino (efr. per esempio il Livre de I' absent, I2). , . Ma la tradizionalita non e l'ortodossia. Qualcuno potra nlevare tutti i punti in cui Jabes si allontana anche dalla comunid ebraica,. ammes: . so che questa nozione abbia qui un senso ~ il suo ~enso ~lass1c~. Egh non se ne allontana soltanto per quel che nguarda 1 dogml. Ma 1ll modo ancora pili profondo. Per Jabes, che riconosce di aver scoperto solo in ritardo di far parte in qualche modo dell'ebraismQ,.l'~breo. e s~l? un'allegoria sofferente: Voi siete tutti Ebrei, comprest gIt antzsemt!z, perche siete stati designati per il martirio.1?e.ve avere allora ~?~ sp1egazione con i suoi fratelli di razza e con rabb1ll1 che non sono plu 1mmaginari. Tutti gli rimprovereranno quell'universalismo, quell'essenzialismo, quell'allegorismo scarnificati; quell a neutralizzazione dell'avvenimento nel simbolico e nell'immaginario. «Rivolgendosi a me, i miei fratelli di razza hanno detto: Tu non sei Ebreo. Tu non frequenti Ia sinagoga ...
. . . . . . . . . . . . . . . . ............ I rabbini di cui citi Ie parole, sono dei ciarlatani. Sono mai esistiti veramente? E tu ti sei nutrito delle loro parole blasfeme» ... ... «Tu sei Ebreo per gli altri ma molto poco per noi». «Rivolgendosi a me, il pitt equilibrato fra i miei fratelli di razza mi ha detto: It fatto di non riconoscere nessuna difJerenza tra un Ebreo e colui che non lo e, non significa gia non essere pitt Ebreo?» Ed essi hanno aggiunto: «Fraternita significa dare, dare, dare e tu non potra~ mai dare se non quello che sei» I Colpendomi il petto con un pugno, to ho pensato: I do non sono nulla. I Ho la testa mozzata. I Ma un uomo non vale un altro uomo? I E il decapitato, il credente?» J abes non e un accusato in questa dialogo, egli porta in se stesso il dialogo e Ia contestazione. In questa non-coincidenza di se con se, egli epili ebreo e menD ebreo dell'Ebreo. Ma.ridentit~ a se d.el~'~?r~o forse non esiste. Ebreo sarebbe l'altro nome d1 questa 1mposs1b1hta d1 essere se stesso. L'Ebreo e spezzato e 10 eprima di ,tutto tra queste due dimensioni della lettera: I'allegoria e illetterale.l La sua storia non sarebbe che una storia empirica tra Ie altre se egli si stabilisse, se ~i stat~zza~se nella differenza e nella letteralita. Non avrebbe affatto stona se S1 estlllguesse nell'algebra di una universalid astratta. Tra la carne troppo viva dell'avvenimento letterale e la pelle fred-
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da de~ concetto.corre il senso: In questo modo trapassa neIlibro. Tutto (~v ~vlene neI hb:o .. Tutto dovra trovar domicilio neIlibro. Anche i !lbn. Per questo 11 hbro non e mai finito. Rimane sempre in sospeso e m attesa. «- Una luce esuI mio tavolo e la casa sta nellibro. - Abitera tinalmente la casa».
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«- Dove si colloca illibro?
- Nellibro». . Ogni.uscita fuori dallibro si attua neIlibro. Indubbiamente Ia fine ~eIla sCtlttura sta al di Ia deIla scrittura: «La scrittura che ha termine m se st~ssa n?n che una manifestazione del displ'ezzo». Se essa non e Iac~razlO~e dl se. v~rso I'aItr.o ~eI riconoscimento della separazione infina.a, se e cO,mp~aC1m~nt? dl se, piacere di scrivere per scrivere, soddis!azl0ne dell art!sta, Sl dlstrugge da se. Si contrae nella rotondita delI uovo.e nella plenezza dell'Identico. E vero che and are verso I'altro vuol ,~lre a~che n~garsi e che iI senso si aliena neI pass are del1a scrittu~ r~. L mtenzlOn.e Sl sorpa~sa e si strappa a se per dirsi: «Io odio cia che vtene pronu~ctato dove to non sono gia piti». NelIo stesso modo che Ia ~ne della scn~tura supera Ia scrittura, senza dubbio Ia sua origine non e ~?cora neI hbro. Lo scrittore, costruttore e guardiano deIlibro, sta all mgresso d~ll~ casa: Lo ~cr~ttore e un passatore e il suo destino ha sempre una s.lgmfi~azlOne hmmare. «Tu chi sei? - Il guardiano della casa. - ... St~t nelltbro? - Il mio posto esulla soglia». ~a - ed e la cosa fondam~~t~le - t~tta questa esteriorita in rapporto al hbr?, t~tta qu~sta negattvaa del hbro si produce nel libro. Viene detta I uSC1~a fuon dellibro, viene detto l'altro e la soglia nrdlibro. L'altro e Ia so.gha possono solo scriversi, 0 anche riconoscersi in esso. Non si esce dal ~l?rO se non neI1ibro poiche per Jabes, illibro non e nel mondo, bensl 11 mondo nellibro. «II mond~ esiste p~rc~e i~ li~ro esiste ... » «lllibro eI' opera del libro». « ... Illtbro molttpltca tlltbro ». Essere significa essere-nel-libro anche .se I:esser~ n~n e q.uel1a natura creata che il medioevo spes so chia~ ma~a 11 Llbro dl DlO. Dl0 stesso nasce nellibro che col1ega cosll'uomo a DlO e l'~ssere a ~e . .«Se ?!o esiste, esoltanto perche Egli sta nelli~ro». Jabes s~ che Il hb!,o e mvestito e minacciato, che la sua «risposta e an~o~a una mterr?gaztone, che quella dim ora esenza tine minacciata». Ma 11 hbro non puo essere minacciato se non dal nuIla dal non-essere dal non-senso. Se la minaccia giungesse ad essere, essa'sarebbe _ com~
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in questo caso - confessata, detta, addomesticata. Farebbe parte della casa e dellibro. Tutta l'inquietudine storica, tutta l'inquietudine poetica, tutta l'inquietudine ebraica tormentano dunque questa poema della interminabile interrogazione. Tutte Ie affermazioni e tutte Ie negazioni, tutte Ie interrogazioni contraddittorie sono riunite nel1'unita deIlibro in una logica divers a da ogni altra, nella Logica. Bisognerebbe dire qui, Ia Grammatica. Ma questa inquietudine e questa guerra, questa scatenarsi di tutte Ie acque non riposa suI fondamento tranquillo e silenzios.o di una non-interrogazione? La scrittura dell'interrogazione non e, per dedsione, per risoluzione, I'inizio del riposo e della risposta? La prima vioIenza nei confronti dell'interrogazione? La prima crisi e la prima dimenticanza, l'inizio necessario dell'erranza come storia, cioe come l'occultamento stesso dell'erranza? La non-interrogazione di cui parliamo non e ancora un dogma; e l'atto di fede nellibro puo precedere, 10 sappiamo bene, il credo nella Bibbia. E anche sopravvivergli. La non-interrogazione di cui parliamo, e la certezza incontaminata che l'essere e una Grammatica; e il mondo e per intero un crittogramma da costituire 0 da ricostituire per mezzo di una iscrizione 0 di una decifrazione poetiche; che illibro roriginario, che ogni cosa sta allibro prima di essere e per venire al mondo, che non puo nascere se non approdando allibro, non puo morire se non arenandosi in vista dellibro; e che sempre la sponda impassibile dellibro e tin dal principio. Ma se il Libro fosse solo, in tutti i sensi dell'espressione, un'epoca dell' essere (epoca morente che permetterebbe di intravvedere l'Essere nei bagliori della sua agonia 0 nell'allentarsi della sua stretta, e che moltiplicherebbe, come un'ultima malattia, come l'ipermnesia loquace e ostinata di certi moribondi, i libri sopra illibro morto)? Se la forma dellibro non dove sse pili essere il modello del senso? Se l'essere fosse in modo radicale fuori dellibro, fuod della sua lettera? Di una trascendenza che non si lasciasse pili toccare dall'iscrizione e dalla significazione, che non si adagiasse nella pagina e che anzi si levasse prima di quella? Se l'essere si perdesse nei libri? Se i libri fossero la dissipazione dell'essere? Se l'essere-mondo, la sua presenza, il suo senso d'essere, si riveIasse soltanto nell'illeggibilita, in una illeggibilita radicale che non fosse complice di una leggibilita perduta 0 cercata, dt una pagina ancora intonsa in qualche encic10pedia divina? Se il mondo non fosse nep-
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pure, come dice Jaspers, il «manoscritto di un altro», ma fin dal principio, l'altro di ogni manoscritto possibile? E se fosse sempre troppo presto per dire che da rivolta e una pagina sgualcita nel cestino della carta ... »? Sempre troppo presto per dire che il male e solamente indecifrabile, a causa di un lapsus calami 0 di una cacografia di Dio e che «la nostra vita, nel Male, ha la forma di una lettera rovesciata, esclusa, in quanta illeggibile dal Libro dei Libri?» E se Ia Morte non si lasciasse inscrivere, neppure essa nellibro in cui, come gia e no to, il Dio degli Ebrei inscrive tutti gli anni solo il nome di coloro che potranno vivere? E se l'anima morta fosse qualcosa di pili 0 qualcosa di meno, un'altra cosa in ogni caso, della lettera morta che dovrebbe essere sempre in grado di essere risvegliata? Se illibro non fosse che la dimenticanza pili certa della morte? L'occultamento di una scrittura pili vecchia 0 pili giovane, di una eta diversa dallibro, dalla grammatica e da tutto quello che in esso si annuncia sotto il nome di sen so dell'essere? di una scrittura ancora illeggibile? L'illeggibilita radicale di cui parliamo non e l'irrazionalita, il nonsenso disperante, tutto quello che puc suscitare l'angoscia di fronte all'incomprensibile e all'illogico. Una simile interpretazione - 0 determinazione - dell'illeggibile fa gia parte dellibro, e gia coinvolta nella possibilita del volume. L'illeggibilita origin aria non e un mom en to semplicemente interno allibro, alIa ragione 0 allogos; non e neppure illoro contrario poiche non ha con essi alcun rapporto di simmetria, ma e incommensurabile ad essi. Anteriore allibro (in senso non cronologico), essa dunque e la possibilita stessa dellibro e, in esso, di una contrapposizione, ulteriore ed eventuale, del «razionalismo» e dell'«irrazionalismo». L'essere che si annuncia nell'illeggibile sta al di la di queste categorie, al di la, pur scrivendosi, del proprio nome. Sarebbe ridieolo accusare Jabes per il fatto che queste interrogazioni non vengono formulate nel Livre des questions. Queste interrogazioni possono solo dormire nell'atto letterario che ha bisogno nello stesso tempo della loro vita e delloro letargo. La scrittura perirebbe in una vigilanza pura come nella semplice cancellazione della interrogazione. Scrivere, non significa confondere ancora l'ontologia e la grammatiea? Quella grammatica in cui si inscrivono ancora tutte Ie dislocazioni della sintassi morta, tutte Ie aggressioni della parola contro la lingua, tutti i problemi che la lettera stessa pone? Le interrogazioni scritte, rivolte alla Ietteratura, tutte Ie torture che Ie si infliggono, sono sempre per mezzo di essa e in essa trasfigurate, snervate, dimenticate; diventate modificazioni di se, attraverso se, in se, mortificazioni, vale a dire, come
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sempre, astuzie della vita. Quest'ultima non nega se stessa nella lette~ ratura, se -non per sopravvivere meglio. Per meglio essere. Essa non Sl nega pili di quanta si affermi: si differisce e si scrive con:e differanz~. I libri sono sempre libri di vito (l'archetipo sarebbe quel Ltbro della Vtta redatto dal Dio degli Ebrei) 0 di sopravvivenza (i cui archetipi sarebbero i Libri dei Morti redatd dagli Egiziapi). Quando Blancho~ scrive: «L'uomo e capace di un'interrogazione radicale, cioe, in fin del cond, l'uomo e capace di letteratura? », partendo da un determinato pensiero della vita si potrebbe anche dire «incapace» una volta su due. Ammettendo perc, che la letteratura pura e la non-letteratura, 0 Ia morte stessa. La domanda sull'origine dellibro, l'interrogazione assoluta, l'interrogazione su tutte Ie interrogazioni possibili, l' «interroga.zione di Dio» non fara mai parte di nessun libro. A menD che essa non d1mentichi se stessa nell'artic01azione della sua memoria, nel tempo dell'interrogazione, nel tempo e nella tradizione della sua frase, e che 1a ,memoria di se sintassi che 1a collega a se, non ne faccia una affermaZlOne mascherata: Gia un libro d'interrogazione che si allontana dalla sua origine, Allora, perche Dio fosse appunto, come die; J~bes, una int:rrog~ zione di Dio, non occorrerebbe trasformare un ult1ma affermazlOne 111 interrogazione? Allora Ia 1etteratura risulterebbe forse soltanto lospostamento sonnambolico di questa interrogazione: «C'e it Libro di Dio, per mezzo del quale Dio si interroga e c'e ittibro dell'uomo costruito sulla misura di quello di Dio. Reb Rida».
Violenza e metafisica Saggio suI pensiero di Emmanuel Levinas " I
Hebraism and Hellenism, - between these two points of influence moves our world. At one time it feels more powerfully the attraction of one of them, at another time of the other; and it ought to be, though it never is, evenly and happily balanced between them. MATTHEW ARNOLD,
Culture and Anarchy 2
Che 1a fi1osofia sia morta ieri, dopo Hegel 0 Marx, Nietzsche 0 Heidegger - e 1a fi1osofia dovrebbe ancora errare verso il senso della sua morte - 0 che sia sempre vissuta sapendosi moribonda, come viene riconosciuto in silenzio neIl'ombra prodotta dalla paro1a stessa che dichiaro 1a philosophia perennis; che essa sia mort a un giorno, nella storia, 0 che sia sempre vissuta di agonia e nel tentativo di aprire vio1entemente 1a storia per trovarvi 1a sua possibilita contro la non-fi1osofia, contro il suo fondamento avverso, i1 suo passato e il suo fatto, la sua morte e il suo scampo; che a1 di 1a di questa morte 0 di questa mortalita della fi1osofia, e forse anche grazie ad esse, il pensiero abbia un avvenire o che, come oggi si asserisce, sia tutto ancora di 1a da venire a cominciare da quello che si riservava ancora nella filosofia; 0 in modo ancora pili strano, che l'avvenire stesso abbia in tal modo un avvenire, sono tutte interrogazioni aIle quali non si puo dare una risposta. Sono, per * Violence et metaphysique, essai sur la pensee d'Emmanuel Levinas,
in «Revue de Me·
taphysique et de Morale », I964, nn. 3 e 4. 1 EMMANUEL LEVINAS, Theorie de [,intuition dans la phenomenologie de Husser!, I' ed., Alcan, Paris I930; 2' ed., Vrin, Paris I963; De ['existence ii ['existant (<
Albin Michel, Paris I963. Faremo riferimento anehe a molti anieoli ehe eiteremo di volta in volta. Le opere principali verranno indicate con Ie iniziali del titolo: Theorie de ['intuition: THI; De ['existence I'exi-
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stant: EE; Le Temps et [,Autre: TA; En decouvrant ['existence: EDE; Totalit" et Infini: TI; Difficile libe,t,,: DL. Questo saggio era giil seritto quando apparvero due testi importanti di Emmanuel Levinas:
La Trace de l'Autre, in «Tijdsehrift voor Filosofie», settembre I963 e La signification et Ie sens, in «Revue de Metaphysique et de Morale», I964, n. 2. Purtroppo ci e stato possibile soltanto fare ad essi qualche breve allusione. 2 [Ebraismo ed Ellenismo, - il nostro mondo si muove tra questi due punti di riferimento. Qualche volta epiu forte l'attrazione di uno e qualche volta quella dell'altro; e dovrebbe esistere, come non sueeede mai, una regolare e fortunata eompensazione tra i due punti].
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nascita e almeno per una volta, problemi che sono posti alIa filosofia come problemi che essa non puo risolvere. Forse questi non sono neppure interrogativi filosofici, non fanno pili parte della filosofia. Tuttavia dovrebbero essere gli unici oggi a poter fondare la comunita di coloro che nel mondo si chiamano ancora i filosofi per un ricordo, almeno, che sarebbe necessario interrogare senza deflettere e malgrado la diaspora degli istituti e delle lingue, delle pubblicazioni e delle tecniche che si trasmettono, si producono da se e si accrescono come il capitale 0 la miseria. Comunita dell'interrogazione, 4unque, in quella fragile istanza in cui l'interrogazione non e ancora aqbastanza determinata perche l'ipocrisia di una risposta si sia gia introdotta sotto la maschera dell'interrogazione, perche la sua voce si sia gia lasciata ingannevolmente articolare nella sintassi stessa dell'interr,ogazione. Comunita della decisione, dell'iniziativa, dell'inizialita assoluta, rna minacciata, in cui l'interrogazione non ha ancora trovato illinguaggio che ha deciso di cercare, non si e ancora rassicurata in esso sulla propria possibilita. Comunita dell'interrogazione sulla possibilita dell'interrogazione. E poco - e quasi nulla - rna qui si rifugiano e si riassumono oggi una dignita e un dovere intangibile di decisione. Una intangibile responsabilita. Perche intangibile? Perche l'impossibile ha gilt avuto luogo. L'impossibile secondo la totalita dell'interrogato, secondo la totalita dell'essente, degli oggetti e delle determinazioni, l'impossibile secondo la storia dei fatti ha avuto 1uogo: c'e una storia della interrogazione, una memoria pura dell'interrogazione pura che forse autorizza nella sua pos~ibilita ogni eredita ed ogni memoria pura ingenerale e come tale. L'interrogazione e gia cominciata, noi 10 sappiamo e questa strana certezza che riguarda un'altra origine assoluta, un'altra decisione assoluta, mentre accerta il passato dell'interrogazione, impartisce una lezione incommensurabile: la disciplina dell'interrogazione. Attraverso questa disciplina (attraverso significa che bisogna gilt saper leggere) che non e neppure la tradizione gia inconcepibile del negativo (della determinazione negativa) e che precede perfino l'ironia, la maieutica, l'btOXl] e il dubbio, una esigenza s'impone: l'interrogazione deve essere conserva~. Come interrogazione. La liberta della interrogqzione (doppio genitivo) deve essere detta e difesa. Permanenza fondata, tradizione realizzata dell'interrogazione rimasta interrogazione. Se questa comandamento ha una significazione etica, non e quelIa di appartenere al dominio dell'etica, rna di autorizzare - ulteriormente - ogni legge etica in generale. Non c'e legge che non si dica, non c'e comandamento che non
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si rivolga ad .una liberta di patola. Non c'e dunque 1e.,gg,<::..e comandamen to se non confermano e non inc(uqQno - cioe se non celano presupponendola -la possibilita della interrogazione. L'interrogazione e COS1 sempre inclusa, non si manifesta mai immediatamente come tale, bens! solamente attraverso l'ermetismo di una proposizione in cui la risposta ha gia cominciato a determinarla. La sua purezza non fa mai altro se non rivelarsi 0 richiamarsi attraverso la differenza di un lavoro ermeneutico. Cosl, coloro che interrogano sulla possibilita, sulla vita e sulla morte della filosofia sono gia presi, sorpresi nel dialogo della interrogazione su di se e con se, sono gia in memoria di filosofia, impegnati nella corrispondenza della interrogazione con se stessa. Fa dunque parte essenzialmente del destino di questa corrispondenza il giungere a speculare, a riflettersi, a interrogare su di se in se. Ha inizio allora l'oggettivazione, l'interpretazione second a e la determinazione della propria storianel mondo; ha allora inizio una battaglia che si colloca nella differenza tra l'interrogazione in generale e la «filosofia» come momento e modo determinati - finiti 0 !J1ortali - della interrogazione stessa. Differenza tra la filosofia come potere 0 avventura della interrogazione stessa e la filosofia come avvenimento 0 svolta determinati nell'ayventura. Q~esta differenza e oggi meglio pensata. Indubbiamente, il fatto che essa venga in Iuce 0 sia pensata cR'!!e.Jqle e l'aspetto che appare meno evidente alIo storico dei fatti, delle tecniche 0 delle idee, quello che risulta meno essenziaIe, a suo modo di vedere. Ma forse si tratta, se compreso in tutte Ie sue implicazioni, del carattere pili profondamente inscritto della nostra epoca. Meglio pensare questa differenza, non significherebbe in particolare sapere che se qualcosa deve ancora sopravvenire, a partire dalla tradizione nella quale i filosofi sanno di essere sempre presi alla sprovvista, sara solo a condizione di ricercarne senza posa l'origine e di sforzarsi rigorosamente di restare per quanto e possibile, vicino ad essa. II che non significa baIbettare e rannicchiarsi pigramente nel fondo dell'infanzia. Ma esattamente il contrario. Recentemente e dopo Hegel, nella sua ombra immensa, Ie due grandi voci che ci hanno suggerito questa ripetizione totale, che ci hanno richiamato ad essa, che l'hanno meglio riconosciuta come la prima necessita filosofica, sono senza dubbio possibile, quelle di Husser! e di Heidegger. Ora, maIgrado Ie pili profonde differenze, questo ricorso alla tradizione - che non eper nulla un tradizionalismo - eispirato da una intenzione comune alla fenomenologia husserliana e a quello che
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chiameremo provvisoriamente, per approssimazione e comodita, «1'ontologia» 1 heideggeriana. Cosl, molto sommariamente: I. L'insieme della storia della filosofia e pensato a incominciare dalla sua fonte greca. Non si tratta, come si sa, ne di occidentalismo, ne di storicismo '. Semplicemente i concetti fonda tori della filosofia sono prima di tutto gre!;i e non sarebbe possibile filosofare 0 pronunciare la filosofia fuori dalloro elemento. Che Platone appaia ad HusserI come l'istitutore di una ragione e di un compito filosofici il cui telos giaceva ancora nell'ombra; che rappresenti, al contrario, per Heidegger, il momenta in cui il pensiero dell:~.s.~ere si dimentica e si determina in filosofia, non costituisce una differenza decisiva se non come esito di una radice comune che egreca. La differenza e fraterna entro una discendenza, interamente sottoposta ad un medesimo predominio. Predominio dello stesso, anche, che non scomparira ne nella fenomenologia ne nella «ontologia». 2. L'archeologia verso la quale, attraverso vie differenti, ci conduco no HusserI ed Heidegger prescrive, ogni volta, una subordinazione o una trasgressione, in ogni caso una riduzione della metajisica. Anche se questo gesto ha, almeno in apparenza, un sen so molto differente nei due casi. 3. Infine, la categoria dell' etica non solo risulta separata dalla metafisica rna rivolta a qualcosa di diverso da se, ad una istanza anteriore e phI radicale. Quando non 10 e, quando la legge, il potere di risoluzioI Dopo aver voluto restaurare I'intenzione propriamente ontologica che dormiva entro la metafisica, dopo aver risvegliato I'«ontologia fondamentale» sotto I'<
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indica che la filosofia e gualehe cosa che, in primo luogo e prima di tutto, determina I'esistenza del mondo greco. Meglio ancora - la qJtAOIl'OqJLIX determina anche nel suo fondamento il corso pili intimo della nostra storia occidentale-europea. La locuzione ribadita di "filosofia occidentaleeuropea" per I. verita, una tautologia. Perche? Perch. la "filosofia" greea ne! suo essere stesso - greco gui significa: la filosofia e, nel suo essere originario, di natura tale che ha investito innanzitutto il mondo greco e soltanto esso, rivendicandolo per dispiegarsi - guale h. (M. HEIDEGGER, Was ht das-die Philosophie, Gunther Neske Pfullingen, 1956; trad. franc. di K. Axelos e J. Beaufret). SuI modo in cui necessario intendere, con maggior precisione gueste allusioni alia Grecia, efr. anche Sentieri interrotti, trad. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968.
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und die transzendentale Phiinomenologie [La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. di E. Filippini, II Saggiatore, Milano 19683], e il «fenomeno originario» che caratterizza I'Europa come «figura spirituale» (ibid.). Per ambedue, LAOIl'OqJLIX ci
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ne e la relazione all'altro raggiungono l'apX'll, essi vi perdono la loro specificita etica I. Questi tre motivi subordinandosi alIa sorgente unica delI'unica filosofi~, mostrerebbero la sola direzione possibile per ogni risorsa filosofica 111 generale. Se un dialogo eaperto tra la fenomenologia husserliana e 1'« ontologia » heideggeriana, la dove esse risultano pili 0 meno direttamente implicate, si direbbe che esso possa essere inteso solo alI'interno dell'unica tradizionalita greca. Nel momenta in cui la concettualit?t fondamentale derivata daII'avventura greco-europea esuI punta di impadronirsi dell'intera umanita, quei tre motivi predeterminerebbero dun que la totalit?t del logos e della situazione storico-filosofica mondiaIe. Nessuna filosofia sarebbe in grado di scuoterli senza cominciare col sottomettersi ad essi 0 senza finire col distruggersi essa stessa come linguaggio filosofico. Ad una profondita storica che la scienza e Ie filosofie del~a stori.a possono soltanto presupporre, noi ci sappiamo dun que affidatl alIa slcurezza dell'elemento greco, in un sapere e in una fiducia che non sarebbero ne abitudini ne comodita, rna che al contrario ci permetterebbero di pensare ogni pericolo e di vivere ogni inquietudine 0 ogni sconforto. Per esempio, la coscienza di crisi esprime per HusserI solo 1'occultamento provvisorio, quasi necessario, di un motivo trascendentale che di per se in Descartes e in Kant, cominciava a realizzare il prog~tto greco: la filosofia come scienza. Quando Heidegger, per esempio, dlce che «da molto tempo, gia da troppo tempo, il pensiero ein secco», come un pesce sulla terra, l'elemento al quale intende restituirlo ancora - gia -1'elemento greco, il pensiero greco dell'essere, il pensiero deII'essere la cui irruzione 0 il cui appello avrebbero prodotto la Grecia. II sapere e la sicurezza di cui noi parliamo non sono dun que nel mondo: sono piuttosto la possibilit?t del nostro linguaggio e la base del nostro mondo.
E a questa grado di profondita che ci farebbe vibrare il pensiero di Emmanuel Levinas. In fondo aII'aridita, in mezzo al deserto che cresce, questa pensiero che non vuole pili essere per fondazione pensiero dell'essere e della fe1 Husser!: «La ragione non ammette di essere distinta in "teorica" "pratica" 0 estetica ecc.» (La philosophie comme prise de conscience de l'humanite, trad. fran~. di P. Ricceur, VeritJ et tiberte). Heidegger: «I termini guali "Iogica", "etica", "fisica" compaiono solamente nel momento in cui iI pensiero originale si sta perdendo». (Lellre sur l'h;,manisme, trad. franc. ·con testa tedesco a fronte, a cura di R. Munier, Aubier, Paris 1957).
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nomenicita" ci invita a pensare una demotivazione ed una espropri~io ne inaudite: I. In greco, nella nostra lingua, in una lingua ricca di tutte Ie alIuvioni della suastoria - e gia qui si preannuncia il nostro problema - in una lingua che incolpa se stessa di un potere di,seduzione di cui fa continuamentC;;J,!~O, essa ci invita alIa dlslocazione del logos greco; alIa dislocazione della nostra identita e forse delI'identitajngener~le; ci invita ad abbandonare il luogo greco, e forse il luogo in generale, verso cia che non epiu nemmeno una sorgente 0 un luogo (troppo favorevole agli dei), verso una respirazione, verso una parola profetica gia effusa non solo a monte di Platone, non solo a monte dd presocratici, rna al di qua di ogni origine greca, verso l'altro del Greco (rna l'altro del Greco, sara il non-Greco? Potra soprattutto, chiamarsi il non-Greco? E il nostro problema si approssima). Pensiero per il quale it tutto del logos greco egia sopravvenuto, humus che si eposato non su di un terreno, rna intOrno ad un vulcano piu antico. Pensiero che, senza filologia, attraverso l'unica fedelta alIa nudita immediata rna svanita delI'esperienza stessa, vuole affrancarsi dalla dominazione greca dello Stesso e delI'Uno (altri nomi per la luce delI'essere e del fenomeno) come da una oppressione, certo diversa da ogni altra esistente, oppressione ontologica 0 trascendentale, rna anche origine e alibi di ogni oppressione nel mondo. Pensiero infine che vuole affrancarsi da una filosofia affascinata dalI'« aspetto delI'essere che si manifesta nella guerra» e che «si fissa nel concetto di totalita che domina la fiIosofia occidentale» (TI, X). 2. Questo pensiero vuole tuttavia definirsi, nella sua possibilita prima come metafisica (nozione greca tuttavia, se seguiamo il corso del nostro problema). Metafisica che Levinas vuole sollevare dalla sua subordinazione e di cui intende restaurare il concetto contro il tutto della tradizione derivata da Aristotele. 3. Questo pensiero si richiama alIa relazione etica - rapporto non violento alI'infinito come infinitamente-altro, ad altri - che sola potrebbe aprire 10 spazio della trascendenza e liberare la metafisica. Tutto questo, senza basare l'etica e la metafisica su qualcosa di diverso da esse stesse e senza confonderle, al loro sorgere, con altre acque. Si tratta dunque di una volonta poderosa di spiegarsi con Ia storia della parol a greca. Poderosa perche, anche se questa tentativo non eil primo del genere, raggiunge nel dialogo una altezza e una incisivita nella quale i Gw:;i - e innanzitutto quei due Greci che ancora sono Hus-
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serl e Heidegger - sono costretti a rispondere. L'escatologia messianica alIa quale Levinas si ispira, anche se non vuole assimilarsi a cia che viene chiamata una evidenza filosofica e anche se non vuole «completare» (TI, X) l'evidenza filosofica, non si svolge tuttavia nel suo discorso come una teologia 0 come una mistica ebraiche (e possibile perfino intenderla come il processo alIa teologia e alla mistica), e neppure come una dog~atica, come una religione, 0 come una morale. In ultima istanza, essa non fa ricorso all'autorita di tesi 0 di testi ebraici. Vuole essere intesa con un ricorso all' esperienza stessa. All'esperienza stessa e a cia che vi e di piu irriducibile nelI'esperienza: tramite e uscita verso l'altro; l'altro in quel che vi edi piu irriducibilmente altro: altri. Ricorso dre non si confonde can quello che esempre state chiamato un procedimento filosofico, rna che raggiunge un punto che non puo non interessare la filosofia che e stata ecceduta. Per dire il vero, l'escatologia messianica non emai letteralmente proferita: si tratta soltanto di designare nell'esperienza nuda uno spazio, un vuoto in cui possa essere intesa e in cui debba risuonare. Questo vuoto non euna apertura tra Ie altre. E l'apertura stessa, l'apertura dell'apertura, cia che non si lascia rinchiudere in alcuna categoria 0 totalita, vale a dire tutto cia che, dell'esperienza, non si lascia piu descrivere nella concettualita tradizionale e che fa resistenza anche ad ogni filosofema. Che cosa significano questa spiegazione .e questa scavalcamento reciproco di due origini e di due parole storiche, l'ebraismo e l'ellenismo? Si preannuncia un nuovo sIancio, qualche strana assimitazione che non siano piu it ritorno a spirale della promiscuita alessandrina? Se si pensa che anche Heidegger intende aprire jl passaggio ad una antica parola che, cercando un sostegno nella filosofia, conduca al di qua 0 al di la deIIa filosofia, che significato hanno, qui, quest'altro passaggio e quest'altra parola? E soprattutto che cosa significa questa sostegno cercato daIIa filosofia in cui esse dialogano ancora? E questo 10 spazio d'interrogazione che abbiamo scelto per una lettura - molto parziale I - del1 Parziale non solo a cagione del punto di vista che abbiamo scelto, dell'ampiezza dell'opera di Levinas, dei limiti materiali e non materiali di questo saggio, Ma anehe perehe la scrittura di Levinas, che richiederebbe da sola uno studio e in cui il gesto stilistico, soprattutto in Totalite et In/ini, non si lascia, qui meno che mai, distinguere dall'intenzione, non consente quell a disincarnazione prosaica nello schema concetruale che costituisce la violenza prima di ogni commento, Certo Levinas raccomanda l'uso appropriato della prosa che rompe l'incanto 0 la violenza dionisiaca e si oppone al rapimento poetico, ma cio non cambia nulla: in Totalite et In/ini, I'uso della metafora proprio perche stupendo e molto spesso, se non sempre, va al di lit dell'abuso retorico, aceoglie ~el suo pathos i movimenti determinanti del discorso, Rinunciando trappo spesso a riprodurli nella nostra prosa disincantata, finiremo con I'essere fedeli 0 infedeli? Per di piu, 10 sviluppo dei temi, non in Totalite et In/ini, meramente deserittivo ne meramente deduttivo. Si svolge con I'insistenza infinita delle onde su di una spiaggia: ritorno e ripetizione, sempre, della stessa onda contra la stessa riva, in cui tuttavia tutlo si rinnova e si arricchisce, riassumendosi ogni
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l'opera di Levinas. Sia chiaro che non abbiamo l'ambizione di esplorare questo spazio, neppure a titolo di timido inizio. Ci sforzeremo soltanto di indicarlo da lontano. Vorremmo, prima di tutto, nello stile del commento (e malgrado alcune parentesi e note in cui sara racchiusa la nostra perplessita), restare fedeli ai temi e aIle audacie di un pensiero. E anche alla sua storia, poiche l'interrogazione reciproca di cui vogliamo parlare egin riassunta e contenuta nella pazienza e nell'inquietudine di questa storia '. In seguito tenteremo di avanzare alcune interrogazioni. Se riescono a sfiorare 10 spirito di quella spiegazione, non saranno certo delle obiezioni: ma piuttosto, Ie interrogazioni poste a noi da Levinas. 'A'bbiamo parlato di «temi» e di «storia di un pensiero». La difficolta eclassica e non interessa soltanto il metodo. La limitatezza di queste pagine, la fara diventare ancora pili grave. Non sceglieremo. Ci rifiuteremo di sacrificare la storia del pensiero e delle opere di Levinas all'ordine 0 al complesso di temi - non eil caso di dire sistema - che si raccolgono arricchendosi, nellibro maggiore: Totalite et In/ini. Perche se si deve credere per una volta, all'accusato principale del processo istruito in questo libro, non interessa tanto il risultato quanto il divenire. Ma non sacrificheremo neppure l'unita fedele a se dell'intenzione al divenire, che, in questo caso, risulterebbe un puro disordine. Non sceglieremo tra l'apertura e la totalita. Saremo dunque incoerenti, rna senza risolverci sistematicamente all'incoerenza. La possibilita del sistema impossibile, restera all'orizzonte, per preservarci dall'empirismo. Notiamo tra parentesi, senza approfondire qui la riflessione sulla filosofia di questa esitazione, che per mezzo della sua semplice enunciazione, siamo gia approdati alIa problematica propria a Levinas.
1. VIOLENZA DELLA LUCE.
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L'uscita dalla Grecia era gia premeditata con discrezione nella Theorie de l'intuition dans la phenomenologie de Husserl. Questa era, nel 1930, la prima grande opera che venisse dedicata in Francia al flenvolta. In quanto sfida continua al commentatore e al critico, Totalite et Infini eun'opera e non un trattato. , Si troveranno, alIa fine di DifJicile liberte, sotto iI titolo: Signature, i punti di riferimento per una biografia filosofica di Levinas.
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siero husserliano nella sua totalita. Attraverso una pregevole esposizione degli sviluppi della fenomenologia, quali allora erano accessibili, a par tire dalle opere pubblicate e dall'insegnamento del maestro, attraverso alcune precauzioni che gia alludevano aIle «sorprese» che la meditazione e gli inediti di Husserl avrebbero potuto in futuro «riservare», la reticenza era gia dichiarata. L'imperialismo della ih:wp£a. allarmaya gia Levinas. La fenomenologia, sulle orme di Platone, doveva risultare pili di ogni altra filosofia, investita di luce. Poiche non era stata cap ace di ridurre l'estrema ingenuita, quella dello sguardo, essa predeterminava l'essere come oggetto. L'accusa rimane ancora espressa con timidezza e non fa blocco. a) Innanzitutto, e difficile costruire un discorso filosofico contro la luce. E trent'anni pili tardi, quando i motivi di opposizione contro il teoretismo e contro la fenomenologia - husserliana - diventeranno i motivi essenziali della rottura con la tradizione, sara ancora necessario che si offra ad una certa ilIuminazione la nudita del viso altrui, quella «epifania» di una certa non-luce, di fronte alla quale dovranno ammutolirsi e abbassare Ie armi tutte Ie violenze. In modo particolare, quella che econnessa alla fenomenologia. b) E poi, e difficile trascurarlo, Husserl pre-determina tanto poco l'essere come oggetto che, in Idee, I, l'esistenza assoluta non viene riconosciuta se non alla coscienza pura. E vero che si espes so sostenuto che questa differenza non contava e che una filosofia della coscienza era pur sempre filosofia dell'oggetto. La lettura che Levinas ha fatto di Husserl esempre stata, a questa proposito, sfumata, elastica, contraddittoria. Gia, nella T heorie de [,intuition, la teoria e giustamente distinta dall'oggettivita in generale. Lo vedremo pili avanti: la coscienza pratica, assiologica, ecc., eanche, per Husserl, una coscienza d'oggetto. Levinas 10 riconosce chiaramente. L'accusa dunque riguarderebbe in realta, il prima to irriducibile della correlazione soggetto-oggetto. Ma, pili tardi, Levinas insistera sempre di pili su quello che, nella fenomenologia husserliana, ci conduce al di qua 0 al di la della «correlazione soggetto-oggetto». Cioe, per esempio, «l'intenzionalita in quanta relazione con l'alterita», come «esteriorita che non e oggettiva», cioe la sensibilita, la genesi passiva, il movimento della temporalizzazione', ece. c) Poi il sole dell'E1tExELva. 'tn~ oU(j"£a.~ illuminera sempre per Levinas il risveglio puro e la sorgente inesauribile del pensiero. Esso non e so, Cfr. La technique pbenomenologique, in Husserl, «Cahiers de Royaumont»; e Intention· Italite el methaphysique, in «Revue Philosophique», 1959·
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lamente I' antenato greco dell'Infinito trascendente la totalita (totalita dell'essere 0 del noema, dello stesso 0 dell'io)', rna anche 10 strumento di una distruzione dell'ontologia e della fenomenologia sottomesse alla totalita neutra dello Stesso come Essere 0 come 10. Tutti i saggi, riuniti nel I947 sotto il titolo: De ['existence it texistant saranno posti sotto il segno della «formula platonica che pone il Bene al di la dell'Essere» (in Totalite et Infini, la «Phenomenologie dell'Eros», descrive il movimento dell' E1tEXELVCl 'dj~ OU(jLCl~ nell'esperienza stessa della carezza). Nel I947, questa movimento che non eteologico, che non etrascendenza verso «una esistenza superiore», Levinas 10 chiama «ex-cedenza». Pur inserendosi nell'essere, l'ex-cedenza euna «uscita fuori dall'essere e daIJe categorie che 10 descrivono». Questa ex-cedenza etica indica gia illuogo - 0 meglio il non-luogo -:- della metafisica come meta-teologia, meta-ontologia, meta-fenomenologia. Dovremo torn are su questa lettura dell' E1tEXELVCl ·t"ii~ OU(jLCl~ e sui suoi rapporti con l'ontologia. Notiamo per il momento, dato che si tratta di luce, che il movimento platoni co einterpretato in modo che non conduce pili al sole, bens! all'al di)a della Iuce e dell'essere, della Iuce dell'essere: «Ci troviamo di fronte,"'a nostro modo, all'idea pliltonica del Bene, al di la dell'Essere», si potra leggere alIa fine di T otalite et I nfini, a propos ito di creazione e di fecondita (siamo noi a sottolineare). A nostro modo, vale a dire che l'eccedenza etica non si dirige verso la neutralita del bene, bens! verso l'altrQ, e queI che (e) E1tEXEWCl "t'n~ OU(jLCl~ non eessenzialmente Iuce, rna fecondita 0 generosita. La creazione e creazione solo dell'altro, non e possibile se non come paternita ed i rapporti tra il padre e il figlio sfuggono a tutte Ie categorie della 10gica, dell'ontologia e della fenomeno10gia nelle quali l'assoluto dell'altro e necessariamente 10 stesso. (Ma gia il sole platonico, non chiariva il sole visibile e l'ex-cedenza non si produceva nella meta-fora di questi due soli? II Bene non era 1a sorgente - necessariamente notturna - di ogni luce? Luce (al di 1a) della luc~: II cuore della luce enero, estato spesso notato'. Per di pili iI sole di Platone non rischiara soltanto: g~nera. II bene e il padre del sole visibile che procura agli esseri 1a «genesi, Ia crescita e la nutrizione» [Repubblica, j08a-509b]). , L'altro antenato, iI latino, sara cartesiano: idea dell'Infinito che si preannuncia al pensiero come cio che sempre I'oltrepassa. Abbiamo indieato gli uniei due gesti filosofici che, escludendo i Ioro autori, siano completamente assolti, rieonosciuti innocenti da parte di Levinas. Al di fuori di queste due anticipazioni, Ia tradizione non avrebbe conosciuto, sotto il nome d'infinito, mai altra che iI «talso infinito. incapace di oltrepassare in maniera assoluta 10 Stesso: I'infinito come orizzonte indefinito 0 come trascendenza della totalita nei confronti delle partie , Cfr. gli esempi filosofici e poetici che offre G. BACHELARD in La terre et les reveries du repos, Corti, Paris I948, pp. 22 sgg.
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d) Senza dubbio, infine, Levinas emolto attento a tutto quello che, nelle analisi di HusserI, attenua 0 complica la primordialita della coscienza teorica. In un paragrafo dedicato a La coscienza non-teorica, viene riconosciuto che il primato dell'oggettivita in generale non si confonde, in Idee I, necessariamente con quello dell'atteggiamento teorico. Esistono atti e oggetti non-teorici «di una struttura onto10gica nuova e irriducibiIe». «Per esempio - dice HusserI-l'atto di valorizzazione costituisce un oggetto (Gegenstandlichkeit) assiologico, specifico in rapporto al mondo delle cose, costituisce un essere di una nuova regione ... » Levinas ammette COS! pili di una volta, che l'importanza concessa all'oggettivita teoretica si riferisce alla guida trascendentale scelta in prevalenza nelle Idee I: 1a percezione della cosa estesa. (Era tuttavia gia noto che questo filoconduttore poteva anche essere soltanto un esempio provvisorio). MaIgrado tutte queste precauzioni, malgrado una oscillazione costante tra la lettera e 10 spirito dello husserlismo (il primo pili spes so contestato in nome del secondo '), malgrado l'insistenza su quello che echiamato «fluttuazione nel pensiero di HusserI», viene espressa una rottura, sulla quale non si ritornera pili. La riduzione fenomenologica, la cui «funzione storica ... non e neppure un problema» per HusserI, rimane prigioniera dell'atteggiamento naturale, possibile per essa «nella misura in cui quest'ultima eteorica» '. «HusserI si da la liberta della teoria come si da la teoria stessa». II capitolo IV dell'opera, La conscience theorique, designa, all'interno di una analisi serrata e sfumata, il Iuogo della separazione: non e' possibile conservare nello stesso temI Questa schema domina sempre il rapporto tra Levinas e Husser!' II teoretismo e I'oggettivismo sarebbero Ia conclusione e Ia Iettera hussediana che tradiscono 10 spirito dell'analisi intenzionale e della fencmenologia. Cfr., per esempio, Intentionnalite et metaphysique cit.: «II grande contributo della fenomenologia husserliana deriva dall'idea che I'intenzionalita 0 Ia re!azione con I'alterita, non si fissa polarizzandosi come soggetto-oggetto. Certo, il modo con cui Husserl stesso interpreta e analizza questo scavaleamento della intenzionalita oggettivante da parte dell'intenzionalita trascendentale, consiste ne! rieondurre questa ultima ad altre intuizioni, a delle specie di «piecole percezioni ». (Hussed avrebbe sottoscritto questa interpretazione della sua «interpretazione.? Non ne siamo sicuri, rna non e questo iI Iuogo per tale problema). Segue una descrizione della sfera pre-oggettiva di una esperienza intenzionale che esca assolutamente da se verso I'altro (descrizione che tuttavia non ci e mai sembrato oltrepassasse una certa Ietteralita husserliana). Medesimo schema nella Technique phenomenologique e in Totalite et In/ini: all'<
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po il primato dell'atto oggettivante e I'originalita irriducibile della coscienza non-teorica. E se «Ia concezione della coscienza nella V Untersuchung ci sembra che non affermi soltanto un primato della coscienza teorica, rna che veda soltanto in essa I'accesso a quello che fa l' essere dell'oggetto», se «il mondo esistente, che ci viene rivelato, ha il modo d'esistenza dell'oggetto che si offre allo sguard6 teorico», se <~il mando reale e il mondo della conoscenza», se «nella sua filosofia [di HusserI] ... , la conoscenza, la rappresentazione non e un modo di vita dello stesso grado degli altri, e non e un modo secondario», allora «siamo costretti a separarci da lui». Gia si intravvedono gli inconvenienti ai quali dovra sottostare pill oltre, un pensiero che rifiutando l'eccellenza della razionalita teoretica, non smettera mai, tuttavia, di richiamarsi al razionalismo e all'universalismo pili privi di radici contro Ie violenze della mistica e della storia, contro il rapimento deIl'entusiasmo e dell'estasi. Si intravvedono anche Ie diflicolta di un procedimento che conduce a una metafisica della separazione attraverso una riduzione del teoretismo. Perche Ia separazione, Ia distanza 0 l'impassibilita erano cia che fino ad ora prendeyano in considerazione Ie obiezioni classiche contro il teoretismo e I'oggettivismo. Implichera pili forza - e pili pericolo - il denunciare invece Ia cecita del teoretismo, Ia sua incapacita a uscire da se verso l'esteriorita assoluta, verso il tutt'altro, l'infinitamente altro, «pill oggettivo dell'oggettivita» (TI). La complicita dell'oggettivita teoretica e della comunione mistica, ecco il vero bersaglio di Levinas. Unita pre-metafisica di un'unica e medesima violenza. Alternativa che modifica sempre il medesimo imprigionamento dell'altro. I
Nel I930, Levinas si volge verso Heidegger contro HusserI. E uscito Sein und Zeit e I'insegnamento di Heidegger incomincia a irradiarsi. Tutto quello che va oltre il commento e Ia «Iettera» del testo husserliano si orienta verso I'«ontologia», <
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HusserI ~ ha for~e avuto. t?rt~ ved~ndo, .in quel ~ttdo cQ~creto, u'n{;~\ mondo dl oggettl perceplt1 pnma dl ogm cosa» tEal). He1degge!,.va \ c-=:'\ pili avanti, perche per l.ui quel m~nd? n?n ein pt!ill!~ luogp' ?ato a:il~o \ ~~:) sguardo, rna (formulazlOne che C1 ch1ed1amo se I;le.~gger avrehf:,~.:;ac-)::~7! cettata) <
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lezione», «l'esistenza e irriducibile alIa luce deII'evidenza» e «il dramma deII'esistenza» si svo1ge «prima della luce» (ibid.). Tuttavia, ad una profondita in solita - ma il fatto e l'aecusa risultano per questa ane?r pili ~ignifica~ivi - Heidegg~r avrebbe ulteriormente interrogato e ndotto 11 teoretlsmo nel nome e alI'interno di una tradizione grecop1atonica, controIIata dall'istanza dello sguardo e dalla metafora della luce. Cioe dalla coppia spaziale del dentro-fuori (ma e proprio, per intero, una eoppia spaziale?) di eui vive I' opposizione soggetto-oggetto. Pretendendo di ridurre quest'ultimo schema, Heidegger avrebbe conservato quello ehe 10 rendeva possibile e necessario: 1a 1uce, il disoccultamento, Ia comprensione 0 la pre-comprensione. E quanto ci dicono certi testi scritti successivamente a En decouvrant I' existence. «La cura heideggeriana, completamente illumin~ta daIIa comprensione (anche se Ia comprensione stessa si da come cura), e gia determinata per mezzo della struttura "dentro-fuori "che caratterizza 1a luce». Pacendo vacillare la struttura «dentro-fuori» in quel pun to in cui essa avrebbe fatto resistenza a Heidegger, Levinas non pretende affatto di cancellarIa 0 di negarne iI senso e l'esistenza. Neppure quando si tratta della contrapposizione soggetto-oggetto 0 cogito-cogitatum. In uno stile in cui si riconosce qui iI pensiero forte e fedeIe (e anche 10 stile di Heidegger), Levinas rispetta Ia zona e 10 strato della verita tradizionaIe; e Ie fiIosofie di cui descrive i presupposti non vengono, in generale, 11~ rifiutate ne criticate. In questo caso, per esempio, si tratta semplicemente di lasciare apparire sotto quella verita - come suo fondamento, e dissimulata in essa - «una situazione che precede Ia scissione dell'essere in un dentro e un fuori». E tuttavia di instaurare, in un senso che dovd essere nuovo, e cos1 nuovo, una metafisica della separazione e dell'esteriorita radicali. Si intuisce che questa metafisica non trovera facilmente il suo linguaggio nell' elemento di un logos tradizionaIe compIetamente controllato dalla struttura «dentro-fuori», «interioritaesteriorith. COS1 «senza essere conoscenza, Ia temporalita di Heidegger e un'estasi, I' «essere fuori di se». Non trascendenza della teoria, ma gia uscita di una interiorita verso una esteriorith. La struttura del Mitsein sara anch'essa interpretata come eredita pIatonica e appartenenza al mando della 1lJ.~e. In effetti, attraverso l'esperienza dell'eros e della paternita, attraversa l'attesa della morte, dovrebbe nascere un rapporto all'altro che non si lascia pili comprendere come modificazione della «nozione eleatica dell'Essere» (TA). Quest'ultima comporterebbe che la molteplicita sia compresa, e sottopasta all'imperia dell'unita. Essa damine-
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rebbe anche la fiIosofia di Plato.Q.e, secondo Levinas, perfino nel suo concetto di femminilita (pen~iero come materia nelle categorie dell'attivira e della passivita) e perfino nel suo concetto della citra che «deve imitare il mondo delle idee.>dTA). «Nai vorremmo avviarci verso un pIuralismo che non tenda a fondersi in unita; e se la cosa e mai possibile, rompere con Parmenide» (TA). Levinas ci esorta dunque a un secondo parricidio. E necessario uccidere il padre greco che ci impone tuttora Ia sua legge, gesto a cui un Greco come Platone non ha mai potu to sinceramente risoIversi differendolo in un delitto allucinatorio. Allucinazione neIl'alIucinazione gia della parola. Ma queIIo che qui un Greco non ha potuto fare, come riuscira a farlo un non-Greco se non travestendosi da Greco, parlando greco, fingendo di parlare greco, per potersi avvicinare al re? E, dato che si tratta di uccidere una parola, si potra mai sapere chi e l'ultima vittima di questa inganno? Si puo fingere di parlare una lingua? Lo Straniero eleate e discepolo di Parmenide aveva dovuto dargli ragione per aver ragione di lui: piegando il non-essere aII'essere, era stato costretto a «dire addio a non so quale contrario deIl'essere» e a confinare il nonessere nella sua relativita all'essere, cioe nel movimento dell'alterita. Perche, secondo Levinas, era necessaria la ripetizione del delitto? Perche i1 gesto platonico continuer a a rim an ere inefficace fino a quando la molteplicita e l'alterita non saran no intese come solitudine as soluta dell'esistente nel suo esistere. E aIIora, «per ragioni di eufonia» (T A) la traduzione che Levinas prop'one per Seiendes e Sein. Proposta che tuttavia non eliminera del tutto l'equivoco: con existant, Levinas intende, in effetti, quasi sempre, se non sempre, l'essente-uomo, l'essente nella forma del Dasein. Ora, l'esistente cos1 inteso non e l'essente (Seiendes) in generale, ma rinvia - e innanzitutto perche ha la medesima radice - a quello che Heidegger chiama Existenz, «modo dell'essere e, precisamente, l'essere di queII'essente che e aperto per l'apribilira dell'essere e in essa». Was bedeutet «Existenz» in Sein und Zeit? Das Wort nennt eine Weise des Seins, und zwar das Sein desjenigen Seienden, das offen steht liir die Offenhait des Seins, in der es steht, indem es sie aussteht', Ora questa solitudine dell'«esistente» nel suo «esistere» sarebbe prima, non potrebbe essere pensata a cominciare dalla unita neutra dell' esistere (che Levinas descrive spesso e con tanta profondita sotto il titolo di It y a. Ma il «c'b> non e la totaHta deII'essente indeterminap.
, M. HEIDEGGER, Was ist Metaphysik, 15 [Che cos' fa meta/isica?, !lad. di A.
e
Klostermann, Frankfurt am Main 1960, Introduzione, Carlini, La Nuova Italia, Firenze 1965J.
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to, neutro, anonimo, ecc., piuttosto che I'essere stesso? Sarebbe necessario confront are sistematicamente questo tema del «c'b> con Ie aIIusioni che fa Heidegger all'«es gibt». (Sein und Zeit, Lettera sull'umanesimo). E paragonare anche I'orrore 0 il terrore che Levinas oppone all'angoscia heideggeriana con l'esperienza del timore (Scheu) che, come Heidegger dice nella Nachwort a Was ist Metaphysik, «abita accanto all'angoscia essenziale». Dal fondo di questa solitudine ha origine il rapporto all'altro. Senza di essa, senza questa primo segreto, il parricidio e una finzione teatrale della filosofia. Par tire dall'unita dell'« esistere» per comprendere il segreto, con i1 pretesto che esso esiste 0 che ei1 segreto dell'esistente, «significa rinchiudersi nell'unita e Iasciare che Parmenide si sottragga ad ogni parricidio» (TA). Da questa punto, dunque, Levinas si dirige ver~o un pensiero della differenza. Questo pensiero e in contraddizione con Ie intenzioni di Heidegger? C'e una differenza tra questa differenza e Ia differenza di cui parla quest'ultimo? C'e tra di esse un accordo non soltanto verbale? E quale differenza, tra Ie due, e la pili originaria? Tutte interrogazioni che affronteremo pili tardi. Mondo di Iuce e di unita, «filosofia di un mondo della Iuce, di un mondo senza tempo». In questa eliopolitica, «l'ideale del sociale sara ricercato in un ideale di fusione ... mentre, i1 soggetto ... si sprofonda in una rappresentazione collettiva, in un ideaIe comune ... E la collettivita che dice" noi" che, rivolta verso il sole intelligibile, verso Ia verita, sente I'altro al suo fianco, e non di £ronte ... II Miteinandersein resta anch'esso la collettivita del con ed e intorno alla verita che si rivela nella sua forma autentica». Ora, «da parte nostra speriamo di poter dimostrate che non e Ia preposizione mit che deve descrivere Ia relazione originale con l'altro». Sotto la solidarieta, sotto Ia corporazione, prtma del Mitsein che non rappresenterebbe che una forma derivata e modificata del rapporto originario con I'altro, Levinas scorge gia il faccia a faccia e l'incontro del viso. «Faccia a faccia senza intermediario», ne «comunione». Senza intermediario e senza comunione, senza mediatezza ne immediatezza, tale e Ia verita del nostro rapporto all'altro, Ia verita per la quale illogos tradizionale e per sempre inospitale. Verita impensabile dell'esperienza viva alIa quale ritorna continuamente Levinas e che la parola filosofica non puo tentare di accogliere senza mostrare subito, nella sua stessa luce, delle crepe pietose e quell a rigidita che era stata presa per una saldezza. Non sarebbe diflicile dimostrare che la scrittura di Levinas ha Ia caratteristica di procedere, nei suoi momenti decisivi, Iungo queste crepe, avanzando con sicurezza attraverso nega-
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zi.oni e negazione contro n~gazione. La sua via peculiare non e quella dt un «0 ... 0», ma quella dt un «ne ... neppure». La forza poetica della metafora e spesso Ia traccia di questa alternativa rifiutata e di questa lacerazione dellinguaggio. Attraverso di essa, nella sua apertura, l'esperienza stessa si manifesta in silenzio. Senza intermediario e senza comunione, prossimita e distanza assolute: « ... eros nel quale, con Ia prossimita dell'altro, e integralmente conse!v~t~ Ia dist~~za, nel quale il patetico nasce appunto da questa pr~sst~1ta e dualtta al tempo stesso». Comunita della non-presenza, qumdt della non-fenomenicita. Non comunita senza luce, non sinagoga con g!i occhi bendati, bens! comunita anteriore alla luce platonica. Luce antetlore alla luce neutra, anteriore alla verita come terzo «nella cui direzione si guarda assieme», verita di giudizio e di arbitri~. Solo, l'altro, il tutt'altro, puo manifestarsi come cio che e, prima della verita comune, in una certa non-manifestazione e in una certa assenza. Di lui si puo solo dire che il suo fenomeno e una certa non-fenomenicita , che Ia sua presenza (e) una certa assenza. Non assenza pura e semplice, perche allora Ia Iogica finirebbe ancora per ritrovarcisi, ma una certa assenza. Una s.imile formulazione 10 dimostra: in questa esperienza dell'altro, Ia logtca della non-contraddizione, tutto quello che Levinas indichera con il nome di «logica formaIe», viene contestato alla sua radice. Tale radice non sarebbe soltanto quella del nostro linguaggio, ma quell a delI'insieme della filosofia occidentale " in particolare della fenomenoIogia e dell'ontologia. Questa ingenuita non permetterebbe ad esse di pensare l'aItro (vale a dire di pensare; e la ragione apparirebbe COS!, ma non e stato Levinas a dirlo, «il nemico del pensiero») e di improntarvi illoro discorso. Ne deriverebbe una duplice conseguenza. a) In quanto non pensano l'altro, esse non hanno il tempo. In quanta prive del tempo, non hanno la storia. L'alterita assoluta dei momenti, senza la quale non ci sarebbe iI tempo, nonpuo essere prodotta - costituita - dentro l'identita del soggetto 0 dell'esistente. Arriva al tempo attraverso altri. Bergson e Heidegger avrebbero ignorato questa (EE). Husserl ancor di pili. b) In modo ancor pili grave, privarsi dell'altro (non attraverso un distacco, una separazione, il che e appunto essere in rapporto con l'altro, rispettarlo, ma ignorandolo, cioe conoscendolo, identificandolo, assimilandolo), privarsi dell'altro significa rinchiudersi in una solitudine 1 Hegel stesso non sfuggirebbe alia regola. La contraddizione sarebbe continuamente e alla fine delle fini, superata. L'estrema audacia consisterebbe, qui, nel rivolgere contro Hegel I'accusa di formalismo e nel denunciare la riflessione speculativa come logica dell'intelletto, come tautologia. Si puo ben immaginare la difficoltii dell'impresa.
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(cattiva solitudine di consolidamento e di identita a se) e reprimere la trascendenza etica. In effetti, se la tradizione parmenidea - e gia sappiamo che cosa significa per Levinas - ignora l'irriducibile solitudine dell' «esistente», percio stesso ignora la relazione con l'altro. Essa non pensa la solitudine, non si mostra a se come solitudine, perche e solitudine di totalita e di opacita. «II solipsismo non ene un'aberrazione ne un so£1sma: e la struttura stessa della ragione». C'e dunque un soliloquio della ragione e una solitudine della luce. Fenomenologia ed ontologia, in quanto incapaci di rispettare l'altro nel suo essere e nel suo senso, sarebbero, quindi, £1Ioso£1e della violenza. Attraverso di esse, l'intera tradizione £1Ioso£1ca parteciperebbe, neI suo sen so e in profondita, all'oppressione e aI totalitarismo dello stesso. Antica alleanza occulta tra la luce e il potere, antica complicita tra l'oggettivita teorica e iI possesso tecnico-politico '. «Se fosse possibiIe possedere, afferrare e conoscere l'altro, questa non sarebbe l'altro. Possedere, conoscere, afferrare, sono sinonimi del potere» (TA). Vedere e sapere, avere e potere non hanno luogo che nell'identita oppressiva e Iuminosa dello stesso e restano, agli occhi di Levinas, Ie categorie fondamentali della fenomenoIogia e della ontologia. Tutto queUo che mi edato nella luce sembra essere dato a me stesso per mezzo di me stesso. Da quel momenta la meta/ora eliologica non fa che sviare il nostro sguardo e procura un alibi alIa vioIenza storica della luce: spostamento dell'oppressione tecnico-politica verso Ia faIsa innocenza del discorso £1Ioso£1co. Perche si e sempre creduto che Ie metafore scagionassero, sollevassero il peso delle cose e degli atti. Se non c'e storia che attraverso illinguaggio e se il Iinguaggio (tranne quando nomina I' essere stesso 0 iI nulla: cioe quasi mai) e elementarmente metaforico, allora ha ragione Borges: «Forse la storia universale non e che Ia storia di alcune metafore». Di queste «alcune metafore» fondamentali, Ia Iuce e solo un esempio, rna quaIe esempio! Chi mai potra dominame, dime il senso, senza Iasciarsi, prima di tutto, dime da essa? Quale linguaggio potra mai sfuggirvi? In che modo, per esempio, potra liberarsene Ia meta£1sica del viso, come epi/ania dell' aItro? La luce non conosce contrario, soprattutto Ia notte non e il suo contrario. Se tutti i linguaggi si battono in essa, modificando sol, Altro inconveniente: la tecnica non e mai semplicemente condannata da Levinas. Essa puC> salvare da una violenza pili grave, da una violenza «reazionaria», quella del rapimento sacro, del radicamento, della prossimita naturale del paesaggio. «La tecnica ci strappa al mondo heideggeriano e aIle superstizioni del Luogo ». Ci offre I'eventualita di «lasciar splendere il volto umano nella sua nuditit» (DL). Vi torneremo sopra. Qui vorremmo sol tanto lasciare intravvedere che ad ogni filosofia deIla non-violenza non e mai concesso altro, nella storia, - rna avrebbe un senso in un altro luogo? - se non di scegliere la violenza minore in una economia della violenza.
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tanto Ia stessa metafora e scegliendo Ia Iuce migliore, al~ora ~a ancor~ ragione Borges, qualche pa~i~a pili o!tr~: ~(Forse la stotla umversale e solo Ia storia delle differentl mtonazlOnz dl alcune metafore» [La sfera di Pascal. II corsivo e mio].
II. FENOMENOLOGIA, ONTOLOGIA, METAFISICA.
Quei procedimenti erano critici, ma obbedivano alIa v~ce di ~ertez ze piene. Queste ultime apparivano soltant? attraverso del s~~gl, de~Ie analisi concrete e sottili che dicevano l'esotlsmo, la carezza, 1 msonma, Ia fecondita, illavoro, l'istante, la stanchezza, a quel punto, a. ~uella punta dell'indescrivibile indistruttibile che scal£1sce Ia concettu~hta c1assica e che cerca la sua procedendo per ri£1uti. ~~talite et Infinz, l'oper~ maggiore, non soltanto arricchisce quelle anahsl concrete, ma Ie dlstrlbuisce in una architettura poderosa. , . II movimento positivo che va aI di la del disprezzo 0 del mlsconoscimento dell'altro, vale a dire aI di la dell'apprezzamen!o 0 dellayresa, della comprensione e della conoscenza ?ell:altr~, L~vmas 10 chlama metafisica 0 etica. La trascendenza meta£1slca.e dest4 erto . , , Questo concetto del desiderio e anche an!l-hege~tano, p~r q~el. ch~ e possibile esserIo. Non indica il movimento ~l ~egaZ1~ne e d assl~tlazlo ne la negazione dell'alterita che e necessatla mnanzl~utto per ~1~enta re'«autocoscienza», «certezza di sh> (Fenomenolo~ta d~ll~ sptrtto ed Enciclopedia). AI contrario, i1 desiderio e, per.Levmas, 1~ tlspetto e la conoscenza dell'altro come altro, mom en to etlco-~eta£1sleo c?e Ia c9: scienza deve proibirsi di trasgredire. Qu~I, gesto ~l trasgresslOne e ~1 assimilazione sarebbe, invece, una necesslta essenzlal~, seco~d? Heg~ . Levinas vi seorge una necessita naturale, pre-meta£1slca e dlstmgue m alcune belle analisi, il desiderio dal godimento, cosa che ilHdge.1d n~n sembra fare. II godimento e soltanto differito nellavoro: . eSI. eno hegeliano non sarebbe, qui?di, se n?n il bis?gn? nel senso di LeVl?aS~ Ma Ie cose apparirebbero pili comphcate, - SI puo presumj.re -, s~ ~1 de I (Juisse minuziosamente il movimento della certezza e de a ve:1t~ e deslderio nella Fenomenologia dello spirito. Mal~r~do Ie. s~e d~chlara zioni antikierkegaardiane, Levinas si accosta qUI al teml dl T~more e tremore: il movimento del desiderio non puo essere quello che e se non come paradosso, come rinuncia al desiderato.
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Ne I'intenzionalita teorica, ne I'affettivita del bisogno esauriscono il movimento del desiderio: esse tendono nel senso e nel fine, a compiersi, a colmarsi, a soddisfarsi nella totalita e nell'identita dello stesso. II desiderio, invece, si lascia chiamare dall'esteriorita assolutamente irriducibile dell'altro a cui deve restare infinitamente inadeguato. E uguale solo all'eccesso. Nessuna totalita si chiudera mai su di lui. La metafisica del desiderio e quindi Ia metafisica della separazione infinita. Non coscienza della separazione come coscienza ebraica, come coscienza infelice: nell'Odissea hegeliana I'infelicita di Abramo e determinata come cauzione, come necessita provvisoria di una figura e di un passaggio nell'orizzonte della riconciliazione, del ritorno a se e del sapere assoluto. Qui non esiste ritorno. E poi, il desiderio non e infelice. E apertura e liberta. L'infinito desiderato puo anche imporglisi, rna non puo appagarlo con Ia sua presenza. «E se il desiderio dovesse cess are in Dio I Ah, ti invidierei l'lnferno». (Ci e permesso citare Claude!, per commentare Levinas, il quale polemizza anche con questa «spirito ammira to fin dalla [nostra] giovinezza?» (DL). L'infinitamente altro e l'invisibile, poiche il vedere apre solo Ia esteriorita illusoria e relativa della teoria e del bisogno. Esteriorita provvisoria che ci diamo in vista di consumarla (nei due sensi della parola). Inaccessibile, l'invisibile e I'altissimo: il tres-haut. Questa espressione - forse ancora abitata da risonanze platoniche che evoca Levinas, rna soprattutto da altre pili facilmente riconoscibili - dirompe, nel suo eccesso superlativo, Ia letter a spaziale della metafora. L'altezza, per quanto alta sia, e sempre accessibile; l'altissimo, invece, e pili alto dell'altezza. Nessun accrescimento d'altezza saprebbe misurarlo. Non appartiene allo spazio, non fa parte del mondo. Ma qual e la necessita di questa inscrizione dellinguaggio nello spazio, nel momento stesso in cui eccede 10 spazio? E se il polo della trascendenza metafisica e non-altezza spaziale, che cosa e che autorizza in ultima istanza I'espressione di transascendenza, desunta da J. Wahl? Forse il tern a del volto ci aiutera a capirlo. L'io e 10 stesso. L'alterita 0 Ia negativita intern a all'io, la differenza interiore non e che un'apparenza: una illusione, un «gioco dello Stesso», il «modo d'identificazione» di un io i cui momenti essenziali si chiamano il corpo, il possesso, Ia casa, l'economia, ecc. Levinas dedica a tutti questi argomenti alcune belle descrizioni. Ma questo gioco dello stesso non e monotono, non si ripete nel monologo e nella tautologia
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formale. In quanta lavoro d'identificazione e produzione concreta dell'egoismo, comport a una certa negativita. Negativita finita, modificazione interna e relativa nella quale l'io si investe nel suo movimento d'identificazione. Si altera COS1 verso se in se. La resistenza offerta al Iavoro, p-rovocandolo, rimane un momento dello stesso, momenta finito che forma sistema e totalita con l' agente. Va da se che Levinas descrive COS1 la storia come accecamento all'altro e procedere laborioso dello stesso. Ci si potra chiedere se la storia puo essere storia, se c'e storia quando la negativita e imprigionata nel cerchio dello stesso e quando illavoro non si scontra veramente con I'alterita, rna oppone a se stesso Ia sua resistenza. Ci si potra chiedere se Ia storia stessa non comincia con quel rapporto all'altro che Levinas colloca al di Ia della storia. Lo schema di questa problema potrebbe dominare tutta la Iettura di Totalite et Infini. Assistiamo COS1, in ogni caso, a quello spostamento del concetto di storicita di cui si parlava pili sopra. Bisogna riconoscere che senza questa spostamento, nessun anti-hegelismo puo essere conseguente fino in fondo. La condizione necessaria di un tale antihegelismo dunque e adempiuta. Occorre fare attenzione: questa tern a della tautologia concreta (non-formale) 0 della falsa eterologia (finita), questa tern a difIlcile viene propos to con molta discrezione all'inizio di Totalite et I nfini, rna condiziona tutte Ie affermazioni di questa libro. Se Ia negativita (lavoro, storia, ecc.) non emaiinrelazioneconl.altro.sel.altro non e Ia semplice negazione dello stesso, allora ne la separazione ne la trascendenza metafisica vengono pensate sotto la categoria della negativita. Proprio come - l'abbiamo visto pili sopra - la semplice coscienza interna senza l'irruzione del tutt'altro, non puo darsi il tempo e l'alterita assoluta degli istanti, COS1 I'io non puo produrre in se I'alterita senza incontrarsi con gli altri. Se queste proposizioni iniziali che autorizzano I'equazione tra l'io e 10 stesso non ci hanno convinti, neppure il resto ci convincera. Se non si segue Levinas quando afferma che Ie cose offerte al lavoro e al desiderio - nel senso hegeliano (per esempio l'oggettivita naturale) appartengono all'io, alIa sua economia (allo stesso), non gli oppongono la resistenza assoluta riservata all'altro (altri), se si ha Ia tentazione di pensare che quest'ultima resistenza presuppone, nel suo senso pili proprio, rna senza confondersi con essa, la possibilita della resistenza delle cose (l'esistenza del mondo che non e io e nel quale io sono, sia pure in modo quanta si voglia originale, per esempio come origine del mondo nel mondo ... ), se non si segue Levinas quando afferma che la vera resi-
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stenza allo stesso non e quella delle cose, non e reale, rna inteUigibile \ se si rifiuta la nozione di resistenza puramente inteIligibile, non si seguira pili Levinas. E non si potranno neppure seguire, senza un indefinibile disagio, Ie operazioni concettuali che la disimmetria classica dello stesso e dell'altro libera, quando si lascia capovolgere; 0 (direbbe una mentalita classica) quando finge di acconsentire al capovolgimento pur restando la stessa, impassibile sotto una sostituzione algebrica. Qual edunque quest'incontro dell'assolutamente-altro? Non e rappresentazione, ne limitazione, ne relazione concettuale alIo stesso. L'io e l'altro non si lasciano sovrastare, non si lasciano totalizzare da un concetto di relazione. E innanzitutto, perche il concetto (materia del linguaggio), sempre dato aU'altro, non puo chiudersi sulI'altro, comprend~rI.o. La dimensione dativa 0 vocativa che apre la direzione origin aria del linguaggio, non sarebbe in grado, senza violenza, di lasciarsi comprendere e modificare nella dimensione accusativa 0 attributiva dell'oggetto. IIlinguaggio non puo quindi totalizzare la propria possibilita e ,cg11rp-,e.nder~inse la propria origine e la propria fine. A dire il vero non ci si deve chiedere quale e questo incontro. Esso e l'incontro, l'unico esito, l'unica avventura fuori di se verso l'imprevediliiImente-altro. Senza speranza 'di ritorno. In tutti i sensi di tale espressione ed e la ragione per cui questa escatologia che non aspetta nulla sembra talvolta infinitamente disperata. Per la verita in La Trace de [,Autre, l'escatologia non «sembra» soltanto disperata. Si da come tale: la rinuncia fa parte della sua significazione essenziale. Nel descrivere la liturgia, il desiderio e l'opera come rotture dell'Economia e dell'Odissea, come impossibilita del ritorno allo stesso, Levinas parla di una «escatologia senza speranza per se 0 senza liberazione nei confronti del mio tempo». Non c'e dunque concettualita dell'incontro: quest' ultimo e possibiIe attraverso l'altro, attraverso l'imprevedibile, «refrattario alIa catego~!a»: II concetto presuppone una anticipazione, un orizzonte in cui l'aIterita.si/:,s!i~~uequ.ando si preannuncia e si lascia prevedere. L'infinitamente-altro non si collega in un concetto, non si pensa a cominciare da un orizzonte che e sempre orizzonte dello stesso, l'unita elementare in cui Ie apparizioni e Ie sorprese sono sempre accolte da una comprensione, sono riconosciute . . Si deve COS! pensare contro una evidenza di cui si poteva credere - di cui tuttora non si puo non credere - che e qualcosa come l'etere stesso del nostro pensiero e del nostro linguaggio. 1
Liberti et commandement, in «Revue de Metaphysique et de Morale», I953·
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II solo tentativo di pensare il contrario, toglie il respiro. E non si tratta solta?to di p~nsare i~ contr~rio, che ne e ancora complice, bens! di liberare 11 proprIO penslero e 11 proprio linguaggio per l'incontro al di la dell>alternativa cIassica. Senza dubbio questa incontro che per la prima volta non ha la forma del contat!o. intlli.tivo (nell'etica, secondo il senso che Ie da Levinas, la proibizione principale, centrale, e quella del con~atto)~ rna quella dell,a separazion~ (l'incontro come separazione, altra lllfrazlOne della «Ioglca formale» ), senza dubbio quest'incontro dell:imprevedibi~e per ecc~lle?za ~ l'unica apertura possibile del tempo, 1 untco avventre puro, 1 untco dlspendio pure al di la della storia come eco?o~ia. ~a questo ~vvenire, questo al di la, non e un altro tempo, un lllaOmant della stom. E presente nel cuoredell'esperienza. Presente non come presenza totate: rna cornela j!~ia, L'esperienza stessa e dun9ue e~catol?gica! nella sua origine e globalmente, prima di ogni dogma, prIma dl ognt conversione, di ogni articolo di fede 0 di filosofia. Faccia a faccia con l'altro in uno sguardo e in una parola che conservano la dista~za e interrompono tutte Ie totalita, questa stare-insieme come separaZlone, precedeed oltrepassa la societa la collettivita la coIl2g!l!~~. Levinas 10 chiarnllreligiolj~ Esso ap;~I'~~i~a. La relazio~e etica e ~~a ~e!azione ~e~igiosa (DL). Non una religione, rna fa religione, la rell~lOSlt.a del rel~~lOS?. Ques~a trascendenza al di la della negativita non SI real~zza nellllltUlzlOne dl una presenza positiva, rna «insta1,lra solamente .11 linguag~o in cui ne il no ne il si sono la prima parola» (TI), rna l'lllterrogazlOne. Interrogazione, tuttavia non teorica, problema totale, disperazione e miseria, supplica, preghiera pressante rivolta a.u?a li~ert.a, vale a ~ire, co~andamento: l'unico imperativo etico posslbtle, I umca non-vlOlenza lllcarnata in quanto e rispetto dell'altro. Rispetto immediato dell'altro come tale poiche esso non passa, potremmo dire senza seguire alcuna indicazione letterale di Levinas, attraverso l'elemento neutro dell'universale e attraverso il rispetto - nel senso kantiano l _ della Legge. . 1
Tra i diversi passi ehe denuneiano l'impotenza della suddetta <dogiea formale» di fronte
n,
all~ signifie~z.ioni dell'espcrie~z~ nuda, .segnaliamo in partieolare pp. I68, 237, 253, 345, in ~U1 la deSCtlZlOne della feeondlta d.~ve t1eono~eere <. (Uno in due, uno In tre ... II Logos greco non era gla sopraVVlssuto a seosse di questa genere? 0 meglio non Ie aveva gilt aeeolte in se?) , l A{fer~azione profondamente kantiana (< e «alla filosofia pratiea di Kant, alla quale ci sentiamo particolarmente vicini» (L'ontologie est-elle fondamentale?,
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La scrittura e la differenza
Violenza e metafisica
Questa restaurazione della metafisica consente allora di radicalizzare e di sistematizzare Ie riduzioni anteriori della fenomenologia e delI'ontologia. II vedere e senza dubbio, in prima istanza, una conoscenza rispettosa e Ia Iuce passa per essere l'elemento che, pili fedelmente, nel modo pili neutro, ponendosi come terzo, permette al conosciuto di essere. Non e un caso se Ia relazione teorica e stata 10 schema preferito dalla relazione metafisica. (Cfr. TI). Quando il terzo termine, e nella sua pili neutra indeterminazione, Iuce dell'essere, - che non e un essente ne un non-essente, mentre 10 stesso e l'altro sono -Ia relazione teorica e.Qntoiogia. Quest'ultima, secondo Levinas, riconduce sempre l'aItro in seno allo stesso grazie all'unita dell'essere. E Ia liberta teoretica che accede al pensiero dell'essere e solo I'identificazione dello stesso, Iuce in cui io mi do cio che dico di incontrare, Iiberta economica nel senso particolare che Levinas da a questa parola. Liberta nell'immanenza, liberta premetafisica, si potrebbe quasi dire fisica, liberta empirica, an· che se nella storia essa si chiama ragione. La ragione sarebbe natura. La metafisica 5i apre quando Ia teoria critica se stessa come ontologia, come dogmatismo e spontaneita dello stesso, quando, uscendo fuori di se, si Iascia mettere in questione dall'altro nel movimento etico. Posteriore di fatto, Ia metafisica come critic a dell'ontologia e di diritto e filosoficamente prima. Se e vero che «Ia filosofia occidentale e stata quasi sempre unaontologici» dominata da Socrate in poi da una Ragione che riceve solo cio che eSli.!L~i.!ia " che si limita solo a ricordare se stessa, se l'ontoIogia e una tautologia e una egologia, essa ha dunque sempre neutralizzato l'altro in tutti i sensi dell'espressione. La neutralizzazione fenomenologica, vorremmo quasi dire, da Ia sua forma pili ingegnosa e moderna a questa neutralizzazione storica, politica e poliziesca. Solo Ia metafisica potrebbe liberare I'aItro da questa luce dell'essere 0 dal fenomeno che «toglie all'essere Ia sua resistenza». Malgrado alcune seducenti apparenze, 1'« ontologia» heideggeriana non sfuggirebbe a questa schema. Resterebbe ancora «egologia» e anin «Revue de Metaphysique et de Morale », 195r. Ristampato in Pbenomenoiogie, existence). L'esigenza di tale confronto non sarebbe soltanto richiesta dai temi etici, ma gia dalla differenza tra totalita ed infinito per la quale anche Kant, tra gli altri e forse piu degli altri, espresse piu di un pensiero. 1 Levinas pone spesso sotto accusa il magistero socratico che non insegna niente, che insegna solo il gis conosciuto e fa uscire ogni cosa da se, cioe dall'Io e dallo Stesso come Memoria. Anche l'anamnesi sarebbe una processione dallo Stesso. Almeno su questo punto, Levinas non potra contrapporsi a Kierkegaard (efr. per esempio J. WAHL, Etudes kierkegaardiennes, Vrin, Paris J949, pp. 308-9): la critica che egli rivolge al platonismo qui letteralmente kierkegaardiana. E vero che Kierkegaard contrapponeva Socrate a Platone, ogni volta che si trattasse di reminiscenza. Quest'ultima farebbe parte della «speculazione» platonica, speculazione da cui Socrate si « separa»
e
(Post-scriptum).
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che «eg9ismo»: «5ein und Zeit ha forse sostenuto quest'unica tesi: «l'essere non e separabile dalla comprensione dell'essere (che si dispiega come tempo), I'essere e gia appello alIa soggettivita. II primato delI'ontologia heideggeriana non riposa suI truismo: "Per conoscere l'essente, e necessario aver compreso I'essere dell'essente". Affermare Ia priorita dell' essere neiconfronti dell' essente vuol dire pronunziarsi gia sull'essenza della filosofia, subordinare Ia relazione con qualcuno che e un essente (relazione etica) ad una relazione con I'essere dell'essente che, impersonale, permette il sequestro, la dominazione dell'essente (a una' relazione di sapere), subordina Ia giustizia alIa liberta... modo di rimanere 10 Stesso, in seno all'AItro». Malgrado tutti i malintesi che possono annidarsi in questo modo di trattare il pensiero heideggeriano - pili oltre li analizzeremo in se stessi -l'intenzione di Levinas sembra, in ogni caso, chiara. II pensiero neutro dell'essere neutralizza aItri come essente: «L'ontologia come filosofia prima, e una filosofia del potere», filosofia del neutro, tirannia dello stato come universalita anonirna e disumana. In questa pun to stanno Ie premesse di una critica dell'aIienazione statalista, critica anti:hegeliana senza essere ne soggettivistiE~ ne marxista; e neppure anarchica, perche e una filosofia del «principio che puo essere solo come comandamento». Le «possibilita» heideggeriane rimangono dei poteri. Non opprimono ne posseggono me no per il fatto di essere pre-tecniche e pre-oggettive. Attraverso un aItro paradosso, Ia filosofia del neutro e in comunicazione con una filosofia delluogo, del radicamento, delle violenze pagane, del rapimento, delI'entusia5mo, filosofia offerta al sacro, vale a dire al divino anonimo, al divino senza Dio (DL). ~<Materialismo che si vergogna», per essere completo, perche nel suo fondamento, il materialismo non e per prima cosa un sensualismo rna il primatQricQllosciuto al peutro (TI). La nozione di primato di cui tanto spesso fa uso Levinas traduce con esattezza il gesto di tutta Ia sua critica. Secondo I'indicazione presente nella nozione di apxi}, il cominciamento filosofico e immediatamente convertit9)n comandamento etico 0 politico. II primato e fin da subito principio e capo. Tutti i pensieri classici interrogati da Levinas sono COS1 trascinati verso l' agora, costretti a spiegarsi in un linguaggio etico-politico che essi non sempre hanno voluto 0 creduto di voler parlare, costretti nella conversione a confess are la loro intenzione violenta; a confessare che gia essi parlavano nella citta, e che dicevano, attraverso perifrasi e malgrado il disinteresse apparente della filosofia, a chi dovesse spettare il potere. Si hanno qui Ie premesse di una lettura nQ!l:ill!Ll]:l§.ta della filosofia come ideologia. I procedimenti di Levinas sono decisamente dif-
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ficili: mentre rifiuta l'idealismo e Ie filosofie della soggettivita, deve denunciare anche la neutralita di un «Logos che non e verbo di nessun~~> (ibid.). (Si potrebbe certamente mostrare come Levinas, scomodamente installato - e gia per la storia del suo pensiero - nella differenza tra Husserl e Heidegger, critichi sempre l'uno dei due con uno stile e secondo uno schema desunti dall'altro, finendo col rimandarli insieme dietro alle quinte come compari nel «gioco dello Stesso» e complici nello stesso colpo di forza storico-filosofico). II verbo non deve essere soltanto verbo di qualcuno; deve oltrepassare quello che viene chiamatoHsoggetto parlante, verso l'altro. Le filosofie del neutro e Ie filosofie della soggettivita non possono riconoscere questa percorso della parola che nessuna parola puo totalizzare. Per definizione, se l'altro e l'altro e se ogni parola e per l'altro, nessun logos come sapere assoluto puo comprendere il dialogo e il percorso verso l'altro. Questa incomprensibilita, questa rottura del logos non e il cominciamento dell'irrazionalismo, rna ferita 0 ispirazione che apre la parola e rende di conseguenza possibile ogni logos e ogni razionalismo. Un logos tot ale dovrebbe ancora, per essere logos, lasciarsi offrire all'altro al di la della propria toi:alita~ Se, per esempio, c'e una ontologia 0 un logos della comprensione dell'essere (dell'essente), e perche «quest'ultima si dice gia all'essente che risorge dietro il tema in cui si offre. Questo "dire ad Altri" - questa relazione con Altri come interlocutore, questa relazione can un essente - precede ogni ontologia. E la relazione ultima nelI'essere. L'ontologia presuppone la metafisica» (TI). «AI disvelamento dell'essere in generale, come base della conoscenza e come senso dell'essere, preesiste la relazione con l'essente che si esprime; al piano dell'ontologia, il piano etico». L'etica e dunque la metafisica. «La morale non e un ramo della filosofia, rna la filosofia prima». L'oltrepassamento assoluto dell'ontologia - come totalita e unit a dello stesso: l'essere - per mezzo delI'altro, si attua come infinito, poiche nessuna totalita puo delimitarlo. L'infinito irriducibile alla rappresentazione dell'infinito, che eccede l'ideatum nel quale viene pensato, pensato come pili di quanta io possa pens are, come quello che non puo essere oggetto 0 semplice «realra obiettiva» dell'idea, e questa il polo della trascendenza metafisica. L'idea cartesian a dell'infinito, dopo l'£'lt£XEWCl "t'i'it; OVCT~Clt;, farebbe afllorare una seconda volta la metafisica nell'ontologia occidentale. Ma cia che Platone e Descartes non hanno riconosciuto (assieme a qualche altro, se ci e concesso di non credere, come crede Levinas, alla loro solitudine in mezzo ad una folla filosofica
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che non intende la vera trascendenza, ne la strana idea dell'Infinito) e che l'espressione di questa infinito e il viso. II viso non e soltanto la faccia che puo essere superficie delle cose o facies animale, aspetto 0 specie. Non e soltanto, come vuole l'origine della parola, cia che ~.visto, visto in quanta nudo ..E anche cia che vede. Non tanto cia che vede Ie cose - relazione teorica - quanta cia che scambia il suo sguardo. La faccia non e viso se non nel faccia a faccia. Come diceva Scheler (rna la nostra citazione non dovd farci dimenti~are che Levinas non e affatto scheleriano): «10 non vedo solamente gli occhi di un altro, vedo anche che mi sta guardando». Hegel non diceva gia: «Ma se ci chiediamo in quale organo particolare l'intera anima appaia come tale, noi pensiamo subito all'occhio; infatti l'anima si concentra nell'occhio e non solo vede per mezzo suo, rna vi e anche vista. Come Ie pulsazioni del euore si mostrano su tutta la superficie del corpo umano, al contrario che per il corpo animale, in egual modo si deve affermare dell'arte che essa trasforma ogni forma, in tutti i punti della superficie visibile, nell'occhio, che ela sede dell'anima e porta ad apparire 10 spirito» '. (Sull'occhio e la interiorita dell'anima, si vedano anche Ie lunghe e belle pagine che non ci e possibile citare qui, t. III, parte I). Forse in questa occasione possiamo rilevare su di un punto preciso, un tema che svilupperemo pili oltre: Levinas e molto vicino a Hegel, molto pili vicino di quanta egli stesso desidererebbe, e proprio nel mo~ men to in cui gli si contrappone nel modo apparentemente pili radicale. E una situazione che e costretto a condividere con tutti i pensatori antihegeliani, e di cui dovremmo meditare Ia significazione ultima. Qui in particolare, suI rapporto esistente tra il desiderio e l'occhio, tra il suono e la teoria, la convergenza eprofonda quanta la divergenza e non si aggiunge, non si giustappone semplicemente a quest'ultima. In effetti Hegel, come Levinas, pensava che l'occhio, in quanta non si propone di «consumare» sospende il desiderio. E illimite stesso del desiderio (e forse in questa senso eanche la sua risorsa) e il principale senso teorico. La luce e l'apertura dell'occhio non devono essere pensate a par tire da una qualsiasi fisiologia, bens! del rapporto tra la morte e il desiderio. Dopo aver parlato del gusto, del tatto e deII'olfatto, Hegel continua coS! neII'Estetica: «La vista ha invece con gli oggetti un rapporto puramente teoretico per mezzo della luce, questa materia per COS! dire immateriale, che, da parte sua appunto lascia gli oggetti sussistere liberi , G. W. F. HEGEL,
Estetica, trad. di N. Merker e N. Vaccaro, Einaudi, Torino
1967, pp. 175-76.
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La seri ttura e Ia differenza
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per se, Ii fa vedere ed apparire, ma non Ii consuma praticamente, come fanno I'aria e il fuoco, in modo inavvertibile 0 palese. AlIa vista, priva di desiderio, si offre tutto cia che esiste materialmente nello spazio, in esteriorita reciproca, ma che, rimanendo intatto nella sua integrita, si palesa solo nella sua forma e colore» '. Questa ncutraIizzazione del desiderio costituisce per Hegell'eccellenza della vista. Ma per Levinas essa e, per di pili e proprio per gIi stessi motivi, la prima violenza, anche se il viso non e quello che e, quando 10 sguardo eassente. La violenza sarebbe, quindi, la soIitudine di uno sguardo muto, di un vi so senza parola, l'astrazione del vedere. Per Levinas, 10 sguardo da solo, al contrario di quanta si potrebbe credere, non rispetta l'altro. II rispetto, al di la della presa e del contatto, del tatto, dell'odorato e del gusto, non epossibile se non in quanta desiderio e il desiderio metafisico non cerca, come il desiderio hegeliano 0 come il bisogno, di consumare. E questa la ragione per cui Levinas giudica il suono superiore alIa luce. (<< II pensiero e linguaggio e si pensa in un elemento analogo al suono, non alIa luce». Che cosa significa qui questa analogia, differenza e somiglianza, relazione tra il suono sensibile e il suono del pensiero come patola intelligibile, tra la sensibilita e la significazione, i sensi e il senso? E un problema che pone anche Hegel, quando consider a con stupore la parola Sinn). In Totalite et Infini, il movimento della metafisica edunque anche la trascendenza dell'intendere in rapporto al vedere. Ma anche nell'Estetica di Hegel: «L'altro senso teoretico el'udito. Qui viene ad accadere l'opposto. L'udito non ha a che fare con la forma, il colore, ecc ... , ma con i suoni, Ie vibrazioni del corpo, che non sono un processo di dissoluzione, come quello di cui aveva bisogno l'odorato, ma un semplice vibrare dell'oggetto, in cui la cosa si conserva intatta. Questo movimento ideale, nel quale per mezzo del suo risuonare si estrinseca, per COSt dire, la soggettivita semplice, l'anima dei corpi, viene appreso dall'orecchio in modo altrettanto teoretico come la forma e il colore dall'occhio, lasciando COSt che l'interno degli oggetti divenga per l'interno stesso» '. Ma: «L'udito che, come la vista, non fa parte dei sensi pratici, ma dei sensi teorici ... , eperfino pili ideale della vista. Perche, dato che la contemplazione tranquilla, disinteressata delle opere d'arte non cerca di sopprimere gli oggetti, ma permette loro invece di rimanere quali sono e dove sono, tutto quanta la vista afferra non el'ideale in se, ma continua invece a sussistere nella sua esistenza sensibile. L'orecchio , G. W. F. HEGEL,
, Ibid.
Estetica cit., p.
697.
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invece, senza rivolgersi praticamente verso l'oggetto, percepisce i risultati di quel tremito interiore del corpo, per mezzo del quale si manifesta e rivela, non la figura materiale, ma una prima idealita proveniente dall'anima». II problema dell' analogia ci ricondurrebbe COSI a quella nozione di tremito che ci sembra decisiva nell'Estetica di Hegel, in quanta apre la via all'idealita. D'altra parte, per fare un confronto sistematico tra i pensieri di Hegel e quelli di Levinas, suI tema del viso, si dovrebbero consult are non soltanto Ie pagine della Fenomenologia della spirito dedicate alIa fisiognomica, ma anche il § 4I I dell'Enciclopedia sullo spirito, il viso e illinguaggio. Dunque, per motivi che ora ci sono familiari, il faccia a faccia sfugge ad ogni categoria. Perche in esso il vi so si da simultaneamente come espressione e come parola. Non soltanto sguardo, ma unit a original.e dello sguardo e della parola, degli occhi e della bocca - che parla, ma dice anche la sua fame. Esso edunque anche quello che intende l'invisibile, perche «il pensiero elinguaggio» e «si pensa in un elemento analogo al suono e non alIa luce». Questa unita del viso eprecedente, nella sua significazione, alIa dispersione dei sensi e degli organi della sensibilita. La sua significazione, quindi, e irriducibile. D'altra parte, il vi so non significa. Non incarna, non riveste, non segnala altro che se, anima, soggettivita, ece. II pensiero eparola, dunque eimmediatamente viso. In questo, la tematica del viso fa parte della filosofia pili moderna dellinguaggio c del corpo proprio. L' altro non si segnala per mezzo del suo viso; equesto viso: « ... assolutamente presente nel suo viso. Altri - fuor di ogni metafora - mi sta in faccia» '. L'altro dunque non si offre «in persona» e senza allegoria se non nel viso. Ricordiamoci d. i quello che diceva a questa proposito Feuerbach, il quale metteva a~che in relazione tra di essi i temi dell'altezza, della sostanza e del ViSO: «QueUo che sta pili in alto nello spazio eanche per la qualita il pili alto dell'uomo, quello che gli epili vicino, che non si pua separare da lui ed ela testa. Se vedo la testa di un uomo, el'uomo stesso che io vedo; ma se io vedo solo il suo tronco, non vedo altro che il suo tronco» '. Quello che non si puo piu separare da ... ela sostanza nei suoi predicati essenziali e «in se». Levinas dice anche spes so xa.if a.U'to e «sost~nza», quando parla dell'altro come viso. II viso epresenza oua-ta.. II viso non e una metafora, non e una figura. II discorso suI viso , A priori et subiectil'ite, in «Revue de Metaphysique et de Morale », 1962 . . , L. FEUERBACH, Manifestes pbilosophiques, Textes choisis (1839-45), trad. franc. d, L. AIthusser, PUF, Paris 1960.
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non e un'allegoria, e neppure, come si sarebbe tentati di credere, una prosopopea. Di conseguenza, l'altezza del viso (in rapporto al resto del corpo) determina forse in parte (in parte soltanto, 10 vedremo pili avanti) l'espressione di altissimo sulla quale poco fa ci interrogavamo. Se I'altezza dell'altissimo, vorremo quasi dire, non fa parte dello spazio (e questa e la ragione per cui i1 superlativo deve annientare 10 spazio costruendo la metafora) non e per il fatto di essere estranea al10 spazio, rna di essere, (nello) spazio, I'origine dello spazio, di dare una direzione allo spazio a partire dalla parola e dallo sguardo, dal viso, dal capo che domina dall'alto il corpo e 10 spazio. (Aristotele certo paragona il principio trascendente del bene al capo dell'esercito; egli ignora tuttavia il viso e che il dio degli eserciti e La Faccia). II viso non significa, non si presenta come un segno, rna si esprime, offrendosi di persona, in se, xalfau't'o: «La cosa in se si esprime». Esprimersi, vuol dire essere dietro il segno. Ed essere dietro il segno non vuol dire essere prima di tutto in grado di assistere (al) la propria parola, di soccorrerla, secondo l'espressione del Fedro che ne assume la difesa contro Thot (0 Ermes), espressione che Levinas fa sua pili di una volta? Solo la parola viva, nella sua padronanza e nel suo magistero, puo recare soccorso a se stessa, solo essa e espressione e non segno servile. A condizione che sia veramente parola, «la voce creatrice, non la voce complice che e sempre una schiava» (E. Jabes). E sappiamo che tutti gli dei della scrittura (Grecia, Egitto, Assiria, Babilonia) hanno 10 statuto di dei ausiliari, segretari servili del grande dio, traghettatori lunari e scaltri che talvolta, ricorrendo a procedimenti infami, detronizzano il re degli dei. Lo scritto e l'opera, per Levinas, non sono espressioni, rna segni. Dopo il riferimento all' epekeina tes ousias, e questa almeno il secondo tema platonico di T otalite et I nfini. Lo si ritrova anche in Nicola Cusano. «Quando l'operaio abbandona la sua opera, che continua poi il suo destino in modo indipendente, il verbo del professore e inseparabile dalla persona che 10 proferisce» 1. La critica dell'opera qui implicita distingue, almeno per questa volta, Hegel da Nicola Cusano. Bisognerebbe affrontare questa problematica separatamente e di per se stessa. «II discorso orale» e «il discorso nella sua pienezza»? 10 scritto e solamente «linguaggio ridiventato segno»? 0, in un altro senso, «parola attiva» in cui «mi allontano e vengo meno ai miei prodotti» che mi tradiscono invece di esprimermi? La «franchezza» dell'espressione sta essenzialmente dalla parte della parola viva per chi non e Dio? 1 M. DE GANDILLAC
introduzione, p. 35.
(a cura di), (Euvres choisies de Nicolas de Cues, Aubier, Paris
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e un problema che indubbiamente non puo aver senso per Levinas, il quale pensa il viso nella «somiglianza» tra I'uomo e Dio. L'altezza e la magistralita dell'insegnamento non stanno dalla parte della scrittura? Tutte Ie proposizioni di Levinas su questa argomento, non possono essere rovesciate? Per esempio, col dimostrare che la scrittura puo essere d'aiuto a se stessa, perche ha il tempo e la liberta, in quanta sfugge meglio della parola all'urgenza empirica? Che, in quanta neutralizza Ie sollecitazioni dell'«economia» empirica, e per essenza pili «metafisica» (nel senso di Levinas) di quanto non 10 sia la parola? Che 10 scrittore si allontana meglio, ciee si esprime meglio come altro, e si rivolge meglio all'altro di quanta non faccia l'uomo che parla? E che, in quanto si priva del godimento e degli effetti dei suoi segni, rinuncia meglio alIa violenza? E vero che ha forse solo l'intenzione di moltiplicarli all'infinito e dimentica in tal modo - almeno -l'altro, l'infinitamente altro come morte, praticando cOSI la scrittura come difJeranza ed economia della morte? Dunque il confine tra la violenza e la non-violenza forse non passa tra la parola e la scrittura, rna alI'interno di ognuna di esse. La tematica della traccia (diversa, per Levinas, dall'effetto, dalla pista 0 dal segno che non hanno relazione con l'altro come assoluto invisibile), dovrebbe condurre ad una certa riabilitazione della scrittura. L'« Egli» la cui trascendenza e la cui assenza generosa si annuncia irrevocabilmente nella traccia non e pili agevolmente l'autore della scrittura che quello della parola? L'opera, la trans-economia, il dI~_~l1diQ puro quale Levinas 10 determina non e ne il gioco, ne la morte. Non si confonde semplicemente ne con la lettera ne con la parola. Non e un segno e il suo concetto non si puo fare corrispondere con esattezza al concetto di opera che si trova in T otalite et I nfini. Levinas e quindi, ad un tempo, molto vicino e molto lontano da Nietzsche e da Bataille. Blanchot esprime il suo disaccordo a proposito di questa priorita del discorso orale che assomiglia alla «tranquilla parola umanistica e socratica che ci avvicina colui che parla» 1. Come puo, d'altra parte, l'ebraismo svalutare la lettera, di cui Levinas scrive con tanta efficacia l'elogio? Per esempio: «Ammettere l'azione della letteratura sugli uomini - forse in questa e l'estrema saggezza dell'Occid€nte, in cui il popolo della Bibbia potra riconoscersi» (DL), e «Lo spirito e libero nella lettera e incatenato nella radice»; e ancora: «Amare la Tora pili di Dim) e «un modo di proteggersi contro la follia di un contatto diretto con il Sacro ... » (DL). Si vede bene quello che Levinas intende salvare
1942,
bre
1 M. BLANCHOT, Connaissance 1961, pp. ro8I-95.
de l'inconnu, in «Nouvelle Revue Fran,aise», n.
