RAE FOLEY DI ODIO SI MUORE (It's Murder, Mr. Potter!, 1961) Personaggi principali: HIRAM POTTER investigatore privato WA...
22 downloads
1783 Views
735KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
RAE FOLEY DI ODIO SI MUORE (It's Murder, Mr. Potter!, 1961) Personaggi principali: HIRAM POTTER investigatore privato WARREN XAVIER attore CRYSTAL YOUNG attrice HERBERT KEANE industriale ROLAND KEANE socio e fratello di Herbert BEVAN MACDONALD socio di Herbert Keane DOROTHY KEANE moglie di Herbert SUSAN KEANE HOPE KEANE figliastre di Herbert JOHN MILLER giornalista Dottor SMILEY medico di casa Keane VILMA THOMAS infermiera RATCLIF tenente di polizia 1 A una finestra del suo appartamento in Gramercy Park, Potter se ne stava in attesa, guardando la strada. L'uomo alto sbucò dall'angolo dopo aver compiuto, per la quarta volta, a passo sempre più veloce, il giro esterno del minuscolo parco chiuso dall'alta cancellata di ferro. Ora l'uomo procedeva di corsa ed era così assorto che andò quasi a scontrarsi con due ragazzette. Queste lo riconobbero subito, e si misero a strillare eccitate, cercando di bloccarlo sbarrandogli il passo. Lui ebbe un gesto di viva insofferenza. Arretrò di scatto e, toltasi di tasca una chiave, aprì in fretta un cancelletto del recinto. Sottrattosi così alle ammiratrici che, vista sfuggire la preda, restarono ad osservarlo con occhi sognanti, l'uomo si dileguò di corsa lungo il viale, come se fosse inseguito dalle furie infernali. "Ci vuole davvero e subito qualche provvedimento di emergenza" pensò Potter sorridendo, "se voglio evitare che Warren Xavier abbia una nuova crisi di nervi, proprio quando, domani sera, a New Haven, andrà in scena la prima dell'Otello."
Gli avevano presentato Warren due mesi prima, quando l'attore aveva preso in affitto un appartamento nella casa e stava iniziando le prove per il suo esordio su un palcoscenico di Broadway. Purtroppo, per tutta una serie di sfortunati contrattempi, di cui l'attore aveva ingiustamente attribuito la responsabilità a Potter, la realizzazione dello spettacolo aveva subito un ritardo di alcune settimane. Ma ora, finalmente, la prima era imminente e Warren si rendeva conto che sarebbe stato in gioco tutto il suo avvenire di attore: era quindi spiegabile quella sua acutissima tensione nervosa. Potter staccò una chiave da un gancio, a lato di un bellissimo portale in stile Adam, e scese nel parco per parlare con l'attore. Era una bella giornata di ottobre, con un cielo limpido, di un azzurro carico. Spirava una fresca brezza, ma il sole era ancora caldo. Warren Xavier, quando finalmente Potter lo trovò, se ne stava immobile a fissare cupamente un busto di Edwin Booth, il celebre attore-impresario teatrale dell'Ottocento. Da otto anni Warren era considerato uno degli astri più luminosi di Hollywood. Aveva una corporatura possente ed era dotato di un fascino eccezionale, che però amministrava saggiamente, senza farne abuso. Il numero di lettere che riceveva dagli ammiratori, e soprattutto dalle ammiratrici, costituiva un record imbattuto. Il prezzo dei biglietti per i suoi spettacoli incuteva terrore persino ai magnati dell'industria. Quando compariva in pubblico provocava tumultuosi assembramenti di gente entusiasta. In definitiva, però, era un tipo capace di lavorare con dedizione accanita, ragionevolmente modesto e molto socievole. Come se non bastasse, sapeva davvero recitare. L'attore udì Potter tossicchiare e si volse: — Ah, sei tu? — costatò disgustato. — Sì, sono proprio io — rispose Potter allegramente. — Vattene, uccellaccio del malaugurio. — Su, andiamo a prendere la macchina — propose Potter, senza turbarsi. — Faremo un bel giro in campagna: hai assoluto bisogno di un diversivo. — E tu — ribatté Warren — hai invece bisogno di un bel pugno sul muso. Ti sei già dimenticato di quello che è accaduto l'ultima volta che siamo usciti assieme? Mi sono addirittura beccato una pallottola. Accidenti, ma perché non badi un poco ai fatti tuoi? Quest'ultima era evidentemente una domanda del tutto retorica. Infatti Warren, senza soffermarsi ad attendere una risposta, incalzò: — È proprio
così! Devi sempre ficcare il naso nei fatti altrui. D'altra parte mi avevano messo in guardia contro di te. Maledizione, Potter, nonostante il tuo aspetto di innocuo coniglietto, dove passi semini la rovina! L'attore, dall'alto della sua statura, fissò lo sguardo sui capelli biondi di Potter e sul suo viso che si sarebbe detto inespressivo, se non fosse stato per gli occhietti azzurri dai quali, talvolta, sembrava sbirciare un demonietto sghignazzante. — Respingo ogni e qualsiasi responsabilità per quel piccolo incidente — disse Potter. Senza tener conto del gesto di protesta dell'attore, proseguì: — Tutto è accaduto perché hai voluto interferire tra un marito e una moglie: era inevitabile e logico che ti saresti messo in un brutto impiccio! — concluse ridendo. L'attore rimase accigliato ancora per qualche istante, ma finì per sorridere: — O.K.! — disse.—Andiamo pure: voglio sfidare il pericolo! Ma questa volta, se ci capiterà di imbatterci in una donna perseguitata, lasceremo che se la cavi da sola. Basta con le gesta da cavaliere errante! — La maggior offesa per il tuo orgoglio, caro Warren, è venuta dalla circostanza che a spararti è stata la donna: l'uomo non ha opposto alcuna resistenza e si è ben guardato dall'affrontarti. — E per di più la pallottola mi ha colpito nel sedere! — commentò l'attore con amarezza. — Se la cosa fosse finita sui giornali, ti immagini le sghignazzate della gente? Non avrei mai più potuto mettere piede su di un palcoscenico. — Ma, per fortuna, non è accaduto nulla di simile — concluse Potter. — Ora ce ne andremo lentamente a spasso in campagna, per ammirare i colori del fogliame d'autunno. Vagabondare oziosi per la campagna ci ridarà la pace dello spirito. E soprattutto ci guarderemo bene dal correre in aiuto delle damigelle in difficoltà. — Eppure, vedrai che ci capiterà gualche guaio! — disse Warren in tono cupo. — Ne ho il sicuro presentimento: finiremo di nuovo nei pasticci. Sotto il Tappan Zee Bridge, l'Hudson era azzurro come il cielo, mentre a ponente della vasta superficie del fiume si scorgevano le magnifiche tinte rosse, bronzee e scarlatte della vegetazione autunnale. — Vogliamo restarcene nello Stato di New York o passare nel New Jersey? — chiese Potter. Profondamente infelice e torturato dai presentimenti, Warren era del tutto privo di iniziativa e non rispose. Potter, allora, compiuto il giro della New York Throughway sino alla Garden State Par-
kway, puntò verso meridione. Dopo qualche chilometro, scelto a caso uno svincolo di uscita, abbandonò l'autostrada e, immessosi in una arteria battuta dal traffico locale, passò accanto ad un enorme fabbricato in vetro e acciaio, che appariva recente quasi quanto i titoli dei quotidiani di quella stessa mattina. Sorgeva tra una distesa policroma di fiori, in uno stupendo giardino. Sulla facciata recava a lettere gigantesche la dicitura "NATIONAL". Poco oltre vi era un altro vasto stabilimento industriale che, tranne per alcune sovrastrutture, appariva vecchio e stereotipato come un ospedale d'altri tempi, e altrettanto sgradevole alla vista. Su di una vecchia e malconcia insegna scolorita, si leggeva la scritta: "KEANE CHEMICAL CO.". Potter continuò a guidare a velocità molto ridotta, mentre i fabbricati lentamente scomparivano alle loro spalle. D'un tratto, quasi istintivamente, sterzò imboccando una laterale in terra battuta, lungo la quale continuò a guidare rilassato con le mani appena appoggiate al volante, mentre contemplava le fronde degli aceri che, in un tumulto di accesi colori, formavano una vera e propria volta vegetale sopra di loro. Tranquillo e in pace con il mondo, prestava appena attenzione alle preoccupate lamentele di Warren. — Mio Dio, come sono stato sciocco a tentare questa nuova esperienza. Avevo già raggiunto, lavorando duramente, la posizione che desideravo nel cinema, e ora eccomi a mettere tutto a repentaglio su di un vero palcoscenico. E per di più con questo Otello! — Il lavoro è buono — obiettò Potter. — Di buono c'è solo la parte di Jago. E poi, con quella Desdemona! Dovresti sentirla recitare certi pezzi! Sembra che stia facendo i gargarismi. Finirà tutto in un fiasco colossale, vedrai! — Stai un po' zitto! — esclamò Potter, ridotto suo malgrado all'esasperazione. — Possibile che tu non possa dimenticare almeno per un'ora quel maledetto lavoro? — No, non ci riesco — rispose sconsolato Warren, mentre si accingeva ad accendere una nuova sigaretta col mozzicone della precedente. — Sto fumando troppo e mi rovinerò la gola. Ma, per tornare al lavoro, non riesco davvero a capire perché mi sia lasciato convincere a partecipare a questa nuova e ridicola versione di un Otello in abiti moderni. Un'idea decisamente pazza, che il pubblico non solo non riuscirà a comprendere, ma anzi troverà odiosa.
Potter si astenne molto saggiamente dal cercare di confortare l'amico: Warren, infatti, aveva solo bisogno di sfogarsi e non che si cercasse di rassicurarlo. Ora da un lato della strada si stendeva un ripiano ondulato di campi, mentre dall'altro lato vi era una vasta tenuta, recintata da una siepe di circa tre metri d'altezza, oltre la quale si udì improvvisamente lo scalpitio di un cavallo lanciato a briglia sciolta. — In Inghilterra — Warren riprese il suo monologo — quando un lavoro teatrale non piace, gli spettatori si mettono a tirare i più disparati oggetti sul palcoscenico. Urlano, fanno versacci, inveiscono. C'è stato un attore che, dopo il fiasco di una prima, si è addirittura tirato un colpo di rivoltella! In quell'istante, quasi Warren l'avesse evocato con le sue parole, si udì uno scoppio, e l'auto, con un pneumatico a terra, prese a sbandare. Potter riuscì a controllarla e a bloccarla, evitando che uscisse di strada. Un attimo dopo, da una breccia della siepe irruppe un cavallo che, evidentemente spaventato per lo scoppio, aveva preso la mano e ora si impennava e sgroppava a pochi passi dalla macchina. Il cavaliere, dopo aver disperatamente cercato di controllarlo, si lasciò sfuggire un grido di spavento: Potter e Warren si resero allora conto che si trattava di una donna. Warren, con le sue lunghe gambe, ci mise solo un istante a farsi incontro all'animale imbizzarrito afferrandolo per le redini. — Attenzione! — gridò la donna mentre il cavallo tornava ad impennarsi. Warren tenne saldamente la presa, ma non poté evitare che uno zoccolo lo colpisse al fianco: un attimo dopo il cavallo, ormai sotto controllo, si calmò e, seppure ancora scosso da un fremito, rimase immobile. Potter aiutò la donna a scendere di sella poi, vedendola barcollare, la sorresse ponendole un braccio attorno alla vita. Doveva avere almeno quarantacinque anni, si disse, una donna del tutto comune, alla cui mediocrità facevano eccezione solo due splendidi occhi. Per il resto la luce brillante del giorno poneva spietatamente in evidenza una carnagione che accusava il passare degli anni. Vi era qualcosa comunque in lei che, pur vagamente, gli appariva familiare e lo poneva in imbarazzo: doveva averla già vista da qualche parte. Poi lei parlò, e anche quella voce dalla tonalità roca, un poco ansimante, gli sembrò nota. — Vi ringrazio molto — disse la donna. Poi, rivolgendosi a Warren che, pallido come un cencio, era rimasto accanto al cavallo continuando a strin-
gerne le redini: — Spero che non vi siate fatto male — aggiunse. Warren si tastò con precauzione il fianco colpito: — Penso che lo zoccolo mi abbia rotto una costola — disse mentre per la prima volta volgeva lo sguardo verso l'amazzone tuttora scossa e impaurita. — Se non sbaglio — aggiunse poi — siete Crystal Young. "Ma certo, Crystal Young!" si disse Potter. "Ecco perché mi sembrava d'averla già vista!" Infatti aveva avuto modo di vederla spesso recitare, e ora se la ricordava in qualche dozzina di interpretazioni e di scene indimenticabili: ad esempio, come quella volta, quando vestita con una splendida toilette da sera, si chinava sulle vampe del focolare. In quella parte era apparsa davvero la quintessenza di ogni romantico sogno maschile! E in quell'altra occasione, quando sbucata da dietro una tenda, con la sua sola presenza, aveva donato luce e gioia a tutto il palcoscenico. E infine la ricordava in un'altra magistrale interpretazione in cui, dopo un estremo colloquio con gli amici, si avviava verso il patibolo: chi avrebbe mai potuto dimenticare quella sua voce inconfondibile, un poco rauca, e quella mano che sembrava tendersi per riafferrare disperata un bene perduto per sempre! Erano trascorsi molti anni da quando Potter l'aveva vista l'ultima volta. — Ovviamente, voi siete Warren Xavier. Quando sorrideva, quella donna sembrava trasfigurarsi, e Potter si chiese come mai gli fosse stato possibile giudicarla una donna comune. Ora emanava di nuovo quella luce e quel calore femminile che la sua personalità d'attrice immancabilmente sprigionava, irresistibili, dal palcoscenico. Warren strinse la mano che lei gli aveva teso. — Se il vostro cavallo è impazzito — disse poi sorridendo — il responsabile è il qui presente signor Hiram Potter: si è trattato solo di un piccolo saggio dei guai che lui è capace di combinare. Potter è un famoso menagramo tra i più pestilenziali; una specie di maledetto gattaccio nero, sempre pronto a tagliarvi la strada. Si porta dietro tutto un cumulo di sciagure, e ho sentito dire che tra breve lo obbligheranno a mettersi al collo una campanella in modo che la gente possa essere avvertita della sua presenza e darsi alla fuga in tempo utile. Guardatevi da lui! Crystal Young, evidentemente, non aveva ben compreso se Warren avesse parlato sul serio o meno, e quindi sorrise incerta. "Deve essere un po' stupida" si disse Potter. Poi, quando infine il sorriso scomparve, lui si rese meglio conto dei guasti che l'età e le sofferenze avevano inflitto a quel volto femminile.
— Una costola fratturata? — esclamò Crystal preoccupatissima. — Ne siete certo? — Penso di si: sento qualcosa che scricchiola qui dentro. Ma non ha molta importanza. Non vi preoccupate. — Le ultime parole famose! — commentò ironicamente Potter. — "E un attimo dopo il povero giovinetto sorrise, e cadde morto stecchito." — Buon Dio! E ora che facciamo? — chiese Crystal con voce ansiosa. — Là, oltre la siepe, c'è un uomo che sta male: è caduto da cavallo. Io stavo appunto andando a cercare aiuto quando vi è scoppiata la gomma e Tom mi ha preso la mano. — È ferito? — chiese Potter. — Non so. È quasi finito in un ruscello e io non sono riuscita a tirarlo fuori. Mi ha detto di correre a cercare aiuto. — Restate qui con Warren, andrò io a vedere come sta. Entrato nella proprietà attraverso il passaggio nella siepe, Potter si diresse a passo svelto lungo la pista d'equitazione. Dapprima scorse solo la cavalla e subito dopo, a una dozzina di metri di distanza, vide l'uomo: giaceva supino, di traverso alla sponda di un ruscello, con entrambi i piedi e un braccio nell'acqua. Mentre Potter gli si inginocchiava accanto, l'uomo emise un gemito e aprì gli occhi. Doveva avere circa cinquantacinque anni. Era corpulento e quasi calvo. Indossava calzoni da equitazione di taglio inglese e un maglione. — Al diavolo quella maledetta bestiaccia! — disse con voce ansante e malferma, staccando le parole come se avesse difficoltà di respirazione. Potter gli tastò con cautela braccia, gambe e torace ma, almeno a quanto gli parve, senza trovare indizi di fratture. Sulla testa, invece, vi era un grosso bernoccolo. "Impossibile spostarlo senza aiuto" pensò Potter, "e altrettanto impossibile sistemarlo nel poco spazio disponibile nella nostra piccola Volkswagen, senza fargli correre il rischio di gravi conseguenze, nel caso avesse delle lesioni interne." — Avete visto Crystal? — chiese l'uomo, sempre respirando a fatica. Potter gli fece un cenno d'assenso: — Cercherò qualcuno che mi aiuti a trasportarvi. Potete resistere ancora per un poco? L'uomo si sforzò di sorridere: — Mi pare di non avere altra scelta — rispose. — Soffrite molto?
— In modo addirittura infernale! Quella maledetta cavalla sembrava impazzita. Chissà cosa le ha preso! — Sarò qui il più presto possibile — lo rassicurò Potter. Ritornò di corsa all'automobile e, dopo aver risposto con un cenno rassicurante alle ansiose domande di Crystal, si accinse a cambiare la ruota. — State tranquilla — le disse poi — pare che non abbia nulla di rotto. Ditemi, piuttosto, dov'è il telefono più vicino? — A Summit House, nella villa dove sono ospite. Avevamo appena lasciato la scuderia quando Bess, la cavalla, si è messa a fare pazzie: non ho mai visto nulla di simile. Si impennava come un cavallo da circo o, meglio, come un puledro selvaggio. Roland non è certo un esperto cavallerizzo, ma anche se lo fosse stato... — si interruppe e sorrise con una sfumatura di malizia. — Dopo questo incidente, la povera Dorothy non lo vedrà mai più montare in sella. E pensare quanta fatica le è costato convincerlo a fare un po' di equitazione. E lui comincia subito con un bei capitombolo. Ridivenne seria: — Speriamo almeno — concluse poi — che se la sia cavata senza gravi conseguenze. Quando fu montata la ruota di scorta, tutti e tre salirono in macchina: — Dov'è la casa di quel tizio? — chiese Potter, mentre metteva in moto. — Troverete il cancello a cento metri da qui, più avanti. Ma non si tratta proprio di casa sua: appartiene all'industriale Herbert Keane, suo fratello maggiore. Quello caduto da cavallo si chiama Roland. Herbert, quando dieci anni or sono si sposò, fece costruire la villa per venirvi ad abitare con la moglie Dorothy e le due figlie di lei, Hope e Susan. Poiché la villa è grandissima e non manca certo lo spazio, chiese al fratello Roland di venirci a stare anche lui. L'attrice parlava in fretta, con eccitazione. Era ancora pallida e tremante per lo spavento. Oltrepassato un grande cancello di ferro con i battenti spalancati, percorsero il viale in leggera salita che, dopo circa mezzo chilometro, li portò quasi sulla sommità di una collina. Erano giunti a Summit House, un grande edificio di pietra grigia, davanti al quale si stendeva un prato verde, con aiole fiorite e grandi alberi. Proprio sul crinale della collina, nel parco dietro la villa, oltre a una piscina e alle scuderie, vi erano una autorimessa per almeno sei macchine e diverse altre costruzioni adibite a servizi. — Davvero un bel complesso residenziale! — disse Potter mentre, disceso dalla macchina, si avviava verso la lunga ma agevole gradinata che portava all'ingresso della villa.
Proprio mentre stava per giungervi, la porta si aprì e apparve un uomo: a Potter fu sufficiente una semplice occhiata per notare la somiglianza con l'infortunato e comprendere che doveva essere il fratello. Tuttavia, guardandolo con maggiore attenzione, poté anche rendersi conto che quella somiglianza appariva del tutto relativa: le differenze tra i due erano più numerose di quanto non lo fossero le rassomiglianze e gli elementi in comune. Innanzi tutto, l'uomo apparso sulla soglia era più anziano di almeno cinque anni, e dava subito l'idea di essere un duro, mentre l'altro doveva essere addirittura l'opposto. Questo aveva una bocca i cui angoli piegavano decisi verso il basso, mentre quella dell'infortunato, anche se Potter l'aveva vista in un momento in cui era contratta per lo spasimo, aveva una piega bonaria verso l'alto. Anche gli occhi erano molto diversi: quelli che ora, dopo aver rapidamente scrutato le persone rimaste in macchina, fissavano Potter, erano gelidi e attenti. Gli stessi occhi con cui certi presidenti di società, senza pronunziare una sola parola, riescono a stroncare e annichilire i loro oppositori nei consigli d'amministrazione. E, infine, l'uomo sulla soglia era bello; anche se, stranamente, questa sua caratteristica era l'ultima di cui ci si rendeva conto. Warren scese a sua volta dalla macchina e, offerto il braccio a Crystal, l'aiutò a salire la scalinata, verso l'uomo in attesa il quale si guardò bene dall'andarle incontro. — Herbert! — disse Crystal con la sua inconfondibile voce. — È accaduto qualcosa a Roland! L'uomo mosse lentamente qualche passo verso di lei: — È ferito? — chiese con ansia. — È stato disarcionato. Questi signori mi hanno gentilmente riportato a casa. — Che cosa è successo, esattamente? L'uomo aveva la pelle del viso grigiastra, con una sfumatura paonazza tutt'intorno alla bocca. "Ecco uno con il cuore in cattive condizioni" pensò Potter. — Non so: è caduto da cavallo, ecco tutto! Il signor Potter dice... oh, scusatemi... questo è il mio ospite, Herbert Keane. Il signor Potter e il signor Warren Xavier... — Non ho ritenuto opportuno cercare di muovere vostro fratello — intervenne Potter. — Temevo di cagionargli qualche complicazione interna. Herbert Keane sembrò riflettere attentamente sulle parole e sull'atteg-
giamento del giovane, quasi intendesse scoprire se non gli nascondesse qualcosa. — Semplici complicazioni? — disse. — Allora non è morto! — Oh no! Soffre molto, ma non sono riuscito a scoprire se ha delle fratture. Una giardinetta venne a fermarsi accanto alla macchina di Potter. Ne scesero un uomo e una donna, che si avvicinarono lentamente al gruppo. — Vi presento mia moglie e il signor John Miller — disse Herbert. Dopo una impercettibile pausa aggiunse: — Il signor Miller è un famoso giornalista radicale. — Poi presentò Warren e Potter. La signora Keane non doveva aver più di quarant'anni. Era tuttora una magnifica donna, con i capelli color bronzo dorato e il corpo di una ragazza di vent'anni. Il viso aveva una lieve espressione ironica e arguta. Ma vi si scorgeva anche la paura, e Potter rimase perplesso perché, per lo meno a quanto gli pareva, era proprio la sua presenza ad aver intimorito la signora Keane. — Roland è stato vittima di un brutto incidente — spiegò Herbert. — Dorothy, ti avevo ripetuto tante volte di lasciarlo in pace e di non insistere perché andasse a cavallo! Se si riprenderà, spero che... — Non vedo — lo interruppe Miller — come si possa rimproverare la signora Keane per l'accaduto! — Il giornalista era snello, ma muscoloso. Aveva un volto affilato, con una caratteristica espressione stizzosa. Lo sguardo miope era nascosto dallo spessore delle grosse lenti. Herbert ridacchiò per qualche istante. Poi, con le sopracciglia lievemente inarcate, mentre passava lo sguardo gelido dal bel volto arrossato di lei a quello irato del giornalista, disse: — Caro Miller, mia moglie non ha bisogno di scudieri che la difendano. — Ho incontrato per caso il signor Miller in paese — intervenne lei, per rispondere alla sottintesa domanda del marito. Ora sembrava essersi posta sulla difensiva e fin troppo ansiosa di discolparsi e di placarlo: — Gli ho proposto di venire su da noi, a bere qualcosa. — Qui, in territorio nemico?! — commentò Herbert, ridendo. — Avrei dovuto stare in guardia per trovarmi pronto a respingere l'invasore. — Herbert, ti prego. Non dire cose spiacevoli. Il signor Miller... Lui le troncò la parola in bocca con un gesto: — Fa' chiamare subito il dottor Smiley: Roland avrà bisogno di un medico. La signora Keane non riuscì a nascondere il suo stupore:
— Ma come? — esclamò. — Non lo fai portare all'ospedale? — Perché all'ospedale? Ricordati che, dopo tutto, questa è anche casa sua. Solo un tremore agli angoli della bocca e un lieve irrigidirsi del volto della moglie rivelarono a Herbert Keane che la sua scudisciata era giunta a segno. Se ne rese conto anche John Miller, il quale riuscì a controllarsi solo con un grande sforzo. — Prenderemo la giardinetta — proseguì Herbert. — Nel retro deve esserci quella brandina pieghevole. Sì, c'è, riesco a vederla da qui: l'ho sempre detto che, prima o poi, sarebbe stata utile. Voi signori venite con me, vero? Il tono con cui si era rivolto a Warren e Potter non era quello di chi chiede un favore, ma di chi impone un servizio. — Io ben volentieri, ma per quanto riguarda il mio amico Warren, sarà preferibile che si astenga da qualsiasi sforzo — disse Potter con un lieve nota di irritazione nella voce. — Quando è corso a bloccare il cavallo della signorina Young, si è preso un calcio in un fianco e pare si sia rotta una costola. Vi fu un istante di imbarazzato silenzio. Poi Herbert disse con voce conciliante: — Vi siamo molto grati, signor Xavier, per non aver esitato a prestare aiuto, mettendo a repentaglio la vostra incolumità. Tutti noi amiamo molto Crystal e quindi la nostra riconoscenza vi è dovuta. Ora entrate in casa e mettetevi comodo: desidero far visitare anche voi dal dottor Smiley. È il minimo che possiamo fare nei vostri confronti. La signora Keane sali velocemente la scalinata passando accanto a Xavier e all'attrice, senza degnarli di uno sguardo: — Manderò Bates ad aiutarvi — disse, prima di sparire all'interno della villa. Herbert si avviò con Potter verso la giardinetta. Dopo una breve esitazione li seguì anche Miller. Crystal, invece, rimase immobile per qualche istante. Poi, muovendosi lentamente, con la ieratica solennità che Potter ricordava d'averle visto usare anni prima in palcoscenico, si volse verso Warren e, posatagli una mano sul braccio: — Entrate, per favore — lo invitò. Potter osservava divertito la scena: era evidente che l'attore non desiderava accettare l’ospitalità offertagli; ma, d'altra parte, il rifiutarla sarebbe stato imbarazzante perché avrebbe rivelato che lui si era reso perfettamente conto dell'ambigua posizione di Crystal in quella casa.
Un uomo tarchiato, dai capelli arruffati, sbucò da un lato della villa. — Svelto Bates, sali! — lo sollecitò Herbert — mentre perdiamo tempo qui, può darsi che il signor Roland stia morendo. — Quindi si volse a Potter: — Io non dovrei guidare perché ho il cuore in disordine: purtroppo, mia moglie pare non voglia rendersene conto e non mi risparmia le seccature. — Guiderò io — disse seccamente Miller, mettendosi al volante. Potter se ne rimase silenzioso e, d'altra parte, non avrebbe saputo che cosa dire. Si era ficcato in una situazione strana e spiacevole. Crystal Young era evidentemente persona non grata per la sua ospite, e Potter si chiese anzi perché l'attrice se ne restava in una casa dove non la consideravano certo benvenuta. Ma un altro interrogativo Potter si poneva con maggior insistenza: perché mai la bella, enigmatica signora Keane si era così spaventata quando lui le era stato presentato? Potter deplorava da lungo tempo la notorietà di cui godeva. Era un tipo schivo e riservato per natura, eppure il suo nome faceva sempre notizia e aveva la spiacevole tendenza a comparire sui giornali, nella maggior parte dei casi associato a fatti e a circostanze sensazionali. In quel momento Potter avrebbe pagato qualsiasi somma, pur di sapere in quale occasione la signora Keane aveva detto il suo nome e perché poco prima, solo a udirlo pronunziare, si era tanto spaventata. La curiosità, che era la croce della vita di Potter, ora lo tormentava, anche se lui si sforzava di reprimerla. Qualunque fosse la situazione a Summit House, era ben deciso a non lasciarvisi immischiare. 2
Herbert Keane, che sedeva davanti, accanto a Miller, si volse verso Potter e chiese: — Il vostro amico Warren è un esperto di cavalli? — No. È un noto attore cinematografico. Potter adesso si stava divertendo: se vi era qualcosa che avrebbe davvero completato la distruzione morale di Warren, riducendolo del tutto al tappeto, sarebbe stato l'apprendere che Herbert Keane non lo aveva neppure riconosciuto! — Però! Non è impresa da poco riuscire a controllare un cavallo imbizzarrito. È un attore, avete detto? L'avevo giudicato uno che vive molto
all'aperto. E ora voi mi dite... — Lavora in teatro, a Manhattan — rispose Potter, omettendo di aggiungere che Warren, però, era anche un esperto giocatore di polo. Mentre si allontanavano dalla strada, lui non si era reso conto di quanto il posto dove era accaduto l'incidente di Roland, fosse vicino. La pista per l'ippica correva lungo il piccolo corso d'acqua che descriveva un gomito dietro le scuderie, per poi sfociare pigramente verso il basso attraverso i campi e una specie di brughiera. Quando infine giunsero sobbalzando sul terreno irregolare, ai piedi della collina, Miller dovette darsi da fare con lo sterzo, mentre Herbert cercava di scorgere dove si trovasse il fratello. D'un tratto qualcosa attirò l'attenzione di Potter: qualcosa di imprecisabile che si era mosso nel suo campo visivo. La cavalla di Roland se ne stava a brucare tranquilla poco lontano, ai piedi di un grosso acero. Uno scricciolo indignato aveva fatto una sortita dal nido per respingere un corvo troppo invadente. Ma a parte ciò, non si notava alcun altro segno di vita. Improvvisamente, però, il fogliame e le fronde dei cespugli si scossero quasi agitate da una raffica di vento. Forse uno scoiattolo, pensò Potter. Ma contemporaneamente, gli giunse un suono di rami spezzati, mentre riusciva a intravedere una sagoma indistinta che strisciava tra i cespugli. Per una frazione di secondo scorse anche un luccichio tra le foglie, che gli parve provenire da una scarpa lucida. Poi qualcuno si tuffò precipitoso dietro un albero, per scomparire subito dopo nel folto della macchia, tenendosi chino e defilato. Chi era e che cosa stava facendo quello sconosciuto? Potter tese le orecchie, ma non riuscì a captare alcun suono: "Incontrai un uomo che non c'era" commentò tra sé, ricordando una vecchia filastrocca infantile. Roland Keane giaceva ancora semi-immerso nell'acqua, nella stessa posizione di prima, oltre una macchia di cespugli, in un punto dove il ruscello descriveva una curva. Mentre Bates prelevava la brandina pieghevole dal retro della giardinetta, Herbert e Miller si chinarono sull'infortunato. Potter ritenne invece opportuno, per discrezione, restarsene un poco in disparte, in attesa che il suo intervento venisse ritenuto indispensabile. — Sia ringraziato Iddio! — disse Herbert con voce rauca — è vivo. — Sì, ma per miracolo — balbettò a fatica Roland, il cui petto si alzava e abbassava rapidamente, seguendo il ritmo di una respirazione affannosa. — Non sforzatevi di parlare — lo consigliò Miller. Poi il "famoso gior-
nalista", come l'aveva definito Herbert, prese il polso dell'infortunato: — Accidenti! — esclamò. — Deve avere almeno centotrenta pulsazioni. Ora spostiamolo con precauzione. Dobbiamo evitargli qualsiasi movimento inutile, perché può darsi che abbia effettivamente delle lesioni interne. I quattro uomini sollevarono con gran delicatezza Roland e lo collocarono sulla brandina, che poi caricarono nel retro della giardinetta. Terminata l'operazione, Herbert Keane ansava penosamente. — Quando saremo alla villa — disse Miller che lo stava osservando — chiameremo un paio di uomini per aiutarci a trasportare Roland. Voi Herbert è meglio che non ripetiate uno sforzo simile. — Le vostre sollecitudini mi commuovono nel profondo dell'animo — commentò Herbert in tono ironico. — Voi tre tornate subito alla villa — propose Potter. — Col personale di servizio potrete fare a meno del mio aiuto. Io, nel frattempo, andrò a ricuperare i cavalli. Herbert lo fissò dubbioso: — Non ve la caverete facilmente, con quelle bestiacce. Non avevo la minima idea che Roland avesse scelto Bess. Quella cavalla e Tom sono stati acquistati da poco, e nessuno di noi li conosce bene. Pensavo che avessero montato i soliti Target e Golden Girl, due bestie mansuete come cavalli a dondolo. Siete certo di farcela da solo? — State tranquillo: me la caverò. Miller mise in moto e procedette, guidando con estrema lentezza per evitare scosse all'infortunato. Potter, non appena rimase solo, si diresse verso la zona dove aveva visto, o almeno gli era sembrato di vedere, l'uomo misterioso correre curvo tra i cespugli. Si spostò con cautela osservando attorno a sé con attenzione, e non gli fu difficile trovare tra gli arbusti la breccia che qualcuno, uomo o animale, aveva aperto al proprio passaggio. Seguì la traccia, che era ben visibile, e proseguì fino a un'ansa del ruscello, dove essa spariva di colpo. Oltre il corso d'acqua vi erano solo dei campi incolti e brulli, dove non vi era possibilità di nascondersi. Il misterioso, inafferrabile fuggiasco, sembrava proprio essere svanito nel nulla. Potter si sentì scontento e seccato: il luccichio della scarpa non era stata un'illusione ottica o il frutto dell'immaginazione. Ne era ben certo. "Forse" pensò, "lo sconosciuto, mentre noi ci occupavamo di Roland, è tornato sui suoi passi. In tal caso avrebbe avuto tutto il tempo di raggiungere la protezione della grande siepe che circonda la proprietà, allontanandosi senza
che io potessi vederlo." Si chinò ad osservare il punto esatto dove gli era sembrato di scorgere il lampo riflesso da una calzatura lucida. Rimosse e frugò tra le foglie umide che il vento aveva accumulato sotto i rovi, e d'un tratto si lasciò sfuggire una imprecazione: si era punto un dito con una spina. Ma subito vide la piccola scheggia di vetro, non più lunga di un paio di centimetri, che gli era rimasta confitta nel polpastrello. La estrasse con delicatezza e stava per gettarla nel ruscello, quando gli venne in mente che forse in quel posto si recavano a giocare dei bambini e qualcuno di loro, sguazzando nell'acqua avrebbe potuto ferirsi. Perciò mise la scheggia in una busta che aveva in tasca. Quando si avvicinò alla cavalla, essa cominciò a dare segni di nervosismo, ma Potter la calmò battendole affettuosamente sul collo. — Sta' buona! — mormorò. Appoggiò poi una mano sulla sella, ma tutta la bardatura scivolò verso di lui. Il sottopancia era allentato e quindi non c'era da meravigliarsi che Roland fosse stato disarcionato. Piuttosto restava da chiedersi come mai la sella era rimasta al suo posto quando quell'uomo corpulento aveva inforcato la cavalla all'uscita dalla scuderia. Potter tentò di serrare il sottopancia, ma la puledra prese a scalpitare e strattonare con violenza, cercando di fuggire. — Che cosa ti succede, signorina? Che cos'è che non va? Si direbbe che tu abbia visto un serpente. D'istinto, mentre parlava, abbassò lo sguardo verso il terreno. I raggi del sole facevano scintillare qualcosa tra gli sterpi. Si chinò e raccolse un grosso ago da lana in parte arrugginito. Proprio roba adatta da gettare in un galoppatoio, pensò Potter con disapprovazione: cocci di vetro e aghi! Chissà quali altre porcherie ci saranno ancora. Poi stropicciò tra di loro le dita che sentiva sporche e appiccicose e le vide macchiate: non di ruggine, ma di sangue. Per qualche istante rimase immobile a riflettere, poi prese l'ago, lo ripose nella busta con la scheggia di vetro, e, sganciato il sottopancia, sollevò la sella. Sull'imbottitura sottostante spiccava una larga macchia ancora umida: in corrispondenza trovò, sulla groppa dell'animale,proprio sull'arco delle costole, un piccolo squarcio da cui usciva ancora il sangue. Perplesso, Potter condusse la cavalla per le briglie verso il varco della siepe dal quale aveva fatto irruzione sulla strada il puledro imbizzarrito di Crystal, il quale era rimasto tranquillo a brucare nei pressi e si lasciò mon-
tare docilmente. Sempre conducendo per la briglia la puledra ormai calmata, Potter si diresse al piccolo trotto verso le scuderie. Quando vi giunse, il crepuscolo autunnale aveva già sottratto al fogliame i suoi brillanti colori. Bates, il giardiniere, se ne rimase appoggiato indifferente allo stipite della porta a guardare Potter che scendeva di sella. — Montate come un esperto — commentò. — Sarà bene che diate un'occhiata alla cavalla — disse Potter — ha una ferita sul dorso. Penso... — Se Sua Altezza il padrone di casa vuole uno stalliere, ha i mezzi per pagarselo — lo interruppe Bates in tono villano. — Non c'è più nessuno qui che se ne intenda di cavalli da quando, cinque anni fa, ha cacciato a pedate lo stalliere Bob Murphy. E se dico a pedate, è perché proprio di pedate si è trattato! Io sono giardiniere e faccio già il lavoro di due persone. Qui ci vorrebbero come minimo un altro giardiniere e uno stalliere, ma il padrone è un miserabile spilorcio. Io non ricevo nessuna paga straordinaria per occuparmi dei cavalli. Perciò mi limito a dare loro da mangiare e a spazzare le scuderie: e nient'altro. — Allora non siete stato voi a sellarli, oggi? — chiese Potter. — No di certo! Ma per questa volta, dato che alla villa sono nei guai per via del ferito, provvederò io a dissellarli. Bates si fece avanti per prendere le redini. Si muoveva con andatura pigra e spavalda. Da tutto il suo atteggiamento traspariva l'insolenza. — Il signor Keane ha detto di dirvi che vi dovete fermare a cena: il vostro amico è svenuto e l'hanno messo a letto. Ora c'è il dottor Smiley che se ne occupa. È arrivato di corsa appena il padrone l'ha mandato a chiamare — proseguì Bates, mentre un sogghigno metteva in mostra i suoi denti gialli. — Sa che lo aspetta un bel milioncino, il signor dottore, e quindi può ben degnarsi di correre. Il vostro amico assomiglia come un gemello a quel famoso attore, Warren Xavier... — Lo credo bene. È lui in persona. — Dite sul serio?! Pensate che mi darà un autografo per mia moglie? — Credo di sì — rispose Potter, con aria assente. Pochi minuti prima, aveva avuto l'intenzione di parlare a Bates dell'ago, ma, considerata l'aperta ostilità dell'uomo verso il suo datore di lavoro, aveva deciso di astenersene. Era preferibile discutere direttamente la cosa con il padrone di casa.
Dopo che Bates ebbe condotto via i cavalli, Potter accese una sigaretta. Si sentiva profondamente turbato per quello che intuiva. Comunque, erano questioni che non lo riguardavano, e aveva già fin troppe grane in vista per andarsene a cercare delle altre. Se per caso la zoccolata del cavallo aveva messo Xavier fuori uso, c'era da rabbrividire al pensiero di come avrebbero fatto a mettere in scena quella maledetta prima dell'Otello! Ora era riluttante ad affrontare l'ospite e si soffermò a guardare la villa. Si trattava di un edificio indubbiamente ben proporzionato: l'architetto doveva averlo progettato con amore, creando, mediante l'austerità delle linee, un insieme molto dignitoso. Era così immerso nei propri pensieri, che si rese conto dell'oscurità incombente solo quando vide riflettersi nell'acqua immobile della piscina le luci della cucina e della dispensa. Mentre, simile a un'ombra tra le altre ancor più profonde del parco, si soffermava ancora per qualche istante, scorse un uomo e una donna sbucare da un angolo della villa e venirsi a fermare accanto alla piscina. Sebbene l'uomo parlasse a voce bassa, si capiva che lo faceva in tono ansioso e accalorato. Potter stava per manifestare la sua presenza, quando lo trattenne il suono soffocato di un singhiozzo. Se ora si fosse fatto avanti avrebbe messo in imbarazzo la donna. Sperò di tutto cuore che i due si allontanassero. — No, amor mio, no! — disse l'uomo con voce angosciata. — È sempre la stessa storia. Devi trovare il coraggio di agire. — Non ne sono capace. — Vi era una vibrazione isterica nella voce della donna. — Eppure devi farlo! — E rischiare tutto? — Non c'è alcun rischio, ti dico! Proprio nessuno! La donna non rispose. Si mise a singhiozzare con maggior forza. Potter riuscì ad allontanarsi nell'oscurità e, sempre più turbato, si diresse verso la villa. Udì ancora per un tratto, alle proprie spalle, la donna che ora si era messa a piangere disperatamente, senza più trattenersi. Fu Herbert Keane in persona ad aprire la porta a Potter. Un Herbert che sembrava essersi ripreso velocemente dall'emozione per l'incidente occorso al fratello. Aveva di nuovo l'atteggiamento da "signore del castello", più che mai autoritario e dominatore. — Venite avanti! — disse. — Com'è andata coi cavalli? — Tutto a posto.
Potter si guardò attorno. Il vastissimo atrio che terminava ai piedi di uno scalone, era illuminato da un magnifico lampadario di cristallo. Evidentemente al proprietario di Summit House piacevano il lusso e l'imponenza. — È accaduto qualcosa di strano... — iniziò Potter. Ma Herbert lo interruppe: — Bates si è ricordato di avvertirvi che questa sera cenerete con noi? Il suo, più che un invito, sembrava un ordine di Sua Maestà a un suddito. — Sì, ma vedete... — obiettò Potter. — Il dottor Smiley sta occupandosi del vostro amico attore che dovrà restare qui almeno sino a domattina. Possiamo sistemare anche voi. Il maggiordomo provvederà a farvi avere il necessario. — Il fatto è che io... Potter fu interrotto una volta ancora, perché una splendida ragazza aveva fatto irruzione nell'atrio. Non doveva avere più di vent'anni e sfoggiava il più sensazionale casco di capelli biondo-rame che a Potter fosse mai capitato di ammirare. Gli occhi erano verdi, le labbra piene e colorite. Potter non riuscì a capire, a prima vista, se la ragazza fosse veramente bella, perché ciò che colpiva soprattutto in lei era l'intensa personalità che faceva passare quasi in seconda linea tutto il resto. Dava l'idea dell'energia fatta persona. — Susan — disse Herbert — questo è il signor Potter. La mia figliastra Susan Keane. Ma lei, lasciandosi travolgere dal proprio acceso temperamento, ignorò Potter, lasciandosi solo trasportare dalla sua momentanea furia, che la rendeva sorda e cieca a qualsiasi altra cosa. — Ha telefonato Hope! — gridò furibonda. — Sta arrivando in macchina da New York con... — La voce le si strozzò in gola. — Con il fidanzato! Herbert inarcò lievemente le sopracciglia, poi chiese: — Tua sorella si è fidanzata? Sono davvero stupito per questa bella novità! — Sono più stupita io! — scattò Susan. — Non puoi neppure immaginare con chi si è fidanzata: nientemeno che con Bob Murphy. — È uno che conosciamo? — chiese Herbert con calma. — Ma come? Non ricordi Murphy, lo stalliere che era da noi cinque anni fa? — Buon Dio! Anche un tipo come Hope avrebbe dovuto saper trovare qualcosa di meglio!
L'istintiva antipatia che Herbert aveva destato in Potter al loro primo incontro, stava aumentando. — Certo! — incalzò Susan infuriata. — Quel topo di fogna deve aver trovato il modo per incastrarla. Sto impazzendo per la rabbia. E pensare che Hope è così buona e brava! — Perché una ragazza trovi marito, non basta che sia buona — sentenziò Herbert. — Comunque, avrebbe sempre meritato qualcosa di meglio. Sto davvero impazzendo di rabbia. Se quel mascalzone oserà farle del male, io... Sì, penso che potrei persino ammazzarlo. — È una soluzione da scartare sotto ogni aspetto — fece Potter, con voce tranquilla. Susan si rese conto solo allora della sua presenza. — Sì, lo so: è contro la legge. Ma qualche volta ne vale davvero la pena. Il giovane scosse il capo: — Mai! Qualsiasi vendetta privata costituisce sempre una degradazione per l'intero genere umano. Violare coscientemente la legge, significa tornare al caos. — Un moralista! — sogghignò Herbert. — Oh, che bellezza! Potter, che non aveva alcuna intenzione di discutere con quel tipo una questione morale di così grande importanza si sentì offeso dal tono di scherno nella voce di Herbert. Ma, inaspettatamente, quasi l'ironia del patrigno avesse trasformato Susan in una sua alleata, Potter vide che la ragazza gli sorrideva. Un sorriso così deliziosamente malizioso, furbo e conturbante, che gli fece girare la testa. Un uomo robusto, dall'aspetto quasi imponente, stava scendendo lentamente lo scalone. Si rese conto che i tre nell'atrio lo stavano guardando, ma non per questo ritenne di doversi affrettare. — Allora, dottore, che cos'ha Roland? — chiese Herbert. La profonda voce di petto del dottor Smiley, più che tranquillizzante, era autoritaria. — Non posso esserne certo prima di avergli fatto qualche lastra. Domattina farò portare il mio apparecchio portatile a raggi X. Roland accusa forti dolori: possono esserci delle lesioni interne. Con quelle ossa fragili e quel cranio sottile come un guscio d'uovo, è un vero miracolo se non si è rotto nulla. — È in pericolo di vita? Prima di rispondergli, il dottore rivolse a Herbert una rapida occhiata in-
dagatrice: — Ascoltatemi bene! — disse poi. — Non voglio assolutamente che vi preoccupiate per Roland. Nelle vostre condizioni non potreste fare cosa peggiore. — Mi sento benissimo — protestò Herbert seccato. — State appena rimettendovi da un serio attacco cardiaco — lo ammonì il dottore — e voglio vedervi calmo e tranquillo. Se qui alla villa non riuscirete a rilassarvi, vi farò ricoverare in una casa di salute, dove vi obbligheranno al riposo. — Andate al diavolo! — rispose Herbert, che appariva in parte divertito e in parte seccato per l'atteggiamento di calma autorità del medico. — L'unico problema immediato è trovare una infermiera — disse il dottore. — Con l'epidemia di influenza che abbiamo in paese, non ce ne sono disponibili. Dovrò probabilmente farne venire una da New York. — C’è Vilma Thomas — intervenne Susan. — È ancora qui. Quando papà si è ripreso e poteva ormai fare a meno di lei, mamma le ha detto di fermarsi ancora un poco per riposarsi. — Vilma è qui? — chiese Herbert sorpreso. — Be', in questo momento è fuori a passeggiare. Ma è qui già da una settimana: se non è mai comparsa a tavola, è perché ha sentito quando tu, poco cortesemente, hai detto che le sue mani sembrano due orrende bistecche crude. La poveretta ha pensato che la sua presenza poteva disgustarti, e quindi ha preferito non farsi mai vedere da te. Il dottor Smiley parve non avere udito la stoccata di Susan al patrigno: — Molto bene! — disse soddisfatto. — Roland non potrebbe essere in mani migliori. Nessuno è più degno di fiducia di questi vecchi e cari dipendenti. — Non direi che Vilma in questa casa sia considerata una cara dipendente — commentò Susan. — La facciamo lavorare come un mulo per quei quattro soldi che le diamo! — Per un istante — disse Herbert con aria divertita — avevo pensato di poter vivere una nuova esperienza: vedevo già una delle mie "tre rosse" rendersi utile come infermiera! A proposito, dottore, questo è il signor Potter, un amico di Warren Xavier. Il dottore strinse la mano di Potter: — Il signor Xavier — disse — deve avere un paio di costole fratturate. Per il momento gli ho applicato una bendatura rigida e domani, quando ci sarà l'apparecchio, gli farò qualche radiografia. Nulla di grave, comunque. Certo soffre un poco, ma il suo
guaio principale è la tensione nervosa: ho dovuto somministrargli un sedativo. Era eccitatissimo perché domani sera pare che abbia una prima in teatro. Non ha fatto altro che telefonare a destra e a sinistra, finché si è fatto venire la febbre. Ho dovuto far togliere il telefono dalla stanza. — Il signore che hanno sistemato al piano degli ospiti è Warren Xavier? — chiese Susan interessata. — Il famoso attore del cinema? — Proprio lui — disse Potter in tono cupo. Poi si volse al dottore: — Pensa che potrà recitare, domani sera? — Escluso! Probabilmente ne avrà per un paio di settimane. Quando lo vedrete, fate in modo di" non innervosirlo: deve essere lasciato tranquillo. — Non innervosirlo?! — ripeté Potter con voce rauca. — È una parola! Accidenti, è la seconda volta che lo spettacolo deve essere rinviato, e in entrambi i casi è accaduto perché Xavier è uscito con me. Anche se ha le costole rotte, non appena gli comparirò davanti tenterà di sbranarmi. Il dottore si strinse nelle spalle: — Se permettete, ora vorrei ritirarmi in biblioteca a scrivere le istruzioni per Vilma. Domattina provvederò per le radiografie. Strinse la mano a Potter, fece un cenno di saluto a Susan e si diresse verso una porta sulla destra dell'atrio. Camminava e si muoveva con la stessa gravità di un imperatore romano in procinto di mostrarsi alla plebe nel Foro. In quel momento, il maggiordomo negro attraversò l'atrio per andare ad aprire la porta d'ingresso. L'uomo che entrò era una specie di gigante, alto più di un metro e novanta, ossuto, e con tutti i capelli bianchi. — Buona sera Charles — disse al maggiordomo, mentre gli consegnava una valigia. — Come stai, Herbert? Mi fa piacere vederti in piedi. Ci hai fatto prendere un bello spavento, sai? Poi attraversò a grandi passi il vasto atrio, si avvicinò al padrone di casa che, come al solito, si era ben guardato dall'andare incontro all'ospite, e gli strinse vigorosamente la mano. Nel nuovo venuto, tutto dava una precisa sensazione di vigore e di forza. — E tu come stai, piccola Susan? Diventi sempre più bella, sai? — Baciò la ragazza sulla gota, con uno schiocco sonoro. Susan sorrise con modestia e gli rivolse quello sguardo indefinibile e disorientato, che la gioventù riserva agli anziani. Poi, attenta a non farlo notare, si passò la mano sulla guancia quasi per ripulire il punto dove le labbra dell'uomo si erano posate. — Perché hai fatto tardi, Bevan? — chiese Herbert. — Pensavo che do-
vessi arrivare insieme a Dorothy, con il treno delle tre. Così almeno ha detto mia moglie. — Infatti è vero — intervenne Susan, affrettandosi a rispondere al patrigno. — Bevan deve aver perso il treno perché la mamma ha detto di averlo atteso invano. — Mi spiace per lei — disse il gigante dai capelli bianchi — ma è venuto un tizio in ufficio proprio all'ultimo istante e ho dovuto per forza trattenermi. Così ho preso il treno delle quattro e dieci. — Signor Potter, questo è il mio socio MacDonald. MacDonald si avvicinò a Potter e gli strinse la mano come se volesse stritolarla. — Felice davvero di conoscervi — disse, fissando Potter negli occhi con sguardo gioviale. — Ho sentito bene? Proprio il famoso Hiram Potter? — Sì. — Be', che io sia dannato se questo incontro non mi fa un gran piacere. Dimmi, Herbert, in che modo sei riuscito a catturare un personaggio così importante? — Un'espressione allarmata gli passò per un attimo sul volto. — Va tutto bene, vero? Non sarà accaduto qualcosa di spiacevole? — Ecco i benefici della mia fama e della mia notorietà — sospirò Potter. — Si pensa a me, come ad un apportatore di sciagure. Herbert, perplesso, passò lo sguardo dall'uno all'altro. — Vi sono stati, in effetti, un paio di incidenti — disse — Roland ha fatto un capitombolo e temo che lo si debba considerare una vittima innocente di mia moglie, che ha la mania dell'equitazione. Conosci Roland, e quindi non ti stupirà sapere che è stato disarcionato in malo modo. — Si è fatto molto male? — chiese MacDonald preoccupato. — Oh no! Un semplice capitombolo. — Sarà — commentò Susan — comunque ora si sta lamentando come un vitello in agonia. Si udì sbattere la portiera di un'auto e la ragazza corse alla finestra: — Arriva Hope col suo Bob — annunziò. — Accidenti che macchina hanno! I tre uomini seguirono Susan e videro la lunga Lincoln bianca con la capote amaranto. — Buon Dio! — esclamò MacDonald. — Se non sbaglio si tratta della macchina di Crystal. Quella fuoriserie che usava tre o quattro anni fa. — A proposito — intervenne Herbert con voce indifferente — Crystal è nostra ospite. — Qui alla villa? — Il volto di Bevan MacDonald espresse chiaramente
furore e indignazione. — Venite, signor Potter. Vi condurrò alla vostra stanza — intervenne Susan, che era violentemente arrossita. — Vi abbiamo sistemato al piano degli ospiti. Sarete vicino al vostro amico, al signor MacDonald e a Bob Murphy. Certo — concluse con cattiveria — per il fidanzato di Hope si tratta di un bel cambiamento: dalla scuderia al piano degli ospiti! Giunti al terzo piano, Susan fece strada a Potter fino ad un breve corridoio, sul quale davano quattro porte. — Ecco, il vostro amico è qui — disse additandone una. — La vostra camera è quella accanto. Purtroppo avete il bagno in comune. L'aperitivo viene servito alle sette, e la cena mezz'ora dopo. Potter si chiuse silenziosamente la porta alle spalle. Il buio della stanza era rotto solo dalla fioca luce di una lampada a paralume, collocata sul comodino. Sperò ardentemente che Warren fosse addormentato, ma l'attore spalancò subito gli occhi e fissò l'amico con uno sguardo d'accusa. — Lo sentivo che se fossi uscito con te mi sarebbe capitato qualche altro guaio — disse con voce resa un poco incerta dai sedativi. — Già. — E ora come facciamo a squagliarcela da qui? Il dottore, nonostante io non ne volessi sapere, mi ha obbligato a mettermi a letto; ma questa gente, credimi, non gradisce certo la nostra presenza. — È vero. Lo penso anch'io — assentì Potter. — Tra l'altro, la signora Keane non può sopportare quella Crystal. Come vedi, ci siamo cacciati in una situazione maledettamente imbarazzante. — Hai perfettamente ragione — disse Potter. Messo in allarme da quella strana condiscendenza dell'amico, Warren lo fissò con occhi indagatori: — Apri bene le orecchie — disse — se per caso stai combinandone qualcuna delle tue... — Non sono io che combino guai... — Che cosa vuoi dire: spiegati! — intimò Warren, più che mai preoccupato e insospettito. — L'incidente, quello di cui è stato vittima Roland Keane, è stato provocato deliberatamente. Warren lo fissò con occhi increduli: — Intendi dire che qualcuno ha voluto fargli fare quel bel capitombolo? — Intendo dire — rispose Potter con voce tranquilla — che qualcuno ha tentato di fargli la pelle.
3 Quando, pochi minuti prima delle sette, Potter scese nell'atrio, vi trovò il maggiordomo in attesa degli ospiti. — Gli aperitivi vengono serviti in salotto, signore — disse il negro, indicandogli una porta sulla sinistra. Il locale era molto grande: occupava metà della lunghezza e l'intera larghezza di tutta la villa. Vi era un grande camino a ciascuna delle estremità, e l'arredamento consisteva in tre o quattro divani e in una dozzina di comode poltroncine disposte attorno a delle basse tavole sulle quali si trovavano grandi vasi colmi di fiori. Potter notò anche, con una certa sorpresa, alcuni quadri di notevole pregio, di scuola impressionista francese. Su di una lunga tavola, all'estremità del locale, era predisposto un assortimento di bottiglie e bicchieri, con il miscelatore per i Martini, lo shaker per i cocktail, e la vaschetta con i cubetti di ghiaccio. Potter giunse nel mezzo del salotto prima di accorgersi di un uomo e una donna che, tenendosi molto vicini, parlavano a bassa voce accanto a uno dei camini. I due, essendosi accorti a loro volta della sua presenza, si scostarono l'uno dall'altra. Poi la donna si fece avanti: — Signor Potter, come sta il signor Xavier? — chiese. — Spero di cuore che non si tratti di cosa grave. Nell'abito nero da sera dalle maniche lunghe, accollato davanti e scollatissimo sulla schiena, Crystal Young riusciva a recitare in modo perfetto il suo ruolo di attrice drammatica. La combinazione tra le tenui luci della sala e il trucco sapiente riusciva a nascondere i guasti che anni di cerone avevano causato alla sua pelle. Si era lasciata il viso quasi al naturale, limitandosi ad applicare un rossetto acceso alle labbra e una lieve ombreggiatura agli occhi. — Nulla di serio — la rassicurò Potter. — In tal caso, domani sera potrà essere in teatro. — Temo proprio di no — rispose Potter, scuotendo la testa. — Oh, come mi spiace! Mi sento responsabile dell'accaduto e... — Non ne avete alcun motivo. Tutto è accaduto a causa dello scoppio della gomma, e quindi solo per colpa mia. Quelli dell'autorimessa mi avevano già avvertito più di una volta che avevo i pneumatici in pessime condizioni, ma mi sono sempre dimenticato di farli sostituire. — Molto gentile da parte vostra addossarvi tutta la responsabilità, ma io
non posso fare a meno di... Be', ora è inutile discuterne. Bob, permetti che ti presenti il signor Potter. Questi è il signor Murphy: sta per sposare Hope Keane. Potter osservò con interesse il giovanotto che era stato causa dei furori di Susan. Un tipo basso e robusto, con un'espressione di sfida e di ottusa tracotanza. "Ragazzo mio" gli suggerì Potter mentalmente, "se fossi nella situazione in cui ti trovi, terrei un atteggiamento più prudente per non far succedere qualche sconquasso." Era infatti evidente che il fortunato corteggiatore di Hope aspettava solo un'occasione per scatenare una bella lite con il futuro parentado. — Penso di dovervi fare le mie congratulazioni — disse Potter in tono cortese. Bob Murphy gli rispose con un grugnito. — Dove ho messo la mia borsetta? — intervenne Crystal guardandosi d'attorno. — Pensavo di averla con me. Torno di sopra a prenderla, tanto siamo in anticipo. — Credo che ci si possa servire da soli — disse Potter dirigendosi verso la tavola degli aperitivi, dopo che Crystal se ne fu andata. — Non so — rispose Bob, in tono aggressivo — è la prima volta che sono ammesso nella villa. — Anch'io. — Non è la stessa cosa — puntualizzò Bob. — Cinque anni fa, io, qui, ero solo uno stalliere. — Si vede che ora le cose vi vanno meglio — disse Potter, con voce tranquilla. — Scotch? Bourbon? Oppure preferite un Martini? — Scotch. Bob sembrava dispiaciuto che il suo guanto di sfida non fosse stato raccolto. — Soda o acqua? — Acqua. — Poi, quasi soprappensiero, Bob aggiunse sgarbatamente: — Grazie. Mentre Potter stava preparando dei Martini fece il suo baldanzoso ingresso Bevan MacDonald. Malgrado la sua posizione di socio di Herbert Keane, si comportava come se a Summit House si trovasse in casa propria. — Un Martini? Benone. A proposito... — Si interruppe. — Se non sbaglio, voi siete Murphy. — Sissignore — rispose Bob. Poi rendendosi conto di essersi lasciato
sfuggire un'espressione servile, arrossi violentemente e, per reazione, assunse un atteggiamento più che mai ostile. — Vi ho visto quando siete arrivato con Hope — continuò MacDonald. — La vostra Lincoln mi è parsa la stessa fuoriserie che una volta apparteneva a Crystal Young. — È proprio quella: me l'ha regalata. MacDonald levò il bicchiere verso Potter in un tacito brindisi, senza distogliere gli occhi dal volto di Bob. — Non sapevo che voi e Crystal vi conosceste — disse. — Perché mai avreste dovuto saperlo? — ribatté Bob, sostenendo lo sguardo. — Quella signora pensa di fermarsi qui per molto tempo? — Perché non lo chiedete a lei? — rispose Bob, con arroganza. "Questo sciocco" pensò Potter "sta esagerando: vuole prendersi la rivincita per il 'sissignore' di poco fa." — È un vero scandalo: la presenza di quella donna costituisce un insulto per la signora Keane. A questo punto, Potter ebbe la sensazione che Bob stesse per avventarsi sul vecchio. Invece il giovanotto sorrise: ma l'espressione del suo viso era truce. — La signora Keane — disse un istante dopo — trova sempre un sacco di uomini pronti a difenderla! Fu una circostanza sfortunata che Dorothy Keane facesse il suo ingresso proprio in quel momento. Comunque, dalla espressione del suo volto non si riuscì a comprendere se avesse udito o meno la pesante insinuazione di Bob. Quasi in un intenzionale contrasto con Crystal, era vestita tutta di chiffon bianco. MacDonald le andò incontro premurosamente e la baciò sulla guancia: — Siete bellissima, mia cara — le disse. Lei parve non avere udito il complimento: — Mi spiace non avervi trovato sul treno. — Sì, Herbert me l'ha detto. È venuto un tizio in ufficio, da cui non sono riuscito a liberarmi. Così ho preso il treno delle quattro e dieci, e poi un tassì a Oakland. Bob Murphy, che aveva atteso a disagio che la sua ospite si accorgesse di lui, si volse stupito a guardare MacDonald: — Ma voi non eravate... — Siete Bob Murphy, vero? —intervenne la signora Keane sorridendo, mentre gli tendeva la mano. Non vi era nulla di offensivo nel suo atteg-
giamento, eppure Potter non fu sorpreso per la risposta astiosa del giovane. — Sì, signora Keane, un tempo lavoravo qui, ricordate? "Si comporta come uno che, per sentire dolore, si stuzzichi deliberatamente un dente cariato" pensò Potter. — Certo, non siete cambiato in nulla, a parte... — A parte il fatto che ora mi trovo in salotto e non nelle scuderie. Dorothy Keane abbozzò un indefinibile sorriso. — Bevan — disse poi — dato che Herbert si fa aspettare, volete preparare voi gli aperitivi? — Non ce n'è bisogno — rispose lui, porgendole un bicchiere. — Ci ha già pensato l'efficientissimo signor Potter. È un tipo dotato di ogni sorta di inaspettate abilità. Sa fare anche il barista. Dorothy Keane lo fissò gravemente: — Sì, lo so. Ho sentito parlare molto di lui da mia zia Clara. — Poi si rivolse a Potter: — Penso che la conosciate, vero? Mia zia è Clayton Fostic. — E come no! Purtroppo il mio nome è sempre al primo posto nelle sue liste. Lei rise: — Vi comprendo perfettamente. Le opere di carità di zia Clara sono il flagello della mia esistenza. "Della tua non so, ma della mia senz'altro!" pensò Potter. "Accidenti alla zietta Clara e alla sua carità pelosa: col sistema di spillare quattrini per la beneficienza, riesce sempre a farsi mettere il nome sui giornali. Veste gli ignudi con gli abiti che strappa di dosso al prossimo, la tua cara zietta!" — Conoscete le mie figlie Hope e Susan? Le "tre rosse", come le aveva chiamate Herbert Keane, presentavano un interessante contrasto: la bellissima madre con i capelli di un biondo mogano; la splendida, piccola Susan, che li aveva ramati, e infine la scialba Hope, magra, molto alta, con le lentiggini e i capelli di un rosso carota acceso. Tutta la personalità di Susan dava l'idea del fuoco; quella di sua sorella della cenere. Ma quando Potter incontrò lo sguardo di Hope, rimase stupito per la luce di vivida intelligenza che le brillava nei grandi occhi castani. La ragazza gli sorrise. Poi si volse a Bob: — Hai fatto conoscenza con tutti? — gli chiese con singolare tono di protezione. L'arrivo di Hope aveva fatto sparire l'aggressività del giovane che, in risposta, accennò negativamente col capo nei confronti di Susan. — Sue, cara — si affrettò a dire Hope — ti ricordi di Bob? La giovane non rimase insensibile al chiaro appello contenuto nella voce della sorella e, sorridendo, tese la mano: — Ciao, Bob. Felice di vederti qui. Perché tu e il signor Potter non andate a prenderci due aperitivi? Noi
andiamo ad aspettarvi laggiù, sotto quel Cézanne. Dall'atrio giunse la risata allegra di una donna e, un istante dopo, Crystal Young fece il suo ingresso al fianco del padrone di casa. Herbert la teneva sotto braccio e ascoltava interessatissimo quello che lei stava dicendogli. Al suono di quella risata sfrontata, la signora Keane si irrigidì come se avesse ricevuto un ceffone, e MacDonald fece un passo per portarsi al suo fianco. Ma lei lo bloccò scuotendo brevemente il capo. "Adesso, chissà che cosa succede!" pensò Potter. Crystal si diresse subito verso la maggiore delle sorelle tendendole entrambe le braccia: — Voi siete Hope, non c'è dubbio! Ebbene, mia cara, vi auguro ogni felicità. Le due donne si sorrisero calorosamente, mentre Hope stringeva tra le sue le mani dell'attrice. Dorothy Keane restò immobile ad assistere all'incontro. Il suo volto era totalmente inespressivo, ma non così gli occhi verdi, tanto simili a quelli della figlia più giovane. Potter ne scorse lo sguardo e si sentì sgomento. — Papà — disse Hope — ecco Bob Murphy, l'uomo che sto per sposare. Vi era curiosità e anche una sfumatura di divertita ironia nello sguardo che Herbert rivolse al giovane. Non gli tese la mano. — Benone, Murphy! Ne avete fatto di strada, vedo. — È solo un inizio — disse Bob pacatamente. — Comunque sono già in grado di mantenere una moglie. — Meglio così, perché nessuno vi aiuterà a farlo. Certo tutto vi risulterà più facile, se vi faranno molti altri doni dello stesso valore... della macchina che Crystal vi ha regalato. — Non è stato un regalo: me l'ha pagata — precisò Crystal. Nella sala scese un glaciale silenzio. "Pessimo inizio di una lieta riunione conviviale" pensò Potter, "ma sento che il peggio deve ancora venire." Non si sbagliava! A tavola, la signora Keane aveva fatto sedere Potter alla sua destra, e Bevan MacDonald alla sinistra. Dopo aver insinuato in tono noncurante che Warren Xavier, il famoso attore, aveva colto quell'occasione per farsi ospitare da lei a Summit House, si interruppe per dedicarsi a MacDonald, il quale si mostrava ansioso di monopolizzare l'attenzione della bella padrona di casa. "Quel tipo" pensò Potter, "deve proprio essere pazzo, per mettere così
apertamente in mostra le sue attenzioni per la moglie del socio." Comunque, MacDonald non faceva che seguire l'esempio di Keane, il quale, seduto a fianco di Crystal, continuava a parlarle sottovoce. D'improvviso Herbert si alzò agitando la borsetta da sera, trapuntata di perline, dell'attrice: — Che cosa mai ci tenete, voi donne, in queste strane borse? — chiese divertito. — Non vi basta un fazzoletto? — Un sacco di cose: rossetto, colonia, cipria, sigarette. — Herbert, ridendo, vuotò la borsetta sulla tavola. — Ecco quello che c'è: compresse digestive, immagino. Tutto qui: che delusione! — Si tratta di sonniferi, non di digestivi — spiegò Crystal. — Li porto sempre con me, per non lasciarli in giro a portata della servitù. Sono molto forti. — Spero che qui tu non abbia bisogno di servirtene — disse Herbert sorridendo. — Ormai li uso di rado. È solo l'abitudine ad averli sottomano: naturalmente, quando mi capita l'insonnia, allora... — Capisco — disse Herbert. Si trattava proprio di una pericolosa situazione, pensò Potter, e Hope, che discorreva tranquillamente con Bob, sembrava non rendersene conto. Susan, invece, se n'era accorta perfettamente: lo dimostrava l'espressione allarmata dei suoi occhi verdi. Potter si chiese se qualcun altro, oltre lui e Susan, stesse comprendendo che, nonostante tutte le sue attenzioni per Crystal, Herbert non perdeva di vista la moglie e Bevan. Quest'ultimo si accorse improvvisamente dello sguardo attento di Herbert: — Stavo dicendo a Dorothy — disse — che ti sei ripreso molto meglio di quanto si potesse sperare. Ci hai fatto prendere un bello spavento. Certo, ora devi stare attento: ti ci vogliono almeno tre mesi di riposo. — Ho già fatto sei settimane di convalescenza. — Ma, Herbert, non sono sufficienti — esclamò Dorothy. — Bevan ha ragione. Sai bene che devi evitare ogni sforzo al cuore. Se pensi al pericolo... a come sei stato vicino a... — Vicino alla morte? — disse Herbert completando la frase. — Vicino a lasciarti vedova? — Poi, trascurando l'atteggiamento di protesta della moglie e rivolgendosi al socio: — Credevi d'essere quasi arrivato a impadronirti della società, vero? Ci è mancato poco, pochissimo... — Herbert! — lo interruppe la moglie, gelida nella sua collera. — Ma certo, sono d'accordo con te, cara — riprese Herbert in tono iro-
nico. — Sì è trattato di una grave crisi per tutti noi, e sei settimane di riposo non mi sono certo sufficienti. Purtroppo, però, se devo mandare avanti la baracca, non mi resta che tornare subito al lavoro. MacDonald rise giovialmente: — Non capisco proprio perché: non ci troviamo in una situazione d'emergenza. D'altra parte, io e Roland ce la stiamo cavando bene, no? Potremmo quindi continuare da soli ancora per un po'. Questo, sempre che Roland non debba restare fuori uso a lungo... — Se ci fossi stato io — lo interruppe Herbert — non ci saremmo mai lasciati incastrare da quel pericoloso ficcanaso di John Miller! Qualcosa cominciò a chiarirsi nella mente di Potter. Ma certo, si trattava della Keane Chemical Co., la grande produttrice e importatrice di prodotti chimici; e di quel John Miller che, autoelettosi censore e custode della società, aveva scritto di recente tutta una serie di articoli contro i prezzi esagerati, gli illeciti e le corruzioni nel mondo degli affari. E proprio il gruppo industriale Keane era stato obiettivo di un suo attacco particolarmente velenoso, relativo a certi prezzi di vendita troppo elevati. Vi era poco da sorprendersi, quindi, se Herbert, quando sua moglie era arrivata alla villa proprio in compagnia di quel Miller, aveva palesato la sua ostilità nei confronti del giornalista. — Roland credeva di far bene — disse MacDonald. — Roland crede sempre di far bene — ribatté Herbert spazientito. — Il guaio, con Roland, è che si tratta di uno stupido e a questo, purtroppo, non c'è rimedio. Se almeno non si fosse lasciato strappare quelle idiote dichiarazioni... — Non è accaduto nulla di irreparabile, però. D'altra parte, non avremmo ricevuto offerte come quella della National, se non si sapesse che siamo un'azienda solida e che riesce a vendere con tariffe elevate. E bada che le offerte della National erano convenientissime: un vero colpo di fortuna per noi. — Ho già detto, una volta per tutte, che non vendo. — Ma non avremo mai delle offerte migliori — insistette Bevan — specialmente ora che le nostre azioni in Borsa, a causa degli articoli di Miller, stanno perdendo di valore. — Preferirei morire piuttosto che vendere la mia azienda, quella che io ho creato. Vederla perdere la sua identità e fondersi con la National... — Eppure, quelli hanno del personale eccellente — osservò Bevan. — Non solo degli abilissimi dirigenti, ma anche i migliori tecnici ricercatori nel campo chimico. Inoltre si stanno sviluppando in modo tale, che entro
dieci anni faranno concorrenza ai grandi gruppi del ramo. — Ti ripeto, Bevan, che io non venderò la mia azienda a nessuno. Non cederò nulla che sia mio! — Herbert passò lo sguardo da Bevan a Dorothy. Poi ribadì: — Non cederò nessuna cosa di mia proprietà. Nessuna! Il tono della sua voce, che si era andato elevando, distolse Hope dall'adorazione di Bob. — Non mi hai ancor detto — intervenne rivolgendosi alla madre — com'è accaduto l'incidente di Roland. — Dovresti chiederlo alla signorina Young, che era con lui. — A quanto pare — spiegò Crystal — abbiamo scelto male i cavalli. — Non avrete preso Bess, vero?! — esclamò Hope. — Sì, ma non sapevamo che non era mai stata ben domata. — Eppure tutti, qui, ne sono al corrente — intervenne Herbert. — Chi è stato a sellarvi Bess e Tom? Crystal scosse il capo. — Li abbiamo trovati già sellati. Herbert rimase silenzioso finché la cameriera, dopo avere servito il dessert, lasciò la sala. Poi, con aria assente, scostò le posate e la vaschetta per sciacquarsi le mani, e fissando la moglie dall'altro capo della tavola, domandò: — Già sellati? È strano, molto strano. — Il caffè è servito in salotto — annunziò Dorothy, mentre si alzava da tavola. Potter, che stava studiando il modo di mettere fine all'insopportabile tensione creatasi nell'ambiente, notò una serie di bicchieri d'antiquariato esposta in una cristalliera. — Che meravigliosi esemplari! — esclamò. — Ne ho visto alcuni come questi in Italia, ma solo nei musei. — È una serie che mia madre ha acquistato pezzo dopo pezzo — spiegò Herbert, mentre ne osservava uno in trasparenza. — Come noterete, sono tutti di colore un po' diverso. Lei avrebbe desiderato una serie di colore identico, ma non è riuscita a trovarne neppure due esemplari che presentassero esattamente la stessa tinta. — Herbert — disse Dorothy — usiamoli ora. In tanti anni, nessuno li ha mai usati: mi pare assurdo. — Perché no? Tanto posso stare tranquillo: conosco la scrupolosa attenzione che hai per le tue proprietà e so che farai in modo che nessuno li rompa. "Questo tipo finirà presto col trovare chi gli darà una solenne lezione!"
pensò Potter. "La va proprio cercando! " Nel salotto, Bevan MacDonald, seppure un poco in ritardo, ebbe abbastanza discrezione da tenersi lontano da Dorothy. Continuò a ignorare Crystal, come aveva fatto d'altronde anche a tavola, e andò a sedersi accanto a Susan, con cui si isolò in un fitto dialogo. — Facciamo servire i liquori a Bob — propose Hope. — Sono bicchieri fragilissimi, e a lui non tremano certo le mani. Herbert sorrise, ma non aveva l'aria divertita: — Mi ritieni dunque così rimbambito o logorato dai vizi da non poter maneggiare dei bicchieri? Hope lo fissò e sorrise placidamente. — No di certo! — disse. — Solo che un chimico è più abituato a trattare vetri delicati, storte, eccetera. — Perché, Bob è un chimico? Il giovane, che stava versando i liquori con delicata e rapida abilità, del tutto insospettata in quelle sue mani robuste, rispose direttamente: — Esatto, sono un chimico. — In quale ditta lavorate? L'esitazione di Bob nel rispondere fu talmente breve da poter essere legittimamente attribuita alla delicata incombenza in cui era impegnato. — Lavoro in proprio. — Vi ci vorranno molti quattrini. Bob sorrise. — Certamente. Pose i bellissimi bicchieri su di un vassoio e iniziò a distribuirli. Fosse stato l'effetto del liquore alla menta, o un improvviso buon umore di Herbert, fatto sta che la tensione diminuì e l'atmosfera si fece meno pesante. Susan prese a mitragliare Potter di domande su Warren Xavier: — Suppongo — disse a un certo punto con noncuranza — che sia un tipo pieno di sé. — Non più del normale, anche se avrebbe un sacco di motivi per esserlo. Le donne gli danno la caccia! La ragazza rimase pensierosa e non chiese altro. Bob ritirò i bicchieri per tornare a riempirli: — Spero di non romperne qualcuno neppure questa volta — disse mentre li sistemava sul vassoio. Ma, prima che potesse ridistribuirli, Crystal acconsentì alla richiesta di Herbert che lei si producesse in uno dei suoi pezzi di bravura. Ne seguì un notevole trambusto perché le sedie dovettero essere spostate per creare spazio all'esibizione. Per qualche istante, l'attrice restò immobile davanti agli spettatori, con gli occhi fissi al suolo. Poi si lasciò cadere pesantemente su di una sedia: la
grazia e l'eleganza erano scomparse e ogni gesto si era fatto goffo e sgraziato. Anche la bellissima schiena lasciata scoperta dalla scollatura appariva come se fosse affaticata e curva per l'età. Crystal levò verso la luce il viso, che sembrò vecchio e stanco. Poi cominciò a recitare, nel pesante dialetto londinese. In pochi secondi, Crystal era cambiata completamente e si era immedesimata nel personaggio della rozza cameriera de: "Le medaglie della vecchia signora". Potter avrebbe voluto che Warren fosse stato presente. La caratterizzazione era perfetta e totale; ma, oltre alla purissima magia interpretativa, vi era qualcosa d'altro: da Crystal sembrava emanare un fluido, quasi il riflesso di una luce interiore, che afferrava e dominava tutti i presenti. L'attenzione di Potter, che si godeva lo spettacolo, venne attratta però, almeno in parte, dalle diverse reazioni degli spettatori. Se a una qualsiasi attrice era mai capitato di doversi esibire davanti a un pubblico difficile, questo era proprio il caso di Crystal, che stava cercando infatti di sfondare con la magia della sua arte la barriera di ostile incomprensione che alcuni le opponevano. Bevan MacDonald, infatti, mostrava una curiosa espressione di sufficienza; lo sguardo di Bob Murphy era gelido. In quanto a Herbert, appariva del tutto indifferente. Gli altri, invece, compresa Dorothy, erano evidentemente conquistati dal fascino della grande attrice. Crystal finì la breve scena: — Temevo d'aver dimenticato il mestiere — disse. E rise brevemente. Bob fu il primo a muoversi. Andò a prendere il vassoio con i liquori, mentre gli altri rimettevano a posto le sedie. Il giovane passò accanto all'attrice senza fermarsi, ma Crystal, ancora scossa ed esaltata per la propria esibizione, tese il braccio e, con aria assente, prese un bicchiere dal vassoio. Bob si fermò di colpo e glielo tolse di mano. Lui solo sembrò non rendersi conto del pesante imbarazzo che il suo gesto aveva causato. Bevan MacDonald bevve il suo liquore. — Che ne direste di una boccata d'aria? — propose poi. — Io trovo che concilia il sonno, ed è infatti l'unico mezzo che uso quando voglio andare a letto e addormentarmi subito. Che cosa ne pensi, Herbert? Vieni con noi? — All'aperto fa fresco e basterebbe un colpo d'aria per farmi fuori. Sono certo però che questa eventualità non ti spiacerebbe. Bevan controllò la propria irritazione: — E voi, Potter, venite? Potter si affrettò ad accettare l'invito. Da un massiccio armadio posto all'uscita dell'atrio, grande abbastanza per contenere tutto il necessario per un party all'aperto, Bevan prelevò dei giubbotti imbottiti. Poi i due uomini uscirono
sulla terrazza. Si era alzato il vento, ma dopo il caldo soffocante del salotto l'aria della notte era gradevole: Bevan e Potter la respirarono a pieni polmoni, mentre passeggiavano avanti e indietro. — Conoscervi è stata senza dubbio una piacevole sorpresa — disse Bevan. — Ho sentito raccontare cose straordinarie, di voi. — Non crediatene più della metà — rispose Potter. — Sarebbe già sufficiente! Ditemi, signor Potter, che cosa pensate dei nostri ospiti? — Non saprei. Li ho conosciuti solo poche ore fa. — Mi interessa conoscere la vostra prima impressione: nulla di più. — Be', Herbert Keane — disse Potter guardingo — mi ha dato la sensazione di essere il tipico uomo d'affari cui le cose vanno a gonfie vele. — Esatto. Ha sempre avuto successo. — Sempre? — Basta considerare la sua carriera. All'università è stato sempre tra i primi, tanto nello studio come nello sport, e ha saputo farsi amicizie preziose. Poi si è affermato negli affari: ha ereditato l'industria del padre, la Keane Chemical Co., che era abbastanza solida ma niente di più, e l'ha portata alle dimensioni di oggi. Ha saputo sfondare, insomma! — Sfondare?! — obiettò Potter pensieroso. — L'ho sempre considerato un verbo carico di aggressività. — Herbert infatti è aggressivo, ma sa nasconderlo. È un duro, questo sì: se trova un'opposizione o degli ostacoli, li abbatte. Controlla la comunità locale, e l'ospedale di Oakland è sotto il suo patronato. Insomma, deve sempre primeggiare in tutto. — Sono certo che il fratello è tutt'altro tipo. — Il povero Roland — disse Bevan ridendo — è l'antitesi di Herbert, e da anni si lascia prendere per il naso da lui senza mai rendersene conto. Considera il fratello un eroe, stimandolo quasi come lo stesso Herbert stima se stesso. Anzi, spesso è proprio Herbert a ridere di una simile infatuazione, anche se invece, all'atto pratico, la gradisce molto. Roland non ha ambizioni e prende la vita così come viene. — Avrà una partecipazione nell'azienda, suppongo. Bevan rise nuovamente: — Be', si fa per dire. Praticamente, sia io che Roland nella Keane non contiamo nulla. Herbert avrebbe voluto metterci fuori da anni, ma non gli è stato possibile a causa del testamento del padre, che aveva ripartito le azioni in parti uguali fra i due fratelli. Così, ci troviamo a un punto morto: ciascuno di noi tre ha un terzo delle azioni e non
può decidere da solo. È una vera situazione di stallo, sotto ogni punto di vista. — Rimase silenzioso per alcuni secondi, mentre, per accendere una sigaretta, proteggeva la fiamma di un cerino tra le mani: — Il povero Roland — proseguì poi — si considera depositario di grandi idee, ma si tratta di progetti catastrofici e sballati. Eppure mi accade qualche volta di pensare che Herbert abbia torto a non prenderne qualcuno in considerazione, almeno parzialmente: suo fratello ne sarebbe felice, e d'altra parte non accadrebbe nulla di irreparabile. — Lo studio approfondito dei nuclei familiari mi ha sempre attratto — disse Potter. — Vi si riscontra una comune ereditarietà, uno stesso ambiente, anche se spesso ne fanno parte elementi del tutto diversi ed eccezionali. — Herbert e Roland non sono dei tipi molto comuni — disse Bevan freddamente — ma non sono neppure nulla di eccezionale. In qual modo, poi, Herbert sia riuscito a farsi sposare da quella donna fantastica che è sua moglie, non riuscirò mai a comprenderlo. E poi, pensate a come la tratta: quell'imporle la Young in casa, davanti a tutti! Penso, Potter, che ormai sappiate... — Si interruppe e sbadigliò. Poi, mentre si abbottonava il giubbotto imbottito per ripararsi dalle raffiche di vento, aggiunse: — È meglio che entriamo: la temperatura si è molto abbassata. Prima, però, vorrei dirvi qualcosa... Si interruppe perché Hope aveva spalancato la porta-finestra della sala: — Ecco dove si sono nascosti! — gridò la ragazza. — E noi che vi cercavamo dappertutto! — Veniamo subito — disse Bevan. Poi, abbassando la voce: — Signor Potter, prima di andare a letto vi spiacerebbe venir a fare quattro chiacchiere nella mia stanza? Qui sta accadendo qualcosa di strano e vorrei parlarvene. Poi si scostò per permettere a Potter di precederlo nell'atrio, dove Hope e il maggiordomo erano in attesa di chiudere porte e finestre per la notte. Ma dal salotto giungevano voci irate: — ... devi ancora imparare come si sta al mondo! — urlava Herbert. — Non vi preoccupate! — La voce di Bob vibrava per l'ira. — Continuerò per la mia strada e ve ne farò vedere delle belle! 4 Potter aprì silenziosamente la porta tra le due stanze e osservò l'amico steso immobile sul letto.
— Vieni pure a tenermi compagnia — disse l'attore. — Sono sveglio. — Credevo che il dottore ti avesse dato dei sedativi — rispose Potter, mentre si metteva a sedere accanto all'amico. — L'effetto ormai è finito. — Hai dolori acuti? — Be', più che altro un senso generale di fastidio, e inoltre non riesco ad addormentarmi. D'altra parte, tu con le tue trovate non sei tipo da conciliare il sonno. Ad esempio, quella tua uscita circa il tentato omicidio di Roland Keane mi ha turbato davvero. Ormai, comunque, avrai già chiarito tutto, penso. — Per il momento non ci ho capito nulla — confessò Potter. — L'unica cosa di cui sono certo è che questa gente vive in una tale atmosfera di odio da mettere paura. — E poiché Warren, oltre a non avere sonno, si mostrava agitato, Potter, per distrarlo, gli descrisse nei dettagli come era trascorsa la serata. "Almeno" disse fra sé, "non continuerà a tormentarsi pensando al suo spettacolo andato in fumo." — Quello che secondo me bolle in pentola — disse Warren, dopo avere riflettuto per qualche istante — è che il socio, quel MacDonald, non solo intende cedere l'azienda alla National, ma vuole anche prendersi la moglie di Keane. Non ti è venuto in mente che possa esser stato proprio lui a sguinzagliare quel giornalista contro la Keane Co., in modo da farne precipitare le quotazioni in borsa e renderne conveniente la cessione? — È possibile, certo. Eppure, a determinare direttamente la crisi in borsa della Keane sono state soprattutto certe incaute dichiarazioni che Roland ha rilasciato alla stampa quando non c'era il fratello vicino a controllarlo. Peraltro, il prestarsi a un trucco del genere, da parte di quel Miller che è un noto giornalista, non concorda con quello che ho sentito dire di lui: può darsi che sia un fanatico radicale, ma tutti lo dicono onesto e in buona fede. — Mi ha colpito, questo pomeriggio, vedere come si è precipitato a difendere la signora Keane. Anche lei, però, che tipo! Portarselo a casa sapendo che è ai ferri corti con suo marito. Ne ho conosciute altre, del suo genere: donne che anche a ottant'anni continueranno ad affascinare gli uomini. Donne pericolose però... — La signora Keane non è solo affascinante: è anche atterrita! Era lei quella che ho sentito piangere vicino alla piscina, prima di cena. — Sei sicuro? — Non ho alcun dubbio.
— Chi era l'uomo che le parlava di rischi da affrontare? Forse MacDonald? — Parlava a voce troppo bassa perché si potesse riconoscerlo. Comunque, non poteva essere MacDonald: non era ancora arrivato alla villa... Warren lo interruppe: — Quel dannato dottore mi ha fasciato come una mummia! — esclamò mentre cercava di cambiare posizione sul letto. Poi proseguì: — Sai, Potter, c'è una cosa che per me è del tutto incomprensibile: è la posizione di Crystal Young in questa faccenda. Per anni ho sentito parlare di lei da gente che aveva il cosiddetto privilegio di esserle molto vicina. Lo definivano proprio così: un privilegio. Tutti mi hanno sempre descritto lo stesso tipo di donna, dotata di una eccezionale gentilezza e di una disperata propensione per l'amore, che la lasciava totalmente disarmata. — Che cosa intendi per disarmata? — Era vulnerabile, priva dell'istinto di auto-protezione, ma dotata di un vero talento in fatto d'amore. Almeno così la descrivevano, nell'ambiente teatrale. Non che avesse più amanti contemporaneamente, intendiamoci: solo, non poteva fare a meno di innamorarsi di qualcuno. E ogni volta ne usciva immancabilmente ferita. Ma non mi è mai capitato di sentir dire, neppure da quei pochi cui era antipatica o dalle attrici gelose del suo fascino, che abbia fatto del male a qualcuno. — Warren fece un altro vano tentativo di sollevarsi dal letto ma continuò: — Ecco perché, nella situazione che hai descritto, vi è qualcosa che non quadra e che stona. A meno che Crystal Young non sia totalmente mutata, ma la gente non subisce mai un cambiamento così radicale, lei non dovrebbe essere il tipo capace di andare in casa di un'altra donna per portarle via il marito. E, comunque, non sarebbe mai cosi volgare e crudele da ostentare il suo trionfo davanti a una moglie sconfitta. No, non posso crederlo! — Eppure, se tu fossi stato presente — obiettò Potter — avresti dovuto convincerti del contrario. — Poi, dopo un attimo di riflessione: — Perché Crystal Young ha abbandonato la professione? — chiese bruscamente. — Alcolismo — rispose Warren, riluttante. — Si era già data al bere all'inizio della carriera, ma poi era riuscita a smettere. Purtroppo, una decina di anni fa ha ripreso e da allora non è stata più capace di controllarsi, anche se proprio recentemente mi hanno detto che sarebbe riuscita nuovamente a guarire. Comunque, ubriaca o meno che fosse, nessuno mi convincerà mai che sia stata lei a causare l'incidente di Roland. In ogni caso, non sta a noi occuparci di questi problemi che non ci riguardano minima-
mente. Domattina ce ne andremo di qui. Potter ricordò d'avere promesso a Bevan MacDonald che sarebbe andato a trovarlo nella sua stanza e, data un'occhiata all'orologio, si alzò stiracchiandosi: — Un'altra cosa, Warren. Tra Bob Murphy, il collerico fidanzato di Hope Keane, e Crystal Young deve esserci qualche rapporto. Lui va in giro con una grossa Lincoln che un tempo apparteneva a Crystal, e lei afferma di avergliela venduta. Bob sostiene invece d'averla avuta in regalo. Il celebre attore restò a fissare l'amico per qualche istante: appariva sconcertato. — Pensi a un ricatto? —chiese poi. — Tutto lo lascerebbe supporre. Comunque c'è un altro problema ancor più complicato: chi avrà messo quell'ago nell'imbottitura della sella di Roland? Può darsi che sia stato lo sconosciuto sparito tra i cespugli: quello che io definisco "l'uomo che c'era, ma non c'era". — Ma perché avrebbe poi gettato l'ago a terra, dove poteva essere facilmente visto? Avrebbe dovuto nasconderlo. Se non fosse stato per l'ago, tu ora non penseresti che l'incidente di Roland possa nascondere qualcosa di losco. O, forse, sospetti che qualcuno abbia intenzionalmente lasciato l'ago sul posto e in vista, proprio perché venisse trovato? — Si è trattato solo di un problema di tempi: il colpevole non ha potuto fare diversamente. Be', buona notte, Warren: se hai bisogno di qualcosa, bussa alla parete: ho il sonno leggero. Potter uscì, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle. Nel corridoio non si udiva il minimo rumore. La stanza di Bob Murphy era buia e silenziosa; invece una linea luminosa mostrava che MacDonald aveva lasciato socchiusa la porta della sua. Potter sostò un attimo ad ascoltare il sibilo del vento che stava aumentando di forza. Era la fine dell'autunno, e a Potter sembrò di udire il fruscio delle foglie che cadevano. O forse era un altro fruscio? Volse il capo di scatto. In fondo al corridoio, nella penombra del pianerottolo, scorse una figura di donna che si dirigeva in fretta verso le scale: l'orlo della lunga vestaglia di satin nero sfiorava frusciando il tappeto. Mentre lei scendeva silenziosamente i gradini, Potter, sporgendosi, riuscì a scorgere dall'alto, alla luce della lampada notturna delle scale, il riflesso color mogano dei capelli della donna. Pensò che non poteva essere stata così imprudente da andare a trovare
MacDonald nella sua camera. E se c'era andata, lui doveva averla avvertita che era in attesa di visite. Comunque, ad evitare possibili situazioni imbarazzanti, dopo avere atteso alcuni minuti, Potter ritornò all'uscio della propria camera e lo sbatté con una certa energia, in modo che nel silenzio della notte il rumore si udisse distintamente. Poi attraversò il corridoio e andò a bussare alla porta di MacDonald. Nessuna risposta. Doveva essere nella stanza da bagno. Potter bussò più forte, ma anche questa volta senza risultato. Allora spalancò la porta ed entrò. MacDonald, che indossava una veste da camera sul pigiama, era sprofondato in una comoda poltrona. Sembrava immerso in un sonno profondo e respirava pesantemente: un libro, che gli era sfuggito dalle mani, giaceva a terra. Potter stava per ritirarsi senza disturbarlo, quando venne colpito da quel respiro rumoroso, quasi ansimante. Osservò meglio l'uomo: aveva la bocca spalancata, e da sotto il labbro superiore sporgeva la dentiera. Potter gli sollevò le palpebre e ne scrutò le pupille prive di luce. Poi si affrettò a controllare il ritmo del polso. "Hanno sbagliato bersaglio" disse tra sé, sorpreso. "Non pensavo che dovesse toccare a MacDonald. Evidentemente qualcuno ha commesso un grossolano errore." Lasciò la stanza senza far rumore e scese di corsa le scale sino al piano sottostante. Da tutte le stanze non filtrava luce, e comunque Potter non sapeva chi le occupasse. Scese allora di un altro piano, ma anche qui si trovò di fronte un lungo corridoio oscuro e silenzioso. Restò un attimo in attesa, finché riuscì a percepire un rumore di acqua corrente che saliva dal pianterreno. Scese allora gli ultimi gradini e corse ad aprire la porta che si trovava sul retro dello scalone e che portava ai locali di servizio. Si trovò in una stanza dove la luce era accesa: Dorothy Keane stava lavando in un acquaio i preziosi bicchieri da liquore che erano stati usati quella sera. Non aveva perso tempo, pensò Potter. — Signora Keane! Lei trasalì e si volse: — Signor Potter, mi avete fatto prendere un bello spavento! — esclamò. Poi proseguì, eccitata: — Anche a voi il vento impedisce di prendere sonno? Non riuscivo a dormire e ho pensato di rimettere a posto i bicchieri della collezione, prima che per disgrazia potessero rompersi. Herbert ci tiene talmente... — Non preoccupatevi dei bicchieri, signora Keane! Dorothy lo guardò stupita. — Ripeto: lasciate stare quei maledetti bicchieri! — insistette perentorio
Potter. — Affrettatevi invece a chiamare il dottor Smiley. Subito! — Il signor Xavier sta male? — Non si tratta di Xavier, ma di MacDonald. Dite al dottore che deve avere ingerito una dose eccessiva di barbiturici. Almeno così penso. Io non so che cosa si debba fare in questi casi. Se c'è ancora qui quell'infermiera, chiamatela subito. — Vilma? Ma certo: sta assistendo Roland. — Non c'è tempo da perdere: ogni istante può essere prezioso. Ve ne rendete conto? Dorothy Keane si era fatta pallida come un cencio. Macchinalmente continuava a sciacquare uno dei preziosi cristalli, mentre fissava Potter con occhi sbarrati. — Smettetela, ripeto! — le intimò seccamente Potter, togliendole dalle mani il bicchiere. — MacDonald? Ma non è possibile... Nessuno potrebbe... Vacillò un istante e fu costretta ad appoggiarsi all'acquaio. Ma si riprese subito e si diresse verso l'atrio con i movimenti ritmici di una bambola meccanica, trascurando inspiegabilmente l'apparecchio telefonico in piena vista su di un tavolo. Potter la udì entrare nella biblioteca. Silenziosamente attraversò il grande atrio e tese l'orecchio. La signora compose un numero e restò in attesa per alcuni istanti, che parvero interminabili. Si udivano solo la respirazione affannosa della donna in attesa all'apparecchio e il sibilo del vento all'esterno della villa. — John, sei tu? — disse infine Dorothy Keane sottovoce. — Cominciavo a credere che non fossi in casa. Senti... Potter ebbe la sensazione di essere sorvegliato e si volse di scatto. Susan Keane, che indossava un pigiama verde aderentissimo, con una scollatura mozzafiato, si sporgeva dalla ringhiera del ballatoio, guardando in basso. Il suo volto aveva un'espressione indefinibile. Poi, mentre Potter stava pensando a come giustificarsi con la ragazza per essere stato sorpreso a origliare, lei scese di corsa lo scalone. — Signor Potter — sussurrò con aria complice, mentre gli occhi verdi le balenavano — oggi non sapevo chi foste! Ma poi Bevan mi ha parlato a lungo di voi. Ha detto che dovunque voi capitiate, accadono immancabilmente delle vicende emozionanti. Che cosa state facendo adesso? Lui le posò una mano sulla spalla e le disse con calma: — Qualcosa è già accaduto, purtroppo. Correte subito a chiamare l'in-
fermiera. Il signor MacDonald ne ha urgente bisogno e... — Come mai sei qui, Susan? — lo interruppe Dorothy che era uscita dalla biblioteca: — E perché non hai la vestaglia? Sei indecente, te ne rendi conto? — Avete parlato col dottore? — chiese Potter. — La linea era occupata, ora tento di nuovo. Tu, Susan, corri a chiamare Vilma, ma non svegliare tuo padre. Sai bene che deve essergli evitata qualsiasi emozione. E, per amor del cielo, mettiti indosso qualcosa. — Sveglierò anche Hope, potrà esserci di aiuto. — No! — disse la madre seccamente. — Lasciala dormire! Poi rientrò nella biblioteca e compose un numero all'apparecchio. Un attimo dopo disse ad alta voce: — Siete il dottor Smiley? Il dottore era molto stanco: per due ore, aiutato da Vilma Thomas e da Potter, si era prodigato per salvare la vita a MacDonald, mentre Susan saliva e scendeva di corsa le scale per svolgere i più diversi incarichi. Ora, sprofondato in una poltrona davanti al camino della biblioteca, il medico si ristorava con l'abbondante whisky-soda e ghiaccio, offertogli da Potter che stava attizzando il fuoco mentre rifletteva sull'accaduto. Era stato tacitamente convenuto di non svegliare i domestici e che quello di Bevan MacDonald dovesse essere considerato un semplice incidente, causato dall'ingestione, per errore, di un'eccessiva dose di sonnifero, Potter si era reso conto di ciò appena aveva visto il dottor Smiley rispondere con un cenno negativo all'infermiera che gli chiedeva se dovesse chiamare un'autoambulanza. L'ospedale era zeppo di ammalati di influenza, aveva detto il medico, e inoltre mancava di personale. Il signor MacDonald sarebbe stato curato meglio alla villa. — Inoltre, qui avrà la fortuna di essere assistito da un'infermiera brava come voi — aveva concluso il medico, mentre Vilma era arrossita per modestia. Potter capì che il medico non desiderava che venisse fatta alcuna pubblicità sull'accaduto. D'altra parte, il giardiniere non aveva forse detto che il dottor Smiley e l'ospedale figuravano nel testamento di Herbert Keane per la bella somma di un milione di dollari? Logico che il dottore desiderasse evitare fastidi e complicazioni al munifico benefattore. Anche Dorothy Keane, visibilmente provata, si era lasciata cadere su di una poltrona e beveva a piccoli sorsi il cordiale che Potter le aveva portato. Aveva il volto pallido, quasi privo d'espressione e gli occhi cerchiati. Nel
frattempo era ricomparsa Susan. Si era messa un maglioncino, una sottana e le scarpe da tennis. Sì raggomitolò sul tappeto vicino alla poltrona di Potter e gli disse in tono entusiasta: — È davvero una fortuna che questa notte alla villa ci sia stato un tipo come voi, capace di intervenire al momento giusto. — Verissimo! — convenne il dottore, mentre osservava Potter con occhio attento. — Se qualcuno non fosse entrato nella camera di MacDonald prima di domattina, sarebbe stato troppo tardi per tentare qualsiasi rimedio. A proposito, come mai siete andato da lui? — Mi aveva chiesto di raggiungerlo per fare quattro chiacchiere. — Una vera fortuna — commentò il dottore, con una lieve nota di incredulità nella voce. Ma si trattava di una sfumatura talmente lieve che Potter ritenne di non doverle dare peso: era meglio attendere invece le successive domande che immancabilmente il medico gli avrebbe rivolto. Ma la previsione era errata: il dottor Smiley si limitò a sospirare affaticato, mentre posava il bicchiere vuoto. — Ora me ne tornerò a casa — disse dopo aver dato un'occhiata al suo orologio. — Qui c'è Vilma, e lei sa benissimo quello che resta da fare. Sono quasi le tre, e io sto diventando troppo vecchio per queste chiamate notturne. — Dottore — disse Potter — avete qualche idea circa la provenienza del sonnifero? Il medico si scrollò di dosso la stanchezza con la pronta reazione di chi è abituato ai casi di emergenza, e fissò Potter come si trattasse di un disgustoso bacillo su di un vetrino da laboratorio: — Appartenete alla famiglia? — Oh no! — si affrettò ad intervenire la signora Keane. — Il signor Potter non ha il minimo legame di parentela con nessuno di noi. È un estraneo. Lui e il suo amico sono capitati qui, solo perché hanno fatto la conoscenza di Crystal Young oggi, quando il cavallo le ha preso la mano. — Non ha alcuna importanza, dottore, se faccio parte o meno della famiglia — intervenne Potter con un lieve sorriso. — Tanto perché lo sappiate, affermo che il signor MacDonald non ha preso dei sonniferi: gli sono stati somministrati a sua insaputa. — Che cosa intendereste insinuare? — chiese il medico. — Proprio quello che avete già capito. — Si tratta di una idea assurda. Se avete potuto pensare, anche per un solo istante, che un membro della famiglia abbia potuto commettere un'a-
zione del genere... — Potrei citarvene almeno tre! — lo interruppe Potter freddamente. Ma il dottore non manifestò alcun segno di desiderare che Potter lo facesse, e se ne restò confuso e silenzioso. — Tutto ciò è intollerabile — intervenne Dorothy, indignata. — Signor Potter, mi costringete a chiedervi di lasciare questa casa appena si sarà fatto giorno. — Mamma — si intromise Susan — chi ha servito entrambe le volte i liquori? È stato sempre Bob, mi pare. — Sì, credo. E con questo? — Come, non ricordi? Al secondo giro, ha tolto di mano il bicchiere a Crystal perché non voleva che lei bevesse. — Dorothy lesse il suggerimento negli occhi della figlia. — Allora, pensi che sia stato Bob?! — esclamò. — Oh, povera Hope: povera cara Hope! — Quante storie! Vedrai che dimenticherà presto quell'uomo — disse Susan con spietata indifferenza. — Comunque, mamma, non puoi cacciar via il signor Potter in questo modo. È inammissibile trattare così un ospite. Il dottor Smiley fissava preoccupato Potter: — Domattina vedremo tutto in una prospettiva migliore. Sono certo che il signor Potter dopo una notte di riposo si sentirà dispiaciuto di aver formulato delle accuse affrettate... "Se ne sei certo tu" pensò Potter divertito, "allora siamo davvero a posto!" — Mamma — insistette Susan — ti stai comportando come se avessi dimenticato che il signor Potter ha salvato la vita a Bevan. Da qualsiasi parte sia venuto il sonnifero... — A proposito — esclamò Potter, levandosi in piedi — la signora Young, a tavola, aveva un flaconcino di compresse di sonnifero nella borsetta. Dov'è la sua camera? — Al piano degli ospiti — rispose la signora Keane. Poi, scorgendo l'espressione seria di Potter, proseguì agitata: — Oh, no! Non potrei sopportare che questa notte accadesse qualcos'altro. No davvero! — Ma dobbiamo accertare come sono andate le cose! — cercò di convincerla Potter. Susan si levò a sua volta: — Vi condurrò io, da Crystal — disse. La camera era al secondo piano, oltre una curva del corridoio. Potter bussò alla porta di Crystal e, non ricevendo risposta, tornò a farlo con maggior energia, mentre Susan, che tremava per l'eccitazione e il nervosismo, gli si stringeva al braccio. Il rumore di un letto che cigolava ruppe la
tensione: — Che cosa succede? Chi è? — La voce di Crystal era assonnata. — Siamo Potter e Susan Keane. Possiamo entrare? — Attendete un momento, per favore. Quando la porta si aprì, comparve Crystal in una vestaglia di flanella scura. Aveva i capelli raccolti in una stretta reticella e il viso coperto di crema. Si era applicata dei cerotti contro le rughe, che le tracciavano bizzarri archi tra le sopracciglia: ne aveva uno, molto grande, anche tra la gola e il mento. Era addirittura grottesca. — Accomodatevi — disse. Susan, guardandola, non seppe trattenersi dal ridere, e Crystal, dopo essersi data una rapida occhiata allo specchio, si affrettò a togliersi il cerotto dal mento e, sedutasi al tavolino da toilette, cominciò a togliersi la crema dal viso. Non era affatto impacciata. Si comportava con la stessa disinvoltura con cui centinaia di volte, nel camerino dei teatri, si era rifatta o tolto il trucco, in presenza di estranei. — Scusatemi se vi ho svegliata a quest'ora — disse Potter — ma è accaduto un fatto spiacevole e ho pensato... Be', insomma, questa sera, a tavola, voi avevate una boccetta con delle compresse di sonnifero. Desidererei che me la mostraste. Crystal, che appariva ancora intontita per il brusco risveglio, si volse verso di lui battendo le palpebre. — Volete le mie compresse di sonnifero? — chiese stupita. Potter la guardava fisso, scrutandone l'espressione. Susan assisteva silenziosa, in disparte. — Mio Dio! — gridò Crystal, dopo qualche istante. — È accaduto qualcosa a Herbert, vero? — Non a Herbert, ma a MacDonald. Stava per lasciarci la pelle perché ha ingerito una massiccia dose di sonnifero. — Bevan? Ma non può essere... — balbettò Crystal con aria confusa. — Non c'è proprio alcun motivo... — Dov'è la vostra borsetta? La donna girò lo sguardo smarrito sul disordine della camera. Vi erano indumenti abbandonati sulle sedie, sul letto e un po' dovunque. — Posso cercarla io? — chiese Potter. Crystal era sempre seduta, immobile: ora appariva davvero vecchia e brutta. — Certo — disse — fate pure. Quando Susan e Potter ebbero smesso di
cercare invano, lei, che nel frattempo non si era mossa ed era rimasta a guardarli, scossa da un continuo tremore, disse: — Non so come ho potuto dimenticarmene, ma credo d'aver lasciato la borsetta da basso. — Andrò a vedere subito — si offrì Susan. — È meglio che lo faccia io — rispose Potter. — Non ci metterò più di un minuto. Nel frattempo, voi, Susan, potreste portare alla signorina Young la borsa dell'acqua calda. Fatele anche bere qualcosa di forte, e mettetela a letto, in modo che non prenda freddo e si rimetta dallo shock. Poi scese di corsa le scale e raggiunse il salotto. Dorothy e il dottor Smiley, che stavano confabulando a bassa voce nella biblioteca, come lo videro passare nell'atrio si affacciarono alla porta per vedere dove fosse diretto. Il dottore non aveva poi tanta fretta di tornarsene a casa, pensò Potter. La borsetta da sera, trapunta di piccole perle, era nascosta sotto un cuscino su di uno dei divani, ma la bottiglietta non c'era più. Potter tornò nell'atrio. — Qualcosa che non va? — chiese Dorothy, che nel frattempo era uscita dalla biblioteca seguita dal dottore. — Penso di avere capito di dove è venuto il sonnifero. La bottiglietta della signorina Young è sparita. — Ah, è così? — esclamò Dorothy. — Ma certamente: Bevan questa sera è stato così duro e spietato con lei! Si vedeva bene che Crystal era furiosa. Si sarà voluta vendicare! — Però non è stata lei a preparare e a servire i liquori; né al primo né al secondo giro — obiettò Potter. — È vero! Bob, però, al secondo giro le ha impedito di bere, togliendole addirittura il bicchiere di mano. — Esatto! — ammise Potter. — E a chi è toccato il bicchiere che Bob le ha tolto? — Sto cercando di ricordarlo — disse Potter. — Un vero peccato, comunque, che sia finito assieme a tutti gli altri che voi, signora Dorothy, vi siete affrettata a lavare. — Perché peccato? — Perché così avete eliminato una prova preziosa — dichiarò Potter. — Di che cosa? — Di un tentato omicidio. 5
Questa ragazza, pensò Potter, costituirebbe un pericolo anche se non avesse una pistola in mano. Ed era una bellissima mano, con le lunghe dita senza anelli e con le belle unghie tinte di rosa. Una mano ferma, però: il dito sul grilletto non tremava. — Suvvia non fate la sciocca! — disse Potter con finta indifferenza, anche se il sudore gli inumidiva il volto. Dopo un giorno così movimentato come quello precedente, e gli avvenimenti della notte, era riuscito a dormire solo un paio d'ore e ora si sentiva completamente a terra. Aveva mal di testa ed era inoltre turbato dal presentimento che gli spiacevoli avvenimenti già verificatisi a Summit House, costituissero solo una pallida anticipazione di quanto doveva ancora fatalmente accadere. Quando si era alzato, Potter si era ripromesso che quella mattina, appena il dottore avesse fatto le radiografie a Warren, avrebbe lasciato la villa, anche a costo di portar via l'amico, caricandoselo sulle spalle. Poi, mentre stava facendosi il nodo alla cravatta, ecco capitargli in camera Susan che, con la rivoltella in pugno e con una spietata determinazione, gli aveva ingiunto di non lasciare la villa. E ora lui fissava preoccupato l'indice della ragazza sul grilletto e avrebbe tanto desiderato di poterle togliere l'arma di mano o, almeno, che lei cessasse di tenerla puntata sul suo stomaco. — Ripeto che non ve ne andrete di qui — disse Susan con aria cupa. — È assolutamente indispensabile che rimaniate. — Perché? — chiese Potter, incuriosito. — Perché dovete salvare mia sorella, evitando che sposi un potenziale assassino. — Levatevi dalla testa queste strane idee. Io... — Se non mi date subito la vostra parola che resterete, sarò costretta a sparare — lo interruppe Susan senza ombra di esitazione negli occhi verdi. — Badate che dico sul serio! — Lui la fissò più perplesso che allarmato. — Santo cielo — disse poi — non capisco perché la gente cerchi sempre di scaricare su di me i suoi problemi. Lo volete capire che io non sono in grado di impedire a vostra sorella di fare quello che meglio crede? Dirò di più: non voglio impedirglielo! Se proprio avete intenzione di scatenare un putiferio, rivolgetevi alla polizia, non a me. — Io non posso provare quello che ho detto di Bob. Voi invece siete in grado di farlo. Per favore, ditemi che rimarrete qui. — No, assolutamente no! Comunque, se proprio volete far fuori qualcu-
no, perché non ve la prendete col vostro futuro cognato? Sarebbe più logico, non vi pare? — Allora non mi volete proprio aiutare? — disse Susan scoraggiata. Il tono sconsolato della ragazza diminuì lo stato di tensione di Potter, che abbozzò un sorriso e disse: — Prima di tutto, cerchiamo di ragionare. Se premete quel grilletto, andrete incontro a conseguenze estremamente spiacevoli. — Ma io non voglio spararvi — si affrettò a dire la ragazza. — Solo che, mentre è vostro dovere darmi aiuto, voi vi ostinate a negarmelo, e questo mi fa impazzire dalla rabbia. Susan era talmente presa dalle discussioni, da non accorgersi che la porta alle sue spalle si stava aprendo lentamente e che il volto di Potter aveva mutato d'espressione. Un attimo dopo, una mano afferrò la sua che reggeva la pistola, disarmandola. — E pensare — commentò la bella voce baritonale di Warren — che avrei tanto desiderato lasciarvi sparare a questo menagramo. Io stesso ero venuto a cercarlo per affibbiargli una bella scarica di pugni. — Me li darai più tardi, e ti assicuro che li accetterò con piacere — rispose Potter, sollevato. Susan squadrò l'attore con aria torva: — Ridatemi subito la rivoltella — gli intimò. — Me ne guardo bene — le rispose Warren, mentre esaminava l'arma: — È proprio carica, sai? — disse poi, rivolgendosi a Potter. — Ma certo: ho messo persino la pallottola in canna — esclamò Susan, indignata. — Vi sembro forse il tipo da bluffare? — Ora sarà meglio esaminare un poco la situazione — disse Potter, che, vista sparire l'arma in una tasca della vestaglia di Warren, si sentiva più tranquillo. —Perché dunque, Susan, non la smettete di comportarvi come una sciocchina e non mi dite invece che cosa sta succedendo in questa casa? Perché questa irruzione in camera mia, a mano armata? — Ebbene — spiegò tranquillamente la ragazza dai capelli fulvi — avevo pensato che questo mio comportamento avrebbe destato il vostro interesse, inducendovi a restare a Summit House. Warren esplose in una fragorosa risata, mentre il suo viso si faceva rosso per l'ilarità. — Ma chi, o che cosa, vi ha indotto a crederlo? — intervenne Potter, in un tono deciso che fece ammutolire Warren.