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dicem-
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della parol a viva e originale in se stessa. Senza questa possibilita, fuori dal suo orizzonte, la scrittura non e nulla. In questa senso, sara sempre seconda. Liberarla da questa possibilita e da questo orizzonte, da questa secondarieta essenziale, significa negarla come scrittura e Iasciare campo libero alIa grammatica 0 allessico senza linguaggio, alIa cibernetica 0 all'elettronica. Ma e solo in Dio che la parola, come presenza, come origine e orizzonte della scrittura, si adempie senza scadimenti. Bisognerebbe poter dimostrare che soltanto questa riferimento alIa parola di Dio distingue l'intenzione di Levinas dall'intenzione di Socrate nel Pedro; che per un pensiero della finitezza originaria, questa dis tinzione non e pili possibile. E che allora se la scrittura e seconda, non c'e nulla tuttavia che venga prima di essa. Per quel che concerne i suoi rapporti con Blanchot, ci sembra che malgrado i frequenti raffronti che propone Levinas, Ie affinita, profonde e incontestabili, si trovino tutte nel momenta della critica e della negativita, in quel vuoto della finitezza in cui viene a risuonare l'escatologia messianica, in quell'attesa dell'attesa in cui Levinas ha cominciato a sen tire una risposta. Questa risposta si chiama ancora attesa, certo, ma attesa che non si fa pili attendere per Levinas. L'affinita ha termine, ci sembra, nel momento in cui la positivita escatologica viene a chiarire retrospettivamente il cammino comune, a togliere la finitezza e la negativita pura dell'interrogazione, quando il neutro si determina. Blanchot potrebbe certamente estendere a tutte Ie proposizioni di Levinas quello che afferma sulla disimmetria nello spazio della comunicazione: «Ecco, credo, quel che e decisivo nell'affermazione che dobbiamo intendere e che sara necessario conservare indipendentemente dal contesto teologico in cui tale affermazione si presenta». Ma e possibile cio? Reso indipendente dal suo «contesto teologico» (espressione che Levinas certamente rifiuterebbe), tutto questa discorso non crollerebbe? Essere dietro il segno che e nel mondo, vuol dire poi rimanere invisibile al mondo nell'epifania. Nel viso, l'altro si da in persona come altro, cioe come cio che non si rivela, come cio che non si lascia tematizzare. 10 non sono in grado di parlare d'altri, di farne un tema, di dirlo come oggetto, all'accusativo. 10 posso solamente, devo solamente parlare ad altri, chiamare altri al vocativo che non e una categoria, un caso della parola, ma il sorgere, illevarsi stesso della parola. Bisogna che Ie categorie manchino, perche altri non sia mancato; ma perche altri non sia mancato bisogna che si presenti come assenza ed appaia come nonfenomenicita. Sempre dietro ai suoi segni e aIle sue opere, nella sua interiorita segreta e discreta per sempre, il viso, che interrompe con la
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sua liberta di parola tutte Ie totalita della storia, il viso non e «del mondo». Ne e l'origine. 10 non posso parlare di lui se non parlando a lui; io non posso raggiungerlo se non nel modo in cui devo raggiunger10. Ma io devo avvicinarmi ad esso solo come all'inaccessibile, all'invisibile, all'intangibile. II segreto, la separazione, l'invisibilita di Gige (<
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10 se la sua alterita e assolutamente irriducibile, vale a dire, infinitamente irriducibile; e l'infinitamente-Altro non puo essere che 1'Infinito. In quanta parola e sguardo, il viso non e quindi nel mondo, poiche apre ed eccede la totalita. Per questo, segna illimite di ogni potere, di ogni violenza e l'origine dell'etica. In un certo senso, 1'uccisione mira sempre al viso, rna finisce sempre per mancarlo. «L'uccisione esercita un potere su quello che sfugge al potere. Ancora potere, perche il viso si esprime nel sensibile; rna gia impotenza, perche il viso rompe il sensibile». «L'altro e il solo essere che io posso voler uccidere», rna anche il solo che mi impone il «tu non eommetterai omicidio» e che limita in assoluto il mio potere. Non opponendomi un'altra forza nel mondo, rna parlandomi e guardandomi da un'altra origine del mondo, a partire da qualche cosa alIa quale nessun potere finito riuscirebbe a costringersi. Strana, impensabile nozione di resistenza non reale. Dopo il suo articolo (che abbiamo citato) del 1953, Levinas non dice piu, per quel che sappiamo, «resistenza intelligibile» - espressione il cui senso appartiene ancora, almeno nella lettera, alIa sfera dello Stesso e che era stata utilizzata, si direbbe, solo per significare una resistenza non-reale. In Totalite et Infini, Levinas parla di «resistenza etica». Quello che sfugge al eoncetto come potere, non e dunque l'esistenza in generale, rna 1'esistenza d'altri. E, innanzi tutto, perche' non e'e, malgrado Ie apparenze, un concetto di altri. Bisognerebbe riflettere, in modo artigianale, nella direzione in cui filosofia e filologia si controllano, congiungono illoro studio e illoro rigore, intorno a questa espressione Autrui (<
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lingua l'accidente del pensiero, rendere conto di questa fatto: che cio che si trova, nella lingua, sempre au cas regime (come complemento) e con minore genericita, sia, nel suo senso, indeclinabile e trans-genere. Qual e l'origine di questa caso del senso nella lingua, di questo regime in cui la lingua mette il senso? Altrui non e neppure un nome proprio, benche il suo anonimato non significhi che la prerogativa innominabile di ogni nome proprio. Bisognerebbe riflettere con pazienza a quel ehe accade nella lingua allorche il pensiero greco dell'lhEpov sembra spegnersi di fronte all' alter-huic, sembra farsi impotente a dominare quello che tuttavia esso solo permette di pre-comprendere, dissimulando come alterita (altro in generale), cia che in compenso gli riveled il centro irriducibile del suo senso (l'altro come altrui). Bisognerebbe riflettere sulla complicita di questa dissimulazione e di questa pre-comprensione che non si produce all'interno di un movimento concettuale, perche la parola francese autrui (e la parola italiana altrui) non indica una specie del genere altro. Bisognerebbe riflettere questa pensiero dell'altro in generale (che non e un genere), pensiero greco, all'interno del quale questa difJerenza non specifica (si) produce (nel) la nostra storia. E ancora prima: che cosa significa altro prima della determinazione greca dell'E"t'Epov e della determinazione ebraico-cristiana altrui? E questa il genere di interrogazioni che Levinas sembra totalmente rifiutare: secondo lui, solo l'irruzione altrui permette di accedere all'alterita assoluta e irriducibile dell'altro. Bisognerebbe dunque riflettere su quel Huic di altrui la cui trascendenza non e ancora quella di un tu. E a questo punto che assume un senso l'opposizione di Levinas a Buber 0 a Marcel. Dopo aver contrapposto l'altezza magistrale del Voi alIa intima reciprocita dell'Io-Tu (Tl), e verso una filosofia deIl'Ille, dell'Egli (del prossimo come estraneo lontano, secondo l'ambiguita originale dell'espressione che vien tradotta come «prossimo» da amare) che sembra orientarsi Levinas nella sua meditazione sulla Traccia. Di un Egli che non sarebbe l'oggetto impersonale contrapposto al tu, rna trascendenza invisibile di altri '. Se nel volto, l'espressione non e rivelazione, il complemento: eeco perch€ autmi e sempre complemento, e perche autrui ha un senso meno generale che les autres, gli altri). , Pur respingendo la «pretesa ridicola di "correggere" Bube!» (TI), Levinas rimprovera, sostanzialmente, alia relazione Io-Tu: I) di essere reciproca e simmetrica, e di fare in tal modo violenza all'altezza e soprattutto alia separaziane e al segreto; 2) di essere formale, in quanto pub «unire I'uomo con Ie cose, come I'Vomo con l'uomo» (TI); 3) di preferire la preferenza, la «relaziane privata», la «clandestinita» della coppia «che basta a se stessa e dimentica I'universo» (TI). Perche nel pensiero di Levinas, malgrado la protesta contro la neutralita, c'e anche una esigenza del terzo, del testimonio universale, della faccia del mondo che ci protegge dallo «spiritua· lismo altezzoso >, dell'io-tu. Lasciamo ad altri il problema se Buber si sarebbe riconosciuto in questa interpretazione. Possiamo notare intanto, che Buber sembra aver prevenuto queste reti-
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non-rivelabile si esprime al di la di ogni tematizzazione, di ogni analisi costitutiva, di ogni fenomenologia. Lungo Ie sue diverse tappe, la costituzione trascendentale dell' alter ego, nella descrizione che Husserl tenta di organizzare nella quinta delle Meditazioni cartesiane, presupporrebbe proprio cio di cui (secondo Levinas) pretende seguire la genesi. Altri non sarebbe costituito come un alter ego, fenomeno dell'ego, da e per un soggetto monadico che proceda per analogia appresentatrice. Tutte Ie diflicolta che Husserl incontra, sarebbero «superate» se la relazione etica fosse stata riconosciuta come faccia a faccia originario, come l'insorgenza dell'alterita assoluta, di una esteriorita che non si lascia derivare, generare 0 costituire a partire da una istanza diversa da se. Fuori assoluto, esteriorita che oltrepassa infinitamente la monade dell'ego cogito. Qui di nuovo Descartes contro Husserl, il Descartes della terza Meditazione che Husserl avrebbe misconosciuto. Mentre nella riflessione suI cegito, Descartes prende coscienza che l'infinito non solo non puo essere costituito in oggetto (sottoposto al dubbio), ma 10 ha gia reso possibile come cogito oltrepassandolo (scavalcamento non spaziale suI quale si spezza la metafora), Husserl, da parte sua, «vede nel cogito una soggettivita senza alcun sostegno fuori di se, costituisce l'idea stessa d'infinito, e se la da come oggetto» (TI). Ora l'infinita (mente) (altro) non puo essere oggetto poiche e parola, origine del senso e del mondo. Nessuna fenomenologia, quindi puo render conto dell'etica, della parola e della giustizia. Ma se anche ogni giustizia incomincia con la parola, non ogni parola e giusta. La retorica puo torn are alIa violenza della teoria che riduce l'altro quando 10 conduce, nella psicagogia, nella demagogia, nella stessa pedagogia che non e l'insegnamento. Quest'ultimo deriva dall'altezza del maestro la cui esteriorita assoluta non ferisce la liberta del discepo10. Al di la della retorica la parola scopre la nudita del viso, senza la quale nessuna nudita avrebbe senso. Tutte Ie nudita «anche la nudita del corpo che si manifesta ne! pudore», so no «figure» della nudita senza metafora del viso. II tema e gia esplicito in L' ontologie est-elle fondamentale? «La nudita del vi so non e una figura nello stile». E semcenze. Non aveva forse precisato che il rapporto io-tu non era una prefetenza c neppure un'esdusiva, poiche era precedente a tutte queste modificazioni empiriche ed eventuali? Pondato nell'IoTu assoluto che ci fa volgere verso Dio, apre al contrario la possibilita di ogni rapporto ad altri. Compreso nella sua autenticita originaria, non ci svia ne ci distrae. Questa, come molte altre contraddizioni nelle quali si voluto irretire Buber, non puo resistere come si legge in Post-scriptum all' «l 0 e T u», «a un livello superiore del giudizio» e alia «designazione paradossale di Dio persona assoluta »... «Dio ... fa compartecipe del suo carattere d'assoluto la relazione in cui entra con I'uomo. Rivolgendosi a lui l'uomo non ha dunque affatto bisogno di deviare da una relazione Io· Tu. Egli Ii conduce verso se, legittimamente, ed offre loro la possibilita di trasfigurarsi "di fronte a Dio"».
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pre nella forma della teologia negativa, si dimostra che questa nudita non e neppure apertura, perche l'apertura e relativa ad «una pienezza circ~stante». L'espressi?~e ~
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simile sistema. La guerra - poiche fa guerra c'e- e dunque Ia differenza tra il volto e il mondo finito senza volto. Ma questa differenza non e quello che e sempre stato chiamato il Mondo, nel quale gioca l'assenzapresenza di Dio? Solo il gioco del ~ondo permette di pens~re I' e~senza di Dio. In un senso che Ia nostra Imgua tollererebbe con dtfncolta - ed anche Levinas - il gioco del mondo precede D i o . . . II facda a facda non e dun que originalmente determmato per Lev~ nas come un fronteggiarsi di due uomini eguali ed eretti. Questa POSlzione presuppone il faccia a facda de,u'uomo. c~n Ia nuc~ ~~e~zata e c~n gli occhi Ievati in alto, verso Dio. II Imguaggl? e Ia po~s~btl,lta ~eI, faccta a facda e dello stare-eretto, ma non esclude 1 mfenonta, 1 um~lta deIl~ sguardo rivolto al padre, come 10 sguardo del fanduIlo c~e ncorda dl esser state espuIso, prima ancora di saper camminare, d~ es~er stat~ consegnato, rimesso, ancora coricato ed infante, neIle mam del mae~tr: adulti. Si potrebbe dire che I'uomo e un Dio venuto troppo prest?, Cl?e un Dio che si sa per sempre in ritardo suI gEt-qui dell'E~s~re. ~~ e chIaro che queste ultime osservazioni non appartengono, e. tl rrllmm~ ch.e si possa dire, al gener~ del c~mmento: E ?oi n~n. inten~lamo ~ar n~en mento qui ai temi not! sotto 11 nome dl pSlcanahsl 0 aIle lpotesl dell embriologia 0 dell'antropologia, attorno alIa nasdta sttutturalme?te prematura del piccolo delI'uomo. Ci basti sapere che I'uomo nasce . Benche il nome di Dio venga spes so pronundato, questa ritorno aII'esperienza e «aIle cose stesse» come rapporto al1'in~l:ita~mente) aItro non e teologico, anche se e il solo a poter fondare pOI il. d~scorso t~o: Iogico che, finora, ha «trattato imprudentemente in ter~ml ontologlcl I'idea del rapporto tra Dio e Ia sua creatura» (TI). N:I ntorno aIle cos~ stesse si rintraccerebbe il fondamento della metafislca - ?el senso ~l Levinas - radice comune dell'umanesimo e della teologla: Ia soml: glianza tr; I'uomo e Dio, il viso dell'~om? e Ia Faccia. d~ Dio. « ... Altn assomiglia a Dio» (ibid.). Per il. tramlte d~ quest~ .soml~hanza\I~ paroI.a dell'uomo puo ri-salire verso DlO, analogza quaSI maudlta.che e tl ~OVI mento stesso del discorso di Levinas suI discorso. Analogla come dlalogo con Dio: «II Discorso e~iscors? con Dio ... L~ metafisi~a e I:essenza di questo linguaggio con DlO». Dlscorso CO? DI~ e n?n l~ Dl? come partecipazione. Discorso con Dio e non su DlO ed I SUol attnbut!, come , SuI tema dell'altezza di Dio nei suoi rapporti con I~ posizione ~oricata ~e1 fanciull~ 0 dell'uomo (per esempio nel suo letto di malato 0 sulletto d! '!l0rte),. SUI rapport! tra la elmlca e la teologia, efr. per esempio, FEUERRACH, Manifestes phtlosophlques CIt., p. 233·
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teologia. E Ia disimmetria del mio rapporto all'altro, questa «curvatura dello spazio inter-soggettivo esprime l'intenzione divina di ogni verira». Essa «e forse Ia presenza stessa di Dio». Presenza come separazione, presenza-assenza, rottura, di nuovo, con Parmenide, Spinoza e Hegel, che sola puo portare a compimento «I'idea di creazione ex nihilo». Presenza come separazione, presenza-assenza come somiglianza, ma somiglianza che non e I'«impronta ontologica» dell'operaio segnata sulla sua opera (Descartes) 0 su «esseri cread a sua immagine e somiglianza» (Malebranche '), somiglianza che non si Iasda comprendere in termini di comunione 0 di conoscenza, ne in termini di partedpazione 0 di incarnazione. Somiglianza che non e il segno ne l'effetto di Dio. II segno e l'effetto non eccedono 10 Stesso. Noi siamo «nella Tracda di Dio». Proposizione che rischia di apparire incompatibile con ogni aUusione alIa «presenza stessa di Dio». Proposizione gia pronta per convertirsi in ateismo: e se Dio fosse un efJetto di traccia? Se I'idea della presenza divina (vita, esistenza, parusia, ecc.), se il nome di Dio non fosse che ilmodo di cancellarsi della tracda nella presenza? Si tratta di sapere se Ia tracda consente di pens are la presenza nel suo sistema, oppure se e vero I'ordine inverso. Esso e certamente l'ordine vero. Ma e l'ordine della verita che qui e in discussione. II pensiero di Levinas si situa tra queste due postulazioni. La Facda di Dio si sottrae continuamente nel momento in cui appareo COS1 si trovano raccolte nell'unira della Ioro significazione metafisica al centro dell'esperienza svelata da Levinas, Ie differenti evocazioni d;lla Facda di Yeova, che naturalmente, non viene mai nominato in Totalite et I nfini. La facda di Yeova e Ia persona totale e Ia presenza totale dell'«Eterno che parla facda a facda con Mosb, ma che gli dice anche: «Tu non potrai vedere Ia mia facda, perche I'uomo non puo vedermi e sopravvivere ... Ti sdraierai sulla rocda. Quando passera Ia mia gloria, io ti mettero in una cavita della rocda, e ti copriro con Ia mano, finche non sara passato. E quando io ritirera la mana, tu mi vedrai da dietro, ma la mia facda non potra essere vista» (Esodo). La faccia di Dio che ordina nascondendosi, e un volto pili e meno dei voId nello stesso tempo. Da qui, forse, malgrado Ie precauzioni, quell a complicira equivoca tra teologia e metafisica in T otalite et I nfini_ Levinas sottoscriverebbe questa frase infinitamente ambigua del Livre des questions di E. Jabes: , Sarebbe necessaria interrogare qui Malebranche che pu~e ~i misura con il problema della luce e della faccia di Dio (efr. soprattutto MALEBRANCHE, Eclalrcmements sur la recherche de la verite, X, in (Euvres completes, a cura di G. Rodis-Lewis, Vrin, Paris '964, t. III, pp. '27-6,). 6
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«Tutti i volti sono i1 Suo; equesta la ragione per cui EGLI non ha volto»? II volto non e la faccia di Dio ne il viso dell'uomo: ne e la somiglianza. Una somiglianza che noi dovremmo tuttavia pens are prima e senza l'aiuto dello Stesso '.
III.
DIFFERENZA ED ESCATOLOGIA.
I problemi di cui ora tenteremo di chiarire i1 principio, sono tutti, in sensi diversi, problemi di linguaggio: problemi di linguaggio e il problema dellinguaggio. Ma se il nostro commento non estato troppo infedele, dovrebbe essere riuscito a persuadere che non vi e nulla, nel pensiero di Levinas, che non sia di per se impegnato in tali problemi.
Sulla palemica ariginaria. Diciamolo per rassicurarci fin dal principio: 10 sviluppo del pensieto di Levinas e tale che tutte Ie nostre interrogazioni fanno gia parte del suo dialogo interiore, si muovono nel suo discorso e non fanno che ascoltarlo, a diverse distanze e in una molteplicita di sensi. A. Cosl, per esempio, De ['existence a l'existant e Le Temps et l'Autre sembrava che proscrivessero la «logica del genere» e Ie categorie dello Stesso edell' Altro. Queste ultime non prendevano in considerazione I'originalita dell'esperienza alla quale Levinas voleva ricondurci: «AI cosmo che eil mondo di Platone si contrappone il mondo dello spirito in cui Ie implicazioni dell' eros non si riducono alla logic a del genere, in cui I'io si sostituisce allo stessa e altri all'altra». Ora, in Tatalite et I nfini dove Ie categorie dello Stesso edell' Altro tornano in forza, , Non andremo al di 13 di questa schema. Sarebbe inutile pretendere di entrare qui nelle deserizioni dedicate all'interiorita, all'eeonomia, al godimento, all'abitazione, ana femminilita, all'Eros e a tutto do ehe ci viene proposto sotto il titolo Au·dela du visage e la cui eolloeazione meriterebbe eerto di essere sottoposta a molti interrogativi. Quelle analisi non sono soltanto una instaneabile ed interminabile distruzione della <dogiea formale »; sono tanto sottili, tanto libere riguardo alla concettualita tradizionale, che un commento di poche pagine fi':lirebbe col tradirl.e completamente. Basti saperc che esse derivano, senza esserne dedotte, rna remventandola contlnuamente, dalla matrice concettuale che abbiamo qui delineata.
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la vis demanstrandi e la forza di rottura con la tradizione, eprecisamente l'adeguazione dell'Io allo Stesso, e d'Aitri all'Altro. Anche senza usare questi termini, Levinas ci aveva gia pili di una volta messo in guardia contro Ia confusione tra identita ed ipseita, tra 10 Stesso e l'Io: Idem e ipse. Questa confusione che in qualche modo egia immediatamente praticata nel concetto greco di wh6~ e in quello tedesco di selbst, non puC> prodursi aItrettanto spontaneamente in francese e tuttavia ridiventa, malgrado gli avvertimenti precedenti, una specie di assioma sottaciuto in Tatalite et lnfini'. L'abbiamo gia visto: per Levinas non ci sarebbe differenza interiore, alterita fondamentale e autoctona nell'io. Se I'interiorita, il segreto, la separazione originaria avevano permesso gia di rompere con I'uso classico delle categorie greche dello Stesso e dell'Altro, l'amalgama dello Stesso e dell'Io (diventato omogeneo, ed omogeneo al concetto come alla totalita finita) permette ora di includere nella medesima condanna Ie filosofie greche e Ie filosofie pili moderne della soggettivita, quelle che pili si preoccupano di distinguere, come Levinas in passato, 1'10 dallo stesso e Altri dall' altro. Se non si facesse attenzione a questa doppio movimento, a questa progresso che sembra contestare la propria condizione e Ia sua prima tappa, non si afferrerebbe I'originalita di questa protesta contro il concetto, 10 state e Ia totalita: protesta che non viene elevata, come accade di soli to, in nome dell'esistenza soggettiva, ma contro di essa. Contemporaneamente contro Hegel e contro Kierkegaard. Levinas ci mette spesso in guardia contro Ia confusione - cOSl allettante - del suo anti-hegelismo con un soggettivismo 0 un esistenzialismo di stile kierkegaardiano che rimarrebbero, secondo lui, egoismi violenti e pre-metafisici: «Non sono io che mi rifiuto al sistema, come pensava Kierkegaard, e I'Altro» (TI). Non si potrebbe scommettere che Kierkegaard sarebbe rimasto sordo a questa distinzione? E che a sua volta, avrebbe protestato contro questa concettualita? Ma, avrebbe forse obiettato, l'Altro si rifiuta al sistema in quanta esistenza soggettiva. L'altro, certo, non eio - e chi 10 ha mai sostenuto? - rna eun 10, e questo anche Levinas ecostretto a presupporlo per sostenere la sua tesi. Questo passaggio da 10 all 'Altro , come a un la, eil passaggio alI'egaita essenziale, non empirica, dell'esistenza soggettiva in generale. Non esaltanta per Soren Kierkegaard che pat'la il filosofo Kierkegaard , Su questi temi decisivi dell'identita, dell'ipseita, e dell'eguaglianza, per un paragone tra Hegel e Levinas, efr. soprattutto J. HYPPOLITE, Genese et structure de la pbenomenologie de l' e· sprit, Aubier, Paris I>46, t. I, pp. I47 sgg.; M. HElDEGGER, [dentitat und Di/Jerenz. Neske. Pfullingen I957.
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morali, non vuole determinare una morale, rna l'essenza del rapporto etico in generale. Ma poiche questa determinazione non si da come teoria dell'Etica, si tratta di un'Etica dell'Etica. Forse e grave, che in questo caso essa non possa dar luogo ad una etica determinata, a leggi determinate, senza negarsi e sacrificare se stessa. D'altra parte, questa Etica dell'Etica e al di la di ogni legge? Non e una Legge delle leggi? Coerenza che spezza la coerenza della risoluzione contro la coerenza. Concetto infinito, nascosto nella protesta contro il concetto. Se, malgrado gli avvertimenti dell'autore, ci si e spes so imposto l'accostamento a Kierkegaard, ci rendiamo conto chiaramente che, in essenza e nella sua ispirazione iniziaIe, la protesta di Levinas contro l'hegelismo e estranea a quell a di Kierkegaard. In com pen so un confronto del pensiero di Levinas con I'anti-hegelismo di Feuerbach, e soprattutto di Jaspers, con l'anti-husserlismo di quest'ultimo, ci sembra dover mostrare convergenze e affinita pili profonde, che anche la meditazione sulla Traccia confermerebbe. Parliamo di convergenze e non di influenze; innanzitutto perche quest'ultima e una nozione il cui senso filosofico non ci sembra chiaro; e poi perche Levinas, a quel che ci risulta, non fa allusioni in nessun passo, a Feuerbach e a Jaspers. Ma perche, tentando questa passaggio COS1 difficile aI di Ia della controversia - che e anche una complicita - tra l'hegelismo e I'anti-hegelismo classico, Levinas fa ricorso a categorie (he sembrava aver in precedenza rifiutato? Non intendiamo denunciare qui una incoerenza di linguaggio 0 una contraddizione di sistema. Vogliamo interrogarci suI senso di una necessita: quella di collocarsi nella concettualita tradizionaIe, per distruggerIa. Perche questa necessita si ealla fine imposta a Levinas? E estrinseca? Riguarda solo uno strumento, una «espressione» che si potrebbe mettere tra virgoIette? Oppure nasconde qualche risorsa indistruttibile ed imprevedibile del logos greco? Qualche potenzialita illimitata .di coprimento, nella quale chi voIesse respingerIa sarebbe gia sempre sorpreso? B. AlIa stessa epoca, Levinas aveva abbandonato il concetto di esteriorita. Questo faceva all'unita illuminata dello spazio un riferimento che neutralizzava l'alterita radicale: relazione all'aItro, relazione degli Istanti gli uni agli aItri, relazione alIa Morte, ecc., che non so no rela-
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zioni di un Dentro con un Fuori: «La relazione con I'altro e una relazione con un Mistero. E Ia sua esteriorita, 0 meglio Ia sua alterita, perche l'esteriorita e una proprieta dello spazio e riconduce il soggetto a se stesso per mezzo della luce, che costituisc~ tutto il s~o ess,ere» ~T1-). Ora Totalite et I nfini, che porta per sottotttolo Saggzo sull estertortta, non'soltanto fa uso abbondantemente della nozione di esteriorita. Levinas intende anche mostrare che Ia vera esteriorita non e spaziale, che c'e una esteriorita assoluta, infinita - quella dell'Altro - che non e spaziale perche 10 spazio e illuogo dello Stesso. E questo significa che il Luo~o e sempre Iuogo dello Stesso. Perche si deve fare ~so ancora de~ l'espressione «esteriorith (che, se ha un senso, se no~ e ~na x aIgebnca allude con ostinazione allo spazio e alla Iuce), per slgmficare un rapp~rto non spaziale? Ese ogni «rapporto» e spaziale, perche si deve definire ancora «rapporto» (non spaziale) il rispetto che assolve l' Altro? Perche si deve obliterare questa nozione di esteriorita senza cancellarIa, senza renderla illeggibile, dicendo che Ia sua verita e Ia sua ~on:~e rita che Ia vera esteriorita non e spaziale, cioe che non e estenonta? Ch~ si debba dire nellinguaggio della totalita l' eccesso dell'infinito suI: Ia totalita che si debba dire I' Altro nellinguaggio dello Stesso, che SI debba pe~sare la vera esteriorita come non-esteriorit~, cioe an<;ora attraver so Ia struttura Dentro-Fuori e la metafora spazlale, che SI debba ancora abitare Ia metafora in rovina, vestirsi con i brandelli della tradizione e con gli stracci del diavolo, questo sig~ifi~a forse.che non c'e logos filosofico che non debba innanzitu~to IasClarsl esp~tnare nella stru~ tura Dentro-Fuori. Questa deportazlOne dal propno Iuogo verso 11 Luogo, verso Ia localita spaziale, questa met~fora gli. sarebb~ congenita. Prima ancora di essere procedimento retorlCO nel hnguagglO, la,metafora sarebbe I'insorgenza dellinguaggio stesso. E Ia filosofia non e altro che questo linguaggio; nel migliore dei casi e in un se~so str~no. del termine, non puo che parlarIo, dire la metafora stessa, 11 che slgmfi<;a pensaria nell'orizzonte silenz~oso della nor:-metafora; l'Essere. S~azlO come ferita e finitezza di nasclta (della nasctta) senza 11 quale non SI potrebbe neppure aprire illinguaggio, non si potrebbe neppure parlare di esteriorita, vera 0 falsa. Dunque e possibile, facendone u.so, consumare Ie parole della tradizione, logorarle come u?a. v,e~chla moneta frusta e svalutata, e possibile dire che la vera estenonta e la non-esteriorita senza essere l'interiorita, e possibile scrivere per cancellature e cancellature di cancellature: la cancellatura scrive, disegna anco~a nello spazio. Non si cancella la sintassi dal Luogo la cui iscrizione arcalca non e leggibile suI metallo dellinguaggio: essa e quel metallo stesso, la sua
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trorpo oscura durezza e il suo splendore troppo lucente. Linguaggio, figho della terra e del sole: scrittura. Ci si sforzerebbe invano, per svezzarlo dall'esteriorita e dall'interiorita, per svezzarlo dallo svezzamento d~ dimenticare Ie parole «dentro», «fuori», «esterno», «interno», ecc.: dl metterle fuo.ri gi~o ~'autori~a; non si ritroverebbe un linguaggio senza rottura dl spazlO, hnguagglO aereo 0 acquatico nel quale, d'altra parte, I'alterita sarebbe ancora pili sicuramente perduta. Perche Ie significazioni non si irradiano a partire dal Dentro-Fuori, dalla Luce-Notte, ecc., non abitano soltanto Ie parole proscritte; sono insediate, di persona 0 per procura, nel cuore della concettualita stessa. Questo dipende dal fatto che esse non significano una immersione nella spazio. La struttura Dentro-Fuori 0 Giorno-Notte non ha senso in uno spazio puro abbandonato a se stesso e dis-orienta to. Sorge a partire da una origine compresa, da un oriente inscritto che non sono ne dentro ne fuori dello spazio. Questo testo dello sguardo e anche quello della parola. Si puo quindi chiamarlo Viso. Ma non e piu possibile allora, sperare di s<:parare illinguaggio e 10 spazio, fare il vuoto dello spazio nellinguagglO 0 sottrarre la parola alIa Iuce, parlare mentre una Mano nasccnde la Gloria. Per quanta si faccia per esiliare una parola 0 I'altra (<<dentro», «fuori», «esterno», «interno», ecc.), per bruciare 0 imprigionare Ie lettere di luce, illinguaggio intero si e gia destato come caduta nella luce. Vale a dire, se si preferisce, che sorge insieme con il sole. Anche se «il sole non viene nominato ... la sua potenza e in mezzo a noi» (SaintJohn Perse). Dire che l'esteriorita infinita dell'Altro non e spaziale, e non-esteriorita e non-interiorita, non poterla descrivere in altro modo che per via negativa, non significa riconoscere che I'infinito (indicato anch'esso nella sua positivita attuale per via negativa: in-£1nito) non si dice? Non signi£1ca riconoscere che la struttura «dentro-fuori» che e illinguaggio stesso, denota la £1nitezza originaria della parola ; di cio che accade alla parola? Nessuna lingua £1loso£1ca potra mai ridurre ques~a naturalezza della prassi spaziale nellinguaggio; e sarebbe necessano meditare I'unita di cio che Leibniz distingueva con i nomi di «linguaggio civile» e di «linguaggio colto» 0 £1loso£1co. Sarebbe necessario, qui, meditate piu pazientemente quell a complicita irriducibile, malg.ra.do tut~i g~i sforzi .retorici del £1losofo, tra illinguaggio della vita quotldlana e IllmguagglO £1loso£1co; 0 meglio tra certe lingue storiche e il linguaggio £1loso£1co. Una certa naturalezza non sradicabile, una certa ingenuita origin aria dellinguaggio £1loso£1co potrebbe essere verificata a proposito di ogni concetto speculativo (escludendo naturalmente quei non-concetti che sono il nome di Dio e il verbo Essere). Illinguaggio
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filosofico appartiene ad un sistema di lingua/e. Quello che viene COS1 importato dentro la speculazion~ at~r~vers? q~ell'ascende?za ?~~-Sp~ culativa, e sempre una certa eqUlvoC1~a. POlche questa eqUlvoclta e Otlginaria e irriducibile, forse e necessatlo :~e ,la filos~fia la assuma, la pensi e si pensi in essa, che accolga la duphclta e la ddlerenza ne~la specuIazione, nella purezza stessa del sen so filosofico. ~essuno, sembra, ha tentato questa operazione pill profondan;ente dl Hegel. Blsognerebbe rifare per ogni concetto, senza fare uso mgenuamente della cate.goria della sorte, della fortunata predestinazione 0 dell'incon~ro ~or.tUl~o, quel che Hegel fa per la nozione tedesca del~'Aufhebung dl cUl glUdlca rallegrante l'equivocita e la presenza nella lm¥ua ted~sca: «La parol~ togliere [Aufheben] ha nella lingua [tedesca] 11 dOPPlO senso; per CUl val quanta conservare ritenere e nello stesso tempo quanta far cess are metter fine. II con;ervare stesso racchiude gia in se il negativo ... Le ac~ennate due determinazioni del togliere [Au/heben] possono essere date lessicalmente come due significati della parola. Ma dovrebb~ ~ questa proposito cagionare sorpresa che una li~gu~ si~ venuta a servltSl di una sola e medesima parola per due determmazlom op~oste. II. pensiero speculativo si l'allegra [il corsivo e mio] quando. trova m.una lmgua parole che hanno in se stesse un signi?cato spec~lat~vo. La lingua tedesca possiede molte di cot~ste parole» . Nelle ~ezzont s~lla. filoso~a dell~ storia, Hegel osserva COSI che «nella nostra lmgua», 1umone dl d~e Slgnificati (historia rerum gestarum e res gestae) neUa parol a Geschzchte non e una «semplice continge~za este~na» ': ," .. . . Allora se io non posso deslgnare 1 alterlta lrt1duClbde (mfimt~) dell'altro se ~on attraverso la negazione dell'esteriorita spaziale (fin~ta), .e forse perche il suo senso e finito, non e positivamente ~nfin~t? L'l?~m tamente altro, l'infinita dell' Altro non l' Altro come mfimta pOSltlva, Dio 0 somiglianza con Dio. L'infinitamente altro non sare?be ,queUo che e, altro, se fosse infinita positiva e se non conservasse m se l~ n~ gativita dell'in-definito, dell'&1tELpOV. «Infin.itamente altro» non slgmfica innanzitutto cio di cui non nesco a vemre a capo, malgrado un lavoro ed una esperienza interminabili? Si puo ~ispettare l' Altro come Altro ed espellere la negativita, illavoro, fuon della trascendenza come vorrebbe Levinas? L'infinito positivo (Dio), se queste parole hanno un senso, non puo essere infinitamente Altro. Se si pensa, come Le-
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1 G. W. F. HEGEL, Scienza della logica, trad. di A. Moni, riveduta da C. Cesa, Laterza, Bari 68 19 ; 'Cf/~~:Ii.ezioni sulla {iloso{ia della storia, trad. di G. Calogero e C. Fatta, La Nuova ltalia, Firenze 1966.
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vinas, che l'Infinito positivo tollera 0 perfino esige l'alterita infinita, allora enecessario rinunciare ad ogni linguaggio e in primo luogo alla paroia infinito e alIa parola altro. L'infinito non si puo intendere come Altro se non sotto la forma dell'in-finito. Dal momento che si vuol pensare l'Infinito come pienezza positiva (polo della trascendenza non-negativa di Levinas), l'Altro diventa impensabile, impossibile, indicibile. Forse eproprio verso questa impensabile-impossibile-indicibile ('he ci invi ta Levinas al di la dell 'Essere e del Logos (della tradizione). Ma questo invito non deve potersi pensare ne dire. In ogni caso, che la pienezza positiva dell'infinito classico non possa tradursi nellinguaggio se non tradendosi con una parola negativa (in-finito), proprio questa forse ecio che situa il punto in cui pill profondamente it pensiero rompe col linguaggio. Rottura che continued poi a risuonare attraverso tutto illinguaggio. E senza dubbio per questa che i pensieri moderni che non vogliono pill distinguere ne gerarchizzare it pensiero e illinguaggio sono essenzialmente pensieri della finitezza originaria. Ma essi aHora dovrebbero abbandonare it termine «finitezza», per sempre prigioniero dello schema classico. E mai possibite? E che cosa significa abbandonare una nozione classica? L'altro non puo essere quello che e, infinitamente altro, se non nella finitezza e nella mortalita (la mia e la sua). Dal momento, certo, che viene allinguaggio, e soltanto allora, e soltanto se la parola altro ha un senso, ma Levinas non ci ha forse insegnato che non si pensa prima del linguaggio? Per questa ragione Ie nostre interrogazioni metterebbero menD in imbarazzo un infinitismo classico, di tipo cartesiano per esempio, il quale dissociava il pensiero e illinguaggio, dato che quest'ultimo non procede mai tanto velocemente e tanto lontano quanto il primo. Non soltanto queste interrogazioni 10 metterebbero in un minore imbarazzo, ma potrebbero essere Ie sue. In altro modo: voler neutralizzare 10 spazio nella descrizione dell' Altro, per liberare COS1 l'infinira posi!iva, non eforse neutralizzare la finitezza essenziale di un vi so (sguardo-parola) che ecorpo e non, Levinas insiste su questo, metafora corporale di un pensiero etereo? Corpo, cioe anche esteriorita, localita in sensa pienamente spaziale, letteralmente spaziale dell'espressione; punta zero, origine dello spazio, certo, ma origine che non ha nessun sensa prima del di, che non puo essere separata dalla genitivita e dallo spazio che essa genera e dirige: origine inscritta. L'inscrizione el'origine scritta: tracciata e da quel momenta inscritta in un sistema, in una figura che essa non domina pill. Senza di che non si avrebbe pill corpo proprio. Se il volta dell' Altro non fosse anche, irriducibilmente, esteriorita
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spaziale, bisognerebbe ancora distinguere tra l'anima e il cor~, il pensiero e la parola; 0, nella migliore delle ipotesi, tra un vero ~lS0, ~?n spaziale, e la sua maschera 0 la sua metafora, la sua figura spaz1a~e. L mtera Metafisica del Viso crollerebbe. Ancora una volta, questa mterrogazione puo parimenti procedere da un infinit~smo classico (dualismo del pensiero e dellinguaggio, ma anche del pens1ero e del corpo) quanta dal pensiero pili moderno della finitezza. Questa strana. alleanz~ nella interrogazione significa forse che, nella filosofia e nel hng~agglO, ~e: discorso filosofico (supponendo che ne esistano anche altn), non C1 e possibile salvare nello stesso tempo il tema dell'infinita positiva e il tema del viso (unita non metaforica del corpo, dello sguardo, della parola e del pensiero). Questa ultima unita non ci sembra poter esse.re pensata che nell'orizzonte dell'alterita infinita (indefinita) come onzzonte irriducibilmente comune della Morte e dell'Altro. Orizzonte delIa finitezza 0 finitezza dell'orizzonte. Ma tutto cio, ripetiamolo, nel discorso filosofico, ,dove,il pen~i~ro della Morte stessa (senza metafora) e il pensiero dell Infimto posit1VO non hanno mai potuto intendersi tra loro. Se il vi so ecorpo, e anche mortale. L'alterita infinita come morte non puo conciliarsi con I'alterita infinita come positivita e presenza (Dio). La trascendenza metafisica non puo essere nel medesimo punto trascendenz~ verso l' AI!ro ~ome Morte e verso l' Altro come Dio. A meno che DlO non vogha due Morte, cosa che dopo tutto non e mai stata esclusa. s~.non d~lla totalita della filosofia classica all'interno della quale n01 I mtendlamo come Vita e Verita dell'Infinito, della Presenza positiva. Ma che cosa significa questa esclusione se non 1'esclusione .di ogni det:rmina~ione par;i:f,l, colare? E che Dio non e nulla (di determmato) non e una v1ta perche e I tutto? e dunque nello stesso tempo il Tutto e il Nulla, la Vita e ~a Morteo Cio che significa che Dio e 0 si.manifesta, e nominato nell~ dlfferenza tra il Tutto e il Nulla tra la Vlta e la Morte, ecc. Nella dlfferenza e in fondo come la Differe~za stessa. Questa differenza e cio che si chiama la Storia. Dio vi e inscritto. . Si did che e precisamente contro questa discorso filosofico che Sl leva Levinas. Ma in questa battaglia, egli ha gia rinunciato all'.arma ~i gliore: il disprezzo del discorso. In effetti, di .fronte aIle ~lass:~he d1fIicolta di linguaggio che abbiamo evocate, ~evmas non puo u.uhzzare Ie risorse classiche. AIle prese con problem1 che furono propn della teologia negativa quanto del bergsonismo, egli rinunci~ al dir~tto di parlare come essi in un linguaggio rassegnato al propno scad1mento. La teologia negativa si pronunciava in una parola che si sapeva decaduta,
fini~a, inferiore a~ logos .come intelletto di Dio. Soprattutto non si pone-
va 11 problema d1 un D1scorso con Dio nel faccia a faccia e nel sofIio a sofIio di due parole, libere, malgrado l'umilta e I'altezza, di interromp~~e 0 di intraprendere 10 scambio. In modo analogo Bergson aveva il d.lt1~to ~i an~unciare l'int~izione della durata e di denunciare la spazlahZZaZlOne mtellettuale m un linguaggio consacrato allo spazio. II problema non era quello di salvare, bens! quello di distruggere il discorso nella «metafisica», «scienza che ha la pretesa di fare a meno dei simboli» (Bergson). La moltiplicazione delle metafore antagoniste veniva ~e~odicame?te ~t.nizzata per questa auto-distruzione dellinguaggio ed mvltava all'mtUlzlOne metafisica silenziosa. Poiche illinguaggio era definito come un residuo storico poteva, bene 0 male, essere utilizzato senza alcuna incoerenza, pet denunciare il suo proprio tradimento e in seguito venire abbandonato alIa propria insufIicienza, avanzo retorico, parola perduta per fa metafisica. Come la teologia negativa, una filosofia della comunione intuitiva si arrogava il diritto (se a torto 0 a ragione e un altro problema) di attraversare il discorso filosofico come se fosse un elemento estraneo. Ma che cosa succede, quando non ci si arroga pili un tale diritto, quando la possibilita della metafisica e possibilita della paroIa? Quando la responsabilita metafisica e responsabilita dellinguaggio perche «il pensiero consiste nel parlare» (TI) e perche la metafisica e un linguaggio con Dio? In che modo pens are l'Altro, se questo si parla solo come esteriorita e attraverso l'esteriorita, cioe la non-alterita? E se la parola che deve instaurare e man tenere la separazione assoluta e per essenza radicata nello spazio che ignora la separazione e I'alterita assoluta? Se, come dice Levinas, solo il discorso puo essere giusto (e non il contatto intuitivo) ese, d'altra parte, ogni discorso serba in se essenzialmente 10 spazio e 10 Stesso, cio non significa, forse, che il discorso e originalmente violento? E che la guerra abita illogos filosofico, il solo nel quale, tuttavia puo essere dichiarata la pace? La distinzione tra discorso e violenza sarebbe sempre un inaccessibile I
I Pensiamo qui alia distinzione, comune in modo particolare a Levinas e a E. Weil tra discorso e violenza. Distinzione che non ha nell'uno e nell'altro 10 stesso senso. Levinas vi fa cenno di sfuggita e, ne! rendere omaggio ad E. Weil per «I'impiego sistematico e vigoroso del termine v~olenza nella sua o~posizione al discorso», precisa che egli do a questa distinzione «un senso dlffere?te?> (DL). NOl saremmo tentati di dire: un senso diametralmente opposto. II discorso che E. Well nconosce come non-violento ontologia, progetto di ontologia (efr. Logique de la philo sophie, Vrin, Paris 1950, per esempio, pp. 28 sgg.; La naissance de I'ontologie, Le Discours). «L' accordo tra gli uomini si produrra da se se gli uomini non si occupano di se stessi rna di cib che e,,; il suo polo la coerenza infinita e il suo stile, almeno, hege!iano. Questa c~renza ne!l'ontologia la violenza stessa per Levinas: la «fine della storia» non Logica assoluta coerenza assoluta de! Logos con se in se, non e armonia ne! sistema assoluto, rna Pace nella sepa;azione la diaspora degli assoluti. Inversamente, il discorso pacifico secondo Levinas, quello che rispett~ la
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orizzonte. La non violenza sarebbe il telos e non l'essenza del discorso. Forse si osservera che qualche cosa come il discorso ha la sua essenza nel suo telos e la presenza del suo presente nel suo avvenire. Certamente, rna a condizione che il suo avvenire e il suo telos, siano non-discorso: la pace come un certo silenzio, un certo al di la della parola, una certa possibilita, un certo orizzonte silenzioso della parola. E il telos ha sempre avuto la forma della presenza, sia pure di una presenza fututa. Non c'e guerra se non dopo l'apertura del discorso e la guerra non si spegne se non con la fine del discorso. La pace, come il silenzio, e la strana vocazione di un linguaggio chiamato fuori di se da se. Ma poiche anche il silenzio finito e l'elemento della violenza, illinguaggio deve necessariamente tendere indefinitamente verso la giustizia, riconoscendo e praticando la guerra in se. Violenza contro violenza. Economia della violenza. Economia che non puo ridursi a do che Levinas intende con questa parola. Se la luce e l'e1emento della violenza, e necessario battersi contro la luce con una certa aItra luce, per evitare la violenza peggiore, quella del silenzio e della notte che precede 0 reprime il discorso. Questa vigilanza e una violenza accettata come la violenza meno grave da una filosofia che prende suI serio la storia, doe la finitezza; filosofia che si sa storica per intero (in un sen so che non tollera ne la totalita finita, ne l'infinita positiva) e che si sa, come dice in un aItro senso Levinas, economia. Ma una economia che per essere storia, non puo ancora essere in casa sua ne nella totalita finita che Levinas chiama 10 Stesso, ne nella presenza positiva deIl'Infinito. La parola e senza dubbio la prima sconfitta della violenza, rna, paradossalmente, quest'uItima non esisteva prima della possibilita della parola. II filosofo (1'uomo) deve parlare e scrivere in questa guerra della luce nella quale si sa sempre gia impegnato e da cui sa che non potrebbe sfuggire, se non rinnegando il discorso, vale a dire rischiando la violenza peggiore. Ecco perche questa riconosdmento della guerra nel discorso, riconosdmento che non eancora la pace, significa l'opposto di un bellidsmo il cui mi-
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separazione e rifiuta I'orizzonte della eoerenza ontologiea, non la violenza stessa, per E. Weil? Sehematizziamo: secondo E. Weilla violenza non sara, 0 meglio, non sarebbe ridotta, se non con la riduzione dell'alterita 0 della volonta di alterita. Per Levinas, l'opposto. Ma questo perehe per lui la eoerenza sempre finita (totalita ne! senso ehe egli dil a questa parola, rifiutando ogni signifieato alia nozione di totalitil infinita). Per E. Weil, al contrario, la nozione di alteritil che impliea la finitezza irridueibile. Ma per tutti e due, solo l'in6nito non·violento e non puo manifestarsi che ne! discorso. Bisognerebbe interrogare i presupposti comuni di questa convergenza e di questa divergenza. Bisognerebbe chiedersi se la pre-determinazione comune a questi due pensieri, della violazione e de! logos puro, e soprattutto della loro ineompatibilitii, rinvia ad una evidenza assoluta 0 forse giil ad un'epoca della storia de! pensiero, della storia dell'Essere. Ricordiamo che anehe Bataille, nell'Erotisme, si ispira aIle eoneezioni di E. Wei! e 10 dichiara esplicita· mente.
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glior complice, nella storia, e, come sappiamo bene - e chi 10 ha mostrato meglio di Hegel? -l'irenismo. Nella storia a cui il filosofo non puo sfuggire, poiche essa non e la storia nel senso che Ie da Levinas (totalita), ma la storia delle sortite fuori dalla totalita, storia come il movimen to stesso della trascendenza, dell'eccesso sulla totalita senza il quaIe nessuna totalita si manifesterebbe. La storia non e la totalita trascesa dall'escatologia, dalla metafisica 0 dalla parola. E la trascendenza stessa. Se la pat'ola e un movimento di trascendenza metafisica, essa e la storia e non l'al di la della storia. E diflidle pens are l'origine della storia in una totalita perfettamente finita (10 Stesso), come pure in un infinito perfettamente positivo. Se, in questa senso, il movimento di trascendenza metafisica e storia, e ancora violento, perche, e l'evidenza legittima a cui sempre si ispira Levinas, la storia eviolenza. La metafisica e economia: violenza contro violenza, luce contro luce: la filosofia (in generale). E di questa si puo dire, trasponendo l'intenzione di Claudel, che in essa tutto e «dipinto sulla luce come con della luce condensata, come l'aria che diventa brina». Questo divenire e la guerra. Questa polemica e illinguaggio stesso. La sua inscrizione.
Sulla violenza trascendentale. Non potendo sfuggire all'ascendenza della luce, anche la metafisica presuppone sempre una fenomenologia, nella sua critic a stessa della fenomenologia e soprattutto se vuole essere, come quella di Levinas, discorso e insegnamento. A. Questa fenomenologia, e presupposta soItanto come metodo, come tecnica, nel senso stretto di tali parole? Non vi edubbio che, mentre rifiuta la maggior parte dei risuItati letterali della ricerca husserliana, Levinas tiene molto all'eredita del metodo: « ... La presentazione e 10 sviluppo delle nozioni che ho usato, debbono tutto al metodo fenomenologico» (TI, DL). Ma la presentazione e 10 sviluppo delle nozioni, sono solo un rivestimento del pensiero? E il metodo puo essere preso in prestito come un arnese? Trent'anni prima, Levinas non sosteneva forse, sulle orme di Heidegger, che e impossibile isolare il metodo? Quest'uItimo racchiude sempre, e soprattutto nel caso di Husserl (mna veduta antidpata del "senso" dell'essere che si affronta» (THI). Levinas scriveva allora: «Noi non potremo di conseguenza separare, nella
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nostra esposizione, la teoria delI'intuizione come metodo filosofico, da quello che si potrebbe chiamare l'ontologia di Husserl» (THI). Ora, sarebbe fin troppo facile dimostrare che quello a cui rinvia, esplicitamente e in ultima istanza, questa metodo fenomenologico e la decisione stessa della filosofia occidentale che sceglie di essere, da Platone in poi, come scienza, come teoria, cioe proprio come quello che Levinas vorrebbe mettere in questione attraverso i procedimenti e il metodo della fenomenologia. B. Al di la del metodo, quello che Levinas intende conservare dell'<
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serlia~a, presa alIa lettera: questi orizzonti insospettati vengono interpretatl, a loro volta, come pensieri rivolti verso oggetti!» (gia citato). D'altra parte, anche se si suppone che il cogito husserliano sia aperto sulI'infinito, sarebbe, per Levinas, su un infinito-oggetto, infinito s~nza alterita, falso infinito: «Se Husserl vede nel cogito una soggettivIta senza sostegno fuori di se, egli costituisce l'idea stessa delI'infinito, e se,Ia da c?me oggetto». II «falso infinito», espressione hegeliana che ~e~mas, Cl sembra, non usa mai, forse proprio perche e hegeliana, Isplra tuttavia molti gesti di denuncia in T otalite et I nfini. II «falsoinfinito» per Levinas sarebbe, come per Hegel, l'indefinito, la forma negativa dell'infinito. Ma poiche Levinas pensa la vera alterita come non-negativita (trascendenza non-negativa), puo fare deIl'altro il vero ~nfin~to e dello stesso (stranamente complice della negativita) il falsomfimto. II che sarebbe parso assolutamente insensato a Hegel (e a tutta la metafisica che si compie e si ripens a in lui): come separare l'alterita dalla negativita, come separare l'alterita dal «falso-infinito»? Come mai il vero infinito non sarebbe 10 stesso? 0 inversamente, come mai 10 stesso assoluto non sarebbe infinito? Se 10 stesso fosse, come dice Levinas, totalita violenta, cio significherebbe che e totalita finita, doe astratta, cioe ancora altro dall'altro (da un'altra totalita), ecc. Lo stesso come totalita finita non sarebbe 10 stesso, ma ancora l'altro. Levinas parlerebbe delI'altro sotto il nome dello stesso e dello stesso sotto il nome delI'altro, ecc. Se la totalita finita fosse 10 stesso, non potrebbe pensarsi e porsi come tale senza diventare altro da se (e la guerra). Se non 10 facesse, non potrebbe entrare in guerra con Ie altre (totalita finite) ne essere violenta. Ma allora, non essendo violenta, non sarebbe 10 stesso nel senso di Levinas (totalita finita). Entrando in guerra - e la guerra c'e - essa si pensa certo come altro dalI'altro, vale a dire che essa accede all'altro come un altro (se). Ma, ancora una volta, essa allora non e pili totalita nel sen so di Levinas. In questa linguaggio, che e il solo linguaggio della @osofia occidentale, come si puo non ripetere l'hegelismo che non e se non quellinguaggio stesso che prende, in modo assoluto, possesso di se? In queste condizioni la sola pesizione effie ace per non lasciarsi coinvolgere da Hegel potrebbe sembrare, per un momento, questa: considerare irriducibile il falso-infinito (cioe, in un sen so profondo, la finitezza originaria). Forse e in fondo, quello che fa Husserl quando mostra l'irriducibilita dell'incompiutezza intenzionale, dunque dell'alterita, e quando afferma che la coscienza-di, essendo irriducibile, non puo mai diventare, per essenza, coscienza-di-se, ne raccogliersi assolutamen-
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Ci e difficile crederlo. Nelle due direzioni intenzionali di cui abbiamo parlato, J'Idea nel senso kantiano designa 10 sconfinamento infinito di un orizzonte che, a causa di una necessita d'essenza assoluta, assolutamente principiale e irriducibile, non potd mai diventare esso stesso oggetto 0 lasciarsi colmare, eguagliare da una intuizione d'oggetto. Nemmeno da quella di un Dio. L'orizzonte non puo essere esso stesso oggetto, perche e la risorsa inoggettivabile di ogni oggetto in generale. L'impossibilita dell'adeguazione e tanto radicale che ne l'originarieta ne l'apoditticita delle evidenze sono necessariamente delle adeguazio-
ni '. (Tutto cia non implica, ben inteso, che certe possibilita d'evidenze adeguate - particolari e fondate - siano ignorate da Husserl). L'importanza del concetto di orizzonte e precisamente quella di non poter essere I' oggetto di alcuna costituzione e di dischiudere alI'infinito illavoro delI'oggettivazione. II cogito husserliano, per quel che ci sembra, non costituisce l'idea d'infinito. Nella fenomenologia non c'e mai costituzione di orizzonti, rna ci sono orizzonti di costituzione. Che l'infinita delI'orizzonte husserliano abbia la forma dell'apertura in-definita, che si offra senza fine possibile alIa negativita della costituzione (dellavoro di oggettivazione) non e proprio questa che 10 preserva con pili sicurezza da ogni totalizzazione, dalI'illusione della presenza immediata di un infinito di pienezza in cui l'altro diventa improvvisamente irreperibile? Se la coscienza dell'inadeguazione infinita all'infinito (e anche al fin ito I ) e peculiare ad un pensiero che si preoccupa di rispettare l'esteriorita, non si riesce a vedere in che modo, su questa punto almeno, Levinas possa scostarsi da Husserl. L'intenzionalita non e il rispetto per eccellenza? L'irreducibilita in eterno dell'altro aHo stesso, rna dell'altro che si mostra come altro allo stesso? Perche senza questa fenomeno dell'altro come altro non sarebbe possibile alcun rispetto. II fenomeno del rispetto, presuppone il rispetto della fenomenicita. E l'etica, la fenomenologia. In questa senso, la fenomenologia e il rispetto stesso, il modo di svilupparsi, il divenire linguaggio del rispetto stesso. E cio che intend eva Husserl dicendo ('he la ragione non si lasciava distinguere in teorica, pratica, ecc. (gia citato pili sopra). Cia non vuol dire che il rispetto come etica sia derivato dalla fenomenologia, che la consideri come una sua premessa 0 come un valore anteriore 0 superiore. II presupposto della fenomenologia e di ordine unico. Non «comanda» nulla, nel senso mondano (reale, politico, ece.) del comandamento. E anzi la neutralizzazione di questo tipo di comandamento. Ma non 10 neutralizza per sostituirgliene un altro. E profondamente estranea a ogni gerarchia. Questo significa non solo che l'etica non si dissolve nella fenomenologia, ne vi si sottomette; essa vi trova il suo sen so proprio, la sua liberta e la sua radicalita. II fatto che i temi della non-presenza (temporalizzazione e alterita) siano contraddittori con quello che fa della fenomenologia una metafisica della presenza, la tormentino senza fine, tutto cio d'altra parte ci pare incontestabile e 10 sottolineiamo in altri luoghi.
, Cfr. E. HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e per una /iloso/ia fenomenologica, trad di G. Alliney e E. Filippini, Einaudi, Torino I965, libra I, sez. III, cap. II, § 83 e passim.
, Cfr. E. HUSSERL, Idee cit., libra I, sez. I, cap. I, § 3; m., Meditazioni cartesiane, trad. di F. Costa, Bompiani, Milano I970, § 9 e passim.
te presso di se nella parusia di un sap ere assoluto. Ma tutto questa puo essere detto, si puo pensare il «falso-infinito» come tale (in una parola, il tempo), soffermarsi in esso come nella verid dell'esperienza, senza avere gilt (un gilt che permette di pensare il tempo!) lasciato che si annunciasse, che si presentasse, si pensasse e si dicesse il vero infinito che allora e necessario riconoscere come tale? Quello che si chiama la filosofia, che forse non e il tutto del pensiero, non puo pensare il falso, e neppure scegliere il falso senza rendere omaggio all'anteriorita e alIa superiorita del vero (medesimo rapporto tra l'altro e 10 stesso). Quest'ultima interrogazione, che potrebbe ben essere quell a di Levinas a Hussed, dimostrerebbe che dal momenta in cui parla contro Hegel, Levinas non puo fare altro che confermare Hegel, anzi 10 ha gilt confermato. Ma c'e un tern a pili rigorosamente e soprattutto pili letteralmente husserliano di quello dell'inadeguazione? E dello sconfinamento infinito degli orizzonti? Chi pili di Hussed si e mai ostinatamente preoccupato di mostrare che la visione era originalmente ed essenzialmente inadeguazione tra l'interiorid e l'esteriorid? Che la percezione della cosa trascendente ed estes a restava, per essenzu, sempre incompiuta? Che la percezione immanente si attuava nell'orizzonte infinito del Russo del vissuto? '. E soprattutto, chi meglio di Levinas ci ha fatto capire, per prima cosa questi temi husserliani? Non si tratta dunque tanto di ricordare la loro esistenza, quanta di chiedersi se Hussed ha riassunto alla fine l'inadeguazione e ha ridotto alla condizione di oggetti disponibili gli orizzonti infiniti dell'esperienza. Tutto questo attraverso l'interpretazione seconda, della quale 10 accusa Levinas.
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Si puo quindi parlare di obiettivita etica, di valori 0 di imperativi etici come oggetti (noemi) con tutta la loro origin alit a etica, senza ridurre questa obiettivita ad alcuna di quelle che procurano a torto (ma questa non e il tor to di Husserl) illoro modello a quello che comunemente si intende per obiettivita (obiettivita teoretica, politica, tecnica, naturale, ecc.). Per dire il vero, ci sono due sensi del teoretico: il senso corrente, presQ di mira in particolare dalla protesta di Levinas; e il senso pill nascosto nel quale si colloca il manilestarsi in generale, il manifestarsi del non-teoretico (nel senso primo) in particolare. In questa secondo senso, la fenomenologia e certo un teoretismo, ma nella misura in cui ogni pensiero e ogni linguaggio, in linea di fatto e in linea di diritto, partecipano del teoretismo. La fenomenologia misura questa misura. 10 so con un sapere teoretico (in generale) quale eil senso del nonteoretico (per esempio l'etico, il metafisico nel senso di Levinas) come tale, e 10 rispetto come tale, come quello che e, nel suo senso. Ho uno sguardo per riconoscere quello che non si guarda come una cosa, come una facciata, come un teorema. Ho uno sguardo per il vi so stesso.
C. Levinas puo scostarsi da Husserl con pill legittimita per quel che riguarda il teoretismo e il primato della coscienza d'oggetto? Non elimentichiamo che il «primato» in questione e qui quello dell'oggetto e dell'oggettivita in generale. Ora la fenomenologia non avrebbe portato niente di nuovo, se non avesse infinitamente rinnovato, allargato, reso pill agile questa nozione di oggetto in generale. L'estrema giuriselizione dell'evidenza e aperta all'infinito, ad ogni tipo di oggetto possibile, vale a dire ad ogni senso pensabile, cioe presente ad una coscienza in generale. Nessun assunto (per esempio, quello che in T otalite et Infini vuole risvegliare Ie evidenze etiche alIa loro assoluta indipendenza, ecc.) avrebbe senso, potrebbe essere pensato ne capito, se non attingesse a quello strato dell'evidenza fenomenologica in generale. Basta che il senso etico sia pensato perche Husserl abbia ragione. Non solo Ie definizioni nominali, ma, prima di esse, Ie possibilita di essenza che guidano i concetti sono gia presupposte quando si parla di etica, di trascendenza, di infinito, ecc. Queste espressioni debbono avere un sen so per una coscienza conet'eta in generale, senza di che non sarebbero possibili ne un discorso ne un pensiero. Questo campo di evidenze assolutamente «preliminari» e quello della fenomenologia trascendentale, nella quale afIonda Ie sue radici una fenomenologia dell'etica. Questo radicarsi non e reale, non significa una dipendenza reale, e sarebbe inutile rimproverare alIa fenomenologia trascendentale di essere di latto impotente a suscitare valori e comportamenti etici (0, il che e la stessa cosa, di poterli pill 0 meno direttamente reprimere). Poiche ogni senso determinato, ogni senso pensato, ogni noema (per esempio, il sen so dell'etica), presuppone la possibilita di un noema in generale, e opportuno incominciare, in linea di diritto, dalla fenomenologia trascendentale. Incominciare in linea di diritto dalla possibilita in generale di un noema che, ricordiamo questo punto decisivo, per Husserl non e un momento reale (reell), quindi non ha alcun rapporto reale (gerarchico 0 altro) con qualcosa d' altro: poiche qualcosa d' altro non puo essere pensato se non nella noematicita. Cio significa in particolare che, secondo il modo di vedere di Husserl, l'etica non puo di latto, nell'esistenza e nella storia, essere subordinata alla neutralizzazione trascendentale e, di fatto, risultare in qualche modo sottoposta ad essa. L'etica, come anche qualsiasi altra cosa esistente. La neutralizzazione trascendentale e per principio e nel suo senso, estranea ad ogni fattualita, ad ogni esistenza in generale. Essa non sta, di fatto, ne prima ne dopo l'etica. Ne prima ne dopo qualsiasi cosa.
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D. Ma, echiaro, il disaccordo fondamentale tra Levinas e Husserl non sta qui. E non riguarda neppure l'astoricita del sen so che un tempo veniva rimproverata a Husser! e a proposito della quale egli aveva «riservato delle sorprese» (come l'escatologia di Levinas doveva sorprenderci quando, trent'anni pill tardi, ci avrebbe parlato «al di la della totalita e della storia» [TI]). II che presuppone, ancora una volta, che la totalita sia finita (e questa non e afIatto inscritto nel suo concetto), che la storia come tale possa essere totalita finita e che non si dia storia al di la della totalita finita. Forse bisognerebbe mostrare, come suggerivamo pill sopra, che la storia eimpossibile, che non ha senso nella totalita finita, che e impossibile e non ha senso nella infinita positiva e attuale; e che essa si colloca nella difIerenza tra la totaIita e l'infinito, che eprecisamente quello che Levinas chiama trascendenza ed escatologia. Un sistema non e ne finito ne infinito. Una totaIita strutturale sfugge nel suo gioco a questa alternativa. Essa sfugge all'archeologico e all'escatologico e Ii inscrive in se stessa. E a proposito eli altri che il disaccordo sembra definitivo: L'abbiamo gia visto; stando a Levinas, Husserl facendo dell'altro, soprattutto nelle Meditazioni cartesiane, un fenomeno dell'ego, costituito per appresentazione analogica a partire dalla sfera di appartenenza propria dell'ego, avrebbe mancato l'alterita infinita dell'altro e l'avrebbe
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ridott~ allo stesso. Fare dell'altro un alter ego, dice spes so Levinas, vuol dIre neutralizzare la sua alterita assoluta. a) Ora, non sarebbe difficile mostrare fino ache pun to Husserl, in partlcolare nelle Meditazioni cartesiane si preoccupa di rispettare nella sua significazione, l'alterita dell'altro. Per Husserl si tratta di descrivere. in che modo, l'altro, in quanta altro ' nella sua alterita irriducibile , SI prese~t~ a n:e. Si ~resenta a me, 10 vedremo piu avanti, come non-presenza o~lgmatla. E 1 altro in quanto altro che efenomeno dell'ego: fenomeno dl un~ certa non-fenomenicita irriducibile per l'ego come ego in generale (l'eldos ego). Perche eimpossibile incontrare Palter ego (nella forma stessa dell'incontro che descrive Levinas), eimpossibile rispettarlo. ~ell:esper!enz~ e nellinguaggio, senza che questo altro, nella sua altenta st mamfestt come un ego (in generale). Non sarebbe possibile parlare, ne avere un senso qualsivoglia del tutt'altro, se non ci fosse un fenomeno del tutt'altro, una evidenza del tutt'altro come tale. Che 10 stile di q~,esta es~erienza e ?i questa fenomeno sia irriducibile e singolare, che ClO c~e VI appare Sla una non-fenomenicizzazione origin aria, e una cosa a CUl Husserl estato sensibile pili di ogni altro. Anche se non si vuole e no? si Pu? t.e~,atizzare l'~ltro di cui non si parla, rna a cui si parla, questa l.mpo~slblhta e questa Imperativo non possono, essi stessi, essere tematlzzatl (come fa Levinas) se non a partire da un certo manifes~arsi de~l'alt~o come altro a un ego. E di questa sistema, di questo man!festarsl e dl quest~ impossibilita di tematizzare l'altro in persona, che Cl parla Husserl. E 11 suo problema: «Essi (gli altri ego), tuttavia non sono semplici rappresentazioni e oggetti rappresentati in me, unit a sinI
. I In fDndD uvinas rifiuta egni dignicl alia neziene stessa di «cDstituzione dell'alter ego,). Egit d1rebbe sen~a dubblO ~eme Sartr;: «L'altro 10 si incontra, non 10 si costituisce» (cfr. L'etre et Ie neant, Gall!m~rd, Pans 1943 [L esse~e e il nulla, trad. di G . De! Be, II Saggiatore, Milano. 1965]). Quest.o slgmfica .1Otendere 11 termme «costituziene}} in un sense centro il quale Husserl mette spesso 10 guardia tllet!ere. La cestituziene non si centrappone ad aleun incentro. E chiaro che essa n~n crea, nen costru1sce, nDn g~nera nulla : ne I'esistenza - 0. il iattD - e questD va da se, e nepp~re II senso, c?sa ~uesta m~no eVldente, ma altrettanto certa, purche si esservine, a queste p~epo~lte, alcu~~ pa~lentl l?recauzlOm; soprattutto purche si distinguane i momenti di passivita e dt atttyna ne.H .1OtUlzlOne 1I?tes~ nel. sensD husseriianD, e que! mDmente in cui la distinziDne diven.ta 1mpess1btle. ~ale a d,re 10 CUt tutta la prDblematica che cDntrappone «incontro» a «cDstituzlOne}} ~D~ ha PlU senso, c; h~ sDID. un senSD ?erivatD e secendariD. Peiche non possiamD Dra addentrarc1 10 qu~ste d1ffico~ta , ncord1.amD semp!tcemente Questa awertenza di Husser!, tra tante altre : «Anche ~U1! ceme ne1 cenfrentt dell'alter ego, "effettuaziDne di coscienza" (Bewusstseinletstun~) non sl¥m~ca che ie invento (er{inde) e che io epere (mache) questa trascendenza supren:'a}} (Sl tratta ~1 DlO; efr. E. HUSSERL , Log/ca lormale e logica trascendentale [trad. di G. D. Nefl, Laterza , B~n .1966]). A.I centrari.D, la nezione di • incentrD» alia quale e pur necessarie ricorrere Quan~e Sl ~t~uta Dgm cDstt.tuz1ene,. nel, ~nse husserlian,~ del termine, a parte il fatte che sospetta dt. emptrlsme, non laseta per d1 PlU mtendere che c e un tempe ed una esperienza senza «altre}}. przma dell'.incentrD»? Si intuisce a quali difficolta in questo case si va incontro La prudenza filosofica di Husserl a questD riguarde, esemplar;. Le Meditazioni cartesiane sot;Dlineane spesse che di lalla e realmente, nulla precede I'esperienza dell'altro.
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tetiche di un processo di verifica che si svolge "in me", rna per l'appun to degli "altri ..... soggetti per questa stesso mondo ... soggetti che percepiscono il mondo ... che percio, hanno esperienza di me, come io ho esperienza del mondo e in esso, degli "altri"» [. E questa manifestarsi dell'altro come quello che io non posso mai essere, equesta nonfenomenicita origin aria che viene interrogata come fenomeno intenzionale dell'ego. b) Perche - e ci atteniamo qui al senso pili chiaro e solidamente incontestabile di quella quinta meditazione cartesiana che procede in modo tanto labirintico - l'affermazione principale di Husserl riguarda il carattere irriducibilmente mediato dell'intenzionalita rivolta verso l'altro come altro. E evidente, di un'evidenza essenziale, assoluta e de fin itiva, che l'altro come altro trascendentale (altra origine assoluta ed altro punto zero nell'orientamento del mondo) non puo mai essermi dato in modo originario e in persona, rna solo per appresentazione analogica. La necessita di ricorrere all'appresentazione analogica, lungi dal significare una riduzione analogica e assimilante dell'altro alIo stesso, conferma e rispetta la separazione, la necessita insuperabile della mediazione (non-oggettiva). Se io non andassi verso l'altro per via di appresentazione analogica, se 10 raggiungessi immediatamente e originariamente, in silenzio e attraverso la comunione con il suo proprio vissuto, l'altro cesserebbe di essere l'altro. Contrariamente alle apparenze, il tema della trasposizione appresentativa traduce il riconoscimento della separazione radicale delle origini assolute, il rapporto degli assoluti assolti e il rispetto non-violento del segreto: il contrario dell'assimilazione vittoriosa. I corpi, Ie cose trascendenti e naturali sono in generale degli altri per la mia coscienza. Sono fuori e la loro trascendenza eil segno di una alterid gia irriducibile. Levinas non 10 crede, Husserllo crede e crede che «altro» voglia gia dire qualche cosa quando si tratta delle cose. Questo significa prendere suI serio la realta del mondo esterno. Un altro segno di questa alterita in generale, che Ie cose in questa caso condividonocon altri, sta nel fatto che anche in esse si cela sempre qualche cos a che si designa solo per anticipazione, per analogia e appresentazione, Husser110 afferma nella quinta meditazione cartesiana; l'appresentazione analogica da una parte appartiene ad ogni percezione. Ma nel caso dell'altro come cos a trascendente, la possibilita di principio di una presentazione origin aria e origin ale della faccia nascosta e [ Meditazioni cartesiane cit.
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sempre aperta per principio e a priori. Questa possibilita e completamente negata nel caso di altri. L'alterid della cosa trascendente benche sia gia irriducibile, 10 esolo per l'incompiutezza indefinita delie mie percezioni originarie. Non ha quindi comune misura con I'alterita di altri a~ch'essa irrid~cibile, che aggiunge alIa dimensione delI'incompiut~zza (t~ corpo. altrul n~IJo spazio, la storia dei nostri rapporti, ecc.) una d~mens~on~ dl non-onginarieta pili profonda, I'impossibilita radicale d.l ~are 11 gIro per v~dere Ie .c?se dalI'altro lato. Ma senza la prima altenta, quella del corpl (e altn e anche fin dal primo momenta un corpo), non potrebbe sorgere la seconda. Bisogna pensare insieme il sistema di queste due alterita, l'una inscritta dentro I'altra. L'alterid di altri e quindi irriducibile per un doppio potere di indefinitezza. L'estraneo e infinitamente altro poiche per essenza nessun arricchimento dei suoi pr~fil! puo darmiJa faccia s~ggettiva del suo vissuto, dal suo lato, quaIe e Vlssuto da lut. Questo Vlssuto non mi sara mai dato in modo originale come tutto quello che emir eigenes, cia che mi eproprio. Questa trasce~denza del non-proprio non e pili quell a del tutto inaccessibile a partlre da abbozzi sempre parziali: trascendenza delI'Infinito non della T otalita. ' Levinas e HusserI sono qui molto vicini. Ma quando riconosce a questo infinitamente Altro come tale (che si manifesta come tale) 10 statuto di una modificazione intenzionale dell'ego in generale, Husser! si attribuisce il diritto di parlare delI'infinitamente altro come tale tende con to delI'origine e della legittimitil del suo linguaggio. Descri~e il sistem.a de~la fenomenicita della non-fenomenicita. Levinas parla di latto delI'mfimtamente altro rna, poiche rifiuta di riconoscervi una modificazione intenzionale dell' ego - il che sarebbe per lui, un atto totalitario e viol~nt? - si p:iva del fondamento stesso e della possibilita del suo propno lmguagglO. Che cosa 10 autorizza a dire «infinitamente altro» se I'infinitamente altro non si manifesta come tale in quella zona che egli chiama 10 stesso e che eillivello neutro della descrizione trascendentale? Ritornare, come al solo punta di partenza possibile, al fenomenD intenzionale in cui l'altro si manifesta come altro e si presta al linguaggio, ad ogni linguaggio possibile, vuol dire forse abbandonarsi alIa violenza, 0 almeno diventarne complice, e dar diritto - in sen so critico - alIa violenza del fatto; rna si tratta alIora di una zona irriducibile della fattualit~, di una violenza originaria, trascendentale, precedente ogni scelta etlca, presupposta perfino dalla non-violenza etica. Ha senso parlare di una violenza pre-etica? La «violenza» trascendentale a cui alIudiamo, in quanto collegata alIa fenomenicita stessa e alIa possibilita del
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linguaggio, si porrebbe COS1 alIa radice del senso e del I~gos, p.rima ~n cora che quest'ultimo abbia a determinarsi come retortca, pSlcagogla, demagogia, ecc. c) Levinas scrive: «Altri, in quanto altri, non e soltanto un alter ego. E quello che io non sono» (EE eTA). La «decenza» e la «vita quotidiana» ci fanno credere a tor to che «l'altro viene conosciuto con simpatia, come un altro me stesso, come l'alter ego» (T A). E precisamente quello che Husserl non fa. Husserl vuole soltanto riconoscerlo come altri nella sua forma d'ego, nella sua forma d'alterita che non puo essere quella delle cose nel mondo. Se l'altro non fosse riconosciuto come alte.r ego trascendentale, sarebbe per intero nel mondo e non, come me, ortgine del mondo. Rifiutare di vedere in lui un ego in questa senso e, ?ell' ordine etico, il gesto stesso di ogni violenza. Se l' altro non f~sse. rlCOnosciuto come ego, tutta Ia sua alterita svanirebbe. Sembra, qumdI, che non sia possibile, senza travis are Ie sue intenzioni pili costanti e dichiarate, supporre che Husserl faccia dell'altro un altro me-stess? (nel senso fattuale dell'espressione), una modificazione reale della ~ta vita. Se I'altro fosse un momenta teale della mia vita egologica, se «I'mclusione di un'altra monade nella mia» (Me) fosse reale, io la percepirei originaliter. Husserl non fa che sottolineare che si tratta di una impossibilita assoluta. L'altro come alter ego, significa l'altro come altro, irriducibile al mio ego, proprio perche eego, ha la forma dell' ego ..L'egoita delI'altro gli permette di dire «ego» come me e per qu~sta raglO~e esso ealtri e non una pietra 0 un essere senza parola nella mta economta reale. Per questa ragione, se vogliamo, esso e viso, pu~ parlarmi, c~ pirmi ed eventualmente comandarmi. Non sarebbe posslbtle alcuna dlsimmetria, senza questa simmetria, che non edel mondo e che,.~on essendo nulla di reale, non pone alcun limite all'alterita, alia dlsln:m~ tria, rna anzi la rende possibile. Questa disimmetria euna economta m un sen so nuovo che certamente Levinas non accetterebbe. E, nonostan~e l'assurdita Iogica di una simile formulazione, la simmetria trascendentale di due disimmetrie empiriche. L'altro e per me un ego di cui io so che entra in relazione con me come con un altro. Dove mai questi movimenti vengono descritti meglio che nella Fenomenologia dello spirito? II movimento di trascendenza verso l'altro, quale 10 evoca Levinas non avrebbe senso se non comportasse, come una tra Ie sue significazi~ni essenziali, che io mi sappia, nella mia ipseita, altrc per l'altro. Se COS1 non fosse, «Io» (in generale: I'egoita), non potendo I
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Meditazioni cartesiane cit.
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essere l'aItro dell'aItro, non sarebbe mai vittima di violenza. La violenza di cui parla Levinas sarebbe una violenza senza vittima. Ma poiche nella disimmetria che egli descrive, l'autore della violenza non puo mai essere esso stesso l'aItro, ma sempre 10 stesso (ego), e poiche tutti gli ego sono aItri per gli aItri, la violenza senza vittima sarebbe anche una violenza senza autore. E tutte queste proposizioni possono essere rovesciate, senza difficolta. Ci si accorgera subito che se il Parmenide del Poema ci lascia credere che, at traver so fantasmi storici frapposti, si e pili di una volta prestato al parricidio, Ia grande ombra bianca e terribile che parlava aI giovane Socrate continua a sorridere mentre noi intavoliamo grandi discorsi intorno agli esseri separati, all'unita, aIla diiferenza, allo stesso e all'altro. A quali esercitazioni potrebbe abbandonarsi Parmenide in margine a T otalite et I nfini se noi tentassimo di fargli intendere che ego e uguale a stesso e che l'AItro e queUo che e solo in quanta assoIuto, infinitamente altro assolto daI suo rapporto allo Stesso! Per esempio: I) l'infinitamente aItro, forse direbbe, non puo essere queUo che e se non se e aItro, cioe aItro da. Altro dll deve essere altro da me. Ma allora, non e pili assoIto dalla relazione con un ego. Quindi non e pili infinitamente, assoIutamente aItro. Non e pili quello che e. Se poi Fosse assolto, anche in questo caso non sarebbe I' AItro, ma 10 Stesso; 2) I'infinitamente altro puo essere queIlo che e - infinitamente aItro - solo se non eassoIutamente 10 stesso. Vale a dire, in particolare, se e aItro da se (non-ego). Poiche e aItro da se, non e queI10 che e. Quindi non e infinitamente aItro, ecc. Questa esercitazione non sarebbe, aI suo fonda, verbosita e virtuosismo diaIettico nel «gioco dello Stesso». Significherebbe che I'espressione «infinitamente aItro» 0 «assoIutamente aItro» non puo, nello stesso tempo, essere detta e pensata; che I'Altro non puo essere assoIutamente esterno 1 allo stesso, senza smettere di essere aItro e che, di conseguenza, 10 stesso non euna totalita chiusa su di se, una identita che gioca con se, can Ia sola apparenza dell'alterita, in cia che Levinas chiama l'economia, illavoro, Ia storia. Come potrebbe esserci un «gioco della Stesso», se anche I'aIterita non Fosse gia nella Stesso, in un sen so dell'inclusione che l'espressione nello, senza dubbio tradisce? Senza I'alterita nella stesso, come potrebbe prodursi il «gioco dello Stesso», nel senso dell'attivita Iudica 0 nel senso della dislocazione in una macchina a in una totalita organica che gioca 0 che lavora? E si potrebbe di-
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1 0 almeno non puo essere, ne essere qua!cosa, ed proprio I'autorita dell'essere ehe Levi· nas ricusa nel profondo. II fatto ehe il suo diseorso debba aneora sottoporsi all'istanza eontestata, una neeessita la cui regola dobbiamo tentare di inserivere sistematieamente nel testo.
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mostrare che per Levinas illavoro, sempre rinchiuso dentro la totalita e Ia storia, rimane fondamentalmente un gioco. Proposizione che, con qualche precauzione, noi accetteremo can pili facilita di quanto farebbe Levinas. Confessiamo infine di essere completamente sordi a proposizioni di questo tipo: «l'essere si produce come multiplo e come scisso in Stesso e Altro. E Ia sua struttura ultima» (TI). Che cosa e mai la scissione dell' essere tra 10 stesso e I'aItro, una scissione tra 10 stesso e l'altro, che non presupponga, almeno, che 10 stesso sia l'altro deIl'altro e l'altro 10 stesso che se? Non pensiamo pili soItanto all'esercitazione di Parmenide che scherza con il giovane Socrate. La Straniero del Sofista che sembra rompere con l'eleatismo, come Levinas, in nome dell'alterita, sa che l'alterita non si pensa se non come negativita, non si dice, soprattutto, se non come negativira - cosa che Levinas rifiuta fin dal principio - e che, diversamente daU'essere, l'altro e sempre relativo, dice se stesso pros heteron, il che non gli impedisce di essere un eidos (0 un genere in un senso non concettuale), cioe di essere 10 stesso che se (<< stesso che se» presuppone gia, come nota Heidegger in !dentitat und DifJerem, proprio a proposito del Sofista, mediazione, relazione e differenza: EXW1'tOV Ecw't0 'tIXlhov). Da parte sua, Levinas rifiuterebbe di assimilare l'altro con l' heteron di cui qui si parla. Ma in che modo pens are 0 dire «altri» senza riferimento - non diciamo riduzione - all'alterira dell' heteron in generale? Quest'ultima nozione non ha pili allora il senso stretto che permette di contrapporla semplicemente a quell a d'altri, come se essa Fosse confinata nella regione dell'obiettivita reaIe 0 logica. L' heteron farebbe parte, quindi, di una zona pili profonda e pili origin aria di quella in cui si dispiega questa filosofia della soggettivita (cioe dell'obiettivita), ancora implicata nella nozione d'altri. L'altro, dunque, non sarebbe quello che e (il mio prossimo come estraneo), se non Fosse alter ego. E questa una evidenza ben anteriore alIa «decenza» e aIle dissimulazioni della «vita quotidiana». Levinas non usa l'espressione alter ego come se alter Fosse l'epiteto di un soggetto reale (ad un livello pre-eidetico)? La modificazione accidentale, epitetica, della mia identita reale (empirica)? Ora la sintassi trascendentale delI'espressione alter ego non ammette alcuna relazione da sostantivo ad aggettivo, da assoluto a epiteto, in un sen so 0 nell'aItro. E questa la sua stranezza. Necessita connessa alIa finitezza del senso: l'altro non e assolutamente altro se non essendo un ego, vale a dire, in un certo
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modo, 10 stesso che io. Inversamente, l'altro come res e nello stesso tempo menD altro (non assolutamente altro) e meno «10 stesso» che io. Piu altro e menD altro, nello stesso tempo, il che significa ancora che l'assoluto dell'alterita e 10 stesso. E questa contraddizione (nei termini di una 10gica formale che per una volta almeno, Levinas rispetta, in quanta rifiuta di chiamare l' Altro alter ego), questa impossibilita di tradurre nella coerenza razionale dellinguaggio il mio rapporto ad altri, questa contraddizione e questa impossibilita non sono segni d'« irrazionalita»: sono piuttosto il segno che qui non si respira pili nella coerenza del Logos, ma che il pensiero si toglie il respiro nella regione dell'origine dellinguaggio come dialogo e differenza. Questa origine, in quanta condizione concreta della razionalita, non e per nulla «irrazionale», ma non puo essere «compresa» nellinguaggio. Questa origine e una inscrizione inscritta. Ecco perche ogni riduzione dell'altro ad un momenta reale della mia vita, la sua riduzione allo stato di alter ego-empirico e una possibilita o piuttosto una eventualita empirica, che si chiama violenza, e che presuppone i rapporti eidetici necessari segnalati dalla descrizione husserliana. Al contrario, accedere all'egoita dell'alter ego come alla sua alterita stessa, e il gesto pili pacifico che ci sia. Non diciamo pacifico in modo assoluto. Diciamo economico. C'e una violenza trascendentale e pre-etica, una disimmetria (in generale) la cui archia e 10 stesso e che permette ulteriormente la disimmetria inversa, la non-violenza etica di cui Levinas parla. In effetti, 0 non c'e che 10 stesso ed esso non puC> nemmeno pili manifestarsi ed essere detto, e neppure esercitare la violenza (infinita 0 finitezza pure); oppure ci sono 10 stesso e l'altro, e allora l'altro non puo essere l'altro - dello stesso se non essendo 10 stesso (di se: ego) e 10 stesso non puo essere 10 stesso (di se: ego) se non essendo l'altro dell'altro: alter ego. Che io sia anche essenzialmente l'altro dell'altro, che io 10 sappia, ecco l'evidenza di una strana simmetria di cui non appare mai traccia nelle descrizioni di Levinas. Senza questa evidenza io non potrei desiderare (0) rispettare l'altro nella disimmetria etica. Questa violenza trascendentale che non procede da una risoluzione 0 da una liberta etiche, da una certa maniera di accostare 0 di oltrepassare l'altro, instaura originariamente il rapporto tra due ipseid finite. In effetti, la necessita di accedere al senso dell'altro (nella sua irriducibile alterita), a partire dal suo viso, vale a dire dal fenomeno della sua non-fenomenicita, dal tema del non tematizzabile, 0, in altri termini, a partire da una modificazione intenzionale del mio ego (in generale) (modificazione intenzionale alIa quale Levinas
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e costretto ad attingere il senso del suo discorso), la necessita di parlare dell'altro come altro 0 all'altro come altro, cominciando dal suo manifestarsi-a-me-come-quello-che-e: l'altro (manifestarsi che dissimula la sua dissimulazione essenziale, che 10 porta alIa luce, 10 denuda e nasconde cio che nell'altro e il nascosto), questa necessita a cui nessun discorso puo sfuggire fin dalla sua pili giovane origine, questa necessita e la violenza stessa, 0 meglio, l'origine trascendentale di una violenza irriducibile, se supponiamo, come dicevamo pili sopra, che possa avere un senso il parlare di violenza pre-etica. Perche questa origine trascendentale, come violenza irriducibile del rapporto all'altro e, nello stesso tempo non-violenza, dato che apre il rapporto all'altro. E una economia. Proprio essa, attraverso questa apertura, permettera a quelI'accesso all'altro di determinarsi, nella liberta etica, come violenza 0 non-violenza morali. Non si capisce in che modo la nozione di violenza (per esempio come dissimulazione 0 oppressione delI'altro da parte dello stesso, nozione di cui Levinas fa uso come fosse scontata e che invece significa gia alterazione dello stesso, delI'altro in quanta e quello che e) potrebbe essere determinata con rigore ad un liveUo meramente etico, senza una preliminare analisi eidetico-trascendentale dei rapporti tra ego ed alter ego in generale, tra diverse origini del mondo in generale. Che l'altro non si manifesti come tale se non nel suo rapporto allo stesso e una evidenza che i Greci non avevano avuto bisogno di riconoscere nelI'egologia trascendentale che la convalidera pili tardi, ed e la violenza come origine del senso e del discorso nel regno della finitezza '. La differenza tra 10 stesso e l'altro, che non e una differenza 0 una rela, Questa connaturalid. del discorso e della violenza non ci sembra sia sopravvelluta nel corso della storia, ne che sia collegata ad una certa forma della comunicazione, 0 ancora ad una certa «filosofia». Vorremmo mostrare qui che questa connaturalit. appartiene all'essenza stessa della storia, della storicit. trascendentale, nozione che non puo essere qui intesa se non nell'eco di una parola comune - in un senso che sarebbe necessario chiarire meglio _. a Hegel, Husser!, e Heidegger. L'informazione storica 0 etno-sociologica puo essere in questo caso usata solo per convalidare o sostenere, a titolo di esempio fattuale, I'evidenza eidetico-trascendentale. Anche se questa informazione fosse usata (raccolta, descritta, esplicitata) con la massima prudenza filosofica 0 metodologica, vale a dire, anche se si articola correttamente con la lettura d'essenza e rispetta tutti i livelli di generalit. eidetica, non puo in a!cun caso londare 0 dimostrare nessuna necessit. d'essenza. Per esempio, non siamo affatto certi che queste precauzioni, sia tecniche che trascendentaIi, siano state prese da Levi-Strauss quando, nel contesto di alcune belle pagine di Tristi tropici, avanza «I'ipotesi »... «che la funzione primaria della comunicazione scritta quella di facilitare ]'asservimento ... » (efr. c. L1lVI-STRAUSS, Trisles tropiques, PIon, Paris 1955 [Trisli tropici, trad. di B. Garufi, II Saggiatore, Milano 1965']). Se la scrittura - e gi. la parola in generale - contiene in so una violenza essenziale, non 10 si puo «dimostrare» 0 «verificare» a partire da «tatti», qualunque sia la sfera da cui questi fatti vengono attinti ed anche se la total ita dei « fatti» potesse essere disponibile in questo campo. Spesso si vede come la ptatica descrittiva delle « scienze umane» tenda a mescolare, in una confusione quanto mai seducente (in tutti i sensi dell'espressione), l'indagine empirica, l'ipotesi induttiva e I'intuizione d'essenza senza prendere alcuna precauzione per quanto riguarda I'origine e la funzione delle proposizioni formulate.
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zione qualsiasi, non ha senso nell'infinito, a meno che non si parli, come Hegel e contro Levinas, dell'inquietudine dell'infinito che si determina e si nega da se stesso. Certo, Ia violenza si manifesta nell'orizzonte di una idea dell'infinito. Ma questa orizzonte non e quello dell'infinitamente aItro, ma quello di un regno in cui Ia differenza tra 10 stesso e I'aItro, Ia differanza, non avrebbe pili corso, vale a dire di un regno in cui la pace stessa non avrebbe pili senso. E in primo luogo perche non ci sarebbe pili fenomenicita e sen so in generale. L'infinitamente aItro e I'infinitamente stesso, se queste due parole hanno un sen so per un essere finito, sono Ia stessa cosa. Hegel stesso non riconosceva Ia negativita, l'inquietudine 0 la guerra nell'infinito assoluto se non come il movimento della sua propria storia ed in vista di una pacificazione finale in cui l'alterita verrebbe assolutamente riassunta se non tolta nella parusia '. Come interpretare la necessita di pensare il latto di quello che e innanzitutto in vista, nel caso specifico, di cia che si chiama, in generale, Ia fine della storia? Che e come chiedersi che cosa significhi il pensiero dell'aItro come aItro, ese, in quest'unico caso, Ia luce del «come tale» non sia la dissimulazione stessa. Dnico caso? No, bisogna rovesciare i termini: «aItro» e il nome, «aItro» e il senso di questa unita impensabile della luce e della notte. Quel che vuol dire «aItro», e Ia fenomenicita come sparizione. Si tratta qui di una «terza via esclusa da quei poli contraddittori» (rivelazione e dissimulazione, la traccia dell'altro)? Ma essa non pua manifestarsi ed essere detta se non come terza. Se Ia si chiama «traccia», questa parola non pua sorgere se non come metafora il cui chiarimento filosofico fara appello continuamente ai due poli «contraddittori». Altrimenti la sua originalita - cia che Ia distingue dal Segno (parola convenzionalmente sceIta da Levinas) non si manifesterebbe. Ora, bisogna Iasciare che si manifesti. E i1 fenomeno presuppone Ia sua originaria contaminazione con il segno. La guerra e dunque congenita aUa fenomenicita, e il sorgere stesso della parola e del manifestarsi. Non per caso Hegel rifiuta di pronunciare Ia parol a «uomo» nella Fenomenologia dello spirito e descrive Ia guerra (per esempio Ia dialettica del Signore e del Servo), senza alcun riferimento antropoIogico, nel campo di una scienza della coscienza, cioe della fenomenicita stessa, nella struttura necessaria del suo movimento: scienza dell'esperienza e della coscienza. II discorso, se e originariamente violento, non pua dunque che larsi 1 L'aJteritit, la differenza, iJ tempo non sana soppressi rna Irattenuli daJ sapere assoJuto nella forma dell'Au/hebung.
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violenza, negarsi per affermarsi, fare Ia guerra aHa guerra che 10 istituisce, senza mai potere, in quanta discorso, riappropriarsi di queUa negativita. Senza dovere riappropriarsela perche, se 10 facesse, I'orizzonte della pace svanirebbe nella notte (violenza peggiore come pre-violenza). Questa guerra seconda, come confessione, e Ia minor violenza possibile, Ia sola maniera di reprimere Ia violenza pili grave, quell a del siIenzio primitivo e pre-logico, di una notte inimmaginabile che non sarebbe neppure il contrario del giomo, di una vioIenza assoluta che non sarebbe neppure il contrario della non-violenza: il nulla 0 il nonsenso puri. II discorso si sceglie dunque vioIentemente contro iI nulla e il non-senso puri e, nella filosofia, contro il nichilismo. Perche cia non avvenisse, sarebbe necessario che l'escatoIogia che aliment a il discorso di Levinas avesse gia mantenuto Ia sua promessa fino aI punto di non potere nemmeno pili prodursi nel discorso come escatologia ed idea della pace «al di Ia della storia». Bisognerebbe che fosse state instaurato il «trionfo messianico» «premunito contro Ia rivincita del male». Questo trionfo messianico, che e l'orizzonte dellibro di Levinas, ma che ne «oItrepassa i limiti» (TI). non potrebbe abolire Ia vioIenza se non sospendendo Ia differenza (congiunzione 0 opposizione) tra 10 stesso e I'aItro, cioe sospendendo l'idea della pace. Ma questa orizzonte stesso non pua qui ed ora (in un presente in generale) essere detto, Ia fine non pua essere detta, l'escatologia e possibile solo attraverso la violenza. Questa attraversata infinita e quello che si chiama Ia storia. Ignorare I'irriducibilita di questa ultima violenza, significa ritomare nell'ordine del discorso filosofico che non si pua voler rifiutare, se non rischiando Ia violenza pitt grave, aI dogmatismo infinitista di stile prekantiano che non pone Ia questione della responsabilita del proprio discorso filosofico finito. E vero che Ia delega a Dio di questa responsabilita, non e un'abdicazione, poiche Dio non e un terzo finito: COS1 pensata, Ia responsabilita divina non esclude ne diminuisce l'integrita della mia, di quella del filosofo finito. Al contrario, Ia esige e Ia reclama, come proprio telos e propria origine. Ma il latto dell'inadeguazione delle due responsabilita 0 di questa unica responsabilita a se stessa - Ia storia 0 inquietudine dell'infinito - non e ancora un tema per i razionalisti prekantiani, e bisognerebbe anzi dire prehegeliani. Sara COS1 fintanto che non sara tolta quell a evidenza assolutamente principale che e, secondo i termini testuali di Levinas, «quella impossibilita per I'io di non essere se» anche quando esce verso I'altro, e senza Ia quale, d'aItra parte, non potrebbe uscire da se; impossibilita della quale Levinas dice con forza che «contrassegna Ia fondamentale
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La sed ttura e la ditferenza
tragicita dell'io, il fatto che esso e inchiodato al suo essere» (EE). II fatto, soprattutto, che 10 sa. Questo sapere eil primo dis~orso e I? prima parola dell'escatologia; quello che permette la separaZlOne, e dl parlare all'altro. Non eun sapere tra gli altri, eil sapere stesso. «E quel1'" essere-sempre-uno - e tuttavia-sempre-altro" che e la caratteristiea fondamentale del sapere ecc.» (Schelling). Nessuna filosofia responsabile del suo linguaggio puo rinunciare all'ipseita in generale, e menD di ogni altra, la filosofia 0 l'escatologia della separ~zion~. Tr? la trag~di.a origin aria e il trionfo messianieo sta la .filoso/ia m cutla vlOlenza st rtvolge contro di se nel sapere, in cui la finitezza origin aria si manifesta a se e in cui l'altro e rispettato nello stesso e attraverso 10 stesso. Questa finitezza si manifesta a se in una interrogazione irriducibilmente aperta come interroga:done /iloso/ica in gener~te: p~r:he la forma essenziale, irriducibile, assolutamente generale e mcondtzlOnata dell'esperienza come uscita verso l:altro e ancora ~'eg~ita? Perche e impossibile, impensabile una esperten~a c?e non sta vtssuta ~ome la mia (per un ego in generale, nel senso etdettco-tra~c~ndental.e ?t 9~este espressioni)? Questo impensabile, questo imposstbtle sono t!tmtH della ragione in generale. 0, in altri termini: perche la /initezza? s~, come aveva detto Schelling, «l'egoita eil principio generale della fimtezza». Perche la Ragione? se evero che «la Ragione e l'eg~ita, nella loro As~o lutezza vera sono una sola e stessa cosa ... » (Schellmg) e che «la raglOne ... euna f~rma di struttura universale ed essenziale della soggettivita trascendentale in generale» (Husserl). La filosofia che e il discorso di questa ragione come fenomenologia non puo per esse~za ris~ondere. a tale interrogazione perche ogni risposta puo darsi solo m u~ !tnguagglO e illinguaggio e aperto dalla interrogazione. La filosofia (m ge~erale) puo solo aprirsi alIa interrogazione, in essa e attraverso essa. Puo solamente lasciarsi interrogare. Husserllo sapeva, e chiamava archi-fattualita. (Urtatsache), fattua,lita non-empirica, fattualita trascendentale (nozlOne che forse non e mai stata pres a in attenta considerazione), l'essenza irriducib.ilmente egoiea delI'esperienza. «Questo io sono e, per m.e, pe.r t;Je che.dtco questo, e 10 dieo in piena comprensione, la base prtmarta tntenztonale Pe.r il mio mondo (der intentionale Urgrund lur meine Welt) ... » '. It mto mondo el'apertura in cui si attua ogni esperienza, compresa quella che, esperienza per eccellenza, e trascendenza verso. altri come tale. Nulla puo manifestarsi fuori dell'appartenenza al «mlO mondo» per un «lo , E. HUSSERL,
Logica formale e logica trascendentale cit., p.
293.
II corsivo edi Husser!'
,
Violenza e metafisica
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sono». «Che cia mi piaccia 0 no, che cia mi possa 0 no parere inaudito (e per qualsiasi pregiudizio cia avvenga) questo eil dato di latto primario che io devo afJrontare (die Urtatsache, der ich standhalten musz), e da] quale io, in quanta 6losofo, non posso mai distogliere 10 sguardo. Per 6lo.s06 ap~rendisti.' q~esto puo essere I'angolo oscuro in cui si agitanG glt spettn del soltpslsmo 0 anche dello psieologismo e del relativismo. II vero 6losofo pero, anziehe lasciarsene impaurire, preferira gr:ttar Iuce sopra questo angola buio» '. Compreso in questa senso, il rapporto intenzionale dell'ego al «mio mondo», non puo essere aperto a cominciare da un in6nito-altro radiealmente estraneo al «mio mondo», non puo essermi <
293.
II corsivo I: di Husser!'
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La scrittura e 1a differenza
rna di un presente (passato) segna l'impossibile-impensabile-indicibile non solo per una filosofia in generale, rna anche per un pensiero dell'essere che volesse fare un pas so fuori della filosofia. E tuttavia questa nozione diventa un tema in quell a meditazione della traccia che si delinea negli ultimi scritti di Levinas. Nel presente vivente la cui nozione einsieme la pili semplice e la pili difllcile, ogni alterita temporale PUQ costituirsi e manifestarsi come tale: altro presente passato, altro presente futuro, altre origini as solute rivissute nella modificazione intenzionale, nell'unita e nell'attualita del mio presente vivente. Solo l'unita attuaIe del mio presente vivente permette ad altri presenti (ad altre origini assolute) di manifestarsi come tali in ciQ che viene chiamata la memoria o l'anticipazione (per esempio, rna in verita nel movimento costante della temporalizzazione). Ma solo l'alterita dei presenti passati e futuri permette l'identita assoluta del presente vivente come identita a se della non-identita a se. Bisognerebbe, a partire dalle Meditazioni cartesiane, mostrare 1 come, poiche ogni problema di genesi fattuale egia stato ridotto, il problema dell' anteriorita nel rapporto tra la costituzione dell'altro come altro presente e dell'altro come altri eun falso problema, che deve rinviare ad una radice strutturale comune. Husserl, benche nelle Meditazioni cartesiane accenni soltanto all'analogia dei due movimenti (§ 52), in molti passi degli inediti sembra considerarli inseparabili. Se, in ultima analisi, si vuole determinare la violenza come la necessita per l'altro di non mostrarsi come ciQ che e, di non essere rispettato che nello stesso, per 10 stesso e dallo stesso, di essere occultato dallo stesso proprio nelliberarsi del suo fenomeno, allora il tempo eviolenza. Questo movimento di liberazione dell'alterita assoluta nello stesso assoluto eil movimento della temporalizzazione nella sua forma universale pili assolutamente incondizionata: il presente vivente. Se il presente vivente, forma assoluta dell'apertura del tempo all'altro in se, e la forma assoluta della vita egologica e se l'egoita e la forma assoluta dell'esperienza, allora il presente, la presenza del presente e il presente della presenza sono originariamente e per sempre violenza. II presente vivente e originariamente travagliato dalla morte. La presenza come violenza eil senso della finitezza, il senso del senso come storia.
Vio1enza e metafisica
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Ma perche? Perche la finitezza? Perche la storia I? E perche noi possiamo, a partire da che cos a noi possiamo porre delle interrogazioni su questa violenza come finitezza e storia? Perche il perche? E da che punto si lascia intendere nella sua determinazione filosofica? La metafisica di Levinas presuppone in un senso - almeno, abbiamo tentato di dimostrarlo - quell a fenomenologia trascendentale che vuole mettere in questione. E tuttavia la legittimita di tale messa in questione non ci sembra meno radicale. Qual el'origine dell'interrogazione sull'archi-fattualita trascendentale come violenza? A partire da che cosa ci si interroga sulla finitezza come violenza? A partire da che cosa la violenza originale del discorso si lascia ordinare di rivolgersi contro di se, di essere sempre, in quanta linguaggio, ripensamento contro di se che riconosce l'altro come altro? Certo non si PUQ rispondere a queste interrogazioni (per esempio, dicendo che l'interrogazione sulla violenza della finitezza PUQ essere posta solo partendo dalI'altro della finitezza e dall'idea dell'infinito) se non avviando un nuovo discorso che giustifichera di nuovo la fenomenologia trascendentale. Ma l'apertura nuda dell'interrogazione, la sua apertura siIenziosa sfugge alIa fenomenologia, come l'origine e la fine del suo logos. Questa apertura silenziosa dell'interrogazione sulla storia come finitezza e violenza permette il manifestarsi della storia come tale; essa el'appello (a) (di) una escatologia che dissimula la propria apertura, la copre col suo rumore non appena essa si profferisce e si determina. Questa apertura equella di una interrogazione posta nell'inversione della disimmetria trascendentale, alla filosofia come logos, finitezza, storia, violenza. Interpellanza del Greco, da parte del non-Greco, dal fondo di un silenzio, di una affezione ultraIogica della parola, di una interrogazione che non PUQ dirsi se non obliandosi nella lingua dei Greci; che non PUQ dirsi, obliandosi, se non nella lingua dei Greci. Strano dialogo tra la parola e il silenzio. Strana comunanza dell'interrogazione silenziosa di cui abbiamo parlato prima. E il pun to in cui, ci sembra, al di la di ogni malinteso sulla letteralita dell'ambizione husserliana, la fenomenologia e l'escatologia possono interminabiImente intrecciare il dialogo, interpenetrarsi in esso, invi tarsi reciprocamente al silenzio. 1
«Die Frage des Watum ist urspriinglich Frage nach der Geschichte» (Husser!, inedito,
E. III, 9, I93IJ.
e
1 Naturalmente non ci possibile farlo qui; invece di pensare che ci sia solo da ammira~e in silenzio questa quinta meditazione cartesiana come espressione concIu,siva .del problema,. ';lUi ab; biamo voluto solo cominciare a saggiare, a rispettare il suo potere dt reststenza aIle cntlche dt
Levinas. 7
Violenza e metafisica
La scri ttura e Ia differenza
Sulla violenza ontologica. II silenzio euna parola che non euna parola e il softio eun oggetto che non eun oggetto. G. BATAILLE
II movimento di questo dialogo non presiede anche alIa spiegazione con Heidegger? Non vi sarebbe nulla di sorprendente. Sarebbe sufficiente, per persuadersene, rilevare, ne! modo pili schematico, quanta segue: per parlare, come abbiamo fatto, del presente come forma assoIuta dell'esperienza, e necessario intendere gill quello che il tempo e, quello che el' ens del praes-ens e quello che eIa prossimita dell' essere di questa ens. II presente della presenza e Ia presenza del presente presuppongono I'orizzonte, I'anticipazione precomprensiva dell'essere come tempo. Se il sen so dell'essere esempre state determinato dalla filos?fia come presenza, l'interrogazione dell'essere, posta a partire dall'orlzzonte trascendentale del tempo (prima tappa, in Sein und Zeit) eIa prima scossa inferta alIa sicurezza filosofica come alIa presenza certa. Ora, Husserl non ha mai sviluppato questa interrogazione dell'essereo Anche se Ia fenomenologia Ia porta in se ogni volta che affronta i t~mi della temporalizzazione e del rapporto all' alter ego, nondimeno, nmane subordinata ad una metafisica della presenza. L'interrogazione dell'essere non guida il suo discorso. La fenomenologia in generale, come passaggio all'essenzialita, presuppone l'anticipazione dell' esse dell'essenza, dell'unita dell' esse anteriore alla sua distribuzione in essenza ed esistenza. Per un'altra strada si potrebbe senza dubbio mostrare che una anticipazione 0 una decisione metafisica e tacitamente presupposta da Husser! quando, per esempio, afferma I'essere (Sein) come non-realta (Realitat) dell'ideale (Ideal). L'idealira eirreale, ma e- come oggetto 0 essere pensato. Senza I'accesso presupposto ad un senso dell'essere che Ia realta non esaurisce, tutta Ia teoria husserliana dell'idealita svanirebbe, e con essa, tutta Ia fenomenologia trascendentale. Husserl, per esempio, non potrebbe pili scrivere: OfJenbar musz uberhaupt jeder Versuch, das Sein des !dealen in ein mogliche! Sein von Realem umzudeuten, daran scheitern, dasz Moglichkeiten selbst wieder ideale Gegenstande sind. So wenig in der realen Welt Zahlen im allgemeinen, Dreiecke im allgemeinen zu finden sind, so wenig auch Moglichkeiten. ({ Evidentemente ogni tentativo di interpret are l'essere dell'ideale come un possibiIe essere del reale dovra necessariamente fallire di fronte al fatto che Ie pos-
sibilita stesse sono a Ioro volta, oggetti ideali. Nel mondo reale, cos1 come non si trovano i numeri 0 i triangoli in generale non si trovano neppure Ie possibilith '. II senso dell'essere - prima di ogni determinazione regionale - deve innanzitutto essere pensato perche si possa dis tinguere I'ideale che edal reale che non e, ma anche dal fittizio che fa parte del campo del reale possibile. (<
Ricerche /ogiche, trad. di G. Piana, II Saggiatore, Milano I968, vol. I, ri-
cerca II, I, § 4, IIj, p. 386. , Ibid., vol. I, ricerca II, II, § 8, J Ibid., Intr., ro8, p. 378. 4
I24,
p. 385.
L'ontologie est-eUe fondamentale? cit.
La scrittura e Ia difIerenza
VioIenza e metafisica
dendo Altri. E una delittuosa «lapalissade» che mette l'etica sotto i piedi dell'ontologia. Ma che cos a pens are dell'«ontologia» e del «truismo»? (<
Lettre sur l'humanisme cit.
2 «Noi andiamo piu lontano e, anche se puo sembrare che confondiamo teoria e pratica, trattiamo I'una e I'altra come modi della trascendenza metafisica. La confusione apparente voluta e costituisce una delle tesi di questo libro» (TI). 3 Lfttre sur l'human;sme cit.
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mente, il pili concretamente pensato di ogni pensiero, 1a radice comune dell'essenza e dell'esistenza, senza la quale non sarebbero possibili nessun giudizio, nessun linguaggio e che ogni concetto non puo che presupporre, occultandolo '! Ma se l'<
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La scrittura e la differenza Violenza e metafisica
rna che prende in considerazione l'archi-essente, la prima cosa e la causa prima che dominano, il pensiero dell'essere non riguarda e non esercita aleun potere. Perche il potere e un rapporto tra essenti: «Un tale pensiero non ha risultato. Non produce aleun effetto» I. Levinas scrive: «L'ontologia come filosofia prima, e una filosofia del potere» (TI). Forse e vero. Ma l'abbiamo visto: il pensiero dell'essere non e una ontologia, ne una filosofia prima, ne una filosofia del potere. Estraneo ad ogni filosofia prima non si contrappone ad aleuna specie di filosofia prima. Neppure alIa morale se, come dice Levinas, «la morale non e un ramo della filosofia, rna la filosofia prima» (TI). Estraneo alIa ricerca di una archia ontica in generale, di una arehia etica 0 politic a in particolare, non e estraneo nel senso in cui intende Levinas, che per l'appunto 10 accusa di questo, come la violenza per la non-violenza 0 il male per il bene. Si potrebbe dire che e cio che Alain diceva della filosofia: che «non e pili una politica» (0 un'etica) ... «di quanto non sia una agricoltura». Questo non significa che sia una industria. Radicalmente estraneo all'etica, non e una contro-etica, ne una subordinazione delI'etica ad una istanza gia segretamente violenta nel campo dell'etica: il neutro. Levinas ricostruisce sempre, e non solo nel caso di Heidegger, la citta 0 i1 tipo di socialita che erede di vedere profilarsi in filigrana attraverso un discorso, che non si presenta ne come sociologico ne come politico ne come etico. E paradossale vedere COS1 la citta heideO'geriana dominata da una potenza neutra, da un discorso anonimo, ~ioe da quel «si» (Man) di cui proprio Heidegger per primo, ha deseritto l'inautenticita. Se e vero, in un sen so difficile, che i1 Logos, per Heidegger, «non e il Logos di nessuno» certo cio non significa che sia l'anonimato delI'oppressione, l'impersonalita dello Stato 0 la neutralita del «si dice». E anonimo solo come la possibilita del nome e della responsabilita. «Ma se l'uomo un giorno dovra giungere nella prossimita dell'essere, dovra prima di tutto imparare ad esistere in cio che non ha nome» '. Non parlava anche la Cabala dell'innominabile possibilita del Nome? II pensiero delI'essere non puo quindi avere aleun programma umano, segreto 0 patente. Preso in se stesso e il solo pensiero suI quale indubbiamente nessuna antropologia, nessuna etica, e soprattutto nessuna psicanalisi etico-antropologica possono rinchiudersi 3. 1 2
Lettre sur l' humanisme cit. Ibid.
Al contrario. Non solo il pensiero dell'essere non e violenza etica ma se~~ra che se?za di esso, nessuna etica - nel sen so di Levinas - pos~ s~ aptltSl: II penslero - 0 almeno la pre-comprensione - dell'essere, cond!z~ona (m un modo suo, che esclude ogni condizionalita ontica: prinClpl, cause, premesse, ecc.) il riconoscimento delI'essenza delI'essente (?er e~en:pio qualeuno, essente come altro, come altro se, ecc.). CondiZlOna 11 rzspetto ,delI'altro come cia ~ke e: altro. Senza questa riconosci~ento, che non e una conoscenza, dlClamo senza questa «lasciar essere» ?l u~ esse~te (altri) come esistente fuori di me nell'essenza di cio che e (pn~a dl tutto nella sua alterita), non sarebbe possibile alcuna etica. «Lasclar essere» e u?a e~press~one di Heidegger che 110n significa, come sembr.a cre~ere Levmas , lasclar-essere come «oggetto di comprensione, pnma dl tuttG» e, nel caso di altri, come «interlocutore in secondo luogo». II «lasciar essere» riguarda tutte Ie forme possibili delI'essente, e.d ~nche quell~ che, per essenza: non si lasciano trasformare in «oggettl dl comprenslOne» . Se appartlene alI'essenza di altri essere inn anzitu~to e irriducibilmente «interlocutore» e «interpellato» (ibid.), il lasClar ~ssere 10 lascera esse.re quello che e, 10 rispettera come interloc~to~e-mterpeI~ato. II «Ias.clar-es~ere» non riguarda soltanto 0 per privtleglo Ie cose Impersonah. Lasclar-essere l'altro nella sua esistenza e nella. sua essenza d: altro, significa che accede al pensiero 0 (e) che il penSlero accede a CIO che e essenza e a cio che e esistenza' e a cio che e l'essere ~he ambedue ~resu~pongono. Senza cio non sarebbe possibile alcun Iasclar-essere e prIma dl tutto quello del rispetto e del comandamento etico che si rivolge alla liberta. La violenza regnerebbe a tal punto che non potrebbe nemmeno pili manifestarsi e avere un nome. Non e quindi possibile una «dominazione» della «relazione all'ess~nte» attraverso Ia «relazione alI'essere dell'essente». Heidegger critlcherebbe non soltanto Ia nozione di relazione alI'essere COS1 come L.evinas critica quella di relazione all' altro, rna anche quell; di dominazlOne:, l'essere non.e l'~ltezza, non e il signore delI'essente, perche l'altezza ~ una determmazlOne dell'essente. Sono pochi i temi che hanno sollecltato come questa l'insistenza di Heidegger: l'essere non e un essente eccellente. Che l'essere non stia al di sopra delI'essente, non implica ehe gli stia accanto. In questo caso sarebbe un altro essente. E difficile, dunque, L'ontologie est-elle fondamentale? cit. Tema molto esplicito in Sein und Zeit, per esempio (efr. M. HEIDEGGER Sein und Zeit Niemeyer, Halle 1927, p. I?I; pe~ Ia.eontrappos~zione di Sorge, besorgen, Fursiir~e, e tutto il c;P. 26 [Essere e :em~o trad. ~I P. ChlOdl, Utet, Tonno 1969, pp. 208-9 e § 26, PP. 203-I41). Sull'antiteoretlsmo dl Heldegger, III questo campo, efr. soprattutto p. 1,0 [pp. 246-47]. 1
e
«II pensiero ehe pone l'interrogazione sulla verita dell'essere ... non ne etiea ne ontolo· gia. Per questo il problema della relazione tra queste due discipline e' in questo campo ormai sen· za fondamento» (ibid.). " 3
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poter parI are della «significazione ontologiea dell'essente, nell'economia generale dell'essere - che Heidegger pone semplieemente accanto all'essere con una distinzione ... » (EE). E vero che in un altro passo, Levinas rieonosce che «se vi e distinzione non vi e separazione» (TA), il che significa gia rieonoscere che ogni rapporto ~i ,dominazion~ ~nti.ca tra essere e essente e impossibile. In realta non VI e neppure dzstmzzone nel sen so abituale della parola, tra l'essere e l'essente. Per alcune ra~ioni essenziali, e prima di tutto perche l'es~ere non e nu!la fuori de!l'essente e perche l'apertura si risolve nella dlfferenza ontlco-ontologlca, risulta impossibile evitare la metafora ontiea per artieola:e l'esser.e nellinguaggio, per lasciarlo drcolare in esso. Per questa raglOne, Heldegger diee dellinguaggio che e «lichtend-verbergende Ankunft des Seins selbst» '. Illinguaggio chiarisce e nasconde insieme e nella stesso tempo l'essere stesso. E tuttavia l'essere st~sso e il solo che r~si~ta ass~1utamente ad ogni metafora. Ogni filologla che pretenda dl n~urre :1 sensa dell'essere all'origine metaforiea della parola «essere», s11ascla sfuggire, qualunque sia il valore storieo (scientifico) delle su~ ipote.si, 1a storia del senso dell'essere. Questa storia corrisponde a una hberazlOne dell'essere nei confronti dell'essente de term ina to tale che si puo arrivare a pens are come un essente tra gli altri l'essente eponimo dell'essere, per esempio la respirazione. E in effe~ti., all.a respirazione, cOJ?e origine etimologiea della parol a essere, che SI nfenscono, per esemplO, Renan e Nietzsche, quando vogliono ridurre il senso di do che essi credono essere un concetto, la generalita indeterminata dell'esser~, alIa sua modesta origine metaforiea '. Si spiega COS1 il tutto d~lla. stona .empiriea, tranne precisamente l'essenziale, doe per esem~lO, 11 penslero che la respirazione e la non-respirazione sana. E sono In modo determinato tra altre determinazioni ontiehe. L'empirismo etimologieo, radiee nascosta di ogni empirismo, spiega tutto tranne il fatto che !a,m~ tafora ad un dato momento, sia stata pensata come metafora, ClOe Sla stata ;trappata come velo dall'essere. Quel momenta e il v~r~~ del pen: siero dell'essere stesso, il moviment~ stesso della metafoncrta. Perche quel varco si produce ancora e ~emp.r~ sotto ~n' alt:a metafora. Come diee in qualche luogo Hegel, 1 empmsmo dlmentlca sempre almeno , Letlre sllr l'hl/manisme cit. . , , Cfr. E, RENAN, De l'origine du langage, Calmann Levy, Pms 1883; F, NIETZSCHE, La .flamta della filosofia aU'epoea della tragedia greea,. trad., ~then~, ~,la~o 1926. Nello st~SS? orlZzonte problematico si possono meltere a confronto 1 procedlmentl dl Heldegger (per esemplO m I~tr?du zione aUa metafisiea [trad. di G, Masi, Mursia, Milan? 1968, cap. II: Stllia grammatlea e I etlmologia della parola «essere », pp. 63·84], e di E. Benventste (~Etre» et ~ aVOln> dans leurs fonettons linguistiques, in Problemes de linguistique generale, Galhmard, Pans 1966, § 16, pp. 187-207).
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questa: che si serve della parol a essere. L'empirismo e il pensiero per metafora che non pensa la metafora come tale. A proposito di «essere» e di «respirazione», d permetteremo un accostamento che non ha solo valore di curiosita storiea. In una lettera a X... del marzo 1638, Descartes spiega che la proposizione «" io respiro dun que sono" non approda a niente se non si e precedentemente provato di esistere 0 se non si sottintende: io penso che respiro (anche se in cio mi sbaglio), dunque sono. E non e diverso in questa senso dire: io respiro dunque sana, invece che io pens 0, dunque sana» '. Questo significa, con riferimento a quello che qui d interessa, che la significazione della respirazione non e mai altro se non una determinazione dipendente e partieolare del mio pensiero e della mia esistenza, e a fortiori del pensiero e dell'essere in generale. Supposto che la parola «essere» derivi da una parola che significa «respirazione» (0 qualsiasi altra cosa determinata), non c'e etimologia ne filologia - in quanto tali e come scienze determinate - che possano render conto del pensiero per cui la «respirazione» (0 qualsiasi altra cosa) diventano determinazione dell'essere tra Ie altre. Qui per esempio, non c'e fi10logia che possa render conto del gesto di pensiero di Descartes. E necessario passare per altre strade - 0 attraverso un' altra lettura di Nietzsche - per poter tracdare la genealogia inaudita del senso dell'essere. E una prima ragione per cui la «reiazione con un essente», con quaIcuno (relazione etiea) non puo essere «dominata» da «una relazione con I'essere dell'cssente (relazione di sapere)>>. Seconda ragione: Ia «relazione con I'essere dell'essente» che non ha nulla di una relazione, non e soprattutto una «relazione di sapere»'. Non euna teoria, I'abbiamo gia visto, e non ci insegna nulla su do che e. Poiehe non e scienza, Heidegger Ie rifiuta talvolta perfino il nome di ontologia, dopo averla distinta dalla metafisiea ed anche dalla ontoIogia fondamentale. Poiehe non e un sapere, il pensiero dell'essere non si confonde con il concetto dell'essere puro come generalita indeterminata. Levinas ce l'aveva, in precedenza, fatto capire: «Proprio perche l'essere non e un essente, non bisogna coglierlo per genus et differentiam specificam», (EDE). Ora ogni violenza e, secondo Levinas, violen, R. DESCARTES, eEuvres et lettres, a cura di A. Bridoux, Gallimard (<
e
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za del concerto; e L' ontologie est-elle fondamentale?, e poi Tot,alite et Infini interpretano il pensiero dell'essere come concet~o d~ll ess:r~. Contrapponendosi a Heidegger, Le~inas sc~iv~, tra molu altr.l passl SImili: «Nel nostro rapporto con altn, quest ulumo non entra m contatto con noi a partire da un concetto ... » (Uontologie ~st-elle f~ndamen tale?). Secondo Levinas eil concetto assolutamente ~ndetermmat~ dell'essere che espone innne altri alla nostra con:prensl0n~,. va!e a dIre al nostro potere e alla nostra violenza. Ora Heldegger VI mSlste a sufficienza: l'essere di cui parla non eil concetto a cui l'essente ~~er esempio, qualcuno) sarebbe sottoposto ~sussunto). L'essere non e 11 concetto di questa predicato abbastanza mdetermmat?" abba~tanza ~stratto, nella sua universalita, per comprendere la totahta degh essent1:
e un predicato ed autorizza ogni predi~azione; epili «vecchio» della presenza concreta dell ens;
I) perche non 2) perche
3) perche l'appartenenza all'essere ~on annulla a~cu?a differenza predicativa ma, al contrario, lascla sorgere ogm dlfferenza possibile 1.
L'essere e dunque trans-categoriale e Heidegger direbb~ di esso quello che Levinas dice dell'altro: e «refrattario alla categona» (TI). «II problema dell'essere come problema ~ella possibilita del conce,tto di essere, sorge a sua volta dalla comprenSlO?e pre-concettuale del~ essere» " scrive Heidegger avviando a proPOSlto. del. c.oncetto hege~lano dell'essere puro come nulla un dialogo ed una npetlZlOn.e che contmueranno in seguito ad approfondirsi, nello stile che e. quasI se.mpr~ que~lo del dialogo di Heidegger con i pensatori della tr.ad1Zl?ne, CI0~ dllasClar crescere e parlare la parola di Hegel, la par.ola dl ?gm metanslca (Hegel compreso, 0 meglio che si comprende per mtero m Hegel). . . . A' I .,. sam"nte dimostrato 1 Non e necessario qui risalire al presocratlc1. tlstote e avev~ gla ngoro 13 8b) che I'essere non ne ~n g~nere ne un principio {efr. per e~~mpI?, Metalis/ca, ,3, t~a c~~~ Questa dimostrazione condotta contemporaneamente ad una ~ntlca dl Platon~, non co.nv~,' d' verita una intenzione .del Solista? Q?i l'echssere era c::lOhdefimto ~~me ~Tp~~:li~::i~~~ f~ug~~~~al:~ e il redicato pili umversale, rna gla an e come CIO c, e perme. e og d' In q~anto origine e possibilita della predicazione, non e un predlcat';, 0 almeno un f;er:~at~e~~~~ gli altri rna un predicato trascendentale 0 transcategortale. Inoltre II Solista - e p P q •. il suo t~ma - ~i i~segn~ a pe~s~re che I'essere, altro da}l'dalt,o :h~;~~n~:ll~~tI:slib~~~ssin~e~~,'~d plicato in ruttl gh aim genet! In quanto sono, non ~hlU ~ a , ' esso stesso e quello che e solo per mezzo di questa hberaz!one. Sui carattere non-con, M HEIDEGGER Kant e il problema della metalis/ca Cit., § 40, p. 296. d d' P Ch' d' cettuale del pensier~ dell'essere, cfr. fra gli altri: LDell'essenl~hdel fondame~toptr~7: I~tr~du;~:~ in a pendice a Essere e tempo cit., pp. 633 sgg.; ellre sur umantsme. Cl ".' I' '1 § 1 di all/metalisica cit., pp. 50 sgg.; Sentieri interrolli cit., pp. 328-32. E 10 pnmo uogo I Sein und Zeit cit.
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COS1 il pensiero, 0 la pre-comprensione dell'essere non significa affatto un con-prendere concettuale e totalitario. Quel che abbiamo detto dell' essere si potrebbe dire dello stesso 1. Considerare l'essere (e 10 stesso) come categorie, 0 la «relazione all'essere» come relazione a una categoria che potrebbe essere anch'essa (per «inversione dei termini», TI) post-posta e subordinata a una relazione determinata (relazione etica, per esempio), non vuol dire interdirsi nn dal principio ogni determinazione (etica per esempio)? Ogni determinazione pre-suppone in effetti il pensiero dell'essere. Senza di esso, come dare un senso all'essere come altro, come altro se, un sen so all'irriducibilita dell'esistenza e dell'essenza dell'altro, un senso alIa responsabilita che ne deriva? ecc. II privilegio di essere «responsabile di se stessi, come essente, 0, in altri termini di esistere, comporta di per se la necessita di comprendere 1'essere» '. Se comprendere l'essere e poter lasciar essere (rispettarel'essere nell'essenza e nell'esistenza, ed essere responsabile del suo rispetto), Ia comprensione dell'essere riguarda sempre l'alterita e per eccellenza l'alterita di altri con tutta la sua originalita: non si puo lasciar essere se non cia che non si e. Se l'essere e sempre da lasciare essere e se pensare elasciar essere l'essere, l'essere eappunto l'altro del pensiero. Ma poiche equello che egrazie allasciar essere del pensiero, e poiche quest'ultimo non pensa se non grazie alla presenza dell'essere che esso lascia essere, i1 pensiero e l'essere, il pensiero e l'altro, sono 10 stesso; il che, ricordiamolo, non vuol dire l'identico 0 I'uno oI'uguale. Cia equivale a dire che il pensiero dell'essere non fa dell'altro una specie del genere essere. Non solo perche l'altro e«refrattario alla categoria», ma perche l'essere non e una categoria. Come l'altro, l'essere non ha alcuna complicita con la totalita, ne con la totalita nnita, tot alita violenta di cui parla Levinas, ne con una totaIita innnita. La nozione di totalita fa sempre riferimento all'essente. E sempre «metafisica» o «teologica» ed ein riferimento ad essa che Ie nozioni di nnito 0 infi1 I rapporti essenziali tra 10 stesso e l'altro (la differenza) sono di natura tale che I'ipotesi stessa di una sussunzione dell'altra aHo stesso (la violenza, secondo Levinas) non ha senso. La stesso non e una categoria, rna la possibilita di ogni categoria. Bisognerebbe qui mettere a confronto con attenzione Ie tesi di Levinas con il testo di Heidegger intitolato Identitat und Dif/erenz ted. cit., 1957). Per Levinas 10 stesso e il concetto, come I'essere e I'uno sono dei concetti e questi tre concetti comunicano immediatamente tra di lora (efr. rI, p. 25T, per esempio). Per Heidegger, 10 stessa non e I'identico (efr. Lellre sur l'htlmanisme cit., p. 163, per esempio). E prima di tUtlo perche non e una categoria. La stesso non e la negazione della differenza, e neppure l'essere. , M. HEIDEGGER, Kant e il problema della metalisica cit., § 41, p. 299.
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nito prendono un senso Estraneo alla totalita finita 0 in£1nita deg1i essenti, estraneo nel senso che abbiamo pili sopra precisato, estraneo senza essere un altro essente 0 un'altra totalita di essenti, l'Essere non puo opprimere 0 imprigionare l'essente e Ie sue differenze. Pe~ch.e 10 sguardo dell'altro mi comandi, come dice Levinas, e mi comand1 d1 comandare, bisogna che io possa 1asciar essere l'Altro nella sua lib:rta di Altro e reciprocamente. Ma l'essere stesso non comanda nulla ne a1cuno. Poiche l'essere non e il signore dell'essente, 1a sua pre-essenza (metafora ontica) non e una archia. La liberazione pili efficace dalla vio1enza, sta in un certo modo di porre il problema che spinga alIa ricerca dell'apxT]. Solo il pensiero dell'essere puo farlo, e non possono farlo 1a «£110so£1a» 0 1a «meta£1sica» tradizionali. Queste ultime quindi sono delle «politiche» che non possono sfuggire alIa .vio1enza et!ca se n~n per economia: 10ttando vio1entemente contro Ie v101enze dell an-archta, 1a cui possibilid, nella storia, e ancora complice dell'archismo. . Allo stesso modo che doveva implicitamente richiamarsi ad eV1denze fenomeno10giche contro 1a fenomeno10gia, Levinas deve quindi presupporre e praticare continuamente il pensiero 0 1a pre-comprenSlOne dell'essere nel suo discorso, anche quando 10 rivo1ge contro l'«onto10gia». Che cosa signi£1cherebbe, altrimenti, l'«este.riorita c~me ess~nza dell'essere» (TI)? E l'asserzione che «l'escato10g1a mette m relazlOne con l'essere al di la della totalita 0 della storia e non con l'essere a1 di 1a del passato ~ del presente» (TI)? E «sostenere il p1uralismo come struttura dell'essere» (DL)? E che «l'incontro con il viso e, in modo asso1uto, un rapporto con quello che e. Forse solo l'~omo e sostanza e per questa e viso» '? La trascendenza etico-meta£1s1ca dunque presuppone gia 1a trascendenza onto10gica. L' E1dXELva. "tfj~ OUG"La.~ (interpretaI.
1 Nel suo bellissimo studio, Heidegger et la pemee de la finitude, H. Biraud dimostra in che modo il tema dell'Endliehkeit viene progressivamente abbandonato da Heldegger, I?er
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zione di Levinas) non condurrebbe a1 di 1a dell'Essere stesso, ma a1 di 1a della totalita dell'essente 0 dell'entita dell'essente (essere essente dell'essente) 0 ancora della storia ontica. Anche Heidegger fa riferimen to all' E1tEXELVa. "tfj~ OUG"La.~ per annunciare 1a trascendenza onto10gica 1, ma dimostra anche che e stata troppo presto determinata l'indeterminazione dell'aya.il6v verso 1a qua1e Sl apre un varco 1a trascendenza. COS1 il pensiero dell'essere non puo prodursi come vio1enza etica. E senza di esso invece che ci sarebbe vietato di lasciare essere l'essente e si rinchiuder~bbe 1a t~ascendenza nell'identi£1cazione e nella economia empirica. Rifiutandosi, in Totalite et Infini, di prestare una qua1siasi dignita alla differenza ontico-onto10gica, vedendo in essa soltanto un'astuzia di guerra e definendo metafisico il movimento inter-o,ntico dell~ trascendenza etica (movimento rispettoso di un essente ne1 confront! dell'altro) Levinas convalida 1a tesi di Heidegger: non e Heidegger che vede ~ella inetafisica (nell'onto10gia metafisica) 1a dimenticanza dell'essere e l'occultamento della differenza ontico-onto10gica? «La Metafisica non pone l'interrogazione della verita dell'Essere stesso» '. Essa pensa l'essere in maniera implicita, come e inevitabi1e ~n ogni linguaggio. Per questo il pensiero dell'ess~r~ deve.prendere 11 suo pu~ to di avvio nella metafisica e presentarsl, mnanzltutto, come metafislca della metafisica nella interrogazione: «Che cos'e 1a Metafisica?» Ma 1a differenza tra l'implicito e l'esplicito e il tutto del pensiero e, determinata in modo carretto, da 1a propria forma alle rotture e alle interrogazioni pili radicali. «E vero dice ancora Heidegger - che 1a Metafisica rappresenta l'essente nel suo essere e pensa COS1 l'essere de1l'essente. Ma essa non pensa la differenza tra l'Essere e l'essente» '. Per Heidegger e quindi 1a metafisica (0 l'onto10gia metafisica) che rimane chiusura della totalita e che non trascende l'essente se non verso l'essente (superiore) 0 verso 1a totalita (finita 0 infinita) dell'essente. Questa metafisica sarebbe essenzialmente 1egata a un umanesimo che non si chiede mai «in qual modo l'essenza dell'uomo appartiene alIa verita dell'Essere» '. La peculiarita di ogni meta£1sica si rivela nel fatto che essa e «umanista» 5. Ora quel che ci propone ~e vinas e appunto nella stesso tempo un umanesimo e una metafislCa. Si tratta di accedere, per 1a via sovrana dell'etica, all'essente supremo, Dell'essenza del /ondamento cit.; Introduzione alia metafisiea cit. Lellre sur l'humanisme cit., p. 51 e passim. , Ibid., p. 49. Cfr. anche altri Iuoghi, pp. 67, 75,113 ecc. , Ibid., p. 5I. S Ibid., p. 47. 1
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all'autenticamente essente (<<sostanza» e «in se» sono espressioni di Levinas) come altro. E questa essente e l'uomo, determinato nella sua essenza d'uomo, come viso, a partire dalla sua somiglianza con Dio. Non e quel che intende Heidegger quan~o parl~ dell'unita de!la metafisica, dell'umanesimo e dell'onto-teologla? «L lncontro del VISO non e soltanto un fatto antropologico. E, in modo assoluto, un rapporto con cio che e. Forse solo l'uomo e sostanza ed e per questa che e viso». Certo. Ma e l'analogia del viso con la faccia di Dio che, nel modo pili dassico, distingue l'uomo dall'animale e determina la sua sos~anzialita: «Altri assomiglia a Dim>. La sostanzialita dell'uomo che gh permette di essere viso e COS1 fondata nella somiglianza con Dio che e dun que II Viso e la so~tanzialita assoluta. II tema del vi so richiama, quindi, un secondo riferimento a Descartes. Levinas non 10 formula mai: e, riconosciuta dalla Scuola, l'equivocita della nozione di sostanza, nei confronti di Dio e delle creature (efr., per esempio, Principi, I, cap. 51). Attraverso pili di una mediazione ci viene proposta la problematica scolastica dell'analogia. Noi non abbiamo l'intenzione di ent.rare qui in argomento 1. Notiamo semplicemente c~e l' esp:essione del Vl~O ~mano, pensata a partire da una dottrina dell analog1a, dalla «soml~hanza», non e pili, in profondita, COS1 estranea alIa meta/ora come Levlnas se~ bra desiderare ... «Altri assomiglia a Dio ... » non e forse la metafora Orlginaria? . ', II problema dell'essere e solo una contestazl~ne. della vetlta m.eta/isica di questo schema del quale, notiamolo per lnC1S0, quel che ~len~ chiamato «l'umanesimo ateo» si serve precisamente per denunciarvi il processo stesso dell'ali~nazione. II problem.a.dell'esse~e risale a.l ~i qua di questa schema, dl questa contrapposlzlOne degh um?nes.lml, verso il pensiero dell'essere, presupposto da quella determln?ZlOne dell'essente-uomo, dell'essente-Dio, del 10ro rapporto analog1co, la cui possibilita puo essere intro~otta solo, d~ll'un~ta 'pre-,concettual~ e pre-analogica dell'essere. Non SI tratta ne dl sostltUlre 1essere. a I?1~, ne di fondare Dio sull'e5sere. L'essere dell'essente (per es. dl DlO ) 1 Citeremo invece un passo della Dotta ignoranza in cui Nicola Cusano si chiede: «In .che modo potremo dunque' comprendere 1a crea:ura, in. qua~to creatura d~to, ch~ proce~e da DIO e nel suo insieme non puo aggiungere nulla ~11 E,sse:e m~mto?» E per chlan~e II «du~hce process? del mascheramento e del disvelamento» dl CUI «Ignonamo assoI,:ta:nente ,II, procedlmento» scn: ve: «Supponiamo che ci sia un volta la cu! imm~gi?e veng~ m~ltiphcat~,vlcmo, e lontano (n?n SI allude qui ad una distanza spaziale, ma al gradl dl parteclp,aZIO?e del~ Immagm~ alia ye:lta d~l modello poiehe in questo consiste necessariamente la parteCipazlOne); I,n, quelle Imm~glm olti plicate ~ differenziate di un unieo viso, secondo modi diversi ,e moltephcI! que! che Sl, ma~I esterebbe un viso solo, al di la di ogni apprendimento de! sensl e, del penSlero, I~ ma~lera mcomprensibile» (M. DE GANDILLAC [a cura dij, (Euvres cholStes de NIcolas de Cues Cit., IIbro II, cap.
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III, p, II,). , d' , . , 'd' 0 be 2 II pensiero dell'essere sarebbe quello che permette dl Ire, senza mgenUlta, n uZlOne -
non e l'essente a550luto ne l'essente infinito, e neppure il fondamento dell'essente in generale. Per questa l'interrogazione dell'essere non puo neppure scalfire l'edificio metafisico di Totalite et In/ini (per esempio). Semplicemente resta sempre inafferrabile per «l'inversione dei termini» ontologia e meta/isica proposta da Levinas. II tema di questa inversione non sostiene dunque una parte indispensabi1e, non ha sen so e necessita se non nella economia e coerenza de1libro di Levinas, nella sua totalita. Che cosa vorrebbe dire, per la metafisica e per 1'umanesimo, il chiedersi «in che modo l'essenza dell'uomo appartiene alla verita dell'Essere?» 1. Forse questa: l'esperienza del viso sarebbe possibile, potrebbe dirsi, se il pensiero dell'essere non vi fosse gia implicato? II viso, in effetti e l'unita inaugurante di uno sguardo nudo e di un diritto alla parola. Ma gli occhi e 1a bocca non fanno un viso se non in quanta al di la del bisogno, possano «lasciar essere», vogliano e dicano quello che e quale e, solo se accedono all'essere di quello che e. Ma poiche l'essere e, non puo essere semplicemente prodotto, ma precisamente rispettato da uno sguardo e da una parola, deve provocarli, interpellarli. Non c'e parola senza un pensiero e senza un dire dell'essere. Ma poiche l'essere non e nulla fuori dell'essente determinato, non si manifesterebbe come tale senza la possibilita della parola. L'essere stesso puo soltanto essere pensato e detto. E contemporaneo a1 Logos che anch'esso non puo essere se non come Logos dell'essere, che dice l'essere. Senza questa duplice genitivita, la parola, privata dell'essere, rinchiusa nell'essente determinato, non sarebbe altro, secondo la terminologia di Levinas, che il grido del bisogno prima del desiderio, che il gesto dell'io nella sfera dell'omogeneo. Solo in que1 caso, nella riduzione 0 nella subordinazione del pensiero dell'essere, «il discorso filosofico stesso» non sarebbe «se non un atto mancato, pretesto per una psicanalisi 0 per una filologia 0 per una soci010gia ininterrotte in cui l'apparenza di un discorso svanisce del Tutto» (TI). Solo allora il rapporto all'esteriorita non troverebbe pili 1a sua respirazione. La metafisica del vi so rinchiude quindi il pensiero dell'essere, presuppone la differenza tra l'essere e l'essente, proprio mentre la sottace. stemmia «Dio, per esempio», cioe di pensare Dio come queI che e, sen~a fa!ne ?~ ogg~:to, ! proprio quello che Levinas, d'accordo su questo punto con tutte Ie metafislche mfimtiste PlU cIas: siche, reputerebbe impossibile, assurdo 0 meramente verbaIe: come si puo pensare .quello, che Sl dice, quando si propone l'espressione: Dio - 0 l'in/inito - per esempio? Ma la nozlOne dl esemplarita potrebbe certo offrire pili di una risorsa contro questa obiezione, 1 Lettre sur l'humanisme cit,
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Se questa differenza e originaria, se pensare l'essere fuori dall'essente e non pens are nulla, se enon pensa'.e n~l1a. anche affro~t~re l'essente in altro modo che nel suo essere, Sl puo dire a buon dltltto con Levinas (a parte una riserva sul1'espressione ambigua di «ess~re in generale») che «al disvelam.ento ?el1'esser.e in gen~rale ... ~re~sls~e la relazione con l'essente che sl espnme; al plano dell ontologla, 11 plano etico» (TI. II corsivo emio). Se la pre-esistenza ha it senso ontico che deve avere, questa eincontestabile. Di fatto, nell'esistenza: il rap~or to con l'essente che si esprime, precede il disvelamento, 11 penslero esplicito del1'essere stesso. Fin quasi al punt~ :h~, ~on v.i ~ espressione, nel senso di parola e non di bisogno, se non VI e gla Imphcltamente pensiero dell'essere. Nel10 stesso modo, di latto, l'atteggiamento naturale precede la riduzione trascendentale. M? si sa c~e l~ «pre-essenza» onto: logica 0 trascendentale non fa parte dl quest ordme e nessuno ha mal preteso questo. Questa «pre-essenza» non contraddice pili di quanta confermi la precessione ontica 0 fattuale. Ne consegue che l'essere, essen do sempre di latto gia determinato come essen~e, e .non essend? nul1a fuori di esso, egia sempre occultato. La £rase dl L~vmas ; preeSlstenz a del rapporto all'essente - e la formula stessa dl quell occultamento iniziale. Poiche l'essere non esiste prima dell'Essente - e per questa eStoria - incomincia col nascondersi sotto la sua determi~azio: ne. Questa determinazione come rivelazione del~'~ssente (~et~fislca) e il coprimento stesso dell'essere. In questa non VI e nulla dl aCC1~en.tale o di deplorevole. «Lo schiudersi del1'essente" 10 splen?o:~ ch~ gh.~lene accordato, oscura la chiarezza dell'essere. L essere Sl ntlra m CIO che si dischiude nel1'essente» '. Non e quindi arrischiato parlare del pensiero dell'essere come di un pensiero dominato dal tern a del disvelamento (TI)? Senza quell'occultamento dell'essere sotto l'essente, non vi sarebbe nulla e non vi sarebbe storia. Che l'essere si produca per intero come sto:ia e mondo, significa che esso non puo stare che in.disparte sotto Ie determinazioni ontiche dell~ st~ria. e della ,metafislca. Perche Ie «epoche» storiche sono Ie determmaZlOnl metafislche (o~to: teologiche).dell'essere che si mette COS1 da se stesso tra parentesl, Sl tiene in riserva sotto i concetti metafisici. Sotto questa strana luce dell'essere-storia Heidegger lascia rinascere la nozione di «escatologia», quale appare per esempio in Sent!eri: «.~'esse~e.ste~so ... ein se ~tesso escatologico». Bisognerebbe medltare pill da Vlcmo 11 rapporto dl que, M. HEIDEGGER,
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sta escatologia con l'escatologia messianica. La prima presuppone che la guerra non sia un accidente che sopravviene all'essere, rna l'essere stesso. Das Sein seIber das Strittige ist '. Proposizione che non bisogna intendere nella consonanza hegeliana: qui la negativita non trova la propria origine ne nel1a negazione ne nel1'inquietudine di un essente infinito e primo. La guerra, forse, non e neppure pili pensabile come negativita. L'occultamento origin ale dell'essere sotto l'essente, che eanteriore all'errore di giudizio e che non epreceduto da nulla nell'ordine ontico, Heidegger, come e noto, 10 chiama erranza. «Ogni epoca della storia mondiale eun'epoca dell'erranza» '. Se l'essere e tempo e storia, eperche l'erranza e l'essenza epocale dell'essere sono irriducibili. Ma allora come accusare questa pensiero dell'erranza interminabile di essere un nuovo paganesimo del Luogo, un culto compiacente del Sedentario (TI, DL)'? La ricerca del Luogo e del1a terra non ha nulla a che fare qui, non occorre sottolinearlo, con l'attaccamento passionale al territorio, alla localita, non ha nul1a del provincialismo e del particolarismo. E tanto poco legata al «nazionalismo» empirico, almeno quanta non 10 e 0 non dovrebbe esserlo la nostalgia ebraica della terra, nostalgia provocata non dalla passione empirica, rna dal1'irruzione di una parol a e di una promessa '. Interpretare il tern a heideggeriano della Terra e , Lettre sur l'humanisme cit. Sentieri interrotti cit. , In un violento articolo (Heidegger, Gagarin e noi, DL), Heidegger I: designato come il nemico della tecnic1 e messo tra i «nemici della societa industriale» che «sono il pili delle volte reazionari». f: un'accusa alia quale Heidegger ha tanto frequentemente e tanto chiaramente risposto che noi non possiamo far altro qui che rinviare ai suoi scritti, in particolare a II problema della tecnica, che tratta della tecnica come «modo del disvelamento» (in Essais et conferences, Gallimard, Paris 1958), alia Lettre sur l'humanisme, all'Introduzione alla meta/isica cit. (cap. IV: La limitazione dell'essere), in cui una certa violenza, di cui parieremo in seguito, I: collegata, in 2
senso non peggiorativo e non etico alia tecnica del disvelamento dell'Essere (8ELV6v-~EXVTj). Vediamo comunque il precisarsi di una coerenza nell'accusa !anciata da Levinas. L'essere (come concetto) sarebbe la violenza del neutro. II sacro sarebbe la neutralizzazione del Dio personale. La «reazione» contra la tecnica non prenderebbe di mira il pericolo della spersonalizzazione tecnica, rna cio che precisamente libera dal rapimento ne! Sacro e dal radicamento nel Luogo. , Poich
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dell'Abitazione come il tema di un nazionalismo 0 di un barresismo non signi£1ca in primo luogo esprimere una allergia - parola, accusa, di cui Levinas fa uso tanto spes so - al «clima» della filoso£1a eli Heidegger? D'altra parte, Levinas ammette che Ie sue «riflessioni», dopo essersi lasciate ispirare dalla «£1loso£1a di Martin Heidegger» «sono dominate dal bisogno profondo di abbandonare il clima di questa filoso£1a» (EE). Si tratta eli un bisogno di cui noi saremo gli ultimi a contestare la legittimita naturale, e riteniamo anzi che il clima non e mai completamente esterno al pensiero stesso. Ma non e forse al di la del «bisogno», del «clima» e di una certa «storia», che si manifesta la verita nuda dell'altro? E chi ce 10 insegna meglio di Levinas? II Luogo non e dunque un Qui empirico rna sempre un Illic: per Heidegger come per l'Ebreo e il Poeta. La prossimita del Luogo e sempre riservata, dice Holderlin commentato da Heidegger II pensiero dell'essere non e quindi un culto pagano del Luogo poiche il Luogo non e la prossimita data rna promessa. E poi anche perche ?on e un culto pagano. II Sacro di cui quel pensiero parla non appartlene ne alIa religione in generale, ne a qualche teologia, e non si lascia quineli determinare da nessuna storia della religione. E prima di tutto l'esperienza essenziale della divinita 0 della deid. Poiche quest'~ltima non e ne un concetto ne una realta, deve dare accesso a se stessa m una prossimita estranea sia alIa teoria che all'affettivita mistica, sia alIa teologia che all'entusiasmo. In un senso, che, ancora una volta, ?on e cronologico, ne logico, ne ontico in generale, essa precede. ognt rapporto a Dio 0 agli Dei. Quest'ultimo rapporto, quale che Sl~, presuppone per essere vissuto e per essere detto, una pre-comprenslOne della deita dell'essere-dio di Dio della «dimensione del divino» di cui parla anch~ Levinas, quando dice che «si apre a partire dal viso umano» (TI). E tutto ed e, al solito, semplice e diflicile. II sacro e «il sol~ spazio essenziale della divinita che, a sua volta, da sola apre una dlmensione per gli dei e per il dio ... » '. Questo spazio (in cui Heidegger dice anche l'Altezza ') e al di qua della fede e dell'ateismo. Ambedue 10 I.
non si lascia invece determinare come tale se non a partire daII'essenza de~l'esse.re. Ibid.,y .. 1j1. Cfr. anche L'homme habite en poete in cui, 10 notiamo senza sofferm~cl, ~~lde¥ger dIStIl~gue 10 Stesso e l'Uguale (das Selbe - das Gleiche): «Lo Stesso scarta ogm pre~lp1taZlOn~ nel n.sol. vere Ie differenzc nell'Eguale», in Essais et conferences cit., p. 231. Cfr. mfine Bdttr, habtter,
penser (ibid.).
Cfr., per esempio, Ritorno, in Approccio a Holderlin. Lettre sur l'humanisme cit. , Ritorno, in Approccio a Holderlin cit.
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presuppongono. «Solo a partire dalla verita dell'Essere si puo pens are l'essenza del Sacro. Solo a partire dall'essenza del Sacro bisogna pensare l'essenza della Divinita. Solo nella luce dell'essenza della Divinita si puo pensare e dire quel che deve design are la parola "Dio"» I. Questa pre-comprensione del Divino non puo essere presupposta dal discorso di Levinas nel momenta stesso in cui vuole contrapporre Dio al divino sacro. II fatto che gli dei 0 Dio non possano annunciarsi se non nello spazio del Sacro e nella luce della deita, costituisce nello stesso tempo illimite e la risorsa dell'essere-£1nito come storia. Limite perche la divinita non e Dio. In un certo senso non e nulla. «E vero, il sacro si manifesta. Ma il dio resta lontano» '. Risorsa perche quell'anticipazione come pensiero dell'essere (dell'essente Dio) vede sempre venire Dio, apre la possibilid (l'eventualita) di un incontro con Dio e di un dialogo con Dio '. Che la deita di Dio, che permette di pens are e di nominare Dio, non sia nulla, soprattutto non sia Dio stesso, e cio che diceva Maestro Eckhart, in particolare: «Dio e la deita sono tanto differenti tra 10ro quanta il cielo e la terra ... Dio opera, la deita non opera, non ha nulla da operare, non c'e operazione in essa, non ha mai progettato alcuna operazione ... » (Nolite timere eos). Ma questa deita e ancora determinata, qui, come essenza-del-Dio-trinitario. E quando Maestro Eckhart vuole and are al di la delle determinazioni, il movimento che tenta, sembra resti chiuso nella trascendenza ontica: «Quando ho detto I Lettre sur I' humanisme cit. , Ritorno, in Approccio ad Holderlin cit., p. 34. , Cfr. anche Del/'essenza del fondamento cit., p. 662, nota a. La teologia, pensiero deIl'essente-Dio, dell'essenza e deIl'esistenza di Dio, presupporrebbe quindi iI pensiero deII'essere. Non e
necessario fare riferimento a Heidegger per comprendere questo movimento; rna, prima di tutto, a Duns Scoto, al quale, come noto, Heidegger aveva dedicato uno dei suoi primi scritti. Per Duns Scoto, iI pensiero deIl'essere comune e univoco necessariamente anteriore al pensiero delI'essente determinato (determinato, per esempio come finito 0 infinito, creato 0 increato, ecc.). Questo non significa: I) Che I'essere comune e univoco sia un genere e Duns Scoto riprende a questo proposito la dimostrazione aristotelica senza tuttavia far ricorso all'analogia. (Cfr. a tal proposito soprattutto E. GILSON, Jean Duns Scot. Introduction ses positions fondamentales, Vrin, Paris 1952, pp. I04-
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2) Che la dottrina dell'univocita deII'essere sia incompatibile con la dottrina aristotelicotomista e con I'analogia che, come dimostra E. Gilson (ibid., pp. 84-II5), si coIIoca su di un piano diverso e risponde a un'altra domanda. II problema che sta innanzi a Duns Scoto - e che e queIIo che qui ci interessa, in questo dialogo tra Levinas e Heidegger - «si pone dun que su di un terreno - scrive E. Gilson - che non piti queIIo di Aristotele 0 di Tomaso d'Aquino, poiche, per entrarvi, bisogna innanzitutto uscire dal dilemma che imponeva I'aristotelismo tra iI singolare e I'universale, il "primo" e iI "secondo", sfuggire nello stesso tempo alIa necessita di scegliere tra I'analogo e I'univoco, cosa che possibile solo isolando una nozione d'essere in qualche modo metafisicamente pura da ogni determinazione» (ibid., p. 89). Ne consegue che iI pensiero deII'essere (che Gilson, a differenza di Heidegger qui chiama «metafisica»), anche se implicato in ogni reologia, non la precede e non la domina affatto, come potrebbe farlo un principio 0 un concetto. I rapporti di «primo» e di «secondo», ecc., qui non hanno alcun senso.
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che Dio non era un essere ed era al di sopra delI'essere, non gli ho percio contestato l'essere, al contra rio, gli ho attribuito un essere pitl elevata» (Quasi stella matutina ... ). Questa teologia negativa e ancora una teologia e, almena nella sua lettera, si tratta per essa di liberare e di riconoscere la trascendenza ineffabile di un essente infinito, «essere al di sopra delI'essere e negazione superessenziale». Almena nella sua lettera, ma la differenza tra l'onto-teologia metafisica, da una parte, e il pensiero dell'essere (della differenza), dall'altra, significa l'importanza essenziale della lettera. Poiche tutto si svolge attraverso movimenti d'esplicitazione, la differenza letterale e quasi il tutto della differenza di pensiero. Ecco perche, qui, il pensiero delI'essere, quando va al di la delle determinazioni ontiche, non e una teologia negativa e neppure una ontologia negativa. L'anticipazione «ontologica», la trascendenza verso l'essere, permette quindi di intendersi, per esempio suI termine Dio, anche nel caso che questa intesa sia solo l'etere in cui puo farsi udire la dissonanza. Questa trascendenza abita e fonda il linguaggio e con esso la possibilita di ogni essere-insieme; di un Mitseil1 molto pili origin ale di una qualsiasi delle sue forme eventuali con la quale si e voluto confonderlo: la solidarieta, il gruppo, la colleganza '. Implicato dal discorso di Tatalite et Infini, in quanta solo permette di lasciar essere gli altri nella loro verita, in quanta libera il dialogo e il faccia a faccia, il pensiero dell'essere e quindi quanta mai vicino alIa non-violenza. Nai nan la definiama nan-vialenza pura. Come la violenza pura, la non-violenza pura e un concetto contraddittorio. Contraddittorio al di la di quello che Levinas chiama «logica formale». La violenza pura, rapporto tra esseri senza volto, non e ancora violenza, e non-violenza pura. E reciprocamente la non-violenza pura, non-rapporto dello stesso all'altro (nel sen so che intende Levinas) e violenza pura. Solo un viso puo fermare la violenza ma in primo luogo perche solo esso puo provocarla. Levinas 10 dice molto bene: «La violenza non puo rivolgersi che a un viso» (<
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Percio senza il pensiero dell'essere che apre il viso, ci sarebbero solo non-violenza 0 violenza pure. II pensiero dell'essere non e quindi mai, nel suo dis velamen to, estraneo ad una certa violenza '. Che quel pensiero si manifesti sempre nella differenza, che 10 stesso (il pensiero [e] [del] l'essere) non sia mai l'identico, significa innanzitutto che l'essere e storia, si occulta da se nella sua produzione e si fa originariamente violenza nel pensiero, per dirsi e manifestarsi. Un essere senza violenza sarebbe un essere che si produrrebbe fuori dell'essente: nulla; nonstoria; non-produzione; non-fenomenicita. Una parola che si producesse senza la minima violenza non de-terminerebbe nulla, non direbbe nulla, non offrirebbe nulla all'altro; non sarebbe staria e non mostrerebbe nulla: in tutti i sensi della parola, e prima di tutto nel suo sen so greco, sarebbe una parola senza frase. Al limite, illinguaggio non-violento, nel senso di Levinas, sarebbe un linguaggio che si priverebbe del verbo essere, cioe di ogni predicazione. La predicazione e la prima violenza. Poiche il verbo essere e l'atto predicativo sono implicati in ogni altro verbo e in ogni nome comune, illinguaggio non-violento, sarebbe allimite un linguaggio di pura invocazione, di pura adorazione, proferirebbe soltanto nomi propri per invocare l'altro da lontano. Un simile linguaggio sarebbe in effetti, come au spica espressamente Levinas, purificato da ogni retorica, cioe nel senso primo di questa termine che qui evochiamo senza artificio, da ogni verba. Un simile linguaggio meriterebbe ancora il suo nome? E possibile un linguaggio puro di ogni retorica? I Greci, che ci hanno insegnato che cosa vuol dire Logos, non 10 avrebbero mai ammesso. Platone ce 10 dice nel Cratila (425a), nelSofista (262ad) e nella Lettera VII (342b): non esiste Logos che non presupponga la combinazione di nomi e di verbi. Infine, per ritornare all'argomento di Levinas, che cosa offrirebbe all'altro un linguaggio senza frase, un linguaggio che non dicesse nulla? IIlinguaggio deve dare il mondo all'altro, ci dice Totalite et Infini. Un maestro che si interdicesse la frase non darebbe nulla; non avrebbe discepoli, ma solo servi. Gli sarebbe impedita l'opera - 0 la liturgia questo dispendio che rompe l'economia e che non bisogna pensare, secondo Levinas, come un Gioco. COS1, nella sua pili alta esigenza non-violenta, denunciando il passaggio attraverso l'essere e il momenta del concetto, il pensiero di Levinas non ci proporrebbe soltanto, come dicevamo prima, un'etica senI
Cfr.
dell' essere.
M. HEIDEGGER,
Introduzione alta meta/isica cit., specialmente il cap. IV: La limitazione
La scri ttura e la differenza
za legge rna anche un linguaggio senza frase. E cia sarebbe del tutto coerente se il viso fosse soltanto sguardo, rna esso e anche parola; e nella parola, e la frase che fa accedere il grido del bisogno all'espressione del desiderio. Ora, non c'e frase che non determini, vale a dire, che non passi attraverso la violenza del concetto. La violenza si manifesta con l' articolazione. E quest'ultima non e aperta se non dalla circolazione (in primo luogo pre-concettuale) dell'essere. L'elocuzione stessa della metafisica non-violenta ela sua prima smentita. Certo Levinas non negherebbe che ogni linguaggio storico comporta un irriducibile momento concettuale e quindi una certa violenza. Semplicemente, a suo modo di vedere, l'origine e la possibilita del concetto non sono il pensiero dell'essere rna il dono del mondo ad altri come tutt'altro (efr. per esempio TI, p. 149). In questa possibilita originaria dell'offerta, nella sua intenzione ancora silenziosa, il linguaggio e non-violento (rna allora, elinguaggio, in questa pura intenzione?) Non diventerebbe violento se non nella sua storia, in cia che noi abbiamo chiamato la frase, che 10 costringe ad articolarsi in una sintassi concettuale che apre la circolazione allo stesso, e che si lascia controllare dall'« ontologia» e da quello che rimane per Levinas il concetto dei concetti: l'essere. Ora il concetto di essere non sarebbe altro ai suoi occhi, se non un mezzo astratto prodotto per il dono del mondo all'altro che sta al di sopra dell' essere. Ma allora, il linguaggio sarebbe non-violento solo nella sua origine silenziosa, prima dell'essere. Ma perche la storia? Perche s'impone la frase? Forse perche, se non si strappa violentemente l'origine silemiosa a se stessa, se si decide di non parlare, la violenza pili grave coabitera in silenzio con l'idea della pace? La pace si fa solo in un certo silenzio, determinato e protetto dalla violenza della parola. Non dicendo niente altro che l'orizzonte di questa pace silenziosa dalla quale si fa invocare, e che essa ha la missione di proteggere e di preparare, la parol a indefinitamente conserva il silenzio. Non si sfugge mai all' economia di guerra. Lo si vede bene: separare la possibilita originaria del linguaggio - come non-violenza e dono - dalla violenza necessaria nell'effettivita storica, significa dare al pensiero il sostegno di una transistoricita. Questo fa esplicitamente Levinas, malgrado la sua critica iniziale all'«astoricismo» husserliano. L'origine del sensa per lui e non-storia, «al di la della storia». Bisognerebbe allora chiedersi se in una tale prospettiva e possibile identificare, come vuole Levinas, pensiero e ~in guaggio; se quella transistoricita del senso e autenticamente ebra1c~, nella sua ispirazione; e infine se questa non-storia si strappa alIa stort-
Violenza e rnetafisica
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cita in generale 0 non soltanto ad una certa dimensione empirica 0 ondca della storia. E se l'escatologia che viene invocata puo essere staccat a da ogni riferimento alIa storia. Perche il nostro stesso riferimento. alta storia e qui solo contestuale. L'economia di cui parliamo non Sl adatta meglio al concetto di storia che e sempre. stato in uso e ~he e di/ficile se non impossibile, sottrarre al suo or1zzonte teleologtco 0 escatologico. .. , . . Questa astoricita del senso nella sua ortgme e qumd1 quel che separa in profondita Levinas da Heidegger. Poiche l'essere ~er .qu~s~'ul timo estoria non efuori dalla differenza e si produce qUlnd1 ongmaria mente co~e violenza (non-etica), come dissimulazione di se nel proprio disvelamento. Che illingua~~io nasconda se~pre in tal modo,Ia sua origine, non e una contradd1zlOne, rna la stona stes~a. Nella ~10lenza ontologico-storica \ che permette di pens are la vlOlen~a eUca, nell'economia come pensiero dell'essere, l'essere e necessartament; occultato. Questo occultamento ela prima violenza, rna eanche la pnrna sconfitta della violenza nichilista e la prima epifania dell'essere. L'essere edunque pili ancora che il primum cognitum, come .si diceva, il primo occultato e queste due proposizioni non si c?n~rad~lcono. Invece, per Levinas, l'essere (inteso come conc~tto) e 11 pr1"!o oc~ul tante e la differenza ontico-ontologica neutrahzzerebbe COS1 la d1fferenz; l'alterita infinita del tutt'altro. D'altra parte, la differenza ontico-;ntologica non sarebbe pensabile se non a partire dall'idea del!'Infinito, dall'irruzione inanticipabile, dell'essente tutt'altro. Quest'ultimo sarebbe quindi anteriore alIa differen~a tra l'essere e l'e~sen te e all'alterita storica che puo aprire. Per Levma?, c?me per ~eldeg ger, illinguaggio sarebbe, nello stesso tempo, sC~l~dlme~to e nserva, illuminazione e occultamento; per ambedue la dlsslmulazlone sarebbe gesto concettuale. Ma per Levinas, il concett? st~ dalla p~rte dell'essere, per Heidegger, dalla parte della dete:~1l1aZlOne onUca. Questo schema denuncia la cont:appos1zlOn;,. rna con:e spesso accade lascia anche intravvedere la Vlcmanza. V1C1l1anZa dl due «escatolo~ie» che per cammini opposti ripetono e metto~o in disc~ssione l'insieme dell'avventura «filosofica» sorta dal platomsmo. La 1l1terro: gano nello stesso tempo dall'interno e .d~ll'esterno, .sotto la forma dl una interrogazione a Hegel, nel quale S1 nassume e S1 pensa questa av1 E necessaria rilevare qui che «ontologico» non rinvia a que! concet!o di.ontol~gi~ al quale Heidegger ci propone di «rinunciare» (efr. pili sopra), rna a quella espresslOne tr~epenblle, con Ia quale sarebbe necessario sostituirlo. Anche Ia paroI~ «storico? deve, essere ~odlficata ~er ~otere essere intesa in consonanza con la parola «ontologlCO» dl CUI non e un attnbuto e net CUI confronti non denota alcuna derivazione.
La seri ttura e la differenza
ventura. Questa vidnanza si manifesterebbe in interr,ogazioni come queste: Da una parte, Dio (essente·infinito·altro) e ancora un essente che si lascia pre·comprendere a partire da un pensiero dell'essere (sin· golarmente dalla divinita)? 0, in altre parole, l'infinito puo essere chiamato determinazione ontica? Dio non e sempre stato pensato co· me il nome di quello che non e essente supremo pre·compreso a parti· re da un pensiero dell'essere? Dio non e il nome di quello che non puo lasciarsi anticipare, a partire dalla dimensione del divino? Dio non e l'altro nome dell'essere (nome in quanta non·concetto) di cui il pen· siero aprirebbe la differenza e l'orizzonte ontologico invece di annun· ciarvisi soltanto? Apertura dell'orizzonte e non nell'orizzonte. Attra· verso il pensiero dell'infinito, la chiusura ontica sarebbe gia stata spez· zata, in un senso dell'impensato che sarebbe necessario interrog~re pili da vicino, per mezzo di quello che Heidegger chiama la metafislca e l'onto·teologia. Dall' altro lato: il pensiero dell'essere non e il pen· siero dell'altro prima di essere l'identita omogenea del concetto e la asfissia dello stesso? L'ultra·storia dell'escatologia non e l'altro nome del passaggio ad una storia pili profonda, alla Storia stessa? Ma ad una storia che, non potendo phi essere se stessa in qualche presenza, origi. naria 0 finale, dovrebbe cambiare nome? In altri termini, forse si potrebbe dire che l'ontologia non prec.ede la teologia se non mettendo tra parentesi il contenuto della determl11a· zione ontica di quello che, nel pensiero filosofico post.ellenico, si chia· rna Dio: cioe l'infinita positiva. L'infinita positiva non avrebbe che l'apparenza - nominale - di quello che si chiama una determinazione ontica. In verita sarebbe quel che si rifiuta di essere determinazione on· tica compresa come tale, a partite da e nella luce di un pensiero del· l'essere. Al contrario e l'infinita - in quanto non·determinazione ed operazione concreta - che permetterebbe di pensare la differenza tra l'essere e la determinazione ontica. II contenuto ontico dell'infinita distruggerebbe la chiusura ontica. Implicitamente 0 no, il pensiero dell'infinita aprirebbe l'interrogazione e la differenza ontico·ontoh gica. Paradossalmente sarebbe questa pensiero. dell'infinita (quell? che si chiama il pensiero di Die) a permettere dl affermare la preml· nenza dell'ontologia sulla teologia, e che il pensiero dell'essere e pre· supposto dal pensiero di Dio. E probabilmente per questo che, rispet· toso della presenza dell'essere univoco 0 dell'essere in generale in ogni pensiero, Duns Scoto 0 Malebranche non han no creduto d.i dov~r di· stinguere i livelli dell'ontologia (0 metafisica) e della teologla. Heldeg· ger ci richiama spesso alla «strana semplicitft» del pensiero dell'esse·
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re: sta qui la sua difficolta, ed e cia che propriamente sfiora 1'« incono. scibile». L'infinita non sarebbe, per Heidegger, se non una determina. zione ulteriore di questa semplicita. Per Malebranche ne e la forma stessa: «L'idea dell'infinito in estensione include dunque pili realta di quella dei cieli; e l'idea dell'infinito in ogni genere d'essere, quella che risponde a questa parola, l'essere, l'essere infinitamente perfetto, ne contiene infinitamente di pili, benche la percezione con cui questa idea ci tocca sia la pili lieve di tutte; tanto pili lieve quanta pili vasta, e di conseguenza infinitamente lieve perche infinita» '. Poiche l'Essere non e nulla (di determinato), si produce necessariamente nella differenza (come differenza). Dire, da una parte, che e infinito, 0 dire d'altra par· te, che non si rivela 0 non si produce se non «in una con» (in eins mit) il Nulla (Che cos'e la metafisica?) - il che significa che e «finito nella sua essenza» (ibid.) -, e fondamentalmente dire un'altra cosa? Ma bisognerebbe mostrare che Heidegger non ha voluto mai dire «altro» che la metafisica classica, e che la trasgressione della metafisica non e una nuova tesi metafisica 0 onto.teologica. COS1 l'interrogazione suI· l'essere dell'essente non introdurrebbe soltanto - e tra l'altro - all'in· terrogazione sull'essente·Dio; essa presupporrebbe gia Dio come pos· sibilita stessa della sua interrogazione, e come la risposta nella sua in· terrogazione. Dio sarebbe sempre implicato in ogni interrogazione su Dio e precederebbe ogni «metodo». II contenuto stesso del pensiero di Dio, e quello di un essere sut quale nessuna interrogazione puo es· sere posta (a meno che non venga posta da esso stesso) e che non puo lasciarsi determinare come un essente. Nel Pro/ano (Idiota), una mi· rabile meditazione di Nicola Cusano sviluppa questa implicazione di Dio in ogni interrogazione e in primo luogo, nella interrogazione di Dio. Per esempio, il PROFANO: «Vedi bene quanto sia facile la diffi· colt a teologica, dato che la risposta si offre sempre a chi cerca, secondo il modo stesso della interrogazione posta. L'ORATORE: Certo non vi e nulla di pili sorprendente. PR.: Ogni ricerca riguardante Dio, presup. pone l'oggetto stesso di questa ricerca. Ad ogni interrogazione posta su Dio, quello che si deve rispondere e proprio quello che l'interroga· zione prima di tutto presuppone. Perche, benche oltrepassi ogni signi· ficazione, Dio si significa attraverso ogni significazione, qualunque sia la parola che la esprime. OR.: Spiegati... PR.: L'interrogazione dell'esi. stenza di Dio non presuppone in precedenza la nozione stessa di esi· stenza? OR.: Certamente. PR.: Dal momenta che tu hai esposto l'inter· , MALEBRANCHE, Entretien J'lIn philosophe chretien et d'lIlI philosophe chinois, in (Ellvres completes, t. XV, Vrin, Paris I958.
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rogazione: Dio esiste? tu puoi rispondere proprio quello c?e chiedi, cioe che esiste in quanta e l'Essere stes~o presu?~st? nell~ m!errogazione. Lo stesso accade per l'interrogazlOne Cht e Dt~? pOlche questa interrogazione presuppone la quiddita; quind,i potral ~lspond~re che Dio e la Quiddita as sol uta in se stessa. E COSI per ogn~ altra m~err? gazione. E su questa p~nto non. e possibile alcu~ dubblO. Perc?e Dl~ ela presupposizione umv,ersale 111 se ste~sa, ch~ e presuppost~ m .0g~1 maniera come la causa e presupposta m ogm efIetto. Vedl qumdl, Oratore' come e facile la difficolta teologica ... Se tutto quello che e presupp~sto in partenza in ogni inter.rogazione te.ologica da, in tal mod? risposta alIa interrogazione, non eSlste alcuna mterrogazlOne .che nguardi propriamente Dio, poiche nell'interrogazione posta, la nsposta coincide con l'interrogazione» t. Facendo del rapporto all'infinitamente altro l'origine delling~ag gio, del senso e della difIerenza, .se?za rapporto allo st~sso, Levmas finisce quindi col tradire la propna mtenzlOne nel suo dls~orso fil?sofico. Quest'ultimo non si intende e non insegna se non l~sclando P!lma di tutto circolare in se 10 stesso e l'essere. Schema classlco, eomph.cato qui da una metafisica del dialogo e dell'ins~gn~mento, da u?~ dlmostrazione che contraddice il dimostrato per 11 ngore e ~a venta stessa della sua concatenazione. Circolo infinite volte denunclato dello seetticismo, dello storicismo, dello psicologism?, del !elativism~, ecc. M~ il vero nome di quest'inclinazione del pens~ero dl fron~e ~ll Altto, dl questa accettazione risoluta dell'incoerenza mcoerente, lS~lrata da una verita pili profonda della «logica» del disco.tso fil?s~fico, II ~er~ nom~ di questa rassegnazione de~ c~nc,etto,. ~egh a-przor~ e ?egh .onzzontl trascendentali dellinguagglO, e 1 emptrtsma. Quest ultlm?, m fondo; ha commesso sempre un solo errore: l'errote filosofico dl ~r~sent~!Sl come una filosofia. Ed e necessario riconoscere la ptofo~dl~a de~l mtenzione empirista sotto l'ingenuita di alcune sue ~spresslOm sto~l:he. Essa e il sogno di un pensiero purame~te et.e~ologt~~ nella sua ongme. Pensiero puro della difIetenza pur~. L empl.nsmo ~ l~ suo ?ome filosofico, la sua ptetesa 0 la sua modestla metafislche. D.lclamo d. sog~o perche svanisce alla luce e fin dall'alba dellinguagglO. Ma Sl puo for~e obiettare che e illinguaggio che dotme. Cetto, m~ aHo.ta. b~so~na, ~n un cetto modo, ridiventare classici e ritrovare altn motlvl dl dlvorzlO
Violenza e metafisica
tra la parola e il pensiero. E una via molto, forse troppo abbandonata oggi. Tra gli altri, anche da Levinas. Radicalizzando il tema dell'esteriorita infinita dell'altro, Levinas assume COS1 il programma che ha animato, pili 0 menD segretamente, tutti i gesti filosofici che sono stati chiamati empirismi nella storia della filosofia. Egli 10 fa con una audacia, una profondita e una decisione che non erano mai state raggiunte. Arrivando fino in fondo a questo proget to, rinnova completamente l'empirismo e 10 rovescia, rivelandolo a se stesso come metafisica. Malgrado Ie tappe husserliana e heideggeriana del suo pensiero, Levinas non intende neppure indietreggiare di fronte alIa parola empirismo. Per due volte almeno, rivendica «l'empirismo radicale che si affida all'insegnamento dell'esteriorith (TI). L'esperienza dell'altro (dell'infinito) e irriducibile, quindi e «l'esperienza per eccellenza» (ibid.). Ed a proposito della morte che appunto ne costituisce l'irriducibile risorsa, Levinas parla di un «empirismo che non ha nulla di positivista» t. Ma si puo parlare di una esperienza dell'altro 0 della differenza? II concetto di esperienza non e sempre stato determinato dalla metafisica della presenza? L'esperienza non e sempre incontro di una presenza irriducibile, percezione di una fenomenicita? Questa complicita tra l'empirismo e la metafisica non ha nulla di sorprendente. Criticandoli, 0 meglio «limitandoli» con un solo e unico gesto, Kant e Husserl avevano ben colto la loro solidarieta. Sarebbe necessario meditarla pili da vicino. In questa meditazione Schelling era andato molto lontano '. I
M. DE GANDILLAC
(a cura di), (Euvres ehoisies de Nicolas de Cues cit.
Entre deux mondes (Biographie spirituelle di Franz Rosenzweig, in La conscience juive,
PUF, Paris 1963, p. 126). Questa confercnza e, per quel che ne sappiamo, con un articolo di A. Neher «
tante dedicato a Rosenzweig, meglio conosciuto in Francia Come l'autore di Hegel und der Staat che come I'autore di Der Stern der Erlosung [La stella della redenzione, 1921]. L'influenza di Rosenzweig su Levinas sembra sia stata profonda. «La contrapposilione all'idea di totalita ci ha colpito in Stern der Erli!sung di Franz Rosenzweig, troppo spesso presente in questa libro per essere citata» (TI). 1 Nella sua Esposizione dell' empirismo filosofico, Schelling scrive: «Dio sarebbe cio che e assolutamente e semplicemente in se stesso, rivolto completamente a se, sostanza nel senso pili alto - queUo che e completamente sciolto da relazioni. Ma aPPunto per cio che riguardiamo queste determinazioni come puramente immanenti, tali che non si riferiscono a nulla che sia fuori di lui, sorge I'esigenza di comprenderle mediante Lui stesso, cioe di concepirlo come i1lota prius, e quindi in generale come il prius assoluto. Cos! I'empirismo stesso, nelle sue ultime conseguenze, ci spinge al sovra·empirico» (F. W J. SCHELLING, Esposizione del!'empirismo lilosofieo, in L'empi. risma filosofieo e altri scritti, trad. di G. Preti, La Nuova Italia, Firenze 1967, pp. 214-I5). Naturalmente con questi termini, non bisogna intendere chiusura finita e mutismo egoista, rna I'alterita assoluta quello che Levinas chiama I'Infinito assalto dalla relazione. Un movimento analogo appare in Bdrgson che, nella sua T"!roduzione alia metafisica critica in nome di un empirismo vero Ie dourine empiriste non fedeli all'esperienza pura, concludendo: «Un tale [auten!iea] empirismo vero autentica metafisic:a» (H. BERGSON, Intraduziane alia meta!is;ca, trad. di A. Vedaldi, San. snni, Firenze I949, p. 8;).
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Ma l'empirismo e sempre stato determinato dalla filosofia, da Platone a Husserl, come non-filosofia: pretesa filosofica della non-filosofia, incapacita di giustificarsi, di soccorrersi come parola. Ma questa incapacita, quando e assunta con risoluzione, contesta la risoluzione e la coerenza del logos Oa filosofia) alIa sua radice invece di lasciarsi interrogare da esso. Nulla puo quindi sollecitare altrettanto profondamente illogos greco -la filosofia - quanta questa irruzione del tutt'altro, nulla puo risvegliarlo COS! alIa sua origine, come alIa sua mortalita, al suo altro. Ma se Oa nostra e solo un'ipotesi) si chiama ebraismo questa esperienza dell'infinitamente altro, bisogna riflettere su questa necessita in cui esso si trova, su questa ingiunzione che gli viene fatta di prodursi come logos e di risvegliare il Greco nella sintassi autistiea del suo sogno. Necessita di evitare la violenza pili grave che incombe quando ci si consegna silenziosamente all'altro nella notte. Necessita di adottare i percorsi dell'unico logos filosofico che solo puo rovesciare la «curvatura dello spazio» a vantaggio dello stesso. Di uno stesso che non e I'identieo e che non imprigiona I'altro. E un Greco che ha detto: «Se bisogna filosofare, bisogna filosofare; se non bisogna filosofare, bisogna ancora filosofare (per dirlo e pens arlo ). Bisogna comunque filosofare». Levinas 10 sa meglio di ogni altro: «Non si possono rifiutare Ie Scritture, senza saperle Ieggere, ne imbavagliare la fiIoiogia senza filosofia, ne arrestare, all'occorrenza, il discorso filosofico, senza filosofare di nuovo» (DL). «E necessario rieorrere - ne sono convinto al medium di ogni comprensione e di ogni accordo, in cui tutta Ia verita si riflette, precisamente alIa civilta greca, a quello che essa ha prodotto: allogos, al discorso coerente della ragione, alla vita in uno Stato ragionevole. E questo il vero terreno di ogni accordo» (DL). Un simile luogo d'incontro non puo offrire soltanto una ospitalita occasionale ad un pensiero che resti ad esso estraneo. Meno che mai il Greco puo assentarsi, avendo prestato la sua casa e il suo linguaggio, mentre l'Ebreo e il Cristiano si incontrano a casa sua (perche e di questo incontro che si tratta nel testa che abbiamo citato). La Grecia non eun terri to rio neutro, provvisorio, fuori frontiera. La storia nella quale si produce illogos greco non puo essere l'accidente fortuna to che offre un terreno d'intesa tra coloro ('he intendono Ia profezia escatologiea e coloro che non I'intendono. Essa non puo essere fuori e accidente per nessun pensiero. II miracolo greco non equesto 0 quello, non ein uno qualsiasi dei suoi stupefacenti risultati; e l'impossibilita per sempre, per qualsivoglia pensiero, di consider are i suoi saggi, secondo l'espres-
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sione ?i san Giovanni Crisostomo, come «saggi del fuori». Avendo profento l' E1tEXEWa 'tile; oucr£ae;, avendo rieonosciuto fin dalla sua seconda parol a (per esempio, nel Sofista) che I'alterita doveva circolare all'origine del senso, accogliendo l'alterita in generale nel euore del logos, il pensiero greco dell'essere si eprotetto per sempre contro ogni convocazione assolutamente sorprendente. Siamo Ebrei? Siamo Greci? Noi viviamo nella differenza tra I'Ebreo e il Greco, che forse e l'unita di quello che si chiama Ia storia. Viviamo nella e della differenza, cioe nell'ipocrisia, di cui Levinas COS! profondamente diee che e«non soltanto uno sgradevole difetto con tingente dell'uomo, rna Ia Iacerazione profonda di un mondo legato nello stesso tempo ai £1loso£1 e ai profeti» (TI). Siamo Greci? Siamo Ebrei? Ma chi, noi? Siamo (interrogazione non cronologiea, interrogazione pre-Iogiea) in primo luogo Ebrei 0 in primo luogo Greci? E 10 strano dialogo tra l'Ebreo e il Greco, Ia pace stessa, ha Ia forma della 10gica speculativa assoluta di Hegel, Iogica vivente che riconcilia la tautologia formale con l'eterologia empiriea I, dopo aver pensato il discorso profetieo nella prefazione della Fenomenologia dello spirito? Questa pace ha, invece, la forma della separazione in£1nita e della trascendenza impensabile, indicibile, dell'aItro? AlI'orizzonte di quale pace appartiene illinguaggio che pone questa interrogazione? Dove at tinge l'energia della sua interrogazione? Puo rendere canto dell'accoppiamento storieo dell'ebraismo can l'elIenismo? Qual e la legittimita, il sensa della copula in questa proposizione del pili hegeliano, forse, tra i romanzieri moderni: «Jewgreek is greekjew. Extremes meet»'? I La differenza pura non" assolutamente differente (dalla non-dift·erenza). La critica che Hegel f~ al concetto di differenza pura certo qui per noi il tema pili ineludibile. Hegel ha pensato la dlfferenza assoluta e ha mostrato che non poteva essere pura se non essendo impura. Nella Scienza della logica, a proposito della Differenza asso/ula, Hegel, per esempio scrive: «Questa differenza la differenza in se e per se, la differenza assoluta, la differenza dell'e;senza. E la differenza in se e per so', non gia una differenza per mezzo di un estrinseco, ma una differenza che si riferisce a se dunque semplice. E essenziale afferrare la differenza assoluta come semplice ... La differenza in s~ la differenza che si riferisce a se stessa e cosl essa la negativita di se stessa la differenza non da un altro, ma di se da se stessa; non lei stessa, ma il suo altro. Ma il diffe;ente dalla differenza l'identita. La differenza dunque se stessa e I'identita. Tutte e due insieme costituiscono la differenza; questa I'intiero e il ,uo momento. Si PUQ anche dire che la differenza in quanto semplice, non differenza. E differenza solo in relazione all'identitit: ma meglio anco;a essa contiene come differenza tanto I'identita quanto questa relazione stessa. La differenza l'i~tiero e il suo proprio momento, come l'identita parimenti anch'essa il suo intiero e il suo momento» (G. w. F. HEGEL, Scienza della /ogica, cit., t. II, pp. 464-6,). , Cfr. J. JOYCE, Ulisse (trad. di G. De Angelis, Mondadori, Milano I960). Ma Levinas non ama U1isse ne Ie .stuzie di qnesto eroe troppo hegeliano, di quest'nomo del vocr-ro, e del cerchio chiuso,.la c~i ayventura si risolve sempre nella sua totalitil. Se la prende spesso con lui (Tl, DL) . • Al mllo dl Vhsse che torna ad I taca vorremmo contrapporre la storia di Abmmo che abbandona per sempre la propria patria per una terra ancora sconoscinta e che proihisce al sno servo di ricon-
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durre perfino suo figlio a que! punto di partenza» (La Irace de ['Autre cit.). L'in;p.ossi~i1!ta del ritorno non e certo ignorata da Heidegger: la storicita originaria dell'essere, l'o!lgmlinere d~lla differenza, I'errania irriducibile interdieono i1 ritorno a)I'essere sles~o che ?on e nu a. vmas sta dunque qui daUa parte di Heidegger. D' altra parte, II tema del ntorno .e .davver~ tanto poco ebraieo? Creando Bloom e Stephen (santo Stefano, Ebreo·EUeno), Joyce Sl I?teress molt? alle tesi di Vietor Berard che faceva di Ulisse un Semi.ta. E vero che: «Jewgreek IS g!ee /e:t'Le uha ro osizione neutra anonima nel senso che Levmas detesta, Iscrltta suI copr~capo I. ~nc . ~Lfnguaggio di nes;uno» direhbe Levinas. PeT di piu ?ieJ?e attribuita alia «1?glc\feT~!1I~;S»~ Woman's reason. Jewgreek is greek;ew. «Notlamo per mCIs~, a quest? proP~sl.to, c e ~ a z e e In/ini spinge i1 rispetto della disimmetria fino al punto che CI sembra Impol~slbi1e,[esselnz(C]mente im ossibile che sia stato scritto da una donna. II soggetto fi)osofico ne e ~omo vz~. r;, per es:m io la'Penomenologia deWEros che ha una parte tanto Impo~tante nelleconomla del,hbr?). Queira fondamentale impossibilita per un libro di essere stato scnt~o da una ~olnaf non. e 'rn!c~ nella storia della scrittura metafisica? Levinas, in un altro passo.. nconosce c e e.n:rl?1 Ita e una «cate oria ontologiea». Si deve mettere questa annotazl~ne!n rapp~rto con a.v.m Ita esse!l' ziale de!l~nguaggio metafisieo? Ma forse i1 desiderio metafislco e essenzlalmente vlb~' anche In quello che si chiama la donna? Cos!, probabilmente, pensava Freud (che non avre e amme~so una sessualita intesa come «rapporto con quello che e assolutamente altro», TIl non a proposlto del desiderio, certo, ma della libido.
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,Debbo cominciare con una precauzione e con una dichiarazione. Quando ci si avvicina ad una £1loso£1a provvisti gia non solo di una coppia di concetti - in questa caso «struttura e genesi» - concetti che una lunga tradizione problematica ha spes so £1ssato e sovraccaricato di reminiscenze, ma anche di una griglia speculativa in cui si delinea gia la £1gura classica di un antagonismo, la controversia operatoria che ci si accinge ad istituire all'interno 0 a partire da quell a filoso£1a, rischia di somigliare, pili che ad un ascolto attento, ad una messa in questione, cioe ad una inchiesta abusiva che introduce preliminarmente quello che vuole trovare e che fa violenza alla £1siologia propria ad un pensiero. Certo il trattamento di una £1loso£1a in cui viene introdotto il corpo estraneo di una controversia puo anche essere efficace, puo liberare 0 restituire il senso di un travaglio latente, rna comincia con una aggressione e con una infedelta. Non bisognera dimenticarlo. In questa caso speci£1co, e ancora pili vero che in generale. Husserl ha sempre sottolineato la sua avversione per la controversia, per i1 dilemma, per l'aporia, cioe per la riflessione nel modo alternativo con cui i1 £1losofo, al termine di una deliberazione, vuole concludere, cioe chiudere l'interrogazione, costringere l'attesa 0 10 sguardo dentro una opzione, una decisione, una soluzione; tutto questo procederebbe da un atteggiamento speculativo 0 «dialettico», almeno net senso che Husserl ha sempre voluto dare a questa termine. Di questa atteggiamento non sono responsabili soltanto i meta£1sici, ma anche spes so senza saperlo gli esponenti delle scienze empiriche: gli uni e gli altri sarebbero congenitamente colpevoli di un certo peccato di esplicativismo. II fenomenologo, invece, e il «vero positivista» che torna aIle cose stesse e si annulla di fronte alla originalita e all'originarieta delle ;, «Genese et struclure» el fa phenomenologie, conferenza pronunciata a Cerisy-Ia-Salle ne! Genese el structure, a cura di Gandillac, 1. Goldmann, J. Piaget,
'959; pubblicata nella raccolta Mouton, 1964.
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significazioni. II processo di una comprensione 0 di una descrizione fedeli, la continuita dell'esplicitazione fanno svanire il fantasma della scelta. Si potrebbe quindi dire, in via pregiudiziale, che, attraverso iI suo rifiuto al sistema ed alIa chiusura speculativa, Husserl e gia, nel suo stile di pensiero, pili attento alIa storicita del senso, alIa possibilita del suo divenire, pili rispettoso di quello che nella struttura rimane aperto. E anche se si arriva a pens are che l'apertura della struttura e «strutturale», cioe essenziale, si e gia passati ad un ordine eterogeneo al primo: la differenza tra la struttura minore - necessariamente chiusa - e la strutturalita di una apertura, forse e proprio questo iI luogo incollocabile in cui la filosofia mette radici. In modo particolare quando dice e descrive delle strutture. COS1 la presunzione di un conflitto tra approccio genetico e approccio strutturale sembra fin dal principio sovraimposta alIa specificita di cia che si offre a uno sguardo vergine. E se si fosse sottoposta ex abrupto ad Husserll'interrogazione «struttura 0 genesi», scommetto che egli si sarebbe molto stupito di vedersi invitato a una simile discussione; avrebbe rispo: sto che dipendeva da quello di cui si intendeva parlare. Ci sono dati che debbono esser descritti in termini di struttura; altri, in termini di genesi. Ci sono strati di significazione che si manifestano come sistemi, complessi, configurazioni statiche, aII'interno dei quali, d'altra parte, sono possibili il movimento e la genesi, e questi ultimi dovranno obbedire alIa legalita propria e alIa significazione funzionale della struttura in esame. Altri strati, tal volta pili profondi e talvolta invece pili superficiali, si danno nel modo essenziale della creazione e del movimento, dell'origine inaugurale, del divenire 0 della tradizione, il che esige che a loro propos ito si usi il linguaggio della genesi, ammesso che ve ne sia uno 0 che ve ne sia uno solo. L'immagine di questa fedelta al tema della descrizione, la troviamo nella fedelta, almeno apparente, di Husserl a se stesso, lungo tutto il suo itinerario. Prendero due esempi per mostrarlo. I. II passaggio dalle ricerche genetiche nell'unico libro di cui Husserl ha rinnegato il metodo 0 certi presupposti psicologistici (penso a Philosophie der Arithmetik) aIle Ricerche logiche in particolare, in cui si trattava soprattutto di descrivere l'oggettivita delle oggettualita ideali in una certa fissita intemporale e nella loro autonomia nei confronti di un certo divenire soggettivo; questa passaggio ha la continuita dell'esplicitazione, Husserl ne e tanto sicuro che circa quarant'anni pili tardi, scrive: «Gia nella Filosofia dell'aritmetica, del I89I, mi riusd di rivol-
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gere l'attenzione determinatamente suI formale, di cui ottenni aHora una p~ima comprensione. QueIl'opera, per quanto immatura fo~se, come ~rtmo lavoro, rappresentava perC> un primo tentativo di chiarire, mediante un ritorno sulle attivita spontanee del collegare e del contare,. nel.le quali si danno collezioni (" aggregati", "insiemi") e numeri cardtnalI nel modo della produzione originaria, di chiarire il senso vero e proprio, il senso autentico e originario, dei concetti fondamentali della teoria degli insiemi e della teoria dei numeri cardinali. Si trattava, d~nque - se debbo esprimermi nel mio linguaggio pili tardo _ di una rtcerca fenomenologico-costitutiva ... », ece. '. ~i o.biettera che qui si spiega facilmente la fedelta, in quanto si tratta dl rtprendere nella dimensione della «genesi trascendentale» una intenzione che prima di tutto si era applicata piu «ingenuamente» ma con una inquietudine incontestabile, ad una genesi psicologica. ' 2. Ma non si puC> dire la stessa cosa del passaggio - all'interno della fenomenologia, questa volta - dalle analisi strutturali di costituzione statica praticate in Idee, I (I9I3) alle analisi di costituzione genetic a che seguirono e che tal volta sono molto nuove nel loro contenuto: E t?ttavia questo passaggio e ancora un semplice progresso che non lmpltca alcun «superamento», come si suol dire; e ancor meno una opzione, e soprattutto non implica alcun ripensamento. E l'approfondimento di un lavoro che lascia intatto quello che e stato scoperto, un lavoro di scavo, in cui il rilevamento delle fondazioni genetiche e della produttivita origin aria non solo non scuote e non distrugge nessuna delle strutture superficiali gia esposte, ma mette in evidenza ex novo delle forme eidetiche, «a priori strutturali» - e l'espressione di Husserl - della genesi stessa. COS1, nella mente di Husser! almeno, non si sarebbe mai dato un problema «struttura-genesi» ma soltanto preminenza di uno 0 l'altro dei due concetti o~eratori, a seconda delIo spazio descrittivo, del quid e del quomodo del dati. In questa fenomenologia in cui, a prima vista e se ci si lascia ispirare dagli schemi tradizionali, i motivi di conflitto 0 di tensione sembrano tanto numerosi (e una filosofia delle essenze sempre considerate nella loro obiettivita, nella loro intangibilita, nel loro apriorismo; ma e, nello stesso gesto, una filosofia dell'esperienza, del divenire, del flusso temporale del vissuto che e il riferimento di fondo; e anche una filosofia nella quale la nozione di «esperienza trascendentale» designa il campo stesso della riflessione, in un proget, E. HUSSERL,
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Logica /ormale e logica trarcendentale, trad. di G. D. Neri, Laterza, Bari
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to che, agii occhi di Kant per esempio, sarebbe risultato imputabile di teratologia), non ci sarebbe alcun contrasto, e Ia padronanza del fenomenologo nel suo Iavoro, avrebbe assicurato ad Hussed una serenita perfetta nell'uso di due concetti operatori sempre complementari. La fenomenologia, nella chiarezza della sua intenzione, sarebbe quindi offuscata dalla nostra interrogazione preliminare. Prese queste precauzioni nei riguardi dell'assunto di Hussed, debbo ora dichiarare il mio. In effetti vorrei cercare di dimostrare: I) Che, sotto l'uso sereno di quei concetti, c'e una controversia che regoia e ritma 10 svoIgimento della descrizione, che gli presta Ia sua «animazione» e che con Ia sua incompiutezza Iascia in situazione di squilibrio ciascuna delle grandi tappe della fenomeno10gia, e rende COS1 indefinitamente necessaria una nuova riduzione e una nuova esplicitazione; 2) Che quella controversia, met tendo in pericolo in ogni momento i principi stessi del me to do, sembra - dico appunto «sembra», perche si tratta di una ipotesi che, se non trova una conferma, potrebbe permettere a1meno di evidenziare i tratti origin ali del tentativo hussediano - sembra dunque costringere Hussed a trasgredire 10 spazio puramente descrittivo e l'ambizione trascendentale della sua ricerca verso una metafisica della storia, in cui 1a saIda struttura di un T etos gli permetterebbe di riappropriarsi, essenzializzando1a e prescrivendone in qualche modo l'orizzonte, una genesi selvaggia che si faceva sempre pili invadente e che pareva adattarsi sempre pili a stento all'apriorismo fenomenoIogico e all'idealismo trascendenta1e. Seguiro alternativamente il fi10 di un contrasto interno a1 pensiero di Hussed e quello di una battaglia che Hussed, a due riprese, ha dovuto condurre suI fianco del suo campo di ricerche: alludo a due polemiche che l'hanno posto di fronte a quelle fiIosofie della struttura che sono il diltheysmo e il gestaltismo.
In Philosophie del' Arithmetik, l'oggettivita di una struttura, quella dei numeri e delle serie aritmetiche - e correlativamente, quell a dell'atteggiamento aritmetico - e messa in relazione alIa genesi concreta che deve rendeda possibile. Hussed si rifiuta gia di accettare I'intelligibilit?! e 1a normativita di questa struttura universaIe, e si rifiutera sempre di accettar1e come 1a manna piovuta da un «Iuogo celeste» I, 0 come una verit?! eterna, creata da una ragione infinita. Tendere verso I'origine soggettiva degli oggetti e dei vaIori aritmetici significa qui ridiscendere verso Ia percezione, verso gli insiemi percettivi, verso Ie p1uralita e Ie totalita che vi si offrono in una organizzazione pre-matematica. Per il suo stile, questa ritorno alle percezioni e agli atti di colIegamento 0 di numerazione, cede alIa tentazione allora frequente che, con nome molto vago, viene definita «psicoIogismo» 2. Ma su pili di un punto Husserl prende Ie proprie distanze e non arriva mai fino a considerare di /atto 1a costituzione genetica come una con/erma epistemologiea, come tendevano a fare Lipps, Wundt e alcuni altri (e vero che, se 1etti con attenzione e per se stessi, questi ultimi appaiono pili prudenti e meno semplicisti di quanto si potrebbe credere stando aIle critiche di Hussed). L'originalita di Husserl si rileva da questi punti: a) egli distingue il numero da un concetto, cioe da un eonstruetum, da un artificio psico10gico; b) sottolinea I'irriducibilit?! della sintesi matematica 0 Iogica all'ordine - nei due sensi della paroIa - della temporalita psicoIogica; c) fa dipendere tutta 1a sua analisi psicoIogica daIIa possibilita gilt data di un etwas iiberhaupt oggettivo, che Frege critichera poi sotto il nome di spettro esangue, rna che definisce gia 1a dimensione intenziona1e 3 dell'oggettivit?!, il rapporto trascendenta1e all'oggetto che nessuna genesi psico10gica potra instaurare, rna soltanto presupporre nella sua possibilit?!. Di conseguenza, il rispetto del senso aritmetico, della sua idealita e della sua normativita, proibisce gia a Hussed qualsiasi deduzione psicologica del numero ne1 momento stesso in cui il suo metodo di-
Hussed cerca dunque continua mente di conciliare l'esigenza strutturalista che conduce alIa descrizione comprensiva di una totalita, di una forma 0 di una funzione organizzata secondo una 1egalita intern a e nella qua1e gli elementi hanno senso solo nella solidarieta della 101'0 correlazione 0 della loro opposizione, con l'esigenza genetista, cioe 1a richiesta d'origine e del fondamento della struttura. Si potrebbe mostrare tuttavia che il progetto fenomeno10gico e sorto esso stesso da un primo fallimento di questa tentativo.
I Cfr. E. HUSSERL, Ricercbe logiche, trad. di G. Piana, II Saggiatore, Milano 1968, vol. I, ricerca I, § 31, IOI, p. 369· 2 Si tratta, dice allora Husser!, «di preparare a!traverso una serie di ricerche psicologiche e logiche i fondamenti scientifici sui quali si potrebbero ulteriormente collocate Ie matematiche e I. filosofia» (Philosophie der Arithmetik, p. v). Nelle Ricerche logiche, cit., vol. I, Prefazione alia I ' ed., p. 4, scrivera: «AlIora avevo preso Ie mosse dalla convinzione dominante che dalla psicologia fosse lecito attendersi una chiarificazione filosofica della logica delle scienze deduttive cos1 come della logica in generale ». E in un articolo di poco posteriore alla Philosophie der Arithmetik Husser! afferma ancora: «10 credo di poter affermare che nessuna teoria del giudizio potra mai accordarsi con i fatti se non si sostiene su di uno studio approfondito delle relazioni descrittive e genetiche delle intuizioni e delle rappresentazioni» (Psychologische Studien zur elementaren Logik, in «Philosophische Monatshefte», xxx, r894, pp. 1'9-91). 3 La Philosophie der Arithmetik dedicata a Brentano.
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chiarato e Ie tendenze dell'epoca avrebbero dovuto spingervelo. Resta il fatto che I'intenzionalita presupposta dal movimento della genesi e ancora pensata da Husserl come un tratto, una struttura psicologica della coscienza, come il carattere e Ia condizione di una fattualita. Ora il senso del numero non ha alcun bisogno dell'intenzionalita di una coscienza di fatto. Questo senso, cioe I'obiettivita ideale e Ia normativita, e appunto questa indipendenza nei confronti di ogni coscienza di fatto; ed HusserI sara presto costretto a riconoscere Ia Iegittimita delle critiche di Frege: I'essenza del numero dipende dalla psicologia quanta l'esistenza del Mare del Nord. D'altra parte, ne I'unita ne 10 zero possono essere prodotti a partire da una molteplicita di atti positivi, di fatti 0 di eventi psichici. Cio che e vero per l'unita aritmetica, 10 e anche per l'unita di ogni oggetto in generale. Se di fronte a tutte queste difEcolta per render conto di una struttura di senso ideale a partire da una genesi fattuale, HusserI rinuncia alla via psicologica I, rifiuta egualmente la conclusione logistica alla quale i suoi critici volevano rinviarIo. Di stile platonico 0 kantiano che fosse, quellogicismo era soprattutto diretto verso l'autonomia dell'idealita logica 0 matematica nei confronti di ogni coscienza in generale o di ogni coscienza concreta e non formale. HusserI, invece, vuole conservare nello stesso tempo l'autonomia normativa dell'idealita logica o matematica nei confronti di ogni coscienza fattuale e la sua dipendenza originaria nei confronti di una soggettivita in generale; in generate, ma concreta. Era quindi costretto a passare tra i due scogli dello strutturalismo logicista e del genetismo psicoIogista (sia pure sotto l'aspetto sottile e pernicioso dello «psicoIogismo trascendentale» attribuito a Kant). Era costretto ad aprire una nuova direzione dell'attenzione filosofica e a lasciare che si scoprisse una intenzionalita concreta, ma non empirica, una «esperienza trascendent?l.e» ch~ foss~ ~< costituen~e», v~ Ie a dire nella stesso tempo, come ogm mtenzlOnahta, produtttlce e tlvelatrice, attiva e passiva. L'unita originaria, la radice comune dell'attivita e della passivita, tale e ben presto per HusserI, la possibilit~ stessa del senso. Si trattera di provare continua mente che questa radlce comune e anche quella della struttura e della genesi e che e dogmatica1 Rievocando il tentativo di Philosophie der Arithmetik, Husser! nota, nella prefazione delle Ricerche logiche (vol. I, p. 4): « ... L.e rice~ch~ p.sicologiche riceve!tero m?ito spazio nel primo
volume [l'unico pubbIicatol ... Da cerl! punt! dl vista questa ,fo~~azlOne pSlcologlca no~ 11.11 sembro mai soddisfacente. Quando si trattava del problema dell ~ngIne delle rappresentazlOn! mate: matiche 0 della elaborazione dei metodi pratici, che in efIetti e psicologicamente determInata, ~ risultati dell'analisi psicologica mi apparivano chiari e istruttivi. Ma non appen.a si passava ?al nessi psicologici del pensiero alI'unita logica del contenuto del pensiero (alI'umta della teona), non poteva emergere alcuna continuita e chiarezza ».
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mente presupposta da tutte Ie problematiche e da tutte Ie dissociazioni sopravvenute a proposito di esse. HusserI tentera di predisporre l'accesso a questa radicalita comune, attraverso Ie diverse «riduzioni» che si presentano in primo luogo come Ie neutralizzazioni della genesi psicologica e anche di ogni genesi fattuaIe in generale. La prima fase della fenomenologia e, nel suo stile e nei suoi oggetti, pill strutturalista perche intende innanzitutto e soprattutto difendersi dallo psicologismo e dallo storicismo. Tuttavia, non e la descrizione genetica in generate che viene messa fuori gioco, ma solo quell a che trae i suoi schemi dal causalismo e dal naturalismo, quella che si basa su di una scienza di «fatti», quindi su di un empirismo; dunque, conclude HusserI, su di un relativismo incapace di garantire la propria verita; dunque su di uno scetticismo. II passaggio all'atteggiamento fenomenologico e quindi reso necessario dall'impotenza e dalla fragilita filosofica del genetismo quando quest'ultimo, per un positivismo che non si comprende come tale, crede di potersi rinchiudere in una «scienza dei fatti» (Tatsachenwissenschaft), scienza naturale 0 scienza dello spirito che sia. L'espressione di «genesi mondana» abbraccia appunto il campo di queste scienze. Finche 10 spazio fenomenologico non e stato scoperto, finche non e intrapresa la descrizione trascendentale, il problema «struttura-genesi» sembra dunque non avere alcun senso. Ne l'idea di struttura che isola Ie diverse sfere di significazione oggettiva, di cui rispetta l'originalita statica, ne l'idea di genesi, che effettua passaggi abusivi da una regione all'altra, sembrano capaci di chiarire il problema del fondamento dell' oggettivita, che e gia il problema di HusserI. Potrebbe anche sembrare non eccessivamente importante: non si puo effettivamente immaginare che queste due nozioni risultino metodologicamente feconde nei campi diversi delle scienze naturali e delle scienze umane, nella misura in cui queste scienze, nelloro proprio movimento e nelloro proprio momento, nelloro lavoro effettivo, non devono rispondere del senso e del valore della loro obiettivita? Niente affatto. La utilizzazione pill ingenua della nozione di genesi, e ancor di pill della nozione di struttura, presuppone almeno una suddivisione rigorosa delle regioni naturali e dei campi di obiettivita. Ora questa preliminare delimitazione, questa chiarificazione del senso di ogni struttura regionale non puo dipendere se non da una critica fenomenologica. Quest'ultima e sempre prima di diritto perche solo essa puo rispondere prima di ogni indagine empirica e perche una tale indagine risulti possibile, ad interrogazioni di questo tipo: che cosa e la cosa fisica, che cosa e la cosa psicologica, che cosa e la cosa storica, ecc., ecc.? - inter-
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rogazioni Ia cui risposta era pili 0 meno dogmaticamente implicata daIIe tecniche strutturali 0 genetiche. Non dimentichiamo che se Philosophie der Arithmetik e contemporanea ai tentativi psicogenetici pili ambiziosi, pili sistematici e pili ottimistici, Ie prime opere fenomenologiche di Husser! si svolgono quasi contemporaneamente ai primi progetti strutturalisti, 0 aimeno a quelIi che dichiarano Ia struttura come tema, perche non sarebbe difIiciIe mostrare che un certo strutturalismo e sempre stato il gesto pili spontaneo della filosofia. Ora a queste prime filosofie della struttura, il diltheysmo e il gestaitismo, Husser! rivolge obiezioni identiche, nelloro principio, a quelle che aveva rivolto contra il genetismo. Lo strutturalismo della Weltanschauungsphilosophie appare a Husser! uno storicismo. E contra Ie appassionate proteste di Dilthey, Husser! persistera a ritenere che, come ogni storicismo e malgrado Ia sua originalita, esso non eviti ne il relativismo ne 10 scetticismo '. Poiche riassume Ia norma ad una fattuaIita storica, esso finisce col confondere, per par!are collinguaggio di Leibniz e delle Ricerche logiche, Ie veritil di latto con Ie verita di ragione. La verita pura 0 Ia pretesa alIa verita pura sono mancate nelloro senso, quando si tenta, come fa Dilthey di renderne conto all'interno di una totalita storica determinata, cioe di una totalita di fatto, di una tot alit a finita in cui tutte Ie manifestazioni e tutte Ie produzioni culturali sono strutturalmente solidali, coerenti, regolate dalla stessa funzione, dalla stessa unit?! finita di una soggettivita totale. Questo sen so della verita 0 della pretesa alIa verita e I'esigenza di una onnitemporalita e di una universalita assolute, infinite, senza limite di sorta. L'Idea della verita, cioe I'Idea della filosofia 0 della scienza, e un'Idea infinita, un'Idea nel senso kantiano. Ogni totalita, ogni struttura finita Ie e inadeguata. Ora, I'Idea 0 il progetto che alimentano e unificano ogni struttura storica determinata, ogni IVeltanschauung, sono liniN ': partendo dalla descrizione strutturale di una visione del mondo e quindi possibile render conto di tutto, tranne che dell'apertura infinita alla verita, cioe della filosofia. D'altra parte e semI In effetti Husser! scrive: «Non capisco come egli [Dilthey] creda di aver portato, a part ire dalla sua analisi tanto istruttiva della struttura e della tipologia della W'eltanschauung, ragioni decisive contro 10 scetticismo» (E. HUSSERL, Philosophie als strolge W'issenschaft, in « Logos », I, 19II, pp. 298-341). Naturalmente, 10 storicismo condannato solo nella misura in cui necessariamente collegato a una storia empirica, a una storia come Tatsachenwissenschaft. «La storia, la scienza empirica dello spirito nella sua genesi - scrive Husser! - non e in grado di decidere con i propri mezzi se possibile distinguere la religione in quanto forma particolare della cultura, dalla religione come idea, cioe come religione valida; se e possibile distinguere l' arte come forma di Cllitura dall'arte valida, il diritto storico dal diritto valido; ed infinc se e necessario distinguere tra la filosofia intesa nel senso storieo e la filosofia valida ... » (ibid.). , Philosophie als strenge Wissenschaft cit.