— Secondo Bevan, dove ci siete voi accadono sempre cose drammatiche — spiegò la ragazza. — Pare che voi propiziate addirittura le tragedie, con la vostra presenza: e allora ho deciso di collaborare, creando per voi il clima più adatto. — Non c'è dubbio che ci siate riuscita — commentò Potter. — Bevan dice che siete un catalizzatore: qualcosa, cioè, la cui presenza accelera e favorisce gli avvenimenti. — Pare, comunque — osservò Potter con voce tranquilla — che qui siano accadute molte, anzi troppe cose, anche senza il mio intervento. — Qualcosa di cui io non sono a conoscenza? — chiese Warren. Potter lo informò del pericolo mortale corso da Bevan MacDonald durante la notte, spiegando che, probabilmente, era stato avvelenato con delle compresse di sonnifero provenienti dalla borsetta di Crystal Young. — Inoltre — intervenne Susan — i liquori li ha serviti sempre Bob, che poi è intervenuto proprio al momento giusto per impedire a Crystal di berne uno del secondo giro. — È vero — convenne Potter — è stato Bob a servire i liquori. Ma, mentre noi predisponevamo le sedie per l'esibizione di Crystal, chiunque avrebbe potuto manomettere i bicchieri. — E se a farlo fosse stata proprio quell'alcolizzata di Crystal?— insinuò Susan. — Chiudete il becco, marmocchietta viziata, invidiosa e vendicativa! — intimò l'attore, afferrandole un braccio — Crystal Young è qualcosa di irraggiungibile e di inimitabile... Non è solo una grande attrice, ma ha una personalità unica, che voi neppure vi sognate! — Toglietemi le mani di dosso, villanzone! — gridò Susan, infuriata. Warren ritrasse la mano di scatto, come se se la fosse scottata: — Per quanto mi riguarda, preferirei toccare un serpente a sonagli — commentò. Poi, rivolgendosi a Potter: — Senti, quanto prima ce ne andremo meglio sarà. Secondo me, questa casa deve averla costruita un cultore di spiritismo; poi ci ha messo dentro tutte le creature diaboliche che oggi la infestano, compresa la signorina qui presente. Susan lo fissò con disgusto. Poi si rivolse a Potter, e, con tono gelido, disse: — Vi spiacerebbe, per favore, chiedere a questo... a questa specie di Romeo da strapazzo, di lasciarci soli? Vorrei parlarvi in privato. — Me ne guardo bene! — rispose Potter. Warren, vista l'espressione preoccupata dell'amico, sogghignò soddisfatto e prese una poltroncina: — Sarà più facile che un asino voli — dichiarò
— prima che io me ne vada lasciando il mio amico indifeso con una furia infernale. — Susan — disse Potter — anche se io restassi qui con voi, alla villa, non potrei far nulla per aiutarvi. Ormai tutti sanno chi sono e la mia presenza non può non avere messo in allarme qualcuno, per il quale io rappresento un pericolo peggiore della peste bubbonica. — Cioè, lo stesso pericolo che corro io standoti insieme! commentò sarcasticamente Warren, passandosi una mano sulle costole rotte. Potter lo ignorò: — Non sono sicuro che Bob sapesse in quale bicchiere era stato messo il sonnifero; così come non sono affatto certo che proprio MacDonald dovesse essere la vittima predestinata. I bicchieri erano talmente simili, da rendere possibile qualsiasi errore. Susan appariva delusa, e mortificata. — Secondo voi, quindi, Bob potrebbe avere sbagliato bersaglio. Ma chi gli impedirà di colpire quello giusto, la prossima volta? Potter restò silenzioso. — Per favore — insistette la ragazza — rimanete e aiutatemi! — Se proprio volete impedire il matrimonio di vostra sorella, è meglio che ne parliate a lei direttamente. — Non mi darebbe ascolto. Penserebbe che io ho dei pregiudizi perché Bob è stato il nostro stalliere. — Non è così? — chiese Potter. Susan rifletté un istante: — Be', considerate un poco la situazione. Perché mai Bob vuole sposare Hope? Sì, lei è una brava e cara ragazza ma, parliamoci francamente, non è certo un tipo da far girare la testa... — Forse sottovalutate vostra sorella — commentò Potter. — Oppure sopravvalutate voi stessa! — puntualizzò Warren. — Siamo sinceri: neppure voi, dinamicissima signorina Susan, siete l'ideale per un uomo che desideri avere pace e tranquillità in casa propria. — Certo, se si tratta di un vecchietto come voi... — Adesso le torco il collo! — L'attore tentò di levarsi dalla poltrona, ma vi ricadde subito gemendo e tastandosi le costole. — È proprio conciato a dovere! — commentò Susan con finta compassione, scuotendo il capo. — Piantatela, tutti e due! — intimò Potter. — Eppure, dovete credermi — riprese la ragazza. — Qui da noi sta accadendo qualcosa di sinistro: lo sento! Qualcosa di terribile, contro cui io non posso lottare da sola. Non saprei dirvi con precisione di cosa si tratti,
ma è così. — Potter scambiò un'occhiata significativa con l'attore. Entrambi stavano pensando alla stessa cosa: a un ago che qualcuno aveva messo nella fodera di una sella. Effettivamente, c'era del marcio a Summit House. Susan avvertì il mutamento di Potter, e la speranza le illuminò il viso. — Ho tanto bisogno del vostro aiuto — implorò. — A papà deve essere evitata qualsiasi emozione: sei settimane fa, per un attacco cardiaco stava per morire. Nessuno pensava che se la sarebbe cavata. Quindi ci siete solo voi che potete aiutarmi. — Perché non ricorrete a un buon investigatore privato? Potrei raccomandarvi un elemento onesto e riservato. Se deciderete di farlo venire, lo troverete efficientissimo nel suo lavoro. — Gli investigatori privati costano, e io non dispongo di denaro. Il mio patrigno mi passa solo cinquanta dollari al mese, e Hope è nelle mie stesse condizioni. Anzi, state pur certi che a Bob verrà un accidente quando si renderà conto che mia sorella non possiede un centesimo di suo. Probabilmente, lui pensa che, siccome papà è ricco, anche Hope... — Cominciate a seccarmi — la interruppe Potter — con questo odio nei confronti di quel poveraccio. Susan si passò le dita tra i riccioli d'oro rosso, mentre un lampo d'ira le illuminava lo sguardo, e disse: — Benissimo. Dovrei però dimenticare anche che qualcuno ieri sera ha somministrato a Bevan una dose mortale di sonnifero? Certo, il dottor Smiley per quanto lo riguarda avrà già dimenticato: non ha neppure voluto ricorrere al Pronto Soccorso dell'Ospedale per paura che a Oakland potessero fare spiacevoli pettegolezzi circa l'avvelenamento di Bevan. Nel qual caso, lui si giocherebbe il lascito testamentario di papà. Anche mamma, del resto, vuole lasciar perdere, perché teme a sua volta uno scandalo. E ora voi, signor Potter, preferite dare un bel colpo di spugna sull'accaduto e pensate solo ad andarvene per i fatti vostri, trascinandovi dietro questo relitto, questa specie di vecchia gloria del palcoscenico... Potter tentò l'estrema disperata difesa, nello stesso stato d'animo del generale Custer intento a respingere l'assalto conclusivo degli Indiani: — Io non sono un investigatore di professione, ed è solo per puro caso che mi sono trovato immischiato in questa maledetta faccenda. Mi occupo della natura umana... Sono cioè uno che si limita a studiare i motivi per cui la gente si comporta tanto spesso in modo inverosimile e inaspettato. Ma, ripeto, non sono un investigatore. — Se siete uno studioso del comportamento umano, non potete andar-
vene ora. Non conoscereste mai più i motivi per cui qualcuno ha tentato di uccidere Bevan, e tanto meno chi è stato. Andiamo, signor Potter, restate almeno per qualche giorno! — E con quale pretesto? Dimenticate che vostra madre, ieri sera, mi ha intimato di sgomberare? — Potreste dire che vi siete fidanzato con me. — Che Dio me ne guardi! — esclamò Potter, dimentico di ogni galanteria. — Be', pensavo che fosse una buona idea. Si tratterebbe solo di un paio di giorni, e l'espediente renderebbe tutto più semplice. — Non ne voglio neppure sentir parlare! Susan si volse a Warren: — Potreste fare voi la parte del fidanzato; dopo tutto, ci sono un sacco di ragazze che si innamorano di uomini di mezza età come voi. La situazione apparirebbe verosimile. Potter si sentì soffocare da un convulso di risa e si frugò nelle tasche tossendo, mentre fingeva di cercare un fazzoletto. Poi tentò invano di controllare l'irrefrenabile ilarità, mentre, rosso in faccia, osservava le reazioni del grande seduttore dello schermo, cui venivano rinfacciati spietatamente i suoi trentaquattro anni suonati. Warren squadrò dall'alto la figuretta graziosa della ragazza: — Mi spiace — disse poi — ma sono allergico alle rosse e, nei vostri confronti, lo sono in un modo particolare. — Poi aggiunse in tono più cortese: — Oggi, amica mia, non ve ne va proprio una diritta! Ma Susan vinse ugualmente il primo round, abbandonandosi d'improvviso al pianto, anche se le lacrime non le donavano affatto. Mentre singhiozzava disperatamente, il nasino le era diventato paonazzo, e gli occhi gonfi. Faceva pena, accasciata a terra ai piedi dei due uomini come un mucchietto di disperata desolazione. Infine Potter capitolò: — Maledizione! Se riuscirete a farmi invitare ufficialmente, resterò qui per un altro giorno. Ma, sia ben chiaro, non un minuto di più. Susan si asciugò le lacrime e sorrise. Il bel viso, anche se ancora congestionato per il pianto, appariva dopo solo pochi istanti di una freschezza meravigliosa e Potter pensò che la ragazza possedeva, da sola, il fascino sufficiente per almeno una dozzina di belle donne. — Vi farò invitare dallo zio Roland, appena sarà sveglio. Sistemerà tutto lui, vedrete: è così caro! "Perché non ha proposto che ad invitarmi a restare fosse sua madre?" si
chiese Potter. La colazione del mattino fu servita senza un orario preciso. Infatti, quando Potter scese nella sala da pranzo, vi trovò solo Bob Murphy, che, in piedi accanto a una delle grandi porte-finestre, guardava fuori con atteggiamento depresso. Quando vide entrare Potter parve sollevato e lo imitò subito nella scelta della colazione dai vassoi e nel servirsi dalla grande caffettiera d'argento. Sembrava non aver toccato cibo, in attesa che qualcuno gli mostrasse come doveva comportarsi. Potter, per la prima volta, sentì che l'ex-stalliere gli faceva pena: sembrava un bambino sperduto in mezzo a gente sconosciuta e ostile. — Che cos'è successo, questa notte? — chiese Bob. — Per ore si è sentita gente correre avanti e indietro. Forse il vostro amico è peggiorato? — Affatto: anzi, è già in piedi. Aspetto solo che il dottore lo visiti e ci autorizzi ad andarcene. Sfortunatamente, Warren non sarà in grado di tornar subito al suo lavoro. — Lavoro? Strana definizione per l'attività di un attore. — Non vi è mai accaduto di pensare che anche quello degli attori sia un lavoro, e per di più faticoso? Bob scosse le spalle: — Lavorano per modo di dire. Io, nella vita, ho fatto di tutto: fuochista, operaio, stalliere. Qualsiasi mestiere pur di mantenermi all'università. Non sono Keane, io: bella fatica, la sua! Ha iniziato come presidente di una società. — Ma arriverete a esserlo anche voi, ne sono certo — disse Potter conciliante. Bob lo fissò attentamente: — Può darsi — disse. Poi, dopo un attimo di riflessione, proseguì: — Ma, se non si è trattato del vostro amico, chi ha cagionato tutto lo scompiglio di questa notte? C’era un tale chiasso che non riuscivo a prendere sonno! — MacDonald ha ingerito una dose eccessiva di sonnifero e vi assicuro che ce n'è voluto per salvargli la pelle. Comunque — concluse Potter piuttosto seccato — mi spiace che vi abbiano disturbato il riposo. A quel velato rimprovero, Bob arrossì: — Non intendevo lamentarmi — disse con voce esitante. — Anzi, devo dirvi che avevo pensato di venire a vedere che cosa stesse accadendo per prestare il mio aiuto in caso di necessità. Ma poi me ne sono rimasto in camera perché non sapevo se il mio intervento sarebbe stato gradito. — Ciò detto, Bob sembrò dedicarsi esclusivamente alla colazione,
ma, dall'espressione assorta del suo viso, Potter, che, lo stava attentamente studiando, si rese conto che il fidanzato di Hope stava rimuginando sull'accaduto. — Se volete conoscere la mia opinione — disse infine Bob — a me quel MacDonald non pare il tipo che ha bisogno di sonniferi. Si capisce subito che non ha preoccupazioni che gli diano l'insonnia. — Ma il sonnifero non lo ha preso volontariamente — chiarì Potter. — Penso che qualcuno debba averglielo somministrato dopo cena, nel liquore. Bob si irrigidì lievemente. Poi depose la forchetta nel piatto e scrutò Potter in viso. "Nervi d'acciaio" pensò l'investigatore. "Deve essersi reso conto immediatamente di trovarsi in pericolo, eppure è rimasto praticamente imperturbabile." Fin dal momento in cui era entrato nella sala da pranzo, Potter aveva sperato di poter restare solo con Bob il tempo necessario per strappargli qualche informazione. Ma proprio mentre stava per rivolgergli delle domande, accadde qualcosa che troncò il loro colloquio. Si udì un urlo di donna: un lungo, agghiacciante grido che echeggiò in tutta la villa. Non era ancora cessato, che già Potter si era precipitato nell'atrio. Salì di corsa lo scalone, seguito da Bob. Al primo piano si udirono aprirsi le porte delle camere, e voci spaventate che chiedevano spiegazioni. Quando Potter vi giunse, Susan stava arrivando di corsa dal fondo del corridoio, mentre Hope usciva dalla sua camera, vicina al ballatoio. Da oltre una porta chiusa si udì Roland che gridava: — Che cosa è successo? In nome del cielo, ditemi che cosa è successo. Nonostante il suo stato di agitazione e proprio mentre si rendeva conto che i suoi foschi presentimenti stavano trovando conferma, Potter non mancò tuttavia di notare nella voce di Roland Keane una nota d'ansia che il giorno precedente non c'era. In quell'istante, dal piano superiore dove si era trattenuta ad assistere MacDonald, arrivò correndo Vilma Thomas. La sua uniforme di infermiera si era spiegazzata e macchiata, nel corso degli eventi della sera precedente. Susan fu la prima ad avvicinarsi alla porta aperta della camera, fermandosi sulla soglia. Poi gridò atterrita e si precipitò nell'interno, seguita da Potter. Dorothy Keane si era gettata sul corpo del marito, che giaceva immobile sul letto: bastava una semplice occhiata per rendersi conto che l'uomo era morto. Potter, con calma ed efficienza, costrinse la donna ad al-
zarsi e, con l'aiuto di Bob, la trasportò nella sua camera, affidandola a Hope. Nonostante apparisse visibilmente scossa per l'improvvisa morte del patrigno, la ragazza si comportava con calma e serenità. L'infermiera controllò il polso di Herbert: scosse la testa e lasciò ricadere la mano del morto sul letto. Wilma era una sessantenne ossuta, con un gran naso aquilino, un mento pronunciatissimo e un perenne sorriso conciliante. I suoi capelli grigi e lisci erano raccolti in una crocchia nascosta dalla cuffietta da infermiera. Le sue mani, come le aveva detto spietatamente Herbert Keane, lavate e disinfettate di continuo, avevano assunto un aspetto che ricordava due bistecche crude di manzo. L'età avanzata non le aveva portato né tranquillità, né sicurezza, ed ora la lotta sostenuta la sera prima per salvare MacDonald l'aveva esaurita e privata di ogni energia. — È morto ormai da ore — disse. — Eppure sembrava che si fosse ripreso così bene. Certo, il cuore era stato danneggiato, ma... Si rivolse verso Susan: — Chiamate subito il dottor Smiley, signorina, e poi correte ad assistere vostro zio Roland. Ma se non vi sentite capace di informarlo con tutte le precauzioni, non ditegli nulla della disgrazia. Solo dopo avergli fatto le lastre potremo sapere se è grave o meno. Per il momento sappiamo solo che soffre molto: perciò, cercate di tenerlo tranquillo sino a quando possa tornare ad occuparmene io. L'infermiera, nonostante tutta l'efficienza che mostrava, era profondamente scossa. Non solo, ma Potter si rese conto anche di un'altra cosa: Vilma era l'unica persona nella villa che fosse realmente afflitta per la morte di Herbert Keane. — Siete stanca e avete già abbastanza lavoro con i signori Roland, MacDonald e Xavier, per occuparvi adesso anche del morto — le disse Potter. — Lasciate che vi dia una mano io: vedrete che mi renderò utile. Vilma Thomas non era abituata a sentirsi trattare con tanta comprensione. Perciò l'offerta di aiuto la colpì visibilmente, tanto che, per un istante, Potter pensò di vederla crollare, vittima sia della fatica che di un collasso nervoso. — Vi ringrazio, ma non è per il lavoro che sono così abbattuta. Vedete, i Keane fanno parte integrante della mia vita: direi la parte migliore. E io voglio loro molto bene. — Si riprese e, passatosi il dorso di una mano sugli occhi, proseguì con energia: — Metterò un po' d'ordine nella stanza, prima che arrivi il dottore. — Fissò il corpo immobile sul letto e, chinatasi, accarezzò Herbert Keane su di una guancia, con la punta delle dita: — Non avrei mai osato prendermi una simile libertà, quando il signor Keane era
vivo. Eppure quante volte ho desiderato di farlo. Era un così bell'uomo! Poi riprese la sua efficienza professionale e per prima cosa scostò la tenda della finestra e serrò i battenti che erano socchiusi. I raggi del sole invasero la camera mettendo in cruda evidenza il volto cereo del cadavere e accendendo riflessi luminosi sul vetro della caraffa, del bicchiere, nel cucchiaio, nel contagocce, e in tutta una serie di boccette di pillole, capsule, polveri, compresse e sciroppi, che ingombravano il basso comodino. Spinto dalla sua istintiva curiosità, Potter volle esaminare da vicino quell'arsenale farmaceutico ma, mentre si chinava, la manica della giacca sembrò impigliarglisi nella pesante coperta cremisi del letto, tanto che dovette liberarsi con uno strattone. Vilma, che nel frattempo aveva sistemato in un armadio gli indumenti di Herbert, si accostò a sua volta al comodino: — Porterò via tutta questa roba — disse mentre prelevava un flaconcino. — Il poveretto ormai non ne ha più bisogno. — Che c'è lì dentro? — chiese Potter con voce calma accennando al flaconcino. Ma l'infermiera non gli rispose subito: invece gli afferrò il braccio con una mano, mentre con l'altra stringeva spasmodicamente la boccetta: — Ma è vuota, completamente vuota! — balbettò. — È quella della digitale, ma non ce n'è più neppure una goccia... Con molta calma, Potter liberò il braccio dalla stretta della donna: — Guardate che vi siete fatta male — la avvertì poi. Vilma fissò la goccia di sangue sul suo dito: — Mi sono punta toccandovi il braccio. C'è qualcosa di aguzzo nel tessuto della vostra manica. Lui le tolse la boccetta di mano: — Quanta digitale c'era l'ultima volta che l'avete controllata? — chiese. — Ieri sera il flaconcino era ancora a metà. Per ordine del dottore, oggi avrei dovuto andare alla farmacia dell'ospedale per acquistare alcuni prodotti, e allora ho verificato anche le scorte, qui in casa, per vedere se ci fosse bisogno di qualcos'altro. — Non può darsi che vi sbagliate? Che ricordiate male? — No, lo escludo. Quando si tratta di medicinali, sono scrupolosissima e non commetto mai errori. Qualcuno deve avere vuotato la boccetta nello yoghurt: lui se ne faceva portare uno tutte le sere, proprio prima di andare a letto. Vilma fece l'atto di prendere il bicchiere dal comodino, ma Potter le trattenne il braccio: — Non toccate nulla! — la ammonì. I loro sguardi si incontrarono, e in quello dell'infermiera non vi era sorpresa e neppure sconcerto. Vi si legge-
va invece una testarda caparbietà. Si udirono i passi affrettati di qualcuno che stava salendo le scale e Vilma trasse un lungo sospiro di sollievo: — Deve essere il dottore, grazie a Dio! — esclamò. — Bisognerà che gli diciate subito della digitale — disse Potter. — Sì, ma poi sarà lui a decidere che cosa fare. Se per caso non dovesse ritenere opportuno... — Signorina Thomas! Volete capire che abbiamo a che fare con un omicidio premeditato? Un assassinio studiato e calcolato a sangue freddo. L'infermiera strinse le labbra: — Non sarò certo io a mettere nei guai i Keane, facendo scoppiare uno scandalo! — Che cosa fate, sciagurata? Fermatevi! — gridò Potter. Ma la donna si era mossa con imprevedibile rapidità. Afferrato il bicchiere che era sul comodino, lo infranse contro lo spigolo del mobile. 6 Dopo aver augurato il buongiorno a Potter in tono sostenuto, e aver borbottato alcune parole di condoglianze per i parenti, il dottore volle restar solo nella camera del morto. Dal piano sottostante giungeva, un poco soffocato, l'eco dello scompiglio e della confusione causati dall'improvvisa morte del padrone di casa. Si udivano porte aprirsi e chiudersi, e l'affaccendarsi della servitù sollecitata dagli ordini impartiti a bassa voce dal maggiordomo. Poi, dal fondo del corridoio giunse Susan che aveva lasciato solo Roland Keane nella sua camera, e Potter nel guardarla, si rese conto che quella probabilmente era la prima volta in cui la bella ragazza, nella sua giovane esistenza, si trovava faccia a faccia con l'inesorabile irrimediabilità della morte. Lui le sollevò con la mano il pallido visetto e la fissò negli occhi: — Avete fatto colazione? — le chiese. — Non ho fame e non potrei inghiottire nulla. — Vi sbagliate — disse Potter con fermezza. — Non solo ora andrete subito a mangiare, dato che avete da affrontare una giornata pesante, ma farete in modo che anche il mio amico Warren faccia colazione. Penso che lo troverete già sveglio e con una fame da lupo. — Un po' di digiuno gli farà bene alla linea — dichiarò la ragazza, cercando coraggiosamente di farsi animo. La sua, comunque, era un'affermazione calunniosa e del tutto gratuita, perché l'attore era dotato di un fisico snello e stupendo.
— Ragazza mia — la ammonì Potter sorridendo — non bisogna mai lasciare che un uomo diventi famelico. Può esser molto pericoloso! Susan fece un pietoso sforzo per sorridere. — Signor Potter, volete dire voi a zio Roland cos'è accaduto a papà? — chiese poi. — Qualcuno deve pur farlo, ma io non ne ho il coraggio; lui però ha il diritto di esserne informato. — Se mi promettete di scendere a fare colazione, provvederò io. Roland Keane era adagiato sul letto e indossava il più sgargiante pigiama che Potter avesse mai visto. — Salute! — esclamò Roland in tono gioviale. — Voi dovete essere Potter, il mio buon samaritano. Susan mi ha raccontato tutto di voi. Prendete una sedia e facciamo quattro chiacchiere. — Tese una mano grassoccia e ben curata e strinse quella di Potter con inaspettata energia. — Susan dice che non solo avete evitato a Crystal di correre un gravissimo rischio, ma che ieri sera avete addirittura salvato la vita a Bevan. — La signorina Susan è portata a drammatizzare eccessivamente le cose — rispose Potter, con modestia. Roland si abbandonò a una risata in sordina che lo fece sussultare. L'uomo irradiava buon umore attorno a sé. Era il tipo le cui spontanee reazioni durante uno spettacolo trascinano un'intera platea di teatro all'ilarità, e che gli amici scelgono come vittima predestinata di scherzi e tiri birboni. Dava l'idea immediata del facilone e dell'ottimista ad oltranza, che nella vita non ha mai dovuto prendere gravi decisioni. Insomma, pensò Potter, dev'essere stato il vero "cocco" della famiglia. Protetto e scusato da tutti; rimasto irrimediabilmente immaturo. — Sì, in effetti, Susan spesso è portata ad esagerare: la conosco molto bene. Pare però, che questa volta Bevan l'abbia scampata davvero bella e io non so rendermi conto di come un incidente del genere sia potuto accadere. Lui ha trascorso un'intera vita di lavoro nel settore dei farmaci e sa benissimo che bisogna usarli con la massima cautela. — E voi come state? — chiese Potter. — Vi siete ripreso? — Ho uno spaventoso mal di testa e notevoli disturbi alla vista: inoltre, se solo cerco di mettermi a sedere sul letto, mi vengono le vertigini. In quanto al resto, mi sento le ossa fracassate come se mi avesse preso a calci un mulo. Be', c'è un proverbio inglese che dice: "Nessuno è più scemo di un vecchio scemo". Alla mia età non avrei mai dovuto darmi all'equitazione: meno male che non mi sono rotto il collo. — Ma come mai siete andato a scegliere proprio quel cavallo così indo-
cile? — chiese Potter in tono casuale. — I cavalli li abbiamo trovati già pronti e sellati e io, inesperto come sono, non potevo certo riconoscerli. Non mi sono mai occupato di cavalli, sino a quando a mia cognata Dorothy non è venuta l'idea fissa di vedermi fare dell'esercizio fisico: allora ha incominciato a perseguitare me e Crystal perché ci dessimo all'equitazione. — La signora Keane deve essere una esperta amazzone, vero? — Sia lei che le due ragazze cavalcano molto bene. Potter avrebbe voluto accertare perché Roland aveva preso proprio Bess e non l'altro cavallo, ma gli parve prematuro porre delle domande che, inevitabilmente, avrebbero insospettito e allarmato l'uomo. Comunque, si disse, sembrava incredibile che l'ignoto attentatore avesse collocato l'ago nell'imbottitura della sella, senza essere ben certo dell'identità della sua vittima. In qualche modo, era evidente, doveva sapere già in anticipo che proprio su quella sella e su quel cavallo sarebbe montato Roland. — Ma com'è accaduto l'incidente? Vi è stato qualcosa di particolare che ha fatto imbizzarrire la cavalla? Roland scosse la testa sconsolato: — E chi lo sa! Forse sarò stato io a commettere qualche errore — disse poi ridacchiando. — Un'altra buona occasione, per Herbert, di prendermi in giro. — Susan mi ha chiesto di dirvi... — cominciò Potter. — Be', sì, non c'era nessun altro che volesse incaricarsi di farlo... Insomma devo dirvi qualcosa di serio circa vostro fratello... Roland notò l'espressione preoccupata di Potter e si passò la lingua sulle labbra divenutegli improvvisamente aride: — Un altro attacco cardiaco? — Temo di sì. — È molto grave? — Direi che è un caso disperato. — Poi, vedendo l'espressione affranta di Roland, Potter proseguì con voce calma: — La signora Keane questa mattina è andata per svegliarlo e... Penso l'abbiate sentita gridare... — È morto?! — Purtroppo — disse Potter. Roland scostò le coperte e si mise a sedere sulla sponda del letto. Colto da vertigini, rimase fermo per qualche istante stringendosi il capo tra le mani. Poi scoppiò goffamente in lacrime. Si riprese dopo pochi istanti e si soffiò energicamente il naso. Si udì bussare alla porta e entrò il dottor Smiley: — Come va, signor
Roland? — chiese. Poi, rendendosi immediatamente conto che qualcun altro doveva aver già comunicato la notizia della morte di Herbert, continuò in tono professionale: — Tornate subito a letto e non alzatevi prima che io abbia ottenuto il responso delle radiografie. Ora vado da Bevan MacDonald e poi sarò subito da voi. Nel frattempo, mi raccomando: non vi muovete e non mangiate. — Herbert non c'è più! Se n'è andato per sempre! — singhiozzò Roland, con voce spenta. — Anche se vi agitate così, non potete cambiare nulla. Pensate invece che ora dovrete assumere voi tutte le responsabilità di vostro fratello. Quelle poche parole del dottore riuscirono a causare una reazione imprevedibile. L'espressione iniziale di smarrimento scomparve dal volto di Roland, e venne sostituita da una di ferma dignità. — Certo — disse — ora sono io il capo della famiglia. Bisogna che mi alzi subito,.. — Prendetevela con calma — lo consigliò Potter. — Che cos'è accaduto a Bevan? — chiese Roland. Il dottore, prima di rispondere, guardò sospettosamente Potter, il quale scosse il capo e gli sorrise, per tranquillizzarlo. No, non aveva detto nulla a Roland dell'attentato alla vita di Bevan. — Niente di grave: ha commesso un errore con le dosi del sonnifero. Ora restatevene a letto sino al mio ritorno — concluse il dottore. Poi uscì non senza prima aver rivolto un'ultima occhiata ammonitrice a Potter, per raccomandargli il silenzio. Roland si abbandonò sui cuscini: — Buon Dio! — esclamò con voce spenta. La pelle gli cascava floscia dalle gote fattesi di un pallore terreo: — Buon Dio! — ripeté — ma non è possibile! Bevan non si sognerebbe mai di prendere dei sonniferi per nessuna ragione al mondo. Anzi, discuteva sempre con Herbert a questo proposito. Secondo lui, mio fratello abusava dei medicinali. Povero Herbert... non riesco a davvero a credere che sia morto. Probabilmente era preferibile che Roland continuasse a occuparsi di Bevan, invece di tormentarsi per la morte del fratello. Perciò Potter riprese l'argomento dei sonniferi: — A quanto pare, le compresse non erano di MacDonald. Sembra che provenissero da un flacone di Crystal Young. — Crystal?! Lo sguardo di Roland passò dallo stupore allo sbalordimento. — Volete dire che sarebbe stata lei, deliberatamente, a... No, non l'avrei
mai creduta capace di odiare sino a questo punto. Herbert, comunque, non avrebbe mai dovuto farla venire qui dove, prima o poi, avrebbe finito con l'incontrare Bevan. Ora però... Sì, insomma, spero non penserete di rendere pubblico l'accaduto. Almeno sino a quando Bevan non si sarà ripreso. — È al signor MacDonald che spetta decidere in merito. Roland, agitato e ansioso, non trovava requie: — Se almeno Smiley mi desse qualcosa per evitare il capogiro che mi assale quando tento di alzarmi dal letto! Così come ora stanno le cose, io sono il solo dei tre soci in grado di mandare avanti l'azienda. "Proprio quello che qualcuno non vuole che tu faccia!" pensò Potter. — A proposito del sonnifero di Crystal — continuò Roland — come potete essere certo, signor Potter, che appartenesse proprio a lei? — Il signor Potter — si intromise il dottore che era apparso sulla soglia con una espressione truce in volto — è un esaltato, e se fossi in voi gli direi di andarsene subito da questa casa. Ieri sera non ha esitato ad accusare vostra cognata di avere occultato le prove di un tentato omicidio. Se dovesse permettersi un'altra insinuazione del genere, avreste tutti i motivi per affidare la questione al legale di Herbert. Anzi, al vostro legale, ormai. Roland li lasciò entrambi stupefatti: — Ma neppure per idea! — disse. — Stavo appunto per chiedere al signor Potter di esser così cortese da volersi fermare a Summit House per qualche giorno. — Poi, sostenendo imperterrito lo sguardo irato del dottore, proseguì: — Naturalmente con il suo amico attore. Sarò loro riconoscentissimo se gradiranno la mia ospitalità. — Levò una mano grassoccia per bloccare le rimostranze del medico e proseguì: — Ed ora, caro Smiley, prima di iniziare con le radiografie, vorreste dirmi che cosa è accaduto a Herbert? — Era morto già da un minimo di sei a un massimo di otto ore. Se n'è andato nel sonno, senza soffrire. Un attacco cardiaco, ovviamente. — È certo — disse Potter all'amico Warren — che Herbert Keane andava proprio in cerca di chi gli saldasse il conto. Non mi è mai capitato di conoscere uno che si desse tanto da fare per rendersi odioso a tutti e per farsi giudicare una carogna. Eppure non possiamo permettere che il suo assassino la passi liscia. — Se non sbaglio, tu dai una grande importanza a quanto ha dichiarato l'infermiera, al fatto, cioè, che ieri sera la bottiglietta della digitale era ancora a metà. — L'infermiera dice la verità. Può darsi che sembri un poco svanita, ma
non per questo è trascurata nei suoi doveri professionali. — Credi che il dottore sappia del flacone di digitale vuoto? — Keane è stato a un pelo dal lasciarci la pelle per un attacco cardiaco, circa un mese e mezzo fa. Perciò il dottore può avere trovato normale l'improvviso decesso, senza andare a cercare altre spiegazioni. — Perché non gli hai parlato tu della digitale? — Ho ripensato a quel lascito all'ospedale. Potrebbe essere stato un buon motivo per eliminare Keane al più presto. Ma, in tal caso, perché mettere in allarme il dottore parlandogli del flacone vuoto? — Buon Dio! Non penserai che sia stato proprio il dottor Smiley? — Ho detto solo che potrebbe essere stato lui. D'altra parte, vi sono stati l'incidente di Roland e l'intossicazione di MacDonald, che chiaramente non possono essere attribuiti al suo intervento... a meno, però, che non avesse un complice... — Comincio ad avere l'impressione che qui ci sia qualcuno intenzionato a fare strage di questa gente — commentò Warren. — Non avremo per caso a che fare con un maniaco omicida? Nota, poi, come si diverte a variare la sua tecnica: prima un ago; poi il sonnifero e infine la digitale! — Hai dimenticato la pistola di Susan — insinuò Potter. — Balle! Quella ragazzina non sarebbe mai capace... — l'attore si interruppe per fissare preoccupato l'investigatore. — Era evidente che lei stava solo scherzando: e tu lo sai benissimo! — Affatto. A me è sembrato che facesse maledettamente sul serio. — Non essere idiota. Susan è solo una deliziosa piccola svitata... forse un po' troppo impulsiva, questo è vero, ma non avrebbe mai premuto il grilletto. — Ne sei proprio sicuro? — Sei completamente suonato. Susan è inoffensiva, basta guardarla per capirlo. — Ieri sera hai detto le stesse cose di Crystal: si direbbe che per te l'animo femminile non presenti incognite. Un'amara vibrazione nella voce di Potter, indusse Warren a lasciar cadere l'argomento. Erano corse delle voci, qualche tempo addietro, e ora l'attore se ne era ricordato, che Potter fosse stato pazzamente innamorato di una ragazza che si era poi rivelata una criminale omicida ed era finita in carcere, dove ancora doveva trovarsi. — Roland, come ha reagito alla notizia? — chiese Warren. — Ovviamente mi sono ben guardato dal dirgli che Herbert è stato as-
sassinato. Era già abbastanza penoso dovergli comunicare che suo fratello era morto e che il socio è a letto, conciato per le feste. Naturalmente, se la scomparsa di Herbert lo ha sconvolto, l'incidente capitato a MacDonald l'ha messo definitivamente a terra. Ma solo per qualche istante: si è ripreso subito e, nonostante la sua disperazione, penso che l'idea di esser divenuto il capo famiglia lo lusinghi e gli piaccia. Si comporta e ne parla con l'entusiasmo di un ragazzo. — E noi, ora, che cosa faremo? — chiese Warren. — Io mi fermo qui e penso che altrettanto farai tu. Entrambi sappiamo bene che se ce ne andassimo, una volta sepolto Herbert, l'intera faccenda verrebbe messa a tacere e l'assassino sarebbe libero di andarsene tranquillamente a passeggio, contento d'averla fatta franca. — Allora, tu rimani? — Allora noi rimaniamo! — lo corresse Potter. — A proposito, quelli del teatro come hanno accolto la notizia che hai le costole rotte e sei fuori uso? Warren sogghignò: — Si è scatenato un putiferio. L'impresario me ne ha dette di tutti i colori e i finanziatori dello spettacolo stanno facendo il diavolo a quattro. Non hanno torto: pensa agli affitti che hanno già pagato ai teatri nelle altre città; alle paghe del personale; alle spese per gli scenari e ai biglietti già venduti da rimborsare... Insomma, una vera rovina. — A quando avete rinviato la prima? — Non ci sarà nessuna prima — rispose l'attore. — Si trattava di un breve tournée di sole sei settimane e il dottore dice che ora io dovrò stare a riposo per almeno quindici giorni, prima di essere in grado di sostenere una parte come quella di Otello, che prevede tutte quelle convulsioni da epilettico e quei gesti violenti. Inoltre, l'attrice che doveva fare Desdemona era già stata scritturata per un lavoro di Tennessee Williams, le cui prove inizieranno fra un mese. Così del mio spettacolo non se ne farà più nulla. — C'è un solo modo, per me, di porre rimedio all'accaduto — disse Potter costernato. — Quando sarai pronto per l'Otello, finanzierò io lo spettacolo. — Che bella cosa essere ricchi! — commentò Warren, sogghignando. — Comunque ti ringrazio, ma rifiuto. So che la tua è una offerta sincera, ma sono ben lieto di cavarmela con onore, salvando la faccia, senza dover recitare in una parte per la quale, come ho capito fin dal principio, non sono affatto tagliato. Potresti invece fare il finanziatore di un "Antonio e Cleopatra" con me e Crystal come interpreti. Pensa che fantastica Cleopatra sa-
rebbe lei: è l'unica attrice che io ritenga capace di recitare in quella parte, senza far pensare a una sirena da strapazzo o a una volgare sgualdrinella. — Quando metterai in scena "Antonio e Cleopatra" con Crystal Young, non avrai certo bisogno del mio aiuto economico. Troverai cento impresari disposti a finanziarti. Comunque, se davvero pensi di prendere Crystal come tua compagna in teatro, farai bene a trovare subito qualche prova convincente che non è stata lei a servirsi del suo sonnifero per eliminare MacDonald. — Non può assolutamente essere stata Crystal! — affermò caparbio l'attore. — Caro Warren, tieni presente che io non sto accusandola. Spiegami, però, per quale motivo Crystal ha imposto la sua presenza in una casa dove la padrona la odiava anche perché la vedeva amoreggiare apertamente col proprio marito. E poi, come mai Bob Murphy è venuto in possesso di un'auto di lusso che era di Crystal? L'ha ottenuta per mezzo di un ricatto? E in tal caso, per quale ragione? In qual modo lui è riuscito a disporre del denaro necessario per aprire in proprio un laboratorio? — Eccoci dunque ritornati all'accusa di Susan: l'assassino è Murphy — concluse Warren. — Certo, io non ho trascurato neppure questa ipotesi — disse Potter — ma lui non può essere accusato della caduta di Roland: era a New York con Hope, quando qualcuno ha sellato i cavalli, e io ringrazierei il cielo se potessi sapere chi se n'è incaricato. Tuttavia non posso mettermi a indagare in proposito, perché scoprirei troppo presto le mie carte. Una cosa è certa: quello zotico di Bates, lo stalliere, non è stato. Ecco quindi un lavoretto per te, Warren: guardati d'attorno e fingiti appassionato di ippica: ma fallo con molta naturalezza e stando bene attento a quello che dici, perché questa gente, di cavalli, se ne intende! — Lascia fare a me. Ora però stavo pensando alla signora Keane: se non sbaglio, è stata proprio lei a indurre Roland a fare dell'equitazione. Inoltre sappiamo che non voleva bene al marito... e tu stesso l'hai sentita parlare di un grave rischio che aveva paura di affrontare... — Ci ho già pensato anch'io — disse Potter. — Comunque so, almeno, con chi stava parlando vicino alla piscina. — E raccontò all'attore della telefonata di Dorothy a un certo John. — John?! — esclamò Warren — quasi certamente deve trattarsi di quel giornalista, John Miller, autore degli articoli contro la Keane Chemical Co. — Si alzò dalla poltroncina e, passandosi una mano sulle guance, prose-
guì: — Dovrei farmi la barba e cambiarmi la biancheria. — Ho già mandato a chiamare Tito — lo informò Potter — perché ho del lavoro da affidargli. Fai una lista di quello che ti serve per restare qui qualche giorno e lui ti porterà tutto. — Conti di arrivare presto a un risultato positivo? — Non lo so — rispose Potter. — Comunque, se entro quarantotto ore, non riuscirò a risolvere quest'affare, andrò a riferire tutto alla polizia e se la sbrigheranno loro. — Figurati come ti saranno riconoscenti per averli tenuti all'oscuro così a lungo di tutta la faccenda! — Si tratta, in ogni caso, di una brutta gatta da pelare e non ne saranno certo entusiasti. Bisogna ricordare che Keane era il notabile locale più in vista. — Bisogna ammettere che non sei proprio il tipo che teme le grane. — Be' — disse Potter — in questo caso non c'erano possibilità di scelta. L'attore rise divertito: — Per uno come te, no di certo! ma chiunque altro, al tuo posto, avrebbe già tagliato la corda alla massima velocità. Poiché Potter non gli rispose, l'attore si rese conto dell'inutilità della discussione e cambiò argomento: — Ma dov'è finita tutta questa gente? Se almeno si facesse viva la piccola Susan, potrebbe alleviare il dolore delle mie ossa rotte, tenendomi la mano tra le sue. — Vecchio sporcaccione — esclamò Potter, in tono severo — smettila di fare il seduttore di giovinette! Warren ridacchiò divertito: — Vedrai se non riuscirò a domare quella bella ragazzina orgogliosa. — Per ora la tua ragazzina sta lavorando come una negra. Affronta coraggiosamente e da sola la stampa, le visite di condoglianza, riceve le telefonate, e via dicendo. Roland, invece, è ancora a letto, ma domani potrà alzarsi. Certo, è stato fortunato; un tipo con le ossa fragili e un cranio di carta-velina come lui, aveva almeno novanta probabilità su cento di finire a pezzi, cadendo in quel modo da cavallo. Invece, a quanto pare, se l'è cavata senza nulla di grave. Hope, assiste MacDonald... A proposito, sono sicuro che il dottor Smiley lo avrebbe spedito all'ospedale, se non avesse avuto timore di dover fornire dei chiarimenti imbarazzanti. L'infermiera, Vilma Thomas, è stata in piedi tutta la notte e ora, poveretta, o è andata a dormire, oppure starà piangendo il suo defunto eroe. In quanto alla signora Keane, quando ha trovato il marito morto, ha avuto un collasso e ora è a letto.
— E piange anche lei il defunto eroe? — chiese Warren in tono ironico. — È del tutto improbabile — dichiarò Potter sorridendo. — Sa della digitale? Potter scosse le spalle: — Se non lei, qualcuno tra questa gente lo sa di certo! — rispose deciso. — In quanto a Vilma, pare che abbia deciso di stare abbottonata e di non aprire bocca. Si interruppe e, dopo esser rimasto un attimo con l'orecchio teso, aprì la porta e sbirciò nel corridoio. Dal primo piano giungeva un rumore di gente che percorreva il corridoio. Poi un gruppo di persone scese le scale lentamente e con difficoltà per l'ingombro e per il peso che trasportavano. Herbert Keane stava lasciando per sempre Summit House. Richiuso l'uscio, Potter restò a fumare silenzioso e assorto, mentre Warren lo fissava cercando di indovinarne i pensieri dall'espressione. Un'impresa che non era mai riuscita neppure a gente molto più perspicace dell'attore. Infine, per rompere il silenzio che minacciava di protrarsi a lungo, Warren chiese: — E Crystal, dov'è andata a finire? — Sta facendo un giretto in macchina con Bob Murphy. — Allora non ha intenzione di lasciare la villa? — Neanche per idea — disse Potter. 7 Quando Potter lasciò la camera dell'amico, il corridoio era vuoto e silenzioso. Dal basso però giungeva l'eco di un affaccendarsi che sembrava aumentare di minuto in minuto. Telefono e campanelli squillavano incessantemente. La porta della camera di Herbert era chiusa, e Potter, dopo averla aperta senza fare il minimo rumore, vi entrò. Poi, spostandosi a piccoli passi, sempre nel massimo silenzio, osservò attentamente tutte le pareti e ispezionò minuziosamente soffitto e pavimenti. Infine si avvicinò al letto ancora disfatto ed esaminò attentamente la coperta scarlatta, in cerca di qualche frammento di vetro come quello che gli era rimasto infilato nella manica e aveva ferito l'infermiera. Ma non trovò alcun indizio che nella camera fosse stata rotta una bottiglia o un bicchiere: anche i cocci di quello infranto dall'infermiera erano stati accuratamente spazzati. Del gesto di Vilma restava, come unica traccia, una macchia biancastra sul bordo del ripiano superiore del comodino. Col fazzoletto, Potter raccolse con cura quel residuo di yoghurt e si rimise in tasca il fazzoletto accanto alla busta che conteneva le due schegge di
vetro e l'ago. Poi passò la punta delle dita sul tappeto e sulla coperta, finché una lieve puntura a un polpastrello non gli rivelò la presenza di un frammento di vetro. Ma era talmente minuscolo, che Potter non riuscì a ricuperarlo. Ora però si sentiva quasi certo di una cosa: quei frammenti di vetro non appartenevano a un oggetto che si era rotto nella stanza, ma dovevano essere stati portati da qualcuno nei cui indumenti erano rimasti forse impigliati. Inoltre, era pronto a scommettere che le due schegge, quella trovata tra i cespugli e quella finita nel tessuto della sua manica, provenivano da uno stesso oggetto che l'uomo misterioso della brughiera doveva avere rotto, in un momento e in un'occasione imprecisabili, prima di entrare in quella stanza. Poi gli giunse la voce di Warren: da esperto attore, il suo amico aveva saputo scegliere la tonalità esatta che giudicava necessaria per farsi sentire da Potter, senza però alzare la voce più del necessario. — Il signor Potter? Deve essere a pianterreno. Potter attese sino a quando non udì spegnersi il rumore di passi nel corridoio, e, dopo un'ultima, lenta occhiata attorno a sé, lasciò la stanza e scese al pianterreno. Come si aspettava, vi trovò Tito che lo stava attendendo. Era un forzuto ex-scassinatore che Potter teneva con sé come cameriere e aiutante. Ora si era accuratamente rasato e una volta tanto indossava abiti decenti. Come vide Potter, si mise a gesticolare fingendo terrore e disperazione, con movenze comiche e stravaganti: — Ci siete già riuscito! — esclamò sogghignando. — Che cosa diavolo intendi dire? — Voi arrivate in un posto, e subito ci scappa il morto! Ho visto la corona funebre alla porta. Domattina apriremo i giornali e ci troveremo scritto: "L'investigatore Potter trova un altro cadavere". Ma perché non vi scegliete qualche hobby innocuo, invece di ficcarvi sempre nei guai?! — Stai tranquillo, Tito — rispose Potter sorridendo — questa volta nessuno farà il mio nome. Eccoti piuttosto una lista delle cose di cui avrò bisogno per un paio di giorni. C'è anche l'elenco di quello che serve al signor Warren. Dopo essersi guardato rapidamente d'attorno, diede sottovoce, le istruzioni a Tito mentre questi lo ascoltava, un po' chino in avanti, nell'atteggiamento del perfetto cospiratore. — Questa busta contiene delle schegge di vetro, un ago e un mio messaggio — disse Potter. — Portala subito al tenente O'Toole, della Squadra
Omicidi. Gli darai anche quest'altra busta: c'è dentro un fazzoletto sporco di yoghurt. Lui saprà cosa deve farne. Qui — proseguì mentre estraeva una bottiglietta di tasca — c'è un po' di vomito di MacDonald, che all'analisi risulterà contenere dei barbiturici, unitamente alle tracce di un liquore alla menta. Di' al tenente che si metta subito al lavoro. — Secondo me, vi fate delle illusioni — disse Tito — se credete che O'Toole si occuperà personalmente dei vostri sudici reperti, solo perché lo avete aiutato a far carriera nella polizia. Vedrete che lui farà subito regolare rapporto ai suoi superiori. — Bada ai fatti tuoi — disse Potter seccato. — E non impicciarti delle cose che non capisci. — Signor Potter! — obiettò Tito. — Con tutti i pasticci in cui andate sempre a ficcarvi non dovreste disprezzare e respingere l'opinione degli amici fedeli come me. Prima o poi, finirete davvero col mettervi in qualche guaio serio se non darete retta ai consigli di chi vi vuol bene. Può anche darsi che vi cacciate in qualche pasticcio da cui non riuscirete a cavarvela da solo. — Non mi meraviglierei che tu avessi ragione, Tito — ammise Potter, con calma. — Spero di non avervi importunato — si scusò Roland — ma è così deprimente dover restare a letto ad annoiarsi. In ogni caso, desideravo parlarvi. — Nessun disturbo, prego! — disse Potter. — Piuttosto, quale è stato il referto del medico? — Pare che io me la sia cavata solo con qualche strappo muscolare. Infatti accuso dei dolori solo se mi muovo, ma nulla di più... — Si interruppe, per aggiungere poi con una certa ansia: — Allora resterete con noi, vero? Mi rendo conto che sto esigendo molta sopportazione da parte vostra, visto il debito di riconoscenza che abbiamo nei vostri confronti e il trattamento con cui invece siete stato ricambiato. Ma, credetemi, mia cognata Dorothy era sconvolta e ha detto cose che non pensava. In quanto al dottore, effettivamente ha passato le misure: ora che Herbert è morto, pensa, evidentemente, di poter dare ordini. Ma si sbaglia di grosso. — Sarò lieto di restare qui... Ovviamente se la signora Keane sarà d'accordo. — Le parlerò io — disse Roland — e in ogni caso la villa appartiene sia a me che a mio fratello: quindi ho tutti i diritti di ospitare chi mi pare. E,
dopo quello che Bevan ha raccontato a Susan circa la vostra abilità di investigatore, ritengo indispensabile che rimaniate qui. La diversità dei due fratelli era molto più evidente ora, di quanto Potter avesse notato il giorno prima. L'elemento più caratteristico della personalità di Herbert era stata l'istintiva sicurezza. Roland, invece, per occupare degnamente il posto che ora gli spettava di capo famiglia, si sforzava di simulare un'inesistente fiducia in se stesso. — Susan pensa che sia stato Murphy a tentare di uccidere Bevan, servendosi del sonnifero e valendosi, magari, della complicità di Crystal — continuò Roland. — Io, certo, non riesco a crederlo. Però, di una cosa sono ben sicuro: Bevan non è tipo da prendere sonniferi. — Sapete — disse Potter — ero presente quando hanno fatto la lavanda gastrica a Bevan e ho prelevato qualche campioncino... Ora manderò quella roba a New York perché venga esaminata. Penso che i tecnici della polizia accerteranno che le compresse di sonnifero erano disciolte nel liquore. Inoltre ho raccolto un certo numero di altri... — Indizi?! — fece Roland, interessatissimo. — E di che genere? — Nulla di speciale. Si tratta solo di alcune schegge di vetro e, pensate un po', di un ago. Il problema, signor Keane, ora è di Potter, notando l'espressione sconcertata del suo interlocutore, si interruppe: — Scusatemi — disse Roland — ma per tutta la vita sono sempre stato chiamato signor Roland; perché il "signor Keane" era sottinteso che fosse Herbert. Sono molte le cose, vedo, cui dovrò fare l'abitudine. Ma, vi prego, continuate. — Il problema — riprese Potter con voce calma — è questo. A chi realmente era destinato il sonnifero? Era proprio MacDonald che doveva essere eliminato? Può anche darsi che l'assassino abbia commesso uno sbaglio, con tutti quei bicchieri praticamente identici... Roland lo fissò sconvolto. — Santo cielo! pensate che... — Non so che cosa pensare. Certo, quando ho trovato MacDonald intossicato, la mia prima impressione è stata che qualcuno avesse commesso un grave errore. Insomma, per parlarci chiaro, se invece di MacDonald l'avvelenato fosse stato vostro fratello, non mi sarei affatto stupito. Per tutta la sera avevo notato l'ostilità di cui era oggetto: una ostilità acuta ed evidente. Ma non è possibile accusare qualcuno, almeno per il momento. L'unico fatto certo, per ora, è che MacDonald non ha preso volontariamente quella dose massiccia di sonnifero. Roland annuì: — Di questo possiamo essere sicuri, Bevan non usa mai
medicinali. Di nessuna specie. — Il sonnifero può essere stato disciolto solo nel liquore servito dopo cena, perché nel pomeriggio non è stato offerto nulla da bere. Quando la signora Keane ha visto che nessuno voleva il caffè, lo ha rimandato in cucina e ha fatto servire solo quel liquore alla menta. Non riesco però a capire chi può avere sottratto le compresse di sonnifero dalla borsetta della signorina Young. Inoltre, non si sa neppure con certezza chi dovesse essere la vittima. Roland si fece pallido, mentre la mano con cui tratteneva il lenzuolo all'altezza del petto prese a tremare come per un attacco di nervi. — Signor Potter — proruppe — mi nascondete qualcosa! Dovete dirmi tutto. — Non c'è altro, credetemi. Il resto è pura ipotesi, supposizioni. — Supposizioni? Ditemi almeno quali sono — incalzò Roland, con impazienza. — Chi avrebbe controllato la Keane Chemical Co., se i tre suoi azionisti fossero morti? — Tutti e tre? — chiese Roland. — Proprio tutti e tre, contemporaneamente? Il suo viso era una maschera indecifrabile. Potter non rispose, e Roland se ne restò immobile, con lo sguardo fisso sulla propria mano grassoccia. — Ebbene — disse infine — nessuno aveva previsto che noi tre si potesse morire contemporaneamente. Era del tutto improbabile un evento del genere! Comunque, io avevo disposto che, se fossi morto, il mio terzo delle azioni sarebbe andato a Herbert, e ritengo che lui avesse disposto nello stesso modo a mio favore. In quanto a Bevan, deve senza dubbio avere già destinato il suo terzo a me o a mio fratello. Vedete, Potter, noi tre ci siamo sempre sentiti vincolati moralmente al desiderio di mio padre, che le azioni dell'azienda non finissero in mano estranee. Ma perché tanto interessamento da parte vostra per i tre soci della Keane Chemical? — In primo luogo — rispose Potter — c'è il fatto di Bevan MacDonald al quale è stata somministrata una dose di barbiturici sufficiente per spedirlo al creatore... vostro fratello è morto questa notte, e Vilma, l'infermiera, per quanto per ora voglia tenere la bocca chiusa, finirà necessariamente col testimoniare che è scomparsa, in modo inspiegabile, addirittura mezza bottiglia di digitale. — Maledizione — esclamò Roland — deve esserci un errore... un equivoco. Non posso credere che...