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pre qualcosa come un'apertura, quello che fara fallire I'assunto strutturalista. Quel che non posso mai comprendere, in una struttura, e proprio cib per cui essa non e chiusa. Se Husser! si e tanto accanito contro il diltheysmo 1, e perche si tratta di un tentativo seducente, di una aberrazione allettante. Dilthey ha effettivamente il merito di insorgere contra Ia naturalizzazione positivista della vita dello spirito. Husser! rende quindi omaggio a Dilthey e si mostra molto favorevoIe: I) ad un principio di «comprensione» 0 di ri-comprensione, di «ri-vivere» (Nachleben), nozioni che dobbiamo avvicinare nello stesso tempo a quell a di Einliilung, derivata da Lipps e trasformata da HusserI, e a quella di Reaktivierung, che e il rivivere attivo dell'intenzione passata di un altro spirito e il risveglio di una produzione di senso; si tratta qui della possibilita stessa di una scienza dello spirito; 2) all'idea che esistano strutture totalitarie dotate di una unit a di sen so interna, delle specie di organismi spirituali, dei mondi culturali in cui tutte Ie funzioni e tutte Ie manifestazioni risultano solidali e alle quali corrispondono correlativamente delle Weltanrchauungen; 3) alla distinzione tra Ie strutture fisiche, in cui il principio di relazione e Ia causalita esterna, e Ie strutture dello spirito, in cui il principio di relazione e quello che Husser! chiamera poi Ia «motivazione». Ma questa rinnovamento non e fondamentale e non fa che aggravare Ia minaccia storicistica. La storia non cessa di essere scienza empirica dei «fatti», per aver riformato i suoi metodi e Ie sue tecniche, per aver sostituito ad un causalismo, ad un atomismo, ad un naturalismo, uno strutturalismo comprensivo e per essersi fatta pili attenta alle totalita culturali. La sua ambizione di fondare Ia normativita su di una fattuaIita meglio compresa, non diventa pili Iegittima, non fa che accrescere Ie sue possibilita di seduzione filosofica. Sotto Ia categoria equivoca dello «storico» si cela Ia confusione del valore e dell'esistenza; in modo pili generale ancora, Ia confusione di tutti i tipi di realta e di tutti i tipi di idealit?! '. Bisogna quindi ricondurre, ridurre Ia teoria della Weltanschauung nei limitati confini del suo proprio campo; i suoi contorni sono tracciati da una certa difJerenza tra Ia saggezza e il sapere; e da una prevenzione, una precipitazione etiche. Questa differenza irriI La polemica continuerit al di lit di Philosophie als strenge W'issenschaft. Cfr. Phanomenologische Psychologie. Vorlesungen Sommersemester, 1925. , Evocando il sentimento di potenza che puo garantire il relativismo storico, Husser! scrive:
«Insistiamo suI fatto che anche i principl di certe valutazioni relative appartengono alIa sfera ideale, che 10 storieo che emette giudizi di valore, se non intende comprendere unieamente puri svolgimenti [qui, di fatti], puo solo presupporre, rna, in quanto storieo, non puo garantire i fondamenti. La norma del matematico si trova nella matematica; quella del logieo nella logica, quella del moralista nell'etica, ecc.» (Philosophie als strenge Wissenschaft cit.).
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ducibile rimanda a una interminabile difJeranza del fondamento teorico. Le urgenze della vita esigono che una risposta pratica si organizzi immediatamente nell'esistenza storica e anticipi una scienza assoluta, di cui l'esistenza non puo stare ad aspettare i risultati. II sistema di questa anticipazione, la struttura di questa risposta estorta, e queUo che Husserl chiama Weltanschauung. Con qualche precauzione si potrebbe dire che Ie riconosce la situazione e il sen so di una «morale provvisoria» " sia individuale che collettiva. Fino a questo punto ci siamo interessati del problema «strutturagenesi» che si era imposto all'inizio ad HusserI al di qua delle frontiere della fenomenologia. E stata la radicalizzazione dei presupposti della psicologia e della storia a rendere necessario il passaggio all'atteggiamento fenomenologico. Cerchiamo ora di cogliere 10 stesso problema nel campo della fenomenologia, tenendo conto delle premesse metodologiche di HusserI e soprattutto della «riduzione» nelle sue forme eidetica e trascendentale. A dire il vero, vedremo che non si puo trattare dello stesso problema; ma solo di un problema analogo, HusserI direbbe «parallelo», e il senso di questa nozione di «parallelismo» a cui accenneremo subito, non eil meno arduo dei problemi che si aprono qui. Se la prima fase della descrizione fenomenologica e delle «analisi costitutive» (fase la cui traccia pili elaborata ecostituita da Idee, I) e, nel suo proposito, decisamente statica e strutturale, 10 e, si direbbe, almeno per due ragioni. A) In relazione al genetismo storicistico 0 psicoIogistico contro il quale continua a spezzare lance, HusserI esclude sistematicamente ogni preoccupazione genetica '. L'atteggiamento contro il quale egli insorge ha COS1 forse contaminato e determinato indirettamente il suo: sembra che egli consideri allora ngni genesi come associativa, causale, fattuale e mondana. B) Preoccupandosi prima di tutto dell'ontologia formale e dell'oggettivita in generale, HusserI prende di mira soprattutto l'articolazione tra l'oggetto in generale (quale che sia la sua appartenenza regionale) e la coscienza in generale (U r-Region), , ... «La saggezza 0 'Veltanschauung appartiene alIa comunita culturale e all'epoca e c'e, in relazione alle sue forme pill pronunciate, un sensa giusto in cui si puo parlare non solo della cultura e della Weltanschauung di un individuo determinato, rna di quelle di un'epoca ... » :E questa saggezza, continua Husser!, che foroisce (da risposta relativamente pill perfetta agli enigmi della vita e del mondo, vale a dire che essa conduce ad una soluzione e a una chiarificazione sod· disfacente, nel miglior modo possibile, i dissensi teorici, assiologici e pratici della vita, che l'esperienza, la saggezza, la semplice considerazione del mondo e della vita possono solo in parte superare ... Nell'urgenza della vita, nella necessitii pratica di prendere posizione, I'uomo non po· teva aspettare fino al momenta - forse tra millenni - che arrivasse la scienza, anche ammettendo, che conoscesse giil I'idea della scienza rigorosa» (Philosophie als strenge Wissenschaft cit.). , Cfr. specialmente E. HUSSERL, Idee per una !enomenologia pura e per una filosofia !enome· nologica, trad. di G. Alliney e E. Filippini, Einaudi, Torino 1965, libra I, sez. I, cap. I, § I, p. 15, nota r.
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definisce Ie forme dell'evidenza in generale e intende raggiungere in tal modo I'estrema giurisdizione critica e fenomenologica alIa quale sara poi sottoposta Ia descrizione genetica pili ambiziosa. Se dunque HusserI fa distinzione da una parte tra struttura empirica e struttura eidetica e dall' altra tra struttura empirica e struttura eidetico-trascendentale, non ha ancora, a quest'epoca, compiuto 10 stesso gesto per quanto riguarda la genesi. All'interno della trascendentalita pura della coscienza, in questa fase della descrizione, il nostro problema assumerebbe almeno - poiche bisogna scegliere - due forme. E in tutti e due i casi si tratta di un problema di chiusura e di apertura. I. A differenza delle essenze matematiche, Ie essenze della coscienza pura non sono, non possono per principio essere esatte. E nota la differenza che ha stabilito Husserl tra esattezza e rigore. Una scienza eidetica descrittiva, come la fenomenologia, puo essere rigorosa, ma enecessariamente inesatta - direi piuttosto «anesatta» - e non bisogna vedere in questa alcuna infermita. L'esattezza esempre il risultato di una operazione d'«idealizzazione» e di «passaggio allimite» che non puo riguardare se non un momento astratto, una componente eidetic a astratta (la spazialita, per esempio) di una cosa materiale determinata come corpo obiettivo, astrazion fatta, precisamente, di ogni altra componente eidetica di un corpo in generale. Per questa la geometria euna scienza «materiale» e «astratta» '. Ne consegue che una «geometria del vissuto», una «matematica dei fenomeni» eimpossibile: eun «progetto fallace» '. E questo significa in particolare, per quel che qui ci interessa, che Ie essenze della coscienza, dunque Ie essenze dei denomeni» in generale non possono appartenere a una struttura 0 a una «molteplicith di tipo matematico. Ora, che cosa caratterizza una tale molteplicita per HusserI, e a quest'epoca? In una parola, la possibilita della chiusura J • Non ci e possibile, in questa sede, prendere in considerazione Ie diffi, Cfr. Idee cit., libra I, sez. I, cap. I, § 9, p. 26 e cap. II, § 25, p. 52. , Ibid., sez. III, cap. I, § 71, p. 152. J «Can I'aiuto degli assiomi, cioe delle primitive leggi essenziali, essa [la geometria] e nella condizione di poter dedurre, ricavare in modo pienamente deduttivo tuUe Ie figure" esistenti" (existierenden) nello spazio (cioe tutte Ie figure idealmente possibili con i loro rapporti essenziali) nella forma di concetti esattamente determinanti, ... L'essenza di genere del territorio geometrico e costituita in modo (ossia l'essenza pura dello spazio e tale) che la geometria non puo essere pie· namente sicura di dominare col suo metodo effettivamente ed esattamente tutte Ie sue possibilira. In altre parole, la molteplicira delle formazioni spaziali ha una proprieta logica fondamentale, per Ja quaJe noi introduciamo il termine di .. varieta definita" (definite) 0 di .. varieta matematica in senso pregnante". Essa caratterizzata dal fatto che un numero finito di concelli e di proposizioni ...
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determina pienamente ed lmi1!ocamente, it comptesso di tulle Ie possibili formazioni del territorio secondo una necessita puramente anaiitica, cosicche in esso non rimane per principio piti nulla di aperto (offen)>> (Idee cit .. libro I, sez. III, cap. I, § 72, p. 154).
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colt a intramatematiche che ha continuato in seguito a sollevare questa concezione husserliana della «definitezza» matematica, soprattutto quando estat a messa a confronto con alcuni sviluppi ulteriori delI'assiomatica e con Ie scoperte di Godel. Quello che Husser! vuole sottolineare con questa paragone tra scienza esatta e scienza morfologica, queUo che dobbiamo qui prendere in considerazione, ela fondamentaIe, essenziale e strutturale impossibilita di chiudere una fenomenoIogia strutturale. E l'apertura infinita del vissuto, significata in diversi momenti dell'analisi husserliana attraverso il riferimento ad una Idea nel sensa kantiano, irruzione dell'infinito presso Ia coscienza, che consente di unificarne il flusso temporale come essa unifica l'oggetto e il mondo, per anticipazione e malgrado una irriducibile incompiutezza. E Ia strana presenza di questa Idea che consente anche ogni passaggio allimite e Ia produzione di ogni esattezza. 2. L'intenzionalita trascendentale viene descritta in Idee, I, come una struttura originaria, una archi-struttura (Ur-Struktur) con quattro poli e due correlazioni: Ia correlazione 0 struttura noetico-noematica e Ia correlazione 0 struttura morfo-iletica. Che questa struttura complessa sia quella dell'intenzionalita, cioe quella deIl'origine del senso, delI'apertura alla Iuce della fenomenicita, che l'occlusione di questa struttura sia il non-senso stesso, ecosa che si puo rilevare da aimeno due segni: A) La noesi e il noema, momenti intenzionali della struttura, si distinguono in questo, che il noema non fa realmente parte della coscienza. C'e nella coscienza in generale, una istanza che non Ie appartiene realmente. E il tern a difficile rna decisivo dell'inclusione non-reale (reell) del noema I. Quest'ultimo, che e l'oggettivita dell'oggetto, il senso e il «come tale» della cosa per la coscienza non e ne Ia cosa determinata stessa, ne Ia sua esistenza selvaggia di cui il noema e appunto il manifestarsi, ne un momenta propriamente soggettivo, «realmente» soggettivo, poiche senza alcun dubbio esso si d?t come oggetto per la coscienza. Non e mondo e non e coscienz2, rna il mondo 0 qualcosa del mondo per Ia coscienza. Certo, in linea di principio, non puo essere scoperto se non a partire dalla coscienza intenzionale, rna non trae da essa cio che potremmo chiamare metaforicamente, per evitare di cosincare Ia coscienza, la sua ~< stoffa». Questa non-appartenenza reale ad una qualsiasi regione, neppure all'archi-regione, questa anarehia del nocma e la radice e la possibilita stessa dell'oggettivita e del senso. Questa irregionalita del noema, apertura al «come tale» dell'essere ed alla
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deter~inazio?e della totalita delle regioni in gene~aIe, non puo essere d~sctltta, stnet? sensu e semplieemente, a partire da una struttura reglOn~Ie de~ermma~a. Per questo, Ia riduzione trascendentale (nella misura.m cut deve nmanere riduzione eidetic a per sapere di che cosa si contmuera a parlare e per evitare I'idealismo empirico 0 I'idealismo assoI~to) potrebbe sembrare occultatrice perche da ancora accesso a una r~glOne .determinata, indipendentemente dal suo privilegio di fondaZlone. S1 potrebbe pensare che, una volta riconosciuta chiaramente Ia non-realta del noema, sarebbe stato conseguente convertire tutto il metodo fenomenologico ed abbandonare con Ia Riduzione I'intero idealismo trascendentale. Ma non sarebbe stato come conda~narsi al silenzio - c?sa, d'altra parte, sempre possibile - e in ogni caso rinunciare ad un ngore che solo Ia limitazione eidetico-trascendentale ed un certo «regionalismo» possono garantire? In ogni caso, Ia trascendentalita dell'apertura e nello stesso tempo I'origine e Ia sconfitta Ia condizione di po.ssibili~a e un~ certa impossibilita di ogni struttura ~ di ogni strutt~rahsmo slstematlco. - B) Mentre il noema e una componente in tenzlOnaie e non reale, Ia hyle e una componente reale rna non intenzionale d~I,vis~uto. ~ssa e Ia m~teria sensibile (vissuta e non-reaIe) dell'affettivlta 'p:l~a dl ess:re ammata dalla forma intenzionale. E il polo della paSS1~lta pura, dl quella non-intenzionalita senza Ia quale Ia coscienza non tlceverebbe nulla che Ie fosse altro e non potrebbe esercitare Ia sua ?ttivit?! intenzionale. Questa recettivita e anche una apertura essenzlale. Se, allivello in cui si mantiene Idee, I, Husser! rinuncia a descri~ere e_ a interrogare Ia hyle per se stessa e nella sua genialita pura, se nnunCla ad esaminare Ie possibilita intitolate materie senza forma e forme senza materia I, se si limita alla correlazione ile-morfica costituita, e perche Ie sue analisi si svolgono ancora (rna in un cetto modo non sara sempre COS!?) all'interno di una temporalita costituita '. Ora; : Idee cit., libra I, ~ez. III, cap. II, § 85, p. I91. NeI para~ra!o dedlcato alIa b~te e.aIIa ~orfi',.Husserl scrive in particoIare: «Dato iI grado d.l~dagme a C?l slamo.tuttora legat!, e In CUI dobhtamo astenerci dall'indagare Ie oscure profondna della COSClcnza ultima. che C?;t!tuisce ogni te':lporalita degIi Ertebnisse ... » (Idee cit., Iibro I, sez. III, cap: II, § .8~, p. I~O). PlU tn Iii.: «In ogm caso questa mirabile duplicita e unita di ~"l'] ,.
sensu ale e dl [lOP,'Pl'] l?tenzlOnale ha un ruolo dominante in tutto il territorio fenomenoIogico (naturalmente, nell amblto ~e1 grado, da tenere sempre fermo. della temporalita gia costituita)>> (Ibid., p. I9 I ). Un po' pI1ma, dopo aver paragonato Ia dimensione spaziale e Ia dimensione temporaIe. dell~ byte, Husser! preannuncia cosi, giustificandoli, i Iimiti della descrizione statica e Ia ?eces~lt~ dl proc~dcrc po~ ,alIa descrizione genetica: «II te.mpo del resto, come risultera dalle lndaglnl che segulranno pm tardl. un utolo per una sfera dl problemi completamente chiusa e di ~ccezion.ale diflicolta. Si vedra come .Ja nostra esposizione in certo modo abbia fin qui taciut~ una lnter.a dlmensl0ne e doveva necessanamente tacerla, per non gettare Ia confusione in quella parte che In un primo kmpo la sola accessibile all'atteggiamento fenomenologico ... L'" assoIuto" trascendentale che abbiamo raggiunto per mezzo delle riduzioni, in verita non I'ultimo rna qualcosa (etwas) che a sua volta si costituisce in un certo senso profondo e del tutto caratte;istico,
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Cfr. Idee cit., libra I, speciaImente sez. III. cappo III e IV.
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nella sua maggiore profondita e nella sua pura specificita la hyle e, innanzitutto, materia temporale. E la possibilita della genesi stessa. Cosf si manifesterebbe, in questi due poli d'apertura ed all'interno stesso della struttura trascendentale di ogni coscienza, la necessita di passare ad una costituzione genetica e a quella nuova «estetica trascendentale» che sara continuamente preannunciata rna sempre differita, e nella quale i temi dell'Altro e del Tempo dovevano lasciare apparire la loro irriducibile complicita. Questo perche la costituzione dell'altro e del tempo rinviano la fenomenologia ad una zona nella quale il suo «principio dei princiPl» (secondo noi, il suo principio meta{isico: l'evidenza originaria e la presenza della cosa stessa in persona) eradicalmente messo in questione. In ogni caso, come si vede, la necessita di questa passaggio dallo strutturale al genetico non eaffatto la necessita di una frattura 0 di una conversione. Prima di seguire questa movimento interno alla fenomenologia, e il passaggio aIle analisi genetiche, soffermiamoci un momenta su un secondo problema di frontiera. Tutti gli schemi problematici che abbiamo indicato appartengono alla sfera trascendentale. Ma una psicologia rinnovata sotto la duplice influenza della fenomenologia e della Gestaltpsychologie', e tale da prendere distanza nei confronti dell'associazionismo, dell'atomismo, del causalismo, ecc., non potrebbe pretendere di assumere da sola una tale descrizione e tali schemi problematici? In una parola, puo una psicologia strutturalista che si pretenda indipendente nei confronti di una fenomenologia trascendentale, se non di una psicologia fenomenoloavendo Ia sua sorgente originaria (Urquelle) in un ultimo e vero assoluto» (ibid., § 81, p. lRI). Questa Iimitazione verra mai tolta nelle opere pill mature? Si trovano riserve di questo tipo in tutti i grandi Iibri successivi, in particolare in Erfahrung und Urteil (Classen Verlag, Hamburg 1948, pp. 72, lI6, 194 ecc. [Esperienza e giudizio, trad. di F. Costa, Silva, Milano 1960, pp. 6768, lIO-II, 182] ed ogni qualvolta Husser! annuncia una «estetica trascendentale» (conclusione di Logica formale e logica trascendentale, § 61 delle Meditazioni cartesiane). , E soprattutto iI tentativo di Kohler per iI quale la psicologia deve dedicarsi ad «una descrizione fenomenoIogica », e di Koffka, allievo di Husser!, che, nei suoi Principles of Gestalt Psychology (Harcourt, Brace & c., New York 1935), vuole mostrare che grazie aI suo strutturalismo, la «psicologia della forma» sfugge alIa critica dello psieologismo. La congiunzione tra la fenomenologia e la «psicologia della forma» era facilmente prevedibile. Non tanto quando Husserl si sarebbe trovato, come suggerisce Mer!eau-Ponty (Phenomenologie de la perception, Gallimard, Paris 1945. Fenomenologia della pel'Cezione, trad. di A. Bonomi, II Saggiatore, Milano 1965, p. 93, nota 45) a riprendere in Krisis des europiiischen Wissenschaften und die transzendentale Phiinomenologie (ed. definitiva, Niihoff, Den Haag 1954 [trad. di E. Filippini, II Saggiatore, Milano 1968']), <
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gica, rendersi invulnerabile alle accuse di psicologismo gia rivolte alIa psicologia classica? Era tanto pill facile crederlo in quanta HusserI stesso aveva prescritto la costituzione di una psicologia fenomenologica) aprioristica, certo, ma mondana (per il fatto che non puo escludere la posizione di quella cosa del mondo che e la psiche) e rigorosamente parallela alla fenomenologia trascendentale_ Ora, il superamento di quell a invisibile differenza che separa dei paralleli non e innocente: e il gesto pill sottile e pili ambizioso dell'abuso psicologistico. E questa il principio delle critiche che HusserI, nella Postilla aIle Idee, I (1930) rivolge aIle psicologie della struttura 0 della totalita. La Gestaltpsychologie eespressamente presa di mira J. Non basta sfuggire all' atomismo per evitare il «naturalismo». Per chiarire la distanza che deve separare una psicologia fenomenologica da una fenomenologia trascendentale, bisognerebbe interrogare su que! niente che impedisce loro di ricongiungersi, su quel parallelismo che libera 10 spazio di una interrogazione trascendentale. La riduzione trascendentale e quello che fa convergere la nostra attenzione verso que! niel1te in cui la totalita del senso e il senso della totalit?! lasciano apparire la lora originc. Vale a dire, secondo l'espressione di Fink, l'origine del mondo. Se ne avessimo il tempo e i mezzi bisognerebbe accostarsi qui ai giganteschi problemi della fenomenologia genetica, quale si va sviluppando dopo Idee, 1. Notero semplicemente i seguenti punti: L'unita profonda di questa descrizione genetica si rifrange, senza disperdersi, in tre dire.zioni. A) La direzione logica. II compito di Esperienza e giudizio, di Logica formale e logica trascendentale e di molti altri testi collegati, edi dissolvere, di «ridurre» non solo Ie sovrastrutture delle idealizzazioni scientifiche ed i valori di esattezza obiettiva, rna anche ogni sedimentazione predicativa appartenente allo strato culturale delle verira soggettivo-relative nella Lebenswelt. E questo per riafferrare e per «riattivare» il sorgere della predicazione in generale - teoretica 0 pratica - a partire dalla vita pre-culturale pill selvaggia. B) La direzione egologica. In un certo senso egia implicita alla precedente. Innanzitutto perche, nel modo pill generale, Ia fenomenologia non puo e non deve mai descrivere se non modificazioni intenzionali dell' eidos ego in generale 2. E poi perche Ia gene alogia della 10gica si J p. 931. 2 «Poiche il concreto io monadieo eomprende I'intero vivere potenziale e rcale della coseienza, diviene chiaro che iI problema della esposizione-descrizione di questo ego monadico (i1 problema della sua eostituzione per se stesso) deve comprendere in se tutti i problemi costitutivi in gelIerale. In uno sviluppo ulteriore, si produce l'identificazione della fenomenologia di questa auto-
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collocava nella sfera dei cogitata e gli atti dell' ego, come Ia sua esistenza e la sua vita proprie, non erano Ietti se non a partire dai segni e risultati noematici. Ora, come si afferma nelle Meditazioni cartesiane, si tratta di ridiscendere al di qua, se si puo dire, della coppia cogito-cogitatum per riafferrare Ia genesi dell' ego stesso, esistente di per se e «costituente continuamente se stesso come essente» '. Oltre ai delicati problemi di passivita e di attivita, questa descrizione genetica dell' ego si imbattera in limiti che noi saremmo tentati di giudicare definitivi ma che Husserl considerava, beninteso, come provvisori. Essi derivano, egli dice, dal fatto che Ia fenomenologia non e che ai suoi inizi '. La descrizione genetica dell' ego prescrive effettivamente ad ogni momento i1 compito formidabile di una fenomenologia genetica universale. Quest'ultima si delinea nella terza direzione. C) La direzione storico-teleologica. «Una ragione teleologica attraversa da cima a fondo tutta Ia storicith e in particolare «l'unita della storia dcll'ego» '. Questa terza direzione, che dovra dare accesso aIl' eidos della storicita in generale (vale a dire al suo telos perche l' eidos di una storicita, e quindi del movimento del senso, movimento necessariamente razionale e spirituale, non puo essere che una norma, un valore pili che una essenza), questa terza direzione non e una direzione 1
costituzione can la !ellomen%gia ill generale.,. E. HUSSERL, lvIeditazioni cartesiane, trad. di F. Costa, Bompiani, Milano I960, § 33, p. II7). ! «Ma ora dobbiamo pur volgere la nostra attenzione su di un punta malta manchevole della nostra trattazione. L' ego stesso per se stesso in uno stato continuo di evidenza e cio in quanta costiluente continuamente se stesso come essenle. Noi abbiamo finora toccata solo un lata di questa costituzione, poiche abbiamo guardato solo verso la corrente del cogila. Ora I'ego coglie se stesso non solamente come corrente di vita, rna anche come io, come l'io che ha questa a quest'altro oggetto di coscienza, come io che vivo questa a que! cogilo in quanta sana 10 stesso io. Finche ci siamo occupati del rapporto intenzionale di coscienza, di cagito e cogitatum ... , ecc.» (E. HUSSERL, lvIeditazioni cartesiane cit., § 31, p. II4). , <do malta diflicile accedere all'universalita ultima della problematica eidetico-fenomenologica e quindi anche della genesi ultima. II fenomenologo che si trova ancora all'inizio involontariamente legato ancora dal fatto che egli ha preso se stesso come punto di partenza. Egli si trova trascendentalmente come I'ego e quindi come un ego in generale, che ha nella coscienza gia un mondo, un mondo del nostro ben nota tipo onlologico, con una natura, una cultura e civilta (delle scienze, arti, tecniche, ecc.), delle personalita di ordine superiore (Stato, Chiesa) e COS1 via. La fenomenologia COS1 formata meramente slatica, Ie sue descrizioni sono analoghe a quelle che fa iI naturalista, Ie quali vanno seguendo i tipi singoli per porli in un generale arginamento sistematico. Rimangono ancora estranei i problemi della genesi universale ed estranea rimane la struttura genetica de!I'io preso nella sua universalitii, strutturn che va oltre la formazione temporale; questi problemi e questa struttura appartengono infatti a un grado superiore della ricerca. Ma anche quando si vogliono porre dei problemi de! genere, si rimane in certo modo sempre vincolati. Poiche infatti la considerazione essenziale si terra a tutta prima ferma all'ego in generale, rna essendo pur legata dal fatto che gi. per I'ego posta un mondo come costituita. Anche questa pero un grado necessaria della ricerca, a partire dal quale e mediante I'astrazione delle forme di leggi che valgono per la genesi di questa grado, si potranno originariamente intuire Ie possibilit' di una !enomenologia eidetica, assolutamente universale" (Ibid., § 37, pp. 125-26). 1 Cfr. E. HUSSERL, Crisi cit., Appendice III, p. 105. 4 10., Meditazioni carlesiane cit., § 37, p. I24.
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tra Ie altre. L'eidetica della storia non e un'eidetica tra Ie aItre: essa comprende Ia totalita degli essenti. In effetti l'irruzione del logos, il presentarsi alIa coscienza umana della Idea di un compito infinito della ragione, non si produce soItanto attraverso sel'ie di rivoluzioni che sono nello stesso tempo conversioni a St, Iacerazioni di una finitezza precedente che mettono a nudo una potenza d'infinita nascosta e che restituiscono Ia sua voce alIa OUVrlrW; di un silenzio. Queste rotture, che sono nello stesso tempo disvelamenti (e anche coprimenti perche l'origine si dissimula immediatamente sotto il nuovo campo d'oggettivita scoperto 0 prodotto), queste rotture si annunciano gill sem pre, riconosce Husserl, «nella confusione e nella notte», cioe non solo nelle forme pili elementari della vita e della storia umana, rna grado a grado nelI'animalita e nella natura in generale, In che modo una simile affermazione, resa necessaria dalla e nella fenomenologia stessa, puo esservi del tutto garantita? Perche essa non riguarda pili soltanto fenomeni ed evidenze vissute. II fatto di potersi rivelare rigorosamente solo nell'elemen to di una fenomenologia, Ie impedisce forse di essere gia - 0 ancora - una asserzione metafisica, affermazione di una metafisica che si articola su di un discorso fenomenologico? Sono interrogazioni che io qui mi limito a porre. La ragione si svela guindi da St. La ragione, dice Husserl, e illogos che si produce nella storia. Attraversa I'essere in vista di se, in vista di manifestarsi a se stesso, cioe, come logos, di dire e di intendere se stesso. E la parola come auto-affezione: il sentirsi-parlare. Esso esce da se per riprendersi in St, nel «presente-vivente» della sua presenza a St. Uscendo da se stesso, il sentirsi-parlare si costituisce in storia della ragione attraverso la deviazione di una scrittura. 5i differisce cosi per riappropriarsi. L'origine della geometria descrive Ia necessita di questa esposizione della ragione nell'inscrizione mondana. Esposizione indispensabile alla costituzione della verira e dell'idealita degli oggetti, rna anche minaccia del senso da parte del fuori del segno. Nel momenta della scrittura il segno puo sempre «svuotarsi», sottrarsi al risveglio, alla «riattivazione», puo rimanere per sempre chiuso e muto. Come per Cournot, Ia scrittura qui e «l'epoca critica». E necessario fare qui molta attenzione al fatto che questa linguaggio non e immediatamente speculativo e metafisico, come certe frasi consonanti di Hegel, sembravano essere, a torto 0 a ragione, per Husser!' Perche questa logos che si chiama e si interpella da se come telos e Ia cui QUVrl[lL<; tende verso Ia sua EVEP'YELrl e la sua EV'!EAEXELrl, questo logos non si produce nella storia e non attraversa l'essere come una empiricira
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estranea in cui la sua trascendenza metafisica e I'attualita della sua essenza infinita si calerebbero e acconsentirebbero. IItogos non enulla fuori della storia e dell'essere, poiche esso e discorso, discorsivita infinita e non infinita attuale; e perche e senso. Ora, l'irrealta 0 I'idealita del senso e stata scoperta dalla fenomenologia come Ia propria premessa. Inversamente, nessuna storia come tradizione di se e nessun essere avrebbero senso senza iltogos che e it senso che si proietta e si proferisce da se. Malgrado tutte queste nozioni classiche, la fenomenologia non attua alcuna abdicazione di se a vantaggio di una speculazione metafisica classica che invece dovrebbe, secondo HusserI, riconoscere nella fenomenologia l'energia chiara delle proprie intenzioni. II che significa che mentre critica Ia metafisica classica, Ia fenomenologia porta a compimento il progetto pill profondo della metafisica. HusserI stesso 10 riconosce, anzi 10 rivendica, in particolare nelle Meditazioni cartesiane. I risultati della fenomenologia sono «metafisici», se e vera che Ia conoscenza ultima dell'essere deve essere chiamata metafisica. Ma non sono affatto metafisica nel sen so abituale del termine; questa metafisica, degenerata nel corso della sua storia, non e per nulla conforme allo spirito nel quale e stata originalmente fondata in quanta «filosofia prima »... «Ia fenomenologia ... esclude solo ogni metafisica ingenua ... ma non esclude in generale Ia metafisica» '. Perche all'interno dell' eidos pill universale della storicita spirituale, Ia conversione della filosofia in fenomenologia sarebbe I'ultimo stadia di differenziazione (stadia, cioe Stufe, piano strutturale 0 tappa genetica) 2. I due stadi precedenti sarebbero in primo Iuogo quello di una cultura pre-teoretica, e poi quello del progetto teoretico 0 filosofico (momento greco-europeo) 3. La presenza alla coscienza fenomenoIogica del Tetos 0 Vorhaben, anticipazione teoretica infinita che si da simultaneamente come compito pratico infinito, e indicata ogni volta che Hussed patIa dell'Idea net senso kantiano. Quest'ultima si da nell'evidenza fenomenologica come evidenza di un oltrepassamento essenziale dell'evidenza attuale e adeguata. Bisognerebbe quindi esaminare da vicino questa intervento deII'Idea nel sen so kantiano in diversi punti dell'itinerario husserliano. Si Medilazioni carlesiane cit., §§ 60 e 64, p. 209. Queste espressioni dell'ultimo Husser! si dispongono come nella metafisica aristotelica in cui I'eidos, illogos e iI lelos determinano iI passaggio dalla potenza all'atto. Certo, come il nome di Dio che Husser! chiama anche Entelechia, queste nozioni sono marcate da un indice trascenden· tale e la loro virtualita metafisica neutralizzata da virgolette fenomenologiche. Ma la possibilita di questa neutralizzazione, della sua purezza e delle sue condizioni 0 della sua
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potrebbe allora vedere forse che questa Idea e l'Idea 0 il progetto stesso della fenomenologia, quello che Ia rende possibile, oltrepassando il suo sistema di evidenze 0 di determinazioni attuali, oltrepassandoIo come sua sorgente 0 suo fine . . Poiche il Tetos e completamente aperto, e l' apertura stessa, dire che e 11 pill potente a priori strutturale della storicita, non e designarlo come un valore statico c determinato che informerebbe e imprigionerebbe Ia genesi dell'essere e del senso. E Ia possibilita concreta, Ia nascita stessa della storia e il senso del divenire in generale. E quindi strutturalmente Ia genesi stessa, come origine e come divenire. Tutti questi sviluppi sono stati resi possibili dalla distinzione iniziaIe tra differenti tipi irriducibili della genesi e della struttura: genesi mondana e genesi trascendentale, struttura empirica, struttura eidetica e struttura trascendentaIe. Porsi I'interrogazione storico-semantica che segue: «Che cosa vuol dire, che cosa ha sempre voluto dire la nozione di genesi in generate a partire dalla quaIe Ia diffrazione husserliana e potuta sorgere e ha potuto essere intesa? - che cosa vuol dire e che cosa ha sempre voluto dire, attraverso i suoi spostamenti, Ia nozione di struttura in generate a partire dalla quale HusserI opera ed opera delle distinzioni tra Ie dimensioni empirica, eidetica e trascendentale? Equal e il rapporto storico-semantico tra Ia genesi e Ia struttura in generate? », non e porre semplicemente una interrogazione linguistica preliminare. Vuol dire porre l'interrogazione dell'unita del terreno storico a partire dal quale una riduzione trascendentaIe e possibile e motiva se stessa. Vuol dire porre I'interrogazione dell'unita del mondo da cui si sprigiona, per Iasciare che se ne manifesti I'origine, Ia liberta trascendentale stessa. Se HusserI non ha posto queste interrogazioni in termini di filoIogia storica, se non si e prima di tutto interrogato suI senso in generate dei suoi strumenti operativi, non e certo per ingenuita, per precipitazione dogmatic a e specuIativa, a perche avesse trascurato Ia carica storica del linguaggio. E perche interrogarsi suI sensa della nozione di struttura 0 di genesi in generate, prima delle dissociazioni introdotte daIla riduzione, vuol dire interrogarsi su quello che precede Ia riduzione trascendentale. Ora, quest'ultima non che e l'atto libero della interrogazione che si sottrae alla totalita di cio che Ia precede per pater accedere a questa totalita e in particolare alIa sua storicita e aI suo passato. L'interrogazione sulla possibilita della riduzione trascendentale non puo essere in attesa della sua risposta. Essa e Ia interrogazione della
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possibilid della interrogazione, l'apertura stessa, i1 var~o a p~rti~e dal quale 1'10 trascendentale che Husserl ha avuto la tentazlOne dl chlamare «eterno» (il che, in ogni modo, non significa nel suo pensier~ ne in~ nito ne astorico; al contrario) einvitato a interrogarsi su tutto, m particolare sulla possibilita della fattualita selvaggia e nuda del non-senso, nel caso, per esempio, della propria morte., I
Artaud: la parole souffiee *
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Quando scrivo, non c'e altro che quello che io scrivo. Quello che ho sentito d'altro, che non ho potuto dire, e che mi esfuggito sono idee 0 un verbo rubato che distruggero per sostituirlo con un'aItra cosa. Rodez, aprile 1946 ... Da quaIsiasi parte ti rivoIga, tu non hai ancora cominciato a pensare. L'art et ta mort
Ingenuita del discorso che apriamo qui, parlando in direzione di Antonin Artaud. Per ridurla, questa ingenuita, sarebbe state necessario aspettare a lunge: che fosse davvero aperto un dialogo - diciamo, per abbreviare - tra i1 discorso critico e i1 discorso clinico. E che un tale dialogo portasse al di la dei loro due percorsi, verso il punto comune della loro origine e delloro orizzonte. Questo orizzonte e questa origine, oggi, per nostra fortuna si intravvedono meglio. Recentemente, Blanchot, Foucault, Laplanche si sono interrogati sull'unid problematica di quei due discorsi, hanno tentato di riconoscere il passaggio di una parol a che, senza sdoppiarsi, senza neppure distribuirsi, con un solo e semplice tratto, parli della follia e dell'opera, addentrandosi prima di tutto nella loro enigmatica congiunzione. Per mille ragioni che non sono solamente materiali, non PQssiamo sviluppare qui, pur riconoscendo loro una priorita di diritto, gli interrogativi che quei tentativi lasciano per noi irrisolti. Sentiamo che se anche illoro luogo comune estato, nel migliore dei casi, designato da lontano, di latta i due commenti, - quello medico e l'altro - non si sono mai confusi in nessun testo. (Forse perche si tratta in primo luogo di commenti? e che cosa e un commento? Lanciamo questi interrogativi lasciandoli in sospeso per vedere, in seguito, dove Artaud deve necessariamen te farli ricadere). Diciamo di latta. Descrivendo Ie «oscillazioni straordinariamente ,', La parole souff/ee, in «Tel Quei»,
20, inverno 196,. [II titolo originale di questo saggio, La parole souff/ee, non poteva essere restituito in itaIiano senza che restasse sacrificato uno dei due significati fondamentali attribuiti qui al termine souff/ee (ossia, da un lato: sottratta, rubata; dall'altro: suggerita, ispirata). Dunque: La parola sottratta e/o La parola suggerila. La convergenza dei due significati e il lora articolarsi sono oggetto esplicito di analisi nel corso del saggioJ, I
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veloci» che, in HoMerlin et la question du pere danno l'illusione dell'unita, «permettendo, nei due sensi, il transfert impercettibile di figure ana10giche», e il percorso del «territorio compreso tra Ie forme poetiche e Ie strutture psico10giche» 1. Foucault conclude per una impossibilita essenzia1e e di diritto. Lungi dall'escluderIa, questa impossibilita deriverebbe da una specie di prossimita infinita: «Quei due discorsi, ma1grado l'identita di un contenuto sempre reversibiIe dall'uno all'altro, e per ognuno dimostrativo, sono senza dubbio profondamente incompatibili. La decifrazione congiunta delle strutture poetiche e delle strutture psico10giche non potra mai ridurne la distanza. E tuttavia essi sono infinitamente vicini l'uno all'altro, COS1 come e vicina a1 possibiIe 1a possibilita su cui si fonda; perche 1a eontinuita del senso tra l'opera e 1a foIlia non e possibile se non a partire dall' enigma dello stesso che fa apparire I' assoluto della roltura». Ma Foucault aggiunge, un po' pili avanti: «E non si tratta di una figura astratta, rna di un rapporto storico, nel quale la nostra cultura deve interrogarsi». II campo totalmente storieo di questa interrogazione, nel quale iI recupera e forse tanto da costituire quanta da ripristinare, non potrebbe mostrarci in che modo una impossibilita di fatto ha potu to darsi come impossibilita di diritto? Sarebbe anche necessario, qui, che la storicita e la differenza tra Ie due impossibilita fossero pensate in un sen so insoIito, e questa prima impresa non e la pili facile. Questa storicita non puo pili essere sottratta gia da tempo sottratta al pensiero, se non nel momento in cui il commento, cioe can esattezza la «decifrazione di strutture», ha cominciato a dominare e ha determinato la posizione del problema. Questa momento e tanto pili assente nella nostra memoria, in quanta non e nella storia. Ora noi sentiamo perfettamente che, di fatto, se il commento clinico e il commento cridco rivendicano ovunque la lora autonomia, desiderano farsi riconoscere e rispettare l'uno dall'aItro, non sono tuttavia meno compIici - a causa di una unita che rinvia attraverso mediazioni imp ens ate a quell a che cercavamo poco fa - nella stessa astrazione, nella stesso misconoscimento e nella stessa violenza. La critica (estetica, 1etteraria, filosofica, ecc.), nel momento in cui pretende di proteggere il senso di un pensiero 0 il valore di un'opera contra Ie riduzioni psicomediche, arriva, per una via opposta, allo stesso risultato: fa un esempio. Cioe un easo. L'opera 0 l'avventura di pensiero sono chiamate a testimoniare, come esempio, come martire, su di una struttura di cui ci di J.
1 M. FOUCAULT, Le «nOn» du pere, in «Critique», LAPLANCHE, Ho/derlin et la question du pere).
n. 178, marzo
1962,
pp.
207-8
(a proposito
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si preoccupa, prima di tutto, di decifrare 1a permanenza essenziale. Prendere suI serio, per la critica, e far easo del senso e del valore, e leggere l'essenza sull'esempio che cade sulle parentesi fenomeno10giche. E questo, secondo iI gesto pili irreprensibile del commento pili rispettoso della singo1arita selvaggia del suo tema. Benche si contrappongano in modo radicale e per Ie buone ragioni che sono note, in questa caso, di fronte al problema dell'opera e della foIlia, 1a riduzione psieologiea e la riduzione eidetiea funzionano nello stesso modo, hanna a lora insaputa 10 stesso fine. La prerogativa che una psico-patologia di qualsivoglia stile potrebbe garantirsi suI caso Artaud, anche supponendo che sappia raggiungere nella sua 1ettura 1a salda profondita di BIanchot, porterebbe in fonda, alIa stessa neutralizzazione di «quel povero Antonin Artaud». La cui avventura totale diventa, nel Livre a venir esemplare 1. Si tratta, qui, di una lettura - mirabile, del resto - dell'«impotere» (Artaud che parI a di Artaud) «essenziale al pensiero» (Blanchot). «Egli ha come toccata, suo malgrado e per un errore patetico che spiega i suoi lamenti, il punta in cui pensare e sempre e gia non pater ancora pensare: "non-potere" (impouvoir), secondo la sua parola, che e come essenziale a1 pensiero ... » l' «errore patetico» e cia che nell'esempio spetta ad Artaud: non sara preso in considerazione nella decifrazione della verita essenziale. 1'errore, e la storia di Artaud, la sua traccia cancellata suI cammino della verita. Concetto pre-hegeliano dei rapporti tra la verita, l'errore e la storia. «Che 1a poesia sia legata a quella impossibilita di pensare che e il pensiero, e una verita che non puo essere scoperta, perche essa cambia continuamente strada e 10 costringe a sperimentarIa al di satta del punto in cui la sperimenterebbe davvero». L'errore patetico di Artaud: spessore di esempio e di esistenza che 10 dene distante da quell a verita che egli disperatamente indica: il nulla nel cuore della parola, la «carenza delI'essere», 10 «scandalo di un pensiero separato dalla vita», ecc. Quel che irrimediabilmente spetta ad Artaud, 1a sua esperienza stessa, iI critico potra lasciarIo senza danno agli psicologhi a ai medici. Ma «non bisogna commettere l'errore di leggere come anaIisi di uno stato psichico Ie descrizioni precise, sicure e minuziose che egIi ce ne dh. Quel che non appartiene pili ad Artaud, quando ci e possibile leggerIo attraverso di lui, ditIo, ripeterlo e assumerlo, quello di cui Artaud e solo un testimonio, e una essenza universale del pensiero. L'avventura tot ale di Artaud non sarebbe che l'indice di una struttura trascendentale: «Perche mai Artaud accettera 10 scan-
a
1 Cfr. M. BLANCHOT, Le livre venir, Gallimard, Paris Ccronetti e Guido Neri, Einaudi, Torino I969, pp. 44-50].
J959;
[Illibro a venire, trad. di Guido
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dalo di un pensiero separato dalla vita, anche vivendo l'esperienza pill diretta e pill selvaggia che mai sia stata fatta dell'essenza del pensiero inteso come separazione, dell'impossibilita che il pensiero afferma contro se stesso come limite del suo potere infinito». II pensiero separato dalla vita e, come e noto, una di quelle grandi figure dello spirito di cui Hegel dava gEl alcuni esempi. Artaud ne fornirebbe quindi un altro. E la meditazione di Blanchot si ferma qui: senza che quello che appartiene irriducibilmente ad Artaud, senza che l'affermazione propria su cui si fonda la non-accettazione di questa scandalo, senza che il ca· rattere «selvaggio» di questa esperienza siano interrogati per se stessi. La meditazione si ferma qui 0 quasi: giusto il tempo di evocare una tentazione che bisognerebbe evitare, ma che di fatto non e mai stata evitata: «Sarebbe interessante un accostamento fra quello che ci dice Artaud e quello che ci dicono Holderlin, Mallarme: che l'ispirazione e anzitutto il punto puro in cui viene meno. Ma bisogna resistere alla tentazione delle affermazioni troppo generali. Ogni poeta dice la stessa cosa, ma non e la stessa cosa, 10 sentiamo, e l'unica. La parte di Artaud e la parte che gli e propria. Quello che egli dice e di una tale intensita che non dovremmo poterla sopportare». E nelle ultime righe che seguono, dell'unico non si dice nulla. Si torna sull'essenzialita: «Quando leggiamo quelle pagine, impariamo quel che non arriviamo a sapere: che il fatto di pensare non puo essere che sconvolgente; che quel che deve essere pensato e nel pensiero cia che se ne discosta e inesauribilmente si esaurisce in esso; che soffrire e pensare so no segretamente 1egati». Perche questa ritorno sull'essenzialita? Forse perche, per definizione non c'e niente da dire sull'unico? E una troppo saJda evidenza verso Ia quale noi non ci precipiteremo, a questo punto. Era tanto pili allettante, per Blanchot, accostare Artaud a Holderlin, in quanta iI testo dedicato a quest' ultimo, La .folie par excellence si muove entro 10 stesso schema. Pur affermando la necessita di sfuggire all'alternativa dei due discorsi (<
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1 Questa af}ermazione che ha nome <
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in questa duplice Iettura simultanea di un even to che tuttavia non si colloca ne nell'una ne nell'altra delle due versioni», e in primo luogo perche questa even to e quello del demoniaco che «sta fuori dalla opposizione malattia-salute»), Blanchot restringe il campo del sapere medico che non afferra Ia singolarita dell'evento e padroneggia in partenza ogni sorpresa. «Per il sapere medico, questo even to e nella" regola", o quanta meno non e sorprendente, e con forme a quello che gia si sa di questi malati ai quali I'incubo presta una penna» (p. 15). Questa riduzione della riduzione cIinica e una riduzione essenzialista. Pur protestando, anche qui, contro Ie dormule ... troppo generali ... », Blanchot scrive: «Non ci si puo limitare a vedere nel destino di Holderlin quello di una individualita, meravigliosa 0 sublime, che, avendo voluto troppo fortemente qualcosa di grande, dovette arrivare fino aI punto in cui si spezzo. La sua sorte appartiene solo a lui, ma egli stesso appartiene a cia che espresse e scopd, non come qualcosa di solo suo, ma come la verita e l'affermazione dell'essenza poetica ... Non e il proprio destino che egli decide, ma e il destino poetico, il senso deIIa verita che egli si impegna a portare a termine ... e questa movimento non e escIusivamente suo, e il compimento stesso del vero che, ad un certo pun to e suo maIgrado, esige che Ia sua ragione individuale diventi la pura trasparenza impersonale, da dove non c'e pill ritorno» (p. 26). COS1, nonostante iI riconoscimento che gIi viene tributato, I'unico e proprio cia che scompare in questa commento. E non per caso. La sparizione deII'unicita e anzi presentata come il sen so della verita holderliniana: « ... La parola autentica, quella che e mediatrice perche in essa iJ mediatore scompare, pone fine alla sua particolarita, rhorna aII'elemento da cui egIi viene» (p. 30). E COS1 quello che permette di dire sempre «il poeta» aI posto di Holderlin, quello che rende possibiIe questa dissolversi dell'unico, e il fatto che l'unita 0 I'unicita deIl'unico - qui l'unita deIIa follia e deII'opera - viene pensata come una congiuntura, come una composizione come una «combinazione»: «Una simile combinazione non si e verifi~ata due volte» (p. 20). Laplanche rim prover a a Blanchot una «interpretazione idealista», «decisamente anti -"scientifica" ed anti -"psicologica"» (p. I I), e propone di sostituire con un'altra teoria unitaria Ia teoria di HeIlingrath in direzione della quale, malgrado alcune differenze personali, inclinerebbe anche Blanchot. Non volendo rinundare aII'unitarismo, Laplanche vuole «comprendere in un solo movimento Ia sua opera e Ia sua evoluzione (quella di Holderlin), verso e nella folIia, anche se in un movimento particolare, scandito come una dialettica e muItilineare come
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ben nota: ela risorsa di complicid tra il discorso clinico e il discorso critico, tra quello che riduce il senso 0 il valore e quello che vorrebbe restaurarli. E quello che permette a Foucault di concludere da parte sua: « ... Holderlin occupa un posto unico ed esemplare» (p. 209). Tale eil caso che si epotuto fare di Holderlin e di Artaud. La nostra intenzione non e soprattutto di confutare 0 di criticare il principio di queUe letture. Esse sono Iegittime, feconde, vere; in questa caso, pel' di piu, mirabilmente condotte, svolte con attenzione critica tale che d permette di fare enormi progressi. D'altra parte, se sembriamo preoccupard del trattamento che viene riservato all'unico non eperche pensiamo - ci si faccia credito su questa punto - che si debba per precauzione morale od estetica proteggere l'esistenza soggettiva, l'originalita dell'opera 0 la singolarita del bello contro Ie violenze del concetto. E inversamente, quando sembriamo deplorare il silenzio 0 la sconfitta di fronte all'unico, non eperche crediamo alla necessita di ridurre l'unico, di analizzarlo, di scomporlo, spezzandolo ulteriormente. Anzi: noi crediamo che nessun commento possa sfuggire a queste sconfitte a rischio di distruggersi da se, come commento, esumando l'unita nella quale mettono radid Ie differenze (della follia e dell'opera, della psiche e del testo, dell'esempio e dell'essenza, ecc ... ) che implidtamente sostengono la critica e la clinica. Questo terreno, al quale d avviciniamo qui solo per via negativa, estorieo in un sen so che, ci sembra, non ha mai avuto valore di tema nei commenti di cui abbiamo parlato e che, per dire il vero, si lascia mal tollerare dal concetto metafisico di storia. La presenza tumultuosa di questa terreno arcaico calamited quindi l'intenzione che Ie grida di Antonin Artaud attireranno qui nella loro propria risonanza. Da lontano, ancora una volta, perche la nostra prima clausola d'ingenuita non era una formula retorica.
un contrappunto» (p. 13). Di fatto, ci si rende subito conto che questa scansione «dialettica» e questa multilinearita non fanno che complicare una dualita che non risulta mai ridotta, e come dice appunto Foucault, non fanno che aumentare la rapidita delle oscillazioni, fino a renderle difficilmente percepibili. AlIa fine dellibro ci si continua ad affaticare intorno all'unico che, per parte sua, si sottrae e continued sempre a sottrarsi al discorso: «L'accostamento che noi istituiamo tra l'evoluzione della schizofrenia e quella dell' opera, conduce a conclusioni che non possono assolutamente essere generalizzate: si tratta del rapporto in un caso particolare, forse unico, tra la poesia, e la malattia mentale» (p. 132). Unicita ancora di congiunzione e occasionale. Perche una volta che la si epresentata da lontanocome tale, si ritorna all'esemplarismo che si criticava I esplicitamente in Blanchot. Lo stile psicologistico e, al suo opposto, 10 stile strutturalista 0 essenzialista sono quasi completamente scomparsi, certo, e il gesto filosofico ci affascina: non si tratta pili di comprendere il poeta Holderlin a partire da una struttura schizofrenica 0 da una struttura trascendentale il cui senso ci sarebbe gia noto e non potrebbe riservarci alcuna sorpresa. Al contrario, in Holderlin e necessario leggere e veder prender forma un accesso, il migliore forse, un accesso esemplare all'essenza della schizofrenia in generale. Quest'ultima non e un fatto psicologico e neppure un fatto antropologico disponibile per quelle scienze determinate che si chiamano psicologia 0 antropologia: « ... elui [Holderlin] che riapre la questione della schizofrenia come problema universale» (p. 133). Universale e non solo umano, non in primo luogo umano, poiche esolo in seguito alIa possibilid della schizofrenia che puo costituirsi una vera antropologia; questo non vuol dire che la possibilita della schizofrenia possa trovarsi in e/fetti in esseri diversi dall'uomo: semplicemente essa non el'attributo tra altri di un'essenza dell'uomo preliminarmente costituita e riconosciuta. Come «in alcune sodeta, l'accesso alla Legge, al Simbolico, edevoluta ad istituzioni diverse da quell a del padre» (p. 133) - che quell'accesso ci permette quindi di pre-comprendere -, COS1 analogicamente, la schizofrenia non euna delle dimensioni 0 delle possibilita dell'essente chiarna to uomo, bensfla struttura che ci apre la verid dell'uomo. Questa apertura si produce esemplarmente nel caso di Holderlin. Si potrebbe credere che, per definizione, l'unico non possa essere l'esempio 0 il caso di una figura universale. Sf, invece. L'esemplarita contraddice l'unicita solo in apparenza. L'equivocita che si annida nella nozione di esempio e
E se diciamo per cominciare che Artaud d insegna questa unita anteriore alla dissociazione, non 10 diciamo per innalzare Artaud ad esempio di quel che ci insegna. Se 10 comprendiamo veramente, non dovremo aspettard da lui una lezione. Ecco perche Ie considerazioni che precedono sono tutt' altro che prolegomeni metodologici 0 generalita per prospettare una nuova terapia del caso Artaud. Indicherebbero semmai la interrogazione stessa che Artaud vuole distruggere alla radice, quello di cui denuncia instancabilmente la derivazione se non l'impossibilid, quello che Ie sue grida non hanno mai smesso di perseguire rabbiosamente. Perche quello che Ie sue urla ci promettono, articolandosi nei
1 L'esistenza di Holderlin 5arebbe cOSI particolarmente esemplare del destino poetico, che Blanchot collega all'essenza stessa della parola come «rapporto con l'assenza» (p, ra),
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nomi di esistenza, di carne, di vita, di teatro, di audetta e, prima della foIlia e dell'opera, il senso di un'arte che non da luogo a delle opere, l'esistenza di un artista che non e pili la via 0 l'esperienza che danno accesso a qualcosa di diver so da se, di una parola che e corpo, di un corpo che e un teatro, di un teatro che e un testo, perche non e pili asservito ad una scrittura pili antiea di lui, a qualche archi-teatro 0 archi-parola. Se Artaud resiste in modo assoluto - e, pensiamo, come non era mai successo prima di lui - aIle esegesi cliniche 0 critiehe - e per quello che nella sua avventura (e con tale parola designamo una totalita antedore alIa separazione della vita e dell'opera) e Ia protesta stessa contro Ia esemplificazione stessa. II critico e il medico sarebbero qui senza risorsa di fronte ad una esistenza che rifiuta di significare, di fronte ad un'arte che si e voluta senza opera, di fronte a un linguaggio che si e voluto senza traccia. Cioe senza differenza. Perseguendo una manifestazione che non fosse una espressione, rna una creazione pura della vita, che non cadessemailontanodalcorpoperscadere in segnoe in opera, in oggetto, Artaud ha voluto distruggere una storia, quella della metaflsiea dualista che ispirava in modo pili 0 menD sotterraneo i tentativi a cui abbiamo pili sopra accennato: dualita dell'anima e del corpo, che fonda, in segreto, naturalmente, Ia dualita della parola e dell'esistenza, del testa e del corpo; ecc. Metafisica del commento che autorizzava i «commend» perche dominava gia Ie opere commentate. Opere non teatrali, nel sen so che intendeva Artaud, e che so no gia dei commenti deportati. Frustando la sua carne per risvegliarla fino alIa vigilia di questa deportazione, Artaud ha voluto impedire che Ia sua parola, Iontano dal suo corpo, gli fosse sofliata, soufflee. Sofliata: intendiamo dire sottratta da un possibile commentatore che Ia riconosca per disporla in un ordine, ordine della verita essenziale o di una struttura reale, psicologica 0 altra. II primo commentatore e qui I'ascoltatore 0 il Iettore, il rieettore che non dovrebbe pili essere il «pubblico» nel teatro della crudelta '. Artaud sapeva che ogni parola caduta dal corpo, offrendosi per essere intesa 0 ricevuta, offrcndosi in spettacolo, diventa subito parola rubata. Significazione di cui io so no espropriato perche ~ significazione. II furto e sempre il furto di una pa, II pubblico non dovrebbe esistere fuori della scena della crudelta, prima 0 dopa di essa, non dovrebbe attenderla ne contemplarla ne sopravviverle, non dovrebbe neppure esistere come pubblico. Di qui quella formula enigmatica e lapidaria, nel Tbe.:itre et son double, in mezzo alle abbondanti inesauribili definizioni sulla «messa in scena», suI «1inguaggio della Scena», sugli «strumenti'musicali», ;u <
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rola 0 di un testo, di una traccia. n furto di un bene diventa quello che e solo se la cosa e un bene, se quindi essa ha preso senso e valore per essere stata investita dal voto, per 10 meno, di un discorso. Considerazione che sarebbe miopia interpretare come liquidazione di ogni altra teoria del furto, nell'ordine della morale, dell'economia, della politiea 0 del diritto. Considerazione anteriore a tali dis corsi poiche mette in comunieazione esplicitamente e in una stessa interrogazione, l'essenza del furto e I'origine del discorso in generale. Ora, tutti i discorsi suI furto, ogniqualvolta vengano determinati da questa 0 quella circoscrizione, hanno gia oscuramente risolto 0 rimosso questa interrogazione, si sono gia rassicurati nella familiarita di un sapere primo: ognuno sa che cosa vuole dire rubare. Ma il furto della parola non e un furto tra gli altti, si confonde con la possibilita stessa del furto e ne definisce la struttura fondamentale. E se Artaud ce 10 fa pensare, non e pili come I'esempio di una struttura, poiche si tratta proprio di cia - il furto - che costituisce Ia struttura di esempio come tale. Sofliata: intendiamo insieme ispirata da un'altra voce, che legge a sua volta un testa pili vecchio del poema del mio corpo, del teatro del mio gesto. L'ispirazione e, con diversi personaggi, il dramma del furto, la struttura del teatro classico, dove l'invisibilita del suggeritore assicura la differanza e il rieambio indispensabile tra un testo gia scritto da un'altra mana e un interprete gia espropriato di quello che riceve. Artaud ha voluto far saltare una scena in cui il suggeritore fosse possibile e il corpo fosse agH ordini di un testo estraneo. Artaud ha voluto che fosse sofliata via Ia meccanica del suggeritore. Fare andare in frantumi la struttura del furto. Bisognava, per questo, con un solo ed unieo gesto, distruggere I'ispirazione poetica e l'economia dell'arte classica, in particolare del teatro. Distruggere nello stesso tempo Ia metafisica, la religione, l'estetica, ecc., su cui esse si basavano ed aprire COS1 al Pericolo un mondo in cui la struttura della sottrazione non offrisse pili alcun rifugio. Restaurare il Perieolo, risvegHando Ia scena della Crudelta, questa almeno, era l'intenzione dichiarata di Antonin Artaud. E questa intenzione, che seguiremo, salvo la differenza di uno scivolamento caIcolato. n non-potere, l'impouvoir, il cui tema appare nella corrispondenza con J. Riviere', non e, evidentemente, Ia sempHce impotenza, la sterilita del «niente da dire» 0 la mancanza di ispirazione. Al contrario, e , II termine appare nel Pese-Nerf (I, p. 90) [efr. A. ARTAUD, Al paese dei Tarahumara e altri scritti, a cura di H. J. Maxwell e C. Rugafiori, Adelphi, Milano 1966: Corrispondenza can Jacques Riviere, pp. 3-29; II Pesa-Nervi, pp. 31-63].
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l'ispirazione stessa: forza di un vuoto, vortice del fiato di un souffleur (suggeritore) che aspira verso di se e mi sottrae proprio cia che lascia giungere a me e che io ho creduto di poter dire a mio nome. La generosita dell'ispirazione, l'irruzione positiva di una parola che non so da dove venga, che so di non sapere (se sono Antonin Artaud) di dove venga e chi la parli, questa fecondita dell' altro fiato e il non-potere: non l'assenza rna l'irresponsabilita radicale della parola, l'irresponsabilita come potenza e origine della parola. 10 sono in rapporto con me stesso nell'etere di una parola che mi e sempre suggerita e che mi sottrae la cosa stessa con cui mi mette in rapporto. La coscienza di parola, cioe la coscienza tout-court, e la non-coscienza di chi parla nel momento e nel luogo in cui io proferisco. Questa coscienza e dunque anche una incoscienza (<
quello che potrei essere, rna che mi lascia, se posso dire, in sospeso. Un qualcosa di furtivo che mi toglie Ie parole che ho trovato» '. Sarebbe allet~ante, facile e fino a un certo punto legittimo, sottolineare l'esemplanta di questa descrizione. L'erosione «essenziale» e « fu~ace », «e~senz~ale e insieme fugace» e prodotta dal «qualcosa di furtlvo che ml toghe Ie parole che ho trovato». II furtivo e fuggevole, rna e pili che fuggevole. II furtivo e, in latino, la maniera delladro; che deve fare molto in fretta per sottrarmi Ie parole che ho trovato. Molto in frett~, perche deve scivolare invisibilmente nel nulla che mi separa dalle mle parole, e trafugarmele prima ancora che io Ie abbia trovate, perche, avendole trovate, io abbia la certezza di esserne gia sempre stato spogliato. II furtivo sarebbe quindi la facolta espropriante che s~uota sempre la parola nella sottrazione di se. Nel francese, illinguagglO corrente ha cancellato dalla parola «furtivo» il riferimento al furto (vol) 2, al sottile sotterfugio la cui significazione viene fatta scivolare _ e il furto del furto, il furtivo che si sottrae esso stesso in un gesto necessario - verso l'invisibile e silenzioso fruscio del fuggitivo, del fugace e dello sfuggente. Artaud non ignora ne sottolinea il senso proprio della parola, si colloca nel movimento della cancellazione: nel Pese-Nerfs (p. 89), a proposito di «diminuzione», di «sperdimento», di «espropriazione» di «tagliola nel pensiero», parla, con una espressione che non e una semplice ridondanza, di questi «ratti furtivi». DaI momenta che io parlo, Ie parole che io ho trovato, daI momento che sono parole, non mi appartengono pill, sono originariamente ripetute (Artaud vuole un teatro in cui la ripetizione sia impossibile) 3.10 debbo in primo luogo udirmi. Nel soIiIoguio, come nel dialogo, parlare significa udirsi. Dal momento che sono udito daI momento che mi odo I'io che si ode, che mi ode, diventa l'io che pa~Ia e prende Ia paroIa, sen~ za mai toglierla, a colui che crede di parlare ed essere udito a suo nome. Introducendosi nel nome di colui che parla, questa differenza non e n.iente, e il furtivo: la struttura della sottrazione istantanea ed originana, senza la quale nessuna parol a troverebbe il suo fiato. La sottrazione si produce come l' enigma originario, cioe come una parola 0 una storia ((lrVo~) che nasconde la sua origine e il suo senso, non dicendo mai da dove viene, ne dove va, in primo luogo perche non 10 sa, e perche questa ignoranza, cioe l'assenza del suo proprio soggetto, non Ie si agCorrespondance avec J. Riviere cit., pp. 25-26 [po raJ- il corsivo e di Artaud. [Derrida intende la lingua francese in cui il furto si tr~duce: vol. In italiano, il significante latino e perfettamente conservatol. 3 efr. Le theatre et son double cit., IV, p. 91 [po 158]. 1
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, Correspondance avec]. Riviere rit., p.
20
[po 61.
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giunge, ma la costituisce. La sottrazione e I'unita primitiva di quello che poi si diffrange come furto e come occuItamento. Intendere la sottrazione esclusivamente e fondamentalmente come furto 0 violazione e proprio di una psieologia, di una antropoIogia e di una metafisiea della soggettivita (cosdenza, inconsdo 0 corpo proprio). Non vi e dubbio, d'aItra parte, che questa metafisica sia fortemente operante nel pensiero di Artaud. Ma aHora, quello che si chiama il soggetto parlante, non e pili quello stesso e quello solo che parla. Esso si scopre in una irridudbile secondarieta, origine gia da sempre sottratta a partire da un campo organizzato della parola, nel quale cerca invano un posto sempre mancante. Questo campo organizzato non e soItanto quello che potrebbero descrivere certe teorie della psiche e del fatto linguistieo. E prima di tutto - senza che questa significhi aItro - il campo cuIturaIe da cui debbo attingere Ie mie parole e Ia mia sintassi, campo storico nel quale io debbo Ieggere scrivendo. La struttura di furto (si) colloca gia (dentro) il rapporto tra la parola e Ia lingua. La parola e rubata: rubata alIa lingua, essa e dunque rubata nello stesso tempo a se stessa, doe alladro che ne ha gia sempre perdu to la proprieta e l'iniziativa. Poiche non si puo prevenire Ia sua priorita, l'atto di Iettura apre un foro nell'atto di paroIa 0 di scrittura. Attraverso questa foro io sfuggo a me stesso. La figura del foro - che mette in moto i discorsi di un certo esistenzialismo e di una certa psicanalisi ai quali, effettivamente «quel povero Antonin Artaud» potrebbe fornire degli esempi - comuniea in Artaud con una certa tematica scato-teologica che interrogheremo pili oItre. Che Ia paroIa e la scrittura siano sempre mutuate in modo inconfessabile da una Iettura, questo e il furto originario, Ia sottrazione pili arcaiea che nello stesso tempo mi nasconde e mi sottrae Ia mia faeoIt?! inaugurante. Lo spirito sottrae. La paroIa proferita 0 inscritta, lil lettera, e sempre rubatao Sempre rubata perche sempre aperta. Essa non e mai propria aI suo autore 0 al suo destinatario e fa parte della sua natura non seguire mai il percorso che conduce da un soggetto proprio ad un soggetto proprio. E questa equivaIe a riconoscere come sua storidta I' autonomia del signifieante, che da solo diee prima di me qualche cosa di pili di quello che io credo di voIer dire, e in rapporto al quale il mio voIer dire, poiehe subisce invece di agire, si trova in difetto, si inscrive, potremmo dire, al passivo. Anehe se la riflessione di questo difetto determina come un eecesso I'urgenza dell'espressione. Autonomia come stratificazione e potenzializzazione storiea del senso, sistema storieo, doe aperto da quaI-
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che Iato. La iper-significanza, per esempio, di cui e sovraccariea la paroIa souffler, puo dimostrarlo senza fine. Ma non vogliamo prolungare la descrizione banale di questa struttura: Arta~d no~ Ia esemRli~ca. Vuo!e farla saltare. A questa ispirazione dl perdIta, e dl espro~~la~lO~e, egh contrappone una ispirazione buo~~, quella che m~nca alllSpltaZlOne come carenza. L'ispirazione buona e d soffio della vIta che non si Iasda imporre alcun dettato perche no~ ~egge e perc~e ptf;cede ogn~ te,sto. Soffio che prenderebbe possesso di se III un ~u~go III cUlla Rropneta non sarebbe ancora il furto. Ispirazione che ml nmetterebbe III una vera comunieazione con me stesso e mi ridare~be Ia paroIa: « II diffidIe consiste nel trovare il proprio posto e nel. ntro~are la comunieazione con se. II tutto consiste in una certa ~occulazlOne delle cose, nell'ammasso di tutte queste gemme mentali l11torno. ad un punt~ che e predsamente da trovare. I Ed ecco quello che penso, ~o, del penSlero: I CERTAMENTE L'ISPIRAZIONE ESISTE» '. La espressl~ne «da .tro~ate» .ricorrera in seguito, in un'altra pagina. Sara dunqu~.II caso d~ chiedersl se Artaud non designi in questo modo, ogni volta, Illltrovabde stesso. . La vita, sorgente della buona ispirazione, deve essere intesa, se voghamo ac~edere ~ que:ta metafisica della vita, prima di quella di cui parlano Ie sc~~n.ze ,?lOlogl~he: «Nello stesso modo, quando pronunciamo Ia parola vita., dobblamo renderci con to che non si tratta della vita quale la conOSClamo attraverso l'aspetto esteriore dei fatti ma del suo n;lcleo fragile e irrequieto, ina/Jerrabile dalle forme. La cos; veramente diabolica e aut~n~ieam~nte maIedetta della nostra epoca, e l'attardarsi sull~ forme a~tlst1che, lllvece di sentirsi come condannati al rogo che facclano segl11 attraverso Ie fiamme» 2. La vita «quale Ia conosciamo attrav~~so l'aspetto esteriore dei fatti» e dun que la vita delle forme. In Posttton de la chair, Artaud Ie contrapporra la dorza della vita» 3. II teatro della crudelta dovra ridurre questa differenza tra la forza e Ia forma. QueUo ,che a~biamo chiamato. qui sopra il trafugamento non e per Artaud un a:trazlOn~ .. La categona del furtivo non vale soltanto per Ia voce 0 Ia scnttura dlslllcarnate. Se la differenza, nel suo fenomeno diventa segno rubato 0 soffio sottratto, essa e, prima di tutto, se no~ in
e
; Le Pe;;.-Ner/s, I, p. 90 [pp. 38-39]; il corsivo di Artaud. Le. /heat~e e! la.culture, IV, p. 18 [It teatra e la cultura, in It tea/ra e il suo doppio cit P. II3 ]; II corslvo e mlO. ., 3 Cfr. I, p. 23). Con Ie precauzioni del caso, si potrebbe parlare della vena bergsoniana di Artaud .. II passagglO contlpuo dal.la sua metafisica della vita alia sua teoria del linguaggio e alia sua cntblca dell~ parol a, ~h sug~ensce r;umerose metafore energetiche e formule teoriche rigorosamente ergsomane. Cfr. In partlcolare 11 t. V, pp. 15, 18, 56, 132, 141, ece.
La scri ttura e la differenza
se, espropriazione totale che mi costituisce come Ia prlvazione di me stesso, sottrazione della mia esistenza, e quindi nello stesso tempo, del mio corpo e del mio spirito: della mia carne. Se Ia mia parola non e iI mio soflio, se Ia mia Iettera non e la mia parola, e perche gia iI mio soffio non era pill il mio corpo, perche iI mio corpo non era pill iI mio gesto, perche il mio gesto non era pill la mia vita. Bisogna restaurare nel teatro I'integrlta della carne Iacerata da tutte queste differenze. Una metafisica della carne, che determina I'essere come vita, 10 spirito come corpo proprio, pensiero non separato, spirito «oscuro» (perche «10 Spirito chiaro appartiene alIa materia»', questo e iI tratto continuo e sempre inavvertito che lega Le T Matre et son double aIle prime opere e aI tema del non-potere. Questa metafisica della carne e anche dominata dalI'angoscia delI'espropriazione, dall'esperienza della vita perduta, del pensiero separato, del corpo esiliato Iontano dallo spirito. Tale eiI primo grido. «10 penso aIla vita. Tutti i sistemi che potro costruire non si adegueranno mai aIle mie grid a d'uomo in ten to ~ rifare Ia propria vita ... Queste forze informulate che mi assediano, sara ben necessario che Ia mia ragione un giorno Ie accoIga, che esse si installino al posto dell'aIto pensiero, quelle forze che all'esterno hanno Ia forma di un grido. Ci sono grida intellettuali, grida che provengono dalla finezza del midollo .. E proprio questo che io chiamo Ia Carne. 10 non separo il mio pensiero dalla mia vita ... Ma che cosa sono, io in mezzo a questa teoria della Carne 0, per meglio dire, dell'Esistenza? Sono un uomo che ha perduto Ia sua vita e che cerca con tutti i mezzi di farle riprendere il suo posto ... Ma e necessario che io scruti questo senso della carne che deve darmi una metafisica dell'Essere - e Ia conoscenza definitiva della Vita» '. Non fermiamoci qui su quello che puo somigliare all'essenza stessa del mitico: il sogno di una vita senza differenza. Chiediamoci, piuttosto, che cosa puo significare per Artaud Ia differenza nella carne. II mio corpo mi e stato rubato con effrazione. L'AItro, il Ladro, il gran Furtivo ha un nome proprio: e Dio. La sua storia ha avuto Iuogo. Ha avuto un Iuogo. IIluogo dell'effrazione non ha potuto essere che l'apertura di un orifizio. Orifizio della nascita, orifizio della defecazione, ai quali rinviano, come Ioro origine, tutte Ie aItre aperture. «Questo si riempie, I questo non si riempie, I c'e un vuoto, I una carenza, I un difetto di I che e sempre afferrato da un parassita al volo» (aprile 1947). «Au vol»: al vola, 0 al furta ': il gioco di parole e sicuro. , I, p.
Artaud: la parole souffiee
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Da quando ho rapporto col mio corpo, dunque dalla mia nascita, io
no~ s?no pill iI mio corpo. Da quando ho un corpo, io non 10 sono,
qUlndl non I'ho. Questa privazione istituisce e istruisce il mio rapporto con Ia mia vita. II mio corpo mi e stato dunque rubato da sempre. Chi h~ potu to rubarlo, se non un AItro, e in che modo ha potuto impadromrsene fin dall'origine, se non si e introdotto aI mio posto nel ventre di mia madre, se non e nato aI mio posto, se io non sono stato derubato alta mia narcita, se non mi e stata sottratta Ia mia nascita «come s~ il nascere puzzass~ gia da tempo di morte~) '? La morte si d~ al penslero sotto Ia categona del furto. Essa non e quello che noi crediamo di poter prevedere come il termine di un processo 0 di una avventura che noi chiamiamo - con sicurezza - Ia vita. La morte e una forma articolata del nostro rapporto aII'altro. 10 non muoio se non dell'altro: attraverso lui, per lui, in lui. La mia morte e rappresentata, qualunque sia I~ variazi~n: che si vuoI dare alIa parola. E se io muoio per rappresentaZlOne nell «lstante della morte estrema», questa sottrazione rappresentativa non ha tuttavia mai cessato di travagliare l'intera struttura della mia esistenza, fin dalI'origine. Per questo, aI limite «non ci si uccide da soli. ! Nessuno e mai stato solo per nascere. I Nessuno e solo, neanche per morire ... I ... E io credo che c'e sempre quaIcun aItro nell'istante della morte estrema, a spogliarci della nostra vita» '. II tema della morte come furto sta aI centro di La mort et l'homme (Su di un disegno di Rodez, in «84 », n. I3). E chi puo mai essere iI Iadro se non quel grande AItro invisibile, persecutore furtivo che mi doppia ovunque, cioe che mi raddoppia e mi oItrepassa, arrivando sempre prima di me Ia dove io ho scelto di andare, come «quel corpo che mi perseguiva» (mi perseguitava) «e non seguiva» (mi precedeva), chi puo mai essere se non Dio? «E CHE COSA HAl FATTO DEL MIO COR PO, DIO?» '. Ed ecco Ia risposta: fin daI buco nero della mia nascita, dio mi ha «insudiciato da vivo I per tutta Ia mia esistenza I e cio I unicamente a causa del fatto I che sono io I che ero dio, I veramente dio, I io un uomo I e non il se-dicente spirito I che era solo Ia proiezione neIle nuvole I del corpo di un uomo diverso da me, I ~I quale I s'in!itolava ill. Demiurgo lOra I'odiosa storia del Demiurgo I e ben nota I E quella dl queI corpo I che perseguiva (e non seguiva) il mio I e che per passare prima e nascere I si proietto attraverso il mio corpo I e I nacque I dallo sventramento del mio corpo I di cui con servo , In «84», p. II. Vall Gogh, Ie suicide de fa societe, ed. «K», Paris I947. p. 67. J In «84 », p. ro8.
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, Position de la chair, I, pp. 235, 236. , [In francese vol: volo e insieme furto]'
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un pezzo su di se I per I farsi passare I per me stesso. lOra c'eravamo solo io e lui I lui I un corpo abbietto I che gli spazi rifiutavano, I io I un corpo che stava facendosi I di conseguenza non ancora arrivato al suo compimento I rna che si evolveva I verso la purezza integrale i come quello del sedicente Demiurgo I, il quale sapendosi inaccettabile I e volendo vivere malgrado cio ad ogni costo I non trovo nulla di meglio I per essere I che nascere a costo dell mio assassinio. I II mio corpo si e malgrado tutto rifatto I contro I e attraverso mille assalti del male e dell'odio I che ogni volta 10 deterioravano I e mi lasciavano morto. I Ed e cosi che a forza di morire I ho finito per conquistare una reale immortalita. I Ed e la storia vera delle cose I come si e veramente svolta I e I non I come vista nell' atmosfera leggendaria dei miti I che fanno sparire la realtil» 1. Dio e dunque il nome proprio di quello che ci priva della nostra natura propria, della nostra propria nascita e che di conseguenza, furtivamente, avra sempre parlato prima di noi. E la difterenza che si insinua, come mia morte, tra me e me. Per questa - tale e il concetto del vero suicidio, per Artaud - io debbo morire alIa mia morte per rinascere «immortale» alIa vigilia della mia nascita. Dio non mette soltanto la sua mana su questo 0 quello dei nostri attributi innati, s'impadronisce della nostra innatezza stessa, della propria innatezza del nostro essere a se stesso: «Ci sono imbecilli che si credono esseri, esseri per innatezza. I 10 sono colui che per essere deve sferzare la propria irmatezza. IColui che per innatezza e quello che deve essere un essere, I cioe sferzare sempre quell a specie di negativo canile, oh cagne d'impossibilita» '. Perche questa alienazione origin aria e pensata come lordura, oscenita, «sudiciume», ecc.? Perche Artaud, urlando per la perdita del suo corpo, rimpiange una purezza come un bene, una pulizia come una propried? «Sono stato troppo torturato ... 1 ... 1 Ho troppo lavorato ad essere puro e forte I .. , I Ho troppo cercato di avere un corpo proprio» 3. Per definizione, e del mio bene che sono stato derubato, del mio pregio, del mio valore. Quello che io valgo, la mia verita mi e stata sottratta da Qualcuno che ediventato al mio posto, all'uscita dell'Orifizio, alla nascita, Dio. Dio e il falso valore come il pregio maggiore di cio che nasce. E questo falso valore diventa il Valore poiche ha sempre gia doppiato i1 vero valore che non e mai esistito 0, il che significa la stessa 1
In «84 », pp.
ro8-IO.
, I, p. 9. , In «84», p. 135·
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cosa, no~ e mai esis~it? se.non'pri~a della propria nascita. Da quel mo· ~ento, tl val~re ongmano, 1 archl-valore che io avrei dovuto tenere m me, 0 megho tenere come me stesso, come il mio valore e il mio essere stesso, quello di cui sono stato derubato da quando sono caduto 10ntan~ dall'Orifizio e di cui sono ancora derubato ogni volta che una p,arte dl me cade lontano dal mio corpo, e l'opera, e l'escremento la scona, va,lore annu~Iato pe~che non e stato trattenuto e che puo di;entare, come e not?, un arma dl persecuzione, eventualmente contro me stesso. La de£ecazlOne ~<separazione quotidiana dalle feci, parti preziose del corpo» (Freud) e, come una ~ascita, come Ia mia nascita, il primo furto c?e ~ell.o stesso tempo ml deprezza 1 e mi insozza. Per questo, la s~ot1a dl DlO co~e genealogia del valore sottratto si recita come Ia stona delJa de£ecazlOne. «Conoscete qualcosa di pili oltraggiosamente fecale della storia di dio ... » '. E fo:se a causa de~Ia. sua co~plicita con I'origine dell'opera, che Artaud ch~am.a anche DlO 11 DemlUrgo. Si tratta qui di una metonimia del nome dl DlO,.nome proprio delladro e nome metaforico di me-stesso: la meta~ora dl ~e stesso eJa mia espropriazione nellinguaggio. In ogni caso, DlO-Deml~rgo non,.crea, non e la vita, e il soggetto delle opere e delle m~novre, tl ~adro, 1111gannatore, i1 falsario, il pseudonimo, I'usur~ato.re,.11 contrano dell'artista creatore, l'essere-artigiano, l'essere dell aruficlO: . Sa~ana ... 10 sono Dio e Dio e Satana; e poiche Satana e Ia cr~at,ura dl. DlO (... «Ia.sto~ia di Dio I e del suo essere: SATANA ... » '), DlO e ~a mla creatura, tl mlO doppio che si e introdotto nella difterenza che ml separ~ da~Ia mia origine, doe nel niente che apre Ia mia storia. quella che SI chl?ma la presenza di Dio non e se non l'oblio di que! 111en~e, Ia sottrazlOne della sottrazione, che non e un accidente rna i1 movlmento st~ssa della sottrazione: « ... Satana, I che con Ie sue tettine bavose I non Cl ha occultato aItro I che il Nulla?» '. 1 Ogni
V?Ir~
che si produce entro 10 schema che tentiamo di restituire ui iI Ii
. d'
~~1a~~i aSS~rlg~a con ~stre~l precis!one, nella sintassi e nellessico, a quell~ d~1 gio~~~~grr~rxl mo el an~scrlttt ae r844, I1lavoro che produce I'opera che dii valore (Verwer un) ; d~cres~e In, proporzlOne diretta al deprezzamento (Entwertung) d;1 suo autore. «La reali:zazfo;~
d ll!a\ oro e .Ia sUr ?ggetUvaZlOne. Questa realizzazione dellavoro appare nella condizione descritta vftu ei?ell,~r;;,:tf; Itll~a. cpome priflazione delll'?per~io, e I'oggettivazione appare come perdita e schia. . ' e ~p ropnazlO,ne come a lenaZlOne, come espropriazione». (K. MARX, Manoscrittl.ec~n.omico-filosofici del r844, In Opere filosofiche giovanili, a cura di G. Della Volpe, Editori ~lU~ly, R~ha pp. 194-?<). 9ues~0 a~costamento sfugge all'ordine del bricolage e delle cunoslta storlC Ie. a sua ~ec~sslt~ dlverra chIara pili ~Itre, quando si porra il problema deU'appar· tene~za a qu,~ 10 che nol chlal!·l1.amo la metafisica del proprio (0 dell'alienazione).
It3,
] Le theatre de fa crttaute, In «84», p. 4
Ibid.
121.
In
«84», p.
I2L
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La storia di Dio dunque ela storia dell'Opera come escremento. La scato-logia stessa. L'opera come l'escremento presuppone la separazione e si produce in essa. Procede dunque dallo spirito separato dal c?rp? puro. E una cosa dello spirito e ritrovare un corpo senza lordu:~ slgnlfica rifarsi un corpo senza opera. «Perche occorre essere uno spmto per I cacare, I un corpo puro non puo I cacare. I Qu~llo che esso caca ! e l~ colla degli spiriti I che si accaniscono a rubargh q~alche cosa.,1 perch: senza corpo non si puo esistere» I. Nel Nse-Nerfs slleggeva gla: «~at1 amici, quello che avete preso per la mia opera, era solo 10 scar to dl me stesso» '. La mia opera, la mia traccia, l'escremento che mi deruba del mio bene dopo che io sono stato derubato alta mia nascita, deve quindi essere rifiutato. Ma rifiutarlo non vuol dire qui rigettarlo, vuol dire trattenerlo. Per conservarmi, per conservare il mio corpo e la mia parola, mi enecessario trattenere l'opera in me 3, confondermi con essa perche tra essa e me il Ladro non abbia nessuna speranza, impedirIe di scadere fuori di me come scrittura. Perche «tutta la scrittura euna porcheria» 4. COS1 quello che mi espropria e mi allontana da me, quello. che interrompe la mia prossimita a me stesso, mi sporca: con esso ml allontano dal mio proprio. Proprio eil nome del soggetto, prossimo a se - che e quel che e- abietto il nome dell'oggetto, dell'opera alla deriva. 10 ho un nome proprio, quando sono proprio. 11 fanciullo non entra nella societa occidentale col proprio nome - e in primo luogo a scuola -, non evera mente chiamato con proprieta se non quando eproprio. Nascosta sotto la sua apparente dispersione, l'unicita di queste significazioni, l'unita del proprio come non-lordura del soggetto assolutamente pr?ssima a se non si attua prima dell'epoca latina della filosofia (proprzus si collega'a prope) e per la stessa ragione, la determinazione metafisica della follia come male da alienazione non poteva cominciare a maturare. (Naturalmente non facciamo del fenomeno linguistico neuna causa ne un sintomo: semplicemente, il concetto di foUia non si fissa se non nell'epoca di una metafisica della soggettivita propria). Artaud soltecita
questa metafisica, la scuote quando mente a se stessa e pone al fenomeno del proprio la condizione di rinunciare propriamente al suo proprio (e l'alienazione dell'alienazione); la esige di nuovo, attinge ancora al suo fondo di vaIori, vuole esserIe pili fedele di quanta non sia essa stessa, restaurando in assoluto il proprio alla vigilia di ogni discessione. Come l'escremento, come I'asta fecaIe, metafora, enoto, del pene I, I'opera dovrebbe restare eretta. Ma l'opera, come escremento, non eche materia: senza vita, senza forza ne forma. Cade sempre e crolla appena efuori di me. Per questa l'opera - poetica a altro che sia - non mi fara mai stare eretto. Non emai in essa che potro erigermi. La salvezza, 10 statuto, l'essere-eretto, non saranno possibili se non in un'arte senza opera. Poiche l'opera esempre opera della morte, l'arte senza opera, la danza 0 il teatro della crudelta, sara l'arte della vita stessa. «Ho detto "crudelta" come avrei detto "vita"» '. Rivolto contro Dio, irritato contro l'opera, Artaud non rinuncia alIa salvezza. Al contrario. La sateriologia sara l'escatologia del carpo proprio. «E 10 stato del mio I corpo che fara I il Giudizio Finale» '. Corpo-proprio-eretto-senza-scarto. II male, la lordura eil critico ail clinico: divenire nella propria parola e nel proprio corpo un'opera, oggetto lasciato, perche orizzontale, alIa sollecitudine furtiva del commento. Perche Ia sola cos a che per definizione non si lascia mai commentare, e la vita del corpo, la carne viva che il teatro conserva nella sua integrita contro il male e la marte. La malattia el'impossibilita di stare eretto nella danza e nel teatro. «La peste, I il colera, I il vaiolo nero I esistono solo perche la danza I e di conseguenza il teatro I non hanno ancora cominciato ad esistere» '. Tradizione di poeti foIli? Holderlin: «Ma a noi spetta ora, fra Ie tempeste di Dio, I stare a poeti, a denudata fronte, I e con la mana afferrare la folgore, I la folgore del Padre e al popolo il dono I celeste porgere, avvolto nel canto» 5. Nietzsche: « ... debbo aggiungere che si Artaud scrive ne! Preambule aile CEuvres completes cit.: «La canna delle Nouvelles revee caduta nella tasca nera, e la piccola spada pure. C'e pronta un'altra canna che accompagnera Ie mie opere complete, in un corpo a corpo, non con idee rna con Ie scimmie che continuano a inforcarle dall'alto al basso della mia coscienza, nel mio organismo cariato da esse ... La mia canna sara que!libro estremo, invocato da antiche razze oggi estinte e che si ravvivano nelle mie fibre, come ragazze infiammate» (I, pp. 12-13). 2 Lettres sur Ie langage, IV, p. 137 [Lettere sullinguaggio, in I1teatro e il suo doppio cit., p. 1871. 3 In «84 », p. 131. 4 In «84», p. 127. S F. HOLDERLIN, Come nei giorni di festa, in Poesie, trad. di Giorgio Vigolo, Einaudi, Torino 1963. 1
lations de [,Etre, 1 In «84», p. II3. , I, p. 91 [po 39]. II h ' h' 'f . , Ci siamo delibcratamente astenuti, e naturale, da tutto que 0 c e vlene c I~mato « n enmento biografico». Se ricordiamo, in questa punta preciso, che Artaud. marta dl un cancro al retto, non e perch" l'eccezione confer~i la bonta della .re~l?la, rna perche penslamo che 10 statuto (ancora da trovare) di questa osservaZlOne e dl altre s,m,l," non dev~ essere ,!uello,d~1 suddett? « riferimento biografico ». II nuovo statuto - da trovare - e quello d~, raI?P?tt1 tra 1 e~lste.nza e II testo, tra queste due forme di testualita e la scrittura generale, dentro II CUI gloco esse Sl artlcolano. , Le Pese-Nerfs cit., I, p. 95 [po 43].
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deve saper danzare con la penna? » '. 0 ancora: «Solo i pensieri che vi vengono camminando hanno un valore». Si potrebbe quindi avere la tentazione, su questa punto come per molti altri punti, di coinvolgere questi tre poeti folIi, in compagnia di qualche altro, nell'impeto di un unico commento e nella continuita di una sola genealogia '. Moltissimi altri testi sull' essere eretto e sulla danza verrebbero effettivamente a incoraggiare questa progetto. Ma COS1 non d si lascerebbe sfuggire l'intenzione essenziale di Artaud? L'essere-eretto e la danza, da HolderIin a Nietzsche, restano forse metaforici. L'erezione, in ogni caso non deve deportarsi nell'opera, delegarsi al poema, espatriare nella sovranita della parola 0 della scrittura, nell'essere-eretto suI piede della lettera 0 sulla punta della penna. L'essere-eretto dell'opera, con maggiore precisione ancora, e l'autorita della lettera suI softio. Nietzsche aveva certo denunciato la struttura grammatic ale nell'assise di una metafisica da demolire, rna aveva mai interrogato nella sua origine il rapporto tra la certezza grammaticale, da lui riconosciuta, e l'essere-eretto della lettera? Heidegger 10 rileva in un breve suggerimento nella I ntroduzione alta metafisica: «I Greci considerano la lingua, in senso abbastanza lato, otticamente, doe a partire dallo scdtto. E qui che la parola detta si stabilizza. Dire che la lingua e, significa che essa sussiste nelI'immagine scdtta della parola, nei segni della scrittura, nelle lettere 'YprXl-L[JlX'tI'l. E per questa che la grammatica rappresenta la lingua in quanta veramente essente; mentre invece attraverso il Russo delle parole, la lingua si perde nell'inconsistente. COS1, dunque, fino alIa nostra epoca,
la teoria della lingua e stata interpretata grammaticalmente» '. Cio non contraddice, rna conferma paradossalmente il disprezzo per la lettera che, per esempio nel Fedro, salva la scrittura metaforica come inscrizione prima della verita nell'anima; la salva e vi fa riferimento in primo luogo, come alIa pili salda garanzia, e al senso proprio della scrittura (276a). E la metafora che Artaud vuole distruggere. Egli vuole farIa finita con l'essere-eretto come erezione metaforica nell'opera scritta '. Questa alienazione nella metafora dell' opera scritta e il fenomeno della superstizione. E «bisogna porre fine a questa superstizione dei testi e della poesia scritta» 3. La superstizione e quindi l'essenza del nostro rapporto con Dio e della nostra persecuzione da parte del gran furtivo. Anche la soteriologia passa attraverso la distruzione delI'opera e di Dio. La morte di Dio • garantira la nostra salvezza perche solo essa puo risvegliare il Divino. II nome dell'uomo - essere scato-teologico, essere capace di Iasciarsi sporcare dall'opera e costituire dal suo rapporto col Dio Iadro designa Ia corruzione storica del Divino innominabile. «Si tratta di una facolta esclusivamente umana. Direi anzi che e questa infezione dell'umano a contaminare idee che avrebbero dovuto rimanere divine' poiche, Iungi dal ritenere il soprannaturale e i1 divino un'invenzion~ delI'uomo, io pense che l'intervento millenario dell'uomo ha finito per corrompere il divino» 5. Dio e quindi un peccato contro il divino. L'essenza della colpevolezza e scato-teologica. II pensiero al quale l'essenza scato-teologica dell'uomo si manifesta come tale non PUQ essere semplicemente una antropologia 0 un umanesimo metafisici. Questo pensiero
, F. NIETZSCHE, II crepuscolo degli idoli, in Opere complete, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano I970, vol. VI, tomo III, p. ro6 .... «Con la mano afferrare la folgore del padre ... » «Saper danzare con la penna» ... «La canna ... la piccola spada ... un'altra canna ... La mia canna sara quel libro estremo ... » E nelle Nouvelles revelations de l'Etre: «Perch" il 3 giugno I937 sono apparsi i cinque serpenti che erano gia nella spada e la cui forza di decisione e rappresentata da un bastone! Questo che cosa vuol dire? Questo vuol dire che 10 che parlo ho una Spada e un Bastone» (Lef Nouvelles revelations de {,Etre, VII, p. 162 [Le Nuove rivelazioni dell'Essere, in Al paese dei Tarahumara etc. cit., p. I14]). Collage, a questo punta, di un testo di Genet: «Tutti gli svaligiatori comprenderanno la dignita di cui fui insignito, quando, tenni nella mia mano la pince-monseigneur, la "penna". Dal suo peso, dalla sua materia, dal suo calibra, ~ in~ne dalla sua funzione emanava una autorita che mi fece diventare uomo. Avevo, da sempre, II b,sogno di questa ver~a d'acciaio per liberarmi completamente delle mie melmose disposizioni, dei miei modi umili e per pater raggiungere la chiara semplicita della virilita» (Miracle de la rose, in CEuvres completes, II, Gallimard, Paris I95I, p. 205). 2 Riconosciamolo: Artaud e stato il primo a voler raccogliere in un albero martirologico la vasta famiglia dei folli di genio. La fa in Van Gogh, Ie suicide de la societe (I947), uno dei rari testi in cui Nietzsche venga nominata, in mezzo ad altri «suicidi» (Baudelaire, Poe, Nerval, Nietzsche, Kierk~gaard, Holderlin, Coleridge, efr. p. I5). Artaud scrive, pili oltre (p. 65): «No, Socrate non aveva quell'occhio, forse, prima di lui [Van Gogh] solo I'infelice Ni~tzsche ebbe questa sguardo che spoglia l'anima, rhe liber. il corpo dall'anima, che mette a nuda II corpo dell'uomo, fuori dai sotterfugi della spirito ),.
, M. HEIDEGGER, Introduzione alla metafisica, trad. di G. Masi, Mursia, Milano I968, pp. 74-75· , «E ve I'ho gia detto: niente opere, niente lingua, niente parola, niente spirito, niente. «Niente, se non un bel Pesa-Nervi. «Una sorta di stazione eretta c incomprensibile in mezzo a tutto nella spirito» (Le Pese-Nerfs cit., I, p. 96 [po 44]). 3 En finir avec les chefs-d'reuvre, IV, pp. 93-94. [Basta can i capolavori, in Ii teatro e il suo doppio cit., p. I60]. • «Perch" anche I'infinito e morto, I infinito e il nome di un marta» (in «84», p. u8). Questa significa che Dio non e marta in un momenta data della storia, rna che Dio e Marta perche eil nome della Marte stessa, il nome della morte in me e di quello che, derubandomi alia nascita, ha intaccato la mia vila. Poiche Dio-Morte la differenza nella vita, non ha mai finito di morire, cioe di vivere. «Perch" anche I'infinito e morto I infinito e il nome di un marta I che non e marta» (ibid.). Solo la vita senza differenza, la vitg senza morte avra ragione della morte e di Dio. Ma negandosi come vita, nella marte, e diventando Dio stesso. Dio e dunque la Marte: la Vita infinita, Senza differenza, quale e attribuita a Dio dall'onto-teologia a dalla metafisica classica (can I'eccczione ambigua e notevole di Hegel) alia quale Artaud appartiene ancora. Ma come la morte e il nome della differenza nella vita, della finitezza come essenza della vita, cos! I'infinita di Dio, come Vita e Presenza, Faltro nome della finitezza. Ma l'altro nome della stessa cosa non vuol dire la stessa cosa del primo nome, non ne il sinonimo ed tulia la storia. 5 Le theatre et la culture cit., IV, p. I3 [po IIO].