— Ieri nel pomeriggio — incalzò Potter — la cavalla che montavate vi ha fatto fare un bel volo. E voi, come tutti sanno, non avete le ossa molto robuste. Anzi, se cadendo non vi siete rotto la testa, è stato un vero miracolo. — Sì, ma... — Ditemi, chi è stato ad assegnarvi i cavalli? — Be' — rispose Roland esitando — io ho scelto Bess perché era quella con la sella... che Dorothy mi ha regalato per il mio compleanno. — O.K.! Questo spiega il perché della vostra scelta. Ma, a quanto pare, Bess non è mai stata domata, e non è quindi adatta per l'equitazione. Inoltre, per essere ancor più sicuro che la cavalla vi avrebbe disarcionato, qualcuno ha collocato un ago nel sottosella, in modo che il vostro peso lo facesse conficcare nel dorso della povera bestia. Infine, quando io, vostro fratello e Miller siamo venuti a soccorrervi, nella brughiera, c'era qualcuno che scappava nascondendosi tra i cespugli. Ritengo che avesse appena tentato di riprendere l'ago, senza però averne avuto il tempo. — Ne siete certo? — chiese Roland incredulo. — Ho visto solo del movimento e il brillare di una scarpa lucida, tra le foglie. Questo è tutto. Roland si rilassò, appoggiandosi ai cuscini. Potter chiamò la cameriera e si fece portare due brandy. Roland bevve il suo in un solo sorso: la mano gli tremava in modo tale, che quasi lasciò cadere il bicchiere mentre tentava di posarlo sul comodino. Dopo alcuni minuti di silenzio, chiese: — E ora, che cosa intendete fare? — Cercherò di scoprire questo astutissimo criminale, soprattutto per evitare che faccia altre vittime. — Credete di riuscirci? — Lo spero. In caso contrario, dovrò riferire tutto alla polizia. — Prima però, vi prego, tentate da solo! Vedete, signor Potter, mio fratello avrebbe certo deprecato uno scandalo che, tra l'altro, determinerebbe il crollo delle nostre azioni in borsa. — Farò il possibile — promise Potter — ma dovete rendervi conto, signor Roland, che non sarà possibile mantenere molto a lungo il silenzio su quanto è accaduto. L'assassinio non è un gioco di società. — Grazie comunque per quello che potrete fare: non ho parole sufficienti per esprimervi la mia riconoscenza. Continuo però a sperare che siate in errore e che non si tratti di assassinio. — Cambiò posizione sul letto e chiese: — Che ora è? Forse dovrei vergognarmi ad ammetterlo, ma ho una
fame da lupo. — Sono quasi le sei. — Mi farò portare da mangiare in anticipo — decise Roland. — Oh! C'è un'altra questione di cui voglio parlare, Potter. Susan è così preoccupata per il fidanzamento di Hope, che oggi nel primo pomeriggio mi sono sentito in dovere di parlare a Bob Murphy. Volevo vederlo da solo e scambiare quattro chiacchiere con lui, per valutarne la personalità: che volete, quando lavorava qui non gli avevo mai prestato la minima attenzione. Ebbene, quando è salito da me, era insieme a Crystal. Lei ha detto di essere venuta per salutarmi, per farmi le condoglianze, eccetera, eccetera. Ma io, vedendola con Bob, non ho potuto fare a meno di ripensare a quello che dice Susan, e cioè che Crystal, ieri sera, ha voluto esibirsi nel suo recital per distogliere l'attenzione dei presenti da Bob, in modo che lui potesse manipolare a suo piacere i liquori. Francamente, mi pare una ricostruzione macchinosa e incredibile, ma ormai non so più neppure cosa pensare. Potter, che era portato per istinto a lasciar parlare il prossimo, annuì, e, più che mai interessato, continuò a osservare attentamente il suo interlocutore. — Caro Potter — proseguì Roland — io non capisco molto della situazione. Ma di una cosa sono ben certo: Crystal ha paura di quel giovanotto. Lo teme! Per tutto il tempo che sono stati da me, lei praticamente non gli ha tolto gli occhi di dosso, come se stesse in guardia e lo sorvegliasse. E questo non mi piace. Non tanto per quanto riguarda Crystal, che è una donna navigata, capace di badare a se stessa. Ma io non voglio che Hope faccia un matrimonio sbagliato. Mia nipote ha un sacco di buone qualità! Può darsi non sia bella come Susan, ma è una gran brava ragazza e merita un marito migliore di quel gaglioffo. — La madre, che cosa ne pensa? — chiese Potter. — Be', anche a questo proposito la situazione non è semplice — spiegò Roland. — Dorothy dopo le sue personali esperienze con la zia non vuole interferire e crede di far bene astenendosi da qualsiasi intervento o pressione sulle figlie. Ho sempre pensato anch'io che sia stata quella sua dannata zia a costringerla, o quasi, a sposare mio fratello. Dorothy era vedova con due bambine, e non aveva alcun reddito. Così che la signora Fostic a un certo punto si stancò di mantenerla. Questa, per lo meno, è la mia opinione. — Ma i Clayton Fostic sono gente che potrebbe permettersi di mantenere un intero reggimento senza accusarne il peso economico — osservò Pot-
ter. — Sarà, ma quando riuscirono a trovare un Herbert che li sollevasse dal peso di Dorothy e delle figlie, ne furono ben lieti. Comunque, si trattò di un pessimo affare per entrambi i coniugi: per Herbert, che adorava la moglie e che rimase deluso, e per lei, che, per denaro, accettò di sposare un uomo di cui non era innamorata. Herbert, poi, commise un altro sbaglio quando le rifiutò il divorzio. Dorothy è una bella, anzi una bellissima donna, che attira gli uomini e non è insensibile alle loro attenzioni. Potter chiese qualche chiarimento, e Roland spiegò che Dorothy aveva chiesto a Herbert di concederle il divorzio, molti mesi prima. Roland non conosceva bene i particolari, ma gli era parso evidente che i due non andavano d'accordo. D'altra parte, già da un anno non dormivano più insieme. A un certo punto vi era stata anche una terribile scenata fra i due, ma poi tutto era tornato tranquillo, almeno in apparenza. — Qual era la posizione di Crystal Young nel quadro di queste lotte tra i due coniugi? Roland rispose in tono sostenuto: — L'interessamento di Herbert nei confronti di Crystal derivava da semplice cortesia. — Davvero? — fece Potter, scettico. — Lei, a un certo punto, era divenuta un'alcolizzata, ma poi pare sia riuscita a smettere di bere... No, anzi, sono certo che è riuscita a guarire. Ma durante la permanenza in clinica per curarsi, ha esaurito tutte le sue risorse economiche, così che quando poi è uscita, ha avuto bisogno di un posto dove stare almeno temporaneamente, perché non aveva più un centesimo. — Era una vecchia amica di vostro fratello? — Santo cielo! sì. Si conoscevano da anni, da quando lei era ancora la moglie di Bevan MacDonald... Potter si rizzò di scatto sulla poltrona. — Che cosa avete detto? — esplose. Roland si mostrò sorpreso: — Come, non lo sapevate? Sono stati sposati, ma solo per breve tempo. Sei mesi o forse meno. Non sono mai andati a letto insieme. Matrimonio non consumato! — Divorzio? — Annullamento: ottenuto da Bevan. Subito dopo lei ha cominciato a bere, ma poi è riuscita a controllarsi e a fare una rapida e brillante carriera come attrice teatrale. Purtroppo, quattro anni dopo è ricaduta nel vizio e ha dovuto entrare in clinica per disintossicarsi. — Deve essere stato imbarazzante per vostro fratello avere in casa l'ex-
moglie del socio. — Be', non saprei. Herbert fa... anzi, faceva tutto quello che più gli andava a genio, senza mai curarsi dell'opinione del prossimo. Comunque, erano mesi che Bevan non veniva in casa nostra. — Dissapori tra soci? — Oh, no! Nulla del genere. Solo che, dopo esser stati ogni giorno insieme in ufficio, tutti noi impieghiamo il nostro tempo libero come meglio preferiamo. — Siete davvero certo che Herbert non avesse una relazione con Crystal? — Be' — ammise Roland con una lieve aria di sfida — se anche l'avesse avuta, non ci sarebbe stato nulla di strano. Lui era un bell'uomo e Crystal è una creatura tuttora affascinante. Se poi tenete conto del fatto che Dorothy e mio fratello vivevano ormai da tempo come due estranei... — Penso che se la signora Keane desiderava divorziare, dovesse avere a sua volta qualche complicazione sentimentale. Roland scosse la testa: — È una donna così riservata e chiusa che sarebbe stato difficile capirlo. — Comunque, non dovrebbe esistere alcun legame neppure tra lei e MacDonald, vero? — Buon Dio, no! A Bevan è stata sufficiente l'esperienza matrimoniale con Crystal, per renderlo allergico alle donne per tutta la vita. Questo però non esclude che lui non possa essersi sentito lusingato dalle... chiamiamole così, attenzioni di Dorothy. E come definirle altrimenti? Lei è bellissima, abituata ai corteggiatori e a essere sempre al centro delle attenzioni maschili, che cerca di attirare su di sé con qualsiasi mezzo. Quindi, anche se avesse un poco incoraggiato Bevan, questo non vuol dire che tra loro ci sia mai stato qualcosa di serio. — Roland levò lo sguardo verso la cameriera che era apparsa sulla soglia: — Che cosa c'è? — chiese. — L'avvocato Lincott chiede di voi, signore. — È al telefono? — No, aspetta in biblioteca. Dice che, se potete lasciare il letto, desidererebbe vedervi e parlarvi. — Vengo subito. Mentre Potter si alzava dalla poltrona, Roland gli disse quasi sogghignando: — L'avvocato Lincott è quel tizio a cui avrei dovuto ricorrere, secondo il
dottor Smiley, perché bloccasse le vostre sinistre iniziative. Ma io, ora, rinnovo la richiesta che restiate qui con noi ad aiutarci. Strano, vero? Sono arrivato alla bella età di cinquantasei anni, e questa è la prima decisione che io abbia mai preso da solo. 8 Il maggiordomo avvertì Potter che gli aperitivi erano serviti nel salotto di ponente. Era un locale situato oltre la biblioteca, di dimensioni limitate, arredato con ottimo gusto e tappezzato con stoffa a vivaci colori. Al centro spiccava un bellissimo tavolo intarsiato in madreperla. Potter pensò che evidentemente la signora Keane desiderava ritrovarsi in un ambiente il più diverso possibile da quello della sera precedente. Nessuno si era cambiato per la cena. Quando Potter e Warren erano entrati nel salotto, vi avevano trovato solo Dorothy Keane. L'attore, che torreggiava a fianco dell'amico mingherlino, non solo sembrava ormai essersi totalmente ripreso, ma ostentava tutto il suo fascino di divo consacrato dalla fama e dalla bellezza. Poiché però questo non era l'atteggiamento normale di Warren, Potter pensò che l'amico avesse deciso di far sfoggio di sé, nella speranza di conquistare rapidamente Susan. Dorothy Keane, in piedi davanti a una finestra, voltava loro le spalle, intenta a guardare il buio della notte. Indossava una veste di lana color perla, con una cintura di cuoio nero; due orecchini d'onice erano l'unica concessione al lutto. Quando Dorothy si volse, Potter, che aveva dimenticato quanto fosse bella, rimase a fissarla colpito. Nel viso di lei, pur tormentato per la tensione, e negli occhi infossati, vi erano una nuova pace interiore e una serenità che Potter non aveva notato in precedenza. Eppure in quella casa non vi erano state certo né pace né serenità, nelle ultime ore. Per tutto il giorno il telefono non aveva fatto che squillare, mentre giungevano ininterrottamente fiori e corone. Anche il personale di servizio, che pure era efficiente, era apparso depresso per la morte del padrone di casa e stanco per il supplemento di lavoro causato dalla necessità di dover accudire tre persone a letto. Ma nulla di quello sconvolgimento sembrava avere influito sulla vedova e averne scalfito neppure superficialmente la nuova serenità, che, secondo Potter, lei aveva saputo imporsi solo con un duro sforzo. Dorothy venne loro incontro:
— Signor Xavier — disse — ho appena saputo che siete costretto a rinunziare alla vostra tournée. Ne sono sinceramente desolata. — Poi si volse a Potter e, arrossendo lievemente, proseguì: — Noi, ...Roland e io, cioè... desideriamo che, se vi è possibile, vi tratteniate a Summit House per qualche giorno. Sarebbe molto gentile da parte vostra, se acconsentiste. Roland doveva avere già parlato alla cognata convincendola a modificare l'atteggiamento nei confronti degli ospiti. Appariva inoltre evidente che Dorothy desiderava che le venissero evitate, se possibile, le condoglianze e le solite frasi di circostanza. Tornò alla finestra e riprese a guardare nel buio della notte. — "I giorni delle tenebre sono tornati"' — recitò lei con voce rotta. — "E io odio veder scomparire la luce. I giorni luminosi sono finiti" — continuò Warren, inaspettatamente: — "E noi corriamo verso il buio". Dorothy sembrò rabbrividire: — Strano! — commentò poi — dei versi così belli, per esprimere un concetto così sinistro. Shakespeare presenta la morte in modo tale, da renderla quasi gradevole. — Questo signore — intervenne John Miller, che era entrato in quell'istante — deve essere lo sfortunato attore che si è rotto le costole. Distolse lo sguardo miope da Warren e, guardandosi d'attorno indeciso, finì col dirigersi verso Dorothy, rischiando però di finire su di un'ottomana che si trovava lungo il percorso. I suoi occhi, tra le palpebre socchiuse, avevano quello sguardo curiosamente indifeso, caratteristico di chi, abituato a servirsi degli occhiali, se ne trova improvvisamente privo. — Me ne vado subito — assicurò a Dorothy. — Sono venuto unicamente per dirvi che mi considererò fortunato se potrò rendermi utile in qualche modo, a voi e alla vostra famiglia. — Vi prego, fermatevi almeno a bere qualcosa con noi. — Dorothy aveva formulato l'invito con una voce fattasi più vibrante, distogliendo subito dopo lo sguardo da quello di Miller. Ma Potter, che aveva notato la rapida occhiata di lei, ne fu profondamente sorpreso. "Buon Dio" pensò, "ecco di chi è innamorata! È evidente come se l'avesse scritto in faccia. Così, dopo tutto, non si tratta di MacDonald, o, per lo meno, non si tratta più di lui". — Signor Potter, possiamo chiedervi di prestarvi ancora una volta come barista? — Mentre Potter si affaccendava con bottiglie e bicchieri, Miller si intrattenne a parlare con Warren, sforzandosi di non guardare troppo spesso in direzione della bella vedova. — Spero che il signor MacDonald non sia peggiorato — disse Potter a
Dorothy, dopo aver terminato il suo compito di barista. — No, sta meglio, e sembra riprendersi rapidamente. Certo, resta inspiegabile come abbia potuto intossicarsi coi sonniferi... — Dorothy si girò e vide Roland: — Roland, caro, non avresti dovuto alzarti! Roland aveva un colorito terreo. Visto in piedi, appariva ancora più massiccio e grasso di come lo ricordava Potter, tanto più che una sgargiante vestaglia a larghe strisce ne accentuava la mole. Si fece avanti e, posate le mani sulle spalle di Dorothy, le chiese: — Come te la cavi, mia cara? Aveva gli occhi pieni di lacrime. — Benissimo. Soltanto, sono preoccupata per te. Il dottor Smiley voleva che tu restassi a letto ancora tutto domani. — Il dottore è un despota, e io sono stufo di farmi tiranneggiare da lui. Oh, buona sera, signor Miller. E voi dovete certo essere Warren Xavier — aggiunse rivolgendosi all'attore. — Non avrei mai sperato d'avere l'onore di vedervi in carne e ossa in casa mia: peccato che, per consentire a noi questo piacere, abbiate dovuto subire una bella batosta. — Zio Roland! — Hope e Susan, appena entrate, corsero ad abbracciarlo. Il contrasto tra le due sorelle appariva ancora una volta stupefacente. — Non ti saresti dovuto alzare! — disse affettuosamente Susan. — Lascia in pace lo zio — intervenne Hope, con la sua voce pacata. — Sta a lui decidere che cosa fare. Ma dov'è Bob? È tutto il pomeriggio che non lo vedo. — Temo che la colpa sia mia — disse Crystal, che era entrata nel salotto seguita da Bob. — Abbiamo pensato che, con tutto il vostro da fare di oggi, avremmo potuto essere di intralcio, e allora ce ne siamo andati fuori a fare una passeggiata in macchina. Dall'atteggiamento del giovane era scomparsa ogni tracotanza. Sembrava, pensò Potter, che cominciasse a sentirsi disorientato. Tutta la sua aggressività era scomparsa, e ciò lo faceva apparire indeciso. Crystal si avvicinò a Dorothy: — Posso esprimervi le... — Grazie, lasciate stare — la interruppe la vedova. Seguì una strana pausa di immobilità, durante la quale tutti se ne rimasero silenziosi, col bicchiere in mano, mostrando una scarsa voglia di berne il contenuto. Potter, anzi, notò divertito come ciascuno continuasse a fissare preoccupato la propria bevanda e la centellinasse con estrema cautela. — Ti vedo molto stanca — disse Bob irritato, rivolgendosi a Hope. — Evidentemente, oggi ti sei troppo affaticata. Non potevano trovare qualcun altro da far sgobbare, al posto tuo?
— Non sono affatto stanca. D'altra parte i compiti più pesanti se li è sobbarcati Susan, che si è incaricata di rispondere al telefono e di predisporre per il funerale. — Per quando è stato fissato? — chiese Roland. — Dopodomani, alle tre del pomeriggio — rispose Dorothy. — Faremo il servizio funebre qui. Una cerimonia del tutto privata, breve, semplice e senza musica. Ci saranno solo i familiari, e subito dopo la salma sarà portata al crematorio. Potter si irrigidì come un cane da caccia che puntasse la selvaggina. Lanciò un rapido sguardo a Warren, ma l'attore, intento a sviluppare la sua azione di conquista nei confronti di Susan, non se ne accorse neppure. — Mi sto chiedendo — intervenne Roland — se sia giusto trascurare così totalmente la volontà di Herbert, quella dei dipendenti dell'azienda e anche quella dell'intera comunità. In fin dei conti lui era un notabile locale troppo importante, per essere seppellito così alla chetichella! — Ma — obiettò Dorothy stupefatta — ch'io sappia Herbert non ha mai lasciato disposizioni circa i suoi funerali. — Lo ha fatto invece nel testamento — rispose Roland, in tono sostenuto. — Desiderava essere sepolto presso la Fondazione Keane, e ha previsto anche una cerimonia più pubblica e quindi maggiormente consona alla sua personalità di uomo e di cittadino illustre. Ha persino lasciato uno schizzo del monumento funebre che desiderava gli venisse costruito. — Non ne sapevo nulla — disse Dorothy. — Lincott è stato qui poco fa per discutere la cosa con me. — Con te?! — esclamò Dorothy. Poi, dopo un istante, concluse con voce atona: — Capisco. Il volto di solito allegro di Roland rivelava ora una rabbia crescente: — Si, a discutere con me, perché ora sono io il capo della famiglia. — Poi proseguì con voce più calma: — Comunque sia, le ultime volontà di Herbert devono essere rispettate. A proposito, le clausole del testamento sono... si, sono un poco diverse da quelle che avremmo potuto prevedere. Miller depose il bicchiere: — Devo andarmene, ora — disse. — Aspettate, faremo un altro giro di aperitivi — intervenne Dorothy. — Se poi vi accontenterete di una cena un po' rimediata... Sapete, c'è stata tanta confusione, e la servitù non ha preparato nulla... I due si guardarono negli occhi per qualche istante. Poi, ciascuno di loro riuscì con visibile sforzo a distogliere lo sguardo. — Sì, un testamento piuttosto sorprendente — riprese Roland. — Le
proprietà personali di Herbert devono essere divise in tre parti. Un terzo a Dorothy, un terzo all'ospedale di Oakland, che dovrà assumere il nome di "Herbert Keane Hospital" e lasciar amministrare il lascito al dottor Smiley. L'ultimo terzo dovrà essere assegnato alla Fondazione Keane. — Che cos'è questa Fondazione? — chiese Miller. — Un vecchio progetto di Herbert. Ha fatto costruire il fabbricato già da molti anni, ma non è mai stato inaugurato, perché mancavano i fondi per farlo funzionare. Lui voleva che ci fosse pronto un museo dove installare una mostra permanente delle antichità storiche della comunità e dove potessero tenersi esposizioni temporanee d'arte locale, per incoraggiare i giovani più promettenti. Vedete, signor Miller, mio fratello, a differenza di come voi lo giudicavate, non era solo un affarista avido di denaro. Era un uomo eccezionale, un benefattore e un mecenate. — Roland, calmati, ti prego — esclamò Dorothy, preoccupata. Roland tornò a rivolgersi agli altri presenti: — Vi sono poi altri lasciti minori per i domestici che sono a Summit House da oltre cinque anni, e uno particolare di diecimila dollari per Vilma. — Ebbene — esclamò Susan — non trovo nulla d'imprevisto nel testamento, tranne forse l'entità della somma lasciata a Vilma. — L'imprevisto non riguarda il patrimonio privato di Herbert, ma la sua quota nella Keane. Herbert ha devoluto il suo terzo di azioni a favore di Crystal Young. Roland rimase per un attimo assorto, girando lo sguardo sui presenti. Poi concluse con voce opaca: — Penso sia meglio che io me ne torni a letto. Mi sento proprio sfinito. — Terminato di parlare, uscì lentamente dal salotto con passo esitante. Sembrava quasi che barcollasse. Tutti rimasero in silenzio, mentre giungeva loro l'eco dei passi di Roland che saliva lentamente le scale. Un rumore che ricordava a Potter quello dei passi, altrettanto pesanti, degli uomini che poche ore prima avevano trasportato per sempre Herbert Keane fuori dalla sua casa. D'altra parte, pensò Potter, con Herbert era morta per sempre anche una parte di Roland. Potter si era messo a sedere sulla larga balaustra che correva lungo la terrazza della villa e, con le gambe a penzoloni, batteva tra di loro i tacchi. Se l’era squagliata appena possibile, subito dopo il dessert, e ora si augurava di tutto cuore di non dover mai più subire un'esperienza così spiacevole come gli era capitata quella sera. Dorothy era rimasta chiusa in un glaciale silenzio. Miller, mentre mangiava, non aveva fatto che osservare
con gli occhietti miopi quel gruppo di persone ostili che, a loro volta, avevano ignorato ostentatamente Crystal. Ma l'attenzione del giornalista si era spesso puntata su Potter, il quale, ogni volta che aveva accennato ad avviare un discorso, si era subito sentito oggetto di quella indiscreta vigilanza. Inoltre, tra Bob Murphy e Hope doveva essere accaduto qualcosa che aveva turbato i loro rapporti. Entrambi si erano sforzati di comportarsi come se tutto andasse nel miglior modo, ma la freddezza reciproca tra i due era apparsa evidente, come se a separarli fosse calata la gelida lama di una spada. Susan non aveva fatto altro che guardare Crystal con odio, trattenendosi a mala pena dal prorompere in qualche invettiva inconsulta. In quanto a Warren, era stato costretto ad occuparsi interamente dell'attrice, sforzandosi di servirle da schermo, come meglio poteva, contro le ire della ragazza. Crystal aveva affrontato con coraggio la collera e il disprezzo di cui era oggetto, ben conscia che le convenzioni sociali potevano essere infrante in un qualsiasi momento per lasciare posto a una esplosione di ira e di odio nei suoi confronti. Durante i suoi continui sforzi per distrarre Susan con vari argomenti, in modo da indurla a sorridere e a dimenticare l'attrice, Potter aveva dovuto prendere atto di un indiscutibile dato di fatto. All'annunzio di Roland circa la ripartizione testamentaria, la sola a non mostrarsi sorpresa era stata Crystal. Era evidente che l'attrice doveva essere già a conoscenza del lascito a suo favore. Potter gettò il mozzicone di sigaretta nel prato e fissò assorto l'arco luminoso che la brace descriveva nella caduta. Qualcuno aveva già tentato di eliminare tutti e tre i soci della Keane Co., e ora Crystal aveva il controllo di un terzo della società. Quest'ultima circostanza, dal punto di vista dell'assassino, avrebbe modificato la situazione, oppure era già prevista e faceva parte del suo piano originale? Inquieto e preoccupato, Potter accese un'altra sigaretta. "Buon Dio" pensò, "chissà che cosa può succedere, ora!" Gettò la sigaretta dopo poche boccate e si affrettò a rientrare nella villa. Se qualcuno voleva davvero eliminare i tre soci, c'era la possibilità che rinnovasse subito il tentativo nei confronti di MacDonald mentre questi era ancora a letto, praticamente immobilizzato e incapace di difendersi. Al secondo piano, la luce filtrava sotto la porta delle camere di MacDonald e di Bob Murphy. Da quella di Bob giungevano dei rumori attutiti e un mormorio di voci.
Probabilmente una radio accesa. Potter aprì la porta di MacDonald e, in punta di piedi, si introdusse nella stanza. Il degente era sdraiato su di un fianco, immerso in un sonno pesante. Vilma, che stava seduta leggendo una rivista alla tenue luce di una lampada schermata, sollevò lo sguardo, sorpresa. Quando riconobbe Potter, assunse un'espressione ostinata e diffidente. Potter si inginocchiò a lato della poltroncina dell'infermiera, in modo da poterle parlare all'orecchio: — Come sta? — bisbigliò. — Molto meglio. Penso che ormai se la caverà senza complicazioni. — Avete detto al dottor Smiley della digitale? L'infermiera scosse il capo negativamente. — Signorina Thomas, è meglio che io vi metta al corrente di tutta la situazione. — E Potter le spiegò dell'ago nel sottosella, che aveva causato la caduta di Roland. — Come vedete — concluse — tutti e tre, Herbert, MacDonald e Roland, sono stati oggetto di un tentativo premeditato di assassinio. — Santo cielo, ma chi può essere stato? — mormorò l'infermiera. Poi, dopo un istante, diede lei stessa la risposta: — Ma certo! Non può esser stata che quella Crystal Young. Susan è stata qui pochi minuti fa, e mi ha parlato delle ultime volontà del signor Keane. Non riesco davvero a capire come gli sia venuto in mente di lasciare un testamento simile! — Comprenderete, ora, che non è possibile nascondere la faccenda della digitale. È più che mai necessario dire tutta la verità. — Sì, certo. Non permetterò che quella sfrontata di attrice la passi liscia. Nelle ultime tre settimane non ha fatto altro che civettare col povero signor Herbert, in modo disgustoso. Se io fossi stata la signora Keane, non l'avrei certo consentito. E ora, signor Potter, intendete chiamare la polizia? — Non ancora. Prima andrò a trovare il dottor Smiley e gli esporrò la situazione. Bisogna far eseguire immediatamente l'autopsia del corpo del signor Keane, prima che finisca in mano a quelli delle pompe funebri. Non possiamo aspettare: altrimenti lo cremeranno e allora... — Non capisco perché la signora Keane abbia disposto così — lo interruppe l'infermiera. — Secondo me, non è stato lui a scegliere la cremazione. Potter le strinse il polso: — Sono venuto a parlarvi soprattutto per mettervi in guardia. Chiunque sia il criminale che ha tentato di impadronirsi della Keane Co., eliminandone i tre azionisti, può darsi che non abbia rinunziato al suo progetto. — Guardò per un attimo l'uomo immerso nel
sonno, e proseguì: — Non lasciate entrare nessuno, signorina Thomas. Ho detto nessuno! E non somministrate al signor MacDonald cibi o medicinali che non abbiate controllato personalmente. L'infermiera assunse un'espressione preoccupata, ma decisa. — Potete contare su di me per questo — rispose. — Durante la notte, vi accade di assopirvi? Dopo un istante di indecisione, l'infermiera finì onestamente con l'ammetterlo: — Sì, qualche volta, dato che non sono più tanto giovane, può darsi che mi succeda. Comunque, si tratta sempre di brevi sonnellini e me li concedo solo se il paziente dorme tranquillo e, ovviamente, se non ha bisogno di un continuo controllo. Potter la esortò: — Da stasera tenete sempre chiusa a chiave non solo la porta della camera, ma anche quella del vostro bagno, che comunica con l'altra stanza. — Quella dove sta Murphy? Sospettate dunque di lui? — Non so che cosa pensare — ammise Potter. — Le uniche persone che posso escludere, oltre a me, per il momento sono Roland Keane e Xavier. — State tranquillo. D'ora in poi nessuno metterà più piede qui dentro. — D'ora in poi? Perché, chi è stato qui prima? — Hope ci è rimasta tutto il giorno, e la signora Keane è venuta più volte a vedere come stava il signor MacDonald. Anche il signor Roland è passato un attimo, prima di tornare a letto. Quel Murphy si è affacciato a chiedere se poteva rendersi utile in qualche modo. Il signor... Miller... mi pare abbia detto di chiamarsi così, è entrato per curiosare e chiedere notizie sull'accaduto. Dicono che è un giornalista... — Nessun altro? Mi sarei aspettato... Potter si interruppe perché qualcuno aveva bussato leggermente alla porta. Poi, dopo un cenno d'intesa con l'infermiera, si allontanò rapidamente dal cono di luce della lampada, si appiattì contro la parete e rimase immobile. Era Crystal: — Signorina Thomas — disse sottovoce — volete che vi dia io il cambio, quando dovrete cenare? — Molte grazie, ma la signora Keane ha già disposto che Charles mi porti qualcosa da mangiare qui, su di un vassoio. — Be', in tal caso... non mi resta che augurarvi una notte tranquilla — disse Crystal. Mentre l'attrice percorreva il corridoio, Potter, che l'aveva seguita, la raggiunse e disse: — Signorina Young, vorrei parlarvi.
— Ora? — Dopo un istante di esitazione, l'attrice sorrise amaramente. — Se lo credete opportuno, possiamo andare in camera mia; tanto, la mia reputazione non ne scapiterà certo: è già così in ribasso! Crystal chiuse la porta alle spalle di Potter e gli fece cenno di accomodarsi su di una poltrona. La camera questa volta era in perfetto ordine, con il letto già pronto per la notte. — Ebbene? — domandò l'attrice. Potter, prima di sedersi, aspettò che lei avesse preso posto davanti al tavolo da toilette. — Il vostro ex-marito è fuori pericolo — disse. — Penso che vi sentirete sollevata. — Il mio ex-marito? Ah, capisco: volete alludere a Bevan. Come avete fatto a sapere... naturalmente è stato Roland a dirvelo. È l'unico qui a conoscenza della cosa. — Rise brevemente. — Se lo venisse a sapere Dorothy, penserebbe subito che Bevan e io ci siamo messi d'accordo per impadronirci della maggioranza azionaria, facendo fuori Herbert. Che situazione grottesca! — Non mi è sembrato che la notizia del lascito delle azioni a vostro favore vi abbia stupito. Lei si strinse nelle spalle: — Herbert, infatti, me ne aveva già parlato ieri sera, proprio un attimo prima che vi raggiungessimo in sala da pranzo. — Già, poco prima di cena — commentò Potter pensieroso. Ecco spiegata quella risata trionfante di Crystal che esprimeva, evidentemente, non la soddisfazione per un successo amoroso, ma la gioia venale per il denaro arraffato. — Questa è stata una delle serate più orribili della mia vita — continuò Crystal. — Dorothy, quel Miller, Susan, tutti insomma a squadrarmi come se fossi una... — Congiunse le mani in un gesto di disperazione e se le lasciò ricadere in grembo. — E Hope, anche lei incerta, ma che, per lo meno, voleva concedermi il beneficio del dubbio. Certo, Herbert mi ha messo in una terribile situazione, ma, ovviamente, lo sapeva benissimo. Chissà come si sarebbe divertito se avesse potuto vederci a tavola questa sera. Se la sarebbe spassata un mondo! — Dovete ammettere — disse Potter — che non vi dimostrate affatto riconoscente per il dono principesco che vi ha fatto Herbert. Eppure, si tratta della terza parte del capitale azionario di una impresa che vale molti milioni di dollari. — Ma di quale riconoscenza e di che dono state parlando?!! — esplose
Crystal, infuriata. — Herbert non ha fatto altro che saldare un suo debito nei miei confronti... un debito di vecchia data, signor Potter. E, facendolo, mi ha messo in una posizione intollerabile... — Una posizione molto, ma molto peggiore, e gravida di conseguenze più di quanto pensiate, signorina Crystal. Il signor Herbert Keane, infatti, è stato ucciso. — Cosa? Siete pazzo! — È necessario che vi chiarisca la situazione. Herbert è deceduto per aver ingerito una dose massiccia di digitale, e vi ha lasciato un terzo delle azioni dell'azienda. MacDonald è stato a un pelo dal fare la stessa fine, a causa di una dose eccessiva di sonnifero proveniente dalla boccetta che avevate nella vostra borsa. E MacDonald è il vostro ex-marito! Come se non bastasse, la vostra esibizione di ieri sera ha dato luogo a una tale confusione, da fornire a chiunque l'opportunità di manipolare a piacere i bicchieri dei liquori. Ma questo non è tutto! Il signor Roland Keane quasi ci ha lasciato la pelle a causa di una caduta, provocata da un ago che qualcuno aveva infilato sotto la sella del suo cavallo. Voi eravate con lui quando l'incidente è accaduto, ma nessuno può garantire che veramente foste in cerca di aiuto, quando il cavallo vi ha preso la mano e ci avete incontrato. Crystal appariva sinceramente stupefatta e attonita, ma Potter non dimenticava di aver a che fare con una grandissima attrice. — Non vi è un solo fatto di quelli che ho citato — prosegui — a cui possiate essere sicuramente ritenuta estranea. E, soprattutto, bisogna tenere presente che vi siete ostinata a restare in una casa, cioè questa, dove la vostra posizione era del tutto equivoca. Inoltre esiste, non vi è dubbio, una imprecisabile relazione tra voi e quel giovane fidanzato di Hope, che si serve della vostra auto e che detestava Herbert di tutto cuore. Ieri sera, mentre stavo salendo nella mia camera, li ho sentiti litigare: erano entrambi furenti. Queste, signorina Young, sono circostanze che inevitabilmente dovranno esser note alla polizia e potranno cagionarvi delle noie. L'attrice se ne restò immobile a sedere, guardandosi le mani posate sulle ginocchia. Poi ne sollevò una, tendendola quasi in un gesto di ansiosa supplica e in un atteggiamento di acuta disperazione. Ma Potter si costrinse a restare insensibile. — Nulla di quello che è accaduto qui può essere addebitato a Bob! — dichiarò l'attrice con la sua meravigliosa voce. — L'unica cosa che può essergli rimproverata, ma io penso che lui non potesse fare a meno di prenderla, è la sua decisione di sposare Hope. Io ho fatto il possibile per impe-
dirlo. L'ho avvertito che Herbert lo avrebbe considerato un cacciatore di dote e gli ho anche ricordato che quell'uomo lo aveva licenziato e cacciato a pedate. Gli ho spiegato che Herbert gli si sarebbe rivelato un nemico spietato, capace di distruggerlo e di impedirgli di trovare lavoro in qualsiasi azienda chimica del paese. Ma Bob è testardo... e poi vuol bene a Hope. Si amano, e lui era deciso a lottare per sposarla. — Crystal riprese fiato: — Probabilmente — concluse — non sono riuscita a spiegarvi bene come stanno le cose, ma... — A quanto pare — commentò Potter — entrambi i fidanzati vi hanno fatto le loro confidenze. — Bob è mio figlio! — disse con calma l'attrice. 9 Anche se era stato scosso da quella rivelazione, Potter seppe nasconderlo. Ma si rese conto del motivo che la sera prima aveva indotto Bob a togliere il bicchiere di liquore dalla mano di Crystal, quella ex-alcolizzata, torturata e infelice che (chi lo avrebbe mai pensato?) era sua madre. — È Bevan MacDonald il padre del ragazzo? — chiese Potter, con voce calma. — No, ci sono molte cose che devo aggiungere, ma non si tratta di particolari gradevoli per me. Raccontò che era arrivata a New York quando era ancora una ingenua e ignorante provinciale, molto ambiziosa, ma priva di amicizie e di qualsiasi esperienza che non fosse quella acquisita durante una breve estate di libertà e di prolungati digiuni. Una sera, che aveva più fame del solito, aveva accettato l'invito a cena di un tizio, ma prima di lasciarsi convincere ad andare a casa sua aveva resistito a lungo: per qualche settimana. Era, probabilmente, pensò Potter, la solita storia che Crystal doveva avere imparato a memoria dalle innumerevoli letture dei rotocalchi per ragazze, dei quali lui sospettava che la grande attrice dovesse esser stata una fedelissima abbonata. Eppure, nonostante il racconto di Crystal apparisse banale e scontato, poteva esserci qualcosa di vero. Era solo una possibilità, ma le situazioni più comuni e banali sono tali proprio perché sono quelle che si verificano ogni giorno. Crystal teneva la testa china e fissava attentamente il suo dito che si muoveva senza sosta lungo una piega della tovaglia che copriva il tavolo da toilette. Sembrava attribuire una grande importanza a compiere con la
massima precisione quel movimento, che però rivelava spietatamente una mano di donna anziana, con vene in rilievo e numerose grinze attorno al polso. — Signor Potter, non vi sarà difficile indovinare il seguito. Era un bell'uomo, molto generoso, e io pensai che fosse l'essere umano più affascinante che avessi mai incontrato. Mi innamorai pazzamente di lui. Poi... — Crystal si interruppe rabbrividendo e si lasciò sfuggire un lungo sospiro. — Poi, rimasi incinta. Non avevamo mai parlato di matrimonio. Io, però, povera sciocca, pensavo che... Comunque, sapendo che lui stava per andare all'estero per un viaggio d'affari, gli dissi delle mie condizioni perché pensavo che, con un bambino in arrivo, sarebbe stato opportuno sposarci subito. Ma lui... non era della stessa opinione naturalmente! Me lo disse subito, e in un modo quanto mai esplicito. — Vi abbandonò così, senza farsi più vedere? — chiese Potter. — Oh, no! Fece di meglio! Mi presentò un amico che si innamorò immediatamente di me, e che già al nostro terzo incontro si offrì di sposarmi. Io colsi l'occasione al volo... — Notando l'espressione stupita di Potter, Crystal si affrettò ad aggiungere: — Sì, capisco... non mi sono comportata bene, ma volevo che il mio bambino avesse almeno un nome. Fu così che sposai Bevan MacDonald! Al principio speravo che non sarebbe stato necessario rivelargli le mie condizioni, ma, naturalmente, dovetti farlo ben presto. Penso che sul momento, poiché veramente mi amava, debba avermi perdonato. Ma poi, quando riuscì a indovinare chi era il padre del bambino, deve essersi convinto d'essere stato raggirato. E da allora mi ha odiato con tutte le sue forze. Poi ottenne l'annullamento. Si alzò e si mise a camminare eccitata avanti e indietro, mentre Potter, in piedi accanto alla finestra, se ne stava silenzioso a guardarla. — Sistemai Bob presso un'ottima famiglia, ma mi misi a bere e feci presto a colare a picco. È inutile entrare nei dettagli, perché potete immaginarli: ho conosciuto la degradazione e l'abiezione più volgare; la perdita di ogni controllo, e sono persino finita sotto processo. Mi svegliavo la mattina e mi trovavo a letto con qualche estraneo... talvolta con uomini ributtanti! Poi riuscii a tornare a galla e andai a cercare mio figlio che, nel frattempo, purtroppo, era passato per varie mani. Feci in modo che fosse ben sistemato e, finalmente, riuscii a trovare lavoro nel mondo del teatro. Mi venne data solo una particina secondaria, ma in uno di quei bellissimi ruoli di caratterista che restano impressi nella memoria dello spettatore, anche dopo che, magari, ha dimenticato i protagonisti. Da allora sono rimasta ra-
ramente senza lavoro e non mi è mai mancato il successo. Mentre risalivo la china e ricostruivo la mia vita, continuai ad occuparmi di mio figlio senza che lui venisse a sapere che ero sua madre. Non mi parve che fosse necessario rivelarglielo. Ritenevo che il farlo avrebbe complicato inutilmente le cose per entrambi. — Rendendosi conto dello scetticismo di Potter, arrossì violentemente. — Bisogna capirmi! — proseguì. — Mio figlio era per me l'immagine vivente di un errore che avevo commesso e, se fosse venuto a vivere con me, mi avrebbe ricordato ogni giorno un passato fatto di infelicità e di sconfitta. — Tese una mano verso Potter, ma poi la lasciò ricadere. Dopo un attimo, continuò: — Poi, cinque anni fa, venni a sapere che Bob, per pagarsi le tasse all'università, tra tutti i posti immaginabili in questo mondo, era finito a lavorare proprio qui, come stalliere, e che Herbert, dopo averlo vessato e maltrattato, aveva finito col cacciarlo letteralmente a calci. Così decisi di rivelare a Bob che ero sua madre, e da allora l'ho aiutato continuamente, sotto l'aspetto economico. Poi, dopo la laurea, gli ho fornito i mezzi per mettere in piedi il suo laboratorio. — Deve essersi trattato di una forte somma — disse Potter. — Ho sempre guadagnato molto, col teatro, e il mio tenore di vita è invece modesto. Tutto quello che riesco a risparmiare lo investo con oculatezza, tanto che ora non ho nemmeno più bisogno di lavorare e accetto una parte solo se veramente mi piace. Potter rimase silenzioso, mentre l'attrice lo osservava, evidentemente speranzosa d'esser riuscita a convincerlo. — Purtroppo — riprese Crystal — era troppo tardi e Bob... Bob la prese molto male. Ancora oggi è duro e pieno di risentimento nei miei confronti: mi odia e mi disprezza. I giovani sono così intransigenti! La grande e ricca diva del palcoscenico lascia il proprio figlio abbandonato nelle mani d'estranei: ecco come lui ha giudicato la situazione. Quando me lo disse, mi sentii così disperata che ad un certo punto ripresi persino a bere. — Fissò Potter a viso alto, con i meravigliosi occhi privi di lacrime, e continuò: — Ora, però, ho smesso di nuovo. Voglio dare a Bob tutto quello che gli devo e che gli spetta. Ecco perché ho fatto in modo di farmi invitare in questa casa: per cercare di appianare e facilitare le cose per lui e Hope. Sapevo che la situazione sarebbe stata disperata per mio figlio, perché Herbert non lo avrebbe mai accettato come genero. — Da quanto tempo siete qui? — Da due mesi, ma non crediate che sia stata una permanenza piacevole
la mia! — Come avete fatto per ottenere l'invito? Crystal esitò a rispondere, quasi avesse perso il filo del discorso. Poi, dopo qualche istante, spiegò con riluttanza: — Avevo incontrato Roland a un ricevimento in casa di amici, e lui mi disse che nella sua famiglia le cose non andavano molto bene. Dorothy voleva il divorzio e Herbert non intendeva concederglielo. Non dormivano neppure più insieme. Allora scrissi a Herbert per dirgli se non gli sembrava che fosse giunta l'ora di sanare la nostra rottura e di riprendere i nostri rapporti. — Si interruppe per riprendere fiato. — Da quanto tempo Bob sa di essere figlio di Herbert Keane? — chiese Potter, pacatamente. — Solo da oggi, lo giuro! Gliel'ho detto nel pomeriggio, e lui ne è rimasto sconvolto. Credetemi, non ne sapeva nulla, prima. — Desidererei sinceramente credervi — disse Potter. — E vi è davvero impossibile? — La voce di Crystal aveva un tono disperato. — Quello che a me pare impossibile, anche se l'impossibile spesso accade, è che in questi tre tentati omicidi siano implicate ben due persone. Bob potrebbe aver somministrato la digitale a Herbert e potrebbe avere avvelenalo MacDonald con il sonnifero. In entrambi i casi, avrebbe avuto un motivo evidentissimo. Ma Bob non può avere provocato l'incidente di Roland, perché quando i cavalli sono stati sellati lui era ancora a New York, con Hope... a meno che non si tratti di un'altra menzogna! Crystal svenne e Potter dovette sostenerla per evitare che finisse a terra. Il dottor Smiley aveva lo studio in casa sua, una villa di mattoni rossi, sita in una zona panoramica e circondata da una fitta siepe di ligustri, che da un lato fronteggiava la via principale di Oakland. In una stanza d'angolo, al pianterreno, vi erano le luci accese. Potter usò una matita con lampadina a pila, per guardare l'ora al polso: venti minuti alle undici. Un vialetto pavimentato a mattoni gli permise di arrivare fino all'angolo della costruzione dove, dalla porta-finestra di tipo francese, priva di tende, la luce dell'interno si proiettava sul prato del giardino. Il dottore era seduto a uno scrittoio proprio accanto alla porta-finestra, intento a guardare una grande fotografia incorniciata che reggeva tra le mani, tenendola esposta alla luce di una lampada. Per Potter fu facile, dal suo punto di osservazione, riconoscere il viso che appariva nella foto.
Si spostò allora, senza far rumore, sino alla porta, e bussò servendosi del lucido battente di metallo. Qualche istante dopo la porta venne aperta. — Ah, siete voi! — esclamò il dottor Smiley, visibilmente seccato. Potter sospirò e rispose: — È scoraggiante doverlo ammettere, ma ho l'impressione che la mia visita non vi risulti gradita. Dopo un'occhiata per nulla amichevole, il dottore disse sgarbatamente: — Se avete bisogno di parlarmi, potete farlo domattina. — Non mi è possibile aspettare. Borbottando qualcosa di incomprensibile, il medico fece entrare Potter e lo invitò con un gesto a precederlo sino alla stanza d'angolo, dove l'investigatore lo aveva visto poco prima immerso nella contemplazione della fotografia. Era un locale accogliente, con grandi poltrone ricoperte da fodere rosse di tessuto grezzo, e con le pareti nascoste, sino al soffitto, da scaffalature colme di libri. Sulla scrivania vi era solo un servizio d'onice, da scrittoio. — Qualcosa da bere? — chiese sgarbatamente il medico. — Scotch? bourbon? — Grazie, bourbon. Il dottor Smiley uscì dallo studio per ritornare pochi minuti dopo con due bicchieri, dai quali giungeva invitante il tintinnio dei cubetti di ghiaccio. — Che cosa c'è, dunque, di così importante da non poter esser rinviato fino a domani? — L'autopsia di Herbert Keane. Il padrone di casa, che già si accingeva a bere, depose con violenza il bicchiere su un tavolinetto da caffè. — Che diavolo intendete dire? — Intendo solo accertare dov'è finita una mezza bottiglia di digitale — rispose Potter, con calma. Allo stupore, seguirono sul volto del medico dapprima l'incredulità e infine la collera. — Scusate, signor Potter, ma temo di non comprendere... — Chiedete alla signorina Thomas. L'altro ieri c'era una bottiglietta di digitale a metà. Questa mattina l'abbiamo trovata vuota. — Quali minacce avete usato nei confronti di quella povera donna? La conosco bene, non si sarebbe mai permessa di confidarsi con... — L'ho solo convinta che non avrebbe potuto mantenere più a lungo il silenzio sull'accaduto. Sì, lei ha cercato di tacere ed è giunta fino al punto di rompere deliberatamente il bicchiere dello yoghurt, per eliminare una
prova di grande importanza: forse l'unica esistente. Credetemi, la Thomas era ed è desiderosa quanto voi di mettere tutto a tacere. — Per Giove, se osate insinuare che... — Quando gli avvenimenti giungeranno all'orecchio della polizia, io penso che il silenzio dell'infermiera circa la digitale scomparsa, la vostra sollecitudine nel firmare il certificato di morte, e il desiderio della signora Keane di far cremare il corpo del marito... ebbene, penso che tutto ciò potrà apparire in una luce piuttosto sinistra. Non credete, dottore? La collera del medico svanì per lasciare il posto a un'espressione turbata e perplessa. — Ho una sola alternativa a cui pensare — disse Smiley. — O voi state commettendo in buona fede un errore, oppure siete solo uno spietato ricercatore di notorietà, cui preme di vedere ancora una volta apparire il proprio nome sui giornali. Ho già sentito parlare molto di voi, signor Potter, e sempre a proposito di fatti sgradevoli, o connessi addirittura con assassinii! A quanto pare, dove arrivate voi i cadaveri abbondano come se ci fosse un'epidemia di peste nera. — Vi sfido a citare un solo caso — disse con calma Potter — in cui le mie accuse siano state smontate o dimostrate artefatte. Se avete dei dubbi sulla mia buona fede, chiedete pure informazioni alla polizia di New York o a quella dello Stato del Connecticut. Il fatto è, caro dottore, che io odio la violenza, odio l'inganno criminale e, soprattutto, odio gli assassini. Perciò li combatto! Il medico si passò una mano sulla fronte. — Ma perché mai pensate che Keane debba esser stato ucciso? — chiese. — In fin dei conti, e voi lo sapete bene, aveva il cuore malandato. Solo sei settimane fa stava già per andarsene. Mi pare quindi che la vostra sia un'ipotesi inconsistente e formulata con molta leggerezza... — Ah sì?! E allora, oltre al decesso di Keane, vogliate anche tener conto, per favore, della piccola disavventura del signor MacDonald, che è stato anche lui a un pelo dal lasciarci la pelle. E non dimenticate anche il fatto che la signora Keane si è affrettata a lavare in piena notte i bicchieri del liquore e... — Sentite, Potter, non vi permettete... — Lasciatemi finire, per favore. Se non vi basta, aggiungete anche un bell'ago lungo ed aguzzo, che qualcuno ha infilato l'altro ieri nel sottosella di Roland, cioè di un tipo di cui tutti conoscono, e voi per primo, la fragilità delle ossa. E allora non è lecito chiedersi chi ha sollecitato Roland a fare quella bella galoppata che poteva quasi certamente portarlo al cimitero?
Chi gli ha destinato proprio quella sella? Tiriamo le somme, dottore: qualcuno ha fatto centro con Herbert e c'è mancato pochissimo che ci scodellasse sotto il naso altri due cadaveri: Roland e MacDonald. — Maledizione! State forse cercando di insinuare che la signora Keane ha tentato di assassinare addirittura tre persone?! — Qualcuno lo ha fatto, dottore, siatene certo. E, credetemi: cercando di occultare delle prove non gioverete alla signora Keane e tanto meno a voi stesso. — Che cosa state dicendo? Perché mai sarei nella necessità di aiutare me stesso?! — È semplice. La morte di Herbert Keane frutta un milioncino di dollari al vostro ospedale, che dovrà affidare a voi l'amministrazione di quella non trascurabile somma di denaro. Si potrebbe quindi pensare che... Il dottore riprese il bicchiere e ne bevve il contenuto. — Penso — disse poi — che dobbiate sicuramente avere qualche valido motivo per avanzare dei sospetti così mostruosi. Ma vi sbagliate di grosso. Potter sorrise. — Non sono così sciocco da basarmi solamente sulle mie personali convinzioni — disse. — Vi sono anche delle prove sostanziali, dottore: cioè, dei fatti inconfutabili. Il medico strinse spasmodicamente nella mano il bicchiere vuoto. — Ad esempio? — Una bottiglietta in cui l'altra sera, quando il signor MacDonald si è sentito male, ho conservato un poco... sì, un poco di vomito. I tecnici della polizia vanno pazzi per i reperti e le prove di questo genere. Date loro una bottiglietta con qualche schifezza dentro da esaminare, e li fate felici! — Ecco perché l'altra sera vi siete dato tanto da fare per aiutarmi. Stavate già spiando, indagando, tramando! — Se permettete — puntualizzò Potter — mi sono dato da fare anche perché volevo che MacDonald sopravvivesse. — E le altre prove? — Un fazzoletto con cui ho raccolto un residuo di yoghurt di cui era sporco il comodino di Keane. Scommettiamo che gli esperti vi troveranno tracce di digitale? — Intendete dire che il veleno sarebbe stato somministrato nello yoghurt? — Può darsi che sia stato così. E questo spiegherebbe anche perché Vilma Thomas, per proteggere l'assassino, si sia affrettata a rompere il bicchiere. D'altra parte, potrebbe anche averlo fatto per eliminare una prova
direttamente a suo carico: anche lei beneficia di un cospicuo lascito. — Quella donna è totalmente incapace di fare del male a qualcuno... State dicendo delle assurdità! — Ne siete proprio sicuro? Vedremo allora quale sarà il responso della polizia scientifica di New York. Ma, nel frattempo, voi non potete starvene qui ad attendere... Il dottore picchiettava nervosamente con le dita sul tavolo. — Non potete perdere altro tempo — incalzò Potter, spietatamente. — Una volta cremato il corpo... Il dottore lo interruppe con un gesto di impazienza. — E va bene — disse con aria cupa — piuttosto che correre il rischio di veder gettare del fango su Dorothy Keane e per eliminare qualsiasi ignobile sospetto nei suoi confronti, eseguirò io stesso l'autopsia. Se permettete, vado a telefonare subito all'ospedale perché venga predisposta ogni cosa. Ritornò dopo cinque minuti, asciugandosi nervosamente col fazzoletto le mani sudate. — Ho tentato di giustificare l'autopsia con quelli dell'ospedale, dicendo che forse essa ci potrà rivelare i motivi del collasso. — Avete agito con molto tatto. Ma temo che, alla distanza, la verità sarà conosciuta da tutti. — La signora Keane ne uscirà comunque scagionata — esclamò il dottore, deciso. — Quella donna è una santa. — Non esistono donne sante. La signora Keane è una donna normale; solo notevolmente più bella di quanto non lo sia la media di tutte le altre. Per questo gli uomini si innamorano facilmente di lei... Il dottore stava per protestare, ma Potter proseguì seccamente: — Anche voi, dottore, ne siete innamorato. Vi consiglierei, anzi, di sbarazzarvi della fotografia di lei, prima che abbiano inizio le indagini ufficiali della polizia. Non si sa mai cosa potrebbero pensare, se la trovassero. — Notando l'espressione allibita del dottore, Potter sorrise poi aggiunse: ~ No, non sono dotato di poteri soprannaturali. Prima di bussare alla porta, vi ho visto dal giardino, attraverso la finestra. — Non riesco a capire se spiare la gente vi piaccia, o se lo facciate perché questo sporco lavoro vi viene pagato — esclamò il medico, furibondo. — Anche il mascalzone che si è servito della digitale, del sonnifero e dell'ago ha fatto uno sporco lavoro — ribatté Potter, imperturbabile. — E non mi piace sapere che se ne sta andando in giro impunito e indisturbato, libero di architettare qualcos'altro.
Il dottore cambiò tattica. — Se quello che sostenete è esatto, allora ci troviamo tutti in una dannata situazione. Io vi ho dimostrato di essere pronto a collaborare: quello che mi dispiace è solo il vostro atteggiamento nei confronti di Dorothy Keane. Sì, va bene, riconosco di esserne innamorato: lo sono stato sin dal primo giorno in cui Herbert l'ha portata con sé a Oakland, dopo averla sposata; ma lei non sa nulla del mio amore, posso giurarvelo! — Vi credo sulla parola — disse calmo Potter. — E se pensate davvero che io abbia messo la digitale nello yoghurt di suo marito, ammesso che lo abbia ucciso la digitale e che questa fosse nello yoghurt, in tal caso siete pazzo e, se sarà necessario, vi denunzierò per diffamazione. Per difendere la mia onorabilità, ricorrerò a tutti i mezzi legali. — Io non vi ho mosso delle accuse, dottore. Mi sono solo limitato a richiamare la vostra attenzione sulla plausibilità di certe ipotesi. Il dottore covò il furore in silenzio per qualche istante, poi, controllandosi, chiese particolari, circa la digitale scomparsa. Quando Potter li ebbe forniti, osservò: — La signorina Thomas è onestissima, ma sta diventando vecchia e dimentica spesso le cose. Può darsi che la bottiglia della digitale fosse già vuota il giorno prima. — D'accordo, dottore. Ma se la polizia troverà la digitale nei resti dello yoghurt, vi avverto che voi, sotto il profilo professionale, non ci farete certo una bella figura, soprattutto dopo che io vi ho messo in guardia circa la possibilità che il decesso di Keane non sia stato causato da un collasso cardiaco, come voi avete certificato. Ma da ben altro! — Non mi preoccupo della mia posizione professionale. Sono vent'anni che esercito qui, e la mia reputazione di medico è solida. Quelle che mi disturbano sono le vostre illazioni: perché vi ostinate a sospettare di una persona come Dorothy Keane e trascurate invece di prendere in considerazione una donnaccia come quell'attrice che Herbert si era tirato in casa? — Mi rendo perfettamente conto che anche la signorina Young merita la mia attenzione — rispose Potter. — E infatti l'ha già ottenuta, così come, nel frattempo, ha ottenuto anche la quota di Herbert nella società. Un terzo del capitale sociale, per essere esatti! Il dottore parve sollevato: — Buon Dio! — esclamò. — Se davvero c'è stato qualche disegno criminoso, eccovi la soluzione: quella donna, con la morte di Herbert, è venuta in possesso di una fortuna! Invece la signora
Dorothy non ha ottenuto nulla che già non avesse in precedenza. — Ha ottenuto la sua libertà! — ribatté Potter, con calma. — Dorothy era una moglie felice e soddisfatta — esclamò indignato il medico. — Ne dubito, tanto è vero che desiderava il divorzio, e che suo marito non glielo voleva concedere. Tenete inoltre presente, dottore, che non siete il solo ad essere innamorato della signora Keane. C'è, ad esempio, anche quel MacDonald, che le scodinzola dietro come un cagnolino; senza contare John Miller, che, come direbbe un poeta, arde di una fiamma d'amore sempre rinnovantesi. — Intendete parlare di Miller, quello che si autoproclama "riformatore dei costumi sociali", o qualche altra scemenza del genere? Non mi risulta che lui e Dorothy si siano mai incontrati da soli. — Non solo lo hanno fatto — disse Potter — ma ieri sera, dopo che io avevo trovato MacDonald in fin di vita, è proprio a Miller che la signora Dorothy si è precipitata a telefonare, ancor prima di chiamare voi. Comunque, anche se io fossi sordo, scemo e cieco, mi basterebbe trovarmeli vicini per qualche minuto per capire che lei è innamorata pazzamente e spudoratamente di quell'uomo. Potter avviò il motore dell'auto e rimase immobile al volante, sentendosi troppo stanco per guidare," ma contemporaneamente troppo preoccupato per concedersi una sosta di riposo. Non era d'animo cattivo, e perciò si sentiva dispiaciuto per il dolore che aveva procurato al dottor Smiley quando aveva dovuto informarlo circa l'infatuazione di Dorothy per John Miller. Immobile, con le mani posate sul volante, passò in rassegna gli avvenimenti delle ultime trentasei ore. Aveva giocato tutte le sue carte che ora giacevano scoperte sul tavolo. Non aveva nascosto nulla, tranne la sua interpretazione dei fatti, alla quale, d'altra parte, stentava lui stesso a credere, poiché il tutto gli appariva troppo diabolico e mostruoso. Inoltre, anche se le sue conclusioni si fossero rivelate esatte, era probabile che non gli sarebbe mai stato possibile documentarle con delle prove, e quindi smascherare i criminali. Allentato il freno a mano, si allontanò a bassa velocità dalla casa del medico, percorrendo le vie deserte del villaggio sino a raggiungere il viale che portava a Summit House. Ora non gli restava che attendere. Eppure, se gli fosse stato chiesto il perché di quell'attesa, gli sarebbe stato difficile rispondere.