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punta al di la dell'uomo, al di la della metafisica del teatro occi~entale Ie cui «preoccupazioni... puzzano inverosimilmente di uomo, dl uomo provvisorio e materiale, direi anzi di uomo-carogna» '. ~Cfr. anche p. I29, dove una lettera d'ingiurie alIa .Comedie Fran~alse, .denuncla m termini espliciti la vocazione scatologlca della sua conceZlOne e delle sue operazioni). Per questa rifiuto dell'istanza metaforica dell'ope~a e m~lg,rado ~or prendenti somiglianze (qui malgrado questa passagglO al dlla d:ll ~? mo e di Dio), Artaud non el'erede di Nietzsche. Ancor meno, dl Holderlin. Uccidendo la metafora (essere-eretto-fuori-di -se-nell' -opera-rubata), il teatro della crudelra ci gettera verso «una nuova i~ea del P.ericolo» '. L'avventura della Poesia e l'ultima angoscia da vmcere pnma dell'avventura del Teatro'. Prima dell'essere nella sua propria posiZlOne. In che modo il teatro della crudelta potra salvarmi, mi restituira l'istituzione della mia carne stessa? Come impedira alIa mia vita di cadere fuori di me? In che modo mi evitera di «essere vissuto I come il "Demiurgo" I con I un corpo derubato per effrazione» '? Innanzitutto riassumendo l'organo. La distruzione del teatro classico - e della metafisica che esso mette in scena - ha come primo gesto, la riduzione dell'organo. La scena occidentale classica definisce un teatro dell'organo, teatro di parole, quindi di interpretazione, di registrazione e di traduzione, di derivazlone a partire da un testo pre-stabilito, da una tavola scritta da un Dio-Autore ed unico detentore della prima patola. Da un padrone che serba la parola rubata che egli presta solamente ai suoi servi, ai suoi registi e ai suoi attori. «Se dunque l'autore e colui che dispone dellinguaggio della parola, e se il regista e il suo schiavo, ci troviamo di fronte a un semplice problema di parole. C'e una confusione di termini, dovuta al fatto che, per noi, e stando al senso che
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, La mise en scene et la metaphysiqlle, IV, p. 51 [po 133]. , Cfr. lettera a Marcel Dalio, V, p. 95. . . 3 Per questo la poesia, in quanto tale resta, agli occhi .di Artau?, una arte as~ratta: s~a che 51 tratti di parola, sia che si tratti di scrittura poetica. Solo II teatro e arte total~, m CUI Sl pr?d~ cono oltre alia poesia, la musica e la danza, l'elevazione del corpo stesso. CI sfugge propno II nerb~ centrale del pensiero di Artaud, se vediamo in lui: i~ primo. I~o.go, un poeta .. A meno che non si intenda, evidentemente, per poesia un genere Ilhmlt~to, ClOe II tea~ro can .11 suo spazlO reale. Fino ache punto possiamo seguire B1anchot quando scnve: «Ar.taud CI ha .Iasclato un doC\lmenta maggiore, che altro non se non un' Arte poeti~a. Ammetto che I~ essa, egh p~rla del teatro, rna quello che in discussione I'esigenza d~lla poe~la c.~e n?~ puo ar:lvare a complmenta .se non rifiuta i generi limitati e se non afferma un hnguagglO Pill ongmale.:. m que~ta caso, non Sl t~atta pili dello spazio reale che la scena ci presenta, rna d~ un allro spa~IO .... »? Fmo a ch~ punta e legittimo aggiungere tra parentesi quadre «della poesla».. quan~o Sl cI~a una frase dl Artaud che descrive
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generalmente viene attribuito a questo termine di regista, quest'uItimo non eaItro che un artigiano> un adattatore, una sorta di traduttore destinato eternamente a trasferire un'opera drammatica da un linguaggio ad un aItro: e una simile confusione sara possibile - e il regista sara costretto ad eclissarsi di fronte all'autore - solo finche si continuera a dare pet scontato che illinguaggio delle parole e superiore agli aItri, e che il teatro non ammette al di fuori di esso aItro linguaggio» '. Le differenze di cui vive la metafisica del teatro occidentale (autore-testo I , Lettres sur Ie iangage cit., IV, p. 143 [pp. 190-91]. Curiosa coincidenza, di nuovo, tra Artaud e Nietzsche. Coincidenza confermata anche dall'elogio dei misteri di Eleusi (IV, p. 63 [po 141]) e da un certo disprezzo per la romanita (p. 49 [po 132]). Pili sopra, tuttavia, abbiamo de.tto concisamente (he vi si nascondeva una differenza; questa il momenta di precisare. Nell'Origine della tragedia, quando (§ 19) Nietzsche descrive la «cultura socratica» nel «suo contenuta pili intima» e nel suo aspetto pili «incisivo», come «cultura del melodramma», egli si interroga sulla nascita del recitativo e della stile rappresentalivo. Questa nascita non puo che rinviarci ad istinti contra natura ed estranei ad ogni estetica, apollinea a dionisiaca che sia. II recitativo, l'assoggettamenta della musica al libretto, corrisponde, in fondo, alia paura, e al bisogno di sicurezza, alia «nostalgia della vita idillica », alia «fede nell'esistenza preistorica dell'uomo artista e buana ». «II recitativa era considerata illinguaggia ritrovata di quest'uama dell'arigine ». II meladramma era «un mada di cansolarsi cantro il pessimisma» in una situaziane di «sinistra insicurezza ». Came nel Theatre el son double, il pasta del testa viene dunque riconosduto come quella della signaria usurpata e la propria - nan metafarica - pratica della schiavitli. La disposiziane del testo la signaria. «II melodramma il prodotta dell'uomo tearica, del critica aile prime armi, non delI'artista: uno dei fatti pili strani nella staria di tutte Ie arti. Era I'esigenza di ascoltatari del tutta estranei alia musica, quella di comprendere prima di tutta la Parala; casicche una rinascita dell'arte musicale sarebbe poi dipesa soltanta dalla scaperta di un mado del canto. in cui il Testa avrebbe dominato il Cantrappunto, came iI Signore il suo Servo ». E diverse altre formule anticipano Artaud: a prapasita dell'abitudine «di fruire separatamente del testa - nella lettura» (II dramma musicale greco, nella Nascila della tragedia), a propasita dei rapporti fra i1 grida e il cancetto (La concezione dionisiaca del mondo), a prapasito dei rapparti tra «il simbalisma del gesta» e il «tona del soggetto parlante», a proposita della relaziane «geroglifica» tra il testa di una poesia e la musica, n praposita della illustrazione musicale del testa poetica e del propasita di «prestare un linguaggia intelligibile alia musica» (<< E il manda alia ravescia. E came se il figlia volesse generare il padre», frammenta su La musica e illinguaggio). Ma qui, come in altri punti la danza, la musica che Nietzsche vuole liberare dal testo e dalla recitazione. Liberaziane che daveva senza dubbio sembrare astratta ad Artaud. Sola il teatra, arte totale che comprende ed utilizza la musica e la danza tra Ie altre farme di linguaggio, puo attuare quella liberazione. Se spessa prescrive la danza came Nietzsche, Artaud, occarre natarla, non Ja astrae mai dal teatro. Anche se la si prendesse alIa lettera e nan, came si diceva pili sapra, in sensa analagico, la danza nan sarebbe tutto il teatro. Prababilmente Artaud nan direbbe came Nietzsche: «Nan passa credere se nan in un Dia che sa danzare ». Nan salo perche, come sapeva anche Nietzsche, Dio nan puo danzare, rna perche la danza da sola un teatra impaverita. Precisazione tanto. pili necessaria in quanto Zaratustra candanna anche i paeti e l'opera paetica came alienazione del carpa nella metafara. Sui poeti, camincia cas1: «"Da quando. canosca meglia il carpa, - disse Zaratustra a un discepala - 10. spirito. per me sala per mada di dire spirito.; e tutto quanta 'imperituro' _ anche cia che nan ealtra che un simbola". - "Te l'ha giii sentita dire una valta, - rispose il discepalo, - e tu allora aggiungesti: 'rna anche i poeti mentana troppo'. Perche poi dicesti che i poeti mentano trappa? ... " ... E valentieri si assumana la parte di quelli che canciliana: rna per me restano. mezzani e intrugliani, gente di mezza tacca, non pulita! - Ah, ia ha gettato la mia rete nei laro mari, volevo fare buana pesca; rna ha sempre tirato su il capo. di qualche vecchio. dia» (F. NIETZSCHE, Cosi parlo Zaratuslra, trad. di M. MantiiOari, Adelphi, Milano. 1968, p. 156). Nietzsche disprezzava anche 10 spettacala (<< La spirito. del paeta ha bisagno di spettatori, fassero anche dei bufali») e si sa che per Artaud, la visibilita del teatro doveva smettere di essere oggetta di spettacola. Nan si tratta di chiedersi, in questa canfranto, chi, tra Nietzsche e Artaud andata pili lantana, nella distruziane. A questa interrogaziane, che sciacca, puo sembrare che noi rispondiamo: Artaud. In un'altra direziane, patremma con altrettanta legittimita, sastenere il contrario.
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regista-attori), la sua differenziazione ed i suoi scambi trasformano «i servi» in commentatori, cioe in organi. Qui, organi di registrazione. Ora «bisogna credere in una concezione della vita rinnovata dal teatro, do.ve l'uomo diventi impavidamente signore di cia che ancora non esiste [il corsivo e mio] e 10 faccia nascere. E tutto cio che non e nato puo ancora nascere, purche non ci si accontenti di essere semplici organi di registrazione» '. Ma prima di corrompere la metafisica del teatro, quell a che chiameremo la differenziazione organica aveva imperversato suI corpo. L'organizzazione e l'articolazione, la congiunzione delle funzioni e delle membra (apl)pov, artus), illavoro e il gioco della loro differenziazione. Questa ultima costituisce nello stesso tempo la membratura e 10 smembramento del mio (corpo) proprio. Artaud diflida del corpo articolato, cos1 come diflida dellinguaggio articolato, del membro cos1 come della parola, in un modo unico e uguale, per una sola e medesima ragione. Perche l'articolazione e la struttura del mio corpo e la struttura e sempre struttura d'espropriazione. La divisione del corpo in organi, la differenza interna della carne apre la carenza, attraverso la quale il corpo si fa assente a se stesso, dando a intendere di essere, 0 credendo di essere, 10 spirito. Ora, «non c'e spirito, ci sono solo differenziazioni di corpo» (3, 1947). II corpo che «cerca sempre di raccogliersi»', sfugge a se stesso attraverso quello che gli permette di funzionare e di esprimersi, ascoltandosi, come si dice di chi e malato, e quindi sviandosi da se». «II corpo e il corpo, I e solo I e non ha bisogno di organi, I il corpo non e mai un organismo, I gli organismi so no i nemici del corpo, lIe cose che si fanno avvengono da sole, senza l'aiuto di alcun organo, I ogni organo e un parassita, Iesercita una funzione parassitaria ! destinata a far vivere un essere che non dovrebbe esserci» '. L'organo, accoglie, dunque, la differenza di cio che e estraneo nel mio corpo, e sempre l'organo della mia perdita e cio e tanto originariamente vero che neppure il cuore, organo centrale della vita, 0 il sesso, organo primo della vita, sono in grado di sfuggirvi. «E cos1 che in realta non c'e nulla di tanto ignobilmente inutile e superfluo quanto l'organo che si chiama euore I che e il pili sporco modo che gli esseri abbiano mai potuto inventare per pompare la vita in me. I I movimenti del euore non sono altr~ che una manovra, alla quale l'essere si abbandona senza tregua su dl me per , Le theatre et la culture cit., IV, p. 18 [po II3J. In Celltre-Na?uds, Rodez, aprile 1946. Stampato in <<Juin ». n. 18.
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In «84", p.
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prendermi quello che io continuo a rifiutargli ... » '. E pili avanti: «Un uomo vero non ha sesso» '. II vero uomo non ha sesso, perche egli deve essere il suo sesso. Dal momenta che il sesso diventa un organo, mi diventa estraneo, mi abbandona, per acquisire in tal modo l'autonomia arrogante di un oggetto gonfio e pieno di se. Questo gonfiore del sesso, divenuto oggetto distaccato, e una specie di castrazione. «Dice di vedermi molto preoccupato per il sesso. Ma per il sesso teso e gonEo come un oggetto» '. L'organo, luogo della perdita perche il suo centro ha sempre la forma dell'orifizio. L'organo funziona sempre come imboccatura. La ricostituzione e la re-istituzione della mia carne faranno seguito, quindi alla chiusura del corpo su di se e alla riduzione della struttura organica: «10 ero vivo Ied era qui da sempre. IMangiavo? I No, ma quando avevo fame mi ritiravo col mio corpo e non mangiavo me stesso 1- ma tutto questo si e alterato, I una strana operazione si compiva ... I Dormivo? I No, io non dormivo, I bisogna essere casti per saper non mangiare. I Aprire la bocca vuol dire offrirsi ai miasmi. I ABora, niente bocca! I Niente bocca, Iniente lingua, Iniente denti, Iniente laringi, Iniente esofago, I niente stomaco, I niente ventre, I niente ano.1 10 ricostruiro l'uomo che sono» '. E pili avanti: «(Non si tratta in modo speciale del sesso o dell'ano I che del resto van no tagliati e liquidati, ... )>> 5. La ricostituzione del corpo deve essere autarchica, non deve farsi prestare mana da altri; e il corpo deve essere rifatto di un unico pezzo: «Sono I io I che I avro I rifatto I me stesso I interamente I ... da me stesso ! che sono un corpo I e non ho in me regioni» (3, 1947). La danza della crudeld ritma questa ricostruzione e si tratta ancora una volta del posto da trovare: «La reald non e ancora costruita perche i veri organi del corpo umano non sono ancora composti e alloro posto. II teatro della crudelta e stato creato per portare a termine questa collocazione e per tentare con una nuova danza del corpo dell'uomo, la disfatta di quel mondo dei microbi che e soltanto del nulla coagulato. I II teatro della crudelta vuol far danzare Ie palpebre in coppia con i gomiti, con Ie rotule, i femori, gli alluci, e che 10 si veda» '. , In «84», p. 103. , In «84», p. Il2. Vent'anni prima, nell'Ombilic des limbes: <do non soffro perche 10 Spirito non stia nella vita e la vita non sia 10 Spirito, io soffro dello Spirito-organo, della Spirito-tradu7,i~ne 0 dello Spirito-intimidazione-delle-cose per fade entrare nella Spirito» (I, p. 48)3 L'art et la mort, I, p. 145. 4 In« 84 », novemhre 47, p. 102_ l In «84», p. 1256 In «84 », p. 101.
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II teatro non poteva dunque essere un genere tra gli altti, per Artaud, uomo del teatro prima di essere scrittore, poeta 0 anche uomo di teatro: attore almeno quanta autore e non solo perche ha recitato molto, mentre ha scritto una sola opera drammatica e manifestato per un «teatro abortito»; rna perche la teattalita esige la totalita dell'esistenza e non tollera pili l'istanza interpretativa 0 la distinzione tra l'autore e l'attore. La prima urgenza di un teatro in-organico e l'emancipazione nei confronti del testo. Benche il suo sistema rigoroso si trovi solo nel Theatre et son double, tuttavia la protesta contro la lettera era stata da sempre la prima esigenza di Artaud. Protesta contro la lettera morta che si assenta lontano dal respiro e dalla carne. Artaud aveva prima di tutto sognato una grafia che non andasse alIa deriva, una inscrizione non separata: incarnazione della lettera e tatuaggio sanguinante. «In seguito a questa lettera [di J. Paulhan, 1923], lavorai ancora un mese per scrivere una poesia verbalmente, e non grammaticalmente, riuscita. Poi vi rinunciai. II mio problema non era di sapere che cosa potesse arrivare ad insinuarsi entro i limiti dellinguaggio scritto, Irna nella trama della mia anima in vita. I Attraverso qualche parola entrata a coltello nella carnagione che dura, I in una incarnazione che muoia sotto l'arcata della fiamma-isola di una lanterna di patibolo, ... » Ma il tatuaggio paralizza il gesto e uccide la voce, che appartiene anch'essa alIa carne. Esso soffoca il grido e la sorte di una voce ancora in-organizzata. E pili tardi, quando progettera di sottrarre il teatro al testo, al suggeritore e all'onni-potenza del logos primo, Artaud non abbandonera semplicemente la scena al mutismo. Vorra soltanto ricollocarvi, subordinarvi una parola che fino ad ora, enorme, invadente, onnipresente e piena di se, come parol a suggerita, aveva pesato ~Itre ogni misura sullo spazio teatrale. Ora sara necessario che, senza sparire, rimanga al suo posto, e che per cio si modifichi nella sua stessa funzione: non deve pili essere un linguaggio di paroIa, di termini «con valore di definizione», di concetti che esauriscono il pensiero e la vita. Occorre un silenzio delle parole-definizioni «in cui potere meglio ascoItare la vita». Si dovra dunque risvegliare l'onomatopea, i1 gesto che dorme in ogni parola classica: la sonorita, l'intonazione, l'intensita. E la sinI.
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1 I, p. 9. - Zaratustra, Leggere e scrivere: «Di tutto quanta scritto, io amo solo che uno scrive col suo sangue. Serivi col sangue e allora imparerai che il sangue spirito. 1 Non cosa da poco intendere il sangue altrui; io odio i perditempo ehe leggono. 1 Chi conosee illettore, non fa pili nulla per illettore. Ancora un secolo di lettori, e 10 spirito stesso emanera fetore» (F. NIETZ· SCHE cit., p. 42).
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tassi che regola la concatenazione delle parole-gesti non sara pili una grammatica della predicazione, una 10gica dello« spirito chiaro» 0 della coscienza conoscente. «Quando dico che io non daro un testa scritto, voglio dire che non daro un testa dram matico basato sulla scrittura e sulla paroIa ... e che anche la parte parlata e scritta 10 sara in un sen so nuovo». «Non si tratta di sopprimere la parol a articolata, rna di dare aIle parole all'incirca l'importanza che hanno nei sogni» I. Estraneo alIa danza, immobile e monument ale come una definizione, materializzato, cioe appartenente allo «spirito chiaro», il tatuaggio edunque ancora troppo silenzioso. Silenzio di una letter a liberata, che parla da sola e che assume una importanza maggiore di quanto non ne abbia la parola nel sogno. II tatuaggio e un deposito, un'opera, ed e l'opera che bisogna distruggere, ora 10 sappiamo. A fortiori, i1 capolavoro: «basta coi capolavori», titolo di uno dei testi pili import anti del Theatre et son double'. Anche qui, rovesciare il potere dell'opera letterale, non significa cancellare la lettera: subordinarla soItanto ~ll'istan za dell'illeggibile 0 almeno dell'analfabetico. «Io scrivo per gh analfabeth> J. Come si vede in certe civilta non occidentali, quelle appunto che affascinavano Artaud, l'analfabetismo puo accordarsi perfettamente con la cultura pili profonda e pili viva. Le tracce inscritte suI corpo non saranno quindi incisioni grafiche, rna Ie ferite riportate nella lotta per la distruzione dell'Occidente, della sua metafisica e del suo teatro, Ie stigmate di questa guerra inesorabile. Perche il teatro della crudelta non e un teatro nuovo, destinato a far da scorta a qualche nuovo romanzo che corregge soItanto dal di dentro, una tradizione incrollabile. Artaud non tenta ne un rinnovamento ne una critica e neppure rimette in discussione il teatro classico: egli intende distruggere effettivamente attivamente e non teoricamente la civilta occidentale, Ie sue religioni: la tot alit adella filosofia che fornisce la platea e 10 scenario al teatro tradizionale, nei suoi aspetti in apparenza pili innovatori. La stimmate e non il tatuaggio: COS1 nell'esposizione di quello che avrebbe dovuto essere i1 primo spettacolo del teatro della crudelta (La conquete du Mexique), che incarnava il «problema della colonizzazioI IV, passim [pp. "90, 184, Ill]. Pere.he non gi.ocare al gioeo serio dell'aeeost.amento delle eitaziani? E stata scritto in seguito: «Che II sogno dlsponga della parola, non cambia nulla, dato ehe per l'ineonscio essa ~ solo un elemento di messa in .scena ~ome gli altri>~ (J. L~CAN, L'tnstance de fa fettre dans f'incascient au fa raison depuis Freud, 10 Emts, ed. du SeUlI, Pam 1966 , p. 5Il). , IV, p. 89 [po 157]. . " . , ] «Satto la grammatica e'e il pensiera ehe un obbrobno P!u forte da v1Oeere, un~ verg10e molto pili restia, molta pili rigido da olt~epassare, q~a~do 10 S1 prende per un fatto lOnato .. 1 Perehe il pensiero una matrona che non e seml?re eSlsttta .. 1 Ma ehe.Ie parole ~onfiate dalla mla vita si gonJiana poi da sole nel bi a ba della sermo. 10 scnvo per git analfabett» (I, pp. IO·Il).
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ne~> e che avrebbe ~
gu:nosa la presunZlOne sempre viva dell'Europa», Ie stimmate si sostitUlscono al testa: «Da questa scontro tra il disordine morale e l'anarc~ia cattolica, e l'ordine pagano, 10 spettacolo puo fat scaturire inaudlte c~nf1agrazioni di forze e d'immagini, costellate qua e la di dialoghi brutah. E questa attraverso lotte fra uomo e uomo ognuno dei quali porta in se come stimmate Ie idee pili opposte» '. I1lavoro di sovvertimento a cui Artaud aveva, in tal modo, sottoposto da sempre l'imperialismo della lettera aveva il senso negativo di una rivolta finche si produceva in seno alIa letteratura come tale. Erano Ie sue prime opere, all'epoca delle lettere a J. Riviere. L'afferma:.done rivoluzionaria 2 che dovra assumere una notevole espressione teorica nel Theatre et son double, era gia evidente nel T M!iire Alfred Jarry (~~26-30). Q~i era ?ia espressa l'esigenza di calarsi verso una profondlta della mamfestazlOne delle forze in cui Ia distinzione degli organi del teatro (autore-testo / regista-attore-pubblico) non fosse ancora possibiIe. Ora questa sistema di ricambi organici, questa difJeranza, non e mai stata possibile se non ordinata intorno ad un oggetto, libro 0 libretto. La profondita richiesta quindi, e quella dell'illeggibile: «Tutto cio che appartiene all'illeggibilita... 10 vogliamo ... vedere trionfare su di una scena ... » '. Nell'illeggibilita teatrale, nella notte che precede illibro, il segno non e ancora separato dalla forza '. Non e ancora del tutto un segno, nel sensoin cui noi intendiamo questa parola, ma non e pili una cosa, quello che noi pensiamo solo nella sua opposizione al segno. Non .' Le th?dtre de la cruaute (Second manifeste), IV, p. 152 [II teatro della crudeltii (Secondo mantfesto), In II teatro e it suo doppio cit., pp. 196-97]. 2 Rivoluzionario in senso completo e in particolare nel senso politico. Tutto Le tbeatre et son double potrebbe esser letto - ma non possiamo farlo qui - come un manifesto politico del resto molto ambiguo. Rin~nciando all'azione politica immediata, alia guerrilla, a quello ch~ sa-
rebbe stato uno spre.co d~ for~e nell'economia della sua intenzione politica, Artaud intendeva preparare teatro ureahzzab,le senza la caduta delle strutture politiche della nostra societa. «Caro amiCO, non ho detto di volere agire direttamente sulla nostra epoca; ho detto che il teatro che volevo crea:e,'p~e~upponev~, per essere possibile, per essere accettato dalla nostra epoca, una d.'versa fO~'!la dl clvl~ta» (magglO 1933' Letlres sur Ie langage cit., IV, p. 140 [po 1891). La rivoluzlOne poh~lc~ deve, In. primo luogo strappare il potere alla lettera e al mondo delle lettere (efr. per esemplO 11 Post-sCflptum al Mantfeste pour un theatre avorte: nel nome della rivoluzione teatrale contro Ie lett ere , Artaud, alludendo qui ai Surrealisti «rivoluzionari di carta stercoraria» in «genuflessione davanti al Comunismo », dice tutto il suo disprezzo per la <
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ha ~lcuna probabilita di diventare, in quanta tale, testo scritto 0 parola artlcolata; alcuna probabilita di innalzarsi e di gonfiarsi al di sopra dell'.e~~r~i~ per rivestir:, s~condo ;a distinzione humboldtiana, l'impasslbIhta lncolore e obletuva dell ergon. Ora, l'Europa vive sull'ideale di questa separazione tra la forza e il senso come testa, nel momenta s~esso in. cui, come suggerivamo pili sopra, credendo di innalzare 10 spinto al dl sopra della Iettera, gli preferisce ancora Ia scrittura metaforica. Questa derivazione della forza nel segno, suddivide l'atto teatrale esilia l'attore fuori dalla responsabilita del senso, ne fa un interpret~ che si lascia infondere Ia propria vita e suggerire Ie sue parole, che riceve Ia sua parte come un ordine, che si sottopone come un animale al piacere della docilita. Non e pili, come il pubblico in platea, che un consumato~e, un esteta, un «jouisseur». Allora Ia scena non e pili crudele, non e pIli la scena, ma e come un abbellimento, e l'illustrazione lussuosa di un libro. Nel migliore dei casi, e un altro genere letterario. «II dialogo - nella forma scritta e parlata - non appartiene specificamente alIa scena, appartiene allibro; come dimostra il fatto che manuali di storia letter aria dedicano un certo spazio al teatro, considerandolo come un ramo accessorio della storia dellinguaggio articolato» '. Lasciarsi suggerire costla parola e, come 10 scrivere stesso, l'archifenomeno della riserva: abbandono di se al furtivo, discrezione, separazione e nello stesso tempo accumulazione, capitalizzazione, ricerca di una garanzia anche nella decisione delegata 0 difIerita. Lasciare Ia parola al furtivo, vuol dire rassicurarsi nella difIeranza, cioe nell'economia. II teatro del suggeritore costruisce quindi il sistema della paura e Ia tiene a distanza attraverso la meccanica sapiente delle sue mediazioni sostanzializzate. Ora, e nota che, come Nietzsche, ma per mezzo del teatro, Artaud vuole restituirci al Pericolo come al Divenire. «II teatro ... e in decadenza perche ha rotto ... con il Pericolo» 2, con «il Divenire» ... «Insomma Ia pili alta idea possibile del teatro dovrebbe essere quella che ci riconcilia filosoficamente col Divenire» 3. Rifiutare l'opera, e di Iasciarsi suggerire la propria parola, il proprio corpo e la propria nascita dal dio furtivo, vuol dire appunto, preservarsi contro il teatro della paura che moltiplica Ie differenze tra me e me. Restaurata nella sua assoluta e terribile prossimita Ia scena della crudelta mi restituirebbe, coS1, l'immediata autarchia della mia nascita, del mio corpo, della mia parola. Dove mai Artaud ha definito Ia scena della crudelta meglio che I La mise en scene etla metaphysique, IV, p. 45 [La messa in scena e fa meta{isica in Iiteatro e il suo doppio cit., p. 130 e passiml. ' 2 I bid., p. 51 [po I331. 3 Lettres sur Ie langage cit., IV, p. 130 [po 1831.
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in Ci-Git fuori da qualsiasi riferimento apparente al teatro: «10, Antonin Ar;aud, sono I mio figlio, I mio padre, mia madre, I ed io» ... ? Ma il teatro, cOSI decolonizzato, non finira col soccombere alIa. propria crudelta? Resistera al propri~ p~ricolo? Liberato dalla ,dizlOne, sottratto alIa dittatura del testo, 1 atelsmo teatrale non verra abbandonato alI'anarchia improvvisatrice ed alI'ispirazione capriccios a .dell'attore? Non si prepara un'altra sottomissione? Un'altra sottraz.lOne dellinguaggio nelI'arbitrario e nelI~ irresp~nsab~lita? Per sconglUrare questo pericolo che minaccia dall ~nt~rno tl ~encolo stesso, ;\.rtaud, con uno strano movimento informa tllmguagglO della crudelta m un.a nuova scrittura: la pili rigorosa, la pili imperi?sa, calcola.ta,. matematlca e formale. Incoerenza apparente che suggensce una oblezlO~~ affrettata. In verita la volonta di preservare la parola, preservan~osl messa, esige con la sua onnipotente ed infallibile logica, un roveSClamento che qui occorre seguire. A J. Paulhan: «Non credo che, do po aver letto il mio .Manifesto, lei possa insistere nelle sue obiezioni, a me no che .non 10 abbla letto 010 abbia letto male. I miei spettacoli non avranno mente a ch~ vedere. con Ie improvvisazioni di Copeau. Per quanta pro fonda mente lmmerSl nel concreto, nelle cose, per quanta radicati nella natura libera e non n~lIe soffocanti strettoie del cervello, non per questo sonG abbandonatl al capriccio dell'incolta e avventata ispir~zione dell'attore; tanto me no dell'attore moderno che, una volta usclto dal testo, annaspa e non capisce pill nulla. Mi guarderei bene dall'affidare a questo ~lemento casuale la sorte dei miei spettacoli e del teatro. No» '. «10 ml abbandono ana febbre dei sogni, rna per trarne nuove leggi. 10 va~o. cercan~o l.a moltiplicazione, l'acutezza, l'occhio intellettuale nel delmo, non 11 tlschio della vaticinazione» '. Se e necessario, quindi, rinunciare «alIa superstizione teatrale del testo e alla dittatura dello scrittore» " eperche queste ultime non hanno potuto imporsi se non grazie ad un certo modello di par?la e di s~rit tura: parola rappresentativa di un pensiero chiaro e c.ompl.uto, scnttura (alfabetica, 0, in ogni caso, fonetica) rappresentatlva dl una parola rappresentativa. II teatro classico, te~tro. di spettacolo ~ra la rappresentazione di tutte quelle rappresentazlOm. Ora, quell a dlfferanza, que-
gli indugi, quegli scambi rappresentativi, allentano e liberano il gioco del significante, moltiplicando cOSI i luoghi e i momenti della sottrazione. Perche il teatro non venga sottoposto a questa struttura dellinguaggio, ne abbandonato alIa spontaneita della ispirazione furtiva, dovra essere regolato dalla necessita di un altro Iinguaggio e di un'altra scrittura. Fuori dell 'Europa , nel teatro balinese, nelle antiche cosmogonie messicane, indli, iraniche, egiziane, ecc., si cercheranno dei temi, rna talvolta anche dei modelli di scrittura. Questa volta Ia scrittura non solo non sara pili trascrizione della parola, non solo sara scrittura del corpo stesso, rna si produrra, nei movimenti del teatro, secondo Ie regole del geroglifico, di un sistema di segni in cui l'istituzione della voce non abbia pili il predominio. «L'accavallarsi delle immagini e dei movimenti condurra, mediante collusioni di oggetti, silenzi, grid a e ritmi, alIa creazione di un autentico linguaggio fisico, fondato sui segni e non pili sulle parole». Le parole stesse, ridiventate segni fisici non trasgrediti verso il concetto, rna «usate anche in un senso ammaliante, veramente magico ... per la loro forma, e per Ie loro emanazioni sensibili» smetteranno di appiattire 10 spazio teatrale, di stenderlo orizzontalmente, come faceva la parola logica; ci restituiranno il suo «volume» e 10 utilizzeranno (
, Lettres sur Ie langage cit., IV, p. 13I [po I83]. , Manifeste en langage clair, I, p. 239· 3 Le theatre de la cmaute (Second manifeste) cit., IV, p. I48 [po I94].
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, Un alhletisme aflectif, IV, p. I63 [Un'atlelica aflelliva, in II teatro e il suo doppio cit.,
P.204J.
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di la delle lingue empiriche I, una grammatica universale della crudelta: «si potranno etichettare e catalogare Ie ?iecimil.a ~ pili.espressioni del vi so colte in forma di maschera, affinche parteclpmo dlrettamente e simbolicamente al linguaggio concreto della scena» 2. Arta~d, vuole anche ritrovare sotto la loro contingenza apparente la necesslta delle produzioni dell'inconscio, ricalcando in qualche modo la scr.ittu:-a teatrale sulla scrittura originaria dell'inconscio, quella forse dl CUI parla Freud nella Nota sulnotes maaico come di una scrittura che si cancelIa e che si conserva da se, dopo'" averci tuttavia messo in guardia, nella I nterpretazione dei sogni, eontro la metafora dell'ineonscio, come tes~o originale coesistente accanto all'Umschrift, e dopo aver p~ragonato, I? un breve seritto del I913, il sogno «pili che a un linguagglO», a «un SIstema di scrittura» e perfino di scrittura «geroglifica)~., . Contro Ie apparenze, vogliamo dire contro la totahta della metafislca occidentale, questa fcrmalizzazione matematica libererebbe la ~esta e la genialita represse. «Che questa urti il conc~tto :u~opeo della hberta scenica e dell'ispirazione spontanea puo darSl bellissImo, ma nessuno puo affermare che tale rigore matematico produca steri~ita 0 ~?not~ nia. La meraviglia eche da uno spettacolo regolato ~o~ mcredlbll~ mlnuzia e consapevolezza si sprigioni una sensazione dl ncchezz~, dl fantasia, di gene rosa prodigalith; «Gli attori compongono ~on 110:0 ~o stumi autentici geroglifici vivi e in movimento. E questl gero~hficl .a tre dimensioni sana a loro volta ricamati da un certo numero dl gestl, di segni misteriosi che corrispondono a qualche ignota realta ~scura e favolosa che noi occidentali abbiamo completamente represso» . In che modo questa liberazione e questa riabil.itazione del. repr~sso sono possibili? e non a dispetto, ma con l'aiuto ?1 quella codl~cazlOn~ totalitaria e di quell a ret~rica delle forze? ~~azle alla crudel~a,ch4~ Slgnifica in primo luogo «ngore» e «sottomlSS10ne alIa necessl,ta)} . II fatto eche escludendo il caso, reprimendo il gioco della macchma, questa nuova' informazione teatrale sutura tutte Ie incrinature, tutte Ie aperture, tutte Ie differenze. La loro origine, illoro movimento attivo; il differire, la differanza, sono richiuse. AlIora la parola trafugata C1 La preoccupazione della scrittura universale si indovina anche nelle Lettres de Rodez ~in 177 sgg. [Lettere da Rodez, Al paese dei T~rahumara ecc. CIt., pp. 157-95]). Artaud pretendeva di aver qui s~r~tto in «una hngua che non e,ra Ii Francese, rna che d I . (P . potevano leggere tutti, a qualunque nazlonahta appartenessero» (a H. Pansot). 2 Le thedtre de la cruaute (Premier mantleste), IV, p. II2 [II teatro della cru eta rzmo manilesto) in II teatro e il suo doppio cit., p. 17 1]. '1 d . 3 Sur Ie thedtre balinais, IV, pp. 67, 73-74 [Sui teatro balinese, in II teatro e t suo OpplO cit., pp. 143-44, 148]. • . II '1 d p' 't • Lettres sur la cruaute, IV, p. 121 [Lettere sulla crudelta, 10 teatro e t suo op to Cl ., pp. 177-78]. I
(Euvres completes cit., IX, pp.
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viene restituita, definitivamente. Allora, forse, la crudelta si placa nella sua ritrovata prossimita assoluta, in un'altra riassunzione del divenire, nella perfezione e nell' economia della sua rimessa in scena. «lo, Antonin Artaud, sono mio figlio, I mio padre, mia madre, Ied io». Tale e, secondo il desiderio espresso di Artaud, la legge della casa, la prima organizzazione di uno spazio di abitazione, l'archi-scena. Questa allora e presente, raccolta nella sua presenza, vista, dominata, terribile e tranquilla. Non e con l'aiuto della scrittura, ma tra due scritture che la differanza furtiva aveva potu to insinuarsi facendo della mia vita un accessorio e della sua origine, della sua carne, l'esergo e l'affanno che si cela nel mio discorso. Era necessario, con la scrittura fatta carne, con il geroglifico teatrale, distruggere il doppio, cancellare la scrittura apocrifa che, trafugandomi l'essere come vita, mi teneva a distanza dalla forza nascosta. Ora, il discorso puo raggiungere la sua nascita in una perfetta e permanente presenza a se. «E accade che questa manierismo, questa stile altamente ieratico, con il suo fluente alfabeto, Ie grida di pietre che si spezzano, 10 stormire di rami, i rumori di tronchi tagliati e fatti rotolare, componga nell'aria, nello spazio visivo e sonoro, una sorta di sussurro materiale e animato. E in capo ad un istante, l'identificazione magica e compiuta: SAPPIAMO CHE SIAMO NO! A PARLARE» Sapere presente del: passato-proprio della nostra parola. I.
Identificazione magica, certamente. La differenza dei tempi basterebbe a testimoniarlo. Non basta dire che e magica. Si potrebbe mostrare che e l'essenza stessa della magia. Magica, e per di pili introvabile. Introvabile, «la grammatica di questa nuovo linguaggio» che Artaud ammette «deve essere trovata ancora» '. Artaud di latto, malgrado tutte Ie sue intenzioni, ha dovuto reintrodurre il preliminare del testo scritto, in «spettacoli» ... «rigorosamente organizzati e fissati una volta per tutte prima di essere recitati» 3. « ... Tutti questi brancolamenti, ricerche, choc sfoceranno comunque in un'opera, in una composizione inscritta [il corsivo e di ArtaudJ, fissata nei minimi particolari e annotata con mezzi di trascrizione nuovi. La composizione, la creazione, invece di avvenire nel cervello dell'autore, si realizzeranno nella natura stessa, nello spazio reale, e il risultato definitivo sara rigoroso, I Sur Ie thidtt'e halinais cit., IV, p. 80 [po 152]: il corsivo 2 Let/res sur Ie langage cit., IV, p. 132 [po 183]. 3 V, p. 41.
edi Artaud.
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e determinato quanta quello di qualsiasi opera scritta, con in pili una immensa riechezza oggettiva» '. Anche se Artaud non avesse dovuto, come ha latto', ridare i suoi diritti all'opera e all'opera scritta, il suo programma stesso (la riduzione dell'opera e della differenza, quindi della storicita) non mostra gia l'essenza stessa della follia? Ma questa follia come metafisiea della vita inalienabile e della indifferenza storiea, del «10 dieo I al di sopra I del tempo» (Ci-Git), denunciava altrettanto Iegittimamente, con un gesto che non offriva alcun appiglio ad un'altra metafisiea, l'altra follia come metafisiea che vive nella differenza, nella metafora e nell'opera, quindi nell'alienazione, senza pensarle come tali, al di la della metafisiea. La follia e tanto l'alienazione quanta la nonalienazione. L'opera 0 l'assenza dell'opera. Queste due determinazioni stanno di fronte indefinitamente nel campo chiuso della metafisiea COS1 come nella storia stanno di fronte quelli che Artaud chiama «gli alienati evidenti» 0 «autentiei» e gli altri. Stanno di fronte, si articolano e si scambiano necessariamente nelle categorie, riconosciuti 0 no, tuttavia sempre riconoscibiIi, in un unico discorso storico-metafisico. I concetti di follia, di alienazione, di non-alienazione appartengono irriducibilmente alIa storia della metafisica. Ancor pili precisamente: a quell'epoca della metafisica che determina l'essere come vita di una soggettivita propria. Ora la differenza - 0 la differanza, con tutte Ie modificazioni che si sono messe a nudo in Artaud - non puo essere pensata come tale se non al di Ia della metafisica, verso la Differenza - 0 la Duplicid - di cui parla Heidegger. Si potrebbe credere che quest'ultirna, poiche nello stesso tempo apre ed occulta la verita, poiche di fatto non distingue nulla, poiche e complice invisibile di ogni parola, sia il potere furtivo stesso, se cia non portasse a confondere la categoria metafisica e metaforica del furtivo con cia che la rende possibile. Se la «di, Lettres sur Ie langage cit., IV, pp. 133-34 [po 185]. Cfr. inoltre IV. pp. rr8, 153 [pp. 175, 197]. , Artaud non ha soltanto reintrodotto I'opera scritta nella propria teoria del teatro; anche, in fin dei conti,I'autore di un'opera. E 10 sa. In una lettera del 1946 (citata da Blanchot in «L'Arche», 1948, 27-28, p. 133), egli parla di quei «due libri brevissimi» (L'ombilic des limbes e Le Fese-Nerfs) che «si svolgono allorno a quella assenza profonda, inveterata, endemica di ogni idea». «AI momenta mi sono sembrati pieni di incrinature, di fratture, di banalita e come infarciti di aborti spontanei... Ma dopo pili di vent'anni, mi sembrano stupefacenti, non per illoro esito in rapporto a me rna in rapporto all'inesprimibile. E cos! che Ie opere invecchiano bene e che mentre esse mentono nei confronti della scrittore, costituiscono di per se stesse, una verita curiosa ... Un inesprimibile espresso da opere che sono semplici sconfitte sui piano del presente ... » Allora, pensando al rifiuto irritato dell'opera, non possibile dire, con la stessa intonazione, il contrario di quanto dice Blanchot nel Libra a venire cit. Non «naturalmente, non un'opera» (p. 47), rna «naturalmente, ancora non che un'opera»? In questa misura essa autorizza I'eflrazione del commento e la violenza dell'esemplificazione, quella violenza che noi non abbiamo patuto evitare, net momenta stesso in cui avevamo intenzione di tenercene lontani. Ma forse ora capiamo meglio la necessita di questa incoerenza.
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struzione»' della storia della metafisica non e, nel senso rigoroso in cui l'intende Heidegger, un semplice superamento, allora potremmo, situandoci in un luogo che non e ne dentro ne fuori quella storia, interrogarci su quello che collega il concetto della follia al concetto della metafisica in generale: quella che Artaud distrugge e quella che si accanisce ancora a costruire 0 a preservare, nello stesso movimento. Artaud sta suI limite; ed e su questa limite che abbiamo tentato di leggerlo. Per tutto un aspetto del suo discorso, egli distrugge una tradizione che vive nella differenza, nell'alienazione e nel negativo, senza scorgerne l'origine e la necessita. Per ridestare questa tradizione, Artaud Ia richiarna, insomma, ai suoi propri motivi: la presenza a se, l'unita, la identita a se, il proprio, ece. In questa senso, la «metafisica» di Artaud, nei suoi momenti pili critici, completa la metafisiea occidentale, la sua intenzione pili profonda e continua. Ma per un altro aspetto del suo testo, il pili difficile, Artaud afferma la Iegge crudele (cioe, nel senso in cui egli intende questa espressione, necessaria) della differenza; legge condotta alla coscienza, questa volta, e non pili vissuta nell'ingenuita metafisica. Questa duplicita del testa di Artaud, che e nello stesso tempo pili e menD di uno stratagemma, ci ha continua mente costretto a passare dall'altra parte del limite, a mostrare COS1 la chiusura della presenza entro cui doveva rinchiudersi per denunciare l'implicazione ingenua nella differenza. Allora, poiche i differenti passano continuamente e molto rapidamente uno nell'altro, e poiche l' esperienza critica della dillerenza assomiglia all'implicazione ingenua e metafisica nella differenza, puo sembrare ad uno sguardo non esercitato, che si critichi la metafisica di Artaud a partire dalla metafisica, quando si scopre una complicid fatale. Attraverso quest'ultima si esprime l'appartenenza necessaria di tutti i discorsi distruttori, che debbono abitare Ie strutture stesse che stanno abbattendo e nascondervi un desiderio indistruttibile di presenza piena, di non-differenza: nello stesso tempo, vita e morte. Tale e il problema che noi abbiamo voluto porre, nel senso in cui si pone una rete, delimitandoun reticolo testuale, costringendo a sostituire il discorso, la deviazione prescritta da alcuni luoghi, alla puntualita della posizione. Senza Ia durata e Ie tracce indispensabiIi di quel testo, ogni posizione si rovescia subito nel suo contrario. Anche questo e prescritto da una legge. La trasgressione metafisica da parte di quel «pensiero», che, ci ha detto Artaud, non e ancora cominciato, rischia sempre di torn are alIa metafisica. Tale e il problema nel quale siamo po, E la follia si lascia oggi «distruggere,' dalla stessa distruzione della metafisica onto-teolagica, dell'opera e dellibro. Non diciamo del testo.
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sti. Problema ancora e sempre implicito ogni qualvolta una parola, protetta dai limiti di un campo, si lasceta provocare da lontano dall'enigma di carne che ha voluto chiamarsi propriamente Antonin Artaud '.
Freud e la scena della scrittura *
, [Molto tempo dopo aver scritto questo testo, leggo in una lettera di Artaud a P. Loeb (efr. «Lettres Nouvelles», n. 59, aprile I958): «questo vuoto scavato tra due mantici di forza - che non c'erano» (settembre I969)].
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Questo testa il frammento di una conferenza tenuta all'Institut de psychanalyse (seminario del dr. Green). Si ttattava, allora, di aprire una discussione a proposito di alcune proposizioni formulate in saggi precedenti, specialmente in De la grammatologie (<
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1. Malgrado Ie apparenze, la decostruzione dellogocentrismo non una psicanalisi della filosofia. Queste apparenze: analisi di una rimozione e di una repressione storica della scrittura da Platone in poi. Questa rimozione costituisce l'origine della filosofia come episteme; della verita come unita del logos e della phone. Rimozione e non dimenticanza; rimozione e non esc!usione. La rimozione, dice Freud, non respinge, non fugge, non esc!ude una forza esterna, contiene una rappresentazione interiore che delinea nel suointerno, uno spazio di repressione. Qui, guello che rappresenta una forza nella specie della scrittura - intern a ed essenziale alIa parola - stato contenuto fuori della parola. Rimozione non riuscita: in via di decomposizione storica. E questa decomposizione che ci interessa, questa non-riuscita che conferisce al suo divenire una certa leggibilita e ne limita l'opadta storica. «La rimozione fallita sara per noi pili interessante - dice Freud -- di quella che consegue qualche successo e che di solito si sottrae alIa nostra analisi» '. La forma sintomatica del ritorno del represso: la metafora della scrittura che ossessiona il discorso europeo, e Ie contraddizioni sistematiche nell'esc!usione onto-teologica della traccia. La rimozione della scrittura come di do che minaccia la presenza e la signoria dell' assenza.
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" Freud et la scene de /' ecriture, conferenza tenuta all'Institut de psychanalyse ne! marzo 1966; pubblicata in «Tel Quel», 26, estate I966. , S. FREUD, Gesammelte Werke, Imago Publishing Co., London I940 sgg., vol. X, p. 256 [in seguito, per Ie citazioni da questa edizione si used. la sigla: GWJ.
Freud e Ia scena della scrittura
La scri ttura e Ia differenza L'enigma della presenza «pura e semplice» come duplicazione, ripetizione originaria, auto-affezione, differanza. Distinzione tra Ia signoria dell' assenza come parola e come scrittura. La scrittura nella parola. Allucinazione come parola e aIIucinazione come scrittura. II rapporto tra phone e coscienza. II concetto freudiano di rappresentazione verbale come preconscio. II Iogo-fonocentrismo non e un errore filosofico 0 storico ne! quale si sarebbe accidentalmente, patologicamente, precipitata Ia storia della filosofia, dell'Occidente, per non dire del mondo, bens! un movimento e una struttura necessari e necessariamente finiti: storia della possibilita simbolica in generale (prima della distinzione tra l'uomo e I'animale e anche tra vivente e non-vivente); storia della differanza, storia come differanza; che trova nella filosofia come episteme, nella forma europea de! progetto metafisico 0 onto-teologico Ia manifestazione privilegiata, mondialmente arbitra dell'occuItamento, della censura in generale del testa in generale.
2. Tentativo di giustificazione di una reticenza teorica a utilizzare i concetti freudiani se non fra virgolette: appartengono tutti, senza alcuna eccezione, alIa storia della metafisica, cioe al sistema di repressione Iogocentrico che si organizzato per escludere 0 abbassare, mettere fuori e in basso, come metafora didattica e tecnica, come materia servile 0 escremento, it corpo della traccia scritta. Per esempio, Ia repressione Iogocentrica non e intelligibile a partire dal concetto freudiano di rimozione; essa permette, invece, di comprendere in qual modo una rimozione individuale e originale res a possibile nell'orizzonte di una cultura e di una appartenenza storica. Perche non si tratta ne di seguire Jung, ne di seguire il concetto freudiano di traccia mnestica ereditaria. Senza dubbio il discorso freudiano - Ia sua sintassi 0, se si vuole, i1 suo Iavoro - non si confonde con questi concetti necessariamente metafisici e tradizionali. Senza dubbio non si esaurisce in questa appartenenza. Ne fanno gHt fede Ie precauzioni e il «nominalismo» con i quali Freud tratta cio che egli chiama Ie convenzioni e Ie ipotesi concettuali. E un pensiero della differenza e menD legato ai concetti che al discorso. Ma suI sen so storico e teorico di queste precauzioni Freud non ha mai svoIto una riflessione. Necessita di un immenso Iavoro di decostruzione di questi concetti e delle frasi metafisiche che vi si condensano e sedimentano. Delle complicita metafisiche della psicanalisi e delle scienze cosiddette umane (i concetti di presenza, di percezione, di reaIta, ecc.). II fonologismo linguistico. Necessita di una interrogazione esplicita suI senso della presenza in generale: paragone tra Ia via seguita da Heidegger e quella di Freud. L'epoca della presenza, nel senso heideggeriano, e Ia sua nervatura centrale da Descartes a Hegel: Ia presenza come coscienza, Ia presenza a se pensata nell'opposizione conscio/inconscio. I concetti di archi-traccia e di differanza; perche questi ultimi non sono ne freudiani ne heideggeriani. La differanza, pre-apertura della differenza ontico-ontologica (efr. De la grammatologie, I, p. 1029) e di tutte Ie differenze che solcano Ia concettualita freudiana in modo tale, solo un esempio, da potersi distribuire intorno alIa differenza tra il «piacere» e Ia «reaIta» 0 derivarne. La differenza tra il principio di piacere e it principio di reaIta, per esempio, non esoItanto ne in primo Iuogo una di-
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s~inzione, un~ esteriorita, rna e Ia possibilita originaria, nella vita, della deviaZlOne, della dlfferanza (Au/schuh) e dell'economia della morte 1. Differanza e identita. La differanza nell'economia dello stesso. Necessita di sottrarre it concetto di traccia e di differanza a tutte Ie opposizioni concettuali classiche. Necessita del concetto di archi-traccia e della cancellazione dell'archia. Questa cancellazione, che conserva Ia Ieggibilita dell'archia, significa i1 rapporto di appartenenza pensata con Ia storia della metafisica (De la grammatologie, II, P·3 2 ). Perche i concetti freudiani di scrittura e di traccia resterebbero ancora sotto Ia minaccia della metafisica e del positivismo? Sulla complicita di queste due minacce ne! discorso di Freud.
Worin die Bahnung sonst besteht, bleibt dahingestellt 2.
La nostra ambizione emolto limitata: rintracciare nel testa di Freud alcuni punti di riferimento e isolare, alle soglie di una riflessione organizzata, quello che della psicanalisi si lascia diflicilmente contenere nella chiusura logocentrica, la quale delimita non solo la storia della filosofia, rna anche il movimento delle «scienze umane» e soprattutto di una certa linguistica. Se l'apertura freudiana ha una originalita storica, non la trae dalla coesistenza pacifica 0 dalla complicita teo rica con quella linguistica, almeno nel suo congenito fonologismo. Ora non eun caso se Freud, nei momenti decisivi del suo itinerario, fa ricorso a modelli metaforici che non sono presi dalla lingua parlata, dalle forme verbali e neppure dalla scrittura fonetica, rna da una grafia che non e mai subordinata, esterna e posteriore alla parola. Freud fa appello a segni che non intendono trascrivere una parola viva e piena, presente a se e padrona di se. Per dire il vero, e questa appunto sara il nostro problema, Freud allora non si serve semplicemente della metafora della scrittura non fonetica; non ritiene opportuno fare uso di metafore scritturali a fini didattici. Se questa metaforica risulta indispensabile e perche chiarisce forse indirettamente il senso della traccia in genera Ie e di conseguenza, articolandosi con essa, il senso della scrittura correntemente intesa. Freud, certo, non fa uso di metafore, se fare 1 Cfr. s. FREUD, Jenseits des Lustprinzips, in GW, XIII, p. 6 [trad. it. Al di Iii del principio di piacere, in Nuovi saggi d, psicoanalisi, Edizioni del Secoio, Roma 1946]. 2 [«Resta ancora da vedere in che cosa consiste ia facilitazione» (Progetto di una psicologia, 1895): Cfr. s. FREUD, Entwurf emer Psychologie, in Aus den Anfiingen der Psychoanalyse, a cura
di M. Bonaparte, A. Freud e E. Kris, Imago Publishing Co., London 1950 pp. 371-466. trad. it. in s. FREUD, Opere, 2, Boringhieri, Torino 1968, pp. 201·84 Oa frase citat~ si Irova a 207: in conformita a questa traduzione si reso con facilitazione il termine francese frayage, corrispondente "1 tcdesco Bahnung)].
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uso di metafore significa fare con cia che e noto allusione all'ignoto. Attraverso l'insistenza del suo investimento metaforico, egli rende invece enigmatico quello che crediamo di conoscere sotto il nome di scrittura. Forse qui si attua, pili 0 meno esplicitamente, un movimento sconosciuto alla fi10sofia c1assica. Da P1atone e Aristotele in poi, non si e mai smesso di illustrare con immagini grafiche i rapporti tra 1a ragione e l'esperienza, tra 1a percezione e 1a memoria. Ma non si e mai smesso di garantire un certo credito a1 senso del termine conosciuto e familiare, cioe aHa scrittura. 11 gesto iniziato da Freud interrompe questa cer· tezza ed apre un nuovo tipo di interrogazione sulla metaforicita, sulla scrittura e sulla spaziatura in genera1e. Lasciamoci guidare nella nostra 1ettura da questo investimento metaforico. Esso arriVerll a invadere 1a totalita dello psichico. II contenuto dello psichico verra rappresentato da un testo d'essenza irriducibilmente grafica. La struttura dell'apparato psichico verra rappreselltata da una macchina di scrittura. Quali interrogazioni ci imporranno queste rappresentazioni? Non dovremo chiederci se un apparato 0 apparecchio di scrittura, per esempio quello che descrive 1a Nota sul notes magico, e una buona metafora per rappresentare il funzionamento dello psichismo; bensl qua1e apparato bisogna creare per rappresentare la scrittura psichica e che cosa significa, nei confronti dell'apparato e nei confronti dello psichismo, l'imitazione progettata e aflidata ad una macchina di qualeosa come 1a scrittura psichica. Non se 10 psichismo e davvero una specie di testo, rna: che cosa e un testa e che cosa deve essere 10 psichico per essere rappresentato da un testo? Perche se non c'e ne macchina ne testo senza origine psichica, non esiste psichico senza testo. Infine, quale deve essere il rapporto tra 10 psichico, 1a scrittura e la sp~ ziatura perche sia possibile un tale passaggio metaforico, no? solo ne 1~1 primo 1uogo all'interno di un discorso teorico, rna nella stona dello PSlchismo, del testo e della tecnica?
La facilitazione e la difJerenza. Dal Progetto (1895) alla Nota sul notes magico (1925), strana progressione: una problematica della facilitaz~one viene ela?ora~dosi per conformarsi sempre meglio ad una metafonca della traCCla sentta. Partendo da un sistema di tracce funzionanti secondo un modello che Freud avrebbe voluto naturale e in cui 1a scrittura e del tutto assente, ci si orienta verso una conngurazione di tracce che non e pili possibile
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rappresentare se non attraverso la struttura e il funzionamento di una scrittura. Nello stesso tempo il modello strutturale della scrittura, alla quale Freud avrebbe fatto ricorso subito dopo il Progetto, continua a distaccarsi e a precisare la propria originalita. Tutti i modelli meccanici saran no provati e abbandonati fino alla scoperta del Wunderblock, macchina da scrittura di una stupefacente complessita, nella quale verra proiettata la totalita dell'apparato psichico. La soluzione di tutte Ie difficolta anteriori vi sara rappresentata e la Nota, segno di tenacia ammirevole, rispondera con molt a precisione alle interrogazioni del Progetto. 11 Wunderblock, in ognuna delle sue parti, realizzera l'apparecchio che Freud, nel Progetto, riteneva «per il momento neppure immaginabile» (<< Un apparecchio che compia una operazione tanto complicata, per il momento non 10 possiamo immaginare») e che allora egli aveva sostituito con una favola neurologica, il cui schema e la cui intenzione, in un certo senso, non abbandonera pili. 1 Nel 1895 si trattava di spiegare 1a memoria nello stile delle scienze naturali, di «dare una psicologia che sia una scienza naturale, ossia di rappresentare i processi psichici come stati quantitativamente determinati di particelle materiali identificabili» '. Ora, <
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maestra. II che presuppone una certa violenza e una certa resistenza di fronte all'efIrazione. La via e rotta, aperta, fracta, frayee. Ora, esisterebbero due specie di neuroni: i neuroni permeabili (q», che non ofIrono resistenza e che quindi non conservano alcuna traccia delle impressioni, sarebbero i neuroni della percezione; altri neuroni (Iji) opporrebbero barriere di contatto alIa quantita di eccitazione e conserverebbero cOSI stampata la traccia: questi ofIrono dunque una «possibilita di rappresentare (darzustellen) la memoria». Prima rappresentazione, prima messa in scena della memoria. (La Darstellung e la rappresentazione, nel senso sfumato di questa parola, ma spes so anche nel senso della figurazione visuale e, talvolta, della rappresentazione teatrale). Freud assegna la qualita psichica solamente a questi secondi neuroni. Essi sono i «veicoli della memoria e presumibilmente anche dei processi psichici in genere» 1. La memoria non e dunque una proprieta dello psichismo tra Ie altre, e l'essenza stessa dello psichismo. Resistenza e percio stesso apertura all'efIrazione della traccia. Ora, supponendo che Freud intenda qui parlare solo illinguaggio della quantid piena e presente, supponendo, come almeno pare, ,he egli intenda collocarsi nella opposizione semplice tra la quantita e la qualita (quest'ultima riservata alIa pura trasparenza di una percezione senza memoria), il concetto di facilitazione vi si dimostra intollerante. L'uguaglianza delle resistenze alIa facilitazione 0 l'equivalenza delle forze di facilitazione, ridurrebbero ogni preferenza nella scelta dei percorsi. La memoria sarebbe paralizzata. La difIerenza tra Ie facilitazioni, questa e la vera origine della memoria, e quindi dello psichismo. Solo questa difIerenza libera la «preferenza della via» (W'egbervorzugung): «La memoria e rappresentata (dargestellt) dalle difIerenze delle facilitazioni esistenti tra i neuroni Iji» '. Non si deve dire che la facilitazione senza la difIerenza non e sufllciente alIa memoria; bisogna precisare che non esiste facilitazione pura senza difIerenza. La traccia come memoria non e una facilitazione pura che sia sempre possibile recuperare come semplice presenza, e la difIerenza inafIerrabile e invisibile tra Ie facilitazioni. Sappiamo quindi gia che la vita psichica non e la trasparenza del sen so ne l'opacid della forza, ma la difIerenza nellavoro delle forze. Nietzsche diceva questo. Che la quantid diventi ljiuXl] e [tvl][t11 pili attraverso Ie differenze che attraverso Ie pienezze e quanta continued poi ad essere asserito nel Progetto stesso. La ripetizione non aggiunge nessuna quantita di forza 1 Progetto di una psicologia cit., p. , Ibid., p. 206 (righe 12-13).
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presente, nessuna intensita, essa replica la medesima impressione: ha tuttavia potere di facilitazione. «La memoria (cioe la forza [Macht], continuamente attiva di una esperienza) dipende da un fattore chiamato "entita dell'impressione" e dalla frequenza con cui una stessa impressione si ripete» 1. II numero di ripetizioni si aggiunge quindi alIa quantid (Q11) dell'eccitazione e queste due quantita sono di due ordini assolutamente eterogenei. Non vi sono ripetizioni se non discrete ed esse agiscono come tali solo attraverso il diastema che Ie tiene separate. Infine, se Ia facilitazione puo sostituire Ia quantid attualmente all'opera e aggiungervisi e certo perche e analoga ad essa, rna anche altra: Ia quantita «puo essere sostituita dalla quantid pili la facilitazione che ne risulta». Questo altro dalla pura quantita, non dobbiamo affrettarci a determinarlo come qualid: in tal modo trasformeremmo Ia forza mnestica in coscienza presente e in percezione traslucida delle qualita presenti. COSI ne la difIerenza tra Ie quantita piene, ne I'interstizio tra Ie ripetizioni dell'identico, ne Ia facilitazione stessa, si Iasciano pensare nell'opposizione tra la quantita e la qualita '. La memoria non puo dipendere da essa, e sfugge alIa presa di un «naturalismo» come a quella di una denomenologia». :~Tutte queste differenze nella produzione della traccia possono essere reinterpret ate come momenti della difIeranza. Secondo un motivo che non finid mai di orientare il pensiero di Freud, questa movimento e descritto come uno sforzo della vita che difende se stessa, differendo I'investimento pericoloso, vale a dire, costituendo una rirerva (Vorrat). La perdita 0 Ia presenza minacciose sono difIerite conl'aiuto della facilitazione 0 della ripetizione. Non e gia questa Ia svolta (Aufschub) che instaura il rapporto tra il piacere e Ia realta (Al di la del principia di piacere, gia citato)? Non e gia la morte all'inizio di una vita che non puo difendersi dalla morte se non con l' economia della morte, Ia differanza, Ia ripetizione, la riserva? Poiche Ia ripetizione non si aggiunge all'impressione precedente, la sua possibilita e gia presente nella resistenza che ofIrono per la prima volta i neuroni psichici. La resistenza stessa non e possibile se la contrapposizione delle forze non dura 0 non si riProgetto di una psicologia cit., p. 206. Qui, piu che altro,:,e, a proposito dei concetti di differenza, di quantita e di qualitii, si imporrebbe un confronto sIstematico tra Nietzsche e Freud. Cfr., fra molti altri esempi possibili, questo frammento del Nachlass: «11 nostro "conoscere" si limita a stabilire delle" quantita "; rna noi non possiamo impedirci di interpretare queste differenze-di-quantitii come qualita. La qualita 1: Ulla verita prospettica per noi; non" in se" ... Se i nostri sensi divenissero dieci volte piu penetranti 0 piu ottusi, noi affonderemmo: vale a dire che noi avvertiamo anche i-rapporti-diquantita come qualit1t mettendoli in relazione con l'esistenza che rendono possibile per noi» (Werke, III, p. 861). 1
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pete originariamente. E l'idea stessa di prima volta che diventa enigmatica. Quello che accenniamo qui non ci sembra contraddica cio che Freud dira pili avanti « ... la facilitazione probabilmente e il risultato dell'unico passaggio (einmaliger) di una grande quantith '. Supponendo che questa affermazione non rinvii per una serie di approssimazioni al problema della filogenesi e delle facilitazioni ereditarie, si puo anche sostenere che nella prima volta del contatto tra due forze, la ripetizione e incominciata. La vita e gia minacciata dall'origine della memoria che la costituisce e dalla facilitazione alIa quale essa resiste, dall'effrazione che essa non puo con tenere se non ripetendola. E perche la facilitazione frattura, che nel Progetto Freud riconosce un privilegio al dolore. In un certo qual modo non si da facilitazione senza inizio di dolote e «il dolore lascia dietro di se facilitazioni particolarmente abbondanti» '. Ma al di la di una certa quantita, il dolore, origine minacciosa dello psichismo, deve essere differito, come la morte, perche puo fare «fallire» il «dispositivo» psichico. Malgrado l'enigma della «prima volta» e della ripetizione origin aria (prima, naturalmente, di ogni distinzione tra Ia ripetizione cosiddetta normale e la ripetizione cosiddetta patologica), e importante il fatto che Freud assegni tutto questa lavoro alIa funzione primaria e ne interdica ogni derivazione. Stiamo hene attend a questa non-derivazione, anche se essa rende ancora pili densa la difficolta del concetto di «primarietb e di non temporalita del processo primario, e anche se questa difficoIta non dovra mai finire di aumentare in seguito. «Qui vien fatto di pensare quasi involontariamente allo sforza primario del sistema nervoso - che si mantiene attraverso tutte Ie modificazioni - di evitare un carico di Qll 0 di ridurIo nei limiti del possibile». Sotto la pressione delle esigenze della vita, il sistema nervoso e stato costretto a immagazzinare quantita (Qll). A tal fine esso ha dovuto aumentare il numero dei suoi neuroni, e questi dovevano essere impermeabili. Ma ora esso evita di lasciarsi colmare di Qll Oa carica), stabilendo Ie facilitazioni. Si vede quindi che Ie facilitazioni servono alta funziol1e primaria» '. Indubbiamente la vita si difende attraverso la ripetizione, la traccia, la differanza. Ma bisogna intendersi su questa formulazione; non c'e una vita presente in primo luogo, che in seguito arriva a proteggersi, a rinviarsi, a riservarsi nella differanza. Quest'ultima costituisce l'essenza della vita. 0 meglio: la differanza,. non essendo una essenza, non Progetto di una psic%gia cit. Ibid., p. 226. ] Ibid., p. 206.
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essendo nulla, n~n eIa vita se I'essere e determinato come ousia, presenza, esse~za/e~lsten~a, sostanza 0 soggetto. Bisogna pensare Ia vita come. ~racCla pnma dl. determinare l'essere come presenza. E Ia sola C?n?1Z10ne pe~ ~ote~ d~re che Ia vita eIa morte, che Ia ripetizione e l'al dl la de! pnnClpl? dl placere sono originari e congeniti a quello stesso c?e ~SSI trasgredlscono. Quando scrive nel Progetto che «Ie facilitaZ10m se.rvono alIa funzione primaria», Freud ci impedisce gia di essere sorpre~l,da :tf di fa def principio di piacere. Egli ammette una duplice necesslta.: nconoscer~ Ia.diff~ra~za alI'origine e, nello stesso tempo, depennare 11 concetto dl pr~marleta: non ci meraviglieremo pili allora se Ia Traumdeutung 10 d:fimsce una .. «finzione teorica» in un paragrafo sulla «comparsa tardlva» (Verspatung) del processo secondario. Dunq~e ~ il ritardo che e originario '. Senza di che, la differanza sarebbe Ia dl!azl~ne che una coscienza si concede, una presenza a se del presente. I?lff~nre non puo dunque significare ritardare un possibile presente, r~nvlare un atto, soprassedere ad una percezione gia fin da ora possibIle. Questo possibile non e possibile se non attraverso Ia differanza che e necessario quindi concepire in aItro modo che un caIcoio 0 una meccanica della decisione. Dire che essa e originaria, significa nello s~esso tempo cancellare il mito di una origine presente. Per questa ragtone e necessario intendere «originaria» sotto cancellatura altrimenti si fa~eb~e.der~vafe Ia differanza da una origine piena. E Ia ~on-origine che e ongmana .. Invece di rinunciarvi, forse bisogna ripensare il concetto del «differire». E cio che noi vorremmo fare; e non e possibile se non determinand~ Ia ~ifferan~a fuori ~a ogni o:izz?nte teleologico 0 escatoIogico. ~on e fa~t1e. NotlamoI? dl passagg1O: 1 concetti di Nachtraglichkeit e dl Verspatung, concettl conduttori di tutto il pensiero freudiano concetti determinativi di tutti gli altri concetti, sono gia pre senti e chi~mati colloro nome nel Progetto. L'irriducibilita delI'«effetto ritardato» tale e senza alcun dubbio la scoperta di Freud. Questa scoperta, Freud Ia mette in opera fino alle sue ultime conseguenze e al di Ia della psicanali.' Cfr. GW, II/II!, p .. 6II [Op~re,. vol. .HI: L'interpretazione dei sogni, trad. di E. Fachindh e n . Tret~1 Fach!nelh, Bort~l\hlert, ,\onno 1966, p. 549]. Questi eoncetti di differanza 0 di rttardo.ortgmart s,ono !ndl,spensablh so.tt~ I autorita della logica della identita anehe satta il concett? dl tempo. L assurd,ta stessa ehe Sl nleva eos1 nei termini purehe si organizzi in un certo lIlOdo,. mvita a pensare a11'a1 di la di quella logica e di que! eonc~tto. Satta la paroIa'ritardo, neeessarto pen~are quaIcosa dl d~verso dal rapporto tra due «presenti »; bisogna evitare la seguente rappresentazlOne: a.ccade solo m un 'pr~sent~ B quello ch~ do~eva (avrebbe dovuto) attuarsi in un presente!> (<
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si dell'individuo. La storia della cultura deve secondo lui confermarla. In Mase e il manateisma (1937) l'efficacia dell'effetto ritardato e del secondo momento si estende per lunghi periodi storici '. D'altra parte, il problema della latenza e messo in relazione in modo molto significativo, con quello della tradizione orale e della tradizione scritta. Benche nel Pragetta la facilitazione non venga mai chiamata scrittura, Ie esigenze contraddittorie aIle quali il Notes magica dara una risposta, sono gia formulate in termini letteralmente identici: «trattenere, pur restando in grado di ricevere». Le differenze nellavoro della facilitazione non concernono solo Ie forze ma anche i luoghi. E Freud vuole gia pensare nello stesso tempo la forza e illuogo. Egli e il primo a non credere al carattere descrittivo di questa rappresentazione ipotetica della facilitazione. Quanto alla distinzione tra Ie categorie di neuroni: «Almeno dal punto di vista morfologico, cioe istologico, non sono noti elementi che appoggino questa distinzione» '. Essa e l'indice di una descrizione topica che 10 spazio esterno, familiare e costituito, il fuori delle scienze naturali, non puo contenere. Per questa ragione sotto il titolo di «punto di vista biologico», la «differenza d'essenza» (Wesensverschiedenheit) tra i neuroni e «sostituita da una differenza di ambiente di destinazione» (SchicksalsMilieuverschiedenheit): differenze pure, differenze di situazione, di connessione, di localizzazione, di relazioni strutturali pili importanti dei termini di sostegno, e per Ie quali la relativita del fuori e del dentro e sempre arbitrale. II pensiero della differenza non e in grado ne di evitare una topic a ne di accettare Ie rappresentazioni norm ali della spaziatura. Questa difficolta si acuisce ancora quando e necessario spiegare Ie differenze pure per eccellenza: quelle della qualita, vale a dire, per Freud, della coscienza. E necessario spiegare «cio che conosciamo, in maniera enigmatica (ratselhaft), attraverso la nostra "coscienza" ». E «poiche questa coscienza non sa nulla di cio che noi abbiamo fin qui supposto, cioe quantita e neuroni, [Ia teoria] deve anche spiegarci questa mancanza di conoscenza» J. Ora, Ie qualita sono appunto differenze pure: «La coscienza ci da cia che noi chiamiamo qualita: sensazioni differenti (anders) in grandi varieta di modi e la cui dilferenza (Anders) dipende (ttnderschieden wird) dai rapporti col mondo esterno. Entro questa dilfere11Za, vi sono delle serie, delle somiglianze, e simili, ma non , GW, XVI, pp. 238-39.
, Progetto di tina psicologia cit., p. 208. Ibid., p. 2I3.
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vi sono propriamente delle quantita. Possiamo chiederci come e dove abbiano origine Ie qualita» '. Ne fuori, ne dentro. Non puo essere nel mondo esterno dove il fisico non conosce che quantita, non conosce che «masse in ~ovimento e niente altro». Ne puo essere nell'interiorita dello psichico, cioe nella memoria, perche
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ria della discontinuita sara fedelmente ripresa in considerazione dalla Nota suI notes magico: come nel Progetto, culmine dell'audacia che schiude un'ultima aporia. II seguito del Progetto, dipendera interamente da quel richiamo incessante e sempre phi radicale al principio della differenza. Vi si trova sempre, sotto una neurologia indicativa che ha la funzione rappresentativa di un montaggio artificiale, il progetto ostinato di spiegare 10 psichismo con l'estensione spaziale, con una topografia delle tracce, con una carta delle facilitazioni; progetto di collocare la coscienza 0 la qualita in uno spazio di cui bisogna ripensare la struttura e la possibilita; e di descrivere il «funzionamento dell'apparato» per mezzo di differenze e di situazioni pure, di spiegare in che modo «mentre la quantita dell'eccitamento cp e espressa in \jJ dalla complicazione, la qualita viene espressa topicamente» 1. E perche la natura di quel sistema di differenze e di quella topografia e origin ale e non deve lasciare fuori di se nulla, che Freud moltiplica nel montaggio dell'apparecchio gli «atti di coraggio», Ie «ipotesi strane rna indispensabili» (a propos ito dei neuroni «secretori» 0 neuroni «chiave»). E quando egli rinuncera alIa neurologia e aIle localizzazioni anatomiche, non 10 fara per abbandonare, rna solo per trasformare Ie sue preoccupazioni topografiche. La scrittura, allora, entrera in scena. La traccia diventera il gramma; e il mezzo della facilitazione, una estensione spaziale cifrata.
Lo stampo e il supplemento d'origine. \Qualche settimana dopo l'invio del Progetto a Fliess, nel corso di una «notte di lavoro», tutti gli elementi del sistema, si ordinano in una «macchina». Non e ancora una macchina da scrivere: «Ogni cosa al suo giusto posto, gli ingranaggi a posto, sembrava si trattasse di una macchina che, da un momenta all'altro, avrebbe cominciato a muover· si da sola» '. Presto: di If a trent'anni. Da sola: quasi. Poco pili di un an no dopo, la traccia comincia a diventare scrittura. Nella lettera 52 (6 dicembre '96), l'intero sistema del Progetto viene 1 Progetto di una psicologia cit., p. 220. , Lettere a Wilhelm Fliess cit., n. 32, p. 96 (20 ottobre '95). La macchina: «I tre sistemi di neuroni, 10 stato libero e legato della quantitil, il processo primario e secondario, Ie tendenze al compromesso del sistema nervoso, Ie due leggi biologiche dell' attenzione e della difesa, i segni della qualita, della realtil e del pensiero, la situazione del gruppo psicosessuale, la determinazione sessuale della rimozione e, infine, i fattori che provocano la coscienza in quanto funzione percettiva: tutlo concordava e concorda ancora. 10, naturalmente, riesco a stento a contenere l'entusiasmo. Se avessi aspettato due settimane a scriverti. .. ».
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ricostituito in una concettualita grafica finora inedita in Freud. Non sorprende il fatto che questa coincida con il passaggio dal neurologico allo psichico. Al centro di questa lettera Ie parole «segno» (Zeichen), inscrizione (Niederschrift), trascrizione (Umschrift). Non solo vi e esplicitamente definita la comunicazione tra la traccia e il ritardo (cioe di un presente non-costituente, originariamente ricostituito a partire dai «segni» della memoria), rna illuogo del verbale viene indicato aIl'interno di un sistema di scrittura stratificato che esso non e minimamente in grado di dominare: «Come sai sto Iavorando all'ipotesi che il nostro meccanismo psichico si sia formato mediante un processo di stratificazione (Aufeinanderschichtung); il materiale presente sotto forma di tracce mnemoniche (Erinnerungsspuren) e di tanto in tanto sottoposto ad una nuova sistemazione (Umordnung) in accordo con gli avvenimenti recenti, COS1 come si riscrive un lavoro. Cia che e essenzialmente nuovo nella mia teoria e la tesi che la memoria non sia presente in forma univoca rna molteplice e che venga codificata (niederlegt) in diverse specie di segni. .. Non so quante ve ne siano di queste trascrizioni (Niederschriften). Almeno tre, probabilmente di pili ... Ie diverse trascrizioni siano anche separate (quantunque non necessariamente in modo topografico) quanto ai neuroni che Ie trasmettono ... Percezione. Sono neuroni nei quali nascono Ie percezioni, cui e connessa la coscienza, rna che non trattengono in se stessi tracce di cia che e avvenuto; perche la coscienza e la memoria si eliminano a vicenda. Segno di percezione. E la prima trascrizione delle percezioni, completamente incosciente, ordinata secondo associazioni di simultaneita ... Inconscio. E la second a trascrizione ... Preconscio. E la terza trascrizione, connessa aIle immagini verbali e corrispondente al nostro io ufllciale ... questa pensiero cosciente secondario, appare pili tardivamente e probabilmente e connesso con l'attivazione allucinatoria delle immagini verbali» 1. E Ia prima allusione diretta alIa Nota. Ormai, cominciando dalla Traumdeutung (1900), la metafora della scrittura si impadronisce nel10 stesso tempo del problema dell' apparato psichico nella sua struttura e di quello del testa psichico nella sua trama. La complementarita dei due problemi esigera da parte nostra una maggiore attenzione: Ie due serie di metafore - testa e macchina - non fan no la loro apparizione nella stesso tempo. «I sogni seguono prevalentemente antiche facilitazioni», diceva il Progetto '. Bisognera, dunque ormai interpretare la regressione topica, 1
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Lettere a Wilhelm Fleiss cit., n. 52, pp. 124-25. Progetto di una psic%gia cit., p. 244.
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temporale e formale del sogno come via di ritorno in un paesaggio di scrittura. Non semplice scrittura trascrittiva, eco pietrificata di una sorda verbalita, rna litografia precedente Ie parole: metafonetica, n~n linguistica, a-logica. (La logica obbedisce al conscio 0 al preconsclO, luogo delle rappresentazioni verbali: al principio d'identita, espressi~ ne fondatrice della filosofia della presenza. «Era solo una contradd1zione logica, e questa non significa gran che», si legge nel C~so ~lillico dell'uomo dai lupi). Poiche il sogno si muove in una foresta d1 scnttura, la Traumdeutung, l'interpretazione. dei sogni sara indubbiamente, fin dal primo momento, una lettura e una decifrazione. Prima di analizzare il sogno di Irma, Freud si impegna in considerazioni di metodo. Con un gesto che gli efamiliare, contrappone l'anti~a tradizione popolare a!la psicologia cosiddetta scientifica. Come al solito, 10 ~a per ~p1egare l'llltenzione profonda da cui la prima eanimata. Essa Sl sbaglia, certamente, quando con un procedimento «simbolico», tratta del contenuto del sogno come di una totalita indivisibile ed inarticolata alIa quale sara sufliciente sostituire un'altra totalita intelligibile ed eventualmente premonitoria. Ma Freud non e poi molto lontano dall'accettare l'«altro metodo popolare»: «Questo potrebbe essere definito ~eto?o c~frato (Chiffriermethode), perche tratta il sogno come una speC1e d1 scnttura segreta (Geheimschrift) in cui ogni segno viene tradotto secondo una chi ave (Schliissel) prestabilita, in un altro segno, di significato conosciuto» '. Notiamo qui l'allusione al codice permanente: eil punto debole di un metodo a cui Freud riconosceva, se non altro, il merito di essere analitico e di compitare, uno per uno, tutti gli elementi della significazione. Esempio curioso, quello con cui Freud illustra questa procedimento tradizionale: un testo di scrittura fonetica einvestito e funziona come un elemento discreto, particolare, traducibile e senza privilegio, nella scrittura generale del sogno. Scrittura fonetica come scrittura nella scrittura. Immaginiamo per esempio, dice Freud, che io abbia sognato una lettera (Brief/epistola), e poi un funerale. Apriamo un Traumbuch, un libro che contiene Ie chiavi dei sogni, una enciclopedia dei segni onirici, uno di quei dizionari del sogno, che ben presto Freud rifiutera. Questo Traumbuch ci spiega che dobbiamo tradurre (iibersetzen) lettera con dispiacere e funerale con fidanzamento. COS1 u?a let~era (efi~to la) scritta con delle lettere (litterae), un documento d1 segm fonet.1c1,,Ia trascrizione di un discorso verbale, puo essere tradotta con un slgmfi, GW, Il/III, p.
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[Opere, vol. III: L'inlerprelazione dei sogni cit., p.
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cante non verbale che, in quanta affetto determinato, fa parte della sintassi generale della scrittura onirica. II verbale viene investito e la sua trascrizione fonetica viene connessa, lontano dal centro, in una rete di scrittura muta. Freud, allora, trae un altro esempio da Artemidoro di Daldi (II secolo), autore di un trattato sul1'interpretazione dei sogni. Approfittiamo di questa pretesto per ricordare che un teologo Inglese del XVIII secolo, che Freud non conosceva I, aveva gia fatto riferimento ad Artemidoro con una intenzione che certo edegna di essere confrontata. Warburton descrive il sistema dei geroglifici e vi distingue, non import a qui se a tor to 0 a ragione, differenti strutture (geroglifici propri 0 simbolici, ciascuno dei gruppi potendo essere di tipo curiologico 0 tropico, secondo rapporti analogici 0 da parte a tutto) che bisognerebbe mettere sistematicamente a confronto con Ie forme di lavoro del sogno (condensazione, spostamento, surdeterminazione). Ora Warburton, che, per ragioni apologetiche e contro padre Kircher, si propone di dare COS1 «la prova della grande antichita di quella Nazione», sceglie l'esempio della scienza egiziana che trova ogni sua risorsa nella scrittura geroglifica. Questa scienza e la Traumdeutung, che si chiama anche onirocritica. Nel suo complesso era solo una scienza della scrittura nelle mani dei sacerdoti. Gli Egiziani credevano che 10 stesso Dio che ispira i sogni, avesse anclie fatto dono della scrittura. Gli interpreti non avevano dunque che da attingere, come il sogno stesso, al tesoro tropico e curiologico. Li avrebbero trovato, gia pronta, la chi ave dei sogni, che essi poi fingevano di indovinare. II codice geroglifico valeva, di per se, come Traumbuch. Preteso dono di Dio, costituito in verita dalla storia, esso era diventato il fondamento comune a cui attingeva il discorso onirico: 10 sfondo e il teste della sua messa in scena. Poiche il sogno era costruito come una scrittura, i tipi di trasposizione onirica corrispondevano a condensazioni e a spostamenti gia praticati e registrati nel sistema dei geroglifici. II sogno farebbe uso solo di elementi (cr't'OLXda., dice Warburton, elementi 0 lettere) compresi nel tesoro geroglifico, un po' come una parola scritta attingerebbe ad una lingua scritta: « ... Si tratta di esaminare quale fondamento possa aver avuto, originariamente, l'interpretazione che l'Onirocritico forniva, quando diceva ad una persona I Warburton, autore della Missione divina di Mose. La quarta parte di quest'opera e stata tradotta nel I744 col titolo: Essai sur les Hieroglyphes des Egypliens, OU ron voil l'origine el Ie
progres du langage el de l'ecriture, I'antiquite des sciences en Egyple, el l'origine du culte des animaux. Quest'opera, su cui torneremo, ebbe una influenza notevole. Tutta la riflessione dell'epoca sullinguaggio e sui segni ne subll'influenza. I redattori dell'Encyclopedie, Condillac e, attraverso lui, Rousseau, vi si ispirarono strettamente, traendo da essa in particolare questo tema: carattere originariamente metaforico dellinguaggio.
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che 10 consultava su di uno dei sogni seguenti: che un drago significava la sovranid; che un serpente indicava la malattia; che Ie rane rappre: sentavano gli impostori ... » Che cosa facevano, dunque gli ermeneutl dell'epoca? Essi consultavano la scrittura stessa: «Ora i primi Interpreti dei sogni non erano per nulla dei furfanti 0 degli impostori. E solo accaduto loro, come ai primi astrologhi giudiziari, di essere piu superstiziosi degli altri uomini delloro tempo, e di essere presi per primi nelI'illusione. Ma anche se noi supponiamo che essi fossero stati tanto intriganti quanta i loro successori, bisognera almeno che ci siano stati dei materiali idonei a essere utilizzati; e questi materiali non hanno mai potuto essere di natura tale da turbare l'immaginazione di ogni singol~ individuo in un modo cos1 bizzarro. Coloro che andavano a consultarh avranno voluto trovare un'analogia gia nota, che potesse servire da fondamento alIa loro decifrazione; ed essi stessi saranno ricorsi ad una autorita riconosciuta, per poter confermare la loro scienza. Ma quale altra analogia 0 quale altra autorita poteva esserci fuori dai geroglifici si,!,bolici che erano diventati una cosa sacra e misteriosa? Ecco la soluzlOne naturale della diflicolta. La scienza simbolica ... serviva da fondamento alle loro interpretazioni». E qui che si inserisce la frattura freudiana. Senza dubbio Freud pensa che il sogno si sposta come una scrittura originale, mettendo in scena Ie parole senza assoggettarvisi; senza dubbio egli pensa ad un modello di scrittura irriducibile alla parola e che, come i geroglifici, comporta elementi pittografici, ideogrammatici e fonetici. Ma egli fa della scrittura psichica una produzione talmente or~ginar~a che la s~rittura q~~I~ e possibile intenderla nel suo senso propno, scnttura codificat~ e vlSlbd.e «nel mondo» risulterebbe soltanto una sua metafora. La scnttura PSIchica, per ese:Upio quella del sogno, che «segue. antiche f~cilit.azioni», semplice momenta nella regressione verso la scnttura «pnmana», non si lascia leggere a partire da alcun codice. Senza du~bio essa ~pe.ra <;O? un gran numero di elementi codificati nel corso dl una stona mdlVlduale 0 collettiva. Ma nelle sue operazioni, nel suo lessico e nella sua sintassi resta irriducibile un residuo puramente idiomatico, che deve sostene~e tutto il peso dell'interpretazione, nella comunicazione tra gli inconsci. Colui che sogna invent a la propria grammatica. Non c'e materiale significante 0 testo preliminare che egli si accontenterebbe di utilizzare anche se non ci rinuncia maio Malgrado illoro interesse, e questo illimite della Chiffriermethode e del Traumbuch. Questo limite sta nella generalita e nella rigidita del codice quanta nel fatto che in quel metodo ci si preoccupa eccessivamente dei contenuti e troppo poco
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delle relazioni, delle situazioni, del funzionamento e delle differenze: «II mio metodo infatti non e comodo come il popo1are metodo cifrato, che traduce il contenuto del sogno in base a una chiave fissa; anzi, sono quasi rassegnato a1 fatto che 10 stesso contenuto possa rivestire un significato diverso, secondo Ie persone e il contesto» '. In un altro passo, per confermare questa affermazione, Freud crede di poter fare appel10 alla scrittura cinese: «Questi [i simboli del sogno] sono spes so plurisignificanti e ambigui, in modo che, come nella scrittura cinese, soltanto i1 contesto ci consente di volta in volta I'interpretazione esatta» '. II fatto che manchi un codice esauriente e assolutamente infallibile, significa che nella scrittura psichica, che annuncia cos1 il sen so di ogni scrittura in genera1e, 1a differenza tra significante e significato non e mai radica1e. L'esperienza inconscia, prima del sogno che segue antiche facilitazioni, non prende a prestito, produce i propri significanti; certo, non Ii ere a ne110ro corpo, rna produce la loro signiflcanza. Ma aHora, non sono piu, propriamente parlando, dei significanti. E 1a possibilita della traduzione, anche se non e certo annullata - poiche tra i punti d'identita 0 di aderenza dal significante a1 significato I'esperienza non smette poi di tendere delle distanze - sembrerebbe in via di principio e definitivamente limitata. Forse, e da un altro punto di vista, Freud allude a questo, nell'artico10 sulla Rimozione: ~La rimozione lavora in modo del tutto individuale» J. (L'individualita non e qui in primo luogo quella di un individuo rna quella di ogni «produzione del timosso, che puo avere un destino proprio»). Non c'e traduzione, 0 sistema di traduzione, se un codice permanente non permette di sostituire 0 di trasformare i significanti, pur conservando 10 stesso significato, sempre presente ma1grado I'assenza di qualche significante determinato. La possibilita radicale della sostituzione sarebbe quindi implicata dalla coppia di concetti significato/significante, dunque dal concetto stesso di segno. II fatto che il significato non sia distinguibile da1 significante, come vuo1e Saussure, se non come Ie due facce di uno stesso foglio, non cambia nulla. La scrittura originaria, se c'e, deve produrre 10 spazio e i1 corpo del foglio stesso. Si did: e tuttavia Freud continua a tradurre. Egli crede alla generalita e alIa costanza di un certo codice della scrittura onirica: «Una volta presa confidenza con l'uso abbondante del simbolismo per Ia rappresentazione onirica di materia1e sessuale, bisogna chiedersi se molti , GW, II/III, p. I09 [L'interpretazione dei sogni cit., p. ro6]. , GW, II/III, p. 358 [L'interpretazione dei sogni cit., p. 325]. J GW, X, p. 252.
La scrittura e Ia differenza
Freud e Ia scena della scrittura
di questi simboli non si presentano come i "segni" della stenografia, con un significato fissato una volta per sempre e ci si sente tentati di abbozzare un nuovo "libro dei sogni" secondo il metodo cifrato» 1. E di fatto Freud ha sempre continuato a proporre codici, regole, di grande generalita. E la sostituzione dei significanti sembra appunto essere l'attivita essenziale dell'interpretazione psicanalitica. Certo. Freud assegna tuttavia un limite essenziale a questa operazione. 0 meglio un duplice limite. Considerando, prima di tutto, l'espressione verbale quale e circoscritta nel sogno, si nota che la sua sonorita, il corpo dell'espressione, non si cancella di £ronte al significato 0 almeno non si lascia attraversare e trasgredire come fa nel discorso cosciente. Agisce in quanta tale, con la stessa efficacia che Artaud gli destinava sulla scena della crudelta. Ora, un corpo verbale non si lascia tradurre 0 trasporre in un'altra lingua. E proprio quello che la traduzione lascia cadere. Lasciar cadere il corpo, qui sta anche l'energia essenziale della traduzione. Quando istituisce di nuovo un corpo, essa e poesia. In questa senso, poiche il corpo del significante costituisce l'idioma per ogni scena di sogno, il sogno e intraducibile: «II sogno dipende COS1 intimamente dall'espressione verbale - puo rilevare Ferenczi - che ogni lingua ha 1a propria lingua di sogno. In generale, un sogno non e traducibile in altre lingue e un bro come questa non 10 e di piti, almeno cOSI pensavo». Quello che qUl vale per una determinata lingua nazionale vale, a fortiori, per una grammatica individuale. D'altra parte, questa impossibilid orizzontale, in qualche modo, di una traduzione senza perdita, ha il suo principio in una impossibilita verticale. Alludiamo qui al diventar-coscienti dei pensieri inconsci. Se non e possibile tradurre il sogno in un'altra lingua, e anche perche all'interno dell'apparato psichico, non si ha mai rapporto di semplice traduzione. Si parla a torto, ci dice Freud, di traduzione 0 di trascrizione per descrivere il passaggio dai pensieri inconsci attr~vers? il pre~on scio verso la coscienza. Anche qui il concetto metafonco dl traduzlOne (Ubersetzung) 0 di trascrizione (Umschrift) non e pericoloso perche fa riferimento alla scrittura, rna perche suppone un testo gia pronto, im- , mobile, presenza impassibile di una statua, di una pietra ~cri~ta 0 di un archivio di cui si trasferirebbe senza danno il contenuto slgmficato nell'eleme~to di un altro linguaggio, quello del preconscio 0 del conscio.
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1
CW, II/IlI, p. 356 [L'interpretazione dei sogni cit., p. 32 3].
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Non basta quindi parlare di scrittura per essere fedeli a Freud; in questo caso, anzi, e pili facile che mai tradirlo. E quello che ci viene spiegato nell'ultimo capitolo della Traumdeutung. Si tratta, allora, di completare una metafora meramente e convenzionalmente topica dell'apparato psichico facendo ricorso alla forza e a due specie di processi 0 tipi di percorso dell'eccitazione: «Tentiamo ora di correggere alcune concezioni [illustrazioni intuitive: Anschauungen] che potevano essere fraintese, finche consideravamo i due sistemi, nel senso pili immediato e grossolano, come due localita poste all'interno dell'apparato psichico; queste concezioni hanno lasciato 1a 10ro impronta nelle espressioni "rimuovere" e "penetrare". Quando diciamo che un pensiero inconscio tende alla traduzione (Ubersetzung) nel preconscio per poi penetrare nella coscienza, non intendiamo dire che debba formarsi un secondo pensiero, situato in un altro punto, una trascrizione (Umschrift) per COS1 dire, accanto alla qua1e continua a sussistere 1'0rigina1e; e anche per 1a penetrazione nella coscienza, intendiamo escludere accuratamente qua1siasi idea di cambiamento di 1uogo» 1. Interrompiamo per un momenta la nostra citazione. II testo cosciente non e dunque una trascrizione poiche non c'e stato da trasporre, da trasferire un testa presente altrove sotto l'aspetto dell'inconscio. Perche il yalore di presenza puo anche perico10samente contaminare il concetto d'inconscio. Dunque non c'e una verita inconscia da ritrovare in quanto sarebbe scritta altrove. Non c'e testa scritto e presente altrove, che darebbe 1uogo, senza esserne modificato, ad un 1avoro e ad una temporalizzazione (quest'ultima, se si sta alla lettera freudian a, appartiene aIla coscienza) che sarebbero esterni ad esso, fluttuanti sulla sua superficie. Non c'e testa presente in genera1e e non c'e neppure testo presente-passato, un testa passato come essente stato-presente. II testo non e pensabile nella forma, origin aria 0 modificata, della presenza. II testa inconscio e gia intessuto di tracce pure, di differenze in cui si uni~cono il senso e 1a forza, testa che non e presente in nessun posto, costituito da archivi che sono gilt da sempre delle trascrizioni. Degli stampi originari. Tutto comincia con 1a riproduzione. Gia da sempre, cioe depositi di un senso che non e mai stato presente, il cui presente significato e sempre ricostituito a posteriori, nachtraglich, in un secondo momento, in modo supplementare: nachtraglich significa anche supplementare. II richiamo a1 supplemento e qui originario, e approfondisce cio che si ricostituisce a posteriori come il presente. II supplemento, cio che sem1 CW, II/III, p. 615. [L'interpretazione dei sogni cit., pp. 555]. Anche Vio e l'Es (efr. CW, XIII, cap. 2) sottolinea il pericolo della rappresentazione topica dei fatti psichici.
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bra aggiungersi come un pieno a un altro pieno, e anche cio che supplisce. «Supplire: aggiungere quello che manca, fornire quello che occ?rre in pili» dice Littre, rispettando come un sonnambulo la strana loglca di questa parola. In questa logica e necessario pensare la possib~1ita del secondo momento e senza dubbio anche il rapporto dal primarlO al secondario, a tutti i livelli. Si badi: Nachtrag ha anche un sen so preciso nell'ordine della lettera: e I'appendice, il codicillo, il post-scriptum. 11 testa che viene chiamato presente si decifra solo a pie di pagina, nella nota 0 nel post-scriptum. Prima di questo ricorso il presente non e che un richiamo di nota. Che il presente in generale non sia originario ma ricostituito che non sia la forma assoluta, pienamente viva e costituente dell'esp~rienza, che non ci sia una purezza del presente vivente, ~ questa il tema formidabile per la storia della metansica, che Freud CI invita a pensare attraverso una concettualita inadeguata alla cos a stessa. Questo pensiero e indubbiamente il solo che non trovi il suo esaurimento nella metansica 0 nella scienza. Poiche il passaggio aUa coscienza non e una scrittura derivata 0 ripetitiva, una trascrizione che duplica la scrittura inconscia, esso si produce in modo origin ale e, nella sua stessa secondarieta, e originario e irriducibile. Poiche la coscienza e per Freud una superncie che si offre al mondo esterno, proprio qui diventa necessario, invece di percorrere la metafora nel senso banale, comprendere la possibilita della scrittura che si autodennisce cosciente e operante nel mondo (fuori visibile della grana, delletterale, del divenire-Ietterario delletter.ale ~cc) a par~~re da quellavoro di scrittura che circola come una energla pSlchlca tra Imconscio e il conscio. La considerazione «oggettivista» 0 «mondana» della scrittura non ci insegna nulla se non la mettiamo in riferimento ad uno spazio di scrittura psichica (si potrebbe dire di ~crittura tras~en dentale nel caso che, con Husserl, si vedesse nella pSlChe una reglOne del mondo. Ma poiche si tratta anche del caso di Freud che vuole rispettare nello stesso tempo l'essere-nel-mondo dello psichico, il suo esserelocale, e l'originalita della sua topologia, irriducibile ad ogni intr?-t?0ndanita ordinaria, forse e necessario pensare che quello che descnvlamo qui come lavoro della scrittura cancella la differenza trascendentale tra origine del mondo e essere nel-mondo. La c~ncella ~en~re 1a 'produc~: sede del dialogo e del malinteso tra i concett] husserham e heldeggenani di essere-nel-mondo). Per quel che riguarda questa scrittura non trascritt~va,. Freud ag: giunge in effetti una precisazione essenziale. Questa pr~cIs~zlone ??vra mettere in evidenza: I) il pericolo che potrebbe esserCl a lmmobtllzza-
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re o.c?ngelar~ l'energia in una metaforica ingenua delluogo; 2) la necesslta no? dl abbandonare, ma di ripens are 10 spazio 0 la topologia di questa .scr~ttu.ra; 3) che Freud, che tiene sempre a rappresentare l'apparato pSlchlCO ~n un montaggio artinciale, non ha ancora scoperto un mod~llo meccamco adeguato a quell a concettualita grafematica di cui fa gla uso per descrivere il testa psichico. «Quando diciamo che un pensiero preconscio viene rimosso e poi ac~olt? dall'inconscio, queste immagini - prese a prestito da una cerchla dlld~e (Vo~ste!!ungs~reis) che ricord~ la lotta per un terreno _ potrebbe:o mdurci alllpotesl che realmente tn una delle localita psichiche un ordmamento (Anordnung) venga dissolto e sostituito da un ordina~ent? nuov~ nell'altra localita. ~tilizziamo dunque per questi paragom un lmmagme che sembra cornspondere meglio alla situazione reale v.ale a dire: una carica energetica (Energiebesetzung) che viene trasfe~ nta su un determinato dispositivo 0 ne viene ritirata, di modo che la struttura psichica viene a trovarsi sotto il dominio di un'istanza 0 ne v!ene dis~olta. Qui, sos.tituiamo di nuovo a un modo di rappresentaZlOne tOplCO un modo dl rappresentazione dinamico' non e la struttura psichica ~he ci a~pare elemento mobile (das Bewegliche), bensfla sua tnnervaZlone ... » . Interrompiamo di nuovo la nostra citazione. La metafora della tra~uzion~ come trascrizione di un testo origin ale separerebbe la forza e I estenslOne, conservando la semplice esteriorita del tradotto e di chi traduce. Questa st~ssa esteriorita, la staticita e il topologismo di questa metafora garantlrebbero la trasparenza di una traduzione neutra di un processo foronomico e non metabolico. Freud 10 sottolinea: la sc~it tura psichica non si presta ad una traduzione perche e un solo sistema energetic?, ~er quanto differe~ziato, e perche si estende su tutto l'appa:ato pSlchlco. Malgrado la dlfferenza delle istanze, la scrittura psichic~ tn gener~le .non e I? spostamento delle signincazioni nella limpidezza dl uno spazlO lmmobtle, gia dato, ne la bianca neutralita di un discorso. Di un discorso che potrebbe essere cifrato senza smettere di essere trasparente. Q~i .l'e?ergia non si lascia ridurre e non limita ma produce il senso. ~a dls~mzlOne tra la forza e il senso viene derivata in rapporto all'archl-traccla; essa appartiene alla metansica della coscienza e della presenza, 0 meglio, della presenza nel verbo, nell'allucinazione di un li.nguaggio determinato a incominciare dalla parola, dalla rappresentaZlOne verbale. Metansica del preconscio, direbbe forse Freud, perche il 1
CW, IIjIIl, p. 615 [L'interpretazione dei sogni cit., p. 5551.
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preconscio e illuogo che egli assegna alla verbalira. Senza questo, Freud ci avrebbe insegnato qualcosa di nuovo? La forza produce il sen so (e 10 spazio) attraverso il solo potere di «ripetizione», che la abita originariamente, come la sua morte. Questo potere, vale a dire questa impotere che apre e delimita illavoro della forza, inaugura la traducibilita, rende possibile quello che si chiarna «illinguaggio», trasforma l'idioma assoluto in un limite gEl sempre trasgredito: un idioma puro non e un linguaggio, 10 diventa solo in quanta si ripete; la ripetizione sdoppia gia da sempre il vertice della prima volta. Malgrado l'apparenza, cio non contraddice quel che prima dicevamo sull'intraducibile. Perche la si trattava di ricordare l'origine del movimento di trasgressione, l'origine della ripetizione e il divenirelinguaggio dell'idioma. Se ci si colloca nel dato 0 nell'effetto della ripetizione, nella traduzione, nell'evidenza della distinzione tra la forza e il senso, non si perde soltanto la prospettiva originale di Freud, si cancella anche il rapporto fondamentale alIa morte. Sarebbe quindi necessario analizzare - non possiamo naturalmente farlo qui - tutto quello che Freud ci offre da pensare sulla forza della scrittura come «facilitazione» [«frayage», cioe apertura di un varco] nella ripetizione psichica di questa nozione che prima era neurologica: apertura del suo spazio proprio, effrazione, apertura di un sentiero contro una resistenza, rottura e irruzione che si fa strada (rupta, via rupta), inscrizione violenta di una forma, tracciato di una differenza in una natura 0 in una materia che non sono pensabili come tali se non nella loro opposizione alIa scrittura. La strada si apre in una natura 0 in una materia, in una foresta 0 in un bosco (hyle) e vi procura una reversibilita di tempo e di spazio. Sarebbe necessario studiare insieme, geneticamente e strutturalmente, la storia della via e la storia della scrittura. Pensiamo qui ai testi di Freud sullavoro della traccia mnestica (Erinnerungsspur) che, pur non essendo pili la traccia neurologica, non e ancora la «memoria cosciente» " allavoro itinerante della traccia, che produce e non percorre la sua strada, della traccia che traccia, della traccia che si apre da se il suo cammino. La metafora della via aperta, COS1 frequente nelle descrizioni di Freud, e sempre in relazione con il tema del ritardo supplementare e della ricostituzione del senso ritardato, dopo un percorso di talpa, dopo la fatica sot terrane a di una impressione. Quest'ultima ha lasciato una traccia laboriosa che non e mai stata percepita, vissuta nel suo senso al presente, cioe coscientemente. II post-scriptum , Das Unbewusste, in GW, X, p. 288.
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che costituisce il presente-passato come tale non si accontenta, come
f~r~e hanno potuto pens are Platone, Hegel e Proust, di risvegliarlo 0 dl nvelarlo nella sua verita. Esso 10 produce. L'effetto ritardato sessua. Ie costituisce qui l'esempio migliore 0 l'essenza di questa movimento? Falso problema, indubbiamente: il soggetto - che si presuppone conosciuto - del problema, doe la sessualira, non e determinato, Iimitato 0 il!imitato ,se non di r!mando e dalla risposta stessa. In ogni caso, quella dl Freud e perentona. Guardate l'uomo dei lupi. La percezione della scena primitiva - non importa se vera 0 fantomatica - viene vissuta nella sua significazione con effetto ritardato e la maturazione sessuale non e Ia forma accidentale di questo ritardo. «Ad un anna e mezzo il bambino riceve una impressione a cui non puo reagire adeguatamente; solo a.4 anni, rianimandola, Ia intende e ne e colpito; e solo altri due decenm dopo e capace di concepire con una attivita mentale cosciente, nel corso dell'anaIisi, quanta era accaduto allora». Gia nel Progetto a proposito della rimozione nell'isteria: «Troviamo sempre che viene rimosso un ricordo, il quale e diventato un trauma solamente piu tardi (nur nachtraglich). La causa prima di tale stato di cose sta ne! ritardo (Verspatung) della puberta in paragone con il rimanente sviluppo dell'individuo» '. Cio dovrebbe portare, se non alIa soluzione, almeno ad un modo nuovo di porre il temibile problema della temporaIizzazione e della cosiddetta «intemporalira» dell'inconscio. Qui 10 scarto tra l'intuizione e il concetto freudiano e pili sensibile che altrove. L'intemporalita dell'inconscio e cetto determinata soltanto dalla sua contr<:lpposizione ad un concetto corrente del tempo, concetto tradizionale, concetto della metafisica, tempo della meccanica 0 tempo della coscienza. Forse bisognerebbe leggere Freud nel modo che Heidegger ha Ietto Kant: come l'io penso, l'inconscio e intemporale solo rispetto a un certo concetto volgare del tempo.
La diottrica e i geroglifici. Non dobbiamo affrettarci a concludere che, rifacendosi all'energetica contro la topica della traduzione, Freud rinunciava a localizzare. Se, come vedremo, egli si ostina a fornire una rappresentazione proiettiva e spaziale, cioe puramente meccanica, dei processi energetici, non e solamente per il valore didattico dell'esposizione: una certa spazialira, da , Progetto di una pricologia cit., p. 256.
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cui non potrebbe essere separata I'idea di sistema in generale, eirriducibile: Ia sua natura etanto pili enigmatic a in quanta non epili possibiIe considerarla come il campo omogeneo ed impassibile dei processi dinamici ed economici. Nella Traumdeutung, Ia macchina metaforica non eancora adattata all'analogia scritturale che gia domina, come diventera presto chiaro, tutta I'esposizione descrittiva di Freud. E una macchina ottica. Riprendiamo la nostra citazione. Freud non vuole rinunciare alla metafora topica, nei confronti della quale ci ha messo in guardia: «Eppure mi sembra utile e giustificato continuare a utilizzare una rappresentazione plastica [della metafora: anschauliche Vorstellung] dei due sistemi. Per evitare ogni abuso (Darstellungsweise) basta ricordare che rappresentazione (Vorstellungen), pensieri, formazioni psichiche in generale non possono affatto venire Iocalizzati in elementi organici del sistema nervoso, rna per COS1 dire, Ira questi, e allora resistenze e facilitazioni ne costituiscono il corrispettivo adeguato. Tutto cio che puo divenire oggetto (Gegenstand) della nostra percezione interna e virtnate, come I'immagine nel telescopio data dal passaggio dei raggi luminosi. Ma i sistemi, che di per se non sono affatto psicbici [il corsivo emio] e non diventano mai accessibili alla nostra percezione psichica, siamo autorizzati a considerarli alla stregua delle Ienti del telescopio, che proiettano I'immagine. Insistendo in questa paragone, Ia censura tra due sistemi corrisponderebbe alIa rifrazione dei raggi [all a rottura del raggio: Strahlenbrechung] nel passaggio in un nuovo mezzo» '. Questa rappresentazione gia non si Iascia comprendere in uno spazio di struttura semplice e omogenea. II cambiamento di mezzo e il movimento della rifrazione 10 dimostrano a sufficienza. Poi Freud, richiamandosi di nuovo alla stessa macchina, introduce una interessante differenziazione. Nel paragrafo sulla Regressione, egli tenta di spiegare il rapporto tra la memoria e la percezione nella traccia mnestica: «L'idea che viene COS1 posta a nostra disposizione equella di una tocalita psichica. Intendiamo tralasciare completamente il fatto che I'apparato psichico in questione ci eno to anche come preparato [Praparal: preparato di Iaboratorio] an at ornico e vogliamo evitare con cura la tentazione di determinare in senso anatomico la Iocalita psichica. Restiamo suI terreno psicologico e ci limitiamo ad aderire all'invito di rappresentarci 10 strumen to che serve alle attivita psichiche pressappoco come un microscopico composto, un apparecchio fotografico e simili. La localita psichica , GW, II/III, pp. 615-16 [L'interpretazione dei sogni cit., p. 556].
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corris.ponde aUora a? un Iuogo (Ort), situato all'interno di questo appa-
recch1~, nel q~ale Sl forma uno degli stadi preliminari deU'immagine. ~eI ~l11crOSCOplO e nel telescopio, si tratta come enato di Iocalita 0 reglOn~ ~lmeno ,in parte id.eali, .neUe quali non esiste alcuna componente t~ng~bl~e dell appareCC?lO. Rltengo superfluo scusarmi per Ie imperfe-
Z10l11 d1.q~este come dl tutte Ie aItre immagini analoghe» '. Al dlI~ d~lla pedagogia, questa illustrazione si giustifica con Ia differenza tra d s~s~ema e.lo psichico: il sistema psichico non epsichico e in que~ta desct1Z~one s1,tratta appunto solo di esso. Poi e il movimento dell apparecchlO che 111teressa Freud, il suo funzionamento e l'ordine d~lle sue operazio?i, il tempo ~egolato del suo moto che epresQ e indiv~duato sulle par~l del. ~eccal11s~o: «A rigore, non abbiamo bisogno d~ supporre una d1Spos1z~~ne spaz1ale vera e propria dei sistemi psichici. C1. ba~t.a,. u?a vo~ta stabllaa una successione fissa, che in certi processi pS.1ch1C1,1 slsteI?l vengano percorsi dall'eccitamento secondo una determ111ata succeSSlOne te~porale» '. Infine questi apparecchi ottici caplano,ta luce: neU'esemplO fotografico, Ia registrano J. SuI cliche 0 suUa scrltt~ra della lu~e, Fre~d vuole gia dare Ia sua spiegazione ed ecco il camb1amento (DzfjerenZlerung) che introduce. Esso attenuera Ie «imper~e~ioni>: d.ell'analogia.e for~e Ie «scusera». Ma soprattutto mettera 111 nltevo 1 eSlgenza, a pnma VIsta contraddittoria che assilla Freud daI Progetto in poi, e che trovera una soddisfazione soltanto con Ia macchina da scrivere, can il notes magico: «Abbiamo ora motivo di introdurre una prima differen~ia~ione all'estremita sensitiva [dell'apparato]. Nel nost~o apparato pS1~h1CO ~ermane una traccia (Spur) delle percezioni che .S1 accostano anal, tracCla che possiamo chiamare "traccia mnestica" (E~znnerungsspttr). Infatti chiamiamo "memoria" la funzione che si rifensce ~ q~es~a. tracci~. Se ?i accetta in pieno il disegno di collegare i proceSSl pSlchtcl can slstem1, Ia traccia mnestica puo consistere solo in mutamenti permanenti negli elementi dei sistemi. Ora pero, come e ; GW, II/III, p. 54! [L'inte1pretazione dei sogni cit., pp. 489-90]. Ibtd., p. 490, r, J 1,a metafora del cliche fot.ogr.afi~o ~ m?lto !r~quent~. Cfr. Zur Dynamik der tJberlragung
~ -'If.' II~, pp. 3?4·6~): L~ nOZlOflI dl cliche e dl ImpreSSlOne sono qui gli strumenti principali e . analogla. Nell anabsl, d, Dora, Freud definisce iI transfert con i termini di edizione, riedizione e rtstampa stereotlpa 0 rt,veduta e corretta. A Nole on the Unconscious in Psychoanalysis (GW X, P: 436) paragona CO? !I proce~so foto~r~co i ~apPorti tra iI conscio e I'inconscio: «II prim~ stad~? della fotogra~a e" 11 nega~1VO; O~~l lmm~gme fotografica deve passare attraverso la prova del p~oces~,o negatlvo e. qU~,1 negattvi ch~ Sl sono hen comportati in questa prova, vengono am'!lessl aJ processo POSI~IVO che ha termme con I'immagine», Hervey de Saint-Denys dedica un mtero capltolo ,del suo Ithr,o ~lIa stessa analogia. Le intenzioni sono Ie stesse. Esse suggeriscono a?che una prec~uzlOne ch~ nO! rttroveremo nella Nota sui notes magico: «D'altra parte la memo. na pre~enta, nel confrontt della '!lacchina fotografica I'ammirevole vantaggio che han~o Ie forze natumlt dl rmnovare da se stesse lloro modi d'azione».
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~'i~terpretazi?ne ha compitato gli elementi del sogno. Ha fatto appanre II Iavoro dl condensazione e di spostamento. E necessario, ancora, spiegare Ia sintesi che compone e mette in scena. E necessario inte~rogare Ie risorse ?ella messa in scena 0 «mezzi di rappresentazione» (dte Darstellungsmlttel). Un certo policentrismo della rappresentazione .~niriea non si concilia con 10 svolgimento apparentemente !ineare, ~ndmeare delle rappresentazioni verbali pure. La struttura logic a e Ideale del discorso cosciente deve quindi sottostare al sistema del sogno, subordinarsi ad esso come un elemento del suo macchinario. «Le si?gole ~arti di q~esta. c?mplessa formazione hanno naturalmente i pili disparati rapportl logici tra loro. Formano primo piano e sfondo, digr~ssioni e chiarimenti, condizioni, dimostrazioni e obiezioni. Quando pOl tutta la massa di questi pensieri del sogno soggiace alIa pressione del Iavoro onirieo - per cui Ie singole parti vengono girate, frammentate, accostate, pressappoco come del ghiaccio galleggiante, - allora sorge Ia domanda: che ne e dei Iegami Iogici, che sino a quel momento formavano Ia struttura? In che modo vengono raffigurati nel sogno i "se" "perche", "come se", "benche", "invece", "0 ... 0", e tutte Ie altr~ preposizioni senza Ie quali non possiamo comprendere una frase e un discorso?» 1. Questa messa in scena puo essere paragonata, prima di tutto, a quelIe forme d'espressione che sono come Ia scrittura nella parola: Ia pittura 0 Ia scultura dei significanti che inscrivono in uno spazio di coabitazione elementi che Ia catena parlata deve reprimere. Freud Ii contrappone alIa poesia che «puo servirsi del discorso» (Rede). Ma il so. gno non ha anch'esso I'uso della parola? «Nel sogno noi vediamo rna non udiamo», dieeva il Progetto. Per il vero, come fara poi Artaud, Freud allora non pensava tanto all'assenza quanto alIa subordinazione della parol a sulla scena del sogno. Anziche scomparire del tutto, il discorso assume allora funzione e dignita diversa. E ambientato, circondato, investito (in tutti i sensi della paroIa), costituito. Si inserisce nel sogno come Ia Ieggenda nei fumetti, in quella combinazione pitto-geroglifica in cui il testo fonetico e un'aggiunta, non I'arbitro della narrazione: .« Prim~ di giunger~ alIa conoscenza delle proprie Ieggi espressive, Ia plttura SI sforzava dl compensare questo svantaggio. In certi quadri antichi, dalla bocca delle persone dipinte si facevano pendere biglietti, sui quaIi era scritto (als Schrift) il discorso che il pittore disperava di raffigurare nel quadro» '.
gEl stato rilevato da altti, e evidentemente difficile che 10 stesso sistema serbi con fedelta Ie modificazioni dei suoi elementi, e insieme affronti in modo sempre vivo e ticettivo Ie nuove cause di mutamento» 1. Occorreranno quindi due sistemi in un'unica macchina. Questo duplice sistema, che collega la nudita della superficie alIa profondita della ritenzione, una macchina ottica non poteva rapptesentarIo se non approssimativamente e con mohe «imperfezioni». «Seguendo l'analisi del sogno, raggiungiamo una conoscenza parziale della composizione di questa sttumento quant'aitri mai misterioso e stupendo; certo, una conoscenza parziale, rna con essa ha inizio un' analisi approfondita ... » '. E quanto si puo leggere nelle uhime pagine di Traumdeutung. Una conoscenza parziale. La rappresentazione grafica del sistema (non psichico) dello psichico non e ancora compiuta nel momenta in cui quella dello psichico occupa gia, nella Tl'aumdeutung stessa, un ampio spazio. Misuriamo questo ritardo. A cio che e proprio alIa scrittura, abbiamo gia dato un nome; e, in un senso difficile della paroIa, spaziatttra: diastema e divenire-spazio del tempo, spiegamento, anche, in una localita originaria, di significazioni che la sequenz a lineare irreversibile, passando da un punto di presenza all'altro, non poteva fare a meno di tendere e, in una certa misura, era impossibilitata a rimuovere. In particoiare, nella scrittura ~etta fonetica. Tra quest'ultima e illogos (0 il tempo della logica), dommato dal principio di non conttaddizione, fondamento di tutta Ia metafisica della presenza, esiste una profonda connivenza. Ora, in ogni spaziatura silenziosa 0 non esclusivamente fonica delle significazioni, so no possibili concatenazioni che non obbediscono pili alIa linearita del tempo logieo, del tempo del conscio 0 del preconscio, del tempo della «rappresentazione verbale». Tra 10 spazio non fonetico della scrittura (anche nella scrittura donetica») e 10 spazio della scena del sogno, non c'e una frontiera sicura. Non dobbiamo quindi essere sorpresi se Freud, per suggerire la stranezza delle relazioni logico-temporali nel sogno, fa costantemente ricorso alIa scrittura, alIa sinossi spaziale del pittogramma, del rebus, del geroglifico, della scrittura non-fonetica, in generale. Sinossi e non stasi: scena e non quadro. Quello che c'e di Iaconieo', di Iapidario nel sogno, non e presenza impassibile di segni pietrificati. CW, II/III, p. 534 [L'interpretazione dei sogni cit., p. 49I]. CW, II/III, p. 6I4 [L'interpretazione dei sogni cit., p. 553]. ,. . . . , «II sogno e scarno, misero, laconico» (efr. CW, II/III, p. 28 4 [L mterpretazzone det sognt 1
2
cit., p. 259]). II sogno
e«stenografico»
28r
1",.
(cfr. piu s o p r a ) . ,
i
1 CW, II/III, pp. 316'17 [L'interpretazione dei sogni cit., pp. 28 7-88]. , CW, II/III, p. 317 [L'interpretazione dei sogni cit., p. 288].
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La scrittura generale del sogno oltrepassa la scrittura fonetica e rimette la parola al suo posto. Come nei geroglifici 0 nei rebus, la voce ecircuita. Fin dall'inizio del capitolo suI Lavoro onirico, non ci viene lasciato alcun dubbio a questa proposito, benche qui Freud si serva ancora di quel concetto di traduzione suI quale pitl tardi richiamera il nostro sospetto. «Pensieri onirici e contenuto onirico manifesto [illatente e il patente] stanno davanti a noi come due esposizioni del medesimo contenuto in due lingue diverse, 0 meglio, il contenuto manifesto ci appare come una traduzione (Obertragung) dei pensieri del sogno in un altro modo di espressione di cui dobbiamo imparare a conoscere caratteri e regole sintattiche, confrontando l'originale e la traduzione. Una volta conosciuti, i pensieri del sogno ci riescono senz'altro comprensibili. II contenuto del sogno edato per COS1 dire in una scrittura geroglifica (Bilderschrift), i cui segni vanno tradotti, uno per uno, nella lingua dei pensieri del sogno». Bilderschrift: non immagine inscritta, rna scrittura figurata, immagine data non ad una percezione semplice, cosciente e presente, della cosa stessa - supponendo che questa esista rna ad una lettura. «Si cadrebbe evidentemente in errore, se si volesse leggere questi segni secondo illoro valore di immagini, anziche secondo la loro relazione simbolica (Zeichenbeziehung) ... II sogno eun indovinello a figure (Bilderriitsel) di questo tipo e i nostri predecessori nel campo dell'interpretazione del sogno hanno commesso l'errore di giudicare il rebus come una composizione pittorica» '. II contenuto figurato edunque appunto una scrittura, una catena significante di forma scenica. In questa senso, certo, riepiloga un discorso, e l' economia della parola. Tutto il capitolo sulla Considerazione della rappresentabilita (Darstellbarkeit) 10 dimostra. Ma la reciproca trasformazione economica, il recupero tot ale nel discorso, ein un primo momento impossibile 0 limitato. Cio dipende in primo luogo dal fatto che Ie parole so no anche e «primariamente» cose. E COS1 che nel sogno esse vengono recuperate, «afferrate» dal processo primario. Non ci si puo dunque limitare a dire che nel sogno Ie «cose» condensano Ie parole; e l'eciprocamente che i significanti non verbali si lasciano fino ad un certo punto interpret are in rappresentazioni verbali. Bisogna riconoscere che Ie parole, in quanto attratte, sedotte nel sogno verso illimite fittizio del processo primario, tendono a diventare pure e semplici cose. Limite, d'altra parte, fittizio. Parole pure e cose pure sono dunque, come l'idea del processo primario e, in seguito, del processo secondario, «finzioni teoriche». L'intervallo del «sogno» e l'intervallo della «veglia» non si distinguo, CW, IIjIII, p. 282 [L'interpretazione dei sogni cit., p. 2'7-58].
no essenzialmente quanta alIa natura dellcro linguaggio. «Le parole vengono spesso usate dal sogno come cosa e ricevono allora la stessa sistemazione delle rappresentazioni delle cose» '. Nella regressione formale del sogno, la spazializzazione della messa in scena non co~lie d~ sorpresa Ie parole. D'altra parte essa non potrebbe nemmeno vet1fiC~rSl se la parola non fosse gia da sempre travagliata nel suo corpo dall'lmpronta della sua inscrizione 0 della sua disposizione scenica, dalla sua Darstellbarkeit e da tutte Ie forme della sua spaziatura. Questa non ha potuto che essere rimossa dalla cosiddetta parol a viva 0 vigilante, dalla coscienza, della logica, della storia dellinguaggio, ecc. La spazializzazione non coglie di sorpresa il tempo della parola 0 la idealira del senso, non si aggiunge a loro come un accidente. La temporalizzazione presuppone la possibilita simbolica e ogni sintesi simbolica, ancor prima di scadere in uno spazio «esterno» a se, comport a in se la spaziatura come differenza. Per questa ragione la catena fonica pura, nella misura in cui implica delle differenze, non eneppure essa una continuita 0 una fluidita pura del tempo. La differenza el'articolazione dello spazio e del tempo. La catena fonica 0 la catena di scrittura fonetica sono gia da sempre tese da quel minimo di spaziatura essenziale suI quale illavoro del sogno e in genere ogni regressione formale potranno innestarsi. Qui non si tratta di una negazione del tempo, di una sosta del tempo in un presente 0 in una simultaneita, rna di un'altra struttura, di un'altra stratificazione del tempo. Anche qui il paragone con la scrittura - con la scrittura fonetica questa volta - chiarisce tanto la scrittura che il sogno: «II sogno riproduce un nesso logico come simultaneita; procede in cio come il pittore che, per il quadro della Scuola di Atene 0 del Parnaso, riunisce tutti i filosofi 0 poeti che non sonG mai stati insieme rna che per la speculazione intellettuale formano una comunita, in una sala 0 sulla cirna di un monte. II sogno estende questo modo di rappresentazione ai particolari. Ogni volta che mostra due elementi l'uno accanto all'altro, garantisce l'esistenza di un rapporto singolarmente intimo tra i loro cor, II Metapsyehologisehe Ergiinzung zur Traumlehre (1916, CW, X, ,p. 419) d:di~~ ';In'am: pia trattazione alia regressione formale che, dlceva la Traumdeutung, fa Sl che «I pnml!lVI modi di espressione e di rappresentazione sostituiscano quelli abituaIi» (CW, II/III, p. 554 [L'interpretazione dei sogni cit. p. 500]). Freud insiste soprattutto sulla parte che svolge la rappresentazione verbole: «to not~vole il fatto che i1lavoro del sogno rispetti cosf poco Ie rapp~esen~azioni verbaIi' esso sempre pronto a sostituire Ie parole, una con I'altra, fino al momento 10 CUI trova I'espre;sione che si lascia pili facilmente utiI.izz~re nella messa in sce.na .pI~stica ». Questo passaggio seguito da un paragone, dal punto dl vista delle rappresentazlO~1 dl p.arole ~ delle rappresentazioni di cose, tra il linguaggio de! sognatore e quello dello schlzofremco .. Bls~gnere~be commentarIo attentamente. Si constaterebbe forse (contro Freud?) che una determ1OaZlOne ngorosa dell'anomaIia in esso impossibile. Sulla parte che svolge Ia rappresentazione verbale ne! preconscio e suI carattere in questo caso secondario degIi elementi visivi, efr. Das Ieh und das Es (CW, XIII), cap. 2.
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rispettivi nei pensieri del sogno. E come nel nostro sistema di scrittura:
ab significa che Ie due lettere vanno pronunciate come una sillaba; a b, con uno spazio vuoto nel mezzo, permette di riconoscere a, come l'ultima lettera di una parola, e b come la prima di un'altra» '. II modello della scrittura geroglifica mette insieme in modo pili evidente la diversita - che si trova in ogni scrittura - delle modalira e delle funzioni del segno nel sogno. Ogni segno - quello verbale come quello non-verbale - puo essere usato a diversi livelli, in funzioni e in configurazioni non prescritte dalla sua «essenza», ma che scaturiscono dal gioco della differenza. Riassumendo tutte queste possibilita, Freud conclude: «Nonostante questa multilateralita, e lecito dire che la raffigurazione dellavoro onirico, che non si propane certo di essere compresa, non presenta al traduttore difficolta maggiori di quelle offerte ai loro Iettori dagli antichi scrittori di geroglifici» '. Pili di venti anni separano la prima edizione della Traumdeutung dalla Nota sul notes magico. Se continuiamo a seguire Ie due serie di metafore, quelle che riguardano il sistema non-psichico dello psichico e quelle che riguardano 10 psichico stesso, che cosa succede? Da una parte, l'importanza teo rica della metafora psicografica continua ad essere sempre meglio analizzata. Un problema di metodo Ie viene in qualche modo dedicato. La psicanalisi si trova chiamata a collaborare ad una grafematica futura piuttosto che ad una linguistica dominata da un fonologismo vetusto. Freud 10 raccomanda, alta lettera, in un testo del 1913 J, e su questo punto non c'e nulla da aggiungere, da interpretare 0 da rinnovare. L'interesse della psicanalisi per la linguistica presuppone che venga «trasgredito» il «senso comune della parola» «linguaggio». «Per linguaggio non si deve intendere qui la pura espressione del pensiero in parole, ma anche illinguaggio gestuale e qualsiasi altro tipo di espressione dell'attivita psichica, come la scrittura». E dopo aver ricordato l'arcaismo dell'espressione onirica che ammette la contraddizione 4 e privilegia la visibilita, Freud precisa: «il , GW, II/III, p. 319 [L'interpretazione dei sogni cit., pp. 289-90]. GW, II/III, pp. 346-47 [L'interpretazione dei sogni cit., p. 314]. J Das Interesse an der Psychoanalyse, in GW, VIII, p. 390 [L'interesse per fa psicoanalisi, in s. FREUD, Psicoanalisi, Boringhieri, Torino 1963]. La seconda parte di questo testo, dedicato 2
alle «scienze non psicoIogiche », riguarda in primissimo Iuogo Ia scienza del Iinguaggio (p. 493) prima che Ia fiIosofia, Ia bioIogia, Ia staria, Ia socioIogia e Ia pedagogia. 4 Si sa che tutta Ia nota Ober den Gegensinn der Urworte (1910) tende a dimostrare, partendo da Abel e con numerosi esempi Iratti dalla scrittura gerogIifica, che iI senso contraddittorio e indeterminato delle parole primitive non poteva determinarsi, trovare Ia sua differenza e Ie sue condizioni di funzionamento, se non nel gesto e nella scrittura (efr. GW, VIII, p. 2T4). SU questa testa e suIl'ipotesi di Abel, efr. E. BENVENISTE, Problemes de linguistique generale, Gallimard, Paris 1966, cap. VII.
confronto del sogno con un sistema di scrittura ci apparira ancora pili appropriato di quello con una lingua. In effetti l'interpretazione di un sogno e perfettamente analoga alIa decifrazione di una antica scrittura figurativa, per esempio del geroglifici egiziani. Sia nel primo che nel secondo caso esistono elementi che non sono determinati per l'interpretazione 0 la lettura, ma che devono semplicemente assicurare in qualita di "determinativi» la comprensione di altri elementi. La plurivocira dei diversi elementi onirici ha il suo riscontro in questi antichi sistemi di scrittura ... Se questa concezione della rappresentazione onirica non ha ancora avuto ulteriore sviluppo, cio si deve alIa circostanza facilmente comprensibile, che allo psicanalista mancano interamente quel punti di vista e quelle cognizioni con cui illinguista affronterebbe un argomento come quello del sogno» '. D'altra parte, 10 stesso anno, nell'artieolo sull'Inconscio, la problematica dell'apparecchio 0 apparato comincia ad essere ripresa nel quadro del concetti scritturali; non pili in una topologia di tracce senza scrittura, come nel Progetto e neppure nel funzionamento dei meccanismi ottici, come nella Traumdeutung. La controversia tra l'ipotesi funzionale e l'ipotesi topiea riguarda luoghi di inscrizione (Niederschrift): «Quando un atto psiehico (limitiamoci qui ad un at to del tipo della rappresentazione [Vorsteltung. II corsivo e mio]) subisce una trasformazione che 10 fa passare dal sistema Inc. al sistema Consc. (0 Prec.), dobbiamo ammettere che a questa trasformazione sia collegata una nuova fissazione, una specie di nuova inscrizione della rappresentazione interessata, inscrizione che quindi puo anche essere raccolta in una nuova localita psichiea e accanto alIa quale persisterebbe l'inscrizione inconscia originaria? 0 dobbiamo credere piuttosto che la trasformazione consista in un cambiamento di stato che si verificherebbe sullo stesso materiale e nella stessa localita?» '. La discussione che ne deriva non ci interessa qui direttamente. Ricordiamo solo che l'ipotesi economic a e il difficile concetto di contro-investimento (Gegenbesetzung: <mnieo meccanismo della rimozione originaria» p. 280) che Freud introduce dopo aver rinunciato a risolvere, non elimina la differenza topiea delle due inscrizioni J. E notiamo che il concetto di inscrizione rimane ancora il semplice elemento grafico di un apparecchio che non e, neppure esso, una macchina da scrivere. La differenza tra il sistema e 10 psiehieo e an, GW, VIII, pp. 404-5. , GW, X, pp. 272-73. J Cfr. GW, X, pp. 288. E iI passo che abbiamo citato pili sopra e in cui Ia traccia mnestica distinta dalla «memoria».
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cora attiva: la grafia viene riservata alIa descrizione del contenuto psichico 0 a quella di un elemento della macchina. Si potrebbe pensare che quest'ultima esottoposta a un altro principio di organizzazione, ad una destinazione diversa dalla scrittura. E forse il filo conduttore dell'articolo sull'Inconscio, il suo esempio, come abbiamo gia rilevato, eil destino di una rappresentazione, consecutiva a una prima registrazione. Quando verra descritta la percezione, l'apparato di registrazione 0 d'inscrizione originaria, 1'« apparato di percezione» non potra ormai essere altro che una macchina di scrittura. La Nota sul notes magico, dodici anni pili tardi, descrivera l'apparato di percezione e l'origine della memoria. Allora Ie due serie di metafore, rimaste a lungo disgiunte e sfasate, si congiungeranno.
Il pezzo di cera di Freud e le Ire analogie della scrittura. In questa testo di sei pagine, a poco a poco si chiarisce l'analogia tra un certo apparecchio di scrittura e l'apparato della percezione. La descrizione, attraverso tre tappe successive, acquista pili rigore, pili profondita, pili originalita. Come esempre stato fatto, almeno da Platone in poi, Freud cons idera in primo luogo la scrittura come tecnica al servizio della memoria, tecnica estern a ausiliaria della memoria psichica e non memoria essa stessa: iJ7t6(..t\lT)G'~<; pili che (..t\ll)(..tT), diceva il Fedro. Ma qui, come non sarebbe stato possibile in Platone, 10 psichismo epreso in un apparato e 10 scritto verra pili facilmente rappresentato come una parte estratta e «materializzata» di quelI'apparato. E la prima analogia: «Se io djflido della mia memoria :.-. come notoriamente fa il nevrotico ad un grado eccezionale, ma come anche l'individuo normale ha tutte Ie ragioni di fare - posso completare e garantire (erganzen und venichern) la sua funzione fornendomi di una traccia scritta (schriftliche Anzeichuung). La superficie che riceve questa traccia, il taccuino 0 il foglio di carta, diventa, se posso esprimermi COS1, un elemento materializzato (ein malerialisiertes Stiick) dell'apparato mnestico (des Erinnerungsapparates) che altrimenti io reco in me in maniera invisibile. Non ho che da ricordarmi illuogo in cui il "ricordo" COS1 fissato estato posta al sicuro, per poterlo "riprodurre" in ogni momento e a mia discrezione, e COS1 so no sicuro che sara rimasto inalterato, essendo sfuggito aIle deformazioni che forse avrebbe subite nella mia memoria» '. , GW, XIV, p. 3.
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II tema di Freud non equi l'assenza di memoria 0 la finitezza originaria e normale del potere mnestico; ancor menD e la struttura della temporalizzazione che fonda questa finitezza 0 i suoi rapporti essenziali con la possibilita di una censura e di una rimozione; non eneppure la possibilita e la necessita dell'Erganzung, del supplemento ipomnestico che 10 psichico deve proiettare «nel mondo»; e neppure quello che si richiede, quanta alIa natura della psichico, perche questa supplementarita sia possibile. Si tratta innanzitutto e soltanto di considerare Ie condizioni paste a questa operazione dalle abituali superfici di scrittura. Queste ultime non soddisfano la dupliee esigenza definita dal Progetto in poi: conservazione indefinita e possibilita di rieezione ilIimitata. II foglio conserva indefinitamente, rna e presto saturato. La lavagna, la cui verginita puo sempre essere rieostituita can la cancellazione dell'impronta, non conserva percio Ie tracce. Tutte Ie superfici di scrittura c1assiehe non offrono che una sola delle due prerogative e presentano sempre l'inconveniente complementare. Tale ela res extensa e la superficie inteIligibile degli apparati di scrittura c1assiea. COS1, nei procedimenti che questi sostituiscono alIa nostra memoria, «una facolta illimitata di ricezione e una permanente conservazione delle tracce, sembrano esc1udersi a vieenda». La lora estensione appartiene alIa geometria c1assiea ed ein essa inteIligibile come fuori puro e senza rapporto a se. Occorre trovare un altro spazio di scrittura, quest'ultima 10 ha sempre richiesto. Gli apparecchi di soccorso (Hilfsapparate) che, nota Freud, sono sempre costituiti suI modeno delI'organo surroga~o, (per esempio! gl~ occhiali, la macchina fotografica, gli amplificatotl), sembran~ qumdl partieolarmente difettosi, quando si tratta della nostra memotla. Questa osservazione rende forse ancor pili sospetto il riferimento precedentemente propos to ad apparecchi ottici. Freud tuttavia ci rieorda che l'esigenza contraddittoria qui enunciata, era gia stata da lui ammessa nel I900. Avrebbe potuto dire nel I895. «Ho gia formulato, nella Traumdeutung (I900) l'ipotesi che questa straordinaria capacita dovesse essere distribuita tra Ie operazioni di due differenti sistemi (organi deIl'apparato psiehieo). Ponevamo un sistema Prec. che accoglie Ie percezioni, rna che non ne raccoglie alcuna ~raccia durevole, ~n mod? tale che potesse offrirsi ad ogni nuova perceZlOne come un foglto verglne di scrittura. Le tracce persistenti delle eccitazioni rieevute si producevano nei "sistemi mnestici", situati dietro di esso. Pili tardi (Al di llt del principio di piacere), ho aggiunto l'osservazione che il fenomeno
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non spiegato della coscienza, sorge nel sistema della percezione suI posto delle tracce persistenti» '. Duplice sistema incluso in un unico apparato differenziato, innocenza sempre offerta e riser va infinita delle tracce, e cia che ha potuto conciliare questa «piccolo strumento» che «e stato lanciato da qualehe tempo suI mercato con il nome di notes magico» e che «ci promette di riuscire piu efficace del foglio di carta 0 della lavagna». II suo aspetto e modesto, «ma se 10 si osserva meglio, si scopre nella sua costruzione una notevole analogia con cia che io ho supposto essere la struttura del nostro apparato di percezione». Esso offre Ie due prerogative: «Una superficie di ricezione sempre disponibile e tracce persistenti delle inscrizioni ricevute». Eccone la descrizione: «II notes magico e una tavoletta di cera 0 di resina, di color bruno scuro, con un margine di carta. Sopra, un foglio fine e trasparente, solidamente attaccato alla tavoletta al suo margine superiore, mentre il margine inferiore vi e liberamente posato sopra. Questo foglio e la parte piu interessante del piccolo dispositivo. E compos to anch'esso di due strati che possono essere separati l'uno dall'altro, tranne che ai due margini trasversali. Lo strato superiore e un foglio di celluloide trasparente: 10 strato inferiore e un foglio cerato sottile, e percio trasparente. Quando non si usa l'apparecchio, la superficie inferiore di carta cerata aderisce leggermente alla superficie superiore della tavoletta di cera. Ci si serve di questa notes magico, praticando l'inscrizione sulla superficie di celluloide del foglio che copre la tavoletta di cera. Per far cia non occorre ne una matita ne un gesso, perche qui la scrittura non dipende dall'intervento del materiale sulla superficie ricettiva. E un ritorno all'uso degli antichi di scrivere su tavolette di argilla 0 di cera. Una punta acuminata graffia la superficie e Ie incisioni producono 10 "scritto". Nel notes magico questa incisione non viene prodotta direttamente, ma con la mediazione del foglio protettivo superiore. La punta preme, nei punti che tocca, la superficie inferiore della carta cerata sulla tavoletta di cera e questi solehi diventano visibili come una scrittura oscura sulla superficie della celluloide che normalmente e uniforme e grigio-chiara. Se si vuole cancellare l'inscrizione basta staccare con un gesto leggero, e partendo dal suo orlo infetiore libero, il foglio di copertura composto 2 dalla tavoletta di cera. Lo stretto contatto tra il foglio cerato e la tavoletta di cera, nei punti incisi, , GW, XIV, pp. 4'5; efr. inoltre: XIII, cap. IV [AI di III del principia di piacere ciL]. La Standard Edition (efr. s. FREUD, The Standard Edition of the Complete Psychological Work, Hogarth Press, London 1953 sgg.) sottolinea qui una Iieve infedelta nella descrizione di Freud. «Essa non intacca iI principio». Noi siamo tentati di credere che Freud abbia alterato an· 2
che in altri punti la sua descrizione tecniea per Ie necessita dell'analogia.
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dai quali dipende il diventare leggibile della scrittura e cOSI interrotto e non si riproduce pili quando i due fogli si posano di nuovo uno sull'altro. II notes magico e allora vergine di scrittura e pronto a ricevere nuove inscrizioni»'. Notiamo che la profondita del notes magico e nello stesso tempo una profondita senza fondo, un infinito rinvio ed una esteriorita assolutamente superficiale. Stratificazione di superfici il cui rapporto a se, il cui interno, e solo l'implicazione di un'altra superficie anch'essa esposta. Questa interno unisce Ie due certezze empiriche che ci costituiscono: quell a della profondita infinita nell'implicazione del senso, nell'illimitato coinvolgimento dell'attuale, e simultaneamente, quella dell'essenza pellicolare dell'essere, dell'assenza assoluta del sotto. Freud, trascurando Ie «piccole imperfezioni» del meccanismo, interessandosi soltanto dell'analogia, insiste suI carattere essenzialmente protettivo del foglio di celluloide. Se questa non ci fosse, il sottile foglio cerato, verrebbe scalfito 0 strappato. Non c'e scrittura che non si costituisca una protezione, proteggendosi contro di se, contro la Setittura secondo la quale il «soggetto» e anch'esso minacciato quando si lascia scrivere: quando si espone. «II foglio di celluloide e quindi uno strato protettivo per la carta cerata». Esso la protegge dalle «influenze che la minacciano dal di fuori». «Debbo qui ricordare che in Al di la del principio di piacere' ho svolto l'idea che il nostro apparato psichico percettivo fosse compos to di due strati, uno strato protettivo esterno, contro gli eccitamenti, e una superficie che, situata dietro di esso, riceve gli stimoli, cioe il sistema Prec.» 3. Ma tutto cia riguarda ancora soltanto la ricezione 0 la percezione, l'apertura della superficie piu superficiale all'incisione del graffio. Non si ha ancora scrittura nella piattezza di questa extensio. Bisogna rendere conto della scrittura come traccia che sopravvive al presente del graffio, alIa puntualita, alIa (l''tTn.l'l]. «Questa analogia - continua Freud - non avrebbe gran valore se non si lasciasse portare pili avanti». E la seconda analogia: «Se si solleva dalla tavoletta di cera l'intero strato di copertura - celluloide e carta cerata -10 scritto si cancella e, come ho gia fatto notare, non si ricostituisce piu in seguito. La superficie del notes magico, ridiventa vergine e ricettiva. Ma si puo facilmente constat are che la traccia persistente dello scritto si conserva impressa sulla tavoletta di cera e con gli opportuni chiarimenti, risulta an cora leggibile». , efr. GW, XIV, pp. 5.6. GW, XIII, cap. IV [AI di III del principia di piacere cit.].
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Le esigenze contraddittorie sono soddisfatte da questo duplice sistema e «questo e esattamente il modo in cui la funzione percettiva si compie, secondo quanto ho gia supposto del nostro apparato psichico. Lo strato che riceve gli eccitamenti - il sistema Prec. - non forma nessuna traccia persistente; Ie fondazioni del ricordo si producono in altri sistemi supplementari». La scrittura supplisce la percezione, prima ancora che essa si manifesti a se stessa. La «memoria» 0 la scrittura sono l'apertura di questo manifestarsi stesso. II «percepito» non si offre alIa lettura se non al passato, al di sotto della percezione e dopo di essa. Mentre Ie altre superfici di scrittura, corrispondenti ai prototipi della lavagna 0 della carta non potevano rappresentare se non una parte materializzata del sistema mnestico dell'apparato psichico, una astrazione, il notes magico, 10 rappresenta nella sua interezza e non solo ne1 suo strato percettivo. La tavo1etta di cera rappresenta infatti l'inconscio. «Non mi sembra troppo au dace paragonare 1a tavo1etta di cera all'inconscio che si trova dietro il sistema Prec. ». II divenire visibile che si altern a alIa cancellazione dello scritto, sarebbe il rischiararsi (Au,fleuchten) e 10 svanire (Vergehen) della coscienza nella percezione. Cia introduce 1a terza ed ultima analogia. Senza dubbio e 1a pili interessante. Fino ad ora il problema riguardava 10 spazio della scrittura, 1a sua estensione e il suo volume, i suoi rilievi e Ie sue depressioni. Ma c'e anche un tempo della scrittura che non e altro che la struttura stessa di cia che in questa momenta stiamo descrivendo. Bisogna fare i conti con il tempo di questo pezzo di cera. Questo tempo non e esterno ad esso e il notes magico comprende nella sua struttura cia che Kant indica come i tre modi del tempo nelle tre analogie dell' esperienza: 1a permanenza, 1a successione e 1a simultaneita. Descartes, quando si chiede quaenam vera est haec cera, puo ridurne l' essema alIa semplicita intempora1e di un oggetto intelligibile. Freud, ricostruendo una operazione, non puo ridurre ne il tempo ne 1a moltep1icita di strati sensibili. E co11eghera un concetto di discontinuita del tempo, come periodicita e spaziatura della scrittura a una intera catena di ipotesi che vanno dalle Lettere a Fliess a At di la del principio di piacere, e che, ancora una volta, risultano costruite, consolidate, confermate e solidificate nel notes magico. La temporalita come spaziatura non sara solamente 1a discontinuita orizzonta1e nella catena dei segni, rna 1a scrittura come interruzione e ricostituzione del contatto tra i diversi strati psichici pili 0 meno profondi, il tessuto temporale COS1 eterogeneo del1avoro psichico stesso. In essa non si ritrova ne 1a continuita della linea, ne l'omogenei-
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ta del volume, rna 1a persistenza e 1a profondita differenziate di una scena, 1a sua spaziatura: , «Confesso di ~ssere pr~pens.o a spingere il paragone ancora pili in 1a. Ne1 notes maglco, 10 scntto SI cancella ogni volta che viene interrotto il contatto diretto tra 1a carta che riceve l'eccitazione e 1a tavo1etta di cera c~e trattiene l'impressione. Cia concorda con 1a rappresentazione ehe ml sono fatto da molto tempo del funzionamento dell'apparato psichico, rna che finora ho tenuto per me» '. Questa ipotesi e quell a di una distribuzione discontinua con scosse rapide e periodiche, delle «innervazioni di investimento» (Besetzungs~nnervationen), dall'interno verso l'esterno, verso 1a permeabilita del SIstema. Pree ..Questi mov~enti vengono poi «ritirati» 0 «rigirati». La coselenza SI spegne ogm volta che l'investimento viene COS1 ritirato. Freud paragona questo movimento ad antenne ehe l'inconscio spingere?be verso l' est~rn? e. che ritirerebbe quando esse gli hanno dato la mlsura delle eccttazlOm e 10 hanno avvertito della minaccia. (Freud non aveva tenuto per se questa immagine dell'antenna - sta in Al di la del principio di piacere 2 - , pili di quanto, 10 abbiamo gia notato pili sopra, avesse tenuto per se 1a nozione di periodicita deg1i investimenti). L'« origine d~lla .n?~tra r.ap~resentazione del ~empo» e attribuita a questa «non-eccttab1hta penodlea» e a questa «d1scontinuita ne11avoro del sistema Prec. ». II tempo e l'economia di una serittura. Questa macehina non cammina da sola. Pili ehe una macehina, e uno s.tr,u~ento ..E non 1a si puo tenere con una mana sola. La sua temporaht~ S1 nota III questo. La sua manutenzione non e semp1ice. La verginita Idea1e del momento presente e costituita dal1avoro della memoria. C?eeorron? al~eno due mani per far funzionare l'appareechio, ed un SIstema dl gestl, una coordinazione di iniziative indipendenti, una mo1teplicita organizzata di origini. E su questa scena che ha termine 1a Nota: «Se si pensa ehe, mentre una mana serive sulla superficie del notes , CW, XIV, p. 7. CW, ~I~I, cap. IV. Nella stessa anna la si ritrava nell'articalo Die Verneinung. In un passa che '1Ul CI Interesse.reb?e per il rappa:ta che in essa viene riconasciuta tra la negaziane pen· s~ta e la dlfferanza, la dllazlOne, la devlazlOne (Au/schub, Denkau/schub) (1a differanza, unione 2
dl Eros con Thanatos), I'emissione delle antenne nan viene attribuita all'inconscio, rna all'ia (efr. CW, XIV, pp. !4'"~)' ~ul Denkau/schub, suI pensiero come effetto ritardate, aggiornamento, proroga, tregua,. penfrasl, dlfferanza opposta a, 0 meglio differente dal polo fittizio, teorico e gia sempre trasgredlto del «processo primario», efr. tulto il capitolo VII (V) della Interpretazione dei sogn~. II ~oncett.o di «procedimento deviate» 0 «via indiretta» (Umweg) in esso centrale. L'<
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magico, l'altra stacca di tanto in tanto dalla tavoletta di cera la pagina stessa che la ricopre, si puo avere la rappresentazione sensibile di come io volevo rafIigurarmi il funzionamento del nostro apparato psichico di percezione» I. Le tracce non producono dunque 10 spazio della loro inscrizione se non si danno il periodo della loro cancellazione. Fin dall'origine, nel «presente» della loro prima impressione, sono costituite dalla duplice forza di ripetizione e di cancellazione, di leggibilita e d'illeggibilira. Una macchina a due mani, una molteplicita di istanze 0 di origini, non e il rapporto all'altro e la temporalira originari della scrittura, la sua complicazione «primaria»: spaziatura, differanza e cancellatura originarie dell'origine semplice, polemica fin dalla soglia di quello che ci ostiniamo a chiamare la percezione? La scena del sogno «che segue antiche facilitazioni» era una scena di scrittura. Ma la «percezione», il primo rapporto della vita al suo altro, l'origine della vita, aveva gia da sempre preparato la rappresentazione. E necessario essere in molti per scrivere e gia per «percepire». La struttura semplice della manutenzione e della manoscrittura, come quella di ogni intuizione originaria, eun I mito, una «finzione» altrettanto «teorica» quanto l'idea del processo primario. Quest'ultima viene contraddetta dal tema della rimozione ' originaria. La scrittura e impensabile senza la rimozione. La sua condizione e ' che non vi sia ne un contatto permanente ne una rottura assoluta tra gli strati. Vigilanza e scacco della censura. Che la metafora della censura sia derivata da cio che, nella politica, concerne la scrittura nelle sue cancellature, nei suoi bianchi e nelle sue simulazioni, non eun caso, anche se Freud, all'inizio della Traumdeutung sembra farvi un riferimento convenzionale e didattico. L'apparente esteriorita della censura politica rimanda ad una censura essenziale che vincola 10 scrittore alla propria scrittura. Se non ci fosse che percezione, permeabilita pura aIle facilitazioni, non ci sarebbe nessuna facilitazione. Noi saremmo scritti, ma nulla sarebbe registrato, nessuna scrittura si produrrebbe, ne sarebbe trattenuta, ne sarebbe ripetuta come leggibilita. Ma la percezione pura non esiste: noi non siamo scritti se non scrivendo, da parte dell'istanza in noi che gia da sempre controlla la percezione, sia interna che esterna. II «soggetto» della scrittura non esiste, se con questa si vuole intendere qualche sovrana solitudine dello scrittore. II soggetto della scrittura e un sistema di rapporti tra gli strati: del notes magico, dello psichico, I
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della societa, del mondo. AlI'interno di questa scena la semplicita puntuale del soggetto classico eintrovabile. Per descrivere questa struttura, n?n ?asta ricordare che si scrive sempre per qualcuno; e Ie contrapposiZ10m enunciatore-ricettore, codice-messaggio, ecc., rimangono strumenti piuttosto grossolani. Invano si cercherebbe nel «pubblico» il primo lettore, cioe il primo autore dell'opera. E la «sociologia della letteratura» non coglie nulla della guerra e delle astuzie di cui l'origine dell'opera diventa COS! la posta, tra l'autore che legge e il primo lettore che detta. La socialita della scrittura come dramma esige una disciplina molto diversa. La macchina non va da sola, questo vuol dire anche un'altra cosa: meccanica senza energia propria. La macchina e morta. Essa ela morteo Non perche si rischia la morte giocando con Ie macchine, ma perche l'origine delle macchine e il rapporto alIa morte. In una lettera a Fliess ricordiamo che Freud, evocando la sua rappresentazione dell'apparat~ psichico, aveva l'impressione di trovarsi davanti ad una macchina che da un momento all'altro avrebbe funzionato da se. Ma quello che doveva funzionare da se era 10 psichico e non la sua imitazione 0 la sua rappresentazione meccanica. Quest'ultima non ha vita. La rappresentaz10ne e la morte. E questo si rib alta subito nella seguente proposizione: la morte (non) e (che) rappresentazione. Ma essa e unita .alla vita e al presente vi~o che originariamente ripete. Una rappresentazione pura, una macchma non funziona mai da se. Tale almeno e illimite che Freud riconosce all'analogia del notes magico. Come la prima parola della Nota, il suo gesto, allora, e molto platonico. Solo la scrittura dell'anima, diceva il Pedro, solo la traccia psichica ha la facolta di riprodursi e di rappresentarsi da se, spontaneamente. La nostra lettura aveva saltato questa osservazione di Freud: «L'analogia di un simile apparata di soccorso deve trovare un limite da qualche parte. II notes magico non puo "riprodurre" dall'interno 10 scritto una volta cancellato; sarebbe davvero un notes magico se 10 potesse fare come la nostra memoria». La molteplicita delle superfici sovrapposte dell'apparecchio e, se abbandonata a se stessa, una complessira morta e senza profondita. La vita come profondita non appartiene che alIa cera della memoria psichica. Freud continua dunque a contrapporre, come Platone, la scrittura ipomnestica alIa scrittura E\) 'tTI Y;UXTI, anch'essa intessuta di tracce, ricordi empirici di una verita presente fuori del tempo. Allora, separato dalla responsabilita psichica, il notes magico, in quanta rappresentazione abbandonata a se stessa, dipende ancora dallo spazio e dal meccanicismo cartesiano: cera naturale, esteriorita del pro-memoria.
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E tuttavia, tutto quanto Freud ha pensato dell'unita della vita e della morte, avrebbe dovuto spingerlo a porre qui altre interrogazioni. E a porle esplicitamente. Freud non si interroga esplicitamente, ne si interroga sullo statuto del supple men to «materializzato», necessario alIa pretesa spontaneita della memoria, si tratti anche di una spontaneita gia in se differenziata, sbarrata da una censura 0 da una rimozione che, d'altra parte, non potrebbero operare su una memoria del tutto spontanea. La macchina non e pura assenza di spontaneita; la sua somiglianza all'apparato psichico, la sua esistenza e la sua necessita testimoniano della finitezza cosf surrogata della spontaneita mnestica. La macchina - e quindi la rappresentazione - e la morte e la finitezza nello psichico. Freud non si interroga ulteriormente sulla possibilita di quella macchina che, nel mondo, ha almeno cominciato a somigliare alIa memoria e che continua a somigliarle sempre pili e sempre meglio. Molto meglio di quell'innocuo notes magico: quest' ultimo e certo infinitamente pili complicato della lavagna 0 del foglio di carta, menD arcaico del palinsesto; ma di fronte ad altre macchine da archivi e un gioco da ragazzi. Quella somiglianza, cioe necessariamente un cetto essere-nelmondo dello psichico, non e sopraggiunta alIa memoria pili inaspettatamente di quanto la morte colga di sorpresa la vita. Essa la fonda. La metafora, qui l'analogia tra i due apparati e la possibilita di quel rapporto rappresentativo, pone una interrogazione che, malgrado Ie sue premesse e per ragioni indubbiamente essenziali, Freud non ha espresso esplicitamente, nel momento stesso che la portava alIa soglia del suo tema e della sua urgenza. La metafora come retorica 0 didattica non e qui possibile se non grazie alIa metafora solida, grazie alIa produzione non «naturale», storica, di una macchina supplementare, che si aggiunge all'organizzazione psichica per supplire la sua finitezza. L'idea stessa della finitezza e derivata dal movimento di questa supplementarita. La produzione storico-tecnica di questa metafora che sopravvive all'organizzazione psichica individuale, forse genetica, e di ordine molto diverso dalla produzione di una metafora intra-psichica, se vogliamo credere che quest'ultima esista (non basta parlarne perche esista) e qualunque sia il rapporto in cui Ie due metafore stanno tra di loro. Qui il problema della tecnica (forse sarebbe necessario trovarle un altro nome per strappare quest'ultima alla sua problematica tradizionale) non si lascia derivare da una opposizione scontata tra 10 psichico e il non psichico, tra la vita e la morte. Qui la scrittura e la 'tEXV1] come rapporto tra Ia vita e la morte, tra il presente e la rappresentazione, tra i due apparati. Essa apre il problema della tecnica: dell'apparato in generale e dell'a-
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nalogia ~ra l'apparato psichico e l'apparato non-psichico. In questo senso Ia ~Ctlttura e Ia scena della storia e il gioco del mondo. E non si Iascia e~au:1te da una semplice psicoIogia. Quello che nel discorso di Freud si rl~ensc~ al su~ tema e quello che fa sf che la psicanalisi non sia una sempItce pSlcoIogla, ne una semplice psicanalisi. Fors~ cosf si ri~ela\ nella breccia freudiana, l'al di la e l'al di qua dell~ chlUsura che Sl puo chiamare «platonica». In quel momenta della ston~ del ~~ndo ~he a~pare «indicato» dal nome di Freud, attraverso una.mcredl~t1e mltologla (neurologica 0 metapsicologica: perche non a?blamO m~l pens~to di prendere suI serio, tranne che per I'interrogazlOne. che disorgantz~a e turba la sua letteralita, la favola metapsicologica. Rlsp~tt? aIle stone neuroIogiche che ci narra il Progetto, forse il suo vantagglO e ben poco), un rapporto a se della scena storico-trascendental~ della scrittura si edetto senza dirsi, pensato senza essersi pensato: SCtltto e nello ste~so ~empo cancell.ato, si e metaforizzato, ha designato se st~sso me~tr~ mdlcava rapportl intra-mondani, si e rappresentato. CIO forse Sl nconosce (per esempio, e qui si intenda quel che diciamo con fa dovuta fru~~nza) d.a qu~st~ segno: che Freud, con una ampiezza e con una contmulta eccezlonah, C1 ha anche lui latto la scena della scrittur~. 9u~ e. necessario pen~are qu~sta scena non pili in termini di psicol?gl.a mdlvlduale 0 colletttva, 0 dl antropologia. Bisogna pensarla nelI onzzonte della stena del mondo, come storia di quella scena II discorso di Freud epresQ in essa. . punque Freud ci fa la scena della scrittura. Come tutti coloro che SCtlVO~o. E ~ome tu.tt~ quelli che sanno scrivere, ha permesso che Ia s~e,na Sl dupItcasse, .51 npetesse e. si denunciasse da se nella scena. Quindl e a Freud che nOl Iasceremo dIre Ia scena che ci ha fatto. II da lui che trarremo l'es~rgo nascosto che in silenzio ha vigilato la nostra lettura. .. Se~uendo t1 percorso delle metafore, della via, della traccia, della faclhtazlOne, de? procedimento faticoso per un varco aperto per effrazione a~traver~o tl neu:one, la luce 0 l~ cera, il bosco 0 Ia resina, per inscriverSl con vlOlenza m una natura, In una materia in una matrice· seguend? l'i?faticabile riferimento ad una punta s;cca e a una scrit'tura se~z~ mch~ostro; seguendo l'inventivita instancabile e il rinnovamento onmco del modelli meccanici, questa metonimia senza fine al lavoro sulla stes.sa metafora, sostituendo ostinatamente Ie tracce aIle tracce e Ie macchl~e alle macchine, ci chiediamo che cosa facesse Freud. ' E penSlamo a quei testi in cui meglio che altrove ci dice worin die Bahnung sonst bestehet. In che cosa consista la facilitazione Pensiamo alla Traumdeutung: «Tutti i complicati macchinari e gli
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apparecchi dei sogni sono con ogni probabilita organi genitali - di regola maschili - e nella 10ro descrizione il simbolismo onirico si rivela infaticabile, come il motto di spirito (Witzarbeit)>> E poi ad Inibizione, sintomo e angoscia: «Se 10 scrivere, che consiste nellasciar scorrere delliquido da una canna sopra un pezzo di carta bianca, ha assunto il significato simbolico del coito 0 se il camminare edivenuto una sostituzione simbolica del premere il corpo della madre terra, tanto 10 scrivere che il cam min are vengono sospesi, poiche altrimenti ecome se si compisse l'azione sessuale proibita» '.
I) di una psicopatologia della vita quotidiana in cui 10 studio della scrittura non dovreb?e limita:si .alI'interpretazione del lapsus calami e d'aItra parte dovre?be dImostrarsI pIll attenta ad esso, alIa sua originalita, di quanto indubblamente non 10 Sla stato Freud stesso (<
1.
L'uItima parte della conferenza riguardava l'archi-scrittura come cancellazione: del presente e dunque del soggetto, del suo proprio e del suo nome proprio. II concetto di soggetto (conscio 0 inconscio) rinvia necessariamente a quello di so stanza - e quindi di presenza - da cui e nato. E dunque necessario radicalizzare il concetto freudiano di traccia ed estrarlo dalla metafisica della presenza che 10 trattiene ancora (in particolare nei concetti di conscio, inconscio, percezione, memoria, reaItil, e quindi anche di qualche altro). La traccia e la cancellazione di se, della propria presenza, e costituita dalla minaccia 0 dalI' angoscia della propria scomparsa irrimediabile, della scomparsa della propria scomparsa. Una traccia incancellabile non e una traccia, e una presenza piena, una sostanza immobile e incorruttibile, un figlio di Dio, un segno della parusia e non una semenza, cioe un germe mortale. Questa cancellazione e 1a morte stessa ed e nel suo orizzonte che e necessario pensare non solo il «presente» ma anche quello che Freud senza dubbio ha creduto fosse l'indelebile di alcune tracce nelI'inconscio in cui «nulla finisce, nulla passa, nulla e dimenticato». Questa cancellazione della traccia non e soItanto un accidente che si puo produrre qua 0 Iii, non e neppure la struttura necessaria di una censura determinata che minaccia una presenza 0 l'altra; e la struttura stessa che rende possibi1e, come movimento della temporalizzazione e come pura autoaffezione, quello che si puo chiamare 1a rimozione in generale, la sintesi origina~ia della rimozione originaria con la rimozione «propriamente detta» 0 secondana. Tale radicalizzazione del pensiero della traccia (pensata perche sfugge al binarismo e perche 10 rende possibile a partire da nulla) sarebbe fecondo non solo nella decostruzione del10gocentrismo ma anche in una riflessione che si esercitasse pili positivamente in campi differenti, a differenti livelli della scr~tt~ra in generale, all' articolazione della scrittura nel senso corrente e della tracCla In generale. Questi campi la cui specificitil sarebbe cosl aperta ad un pensiero fecondato dalla psicanalisi, sarebbero moIti. II problema dei loro rispettivi limiti sarebbe tanto pili temibile in quanta non bisognerebbe sottoporIo a nessuna delle opposizioni concettuali correnti.
Tutta la tematica della Klein, la sua analisi della costituzione degli oggetti buoni e cattivi, la sua genealogia della morale potrebbe senza dubbio cominciare a chiarire, se 1a si segue con prudenza, tutto il problema dell' archi-traccia, non nella sua essenza (essa non ne hal, ma in termini di va1orizzazione e di sva10rizzazione. La scrittura, nutrimento gradevole 0 escremento, traccia come semente o germe di morte, denaro 0 arma, scarto e/o pene, ecc. In che modo, per esempio, mettere in comunicazione, sulla scena della storia, la scrittura come escremento separato dalla carne viva e da1 corpo sacro del geroglifico (Artaud) con quello che e detto nei Numeri della donna assetata che beve 1a polvere d'inchiostro della legge; 0, in Ezechiele, di quel figlio dell'uomo che riempie il suo ventre col rotolo della legge diventato, nella sua bocca, dolce come il miele? 1 1
p.26].
CW, II/IIl, p. 361 [L'interpretazione dei sogni cit., p. 327]. , Hemmung, Symptom und Angst, in CW, XIII, pp. II3 sgg.
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In primo luogo si tratterebbe:
I
II
CW, II, cap. I [Inibizione, sintomo e angoscia, trad. di Servadio, Boringhieri, Torino 1971,
II teatro della crudelta e la chiusura della rappresentazione "
A Paule Thevenin
Unica volta al mondo, perehe a causa di un avvenimento sempre che spieghero, non e'l: Presente, no - un presente non esiste .. _ MALLARME,
Quant au livre
... quanto aIle mie forze, esse non sono che un supplemento, iI supplemento ad uno stato di fatto, I: che non c'l: mai stata otigine ... ARTAUD,
6 giugno
1947
« ... La danza 1 e di consegttenza il teatro I non hanno ancora cominciato a esistere» '. E quanto si puo leggere in uno degli ultimi scritti di Antonin Artaud. Ora, in questo stesso testo, qualche riga prima, il teatro della crudelta viene definito «l'affermazione I di una terribile , e d'altra parte ineluttabiIe necessita». Artaud, non invoca dunque una distruzione, una nuova manifestazione della negativita. MaIgrado tutte Ie devastazioni che deve compiere suI suo passaggio, «il teatro della crudelta non eil simbolo di un vuoto assente». Esso afferma, produce l'affermazione stessa nel suo rigore pieno e necessario. Ma anche nel suo senso pili nascosto, pili spesso sottratto, distolto da St. Per quanto «ineluttabile», questa affermazione non ha «ancora cominciato a esistere». Essa deve ancora nascere. Ora una affermazione necessaria non puo nascere se non col rinascere in St. Per Artaud, l'avvenire del teatro quindi l'avvenire in generale - non ha inizio se non attraverso l'anafora che risale all'imminenza di una nascita. La teatralita deve attraversare e restaurare per intero l'«esistenza» e la «carne». Del teatro, dunque, si did quello che si dice del corpo. Ora enoto che Artaud viveva la conseguenza di una espropriazione: il suo corpo proprio, la pro prieta e la dignira del suo corpo gli erano stati rubati alIa nascita da quel dio la1
* Le theatre de la cruaute et fa cloture de fa representation, conferenza tenuta al convegno Sll Antonin Artaud, in occasione del Festival internazionale del teatro universitario, a Parma, nell'a. prile 1966; pubblicata in «Critique», 230, luglio 1966. , Le theatre de la cruaute, in «84», 1948.
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dro che, a sua volta, enato dacendosi passare I per me stesso» '. Senza dubbio la rinascita - Artaud 10 ricorda spesso - passa attraverso una specie di rieducazione degli organi. Ma quest'ultima permette di penetrare in una vita che eprecedente la nascita e che viene dopo la morte (« ... a forza di morire ! ho finito per conquistare una vera immortalith p. IIo); non ad una morte che eprecedente la nascita e che viene dopo la vita. E quello che distingue l'affermazione crudele dalla negativita romantica; differenza sottile e tuttavia decisiva. Lichtenberger: «Non posso liberarmi dall'idea che ero :nort? prima di ~1aScer.e e che, con la morte, ritornero a quella stessa sltuazIOne ... Mon~e e ,nnascere con il ricordo della propria esistenza precedente, noi 10 ch1am1amo svenire; svegIiarsi con altri organi, che bisogna in prin:o luo~o ried~care, e quello che noi chiamiamo ~ascere». ~er.Art~u~, pnm? d1 tutto Sl trat~a di non morire morendo, d1 non lasClars1 qumd1 spoghare della propna vita dal dio ladro. «E io credo che ci sia sempre qualcun altro presente nel momento della morte estrema, per spogliarci della nostra propria vita» (Van Gogh, Ie suicide de fa societe). Nello stesso modo, il teatro occidentale estato separato dalla forza della sua essenza, portato lontano dalla sua essenza afJermativa, dalla sua vis afJermativa. E questa espropriazione si eeffettuata fin dall'origine, eil movimento stesso dell'origine, della nascita come m?rte. Per questa un «posto vuoto» «rimane su tutte Ie scene d1 un teatro nato morto» '. II teatro enato sulla propria scomparsa e il frutto di questo movimento ha un nome, el'uomo. II teatro della crudelta deve nascere separando la morte dalla nascita e cancellando ~l no~e dell'uomo. II teatro esempre stato costretto a fare quello per CUi non e stato fatto: «L'ultima parola sull'uomo non estata detta ... II teatro non emai stato fatto per descriverci l'uomo e quello che fa ... E il teatro equesta goffa marionetta, insieme armonico di pezzi di legno, legati da fiIi di ferro spinato, che ci fa stare sempre in lotta con l';romo che ci stringe;a .addosso ... L'uomo soffre molto in Eschilo, rna Sl crede ancora un po dIO e non vuole entrare nella membrana, e in Euripide finalmente si agita nella membrana, dimenticando dove e quando estato dio» '. E dunque necessario risvegIiare, ricostituire la vigilia ~i questa origine del teatro occidentale, al tr~~~nto, dec~dente, ,negat1vo: per ravvivare nel suo oriente, la necesslta meluttabde dell affermazIOne. Necessita ineluttabile di una seen a che ancora non esiste, certo, rna l'affer, In «84 », p. 109. Come net precedente saggio su Artaud, i testi che vengono indicati soltanto con delle date, sono inediti. , Le theatre et ['anatomie, in «La Rue», luglio 1946. J
Ibid.
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mazione non dovra essere inventata domani in qualche «nuovo teatro». La sua necessita ineluttabile agisce come una forza permanente. La crudelta e sempre all'opera. II vuoto, il posto vuoto e pronto per questa teatro che non ha ancora «comindato a esistere», misura soltanto la strana distanza che ci separa dalla necessita ineluttabile, dall'opera presente (0 meglio, attuale, attiva) dell'affermazione. E nell'apertura unica di questa scarto che la scena della crudelta eleva per noi il suo enigma. E in questa direzione approfondiremo il discorso. Se oggi in tutto il mondo - e molte testimonianze 10 dimostrano in modo evidente - qualsiasi innovazione teatrale, a torto 0 a ragione, rna con una insistenza sempre maggiore, proclama la sua fedelta ad Artaud, il problema del teatro della crudelta, della sua inesistenza presente e della sua ineluttabile necessita, assume un valore storieo. Storico non in quanta potrebbe essere inscritto in quella che viene chiamata la storia del teatro, non perche potrebbe fare epoca nel divenire delle forme teatrali e potrebbe occupare un posto nel succedersi dei modelli della rappresentazione teatrale. Questo problema estorico in senso assoluto e radicale. Indica illimite della rappresentazione. II teatro della crudelta non euna rappresentazione. E la vita stessa in cio che essa ha di irrappresentabile. La vita el'origine non rappresentabile della rappresentazione. «Ho detto "crude1ta" come avrei detto" vita"» '. Questa vita sostiene l'uomo rna non ein primo luogo la vita dell'uomo. Quest'ultimo non eche una rappresentazione della vita e tale eillimite - umanistico - della metafisica del teatro classico. «Possiamo dunque rimproverare al teatro quale oggi si pratica una spaventosa mancanza d'immaginazione. II teatro deve farsi uguale alIa vita, non alIa vita individuale, a quell'aspetto individuale della vita in cui trionfano i CARATTERI, rna ad una sorta di vita liberata, che spazza via l'individualita umana e in cui l'uomo non epili che un riflesso» '. La forma pili ingenua della rappresentazione, non ela mimesi? Come Nietzsche - e Ie affinita non si fermerebbero qui - Artaud vuole quindi farla finita con il concetto d'imitazione dell'arte. Con l'estetica aristoteIica' in cui la metafisica occidentale dell'arte si e riconosciuta. , Lettres sur Ie langage, in A. ARTAUD, CEuvres completes, Gallimard Paris 1956 sgg. IV p. [LeI/ere sullinguaggio, in It teatro e it suo doppio con altri scrilli teatrali e la trag~dia' «l Cenci», a cura di G. R. Morteo e G. Neri, prefazione di J. Derrida, trad. it. di E. Capriolo e G. 137
Marchi, Einaudi, Torino 1968, p. 187]. 2 Lellres sur Ie langage cit., IV, p. 139 [po 188]. J «La psicologia dell'orgasmo concepito come uno straordinario senso di vita e di forza alI'interno del quale persino il dolore agisce come uno stimolante, mi delte la chiave per inten: dere iI sentimento tragico, iI quale stato frainteso sia da Aristote!e che in particolare dai nostri pessimisti ». L'arte come imitazione della natura ha un rapporto essenzlale con iI tem~ catartico. «Non per affrancarsi dal terrore e dalla compassione, non per purificarsi da una pericolosa passione
e
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II teatro della crudeltii e la chi usura della rappresentazione
«L' arte non el'imitazione della vita, ma la vita el'imitazione di un principio trascendente con il quale l'arte ci mette di nuovo in comunicazlOne» . L'arte teatrale deve essere illuogo primordiale e privilegiato di questa distruzione dell'imitazione; pili di ogni altra essa estata segnata da quellavoro di rappresentazione totale in cui l'affermazione della vita si i 1ascia duplicare e svuotare dalla negazione. Questa rappresentazione, ~ 1a cui struttura si riproduce non solo nell'arte ma in tutta la cultura oc- ~ cidentale (nelle sue teligioni, nelle sue filosofie, nella sua politica), in-i dica quindi qualcosa di pili di un htipo particolare di costruzid~ne telatrla- :~ Ie. Per questo, l'interrogazione c e oggi ci si pone supera 1 mo to a tecnologia teatrale. E questa la pili ripetuta affermazione di Artaud: la riflessione tecnica 0 teatrologica non deve essere trattata a parte. La decadenza del teatro incomincia senza dubbio con la possibilita di una tale dissociazione. Possiamo sottolinearlo senza diminuire, con questo, l'importanza e l'interesse dei problemi teatrologici 0 delle rivoluzioni che possono essere attuate nei limiti della tecnica teatrale. Ma l'intenzione di Artaud ci mostra questi limiti. Finche queste rivoluzioni tecniche ed intrateatrali non riusciranno a intaccare Ie fondamenta stesse del teatro occidentale, esse continueranno a far parte di quella storia e di quella scena che Antonin Artaud voleva fare saltare. Che cosa significa rompere questa rapporto di appartenenza? Ed e possibile? A quali condizioni, oggi, un teatro puo Iegittimamente appellarsi ad Artaud? Che molti registi desiderino farsi passare per gli eredi, oppure (e stato scritto) come i «figli naturali» di Artaud, non ~ che un fatto. E necessario chiedersi anche a quale titolo e con che dlritto. Quali saranno i criteri per scoprire se una simile pretesa eabusiva? A quali condizioni un autentico «teatro della crudelta» potrebbe «cominciare ad esistere»? Queste interrogazioni, insieme tecniche e «metafisiche» (nel sen so in cui Artaud intende la parola) si fan no avanti da sole in tutti i testi del Theatre et son double, che sono pili delle sollecitazioni che una raccolta di precetti, so no un sistema di critiche che fa vacillare il tutto della storia dell'Occidente, pili che un traftato della prassi tea trale. •
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mediante un veemente sgravarsi della medesima - come pensava Aristotele -: ma per :ssere noi stessi al di Iii del terrore e della compassione, l'eterno piacere del divenire - que! placere che comp~ende in so anche i1 piacere dell'annientamento (die Lust am Vernichten). E cos! io. tor~o a .' toccare il punto da cui una volta presi Ie mosse - la Nascita della Tragedia e stata la ml~ prima trasvalutazione di tutti i valori: cos! torno a collocarmi ancora una volta sui terreno da CUI cresce il mio volere iI mio potere - io, I'ultimo discepolo del filosofo Dioniso, - io, il maestro dell'eterno ritorno» in W erke. II, p. 1032 [trad. it. II crepuscolo degli idoli, in Opere complete, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1970, vol. VI, tomo III, p. 160]). I IV, p. 3 10 .
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II teatro della crudelta scaccia Dio dalla scena. Non mette in scena un nuovo discorso ateo, non da la parola all'ateismo, non offre 10 spazio teatrale ad una logica filosofante che proclami una volta di pili, per aumentare la nostra noia, la morte di Dio. E la pratica teatrale della crudelta che, nel suo atto e nella sua struttura, abita 0 meglio produce uno spazio non-teologico. La seen a eteologica fin tanto che edominata dalla parola, da una vo .. lonta di parola, dall'intenzione di un logos primo che, pur non facendo parte di un Iuogo teatrale, 10 guida a distanza. La seen a eteologica finche Ia sua struttura comporta, secondo I'intera tradizione, i seguenti elementi: un autore-creatore che, assente e da lontano, impugnando un testo, sorveglia, riunisce, e domina il tempo e il senso della rappresentazione lasciando che quest'ultima 10 rappresenti in cio che viene chiamato il contenuto dei suoi pensieri, delle sue intenzioni, delle sue idee. Rappresentare per mezzo dei rappresentanti, registi 0 attori, interpreti asserviti che rappresentano personaggi che, prima di tutto con quello che dicono, rappresentano pili 0 meno direttamente il pensiero del «creatore». Servi che interpretano, eseguono fedelmente Ie intenzioni provvidenziali del «padrone». II quale d'altra parte - ed ela regola ironica della struttura rappresentativa che da un ordine a tutti questi rapporti - non ere a nulla, si da solo l'illusione della creazione poiche non fa che trascrivere e offrire da leggere un testo Ia cui natura eanch'essa necessariamente rappresentativa, poiche conserva con quello che si chi am a il «reale» (l'essente reale, quella realta di cui Artaud nell'Avertissement al Moine dice che eun «escremento dello spirito») un rapporto imitativo e riproduttivo. Infine un pubblico passivo, seduto, un pubblico di spettatori, di consumatori, di «jouisseurs» - come dicono Nietzsche e Artaud - che assiste ad uno spettacolo senza autentico volume e senza profondita, acqua stagnante offerta al Ioro sguardo di «voyeur» (Nel teatro della crudelta la pura visibilita non diventa mai «voyeurisme»). Questa struttura generale nella quale ogni istanza e collegata per via rappresentativa a tutte Ie altre, nella quale I'irrappresentabile del presente vivo eoccultato 0 dissolto, eliso 0 trasferito nella catena infinita delle rappresentazioni, questa struttura non emai stat a modificata. Tutte Ie rivoluzioni l'hanno conservata intatta, spesso hanno perfino contribuito a salvarla e a restaurarla. E il movimento della rappresentazione viene garantito - quando eil caso per mezzo del suggeritore, Ia cui buca costituisce il centro nascosto rna indispensabile della struttura rappresentativa - dal testa fonetico, dalla parola, dal cii-
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scorso trasmesso. Qualunque possa essere la loro importanza, tutte Ie forme pittoriche, musicali, ed anche gestuali, contenute nel teatro occidentale, nel migliore dei casi servono soltanto ad illustrare, ad acco~ pagnare, servire, ornare un testo, una trama verbale, un logos che Otlginadamente dice se stesso. «Se dunque, l'autore e colui che dispone dellinguaggio della parola, e se il regista eil suo schiavo, ci troviamo di fronte a un semplice problema di parole. C'e una confusione di tern~ini, dovuta al fatto che, per noi, e stando al senso che generalmente Viene attribuito a questo termine di regista, quest'ultimo non e altro che un artigiano, un adattatore, una sort a di traduttore destinato eternament.e a trasferire un'opera drammatica da un linguaggio in un altro; e una SImile confusione sara possibile - e il regista sara costretto a eclissarsi di fronte all' autore - solo finche si continuera a dare per scontato che il linguaggio delle parole esuperiore agli altri, e che il teatro non ammette al di fuori di esso altro linguaggio» '. Beninteso, cio non implica che per essere fedeli ad Artaud, basti concedere pili importanza e responsabilita al «regista», pur conservando la struttura classica. Per mezzo della parola (0 meglio attraverso l'unita della parola e del concetto, come diremo poi, e questa precisazione diventera importante) e sotto l'influenza teologica di quel «Verbo [che] da la misura della nostra impotenza»' e della nostra paura, ela seen a stessa che continua ad essere minacciata nel corso dell'intera tradizione occidentale. L'Occidente - e questa sarebbe l'energia della sua essenza - avrebbe sempre e solo lavorato alIa cancellazione della scena. Perche una scena che non fa altro che illustrare un discorso non puo pili essere una scena. II suo ' rapporto con la parola ela sua malattia e «noi ripetiamo che l'epoca e malata» '. Ricostruire la scena, mettere finalmente in scena e rovesciare la tirannia del testo, significa quindi un solo e stesso gesto. «Trionfo della messa in scena pura» 4. Questo oblio classico della seen a si confonderebbe dunque con la storia del teatro e di tutta la cultura dell'Occidente, avrebbe perfino reso possibile illoro aprirsi. E tuttavia, malgrado questa «oblio», il ' teatro e la messa in scena hanno vissuto riccamente per pili di venticinque secoli: esperienza di mutazioni e di rovesciamenti che non si puo trascurare malgrado la tranquilla ed impassibile immobilita delle strutture fondamentali. Non si tratta quindi solo di un oblio 0 dt un semI
Letlres sur Ie langage cit.,
., IV, p.
IV, p.
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plice e superficiale occultamento. Una certa scena ha continuato a mantenere con la scena «dimenticata», rna in realta violentemente cancellat~, una co~unicazione segreta, quasi un rapporto di tradimento, se trad~re vuo~ dIre snaturare per infedelta, rna anche lasciar trapelare e mantfestarsl malgrado tutto il fondo della forza. Cio spiega il fatto che per Artaud il teatro classico non esolo l'assenza, la negazione 0 l'oblio del teatro, ~on esolo un non-teatro, rna piuttosto un'obliterazione che permette dl leggere quello che nasconde, 0 anche una corruzione e una «perversione», una seduzione, la deviazione aberrante che manifesta il proprio senso e la propria misura soltanto in un luogo che precede la sua na~cita, alIa vigilia della rappresentazione teatrale, all'origine della tragedla. In quei «Misted Orfici» per esempio, che affascinavano Plato~e, in quei «Misted Eleusini» ancora liberi da quelle forme interpretatlve che hanno potuto essere loro aggiunte in seguito, in quell a «bellezza pura di cui Platone ha dovuto incontrare almeno una volta in questo mondo, la realizzazione completa, sonora, fluente e spoglia» '. E ~ppunto di perversione e non di oblio che parla Artaud, per esempio, In questa lettera a B. Cremieux (1931): «II teatro arte autonoma e indipendente, per risorgere 0 anche soltanto per vi~ere, deve sottolineare cio che 10 differenzia dal testo, dalla parola pura, dalla letteratura, e da ogni altro mezzo scritto e codificato. Si puo benissimo continuare a concepire un teatro fondato sulla preminenza del testo - un testa sempre pili verboso, prolisso e noioso, cui sottomettere l'estetica scenica. Ma questa concezione che consiste nel far sedere i personaggi su un certo numero di sedie 0 di poltrone messe in fila, e nel far raccont~re loro storie, magari meravigliose, se non enecessariamente la negaZlOne assoluta del teatro ... ne epiuttosto la perversione» '. . Sb~ra~zata dal test? e dal dio-autore, la messa in scena sarebbe quindl :estlt~lta alIa sua ltberta creatrice e instauratrice. II regista e i parteclpantl (che non sarebbero pili attori 0 spettatori) smetterebbero di essere gIi strumenti e gli organi della rappresentazione. Cio significa forse che Artaud avrebbe rifiutato di dare il nome di rappresentazione al teatro della crudelta? No, purche ci si intend a bene suI sen so diffici~~ ed ~q~ivoco di qu~sta nozione. Certo, la seen a non rappresentera pzu, p01che essa non S1 aggiungera pili come illustrazione sensibile ad un testo gia scritto, pensato 0 vissuto fuori di essa e che essa non fa rebbe che ripetere, senza costituirne la trama. Essa non ripetera pili un
14I [pp. 189-90].
277.
, IV, p. 240.
• IV, p. 305.
30 5
1
Le theatre alchimique, IV, p. 63 [Il tea/ro alchimistico in I! teatro e il suo doppio
p. 141].
'
, Lettres Sur Ie langage cit., IV, p. 126 [po 180]; iI corsivo e mio.
.
Cl't
,
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11 teatro della crudelta e la chiusura della rappresentazione
La scri ttura e la differenza
presente, non ri-presentera un presente che sarebbe altrove e prima di , essa, la cui pienezza Ie sarebbe anteriore, assente dalla scena e capace in via di diritto di far senza di lei: presenza a se del Logos assoluto, presente vivo di Dio. Ne essa sara una rappresentazione, se rappresentazione significa superficie esposta di uno spettacolo offerto ad alcuni voyeurs. Essa non ci offrira neppure la presentazione di un presente, se presente significa cio che sta di fronte a me. La rappresentazione crudele deve investirml. E la non-rappresentazione e dunque rappresentazione originaria, se rappresentazione significa anche spiegamento di un volume, di un luogo a molte dimensioni, esperienza produttrice del proprio spazio. Spaziatura, cioe produzione di uno spazio che nessuna parola puo riassumere 0 comprendere, poiche 10 presuppone fin dal principio e si rivolge COS1 ad un tempo che non epill quello della cosiddetta linearita fonica; riferimento ad <
zioni dei registi pill aperti, un semplice mezzo di presentazione, un modo accessorio di rivelare Ie opere, una sorta di intermezzo spettacolare privo di significazione propria, potra reggere solo in quanto riesca a dissimularsi dietro Ie opere che vorrebbe servire. E Ie cose resteranno COS1 fintantoche l'interesse di un'opera rappresentata risiedera soprattutto nel suo testo, fintantoche nel teatro-arte della rappresentazione, la letteratura prevarra sulla rappresentazione, impropriamente denominata spettacolo, con tutto cio che tale denominazione implica di peggiorativo, di accessorio, d'efl1mero 0 di esteriore» '. Tale sarebbe, sulla scena della crudelta, «10 spettacolo che opera non solo come un riflesso, ma come una forza»'. II ritorno aHa rappresentazione origin aria implica dunque non esclusivamente ma soprattutto che il teatro 0 la vita smettano di «rappresentare» un altro linguaggio, smettano di lasciarsi derivare da un'altra atte, per esempio dalla letteratura, e sia pure da quella poetica. Perche nella poesia come letteratura, la rappresentazione verbale fa sparire la rappresentazione scenica. La poesia non puo sottrarsi alIa «malattia» occidentale se non diventando teatro. «Noi pensiamo appunto che ci sia una nozione della poesia da dissociare, da estrarre dalle forme di poesia scritta in cui un'epoca in pieno sbandamen to e malata vuole che sia contenuta tutta la poesia. E quando dico che essa vuole, io certo esagero, perche in realta e incapace di volere qualche cosa; essa subisce una abitudine formale da cui non e assolutamente in grado di liberarsi. Questa specie di poesia diffusa che noi identifichiamo con una energia naturale e spontanea, ma non tutte Ie energie naturali sonG poesia, ci sembra appunto che debba trovare nel teatro la sua espressione integrale, la pill pura, la pill precisa e Ia pill autenticamente libera» 3. S'intravvede COS1 il senso della crudelta come necessita e rigore. Certo Artaud ci invita a pensare sotto la parola crudelta «rigore, applicazione e decisione implacabile», «determinazione irreversibile», «determinismo», «sottomissione alia necessith, ecc., e non necessariamente «sadismo», «orrore», «versamento di sangue», «nemico crocefisso» 4, ecc. (e alcuni spettacoli che oggi vanno sotto il segno di Artaud sono forse violenti, sono cioe sanguinosi, ma non per questo crudeli). Un assassinio, tuttavia e sempre all'origine della crudelta, della necessid che si chiama crudelta. E prima di tutto un parricidio. L'origine , Letlres sur Ie langage cit., IV, p. I26 [po 180]. IV, p. 297. 3 IV, p. 280. 4 Lettres sur la cruaute, IV, p. 120 [Lettere sulla crudelta, in II tea/ro e il suo doppio cit., 2
'IV,P.3 1 7. d l' (S 2 Le theatre de la cruaute (Second manifeste), IV, pp. 148-49 [II teatro della cru eta e· condo manifesto), in II teatro e il suo doppio, cit., p. 194].
307
p. 177].
II teatro della crudelta e Ia chiusura della rappresentazione
La scrittura e Ia differenza
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del teatro, qua~e deve essere restaurata e un colpo di mane contro iI detentore abuslvo del logos, contro il padre, contro iI Dio di una scena sottoposta al potere della parola e del testo. «Per me nessuno ha iI diritto d~ dirsi autore, e doe creatore, se non colui cui ~petta il trattamento dlretto della scena. E appunto questa iI punto vulnerabiIe del tea~r? quale v~ene ~onside:ato non sol~anto in Francia, ma in Europa e anZI m tutto IOcCldente: 11 teatro occIdentale non riconosce come linguaggio, n~n a~tri~u~sce Ie ~roprieta e Ie virtli di Iinguaggio, non permett~ che ~1 C?laml hnguagglO, con quell a sorta di dignita intellettuale ch~ SI attnbUlsce ge?eralmente a questa termine, se non allinguaggio artlcolato, grammatical.mente articolato, vale a dire allinguaggio della , parola, della parola scntta, che, pronunciata 0 no, non ha pili valore di quanta ne avrebbe se fosse soltanto scritta. Nel teatro quale viene concepito da no! [a Parigi, in Occidente], iI testo e tutto» I. Che cosa diventera, allora, la parola nel teatro della crudelta? Dovra forse semplicemente tacere 0 sparhe? Nien:e affatto. La p.arola smettera di dominare la scena ma sara pur sempre m essa. Essa VI occupera un posto rigorosamente circoscritto avra la sua funzione nel sistema in cui sara inserita. Perche e note che l~ rappresentazioni del teatro della crudelta dovevano essere minuziosamente regolate in precedenza. L'assenza dell'autore e del suo teste non lascia la scena in uno stato d' abbandono. La scena non viene trascurata i abbandonata all'anarchia dell'improvvisazione, alla «vaticinazione alea: toria»', alle «improvvisazioni di Copeau» J, all'«empirismo surrealista», alla commedia dell' arte 0 «al capriccio dell'ispirazione incolta» '. Tutto verra quindi prescritto in una scrittura e in un teste il cui tessuto i ~~n assomigliera pili al modello della rappresentazione classica. Quale e 11. ~osto, ?unque, che assegnera alla parola questa necessita della prescnZlOne, mvocata dalla crudelta stessa? La parola e la sua notazione -la scrittura fonetica elemento del teatro classico -, la parola e la sua scrittura non saran~o cancellate sulla scena della crudelta se non nella misura in cui pretendevano di essere dei de;tati: citazio?i 0 recitazi~~i e nell? stes~o tempo, ordini. II regis~a e 1 attore non nceveranno pm dettatz: «Rmunceremo alla superstiZlOne teatrale del testo e alla dittatura dello scrittore» '. E anche la fine della dizione che faceva del teatro un esercizio di lettura. Fine di cio che I
I Lettres sur Ie langage cit., IV, p. I4' [po ,89]. , I, p. 239. J L'ettres sur Ie langage cit., IV, p. I3' [po I83]. 4
IV, p. 3I3.
, Le theatre de la cruaute (Second manifeste) cit., IV, p. 148 [po I94].
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«fa dire a certi amatori di teatro che un lavoro drammatico quando se ne da lettura offre soddisfazioni pili precise e maggiori dello stesso lavoro quando viene rappresentato» In che modo, allora, funzioneranno la parola e la scrittura? Tornando a~ essere gesti: verra ridotta e subordinata l'intenzione logica e discorSlva, attraverso la quale solitamente la parola garantisce 1a sua trasparen~a raziona1e e aflina iI proprio corpo orientando10 verso iI senso, 10 1ascla stranamente celare da quanta 10 rende trasparente; decostituendo 1a trasparenza, si mette a nudo 1a carne della parola la sua sonorita, 1a sua intonazione e intensita, il grido che l'articolazi~ne della lingua e della logic a non ha ancora del tutto congelato, quanta rimane del gesto rep res so in ogni parola, quel movimento unico e insostituibiIe che Ia generalita del concetto e della ripetizione continuano senza fine a rifi~tare. E note quanta valore Artaud attribuisse a quello che si chi am a -: m questa caso molto impropriamente -1' onomatopea. La glossopoieSI, che non eun linguaggio imitativo ne un'invenzione di nomi, ci conduce allimite del momento in cui Ia parola non e ancora nata quando l' articolazione non e gia pili iI grido, ma non e ancora iI discors;, quando Ia ripetizione e quasi impossibile, e con quest'ultima, e quasi impossibiIe Ia lingua in generale: Ia separazione tra iI concetto e il suono, tra il significato e i~ significante, tra pneumatico e grammatico, tra Ia liberta d.ella trad~zlOne e quella della tradizione, il movimento dell'interpretaZlOne, Ia dtfferenza tra l'anima e il corpo, tm iI signore e il servo, Dio e I'uomo, l'autore e l'attore. E Ia vigilia dell'origine delle lingue e di quel dialogo tra la teologia e I'umanesimo che la metafisica del teatro occidentale non ha mai fatto altro che ripetere con inesauribiIe costanza 2. Non si tratta dunque di costruire una scena muta quanta una scena in cui ogni rumore non sia ancora del tutto spento nella parola. La parola espressa e il cadavere della parola psichica ed e necessario ritrovare, con iIIinguaggio della vita stessa, «la Parola di prima delle parole» '. I.
Lettres sur Ie langage cit., IV, p. 14I [pp. I89-90]. Sarebbe pecessario mettere a confronto Le theatre et son double con I'Essai sur l'ori~inf des langues, La nascita della tragedia e tutti i testi connessi di Rousseau e Nietzsche e ricostituire j I sistema di analogie e di opposizio'li. ' . J .«In ques'~ te.atro, ogni creazJone viene d~lIa.scena, trova la sua traduzione e Ie sue origini 10 un Impulso pSlchtco segreto che e la Parola dt pnma delle parole » (Sur Ie theatre halinais IV p. 72 [Sui teatro Balinese, in II tealro e il suo doppio cit., p. '47]). «Questo nuovo linguag~io .. : parte dalla NECESSITA della parola, molto pili che dalla parola gilt formata». (Lettres sur Ie langage ca., IV, p. I32 [po r84]). In questo senso, la parola e iI segno, iI sintomo di una stanchezza I
2
della parola viva, di una malattia della vita. La parola espressa, come parola chiara soggetta alia trasmissione e alia ripetizione, e la morte ne! linguaggio: «Si direbbe che 10 spirit~ non potendone pili, si e deciso per delle parole limpide» (IV, p. 289). Sulla necessita di «cambiare Ia destinazione della parola ne! teatro», efr. Theatre Oriental et theatre Occidental, IV, pp. 86-87 e Le
..... . . . - , _ : v. ~• • _ _ .,~.,
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II gesto e la parola non sono ancora separati dalla logic a della rappresentazione. «Aggiungo allinguaggio parlato un altro linguaggio e cerco di restituire allinguaggio delle parole, Ie cui misteriose risorse sono state dimenticate, la sua antica efficacia magica, la sua efficacia fascinatrice, integrale. Quando dico che non daro un testa scritto, voglio dire che non daro un testo drammatico basato sulla scrittura e sulla paroIa, che negli spettacoli che allestiro ci sara una parte fisica preponderante tale da non lasciarsi fissare e scrivere nellinguaggio abituale delle parole; e che anche la parte parlata e scritta 10 sara in un senso nuovo» '. Quale sara questa «senso nuovo»? E, in primo luogo, quale sara questa nuova scrittura teatrale? Essa non dovra pili limitarsi ad una notazione di parole, rna dovra occupare l'intero campo di questa nuovo linguaggio: non solo scrittura fonetica e trascrizione della parola, rna scrittura geroglifica, scrittura in cui gli elementi fonetici si coordinano con elementi visivi, pittorici e plastid. La nozione di geroglifico sta al centro del Premier manifeste (I932) '. «Avendo preso coscienza di questo linguaggio nello spazio, linguaggio di suoni, di grida, di luci, di onomatopee, il teatro etenuto a organizzarlo, creando coi personaggi e con gli oggetti, dei veri e propri geroglifici, e servendosi delloro simbolismo e delle loro corrispondenze in rapporto a tutti gli organi e su tutti i piani». Nella scena del sogno, quale Freud la descrive, la parola ha il medesimo statuto. Bisognerebbe meditare pazientemente questa analogia. Nella Traumdeutung e nel Supplemento metapsicologico alta teoria del sogno, il posto e il funzionamento della parola sono drcoscritti. Presente nel sogno, la parol a non interviene in esso se non come elemento tra gli aItri, talvoIta come una «cosa» di cui il processo primario dispone secondo la propria economia. «I pensieri vengono aHora trasformati in immagini - fondamentalmente visive - e Ie rappresentazioni di parole sono ricondotte aIle rappresentazioni di cose corrispondenti, proprio come se tutto il processo fosse dominato da un'unica preoccupazione: la sua disposizione alIa messa in scena (Darstellbarkeit)>>. «E notevole il fatto che illavoro del sogno rispetti COS! poco Ie rappresentazioni verbali; esso esempre pronto a sostituire Ie parole una conl'altra fino al momento in cui trova l'espressione che si Iasda pili facilmente utilizzare nella messa in scena plastica» 3. Anche Artaud parla di una theatre de la cruaute (Premier manifeste), IV, p. II3 [in II teatro e il suo doppio cit.: Teatro Orientale e teatro Occidentale, p. '56 e II teatro della crudeltii (Primo manifesto), p. 17 1]. , Lettres sur Ie langage cit., IV, p. '33 [po 184]. 2 Le theatre de la cruaute (Premier manifeste) cit., IV, p. I07 [po 167]. 3 GW, X, pp. 418-19.
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«mater~alizzazione visuale e plastica della parql~~(~ dt2~ ':~tsl dell~' \ parola 111. un senso concreto e spaziale», di «nraD~POI '.' e»n og~ getto sohdo e che smuove Ie cose» '. E quandol,~ ud, p~~i.ando4el sogno, evoca la scuItura e la pittura primitiva, dov~/'> 3. E in un articolo del I9I3: «Per linguaggio ;on si ?e~e 111ten~ere qui la pura espressione del pensiero in parole, rna anche tl hnguagglo gestuale e qualsiasi altro tipo di espressione dell'attivita psichica, come la scrittura ... » «Se si pensa che i mezzi per la messa in scena del sogno sono soprattutto immagini visive e non par~le, il confronto del sogno con un sistema di scrittura ci apparira ancora pili appropriato di quello con una lingua. In effetti l'interpretazione di un sogno e perfettamente analoga alIa dedfrazione di un'antica scrittura figurativa dell'antichita, ad esempio dei geroglifici egiziani» '. E difficile poter sapere fino ache punto Artaud, che ha fatto spesso riferimento alla psicanalisi, si fosse accostato al testa di Freud. E in ogni caso notevole il fat to che egli descrive il gioco della parola e della scrittura nella scena della crudeIta, secondo i termini stessi di Freud e di un Freud a quell'epoca ancora poco chiaro. Gia nel Premier manifeste (I932): «IL LINGUAGGIO DELLA SCENA: non si tratta di sopprimere la parola articolata, rna di dare aIle parole all'incirca l'importanza che hanno nei sogni. Per il resto, bisognera trovare modi nuovi di registrare questo linguaggio, sia che ci si accosti ai modi della trascrizione musicale, sia che si ricorra a una sorta di linguaggio cifrato. Per quanto concerne gli oggetti ordinari, e anche il corpo umano, innalzati a dignita di segni eevidente che ci si puo ispirare ai caratteri geroglifici ... » '. «Leggi eterne, che sono quelle di ogni poesia e di ogni linguaggio vitale; e fra l'altro, degli ideogrammi della Cina e degli antichi geroglifici egiziani. Lungi dunque dal ridurre Ie possibilita del teatro e dellinguaggio, solo , Theatre Oriental et thee/Ire Occidental cit., IV, pp. 83, 87 [pp. 153. 156]. . 2 S. FREUD Traumd~utu?g! GW, II/III, p. 317 [L'interpretazione dei 50gni, trad. di E. Fachm~Ih e. H. Trettl Fachmelh, 10 Oper~. v~J. III, Boringhieri, Torino 1966. p. 288]. Ibid., GW. II/III, p. 282; trad. It. CIt., p. 257. , S. FREUD, Das Interesse an der Psychoanalise, GW, VIII, pp. 404-5. 5 Le theatre de la cruaule (Premier manifesle) cit., IV, p. II2 [po 171].
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perche non voglio dare testi drammatici scritti, io estendo illinguaggio della scena, ne moltiplico Ie possibilith '. Artaud non e stato per questa meno attento a rilevare Ie distanze che 10 separano dalIa psicanalisi e soprattutto dalIo psicanalista, da colui che crede di poter tenere il discorso della psicanalisi, detenerne I'iniziativa e il potere di iniziazione. Perche il teatro della crudelra e un teatro del sogno, rna del sogno crudele, cioe assolutamente necessario e determinato, di un sogno caIcolato, orientato, contrapposto a cia che Artaud credeva fosse il disordine empirico del sogno spontaneo. I procedimenti e Ie immagini del sogno possono prestarsi a una signoria. I surrealisti Ieggevano Hervey de Saint-Denys '. In questa trattamento teatrale del sogno, «poesia e scienza debbono ormai identincarsi» 3. Per questo, e certo necessario procedere secondo quella magia moderna che e Ia psicanalisi: «Propongo che si ritorni in teatro a quell'idea magica element are, ripresa dalla psicanalisi moderna». Ma non bisogna cedere davanti a quello che Artaud crede sia I'incertezza del sogno e dell'inconscio. Bisogna produrre 0 riprodurre Ia legge del sogno: «Propongo che si rinunci a quelI'empirismo delle immagini che il sogno arreca in modo casuale e che vengono emesse in modo altrettanto casuale sotto il nome di immagini poetiche» '. Poiche vuole «vedere irradiarsi e trionfare sulla scena» «cia che appartiene all'illeggibilita e alIa fascinazione magnetica dei sogni» 5, Artaud rinuta dun que 10 psicanalista come interprete, come glossatore secondo, ermeneuta 0 teorico. Egli avrebbe rinutato un teatro psicanalitico con Ia stessa violenza con cui condannava il teatro psicologico. E per Ie stesse ragioni: rinute della interiorira segreta, del Iettore, delI'interpretazione autoritaria 0 della psicodrammaturgia. «Sulla scena I'inconscio non avra un ruolo specinco. E gia abbastanza grande Ia confusione che esso produce, a cominciare dall'autore, poi da parte del regista e degli attori, e nno agli spettatori. Tanto peggio per gli analisti, i cultori dell'anima e i surrealisti... I drammi che noi daremo si pongono I Lettres sur Ie langage cit., IV, p. 133 [po 184]. , Les reves et Ie moyens de les diriger (1867) sono richiamati da Breton all'inizio di Les vases communicants. , Un athlhisme affectif, IV, p. 163 [Un'atletica affettiva, in II teatro e il suo doppio cit.,
P.203].
4 En (wir avec les che/s-d'a:uvre, IV, p. 96 [Basta con i capolavori, in II teatro e il suo doppia cit., p. 191]. 5 Manifeste p?ur un theatre avorte, II, p. 23 [Manifesto per un teatro abortito, in II teatro e il suo doppio cit., p. '3].
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decisamente al riparo da qualsiasi commentatore segreto» '. Per il suo posta e il suo statuto, 10 psicanalista farebbe parte della struttura della scena classica, della sua conformazione sociale, della sua metansica religione, ecc. ' II teatro della crudelta non sarebbe dunque un teatro dell'inconscio. Quasi il suo contrario. La crudelta e Ia coscienza, e Ia Iucidita messa in mostra. «Non si ha crudeIta senza coscienza, senza una sorta di coscienza applicata». E questa coscienza vive appunto per un assassinio, e Ia coscienza dell'assassinio. Lo accennavamo pill sopra. Artaud 10 afferrna nella Premiere lettre sur la cruaute: «E Ia coscienza a conferire aII'esercizio di qualsiasi atto della vita un colore di sangue, una nota crudele, perche e chiaro che Ia vita e sempre Ia morte di qualcuno» '. Forse e anche contro una certa descrizione freudiana del sogno come compimento sostitutivo del desiderio, come funzione di vicariato che insorge Artaud: egli vuole, con il teatro, restituire Ia sua dignira ~I sogno e farne qualcosa di pill originario, di pill Iibero, di pill affermatore di quanto risulti una attivita sostitutiva. E forse contro una certa immagine del pensiero freudiano che egli scrive, nel Premier manifeste: «Ma considerare il teatro una funzione psicologica 0 morale di seconda mano, e credere che i sogni stessi non siano aItro che una funzione sostitutiva, sign inca diminuire Ia portata poetic a profonda sia dei sogni che del teatro» '. Innne un teatro psicanalitico rischierebbe di essere dissacrante di confermare COS1 I'Occidente nelle sue intenzioni e nel suo decorso: II teatro della crudelra e un teatro ieratico. La regressione verso l'inconscio 4 si arena, se non sa risvegliare il sacro, se non e esperienza «mistica» della «rivelazione», della «manifestazione» della vita, nella Ioro prima adeguazione 5. Abbiamo gEl vis to Ie ragioni per Ie quali i gerogli, Le Theatre Alfred larr)' et l'hostilite publique, II, p. 45 [II Teatro Alfred larry e ['ostilita pubblica, in II teatro e il suo doppio cit., p. 28]. «Miseria di una improbabile psiche che it con-
sor~io di presu~ti psicologi n?n ha mai smesso di appuntare sui muscoli dell'umanitll» (lettera scntta da Espahon a Roger Elm, 25 marzo 1946). «Ci rimangono solo pochissimi e contestabilissimi documenti sui Misteri [medievali]. E certo che dal punto di vista scenico avevano risorse che il teatro ha ormai da seeali perduto, rna sui contrasti rimossi dell'anima, vi si poteva trovare una sapienza che la moderna psicanalisi comincia appena ora a riseaprire e in un senso molto meno ellicace e moralmente meno fecondo di quanto accadesse nei drammi mistici che venivano recitati sui sagrati» (2,1945). Questo frammento pieno di attacchi contro la psicanalisi. , Leltres sur la cruaute cit., IV, p. 121 [po 178]. , Le theatre de la cruaute (Premier manifeste) cit., IV, p. lIO [po 169]. 4 La mise en scene et la mhaphysique, IV, p. 57 [La messa in scena e fa metafisica in II teatro e if suo doppio cit., p. 137]. ' I «Questo modo poetico e attivo di considerare I'espressione sulla scena ci porta sotto tutti i riguardi ad abbandonare l'accezione umana, attuale e psicologica del teatro per ritrovare I'accezione religiosa e mistica di cui it nostro teatro ha smarrito completamente il s;nso. Che se poi basta che qualcuno pronunci Ie parole refigioso 0 mistico perche 10 si scambi per un sacrestano 0 per qualche bonzo profondamente iIletterato ed estrinseco di un tempio buddista, buono tutt'al pili
e
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£lei dovevano sostituirsi ai segni puramente fonid. E necessario aggiungere che questi ultimi sono menD direttamente in rapporto di quelli con l'immaginazione del sacro. «E io voglio [rna in un altro passo, Artaud dice "io posso"] col gerogli£lco di un soflio ritrovare un'idea del teatro sacro» '. Una nuova epifania del soprannaturale e del divino deve prodursi nella crudelta. Non malgrado, rna grazie all'allontanamento di Dio e alIa distruzione del meccanismo teologico del teatro. II divino e stato corrotto da Dio. Cioe dall'uomo che, permettendo che Dio 10 allontanasse dalla Vita, che la sua nascita fosse usurpata, e diventato uomo per aver insozzato la divinita del divino: «Poiche lungi dal ritenere il soprannaturale, il divino, invenzione delI'uomo, io penso che l'intervento millenario delI'uomo ha £lnito per corrompere il divino» '. La restaurazione della divina crudelra passa quindi attraverso l'assassinio di Dio, cioe, in primo luogo, dell'uomo-Dio J. Forse ora possiamo chiederci non tanto a quali condizioni un teatro moderno resterebbe fedele ad Artaud, rna in quali casi gli sarebbe sicuramente infedele. Quali possono essere i temi dell'infedelta anche in coloro che si richiamano ad Artaud, in quel modo attivo e clamoroso che si e detto? Ci accontenteremo di nominare questi temi. Rimane senza dubbio estraneo al teatro della crudelta: I. Ogni teatro non sacro. 2. Ogni teatro che accordi dei privilegi alIa parola, 0 meglio al verbo, ogni teatro di parole, anche se questa privilegio diventa privilegio di una parol a che distrugge se stessa, ritornando ad essere gesto 0 ripeper manovrare una sonagliera fisica di preghiere, questo denuncia soltanto la nostra incapacita di trarre da una parola tutte Ie sue conseguenze ... » (La mise en scene et la metaphysique cit., IV, pp. 56-57 [po 137)). «E un teatro che elimina l'autore a profitto di quello che, nel nostro gergo teatrale di Occidente chiameremmo il regista; rna in questo caso il regista diventa una sorta di ordinatore magico, un maestro di cerimonie sacre. E la materia su cui lavora, i temi che fa pulpitare, non appartengono a lui rna agli dei. Vengono, si direbbe, dai nessi primitivi della Natura che egli va agitandc il MAN1FESTATO. E una sorta di che uno Spirito doppio ha visitato. Fisica prima, dalla quale 10 Spirito non si mai disgiunto ... in esse [Ie realizzazioni del teatro balinese) qualcosa del cerimonial~ di un rito religioso, in questo senso che esse estirpano dallo spirito di chi vi assiste qualsiasi idea di simulazione, di imitazione irrisoria della real til ... I pensieri a cui tende, gli stati d'animo che cerca di produrre, Ie soluzioni mistiche che propone, sono agitati, sollevati e raggiunti senza indugi e senza ambagi. Tutto cia come un esorcismo per fare AFFLUIRE i nostri demoni» (Cfr. Sur Ie thedtre balinais cit., IV, pp. 72-73 [po 147); efr. anche: IV, pp. 318-19 e V, p. 35). 1 Le Theatre de Seraphin, IV, p. 182 [II Teatro di Seraphin, in Tl teatro e if suo doppio cit., p. 215) e Un athletisme affectif, IV, p. 163 [po 203]. 2 Le thedtre et la culture cit., IV, p. 13 [po lIO). J E necessaria restaurare contro il patto di terrore che ha fatto nascere I'uomo e Dio, l'unitll del male e della vita, del satanico e del divino: «10, M. Antonin Artaud, nato a Marsiglia il 4 settembre 1896, io sono Satana e sono dio e non voglio saperoe della Vergine Santa» (scritta da Rodez, settembre 1945).