Potter, però, contava su di un'intima convinzione, tante volte dimostratasi esatta: dovunque lui metteva piede, la sua sola presenza era sufficiente a far precipitare gli eventi. E anche nel caso che ora stava trattando, sentiva che quel suo personale potere aveva cominciato ad agire. Il cielo solo sapeva quali ne sarebbero stati i risultati. Il riflesso, nello specchio retrovisivo, dei fari di una macchina che lo seguiva, lo abbagliò per qualche istante. Poi gli venne chiesta strada insistentemente, non solo col lampeggiare, ma anche con le trombe e lui dovette affrettarsi a sterzare e a portarsi rischiosamente di lato, al margine della strada, per dare via libera al prepotente che lo sorpassò a velocità elevatissima. Potter fece comunque in tempo a scorgere che al volante dell'altra macchina c'era il dottor Smiley. Andava cosi forte come se lo inseguisse Satana in persona. Potter senti che la stanchezza lo abbandonava. "Bene" pensò, "almeno sono riuscito ad agitare le acque. È già qualcosa". Certo, gli sarebbe piaciuto sapere dove stesse correndo il medico, ma con la sua utilitaria non c'era neppure da pensare a inseguirlo. Quando oltrepassò il cancello di ingresso a Summit House, nella parte anteriore della villa non c'era neppure una finestra illuminata. Era tutto spento. Potter imboccò il viale che portava sul retro, e levò lo sguardo verso la finestra della propria camera, che dava su un lato della villa. Qualcosa attrasse la sua attenzione: gli era sembrato di scorgere il guizzo di un raggio luminoso. Bloccata la macchina, si sporse dal finestrino e guardò nuovamente la finestra. "Probabilmente" si disse, "è stata la mia immaginazione". Ma in quell'istante scorse di nuovo lo spostamento rapido di un sottile raggio luminoso. Non c'era più dubbio: qualcuno, con una lampada a pila, stava frugando in camera sua. Scese silenziosamente dall'auto e, girato l'angolo, si portò sul retro della villa. Nella stanza di MacDonald, Vilma aveva chiuso le tende, dalle quali filtrava solo una debole luce. Invece la stanza a fianco, quella di Murphy, era illuminata, e alla finestra, controluce, si scorgeva una persona. Potter la osservò perplesso. Non poteva trattarsi di Murphy, perché la sagoma che si stagliava sullo sfondo illuminato era snella e aggraziata. Senza dubbio una donna. Tutte le porte della villa a quell'ora erano chiuse a chiave, ma Potter, prima di uscire, aveva lasciata aperta la finestra della dispensa. Vi si introdusse e, sempre nel massimo silenzio, la richiuse dietro di sé. Poi, toltesi le
scarpe, con l'aiuto della pila-matita, sali nel buio sino al terzo piano, spostandosi con tutte le precauzioni per evitare di far scricchiolare l'impiantito e i gradini di legno. Nessuna luce filtrava sotto la porta della sua camera e di quella di Warren. Potter avvertì un brivido di paura. Svitò di mezzo giro la lampadina della illuminazione notturna ridotta, e il corridoio piombò nell'oscurità. Poi raggiunse a tastoni la porta della sua camera e tentò di girare la maniglia con precauzione, per non fare il minimo rumore. Da prima incontrò un po' di resistenza, ma infine la maniglia cedette con facilità. Sicuro che nessuna luce proveniente dal corridoio potesse tradirlo, Potter spinse la porta centimetro dopo centimetro, e subito dopo si inoltrò nella camera. Trattenendo il respiro, rimase qualche istante in attesa, ma dalle tenebre non gli giunse alcun rumore, per quanto lieve: neppure quello di qualcuno che respirasse. L'unico rumore era quello del sangue che gli pulsava precipitosamente nelle vene. Eppure avvertiva con certezza la netta sensazione che ci fosse qualcuno vicino a lui, nascosto e in agguato nel buio. Potter, in circostanze del genere, sembrava quasi acquisire la facoltà primordiale di percepire l'odore del nemico. Un istante dopo fu costretto d'istinto ad aspirare una breve boccata d'aria, mentre la sua testa scattava all'indietro con tale violenza, da fargli pensare d'essersi fratturato le vertebre cervicali: la terribile cosa che era venuta a serrarglisi attorno al collo cominciò a incidere la carne come una lama, impedendogli di respirare. Ora Potter lottava per immettere l'aria nei polmoni tormentati. Cercò disperatamente di insinuare le dita tra il collo e il sottile cordone che gli serrava la gola per allentarne la stretta mortale. Un unico pensiero spasmodico lo dominava: aria, aria per sopravvivere. Esplosioni di luce gli si paravano davanti agli occhi. "Devo giocare il tutto per tutto!" pensò. Protese entrambe le braccia all'indietro, sopra la spalla destra, alla disperata ricerca delle mani che stringevano il cappio. Riuscì ad afferrare un avambraccio: si chinò per un attimo sulle ginocchia, per poi risollevarsi di colpo, dando contemporaneamente un potente colpo d'anca. L'aggressore venne scaraventato violentemente a qualche metro di distanza, passando sopra la testa di Potter che, sbilanciato a sua volta, barcollò nel buio, sentendosi mancare. 10
Quando riprese i sensi, la luce gli feri spietatamente gli occhi. Il collo gli doleva, tormentato da un insopportabile bruciore. In quanto alla testa, se la sentiva come se fosse stata presa a martellate. Tese un braccio cercando una presa per alzarsi. — Stai buono e non muoverti — disse Warren. — Dammi il tempo di stagnare il sangue: stai sporcando tutto il tappeto. Potter era disteso sul pavimento, accanto al cassettone: si portò una mano alla testa per accertare di dove provenisse l'emorragia. — Che cosa mi è successo? — gracchiò. — Hai dato una bella zuccata nello spigolo del cassettone. — Dov'è quel farabutto? — Quando sono entrato, c'eri solo tu. Ho sentito del fracasso e sono corso subito! a vedere che cosa stava succedendo. — Probabilmente il rumore che hai udito era quello provocato dalla sua caduta:gli ho fatto fare un bel volo con un colpo di judo. La stanza era conciata come se ci fosse stato un terremoto. — Possibile che la nostra colluttazione abbia cagionato uno sconquasso del genere? — osservò Potter. — A meno che non abbiate rovesciato tutti i cassetti mentre lottavate, è evidente che quel tipo deve aver perquisito la stanza prima del tuo arrivo. Ho subito guardato in corridoio ma non c'era anima viva. Avrei voluto cercarlo anche ai piani inferiori, ma non conoscevo la gravità della tua ferita. Capirai, con tutto quel sangue che perdevi! — E così, te lo sei lasciato sfuggire! Almeno ci fosse rimasto un piccolo indizio per scoprire chi era! — esclamò Potter con rabbia. — Se è per questo, qualcosa ha lasciato — disse Warren sorridendo e porgendogli un cordoncino che terminava in un nodo scorsoio. — Questa volta — disse Warren — hai davvero scatenato le belve. C'è mancato poco che la tua prossima esibizione in pubblico avvenisse all'obitorio. — Se mi avesse colto totalmente di sorpresa — disse Potter cupamente — non avrei potuto cavarmela peggio! Dovrei proprio vergognarmi di me stesso. Warren, nonostante fosse ancora preoccupato per le condizioni dell'amico, sorrise: — Si direbbe che tu ce l'abbia più con te stesso che col povero sottoscritto, reo di essere arrivato con ritardo per difenderti dall'aggressore...
— Avrei dovuto essere meno imprudente. Meno male che ho imparato lo judo nei commandos, se no... — Come, sei stato nelle truppe d'assalto?! — esclamò Warren, mentre con una certa sorpresa osservava la minuta corporatura di Potter. Davvero non finiva più di scoprire insospettate qualità nel suo imprevedibile amico. — Sì, vi ho prestato servizio per un certo tempo. Ora, per favore, aiutami ad alzarmi. Warren lo aiutò a levarsi in piedi; Potter si mise di fronte allo specchio e si guardò con attenzione. Da una vasta ferita sulla fronte continuava l'emorragia. La faccia era talmente imbrattata di sangue da far pensare che qualcuno avesse tentato di scotennarlo, mentre, molto più semplicemente, lo scempio era stato causato dai goffi tentativi di Warren che, studiandosi di asciugare il volto dell'amico, l'aveva trasformato in una maschera di sangue. Potter aveva la sensazione che la gola gli fosse stata marcata a fuoco con una lama rovente. Quando si tolse la cravatta e aprì il collo della camicia, poté scorgere meglio il solco paonazzo lasciato dal nodo scorsoio. — Ce n'è abbastanza per indurmi a portare il colletto duro per tutta la vita! — commentò con voce rauca. — Non hai un'idea di chi possa esser stato? — chiese Warren. — Di una sola cosa sono sicuro: che si trattava di un uomo. Il problema è che qualsiasi individuo dotato di normale corporatura, purché sufficientemente abile nell'usare il cappio, è in grado di compiere un'aggressione del genere. Non è necessaria molta forza. — Bene — disse Warren — dato che MacDonald è tuttora degente a letto e che Roland Keane è in condizioni ancora peggiori, non resta che Bob Murphy. È una questione di semplice aritmetica: se da tre ne togli due, resta uno! Ora vado a prendere del ghiaccio per la tua gola. Poi ci penserò io a conciare per le feste quel tipo! — Per il momento, lascia perdere il ghiaccio. Appena sarò riuscito a sistemare questo maledetto cerotto... — borbottò Potter mentre se ne applicava una striscia alla ferita della fronte — ...voglio dedicarmi a mettere un po' alle strette certa gente. Dopo essersi tastato con precauzione la gola, si avvolse il collo con un foulard. — Amico mio — prosegui — il problema aritmetico non è così semplice come l'hai esposto. Potrei citarti altri due possibili aggressori: John Miller e il dottor Smiley. Sono entrambi abbastanza robusti, e più che mai desiderosi di evitare che io immischi la signora Keane in questa sporca
faccenda. — Chi è, con precisione, che vuoi mettere alle strette? — Tutti. Voglio sapere da ciascuno dove si trovava in un certo preciso momento. Se anche uno solo di loro dimostrasse di avere un alibi, questo sarebbe di grande aiuto, perché restringerebbe le ricerche. — Non ti lascerò lavorare da solo — disse Warren. — Per questa notte ti hanno già servito di barba e capelli. — Non fare il pazzo — rispose Potter. — Ricordati che hai un paio di costole rotte. Warren sogghignò: — Risparmiati il fiato! Da dove incominciamo? Vista l'espressione del viso di Warren, Potter molto saggiamente si rese conto che qualsiasi altro tentativo di dissuadere l'amico sarebbe stato inutile. — Io inizierò dalle stanze di questo piano — disse. — Tu, invece, puoi ispezionare il primo piano, controllando tutti quelli che vi si trovano. Naturalmente, chi mi ha assalito ha avuto tempo in abbondanza per tornarsene in camera sua, se è uno di qui, o per andarsene, se non abita alla villa. Così come stanno le cose, dobbiamo considerare entrambe le ipotesi come possibili. Ricordandosi della donna che aveva visto alla finestra di Bob Murphy, e chiedendosi se stesse spiando, o attendendo qualcuno, Potter decise di iniziare proprio di là il suo controllo. Girò con precauzione la maniglia, riaccompagnandola poi per evitare il rumore dello scatto di ritorno; poi, aperta lentamente la porta, rimase immobile in ascolto, trattenendo il respiro. Ebbe la sensazione che la stanza fosse vuota e vi si introdusse silenziosamente. In effetti non c'era nessuno. Le lenzuola erano in disordine, come se Bob avesse abbandonato il letto in fretta e furia. La stanza da bagno era socchiusa, e Potter, accertatosi che dentro non vi fosse nessuno, l'attraversò per andare a controllare la porta che dava nella camera di MacDonald. La trovò chiusa a chiave: la fidata signorina Thomas si era attenuta agli ordini. Ma quando poco dopo dal corridoio entrò in camera di MacDonald, dovette constatare, alla tenue luce della lampada da notte, che, dopo tutto, l'infermiera non era poi così degna di fiducia. Abbandonata sulla poltroncina, appariva immersa in un profondo sonno. In quanto a MacDonald, giaceva sul letto con il viso rivolto alla parete. Il petto si alzava e abbassava seguendo il ritmo di una respirazione regolare. Mentre scendeva silenziosamente le scale, a piedi scalzi, verso il primo
piano, Potter vide sbucare Warren dall'angolo del corridoio, dove era la stanza di Crystal. L'attore gli fece cenno che tutto era in ordine. Evidentemente Warren aveva accertato che Crystal era in camera sua. Inoltratisi insieme lungo il corridoio principale del primo piano, dopo una breve consultazione decisero di effettuare il controllo limitandosi ad ascoltare dall'esterno se si udissero dei rumori nelle camere. Warren, accostatosi alla prima delle porte, dopo avervi appoggiato l'orecchio per qualche istante, aprì cautamente. — Vi avverto che avete sbagliato indirizzo, Dracula da palcoscenico — urlò Susan infuriata. Sorridendo, Potter abbandonò Warren al suo destino. Tutti i corridoi del primo piano erano immersi nell'oscurità e Potter, sceso al pianterreno, sostò per un momento immobile in ascolto, ai piedi dello scalone. D'un tratto, più che sentirlo, ebbe la sensazione di un movimento nel buio, e istintivamente si irrigidì per fronteggiare un eventuale attacco. Non lo avrebbero colto di sorpresa una seconda volta! Poi udì una lievissima vibrazione sonora, simile al fruscio di un tessuto contro il legno. Qualcuno stava aggirandosi furtivamente nella biblioteca. Un raggio luminoso per una frazione di secondo. Silenzioso come un gatto, Potter attraversò il grande atrio, cercando nel frattempo di rammentare come erano disposti i mobili nella biblioteca. Oltre la porta, che era socchiusa, trovò, come aveva pensato, una grande poltrona a braccioli. Cercò a tastoni l'interruttore della luce: lo fece scattare nell'attimo stesso in cui si lasciava cadere in ginocchio al riparo della poltrona. Sporgendo la testa di lato, esaminò il locale. Bob Murphy, che indossava un bellissimo pigiama di seta turchina, di un'eleganza inaspettata, se ne stava in piedi al centro della sala, fissando la porta. Non aveva armi, ma brandiva un pesante candelabro di bronzo. Potter si rialzò. — Buon Dio! — esclamò Bob in tono disgustato — allora siete voi quello che se ne sta andando in giro come un ladro?! Vi ho dato la caccia per tutta la casa. — Vi sbagliate. Io non c'entro — rispose Potter. — Allora si tratterà di qualcun altro. Comunque, a me è sembrato opportuno dare un'occhiata in giro. — Dovete avere un ottimo udito se dalla vostra stanza all'estremità del secondo piano siete riuscito a sentire qualcuno che si introduceva in casa al pianterreno — osservò Potter.
— Il fatto è che noi... voglio dire che io, ho sentito arrivare un'auto. Ma siccome nessuno si è fatto poi aprire la porta, noi... cioè io, ho pensato che fosse meglio scendere per dare un'occhiata. — Poi, in un evidente tentativo di cambiare argomento, esclamò con preoccupazione ed enfasi esagerate: — Accidenti! Che cosa è accaduto alla vostra testa?! Vi fu un'ondata di profumo, e i due si volsero a guardare verso la porta. Bob, con un atteggiamento di finta sorpresa che non avrebbe ingannato neppure uno scemo completo, esclamò: — Oh, ciao Hope! Che cosa fai qui? Ti abbiamo svegliata? La ragazza indossava una vestaglia di velluto verde, dal collo della quale fuoriusciva il pizzo celeste della camicia da notte. Potter, colto da un'improvvisa ispirazione, disse: — Penso che voi due siate sposati, oppure mi sbaglio? — Da una settimana — ammise Hope. Passò il braccio sotto quello del marito e si strinse a lui. — Sapevo che se avessi avvertito la famiglia si sarebbe scatenato un putiferio, così abbiamo deciso di fare a modo nostro. Comunque, neppure la più accanita opposizione avrebbe potuto fermarci. Noi ci apparteniamo! — Siete rimasti insieme tutta la sera? Bob fu il primo a rendersi conto dell'espressione e del tono serio e preoccupato con cui Potter aveva rivolto la domanda. — Che cosa è accaduto, ancora? — chiese ansioso. — Per l'amor del cielo, signor Potter, che cosa sta succedendo in questa casa? Questa sera mi hanno detto che voi siete convinto che vi siano stati tre tentati omicidi. Non riesco a crederlo. — Vedo che avete parlato con vostra madre. Hope strinse affettuosamente il braccio del marito, che si controllò e rimase calmo, poi disse: — Bob mi ha detto tutto, circa sua madre, prima che ci sposassimo, e proprio questa sera mi ha rivelato anche chi era suo padre... cioè il mio patrigno! Sono inorridita all'idea che quell'uomo, padre o patrigno che fosse, possa essersi comportato in un modo così crudele e volgare. Per quanto riguarda la mamma di Bob, non mi sento certo di attribuirle la minima colpa. — Poi, prevenendo qualche obiezione del marito, aggiunse: — No, non potrei rimproverarle proprio nulla! Ne ha passate di tutti i colori e non è possibile condannarla. Anzi, a me piace moltissimo e le voglio tanto bene. — Si rivolse direttamente a Bob: — Caro, perché non ci vai a prendere qualcosa da bere? Il signor Potter è già così rauco, che penso stia covando un bel raffreddore.
Bob uscì immediatamente e Potter pensò che, almeno di fronte alla moglie, il giovanotto diventava trattabile e cessava di fare il villanzone. Appena uscito il marito, Hope disse in fretta, con ansia: — Conosco la vostra attività di investigatore e perciò ritengo importante che sappiate tutto di Bob. Susan non sopporta il mio fidanzamento con lui perché Bob una volta faceva lo stalliere qui da noi, e io invece sono fiera che si sia adattato anche a quel lavoro, pur di studiare. Ma, vedete, loro... insomma, la mamma è molto bella e di Susan si può dire altrettanto, mentre io... Purtroppo sono sempre stata il brutto anatroccolo della famiglia. Loro mi vogliono molto bene ma, proprio per questo, non riescono a credere che Bob mi ami sinceramente. Solo il passare del tempo le convincerà che tra me e mio marito tutto è meraviglioso! Hope era alta quasi come Potter, e, standogli di fronte, lo fissava diritto negli occhi, alla disperata ricerca di un segno di comprensione. Voleva, assolutamente voleva, che Potter le credesse. — Se non avessi già sentito parlare delle vostre capacità dalla mia prozia Clara — proseguì — non avrei mai potuto credere alla vostra teoria che il mio patrigno sia stato ucciso e che qualcuno abbia tentato di assassinare lo zio Roland e il signor Bevan. Certo, se il mio patrigno aveva la prerogativa di saper mandare in bestia la gente, Bevan aveva la stessa capacità nei confronti di lui. Ma, in quanto allo zio Roland... nessuno potrebbe odiarlo a un punto tale da volerlo uccidere. È un uomo allegro, inoffensivo, gentile con tutti. — Posò una mano sul braccio di Potter. — Una cosa sola mi angoscia: riguarda la mamma di Bob e il fatto che abbia ereditato la quota azionaria del mio patrigno. Il lascito è spiegabile anche se, lo capisco, non deve essere stata una bella sorpresa per lo zio Roland. Purtroppo la gente ora penserà che Crystal abbia ucciso il mio patrigno per venire in possesso di quelle azioni, che lui, invece, le ha lasciato per riparare a una sua vecchia, gravissima colpa. Non siete della mia opinione? — Bisogna ammettere — disse Potter evasivamente — che il comportamento del signor Herbert nei confronti di vostro marito non è stato, come dire, quello di un padre molto affettuoso. — Ma non è stato Bob ad ammazzarlo — esclamò Hope. — Lui, anche se per assurdo volesse uccidere qualcuno, non si abbasserebbe mai a servirsi di un mezzo subdolo come il veleno! In quanto a sua madre... — Madre e figlio avevano entrambi due moventi sostanziali, signora Murphy! Direi anzi, due ragioni determinanti: sarebbero diventati ricchissimi e si sarebbero presi una rivincita. Lucro più vendetta!
— Non credo che la madre di Bob sia avida e vendicativa. È solo una povera donna... indifesa e disarmata. Disarmata, indifesa! Gli stessi aggettivi che aveva usato Warren, per descriverla: indifesa e sempre alla ricerca disperata di affetto e di amore. — Certo — disse Potter — tutto ciò spiega perché vostro marito usava l'auto di sua madre quando vi ha portata qui da New York. — Sono stata io a usare la macchina, e Bob non è salito a New York. L'ho prelevato a Oakland, dove lui è arrivato in treno nella mattinata per incontrarsi con i dirigenti della National, che gli hanno prospettato una magnifica combinazione. Un'offerta eccezionale di lavoro e di collaborazione. Ma noi non volevamo che il mio patrigno ne sapesse nulla, fino a quando tutto fosse stato stabilito e sottoscritto. Sapevamo che la notizia lo avrebbe mandato fuori dai gangheri. — Hope — disse Bob dalla porta — ti avevo tanto raccomandato di non... — Di non dire che voi, Bob, eravate a Oakland? — lo interruppe Potter. Hope, smarrita, passava con lo sguardo dall'uno all'altro dei due uomini. — Ma perché non avrei dovuto dirglielo? — chiese infine perplessa. — Il perché è molto semplice — rispose Bob, sforzandosi di parlare in tono indifferente. Ma le mani gli tremavano e i bicchieri sul vassoio che stava posando sul tavolo, tintinnarono: — Perché tu, che sei mia moglie, stai mettendomi la corda al collo con le tue stesse mani. Potter estrasse dalla tasca il cordoncino e lo lasciò penzolare sotto gli occhi dei due. — Una corda come questa? — chiese. Spiegò poi ai due giovani, che erano impalliditi di colpo, che solo mezz'ora prima qualcuno aveva tentato di strangolarlo, aggredendolo nella sua camera. Quando si tolse il fazzoletto dal collo e Hope vide il solco paonazzo lasciato dalla funicella nelle carni, la ragazza non poté trattenere un'esclamazione d'orrore. Poi, istintivamente, prese un bicchiere di liquore, e lo offrì a Potter, che però, dopo averlo tenuto in mano qualche istante, tornò a deporlo sul vassoio, senza neppure assaggiarne un sorso. — Potete bere tranquillamente — disse Bob, aggressivo — è ottimo whisky. — Lo credo — rispose Potter — ma ho le mie buone ragioni per diffidare delle bevande che vengono offerte in questa casa. — E quindi, per diffidare anche di me! Tanto vale che lo ammettiate esplicitamente, non vi pare? — disse Bob. — Credevo di avere già fatto capire in modo chiaro che non mi fido di
nessuno, in questa casa. E di voi, meno forse che degli altri. — Ma io, sino a oggi pomeriggio, non sapevo neppure che Herbert Keane fosse mio padre! Perché dunque avrei dovuto ucciderlo? — Per dare a vostra madre la proprietà di un terzo della Keane Chemical Co. — insinuò Potter. — Se è per questo, dovete sapere che io ero totalmente all'oscuro del lascito. Non ne sapevo proprio nulla! — Quali sono le intenzioni di vostra madre, ora? Venderà il suo pacchetto di azioni, o intende restare nell'azienda? — Non ne ho la minima idea. — Penso che la nuova situazione azionaria faciliterà la vendita della Keane alla National — disse Potter. Bob si strinse nelle spalle, accigliato: — Io sono un chimico specializzato nella ricerca, non un uomo d'affari. — Ditemi, Murphy, perche ieri sera avete tolto quel bicchiere di liquore dalla mano di vostra madre? — Perché non deve assolutamente toccare alcolici! — Mentre li distribuivate, la seconda volta, come facevate a sapere di chi erano i singoli bicchieri? — incalzò Potter. — Ho un notevole spirito d'osservazione e una forte memoria visiva che mi viene probabilmente dalla professione. Avevo notato le diverse sfumature di colore di ciascun bicchiere al primo giro e quando si è trattato di tornare a distribuirli, sapevo già a chi spettava ciascun bicchiere. — Che fine ha fatto quello che avete tolto di mano a vostra madre? — L'ho lasciato sul vassoio, e nessuno più l'ha toccato. Per quanto mi riguarda, non ho bevuto, perché odio i liquori alla menta. — Per quale motivo ieri sera avete avuto un'accesa discussione con Herbert Keane? — Quale discussione? Non ce ne sono state che mi risulti — rispose Bob in tono deciso. — State attento a quello che dite e pesate bene le parole! — lo avvertì Potter, in tono severo. — Se vi colgo a mentire su di un particolare, dovrò ritenere che lo abbiate sempre fatto. — Ma io non vi sto mentendo... forse... Ecco, forse voi volete riferirvi a quello che è accaduto prima che andassimo a letto. — Bob rise disinvolto e proseguì definendo l'alterco col padre come un fatto privo di qualsiasi importanza. — Nulla di serio! — assicurò, sforzandosi di minimizzare l'accaduto. —
Gli ho manifestato la mia speranza che lui non se la prendesse troppo con Hope perché lei voleva sposarmi, e gli ho assicurato che io ero in grado di mantenere mia moglie dignitosamente. Lui mi ha risposto di avere invece saputo da mia madre, prima di cena, che io mi ripromettevo di farmi mantenere da lei. Gli ho risposte che era una vile menzogna: avrei risolto da me, col mio solo lavoro, ogni nostro problema. Non ricordo esattamente le mie precise parole, ma il senso del discorso era proprio questo. — Le parole esatte, se volete che ve le ricordi, sono state: "Continuerò per la mia strada e ve ne farò vedere delle belle!" — puntualizzò Potter. Bob si passò le dita nell'interno del collo del pigiama come se si sentisse soffocare. — È vero — ammise — ma tutto è finito lì, non è accaduto nient'altro. — Ieri, quando qui alla villa sono stati sellati i cavalli, voi eravate a Oakland? Il cambiamento inaspettato d'argomento prese Bob in contropiede. Il giovane arrossì violentemente ed esitò qualche istante. Poi disse: — State forse cercando di addossarmi anche la responsabilità per l'incidente capitato a Roland Keane? — Eravate a Oakland, sì o no? — insistette Potter. Bob si passò confuso le dita tra i capelli. — Sì — ammise poi. —Sì, ero a Oakland... Be', potrei dirvi che c'era qualcun altro, in paese, che poi ha mentito spudoratamente a questo proposito. Quel MacDonald ha detto alla signora Keane di essere arrivato con il treno delle quattro e dieci: ebbene, io l'ho visto a Oakland verso le due e mezza, davanti a quel nuovo negozio che hanno appena aperto. Stava guardando delle cravatte in vetrina. Hope starnutì e Bob si affrettò a dirle: — Stai prendendo freddo, cara. Perché non vai a letto? Non è possibile risolvere nulla, questa notte, e se in casa c'era qualche estraneo, ormai se n'è andato. — Qui c'è una corrente d'aria — rispose Hope — e io quando mi ci trovo in mezzo, per leggera che sia, mi metto subito a starnutire. Senti, Bob, domattina dobbiamo dire subito a tua madre che ci siamo sposati. — Sospetto che lo sappia già — intervenne Potter, che si ricordava d'aver visto Dorothy lasciare silenziosamente, la sera prima, il corridoio dove si trovava la camera di Bob e d'averla sentita intimare, poco dopo, a Susan, di non andare a svegliare e a disturbare la sorella. — Impossibile! Come avrebbe potuto venirlo a sapere, se... — iniziò a dire Hope.
— Altro che corrente d'aria! — esclamò Potter, allontanandosi precipitosamente dalla biblioteca, seguito da Bob. Nel salotto, una delle finestre era spalancata. — Ecco di dove è entrato il nostro visitatore notturno — disse Bob. — Ero sicuro d'avere sentito qualcuno girare per la casa. — Oppure è di qui che è uscito — disse Potter. — A meno che non l'abbia lasciata aperta apposta per confonderci le idee. — In quanto alle mie, lo sono già a sufficienza — osservò Bob — solo che... Se è un estraneo venuto dall'esterno... — Fermatevi — gli ordinò Potter — non chiudete quella finestra. — Perché? — Ora uscirò di lì anch'io. Potrebbero aver lasciato qualche traccia di fuori; voi restate qui e badate a vostra moglie. Cercate di non dimenticare, se vi è possibile, che in questa casa, stanotte, c'era un assassino spietato. Potrebbe esserci ancora! Potter tornò nella biblioteca e, cercato il numero sulla guida, fece il numero del dottor Smiley. Dopo qualche squillo, la segreteria telefonica avvertì che il dottore era dovuto uscire per recarsi d'urgenza da un ammalato. "Fiasco!" pensò Potter. Poi si volse a Hope: — Sapete per caso dove è alloggiato John Miller? — Ma certamente. Ho sentito proprio questa sera che diceva a mamma di avere lasciato l'albergo perché ha affittato una villetta a Dabney. — Dove si trova? — A mezzo chilometro da qui, lungo la strada per Oakland. Bisogna girare alla seconda casa a sinistra. Si tratta di un piccolo cottage di pietra, con alle spalle un boschetto di salici. — Poi, mentre Potter stava lasciando la biblioteca, la ragazza, proseguì: — Ma a quale scopo andate da Miller? Sì, lui ha scritto quegli articoli contro il mio patrigno e la sua azienda, ma in fondo loro due... non erano veramente nemici. — Ne siete proprio certa? — le chiese Potter. 11 Potter cercò in tasca le chiavi della macchina e, scavalcando il davanzale della finestra, uscì nel parco. Quando avviò il motore e accese i fari, guardò l'ora: era l'una di notte. Un'ora davvero poco indicata per andare a far visita. Si augurò di tutto cuore che la gente di Dabney fosse tutta profon-
damente addormentata. Un'elegante insegna contornata d'edera recava la dicitura "Dabney". Potter spense i fari e si inoltrò lungo il viale tra i vari cottage. La villetta era sulla destra, e dietro le tendine tirate, filtrava della luce. Potter scese dalla macchina e attraversò il prato, sentendo sotto i suoi passi frusciare e scricchiolare il fogliame caduto dagli alberi. Silenziosamente fece il giro della costruzione senza trovare una apertura o un modo qualsiasi per guardare nell'interno. Bussò alla porta e, dopo una certa attesa, tornò a bussare. Si accese una luce all'esterno, e un attimo dopo la porta venne aperta. Miller, vestito di tutto punto, apparve sulla soglia, aguzzando gli occhi miopi per riconoscere il visitatore. — Sono Potter. Mi spiace disturbarvi, ma... Miller lo interruppe quasi gridando: — Potter? Che diavolo volete? Ma sapete che ora è? — Comunque, non vi ho certo svegliato. Siete ancora vestito! — Ebbene? — Dobbiamo parlare qui sulla porta? — chiese Potter con calma. — Va bene, entrate pure — rispose Miller, irritato, continuando a usare un tono di voce inutilmente elevato. Il soggiorno era piccolo ma accogliente, con un caminetto di pietra grezza, nel quale ardeva un bel fuoco. Vi erano accostate una comoda poltrona e una bassa sedia a dondolo, che oscillava ancora lievemente. Sempre senza alzare la voce, Potter chiese: — Perché non venite qui con noi, signora Keane? Istintivamente, Miller si avvicinò con aria minacciosa a Potter ma poi si fermò disorientato e sconvolto, mentre la porta della piccola cucina si apriva. Pallida come un cencio, ma a testa alta, Dorothy fece il suo ingresso. Prese tranquillamente una sigaretta da una scatola sulla tavola e andò a sedersi sulla sedia a dondolo. Potter si affrettò ad accenderle la sigaretta. — Ne volete una? — chiese lei, in tono gelido. — No, grazie. La mia gola continua a bruciare come il fuoco — rispose Potter tirando fuori il cordoncino a nodo scorsoio e facendolo lentamente oscillare bene in vista. — Non lo avete mai visto prima questo aggeggio? — chiese poi. Miller si chinò ad osservarlo meglio: — Di che cosa si tratta? Mi si sono rotti gli occhiali, e, senza quelli, sono quasi cieco. — Si tratta — intervenne Dorothy con il medesimo tono gelido di prima — di una scena melodrammatica e di un gusto talmente deteriore, che per-
sino il signor Potter dovrebbe vergognarsi di interpretarla. Potter guardò pensieroso il cappio: — Meno di un'ora fa — disse con calma — qualcuno ha tentato di strangolarmi con questo aggeggio. Mi ha aggredito a tradimento nel buio della mia camera. Sono riuscito a liberarmi, ma poi sono andato a rompermi la testa contro un mobile e tra l'altro, signora Dorothy, ho rovinato irrimediabilmente uno dei vostri bellissimi tappeti: perdevo sangue come un maiale sgozzato. Per fortuna Xavier ha sentito il rumore della colluttazione e si è precipitato a soccorrermi. — Non dite idiozie! — disse sdegnosa Dorothy. — Summit House è una villa ben sorvegliata e difesa. In tutti questi anni non abbiamo mai avuto visite di ladri o scassinatori. — Vorreste forse insinuare che sia stato un ladro a cercare di strangolarmi? Uno strano ladro davvero: poteva scappare come voleva, e invece no! Si ferma nella villa e cerca di assassinarmi. — E voi vi aspettate che io presti fede alle vostre panzane? Potter non le rispose: si tolse il foulard dal collo. La signora Keane, vedendo il solco bluastro, sgranò gli occhi per l'orrore: — Mio Dio, John! — gridò. — Ma allora è proprio vero. Non riesco a capire come può essersi verificata una cosa del genere. Sono letteralmente annichilita. Sapete almeno chi è stato? — Era notte, e con l'oscurità è riuscito a fuggire — spiegò Potter. — Sapete, almeno, se qualcuno aveva un motivo per assassinarvi? Potter accennò un sorriso e rispose: — Forse voi che me lo chiedete potreste rispondere meglio di me, a questa domanda. — Signor Potter — ribatté Dorothy, con un gesto di esasperazione — come potete pensare che io sappia... — Da quanto tempo siete qui, signora? — Non riterrete, per caso, che sia stata la signora Keane a tentare di strangolarvi, vero? — intervenne Miller. — No, non era una donna. — Allora, sospettate di me? — esclamò Miller. — Ditemi un solo motivo ragionevole per cui dovrei togliervi dall'elenco delle persone sospette — disse Potter — e sarò ben lieto di farlo. Miller rifletté per qualche istante: — Be' — ammise poi — devo riconoscere che l'idea di torcervi il collo mi attirerebbe moltissimo, se non fosse che io disapprovo la violenza. D'altra parte, dopo essere tornato per la cena, non mi sono più mosso di qui. — Poi, prevedendo la successiva domanda, aggiunse: — No, non ho testimoni. La cameriera che si occupa del
cottage, la sera se ne va a casa. In quanto alla signora Keane, è arrivata circa mezz'ora fa, perciò, se lo strangolatore vi ha aggredito prima di allora, non dispongo di nessuno in grado di fornirmi un alibi. Ne sono sinceramente spiacente per voi... — Non prendetela come se si trattasse di un gioco di società — disse Potter con calma. — In mezzo a noi c'è un pericolosissimo criminale omicida. Fareste bene a non dimenticarlo. — Avete pensato a... Bob Murphy? — azzardò Dorothy. — Potrebbe benissimo essere stato lui. In una situazione del genere, è lecito sospettare di tutti — ammise Potter. — Ma se è stato uno della villa, allora non vedo... — obiettò Miller. — Qualcuno potrebbe esservisi introdotto. C'era una finestra aperta, nel salotto. Dorothy Keane trasalì, poi, con voce quasi supplichevole, disse: — Allora voi ritenete che potrebbe essere stato un estraneo? — Oppure che la finestra l'abbiate lasciata aperta voi, signora, per poter rientrare in casa, al ritorno dalla vostra... scappatella notturna. — A questo punto, Potter — intervenne Miller in tono indignato — state esagerando. Ma, prima di vedervi diventare ancora più offensivo, vi informo che vi sbagliate di grosso circa la presenza della signora Keane in questa casa. So che state pensando... — Sto pensando — disse Potter con voce tranquilla — che forse la signora Keane è venuta qui per discutere circa quel rischio che voi, Miller, la incitavate ad affrontare e che la spaventava moltissimo. O, forse, è venuta ad annunziarvi di averlo già affrontato? — Fuori di qui! — L'espressione furiosa del giornalista incuteva paura. Dorothy afferrò Miller per un braccio e disse: — No, John, no, ti prego! — Poi si volse verso Potter: — È evidente che ieri ve ne siete andato in giro per il parco ad origliare. — La sua voce esprimeva un gelido disprezzo. — Ebbene, sappiate che state cadendo in un terribile equivoco. Come potete pensare... — si interruppe. — Che voi due, d'accordo, abbiate fatto fuori un marito molesto? — Siete pazzo. — Signora, da quanto tempo sapete che a uccidere Herbert Keane è stata una dose eccessiva di digitale? — Non rispondere, Dorothy! — intervenne Miller. — Da questa mattina, quando l'ho trovato morto — rispose la donna, disfatta. — Ho visto la bottiglietta vuota e mi sono resa conto subito dell'ac-
caduto. Ecco perché sono quasi svenuta: è stato orribile! — E perciò, con la complicità del dottor Smiley, vi siete affrettata a decidere che il corpo di vostro marito dovesse essere cremato, eliminando così ogni traccia della digitale. Si direbbe che voi, signora, abbiate un'abilità tutta particolare nel far scomparire le prove. Quando è necessario, vi mettete persino a lavare i bicchieri in piena notte. — Con il dottor Smiley non ho detto una sola parola circa la digitale, anche perché pensavo che si sarebbe reso conto subito della vera causa del decesso. Anzi, quando lui ha attribuito la morte a un semplice collasso cardiaco, non credevo alle mie orecchie. Per quanto poi riguarda i bicchieri, mi sono messa a lavarli perché ero così disperata e infelice da non riuscire a prender sonno. Se la servitù, nel pulirli, ne avesse rotto, o anche solo scheggiato qualcuno, mio marito avrebbe fatto una tragedia. Era molto duro con i domestici, che infatti lo temevano. D'altra parte, tutti noi ne avevamo paura: persino Roland, nonostante lo ammirasse e lo amasse molto. Potter restò silenzioso per qualche istante. — Vedo che non usate gli occhiali — disse poi d'improvviso a Miller. — Vi si sono rotti? Il giornalista, che era rimasto teso e preoccupato ad ascoltare le dichiarazioni di Dorothy, si riscosse: — Come?... Ah, sì: erano sul tavolo e vi ho fatto cadere sopra un grosso volume. Ma che cosa c'entrano i miei occhiali, ora? — Quando è successo? — incalzò Potter. — Ieri pomeriggio. — Vi spiacerebbe darmene i frammenti? Miller batté le palpebre e parve confuso. — Ma io — spiegò — non li ho conservati. Li ho gettati via e ho subito telefonato a New York al mio oculista, perché mi preparasse subito un altro paio di lenti. — Che cosa ne avete fatto delle lenti rotte? — Non ricordo. Probabilmente le ho gettate nel cestino. Ma quando, esasperato e sconcertato, Miller si decise a rovesciare sul pavimento il contenuto sia del cestino della carta straccia che della pattumiera della cucina, non si trovò alcun frammento delle lenti. Per comprovare le sue dichiarazioni, il giornalista fornì allora a Potter il nome del suo oculista, con l'indirizzo di Manhattan. Vi era un particolare che colpiva Potter, ed era il fatto che, nonostante lo sdegno e il risentimento, nessuno dei due si rifiutava di rispondere a delle domande che lui non aveva né il diritto né l'autorità di rivolgere loro.
— Ma perché mai siete venuto a Oakland? — inveì esasperata Dorothy. — Perché siete finito tra i piedi proprio a noi? L'ho capito subito, dal primo momento che vi ho visto alla villa, che sarebbe accaduto qualche guaio. Dovunque voi arrivate, lo sanno tutti, vi segue sempre, come un'ombra, qualche sciagura. Se fossi in voi, avrei paura di me stesso: anzi ne avrei orrore! A Potter era capitato molte volte di sentirsi offendere; qualche volta di sentirsi manifestare odio; ma non gli era mai successo di vedersi considerare un'entità pericolosa e funesta. Vi era una nota di convinzione superstiziosa, nella voce di Dorothy, che lo fece rabbrividire. — La sciagura incombeva già su di voi, ben prima del mio arrivo — finì col dire. — Tra l'altro, quando per la prima volta sono arrivato nelle vicinanze di Summit House, l'incidente di vostro cognato si era già verificato. — Poi, sempre con voce tranquilla, proseguì: — Ditemi, piuttosto, qual era il rischio che il signor Miller vi esortava ad affrontare ieri sera? — Permetti che glielo spieghi io, Dorothy? — intervenne Miller. — Non si trattava di un vero rischio, bensì di una decisione da prendere: le avevo già chiesto di sposarmi, ma Herbert le negava il divorzio. Ci aveva anzi minacciati, dicendo che se Dorothy si fosse ostinata nella sua richiesta, sarebbe stato lui a citarla in tribunale, accusandola di adulterio con me. Così facendo, sapeva che non solo avrebbe screditato me, ma che, di fronte all'opinione pubblica, avrebbe svuotato di ogni consistenza anche le mie accuse alla Keane Chemical Co., accuse che infatti sarebbero apparse conseguenza di un fatto personale nei suoi confronti, da parte mia. Proprio in quel momento, il governo, tra l'altro, mi aveva offerto un incarico giornalistico in un'importante inchiesta ufficiale: una denunzia per adulterio avrebbe significato, per me, perdere quell'importantissimo lavoro. — Miller osservò attentamente il suo interlocutore, tentando di stabilire se, e sino a dove, la sua spiegazione era stata creduta. Poi aggiunse: — Volevo che Dorothy chiedesse egualmente il divorzio. In fin dei conti, che ce ne importa delle conseguenze e dell'opinione pubblica?! Ma lei temeva troppo per me e per la mia carriera. — Mi avete dato una spiegazione perfetta e commovente — disse Potter con voce gentile, mentre si avviava verso la porta. — Signora Keane, lascerò aperta per voi la finestra del salotto. Quando Potter rientrò alla villa, le luci della biblioteca erano accese. Per quanto si muovesse con cautela, dopo aver scavalcato il davanzale della fi-
nestra del salotto, non riuscì ad evitare di urtare qualcosa che si infranse rumorosamente al suolo. Perse l'equilibrio e finì a terra. — Non ti muovere! — intimò nel buio la voce di Warren — c'è una pistola spianata contro di te. — Un attimo dopo si accese la luce. — Che diavolo ti è venuto in mente di organizzare una trappola del genere? Davvero roba da ragazzini! — esclamò Potter irritato. Poi guardò i cocci attorno a sé, e proseguì: — Se questo vaso era di valore, e trovandosi in questa casa è probabile che lo fosse, rischio di dover pagare una bella sommetta per il risarcimento e di beccarmi un paio d'anni di galera per avere combinato questo guaio entrando clandestinamente in casa. — Un soggiorno in prigione ti farebbe bene! — commentò Warren allegramente, mentre aiutava l'amico a rialzarsi. Potter però appariva di pessimo umore. Il suo aspetto era abbattuto e dolorante. — È stata mia l'idea di mettere il vaso sul pavimento, sotto la finestra — disse Susan soddisfatta. — Era un regalo della mia prozia Clara per le nozze della mamma. Un oggetto orribile, che tutti detestavano, ma che nessuno osava rompere perché doveva restare sempre bene in vista, in modo che quando lei veniva in visita, potesse subito vederlo. Abbiamo pensato di servirci della finestra aperta come trappola ed esca per l'assassino. — Fissò turbata il foulard al collo di Potter: — Vi fa molto male? — chiese poi. — Penso di riuscire a sopravvivere. — Fatemi vedere. Potter osservò l'espressione decisa sul bel viso della ragazza e si liberò dal foulard. Un attimo dopo, lo sgomento di lei lo indusse a sorridere. — Mi hanno conciato bene, vero? — chiese divertito. — Mio Dio, non credevo che vi avessero ridotto così! — disse lei rabbrividendo. — Sono davvero spaventata: ecco perché ho voluto restare sempre assieme al signor Warren. Chi può essere mai il responsabile di un'aggressione così feroce? C'è davvero da aver paura! Potter le sorrise. — Voi siete totalmente al sicuro — disse. — Come potete dirlo, se neppure voi conoscete il colpevole? — Siete al sicuro — ripeté Potter. — Posso assicuraglielo. Abbiamo perquisito la casa da cima a fondo e, tranne Bob e Hope che facevano uno spuntino in cucina, non c'era nessuno in giro. Lei assentì con un cenno del capo e, fissando Potter con i meravigliosi occhi verdi, chiese:
— Sapete già del loro matrimonio, vero? — Poi, visto che non le veniva data risposta, sorrise con aria maliziosa e aggiunse: — Raccontateci che cosa siete andato a fare fuori casa. Ma Potter non aveva alcuna intenzione di permettere che Susan, quando sua madre sarebbe ritornata nella villa passando per la finestra, si trovasse presente. La ragazza aveva già subito abbastanza emozioni in quelle ultime ore, anche se dimostrava di averle assorbite con molta disinvoltura. — Andatevene subito a letto, signorinella — disse. — Per questa sera, lo spettacolo è finito. — Poi rivolse un'occhiata interrogativa a Warren, che gliela restituì con l'espressione di chi cerca di comunicare tacitamente un allarme. — Tutti presenti e controllati — disse però l'attore. — E Roland Keane? — Russa come un tricheco. — Davvero? — chiese Susan mostrandosi interessatissima a quel paragone di carattere zoologico. — Ascoltatemi bene — le disse Potter, in tono deciso — se davvero devo togliervi le castagne dal fuoco, fate cortesemente come vi ho detto: sloggiate subito! Tra l'altro, solo una ragazzina immorale e impudica potrebbe andarsene in giro esibendosi in un pigiama così audace, di fronte a uomini sensibili ed eccitabili come noi due. — Il signor Warren non si è mostrato affatto sensibile all'audacia del mio pigiama o, per lo meno, io non me ne sono accorta. Comunque, sono qui per aiutarvi. — Fuori di qui! Andatevene subito a letto. Susan si alzò con un sospiro e passò lo sguardo dal volto divertito ma deciso di Potter a quello confuso dell'attore. — E poi dicono di essere uomini sensibili ed emozionabili! — disse con sdegnata amarezza. Attese qualche istante sperando che Potter si commuovesse e annullasse l'ordine, o che Warren intervenisse in suo favore. Infine, delusa, fece una boccaccia ad entrambi e se ne andò. Appena la porta si chiuse alle spalle di Susan, Warren disse in tono preoccupato: — La signora Keane è introvabile. Non ho voluto dir nulla a Susan, ma tremavo all'idea che la ragazza se ne accorgesse. Andiamocene in biblioteca, ora. Poco dopo, quando si furono seduti in due comode poltrone, Potter gli rivelò che aveva trovato Dorothy Keane a casa di Miller. Warren accolse la notizia lasciandosi sfuggire un leggero fischio:
— Lo stesso giorno in cui è morto il marito! Non perde davvero tempo quella donna, ti pare? Deve essere proprio un tipo spietato e senza cuore. Pensi che lei e Miller possano essere complici? — Non so. Comunque è certo che lui non era l'uomo misterioso della brughiera. Era vicino a me, quando quel tizio se l'è svignata dietro i cespugli. — Si palpò il collo con precauzione. — Come va la tua gola? — chiese l'attore. — Mi duole ancora. — Un altro cliente, domattina, per il dottor Smiley. — Oppure un'altra delle sue vittime? — commentò Potter. — Pensi davvero che possa esser lui il colpevole? — Non lo so — ammise Potter. — L'ho visto questa sera ed ho messo le carte in tavola. Tutte. Gli ho detto che avevo in mano certe prove. Mentre stavo tornando alla villa, mi ha raggiunto e sorpassato guidando come un pazzo. Così che... — Così che, se ti ha preceduto qui, potrebbe benissimo essere stato lui a tentare di strangolarti. — Lui, o chiunque altro, se è per questo. — No, non chiunque altro — disse Warren. — Non complicare le cose. La rosa dei sospetti è già limitata: Bob Murphy, il dottor Smiley o quel Miller. — A proposito, sia Bob Murphy che Bevan MacDonald erano a Oakland nelle prime ore del pomeriggio di ieri. — In un modo o nell'altro, quel Murphy entra sempre in ballo, non ti pare? — Anche MacDonald — obiettò Potter. — Neanche per idea — disse l'attore spazientito. — Dimentichi che MacDonald è al di fuori di ogni sospetto. È rimasto privo di sensi fino da ieri sera. — E tu, come fai ad esserne certo? — Ma insomma, Potter, ora esageri! — Nulla è più facile che fingere di essere in quelle condizioni. Inoltre l'infermiera che lo sorveglia comincia ad accusare l'età: l'ultima volta che sono andato a dare un'occhiata, dormiva come un ghiro e non si è neppure accorta della mia presenza. Quindi, non puoi escludere MacDonald dai sospetti, anche perché tra lui e Herbert Keane esisteva un astio profondo. Te ne saresti accorto immediatamente, se avessi cenato con noi ieri sera. Keane ha continuato per tutto il tempo a sfotterlo, prima perché si era dimo-
strato incapace di dirigere l'azienda in sua assenza; poi perché si atteggiava a difensore della signora Keane; e infine perché non era riuscito a concludere l'affare che gli stava tanto a cuore: la vendita dell'azienda alla National. Ricordo bene, poi, quando Herbert gli ha detto: "Non cederò nulla di quello ch'è mio". Era una chiara ed esplicita minaccia, Warren! Impossibile sbagliarsi circa il tono e il modo con cui quella frase è stata pronunziata! — Che brillante e piacevole conversazione hai avuto occasione di goderti! — commentò Warren. — Oh, deliziosa davvero! Herbert ha rinfacciato deliberatamente a MacDonald di avere sperato che lui morisse quando, sei settimane fa, era stato colpito da un attacco cardiaco. Come se non bastasse, MacDonald conservava rancore nei confronti di Herbert anche per altri due motivi personali: in primo luogo perché Herbert era riuscito a scaricare su di lui Crystal dopo averla messa in stato interessante. In secondo luogo perché Herbert aveva fatto venire qui, in casa sua, Crystal, recando così una grave offesa a Dorothy, di cui MacDonald è chiaramente innamorato. — Ma bada che... — Non interrompermi, ti prego — disse Potter. — MacDonald potrebbe benissimo avere messo la digitale nell'aperitivo che Herbert ha preso prima di cena. I cavalli potrebbero essere stati sellati da lui. E infine avrebbe potuto essere proprio lui l'uomo misterioso, "che c'era ma non c'era", visto da me tra i cespugli. Warren, che si era sdraiato comodamente in poltrona, brontolò qualcosa, si rizzò a sedere e disse in tono ironico: — E poi, subito dopo, in un momento di rimorso, il signor MacDonald ha pensato bene di avvelenarsi con il sonnifero di Crystal. Te lo ripeto, Potter: attieniti alle soluzioni più semplici e più probabili. Per quanto mi riguarda, io sospetto Bob. Dove c'è del marcio, è sempre lui che sbuca fuori. — Bob... Smiley... Miller... MacDonald... una donna in pantaloni... oppure un tizio che definiremo con un'incognita X? Chi sarà stato? — Come se non bastassero gli altri, adesso ecco che introduci un nuovo assassino X! — commentò Warren ridendo divertito. Udirono giungere lievi rumori dal salotto e avvertirono il suono attutito della finestra che veniva chiusa con precauzione. Warren stava per balzare in piedi, ma Potter lo fermò con un gesto. Poi spense la lampada che era sul tavolo a lato della poltrona. — Non è l'assassino X che entra dalla finestra, ma la signora Keane che
se ne torna a casa! — sussurrò sorridendo. Rimasero ad ascoltare in silenzio e al buio i passi stanchi di Dorothy, sino a quando non udirono chiudersi la porta della sua camera. — Che razza di giornata abbiamo avuto! — disse Potter sbadigliando. — Non ricordo neppure più che cosa sia il sonno. Il telefono sul tavolo squillò, e lui tese rapido la mano per sollevare il ricevitore. Una voce dal tono impersonale e burocratico chiese: — Per favore, il signor Hiram Potter. — Sono io. — Un istante, prego. Il tenente O'Toole vuole parlarvi. Potter bloccò con un cenno Warren che stava per andarsene e, coprendo il microfono con una mano, disse: — Polizia. Diede un'occhiata all'orologio: le due e mezza. Tornò a sbadigliare. Poi una voce all'apparecchio disse: — Potter, spiegami un po': in quale ambiente infernale sei andato a ficcarti, questa volta? — Che cosa hanno trovato in laboratorio? — chiese Potter ansioso, invece di rispondere alla domanda. Udì un clik nel ricevitore. Da qualche parte nella villa qualcuno stava ora ascoltando a una derivazione della linea. Ma anche O'Toole aveva avvertito l'intercettazione; rispose: — Abbiamo ospiti nella linea, Potter. Tra cinque minuti ci sarà una macchina ad attenderti al cancello. Sono quelli della polizia di Stato del New Jersey: sei nella loro giurisdizione. Ti diranno loro che cosa abbiamo trovato, e tu potrai riferire i risultati delle tue indagini. Il tenente Ratclif è il tuo uomo, ora. Quello a cui dovrai far capo. Gli ho spiegato tutto e gli abbiamo già inviato tutto il materiale che ci avevi mandato per gli esami. — Tra cinque minuti?! Ma io muoio dal sonno — protestò Potter, scontento. — Tra cinque minuti! — ribadì O'Toole, senza riuscire a trattenere una risata divertita. — Sei tu che hai fatto ricorso a noi, non è vero? E allora, di che ti lamenti? Arrivederci, caro Potter, e buon divertimento! La comunicazione venne tolta. Un istante dopo, un nuovo clik avvertì che anche il misterioso intercettatore aveva smesso di ascoltare. Potter riferì in fretta a Warren e aggiunse: — Ora puoi anche andartene a letto. Io non so quando sarò di ritorno: a quanto pare dovrò andare al comando locale della polizia. — Così, hanno trovato la digitale? — commentò Warren, andando al
sodo. — Penso di sì, ma O'Toole non mi ha detto nulla di più di quanto ti ho già riferito, perché c'era qualcuno che intercettava la comunicazione, e il tenente se ne era accorto. — Ora che l'affare è diventato ufficiale, la situazione si prospetta, se possibile, ancor più pericolosa per te, Potter. Non si tratta più del nostro giochetto privato di congetture, ipotesi e sospetti. Stai attento bene a come ti muovi, Potter, e non correre rischi inutili. Può esserci qualche altro nodo scorsoio, in questa casa! — concluse Warren tracciando nell'aria, con un dito, il profilo di un cappio. — Per il momento e finché sarò con quelli della polizia, nessuno potrà aggredirmi. E comunque non credo che qui dovrebbero verificarsi ulteriori gesti di violenza. Qualcosa nel tono di Potter colpì Warren che, incuriosito, chiese: — Da come parli, si direbbe che tu ormai abbia chiarito il caso. — Penso di esserci riuscito. C'è un'unica risposta che appare logica e fornisce una soluzione a tutti i quesiti. O, per lo meno, credo di sapere chi ci sia dietro tutto quello che è accaduto qui. Ma si tratta di una stranissima situazione, Warren. Se la mia tesi è esatta, ci troveremo alle prese con un criminale su cui, purtroppo, non potremo mettere le mani. 12 — Il signor Potter? — chiese l'autista della macchina della polizia, ferma in attesa al cancello. Poi si sporse per aprire la portiera. — Sapete di che cosa si tratta? — chiese Potter, dopo avere preso posto. L'agente rispose negativamente. Aveva avuto ordine solo di prelevare Potter e di condurlo al comando. Potter sbadigliò di nuovo. Poi, quella sua peculiare mania di apprendere che lui definiva curiosità, il suo sconfinato interesse nei confronti del prossimo, lo indussero istintivamente a interrogare l'agente circa il suo lavoro, il suo addestramento e le sue idee professionali. Quando infine giunsero al parcheggio davanti al comando, Potter aveva appreso un sacco di cose nuove. — Il problema, secondo me, non consiste tanto nello sconfiggere e punire il crimine — concluse l'agente mentre scendeva dalla macchina e si sgranchiva le gambe. — Bisognerebbe innanzi tutto fare opera di prevenzione. Noi disponiamo di un sacco di mezzi per indagare sugli atti di de-
linquenza, dopo che sono stati commessi. Ma se si tratta di prevenirli... Ebbene, non sappiamo neppure da che parte incominciare. Ecco come stanno le cose. Accompagnò Potter negli uffici e, dopo averlo presentato al tenente Ratclif, salutò e si congedò. — Ecco un ottimo elemento! — commentò Potter. — Le sue idee circa il comportamento umano sono molto più fondate e razionali di quelle della maggior parte degli psicologi professionisti. Il tenente Ratclif era un quarantenne piuttosto grasso, ma forte e muscoloso. Anche se avesse indossato l'abito da sera o il costume da bagno, sarebbe bastata un'occhiata per rendersi conto che apparteneva alla polizia. Lo tradivano il suo portamento, l'atteggiamento un po' autoritario e soprattutto l'attenta e spregiudicata capacità d'osservazione. Ora il suo viso esprimeva tutto lo stupore che gli provocavano il fisico smilzo e l'aspetto mite del giovane investigatore. I due uomini si strinsero la mano. Poi il tenente presentò il suo sergente, un robusto ragazzone che sedeva alla scrivania, pronto a prendere appunti. — Può darsi che ne abbiamo per un pezzo — avvertì Ratclif. — Volete del caffè? — Sì, grazie — rispose Potter, senza entusiasmo. — Almeno servirà a tenermi sveglio, perché casco letteralmente dal sonno. — Il sergente uscì per andare a prendere la bevanda. — Come avete fatto a far cantare l'agente Slim? — chiese Ratclif, incuriosito. — Qui da noi nessuno è mai riuscito a sapere come la pensa. È così poco comunicativo che lo hanno soprannominato "il taciturno". — Be', forse ha visto che mi interessavo alle sue idee — rispose Potter. — Uno è più portato a parlare se vede che lo si ascolta con piacere. Quando si trovarono davanti le tazze di caffè fumante, Ratclif disse incuriosito: — Siete uno strano tipo, Potter. Come fate a scoprire tanti casi di omicidio che, se non fosse per voi, rimarrebbero impuniti? Potter sorrise: — Tenente — disse poi — non sospetterete per caso che sia io stesso a commetterli, per poterli poi scoprire e darmi delle arie da investigatore. — Il mio collega O'Toole — disse Ratclif sorridendo a sua volta — pensa che voi siate una via di mezzo tra un Superman e un Don Chisciotte. Dice che avete il dono dell'infallibilità come nessun altro a questo mondo, ed è inoltre dell'opinione che abbiate una coscienza talmente sociale da indurvi a prendere sulle spalle i pesanti fardelli dell'umanità. Insomma, se
mai avrete bisogno di un testimone a favore delle vostre qualità morali, il tenente O'Toole è proprio quello che fa al caso vostro. — O'Toole è troppo buono — commentò Potter, sorpreso e imbarazzato. Si sentiva sempre a disagio quando si parlava di lui, e quindi si affrettò a cambiare l'argomento del discorso: — Penso che il laboratorio abbia trovato la digitale nel campione di yoghurt. — Eccome! Ma, per favore, cominciamo dal principio. Vi prego, esponetemi la faccenda in tutti i suoi dettagli. Potter, obbediente, iniziò a raccontare della fatale passeggiata in automobile intesa a distrarre Warren Xavier dal pensiero della prima dell'Otello. Descrisse l'incontro con Crystal Young, il cui cavallo si era imbizzarrito per lo scoppio di una gomma della loro auto; il ritrovamento di Roland Keane ferito, nella brughiera; il suo trasporto a Summit House nella giardinetta. Proseguì raccontando del luccichio di scarpa intravisto tra i cespugli; del ritrovamento dell'ago; del sottopancia allentato e della ferita sul dorso della cavalla. Era stato allora, spiegò, che si era reso conto che non si era trattato di un incidente di equitazione, ma di un tentato omicidio. A questo punto, Ratclif lo interruppe per la prima volta dicendo: — Voi ritenete, insomma, che uno sconosciuto attentatore abbia messo l'ago nel sottosella e sia poi tornato per riprenderlo dopo l'incidente; ma che, nel risellare la cavalla, abbia lasciato cadere l'ago a terra. Poi il vostro arrivo gli avrebbe impedito di terminare l'opera. Non è così? Potter gli rispose in modo indiretto. — Conosco una vecchia filastrocca, o meglio una poesiola senza senso, che dice: "Mentre salivo le scale di sera, incontrai un uomo che non c'era. E non c'era neppure oggi, bada! Voglia il cielo che finalmente se ne vada!" Ma nel nostro caso, "l'uomo che non c'è" non se n'è andato affatto. Continua a sbucar fuori quando uno meno se l'aspetta, e a combinarne di tutti i colori! Il sergente stentava a stenografare tutto, e Potter si interruppe per aspettarlo. Poi proseguì riferendo la conversazione udita tra la signora Keane e John Miller e la disperata frase di lei: "E rischiare tutto?". Citò anche il disastroso effetto che gli attacchi giornalistici di Miller avevano avuto sulle quotazioni azionarie della Keane Chemical Co. Descrisse l'arrivo di Ma-
cDonald alla villa, le sue giustificazioni per avere perduto il treno, la comparsa di Hope col fidanzato Bob Murphy, e insomma, tutto quello che era successo anche durante la cena e la serata. — Ma che razza di ambiente! — borbottò Ratclif. Potter ammise che si era trattato davvero di una riunione di ospiti molto ben assortiti: da far paura al solo pensarci! — Affrontiamo prima di tutto la questione dei bicchieri da liquore — propose Ratclif. — Quelli del laboratorio hanno trovato tracce di liquore alla menta e di un potente barbiturico nel campione di vomito. Ripetetemi un poco i particolari di quando hanno offerto i liquori, subito dopo la cena. Potter fu costretto a descrivere due volte l'accaduto, prima che il tenente si mostrasse soddisfatto. — Un bel guaio davvero che abbiano chiesto alla signorina Young di esibirsi — commentò Ratclif. — Durante la confusione verificatasi per spostare le sedie, chiunque dei presenti può esser stato in grado di mettere le mani sui bicchieri. — Sì, è stato proprio un guaio — ammise Potter. Il tenente lo fissò pensieroso. — Secondo voi — disse — la richiesta del recital e la confusione che ne è seguita, facevano parte integrante di un piano? — Una parte essenziale — rispose Potter. Poi proseguì descrivendo come, recatosi in camera di MacDonald, l'avesse trovato avvelenato e privo di sensi. Il tenente gli domandò se MacDonald non gli aveva fatto alcun accenno circa l'argomento di cui desiderava parlargli, e Potter rispose che aveva pronunziato solo una breve frase accennando a qualcosa di strano che stava succedendo alla villa. — Aveva perfettamente ragione — commentò Ratclif — perché qualcosa poi è successo, davvero! La voce di Potter era andata facendosi sempre più rauca, ed ora la sua gola irritata per il troppo parlare gli bruciava come il fuoco. Alla fine Potter disse al tenente che quanto aveva raccontato riassumeva praticamente tutti gli avvenimenti accaduti durante il suo primo giorno a Summit House. — Una permanenza un po' movimentata — commentò Ratclif con una risata che gli illuminò il viso, ringiovanendolo. Riprese poi perplesso a fissare Potter e attese con pazienza che bevesse qualche sorso d'acqua. Poi lo invitò a continuare.
Quando Potter arrivò al punto relativo alla scoperta del cadavere di Herbert e alla bottiglia di digitale trovata vuota, mentre l'infermiera aveva ammesso che la sera prima era ancora piena a metà, il tenente cominciò a tempestarlo di domande. E intanto non cessava di fissare il mucchietto dei materiali di prova che aveva davanti, sul tavolo, dal quale prese più volte, per osservarli attentamente, i due frammenti di vetro. — Sicché, il dottor Smiley — disse infine, visibilmente turbato — non ha avuto esitazioni a rilasciare il certificato di morte! Strano! Eppure il dottore è molto stimato qui ed è tenuto in alta considerazione da tutti. Non può darsi che abbia preso una cantonata in buona fede? — È possibile, suppongo. Ma in proposito sarà certo miglior giudice il vostro medico. — Potter tossì a lungo. La gola gli doleva ora in modo insopportabile. Comunque, rinfrancato dall'idea di aver quasi finito, proseguì nella deposizione. Dopo aver mandato tutti i referti al suo amico O'Toole, in modo da dimostrare che ormai si disinteressava ed era estraneo alla vicenda, aveva avuto cura di far sapere, praticamente a tutti quelli che abitavano alla villa, che lui aveva raccolto alcune prove e aveva convinto il dottor Smiley ad eseguire l'autopsia sul corpo di Herbert Keane. Aggiunse poi che il dottore lo aveva sorpassato a velocità pazzesca lungo la strada per Summit House e descrisse l'aggressione di cui era stato vittima durante la notte. Infine mise il nodo scorsoio sul tavolo e si rilassò sulla sedia, sfinito. — Carino — commentò il tenente con aria compiaciuta, esaminando il cordoncino. — Molto semplice ma molto efficace e funzionale! — Il sergente si sporse per vedere il laccio e Ratclif glielo gettò perché potesse soddisfare la sua curiosità. Potter chiuse gli occhi un istante, per ripararli dalla luce... Ora stava salendo e scendendo ininterrottamente lo scalone di Summit House, stancandosi come Sisifo, senza uno scopo. No, si trovava al volante di un'autoambulanza, lanciata alla massima velocità, con a fianco il dottor Smiley e con MacDonald barellato nell'interno. Ogni volta che arrivavano a un ospedale, e ce n'era uno a ogni palo telegrafico, il dottore urlava: "No, qui non va bene! Andiamo più avanti". MacDonald allora apriva gli occhi un istante, sghignazzava e li richiudeva. — E allora?! — incalzò con tono energico il tenente. Potter trasalì e riaprì gli occhi. Aveva ceduto al sonno per quasi un minuto. — Desidererei sapere di più circa il testamento di Herbert Keane. Molto, molto di più.
— A me sembra più interessante conoscere in quale momento Crystal è stata inserita come erede — rispose Potter. — Io credo che ciò dev'essere accaduto nel corso delle ultime tre settimane. A proposito, il legale dei Keane è un avvocato di nome Lincott. Ratclif accese una sigaretta, aspirò profondamente, poi esclamò: — Ci troviamo alle prese con un maledettissimo caso. Naturalmente impediremo il funerale sino a quando non ci perverranno i risultati dell'autopsia. La faremo però eseguire dal nostro medico legale: il dottor Smiley, se lo desidererà, potrà assistervi. Continuò a fumare assorto, mentre il sergente stenografo profittava della pausa per sgranchire le dita della mano destra. — Di norma — disse infine Ratclif — noi cerchiamo i moventi. Ma in questo caso ce ne sono a dozzine! — I moventi sono stati, come sempre, i soliti — puntualizzò Potter. — Ma hanno esercitato la loro influenza solo fino ad un certo momento. Sarebbe invece interessante conoscere la causa che ha scatenato la crisi finale. Secondo Ratclif si doveva individuarla nell'arrivo di Murphy alla villa. Poiché Potter aveva accolto in silenzio quell'ipotesi, il tenente gli chiese: — Non siete della mia opinione? — Be' — rispose Potter con calma — a me pare che tutta la faccenda abbia avuto origine da un'unica circostanza. — Quale? — Sei mesi fa Herbert Keane è stato in pericolo di vita per un attacco cardiaco. Ratclif lo fissò perplesso: — Volete dire che c'era già allora qualcosa di losco? — Oh, no, affatto! Sono certo che l'attacco cardiaco era di origine naturale. Fin dal primo momento che ho visto Herbert Keane mi sono reso conto di avere di fronte un cardiopatico. Un uomo col cuore scassato, insomma. — Benissimo. Siete così obiettivo e chiaro nell'esporre il caso, che vorrei davvero conoscere la vostra interpretazione dei fatti — propose il tenente. — Per quello che può valere, ne sarò ben lieto — disse Potter, che riusciva a tenere gli occhi aperti solo con un enorme sforzo di volontà. — Prima, però, aspettate un attimo. — Il tenente mandò il giovane sergente a prendere dei cubetti di ghiaccio. Poi li mise in un asciugamano che
avvolse attorno al collo di Potter: — Vi dà un po' di sollievo? — chiese. — Se non altro — rispose Potter — dovrebbe servire a tenermi sveglio. — Allora, procediamo. Desidero conoscere che cosa pensate di quella gente. — Numero uno: la signora Keane. A quanto pare, ha sposato Herbert per il suo denaro. Poi ha incontrato Miller e ha chiesto il divorzio al marito, il quale non solo gliel'ha rifiutato, ma ha minacciato di citarla a sua volta in tribunale, dove avrebbe certamente ottenuto il divorzio per colpa di lei, denunciando la relazione adulterina con Miller. E badate, tenente, che tra quei due non si tratta di un semplice capriccio: sono legati da una reciproca passione ad alto voltaggio. Numero due: Miller. Desidera la signora Keane, ma non vuole giocarsi la reputazione perché aspira a qualche elevato incarico governativo. Numero tre: Bob Murphy. Figlio illegittimo di Keane, odiava il padre con tutte le sue forze. A proposito di lui, bisogna anche tenere presente che sua madre possiede un terzo delle azioni della Keane Chemical, e che il giovane aveva in programma di mettersi a lavorare per la National, cosa che il padre non avrebbe tollerato. Infatti, se fosse venuto a saperlo, è probabile che Crystal avrebbe perso addirittura la sua quota azionaria. Numero quattro: la stessa Crystal. Ha un grosso malloppo di quattrini a portata di mano, sotto forma di azioni, da destinare al figlio. Inoltre ha la possibilità di saldare il conto a Keane e MacDonald, per il male che le hanno fatto. Numero cinque: è il nostro dottor Smiley, che è innamorato della vedova e dalla morte di Keane ricava un lascito di un milione di dollari. Quando gli ho rivelato la relazione esistente tra Dorothy Keane e Miller, è letteralmente andato al tappeto. — Siete davvero abilissimo nell'agitare le acque! — commentò il tenente. — Si direbbe che vi siate specializzato nello stuzzicare la natura umana, determinandone le più diverse reazioni. — Non vi è altro modo, che io sappia, di promuovere e sollecitare eventi e sviluppi. — È vero, ma un giorno o l'altro vi troveranno con la testa rotta. — Può darsi. Ma d'altra parte anche a Falstaff venne ricordato che gli esseri umani sono sempre "in debito con Dio di una morte". Ma dove eravamo rimasti? Ah, sì, al numero sei: il signor MacDonald. Innanzi tutto, è innamorato anche lui della signora Keane... — Sapete una cosa? — disse Ratclif. — Sono proprio curioso di conoscerla, questa donna! Dev'essere eccezionale. Comunque, il MacDonald possiamo tranquillamente scartarlo dalla lista dei sospetti.
— Davvero? — fece Potter. — Scusate, ma non penserete che abbia preso quelle compresse di sonnifero di sua iniziativa, vero? Accidenti, è stato a un pelo dal lasciarci la pelle. — No, non credo che lo abbia fatto — rispose Potter. Levò lo sguardo e vide che il tenente lo fissava assorto. — No, mille volte no! — scattò Ratclif. — Non abbiamo il mezzo per incriminare nessuno di loro. E voi, Potter, lo sapete quanto me. A meno che non mi stiate tacendo qualcosa. Potter negò decisamente e assicurò di avere messo tutte le carte in tavola. Aveva riferito, disse, tutto quello che sapeva. — Bene, suppongo che se avete deciso di non parlare, non cambierete certo idea. — Nelle mie condizioni, parlare non è piacevole — borbottò Potter in tono di rimprovero — ma se sapessi qualcos'altro, vi assicuro che ve lo direi. — Lo so che vi fa male la gola, e mi spiace. Ma non capite che stiamo girando a vuoto, con questa gente? La signora Keane non aveva alcun motivo per attentare alla vita di MacDonald o del cognato. E neppure Miller ne aveva uno. In quanto a Crystal e a suo figlio, nessuno di loro aveva un qualsiasi movente per cercare di uccidere Roland. Altrettanto può dirsi del dottor Smiley. Per me, il fatto più incomprensibile, in tutta questa faccenda, è soprattutto che abbiano tentato di far fuori Roland Keane. Perché mai un tentativo del genere? A che scopo? — Perché era uno dei soci della Keane Co. — E qualcuno voleva forse che non lo fosse? O che cessasse di esserlo? — Ratclif attese invano la risposta e la ripeté più forte. Udì russare lievemente: Potter si era addormentato. Mentre Potter dormiva, la macchina della giustizia, scorrevole ed efficiente, si mise in moto. Tecnici di valore analizzarono i reperti dell'autopsia, giungendo a conclusioni che, se colmarono di soddisfazione le forze dell'ordine, misero in un penoso imbarazzo e diedero un grosso dispiacere al dottor Smiley. Herbert Keane, insieme con lo yoghurt, aveva ingerito una dose di digitale sufficiente per spedirlo diritto al creatore. Nessuna possibilità di errore: era evidente che qualcuno aveva voluto eliminarlo. Mentre gli analisti ottenevano in laboratorio le loro sinistre risultanze, gli investigatori specializzati, efficientissimi, invadevano Summit House e,
limitando al minimo indispensabile la confusione, cominciarono a fotografare, indagare, misurare, e cercare impronte digitali. Erano tutti abili tecnici che conoscevano perfettamente il mestiere. Subito dopo ebbe inizio il lavoro più complicato e difficile: gli interrogatori. Nel frattempo i giornalisti, messi sull'avviso dal rinvio dei funerali e da alcune voci circa un'autopsia in corso, telefonavano incessantemente e stringevano d'assedio Summit House. Furono appunto i motori delle auto a svegliare Warren Xavier. L'attore si levò con fatica dal letto, maledicendo la stretta fasciatura che gli limitava i movimenti e guardò dalla finestra: vide le macchine della polizia che ingombravano il parco. Spostandosi con difficoltà, andò nella camera di Potter e lo trovò immerso in un sonno profondo. Gli pose una mano sulla spalla per svegliarlo, ma subito cambiò idea. Tornò nella propria camera e, fattasi la barba e la doccia, indossò un paio di pantaloni sportivi. Poi infilò un ampio maglione e si accinse a scendere da basso. La luce lo infastidiva: guardò l'orologio. Erano le otto del mattino. Non si era mai alzato così presto in vita sua, tranne nei casi in cui doveva lavorare in qualche film le cui riprese, per necessità tecniche, dovevano iniziare all'alba. Ricordò, d'improvviso, che se non fosse stato per Potter, la sera precedente avrebbe dovuto aver luogo la prima dell'Otello. Ma non si sentì dispiaciuto per questo. Anzi, a dire la verità non gliene importava proprio nulla, soprattutto considerando che, se non si fosse rotto le costole, non avrebbe avuto l'occasione di conoscere una certa ragazza dai capelli rossi e dagli occhi verdi. Ma neppure, rifletté, di essere implicato in un assassinio! Quest'ultima era una circostanza che avrebbe potuto risultare molto negativa per la sua carriera, malgrado la pubblicità positiva connessa con la rottura delle costole. A Hollywood era già accaduto che fatti del genere avessero distrutto personalità dello schermo. Quando scese a pianterreno, trovò Susan, Hope e Bob, che stavano facendo colazione. Susan lo accolse con un allegro gesto d'invito. — Signor Warren — gridò — ho appena scoperto di avere un cognato! Warren non riuscì a capire se la ragazza fosse ormai rassegnata a quel matrimonio o se fingesse di esserlo per amore della sorella. Comunque, l'attore strinse calorosamente la mano a Bob e dedicò a Hope uno dei suoi smaglianti sorrisi. Le solite frasi di circostanza le pronunziò poi in modo così spontaneo che persino Bob, il quale non aveva nessuna simpatia per gli attori, non trovò nulla da ridire. In quanto a Hope, persino il suo volto insignificante parve risplendere per la gioia. Tutte le
donne che finalmente trovano il loro uomo, pensò Warren, diventano belle. — Appena mamma si sarà ripresa, le comunicherò subito che io e Bob siamo sposati — disse Hope, eccitata. — Mi pare inopportuno farglielo sapere ora, che è ancora così turbata per la morte del nostro patrigno. Non voglio darle altre preoccupazioni. — Perché, il nostro matrimonio è forse una preoccupazione per tua madre? — chiese Bob, offeso. — Ma, Bob, non dire assurdità! — lo rassicurò Hope, prendendogli una mano tra le sue. Bob la ritirò di scatto: — Assurdità?! Assurdità il fatto che io consideri il nostro matrimonio come meritevole di gioia anche da parte di tua madre? — Caro, non ti arrabbiare — lo pregò la ragazza. — Non sono arrabbiato! — gridò il giovane, che invece appariva eccitato e sconvolto. — Ma se tu pensi di metterti contro di me appoggiandoti ad altri... Marito e moglie erano alle prese con i primi screzi e dissapori, e Susan si tratteneva a mala pena dall'interferire in difesa della sorella. — Ecco l'atmosfera creata da un assassinio! — declamò Warren, dando prova di una clamorosa mancanza di senso dell'opportunità. — Ha ragione Potter, quando dice che il crimine guasta e insozza tutto... — Andatevene a recitare a Broadway! — inveì Bob. — Oppure a Hollywood, o dovunque preferiate fare il pagliaccio e farvi impiccare! — Se pensate di dare un bel pugno sul muso a questo mio impossibile marito — intervenne Hope, rassegnata — fatelo pure. Se lo merita. Bob, che era riuscito a controllarsi, scoppiò a ridere: — Giusto! — disse. — Scusatemi, ma avevo perso la testa. — Avete visto che cosa sta succedendo? — chiese Susan, per cambiare discorso. — Abbiamo un mucchio di estranei in casa. Warren notò che la ragazza si mostrava quasi contenta della novità, anche se, sotto la superficiale eccitazione, traspariva la paura. — Usciamo un po' all'aperto — propose Warren. — Potter è stato fuori ieri sera, e chissà a che ora è tornato. Per il momento è in camera che dorme, e non so quando si sveglierà. — Poi, inventando, aggiunse: — Ha lasciato un paio di incombenze che vorrei eseguire, sempre che sia possibile evitare i giornalisti e la polizia. Susan si illuminò. — Possiamo uscire dalle finestre del salotto, sul lato di ponente della villa disse. — Non ci vedrà nessuno. — Andate pure voi due — consigliò Hope — io rimarrò in casa. Non
vorrei che lo zio Roland ci mandasse a chiamare, e io e Susan fossimo fuori. Inoltre, Bob e io dobbiamo restare qui perché la polizia, quando avrà finito con la mamma, vuole interrogare anche noi. A proposito, ora ricordo! Lo zio Roland mi ha detto di chiamare subito l'avvocato Lincott, appena arriverà in ufficio. Pensa che la mamma debba essere assistita da un legale. — Un avvocato? Per la mamma?! — esclamò Susan esterrefatta e sconvolta. — Lo zio Roland pensa, per caso, che lei abbia potuto... — Ma no! — la rassicurò Hope. — Qualcuno però potrebbe pensarlo. In fin dei conti, non è raro che una moglie uccida un marito o viceversa, e la gente, magari per le chiacchiere che può aver fatto la servitù, potrebbe insinuare che quello della mamma non era un matrimonio felice. Dobbiamo affrontare una prospettiva del genere e comportarci di conseguenza. Warren si alzò e, rivolgendosi a Susan, le disse: — Su, bambina mia, andiamocene. Smettila di ingozzarti con la colazione se non vuoi ingrassare! — Tese un braccio e la prese per mano. Ma lasciò subito la presa, constatando come la ragazza dagli occhi verdi fosse più che disposta a lasciarsi catturare. Maledizione, pensò infuriato, questa cretina magari mi crede un vecchietto disperato, in cerca di un ultimo amore. Susan salì di corsa in camera e ritornò pochi minuti dopo con un costume da bagno dello stesso colore delle scarpette da ginnastica e della gonna che già indossava. Aprirono una delle porte-finestre nel salotto di ponente e uscirono sul prato. — Ed ora, che cosa facciamo? — chiese Susan. Potter non pensava che ci si potesse fidare di quella ragazza, ma Warren, ora, trovava semplicemente ridicola un'idea del genere. — Per prima cosa — disse l'attore — dovremmo accertare chi ha sellato i cavalli che sono serviti a tuo zio Roland e a Crystal Young. — Allora bisognerà trovare Bates, il giardiniere. Chissà dove si sarà ficcato. Andiamo a cercarlo nel parco. — Guidami tu, ragazzina! — Siete sicuro di farcela a camminare a lungo? — Nonostante i miei ottant'anni suonati, mi difendo ancora bene — rispose Warren un po' seccato. Susan, per un attimo fissò sorpresa il divo dello schermo; poi un lampo di felicità e di soddisfazione le passò sul volto, che immediatamente dopo riprese però l'espressione sorniona di un gatto .che ha appena rubato tutta la panna in cucina. Trovarono Bates in fondo al prato mentre stava tagliando l'erba con una
falciatrice a motore che utilizzava con il minor impegno possibile. Salutò con aria scontrosa, degnandosi peraltro di sospendere il lavoro per ascoltare con aria scocciata i nuovi venuti: — Siete Warren Xavier, vero?! — chiese poi, illuminandosi in volto, quando ebbe riconosciuto l'attore. — Sì. Avremmo bisogno di alcune informazioni. — Anche voi! Tutti quei poliziotti mi hanno già rotto le scatole: una domanda via l'altra! Io non ho precedenti con la legge, e non ho nulla da nascondere. Gliel'ho detto sul muso. Cosicché, qualcuno ha fatto fuori il padrone, vero? Ma io non ne so un bel niente. L'ultima volta che l'ho visto, è stato un paio di giorni fa: se ne andava in giro, com'era sua abitudine, per verificare se le scuderie erano pulite, l'erba tagliata, le siepi potate, e se per caso qualche pianta aveva fatto i fiori e se il fogliame dell'autunno era stato rastrellato a dovere... — Sentite... — tentò di interromperlo Warren, stufo di udire quel diluvio di recriminazioni. — Non solo voleva che tenessi pulite le stalle, ma quando mi trovava a farlo, eccolo pretendere che smettessi per andare a spazzare i viali. No, non c'era modo d'accontentarlo mai! Ne aveva sempre una nuova per farmi lavorare e trovava sempre qualche sbaglio per cui rimproverarmi. Mai una buona parola, neppure se ce la mettevo tutta per soddisfarlo. Pretendeva che gli ospiti restassero incantati per il suo parco, e se per caso un fiore in una aiuola non gli piaceva, per me erano guai. Era proprio un... — guardò Susan e deglutì imbarazzato: — Penso di essermi lasciato andare e d'aver parlato a sproposito — concluse. — Direi anch'io — fece Warren. — Sentite, potete darmi un vostro autografo per mia moglie? — Più tardi. Prima voglio sapere chi ha sellato i cavalli del signor Roland e della signorina Young, quando sono usciti insieme l'ultima volta. Quella dell'incidente, tanto per intenderci. Il giardiniere fece l'atto di strapparsi gli stopposi capelli: — Ecco, è proprio quello che la polizia ha continuato a chiedermi. Come devo dire che non lo so? Tranne che a un certo punto è venuto il signor Keane nelle scuderie... e mi ha ordinato di smettere la pulizia e di andare invece a sistemare un viale dove c'erano delle buche, in fondo al parco. Mi ci è voluto tutto un pomeriggio di fatica! Ma qui, cari signori, le cose andavano cosi: si doveva fare quello che voleva il padrone e farlo subito, senza discutere. Ecco perché io non ero nelle scuderie.
— Non avete visto nessun altro aggirarsi nei pressi? Magari prima. — Ve l'ho già detto: nessuno! E ora, me lo date sì o no, l'autografo per mia moglie? — Certo. Bates estrasse un taccuino, lo aprì a una pagina pulita e lo cacciò in mano all'attore. — Ecco. Potete aggiungere alla firma qualche altra parola? Si, qualcosa come "al mio caro amico", oppure "In ricordo dei vecchi tempi", o roba del genere... — Siete ben sicuro che nessun altro è venuto in scuderia? — No, che io sappia! Potreste scrivere, magari: "In ricordo della nostra amicizia da ragazzi". Insomma qualcosa così. — Warren scribacchiò solo la firma e ridiede il taccuino al giardiniere, che ne fu deluso: — Oh... ci avete messo solo il nome! Nessuna parola in più. Niente! Le belle frasi, si vede che le riservate alla classe padronale, vero?! Susan e Warren ritornarono attraverso il prato, e, prima di girare l'angolo di un viale, si volsero a guardare. Bates, il lavoratore oppresso, non aveva rimesso in moto la falciatrice. Vi si era comodamente appoggiato per fumarsi una sigaretta, mentre meditava, probabilmente, sulle prepotenze inflittegli dai ricchi. — Un bel tipo! — disse Susan. Warren rise. — Sì, proprio un vecchio, fedele dipendente di casa Keane. — Se scoppiasse la rivoluzione, correrebbe subito sulle barricate. — Se venisse la rivoluzione quello correrebbe a nascondersi sotto il letto e ci rimarrebbe sino al termine dell'ultima sparatoria. Poi, naturalmente, si schiererebbe dalla parte dei vincitori. Conosco il tipo e lo prenderei volentieri a legnate. 13 — Mi pare — disse Susan avvilita — che non abbiamo fatto un solo passo avanti. Siamo riusciti unicamente a sapere che Bates, quando i cavalli sono stati sellati, era assente. E ora, che cosa facciamo? — In primo luogo controlleremo il dottor Smiley — disse Warren. — Che cosa ha fatto la scorsa notte, dopo che Potter lo ha lasciato? Dovremmo cercare di scoprirlo, se possibile. — L'attore raccontò a Susan cosa era accaduto la sera durante la visita di Potter al dottore. Mentre parlava, teneva gli occhi fissi sul bel visetto vivace e intelligente della ragazza. Come gli sarebbe piaciuto, pensò, affondare le dita in quei capelli color rosso-
oro. La sua descrizione degli avvenimenti si fece confusa, ma la ragazza sembrò non accorgersene neppure. — Il dottor Smiley riceve in casa dalle otto alle nove e dalle sedici alle diciassette. A quest'ora è all'ospedale, oppure in giro per visite — disse infine Susan in tono deciso, ma con la voce un po' ansimante: fenomeno, questo, di cui Warren prese nota con estremo interesse, mascherato però, come lui sperava fermamente, da un'espressione di totale indifferenza. — Intendi dire che per parlargli dovremo attendere sino alle quattro del pomeriggio? — chiese Warren, di malumore. Se ora Susan fosse tornata alla villa, sarebbe stata assorbita e travolta dall'agitazione che vi regnava e, una volta persa così di vista, chissà quando avrebbe potuto trovarsi nuovamente solo con lei. — No, non dovremmo attendere, perché io conosco la sua infermiera privata che è stata compagna di scuola di Hope — rispose Susan. — Prendiamo la mia auto e andiamoci subito. — La polizia non ci lascerà uscire. Lei lo folgorò con un radioso sorriso: — Scommettiamo? Aspettatemi al cancello. Mentre la ragazza correva verso il garage, Warren girò lentamente attorno alla villa, sino a raggiungere il viale d'accesso. Pochi secondi dopo, una scattante fuoriserie rossa sbucò dall'angolo della costruzione, con al volante una Susan tutta soddisfatta. Warren salì al fianco della ragazza, che gli sbandierò sotto il naso un foglietto. — Date questo lasciapassare al poliziotto del cancello e vedrete che ci permetterà di uscire. Tanto perché ne siate informato, noi stiamo andando in paese per una questione di emergenza: ho inventato che dobbiamo andare a trovare il dottor Smiley per chiedergli d'urgenza una ricetta per la mamma. — Piccola, perversa bugiarda! — commentò Warren, scuotendo la testa e sorridendo. La guardia al cancello lesse il lasciapassare e fece loro cenno di procedere, ma, appena fuori, Susan trasalì esasperata. La strada era interamente occupata da automobili parcheggiate su entrambi i lati. Una folla eccitata bloccava tutto lo spazio lungo la foltissima siepe che cingeva la proprietà, cercando invano di sbirciare all'interno. I poliziotti di tanto in tanto facevano arretrare i più invadenti, che però un attimo dopo tornavano alla carica spezzando rami e strappando le fronde. Un gruppetto di persone con la tessera da giornalisti infilata nel nastro del cappello, brandendo cineprese e
macchine fotografiche, si precipitò davanti al radiatore dell'auto aprendo un vero fuoco di fila con tutti quegli obiettivi. — Signorina Keane — chiese un cronista — come vi siete sentita quando avete trovato morto il vostro patrigno? — Non sono stata io a trovarlo — rispose la ragazza disorientata. — È stata... — Piantala, bambina, e tieni la bocca chiusa! — le sussurrò Warren concitato. — Chi pensate sia stato ad ucciderlo? — incalzò un altro. — Non ne so nulla — balbettò Susan. — Ehi, ma quello è Warren Xavier! — gridò un altro. — Girati da questa parte, Xavier, per favore. Stringiti alla pupa e rivolgile il tuo famoso sorriso, che vi scatto una bella foto! — Se ti prendo!... — iniziò Warren furioso, accingendosi a spalancare la portiera. — Piantatela di fare il bambino! — gli sussurrò Susan sorridendo. Per fortuna si fece largo un poliziotto: — Desiderate parlare con questa gente? — chiese a Warren. — Niente affatto! L'agente respinse giornalisti e curiosi, e Susan poté rimettere in moto. Proseguì lentamente, quasi strisciando con i fianchi della fuoriserie contro le due file di macchine parcheggiate, finché non le riuscì di allontanarsi a sufficienza per uscire dalla ressa. Allora si lasciò sfuggire un profondo sospiro: — Accidenti! — commentò. — Che strazio! Lei e Warren rimasero a lungo in silenzio. Per qualche ragione inspiegabile, trovavano difficile stabilire un normale scambio di idee o, più semplicemente, portare avanti una conversazione. Warren ruppe il silenzio per primo e chiese d'improvviso: — Sue, dove ti sei procurata la pistola con cui hai minacciato Potter? — Appartiene a Bevan — rispose prontamente la ragazza. — Un tempo viaggiava molto in auto, per il suo lavoro di propaganda dei prodotti della Keane Co. Aveva comprato la rivoltella dopo aver subito un'aggressione da parte di rapinatori che lo avevano bloccato di notte, per strada. Il mio patrigno, però, quando lo seppe, andò su tutte le furie. Diceva che per la pubblicità dell'azienda era molto meglio se Bevan si fosse beccato lui una pallottola, invece di mettersi a sparare agli altri, anche se per legittima difesa e l'obbligò a lasciare l'arma a casa nostra. — Che cosa ne hai fatto della pistola, dopo che te l'ho restituita?
Susan si mostrò sorpresa: — Naturalmente l'ho rimessa al suo posto. In camera di Bevan. L'auto si fermò davanti alla villa di mattoni rossi del dottor Smiley. Una governante di mezza età aprì subito la porta e avvertì: — Mi spiace, ma il dottore non è in casa. Oh, siete voi signorina Susan! Ho udito dalla radio la notizia della morte del vostro patrigno e non vi so dire come sia spiacente per i vostri... — Cercò la parola adatta. — ... per i fastidi che vi stanno arrecando. — Grazie, signora Frank. Grace è in casa? — Sì, è nello studio. — La donna si scostò per lasciar entrare Warren e Susan. Una porta sulla destra dell'atrio dava in un'elegante sala d'attesa, oltre la quale vi era un piccolo ufficio, dal quale giungeva il rumore di una macchina per scrivere. — Grace — annunziò la governante — c'è Sue. — Avanti, avanti! — disse l'infermiera, alzandosi e sorridendo. Poi fissò Warren. — Il signor Xavier, la signorina Grace Mann — presentò Susan. L'attore strinse la mano tesa dalla emozionatissima infermiera, cui dedicò il più smagliante dei suoi sorrisi. — Oh, mio Dio! — balbettò lei, estasiata. Poi si riprese, arrossì un poco e rise della propria confusione: — Scusatemi, ma mi pareva impossibile che foste proprio voi. Pensate che ho visto ogni vostro film almeno due volte! Ditemi, signor Xavier, vorrei sapere se... — Grace — intervenne Susan, in tono deciso — non siamo venuti qui in visita, ma per parlare di cose molto serie. Warren preferì tirarsi indietro e lasciare l'iniziativa alla compagna. — Desideravo vedere il dottore — proseguì Susan. — Starà fuori tutto il giorno per visitare degli ammalati. Non so proprio come ce la faccia a resistere, alla sua età. Non ha chiuso occhio tutta la notte e stamattina si è alzato ed è andato a lavorare come di solito. È proprio un uomo eccezionale. — Tutta la notte? Perché? — Non hai sentito la radio questa mattina? — chiese l'infermiera. — Jeff Willis ha avuto un terribile incidente stradale. La sua macchina si è scontrata con un'altra. — Jeff è abituato agli incidenti stradali, direi — commentò Susan. — Be', comunque al dottore ieri sera è arrivata una chiamata urgente e si è precipitato a raggiungere l'Autostrada ventidue, dove era accaduto l'inci-
dente. È stata un'impresa difficile riuscire ad estrarre dai rottami Jeff e la ragazza che era con lui. Lei era in pericolo di vita perché aveva tremende emorragie dovute a varie ferite, ma il dottore è riuscito a salvarla... Poi ha salvato anche Jeff, sebbene avesse la spina dorsale fratturata. Insomma, se la caveranno tutti e due. Poi, come se non bastasse, poiché il dottore si trovava già in ospedale, è stato pregato di... Sì, insomma, ha dovuto assistere a... — All'autopsia del mio patrigno, suppongo — disse Susan, con voce ferma. Grace annuì. — Che cosa hanno accertato? O forse non sei autorizzata a dirmelo? L'infermiera parve imbarazzata. Infine disse: — A quanto pare, il signor Keane è morto a causa di una dose eccessiva di digitale. È stato... almeno così dicono... insomma, la polizia pare che pensi a un delitto. Mi spiace davvero, Susan. — Grazie, torneremo quando ci sarà il dottore... — disse Susan alzandosi, mentre fissava Warren esortandolo con lo sguardo perché si affrettasse a rivolgere all'infermiera la domanda che poteva chiarire un'importante circostanza. — È stata una vera fortuna — intervenne subito l'attore — che quando il signor Roland Keane è caduto da cavallo il dottore non si trovasse in giro per visite e fosse subito reperibile. Si trovava qui o era all'ospedale? — Era all'ospedale — disse l'infermiera — ma l'ho avvertito subito per telefono. Aveva dovuto recarvisi in fretta e furia per controllare certe complicazioni post-operatorie di una sua paziente. Non ho avuto alcuna difficoltà a trovarlo e ad avvertirlo, in modo che corresse subito a Summit House. Warren, congedandosi, strinse nuovamente con calore la mano dell'infermiera, che si dimostrò deliziata e raggiante. Erano già da qualche minuto sulla via del ritorno alla villa, quando finalmente Susan disse: — Per lo meno ho potuto scoprire una cosa interessante: sapete mandare facilmente in estasi le vostre ammiratrici! — Io, invece, ho scoperto qualcos'altro di più importante. Possiamo eliminare il dottore dall'elenco dei sospetti. Il suo alibi per la notte scorsa è inattaccabile. — Maledizione! — esclamò Susan, che, soprappensiero, stava invadendo un crocevia nonostante il semaforo rosso. Inchiodò la macchina con una violenta frenata che quasi mandò l'attore a sfondare il parabrezza.
— Hai dei buoni freni! — commentò lui con educata indifferenza. Si guardarono negli occhi e scoppiarono tutti e due a ridere. Potter fu svegliato dalla sirena di un'auto della polizia che stava aprendosi il passo attraverso la folla che, con paziente stupidità, attendeva di veder accadere qualcosa oltre la siepe di recinzione. Sbadigliò e guardò l'orologio: solo le undici! Erano già passate le sei di mattina, quando un'auto della polizia lo aveva riaccompagnato a casa. Si fece la barba con estrema precauzione a causa dei lividi sul collo, e cambiò la medicazione sulla fronte. Il taglio si stava già rimarginando, e il gonfiore era molto diminuito. Quando scese le scale, vide che la porta della camera del defunto era spalancata. Dall'interno giungevano delle voci. Un ufficiale con la divisa della polizia di Stato si affacciò un attimo alla porta. Vide Potter e gli chiese chi fosse. — Scendete pure, amico — lo autorizzò poi, sorridendo. Nella sala dove al mattino si serviva la prima colazione, non c'era nessuno. Anzi, non c'era neppure più la colazione e ormai era stato sparecchiato. La cameriera assicurò peraltro a Potter che il cuoco avrebbe potuto preparare subito qualcosa. Uova e prosciutto, oppure una omelette, o altro. In quanto al caffè, avrebbe provveduto lei direttamente. — Mi basterà il caffè. È quasi mezzogiorno, e per mangiare ormai mi conviene attendere il pranzo. La cameriera, visibilmente in ansia, quando si rese conto che Potter non si era arrabbiato per non aver trovato pronta la colazione, si rilassò. Ma che razza di padrone di casa doveva essere stato Herbert Keane! rifletté Potter. D'altronde, lo aveva detto anche Dorothy, che tutta la servitù lo temeva. Hope, che entrava nella sala recando un mazzo di fiori, gli augurò con cordialità il buongiorno. Ma subito dopo esclamò con disappunto: — Ma non avete fatto colazione!? — Non importa. La cameriera mi sta preparando del caffè. Per ora basterà. Hope tolse da un'angoliera un vaso, nel quale sistemò i fiori. — Questo è l'ultimo vaso disponibile. Se ci arriveranno altri fiori, dovremo mandarli all'ospedale. Qui non saprei più dove metterli. — Mentre dormivo — osservò Potter — dovete aver avuto un bel da fare. La ragazza annuì: — Telefonate, telegrammi, fiori, visite, e ora, dopo le prime notizie radio circa l'autopsia, sono arrivati i giornalisti!
— Limitatevi a dir loro che non avete niente da dichiarare — le consigliò Potter. — Certo, mi sono comportata proprio così — disse Hope sorridendo. — Ma purtroppo non ho potuto regolarmi nello stesso modo con la mia carissima prozia Clara. Mi ha tenuta inchiodata al telefono per almeno quaranta minuti. Lei sapeva che voi eravate qui e, poiché mi sono categoricamente rifiutata di farvi venire all'apparecchio, ha minacciato di rompere ogni relazione di parentela con me. Vi abbiamo sentito quando siete rincasato all'alba. Avete riposato ben poco! — Più del necessario — la rassicurò Potter in tono allegro. — Posso essere d'aiuto a voi o agli altri? — chiese poi. — No, grazie. Io sto annullando le disposizioni per i funerali. Susan è fuori da qualche parte, insieme al signor Xavier. La mamma invece... — Esitò. Poi proseguì con voce rotta: — La polizia sta ancora interrogandola... — Si vedeva che la ragazza combatteva per non lasciarsi vincere dalla paura e dalle lacrime. — La polizia è obbligata a farlo — le spiegò Potter, per rassicurarla. — Lo so, ma l'interrogatorio dura ormai da molto tempo. È terribile! — E come se la passano i nostri malati? — chiese Potter, per distrarre la ragazza dal pensiero della madre. — Stanno bene entrambi. Lo zio Roland si è messo disinvoltamente a dirigere la casa come se non avesse fatto altro in vita sua. È un uomo meraviglioso. Anche il signor Bevan si è ripreso del tutto: è sceso per la prima colazione e ho dovuto raccontargli l'accaduto. È rimasto così scosso da non riuscire a dire una sola parola. Sì, Charles, che c'è? — Il direttore delle pompe funebri desidera parlare con voi, signorina — le rispose il maggiordomo, che era entrato in sala per chiamarla al telefono. — Passatemi la comunicazione in biblioteca. — C'è il signor Roland che sta lavorando. — Allora passatemela all'apparecchio che è nei locali di servizio. Quando ebbe finito il caffè, Potter andò a gironzolare nel grande atrio della villa. Ad un tratto si aprì la porta della biblioteca, e ne uscì Roland accompagnato da un uomo ancora più grasso di lui, con una bella faccia da luna piena. — ... pertanto, Lincott, vi prego di restare a portata di mano — stava dicendo Roland. — Penso che dobbiate essere qui per assistere mia cognata Dorothy, nel caso che dovesse aver bisogno di un legale. — Se la signora mi chiederà di assisterla — rispose l'avvocato senza al-
cun entusiasmo — farò naturalmente del mio meglio. Ma, se debbo parlare francamente... Roland gli posò una mano grassoccia sulla spalla. — Non affrettatevi a condannarla. Le belle donne come lei, nella vita sono spesso vittime di sfortunate circostanze... Lincott sbuffò insofferente: — È tempo che voi, Roland, impariate ad essere realista. Quella donna è una cacciatrice di tesori. Herbert lo aveva già capito, e ora toccherà a voi rendervene conto. Certo, se vostro fratello fosse stato un tipo malleabile come voi, lei lo avrebbe spogliato di metà e forse più del suo patrimonio. E Dio sa se lei non ci si è provata! Tra quei due, lei e Miller, voglio dire... ma basta così. Ricordatevi, comunque, che io ero il legale di Herbert, non della signora Keane, e che gli affari del defunto continuano ad essere di primaria importanza per me. Perciò, se dovesse verificarsi un conflitto di interessi, e io sono certo che ci sarà, mi rifiuterò di rappresentare legalmente la signora. Roland assestò sulla spalla del legale una pacca che esprimeva cordialità ma che servì nel contempo a istradarlo in direzione del salotto. Come scorse Potter, gli rivolse uno sguardo dei suoi occhi gonfi e sottolineati da pesanti borse. — Si è scatenato l'inferno, in questa casa — ansimò. — Herbert è stato assassinato... o, almeno, così dice la polizia. E, d'altra parte, i risultati delle analisi non lasciano dubbi. Tutta la faccenda, poi, è divenuta purtroppo di dominio pubblico. — Era inevitabile e ve ne avevo già avvertito — disse Potter. — Certo, non è colpa di nessuno — proseguì Roland, sempre con voce rotta — ma il povero Herbert avrebbe certo odiato una situazione come questa. Ora, inoltre, bisognerà modificare tutti gli accordi presi per il funerale. L'uomo sembrava trovare più seccante la necessità di dover cambiare le disposizioni relative al funerale, che il fatto di aver perso un fratello per mano di un assassino. Probabilmente, pensò Potter, il suo prolungato astrarsi dalla realtà della vita, gli aveva reso ora impossibile comprenderne e valutarne esattamente i fatti e gli eventi. — Che ora è? — chiese Roland. — Le dodici e venti. Squillò il telefono e Roland ritornò nella biblioteca. Ora appariva più che mai un pover’uomo preoccupato, che considerava la tragica situazione in cui era venuta a trovarsi la sua famiglia come la conseguenza non di un
evento drammatico, ma di una pubblicità sbagliata. Sollevò il ricevitore: — Parla Rol... — Si interruppe e riprese con voce ferma: — Parla Keane. Potter uscì inosservato dalla villa, e si mise a passeggiare sul prato, ben lieto di essersi sottratto a quell'ambiente di telefonate, di tensione, e di corone funebri. Senza intenzione, prese a seguire le tracce che la giardinetta aveva lasciato sull'erba meno di quarantotto ore prima, quando si erano recati a soccorrere Roland. Giunto sulla scena dell'incidente, studiò con attenzione il luogo esatto dove aveva trovato la cavalla abbandonata a se stessa, e si chinò per meglio esaminare lo strato di foglie autunnali che coprivano il terreno. Poi si soffermò ancor più lungamente nel punto dove Roland era rimasto a terra svenuto, con i piedi nel torrentello. Passò in rassegna il terreno centimetro per centimetro, finché, con un brontolio di soddisfazione, si chinò di scatto per raccogliere una foglia che sollevò con la massima precauzione, servendosi di entrambe le mani. Su di essa si notava un minuscolo frammento metallico, lungo circa un centimetro. Potter lo chiuse in una busta, che infilò in una tasca interna. Poi tornò nella zona dove aveva visto brillare la scarpa dello sconosciuto e seguì la pista, tuttora visibile, indicata dalle frasche scostate e dai ramoscelli spezzati. Lo distrasse dal lavoro il rumore dei passi pesanti di qualcuno che camminava deciso attraverso la brughiera. Potter sporse la testa dai cespugli e vide un agente della polizia di Stato che puntava diritto su di lui. — Signor Potter, il tenente Ratclif desidererebbe che voi lo raggiungeste nella saletta di ponente, quella che si trova subito dopo la biblioteca. Sta interrogando la signora Keane e desidererebbe che voi foste presente per contestarle eventuali contraddizioni. Il tenente Ratclif sollevò il capo e accennò a un saluto. Era con lui il solito sergente, affaccendato a prendere appunti. Dorothy Keane, con il capo eretto, sedeva su una sedia a braccioli, torcendosi le mani. Si vedeva chiaramente che l'interminabile serie di domande del tenente l'aveva stremata. La donna fissò Potter con un lampo di gelido odio negli occhi verdi, che somigliavano tanto a quelli della più giovane delle sue figlie. — Va bene — disse Ratclif in tono deciso — torneremo di nuovo su questo punto. — Credo che la signora Keane abbia diritto all'assistenza di un legale —
intervenne Potter. — E poiché il suo avvocato è qui... Il tenente non dimostrò il minimo disappunto per l'intervento di Potter. — Dobbiamo farlo entrare, signora? — chiese Potter. — Non desidero e non ho bisogno del vostro intervento — rispose Dorothy con freddezza. — Inoltre, non voglio assolutamente Lincott come avvocato: era il legale di mio marito, non il mio. Non gli sono mai stata simpatica e, per quanto mi riguarda, non ho alcuna fiducia in lui. — In tal caso — disse Ratclif — proseguiremo così. — Conoscete qualche altro avvocato con cui vorreste consultarvi? — domandò Potter. Dorothy fissò Potter con occhi che sembrarono volerlo trafiggere. Poi tornò a guardare il tenente. — Ci vorrà ancora molto per finire? — chiese infine con voce stanca. Ovviamente Dorothy aveva già dovuto rispondere più volte alle stesse domande che ora le venivano ripetute in presenza di Potter: Chi aveva preparato lo yoghurt? Vilma Thomas. Durante la serata, la signora si era mai recata in camera del marito? No! Quando lei aveva chiesto il divorzio, il marito l'aveva minacciata? Non si era trattato di minacce vere e proprie. Prima che lei chiedesse il divorzio al marito, la loro vita coniugale era stata felice? A questa domanda Dorothy non rispose, e, in un primo momento, Potter se ne chiese il motivo. Poi ricordò che anche il personale domestico sarebbe stato interrogato. Dorothy Keane era una donna troppo intelligente per ricorrere a una menzogna del tutto inutile, che sarebbe stata facilmente smascherata. Poi le fu chiesto perché aveva sollecitato Roland con tanta insistenza a fare dell'equitazione. Disse d'averlo già spiegato e venne invitata a farlo un'altra volta. Inoltre, a proposito di quella sella che lei aveva regalato al cognato, quando gliela aveva data, con precisione? — Due settimane fa — rispose Dorothy Keane, con voce flebile. — Un regalo davvero strano da fare a una persona che ha dichiarato esplicitamente di odiare i cavalli. Non vi pare, signora? — In realtà, è stata una idea di Herbert, che, mediante un regalo del genere, pensava di prendere in giro il fratello. Infatti Roland ha fatto del suo meglio per apparire contento del dono, ma si vedeva benissimo che non lo era affatto. Comunque ha detto di voler subito andare in scuderia a sellare un cavallo, sforzandosi con ciò di dimostrare che desiderava davvero fare immediatamente una bella galoppata. Ratclif chiese poi perché lei avesse insistito così spesso nell'indurre Ro-
land a uscire a cavallo, pur sapendo che il cognato odiava quello sport. Il tenente non guardava il viso tormentato della bellissima donna, ma da tempo fissava le mani che lei teneva in grembo, torcendole incessantemente. Rendendosene conto, seppure in ritardo, Dorothy Keane si affrettò a nasconderle dietro la schiena, quasi volesse occultare un indizio rivelatore a suo carico. — È stato a causa della signorina Young! — finì col dichiarare in tono disperato. Il tenente si abbandonò contro lo schienale della poltrona, con un brontolio di soddisfazione. Poi commentò: — Sì, questo è plausibile. Evidentemente volevate tener lontana da casa il più possibile quella donna. — Herbert, mio marito, non solo l'aveva invitata qui, ma poi aveva continuato a dedicarle evidenti ed eccessive attenzioni, che oltre a tutto mi mettevano in ridicolo nei confronti di tutti. — Eravate gelosa? vero? — Io gelosa? — rispose Dorothy, in tono ironico. — No, non lo ero affatto. Sapevo che Herbert, imponendomi quella donna in casa, cercava di punirmi perché volevo divorziare da lui. Lo avevo ferito nel suo amor proprio e voleva vendicarsi perché era vanitoso. — Ora si esprimeva in tono distaccato come se stesse parlando di un estraneo. — Si, un terribile vanitoso, che doveva sempre risultare il primo in tutto, ed essere oggetto di ammirazione qualsiasi cosa facesse. No, non è stata Crystal Young, e neppure John Miller, a causare il fallimento del nostro matrimonio. La rottura, tra noi, si è verificata quando mi son resa conto che Herbert era solo un pallone gonfiato. E lui non poteva perdonarmi che io me ne fossi accorta. Herbert esigeva che la gente lo vedesse come lui vedeva se stesso, e non sopportava l'idea che qualcuno lo considerasse poco meno di un superuomo. Tendeva a questo scopo con una sorta di tremendo fanatismo, le cui enormi energie erano tutte convogliate verso un'unica meta: essere sempre il primo. — Sembrava che Dorothy, ora, stesse pensando ad alta voce, quasi tentasse di rendere più comprensibile quella che era stata la reale personalità del marito. Poi aggiunse: — Durante la prima esperienza matrimoniale, sovente i coniugi non riescono a trovare un comune obiettivo cui tendere. Invece, un marito e una moglie che hanno già entrambi un'unione fallita alle spalle, fanno tesoro della passata esperienza e raggiungono una maggiore affinità, proponendosi delle mete comuni a tutti e due. Il tenente si limitò a riordinare delle carte, astenendosi dal fare commenti circa la filosofia matrimoniale della signora Keane.
Dorothy ritornò allora all'argomento principale della domanda: — No, non ero gelosa della Young. Ero solo umiliata. Inoltre, la situazione era intollerabile per le mie figlie. Ho pensato che quella donna doveva essere in cerca di una buona sistemazione: certo, sapevo bene che Herbert non avrebbe mai divorziato da me per sposare lei; ma c'era lo scapolo Roland disponibile. Così ho pensato al modo di farli stare spesso insieme, e, poiché a lei piace cavalcare, ho convinto Roland ad accompagnarla. Pensavo che, a forza di trovarsi da solo con Crystal, avrebbe finito con l'innamorarsi di lei. — Crystal Young è già stata sposata! Lo sapete? Dorothy si strinse nelle spalle e rispose: — L'avevo vista recitare a teatro, ma non sapevo altro di lei, finché... finché non è venuta a insediarsi in casa nostra. — È stata la moglie di Bevan MacDonald. — Di Bevan? — esclamò Dorothy sbalordita. — Vi sbagliate di certo. Il tenente scosse il capo. — Bevan... — ripeté pensierosa Dorothy — ma, se è vero... in tal caso la scomparsa di Herbert dà a quei due il controllo della Keane Co. — Non sono più sposati. Lui ha ottenuto l'annullamento molti anni fa, per colpa di lei. — Non mi sorprende — commentò Dorothy sdegnosa. Ratclif si chinò verso di lei, fissandola negli occhi. — Bevan è riuscito ad ottenere l'annullamento perché lei aveva cercato di attribuirgli la paternità di un figlio di cui, all'epoca del matrimonio, era già incinta. — Vedete bene che razza di donna è! — commentò Dorothy. — E non mi chiedete chi era il padre, signora Keane? — Non mi importa chi fosse... — La donna fece un gesto con entrambe le mani, quasi per allontanare da sé qualcosa di intollerabile: — Oh, no! — ribadì poi, turbata. — Volete almeno sapere chi è il figlio? — incalzò il tenente. Dorothy lo fissò con uno sguardo privo di espressione. — Si chiama Bob Murphy, e una settimana fa ha sposato vostra figlia Hope. — Mio Dio! — gridò Dorothy Keane scuotendo disperatamente il capo, come se volesse scacciare una idea insopportabile. — Ora — continuò il tenente, mentre lei era ancora annichilita per la rivelazione — torniamo un poco a quei bicchieri da liquore. Se non sbaglio, siete stata voi a proporre che venissero usati, vero?