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e C'e
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tizione disperata, rapporto negativo della parol a a se, nichilismo teatrale, quello che si chiama anche teatro dell'assurdo. Un simile teatro, non solo sarebbe consunto nella parola e non distruggerebbe il funzionamento della scena classica, rna non sarebbe neppure, nel senso in cui 10 intendeva Artaud (e senza dubbio anche Nietzsche) afJermazione. 3. Ogni teatro astratto che escluda qualcosa dalla totalita dell'arte, cioe dalla vita e dalle sue risorse di signi£lcazione: danza, musica, volume, profondita plastica, immagine visiva, sonota, fonica, ecc. Un teatro astratto e un teatro nel quale non sarebbe consumata la totalita del sen so e dei sensi. Avremmo torto a concludere che e sufliciente accumulare e sovrapporre tutte Ie arti per ere are un teatro totale che si rivolga all'«uomo totale» '. Non vi e nulla di pili distante da Artaud di questa totalita composta, di questa scimmiottamento esteriore e arti£lciale. Al contrario, certe apparenti estenuazioni dei mezzi scenici, talvolta perseguono con maggior rigore il procedimento di Artaud. Supponendo, e noi non 10 crediamo, che abbia senso parlare di una fedelta ad Artaud, che ci sia qualcosa come un suo messaggio (questa semplice nozione 10 tradisce gia), oggi si impongono una rigorosa e minuziosa e paziente e implacabile sobrieta nellavoro della distruzione, una sottigliezza misurata che prenda in attenta considerazione Ie parti principali di una macchina ancora molto resistente, certamente pili di una mobilitazione generale delle arti e degli artisti, pili del disordine e delI'agitazione improvvisata sotto la sorveglianza ironica e tranquilla della polizia. 4. Ogni teatro della distanziazione. Quest'ultimo £lnisce solo per sanzionare, con insistenza propedeutica e con pesantezza sistematica la non-parteeipazione degli spettatori (e per£lno dei registi e degli attori) all'atto creatore, alIa forza di rottura che apre 10 spazio della scena. II VerfremdungsefJekt rimane prigioniero di un paradosso classico e di quelI'«ideale europeo dell'arte» che «tende a gettare 10 spirito in uno stato di separazione dalla forza e a farlo assistere alIa propria esaltazione» '. Dal momento che «nel teatro della crudelra 10 spettatore e al centro mentre 10 spettacolo 10 eirconda» J, la distanza dello sguardo non e pili pura, non puo astrarsi dalla totalita dell'ambiente sensibile; 10 spettatore investito non puo pili costituire i1 suo spettacolo e darselo Sullo spett2colo integrale, efr. Le Theatre Alfred larry, II, pp. 33-34 [po 20]. Questa tema critica delI'esperienza estetica come disinteresse. Essa ricorda la critica di Nietzsche alia filosofia kantiana dell'arte. Questo tema, in Artaud come in Nietzsche, non deve apparire in contraddizione con il valore della gratuitll ludica nella creazione artistica. Al contrario. 2 Cfr. Le theatre et la culture cit., IV, p. 15 [po III]. 3 Cfr. Ell finir avec les che/s-d'(f!uvre cit., IV, p. 98 [po 162]. 1
e spesso accompagnato da allusioni alia partecipazione come «emozione interessata >>:
La scrittura e la differenza
come oggetto. Non c'e pill ne spettatore ne spettacolo, c'e una lesta '. Tutti i limiti che solcano la teatralita cIassica (rappresentato/rappresentante, significato/significante, autore/regista/attore/spettatore, scena/ sala, testo/interpretazione, ece.) erano interdizioni etico-metafisiche, rughe, smorfie, rictus, sintomi della paura di ftonte al pericolo della festa. Nello spazio della festa, aperto alla trasgressione, la distanza della rappresentazione non dovrebbe pill poter essere aperta. La festa della crudelt?t elimina Ie ribalte e Ie balaustre di fronte al «pericolo assoluto» che «e senza fondo» (settembre 1945): «Mi occorrono degli attori che siano innanzitutto degli esseri umani, che non abbiano paura, cioe, sulla scena, della sensazione vera di una coltellata, e delle angosce per loro assolutamente reali di un parto simulato, Mounet-Sully crede a quello che fa e ne da l'ilIusione, rna sa di essere dietro un parapetto, io sopprimo il parapetto ... » (lettera a Roger Blin). Nei confronti della festa, che invoca Artaud e di quella minaccia del «senza fondo», l'«happening» fa sorridere: sta all'esperienza della crudelta come il carnevale di Nizza starebbe, probabilmente, ai Misteri eleusini. In particolare per il fatto che sostituisce l'agitazione politica a quella rivoluzione totale che prescriveva Artaud. La festa deve essere un atto politico. E l'atto di rivoluzione politica e teatrale. 5. Ogni teatro non-politico. Abbiamo detto che la festa deve essere un atto politico e non la trasmissione pill 0 meno eloquente, pedagogica e civilizzata di un concetto 0 di una visione politico-morale del mondo. Se riflettiamo - rna non possiamo farlo qui - sui senso politico di questa atto e di questa festa, nelI'immagine della societa da cui qui Artaud sembra sedotto, dovremmo giungere ad evocare, per osservare la pill grande differenza nella pill grande aflinita, quello che anche per Rousseau mette in relazione la critica dello spettacolo cIassico, la diflidenza nei confronti dell' articolazione nellinguaggio, l'ideale della festa pubblica al posto della rappresentazione, e un certo modello di societa perfettamente presente a se, organizzata in piccole comunita, tale da fare apparire inutile e nefasto nei momenti decisivi della vita sociale I'uso della rappresentazione. Della rappresentazione, della supplenza, della delega sia politica che teatrale. Si potrebbe dimostrarlo in modo molto preciso: e del rappresentante in generale - qualsiasi cosa esso rappresenti - che diflida Rousseau, tanto nel Contrat social quanta in quella Lettre it d' Alambert in cui egli propone di sostituire Ie rappresentazioni teatrali con delle feste pubbliche senza esposizione ne spet, Cfr. Le thedtre ella cruaute cit., IV, p. r02 [Po r64).
II teatro della crudelta e la chiusura della rappresentazione
tacolo, senza «nulla da vedere» e nelle quali gli spettatori diventeranno essi stessi gli attori: «Ma, infine quali saranno gli oggetti di questi spettacoli? Niente, se si vuole ... Pian tate nel centro di una piazza un palo con una ghirlanda di fiori, radunate il popela e avrete una festa. Fate ancora di pill, fate degli spettatori uno spettacolo: fateli diventare attori anch' essi». 6. Ogni teatro ideologico, ogni teatto di cultura, ogni teatro di comunicazione, d'interpretazione (nel senso corrente, beninteso, non nel senso nietzschiano), ogni teatro che si sforzi di trasmettere un contenuto, di diffondere un messaggio (di qualsiasi tipo: politico, religioso, psicologico, metafisico, ecc.), che offra all'interpretazione degli ascoltatori' il senso di un discorso, che non si esaurisca completamente nell'atto e nel tempo presente della scena, che non si identifichi con quest'ultima, che possa essere ripetuto senza di essa. Qui noi arriviamo a quella che sembra essere I'essenza profonda delI'intenzione di Artaud, la sua decisione storico-metafisica. Artaud ha voluto cancellare la ripetizione in generate. La ripetizione era per lui il male e senza dubbio potremmo effettuare tutta una lettura dei suoi testi intorno a questa centro. La ripetizione separa da se la forza, la presenza, la vita. Questa separazione e il gesto economico e calcolatore di cio che si differisce per conservarsi, di cio che riserva il dispendio e cede alla paura. Questa facolta di ripetizione ha domina to tutto quanta Artaud ha voluto distruggere e ha nomi diversi: Dio, I'Essere, la Dialettica. Dio e l'eternita la cui morte dura indefinitamente, la cui morte, in quanto differenza e ripetizione nella vita, non ha mai smesso di minacciare la vita. Noi non dobbiamo temere il Dio vivente, ma il Dio-Morte. Dio e la Morte. «Perche anche I'infinito e morto, I infinito e il nome di un morto I che non e morto» '. Dove c'e ripetizione c'e Dio, il presente si conserva, si riserva, vale a dire si sottrae a se stesso. «L'assoluto non e un essere e non 10 sara mai perche non puo esserlo senza una azione criminosa nei miei confronti, senza strapparmi un essere, che un giomo ha voluto essere , II teatro della crudelta non e solamente uno speltacolo senza speltatori. e una parola senza ascoltatori. Nietzsche: «L'uomo in preda all'eccitazione dionisiaca, come la folIa orgiastica, non ha ascoltatori ai quali debba comunicare qualcosa, mentre il narratore epico e l'artista apollineo in generale, presuppongono quell'ascoltatore. La mancanza di ogni considerazione per I'aseoltatore, einvece una caratteristica dell'arte dionisiaca. II seguaee entusiasta di Dioniso non ecompreso che dai suoi pari, come ho gia detto in un altro luogo. Ma se noi ci rappresentiamo uno spettatore ehe assiste ad una delle eruzioni endemiche dell'eccitazione dionisiaca, noi dovremo predire per lui una sorte simile a quella di Penteo, il profano indisereto che fu scoperto e dilaniato dalle menadi » ... «Ma il melodramma, secondo Ie pili esplicite testimonianze, incomincia con questa pretesa dell'ascoltatore di comprendere Ie parole. Possibile? L'ascoltatore avrebbe delle pretese? Le parole dovrebbero essere capite?» 1 In «84».
La scrittura e la differenza
dio mentre cia non e possibile, poiche Dio non puo manifestarsi in una sola volta, dato che si manifesta una infinita di volte per tutti i momenti dell'eternita come l'infinito delle volte e dell'eternita, il che produce la perpetuita» (9, I945)· Altro nome della ripetizione rappresentativa: l'Essere. L'Essere e la forma sotto la quale possono mescolarsi e ripetersi nella parola la diversita infinita delle forme e delle forze di vita e di morte. Perche non c'e parola ne segno in generale che non sia costruito dalla possibilita di ripetersi. Un segno che non si ripete, che non e gia separato dalla ripetizione dalla sua «prima volta», non e un segno. II rinvio significante deve dun que essere ideale - e I'idealita e solo la facolta certa della ripetizione - per rinviare ogni volta allo stesso. Per questo l'Essere e la parol a chi ave della eterna ripetizione, la vittoria di Dio e della Morte suI vivere. Come Nietzsche (per esempio nella Filoso/ia all' epoca tragica dei greci), Artaud rifiuta di assoggettare la Vita alI'Essere e rovesda I'ordine della genealogia: «In primo luogo vivere ed essere secondo la propria anima, il problema delI'essere ne e solo la conseguenza» (9, I945)· «Non esiste nemico peggiore per il corpo umano dell'essere» (9, I947)· Alcuni altri inediti esaltano quello che Artaud chiama propriamente 1'«al di la delI'essere» (2,1947), usando questa espressione di Platone (che Artaud ha certamente letto) in uno stile nietzschiano. Infine la Dialettica e quel movimento per cui il dispendio e recuperato nella presenza, e l'economia della ripetizione. L'economia della verita. La ripetizione riassume la negativita, raccoglie e conserva il presente passato come verita, come idealita. II vero e sempre quello che si lascia ripetere. La non-ripetizione, il dispendio definitivo e senza recupero nell'unica volta che esaurisce il presente, deve metter fine aUa discorsivita spaurita, alI'ontologia illimitata, alia dialettica, «poiche la dialettica [una certa dialettica] e queUo che mi ha perduto ... » (9, 1945). La dialettica e sempre queUo che ci ha perduti perche e sempre quello che tiene con to del nostro rifiuto. COS1 come della nostra affermazione. Rifiutare la morte come ripetizione significa affermare la morte come dispendio presente e senza recupero. E inversamente. E uno schema che guarda con sospetto la ripetizione nietzschiana della affermazione. II dispendio puro, la generosita assoluta che offre I'unicita del presente alia morte perche possa manifestarsi il presente come tale, ha gia cominciato a voler conservare la presenza del presente, ha gia aperto il libro e la memoria, il pensiero dell'essere come memoria. Non volet conservare il presente e voler preservare quello che costituisce la sua insostituibile e mortale presenza, quello che in esso non si ripete. Godere
I1 teatro della crudelta e la chiusura della rappresentazione
della pura differenza. Tale sarebbe, ridotta al suo schema elementare, la mat rice della storia del pensiero che si pensa da Hegel in poi. La possibilita del teatro e necessariamente il cuore di questa pensiero che riflette la tragedia come ripetizione. In nessun altro luogo la minaccia della ripetizione e COS1 ben organizzata come nel teatro. In ~es sun altro luogo ci si trova COS1 vicini alIa scena come origine della npetizione, COS1 vicini alIa ripetizione primitiva che si tratterebbe di ca?cellare, staccandola da se stessa come daI suo doppio. Non nel senso 111 cui Artaud parlava del Theatre et son double I, ma indicando in tal modo quella piega, quella duplicazione intern a che sottrae al t~atro, a~la vita, ecc. la presenza semplice del suo atto presente, nel mOVlmento lrreptimibile della ripetizione. «Una sola volta» e l'enigma di cia che non ha senso, non ha presenza, non e leggibile. Ora, per Artaud, la festa della crudelta non dovrebbe aver luogo che una sola volta: «Lasciamo ai pedanti la critica testuale, agli esteti la critica formale, e rico~osciamo che cia che e stato detto non e pili da dire: che una espreSSlOne non vale due volte non vive due volte; che ogni parol a pronunciata e morta, e non agisce che nel momento in cui viene pronunciata, che una forma, quando sia stata impiegata non serve pili e invita soltanto a ricercarne un'altra, e che il teatro eil solo luogo al mondo dove un gesto fatto non si ricomincia due volte» '. E in effetti il suo modo di manifestarsi: la rappresentazione teatrale e finita, non lascia dietr? di se, ?ie~ro la. sua attualita, alcuna traccia, alcun oggetto da portar Via. Non e ne un h?ro ne un'opera, ma una energia e in questo senso e l'unica arte della vita. «11 teatro insegna appunto I'inutilita dell'azione, che una volta c?mpiuta non e pili da compiere e I'utilita superiore di ~na ~ondiz}one 111Utilizzata delI'azione che rovesciata, produce la subhmazlOne» . In questo senso il teatro della' crudelta sarebbe l' arte della differenza e del dispendio senza economia, senza riserva, senza recupero, s~nza s~oria. Presenza pura come differenza pura. II suo atto deve essere dlmentlcato, attivamente dimenticato. E necessario mettere in pratica in esso quell a aktive Vergeszlichkeit eli cui parla la seconda dissertazione della Genealogia della morale, che ci spiega anche la «festa» e la «crudelth (Grausamkeit). I Lettera a J. Paulhan (25 gennaio I936): «10 credo di aver trovato il t!tolo ch~ convie~e ~I mia libro. Sara: LE THF.ATRE ET SON DOUBLE, per~h~ se il.teatro duplica l~ vIta, Ia vIta d~phca !l vero teatro ... Questa titolo fara riferimento a tuttI I doppi del teatro che 10 ho .cred~to. dl t~ov~r~ da tanti anni in qua: I. metafisica, la peste, la crudelta... E sullo scena che Sl nCOStltUisce 1 uOita del pensiero, del gesto, dell'.~to» (V, .pp. 272-73). , En finir avec les che/s-d ceuvre CIt., IV, pp. 90-9I [po I58]. 1 I bid., p. 99 [po I63].
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La scrittura e Ia differenza
II disgusto di Artaud per la scrittura non teatrale ha il medesimo senso. Quello che 10 ispira, non e, come nel Fedro, il gesto del corpo, l'impronta sensibile e mnemotecnica, ipomnestiea esterna all'inscrizione della verita nell'anima, ma e invece la scrittura come luogo della verita intelligibile, l'altro del corpo vivo, l'idealita, la ripetizione. Platone critiea la scrittura come corpo. Artaud come cancellazione del corpo, del gesto vivo che ha luogo una sola volta. La scrittura e 10 spazio stesso e la possibilita della ripetizione in generale. Per questo «bisogna porre fine a questa superstizione dei testi e della poesia scritta. La poesia scritta vale una volta, e poi sia distrutta» '. Se esponiamo COS1 i temi dell'infedelta, si capisce subito che Ia fedelta risuIta impossibile. Non esiste oggi nel mondo un teatro che corrisponda al desiderio di Artaud. E da questo punto di vista non si dovrebbe fare eccezione neppure per i tentativi di Artaud stesso. Egli 10 sapeva meglio di chiunque altro: la «grammatiea» del teatro della crudelta di cui dieeva che era «da trovare», restera sempre illimite irraggiungibile di una rappresentazione che non sia ripetizione, di una ripresentazione che sia presenza piena, che non rechi in se il suo doppio come sua morte, di un presente che non ripeta, cioe di un presente fuori del tempo, di un non-presente. II presente non si da come tale, non si manifesta, non si presenta, non apre la scena del tempo 0 il tempo della scena, se non accogliendo la propria differenza interna, se non nella piega interiore della propria ripetizione originaria, nella rappresentazione. Nella diaIettiea. Artaud 10 sapeva bene: « ... una certa dialettiea ... » Perche se si pensa convenientemente I'orizzonte della dialettiea - aI di Ia di un hegelismo convenzionale -, forse si capisce che essa e iI movimento indefinito della finitezza, dell'unita della vita e della morte, della differenza, della ripetizione originaria, cioe l'origine della tragedia come assenza di origine semplice. In questo senso Ia diaIettiea e Ia tragedia, l'uniea affermazione possibile contro I'idea filosofica 0 cristiana dell'origine pura, contro 10 «spirito del cominciamento»: «Ma 10 spirito del cominciamen to non ha mai smesso di farmi fare sciocchezze e io non ho mai smesso di separarmi dallo spirito del cominciamento che e 10 spirito cristiano» (settembre 1945). II tragieo non e l!impossibilita, ma la necessita della ripetizione. , En finir avec les chefs-d'ceuvre cit., IV, pp. 93-94 [po r60].
II teatro della crudelta e Ia chi usura della rappresentazione
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Artaud sapeva che il teatro della crudelta non comincia ne si compie nelIa purezza delIa semplice presenza, ma gia nella rappresentazione, nel «secondo tempo della Creazione», nel con£1itto delle forze che non ha potu to essere quello di una semplice origine. La crudelta puo indubbiamente cominciare a esercitarvisi, ma con cio deve anche lasciarsi cominciare. L'origine e sempre gia cominciata. Tale e l'alchimia del teatro: «Forse prima di and are oltre, qualcuno ci potrebbe domandare che cosa intendiamo per teatro tipieo e primitivo. Ed entreremo COS1 nel euore stesso del problema. Se infatti si pone la questione delle origini e della ragione d'essere (0 della necessita primordiale) del teatro, troviamo da un Iato e suI piano metafisico, Ia materializzazione, 0 piuttosto l'esteriorizzazione di una sotta di dramma essenziale che con tiene, in forma insieme molteplice e unitaria, i principi essenziali di ogni dramma, gia orientati e divisi, non tanto da perdere illoro carattere di principi, rna quanta basta per contenere, in modo sostanziale e attivo, cioe pieno di risonanze, infinite prospettive di con£1itto. Analizzare filosoficamente un tale dramma, e impossibile, e solo suI piano poetico ... E questo dramma essenziale - ce ne rendiamo conto perfettamente, esiste, ed e a immagine di qualcosa di pili sottile della Creazione stessa, che dobbiamo pure rappresentarci come il prodotto di una Volonta unit aria - e senza conflitto. Dobbiamo pens are che il dramma essenziale, il dramma che era alIa base di tutti i Grandi Misteri, sposa il secondo tempo della Creazione, quello della difficolta e del Doppio, quel10 della materia e del condensarsi dell'idea. Si direbbe che Ia dove regnano la semplicita e l'ordine, non possa esserci teatro ne dramma, e il vero teatro nasce, come del resto Ia poesia, ma per altre vie, da una anarchia che si organizza '. Anche il teatro primitivo e Ia crudelta cominciano dunque dalla ripetizione. Ma l'idea di un teatro senza rappresentazione, I'idea dell'impossibiIe, se non puo aiutarci ad organizzare una prassi teatraIe, ci permette forse di pensare l'origine, Ia vigilia e illimite, di pensare il teatro oggi, a partire dall'apertura della sua storia e nell'orizzonte della sua morte. L'energia del teatro occidentale si Iascia cOSI delineare nella sua possibilita, che non e accidentaIe, che per tutta la storia dell'Occidente eun centro costitutivo ed un luogo strutturante. Ma la ripetizione sottrae il centro e illuogo, e quanta ora abbiamo detto della sua possibilita dovrebbe proibirci di parlare della morte come di un orizzonte e della nascita come di una apertura passata. 1
Le theatre alchimique cit., IV, pp. 60-62 [PO. [39401.
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La sed ttura e la differenza
Artaud si e tenuto quanto pili vicino era possibile allimite: alla possibilita e impossibilira del teatro puro. La presenza per essere presenza e presenza a se, ha sempre gia cominciato a .ri?~ese?t?rsi, ha gi.a sempre pre so l'avvio. L'affermazione stessa deve llllZlarSI npet.endosl. E questa vuol dire che l'assassinio del padre che apre la stona della rappresentazione e 10 spazio della tragedia, l'assassinio del padre che Artaud, infine, vuole ripetere pili vicino alla sua origine m~ per una volta sola, questa assassinio, non ha fine e si ripete indefil11tamente. Comincia ripetendosi. Prende avvio nel suo primo commento e si accompagna alla propria rappresentazione. E con questo si cancella e conferma la legge trasgredita. E sufficiente per questa che ci sia un segno, vale a dire una ripetizione. Sotto questa aspetto del limite e nella misura in cui esso ha voluto salvare la purezza di una presenza senza differenza interna e s~nza ri~e tizione (0, e questo significa paradossalmente la stessa cosa, dl una dlfferenza pura '), Artaud ha anche desiderato l'impossibilita del t:,atro, ha voluto cancellare egli stesso la scena, ha voluto non vedere pm quello che succede in un luogo sempre abitato e infestato dal padre e soggetto alla ripetizione dell'assassinio. Artaud non d~sidera fors~ ridurre Farchi-scena, quando scrive in Ci-Git: «Io Antol11n Artaud, 10 sono mlO figlio, I mio padre, mia madre, I.ed. io»? . .. , . Di essersi tenuto cos1 suI hmIte della posslblhta teatrale, dl avere voluto nello stesso tempo produrre e annullare la scena, e cosa di cui egli aveva perfettamente coscienza. Dicembre I946:
«Ed ora io diro una cosa che probabilmente meravigliera molti.
r0 sono il nemico
del teatro. Lo sono sempre stato. Tanto amo il teatro, e altrettanto e proprio per questa so no il suo nemico». Lo si vede subito dopo: e al teatro come ripetizione che egli non sa rassegnarsi, al teatro come non-ripetizione che non sa rinunciare:
«It teatro eun travaso appassionato, un transfert spaventoso di forze dal corpo al corpo. I Quando si vuole reintrodurre una purezza .nel con~ett.o di d.ifferenza, 10 si ricond,:,ce alia non·differenza e alia presenza piena. Questo movlme~to. e t:leno dl co~s~gue~ze per. ogm tenta· tivo che si opponga ad un anti.hegeJismo puramente md,catlvo. Non VI Sl puo sfugglre, sembra,
II teatro della erudelt?t e la ehiusura della rappresentazione
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Questo transfert non pUG riprodursi due volte. Nulla di piu empio del sistema dei Balinesi che consiste, dopo aver prodotto per una volta questa transfert, invece di cercarne un altro, nel ricorrere ad un sistema di appositi sortilegi per togliere alta fotografia astrale, gesti gia conquistati». II teatro come ripetizione di quel che non si ripete, il teatro come ripetizione originaria della differenza nel conflitto delle forze, in cui «il male e la legge permanente e quello che e bene e uno sforzo e gia una crudelta sovrapposta all'altra», e questa illimite mortale di una crudelta che comincia con la propria rappresentazione. La rappresentazione, in quanto e gia da sempre cominciata, non ha dun que fine. Ma e possibile pensare la chiusura di quello che non ha fine. La chiusura e illimite circolare all'interno del quale la ripetizione della differenza si ripete senza fine. Cioe il suo spazio di gioco. Questo movimento e il movimento del mondo come gioco. «E per l'assoluto, la vita stessa e un gioco» '. Questo gioco e la crudelra come unita della necessira e del caso. «E il caso che e l'infinito e non dio» (Fragmentations). Questo gioco della vita e artistico '. Pensare la chiusura della rappresentazione, vual dunque dire pensare la potenza crudele di morte e di gioco che permette alIa presenza di nascere a se, di godere di se attraverso la rappresentazione in cui si sottrae alIa sua differanza. Pensare la chi usura della rappresentazione significa pensare il tragico: non come rappresentazione del destino rna come destino della rappresentazione. La sua necessita gratuita e senza fondo. E pensare anche perche e fatale che, nella sua chiusura, la rappresentazione continui. se non pensando la differenza fuori dalla detcrminazione dell'essere come presenza, fuori dall'al. ternativa della presenza e dell'assenza e di quanto esse dominano, se non pensando la differenza come impurita di origine, doe come differanza nell'economia finita della stesso. , IV, p. 282. 1 Ancora Nietzsche. Questi testi sono noti. Cos1, per esempio, sullo traccia di Eradito: «E cos1 come giocano il fandullo e I'artista, gioca il fuoco eternamente vivo, costruisce e distrugge nell'innocenza e questo gioco gioca l'Eone can se stesso ... II fanciullo getta via qualche volta il suo giocattolo; rna subito 10 raccogJie per un capriccio innocente. Ma appena costruisce, collega, adatta e da forma, secondo una legge e una regola interna. Cosl considera il mondo solo l'uomo estetico che ha imparalo dall'artista e dana creazione dell'opera d'arte che la latta della molteplidta puo, malgrado tutto, portare in se la legge e il diritto; ha imparato dall'artista a stare al di sopra dell'opera c nello stesso tempo in essa, contemplandola, pur continuando a operare in essa; ha imparato la necessitit e il gioco, il contrasto e I'armonia, in quanta essi debbono accor. darsi per produrre l'opera d'arte» in Werke, Carl Hanser Verlag, Miinchen 1956, vol. III, pp. 367.68 [trad. it. La (iloso{ia nell'epoca tragica dei greci, Athena, Milano 1926]).
DaIl'economia ristretta all'economia generale * Un hegelismo senza riserve
Egli [Hegel] non seppe fino ache punto aveva ragione. G. BATAILLE
«Spesso Hegel mi sembra l'evidenza stessa, ma l'evidenza epes ante da sostenere» '. Perche oggi - ancora oggi - i migliori lettori di Bataille sono tra coloro per cui l'evidenza hegeliana sembra COS! lieve da portare? COS! lieve che un accenno allusivo a certi concetti fondamentali - ottimo pretesto, talvolta, per non scendere nei dettagli - una certa indulgenza di convenzione, una sordid al testo, un richiamo alla complicita nietzschiana 0 marxiana, bastano a sciogliere dalla sua presa. Forse per il fatto che l'evidenza sarebbe troppo pes ante da sostenere e aHora si preferisce un'alzata di spalle alla disciplina. E - contrariamente a quel che fece Bataille - eper ritrovarsi, senza saperlo e senza vederla, dentro l'evidenza hegeliana, che spes so si crede di essersene sbarazzati. Misconosciuto, preso alla leggera, l'hegelismo continuerebbe COS! ad estendere la sua predominanza storica, dispiegando infine incontrastato, Ie sue immense risorse di coinvolgimento. L'evidenza hegeliana appare pili lieve che mai, proprio nel momento in cui grava con tutto il suo peso. Anche questo, Bataille, 10 aveva temuto: pesante, «essa 10 diventera sempre pili in seguito». E se pili di ogni altro, pili che ad ogni altro si proclamo vicino a Nietzsche, fino all'identificazione, non era, in questa caso, allo scopo di semplificare: Nietzsche conobbe di Hegel poco pili che una volgarizzazione convenzionale. La Genealogia della morale ela prova singolare dell'ignoranza in cui rimase e continua a rimanere avvolta la lucidita abbagliante della dialettica del signore e del servo ... non si sa nulla di se, se non si eafIerrato questo movimento che determina e delimita Ie possibilitii successive dell'uomo '.
Sostenere l'evidenza hegeliana significherebbe oggi questa: che e necessario, in tutti i sensi dell'espressione, passare at traver so il «sonno " De l'economie restreinte a/'economie generale: un hegelianisme sans reserve, in «L'Arc», maggio I967 (fascicolo su G. Bataille). , Le coupable, Gallimard, Paris I944. 2 L'experience intbieure, Gallimard, Paris I943.
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Dall'economia ristretta all'economia generale
La scrittura e la differenza
della ragione», quello stesso ch~ genera e che ad,d.ort;Jenta.i mostri.; ch~ e necessario attraversarlo effettlvamente perche tl nsvegho non tlSUltl un inganno del sogno. Vale a dire ancora della ragione. ~l sonno della ragione non significa forse la ragione addorn:entata ma 1: sonn.o .nella forma della ragione, la veglia del logos hegehano. La raglOne vlgtla su di un sonno profondo a cui einteressata. Ora se «una evidenza accolta nel sonno della ragione perde(ra) il carattere del risveglio»' enecessario, per aprire gli occhi (e Bataille non ha mai i?~eso fare al~ro, gi~sta mente convinto di rischiarvi la morte: «la condlzlOne per cui potret vedere e quella di morire»), avere passato la notte con la ragione, aver vegliato e dormito con essa: la notte intera, fino al mattino, fino a quell'altro crepuscolo che somiglia fino a farsi scambiare con ess~, - c?me il calar del giorno assomiglia al calare della notte, - all'ora m CUI ~n· che l'animale filosofico puo finalmente aprire gli occhi. Que] mattmo e non un altro. Perche in fondo a quella notte qualche cosa era stato tramato ciecamente, voglio dire in un discorso, attraverso il quale la filosofia: nel suo compimento, comprendeva in se, anticipava, per tenerle vicino a se, tutte Ie figure del suo al di la, tutte Ie forme e tutte.Ie ' risorse del suo fuori. Attraverso la semplice presa della loro enunClazione. Tranne forse, un certo riso. Forse. . Ridere della filosofia (dell'hegelismo) - equesta, in effetti, la forma del risveglio - richiede allora tutta una «disciplina», un «metodo di meditazione» che riconosca i procedimenti del filosofo, che comprenda i1 suo gioco, che sfrutti Ie sue stesse astuzie,.che ma~~ggi Ie su~ carte; che gli permetta di sviluppare Ia sua strategla, che s Impadrol11sca del suoi testi. Poi, grazie a questo Iavoro che I'ha preparato - e la filosofia, per Bataille, eillavoro - ma rompendo improvvis~mente, furtivamente imprevedibilmente con esso, tradimento 0 dlstacco, seccamente; es~lode il riso. Almeno, in momenti pri;ilegi~ti, che pi~ c~e mo~ent1 sono movimenti sempre abbozzati dell espenenza, ran, dlscretl, leg. geri, senza ingenuita trionfante, disc~sti d?IIuo?o pubblico, mo~to vi· cino a cio di cui il riso ride: all'angoscla, pnma dl tutto, che non Sl deve neppure definire il negativo del riso, perche si co:~erebb.e il ~i,s~hio di ':, essere di nuovo ghermiti dal discorso di Hegel. E Sl mdovma gla m que· ' sto preludio che I'impossibile meditato. da.Ba~ai1Ie avra sempre que~ta ' forma: in che modo, dopo avere esaunto 11 dlscorso della filosofia, m· scrivere nellessico e nella sintassi di una lingua, Ia nostra, che e stata anche quella della filosofia, cio che tuttavia eccede Ie contrapposizioni , L'experience inl<§rieure, Gallimard, Paris 1943·
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di concetti dominati da quella logica comune? Questo eccesso neces· sario e insieme impossibile doveva piegare il discorso ad una insolita contorsione. E, certo, costringerlo a spiegarsi indefinitamente con He· gel. Dopo oItre un secoIo di rotture, di «superamenti» con 0 senza «ro· vesciamenti», raramente si e dato un rapporto con Hegel tanto poco ~efinibile: una complicita senza riserva accompagna iI discorso hege. hano, 10 «prende suI serio» fino in fondo, senza obiezione di forma fih sofica, neI momenta stesso che una certa risata 10 eccede e ne annuI1a il senso, segnaIa in ogni caso Ia punta di «esperienza» che 10 scardina in se stesso; il che non epossibile se non tenendo ben ferma la mira e sapendo di che cosa si ride. Bataille ha dun que preso suI serio Hegel e il sapere assoluto '. E sa· peva che prendere suI serio un simile sistema voleva dire interdirsi di estrarne dei concetti 0 di manipolarne delle proposizioni isolate, di rio cavarne degli effetti trasferendoli neI1'elemento di un discorso ad essi estraneo: «l pensieri di Hegel sono solidali tra Ioro, al punto che non epossibile afferrarne il senso se non nella necessita del movimento che ne costituisce Ia coerenza» (ibid.). Certo Bataille ha posto in questione I'idea 0 il senso della concatenazione neI1a ragione hegeliana, ma pen· sandola come tale nella totalita, senza ignorarne il rigore interno. Si potrebbe anche descrivere come una scena, ma noi non 10 faremo qui, la storia dei rapporti tra Bataille e Ie diverse figure di Hegel: queI10 che assunse «Ia Iacerazione assoluta» '; quello che «credette di impazzi· re» '; qu~I1o che, tra Wolff e Comte e «nugoli di professori», in queI1e «nozze dl paese» che eIa filosofia, non si pone nessuna interrogazione, mentre «solo, il male neI1a testa, Kierkegaard interroga» '; queI10 che, «aI termine della sua vita», «non si pose piu il problema», «ripeteva
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. '«L~ Fia intenzione sarebbe di minimizzare I'atteggiamento di Hegel? Ma vera proprio ,I contrarlO. Ho voluto mostrare la portata incomparabile della sua operazione. A questa scopo n.on d?vevo nascon?ere la pa:te ~ol~o .es!gua (e.anche inevitabile) dello scacco. La mia impresslone e che dalle mle approSSlmaZlOnl SI rileva PlUttOStO la sicurezza eccezionale di questa operaZlOne. Se essa fall! non si puo dire che fu il risultato di un errore. II sensa della scacco stesso ?iverso da colui che l'ha causa to: solo !'errore forse fortuito. Dello "scacco" di Hegel si puo 10 ge~era!e parI~re come di un movim~n~o. autentico e pieno di senso» (Hegel, la mort et Ie sacrifice, 10 «Deucahon», n. 5 [«Etudes hegehennes»] Neufcbatel ottobre 1955 pp.21-43)
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, Ibid. " , . ] De l'exi:tenti.ali~me au primat.de i'economie, in «Critique», 19 dicembre 1947. «E cunoso accorgersl oggl dl queIlo che Klerkegaard non pote sapere: che Hegel come Kierkegaard .
conobbe di fronte all'idea assoluta il rifiuto deIla soggettivita. Si potrebb~ credere in teoria' che, nel rifiuta di Hegel, si tTattasse di una opposizione concettuale; al contrario. II latto non s1 d.educe .da un tes.to filosofico! ~a da una !ettera a un amico, al quale egli confessa che, per iI penodo dl due anm, credette dl dlVentare pazzo ... In un certo senso, la breve frase di Hegel ha forse una forza che non possiede iI lungo grido di Kierkegaard. E data neII'esistenza - che trema e eccede - non menD di quel grido », ecc. 4 Le petit, Pauvert, Paris 1963.
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i suoi corsi e giocava a carte»; il «ritratto di Hegel vecchio» di fronte al quale, come <
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L'epoca del senso: signoria e sovranita.
La sovranita, per cominciare, non traduce forse, a prima vista, la signoria (Herrschaft) della Fenomenologia? L'operazione della signoria consiste appunto, scrive Hegel, nel «mostrare di non essere attaccati ad alcun esserci determinato, non pili che alla singolarita universale dell'esserci in generale, nel mostrare che non si e attaccati alIa vita». Una simile «operazione» (questo termine che Bataille used in ogni occasione per designare il momento privilegiato 0 l'atto di sovranita era la traduzione in uso del termine Tun, cOSI frequente nel capitolo sulla dialettica del signore e del servo), si risolve dunque, nel mettere in gioco (wagen, daransetzen; mettere in gioco euna delle espressioni pili frequenti e fondamentaIi di Bataille) la totaIita della propria vita. II servo e colui che non pone la sua vita in gioco, che vuole conservarla, essere conservato (servus). Innalzandosi al di sopra deIIa vita, guardando Ia motte in faccia, si accede alIa signoria: al per-se, alIa Iiberta, al riconoscimento. La liberta passa dunque attraverso la messa in gioco deIIa vita (Daransetzen des Lebens). II signore e colui che ha avuto la forza di sopportare l'angoscia della morte e di mantenerne 1'0pera. Questo sarebbe, secondo Bataille, il centro dell'hegelismo. II «testo capitale» sarebbe, nella Prefazione della Fenomenologia, quello che pone il sapere «all'altezza della morte» '. , «Un passo della prefazione della Fenomenologia della spirito esptime con fotza la necessita di un simile atteggiamento. Non c'e dubbio che questo testo mirabile ha, fin dall'inizio "una im. p~rtanza capilale" non solo per la comptensione di Hegel, rna in ogni senso. "La motte, se yo. gharno chiarnare COS! questa irrealta, e la Cosa pili tcrribile che esista e mantenere l'opera della morte cio che richiede il massimo della forza. La bellezza impotente odia l'intelletto perche quest'ultimo esige questo da essa; e di questo essa non e capace. Ora, la vita dello Spirito non e la vita che si sgomenta di fronte alla morte e si preserva dalla distruzione, rna quella che sopporta la motte e si conserva in lei. Lo spirito raggiunge la sua verita solo ritrovando se stesso nella Ia. cerazione assoluta. Esso non questa potenza (prodigiosa) perche il Positivo che si sottrae al Negativo, come quando noi diciamo di qualeosa: questo non enulla 0 (questo e) falso, e, avendolo (cosO liquidato, passiamo a qualeosa d'altro; no, 10 Spirito non questa potenza se non nella misu· ra in cui contempla iJ Negativo chiaro in faccia (e) soggiorna vicino ad esso. Questo soggiorno.pro. lungato la forza magica che traspone il negativo nell'Essere dato"» (Hegel, la morl et Ie sacri. /ice cit.). Pur rinviando alIa traduzione di Hyppolite (t. I, p. 29), Bataille, che noi citiamo qui, dice di rioortare una traduzione di Kojeve. Ma non 10 fa con esattezza. Se si tiene conto che Hyp. polite e Kojeve hanno, in seguilo, modificato Ie loro traduzioni, disponiamo di almeno cinque forme, alle quali si potrebbe aggiungere i1 testo «originale», quest'altra lezione. [Riportiamo qui di seguito anche il testo della traduzione italiana di E. De Negri (Firenze 1967, vo!. I, p. 26) come un altro esempio utile a sottolineare l'originalita della versione di Ba· taille: «La morte, se COS! vogliamo chiamare quella itrealta, e la pili terribile cosa; e tener fermo il mortuum, questo e cia a cui si tichiede la massima forza. La bellezza senza forza odia l'intel. letto, perche questo Ie attribuisce dei compiti ch'essa non e in grado d'assolvere. Ma non quella vita che inorridisce dinanzi alia motte, schiva della distruzione; anzi quell a che sopporta la morte e in essa si mantiene, e la vita dello spirito. Esso guadagna la sua verita solo a patto di titrovare se nell'assoluta devastazione. Esso questa potenza, rna non alia maniera stessa del positivo che nOn si cura del negativo: (orne quando di alcunche noi diciarno che non niente 0 che e falso,
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Sono note Ie rigorose ed ingegnose sequenze attraverso Ie quali passa 1a dia1ettica del signore e del servo. Non e possibile riassumerle senza deformarle. Noi prendiamo in considerazione, qui, solo gli spostamenti essenziali a cui sono sottoposte quando vengono riflesse ne1 pensiero di Bataille. E, prima di tutto, 1a differenza tra 1a signoria e 1a sovranita. Non si puo neppure asserire che questa differenza ha un senso: essa e1a difJerenza del senso, l'intervallo unico che separa il senso da un certo non-senso. La signoria ha un senso. La messa in gioco della vita e un momenta nella costituzione del senso, nella presentazione dell'essenza e della verita. E una tappa obbligata nella storia della autocoscienza e della fenomenicita, vale a dire della presentazione del senso. Perche 1a storia - cioe il senso - si concateni 0 si intessa, e necessario che il signore sperimenti la sua verita. Cia non e possibile che a due condizioni che non si possono tener separate: che il signore conservi 1a vita per godere di cia che ha conquistato mettendo1a a repentaglio; e che, a1 termine di quella concatenazione COS1 straordinariamente descritta da Hegel, «la vedta della coscienza indipendente [sia] 1a coscienza servile». E quando 1a servitu diventera signori a, avra conservato in se 1a traccia della sua origine rimossa, «essa si porra in se stessa come coscienza rimossa (zuruckgedriingtes Bewusstsein) e si trasformera rovesciandosi, in vera indipendenza» '. E su questa disimmetria, su questo privilegio asso1uto del servo, che Bataille non ha mai smesso di meditare. La verira del signore e nel servo; e il servo, diventato signore resta un servo «rimosso». Tale e 1a condizione del senso, della storia, del discorso, della fi10sofia ecc. II signore non ha rapporto a se, l'autocoscienza non si costituisce se non attraverso 1a mediazione della coscienza servile nel movimento del riconoscimento; rna nello stesso tempo, attraverso 1a mediazione della cosa; quest'ultima e fin da1 principio per il servo l'essenzialita che egli non e in grado di neg are immediatamente nel godimento rna soltanto di 1avorare, «elaborare» (bearbeiten), e questa comport a i1 tener a freno (hemmen) il proprio desiderio, il rinviare (aufbalten) 1a consumazione della cosa. Conservare la vita, mantenersi in essa, 1avorare, rinviare il piacere, limitare 1a messa in gioco, tenere a bada 1a morte nel momenta stesso in cui la si guarda in faccia, questa e 1a condizione servile della signoria e di tutta 1a storia che essa rende possibile.
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Hegel aveva espresso chiaramente 1a necessita per il signore di conservare la vita che mette a repentaglio. Senza questa economia della vita, la «prova suprema per mezzo della motte sopprime contempotaneamente la certezza di se stesso in generale». Esporsi di fronte alIa morte pura e semplice, e dunque rischiare la perdita asso1uta del senso, nella misura in cui quest'ultimo passa necessariamente attraverso la verita del signore e attraverso l'autocoscienza. Si rischia di perdere il risultato, il vantaggio di sen so che si vo1eva in tal modo vincere al gioco. Questa morte pura e semplice, questa morte muta e senza rendimento, Hegella chiamava negativita astratta, opponendola alla «negazione della coscienza che sopprime in modo da conservare e trattenere cia che e soppresso (Die Negation des Bewusstseins, welches so aufhebt, dass es das Aufgehobene aufbewahrt und erhiilt)>> e che «percio stesso sopravvive a1 fatto di divenire soppressa (und hiemit sein Aufgehobenwerden uberlebt) '. In questa esperienza l'autocoscienza apprende che la Vita Ie e essenziale quanto 1a pura autocoscienza» '. Risata di Bataille. Per una astuzia della vita, vale a dire della ragiDne, la vita dunque e rimasta in vita. Un altro concetto di vita era stato furtivamente introdotto al suo posto, perche vi rimanesse, perche, non fosse mai, COS1 come la ragione, ecceduto (perche, dira l'Erotisme, «per definizione l'eccesso e fuori della ragione»). Questa vita non e 1a vita naturale, l'esistenza bio1ogica messa in gioco nella signoria, rna una vita essenziale che si sa1da alIa prima, 1a trattiene, 1a spinge a operare alIa costituzione dell'autocoscienza, della verira e del senso. Tale e la verita della vita. Attraverso quel ticorso all'Aufhebttng che conserva la posta, testa padrona del gioco, 10 limita, 10 elabora dandogli forma e senso (Die Arbeit ... bildet), questa economia della vita si riduce alIa conservazione, alIa circolazione e alIa riproduzione di se, come del senso; da questa pun to in poi, tutto quello che va sotto il nome di signoria sprofonda nella commedia. L'indipendenza dell'auto coscienza diventa ridicola nel mom en to che essa si libera asservendosi, nel momento che entra in funzione, cioe in dia1ettica. Soltanto il riso eccede la dialettica e il dialettico: esso esplode solo in seguito alIa rinuncia assoluta al senso, in seguito a1 rischio assoluto della morte, in seguito a cia che Hegel chiama negativita astratta. Negativita che non ha mai luogo, che non si presenta mai, perche in questa caso rimetterebbe in movimento illa-
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per passare molto sbrigativamente a qualche cos'altro; anzi 10 spirito questa forza sol perche sa guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di lui. Questo solfermarsi e la magica forza che volge il negativo nell'essere»J. , [Irad. E. De Negri cit.: «essa andrii in se stessa come coscienza in se, e si volgerii nell'indipendenza vera» J.
1 [« ... negazione della coscienza che supera in modo da conservare il superato e con cio sopravvive al suo venir superato»]. , , [«In questa esperienza all'autocoscienza divien chiaro che a lei la vita e cosl essenziale come 10 I'autocoscienza pura»].
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voro. Riso che alIa lettera non si manifesta mai, poiche eccede la fenomenicita in generale, la possibilita assoluta del senso. E la stessa parol~ «riso» deve leggersi nello scoppio, nell'esplosione del suo nude? dl senso verso il sistema dell'operazione sovrana (<<ebbrezza, effusIOn: erotica, effusione del sacrificio, efIusione poetica, comportamento erOlco, collera, assurdita», ecc.) 1. Questa esplosione del riso fa lampeggiare, senza tuttavia mostrarla, soprattutto senza dirla, la differenza tra la signori a e la sovranira. Quest'ultima, 10 constateremo, enello stesso tempo pili e meno della signoria, pili 0 meno libera di essa per esempio, e cio che affermiamo a propos ito del predicato di liberta puo essere esteso a tutti i caratteri della signoria. Essendo nello stesso tempo pili e meno signoria della signoria, la sovranita etutt'altra cosa. Bataille?e sottrae violentemente l'operazione alIa dialettica. La sottrae all'onzzonte del senso e del sapere. Fino al punto che malgrado i suoi tratti di somiglianza con la signoria, essa non e pili una figura ne~l'arti~~lars~ della fenomenologia. Somigliante ad una figura, nella partlcolanta del suoi tratti, ne e l'assoluta alterazione. Differenza che non si verificherebbe se l'analogia si limitasse a questa 0 quello dei suoi tratti in astratto. La sovranita, l'assoluto della messa in gioco, lungi dall'essere una negativita astratta, deve fare apparire la serieta del sen so come un'astrazione inscritta nel gioco. II riso, che costituisce la sovranita nel suo rapporto con la morte, non e c?me e ~tato ~etto~, una ~egativita. E i~ riso ride di se, un riso «maggIOre» nde dl un nso «mmore» perche l'operazione sovrana ha anche bisogn~ della vi~a - quel~a ~he salda Ie due vite - per essere in relazione con se, nel godlmento dl se. Essa deve dunque in un cetto qual modo simulare il rischio assoluto e ridere di questo simulacro. Nella commedia che in tal modo recita a se stessa, l'esplosione del riso equel quasi niente in cui precipita assolutamente il senso. Di questo riso, la «filosofia» che «e un lavo~o» J nO.n p~o f.are nulla, non puo dire nulla mentre avrebbe dovuto «lmperl11arSl prIma di tutto suI riso» (ibid.). E per questa che il riso eassente dal sistema hegeliano; perfino sotto un aspetto negativo 0 astratto. «N:I "sistema", poesia, riso, estasi non sono nulla. Hegel s~ ne sbarazz~ m f.retta: egli non conosce altro fine che il sapere. L~ s~a lmme~sa f~tl.ca Sl ~ss~ cia ai miei occhi con l'orrore della macchla Cleca» (L expertence mterieure). Cio che erisibile eIa sottomissione all'evidenza del senso, alla 1 Metbode de meditation, Fontaine, Paris 1947· 2 «Ma il riso e qui il negativo, nel senso heg,:,liano» V~AN-PAU~ SARTRE,,un nouveau I1!Ystique, in Situations, I Gallimard, ~ar!s .19.47). II r!so non. e II neg~t1vo pe,rche la sua esplostone non si conserva non si connette a se ne Sl nassume 111 un dlscorso: nde dell Au/behung. 3 Con!eret;ces sur Ie non-savoir, in «Tel Que!», ro, estate '9 62 .
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forza di questa imperativo: che vi sia del senso, che nulla sia definitivamente perduto a causa della morte, che quest'ultima assuma per di pili Ia significazione di «negativita astratta», che sia sempre possibile, ilIavoro, il quale rinviando il godimento, conferisce senso, serieta e verira alIa messa in gioco. Questa sottomissione el'essenza e I'elemento della filosofia, dell'onto-Iogica hegeliana. II comico assoluto e l'angoscia di £ronte al dispendio a fondo perduto, di £ronte al sacrificio assoluto del senso: senza recupero e senza riserva. La nozione di Aufhebung (il concetto speculativo per eccellenza, d dice Hegel, quello di cui la lingua tedesca detiene la prerogativa intraducibile) e risibile per il fatto che significa 10 stravolgimento di un discorso che si sfiata nel riappropriarsi ogni negativita, nel trasformare la messa in gioco in investimento, per ammortizzare il dispendio assoluto, per dare un senso alIa morte e, nel10 stesso tempo, per rendersi cieco al senza-fondo del non-senso a cui attinge e in cui si esaurisce il fondo del senso. Restare impassibile, come resto Hegel, di fronte alla commedia dell'Aufhebung, significa farsi dechi all'esperienza del sacro, al sacrifido senza riserve della presenza e del senso. COSl si profila una figura d'esperienza - rna si possono ancora usare queste due parole? - irridudbile ad ogni fenomenologia dello spirito, poiche, come il riso in filosofia, in essa si trova fuori posto, quando mirna, nel sacrificio, il rischio assoluto della morte, e produce, nello stesso tempo, il rischio della morte assoluta, la finzione per cui quel rischio puo essere vissuto, l'impossibilita di leggervi un sen so 0 una verita, e quel riso che si confonde, nella parvenza, con l'apertura del sacro. Per descrivere questa parvenza, l'impensabile per la filosofia, la sua macchia cieca, Bataille deve ditIa, naturalmente, fingere di ditIa nellogos hegeliano: Parlero in seguito di profonde differenze tra l'uomo del sacrificio, che opera nell'ignoranza (l'incoscienza) degli antecedenti e dei conseguenti di cio che fa, e il Saggio (Hegel) che si rimette aIle implicazioni di un Sapere assoluto, a suo modo di vedere. Malgrado queste differenze, si tratta sempre di manifestare il Negativo (e sempre sotto una forma concreta, vale a dire in seno alIa Totalita, i cui elementi costitutivi sono inseparabili). La manifestazione privilegiata della Negativita la morte, rna la morte, per la verita, non rivela nulla. Quello per cui la morte rivela l'Uomo a se stesso, in teoria, il suo essere naturale, animale; rna la rivelazione non ha mai luogo. Perche, una volta morto l'essere animale che 10 sostiene, l'essere umana stesso ha cessato di essere. Perche I'uomo alia fine si riveli a se stesso, dovrebbe morire, rna dovrebbe fado vivendo - guardandosi mentre cessa di essere. In altri termini, la morte stessa dovrebbe diventare (auto)coscienza, nel momento stesso in cui annienta l'essere cosciente. In un certo senso quanto avviene (0 al· meno, quanta sui punto di avvenire, 0 che avviene in modo fugace, inafferrabile), grazie a un sotterfugio. Nel sacrificio, il sacrificante si identifica con l' animale col-
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pito a morte. COS1 muore vedendosi morire, e anche in certo qual modo, di sua propria volonta, d'accordo con I'arma del sacrificio. Ma una cOIl!meciia! 0 ~l~e no sarebbe una commedia se esistesse un altro metodo per poter nvelare a chi vlve l'i;ruzione della morte: questa esaurimento dell'essere finito, ehe sola compie e sola puo compiere la sua Negativita, la quale 10 uceide, 10 finisce e 10 sopprime definitivamente ... Bisognerebbe COS1 ad ogni costa che l'uomo vivesse nel momenta in cui realmente muore, 0 che vivesse con I'impressione di morire realmente. Questa difficolta rivela la neeessita della spettacolo, 0 in generale ~ella rafpresentazione' senza la ripetizione dello spettacolo e della rappresentazlOne nOI potremmo dl fronte alia morte restare estranei, ignoranti, come apparentemente rimangon~ Ie bestie. Nulh in effetti, menD animale della finzione, pili 0 menD distante dar reale, della morte '.
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fa riferimento all'angoscia secondo i rapporti del positive e del negativo.
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Al contrario, I'allegria, collegata all'opera della morte, mi da angoscia, accresciuta dalla mia angoscia ed esaspera questa angoscia di contraccolpo: infine, I'angoscia allegra, l'allegria angosciata mi danno in un piatto misto la «lacerazione assoluta» in cui la mia gioia che finisce di lacerarmi rna in cui la prostrazione farebbe seguito all'allegria se non fossi gia lacerato sino in fondo, senza misura.
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Questa allegria non appartiene all'economia della vita, ,n~n risponde «al desiderio di negare l'esistenz~ della morte», ~ench~ Sla qu?nt? mai vicina ad esso. Non ela convulslOne che 'fa segUlto all angosCla, 11 riso minore che viene spontaneo quando la si e«scampata bella» e che
La macchia cieca dell'hegelismo, intorno alla quale puo organizzarsi la rappresentazione del senso, equel pun to in cui la distruzione, la soppressione, la morte, il sacrificio costituiscono un dispendio COS1 irreversibile, una negativita tanto radicale - qui eil caso di dire, senza riserva - che non epili possibile neppure determinarle come negativita in un processo 0 in un sistema: il punto in cui non si ha pili ne processo ne sistema. Nel discorso (unita del processo e del sistema), la negativita esempre il rovescio e la complice della positivita. Non si puo parlare, non si emai parlato di negativita se non in questa trama del senso. Ora l'operazione sovrana, il punto di non-riserva non ene positivo ne negativo. Non epossibile inscriverlo nel discorso se non depennando i predicati 0 praticando una sovrimpressione contraddittoria che eccede quindi la logica della filosofia '. Pur tenendo conto delloro valore di rottura, si potrebbe dimostrare che Ie immense rivoluzioni di Kant e di Hegel non hanno fatto altro, a questo proposito, che risvegliare 0 rivelare la determinazione filosofica pili permanente della negativita (con tutti i concetti (he si coIIegano sistematicamente intorno ad essa in Hegel; l'idealita, la verita, il senso, il tempo, la storia, ecc.). L'immensa rivoluzione e consistita - si sarebbe tentati di aggiungere molto semplicemente - nel prendere sul serio il negativo. Nel dare senso al suo travaglio. Ora Bataille non prende il negativo suI serio. Ma deve sottolineare nel suo discorso che non per questo ritorna alle metafisiche positive e pre-kantiane della presenza piena. Deve sottolineare nel suo discorso il punto di non-ritorno della distruzione, l'istanza di un dispendio senza riserva che quindi non ci lascia pili la risorsa di pens arlo come una negativita. Perche la negativita e una risorsa. Chiamando <megativita astratta» il senza-riserva del dispendio assoluto, Hegel non ha visto per troppa precipitazione proprio cio che aveva disvelato sotto la specie della negativita. Per precipitazione nei confronti della serieta del sen so e della sicurezza del sapere. Per questo «non seppe fino ache punto aveva ragione». E torto di avere ragione. Di aver ragione del negati-
1 Hegel, la mort et Ie sacrifice cit. Cfr. anche nell'Experience interieure cit., tutto il Postscriplllm au supplice, soprattutto pp. 193 sg.
, Foucault parla giustamente di una « ~ffermazione non positiva» (Pre/acr ii ta transgression, in « Critique» 195-96, agosto-settembre 1963).
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Solo l'accento sulla parvenza e suI sotterfugio interrompe la continuita hegelian a di questa testo. Pili in la l'allegria fad risaltare la differenza: Accostandola al sacrificio e quindi al tema primo della rap prese.ntazio~e (delI'arte delle feste degli spettacoli), ho voluto mostrare che la reaZlOne dl Hegel la ~ondotta u~ana fondamentale ... E per eccellenza l'espressione che la tradizione ripeteva all'infinito ... st~to ess~nziale ~er He~el il pre~der coscienza della Negativita in quanto tale, cog11erne I orrore, m p~rtlc?lare l.orrore del~a morte, sostenendo e contemplando I'opera della morte dntto m faccla. Hegel, m qu~sto modo, si contrappone menD a coloro che «indietreggiano» che a color~ che dlCOno: «non nulla». Sembra si allontani maggiormente da coloro che reaglscono con allegria. Insisto, perche voglio che risulti, !lei mod? pili chiaro possibile, dopo la loro somiglianza, I'opposizione tra l'atteggJa~ento mgenuo e quello d~lIa Saggezza _ assoluta - di Hegel. Non sono affatto SICurO, vera mente, ch~ tra I due atteg: giamenti, il menD assoluto sia i1 pili ingenuo. Cit~ro un e~emplO paradossale dl reazione allegra di fronte all'opera della morte. L ~sanza Irlandese e gallese del «wake» non molto conosciuta, rna era ancora pratlcata alia fine del s:colo scorso. E l'argomento dell'ultima opera di Joyce, Finegan:s Wake, la veg~la funebre di Finegan (rna la lettura di questo celebre roman:o e q~~nto men? dlfficoltosa). Nel paese del Galles, si sistemava la bara aperta,. I.n ~os~zl,?ne ve~t~cale, ~l posto d'onore della casa. 11 morto era vestito con gli abiU mlg11ori, col cilmdro.l~ testa. La famiglia invitava tutti i suoi amici, che tanto pili facevano onore ~ chi 11 aveva lasciati, quanta pili d~nzavan~ a hmgo e beveva~o alia, sua salut~: SI tra~ta della morte di un altro, ma m queStl casl,,Ia m.or~e. dell altro e sempre llmmagme dell~ propria morte. Nessuno potrebbe dlVerursl m ques.to ~odo, se non a una,condlzione: i1 morto, che un altro, che si suppone che sla d accordo, e che berra a sua volta, avra solo i1 primo di quei due sensi.
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vo. Andare «fino in fondo» alIa «Iacerazione assoIuta» e al negativo, senza «misura», senza riserva, non vuol dire proseguirne conseg~ente mente Ia logica fino al punto in cui, nel discorso, I'Aufhebu~g.(il d~sc~r so stesso) Ia fa collaborare alIa costituzione e aHa me mona mtenonzzante del senso, alI'Erinnerung. Ma al contrario, vuol dire Iacerare spasmodicamente l' aspetto del negativo, cio che fa di questa l' altra superfide rassicurante del positivo, vuol dire esibire in esso, in un istante, do che non puo pili essere detto negativo. Proprio perche non ha pili aIcun contrario in riserva, perche non puo pili Iasdarsi convertire in positivita, perche non puo pili collaborare alIa concate~azione del senso, del concetto, del tempo e del vero nel discorso, perche, alIa Ie~tera, non puo pili lavorare e Iasdarsi ingaggiare come «Iavoro del negat~vo». ~e gel 10 ha visto senza vederlo, 10 ha mostrato sottraendolo alIa vIst? BISO: gna dunque seguirlo fino in fondo, senza riserva, fino al ~~nto dl dar~h ragione contro se stesso e di strappare Ia sua scoperta all mte~pretazlO ne troppo coscienziosa che egli stesso ne ha dato. II testo.he.gehano, non ecostituito tutto d'un pezzo pili di quanta 10 sia quaIs las I altro testo; Pur rispettando Ia sua coerenz.a i.~peccabile, e p?ssibil~ scomp~r.ne I diversi strati mostrare che egh sz tnterpreta da se: ogm proposlzlOne e una interp~etazione sottoposta ad una dedsione interpretativa. La necessita della continuita logica eIa dedsione 0 I'ambito d'interp:e~a: zione di tutte Ie interpretazioni hegeIiane. Interpretando Ia negatlvlta come travaglio, scommettendo suI discorso, suI senso,.s~lla sto:ia, ecc., Hegel ha scommesso contro il gioco, contro il caso. Sl e reso Cl.eco alla possibilita della sua propria sco.m~essa, al ~atto che Ia sospens~~ne cosdenziosa del gioco (per esemplO tl passagglo attraverso Ia vent a della certezza di se stesso e attraverso Ia signoria come indipendenza della autocosdenza) era essa stessa una fase di gioco; che il gioc~ comp~e~d~ illavoro del senso 0 il sen so del Iavoro, Ii comprende non m termml dl sapere ma in termini d'inscrizione: il senso .esiste ~n fun.zione del gioco, einscritto in un Iuogo dentro Ia configurazlOne dl un glOCO che non ha senso. Poiche ormai nessuna Iogica domina il senso dell'interpretazione, poiche Ia Iogica euna interpretazione, epossibile du.nque reinterpretare - contro Hegel-Ia sua propria interpretazione. E quello. che fa Bataille. La reinterpretazione euna ripetizione ,simulata del dlscorso hegeliano. Nel corso di questa ripetizione uno spostamento appena percettibile scardina tutte Ie articolazioni e intacca tutte Ie saldature del discorso che viene imitato. Si propaga allora uno scuotimento (he fa scricchiolare tutto i1 vecchio scafo.
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In effetti, se l'atteggiamento di Hegel contrappone all'ingenuita del sacrificio la coscienza sapiente, e la disposizione senza fine di un pensiero discorsivo, questa coscienza, questa disposizione hanno ancora un punto oscuro: non sarebbe possibile affermare che Hegel ha misconosciuto il «momento» del sacrificio: questo «momento» incluso, implicito in tutto i1 movimento della Fenomenologia, in cui la Negativita della morte, in quanto l'uomo I'assume, cia che fa dell'animale umano un uomo. Ma, non avendo visto che il sacrificio da solo era una testimonianza di tutto il movimento della morte, I'esperienza finale - e propria del Sapiente - descritta nella Prefazione della Fenomenologia fu fin dal principio iniziale e universale, - egli non seppe fino ache punto aveva ragione, - con quale precisione aveva descritto i1 movimento della Negativita» (Hegel, la mort et le
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sacrifice ).
Duplicando Ia signori a, la sovranita non sfugge alla dialettica. Non si puo dire che essa se ne trae fuori come se fosse una sua parte che tutto ad un tratto, per dedsione autonoma, per lacerazione, fosse diventata indipendente. Separando, in tal modo, la sovranita dalla dialettica, se ne farebbe una negazione astratta e si consoliderebbe l'onto-Iogica. Ben lungi dall'interrompere Ia dialettica, Ia storia e il movimento del senso, Ia sovranita da all'economia della ragione il suo elemento, il suo ambiente, i suoi margini ilIimitanti di non-senso. Lungi dal sopprimere Ia sintesi dialettica 1, essa la inscrive e Ia fa funzionare nel sacrifido del senso. Non e suffidente rischiare Ia morte se Ia messa in gioco non e gettata, come sorte 0 caso, ma si investe come Iavoro del negativo. La sovranita deve, dunque, sacrificare ancora Ia signoria, Ia presentazione del senso della morte. Perdu to per il discorso, allora il senso e del tutto distrutto e consumato. Perche il senso del senso, Ia dialettica dei sensi e del senso, del sensibile e del concetto, I'unita di senso della parola senso, alla quale Hegel ha sempre prestato tanta attenzione e sempre stata Iegata al1a possibilita della significazione discorsiva. Sacrificando il senso, Ia sovranita fa affondare Ia possibilita del discorso; non semplicemente con una interruzione, una cesura 0 una ferita all'interno del discorso (una negativita astratta), ma attraverso una tale apertura, con una irruzione che scopre di colpo illimite del discorso e l'al di Ia del sapere assoluto. Certo, al «discorso significativo», Bataille contrappone talvolta Ia parola poetica, estatica, sacra (<<Ma l'intelligenza, il pensiero discorsivo dell'Uomo si sono sviluppati in funzione del Iavoro servile. Sola Ia parola sacra, poetica, limitata aI piano della bellezza impotente, conservava il potere di manifestare Ia piena sovranita. II sacrifido non edun2
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«Della trinita hegeliana, egii sopprime il momento della sintesi" (J.-P. SARTRE, op. cit.). Cfr. J. HYPPOLITE, Logique et existence. Essai sur fa fogique de Hegel, p. 28.
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que un modo d'essere sovrano, autonomo, se non nella misura in cui non 10 informa il discorso significativo» Hegel, fa mort ... ) rna questa parol a di sovranita non e un altro discorso, un'altra catena che si sviluppa parallelamente al discorso significativo. Non c'e che un unico discorso, quello significativo, e il pensiero di Hegel non puo essere, su questa punto, aggirato. II poetico 0 I'estatico e do che in ogni discorso puo aprirsi alIa perdita assoluta del suo senso, al (senza) fondo di sacro, di non-senso, di non-sapere 0 di gioco, alIa perdita di conoscenza dalla quale si risveglia per un tratto di dadi. II poetico della sovranita si annunda nel «momento in cui la poesia rinunda al tema e al sen so » '. Vi si annunda soltanto, perche Ia poesia abbandonata al «gioco senza regola», rischia allora di lasciarsi pili che mai addomesticare, «assoggettare». Questo rischio e propriamente moderno. Per evitarlo, la poesia deve essere «accompagnata da una affermazione di sovranith «fornendo», dice Bataille con una formulazione stupenda, insostenibile, che potrebbe servire da titolo a tutto quanto stiamo tentando qui di riunire come la forma e il tormento della sua scrittura, «il commento della sua assenza di senso». In mancanza di cio la poesia risulterebbe, nel peggiore dei casi, «subordinata» e nel migliore, «inserita». Allora, «il riso, l'ebbrezza, il sacrificio e la poesia, I'erotismo stesso, sussistono in una riserva, autonomi, imeriti dentro la loro sfera, come dei bambini nella loro casa. Sono, nei loro limiti come sovrani minorenni che non possono contestare l'imperio delI'attivita» (ibid.). NelI'intervalIo tra la subordinazione, I'inserzione e la sovranita, dovrebbero essere analizzati i rapporti tra la letteratura e la rivoluzione, guaIi Bataille Ii ha pensati nel corso della sua spiegazione con il surreaIismo. L'ambiguita apparente dei suoi giudizi sulla poesia e contenuta nella configurazione di questi tre concetti. L'immagine poetica non e subordinata in quanta «conduce dal nota all'ignoto»; rna la poesia e «quasi per intero poesia decaduta» in quanta conserva, per mantenervisi, Ie metafore che ha certamente strappate al «dominio servile», rna ha subito «rifiutate alIa rovina interiore che e I'accesso alI'ignoto». «E una sventura non possedere altro che rovine, rna questo non e come non possedere pili nulla, e come trattenere con una mana quanta I'altra rna no da» ': operazione ancora hegeIiana. In quanto manifestazione del senso, il di&,corso dungue e la perdita stessa della sovranita. Lo stato di servitli quindi non e che il desiderio del senso: proposizione con Ia quaIe si sarebbe confusa Ia storia della , Methode de meditation cit. , Post·scriptum au supplice, in L'experience interieure cit.
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filosofia; proposizione che determina iIIavoro come senso del senso, e Ia techne come dispiegarsi della verita; proposizione che si sarebbe potentemente riassunta nel momento hegeliano e che Bataille, sulla traccia di Nietzsche, avrebbe condotto alIa sua enundazione, di cui avrebbe fatto risaltare Ia denuncia suI non-fondo di un impensabile non-senso, ponendola finaImente in un gioco maggiore. Mentre il gioco minore consisterebbe nelI'attribuire ancora un senso, nel discorso, all'assenza di sen so '.
Le due scritture. Questi giudizi dovrebbero portare aI silenzio ed io scrivo. Non c affatto un paradosso.
Ma bisogna parlare. «L'inadeguatezza di ogni parola. .. almeno, deve essere detta»', per conservare Ia sovranita, vale a dire in un certo modo per perderla, per tenere ancora in serbo Ia possibilita non del suo senso, rna del suo non-senso, per distinguerlo, attraverso quell'impossibile «commento», daogni negativita. Bisogna trovare una parola che conservi il silenzio. Necessita delI'impossibile: dire nellinguaggio - della servitli - do che non e servile. «Cio che non e servile e inconfessabile ... L'idea del silenzio (e l'inaccessibile) e disarmante! Non mi e possibile parlare di una assenza di senso, senza darle un senso che essa non ha. II silenzio e rotto, poiche io ho detto. C'e sempre qualche lamma sa-
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, «Cia che serio ha solo un sellSO: il gioco, che non ha pili senso, non serio che nella mi· sura in cui "Ia mancanza di sen so e anche un senso", ma sempre smarrito nella notte di un indif· ferente non·senso. La serietit, Ia morte e il dolore ne fondano Ia verita ottusa. Ma Ia serieta della morte e del dolore 10 stato servile del pensiero» (Post·scriptum, I953). L'unitit della serieta, del senso, del Iavoro, dello state di servitli, del discorso, ecc.; l'unitit dell'uomo. del servo e di Dio, tale sarebbe dal punto di vista di Bataille il contenuto profondo della filosofia (hegeliana). Non possiamo che rinviare ai testi pili espliciti. A) L'experience interieure cit.. p. I05: «A questa proposito i miei sforzi ricominciano e smontano Ia Fenomenologia di Hegel. La costruzione di Hegel una filosofia del Iavora. del" progetto". L'uomo hegeliano - Essere e Dio - si realizza, nella ade~uazio ne del progetto .. , II servo ... accede dopo Iunghi e tortuosi percorsi al culmine dell'universale. L'unico ostacolo a questo modo di vedere (d'aItra parte di una profondita ineguagliata, in qualche modo inaccessibile) I: cia che nell'uomo I: irriducibile al progetto: l'esistenza non-discorsiva, il riso, I'estasi" ecc. B) Le coupable cit., p. I33: «Hegel, elaborando Ia filosofia del Iavoro (I: il Knecht, il servo emancipato, illavoratore, che nella Fenomenologia diventa Dio) ha soppresso il caso - e il riso», ecc. C) In Hegel, la mort et Ie sacrifice cit., soprattutto, Bataille mostra per quale slittamento - a cui bisognera appunto opporre, con Ia parola di sovranitit, un altro slittamento - Hegel si Iascia sfuggire «a vantaggio della servitu» una sovranita alIa quale «si avvicino quanto pili gli era possibile». «La sovranita nell'atteggiamento di Hegel, avanza con un movimento che il discorso rivela e che, nello spirito del Sapiente, non mai separato dalla sua rivelazione. Essa non puo dunque essere pienamente sovrana: il Sapiente in effetti non puo evitare di subordinarIa a1 fine di una Sapienza che presuppone il compimento del discorso ... Esso ha accoIto Ia sovranita come un peso, che ha Iasciato andare» (pp, 4I-42). , Con/irence sur Ie non-savoir cit.
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bachtani che finisce la storia, e grid a la nostra impossibilita di tacere: devo dare un senso a cio che non ne ha: alla fine, l'essere ci edato come impossibile!» '. Se la parola silenzio e, «tra tutte Ie parole», «la pili perversa e la pili poetica», eperche, fingendo di tacere il sen so, essa dice il non-sen so, scivola e si cancella essa stessa, non dura, tace a sua volta, non come silenzio rna come parola. Questo scivolamento tradisce nello stesso tempo il discorso e il non-discorso. Puo imporsi a noi, rna la sovranita puo anche farne uso per tradire rigorosamente il sen so nel senso, il discorso nel discorso. «Bisogna trovare» ci spiega Bataille, scegliendo «silenzio» come «esempio di parola che scivola», «parole» ed «oggetti» che in tal modo «ci facciano scivolare» '. Verso che cosa? Verso altre parole, verso altri oggetti, certo, che annuncino la sovranita. Questo scivolamento e rischioso. Ma cos1 orientato, cio che esso rischia eil senso, e il fatto di perdere la sovranita nella figura del discorso. Rischia, avendo senso, di dare ragione. AlIa ragione. AHa filosofia. A Hegel che ha sempre ragione non appena si apre la bocca per articolare il senso. Per correre questo rischio nellinguaggio, per salvare cio che non vuole essere salvato -la possibilita del gioco e del rischio assoluti - bisogna duplicare il linguaggio, ricorrere aIle astuzie, agli stratagemmi, ai simulacri 3. AIle maschere; «Cio che non e servile e inconfessabile: una ragione di riso, di ... ; accade 10 stesso con l'estasi. Cio che non eutile deve nascondersi (sotto una maschera)>>. Parlando «allimite del silenzio», bisogna organizzare una strategia e «trovare [delle parole] che reintroducano - in un punto - il silenzio sovrano che interrompe illinguaggio articolato» '. In quanta esdude illinguaggio articolato, il silenzio sovrano equindi, in un certo modo, estraneo alla differenza come sorgente di significazione. Esso sembra cancellare la discontinuita ed e in questa modo che occorre effettivamente intendere la necessita del continuum al quaIe Bataille si richiama senza tregua, come alIa comunicazione '. II continuum e l'espericnza privilegiata di una operazione sovrana che trasgredisce illimite della differenza discorsiva. Ma - e tocchiamo qui, per quel che concerne il movimento della sovranita, il pun to di maggiore ambiguita e instabilita - quel continuum non ela pienezza del senso 0 , Methode de meditation cit. , L'experience interieure cit., p. 29. 3 Cfr. Discussion sur Ie pecht, in «Dieu Vivant", 1945. 4; e P. KLOSSOWSKI, A propos du simulacre dans la communication de Georges Bataille, in «Critique », 195-96, agosto-settembre 1963.
, Methode de meditation cit. S L'experience interieure cit., pp. !O5 e 213.
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della presenza, quale viene considerata dalla metafisica. Tendendo verso il senza-fondo della negativita e del dispendio, l'esperienza del continuum eanche l'esperienza della differenza assoluta, di una differenza che non sarebbe pili quell a che Hegel aveva pensato pili profondamente di ogni altro: differenza al servizio della presenza, allavoro nella storia (del senso). La differenza tra Hegel e Bataille ela differenza tra queste due differenze. Si puo cos1 eliminare l'equivoco che potrebbe pes are sui concetti di comunicazione, eli continuum 0 di istante. Questi concetti che sembrano identi/icarsi con la realizzazione della presenza, accusano e acutizzano l'incisione della differenza. «Un principio fondamentale viene espresso come segue: la "comunicazione" non puo aver luogo tra d~e esseri picni e intatti: essa richiede degli esseri che abbiano l'essere messo in gioco in se stessi, allimite della morte, del nulla» '. E l'istante - modo temporale dell'operazione sovrana - non eun punto di presenza piena e incontaminata: si insinua e si sottrae tra due presenze; ela differenza come sottrazione affermativa della presenza. Esso non si da, si ruba, si trascina da se in un movimento che e nello stesso tempo di effrazione violenta e di fuga dileguante. L'istante eil furtivo: «llnon-sapere implica nello stesso tempo fondamentalmente angoscia, rna anche soppressione dell'angoscia. Diventa cOS1 possibile fare furtivamente I'esperienza furtiva che io chiamo esperienza dell'istante» '. Tra Ie parole, dunque, bisogna « trovare certe parole che reintroducano - in un punto - il silenzio sovrano che interrompe illinguaggio articolato». Poiche si tratta, come abbiamo visto, di un certo scivolamento, cio che bisogna trovare e, non menD che la parola, il punto, il luogo di un tracciato dove una parola, tratta dalla vecchia lingua, si mettera, per essere collocata in quel pun to ed aver ricevuto quelI'impulso, a scivolare e a far scivolare tutto il discorso. Bisognera imprimere nellinguaggio una certa inflessione strategica che, con un movimento violento e scivolante, furtivo, pieghi il vecchio corpo per rapportarne la sintassi e illessico al silenzio maggiore. E pili che al concetto e al senso della sovranita, al momento privilegiato deIl'operazione sovrana, «quando anche si producesse una sola volta». Rapporto assolutamente unico: di un linguaggio a un silenzio sovrano che non tollera alcun rap porto , alctma simmetria con cio che si indina e scivola per rapportarsi ad esso. Rapporto che tuttavia deve met, Sur Nietzsche, volonte de chance, Gallimard, Paris 1945 [Nietzsche, a cura di Andrea Zanzotto, Rizzoli, Milano 19701. 2 Conferences sur Ie non-savoir cit.
it culmine it possibile '
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La scrittura e la differenza
tere rigorosamente, scientificamente, in sintassi comune, delle significazioni subordinate e una operazione che eil non-rapporto, che non ha aIeuna significazione e sussiste liberamente fuori sintassi. Bisogna rapportare scientificamente dei rapporti a un non-rapporto, un sapere a un non-sapere. «Quand'anche I'operazione sovrana non fosse stata possibile che una sola volta, Ia scienza che rapport a gli oggetti di pensiero ai momenti sovrani e possibile» ... '. «Da qui comincia, fondata sull'abbandono del sapere, una riflessione ordinata ... » '. Riflessione tanto pili difficile, se non impossibile, in quanta la so" vranita, che non ela signoria, non puo dominare quel discorso scientifico alIa maniera di un'archia 0 di un principio di responsabilita. Come la signoria, la sovranita certo conquista la sua indipendenza mettendo in gioco Ia vita; essa non elegata a nulla, non conserva nulla. Ma, a differenza della signoria hegelian a non deve neppure voler conservare se stessa, raccogliersi 0 raccogliere il beneficio di se 0 del suo proprio rischio, essa «non puo neppure essere definita come un bene». «E qualcosa a cui tengo, rna ci terrei forse altrettanto se non avessi la certezza che ne potrei anche ridere?» 1. La posta dell'operazione non sta dunque in una autocoscienza, in una possibilita di essere presso di se, di preservarsi e di osservarsi. Qui non siamo nell'elemento della fenome-. nologia. Ed e evidente gia da questa primo tratto - illeggibile in base alIa 10gica filosofica - che la sovranira non domina se stessa. E non domina in generale: ne gli altri, ne Ie cose, ne i discorsi, in vista di una produzione del senso. Questo eil primo ostacolo per quell a scienza che, secondo Bataille, dovrebbe rapportare i suoi oggetti ai momenti sovrani e che, come ogni scienza, richiede l'ordine, la relazione, Ia difIerenza tra il principia!e e il derivato. La Methode de meditation non dissimula 1'«ostacolo» (e il termine di Bataille): Non solo l'operazione 50vrana non si subordina a nulla, rna essa stessa non si subordina nulla, resta indifferente a qualsiasi risultato; se io voglio conseguire, a posteriori, la riduzione del pensiero subordinato al pensiero sovrano, posso anche farlo, rna cio che eautenticamente sovrano non se ne cura, in ogni momento dispone di me in modo diverso.
Non appena la sovranita volesse subordinare a se quaIeuno 0 quaIeosa, si sa che si Iascerebbe riprendere dalla dialettica, si subordinerebbe al servo, alIa cosa e allavoro. Fallirebbe, voleqdosi vittoriosa e pre tendendo di conservare il vantaggio. La signori a diventa sovrana invece , Methode de meditation cit. , Conferences sur Ie nOIl-savoir cit. 3 Methode de meditation cit.
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quando smette di temere il fallimento e si perde come Ia vittima assoIuta del suo sacrificio '. Sia il signore che il sovrano falliscono dun que ugualmente " e tutti e due riescono nelloro fallimento, I'uno conferendogli un senso at traver so l' asservimento alIa mediazione del servo - il che e anche fallire per non aver subito 10 scacco - e I'altro fallendo in assoluto, che significa insieme perdere il senso stesso dello scacco conquistando Ia non-servitli. Questa difIerenza quasi impercettibile che non eneppure Ia simmetria di un rovescio e di un diritto, dovrebbe regolare tutti gli «scivolamenti» della scrittura sovrana. Essa deve iniziare l'identita della sovranita che e sempre in discussione. Perche Ia sovranita non ha identita. non ese, per-se, a se, presso di se. Per non dominare, cioe per non asservirsi, essa non deve subordinarsi nulla (complemento diretto), vale a dire non deve subordinarsi a nulla ne ad alcuno (mediazione servile del complemento indiretto): essa deve spendersi senza riserve, perdersi, perdere conoscenza, perdere Ia memoria di se, I'interiorita a se; contro l'Erinnerung, contro I'avarizia che si assimila il senso, essa deve praticare I' oblio, I'active VergesZlichkeit di cui parla Nietzsche e, estremo sovvertimento della signoria, non cercare pili di farsi riconoscere. La rinuncia al riconoscimento prescrive e interdice nello stesso tempo Ia scrittura. 0 meglio, discerne due scritture. Proibisce quella che proietta, che progetta la traccia, attraverso Ia quale, scrittura di signoria, Ia volonta vuole preservarsi nella traccia, farsi riconoscere, e ricostituire Ia sua presenza. Scrittura servile anche che Bataille, quindi, disprezzava. Ma questa servitli disprezzata della scrittura non e quella che Ia tradizione condanna, da Platone in poi. Quest'ultimo prende di mira Ia scrittura servile come techne irresponsabile perche Ia presenza di colui che tiene il discorso e in essa scomparsa. Bataille prende di mira al contrario il progetto servile di conservare la vita - il fantasma della vita - nella presenza. In tutti e due i casi, e vero, si teme una certa morte e bisognerebbe meditare su questa complicita. II problema etanto pili difficile in quanta la sovranita pone simultaneamente un'altra scrittura: quella che produce la traccia in quanta traccia. Quest'ultima e una traccia solo nel caso che in essa la presenza sia irrimediabilmente , efr. per esempio I'Experience interieure cit. (p. 196) ... «II sacrificatore ... soccombe e si perde con Ia sua vittima», ecc. , «La sovranitii, d'altra parte, I'oggetto che sempre si sottrae, che nessuno ha afferrato, che nessuno afferrera ... Nella Fenomenologia dello spirito, Hegel, perseguendo quella diaIettica del signore (del padrone, del sovrano) e del servo (dell'uomo asservito aI Iavora), che all'origine delIa teoria comunista della Iotta di classe, conduce iI servo aI trionfo, rna la sua apparente sovranita non in questo caso che Ia voIonta autonoma della servitu; Ia sovranita non ha per se che il regno del fallimento» (La litlerature et Ie mal, Gallimard, Paris 1957, saggio su Genet).
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sottratta, fin da1 suo primo annunciarsi e che essa stessa si costituisca come possibilita di una cancellazione asso1uta. Una traccia incancellabiIe non e una traccia. Bisognerebbe dunque ricostruire il sistema delle proposizioni di Bataille sulfa scrittura, in base a questi due rapporti chiamiamoli maggiore e minore - con 1a traccia. I. In una intera serie di testi, 1a rinuncia sovrana a1 riconoscimento ingiunge 1a cancellazione dello scritto. Per esempio della scrittura poetica in quanta scrittura minore:
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Questo sacrificio della ragione in apparenza immaginario, non ha alcuna cohseguenza sanguinosa, ne alcunche di analogo. E diverso tuttavia dalla poesia in quanto totale, non riserva godimento, se non per scivolamento arbitrario, che non puo essere conservato, 0 per riso sfrenato. Se lascia una sopravvivenza casuale, dimenticata da essa stessa, come il fiore di campo dopo la mietitura. Questo strano sacrificio, che presuppone uno stato estremo di megalomania - ci sentiamo diventare Dio - ha tuttavia delle conseguenze ordinarie in un caso: se il godimento viene sottratto per scivolamento e se la megalomania non viene interamente consumata, noi restiamo condannati a farci «riconoscere», a voler essere un Dio per la folIa; condizione favorevole per la follia rna per niente altro ... Se si va fino in fondo, necessario cancellarsi, sub ire la solitudine, soffrirne duramente, rinunciare ad essere riconosciuto: essere a questo riguardo come assenti, insensati, subire senza volonti'! e senza speranza, essere altrove. II pensiero (a causa di cio che ha al fondo di se), bisogna seppellirlo vivo. Io 10 pubblico sapendolo gii'! in partenza misconosciuto, e necessariamente ... Io non posso, esso non puo con me, fare altro che sprofondare in quel punto, nel non-senso. II pensiero crolla e la sua distruzione incomunicabile alIa folIa, si rivolge ai menD deboli (Post-Scriptum
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au supplice).
o ancora: L'operazione sovrana coinvolge questi processi: essi sono i residui di una traccia lasciata nella memoria e del sussistere delle funzioni, rna in quanta ha luogo, essa indifferente e si disinteressa di questi residui (Methode de meditation).
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o ancora: La sopravvivenza della cosa scritta
e sopravvivenza della mummia (Le cou-
pable). 2. Ma c'e una scrittura sovrana che deve, invece, interrompere 1a complicita servile della parol a e del senso.
Io scrivo per annullare in me stesso un gioco di operazioni subordinate
(Me-
thode de meditation).
La mess a in gioco, che eccede 1a signoria, e dunque 10 spazio della scrittura; si attua tra la scrittura min ore e 1a scrittura maggiore, ambedue ignorate da1 signore, quest'u1tima pili della prima, questa gioco pili
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di quello (<
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La sed ttura e la differenza
sta scr!ttura - 9?ella che ~atai1l~ cercava - gli stessi concetti, in apparenza malteratt m se stessl, sublranno una mutazione di sen so 0 meglio, benche in apparenza impassibili, saranno colpiti dalla pe:dita di senso ver~o la quale scivolano e sprofondano senza misura. Non saper ve?ere qm questa precipitazione rigorosa, questo sacrificio implacabile del concetti. fil~sofici, continuare a leggere il testo di BatailIe, a interrogarl~, a g1Udlc~rlO all'interno del «discorso significativo», questo e, forse, mten?e~VI qualche cosa, rna certamente non e leggerlo. Ed e sempre p?sslbd~ farlo - rna non 10 si e fatto? - con grande disinvoltu~a, grandl mezz~, talvolta, e molte garanzie filosofiche. Non leggere, e, m questo caso, 19norare la necessita formale del testo di Bataille della sua particolare frammentazione, del suo rapporto coi racconti 'Ia cui a~ventura non si siustappone semplicemente a degli aforismi ~ ad un dlscorso «filosoficl», cancellando i loro significanti di fronte al loro contenuto significato. Diversamente dalla logiea COS1 come e intesa nel suo concetto classieo, diversamente anche dal Libro hegeliano che costituiva il tema di Kojeve, la scrittura di Bataille non ammette nella sua istanza maggiore, la distinzione tra la forma e il contenuto:. Proprio per questo e scrittura; ed e richiesta dalla sovranita. Questa scrittura - ed e, senza alcuna preoccupazione di ammaestrare, I'esempio che essa ci da, quello che ci interessa, qui, in questo mo~e.nto :- SI .sottomette a coordinare i concetti classici in quel che hanno dll.nevltabde (<
Dall'eeonomia ristretta all'eeonomia generale
cetto. Per lui, il testo di BataiIIe e pieno di tranelli; e, nel senso primo del termine, uno scandalo. La trasgressione del senso non e l'accesso alI'identita immediata e indeterminata di un non-senso, ne alIa possibilita di man tenere il nonsenso. Bisognerebbe piuttosto parlare di una epoche delI'epoca del senso, di una messa tra parentesi - scritta - che sospende l'epoca del senso: il contrario di una epoche fenomenologiea; quest'ultima viene attuata in nome e in vista del senso. E una riduzione che ci fa volgere verso il senso. La trasgressione sovrana e una riduzione di questa riduzione: non riduzione al senso, rna riduzione del senso. Questa trasgressione eccede nello stesso tempo la Fenomenologia dello spirito e la fenomenologia in generaIe, nei suoi sviluppi pili moderni. (Cfr. L'experience interieure, p. 19). Questa nuova scrittura dipendera dalI'istanza sovrana? Obbedira ai suoi imperativi? Si subordinera a cia che (si potrebbe dire per essenza, se la sovranita avesse una essenza) non si subordina nulla? Niente affatto, ed e questo il paradosso unieo del rapporto tra il discorso e la sovranita. Rapportare la scrittura maggiore alI'operazione sovrana, significa istituire un rapporto nella forma del non-rapporto, inscrivere la frattura nel testo, mettere Ia catena del sapere discorsivo in rapporto con un non-sapere che non ne costituisca un momento, con un non-sapere assoluto suI cui senza-fondo si levino Ia chance 0 la scommessa del senso, della storia e degli orizzonti di sapere assoluto. L'inscrizione di un simile rapporto sara «scientifica» rna in questo caso il termine sci enza subisce una alterazione radieale, trema, senza perdere nulla delle norme che gli sono proprie, per il semplice fatto di essere messo in relazione con un non-sapere assoluto. Non si potra chiamare scienza se non nella chiusura trasgredita, rna allora si dovra farlo dando una risposta a tutte Ie esigenze di tale denominazione. II non-sapere che eccede la scienza stessa, il non-sapere che sapra dove e in che modo eccedere la scienza stessa non sara qualificabile scientificamente (<
?!
, 1 Lo studio Sartre giil citato si artico!a in una prima e in una seconda parte, facendo perno dl questa PI'OpOS1Z1one: «Ma Ia forma non e tutto: vediamo il contenuto ». , ~ Uso s!i~tante, ma sorvegliato delle paroIe» dice Sollers (De Grandes irregularites de langage), 10 «Critique», I95-96, agosto-settembre I963,
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1 Uno dei temi fondamentali della studio di Sartre (Un nouveau mystique) anche I'accusa di scientismo, combinata con quella di misticismo «< E anche dallo scientismo che tutto il pensiero di BatailIe distorto»),
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storia e della chiusura del sapere assoluto, per averli presi suI serio e poi traditi eccedendoli 0 simulandoIi nel gioco I? 9u~sta simulazione, io con servo 0 anticipo il tutto del sapere, non ml hmlto a un sapere 0 a un non-sapere determinati, astratti, rna mi assolvo dal ~aper~ assoluto, rimettendolo al suo posto come tale, collocandol~ ed l~scnvendolo in uno spazio che esso non domina pill, La scrittura dl Batallle rapport a dunque tutti i semantemi, vale a dire tutti i £1losofe~i, all'operazione sovrana aHa consumazione a fondo per so della totahta del senso, Essa attinge,'per esaurirla, alIa risorsa del senso. Con una audacia minuziosa, esplorera la regola costituente di cia che essa deve eflicacemente, economicamente de-costituire, Procedendo cOSI lungo il cammino di cia che BataiIle chiama l' economia generale.
so, la sovranita non e dunque il principio 0 il fondamento di questa inscrizione. Come non-principio e non-fondamento, si sottrae de£1nitivamente all'attesa di un'archia rassicurante, di una condizione di possibilita 0 di un trascendentale del discorso. Qui non vi sono pill preliminari £1loso£1ci. La Methode de meditation ci insegna (p. 73) che l'itinerario disciplinato della scrittura deve condurci rigorosamente al punto in cui non c'e pill metodo ne meditazione, in cui l'operazione sovrana rompe con questi, perche non si lascia condizionare da nulla di cia che la precede 0 anche solo la prepara. AUo stesso modo che essa non cerca di applicarsi, ne di propagarsi, ne di durare, ne di ammaestrare (ed e per questa ragione che, secondo l'espressione di Blanchot, la sua autorita si espia), allo stesso modo che non cerca il riconoscimento, essa non ha nessun moto di riconoscenza nei confronti della fatica discorsiva e preliminare, di cui non puo tuttavia fare a meno. La sovranita deve essere ingrata. «La mia sovranit?i [ ... Jnon mi e affatto grata del mio lavoro» (Methode de meditation). La cura coscienziosa dei preliminari e per l'appunto £1loso£1ca e hegeliana.
I,
La scrittura e l' economia generali. La scrittura di sovranita si conform a all'economia generale, almeno su due punti: I) e una scienza, 2) rapporta i suoi oggetti alla distruzione senza riserva del sen so . Methode de meditation anticipa in questa modo La part maudite:
La critica che Hegel rivolgeva a Schelling (nella prefazione della Fenomeno[ogia) .non e.men~ decisiva. I lavori preliminari. dell'operazione non sono alla portata dl una 1nte~ltgenza non preparata (come dice Hegel: sarebbe ugualmente insensato mettersl a fare una calzatura, quando non si e un calzolaio). Questi lavori, per il modo di applicazione che e lora proprio, inibiscono tuttavia l'operazione sovrana (l'essere che si spinge il piu lontano possibile). II carattere sovrano esige per l'appunto il rifiuto di sottoporre l'operazione aHa condizione dei preliminari. L'operazione ha luogo solo nel caso che se ne manifesti l'urgenza: se questa si manifesta, non e piu il momento di procedere a lavori che per essenza sono subordinati a fini esteriori, poiche non sono essi stessi dei fini (Methode de meditation).
La scienZH che rapporta gli oggetti di pensiero ai momenti s,ovrani ?on.e d~ fatto se non una economia generale, che studia il sen so di quegh oggettl, g~1 um in rapporto agli altri e, i?fine, in rapP?rto alla perdita ~i sens.o: II problem~ dl questa economia generale Sl colloca suI plano del~ ec?nomza po!ztzca, ~a,la sClenza de: signata con questo nome ~ solo una e~onomla nstr~tta, (al valOr! ~h mercato)- SI tratta del problema essenzlale per la SC1enza che,studla 1uso,delle tlcchezze. L economia generale mette in evidenza innanzi tutto II fatto che Sl p:oducon~ delle,eccedenze di energia che, per definizione, non possono essere util!zzate. L energla eccedente non puo che andare perduta senza alcuno scopo, e dl conseguenza senza alcun senso. Questa perdita inutile, insensata, ela sovranita 2.
Ora se si pensa che Hegel e stato senza dubbio il primo a dimostrare l'unita ontologica del metodo e della storicita, bisogna anche concludere che cia che la sovranita eccede, non e soltanto il «soggetto» (Methode de meditation, p. 75), rna la storia stessa. Non che si ritorni, in maniera classica e pre-hegeliana ad un senso astorico che costituirebbe una £1gura della Fenomenologia dello spirito. La sovranita trasgredisce il tutto della storia del sen so e del senso della storia, del progetto di sapere che Ii ha sempre oscuramente collegati. II non-sapere e allora ultrastorico 1 rna solamente in quanta ha preso atto del compimento della 1 II non-sapere non e sterko, come rileva Sartre (<< ... II non-sapere e essenzialmente storico. poiche non 10 si puo definire che come una certa esperienza che un certo uomo ha fatto, ad una certa data») se non sui versante discorsivo, economico, subordinato, che si manifesta e che si lascia designare appunto neIla chimura rassicurante del sapere. La «narrazione edificante» - in questo modo. Sartre qualifica subito dopo I'esperienza interiore - sta invece dalla parte del sapere, deIla stona e del senso.
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Dall'economia ristretta all'economia generale
La scrittura e la differenza
t SuIl'operazione consistente nel mimare il sapere assoluto, al cui termine «;aggi~~to il ~or; sapere, il sapere assoluto non e pili che una conoscenza tra I~ a~t~e», efr. ~elI ~xpertence dtnte rieure cit., pp. 73 sg., e soprattutto, a pp. I38 sg., Ie argomentaZIOn1lmporta~t1 dedlcate,al mo. ~lIo cartesiano (<< un terreno saldo sui quale tutto riposa») e al modello hegehano (,da mcolanta»)
del sapere. .' bb tt r re gros 2 Interpretare queste proposizioni in senso « reaZl.onano» sare e co,!,me ere un er 0 solano II consumo dell'energia eccedente da parte dl una c1asse determmata non la co~suma zione distruttrice del senso: e la riappropriazione si~ni?cante di un plus-val<;re ne~lo s~azlMdel" I'economia ristretta. La sovranitii, da questo punto dl vls~a, e a~solutamente nyoluzlOnana' a 0 eanche nei conflonti di una rivoluzione che tendesse a, rlOrgamzzare soltanto.lI1?ondo del lavoro e a ridistribuire i valori nello spazio del senso, vale a dire ancora dell'ec~noml~ rlSt,retta. Lahnecessita di quest'ultimo movimento - che Bataille h~ solta~to vag~m~nte lO!ravlsta 10 q'!f\c e m~ mento (per esempio neIla Part maudite, quando rlcorda 11 «radlcahsmo dl Marx», e «I ~ens~ rl: voluzionario che Marx ha sovranamente formulato») e pili spesso co';lfusa con approsslmazfom congetturali (per esempio ';leIla quinta parte della Part maudtte) - e ngorosa, ma come una ase neIla strategia dell'economla generale.
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La scrittura e la differenza
DalI' economia ristretta all' economia generale
I? ~uanto scrittura scientifica, l'economia generale non e certo la sovramta stessa. Non c'e, d'altra parte, una sovranita stessa. La sovranita dissolve i valori di senso, di verita, di possesso-della-cosa-stessa. Per q.u~sto il dis.corso che essa apre 0 che si rapporta ad essa, non e vero, ver1tler~ 0 «slr:cero»:. La sovrani~a e l'impossibile, essa dunque non e, essa e, e Batadle scnve la parola 111 corsivo, «questa perdita». La scrittura di sovranita mette il discorso in rapporto con il non-discorso assolut~. Come l'economia generale essa non e la perdita di senso, rna, come a,~blamo appena letto, «rapporto con 1a perdita di senso». Essa apre l111t~r~ogazlOne del senso. Non descrive il non-sapere, questa e l'imposslblle, rna soltanto gli effetti del non-sapere. « ... Del non-sapere come tale sarebbe insomma impossibile parlare mentre possiamo parlare dei suoi effetti...» 2. ' . Tuttavia non ci si reintegra per questo nell'ordine abituale della SClenza come conoscenza. La scrittura di sovranita non ene la sovranita nella sua operazione ne il discorso scientifico corrente. Quest'ultimo ha co~e senso (c?me contenuto discorsivo e come direzione) il rapporto one~tato dall'lgnoto a1 no to 0 al tonoscibi1e, a cia che e gia sempre conosclUto.O alla conoscenza anticipata. Benche anche 1a scrittura generale abbla un senso, non essendo che rapporto a1 non-sen so 1'ordine che si e detto vi si trova rovesciato. II rapporto alIa possibilit~ assoluta della conoscenza e in essa sospeso. II noto e rapportato all'ignoto, il senso a1 non-senso. «Questa conoscenza che si potrebbe definire liberata (rna che io preferisco chiamare neutral e 1'uso di una funzione staccat a (liberata) da~la servitu da cui deriva: la funzione rapportava l'ignoto al ~oto (a1 sohdo), mentre daI momento in cui si distacca, essa rapporta d no to all'ignoto» (Methode de meditation). Movimento soltanto abbozzato, l'abbiamo visto, nell'«immagine poetica». Non che 1a fenomenologia dello spirito, che procedeva nell'orizzonte del sap~re assoluto 0 secondo la circ01arita del Logos, sia in tal modo rovesctata. Invece di essere semplicemente rovesciata, essa e compresa: non compresa attraverso 1a comprensione conoscente, rna in-
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. . '.La serittura d! sovranita non ne vera ne falsa, ne veritiera ne insineera. E puramente fit. tlzla, m un senso dl questa parola ehe sfugge aile eontrapposizioni c1assiehe di vero e falso di essenza ed apparenz~. Si sottrae ad ogni interrogazione teoriea 0 etica. E simultaneamente vi si olfre suI versa~te. mmore a cui, ?ice B~taille, essa si unisee nel lavoro, nel discorso, nel senso. «< E la pa~ra dl. dlvent~re pa~zo, Im!1!agll~o, che mi spinge a serivere », Sur Nietzsche). Su questo versante, e posslblle ehledersl, nel P!u ~aede e legitt\mo dei modi, se Bataille «sincero». E quanto fa Sartre:. «~cco .dunque questa I~VI~? .a p~rderCl, se?za calcolo, senza contropartita, senza salvezza .. E ;m l?V!tO smeero?» E un po PlU 10 la: «Perche, dopo tutto, Bataille scrive, funzionario alia Blbhotheque Natlonale, legge, fa l'amore, mangia». , ConNrence~ s~r Ie non-savoir, cit: Gli oggetti della scienza sono allora degli «elfetti» del non-~apere. Elfettl dl non-senso. COSI DlO, per esempio, in quanto oggetto della teologia. «Anche DIO e un elfetto del non-sapere» (ibid.).