— Sì — ammise lei cupamente. — Li avete poi lavati voi stessa? Perché? — L'ho già spiegato cento volte. Non riuscivo a prendere sonno e ho cominciato a preoccuparmi per i bicchieri. Mia suocera aveva impiegato anni per riunire quella collezione, e se si fossero rotti... Il tenente Ratclif spostò l'attacco, senza preavviso: — Quando contate di sposare il signor Miller? Dorothy assunse un'espressione di sconfinata amarezza. — Ormai non potrò più sposare il signor Miller! Questo scandalo ci seguirebbe e perseguiterebbe dovunque andassimo, rovinandoci l'esistenza. Il tenente si accese una sigaretta, e Dorothy, svuotata di qualsiasi energia e persino della capacità di reagire alle emozioni, approfittò della pausa per appoggiarsi sfinita allo schienale della sedia. Potter osservò attentamente il mutare delle espressioni, sul suo bellissimo volto, che rifletteva il susseguirsi tumultuoso dei pensieri. — Tenente — disse infine Dorothy, con una nuova, differente vibrazione nella voce — avete congegnato molto bene l'accusa contro di me, eccetto che in un particolare. Io avrei potuto somministrare a Herbert la digitale e non posso provare di non averlo fatto. Avrei potuto mettere il sonnifero nel bicchiere di Bevan e non sono in condizioni di dimostrare che non sono stata io, anche se, in ogni caso, non riesco a vedere per quali motivi avrei dovuto farlo... Ah, certo! Secondo voi forse perché sapevo che Bevan era sposato con Crystal e pensavo che, sparito Herbert, loro due avrebbero ottenuto il controllo della Keane Co. E sta bene! Ma resta sostanziale il fatto che io non posso certo aver messo l'ago nella sella di Roland, per il semplice motivo che sono rimasta fuori tutto quel pomeriggio in macchina con John Miller. Appariva cosi trionfante e soddisfatta per le proprie argomentazioni, che Potter frenò a stento l'impulso di avvertirla di stare in guardia. — Già, il signor Miller... — ripeté Ratclif impassibile, continuando a fissarla. — Non crederete per caso che sia stato mio complice? — esclamò Dorothy, con una risata priva di allegria. — Proprio John, l'uomo più retto che io abbia mai conosciuto. John, la cui integrità morale è, come tutti sanno, al di sopra di ogni sospetto. John, un radicale che odia la violenza di qualsiasi tipo! Eppoi, come avrebbe potuto perdere i suoi occhiali vicino al posto dove Roland è stato disarcionato? Quando Herbert e il signor Potter sono partiti dalla villa per andare a soccorrere mio cognato, Miller era con
loro... e, purtroppo per voi e per la vostra accusa, tenente, aveva i suoi occhiali, tanto che ha guidato la giardinetta. Ora Dorothy aveva ripreso un'espressione cupa, e, guardandola, si comprendeva che era tormentata da tutto un susseguirsi di pensieri. Infine, disse: — Vi è un'altra cosa che non potrete mai dimostrare, e cioè che sia stato John il responsabile del tentativo di strozzare il signor Potter. Gli sarebbe stato impossibile: senza gli occhiali è mezzo cieco! — A dire il vero, ciò avrebbe avuto scarsissima importanza, dato che la stanza era buia, e nel buio sono proprio i ciechi a muoversi meglio! — puntualizzò Ratclif. Lei passò dall'uno all'altro dei presenti uno sguardo dapprima confuso e disperato, e infine sconvolto da un gelido terrore. — Che cosa intendete fare di me? Arrestarmi? — chiese a voce cosi bassa da poter essere udita a malapena. Entrò un agente con un fonogramma di servizio, che posò sul tavolo davanti al tenente. Ratclif cambiò espressione quasi in maniera comica, mentre leggeva. Rilesse il breve testo, quasi sperasse di averlo interpretato male. Poi balzò in piedi di scatto: — O.K., signora Keane — disse con voce inespressiva — per il momento abbiamo terminato. Potete andare! Dorothy lo fissò stupita per un attimo. Poi si diresse lentamente verso la porta, mentre i tre uomini restavano in piedi silenziosi a guardarla uscire. Ratclif fece un cenno, e il sergente le chiuse la porta alle spalle. — Maledizione! — scattò il tenente infuriato. — Un bel buco nell'acqua! — Che cosa è accaduto? — chiese Potter. — È appena arrivata la relazione del laboratorio. I due frammenti di vetro che avete trovato tra i cespugli e nella coperta di Keane, sono entrambi dello stesso tipo di vetro, ma non corrispondono alle lenti degli occhiali di Miller. Sono stati fatti i necessari accertamenti presso il suo oculista. Potter rimase silenzioso per un momento. Poi estrasse la busta nella quale aveva conservato il piccolo frammento metallico trovato sulla foglia nella brughiera, e disse: — Sarebbe interessante scoprire da dove provenga questo. 14 Né Dorothy Keane, né Crystal Young vennero a tavola a mezzogiorno.
In quella gabbia di matti, rifletté Potter, non vi era stato un solo pranzo, da quando lui era arrivato, al quale fossero stati presenti tutti i membri della famiglia. Ora Roland sedeva a capotavola e appariva molto serio e compreso delle sue funzioni, come se avesse raggiunto un'insperata, altissima promozione sociale. Venne anche Bevan MacDonald, spavaldo come sempre. Fece un cenno di saluto a Hope e Bob, che aveva già incontrati al mattino: sfiorò con un bacio il viso di Susan; accolse le congratulazioni di Potter che si felicitava con lui per lo scampato pericolo e andò a stringere la mano a Warren. Nelle sue nuove funzioni di capo famiglia, Roland si sforzò di stabilire un'atmosfera di normalità. Mantenne viva la conversazione con argomenti banali e, per creare un po' di allegria, abbozzò spesso brevi risatine che ricordavano il chioccolio di un ruscello. Le ragazze cercarono coraggiosamente di fare del loro meglio per aiutarlo, mentre Bob, controllato dagli occhi ostili di MacDonald, se ne rimase silenzioso e accigliato. MacDonald, inoltre, non fece nulla per agevolare gli sforzi del socio, anzi, quando ogni tanto lo vedeva ridere, lo squadrava con stupefatta indignazione. Terminato il pranzo, Bevan attese di incontrare lo sguardo di Roland. — Gradirei parlarti un momento da solo — gli disse. — Più tardi — rispose Roland alzandosi da tavola. — Mi sono impegnato per una conferenza stampa fissata per le due e mezza. Dovrò fare una dichiarazione circa le esequie. MacDonald guardò l'orologio. — Ma sono già le tre meno venti, sai? — Non ti preoccupare, li sto facendo un poco aspettare. Ora ci vado. Troviamoci nella biblioteca alle quattro e mezza. Avremo tutto il tempo per parlare delle nostre faccende. Warren prelevò deciso Susan dal gruppo dei familiari e la condusse all'aperto. Hope si recò in cucina per dare ordini al cuoco, mentre Bob spariva a sua volta, dopo avere borbottato qualche parola di scusa. MacDonald si avvicinò a Potter e lo condusse nel salotto principale. — È meglio che restiamo qui — gli disse. — La polizia ha occupato l'altro salotto, quello nell'ala di ponente, e sta interrogando Miller. In quanto alla biblioteca, vi si è installato Roland. Sedette in una poltrona, distese le lunghe gambe e si accese una sigaretta. Potter aspettò paziente in silenzio, mentre studiava il largo viso dell'uomo, dall'espressione dura e arcigna. — E allora? — chiese infine MacDonald.
Potter lo guardò con aria interrogativa. — E allora, che cosa sta succedendo in questa casa, Potter? — proseguì MacDonald. — È da un pezzo che stavo aspettando l'occasione di chiedervelo. A colazione, stamattina, Hope mi ha detto cose tali da lasciarmi senza fiato! Come se mi avesse affibbiato una serie di diretti al mento, dai quali non mi sono ancora ripreso. Per tutta la mattina ho riflettuto, cercando di capire e di rendermi conto dell'accaduto. Ne ho parlato anche con Lincott. A quanto pare, Herbert un paio di settimane fa ha modificato il testamento, lasciando la sua quota azionaria a Crystal Young, invece che a Roland... o a me. Ora, io non mi faccio scrupolo, caro signor Potter, di rivelarvi che già da anni lui aveva lasciato intendere di avere destinato a me la sua quota. Questo perché anche lui, come me, sapeva benissimo che Roland è pieno di buona volontà, ma è un incapace e un incompetente. Potter fece un breve cenno d'assenso. — E ora, Herbert è morto per una dose eccessiva di digitale! Buon Dio! Se fossi nei panni di Roland farei sbattere subito in galera quella donna e non sarei contento finché non la vedessi sulla sedia elettrica. Ma chissà che diavolo gli è venuto in mente a Herbert, di modificare il testamento!... A meno che l'attacco cardiaco non gli abbia fatto smarrire la ragione! — La mano gli tremava in modo tale che la cenere della sigaretta cadeva sul tappeto, e MacDonald, seccato, finì con lo spegnerla schiacciandola nel portacenere. — Sono letteralmente in pezzi! — continuò poi. — E pensare che avevo dei nervi d'acciaio! A proposito: Hope dice che vi devo la vita. Se non aveste scoperto tempestivamente le condizioni in cui mi trovavo, con tutta probabilità ora starei tenendo compagnia a Herbert. — Semplice fortuna, da parte mia. Inoltre, se vi ho trovato, è perché eravamo rimasti d'accordo che sarei venuto in camera vostra a fare quattro chiacchiere prima d'andare a letto. — Davvero?! — disse MacDonald, sorpreso. — Pensate, non me lo ricordavo neppure! — Avevate detto che volevate parlarmi perché qui stava succedendo qualcosa di strano. — Non riesco a immaginare che cosa mai potesse avermi indotto a dire una cosa del genere. Chissà cosa mi è passato per la testa, quella sera! Comunque sia, i fatti mi hanno poi dato ragione. E ora, che provvedimenti prenderanno a suo carico? Potter inarcò le sopracciglia con aria interrogativa. — Parlo di Murphy, naturalmente.
— Perché, voi pensate che Murphy sia il principale responsabile? — chiese Potter in tono indifferente. La breve risata di MacDonald assomigliò al latrato di un cane rabbioso: — Ma certo. Lui e Crystal erano complici in quest'affare. A proposito, sapete che lei è stata sposata con me? Potter annui. — E che Murphy... — ... è figlio suo e di Herbert Keane? Lo so già. — Hope mi ha rivelato questa mattina una primizia: ha già sposato quel tipo. Buon Dio, c'è da impazzire all'idea che una ragazza brava, intelligente e buona come lei, debba rovinarsi l'esistenza prima ancora d'avere realmente iniziato a vivere. Se ci penso, mi viene la nausea! — Non vi pare che le vostre conclusioni siano un po' troppo azzardate e premature? Prima di rispondere, MacDonald accese un'altra sigaretta. — Io vedo una sola soluzione per quanto è accaduto qui, ed è sconsolante che voi, Potter, non l'abbiate saputa trovare a vostra volta. Evidentemente il vostro famoso intuito investigativo, questa volta ha fatto cilecca! Ora, a meno che non cerchino di addossare la colpa a Dorothy, quelli della polizia non potranno trovare nessun altro da incriminare. — Direi, invece, che potrebbero trovarne parecchi. Contro di voi, ad esempio, potrebbe esser formulata una eccellente accusa. — Contro di me? — Sul viso di MacDonald l'espressione sconcertata lasciò il posto al furore: — State scherzando, vero? — Mai stato più serio. MacDonald si sforzò di ridere: — O.K. — esclamò. — Sentiamo, dunque: perché mai avrei dovuto uccidere Herbert? Perché avrei tentato di far fuori Roland e, come se non bastasse, perché sarei stato a un pelo dall'eliminare me stesso? — Non saprei indicare nessun altro che avesse migliori motivi di voi per fare tutte queste cose. Iniziamo con Herbert. Voi stesso mi avete fornito la chiave del problema, con poche parole: situazione di stallo, ossia a un punto morto. Voi, Herbert e Roland avevate ciascuno un terzo del capitale azionario dell'azienda, ma, in effetti, sia voi che Roland, per vostra stessa ammissione, eravate solo degli uomini di paglia. Certo, le vostre azioni sommate avrebbero messo in minoranza Herbert, ma voi due avevate troppa paura di lui. Herbert aveva una personalità travolgente e dinamica che
vi dominava totalmente... addirittura vi paralizzava. MacDonald stava per esplodere. Si era fatto paonazzo e le sue narici vibravano. Potter fece finta di non essersene accorto e proseguì con tutta calma: — Ma, a parte ciò, Herbert molti anni fa vi aveva giocato un brutto tiro, signor MacDonald, quando vi affibbiò l'amante di cui si era stancato, dopo averla messa in stato interessante. Sì, poi siete riuscito a sbarazzarvi di lei, ma non avete più dimenticato quello che Herbert vi aveva fatto! Come se non bastasse, per portare la tensione al culmine, siete andato a innamorarvi di sua moglie! — Questo non... — iniziò a dire MacDonald trasalendo. Potter levò un dito per intimargli il silenzio. MacDonald tornò ad appoggiarsi allo schienale della poltrona, restando in allarmata e vigile attesa. — Due sere fa, a cena, vi siete reso conto che Crystal si era fatta ospitare qui; e questo aveva messo Dorothy nella condizione, imbarazzante e poco dignitosa, della moglie trascurata dal marito. Sei settimane prima, inoltre, Herbert era stato in punto di morte, e nessuno aveva ritenuto che si sarebbe potuto salvare. Ebbene, non vi ricordate come vi ha preso in giro a cena, quando ha detto a tutti i presenti che vi eravate sentito vicinissimo a impadronirvi della sua azienda? Non ricordate come vi ha deriso e schernito? Non ricordate che a un certo punto vi ha detto: "non cederò nulla di quello che è mio"? Ogni parola era come una freccia infuocata nelle carni di MacDonald, e Potter, mentre parlava, ne controllava attentamente l'effetto. MacDonald dimostrava maggiore autocontrollo di quello che Potter si era aspettato. Aveva il volto congestionato per l'ira e teneva serrate a pugno le grandi mani. Quando infine parlò, la sua voce era rauca. Tuttavia riuscì ad esprimersi simulando buon umore e ironia. — Cosicché — disse — il mio odio per Herbert era così intenso da indurmi a ingaggiare qualcuno per uccidere... Roland. La cosa francamente non mi pare molto logica. — Non avevate bisogno di nessuno. Voi eravate qui a Oakland, quando i cavalli vennero sellati. — È una menzogna. Sono arrivato col treno in partenza da New York alle quattro e dieci del pomeriggio. Potter scosse il capo negativamente. — E io vi dico — insistette — che un testimone vi ha visto molto prima a Oakland.
MacDonald batté nervosamente le palpebre: — State bluffando, Potter — disse poi. Potter lo guardò in silenzio. MacDonald si muoveva inquieto sulla poltrona, sforzandosi di non parlare e di mostrare, a sua volta, un atteggiamento di serena, paziente attesa. — Chi è il vostro testimone? — finì col chiedere. — Bob Murphy. — Quel bastardo? Sta mentendo sfrontatamente. Basta, per amore di Hope non aggiungerò altro. Si levò di scatto e si mise a camminare avanti e indietro nella sala. Sembrava effettivamente seccato e disgustato. Poi sbottò: — Francamente, Potter, non riesco a seguirvi. Voi stesso eravate presente quando Hope e Murphy sono arrivati qui da New York, molto tempo dopo di me. E allora? Come poteva Murphy avermi visto a Oakland... — Hope — lo interruppe Potter — è venuta da sola, in macchina, da New York e, passando da Oakland, ha preso a bordo Bob, che era già in paese. — Lui ammette di esservisi trovato? E che cosa ci faceva? — Certo che lo ammette. Aveva un appuntamento con quelli della National. Gli hanno offerto di assumerlo. MacDonald smise immediatamente di passeggiare su e giù: — Senti, senti, c'è di mezzo la National! Caro Potter, tutta la faccenda mi piace sempre meno: anzi, non mi piace affatto! — Me l'ero immaginato. Giunse dall'atrio il suono secco e rapido dei tacchetti di una donna che correva: un attimo dopo, Crystal Young fece irruzione nel salotto: — Signor Potter — gridò — vi ho cercato dappertutto. Per favore, aiutatemi. Il giovane si alzò dalla poltrona: — Cosa posso fare per voi, signorina Young? — Non per me, ma per Bob. La polizia lo sta sottoponendo a una specie di terzo grado, e non hanno voluto che io fossi presente. Stanno cercando di montare un'accusa contro di lui. — Non vedo però come io possa essergli d'aiuto. Lei tese la mano in un gesto disperato, quasi intendesse afferrare qualcosa nel vuoto. Poi lasciò ricadere il braccio. — Non lo so neppure io — ammise disperata — ma non ho amici qui, e
voi siete un uomo giusto e onesto. Eccetto Hope, qui sono tutti contro di me. Si direbbe che qualcuno abbia deliberatamente manovrato in modo da far ricadere ogni colpa su me e mio figlio. Negli occhi di Potter passò un rapido, brevissimo lampo di luce. — Smettila, Crystal! — intervenne MacDonald in modo brutale. — Nessuno sta cercando di incastrare te o tuo figlio. Ti darò io, piuttosto, qualcosa di sostanziale di cui preoccuparti: è stato il tuo caro Bob a mettere il sonnifero nel mio liquore. — No — gridò Crystal — non è vero! — Quali prove avete per la vostra accusa? — chiese Potter. MacDonald sogghignò: — Sentitelo l'infallibile investigatore al quale la verità non può essere celata! Ebbene, se proprio volete saperlo, so che è stato Bob Murphy, per la semplice ragione che l'ho visto io farlo: con i miei occhi. Hope era così pallida che le sue lentiggini spiccavano sulla pelle come se fossero in rilievo. — Avanti, venite con me — le disse Potter. — Non vi servirà a nulla starvene qui a tormentarvi. Tanto, non vi lasceranno entrare ad assistere all'interrogatorio di vostro marito. — Non posso muovermi, ora. Devo cercare di mettermi in contatto con l'avvocato Lincott. Avrebbe dovuto essere qui a disposizione, nel caso ci fosse stato bisogno della sua opera. Invece se n'è andato via prima di mezzogiorno. — Lincott era il legale del vostro patrigno, non il vostro. Se voi o vostro marito avete bisogno di un buon avvocato che curi i vostri interessi, vi aiuterò io a trovarne uno. Ora venite con me. — Non mi muoverò di qui: Bob può aver bisogno di me — disse Hope con testardaggine. — Pensavo che, forse, noi due potremmo trovare un alibi al vostro Bob. Dal volto della ragazza scomparve la disperazione. Gli occhi si illuminarono di speranza. — Oh, signor Potter — esclamò ansiosa — sono pronta: come faremo? — Prenderemo la mia macchina e andremo a fare una visita. L'agente di guardia al garage portò fuori l'auto di Potter, al quale consegnò anche un lasciapassare da dare ai colleghi di guardia al cancello di Summit House. Potter salì in macchina e, con Hope a fianco, si avviò lentamente verso l'uscita del parco.
— Fuori, troveremo gente in attesa — disse l'investigatore. — Si tratta di quel genere di avvoltoi che si aggirano sempre dove è accaduto qualche fattaccio. Non lasciate che la loro presenza vi sconvolga o spaventi. Si tratta solo di curiosi. È la stessa gente assetata di facili emozioni che corre alle agenzie di pompe funebri per vedere i morti prima che li chiudano nelle casse; oppure che assiste ai processi e che affolla i musei delle statue di cera per estasiarsi di fronte ai gruppi più sinistri e orrendi. È gente malata, e come tale dovete considerarla. Tenete alta la testa e sorridete disinvolta, quando li avremo intorno, ma non aprite bocca. Riuscì a eludere abilmente il blocco dei giornalisti che, avendolo riconosciuto, si erano freneticamente agitati per cercare di trattenerlo. Il nome di Potter si prestava sempre ottimamente per montare qualche bell'articolo di cronaca nera. — Lasciateci andare e vi prometto che più tardi avrò qualcosa da dirvi — promise Potter. — Ma se ora intralcerete in qualsiasi modo la mia attività, non ci saranno notizie per voi. Poiché era conosciuto come un uomo di parola, i giornalisti si fecero da parte, lasciandolo passare. Quando infine entrarono nel parcheggio della National Co., Hope levò lo sguardo sorpresa a fissare Potter, il quale le rispose con un sorriso d'incoraggiamento. — Ora verrete con me, signora Murphy, e vedrete che tutto si risolverà nel migliore dei modi. Lei sorrise a sua volta: — Credo che voi sappiate perfettamente quello che fate e ho un'illimitata fiducia in voi. — Brava, mi fa piacere sentirvelo dire. Ma come si chiama quel tipo? — Si mise a riflettere a voce alta. — Comincia per A? Per B? No, e neppure per C... forse per F. Sì, Forbes... forse Franklin, no... no, ora ci sono; Fitch! Erman Fitch. È vice-presidente della National ed è membro di un Club di Dirigenti, di cui anch'io faccio parte. Una persona simpatica, se vi piace il genere: sapete, il tipo che accoglie tutti con giovialità, il supervenditore, maestro nel preparare i cocktail e capace di reggerli bene; disposto a giocare volutamente male al golf, per lasciar vincere i clienti e così metterli di buon umore; capace di ricordare la data di nascita della moglie dei clienti, per inviar loro grandi mazzi di fiori. Hope fece un cenno d'assenso. — Conosco il tipo. Di aspetto aitante, veste bene ed è sempre pronto a dire a chiunque: "Dovremmo vederci più spesso, amico mio". Ha sempre pronta una storiella spinta, oppure un raccontino in cui può inserire delle frasi come: "Secondo quanto mi disse il
generale Ike" oppure: "L'ultima volta che sono stato a pranzo con l'ammiraglio Nelson". Hope aveva ripreso colore e la sua tensione nervosa era diminuita. Sorrideva a Potter con una tale ingenua sincerità e rivelando una così completa fiducia in lui, che l'investigatore per un istante si sentì prendere dal panico. Non aveva fatto nulla per meritarsi una tale fiducia e, soprattutto, non avrebbe voluto deluderla. Erman Fitch li attendeva in piedi, accanto a un enorme tavolo da lavoro di mogano lucido, su cui vi erano solo un grosso vaso con fiori, un portacenere e una foto incorniciata. L'uomo cominciava a ingrassare, ma l'abilità di un sarto di classe gli aveva reso un prezioso servizio, valorizzando al massimo la sua figura ancora giovanile e aitante. — Ma quale piacere incontrarvi! — disse raggiante a Potter, mentre si stringevano la mano. — Dovremmo vederci più spesso. — Signorina Keane, permettete che vi presenti il signor Fitch? Fitch notò il tono serio di Potter e chiese: — Keane, avete detto? Siete figlia di Herbert Keane? — Figliastra. Fitch, che ora mascherava dietro un aspetto serio e grave la propria perplessa curiosità, dispose tre poltrone accanto a un caminetto elettrico: — Scotch? Sherry? Hope rivolse un'occhiata interrogativa a Potter, poi rispose: — Sherry, grazie! Fitch spostò uno scaffale di libri, facendolo ruotare sui perni ai quali era appeso alla parete, e scoprì un piccolo frigorifero con un armadietto-bar. Dopo che ebbe preparato due scotch per sé e Potter, e versato lo sherry per Hope, posò i bicchieri su di un basso tavolinetto. — Ho saputo questa mattina del vostro patrigno... sì, della sua morte... improvvisa. Vi esprimo tutta la mia simpatia, signorina. — Grazie.— Io e vostro padre eravamo poco amici, forse perché rivali e concorrenti in affari. Era comunque un dirigente ad altissimo livello. Una grande perdita per tutti... Una grave perdita davvero! Hope restò silenziosa, in attesa che Potter assumesse l'iniziativa. — Purtroppo — disse l'investigatore — come avrete probabilmente già saputo, non si tratta solo di una grave perdita, ma di come è avvenuta. Fitch si limitò ad annuire. — Herbert Keane, infatti — proseguì Potter — è stato assassinato. — È proprio quello che ho sentito dire. — Fitch si schiarì la voce. —
Noi... voglio dire... se la National può essere di aiuto alla famiglia Keane o alla sua azienda, è a disposizione. — Grazie — disse Potter. — Spero che possiate subito agevolarci, confermando o meno una circostanza. Fitch non fece alcun commento. Depose il bicchiere senza neppure averne assaggiato il contenuto. Ora non era più l'espansivo e gioviale amicone: era il dirigente deciso a tutelare anche nelle minime cose gli interessi della sua azienda. Il suo viso aveva un'espressione dura e vigile. — La National, recentemente, ha offerto lavoro a un certo Robert Murphy? Fitch lo fissò visibilmente sconcertato da quella domanda inaspettata. — Murphy? Non ne ho la più pallida idea. Dovrebbero però saperlo quelli della direzione del personale. Se volete, posso accertarmene. — Ve ne sarei molto grato. Fitch tornò al grande tavolo di mogano e stava per prendere il ricevitore, ma ritrasse la mano all'ultimo istante: — Sentite, Potter — disse con calma — voi non siete un uomo d'affari e probabilmente non vi rendete conto che la National e la Keane sono dirette concorrenti. Perciò noi della National non possiamo fornire notizie e informazioni che agevolino la Keane. — L'informazione non presenta alcuna utilità per la vostra concorrente, ve l'assicuro. Serve solo a me, per stabilire un alibi a favore di quel Bob Murphy, il quale è tra le persone sospettate dell'assassinio di Herbert Keane. — Ah, capisco! — esclamò Fitch visibilmente sollevato. — E voi, Potter, naturalmente siete interessato nella faccenda. Avrei dovuto capirlo subito! Quale tipo di lavoro sarebbe stato offerto a quel tizio? — Analista e ricercatore chimico — disse Potter. Fitch fece un numero e ripeté la domanda. — Allora, è così — disse, dopo esser rimasto ad ascoltare: — Un'ottima offerta davvero... direi insolita... Oh, certo, se davvero è così bravo come voi pensate... Potter alzò una mano per attirare l'attenzione di Fitch e disse: — Chiedete quando Murphy è stato da loro: possibilmente l'ora esatta. Fitch riferì la domanda e ripeté ad alta voce la risposta, man mano che gli veniva data: — Sì... è stato qui di mattina, verso le undici e mezzo... ha discusso circa le condizioni e poi è andato a vedere il laboratorio... Chi l'ha
ricevuto... Ah, sì, Stutz, il caporeparto analisti, che poi lo ha portato con sé a colazione al nostro Club aziendale... Sono tornati verso le tre e hanno visitato tutto lo stabilimento... Quando se n'è andato? Alle cinque? — Fitch guardò Potter e gli chiese: — Desiderate sapere qualcos'altro? — Dove si trovava esattamente alle due e mezzo. Fitch riferì la domanda: — Sì — aggiunse al microfono — pare sia molto importante. Accertatevene e chiamatemi appena possibile. Posò il ricevitore e si rivolse a Potter. — A quanto mi hanno detto, pare che questo Murphy sia un elemento di valore eccezionale. Voglio solo sperare non sia nei guai per l'affare Keane. — Lo avete già tolto voi, dai guai! — disse Potter, sorridendo soddisfatto. Hope si trattenne a stento. Era eccitata per il sollievo e la gioia: — Siete fantastico, Potter! — gridò. — Che Dio vi benedica! — Perché quella domanda circa le due e mezzo? — chiese Fitch. — Mi preme poter convalidare un altro elemento della mia ricostruzione dei fatti. Fitch si chinò a prendere il proprio bicchiere dal tavolo e lo levò in un brindisi: — Alla salute! — poi mutò improvvisamente d'espressione. — Sentite, Potter — disse con voce preoccupata — mi pare che anche in questo caso ci sia qualcosa che non va! Se quel Murphy intendeva lavorare con noi alla National, come mai era in rapporti con la Keane e con il suo proprietario? — Perché lui e la qui presente signorina Keane si sono sposati segretamente una settimana fa — spiegò Potter. Fitch riprese il bicchiere per tornare però a deporlo subito, assalito da un altro dubbio. Poi disse: — Ma stando così le cose, il vostro Murphy avrebbe dovuto logicamente cercarsi il suo lavoro presso il suocero, non da noi! — Ho detto "sposati segretamente" — puntualizzò Potter. — Il suocero non ne sapeva nulla. Gli era stato tenuto tutto nascosto. Fitch rimuginò pensieroso la spiegazione che non sembrava averlo totalmente convinto. — Che cosa sta succedendo alla Keane Chemical? — chiese dopo qualche istante. — Le loro azioni sono scese di valore dopo gli attacchi di Miller, ma si sa che queste crociate giornalistiche sono sempre di breve durata e, d'altra parte, l'azienda sembrava abbastanza solida per passare indenne nella burrasca.
— A quanto mi risulta, non è solida, ma solidissima! Se non fosse così, d'altronde, voi della National non vi sareste offerti di acquistarla — rispose Potter, sorridendo maliziosamente. — E voi, come avete fatto a saperlo? — Me l'ha detto Herbert Keane. È stato MacDonald a intavolare l'argomento, l'altra sera durante la cena. Lui era decisamente a favore della cessione, ma Keane era assolutamente contrario. — Eppure la nostra era un'ottima proposta — disse Fitch. — Ma Keane non voleva neppure sentirne parlare, a meno che nella nuova combinazione non gli venisse riservata la carica più elevata. Il che era del tutto fuori discussione. Non capisco però, Potter, di chi andiate a caccia e perché vi interessiate tanto a questa faccenda della nostra offerta. — Così. Mi era venuta un'idea... Fitch gli rivolse un'occhiata sospettosa, poi finì col sorridere furbescamente. — Mi fate venire in mente quello che Charles Wilson mi ha detto l'altro giorno a colazione: pare che... — Lo interruppe lo squillo del telefono. Sollevò il ricevitore: — Stutz, che cosa?.,. Insomma, spiegatevi... Stutz ha portato Murphy a colazione al Club. Poi, al ritorno hanno attraversato il paese e si sono fermati nella via principale per comprare le sigarette. Erano esattamente le due e mezzo quando hanno parcheggiato la macchina. Stutz ne è sicuro perché ha guardato l'ora all'orologio del Municipio... No, non c'è altro. Grazie. — Depose il ricevitore — Ebbene? — chiese a Potter. — Siete soddisfatto? — Moltissimo — rispose Potter. Offrì a Hope una sigaretta e gliel'accese. Fitch guardò con ostentazione il suo orologio e si alzò dalla poltrona. — Devo chiedervi un'altra informazione — disse Potter senza neppure accennare a muoversi. — Riguarda quella vostra offerta di acquistare la Keane Chemical. A che punto è rimasta? — La cosa ha importanza? — Forse vitale! L'affare della cessione potrebbe essere stata la molla che, scattando, ha messo in moto tutto il meccanismo. — L'offerta — disse Fitch soppesando con cautela le parole — non è stata ritirata. — Suvvia, non siate reticente — esclamò Potter spazientito. — Per ottenere delle informazioni da voi, bisogna proprio strapparvele di bocca. — Ma si tratta di informazioni riservate: c'è il segreto d'ufficio. — Non ci sarà più, quando interverrà la polizia!
Fitch brontolò indignato: — Ecco perché, presto o tardi, tutti i vostri amici si stancano di voi, Potter, e vi mettono al bando. E va bene! Eccovi l'intera storia, ma non divulgatela più di quanto sia necessario ai fini dell'inchiesta. Dunque, noi formulammo, mesi fa, l'offerta di assorbire la Keane Chemical, ma Herbert la respinse. Poi, circa sei settimane or sono, ci venne a trovare MacDonald. Disse che Herbert stava morendo e che lui e Roland Keane avrebbero visto con piacere una ripresa delle trattative. Naturalmente ci trovarono interessatissimi. Discutemmo la cosa e, anzi, avevamo già fatto redigere dal nostro legale una bozza dell'accordo, quando, tre settimane fa, tornò da noi MacDonald tutto spaurito, per comunicarci che Herbert stava riprendendosi e che, per il momento, l'affare doveva essere dimenticato. — Disse proprio così: "per il momento"? — chiese Potter. — Esattamente così: "per il momento" — confermò Fitch, che poi diede un altro sguardo eloquente al suo orologio. Potter fece un cenno a Hope, ed entrambi si alzarono. — Mi spiace avervi portato via tanto tempo — si scusò Potter — ma, non è stato tempo perso. — Per voi, no di certo! — disse Fitch sorridendo, mentre li accompagnava verso la porta. — E neppure per voi. È probabile che ora le vostre trattative con la Keane possano riprendere. — Dite sul serio? — chiese Fitch molto interessato. — Certo. — Se riuscirete a farci concludere l'affare, caro Potter, vi assicuro che riceverete un bel pacchetto di azioni, con tanti calorosi ossequi da parte della National. — Se l'affare andrà in porto, potrete dare quelle azioni ai coniugi Murphy come vostro dono di nozze. 15 Il radioso sorriso di sollievo sparì dal volto di Hope appena rientrarono a Summit House e parlarono con l'agente messo a sorvegliare l'atrio della villa. Questi li informò che Bob era ancora sotto il torchio degli inquirenti, nel salotto del lato ovest. Infatti, un attimo dopo, lo sentirono gridare infuriato. — Povero caro! — disse Hope, angustiata. — Come vorrei che non per-
desse la calma con tanta facilità: certe volte sembra proprio che desideri essere attaccato, solo per poter reagire. — In effetti — riconobbe Potter — è un tipo piuttosto suscettibile. — Ma è naturale che lo sia! Ne ha tutti i motivi! Se solo pensaste che durante l'infanzia è stato sbattuto da una famiglia all'altra, senza mai nessuno che lo apprezzasse! — Be', sotto questo aspetto, con voi vicina, ora non può più lamentarsi di certo. Hope annuì. — Sono innamoratissima di mio marito — ammise con sincerità. — È da cinque anni che gli voglio bene, e all'inizio sono stata proprio io a corrergli dietro. L'ho fatto in modo molto deciso, perché non volevo che lui mi dicesse di no e mi respingesse. — Scostò dagli occhi con un movimento del capo una liscia ciocca di capelli color carota. — Certo non mi sono comportata come una ragazza per bene. Ma... — Ma come una ragazza molto intraprendente! — concluse Potter con un amichevole sorriso. — Comunque, spero che vostro marito si renda conto di essere stato fortunato a sposare una come voi. — Grazie — disse calma Hope — siete una cara persona. — Si udì provenire dal locale in fondo all'atrio l'eco di un nuovo scoppio d'ira di Bob, e lei aggiunse: — Pensate che potrebbe giovare a mio marito, se intervenissi? — No, non tentate nulla del genere. Ormai la posizione di Bob, come ben sapete, è stata chiarita Sarà meglio se, almeno per il momento, lascerete che se la veda da solo con la polizia. — Credete che mi permetterebbero di entrare? — Probabilmente no. — Comunque, se mi presentassi ad aiutarlo — considerò pensierosa la ragazza — correrei il rischio di urtare il suo orgoglio maschile. Col carattere di mio marito, bisogna andarci piano! Susan scese di corsa lo scalone, si fermò sul ballatoio sovrastante l'atrio, e si affacciò alla balaustra, guardando in basso. — Senti, Hope — disse — sali un momento in camera della mamma. Dobbiamo parlarti. — Ci sono ottime notizie circa Bob — le gridò esultante la sorella. — Il signor Potter è riuscito a procurargli un alibi. Verrò subito dalla mamma. Prima, però, voglio avvertire Crystal che stia tranquilla per Bob. Chissà, poveretta,in quale stato d'animo sarà! — Non ti preoccupare troppo per Crystal — ribatté seccamente Susan.
— C'è Warren che la sta assistendo affettuosamente in salotto. Le tiene addirittura una mano stretta tra le sue! Hope rivolse a Potter un'occhiata che esprimeva una divertita esasperazione e, rinunziando a recarsi da Crystal, si affrettò a salire lo scalone per raggiungere l'infuriata sorella. Un attimo dopo la porta della biblioteca si spalancò con tale violenza da andare a sbattere contro la parete e MacDonald irruppe nell'atrio, attraversandolo di corsa con l'impeto di un tifone. Raggiunse la porta d'ingresso, uscì e se la sbatté alle spalle. Roland fece capolino dalla biblioteca e vide Potter: — Dove è andato? — chiese. — Chi? MacDonald? È uscito. Lo sconfinato buon umore di Roland era scomparso. L'uomo appariva perplesso e disorientato. Evidentemente, pensò Potter, l'atteggiamento da personaggio importante non gli si addiceva proprio. — Chissà che cos'è accaduto a Bevan? — disse quasi parlando a se stesso. — Non l'ho mai visto in queste condizioni: si comporta come Herbert. Suppongo che sia arrabbiato perché mio fratello ha lasciato a Crystal, invece che a lui, la sua parte di azioni. — Si passò una mano sulla fronte aggrottata. — Certo, nessuno si sarebbe aspettato una decisione del genere. È stato un bel colpo a tradimento... un insulto, o quasi, sia per me che per Bevan. Chissà, ripeto, che cosa gli ha preso, a mio fratello! Ho pensato a lungo per cercare di capirlo e soprattutto per farlo capire anche a Bevan. Ma sarebbe inutile, comunque, perché lui è troppo irragionevole ed è ormai fuori di sé. D'altra parte, è anche logico che sia incapace di distacco e comprensione nei confronti di Crystal: le ha sempre serbato rancore. — Si lasciò sfuggire un gran sospiro, poi proseguì: — Ormai non ci resta che sperare per il meglio. Dobbiamo soprattutto evitare di procurarci delle grane. Chissà, può anche darsi che Crystal sia disposta a lasciarsi guidare docilmente da noi. Dopo tutto è difficile che lei voglia prendere parte attiva nella direzione dell'azienda. Certo ci troviamo in una situazione complessa, difficile e spiacevole, con quella donna tra i piedi: ma avrebbe potuto anche andar peggio. Eppure Bevan non vuole sentire ragioni: sembra impazzito per la rabbia. Si udì squillare il telefono, e Roland, con espressione cupa e tormentata, si affrettò a rientrare nella biblioteca. Camminava curvo, quasi oppresso dal peso del suo primo incontro con le responsabilità di capo-famiglia. Potter rivolse una occhiata interrogativa all'agente di servizio nell'atrio e l'uo-
mo gli rispose ammiccando: — Qui dentro stanno tutti diventando nevrastenici e tra poco, credete a me, ne vedremo delle belle. Quel vecchio gigante che se n'è andato sbattendo la porta... — Si chiama Bevan MacDonald. — Già, MacDonald. Ebbene, per almeno mezz'ora non ha fatto che urlare e inveire con il signor Keane, il grassone che ora è tornato nella biblioteca. Non ho capito bene le parole, ma vi assicuro, signor Potter, che sono stato lì lì per entrare, perché temevo ci scappasse un altro morto. Quel MacDonald è di pessimo umore e mi domando che cosa starà macchinando, ora. — Me ne accerterò io, se mi permettete di uscire — disse Potter. Poiché l'agente non fece obiezioni, l'investigatore uscì all'aperto. La giornata era serena, ma l'aria, un poco frizzante, rivelava che l'estate era ormai finita. Il fogliame aveva ancora i suoi brillanti colori, ma i rami di alcuni alberi si protendevano, già spogli, verso l'azzurro profondo del cielo. Bates, il giardiniere, non si era preoccupato di rastrellare le foglie cadute: perché lavorare, si era chiesto senza dubbio, proprio ora che il suo datore di lavoro, grazie al cielo, non poteva più controllarlo e angariarlo? Bevan MacDonald se ne stava ritto sulla sponda del torrentello e, probabilmente per sfogare i propri nervi, vi scagliava dentro un sasso dietro l'altro. Quando udì i passi di Potter si volse trasalendo. L'uomo era al limite della resistenza nervosa e sarebbe stato pericoloso irritarlo ulteriormente. Ma Potter decise lo stesso di provocarlo. — State contemplando il luogo del delitto? — insinuò. — Ah, è qui dove Roland ha fatto il capitombolo? Me l'ero immaginato. Come non si sia rotto l'osso del collo, non riesco proprio a capirlo. Vi è poi da considerare che avrebbe anche potuto cadere nell'acqua a testa in giù, o di schiena, e in tal caso, sarebbe probabilmente annegato — concluse senza mostrarsi minimamente turbato all'idea del pericolo corso dal socio. Potter sedette su di un ceppo d'albero e si guardò attorno con tranquillo interesse. Il suo enigmatico silenzio, dopo qualche minuto, finì col turbare MacDonald, che era già fin troppo teso per poter resistere a quella tacita provocazione. — Considerato il fatto — disse d'improvviso, come se rispondesse a una precedente argomentazione di Potter — che voi state cercando di implicarmi in questa storia, ho pensato che mi piacerebbe almeno conoscere di che cosa si tratta, con precisione. — Più che naturale...
La calma di Potter sembrò far perdere definitivamente le staffe a MacDonald: — Naturale un accidente! — gridò. — Desidero sapere che cosa c'è di preciso a mio carico. Quella mèzza accusa che voi vi siete subdolamente permessa... quasi cercaste di incastrarmi... Potter inarcò le sopracciglia per deprecare quel frasario. — Ma sì! — proseguì MacDonald. — Mi riferisco a quando avete detto che avreste potuto benissimo formulare un'eccellente incriminazione contro di me. Sotto un certo aspetto, è verissimo che non c'era affetto tra me e Herbert. Ma per quanto riguarda Roland... ebbene, come diavolo si può supporre che sia stato io a provocare l'incidente, collocando l'ago nell'imbottitura della sella?... Accidenti a voi — esclamò sempre più acceso in volto. — Vi siete dunque dimenticato che sono stato lontano da questa casa per dei mesi?! Come avrei potuto sapere che proprio quella determinata sella apparteneva a Roland? — La voce gli si strozzò in gola. Poi ebbe un singulto strano, come se gli avessero assestato un pugno alla bocca dello stomaco e respirò a fondo. — Ecco, ora ho capito — continuò. — Voi pensate che io ce l'avessi anche con Crystal e che... — Perché non vi limitate ad espormi le vostre idee sulla faccenda, invece di tentare di indovinare le mie? — disse Potter. — Benissimo. In tal caso vi dirò che secondo me, Crystal e Bob ci sono dentro fino al collo. Potter scosse il capo negativamente. — Credete più alla parola di quel bastardo, dunque, che alla mia? — esclamò MacDonald indignato. — Non è colpa di Bob se è un bastardo: è stato sfortunato, ecco tutto! Comunque, ormai è libero da ogni accusa: ha un alibi di ferro, per quanto riguarda l'attentato a Roland Keane. Come aveva dichiarato, alle due e mezzo del pomeriggio si trovava effettivamente a Oakland... Per un attimo, Potter pensò che MacDonald stesse per saltargli alla gola. Poi il gigante riuscì a controllarsi, seppure a fatica e, dischiusi i pugni che aveva chiusi per l'ira, si sforzò di ridere. — E va bene, può darsi che Bob mi abbia visto a quell'ora, perché in effetti anch'io ero a Oakland. Ma non c'era alcun motivo per dare importanza a questo particolare, che avrebbe solo potuto fornire delle idee sbagliate a chi si sta interessando dei fatti miei. Potter rimase silenzioso, in attesa. — La verità è — riprese MacDonald, esprimendosi con nervosa rapidità — che io sono arrivato in anticipo da New York perché volevo avere un
colloquio confidenziale con Roland prima di vedere Herbert. Non ho telefonato a Summit House prima di partire perché, con tutte le derivazioni della linea che ci sono nella villa, chiunque può intercettare una comunicazione. Comunque, appena arrivato a Oakland ho telefonato a Summit House: ma mi hanno detto che Roland era appena uscito a cavallo. La cosa mi è parsa molto strana, a dir la verità, perché a Roland non è mai piaciuto cavalcare. Ho lasciato passare un po' di tempo, in attesa che rientrasse alla villa, ma poi mi sono stancato e sono venuto qui direttamente. Solo allora ho saputo che l'incidente era grave. — Sì, ricordo che sembravate preoccupato. — Ma certo, accidenti! Tutti noi sappiamo che Roland ha le ossa molto fragili, e una caduta da cavallo avrebbe potuto avere serie conseguenze per lui... Potter sorrideva tranquillo. Appariva rilassato e mostrava di trovare estremamente comodo il ceppo sul quale sedeva. Non vi era dubbio: sarebbe rimasto in piacevole attesa fino al calare della notte, o finché il suo interlocutore avesse vuotato il sacco. MacDonald, messo ormai a disagio, spostava alternativamente il peso del corpo da un piede all'altro. Di regola, la sua statura eccezionale lo metteva in posizione di vantaggio psicologico rispetto agli altri. Invece Potter non solo lo guardava con tutta tranquillità dal basso verso l'alto ma, cosa stranissima, non sembrava aver perso dignità o sentirsi affatto avvilito e sminuito per questo. Una delle singolari caratteristiche di Potter era appunto di non badare assolutamente alle formalità e di non dar valore alle apparenze, ma di non permettere che altri ne traesse vantaggio per cercare di metterlo in posizione di inferiorità. — Quello che non capisco — riprese accalorandosi MacDonald, stimolato a parlare dall'atmosfera di insopportabile attesa creata da Potter — è cosa può avervi messo subito in sospetto circa la sella di Roland. — Le fibbie del sottopancia non erano strette, e quindi la sella praticamente era libera: nessuno avrebbe mai potuto montare un cavallo sellato in quel modo! Comunque, la cavalla appariva eccessivamente nervosa. Sapete, me ne intendo un poco anch'io di equitazione. Poi ho trovato a terra un ago sporco di sangue fresco. Ce n'era abbastanza per destare la mia curiosità. — Come ricostruite l'accaduto? — chiese MacDonald interessato. — Penso che qualcuno abbia allentato il sottopancia per alzare la sella e recuperare l'ago, che poi gli deve essere sfuggito dalle mani, finendo a ter-
ra. Ma non ha avuto il tempo di cercarlo e di serrare nuovamente il sottopancia della sella, perché siamo arrivati noi con la giardinetta. L'individuo si è dato alla fuga, riuscendo a nascondersi dietro i cespugli che crescono lungo il corso d'acqua. MacDonald si erse in tutta la sua altezza e disse: — E voi riuscite a immaginare uno come me, che riesce a nascondersi dietro quei cespugli così bassi? Santo Dio, per celare alla vista uno con un fisico grande e grosso come il mio, ci vorrebbe almeno un filare di sequoie. Un'altra cosa: voi potrete crederlo o meno, ma quando hanno cercato di strangolarvi, io dormivo tranquillo nel mio letto. Chiedetelo a Vilma. — Dormiva anche lei — obiettò sorridendo Potter. MacDonald si allontanò nervosamente di qualche passo, per tornare subito indietro ad affrontare l'investigatore. — Quando vi ho detto di avere visto Bob Murphy mettere le compresse di sonnifero nel mio bicchiere, non mi avete creduto, vero? — No. — Cosicché preferite pensare che me le sia somministrate io stesso? — Ma, santo cielo, piantatela! — esclamò Potter esasperato. — Finitela di dire sciocchezze e anche di mentire. So bene quanto voi che chi vi ha propinato il sonnifero è stato Herbert Keane! Per un istante MacDonald rimase immobile ed esterrefatto a fissare Potter. Poi piegò le labbra in una smorfia furente che gli scoprì i denti. — Piccolo miserabile pasticcione! — ringhiò. — Povero pazzo, capace solo di seminare grane e zizzania: pazzo da legare, che credete di aver trovato la soluzione più semplice, addossando le colpe ad un morto perché, tanto, non può difendersi. Ne abbiamo avuto tutti abbastanza di voi: toglietevi subito dai piedi! Ora MacDonald stava perdendo il lume della ragione. La sua era una vera e propria crisi di furore. Potter, che lo osservava attentamente, modificò la sua posizione sul ceppo, mettendosi in condizione, se necessario, di potersi spostare rapidamente. Aveva l'impressione d'avere scatenato le furie di un uragano e di doverne ora affrontare le conseguenze. — Andatevene, cosa aspettate? — urlò MacDonald. — E tenetevi lontano di qui! Azzardatevi a dire una sola parola al vostro amico piedipiatti, e vi trascinerò in tribunale denunciandovi per tutti gli abusi, e sono tanti, dei quali come semplice privato vi siete reso responsabile a Summit House. — Ora, per l'ira, era agitato da un tremito convulso. — Alzatevi subito! —
tornò a intimare, con la bava alla bocca. — O volete costringermi a picchiarvi mentre siete seduto? Alzatevi e levatevi dai piedi! Potter si alzò lentamente, continuando a fissare MacDonald negli occhi. Fu solo quando scorse in essi un improvviso bagliore che, mentre il gigante dai capelli bianchi portava la mano alla tasca, egli decise di andarsene. Ma ormai era troppo tardi. — Fermo dove siete! — gli ordinò MacDonald, che ora brandiva un'automatica con mano ferma. — Abbassate l'arma e non fate sciocchezze. — Dipende solo da voi. Se siete furbo e ci tenete alla pelle, ve ne andrete da questa casa entro un'ora, insieme a quel divo del cinema vostro amico, e d'ora in poi avrete tutte le buone ragioni per non farvi mai più vedere nei dintorni. — In caso diverso? — In caso diverso uscirete di qui lo stesso, ma con i piedi in avanti e portato a spalla — ringhiò MacDonald. — Non fate il pazzo. Come potreste cavarvela poi, con la casa piena di agenti? — Non preoccupatevi per me! Potter mosse cautamente un passo in avanti, e MacDonald tornò a puntargli l'arma contro il petto, mentre il suo indice tirava il grilletto. Si udì solo un clik, e MacDonald, sbalordito, riprovò più volte a far fuoco, senza che partisse un solo colpo. Allora, imbestialito, scagliò l'automatica contro Potter il quale, nonostante cercasse di schivarla, venne colpito alla spalla e perse per un attimo l'equilibrio. L'avversario gli fu subito addosso. Potter finì a terra, immobilizzato da MacDonald, le cui mani tentavano di raggiungergli la gola. Sentiva un dolore acuto a un braccio che gli era rimasto imprigionato sotto la schiena, e scorgeva, a qualche centimetro dalla sua, la faccia congestionata di MacDonald, che gli stringeva le dita attorno al collo. "Era destino che finissi strozzato!" pensò Potter con rassegnazione. — Preferisco farvi fuori così che con la pistola! — ruggì MacDonald, sogghignando. Potter continuò a lottare, ma senza riuscire a liberare il braccio immobilizzato e senza potersi servire delle gambe che erano paralizzate dal peso del corpo di MacDonald. Con l'unica mano libera cercò di afferrare le dita che gli serravano la gola e di scostare il viso paonazzo dell'aggressore, i
cui occhi scintillavano di una luce crudele. D'un tratto la faccia di MacDonald scomparve dal campo visivo di Potter spostata dalla violenza di un pugno. Il colosso staccò la mano dal collo di Potter, e balzò in piedi per far fronte a Bob Murphy. MacDonald era più alto di circa venti centimetri e pesava almeno venticinque chili più del suo avversario, e in quel momento era invaso da una frenesia omicida. Ma Bob aveva il vantaggio dei suoi venticinque anni e un gioco di gambe molto più agile. Potter si alzò sulle ginocchia, barcollando come un ubriaco. Restò qualche istante fermo, ansimante, sinché gli si schiarì la vista e la respirazione gli tornò più regolare. Solo allora, si levò in piedi e guardò i due avversari che si battevano. MacDonald sfruttava il suo maggiore allungo per tenere Bob a distanza, mentre, contemporaneamente, lo tempestava spietatamente, colpendolo più volte al capo di destro e di sinistro. Concluse quella fase con un terribile montante al viso che fece sprizzare il sangue dal naso del giovane. "Quel ragazzo ci rimetterà la pelle" pensò Potter, avviandosi barcollando verso i due contendenti, deciso a gettare nella lotta il suo esiguo peso, per aiutare Bob. Poi si rese conto che quest'ultimo, nonostante la tempesta di colpi che stava subendo, era rimasto freddo e attento. Accelerava gli spostamenti sulle gambe e imponeva le sue scelte di tempo, mandando sempre più spesso a vuoto i colpi dell'avversario. Era evidente che stava progressivamente logorando l'anziano MacDonald. Una strategia che poteva portare a risultati positivi, pensò Potter, purché il gigante dai capelli bianchi esaurisse le sue energie prima di riuscire ad assestare a Bob qualche colpo micidiale. Forza bruta contro stile: uno spettacolo strano e, sotto un certo aspetto, affascinante. Bob girava in tondo, saltellando, fingendo improvvisi attacchi, per poi retrocedere di scatto, sempre incalzato da MacDonald che ora ansava come un toro infuriato. Poi, improvvisamente, Bob si piegò sulle ginocchia, penetrò sotto la guardia dell'avversario, colpendolo al mento con un poderoso sinistro, doppiato istantaneamente dal destro. Entrambi i colpi furono portati con tutta la spinta e il peso del corpo. MacDonald rovesciò la testa all'indietro: era finito! Mosse un passo barcollando e inciampò nel ceppo sul quale Potter era stato a sedere poco prima. Perse del tutto l'equilibrio e, ormai fuori combattimento, cadde e stramazzò a terra. Bob gli fu addosso con un volo spettacoloso e lo tenne inchiodato al terreno. Potter, che aveva raccolto l'automatica scarica, si av-
vicinò ai due. — Spostate la testa — disse a Bob. — Lo sistemerò dandogli questa sul cranio! — Lasciate fare alla polizia! — disse ridendo Ratclif, che era sopraggiunto di corsa sul luogo dello scontro. Per qualche motivo che Potter non riusciva a comprendere, il tenente sembrava estremamente divertito. Dietro al suo superiore arrivò anche l'agente che aveva dato l'allarme, il quale si affrettò ad ammanettare il polso destro di MacDonald col proprio polso sinistro. — Alzatevi — gli ordinò poi MacDonald si levò in piedi. Tutta la sua furia era svanita. Ora era solo un pover'uomo attempato e stanco, esaurito da una inutile zuffa. Guardò con espressione stolida il proprio polso ammanettato e chiese: — Perché? — Portatelo nel salotto di ponente — ordinò Ratclif all'agente — e non lasciatelo parlare con nessuno prima che io lo abbia interrogato. — MacDonald seguì il suo custode senza protestare. Ratclif si volse a Bob: — Meglio ricorrere ad applicazioni di ghiaccio per il vostro naso — consigliò. — Per il resto, state bene? — Benissimo — borbottò Bob, mentre con la punta della lingua verificava se tutti i denti erano ancora al loro posto. — Avete bisogno di aiuto per tornare, o pensate di farcela con i vostri mezzi? — gli chiese il tenente, mentre fissava dubbioso il viso devastato del giovane. — Sciocchezze! — Bob si avviò deciso verso la villa tamponandosi col fazzoletto il sangue che continuava a uscirgli dal naso. Ratclif si volse a guardare Potter: il taglio sulla fronte dell'investigatore si era riaperto e aveva ripreso a sanguinare. Sul collo spiccavano i lividi causati dalle dita di MacDonald. Il braccio sinistro gli penzolava immobile al fianco. Stava in piedi per miracolo. Ma la sua capigliatura non si era scomposta: i capelli biondi erano, come sempre, perfettamente lisci e in ordine. — Mi spiace darvi questo fastidio — disse con calma al tenente — ma vi sarei grato se voleste aiutarmi a tornare alla villa. Credo di avere un braccio fratturato. Ratclif scosse la testa. — Non riesco a capire se la vostra sia fortuna o indistruttibilità. Quello che è certo, comunque, è che avrò qualcosa da aggiungere al romanzo che narra le vostre gesta! Ratclif sostenne Potter nel percorso lungo il prato, fino alla villa. All'a-
gente di piantone nell'atrio fu sufficiente un'occhiata per dichiarare: — Quel braccio è rotto: gli farò un bendaggio provvisorio per immobilizzarlo. — Chiamate il dottor Smiley e ditegli che si tratta di un caso urgente — ordinò Ratclif. — Se non trovate lui, cercate un altro medico. Warren uscì dal salotto assieme a Crystal. Dette un'occhiata a Potter e, inaspettatamente, si appoggiò a un tavolo abbandonandosi a una tale sfrenata ilarità da essere costretto a lasciarsi cadere infine su di una sedia. — Prima arriva MacDonald con gli abiti tutti stracciati; poi ecco Murphy col viso conciato come una poltiglia e il naso dal quale sgorga un bellissimo zampillo rosso; e ora tu, semidistrutto, e ridotto ai minimi termini. Finirà che un bel giorno, nelle zone colpite da catastrofi, metteranno un cartello con su scritto: "Località dove è passato Potter". — Quando però si accorse del pallore terreo dell'amico, Warren smise di ridere e chiese: — Chi è che ti ha conciato così? È stato Murphy? Potter accennò a uno stentato sorriso. — No, Murphy è venuto a soccorrermi; anzi, vorrei sapere come sta. — C'è Hope che lo accudisce — intervenne Crystal. — Ora, per favore, ditegli... — Basta, signora! — ordinò il tenente. — Qualcuno dia al signor Potter qualcosa di forte da bere, e poi lo si lasci in pace. — Warren si affrettò ad andare a prendere un bicchiere con un'abbondante dose di liquore e lo accostò alle pallide labbra dell'amico: — Chi è stato? — tornò a chiedere. — MacDonald. — Ah, sì! Quel farabutto! Ora lo sistemo io — esclamò l'attore, cominciando a dirigersi verso la porta. — Lasciate stare! — intervenne Ratclif. — Ormai lo abbiamo messo al fresco. Piuttosto, vediamo un po' di piantarla con le violenze e mettiamoci a lavorare sul serio se vogliamo risolvere questo maledetto caso. Potter strinse i denti mentre il dolore gli torturava il braccio. Sentiva attorno a sé confusione e voci, mentre per un istante la sofferenza si fece lancinante; poi avvertì la trafittura di un ago e, infine, un'ottusa ovattata sensazione di sollievo, come accade quando è appena cessato, ma non del tutto, un'insopportabile emicrania. Era a letto, nella sua camera al piano degli ospiti. Ma vi era una spiacevole novità che lo riguardava personalmente: dalla spalla al polso, un braccio era avvolto in un abbondante bendaggio che andava inspiegabilmente irrigidendosi. Ricordò l'accaduto: lo avevano ingessato.