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scritta, con i suoi orizzonti di sapere e Ie sue figure di senso, nell'apertura della economia generale. Quest'ultima li costringe a rapportarsi non al movimento, rna a1 senza-fondo del dispendio, non al telos del senso, rna alIa distruzione indefinita del valore. L'ateologia di Bataille e anche una a-te1eologia e una anescatologia. Anche nel suo discorso, che e gia necessario distinguere dall'affermazione sovrana, questa ateo10gia, non procede tuttavia secondo i procedimenti della teologia negativa; procedimenti che con ogni probabilita non mancavano di sedurre Bataille, rna che forse riservavano ancora, al di la di tutti i predicati rifiutati, e perfino «al di 1a dell'essere», una «super-essenzialith '; al di 1a delle categorie dell'essente, un essente supremo e un senso indistruttibile. Forse: poiche noi tocchiamo qui dei punti limite, e Ie audacie estreme del discorso nel pensiero occidentale. Potremmo mostrare che Ie distanze e Ie prossimita non differiscono tra loro. Poiche essa rapporta la serie delle figure della fenomenicita a un sapere del senso che si e gia da sempre preannunciato, la fenomenologia dello spirito (e la fenomenologia in generale) corrisponde ad un'economia ristretta: ristretta ai valori di mercato, si potrebbe dire, riprendendo i termini della definizione, «scienza che tratta l'uso delle ricchezze», limitata al sen so ed al valore costituito degli oggetti, alIa loro circolazione. La circolarita del sapere assoluto dominerebbe, comprenderebbe soltanto questa circolazione, solo il circuito del consumo riproduttivo. La produzione e 1a distruzione assolute del valore, l'energia eccedente in quanta tale, quella che «non puo che andare perduta senza alcuno scopo, e di conseguenza senza alcun senso», tutto questo sfugge alla fenomenologia come economia ristretta. Quest'ultima non puo determinare la differenza e 1a negativita se non come versanti, momenti 0 condizioni del senso: come lavoro. Ora il non-senso dell'operazione sovrana non e ne il negativo ne la condizione del senso, benche sia anche questo, e benche il suo nome 10 lasci intendere. Non e una riserva del senso. Si colloca al di la della opposizione tra il positivo e il negativo, perche l'atto di consumo, quantunque induca a perdere il senso, non e il negativo della presenza, conservata 0 osservata nella verita del suo senso (del bewahren). Una simile rottura di simmetria deve trasmettere i suoi effetti nell'intera catena del discorso. I concetti della scrittura generale
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, Cfr. per esempio Maestro Eckhart. II movimento negativo del discorso su Dio non ehe una fase de\l'onto-teologia positiva. «Dio e senza nome. Se io dico Dio e un essere, questo non e vero' un essere al di sopra deIl'cssere e una negazione superessenziale» (Renovamini spiritu mentis v~strae). Era solo un passaggio 0 un giro di linguaggio per I'onto-teologia: «Quando ho detto che Dio non era un essere, rna era al disopra dell'essere, non gli ho contestato la facolta d'essere, rna al contrario, gli ho attribuito un essere pili elevato» (Quasi stella matutinal. Medesimo movimento nello Pseudo-Dionigi Areopagita.
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La scrittura e Ia differenza
possono essere letti solo alla condizione di essere deportati, spostati fuori dalle alternative di simmetria, in cui pure sembrano assunti e in cui, in un certo modo, devono anche essere mantenuti. La strategia funziona per questa presa e per questa spostamento. Per esempio, se si tien conto di questa commento del non-senso, cio che si indica, nella chiusura della metafisica, come non-valore, rinvia al di Ia dell'opposizione del valore e del non-valore, al di Ia del concetto stesso di valore, come del concetto di senso. Cio che si indica come mistico perche fa tremare Ia sicurezza del sapere discorsivo, rinvia al di Ia della opposizione tra il mistico e il razionale '. Bataille non e, soprattutto, un nuovo mistico. Quella che si indica come esperienza interiore, non eun'esperienza perche non fa riferimento ad alcuna presenza, ad alcuna pienezza, rna soltanto all'impossibile che essa «sperimenta» nel supplizio. Soprattutto, questa esperienza non e interiore. Anche se sembra esserlo in quanta non fa riferimento a niente altro, a nessun fuori, se non nel modo del non-rapporto, del segreto, della rottura, essa e, tuttavia, interamente esposta - al supplizio - nuda, aperta al fuori, senza riserva e senza coscienza interiore, profondamente superficiale. Tutti i concetti della scrittura generale potrebbero essere sottoposti a questa schema (quelli di scienza, di materialismo, d'inconscio, ecc.). I predicati non si trovano Ia per voler-dire qualcosa, per enunciare 0 significare, rna solo per fare scivolare il senso, per denunciarlo 0 per sviare da esso. Questa scrittura non produce necessariamente nuove unita concettuali. I suoi concetti non si distinguono necessariamente dai concetti classici attraverso segni caratteristici sotto forma di predicati essenziali, rna attraverso differenze qualitative di forza, di altezza ecc., che a Ioro volta sono qualificate solo per metafora. I nomi della tradizione vengono conservati, rna vengono distinti tra maggiore e minore, arcaico e classico 2 ecc. E questa il solo modo di rilevare, nel discorso, cio che separa il discorso stesso da quanto 10 eccede. , Per definire il punto nel quale si separa da Hegel e da Kojeve, Bataille precisa che cosa intende per «misticismo cosciente», «al di la del misticismo classico»: «II mistico ateo, cosciente di se, cosciente di dover morire e di scomparire, vivrebbe, come dice Hegel evidentemente di se stesso, "nella lacerazione assoluta"; rna per lui si tratta solo di un periodo: al contrario di Hegel, non ne uscirebbe fuori, "contemplando iI Negativo bene in faceia", rna non potendolo mai trasporre in Essere, rifiutandosi di farlo e restando nell'ambiguita" (Hegel, la mort et Ie sacrifice cit.). 2 Anche qui la differenza conta pili del contenuto dei termini. E bisogna collegare queste due serie di opposizioni (maggiore/minore, arcaico/classico) con quella che abbiamo definita sopra a proposito del poetico (non-subordinazione sovrana/inserzione/subordinazione). Alla sovranita arcaica «che sembra avere implicato vera mente una specie di impotenza), e che, in quanto sovranita ,
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Tuttavia Ia scrittura all'interno della quale operano questi stratagemmi, non consiste nel subordinare dei momenti concettuali alla to: talita di un sistema in cui possano prendere finalmente un sen so. Non S1 tratta di subordinare gli scivolamenti, Ie differenze del discorso e il gioco della sintassi al tutto di un discorso che Ii precede. AI contrario. Se il gioco della differenza eindispensabile per leggere correttamente i concetti dell'economia generale, se bisogna tornare a inscrivere ogni nozione nella legge del suo scivolamento e rapportarla all'operazione sovrana, non bisogna tuttavia farne il momenta subordinato di una struttura. La Iettura di Bataille deve passare tra questi due scogli. Essa non dovra isolare Ie nozioni come se fossero illoro proprio contesto, come se fosse possibile capire immediatamente nelloro contenuto cio che vogliono dire termini come «esperienza», «interiore», «mistica», «lavoro», «materiale», «sovrano», ecc. In questa caso l'errore consisterebbe nel consider are immediatezza di Iettura I'accecamento di fronte ad una cuItura tradizionale, che si offra come l'elemento naturale del discorso. Ma inversamente, non si deve neppure sottoporre I'attenzione contestuale e Ie differenze di significazione a un sistema del senso, che permetta 0 prometta una padronanza formale assoluta. Sarebbe cancellare I'ecce: denza del non-senso e ricadere nella chiusura del sapere: sarebbe, dl nuovo, non Ieggere Bataille. Anche su questa punto, il dialogo con Hegel e decisivo. Per esempia: Hegel e quanti, sulla sua scia, si collocano nell'elemento sicuro del discorso fil050fico, non sarebbero stati capaci di leggere, nel suo scivoIamento regolato, un segno come quell? di «esperienza». Se~za spiega!,si pili a Iungo, Bataille rileva nell'Erottsmo: «Nella mente dl He~eI, clO che eimmediato ecattivo ed Hegel avrebbe messo certamente m relazione cia che io chiamo esperienza con l'immediato» '. Ora, se l'esperienza interiore, nei suoi momenti maggiori, rompe con Ia mediazione, non e per questo immediata. Essa non gode di una presenza assolutagettivita libera, vittoriosa, autoc<;>sciente, riconosciuta, ecc., quindi l?ediata e deviata da s~, .ch~ ritorna a se per esserne stata devJata dallavoro del serv<;». <;Jra ~atal.lle mostra che <de pOs.lZ!o..m maggiori» della sovranita possono essere, quanto Ie mmon, «msente nella sfera dell attlVJta» (Methode de meditation cit.). . , La diflerenza tra iI maggiore e iI minore dun qUi: solan;ente analoga .alla dl~erenza ~ra l.arcaico e iI classico. E ne I'una ne l'altra debbono eSsere mtese m modo clas~lco 0 mm?re. L arcaJCO non l'originario 0 l'auttntico, determinati dal discorso filo~~fico. II maggl<;>re no~ Sl ~ontrapp.one al minore come iI grande al piccolo, I'alto al basso. In Vlellie taupe (arucolo med.lto! resP,mto dalla rivista «Bifurs»; [pubblicato ora su «Tel Quel» n. 34, estate 1968]), Ie 0ppOSJZlOnJ dell alto e del basso, di tutte Ie significazioni in super (su!reale, supert.'omo,. ecc.) e m sot~o J~o..tter:aneo eec.}, dell'aquila imperialista e della talpa proletana, sono esammate m tutte Ie pOSSlbillta delloro
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" . .., rovesciamenti. , efr. G. BATAILLE, L'erollsme, EdltJons de MWUlt, ParIS l'Orto, Sugar, Milano 1962).
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La scri ttura e la differenza
mente prossi~a e soprattutto non puo, come I'immediato hegeliano, entrare nel movtmento della mediazione. L'immediatezza e Ia mediatezza, quali si present.ano. nell'elemento della filosofia, come nella Iogica 0 nella. fenomenologta dt Hegel, sono ugualmente «subordinate». A questo tltoIo, possono passare I'una nell'altra. L'operazione sovrana, dunque, sospende anche Ia subordinazione nella forma dell'immediatezza. Per comprendere come aHora essa non si pone in opera e in fenomenoIogia, bisogna ~scire fuori daI logos fiIosofico e pensare I'impensabile. Come trasgredtre a un tempo il mediato e I'immediato? Come eccedere Ia «subordinazione» aI senso del logos (fiIosofico) nella sua totalita? Forse per mezzo della scrittura maggiore: «10 scrivo per annullare in me stesso un gioco di operazioni subordinate (tutto sommato e superfluo)>> (Methode de meditation). Forse soltanto, e «tutto s;mmato e superfluo», perche questa scrittura non deve garantirci nulla, non ci da nessuna certezza, nessun risultato, nessun vantaggio. E assolutamente avventurosa, e una chance e non una tecnica.
La trasgressione del neutro e lo spostamento dell'« Aufhebung» Al di Ia delle opposizioni classiche, Ia scrittura di sovranita e bianca o neutra? Si potrebbe crederlo, dato che non Ie e possibile enunciare qualcosa, se non nella forma di ne questo, ne quello. Non sta forse qui una delle afllnita tra il pensiero di BataiIIe e quello di Blanchot? E Bataille non ci propone una conoscenza neutra? «Questa conoscenza che si potrebbe definire liberata (ma che io preferisco chiamare neutral e I'uso di una funzione staccata (liberata) dalla servitu da cui deriva ... essa rapport a il nota all'ignoto» (gilt citato). Ma qui bisogna attentamente considerare che non e I'operazione sovrana ad essere neutra, ma Ia conoscenza discorsiva. La neutraIita e di essenza negativa (ne-uter), e l'aspetto negativo di una trasgressione. La sovranita non e neutra, anche se neutralizza, nel suo discorso, tutte Ie contraddizioni 0 tutte Ie opposizioni della logica classica. La neutraIizzazione si produce nella conoscenza e nella sintassi della scrittura ma si rapporta a una affermazione sovrana e trasgressiva. L'operazion~ sovrana non si accontenta di neutralizzare nel discorso Je opposizioni classiche, essa trasgredisce nell'«esperienza»\intesa in senso maggiore) la Iegge 0 i divieti che fanno sistema con il discorso, ed anche col lavoro di neutralizzazione. Venti pagine dopo aver proposto una «conoscenza neutra»: «10 fisso Ia possibilita di una conoscenza neutra? la
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mia sovranita I'accogIie in me, come I'u(cello canta, e non mi e affatto riconoscente per il mio Iavoro». Ecco perche Ia distruzione del discorso non e una semplice neutralizzazione come cancellazione. Essa moltiplica Ie parole, Ie precipita Ie une contro Ie altre, Ie travoIge in una sostituzione senza fine e senza fondo, Ia cui unica regoIa e l'affermazione sovrana del gioco fuori senso. Non la riserva 0 il riserbo, iI mormorio infinito di una parol a bianca che cancella Ie tracce del discorso classico, ma una specie di potlac dei segni, che brucia, che consuma, che sperpera Ie parole nell'affermazione allegra della morte: un sacrificio e una sfida '. Cos1, per esempio: In precedenza, ho designato l'operazione sovrana con i nomi di espericnza interiore 0 di estremo del possibile. Ora la designo anche col nome di: meditazione. Cambiare parola significa la noia di usare una parola qualsiasi (operazione sovrana e tra tutti i nomi il pill fastidioso: operazione comica, in un certo senso, sarebbe meno ingannevole); preferisco meditazione ma ha un sapore di devozione (Methode de meditation).
Che cosa e successo? In definitiva, non si e detto niente. Non ci si e fermati su nessuna paroIa; la catena non si regge su nulla; non uno dei concetti soddisfa alIa richiesta, tutti si determinano gli uni con gli altri e nello stesso tempo si distruggono 0 si neutralizzano. Ma e stata affermata Ia regoIa del gioco, 0 meglio, iI gioco come regoIa; e Ia necessita di trasgredire il discorso e Ia negativita della noia (d'impiegare una paroIa quaIsiasi nell'identita rassicurante del suo senso). Ma questa trasgressione del discorso (e di conseguenza della Iegge in generaIe, poiche il discorso non si pone che ponendo Ia norma 0 il valore di senso, cioe I'elemento della legalita in generaIe) deve, come ogni trasgressione, conservare e confermare, in qualche modo, cio che essa eccede '. E il solo modo di affermarsi come trasgressione e di accedere COSl al sacro che «e dato nella violenza di una infrazione». Ora, descrivendo nell'Erotismo «l'esperienza contraddittoria dell'interdetto e della trasgressione», Bataille aggiunge una nota alla frase seguente: «Ma la trasgressione e diversa dal "ritorno alIa natura": essa toglie l'interdetto senza sopprimerlo». Ecco la nota: «Inutile insistere suI carattere hegeliano di questa operazione, che corrisponde al momenta
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1 «II gioco non nulla se non in una sfida aperta e senza riserva a cio che si contrappone al . gioco» (nota in margine a quella Theorie de la religion inedita, che Bataille pensava anche di intitolare «Morire di ridere e ridere di morire»). , «Gesto ... irriducibile alia logica classica ... e per il quale nessuna logica sembra costituita» dice Sollers in Le toit, che cominda con 10 smascherare nelloro sistema tulte Ie forme della pseu: do·trasgressione, Ie figure sociali e storiche nelle quali si puo leggere la complidta tra «colui che vive senza contestazione nella soggezione della legge e colui per il quale 1a legge non e nulla ». In quest'ultimo caso, la repressione soltanto «raddoppiata ». (Le toit, essai de lecture systemati· que, in «Tel Que!», 29).
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Dall'economia ristretta all'economia generale
La scrittura e la differenza
della dialettica, espresso dal verbo tedesco intraducibile aufheben (superare conservando)>>. E «inutile insistere»? E possibile, come dice Bataille, comprendere il movimento di trasgressione sotto il concetto hegeliano di Aufhebung che, come abbiamo sufficientemente osservato, rappresentava la vittoria del servo e la costituzione del senso? Dobbiamo interpretare qui Bataille contro Bataille, 0 meglio, uno strato della sua scrittura, muovendo da un altro strato '. Contestando cia che in quella nota sembra ovvio a Bataille, faremo pili acuta la figura dello spostamento alIa quale e qui sottoposto tutto il discorso hegeliano. Cia che rende Bataille ancora menD hegeliano di quanta egli non creda. L'Aufhebung hegeliano si produce per intero all'interno del discorso, del sistema 0 dellavoro della significazione. Una determinazione viene negata e conservata in un'altra determinazione che ne tivela la verira. Da una indeterminazione a una determinazione infinite, si passa di determinazione in determinazione, e questo passaggio, prodotto dall'inquietudine dell'infinito, concatena il senso. L'Aufhebung e compresa nel cerchio del sapere assoluto, non eccede mai la sua chiusura, non , Come ogni discorso, come quello di Hegel, il discorso di Bataille ha la forma di una strut· tura di interpretazioni. Ogni proposizione che gia di natura interpretativa, si lascia interpretare in un'altra proposizione. Possiamo, quindi, procedendo con prudenza e restando all'interno del testa di BatailIe, distaccare una interpret?:;one dalla sua reinterpretazione e sottoporla ad un'altra interpretazione collegata ad altre proposizioni del sistema. II che significa, senza interrompere la sistematicita generale, riconoscere dei momenti forti e dei momenti deboli nell'interpretazione che un pensiero da di se stesso, tenendo conto che queste differenze di forze dipendono dalla necessita strategica del discorso finito. Naturalmente la nostra particolare lettura interpretativa si sforzata di passare, per collegarli tra lora, attraverso queIli che noi abbiamo interpretato come i momenti maggiori. Questo «metodo» - quello che noi chiamiamo cosl, nella chiusura del sapere - giusti. {icato da cib che. sulla traccia di BataiIle, scriviamo qui sulla sospensione dell'epoca del senso e della verita. E questo non ci dispensa ne ci vieta di determinare la regola della forza e della debelezza: quest'ultima e sempre in funzione: r) dell'allontanamento dal momento di sovranita, 2) di un disconoscimento delle norme rigorose del sapere. La forza pili grande quella di una scrittura che, nella trasgressione pili audace, continua a mantenere e a riconoscere la necessit/! del sistema dell'interdetto (sapere, scienza, filosofia, lavoro, storia, ecc.). La scrittura sempre tracciata tra questi due versanti del limite. Tra i momenti deboli del discorso di Bataille, aleuni si distinguono per que! non-sapere deter· minato che una certa ignoranza filosofica. E, per esempio, Sartre nota a ragione che «egli non ha evidentemente capito Heidegger, di cui parla spesso e a sproposito» e che allora
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sospende mai la totalita del discorso, dellavoro, del senso, della legge, ecc. Poiche non toglie mai, sia pur conservandola, la forma occult ante del sapere assoluto, l'Aufhebung hegeliana appartiene per intero a cia che Bataille chiama «il mondo dellavoro», cioe dell'interdetto inavvertito come tale e nella sua totalita. «COS1 la collettivita umana, che si dedica in parte allavoro, si definisce negli interdetti, senza i quali non sarebbe diventata quel mondo del lavoro che essenzialmente essa C» (L' erotismo). L'Aufhebung hegeliana apparterrebbe, dunque, all'economia tistretta e sarebbe la forma del passaggio da un interdetto a un altro, la circolazione dell'interdetto, la storia come verira dell'interdetto. Bataille non puo quindi fare uso che della forma vuota dell' Aufhebung, in modo analogico, per designare, cia che non era mai stato fatto, il rapporto di trasgressione che lega il mondo del senso al mondo del non-senso. Questo spostamento e paradigmatico: un concetto intra-filosofico, il concetto speculativo per eccellenza, viene costretto in una scrittura a indicare un movimento che costituisce propriamente l'eccesso di ogni filosofema possibile. Questo movimento fa apparire allora la filosofia come una forma della coscienza ingenua 0 naturale (che in Hegel significa anche culturale). Finche l'Aufhebung resta presa nell'economia ristretta, essa e prigioniera di questa coscienza naturale. II «noi» della Fenomenologia dello spirito ha un bel offrirsi come il sapere di cia che non sa la coscienza ingenua calata nella sua stotia e nelle determinazioni delle sue figure; esso resta naturale e volgare, perche non pensa il passaggio, la verita del passaggio se non come circolazione del senso e del valore. Esso svolge il senso e il desiderio di senso della coscienza naturale, di quell a che si tinchiude nel cerchio per sapere il senso; sempre, da qualsiasi parte provenga e dovunque vada. Essa non vede il senza-fondo di gioco suI quale si innalza la storia (del senso). In questa misura la filosofia, la speculazione hegeliana, il sapere assoluto e tutto quanta essi dominano e domineranno senza fine nella loro chiusura, restano determinazioni della coscienza naturale, servile e volgare. L'autocoscienza e servile. Dal sapere estremo alIa conoscenza volgare -la pili general mente distribuita la differenza enulla. La conoscenza del mondo in Hegel, equella del primo venuto (il primo venuto, non Hegel, decide per Hegel del problema chiave: quello che riguardala differenza tra la follia e la ragione: il «sapere assoluto» su questo punto, conferma la nozione volgare, si fonda su di essa, e solo una delle sue forme). La conoscenza volgare ein noi come un'altra trama! ... In un certo senso la condizione alIa quale io potrei vedere sarebbe di uscire fuori, di emergere, dalla «trama». E senza dubbio debbo subito aggiungere: questa condizione per cui vedrei sarebbe morire. Non avro, in nessun momento, la possibilita di vedere! (Methode de meditation ).
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La struttura, il segno e il gioco ne! discorso delle scienze umane *
Se tutta la storia del senso e raccolta e rappresentata, in un punto del quadro, dalla figura del servo, se il d~scorso di Hegel, la L?gica, il Libro di cui pada Kojeve sono illinguagglO (del) servo, vale a dIre (de~) lavoratore, essi possono essere letti da sinistra a destra 0 ?a des.tra a .Slnistra come movimento reazionario 0 come movimento nvoluzlOnano, o com'e tutti e due insieme. Sarebbe assurdo se la trasgressione del Libro da parte della scrittura non potesse esser letta ~he in un sen~o determinato. Sarebbe assurdo, dato che la forma dell Aufhebung e conservata nella trasgressione, e insieme troppo pieno di sen so per una trasgressione del senso. Da destra a sinistra 0 da sinistra a destra: queste due proposizioni contraddittorie e troppo sensate mancano egualmente di pertinenza. In un certo pun to ?etermina.to. ., Molto determinato. Constatazione d1 non-perunenza d1 CUl dunque, bisogna, per quanta e P?ssibile, contro~l~re gli. effett.i. Non si sarebbe capito nulla della strateg1a generale se. Sl rmunc1as~e, m modo assol~to, a controllare I'uso di questa constatazlOne. Se 10 Sl affidasse, se 10 Sl abbandonasse 0 10 si mettesse in una mana qualsiasi: nella destra 0 nella sinistra.
E pili difficile interpretare Ie interpretazioni che interpretare Ie cose. MONTAIGNE
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." La eondizione alIa quale io p~trei vedere ~arebb~ di uscire fuori, di .ef!1er- \~ gere dalla
vedere!
C'e dunque la trama volgare del sapere assoluto e l'apertura mortaIe dell'occhio. C'e un testo e uno sguardo. Lo stato di servitu del senso e it risveglio alla morte. Una scrittura minore e una luce maggiore. Tra l'una e l'altra, tutt'altro, un certo testo. Che traccia in sitenzio la struttura delI'occhio, disegna I'apertura, si avventura.a tramar~ l~ ',:' «lacerazione assoluta», strappa in modo assoluto la propna trama r1dlventata «solida» e servile nelI'offrirsi ancora alIa lettura.
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("Puo darsi che nella storia del concetto di struttura sia intervenuto qualcosa che si potrebbe definire un «avvenimento», se questa parola non implicasse una carica di senso che l'esigenza strutturale - 0 strutturalista - ha per l'appunto la funzione di ridurre 0 di tener in sospetto. Diciamo tuttavia un «avvenimento» e prendiamo questa parola con precauzione, tra virgolette. Quale sarebbe dunque questa avvenimento? Esso avrebbe la forma estern a di una frattura e di un raddoppiamento. Sarebbe facile mostrare che it concetto e perfino la parol a di struttura hanno l'eta della episteme, vale a dire nello stesso tempo della scienza e della filosofia occidentali, e che affondano Ie Ioro radici nel terreno dellinguaggio comune, in fondo al quale l' episteme va a raccoglierli per condurli a se con uno spostamento metaforico. Tuttavia, fino all'avvenimento che vorrei reperire, Ia struttura, 0 meglio Ia strutturalita della struttura, benche sempre operante, si e sempre trovata neutralizzata, ridotta: da un gesto che consisteva nel dade un centro, nel rapportarIa a un punto di presenza, a una origine fissa. Questo centro non aveva solo Ia funzione di orient are e di equilibrare, di organizzare la struttura - non epossibile infatti pensare una struttura non organizzata - ma soprattutto di fare in modo che it principio di organizzazione della struttura limitasse cio che potremmo chiamare it gioco della struttura. Senza dubbio i1 centro di una struttura, orientando e organizzando la coerenza del sistema, permette i1 gioco degli elementi all'interno della forma totale. E ancora oggi una struttura priva di ogni centro rappresenta l'impensabile stesso. Tuttavia i1 centro chiude anche it gioco che apre e rende possibile. In quanto centro esso e il pun to in cui Ia sostituzione dei contenuti, de" La structure, Ie signe et Ie ;eu dans Ie discours des sciences humaines, conferenza tenuta al Colloquio internazionale dell'Universita John Hopkins (Baltimore) su I linguaggi critici e Ie scienze dell'uomo, il 21 ottohre 1966.
La scrittura e la differenza
gli elementi, dei termini, non e pili possibile. AI centro, la permutazione 0 la trasformazione degli elementi (che d' altra parte possono essere delle strutture comprese dentro una struttura) e interdetta. 0 almeno, essa e sempre stata interdetta (e uso questa parola d~ ~rop~sito!. Dunque si e sempre pensato che il centro, che per defimzlOne e umco, co· stituisse, in una struttura, proprio cia che, dominando la struttura, sfugge alia strutturalita. Ecco perche, per un pensiero classico della struttura il centro puo essere detto paradossalmente, dentro Ia struttura e fu~ri della struttura. E al centro della totalita e tuttavia, poiche i1 centro non Ie appartiene, la totalita ha il suo centro altrove. II cen~ro non e il centro. II concetto di struttura centrata - benche rappresentl la coerenza stessa, la condizione dell' episteme come filosofia 0 come scienza - e contraddittoriamente coerente. E come sempre, la coerenza nella contraddizione esprime la forza di un desiderio. II concetto di struttura centrata e in effetti il concetto di un gioco fondato, costituito sulla base di una immobilita fondatrice e di una certezza rassicurante, anch'essa sottratta al gioco. Sulla base di tale certezz~ e possi?ile ?orr;inare Fangoscia che nasce sempre da un certo modo dl ~ss~r~ llnpltcat~ ne~ glOco, di essere presi nel gioco, di essere fin dal pnnClplO dentro 11 glOCO. A partire da cia che noi dunque chiamiamo cen~ro e ~h~, P?t.endo ~ssere sia fuori che dentro riceve indifferenteme:lte lnoml dl ongme 0 dl fine, di arche 0 di telos,' Ie ripetizioni, Ie sostituzioni, Ie trasformazio~1i, ~e permutazioni sono semp!e ~~ese in una sto.ri? de~ senso - ;al.e ~ dire 111 una storia tout court - dt CUI e sempre posslbtle ndestare 1ong111e 0 anticipare la fine nella forma della presenz~. Per questo, si pow:bbe forse dire che il movimento di ogni archeologla come quello dl ogm escatologia, e complice di questa riduzion~ della struttura~ita della struttu!a e tenta sempre di pensare quest'ultlma sulla base dl una presenza plena e fuori gioco. . ' Se e davvero COS! l'intera storia del concetto dl struttura, pnma della frattura di cui pariiamo, deve essere pensata come una serie di sostituzioni da centro a centro una catena di determinazioni del centro. II centro riceve successivam~nte e in modo regolato, forme 0 nomi diversi. La storia della metafisica, come la storia dell'Occidente, sarebbe Ia storia di queste metafore e di queste metonimie. La sua matrice formale sarebbe - mi si perdoni se sono COS! poco dimostradvo e tanto e1Httico ma vorrei arrivare al pili presto al mio tema principale -la determi~azione dell'essere come presenza in tutti i sensi della parola. Si potrebbe mostrare che tutti i nomi del fondamento, del principio 0 del centro hanno sempre designata l'invarhnte di una presenza (eidos, ar-
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ehe, telos, energeia, ousia [essenza, esistenza, sostanza, soggetto] aletheia, trascendentalita, coscienza, Dio, uomo, ecc.). L'avvenimento di frattura, il dirompimento a cui alludevo all'inizio, si sarebbe forse prodotto nel momento in cui si e dovuto cominciare a pensare alla strutturalita della struttura, vale a dire, si e dovuto com inciare a ripetere, ed e questa la ragione per cui dicevo che tale dirompimento era ripetizione, in tutti i sensi della parola. Da questa punta in poi si e dovuto pens are la legge che dominava in qualche modo il desiderio del centro nella costituzione della struttura, e il procedimento della significazione che prescriveva i suoi spostamenti e Ie sue sostituzioni a quella legge della presenza centrale; ma di una presenza centrale che non e mai stata se stessa, che e sempre stata gia trasferita fuori di se nel suo sostituto. II sostituto non si sostituisce a qualcosa che, in qualche modo, gli sia pre-esistito. Da que! pun to si e dovuto cominciare a pensare che non c'era centro, che il centro non poteva essere pensato nella forma di un essente-presente, che il centro non aveva un posto naturale, che non era un posto nsso bens! una funzione, una specie di non-Iuogo nel quale si producevano senza nne sostituzioni di segni. Questo e il momenta in cui illinguaggio invade il campo problematico universale; e il momento in cui, nell'assenza di centro 0 di origine, tutto diventa discorso - a condizione di intendersi su tale parola - vale a dire sistema nel quale il significato centrale, originario 0 trascendentaIe, non e mai presente in assoluto, al di fuori di un sistema di differenze. L'assenza di significato trascendentale estende all'infinito il campo e il gioco della signincazione. Dove e come si produce questo decent ramen to come pensiero della strutturalita della struttura? Sarebbe abbastanza ingenuo, per designare questa produzione, riferirsi a un avvenimento, a una dottrina 0 al nome di un autore. Questa produzione appartiene senza dubbio alla totalita di un'epoca, che e la nostra, ma gia da sempre ha cominciato ad essere avvertibile e ad operare. Se si volesse nondimeno, a titolo indicativo, scegliere qualche «nome proprio» ed evocare gli autod dei discorsi nei quali questa produzione si e tenuta pili vicina alIa sua formulazione pili radicaIe, bisognerebbe certo citare la critica nietzschiana della metansica, dei concetti di essere e di verita ai quali vengono sostituiti i concetti di gioco, di interpretazione e di segno (di segno senza vedta presente); la critica freudiana della presenza a se, cioe della coscienza, del soggetto, delI'identita a se, della prossimita 0 della proprieta a se; e, pili radicalmente, Ia distruzione heideggeriana della metafisica, dell'onto-teologia, della determinazione delI'essere come presenza. Ora I3
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tutti questi discorsi distruttori e tutti i loro analoghi sono presi in una specie di cerchio. Questo cerchio e unico ed esprime Ia forma del rapporto tra Ia storia della meta£1sica e Ia distruzione della storia della meta£1sica: non ha alcun senso non servirsi dei concetti della meta£1sica per far crollare Ia meta£1sica; noi non disponiamo di alcun linguaggio di alcuna sintassi e di alcun Iessico - che sia estraneo a questa storia; non possiamo enunciare nessuna proposizione distruttrice che non abbia gia dovuto insinuarsi nella forma, nella Iogica e nei postulati impliciti a quello stesso che essa vorrebbe contestare. Per prendere un esempio tra tanti: e con I'aiuto del concetto di segno che si scuote Ia meta£1sica della presenza. Ma a partire dal momento in cui si vuole COS1 dimostrare, come ho suggerito poco fa, che non c'e signi£1cato trascendentale o privilegiato e che il campo 0 il gioco della signi£1cazione non ha, di conseguenza, pili alcun limite, si dovrebbe - ma e quello che non si puo fare - ri£1utare per£1no il concetto e il termine di segno. Perche Ia signi£1cazione «segno» e sempre stata compresa e determinata, nel suo senso, come segno-di, signi£1cante che rinvia a un signi£1cato, signi£1cante che differisce dal suo signi£1cato. Se si cancella Ia differenza radicale tra signi£1cante e signi£1cato, e il termine stesso di signi£1cante che bisognerebbe abbandonare come concetto meta£1sico. Quando Levi-Strauss, nella prefazione a It crt/do e it cotto 1 dice che ha «cercato di trascendere I'opposizione tra il sensibile e l'intelligibile collocando[si] senz'aItro al, livello dei segni», Ia necessita, Ia forza e Ia Iegittimita del suo gesto non . possono farci dimenticare che il concetto di segno non puo in se stesso superare questa contrapposizione tra il sensibile e I'intelligibile. Esso e determinato da questa opposizione: per intero e nella totalita della sua storia. Non ha vissuto che di essa e del suo sistema. Ma noi non possiamo liberarci del concetto di segno, non possiamo rinunciare a questa complicita meta£1sica, senza rinunciare nello stesso tempo allavoro critico che rivolgiamo contro di essa, senza correre il rischio di cancellare la differenza nell'identita a se di un signi£1cato che riduce in se il suo signi£1cante, oppure - ma e la stessa cosa - che 10 espelle semplicemente fuori di se. Perche vi sono due modi eterogenei di cancellare la differenza tra signi£1cante e signi£1cato; uno, quello c1assico, consiste nel ridurre o dedurre il signi£1cante, vale a dire nel sottomettere in de£1nitiva il segno al pensiero; l'aItro, quello che noi qui rivolgiamo contro il precedente, consiste nel mettere in discussione il sistema in cui funzionava la precedente riduzione: e in primo luogo l'opposizione tra sensibile e in1 efr. c. LEVI·STRAUSS, Le cru et Ie cuit, Plan, Paris I964 [II crudo e il cotto, trad. di A. Bonomi, II Saggiatore, Milano I966].
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telligibile. Perche il paradosso e che la riduzione meta£1sica del segno aveva bisogno della opposizione che essa riduceva. L'opposizione forma sistema con la riduzione. E do che diciamo qui del segno puo essere esteso a tutti i concetti e a tutte Ie frasi della metafisica, in particolare al discorso sulla «struttura». Ma vi sonG diversi modi di essere presi in quel cerchio. Essi sono tutti quanti pili 0 menD ingenui, pili 0 meno empirici, pili 0 menD sistematici, pili 0 menD vicini alla formulazione, anzi alla formalizzazione di quel cerchio. Sono queste differenze che spiegano la molteplicita dei discorsi distruttori e Ie divergenze tra coloro che li tengono. E alI'interno dei concetti ereditati dalla meta£1sica, per esempio, che hanno opera to Nietzsche, Freud e Heidegger. Ora poiche questi concetti non sono affatto elementi, atomi, dato che sono assunti in una sintassi e in un sistema, ogni assunzione determinata reintroduce in essi per intero la meta£1sica. E questo che permette allora a quei distruttori di distruggersi reciprocamente, per esempio a Heidegger di considerare Nietzsche, con lucidita e rigore pari alla malafede e alIa incomprensione, come l'uItimo meta£1sico, l'ultimo «pIatonico». Si potrebbe ripetere l'operazione a proposito di Heidegger stesso, di Freud o di aItri. Non c'e operazione pili frequente al giorno d'oggi. Ora che cosa succede di questo schema formale, quando ci rivolgiamo a quelle che vengono chiamate Ie «scienze umane»? Forse una tra di esse occupa qui una posizione privilegiata. E l'etnologia. Si puo infatti osservare che I'etnologia ha potuto nascere come scienza solo nel momento in cui e stato possibile compiere un decentramento: nel momento in cui Ia cultura europe a - e di conseguenza Ia storia della meta£1sica e dei suoi concetti - e stata scardinata, scacciata dal suo posto, costretta quindi a non considerarsi pili come cuItura di riferimento. Questo momenta non e in primo Iuogo un momenta del discorso £1loso£1co o scienti£1co, e anche un momento politico, economico, tecnico, ecc ... Si puo affermare con sicurezza che non c'e niente di casu ale nel fatto che Ia critica dell'etnocentrismo, condizione dell'etnologia, sia sistematicamente e storicamente contemporanea alIa distruzione della storia della meta£1sica. Ambedue appartengono ad una sola e medesima epoca. Ora I'etnologia come ogni scienza, si produce nell'elemento del discorso. Ed e una scienza europea, che utilizza, fosse anche suo malgrado, i concetti della tradizione. Di conseguenza, che 10 voglia 0 no, e do non dipende da una decisione dell'etnologo, questi accoglie nel suo discorso Ie premesse dell'etnocentrismo, nel momento stesso in cui 10 de-
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nuncia. Questa necessita e irriducibile, non e una contingenza storica; bisognerebbe meditarne tutte Ie implicazioni. Ma se nessuno vi puo sfuggire, se percio nessuno porta la responsabilita di cedervi, sia pure in misura minima, cio non significa che tutti i modi di cedere siano di uguale pertinenza. La qualita e la fecondid di un discorso si misurano forse dal rigore critico col quale viene pensato questa rapporto alIa storia della metafisica e ai concetti ereditati. Si tratta di un rapporto critico collinguaggio delle scienze umane e di una responsabilid critica del discorso. Si tratta di porre espressamente e sistematicamente il problema dello statuto di un discorso che attinge da una eredita Ie risorse necessarie alIa demolizione di quella stessa eredita. Problema di economia e di strategia. Se noi ora, per esempio, consideriamo i testi di Claude Levi-Strauss, non e soltanto a causa del privilegio che attualmente si attribuisce all'etnologia tra Ie scienze umane, e neppure perche si tratta di un pensiero che ha un forte peso sulla congiuntura teorica contemporanea. E soprattutto perche nell'opera di Levi-Strauss si e delineata una certa scelta ed e stata elaborata una certa dottrina, in maniera, appunto, pitt menD esplicita, in relazione a questa critica dellinguaggio e a questa linguaggio critico nelle scienze umane. Per seguire questa movimento nel testa di Levi-Strauss scegliamo come filo conduttore tra altri, l'opposizione natura/cultura. Nonostan- .• te tutti i suoi aggiornamenti e i suoi abbellimenti, questa opposizione e . congenita alla filosofia. E perfino phI antica di Platone. Ha almeno l'eta della sofistica. Dopo la contrapposizione physis/nomos, physis/techne, e stat a sostituita fino ai nostri giorni da tutta una catena storica che oppone la «natura» alIa legge, all'istituzione, all'arte, alIa tecnica, ma anche alla liberta, all'arbitrario, alla storia, alIa societa, allo spirito, ecc. Ora fin dall'inizio della sua ricerca e fin dal suo primo libro (Le strutture elementari della parentela), Levi-Strauss ha senti to nello stesso tempo la necessita di utilizzare tale opposizione e l'impossibilita di darle credito. Nelle Strutture egli parte da questa assioma 0 da questa definizione: appartiene alla natura cio che e universale e spontaneo, e non dipende da alcuna cultura particolare ne da una norma determinata. Appartiene invece alIa cultura cio che dipende da un sistema di norme che regolano la societa e possono quindi variare da una struttura sociale all'altra. Queste due definizioni sono di tipo tradizionale. Ora, fin dalle prime pagine delle Strutture, Levi-Strauss, che ha cominciato a dar credito a questi concetti, s'imbatte in cio che egli definisce uno scandalo, vale a dire in qualcosa che non tollera pili l'opposizione natura/cultura
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cosl accettata e che sembra esigere nello stesso tempo i predicati della natura e quelli della cultura. Questo scandalo e la proibizione dell' incesto. La proibizione dell'incesto e universale: in tal senso potrebbe essere deflnita come naturale; - ma essa e anche una proibizione, un sistema di norme e di interdetti - e in tal senso dovrebbe essere deflnita culturale. «Poniamo, dunque, che tutto cio che e universale, presso l'uomo, appartiene all'ordine della natura, ed e caratterizzato dalla spontaneita, che tutto cio che e assoggettato a una norma appartiene alla cultura e present a gli attributi del relativo e del particolare. Ci tro. viamo allora di fronte ad un fatto 0 piuttosto ad un insieme di fatti che, alIa luce delle definizioni precedenti, non e lontano dall'apparire come uno scandalo: [".J Infatti la proibizione dell'incesto presenta - senza il minimo equivoco, e indissolubilmente riuniti - i due caratteri nei quali abbiamo riconosciuto gli attributi contraddittori dei due ordini eselusivi: essa costituisce una regola, ma e una regola che, unica tra tutte Ie regole sociali, possiede contemporaneamente un carattere di universalith 1. Non si ha evidentemente scandalo che all'interno di un sistema di concetti che accrediti la differenza tra natura e cultura. Iniziando la sua opera dal factum della proibizione dell'incesto, Levi-Strauss, si colloca proprio nel pun to in cui questa differenza che e sempre stata data per scontata, si trova cancellata 0 contestata. Perche, dal momento che la proibizione dell'incesto non si lascia pili pensare dentro l'opposizione natura/cultura, non si puo pili affermare che sia un fatto scandaloso, un nueleo di opacita all'interno di un reticolo di signiflcazioni trasparenti; essa non e uno scandalo che si incontra, suI quale ci si imbatte nel campo dei concetti tradizionali; e cio che sfugge a quei concetti e certamente li precede e probabilmente come loro condizione di possibilita. Si potrebbe forse dire che l'intera concettualita fllosoflca che fa sistema con l'opposizione natura/cultura e fatta per lasciare nell'impensato cio che la rende possibile, cioe l'origine della proibizione dell'incesto. Questo esempio, cui accenniamo troppo velocemente, e solo un esempio tra tanti altri, ma fa gia tl'asparire che illinguaggio porta in se la necessita della propria critica. Ora questa critica puo attuarsi secondo due vie, e due «maniere». Nel momenta in cui si fa sentire illimite dell'opposizione natura/cultura, ci si puo proporre di mettere in discussione sistematicamente e rigorosamente la storia di questi concetti. E 1 Cfr. c. LF.V1-STRAUSS, Les structures elementaires de la parente, Menton, Paris _ La Haye 1967 (I' ed. PUF, Paris 1949) [Le strufture elementari della parentela, trad. di A. M. Cirese e 1. Serafini, Feltrinelli, Milano 1969, pp. 46-47].
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questa un primo gesto. Una tale discussione sistematica e storica non sarebbe ne un gesto filologico, ne un gesto filosofico nel sen so classico di questi termini. Preoccuparsi dei concetti che fondano tutta la storia della filosofia, de-costituirli non e fare opera di filologo 0 di storico classico della filosofia. E certamente, malgrado Ie apparenze, la maniera pill audace per tentare un passo fuori della filosofia. La sortita «fuori dalla filosofia» e molto pill difficile da pensare di quanta non immaginassero coloro che credono di averla gia compiuta da tempo con disinvolta facilita, mentre in generale sono ancora sprofondati nella metafisica con tutto il corpo del discorso che essi pretendono di aver liberato. L'altra scelta - e io credo che questa corrisponda di pill alIa maniera di Levi-Strauss - consisterebbe, per evitare quello che di sterilizzante potrebbe comportare quel primo gesto nell'ordine della scoperta empirica, nel conservare tutti quei vecchi concetti, denunciandone all'occasione i limiti, come arnesi che possono ancora servire. Senza attribuire loro pill alcun valore di verita, ne alcuna significazione rigorosa, si sarebbe pronti ad abbandonarli, nel caso che altri strumenti si dimostrassero pill convenienti. Nell'attesa, se ne sfrutta l'efficacia relativa e si utilizzano per distruggere la vecchia macchina a cui appartengono e di cui costituiscono essi stessi i pezzi. E COS1 che si critica illinguaggio delle ' scienze umane. Levi-Strauss pensa COS1 di poter separare il metodo dalla verita, gli strumenti dal metodo e dalle significazioni obiettive che il metodo prendeva in cosiderazione. Si potrebbe quasi dire che questa e la . prima affermazione di Levi-Strauss. Sono, in ogni caso, Ie prime parole di Strutture: «Si comincia a comprendere che la distinzione tra stato di natura e stato di societa (oggi diremmo piuttosto: stato di natura e stato di cultura), in mancanza di un significato storico accettabile, ha un valore che giustifica pienamente il suo uso, nella sociologia moderna, come strumento metodologico». Levi-Strauss sara sempre fedele a questa doppia intenzione: conservare come strumento cia di cui critica il valore di verita. Da una parte, egli continuera infatti a contestare il valore della opposizione natura/cultura. Pill di tredici anni dopo Le strutture, It Pensiero selvaggio fa fedelmente eco al testa che ho riportato: «L'opposizione tra natura e cultura, su cui abbiamo gia insistito, oggi ci sembra valida soprattutto su un piano metodologico». Si potrebbe dire, se oggi non si provasse una certa diffidenza nei conftonti di una tale nozione, che questa valore metodologico non risente del non-valore «ontologico»: «Non sarebbe sufficiente aver riassorbito talune umanita particoIari in una umanita generale; questa operazione ne promuove altre ...
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che incombono alle scienze esatte e naturali: reintegrare la cultura nella natura e, in sostanza, la vita nell'insieme delle sue condizioni fisicochimiche» 1. D'altra parte, sempre nel Pensiero selvaggio Levi-Strauss presenta sotto il nome di bricolage quel che si potrebbe definire il discorso di quel metodo. Bricoleur, dice Levi-Strauss, e colui che utilizza «Ies moyens du bord» vale a dire gli strumenti che trova a disposizione intorno a se, che gia si trovano suI posto, e non erano particolarmente concepiti in vista di quell a determinata operazione alIa quale si fanno servire e a cui ci si sforza di adattarli attraverso una serie di tentativi, senza esitare a cambiarli tutte Ie volte che sembra necessario, a provarne parecchi alIa volta, anche se la loro origine e la loro forma sono eterogenei, ecc. C'e dun que una critica dellinguaggio sotto forma di bricolage e anzi si e potu to dire che il bricolage e il linguaggio critico stesso, particolarmente quello della critica Ietteraria: penso al testo di G. Genette, Structuralisme et critique litteraire, pubblicato sulIa rivista «L'Arc» in omaggio a Levi-Strauss, dove si dice che I'analisi del bricolage poteva «essere applicata quasi parol a per parola» alIa critica e in modo particolare alIa «critica letteraria» 2. Se si chiama bricolage la necessita di prendere a prestito i propri concetti dal contesto di una eredita pill 0 menD coerente 0 disgregata, si dovra dire che ogni discorso e del genere bricoleur. L'ingegnere, che LeviStrauss contrappone al bricoleur, dovrebbe costruire da se la totalita del suo linguaggio, sintassi e lessico. In questa senso I'ingegnere e un mito: un soggetto che fosse I'origine assoluta del proprio discorso e 10 costruisse «tutto d'un pezzo» sarebbe il creatore del verbo, il verbo in persona. L'idea delI'ingegnere che avrebbe rotto con ogni tipo di bricolage e dunque un'idea teologica; e poiche Levi-Strauss ci dice in un'altra occasione che il bricolage e mitopoietico, c'e da credere che I'ingegnere sia un mito prodotto dal bricoleur. Dal momento che si smette di credere a quel tipo di ingegnere e a un discorso che rompa con Ia ricezione storica, nel momento in cui si viene ad ammettere che ogni discorso finito e vincolato a un certo bricolage, che I'ingegnere 0 10 scienziato sono anch'essi delle specie di bricoleurs, ne consegue che l'idea stessa di bricolage diventa precaria, svanisce la differenza nella quale essa assumeva un senso. 1 Cfr. c. LEVI-STRAUSS, La pensee sauvage, PIon, Paris 1962 [II pensiero selvaggio, trad. di P. Caruso, II Saggiatore, Milano 1964. rispettivamente p. 291, nota I e p. 2691. 2 Saggio raccolto in Figures, Editions du Seuil, Paris 1966 [Figure. Reforica e sfrutfuralismo trad. it. di Franca Madonia, Einaudi, Torino 19691. '
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II che serve a mettere in luce l'altro filo che dovrebbe guidarci in questa trama. Levi-Strauss descrive l'attivita del bricolage non soltanto come attivita intellettuale, rna anche come attivita mitopoietica. Si legge nel Pensiero selvaggio: «Come il bricolage suI piano tecnico, la riflessione mitica puo ottenere, suI piano intellettuale, risultati pregevoli e imprevedibili; reciprocamente e statu spes so osservato il carattere mitopoietico del bricolage» '. Ora il considerevole sforzo di Levi-Strauss non consiste solamente nel proporre, soprattutto nella pili attuale delle sue ricerche, una scienza strutturale dei miti e dell'attivita mitologica. II suo sforzo appare anche, e direi quasi in primo luogo, nello statuto che egli accorda al proprio discorso sui miti, a cio che chiama Ie sue «mitologiche». E il momento in cui il suo discorso suI mito riflette se stesso e si critica. E questa momento, questa periodo critico interessa evidentemente tutti i linguaggi che si dividono il campo delle scienze umane. Che cosa dice Levi-Strauss delle sue «mitologiche»? E qui che si ritrova la facolta mitopoietica del bricolage. In effetti, quel che sembra pili seducente in questa ricerca critica di un nuovo statuto del discorso e l'abbandono dichiarato d'ogni riferimento a un centro, a un soggetto, a un riferimento privilegiato, a un'origine 0 a un'archia assoluta. Si potrebbe seguire il tema di questa decentramento attraverso tutta l'Ouverture del suo ultimo libro su If crudo e il cotto. Prendo solo qualche punto di riferimento. r. In primo luogo, Levi-Strauss riconosce che il mito bororo, che egli utilizza qui «come mito di riferimento», non merita questa nome e questa trattamento; si tratta di un appellativo specioso e di una pratica abusiva. Questo mito non merita pili di un altro qualsiasi, il suo privilegio referenziale: «Come tenteremo di mostrare, il mito bororo che sara ormai designato con il nome di mito di riferimento, non e altro che una trasformazione pili 0 menu profonda di altri miti provenienti sia dalla stessa societa, sia da societa vicine a lontane. Sarebbe quindi statu legittimo scegliere come punto di partenza un rappresentante qualsiasi del gruppo. Sotto questa profilo, l'interesse del mito di riferimento non dipende dal suo carattere tipico, quanta piuttosto dalla sua posizione irregolare in seno al gruppo» '" 2. Non c'e unita ne scaturigine assoluta del mito. Ii fulcro ola sor, II pel1siero selvaggio cit., p. 30. LEVI-STRAUSS, II crudo e il cotto, cit.
, efr. c.
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gente sono sempre ombre 0 potenzialita inafferrabili, inattualizzabili e prima di tutto inesistenti. Tutto ha inizio dalla struttura, dalla configurazione 0 dalla relazione. II discorso su questa struttura senza centro che e il mito non puo neppure esso avere soggetto e centro assoluti. Deve, per non lasciarsi sfuggire la forma e il movimento del mito, evitare quella forma di violenza che consisterebbe nel dare un centro a un linguaggio che descrive una struttura acentrica. Occorre dunque rinunciare, qui, al discorso scientifico 0 filosofico; all'episteme che ha per esigenza assoluta, anzi che e l'esigenza assoluta di risalire alIa sorgente, al centro, al fondamento, al principio, ecc. In opposizione al discorso epistemico, il discorso strutturale sui miti, il discorso mito-togico, deve essere esso stesso, mito-morfo. Deve avere la forma di cio di cui parla. E quanta sostiene Levi-Strauss in If Crudo e it cotto di cui desidero riportare qui una lunga e bella pagina: «Effettivamente, non potendo conformarsi al principio cartesiano di dividere la difflcolta in tante parti quante sono quelle richieste per risolverla, 10 studio dei miti pone un problema metodologico. Non esiste un termine vero e proprio dell'analisi mitica, ne un'unita segreta che si possa cogliere alIa fine dellavoro di scomposizione. I temi si sdoppiano all'infinito. Quando si crede di averli dipanati e di tenerli separati, si deve poi constatare che essi tornano a saldarsi, in risposta alle sollecitazioni di afflnita impreviste. Pertanto l'unita del mito e solo tendenziale e proiettiva, non riflette mai uno statu 0 un momenta del mito. Fenomeno immaginario implicato dallo sforzo di interpretazione, la sua funzione consiste nel dare una forma sintetica al mito e nell'impedire che esso si dissolva nella confusione dei contrari. Si potrebbe quindi dire che la scienza dei miti e una anaclastica, assumendo questa vecchio termine nel senso lato autorizzato dall'etimologia, intendendo cioe sia 10 studio dei raggi riflessi che quello dei raggi rifratti. Ma, a differenza della riflessione filosofica che pretende di risalire fino alIa sua origine, Ie riflessioni di cui parliamo qui interessano raggi privi di qualsiasi fuoco che non sia virtuale. E, volendo imitare il movimento spontaneo del pensiero mitico, la nostra indagine, anch'essa troppo breve e troppo lunga, ha dovuto piegarsi aIle sue esigenze e rispettare il suo ritmo. COS1 questa libro sui miti e, a modo suo, un mito» '. L'affermazione e ripresa poco oltre: «Siccome i miti stessi riposano su codici di secondo grado (i codici del primo sono quelli di cui si compone illinguaggio), questa libro delineerebbe allora un codice di terzo grado, destinato ad assicurare la traducibilita reciproca di vari miti. E la ragione per la quale non sara errata considerarlo un altro , II crudo e il cotto cit., pp.
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mite; in un certo qual modo il mito della mitologia» '. E per questa assenza d'ogni centro reale e fisso del discorso mitico 0 mitologico che si giustificherebbe il modello musicale scelto da Levi-Strauss per la composizione del suo libro. L'assenza del centro e qui l'assenza di soggetto e l'assenza d'autore: «II mito e l'opera musicale appaiono dunque come dei direttori d'orchestra i cui uditori sono i silenziosi esecutori. Se si chiede allora dove si trova il fulcro reale dell' opera, si dovd rispondere che la sua determinazione e impossibile. La musica e la mitologia mettono l'uomo a confronto con oggetti virtu ali di cui soltanto l'ombra e attuale ... I miti non hanno autore ... » '. E dunque qui che il bricolage etnografico assume deliberatamente la sua funzione mitopoietica. Ma nello stesso tempo, quest'ultima fa apparire come mitologica, cioe come un'illusione storica, l'esigenza filosofica 0 epistemologica del centro. Nondimeno anche se si accetta la necessita del gesto di Levi-Strauss, non e possibile ignorarne i rischi. Se la mito-logica e mito-morfica, questo significa che tutti i discorsi suI mito si equivalgono? Bisognera dunque abbandonare ogni esigenza epistemologica che permetta di dis tinguere tra diverse qualita di discorsi suI mito? Domanda classica rna inevitabile. Non e possibile rispondervi - e io credo che Levi-Strauss non vi risponda - finche non sia stato espressamente posto il problema dei rapporti tra il filosofema 0 il teorema da una parte, il mitema 0 mitopoerna, dall'altra. II che non e cosa da poco. Se non si e posto espressamente questa problema ci si condanna a trasformare la presunta trasgressione della filosofia in un errore inavvertito all'interno del campo filosofico. L'empirismo sarebbe il genere di cui questi errori sono sempre la specie. I concetti trans-filosofici si trasformerebbero in ingenuita filosofiche. Sarebbe possibile mostrare questa pericolo con molti esempi, con i concetti di segno, di storia, di verira, ecc. Cio che voglio sottolineare e solamente che il passaggio al di la della filosofia, non consiste nel voltare la pagina della filosofia (il che equivale il pili delle volte a mal filosofare) rna nel continuare a leggere i filosofi in un certo modo. II rischio di cui parlo e sempre assunto da Levi-Strauss, e costituisce il prezzo stesso della sua audacia. Ho detto che l'empirismo e la matrice formale di tutti gli errori che insidiano un discorso il quale, particolarmente in Levi-Strauss, continua a pretendersi scientifico. Ora, se volessimo porre a fondo il problema dell'empirismo e del bricolage, giungeremmo senza dubbio molto presto a proposizioni del tutto contraddit, II crudo e it cotto cit., p. 28. , Ibid., p. 35.
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torie per quanta riguarda 10 statuto del discorso nella etnologia strutturale. Da una parte 10 strutturalismo si presenta a ragione come la critica stessa dell'empirismo. Ma nello stesso tempo, non c'e un libro 0 uno studio di Levi-Strauss che non si proponga come un saggio empirico che altre informazioni potranno sempre completare 0 contestare. GH schemi strutturali sono sempre proposti come ipotesi che procedono da una quantira finita di informazione e che si sottopongono alla prova dell'esperienza. Molti testi potrebbero provare questa duplice postulato. Rivolgiamoci di nuovo all'Ouverture di It crudo e il cotto, dove risulta chiaro che, se questa postulato e duplice, e perche si tratta qui di un linguaggio sullinguaggio: «I critici che ci rimproverassero di non aver proceduto ad un inventario esaustivo dei miti sudamericani prima di analizzarli, cadrebbero in una grave contraddizione circa la natura e la funzione di questi documenti. L'insieme dei miti di una popolazione appartiene all'ordine del discorso. A meno che la popolazione non si estingua fisicamente 0 moralmente, questa insieme non e mai chiuso. Pertanto sarebbe come se si rimproverasse ad un linguist a di scrivere la grammatica di una lingua senza avere registrato la totalira delle parole che sono state pronunciate dacche questa lingua esiste, e senza conoscere gli scambi verbali che avranno luogo per tutto il tempo in cui essa esistera. L'esperienza prova che un numero di frasi insignificante ... permette allinguista stesso di elaborare una grammatica della lingua studiata. Eppure una grammatica parziale, 0 un abbozzo di grammatica, rappresentano acquisizioni preziose se si tratta di lingue sconosciute. Per manifestarsi, la sintassi non aspetta che una serie teoricamente illimitata di eventi abbiano potu to essere censiti, poiche essa consiste nel corpo di regole che presiede alIa loro produzione. Orbene, e proprio una sintassi della mitologia sud americana che abbiamo voluto abbozzare. II fatto che nuovi testi vengano ad arricchire il discorso mitico, costituira l'occasione per controUare 0 modificare il modo in cui certe leggi grammaticali sono state formulate, per rinunciare a talune di esse, e per scoprirne di nuove. Ma in nessun caso potrebbe essere addotta contro di noi l'esigenza di un discorso mitico totale. Abbiamo infatti visto che questa esigenza non ha senso» '. La totalizzazione e dunque definita ora come inutile, ora come impossibile. Cio dipende senza dubbio dal fatto che ci sono due maniere di pensare illimite deUa totalizzazione. E direi ancora una volta che queste due determinazioni coesistono in modo non esplicito nel discorso di Levi-Strauss. La totalizza, II crudo e it cotto cit., pp.
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zione puo essere considerata impossibile nello stile classieo: si evoca in questo caso 10 sforzo empirieo di un soggetto 0 di un discorso finito che si affanna invano dietro una ricchezza infinita che non potra mai dominare. C'e troppo materiale, e pio di quanta sia possibile dire. Ma si puo determinare diversamente Ia non-totalizzazione: non pio sotto i1 concetto di finitezza imputabile all'empiridta, rna sotto il concetto di giaco. Se Ia totalizzazione non ha pio senso, non e, in questa caso, perche uno sguardo 0 un discorso finiti non sono in grado di coprire I'infinita di un campo, rna perche Ia natura del campo - vale a dire illinguaggio e un linguaggio finito - esclude Ia totalizzazione: questo campo e in reald il campo di un gioco, doe di sostituzioni infinite nella chiusura di un insieme finito. Questo campo non permette queUe sostituzioni infinite se non perche esso e finito, vale a dire, perche, invece di essere un campo inesauribile, come nell'ipotesi classica, invece d'essere troppo grande, gli manca qualche cosa, doe un centro che fissi e fondi il gioco delle sostituzioni. Si potrebbe dire, utilizzando correttamente un'espressione dalla quale in francese viene sempre cancellata Ia significazione scandaIosa, che questa movimento del gioco, reso possibile dalla mancanza, dall'assenza di centro 0 di origine, e il movimento della supplementarita. Non e possibile determinare il centro ed esaurire Ia totalizzazione perche il segno che sostituisce il centro, che 10 supplisce, che ne tiene il posta in sua assenza, questo segno si aggiunge, viene in sovrappiu, come supplemento. II movimento della significazione aggiunge qualcosa, e questa fa sf che d sia sempre qualcosa in pio, rna questa aggiunta e fluttuante, perche essa viene a surrogare, a supplire, una mancanza dalla parte del significato. Benche Levi-Strauss non si serva mai del termine supplementare sottolineando, come facdo io ora Ie due direzioni di senso che stranamente vi convergono, non e un caso che egli si serva di questa espressione, due volte nella sua Introduzione all'opera di Marcel Mauss, Ia dove parla della «sovrabbondanza del significante, in rapporto ai significati sui quali puo posarsi». «Nel suo sforzo di comprendere il mondo, I'uomo dispone, dunque, costantemente di un'eccedenza di significazione (che ripartisce tra Ie cose, secondo certe leggi del pensiero simbolico il cui studio e riservato agli etnologi e ai linguisti). Questa distribuzione di una razione supplementare - se eIecito esprimersi cosf - e assolutamente necessaria affinche, in complesso, il significante disponibile e il significato individuato restino nel rapporto di complementarita, che e la condizione stessa dell'eserdzio del pensiero simbolico». (Si potrebbe senza dubbio mostrare che questa razione supplementare di significazione e l'origine della ratio stessa). La parola ricompare poco
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pio avanti, dopo c~e Levi-Str.a~ss.ha P?rlato.di «quel ~igni~cante fluttuante, che costitUlsce la servltu dl ogm penSlero CO~'plUtO». «!n al:r~ parole, e ispirandod al precetto di Mauss: che t~tt11 fenomem SOCial! possono venire assimilati alling.ua~gio, nOI scorgl~mo n~l mana: nel wakan nell'orenda e in altre nOZlom dello stesso tlpO, I espresslOne cosde~te di una funzione semantica il cui ruolo consiste n~l 'permetter~ al pensiero simbolico di eserdtarsi, malgrado la contra~dlzlOn~ :he gh e propria. Cosf si spiegano Ie antinomie, in ~~parenza msolubl.h, connesse a questa nozione ... forza e azione; quahta e stato.; sostant!vo, aggettivo e verbo, a un tempo; astratto e concreto; On?lpresente e loca: lizzato. E infatti, il mana etutto questo insieme; e.l? e appunto per:he non e niente di tutto do; rna semplice forma 0, plu .es~ttame~te: Slmbolo allo stato puro, suscettibile, perdo, di caricarSI dl qualslasl c~n tenuto simbolico. Nel sistema di simboli, costituito da ~gm cosmologla, esso sarebbe semplicemente un valore simbolico zero, clOe un ~egno :he indica la necessid di un contenuto simbolico :u~plementare [il CO~SIVO emio] rispetto a quello di cui egia carieo il slgmficato, .ma che puo essere anche un valore qualunque, a condizione che faccla .ancora pa:te della riserva disponibile e non sia, come die~n? i fo~ologl, un terrr~me di gruppo» (nota: «llinguisti sono gEl stat! mdottl a formulare ~po: tesi di questa tipo. COS!: "Un fonema zero ... si contrappone a tutt~ gh altri fonemi del francese in quanta non comport a nessun caratt~re dlfferenziale e nessun valore fonetieo costante. In compenso la.funzl0ne,propria al fonema zero e quella di contrapporsi all'ass~nz~ d~, fonem,~ [R. Jakobson e J. Lotz, Notes on th~ French Ph~nemtc,. m :word ,V?l. V (I949), 2 (agosto), p. I55]. SI potrebbe due panme~t! schematlzzando la concezione che estata qui proposta, che la fun~l~ne .dell~ nozioni di tipo mana e quella di contrapporsi ~ll'~ssen~a dl slgn.lficazl0n~ senza comport are di per se stessa nessuna s1gmficazl0ne partlcolare~> . La ridondanza del significante, il suo carattere supplementare der~va dunque da una finitezza, doe da una car~n~a ch~ ?eve essere suppl~t~. Si capisce allora perche i! con:ett? ~1 glOCO e l~portante per LeVlStrauss. I riferimenti ad ogm speCIe dl glOco, e partlcol~rme,n:e alIa roulette, sono assai frequenti, in particolare negh Entrettens , m Razza e
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storia \ nel P.ensiero selvaggio. Ora questo riferimento al gioco e sempre preso alI'mterno di una tensione. !ensione con la storia, anzitutto. Problema classico intorno al quaIe Sl sono logorate le.o,biezioni. Mi limitero a indicare quell a che mi sembra esser~ la ~o:m~hta del problema: riducendo la storia, Levi-Strauss ha f~tto gIUst1z1~ d1 un concetto che e sempre stato complice di una metafis1ca teleolog1ca ed escatologica, cioe paradossalmente di quell a filos?fia della pr~senza alIa qu?l~ ~i e cred~to di poter contrapporre la storIa. La temat1~a della stonclta, benche sembri introdursi molto tardi nella filosofia, e sempre stata necessaria alIa determinazione dell'essere c?me presenza. Con 0 senza etimologia e malgrado l'antagonismo class~co che contrappone queste significazioni in tutto il pensiero classico Sl potre~~e m~strare che il concetto di episteme ha sempre richiamato q.uello d1 tstorz~, ,se la s.toria e sempre l'unita di un divenire, come tradiz~one della ve~lt,a 0 sV11uppo della scienza orientato verso l'appropriaz,IOne dell~ venta nella presenza e nella presenza a se, verso il sapere nell autocosC1~nza. La storia e stata sempre pensata come il movimento di ~na re~unzIOne ?ella storia, derivazione fra due presenze. Ma se e legitt1mo d1ffidare ~1 tale concetto di storia, si rischia, a ridurIo senza porre e~pressament~ d p:o?~ema che indico qui, di ricadere in un astoricismo d1 f~rma classlc~, C10e tn un momento determinato della storia della metafis1ca. Tale m1 sembra essere la formalira algebrica del problema. Pili c?ncretamente, nel lavoro di Levi-Strauss bisogna rkonoscere che iI nspetto della str.utturalita, dell'originalira interna della struttura, cos~rmge a neutrahzzare il.tem~o e la st~r~a. Per esempio, l'apparizione d1 un.a ~truttura nuova, d1 un SIstema ongmale, avviene sempre - ed e la condlzlO~e stessa della sua specificira strutturale - attraverso una frattura con 11 su~ passato, con la sua origine e con la sua causa. Non si puo d.unque des~nvere la proprieta delI'organizzazione strutturale se non nfiutand? ?1 t~nere conto, nel momento stesso di tale descrizione, delle sue condlZlolll passat~: trascurando di porr~ il problema del passaggio da una struttura a u~ altra,. ponendo la stona tra parentesi. In questo ~omento .«.str~ttura~lsta», 1 concetti di caso e di discontinuita sono ind~spensablh. E mfa ttl Levi-Strauss vi si richiama spes so , come per esempIO per quella.struttu,ra delle strutture che e illinguaggio di cui egli dice n.ell Introduzton~ all opera di Marcel Mauss che esso «e nato necessanamente tutto d un tratto»: «Quali che siano stati il momento e Ie circostanze della sua apparizione nella vita animale, illinguaggio e nato I. c.
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La sed ttura e la differenza
LF.VdI-Sd:RpAUSCS, Race e.' hist.oire, ~nesco, Paris 1952 [Razza e storia e altri studi di ontroaruso, Emaudl, Totino 1967].
po IOgIO, tra . 1 .
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necessariamente tutto d'un tratto. E impossibile che Ie cose abbiano cominciato a significare progressivamente. In seguito a una trasformazione, il cui studio non dipende dalle scienze sociali, ma dalla biologia e dalla psicologia, si e verificato un passaggio da uno stadio in cui niente aveva un senso, a un altro in cui ogni cosa ne possedeva uno» I. Questo non impedisce a Levi-Strauss di riconoscere la Ientezza, la maturazione, la fatica ininterrotta delle trasformazioni fattuali, la storia (per esempio in Razza e storia). Ma egli deve, ripetendo un gesto che fu anche di Rousseau 0 di HusserI, «scartare tutti i fatti », nel momenta in cui vuoIe recuperare la specificita essenziale di una struttura. Come Rousseau egli deve sempre pensare l'origine di una struttura nuova suI modello della catastrofe - sconvolgimento della natura nella natura, interruzione naturale della concatenazione naturale, scarto dalla natura. Tensione del gioco con la storia, tensione anche del gioco con la presenza. II gioco e l'infrazione della presenza. La presenza di un elemento e sempre un riferimento significante e sostitutivo inscritto in un sistema di differenze e nel movimento di una catena. II gioco e sempre gioco d'assenza e di presenza, ma se 10 si vuole pens are radicalmente occorre pensarIo prima dell'alternativa tra la presenza e l'assenza: occorre pensare l'essere come presenza 0 assenza a partire dalla possibilira del gioco e non viceversa. Ora se Levi-Strauss ha, meglio di ogni altro mostrato il gioco della ripetizione e la ripetizione del gioco, e tuttavia possibile avvertire in lui una specie di etica della presenza, di nostalgia dell'origine, dell'innocenza arcaica e naturale, di una purezza della presenza e della presenza a se nella parola; etica, nostalgia e anche rimorso che egli present a spesso come la motivazione del progetto etnologico, quando si rivolge verso societa arcaiche, vale a dire esemplari ai suoi occhi. Mi riferisco a testi ben noti. Rivolta verso la presenza, perduta 0 impossibile, dell'origine assente, questa tematica strutturalista della immediatezza interrotta, e dunque l'aspetto triste, negativo, nostalgico, colpevole, rousseauiano, del pensiero del gioco di cui l'afJermazione nietzschiana, l'affermazione gioiosa del gioco del mondo e dell'innocenza del divenire, l'affermazione di un mondo di segni senza errore, senza verira, senza origine, aperto ad una interpretazione attiva, sarebbe l'altro aspetto. Questa afJermazione determina allora il non-centro in un modo che non la perdita del centro. E gioca senza garanzie. Perche c'e anche un gioco sicuro: quello che si limita a sostituire pezzi dati ed esistenti, pre senti. Nella casualira as-
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soluta, I'affermazione si afllda anche all'indeterminazione genetica, aIl'avventura seminale della traccia. Vi sana dunque due interpretazioni dell'interpretazione, della struttura, del segno e del gioco. L'una cerca di decifrare, sogna di decifrare una verita a un'origine che sfugge al gioco e all'ordine del segno, e vive come un esilio Ia necessita dell'interpretazione. L'altra, che non e pili rivolta verso I'origine, afferma il gioco e tenta di passare al di lit dell'uomo e dell'umanesimo, poiche il nome dell'uomo e il nome di quelI'essere che, attraverso Ia storia della metafisica e della onto-teologia, cioe attraverso I'intera sua storia, ha sognato Ia presenza piena, il fondamento rassieurante, l'origine e Ia fine del gioco. Questa seconda interpretazione dell'interpretazione di cui Nietzsche ci ha mostrato Ia via, non cerca nell'etnografia come dice Levi-Strauss, di cui cito ancora una volta l'Introduzione all'opera di Marcel Mauss, l' «ispiratriee di un nuova umanesimo». Da vari indizi si potrebbe arguire che oggi queste due interpretazioni dell'interpretazione - che sana assolutamente inconciliabili anche se noi Ie viviamo simultaneamente e Ie conciliamo in una oscura economia - si dividono il campo di cio che chiamiamo, in maniera tanto pl'oblematiea, Ie scienze umane. Per parte mia non credo, benche queste due intel'pretazioni debbano accusare Ia 101'0 differenza e acuire la loro irriducibilita, che oggi ci sia da scegliere. Anzitutto perche ci troviamo in una regione - diciamo ancora, provvisoriamente, della storicita - in cui Ia categoria di scelta appare piuttosto futile. E poi perche e necessaria tentare prima di tutto di pensare il terreno comune, e la differanza di questa differenza irriducibile. E perche si annuncia qui un tipo di problema, diciamo ancora storieo, di cui oggi possiamo a stento intravvedere la concezione, la lormazione, la gestazione, il travaglio. E dico queste parole, certo, con 10 sguardo rivolto verso Ie operazioni del parto; rna anche verso colora che, in una societa da cui non mi escludo, distolgono 10 sguardo da cio che, ancora innominabile, si preannuncia e che non puo preannunciarsi, come necessariamente accade quando una nascita e in opera, se non sotto Ia specie della non-specie, sotto Ia forma informe, muta, infante e terrificante della mostruosita. ,
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A Gabriel Bounoure Qua a Ia abbiamo identificato Ia scrittura: una divisione asimmetrica indicava da un lata la chiusura del libra, dall'altro I'apertura del test~. Da una parte I'enciclopedia teologica e suI suo modello, illibra dell'uomo. Dall'altra una trama di tracce che rilevavano Ia scomparsa di un Dio superato 0 di un uomo cancellato. L'interrogazione della scrittura non poteva essere aperta se non a libra chiuso. L'erranza felice del graphein era allora senza ritorno. L'apertura al testa era l'avventura, i1 dispendio senza riserva. E tuttavia non sapevamo gia che Ia chiusura del libra non era un limite tra gli altri? Che solo nellibro, ritornando ad esso senza sosta, prendendo da esso tutte Ie nostre risorse, noi avremmo dovuto indefinitamente indieare Ia scrittura dell'oltre-libro? Avviene allora di pensare al Retour au livre '. Can questa titolo, Edmond Jabes ci dice prima di tutto che cosa vuol dire «abbandonare il libro». Se Ia chiusura non e Ia fine, abbiamo un bel prates tare a distruggere, «Dio succede a Dio e il Libro al Libro». Ma nel movimento di questo succedersi, Ia scrittura vigila, tra Dio e Dio, tra i1 Libra e i1 Libra. E se i1 ritorno allibra si effettua dopo questa vigilia e dopo I'oltre-chiusura, non ci limita. E un momento dell'erranza, ripete l' epoca del libra, Ia totalita della sua sospensione tra due scritture, il suo atto di ritirarsi e quello che si tiene in serbo in lui. Esso ritorna verso «Un libro che eil tramezzo del rischio» ... « ... La mia vita, dopo illibro, sara dunque stata una notte di scrittura nell'intervallo dei limiti ... » , Cos! si intitola il terzo volume del Livre des questions (1965). II secondo volume, il Livre apparso nel 1964. Cfr. qui sopra, Edmond Jabes e l'interrogazione del libro.
de Yukel
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La ripetizione non rifa illihro, ne descrive l'origine in seguito ad una scrittu~a che non gli appartiene ancora 0 non gli appartiene pili, che .fin~e, npetendolo,. di lasciarsi comprendere in esso. Ben lungi dal lasciarsl soffocare 0 chlUdere nel volume, questa ripetizione e Ia scrittura prima. Scrittura originaria, scrittura che espone l'origine, che insegue i segni della sua sparizione, scrittura desolata d'origine: «Scrivere eavere la passione dell'origine». Ma quello che la commuove COS1, ora 10 sappiamo, non e l'origine, rna quello che tiene il posto dell'origine; non e neppure il contra rio dell'origine. Non e l'assenza al posto della presenza rna una traccia che sostituisce una presenza che non e mai stata presente, una origine dalla q?ale non e cominciato nulla. Ora illibro e vissuto di questa ilIusione: ~I aver f~tto credere che la passione, in quanta originariamente appassionata dl qualche cosa, poteva infine placarsi con il suo ritorno. IlIusione dell'origine, della fine, della linea, dell'anello, del volume, del centro. Come nel primo Livre des questions, alcuni rabbini immaginari si rispondono, nel canto su I' Anello. «La linea el'illusione» RebSeab
............................... «Una delle mie grandi angosce - dice va Reb Aghim - fu quella di vedere, senza poterla fermare, che la mia vita si arrotondava per formare un anello». Quando il cerchio gira, quando il volume si avvolge su se stesso, quando illibro si ripete, la sua identita a se riceve una impercettibile differenza che ci permette di uscire efficacemente, rigorosamente, cioe discretamente, dalla chiusura. Raddoppiando la chiusura dellibro, la si sdoppia. Gli si sfugge allota furtivamente fra i due passaggi attraverso 10 stesso libro, attraverso la stessa riga, lunge 10 stesso anello, «Veglia di scrittura nell'intervallo dei limiti». Questa uscita fuori dell'iden~ic? nello stesso resta assai lieve, in se non pesa nulla, pensa e soppesa 11 hbro come tale. Allora il ritorno allibro e l'abbandono dellibro e penetrato tra Dio e Dio, tra il Libro e il Libro, nello spazio neutro delIa successione, nella sospensione dell'intervallo. 'Allora il ritorno non ~iprende possesso. Non si riappropria l'origine. Quest'ultima non e pili In se stessa. La scrittura, passione dell'origine; e questa deve intendersi anche nella forma del genitivo soggettivo. E l'origine stessa che e ap-
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passionata, passiva e passata per essere stata scritta. Vale a dire inscrittao L'inscrizione dell'origine e certo il suo essere scritta rna e anche il suo essere-inscritta in un sistema in cui essa e solo un luogo e una funzione. COS1 inteso, il ritorno allibro e per essenza ellittico. Qualcosa di invisibile manca nella grammatica di questa ripetizione. Poiche questa mancanza e invisibile e indeterminabile, poiche duplica e consacra esattamente illibro, ripercorre tutti i punti del suo circuito, non si e spostate nulla. E tuttavia tutto il senso e alterato da questa mancanza. Ripetuta, la stessa riga non e pili esattamente la stessa, l'anello non ha pili 10 stesso centro, I'origine si espostata. Qualcosa manca perche il cerchio sia perfetto. Ma nell'''EnEL\!IL~, attraverso il semplice sdoppiamento del percorso, la sollecitazione della chiusura, la rottura della riga, illibro si e lasciato pensare come tale. «E Y ukel disse: Il cerchio ericonosciuto. Rompete la curva. Il cammino duplica il cammino. Illibro consacra illibro». II ritorno allibro starebbe qui a annunciare la forma dell'eterno ritorno. II ritorno dello stesso si altera solo - rna 10 fa in modo assoluto per ritornare allo stesso. La ripetizione pura, anche se non cambia nessun a cosa e nessun segno, porta un potere illimitato di perversione e di sovvertimen to. Questa ripetizione e scrittura perche quello che scorn pare in essa e l'identita a se dell'origine, la presenza a se della parola sedicente viva. E i1 centro. L'ilIusione di cui ha vissuto i1 primo libro, illibro mitico, la vigilia di ogni ripetizione, e che il centro fosse al sicuro dal gioco: in sostituibile, sottratto all'azione della metafora e della meton1mia, una specie di nome proprio invariabile che si poteva invocare rna non ripetere. II centro del primo libro non avrebbe dovuto potersi ripetere nella sua propria rappresentazione. Non appena si sottopone per una volta a una simile rappresentazione - cioe non appena e scritto -, quando e possibile leggere un libra nellibro, una origine nella origine, un centro nel centro, e l'abisso, il senza-fondo del raddoppiamento infinito. L'altro e nello stesso. «L'Altrove edentro
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II centro eil pozzo ... .. Dove eil centro - ttrlava Red Madies. - L'acqua ripudiata per11Zette al falco di inseguire la sua preda". Forse it centro e10 spostamento della domanda. Nessun centro dove il cerchio eimpossibile. Possa la mia morte sorgere da me - diceva Reb Bekri. Io sarei, nella stesso tempo, la servitu dell' anello e la cesura». Un segno incomincia a ripetersi dal momento in cui sorge. Se non fosse cos1, non sarebbe segno, non sarebbe quello che e, cioe quella non-identita a se che rinvia regolarmente aUo stesso. Vale a dire a un aItro segno che a sua voIta nascera suddividendosi. II grafema, cos1 ripetendosi, non ha quindi luogo 0 centro naturali. Ma Ii ha mai perduti? La sua eccentricita e un decentramento? Non si puo affermare l'irreferenza al centro invece di piangere l'assenza del centro? Perche portare illutto per il centro? II centro, l'assenza di gioco e di differenza, non e un aItro nome della morte? QueUa che rassicura, placa, ma che dalla sua tana torment a anche, e pone in gioco? II passaggio attraverso l'eccentricita negativa e indubbiamente necessario; ma soItanto liminare. «II centro ela soglia. Reb Naman diceva: .. Dio eil Centro; per questa certi miscredenti hanna proclamato che Egli non esisteva, percbe se il centro di una mela a di una stella eil cuore dell' astra a del frutto, quale eil vera punta di mezzo del frutteto e della notte? "
E Y ukel disse: II centro eil fallimento ... .. Dove eil centro? - Satta la cenere". Reb Selah II centro eillutto».
AHo stesso modo che c'e una teologia negativa, c'e anche una ateologia negativa. Complice, essa dice ancora l'assenza di centro quando
EIIissi
dovrebbe gia essere affermato i1 gioco,' !'Aa.il .desi?erio del centro, in quanto funzione del gioco stesso, non ~ mehmma~11e?~ come potrebbe nella ripetizione 0 nel ritorno del glOco non attlrarCl 11 fantasm a del ce~tro? E su questa punto che tra la scrittura come decentramento e la scrittura come affermazione del gioco, l'esitazione e infinita. Essa appartiene al gioco e 10 coUega con la morte. Essa si attua in un «chi sa?» senza soggetto e senza sapere. «L'ultimo ostacolo l'ultimo limite e, chissa? il centro. Allora, ogni cosa v:rrebbe a noi dal fonda della notte, dell'infanzia». Se il centro e «la spostamenta della interragaziane», e perche. si ~ sempre dato un sapranname al pozzo inno~in~bile senza fondo dl cm esso stesso era i1 segno; segno del buco che 11 hbro ha voluto colmare; II centro era il nome di un buco; e il nome deU'uomo, come quello dl Dio dice la forza di cia che si e eretto per ope rare in esso sotto forma di libro. II volume, i1 rotolo, la pergamena dovevano i~trod.ursi nel buco insidioso, penetrare furtivan:ent~ nell'~bi!aziOl:e mma~Cl?Sa con un movimento animalesco, agile, s11enzlOSO, hSClO, bnllante, m~mu~nte come quello di un serpente 0 di un pesce. Tale e il d~siderio mquleto dellibro. Tenace e parassitario, forza attraente e asplrante attraverso mille bocche che lasciano mille impronte suUa nostra pelle, mostro marino, polipa. . . . '1 «Ridicala, questa pasizione sui ventre. !~ strt~cz. Perfort t m~ro alIa base. Speri di scappare come un tapa. 5zmtle all ambra, al mattmo, sulla strada. E questa volonta di rimanere eretto, malgrado la stanchezza e la fame? Un buco, era solo un buco, la sorte del libra . (Un buco-piovra, la tua opera? ., . La piavra fu appesa al sa/fitta e i suoi tentacolz cammczarono a brillare ). Era solo un buca nel mura, tanto stretto che tu non hai mai potuto introdurti per fuggire. . . DifJidate delle dimore. Non sempre sana aspztalz».
La scrittura e Ia differenza
Str.ana ~eren!ta di un simile ritorno. Disperata dalla ripetizione e tutt~vla ~ehce .dl affermare l'abisso, di abitare illabirinto come un poeta, dl sC~lvere 11 .buco, «la sorle dellibro» nel quale non si puo non immergersl, che SI deve conservare distruggendolo. Affermazione danza~te e crudele d~ u~a ec?nomia d~sperata. La dimora einospitale perc?e. ~ttrae, come 1~ h?ro, m ~n la?1t1nto! IIlabirinto, qui, eun abisso: Cl sllmmerge nell onzzontahta dl una pura superficie che si ripresenta anch'essa da una svolta all'altra. «Illibro eillabirinto. ru credi di uscirne e sprofondi in esso. Non hai .alcu~a possibilita di sa/vezza. Devi distruggere l'opera. Non puoi dectdertz a farlo. 10 osservo la lua angoscia che sale lenta ma sicura. Muro dielro muro. Alta fine, chi ti attende? - Nessuno ... II tuo nome si e rinchiuso su se stesso, come la mana sull'arma bianca». Nella s.erenita di questa terzo volume, Le livre des questions e allora compmto. Come doveva esserlo, restando aperto dicendo la nonchiusura, insieme infinitamente aperto e riflesso infinitamente su se ~tess?, «un o~chio nelt'occhio», commento che accompagna all'infinito 11 «lzbro dellzbro escluso e reclamato» libro senza fine iniziato e ricominciato da un luogo che non enellib;o ne fuori dellibro, che si dice come l'apertura stessa che erifles so senza uscita rinvio ritorno e svolta dellabirinto. Quest'ultimo eun cammino che ;inchiude in se Ie uscite fuori di se, ch~ comprende Ie proprie uscite, che apre da se Ie proprie pO.rte, vale a dIre aprendole su se stesso, si chiude nel pensare la propna apertura. Questa contraddizione e pensata come tale nel terzo «libro delle interrogazioni». Per questa la triplicita ela sua cifra e la chiave della sua serenid. E anche della sua composizione: II terzo libro dice «10 sono il primo libro nel secondo» '
............ «E Yukel disse: rre interrogazioni hanno tentato illibro e tre interrogazioni 10 concluderanno. Quello che finisce, comincia tre volte.
Ellissi
lllibro e tre. II mondo e tre e Dio, perl'uomo, Ie tre risposte». rre: non perche l'equivoco, la duplicita del tutto e nulla, della presenza assente, del sole nero, dell'anello aperto, del centro sottratto, del ritorno ellittico, venga finalmente riassunto in qualche dialettica, conciliata in qualche termine accomodante. II «passo» e il «patto» di cui parla Yukel in Minuit ou la troisieme question sono un altro nome della morte affermata dopo L'aube ou la premiere question e dopo Midi ou la seconde question. E Yukel disse: «Illibro mi ha condotto, dalt' alba al crepuscolo, dalta morte alta morte, con la tua ombra, Sarah, nel numero, Yukel, al termine delle mie interrogazioni, ai piedi delle tre interrogazioni». La morte sta all'alba perche tutto e cominciato con 1a ripetizione. Da1 momento che il centro 0 l'origine hanno cominciato col ripetersi, col raddoppiarsi, il doppio non si aggiungeva pill soltanto al semplice. Lo suddivideva e 10 suppliva. Subito c'era una doppia origine pill la sua ripetizione. Tre ela prima cifra della ripetizione. E anche l'ultima perche l'abisso della ripresentazione resta sempre dominato dal suo ritorno, all'infinito. L'infinito non euno e neppure nessuno, ne innumerevole. La sua essenza e ternaria. II due, come il secondo Livre des questions (Le livre de Yukel), come Yukel, resta la giuntura indispensabile e inutile dellibro, il medio termine sacrificato senza il quale non ci sarebbe triplicita, senza il quale il senso non sarebbe quello che e, vale a dire differente da se: in gioco. La giuntura e la rottura. Potremmo dire del secondo libro quello che viene detto di Yukel nella seconda parte del Retour au livre: «Ci sono state la liana e la nervatura nellibro, prima che fossero espulse». Se nulla ha preceduto la ripetizione, se nessun presente ha vegliato sulla traccia, se in un certo modo, e«it vuoto che si scava ancora e si segna di impronte» " allora i1 tempo della scrittura non segue pill 1a linea dei presenti modificati. L'avvenire non e un presente futuro, ieri , JEAN CATES SON,
Journal nou intime et points cardinaux, in «Mesures», ottobre
1937.
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La scrittura e Ia differenza
non eun presente passato. L'al di la della chiusura dellibro non eda attendere ne da ritrovare. E gia qui, rna al di fa; enella ripetizione, rna insieme vi si sottrae. E qui come l'ombra dellibro, il terzo tra Ie due mani che reggono illibro, la differanza nell'adesso della scrittura, 10 scarto tra illibro e illibro, quell'altra mano ... Iniziando la terza parte del terzo Livre des questions, il canto sullo scarto e I' accento, prende avvio COS1: «" Domani eI'ombra e la riflessibilita delle nostre mani".
Reb Derissa».
Indice dei nomi
Abel, Othenio, 284 n. Alain, pseudonimo di Emile-Auguste Chartier, 174. Alliney, Giulio, 152 n, 208 n. Althusser, Louis, 127 n. Anselmo d'Aosta, santo, 74. Aristotele, 5 n, 26, ro4, I28, 178 n, 187 n, 258,301 n, 302 n. Arnold, Matthew, 99. Artaud, Antonin, 10, 219, 221, 222, 225" 232, 234-40, 241 n, 242, 244-54, 27 2, 281,297,299-3 0 7,3 0 9- 22 . Artemidoro di Daldi, 269. Axe!os, K., 102 n.
Bachelard, Gaston, 8, ro8 n. Baillet, Adrien, 57. Balzac, Honore de, 5 n, ro, 29. Balzac, Jean-Louis Guez de, 20 n. Bartoli, GiseIe, 31 n. Baruc, 12. Bataille, Georges, I29, 148 n, qo, 325-33, 335-43,345-47,349-57·
Baudelaire, Charles, 5 n, 32, 238 n. Beaufret, ].,102 n. Benveniste, Emile, q6 n, 284 n. Berard, Victor, 198 n. Bergson, Henri, 31 n, II5, 147, 195 n. Bianca, D.O., 12 n, 21 n. Biemel, Walter, 188 n. Biraud, H., 180 n. Blanchot, Maurice, ro e n, 81 n, 97, 129 e n, 130, 219, 221-24, 240 n, 252 n, 348, 354· Blin, Roger, 313 n, 316. Boehme, Jakob, 92. Boileau-Despreaux, Nicolas, 5 n. Bolleme, Genevieve, 5 n. Bonaparte, Marie, 257 n. Bonomi, Andrea, 212 n, 362 n. Borges, rr6, I q.
Bounoure, Gabriel, 81 n, 377. Brentano, Franz, 203 n. Breton, Andre, 90, 312 n. Bridoux, A., 177 n. Buber, Martin, 15, 133 e n, 134 n. BufIon, Georges-Louis Leclerc, conte di, 26.
Callicle, 50. Calogero, Guido, 144 n. Canguilhem, 13 e n. Capriolo, Ettore, 226 n, 301 n. Carlini, Armando, 66 n, II3 n. Caruso, Paolo, 21 n, 367 n, 374 n. Catesson, Jean, 383 n. Cattabiani, Alfredo, 373 n. Ceronetti, Guido, 221 n. Cesa, Claudio, II n, 144 n. Charbonnier, Georges, 373 n. Chiodi, P., 9 n, ro2 n, 175 n, 178 n. Cirese, A. M., 365 n. Claude!, Paul, 28, 30, 32, 33, rr8, 149. Clerselier, 57. Coleridge, Samuel Taylor, 238 n. Colli, Giorgio, 36 n, 238 n, 302 n. Comte, Auguste, 327. Condillac, Etienne Bonnot de, 269 n. Considerans, 25. Copeau, Jacques, 248, 308. Corbin, 356 n. Corneille, Pierre, 5 n, 21-26, 28. Costa, Filippo, 153 n, 212 n, 214 n. Cournot, Antoine-Augustin, 215. Cremieux, Benjamin, 305. Cusano, Nicola, I28, 182 n, 193. Dalio, Marcel, 240 n. De Angelis, Giulio, 197 n. Delacroix, Eugene, 5 n, 10, 19. Del Bo, Giuseppe, 156 n. Della Volpe, Galvano, 235 n.
Indice dei nomi Dell'Orto, Adriana, 353n. De Negri,Enrico, IX 11, 329 n,330 n. Descartes, Ren6, lI, 40, 41, 53, "'70,7277, 103, 124,134,137, 177 e n, 182, 256, 29°· Diderot, Denis, 5 n. Dilthey, Wilhelm, 206 en, '1.07. Dioniso, 3Q2 n, 317 n. Duns Scoto, Giovanni, 187 n, 192. :&;khart(Mae5trQ Eckhart), 89, 187, UI n. Eliot, Thomas Stearns, 5 n, 10. Erllclito, 323 n. Eschilo, 300. Esil4lion, JI3 n. Euripide, 300. Fachjnelli, Elvio, 41 n, 263 n, 311 n. Fatts, Corrado, 144 n. Faulkner, William, 5 n. Ferenczi; S~ndor.4In, 272. Feuerbach, LUdwig. Andreas, 11 n, 127 e n, 136 n, 141. Filippini, Enrico, 102 n, 152 n, 208 n, '1.12 n. Fink,113. Flaubert, Gustave, 3, 5 n, 10, 32, 36, 37 en. Fliess, Wi\helm,165, 266,293. Foeillon, Henri, 10. Foucault, Michel, 39-62, 64, 65, 67, 69, 71, 72, 74-77, 79, 21 9, 220 e n, 224, 225, 335 n. Frege,Gotdob, 2 03,204· Freud, Anna, 257 n. Freud, Sigmund, 19, 41 n, 198 n, 235, 250, 255,82,283n, 284.87, 288 n, 289'97, 310, 31t en, 363. Galli. Gallo, 65 n. Gandillac, M. de, 128 n, 182 n, 194 n, 199 n. Gargiulo, Alfredo, 9 n. Garufi, Bianca,163 n. Genet,Jean,238 n. Genetie, Gerard, 7 0, 367. Geremia; 12. Gide, Andre, 5, 29, 37 o. Gilson, Etienne; 187 n. Giovanni Crisosto0i0, santo,14,197. GOdel, Kurt, 210. Gogh, Vincent VllD, 238 n. Goldmann, L., 199 n. Granel, Gerard, 78 n. Green, 2'5.
Indice dei nomi Gueroult, M., 13 n,64. Gurwit$Ch, Aron, 212 n. Halard,Paul,4 n. Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, 5 n, I I 11, 29,34,46, 54,72 n, 88, 92,99, 101, II5 n, 117, 12.5-28, 137, 139 e n, 140, 144e.n, 149, 151, 152, 163 n, 164, 1]6, 178,191, 197 en, 1I5, 222, 239 n, 256, 277,3 19, 325-38, 339 n, 340, 341, .343 n, 345, 348, 35 2 n, JH, 3.54, 356 n, 3'7, 3.58•
Heidegger, Martin, 16,50,78 n, 99, lo.x-3, 10" 110-15, 124, 131, 139 n, 149, 161, 163 n, :1.70-78,179 n, ISo n, lSI, 182, 184-86, 187 n, 188 n, 189 nJ 191-93., 198 n, 2J8, 239n, 252; 253, 256,277; 345, 356n, 363. HeIlingrath, 223. Herder, Johann Gottfried von, 56. Hervey de Saint-Denys, 279n, 312. Holdedin, Friedrich, 185 n, 186, 222-25, 237 en, 238 e n, 240. Husserl, Edmund, 14, 35, 72 n, 76, 101-4, 107, 10.9-II, II.5, 124,131, 134,142'59, 163 n, 166 e n, 167 n, 168, 169 n, 170, 17 1 en, 195,196, I99-2U, 212 n,2131I8, 263 n, 274, 37.5. Hyppolite, Jean, 139 n, 329 n, 337 n. Hytier, Jean, 10 n. Jabes, Edmond, 81e D, 83,84, 86, 87,89, 91-94,96,97,128,137,377, Jakobson, Roman, 373. James, Henry, 5 n. Jaspers, KlIrl, 96, 141, 222 n. Joyce, James, 5 n, 39, 69, 197 n, 198 n, 334· JUng, Carl Gustav, 256. Ka.fk;a, Fra02, 85. KlInt, Immanuel, 8, 9 e n, 103 •. Ill· n, 122 n,195,202,277,290,335· Kierkegaard, &iren Aabye, 39, 122 n, i39141,238 n, 327 e n. Kircher, Athanasius, 2 6 9 . ' IOein, Melanie, 297. Klossowski, P., 340 n. Ko.ffka, 212 n. Kohler,Wo.lfgang, 212 n. Ko.jeve, Alexandfe, 328 n, 329 n, 346, 352 n,35 8. Ko.yre, Alexandre, 328 n. Kris, Ernst, 257 n. Kroeber, Alfred Louis, 4 n.
Lacan, Jacques, 245 n. Lagache, D., 41 n. Laplanche,J., 219, 220 n,223. Laporte, 7J n. Leconte de Lisle, Charles-Marie-Rene, 37. Leenhardt, M., 24 n. Leibniz, Gottfried Wilhelm von, U e n, I3,:U en, 24e n, 31,67 n, 143, 206. Levinas, Emmanuel, 78 n,91, 99 e n, 103142, 144-6.5, x68 e n, 169, 171-84, 18.5 n, 186-91,194'97,198 n. Levi-Strauss, Claude,I9,2Ie n, 163 n, 362 e n,364-76. Lichtenberger, Frederic-Auguste, 300. Lipps, Theodor, 203, 20t. Littr€, Maximilien-Paul.Emile,6, 132,274. Loeb, P., 2.54 n. Lo12, J.,3J3. Luynes, duca di, 57. Lyllch, 198 n. Madonill, Franca, 367n. Malebranche, Nicolas de, 137el1, 192, 193 en. Mallsrme, Stephane, , n, 12, 32, 222, 299. Marcel, Gabriel, 133. Marchi, Giovanni, 226 n, 301 n. Marivaux, Pierre Csrletde,26-28. Marx,. Heinrich Karl, 99; 23,n, 349 n. MlIsiJ Giuseppe, 176 OJ 239 n. Masini, Ferruccio,36 n. Mauss, Marcel, 373 en. Maxwell, H. J., 227 n. Merker, Nicolao, 12,'n. Merleau-Ponty, Mam:ice, 14 e n, 131 en, 212 n. Monglond, Andre, 4 D, Moni,A.,I,Hn. Montaigne, Michel Eyquem, signore cli, 59. 359· Montinari, M322ino,36 n, 238 n, 241 n, 302n. Mortec, Gian Re02O, 226 n, 301 n. Mounet-Sully,. Jean,Sully Moonet, delto, 31 6. Munier, R.,1.6 n,10} n.
2bO, 261 n, 301, 303, 309 n, 315 e n,31, 318,323 n, 325, 335)' 343, 345, 356 DJ 363,376.
D,
Parisot, H., 250 D. Pannenide cli Elea,79, II3, 1l4, 137,160, 161. Pascal, Blaise, 37,42. Paulhan, Jean, 244, 248, 319 n. Perse, John, 143. Pill8et, lean, 199n. Plana, Giovanni, 171il, 203 n. Picon,. 8e D. Platone, 13n, .35, 87, 102, 104, 107, 108, U3, 122 n, 124, 138, 150, 171,178 n, 189,196,255.,2.58,277,286,293,305, 318,320, 343, 364Plauto,5 n. Poe, Ed8lIr. Allan, 238.0. Poulet,8, I] en, 25. Preti, Giulio, :1.95 n. Proust, Marcel, 5 n,.lo, 22,28-30,32,277. Pseudo-Dionigi Areopagita, 351 n. Queneau, Raymond, 328 n. Raymond, Marcel, 8, I]. Reina, Maria E., 173n. Renan, Joseph'Ernest, 176 e n. Richard, l.-P., 4 n,6, 8,18 e n, 31. Ricceur, P., 103 n. Riviere,Jacquesj 222 n, 227, 228, 246. Rodis-Lewis, Genevieve, 137 n. Rosenzweig, Franz,. 195 n. Rosso Cattabial1i, Annaa73 n. Rousseau, Jean-Jacques, 269.0, 309 n, 316,
315·
Rousset, Jean, 4 n, , n, 7'10,1.5, 17-l I , 2429,30 n,3 1 -33· Rugafiori, Gaudio, 227 n.
Sartte, Jean·Paul,I,6 n, 188 n, 332 n, 337 . n, 346 nJ 347n,348 na50 n, 356 n. Saussure, Ferdinandde,27I. Schelet,~bx,92, P5. ScheIling, Friedrich Wilhelm Joseph, 36, 85,166,195 e D,H8. Neher; A.; 195 n. Scherer, Jacques, 32. n. Neri, Guido,. 221 n. Schlegel, AUgUst Wilhelm vo.n, 5 n. Neri, Guido Davide, 156 n,201 n,226 n, Serafini, L., 365 n. 301 n. Servadio,EJI)ilio, 297 .n. Nerval, Gerard de, 238 n. Soavi,Giulio, 265 n. Nietzsche, Friedrich Wilhelm, 34 n, 36 n, Socrate, ;;0-5;2, 71, 122 e nJ 130, roo, 161, 37 e n, 50, 87, 89, 99, u9, 176 en, 177, 238 n. 237, 238 en, 240,241n, 244 n,247, Sofoele,3·
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Indice dei nomi
Sollers, 346 n, 355 n. Spinoza, Benedetto, 137. Spitzer, Leo, 8, 17. Starobinski, 8. Strachey, James, 297. TMvenin, Paule, 299. Ti!gher, A., 57 n. Tomaso d'Aquino, santo, 187 n. Trasimaco, 50. Trett! Fachinelli, Herma, 41 n, 263 n, 3II n. Vaccaro, Nicola, 125 n. Valery, Paul, 5 n, 10 e n, 15. Vaugelas, Claude Favre de, 20 n. Vedaldi, Armando, 195 n. Verlaine, Paul, 12. Verra, Valerio, 9 n. Vigolo, Giorgio, 237 n. Vinteui!, 30. Voltaire, Fran~ois-Marie Arouet, delta, 5 n,16.
Wahl, Jean, 39 n, II8, 122 n. Warburton, William, 269 e n. Wei!, E., 147 n, 148 n. Wolff, Christian, 327. Woolf, Virginia, 5 n, 10. Wundt, Wilhelm, 203. Zannino, Franco, 373 n. Zanzotto, Andrea, 341 n. Zaratustra, 37, 241 n, 244 n.
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