— Vorrei non mettermi più nei guai e non farmi più rompere le ossa! — gemette. — Anch'io! — si associò Warren, con calore. — Come vi sentite? — chiese Crystal. — Se il signor Potter si sente come il suo aspetto lascia supporre, non deve stare molto bene! — ridacchiò Ratclif. — State a sentire, Potter, siete in grado di parlare? — Ma certamente — rispose l'investigatore in tono un po' seccato. — Benissimo: allora procediamo subito, perché io, senza una denunzia precisa, non posso trattenere indefinitivamente in arresto quel MacDonald. Perché siete venuti alle mani? A proposito: meno male che la rivoltella era scarica. Credete che MacDonald lo sapesse e abbia finto di spararvi solo per farvi prendere un bello spavento? — No. Lui era evidentemente convinto che fosse carica e, tra l'altro, anch'io lo ero! — Vedete, signori —intervenne Warren nel suo miglior stile istrionico — noi attori abbiamo l'ottima abitudine di accertarci sempre che le armi usate in palcoscenico siano scariche. Cosicché, anche in questo caso, prima di restituire la rivoltella a Susan, ho tolto il caricatore e la pallottola che era in canna. — Intendete querelare MacDonald per aggressione e lesioni? — chiese Ratclif a Potter. — A dir la verità, un po' di provocazione da parte mia c'è stata. Devo riconoscerlo — rispose Potter con calma, sforzandosi di esser obiettivo. Warren e Ratclif si scambiarono un'occhiata e sorrisero. — Che cosa hai fatto per mandarlo fuori dai gangheri in quel modo? — chiese poi l'attore. — Mi ero stancato della situazione e, soprattutto, di vedere che questa gente faceva il possibile per gettare ogni colpa su Bob e Crystal. Perciò ho detto a MacDonald che, se sosteneva di avere visto Bob mettergli il sonnifero nel bicchiere, diceva una volgare menzogna, perché lui sapeva benissimo, come me d'altronde, che a cercare di ucciderlo era stato invece il suo socio Herbert Keane. Ratclif balzò di scatto dalla sedia come se fosse stato colpito da una scarica elettrica ad alta tensione. — Che cosa avete detto?! — esplose. — Ma è logico! — disse Potter con calma. — Tutto quello che è successo è stata opera di Herbert. — Meno male che al signor Potter sembra logico! — commentò sarca-
stico e un poco indispettito il tenente. — Quando hai detto che avevamo a che fare con un criminale su cui non potevamo mettere le mani, già allora intendevi alludere a Herbert? — chiese Warren. — Certo. — Ora capisco — disse Ratclif visibilmente irritato — perché spesso va a finire che voi, Potter, vi beccate un sacco di legnate! Ora ad esempio, se minacciando di strozzarvi riuscissi a farvi sputare quello che sapete, sarei tentato di mettervi alle strette! Potter si finse offeso: — Vergogna! Minacciare un poveretto che ha un braccio ingessato. — Per il momento è solo uno! — ribatté il tenente. — Ma non è detto che tra poco non si debba ingessarvi anche l'altro. Potter sogghignò: poi cominciò a spiegare. Il guaio, come accade in molti altri casi dello stesso genere, aveva avuto origine da un testamento irrazionale e scombinato: la Keane Chemical Co. era stata lasciata in comune a Herbert, Roland e MacDonald, ma dei tre,era stato Herbert quello che, da solo, aveva trasformato un'azienda sana, ma di dimensioni limitate, in una grossa impresa a livello di efficienza molto maggiore. Lo sviluppo e la prosperità della Keane erano dovute esclusivamente alle iniziative di Herbert, e i suoi due soci, Roland e MacDonald, lo sapevano benissimo. Così come si erano resi perfettamente conto che senza di lui la Keane sarebbe andata in rovina. Perciò, se Herbert fosse stato un tipo diverso da quello che era, loro due sarebbero stati ben felici di adagiarsi comodamente in quella situazione, lasciando a lui le redini e le responsabilità. Ma Herbert era un uomo dalla personalità irruente e spietata: non si accontentava di dare ordini ai soci, ma addirittura li tiranneggiava. MacDonald, nonostante tutto, si sarebbe probabilmente rassegnato a una situazione del genere, se Herbert, a un certo punto, non gli avesse fatto lo scherzetto di indurlo a sposare Crystal e di affibbiargli la paternità del figlio che lei stava per mettere al mondo. Da quel momento MacDonald aveva giurato un odio mortale a Herbert, ma senza mai potersi prendere la rivincita. Tutti i Keane erano contro di lui; o meglio, aveva contro Roland, che aveva una vera e propria adorazione per il fratello, nei confronti del quale non si sarebbe mai sognato di assumere un atteggiamento di opposizione. Di tanto in tanto anche Roland si era sentito avvilito e mortificato, quando Herbert
aveva accolto sghignazzando qualche sua idea in materia d'affari, ma aveva risolto il problema di evitarsi ulteriori umiliazioni nel modo più semplice: aveva smesso di avanzare proposte e suggerimenti. Poi Herbert si era sposato con Dorothy, e l'aveva portata a Summit House. E MacDonald, appena l'aveva conosciuta, se ne era pazzamente innamorato. La tensione stava pericolosamente aumentando. Inaspettatamente, la National aveva avanzato un'ottima proposta per l'assorbimento della Keane Chemical, e sia Roland che MacDonald avrebbero voluto senz'altro accettare. Se la combinazione fosse andata in porto, entrambi avrebbero potuto ritirarsi comodamente dagli affari, oppure continuare a prestare liberamente la loro opera nell'azienda, ma non più sotto il controllo di Herbert. Insomma, per ciascuno di loro significava sottrarsi a un'insopportabile oppressione materiale e morale. Da notare che, se Roland e MacDonald, al tempo in cui l'offerta della National era stata fatta, avessero saputo di pensare entrambi nello stesso identico modo, avrebbero potuto coalizzarsi e, data la loro maggioranza azionaria, costringere Herbert a vendere. Ma se ne erano resi conto solo in un secondo tempo: in un primo momento erano entrambi isolati e inoltre troppo timorosi per osare di imporsi a Herbert. Sei settimane prima, Herbert, il dominatore, il realizzatore, l'invincibile, aveva improvvisamente scoperto di essere vulnerabile. Aveva infatti avuto un grave attacco cardiaco e nessuno pensava che sarebbe sopravvissuto. La miccia, però, era stata accesa... Quell'attacco cardiaco aveva significato una nuova era di libertà per Roland e MacDonald che, infatti, si erano affrettati a riprendere le trattative con la National. Ma poi... Herbert si era riavuto in modo stupefacente quanto inaspettato. — Dev'essere stato un brutto colpo per Bevan e Roland! — commentò Crystal, appena Potter ebbe finito di raccontare. — Un colpo che ha segnato l'inizio della fine — disse Potter. 16 Vilma Thomas giunse tutta affannata nella stanza e impedì la prosecuzione del racconto, ficcando il termometro nella bocca di Potter. — Tre visitatori in una sola volta sono troppi — disse in tono di viva disapprovazione. — Ancora un'oretta, poi lo lasceremo riposare a lungo — rispose Ratclif.
— Vi resta un quarto d'ora, non un minuto di più! Poi dovrò fargli un'iniezione — disse decisa l'infermiera, mentre gettava un'occhiata ammonitrice a Crystal che, obbediente, si alzò subito in piedi. — Grazie per quanto avete fatto per Bob e per me — disse l'attrice prima di andarsene. — Cercherò di esprimervi la mia gratitudine più tardi e in modo adeguato. Potter tentò di risponderle, ma il termometro lo costrinse al silenzio. Levò la mano da sotto le coperte per agitarla in segno di saluto, ma l'infermiera se ne impadronì al volo per controllare il ritmo del polso. Subito dopo, Vilma, borbottando insoddisfatta, registrò alcuni dati sulla scheda-diagramma del degente e se ne uscì dalla stanza. Potter fu allora in grado di riprendere la narrazione. — MacDonald e Roland, vista la ripresa di Herbert, caddero in preda al panico. Come MacDonald in particolare aveva avuto modo di constatare, Herbert era un individuo spietato e spregiudicato: se fosse venuto a sapere delle trattative con la National avrebbe reso la vita un inferno ai due soci. MacDonald si precipitò ad avvertire quelli della National, ma inutilmente, perché Herbert venne ugualmente a conoscenza delle trattative intercorse. — Come potete affermarlo, signor Potter? — chiese Ratclif. — Perché è l'unica premessa e spiegazione logica di quanto poi è accaduto. Che Herbert fosse stato informato era implicito ed evidente in tutto quello che lui ha detto l'altra sera durante la cena. Ora che sapete che cosa cercare, tenente Ratclif, dovrebbe esservi facile trovare il testimone e la prova che Herbert era venuto a conoscenza di quelle trattative. Potrebbe trattarsi di una fedele segretaria, che neppure sottoposta a terzo grado, si lascerebbe indurre a tradire il principale, anche ora che è morto; oppure potrebbe essere un qualsiasi altro dipendente che, facendo la spia, sperava di mettersi in buona luce col padrone. Insomma, sta a voi, ora, trovare il teste o la teste. Una cosa è comunque certa: che Herbert era stato informato. Già una volta, come sappiamo — proseguì Potter — lui si era servito di MacDonald rifilandogli Crystal. E ora gli capitava, piovuta dal cielo, l'occasione di realizzare il procedimento inverso: servirsi di Crystal per sbarazzarsi del socio. L'attrice, infatti, gli aveva inviato una lettera chiedendo di potersi riconciliare con lui: Herbert colse la palla al balzo e la invitò a Summit House, anche perché la permanenza di Crystal sarebbe servita a punire sua moglie Dorothy, rea di aver cercato di divorziare. Poi, d'un tratto, lui si rese conto che avrebbe potuto sbarazzarsi non solo di MacDonald, ma anche di Roland, scaricando la responsabilità, in entrambi i casi sulle
spalle di Crystal. — Ma perché sbarazzarsi di tutti e due? — chiese Ratclif. — Per anni Herbert li aveva controllati e dominati valendosi solo del suo ascendente. Ma, dopo che essi si erano ribellati, l'intera situazione era mutata: perché non si deve dimenticare che, se Roland e MacDonald avessero deciso di sommare le loro azioni, Herbert sarebbe stato messo in minoranza e avrebbe perso il controllo dell'azienda. E, ormai, secondo Herbert, quei due avevano già assaporato il piacere d'essersi liberati dalla sua tirannide e non avrebbero tardato a coalizzarsi contro di lui. Per uno come Herbert, tutto ciò era intollerabile! Sia che i suoi soci ne fossero consci o meno, lui aveva perso la prima mano e non poteva perdere anche la seconda, che sarebbe stata decisiva. Stabilì, perciò, di eliminarli entrambi. La sua idea era di una semplicità stupefacente. Roland aveva per costituzione una ossatura molto fragile. Infatti, se non fosse stato per il terreno coperto da uno spesso strato di foglie, che ha attutito il colpo, non sarebbe uscito vivo dall'incidente. Herbert aveva comprato due cavalli che non erano stati ancora ben domati e aveva studiato attentamente i tempi successivi dell'operazione. Quando ha deciso di passare all'azione, come prima cosa è andato a collocare l'ago nell'imbottitura della sella di Roland, poi, giunto il momento, ha provveduto di persona a sellare i cavalli. — Come fai a sapere che è stato lui a farlo? — chiese Warren. — Me l'hai rivelato proprio tu! Bates, il giardiniere, era stato mandato da Herbert a svolgere un lavoro in una zona lontana dal parco, e l'unica persona che quel pomeriggio si fosse avvicinata alle scuderie era proprio lo stesso Herbert. Roland, dunque, aveva deciso di uscire in passeggiata a cavallo, insieme a Crystal. Allora Herbert ha fatto venire il suo avvocato Lincott e, dopo avergli confidato che Dorothy voleva rovinarlo economicamente distruggendo la Keane Co. con l'aiuto di Miller, ha nominato Crystal erede delle sue azioni, per dimostrare che intendeva sottrarle per sempre al controllo della moglie. Naturalmente, quel testamento era solo provvisorio e lo avrebbe modificato quanto prima. In quanto alla morte di Roland non vi sarebbero state complicazioni di sorta: era un pessimo cavaliere e, per di più, tutti avrebbero detto che aveva sbagliato a scegliere il cavallo. Per quanto riguardava la soppressione di MacDonald, Herbert aveva sottomano Crystal di cui servirsi, con le compresse di sonnifero che lei portava sempre con sé e col profondo rancore che nutriva verso l'uomo che l'aveva ripudiata e cacciata di casa! Herbert ha prelevato il flaconcino del sonnifero durante la cena e poi ha invitato l'attrice ad esibirsi: ha quindi
avuto tutto il tempo necessario, mentre gli altri sistemavano le sedie e c'era confusione, per sciogliere le compresse nel bicchiere di MacDonald. Dopo di che, non gli è rimasto che attendere. Se ben ricordi, Warren, quando siamo arrivati alla villa con Crystal, Herbert era sul chi vive. Non era certo da lui farsi incontro agli ospiti e precipitarsi ad accoglierli sulla porta di casa, se non avesse avuto buone ragioni per comportarsi così. Il fatto è che era ansioso di sapere come fossero andate le cose con Roland. Quando gli abbiamo detto che suo fratello non era morto, ricordo bene che è rimasto scosso e turbato. Warren aiutò Potter a sollevare la testa dai cuscini e gli diede un poco d'acqua da bere. — MacDonald — proseguì Potter — non appena invitato, si affretta a Summit House, piantando il suo ufficio di New York. È il primo invito che riceve dopo che Herbert si è ripreso dal collasso cardiaco, e vuole accertarsi se il socio ha avuto sentore delle trattative con la National. Inoltre vorrebbe sentire, a questo proposito, anche le impressioni di Roland. Ma, appena arrivato qui, viene a sapere che Roland, il quale detesta praticare qualsiasi sport, è rimasto infortunato mentre andava a cavallo. Ora, MacDonald non è un ingenuo: e inoltre conosce bene il vero Herbert. Ecco perché comincia ad avere paura! Anche in questo caso, come in molti altri casi della vita, a confondere la situazione e a interferire, sono stati dei fattori estranei: il matrimonio segreto di Bob e Hope; l'attrazione di Dorothy per Miller; il desiderio di Crystal di agevolare suo figlio a costo di subire cocenti umiliazioni; il lascito a favore del dottor Smiley e la sua infatuazione per la bella vedova. Ratclif scosse il capo: — Cosicché è stato Herbert ad avvelenare MacDonald col sonnifero e a cercare di uccidere Roland. Ma non è stato certamente lui a tentare di strangolarvi: penso che il colpevole dell'aggressione nei vostri confronti sia MacDonald. — Ma perché MacDonald avrebbe dovuto tentare di uccidermi? — chiese Potter. — Chi mi ha aggredito lo ha fatto per un unico motivo: eliminare, con me, le prove che io stavo raccogliendo. E MacDonald era forse l'unica persona a Summit House che ignorava le mie indagini e che non sapeva nulla delle prove in mio possesso. — In ogni caso — osservò Ratclif — circa la vostra aggressione aveva un alibi. — Certo. Era a letto immobilizzato... ma chiunque può sostenere di non riuscire a muoversi!
Warren sobbalzò sulla poltroncina a fianco del letto. — Accidenti, Potter — esclamò eccitatissimo — ora capisco dove vuoi arrivare. MacDonald non era il solo a Summit House il cui alibi era basato su di una forzata degenza a letto. Dimmi la verità: chi era il "piccolo uomo che c'era ma non c'era"? — Roland Keane. Si aprì la porta e fece capolino Vilma Thomas. — I quindici minuti sono passati — avvertì. E rimase in attesa che Ratclif e Warren uscissero. — Ma non è ancora passato un quarto d'ora! — protestò Potter. — Mi spiace — disse l'infermiera — ma avete un po' di febbre ed ora dovete riposare. — Più tardi lo farò senz'altro. Potter non aveva alzato il tono di voce, ma Vilma si arrese ugualmente alla nota di autorità che aveva istintivamente avvertito in quelle parole. — Mi assumo io ogni responsabilità, signorina Thomas — la rassicurò sorridendo l'investigatore. — Non vi preoccupate. L'infermiera, seppur riluttante, lasciò la camera. — Sono sbalordito! — confessò Warren. — Mi sento girare la testa al solo pensare che quel Roland... quella specie di fanciullone, gioviale, buono, ed espansivo, abbia potuto assassinare a sangue freddo il proprio fratello! — Non a sangue freddo... quello era semmai lo stile di Herbert! E neppure, direi, a sangue caldo: ma sospinto dal puro e semplice timor panico. In fondo, se dicessimo che lo ha fatto per legittima difesa, sotto il profilo tecnico-giuridico non credo che commetteremmo totalmente un errore. — Non sono d'accordo! — dichiarò Warren. — Si è trattato di un'azione vile e abietta, della peggiore specie. — Certo che si è trattato di vigliaccheria, ma bisogna tenere conto del fatto che Roland non ha mai avuto la possibilità di diventare uomo. È cresciuto sotto il controllo e il dominio di Herbert, ammirandolo e adorandolo di tutto cuore. Tuttavia, nell'intimo di Roland dovevano esserci, da qualche parte, e per quanto deboli, gli istinti e le sollecitazioni di un animo virile e il desiderio dell'indipendenza. Perciò sospetto che, a un certo punto, lui sia riuscito a farsi di Herbert un'idea molto vicina alla realtà e a perdere quindi tutta, o quasi, la sua ammirazione per il fratello. Ma si è reso conto che poteva davvero sperare di liberarsi dal giogo di Herbert solo dopo che quelli della National avevano avanzato la loro offerta. E la libertà esercita una
potentissima attrazione anche nei confronti dei deboli di carattere! Herbert aveva posto fine alla speranza, ma non a quell'attrazione. Poi, sei settimane or sono, Herbert ha corso il rischio di morire, e la porta meravigliosa che conduceva alla libertà è sembrata spalancarsi di nuovo. MacDonald ha proposto a Roland di riprendere subito le trattative con la National ma... d'improvviso, Herbert si è ripreso. Riuscite a immaginarvi come si è sentito Roland? Per tutta la vita aveva sempre avuto paura del fratello, che ora, profittando della situazione, si era permesso di sfidare apertamente, dopo averlo ingannato cospirando alle sue spalle. Come MacDonald, anche Roland era terrorizzato all'idea che Herbert venisse a sapere delle trattative con la National. D'altra parte, un affare così importante non vi era da aspettarsi che potesse restare segreto ancora per molto tempo. Poi è stato spinto ad andare un po' a cavallo in compagnia di Crystal, ed è avvenuto l'incidente. Per un vero miracolo è rimasto illeso, ma si è reso conto, dal bizzarro comportamento della cavalla, che c'era stato qualcosa di strano e inspiegabile nell'accaduto: ed ha cominciato a sospettare. Quando noi lo abbiamo lasciato solo per venire alla villa a cercare aiuto, lui si è alzato, ha sollevato la sella e trovato l'ago. Allora ha cercato di stringere nuovamente le cinghie del sottopancia, ma, sorpreso dal nostro ritorno, si è dovuto mettere a correre a rotta di collo per tornare a distendersi sulla riva del torrente dove lo avevo trovato esanime poco prima. Ormai aveva però perfettamente capito che Herbert aveva tentato di ucciderlo. — Spostandosi così, ha corso però il notevole rischio che voi lo sorprendeste — fece notare Ratclif. — Fino a quando non ha sollevato la sella, lui non poteva essere certo che ci fosse qualcosa di losco, e quindi non gliene importava nulla se lo avessimo trovato in piedi, vivo e vegeto, vicino alla cavalla. In effetti, ha avuto poi a disposizione un bel lasso di tempo, perché Herbert, quando si è trattato di andare a soccorrere il fratello, se l'è presa molto comoda e ci ha fatto perdere un sacco di tempo. Comunque, quella stessa sera, Roland ha messo la digitale nel bicchiere di yoghurt di Herbert, e io non esito a ripetere che l'ha fatto per una specie di legittima difesa. Naturalmente è stato sempre lui, Roland, che ha cercato di sottrarre gli elementi di prova dalla mia stanza, la notte scorsa, e che, sorpreso sul posto, ha tentato di strozzarmi. Non poteva correre il rischio di essere identificato da me. — Ma quali erano questi elementi di prova, la cui esistenza gli incuteva tanto terrore? — chiese Ratclif. — In primo luogo una scheggia di vetro che avevo trovato sulla sponda
del torrentello, in un punto dove lui doveva essere scivolato su di una roccia mentre correva. Poi una seconda scheggia, finita nella coperta da letto di Herbert. E infine un minuscolo frammento di metallo che ho trovato su di una foglia bagnata. — Come ha fatto Roland a sapere che questi materiali di prova erano in tuo possesso? — chiese Warren. — Nel pomeriggio del giorno successivo alla morte di Herbert, sono stato io stesso a dirgli che ero riuscito a raccogliere un certo numero di elementi... tra cui, appunto, alcuni frammenti di vetro. — Che cos'è stato, fin dall'inizio, a orientare i vostri sospetti su Roland? — chiese Ratclif. — Ricorderete che quando ho raccolto l'ago, l'ho trovato tra le foglie cadute dagli alberi. Ora, alcune di quelle foglie dello strato superiore erano bagnate, mentre la giornata era molto calda e secca. Mi sono ricordato però che gli stivali da equitazione di Roland erano rimasti immersi nell'acqua del torrentello... — Certo, dopo che tu lo hai spiegato, tutto appare molto semplice — commentò Warren. — Ma i frammenti di vetro, da dove provenivano? — In un primo momento ho pensato che appartenessero a delle lenti da occhiali, e perciò ho preso in considerazione Miller come un possibile indiziato. Poi però, ho riflettuto circa una stranezza: possibile che un tipo fornito di abbondanti mezzi economici, come Roland, fosse costretto a chiedere sempre l'ora agli altri perché non possedeva un orologio? Perciò sono sicuro che, se approfondirete l'indagine, riuscirete ad accertare che Roland ha rotto il suo orologio quando è stato disarcionato, subito dopo. Il frammento di vetro da me trovato vicino al torrente, e quello che in seguito mi si è infilato nella manica della giacca in camera di Herbert, provengono senz'altro dal suo orologio, così come il frammento metallico, che è una lancetta. Probabilmente, con tutto lo scompiglio verificatosi quando si è trattato di mettere Roland a letto, dopo l'incidente, né lui né nessun altro si è accorto che il suo orologio aveva il quadrante in pezzi. Evidentemente doveva averlo ancora al polso quella notte, quando si è alzato dal letto e si è recato in camera di Herbert. Non lo aveva più, però, il pomeriggio seguente, quando gli ho parlato dei frammenti di vetro entrati a far parte della mia raccolta di indizi. Penso che, comunque, dopo il nostro colloquio, lui si sia affrettato a cercare un buon nascondiglio per il suo orologio. Soprattutto in vista della possibilità che altre schegge di vetro potessero essere state trovate nella camera del fratello. Quell'orologio dev'essere ancora
da qualche parte in questa casa, perché Roland, dopo l'incidente, non è più uscito da Summit House. A proposito, dov'è ora? — Nella sua camera, a riposare — rispose il tenente. — Perché non gli chiedete di salire qui da me? Ditegli che mi sono rotto un braccio, magari mentre litigavo con Bob. Se verrà qui, avrete tutto il tempo per perquisire minutamente la sua stanza senza dovere affrontare complicazioni, formalità, eccetera. Ratclif si alzò. — Andiamo? — propose a Warren. — Se quell'assassino verrà qui da Potter, mi guarderò bene dall'abbandonare questa stanza, lasciando solo il mio amico. — Con le costole rotte, non potrete certo affrontare una colluttazione — osservò Ratclif, porgendogli una rivoltella. — Prendete questa, per qualsiasi eventualità; ma state attento a usarla solo in caso estremo. Potter e Warren udirono il tenente scendere le scale e poi bussare a una porta del piano sottostante. Dopo due minuti, Roland fece la sua apparizione nella camera di Potter. Indossava una splendida veste da camera di broccato trapunto d'oro. — Caro amico! — esclamò. — Il tenente mi ha appena detto del vostro incidente. Potter sogghignò. — Non lo definirei un incidente — rispose. — Quel Murphy è un volgare mascalzone. Me ne sono reso conto dal primo momento che l'ho visto. Ma che arrivasse fino al punto di aggredire un ospite in casa di Herbert... Anzi, in casa mia! Questo supera davvero le peggiori previsioni. Smiley vi ha visitato? Potter mostrò l'ingessatura. — Questa me l'ha fatta lui. Roland si abbandonò pesantemente in una poltrona. Aveva sul volto un'espressione scontenta e preoccupata. — Grazie al cielo — disse — c'è ancora Vilma che può occuparsi con competenza di voi. Non capisco: pare che tutto vada storto da un po' di tempo a questa parte! Warren sedeva immobile, fissando incredulo quell'uomo grasso, che solo poche ore prima aveva ucciso il fratello ed era stato a un pelo dallo strozzare Potter. Eppure, a parte una sincera preoccupazione per l'ospite, il volto di Roland appariva quello di sempre. Non vi era nulla di mutato in lui! — Suppongo che Ratclif lo abbia già arrestato — disse. — Arrestato chi? — Murphy. — Ma perché?! — fece Potter in tono volutamente sorpreso. — Oh, capisco: vi siete fatto un'idea errata della situazione. Vedete, in effetti, non è
stato Murphy ad aggredirmi. Anzi, a proposito di quel giovane, permettetemi di dirvi che forse, nei suoi confronti, siete caduto in un grosso equivoco. Ad esempio, voi mi avete detto, l'altro pomeriggio, che Crystal ne aveva paura. Ebbene, la realtà è molto diversa: Bob è suo figlio e le vuole molto bene. Tra l'altro, poi, vi siete sbagliato anche a proposito di Crystal: non è affatto povera. Anzi è molto ricca e se la passa benissimo. È venuta a Summit House solo perché sperava di trovare il modo per facilitare le nozze tra Bob e Hope. — Ah, così stanno le cose?! — esclamò Roland. — Questo spiega un sacco di cose che prima mi lasciavano perplesso. — Sì, ma non spiega perché vostro fratello abbia voluto Crystal a Summit House. — Be' — fece Roland, visibilmente imbarazzato — vi ho pur detto che Dorothy da tempo non era più una moglie per Herbert. Ma, piuttosto, ditemi una cosa: se non è stato Bob a rompervi il braccio, non capisco che ruolo abbia avuto nell'incidente di cui siete stato vittima. — Ha messo fuori combattimento MacDonald quando lui ha tentato prima di spararmi e poi di strangolarmi. Roland parve afflosciarsi come un pallone sgonfiato. — Bevan? — esclamò con voce soffocata. — Ma è incredibile! Perché mai avrebbe dovuto comportarsi così? — Oh, penso che sia ovvio — rispose Potter, mentre cercava, appoggiandosi meglio ai cuscini, di sedere un poco più eretto. Warren, attentissimo, avvertì una nota di allarme nella voce dell'amico. "È diabolicamente coraggioso" pensò di Potter, con ammirazione. "Pur trovandosi nell'impossibilità di difendersi, immobilizzato a letto e con un braccio ingessato, non teme di provocare quel tipo pericoloso." — Eppure io non capisco — disse Roland, sforzandosi senza successo di ripetere la sua solita risatina. — Mi spiace, ma brancolo nel buio. Volete spiegarmi che cos'è stato a far perdere la testa a Bevan? — Non è che abbia perso la testa. Ha solo tentato, in modo molto poco giudizioso, di difendere i propri interessi. Roland rivolse un sorriso radioso a Warren. — A questo nostro caro amico piace parlare per enigmi — disse ammiccando. — MacDonald — spiegò Potter — aveva fatto il possibile per farmi credere che a somministrare il sonnifero era stato Bob, anche se sapeva benissimo che era stato vostro fratello Herbert. — Avete detto Herbert?! Non vi permetto di...
— Piantatela! — replicò Potter senza tanti complimenti. — Lo scherzo è durato abbastanza. — E osate parlare di scherzo? Non c'è davvero da stupirsi che MacDonald abbia perso la pazienza e sia trasceso a vie di fatto con voi! Una simile vergognosa.. — Lui — lo interruppe Potter — voleva impedirmi di passare ad altri le mie informazioni: se la polizia fosse venuta a sapere che Herbert aveva cercato di uccidere MacDonald e voi, avrebbe anche capito chi lo ha assassinato. Roland si passò sulla fronte un fazzoletto di seta, poi disse: — Sentite, Potter, spieghiamoci una buona volta con chiarezza. State accusando Bevan MacDonald dell'assassinio di mio fratello? — Oh, no! MacDonald ha svolto solo un ruolo secondario e in un tempo successivo. Ora si sente maledettamente angosciato per la situazione nella quale si trova, e in cui proprio voi l'avete cacciato! Ve l'ha fatto chiaramente capire nella violenta discussione che oggi avete avuto in biblioteca: lui sa perfettamente che siete stato voi a mettere la digitale nello yoghurt di Herbert e conosce anche il motivo per cui l'avete fatto. Warren teneva il revolver puntato su Roland, ma si trattava di una inutile precauzione: infatti il grassone non accennava a muoversi, anche se tremava visibilmente in tutto il corpo. — Ora, potete pure lasciar fare a me — disse Ratclif dalla porta. — Xavier, per favore, ridatemi la mia rivoltella. — Siete riuscito a trovare qualcosa? — chiese Potter. Il tenente tese la mano aperta, su cui vi era un orologio da polso col vetro quasi totalmente mancante, privo di una lancetta e col cinturino di pelle intriso d'acqua. — Era assicurato con del nastro adesivo al galleggiante dello sciacquone del bagno — spiegò Ratclif. Poi perquisì le tasche della fiammeggiante vestaglia di Roland e quando si punse un dito con una scheggia di vetro commentò: — Immagino che in questa tasca abbiate tenuto l'orologio prima di nasconderlo nel serbatoio d'acqua del vostro bagno. Ora fareste meglio a vestirvi. Uno dei miei uomini si incaricherà di mettere in una valigia ciò che vi potrà servire. Afferrandolo per i risvolti della vestaglia, costrinse il grassone ad alzarsi dalla sedia. Roland non oppose resistenza. Si limitò a chiedere: — Quanto tempo starò via? Ho diverse cose in sospeso: i funerali; la nostra società. Ora, lo sapete, sono io che la dirigo...
— Per il momento non tornerete — rispose Ratclif. — Resterete nostro ospite. — Sorresse Roland per il braccio mentre lo conduceva fuori della stanza e poi ne guidò i passi vacillanti giù per le scale. Vilma si avvicinò al letto di Potter con una siringa ipodermica già pronta. — Volete decidervi a lasciar riposare questo poveretto? — disse stizzita, dando un'occhiataccia a Warren. La mattina seguente, la giardinetta dei Keane si fermò davanti alla porta, con Susan al volante. Nel retro era stata sistemata una brandina per Potter, il quale non vedeva l'ora di andarsene da quella casa. Malgrado le ultime volontà del morto, il servizio funebre per Herbert Keane sarebbe stato eseguito con le semplici modalità già previste dalla vedova: non ci sarebbe stato quindi funerale pubblico per un uomo che per ben due volte era stato a un pelo dal diventare un assassino. D'altra parte, il gran numero di agenti di servizio sul posto era sufficiente per privare la famiglia del defunto del riserbo di una cerimonia privata. Potter aveva appena terminato di vestirsi con l'aiuto di Charles, quando venne a trovarlo in camera Dorothy Keane. Si fece avanti con atteggiamento premuroso, e, per la prima volta, nello sguardo con cui fissò Potter, non vi era diffidenza o sospetto. Era talmente bella da mozzare il fiato. — Non cercherò di scusarmi per il modo orribile con cui vi ho trattato — disse con una nota di calda sincerità nella voce — perché sarebbe impossibile. Non esistono parole adeguate per uno scopo del genere. Quando penso a quello che avete fatto per noi e ai guai che ne sono derivati a voi e anche al vostro amico... — Prese una poltroncina e si mise a sedere. L'abito nero, indossato per la cerimonia funebre, contrastava con la nuova luce che le illuminava il viso: era tornata in lei la speranza di poter essere felice. I riflessi bronzei dei suoi capelli, formavano quasi un alone iridescente sotto la luce del sole. Guardando Potter, continuò: — Siete capitato qui per caso e vi abbiamo trattato in un modo... abominevole. E voi ci avete salvato tutti. John e me. Bob e Hope. Persino Crystal. Vi siamo davvero grati tutti quanti! — MacDonald e Roland non credo che lo saranno — osservò Potter, in tono serio. — Roland! — esclamò Dorothy scuotendo la testa. — Non riesco ancora a crederlo! Mai, mai mi sarei immaginata una cosa del genere! Sempre così gentile, così apparentemente inoffensivo!... — Sì, ma anche così atterrito! — la interruppe Potter. — La paura, si-
gnora Keane, è una pessima consigliera. Lei si passò le mani sugli occhi chiusi, quasi desiderasse liberarli da una spiacevole visione. — Quando lo hanno portato via in stato d'arresto, sembrava ancora non aver capito che si trattava di un affare molto serio. Prima di andarsene ha voluto lasciare un sacco d'istruzioni per la sua segretaria, alla quale ha detto che avrebbe chiarito subito tutto alla polizia e che sarebbe tornato a casa al più presto. Non riusciva a rendersi conto della realtà! — Ora ci riuscirà! — disse Potter in tono cupo. — Roland non si è mai trovato a dover affrontare la realtà, prima d'ora. Se è vero che è sempre stato dominato dal fratello, è anche vero che è sempre vissuto al riparo e sotto la protezione di Herbert. Roland è sempre stato ben difeso contro una dura realtà quotidiana, che per lui non è mai esistita: la realtà faceva parte di un mondo estraneo, al di là del cancello di Summit House, oltre il quale non ha mai guardato con attenzione, perché non era necessario che lo facesse! — E quel Bevan! — lo interruppe Dorothy. — Possibile che io sia così stupidamente portata a prendere cantonate circa la gente? In un senso o nell'altro, mi sono sbagliata profondamente nei confronti di Crystal, di Herbert e di Roland. Per quanto riguarda Bevan, lo giudicavo un dinamico estroverso e un buon amico. E invece... Volete sapere, signor Potter, cos'ha fatto ieri dopo l'arresto di Roland? La polizia aveva lasciato un agente a sorvegliare Bevan fino a che fosse arrivata un'altra macchina di servizio a prelevarlo. E lui... — Posso indovinare, che cosa ha fatto — disse Potter con calma. — Neppure per sogno! Non lo indovinereste mai! — lo sfidò Dorothy. — Ho detto mai. — Ebbene, vediamo — disse l'investigatore, mentre cercava vanamente di muovere e sistemare meglio il braccio imprigionato nel gesso. — Suppongo che si sarà affrettato a sconfessare e gettare a mare Roland, pensando così di cavarsela e di essere lasciato subito libero. Inoltre si sarà preoccupato di tutelare e valorizzare il suo terzo di azioni della Keane, cercando di metterle a disposizione di uno o, anche, dei due altri soci, per costituire un sindacato di maggioranza. Ma Roland è stato arrestato per omicidio, e voi signora siete la donna per la quale lui spasimava, ma di azioni non ne possedete... e quindi non servite al suo scopo. E allora?... Allora ritengo... anzi sono quasi certo, che avrà tentato di sanare la rottura con Crystal, magari offrendosi di tornare a sposarla. — Siete stupefacente! Meraviglioso! Sbalorditivo! Come avete fatto a
indovinare? Una volta tanto, devo dare ragione a mia zia Clara che vi ha sempre descritto in questi termini. — E Crystal, come ha reagito alle proposte di Bevan? Dorothy scoppiò a ridere, e i suoi occhi verdi scintillarono, identici a quelli di Susan: — Crystal gli ha risposto... no... non posso ripeterlo... Si è trattato di parole, diciamo così, un po' pesanti. A me ora quella donna è molto simpatica. — Si alzò. — Signor Potter — proseguì — quando vi sarete ripreso, spero di avervi qui nuovamente come ospite. Vi prometto un'accoglienza ben diversa, la prossima volta... Inoltre voglio che in quell'occasione facciate una conoscenza più completa con John Miller. Dopo Dorothy, venne Hope a visitare Potter, accompagnata da un Bob malconcio, con un occhio nero, il naso gonfio e un vuoto tra le labbra lasciato da qualche dente mancante. Ma un Bob più che mai sicuro di sé. Susan non comparve. Potter la vide solo mentre stava per essere caricato sulla giardinetta; la ragazza era al volante, in attesa. La brandina venne alzata con tutte le precauzioni agli ordini di Bates, il giardiniere, insolitamente premuroso e preoccupato dell'incolumità del trasportato. All'ultimo istante, Crystal uscì di corsa dalla villa e si precipitò a baciare Potter. Poi, sempre con atteggiamento drammatico, fece altrettanto con Warren, che aveva preso posto a fianco di Susan nella giardinetta. — Voi e Crystal sembrate avere molto in comune e andare molto d'accordo! — disse la ragazza in tono aspro, visibilmente seccata, mentre innestava la marcia. — Dovremo andare d'accordo molto di più, nel prossimo futuro — le rispose Warren prontamente. — Metteremo in scena assieme "Antonio e Cleopatra"! A proposito, Potter — prosegui girandosi verso il retro della macchina — vuoi cointeressarti nella gestione finanziaria dello spettacolo? — Certo! — Maledetto — esclamò Warren — dopo tutti i guai che mi hai fatto passare, va a finire che ora riuscirai anche a trarre un utile economico dalle mie disavventure. No, non c'è più giustizia a questo mondo! 17 Con il costume da generale romano, Warren Xavier era l'amante ideale che tutte le donne, almeno una volta nella vita hanno sognato. Impersonava Antonio in modo allegro e spavaldo, eroico e tragicomico, apparendo
appassionato o spaccone, sempre permettendo alla magnificenza dei versi di risuonare in tutto il loro magistrale splendore. Ora giaceva ai piedi del monumento funebre, circondato da soldati in lacrime: "Io qui la morte trattengo per un certo tempo, finché "delle molte migliaia "io deponga il povero estremo bacio sulle tue labbra" Susan, seduta accanto a Potter nella penombra del teatro, appariva vivamente commossa. Poi, quando Antonio venne sollevato in alto, lei trattenne il respiro nel timore che potessero lasciarlo cadere. D'un tratto apparve Crystal, una Crystal differente, bellissima, vivida, attraente, che riempi il teatro con la sua voce appassionata: "morire dove tu hai vissuto, "affrettiamoci coi baci: che se le mie labbra ne avessero il potere "così io vorrei poterle consumare" E infine proruppe nel grande disperato grido per l'incommensurabile perdita: "Oh, donne donne! Guardate!, "Il nostro lume è spento, finito." L'atto si sviluppò liricamente nell'atmosfera poetica, fino alla fine, quando cadde il sipario. Vi fu un istante di silenzio, finché si spense l'eco delle ultime parole: poi si scatenò un uragano di applausi. Il sipario si riaprì e tutti gli attori si presentarono in massa in palcoscenico, inchinandosi e sorridendo per ringraziare il pubblico. Potter considerò sorpreso quanti fossero: durante la recita non se n'era reso conto. L'applauso tornò a scrosciare, mentre il sipario si apriva e chiudeva, ripetutamente, ogni volta rivelando al pubblico plaudente, un numero sempre più ristretto d'interpreti. Finché, in ultimo, al centro del palcoscenico vuoto, rimasero soli Warren e Crystal, tenendosi per mano, entrambi inchinandosi entusiasti al pubblico e sorridendosi reciprocamente. Poi Warren si portò alle labbra la mano dell'attrice. — Saltimbanco! — sibilò Susan, irritata. — Però è bravo, non lo si può negare.
— Bravo, è dir poco! — commentò l'investigatore. Dall'altro lato di Potter, era seduta Hope, che a un certo punto si mise silenziosamente a ridere. Poi spiegò: — Quello sciocco di mio marito ha detto che riteneva Shakespeare un classico e quindi capace di scrivere solo roba noiosa. Ora, però, ha scoperto che invece ha scritto anche qualcosa di interessante... Il sipario si apri nuovamente, e, accolti da un ulteriore scroscio di applausi, Warren e Crystal si inchinarono ancora una volta. Poi le luci del proscenio si spensero; si accesero quelle della sala e il pubblico iniziò a sfollare lentamente. — Perché non possiamo andare nei camerini? — chiese Susan, con disappunto. — È meglio di no — le spiegò Potter, accompagnandola fuori. — Ci sarà un sacco di gente che vuol vedere da vicino gli attori. Non riusciremmo neppure a scambiare una parola con loro. In ogni caso, se sono le quinte e il retro di un palcoscenico che desiderate vedere, penso che in futuro ne avrete una infinità di occasioni. — Che cosa intendereste insinuare, con questo? — chiese Susan, combattuta fra la speranza e il sospetto. — Non insinuo: dico, semplicemente, che da questa sera, ho l'impressione che di teatri e di palcoscenici, voi, Susan, ne vedrete spesso: so che siete gelosa di... — Qualche volta — lo interruppe Susan — mi fate una tale rabbia che vi ucciderei! — Tacque d'improvviso con un sussulto e si copri la bocca con entrambe le mani, quasi inorridita e spaventata per quello che aveva detto. — Non abbiate timore d'usare il verbo uccidere! — le disse Potter con calma. — Non abbiate paura del passato... che è ormai passato. Finora ve la siete cavata in modo splendido. — Sì, ma quando penso che noi andiamo a teatro a divertirci e che, uscendone, vediamo tutto questo... — Susan indicò le strade illuminate, le grandi insegne al neon, i tassì, il traffico; gli spettatori che sostavano all'uscita del ridotto per accendersi una sigaretta; i gioielli delle signore; gli abiti da sera. — E poi — continuò — mi viene in mente il povero zio Roland, chiuso in prigione per vent'anni! Vale a dire per il resto della sua esistenza; proprio lui, che amava tanto le belle cose della vita! — Le vostre parole — disse Potter in tono duro — potrebbero servire da soggetto per una canzone della malavita. — Meno male che almeno Bevan, grazie a voi, se l'è cavata ed è a piede
libero! — Be', ho dovuto aiutarlo! Dopo tutto sono stato io a provocarlo oltre ogni limite, fino a indurlo a trascendere e a minacciarmi a mano armata. Ehi, tassì — chiamò. — Avanti, Sue, salite con me. Gli altri ci raggiungeranno appena possibile. La residenza in Gramercy Park era tutta illuminata da cima a fondo. Tito, che indossava una giacca bianca, apri la porta ostentando un inchino estremamente formale. Si udivano giungere voci dal salotto, e Potter inarcò le sopracciglia con aria interrogativa. — Sono arrivati quelli della polizia — lo informò Tito. Poi, abbassando la voce, proseguì. — Nonché il signore e la signora Clayton Fostic. Potter fece una buffa smorfia. Poi disse a Sue: — Lasciate il mantello nella camera di fronte alle scale, al secondo piano. C'è Antonia, la moglie di Tito, che si occuperà di voi. Io devo precipitarmi al soccorso... — Della mia cara prozia Clara? — Scherzate? Della polizia, per difenderla dalla vostra parente! Quando, poco dopo, Susan scese al pianterreno lungo il bellissimo scalone, trovò che il salotto e la biblioteca erano affollati di ospiti, così come lo era anche la sala da pranzo che dava sul retro della costruzione, dove si trovava un minuscolo giardino con vialetti di ghiaia e una fontanella al centro. Susan si fermò per darsi un'ultima occhiata nell'alto specchio del vestibolo. Il suo abito era un'esatta copia di quello che Grace di Monaco portava in una recente fotografia ma che, secondo Sue, indosso alla principessa perdeva molto della sua linea elegante. Un rapido sguardo in giro le permise di accertarsi che gli ospiti d'onore non erano ancora arrivati. Per propiziarsi il favore del pubblico, niente di meglio che offrire un sontuoso trattenimento, pensò Susan sènza però esserne convinta. Aveva infatti abbastanza senso critico per rendersi conto che la rappresentazione cui aveva assistito era stata ad alto livello artistico. Mentre aspettava, ma non capiva ancora di chi o di che cosa fosse in attesa, lei si guardò intorno, alla ricerca di nuovi orizzonti, nuovi spazi e nuove sensazioni. Ed ecco che vide farsi avanti un uomo alto, slanciato e così aggressivamente bello da far sembrare scialbo e normale perfino il divo Warren. Anche l'uomo si accorse di Sue e subito cominciò a farsi strada fra la folla degli ospiti, puntando deciso verso di lei, pur cercando di non dare troppo nell'occhio. D'un tratto, però, cambiò direzione. Per un attimo, Su-
san rimase come annichilita: se un pesce cui aveva teso l'esca poteva sfuggirle con tanta facilità, significava che lei non era affatto la ragazza fatale che era convinta d'essere. Poi vide che il bellissimo sconosciuto aveva preso saldamente Potter per un braccio e lo stava pilotando verso di lei. "È un uomo d'iniziativa" pensò soddisfatta e compiaciuta. — Sue — disse Potter — permettetemi di presentarvi il tenente O'Toole. Tenente, la signorina Keane. — Poi, in tono di preavviso per mettere in guardia l'ufficiale della polizia criminale, aggiunse: — Ricordati che mi hai chiesto tu di fartela conoscere. Dopo, non venire a lamentarti con me! Si volse per salutare i Murphy che erano arrivati in compagnia della signora Keane e di John Miller. Poi se ne rimase a guardare con interesse e con approvazione la più che mai adorabile Dorothy che, essendosi resa conto dell'aria impacciata del genero, l'aveva preso sotto le sue ali protettrici e se lo teneva vicino per evitargli di commettere possibili gaffes, mentre contemporaneamente, con elegante disinvoltura, lo andava presentando a tutti gli ospiti. Miller non la perdeva di vista un solo istante. — Vi sono riconoscente per avere portato la signora Keane — gli disse Potter. — La sua presenza illumina la mia casa. — Siamo noi che dobbiamo esservi grati: avete reso possibile il nostro matrimonio! — Quando vi sposerete? — Il mese prossimo. — Il giornalista continuava a fissare Dorothy, mentre diceva: — Non potete immaginare come sia stata infelice finora la sua vita. Il primo marito, dopo cinque anni di matrimonio, la piantò con due bambine, priva di mezzi di sostentamento e di una qualsiasi abilità professionale. E, comunque, se non avesse potuto sistemare le due bambine da qualche parte, le sarebbe stato impossibile trovare un lavoro. — E, abbassando la voce perché aveva scorto nelle vicinanze la temibile vecchia che stava illustrando al tenente Ratclif i criteri in base ai quali la polizia dello Stato avrebbe dovuto esser riformata, aggiunse: — Poi la signora Fostic le prese tutte e tre in casa sua. E allora comparve Herbert Keane: l'uomo sembrò, a Dorothy, un angelo; era bello, educato, ricco e innamorato. Ma il matrimonio dopo soli pochi anni, divenne un inferno. — Tacque per qualche istante, mentre accompagnava Potter che accoglieva dei nuovi ospiti, li pilotava verso i tavoli, con la cena fredda e le bevande, sistemati in sala da pranzo o li presentava a qualche altro gruppo di invitati. — Ci incontrammo in una biblioteca pubblica — riprese poi a dire Mil-
ler — uno dei tanti posti in cui mi recavo per ottenere certe informazioni per i miei articoli. E fin dal primo istante che l'ho vista... — Esplosione atomica amorosa! — commentò Potter sorridendo. — Sì, ma se non ci foste stato voi, non ci sarebbero state speranze, per noi! Si fece avanti Erman Fitch, della National, imponente e impressionante nell'abito da cerimonia con cravatta bianca. — È troppo tempo che non ci vediamo! — esclamò mentre stringeva la mano a Potter. —Gran bella riunione questa: mi fa pensare alla serata che ha offerto Bernie Baruch... — Signor Fitch — intervenne Potter con sadica crudeltà — penso che sia mio dovere presentarvi il signor John Miller. — È quel tizio che scrive articoli sull'industria chimica? — chiese Fitch, allarmato. Potter sogghignò soddisfatto, notando il viso aguzzo di Miller che si illuminava per l'interesse. — Oh! — fece il giornalista. —Voi siete della National, vero? Vorrei chiedervi alcune cosette circa la vostra società... — E riuscì a chiudere irrimediabilmente in un angolo la sua vittima indifesa. — Questa — commentò Hope Murphy, che seguiva la scena — è stata l'azione più sleale che mi sia mai capitato di vedere! — Autodifesa! — dichiarò Potter. — Fitch mi avrebbe tempestato con le sue domande sulla morte di Herbert. Che se la cavi ora con Miller. — Chi è l'Apollo che è con Susan? — Un cacciatore d'assassini: è un tipo molto coraggioso e deciso. — Allora sarà capace di tenere a bada mia sorella — commentò Hope sorridendo. — Credete? — disse Potter, scettico. O'Toole se ne stava appoggiato a lato di un caminetto, con il capo chino in avanti, fissando con lo sguardo estasiato di un liceale al primo amore la ragazza dagli occhi verdi che quasi non gli arrivava al mento. — Un bel giorno — mormorò Hope — la mia sorellina troverà chi la metterà a posto. Ma non sarà certo quel tipo a farlo: troppo sdolcinato! Susan ha bisogno di un uomo energico. — A proposito, come va col marito? — chiese Potter. — Benissimo! — disse Hope entusiasta — Bob è un uomo superiore. Prima che le due ditte si unissero, ha dato ottima prova di sé alla National, come semplice dipendente. Poi, grazie alle azioni della Keane che la madre
gli ha ceduto, è entrato tra i dirigenti delle due aziende collegate, e ora sta lottando duramente per raggiungere i vertici. Sono fiera di lui! Bob è un tecnico puro e non ama il lavoro amministrativo, ma prima o poi, che lui lo voglia o meno, diventerà presidente del gruppo. — E sarà anche un ottimo presidente — disse Potter, con convinzione. — Per lo meno, sarà onesto e leale! Quando Bevan MacDonald decise di dare volontariamente le dimissioni, tutti hanno tirato un sospiro di sollievo. Si udì e si vide del turbamento nell'atrio, vicino alla porta d'entrata. Un attimo dopo fecero il loro ingresso gli ospiti d'onore. Erano entrambi allegri e festanti per il successo della serata in palcoscenico, e resi espansivi dal rilassarsi dei nervi dopo l'eccitazione di una "prima" così impegnativa. Crystal sembrava risplendere nel suo abito rosso da sera, la cui linea fece sospirare per l'invidia tutte le donne presenti. Warren, che le torreggiava a lato, era chiaramente in gran forma. La coppia fu subito circondata da un gruppo di eccitati ammiratori. — Siete stati meravigliosi! — Cara, la tua interpretazione è stata splendida! — Warren, carissimo, il tuo Antonio è migliore di quello di Olivier. — Crystal, tesoro, sei stata divina! Tutti gli ospiti, con una sola eccezione, li assediavano. La sola eccezione era una bella ragazza che, dopo una rapida occhiata degli occhi verdi in direzione dei festeggiati, tornò a dedicarsi all'affascinante O'Toole, oggetto di un'opera di seduzione ininterrotta e incessante. Solo di tanto in tanto, quasi di nascosto, lei portava rapidamente una mano al capo, per accertarsi che i suoi riccioli rosso-oro fossero tuttora al posto stabilito. Tito, con il largo viso illuminato dalla contentezza, si aprì il passaggio nelle sale affollate, reggendo in alto il vassoio carico di bicchieri di champagne. Warren ne prese uno per sé e ne offrì un altro a Crystal, ma l'attrice scosse la testa lievemente e passò la coppa a una bella ragazza che era riuscita a giungere nelle immediate vicinanze del divo dello schermo. Ore dopo, quando il fiume ininterrotto di champagne aveva fatto elevare il tono delle voci e l'atmosfera era oscurata dal fumo del tabacco, fece la sua apparizione Tito, recando i primi giornali appena usciti dalle rotative, che gli vennero quasi strappati di mano. Warren ne aprì uno con mani quasi paralizzate dall'ansia. Allegria ed eccitazione erano scomparse dal viso di Crystal che ora, con i pugni serrati, fissava il compagno con i magnifici occhi scuri, in trepidante attesa. Attorno a loro era sceso un profondo silenzio.
Potter tolse il giornale dalle mani dell'amico e trovò subito la cronaca teatrale. — "Trionfo dal principio alla fine" — lesse con voce così alta da essere udito in tutta la casa. — "Non esistono parole adeguate per elogiare la superba regia"... e, più avanti "... l'autorevole commovente interpretazione di Warren Xavier nella parte di Antonio, che supera di gran lunga qualsiasi altra interpretazione dello stesso ruolo, realizzata nel nostro secolo. Sembra incredibile che questa sia stata, non solo la sua prima parte in un'opera di Shakespeare, ma addirittura la sua prima apparizione su di un vero palcoscenico. La sua perfetta dizione, il gestire espressivo e misurato, l'interpretazione attenta e fedele del personaggio che è stato reso totalmente nella sua credibile tragicità, tutto ciò, è stato favorito dalla bellezza espressiva della sua voce. È praticamente un miracolo che Warren Xavier abbia saputo acquisire la difficile tecnica dell'espressione vocale, dopo i suoi tanti anni di lavoro per lo schermo. Per quanto riguarda Cleopatra, interpretata da Crystal Young, possiamo dire di avere assaporato la vecchia magia del Nilo e la brillante vocazione di un personaggio, quale potevamo attenderci legittimamente ci venisse dato da un'attrice di questo calibro. La sua Cleopatra è sensuale, perennemente giovane, mai leziosa: una vera tigre con gli artigli di seta. L'enorme carica poetica dell'ultimo atto è resa dalla Young in tutta la sua dimensione incommensurabile. Inoltre, come sempre accade quando recita lei, vi è stata in tutta la serata quel fattore extra, quella speciale nota qualitativa che è caratteristica della sola Crystal Young. Quell'aureola splendente che supera i lumi della ribalta, quasi luce lunare resa tangibile. Per troppo tempo il palcoscenico è rimasto privo del grande talento di questa attrice. Il suo ritorno è un trionfo e una benedizione per i quali dobbiamo ringraziarla. Eccellenti anche gli altri, in particolare Enobarbo e Charmian...". L'ultimo dei tassì chiamato da Tito se n'era andato. Salotto, biblioteca, sala da pranzo erano un campo di battaglia: dovunque piatti e bicchieri sporchi, portacenere traboccanti e, su tutto, il fumo denso del tabacco. Potter guardò con disgusto tutto quel disordine. Poi andò a spalancare una finestra per cambiare l'aria, ma senza sostanziali risultati. Indossò allora un leggero soprabito e prelevata la chiave del parco, uscì all'aperto. Si fermò sull'alto della gradinata a respirare a pieni polmoni l'aria fredda. Era quasi l'alba, e nell'Hotel di Gramercy Park si vedeva già qualche finestra illuminata. A nord e a sud del parco si scorgevano le luci rosse indicanti che i cancelli d'ingresso erano ancora chiusi. Il fascio di una fotoelettrica passò
nel buio del cielo. Potter attraversò il viale, aprì il cancelletto di ferro del lato di ponente, e si inoltrò nel parco. L'oscurità non era profonda, anche perché a New York, in nessun punto e a nessuna ora, ci si trova nel buio totale. Le luci della strada filtravano tra i rami ormai parzialmente spogli e lasciavano intravedere il biancore della ghiaia di un viale. Potter procedette di buon passo, sforzandosi di eliminare dalla testa la bruma delle inutili chiacchiere e dai polmoni il fumo delle sigarette che lo aveva soffocato per tutta la notte. La ghiaia scricchiolava sotto i suoi passi, ma quel rumore non disturbava affatto il busto del grande Edwin Booth, che se ne stava immobile sul suo piedestallo. E tanto meno disturbò la coppia che era poco oltre il monumento: un uomo molto alto e una signorinetta piccola e snella. — ... sempre in giro a sfarfallare! — stava dicendole Warren, con tono di accusa. — Questa sera, pensando che tu eri tra il pubblico, ho corso almeno una dozzina di volte il rischio di" impaperarmi. La notte arrivo persino a sognare di te. — Sono sogni gradevoli, almeno? — chiese Susan. — Meriteresti proprio che te ne raccontassi uno nei minimi dettagli! Ragazza mia, mi stai riducendo alla follia. — Che cosa dovrei fare, per aiutarti? — Dovresti tirarmi fuori da questa miseria morale e restituirmi la mia dignità. Dovrò fare ancora due film, dopo aver terminato le recite di "Antonio e Cleopatra"; quando avrò finito, se vorrai, potremmo viaggiare... andarcene lontano. Susan sospirò a lungo con esasperazione. — Non ti va? — chiese Warren, in tono drammatico. — Mio Dio, questi attori, sempre parole, parole, parole: la vuoi smettere una buona volta di chiacchierare? Sto aspettando che tu venga un po' al sodo. Warren trasalì. Si lasciò sfuggire un grido gioioso che avrebbe potuto essere udito a un miglio di distanza e la strinse fra le braccia. A quanto pareva, Warren aveva deciso di venire al sodo immediatamente e con molto successo, tanto che entrambi smisero di parlare. Potter riprese la strada di casa. Ora si sentiva ancor più solo, e tutto, attorno a lui, gli sembrava diventato più buio. FINE